THE LIBRARY OF THE UNIVERSITY OF CALIFORNIA LOS ANGELES / /?t^^^^£^ /7.tf9iì(, — ^/.y<.,^ - //f^-''' ^f""^ Cap. CARLO CITERNI AI CONFINI MERIDIONALI DELL' ETIOPIA NOTE DI UN VIAGGIO ATTRAVERSO L'ETIOPIA ED I PAESI GALLA E SOMALI CON 3 APPENDICI. 6 CARTE GEOGRAFICHE, UNA PIANTA TOPOGRAFICA E 1 58 INCISIONI ULRICO HOEPLI EDITORE LIBRAIO DELLA REAL CASA MILANO 1913 PEOPEIETA LETTERARIA RISERVATA Itoiu» — Tipogruiia dell' Fuioiie F.ilitrico. via Toderico Cesi, 45. or 3 7^ A Sua Eccellenza il Cavaliere Marchese A. Dì San GIULIANO Ministro per gli Affari Esteri Non scnthfi sovcrcìiio ardire , ma (ìentto rendimento di -: .- ^!'a^.%uì;^^^y^H. sr, VKKSO COIABI. 9MKKBBBR. w:imf^^^? i.A l UIL.^A IJl COLUKI. — 11 — dalle carte allora esistenti. La stessa Convenzione, per- tanto, consigliava i due governi di dare concretezza e precisione a quei troppo incerti e vaghi elementi : e ciò mediante un sopraluogo. Una Commissione mista, infatti, composta di membri (lenza dell'Italia ed il territorio delle tribù a monte dei Baddi-Addi che restano alla dipendenza dell'Abissinia. Art. 3. — Le tribù snlla sinistra del Giuba, quella di Kahanuin e quelle suU'Uebi Scebeli a valle del punto di frontiera saranno alla di- pendenza dell'Italia. La tribù di Digodia, di Afgab, di Djedjedi e tutte le altre che si trovano a nord della linea di frontiera, saranno alla di- pendenza dell'Abissinia. Art. 4. — Dall'Uebi Scebeli la frontiera si dirige verso nord-est, secondo il tracciato accettato dal Governo italiano nel 1897. Tutto il territorio appartenente alle tribù verso la costa rimarrà alla dipendenza dell'Italia ; tutto il territorio di Ogaden e tutto quello delle tribù verso l'Ogaden rimarrà alla dipendenza dell'Abissinia. Art. 5. — I due Governi s' impegnano a fissare praticamente sul terreno e nel più breve tempo la suddetta linea di frontiera. Art. 6. — I due Governi s' impegnano formalmente a non esercitare alcuna ingerenza oltre la linea di frontiera e a non permettere alle tribù loro dipendenti di passare la frontiera per commettere delle violenze a danno delle tribù che si trovano dall'altra parte della medesima ; ma se sorgessero delle questioni o degP incidenti tra o a causa delle tribù limi- trofe alla frontiera, i due Governi di comune accordo li risolveranno. Art. 7. — I due Governi s'impegnano reciprocamente a non fare e a non permettere da parto dei loro dipendenti alcuna azione che possa essere causa di questioni o d'incidenti, o possa turbare la tranquillità delle tribù di frontiera. Art. 8. — La presente convenzione sarà, per quauto riguarda l'Italia, sottoposta all'approvazione del Parlamento del Regno e ratificata da Sua Maestà il Re. Fatta in duplice copia e di identico tenore nelle due lingue italiana ed amarica. Una delle copie resta nelle mani del Governo italiano e l'altra nelle mani del Governo etiopico. Scritto nella città di Addis-Abeba, il giorno sedici del mese di maggio dell'anno millenovecentotto. {Sigillo del Xegiui Menelik). Gii'SKPrK Colli di Felizzano. — 12 — nominati dai due governi, doveva, sia con rilievi topo- grafici, sia con l'accertamento territoriale delle suddette tribù nomadi, fornire elementi tali da ottenere, al più presto, una definitiva ed esatta delimitazione del confine. A me toccò l'alto onore d'esser messo a capo della Missione italiana. Nell'estate del 1910 fui incaricato d'or- ganizzare la spedizione die doveva compiere un viaggio non certo semplice né breve. Percbè, infatti, noi non dovevamo sbarcare direttamente sulle coste del Be- nadir, e di là, avanzando nell'interno, raggiungere il confine abissino ; ma dovevamo prima recarci ad Addis- Abeba, capitale dell'Etiopia, per metterci d'accordo con i delegati del Negus, e quindi dirigerci verso la Somalia, facendo un lungo e faticoso itinerario, a traverso l'Etiopia centrale e meridionale. Si trattava, insomma, di girare internamente attorno a tutta la parte più orientale del- l'Africa, traversando regioni spesso quasi ignote, semjjre inospitali, affatto prive perfino di quelle risorse che offrono al viaggiatore alcuni paesi mediocremente civili. Con la massima oculatezza e con il lume dei i)reziosi insegnamenti fornitimi dall'esperienza, mi accinsi a sce- gliere il personale ed a procurarmi i materiali neces- sari. Quanto al personale vennero destinati per i lavori cartografici i toj^ografi dell' Istituto geografico militare, signori E. Grupelli ed A. Venturi ; il servizio sanitario venne affidato al dott. G. Brigante-Colonna. I i^repara- tivi, come ognuno può comprendere di leggieri, non fu- rono ne facili, uè brevi. * Addì 19 settembre del 1910 il piroscafo « Po » della Società Italiana dei Servizi Marittimi mi conduceva in vista di Gibuti. Debbo confessare di aver provato una — la- verà coDimozione nel ritrovarmi su quel suolo africano che mi ha sempre attratto con un irresistibile fascino. Io credo che poche ebrezze siano comparabili a quella di colui che si mette in cammino per inoltrarsi verso paesi ignoti; che volge le spalle ai luoghi dove tutto è co- struito in modo da facilitare la sua vita, e s'avanza verso quelli dove tutto sarà alla sua vita nemico; di colui che vedrà nudo il volto selvaggio e meraviglioso della Natura, senza la maschera artificiosa che l'uomo gli ha applicato nei paesi civili. Egli dovrà sentirsi pronto a tutto ; ad ogni passo troverà un ostacolo ; ogni i)asso sarà una lotta ; ogni passo compiuto una vittoria. Dovrà invigilare continuamente : gli uomini lo insidieranno in mille modi, la terra gli oi)i)orrà ad ogni istante minac- ciose barriere. Ma, in mezzo a tutte queste asprezze, egli proverà la soddisfazione immensa di affrontarle conti- nuamente con l'ardire e l'ostinatezza e sentirà il proprio corpo e il i)roprio spirito temijrarsi sempre più nella lotta e nella solitudine; ed avrà la grande gioia della rive- lazione dell'ignoto; la gioia di tuffare lo sguardo nell'in- trico smeraldino impenetrabile di foreste meravigliose, dove ancora l'ascia ugualizzatrice della civiltà non ha intaccato nessun tronco; di udire melodie di uccelli, canzoni di cascate, stormir di piante che ancora l'orec- chio dei suoi simili non ha udito; di saziar la gran sete che arde in ogni cuore umano: la sete degli orizzonti novi. Kyo già stato due volte a Gibuti. Questa terza volta nulla trovai di mutato. Il commercio soltanto progrediva sempre ])iii; ma il traffico della ferrovia che giunge a Diredaua, presso 1' Ilarrar, sembrava stazionario. La Colonia francese traeva ancora i suoi maggiori proventi dal mercato delle anni. — 14 — La ferrovia clie va da Gibuti a Diredaiia è lunga 309 chilometri, e la sua costruzione lia subito molte e complicate peripezie politiclie e liuanziarie. Adesso si stanno facendo gii studi necessari per proseguirla fino ad Addis- Abeba, Questo secondo tronco, clie dovrebbe rag- giungere lo sviluppo di 480 chilometri, è appena in sull'inizio e chi sa se potrà mai essere terminato: si incontreranno probabilmente molte altre difficoltà di ordine politico prima di poterlo aprire al pubblico eser- cizio. Gli Abissini, sotto la nera lucentezza delle loro fronti, rinserrano una buona dose di furberia. Hanno tranquillamente imparato dagli europei a monopolizzare i tabacchi, il sale, la carne ed altre derrate; e adesso pensano, non senza ragione, che non sarebbe male di monopolizzare anche le comunicazioni ; perchè, se le fer- rovie danno tanto guadagno, è veramente stupido di far intascare questo guadagno agli europei sfruttatori. Così, senza parere, con olimpica indifferenza, hanno incomin- ciato a fare un po' d'ostruzionismo contro la Società delle ferrovie, che, sotto l'alta protezione del Governo francese, fa ogni sforzo per allungare i lucidi binari fino all'Auasc. Ebbi la fortuna di restare un sol giorno ad arro- stirmi fra le incandescenti mura di Gibuti. Dopo quasi un' intera giornata di viaggio, trascorsa dentro un vagone che sembrava concentrare tutto il soffocante calore dell'atmosfera, la sera del 20 settembre giunsi all'ultima stazione della linea ferroviaria: Dire- daua, piccola città situata in pieno territorio etiopico e dal Governo etiopico amministrata, ma in realtà quasi europea, perchè i padroni della ferrovia hanno fatto di tutto per renderla francese. Vi si trovano comodi al- (Pag. IS) bi.mhf: di lagaghevià che vanni» alla P'ONTE. — lo — berglii, e tutto quanto è necessario per organizzare prontamente una carovana. Per quest'ultima bisogna dovetti ricorrere al « na- gadi », elle si può i)aragonare ad una nostra agenzia di trasporti. Infatti il « nagadi » s' incarica di trasportare merci e persone da un luogo ad un altro, pensando al recapito delle prime, ed a fornire le altre di tutto quanto è loro necessario per il viaggio: una specie di Cook e di Gondrand riuniti in un personaggio abissino. Il sistema è da una parte molto comodo, ma è d'altra parte costoso, e di più vi obbliga a darvi, mani e piedi legati, in balìa del « nagadi », al quale sarete soggetti durante tutto il viaggio; egli vi farà comminare solo quanto e quando talenterà alla sua volontà o al suo cai^riccio, ed anche alla volontà ed al capriccio delle sue bestie da soma. •X- * Composto un litigio d' ordine contrattuale durato alcuni giorni col « nagadi », ero finalmente in grado di iniziare il viaggio con la mia carovana. Avevo la scelta fra tre vie carovaniere che conducono ad Addis- Abeba : la più orientale, che è la jnù breve, attraversa il deserto dancalo ed è quindi calda, malsana, non priva di pericoli e resta senz'acqua jjer alcuni mesi dell'anno; la centrale, detta dell'Assabot, che è anche essa uuil- sana e povera d'acqua; e la più occidentale, chiamata del Cercer, dalla regione che attraversa, clie è la i)iù montuosa, ma è i>erò hi più sicura, la più ricca d'acqua, e presenta il vantaggio di svolgersi in territori quasi sempre abitati. Scelsi quest'ultima, sebbene l' avessi per- corsa un'altra volta ; e la sera del 26 settembre potei già — IG — accami)armi sul colle di Angagò che si trova ad uu terzo di strada fra Diredaua e l'Harrar. In questo primo tratto tutto procedette meraviglio- samente, senza il minimo incidente. Fin dal jìrimo giorno potemmo sederci ad un'ottima mensa, elegantemente imbandita, e riposare, poi, sotto le comode tende dove nulla mancava : il che non è poco per chi si trova nel- l'interno dell'Africa. La i»erfezione del funzionamento di tutti i servizi mi indusse a rivolgere al mio spirito (pialche breve parola di elogio e di compiacimento. Lasciai per qualche giorno la carovana accampata presso al lago Aramaia, e mi recai a visitare Harrar, l'interessante e grandioso emporio agricolo e commer- ciale su cui esiste oggi una letteratura così abbondante che non potrebbe certo giustificare una mia qualunque ulteriore dissertazione . . . Riprendemmo la marcia attra- verso al vasto altipiano che raggiunge, in media, i 2000 metri di altezza e che offre all'occhio deliziosi jia- norami. Si scorge una serie infinita di colline tondeg- gianti, riunite le une alle altre da pendii dolcissimi, quasi spoglie di vegetazione arborea, ma rivestite da ondeg- gianti campi di dura. Qua e là si aprono vallate x>itto- resche come quelle di Oarsà e Uorabille, o si scavano conche verdeggianti, in fondo alle quali, come grandi pupille azzurre che guardino estatiche il cielo, si stendono le immobili acque dei laghi Aramaia, Derac e Jabetà. Numerosi, a mezza costa, sui pendii delle colline, son disseminati i villaggi, simili a gruppi di coniche borchie auree poggiate da un tappezziere megalomane sul vel- luto verdastro del suolo; e i villaggi son circondati da siepi di euforbie candelabro che poi fanno ala ai sen- tieri, elevando dritti verso il cielo i loro nudi tronchi bianchicci ricordanti un poco i ceri votivi degli altari. LA FORESTA DI l'I Kl' .NKl.LA \ Al.I.i; IM lU l;t A. >l I.LA (.KollA 1)1 IN * AKAl IKUI.STK'O l'ii.Mi: INDK.K.Ni (Pag. 2-2) «... IL SKNTIEKO SALE VERSO CUNXJ, PAESE STRAORDINARIAMENTE PITTORESCO ». (Pag. 36) — 17 — 11 paesaggio assume in tal modo un aspetto così mi- stico e così doloroso che vien fatto di pensare subito ad un cimitero di qualche strana religione scomparsa. Dopo Oarsà le colline si assottigliano, si appunti- scono, gettano i loro mantelli di velluto verde cupo delle coltivazioni di dura, e si rivestono di arboscelli. Verso Uorabille agli arbusti di varia specie si mescono basse conifere, con le loro capellature verde tenero ; e gli uni e le altre vanno crescendo di altezza man mano che si procede verso i crinali e i cocuzzoli dei monti ; che, len- tamente,^quasi insensibilmente, il terreno si eleva di con- tinuo tendendo verso la bella montagna di Colubi, che intaglia nel cielo l'oscuro profilo dei suoi fianchi, ma s'incorona il capo d'un folto e misterioso diadema di nembi. Per renderci un onore di cui proprio non sentivamo bisogno, la stagione delle pioggie si era prolungata esa- geratamente. A Oarsà, verso il tramonto, due violenti acquazzoni si rovesciarono sul nostro accampamento. L'acqua scrosciava giù, a torrenti, lungo le tende, produ- cendo un frastuono simile ad un rullo continuo di tamburi ; il terreno era divenuto un pantano ; e dovun- que, intorno a noi, scorrevano rivoli precipitosi che s' in- tersecavano, formando una fitta rete liquida di botri chioccolanti, penetravano nei crepacci, si riunivano, si dividevano, scorrevano tumultuosamente, saltavano givi dagli scoscendimenti in innumerevoli cascatelle con un vasto fruscio sonoro. L'attendamento era tutto avvolto da una densa nebbia che ci toglieva la vista d'ogni cosa d'intorno, e l'aria era divenuta quasi gelida. Noi, av- viliti di quello strano avvilimento che produce l'umidità, tutti tremanti e inzuppati fino alle midolla, stavamo in silenzio aspettando la fine di quel diluvio ; e pensavamo — 18 — cou ironia a tutte le visioni
  • <^polosi, in mezzo a quella straordinaria festosità della natura. E si sale e si scende per monti e per valli, per dolci declivii, respirando il mite tepore di quell'aria profumata. E, ad ogni passo, si scoprono nuovi spettacoli, sempre simili e sempre diversi, cui l'occhio non si stanca mai di guardare ; si è jìresi a poco per volta dal fascino di tutti quei colori ; si è atferrati da una ebrietà dolce, semplice, sana, che non somiglia a nessuna di quei morbosi capogiri che abbiamo pro- vato nei paesi civilizzati ; la calma vigorìa della natura ci penetra in tutte le vene ; ogni preoccupazione è spa- rita; son dimenticati i disagi passati, e non si pensa alle difficoltà future; non ci si ricorda di esser nell'in- terno dell'Africa, ma si crede d'esser capitati in un paese di sogno, fuori dal tempo e dallo spazio; e si vorrebbe fermarci lì, e trascorrere la vita in mezzo a quella bel- lezza festosa e solenne, assorti in quel gaudioso incanto, per sempre. Ma, dopo Lagaghevià, la via ci serba uno strano im- provviso antitetico spettacolo. Si sale ad un tratto faticosamente per un erto roccioso pendìo di natura calcarea che mette a dura prova la nostra pazienza e ci scuote penosamente dalla dolce ebrietà poetica nella (piale ci aveva immersi la bellezza sontuosa del pae- saggio precedente. Ma, subito dopo, il sentiero si raddolcisce, e si svolge a mezza costa con varie e molle ondulazioni. Prima di Durrò si penetra in una bella e cupa foresta secolare, dove, in certi luoghi, l'ombra profonda e silenziosa di- — 20 — viene verdastra e dà l'illusione di una qualche calma profondità sottomarina; in altri punti si aprono radure assolate dove son distesi enormi tronclii abbattuti dalla vecchiezza o dal fulmine simili a mostruosi draghi uccisi che si dissecchino lentamente sotto il sole. Le conifere e i ginepri si elevano altissimi formando enormi navate di verdura, complicati intrichi resi più densi dai licheni e dai muschi che con frangie spioventi e ampi festoni svolazzanti collegano i rami innumerevoli, scendendo giù con eleganti curve dalle eccelse cupole sempre verdi. Spesso il suolo è coperto da fittissime distese di fiori gialli che sembrano esser stati coltivati espressa- mente da un fantastico giardiniere per produrre un gaio stupore nei viandanti. Quei pomposi tappeti di raso aureo ricoprono soflicemente i margini del bosco, circon- dano i campi, foderano gli scoscendimenti, imbottiscono le cavità, sommergono il suolo dovunque, e si susseguono e si prolungano via via all' infinito sotto i passi, e dinanzi e di dietro, e lontano laggiù negli ultimi vani che s' in- travedono fra l' intercolunnio dei tronchi, come una vasta nevicata sulfurea, producendo una gioiosa ossessione di splendori dorati. * Anche a Durrò dovemmo subire un tremendo acquaz- zone, che mise a dura prova il nostro stomaco. La lunga strada percorsa ci aveva i^rodotto quello speciale vuoto gastrico che prende il nome di appetito o, talvolta, anche quello di fame ; e il pranzo, invece, ostacolato nella sua genesi dagli scrosci violenti, ritardava esasperantemente. Il nostro cuoco non riusciva a tenere acceso il fornello che aveva improvvisato fra due sassi. Finalmente ebbe un lampo di genio; si piantò a gambe larghe davanti — 21 — al fuoco, e mantenne teso al disopra di quello, con le sue braccia inverosimilmente lunghe, un largo telo ince- rato, difendendo così pentola e fornello da quella tre- menda doccia elle cadeva dal cielo. Intanto, carponi, accucciato fra le sue gambe, come un cane pauroso, il suo aiutante sorvegliava la cottura delle vivande. Non si può descrivere fino a qual punto fossero grotteschi quei due uomini tutti grondanti acqua, che in quella posizione assurda compivano la loro bisogna con tanta serietà come se fossero stati due sacerdoti dinanzi ad un'ara. * * * Cominciammo poi a scendere, sempre in mezzo ad un'alta vegetazione arborea verso la stretta valle di Burca. Ma il sentiero era diflflcilissimo : tutto impre- gnato dalle pioggie recenti affondava sotto il passo rendendo la marcia faticosissima. O, peggio ancora, ci metteva in grado di romperci il collo quando, ogni tanto, ci ricordava di essere costituito da roccie calcaree, da quelle tali roccie, le quali, come ognun sa, quando sono umide diventano sdrucciolevoli quanto lastre di ghiaccio. Fortunatamente i muletti abissini, che sanno fare miracoli, ci trassero senza troppi inconvenienti dal malo passo. Queste povere bestie, che i)iii di tutte le altre sono utili in Etiopia, resistono alla fame ed alla fatica in modo stupefacente, sono di una sobrietà esem- plare, e camminano per sentieri scoscesi, sulle roccie più aspre, sull'orlo dei burroni, con una sicurezza di passo ammirevole. Scelgono da sé stesse il sentiero mi- gliore, e se per caso sbagliano, ritornano immediata- mente sulla retta via ad un grido del conducente. Spesso s'incontrano numerose carovane di questi muletti che 22 vanno innanzi, curvi e pazienti, con aria docile e ras- segnata, ma senza avvilimento, sicuri di loro stessi, pronti a scansarsi ed a lasciarvi il passo, garbatamente, con un senso di educazione che difetta a molte bestie e ... a molti uomini dei paesi civili ! Questi quadrupedi stuj)efacenti aspettano ancora il cantore delle lor geste e la làuda immortale. Come i destrieri d'Orlando e di tutti i Cavalieri del Ciclo, questi muletti avranno il loro Ariosto. Non ne dubito. E poiché non dubito che queste mie rapide e prosaiche note dovranno rai)presentare le « fonti » del futuro e immancabile poema, così mi corre l'obbligo di rammentare che proprio sul dorso di questi muletti si svolge tutto il commercio etiopico ; e che sono proprio questi modestissimi e pacifici animali che tra- sportano i soldati abissini nelle razzie, nella guerriglia, nelle marcie di trasferimento da uno all'altro paese. * La scoscesa valle del Burca sembra un vasto corri- doio, o meglio un immenso fossato difeso da fortificazioni titaniche. È stata probabilmente prodotta da una frat- tura; ed il suo asse conserva, per un lungo tratto, la direzione da Sud-Ovest a I^ord-Est ; poi il torrente piega con un brusco gomito verso il sud, ed il sentiero lo attra- versa sulla groppa di un caratteristico ponte indigeno che eleva i suoi piloni di legno in mezzo ad una tranquilla radura tappezzata di erba smeraldina. La carovaniera quindi abbandona la valle e sale verso Tulio e Diddibà, dove ritroviamo il terreno ondulato e i graziosi villaggi. Ma le coltivazioni si fauno semi)re più rare perchè il bosco lussureggiante invade spesso prepotentemente anche il fondo delle conche meravigliose, dove le folte — 23 — capellature delle ombrellifere mettono macchie di verde tenero sul solito ossessionante fondo dorato dei prati di fiori gialli, formando una deliziosa armonia, che sembra esser stata composta da un pittore raffinato in ricerca di colorazioni musicali. Procedendo nel cammino vediamo ergersi dinanzi a noi la scura gropj^a villosa della montagna di Ima o Erna, ricoperta di alte conifere e di giganteschi semi)re- A^erdi che, fra il viluppo dei loro rami secolari, danno gradita ospitalità a miriadi di uccelli multicolori di cui udiamo gl'innumerevoli e diversi canti che formano come una paradossale orchestra composta soltanto di pifferi, di clarini e di flauti. Si vedono fuggire, balzare, arrampicarsi con un'agilità miracolosa, fra i rami, su pei tronchi, sul suolo, intere famiglie di guresa, ele- ganti scimmie che hanno il petto candido, e tutto il resto del corpo nero, e che sembrano quindi un po' le caricature di uomini in abito da sera. * Al campo di Diddibà e di Medaidà il nostro « nagadi » Ato Alula ci fornì l'occasione d'un impensato diverti- mento. Questo bel tipo d'abissino è un vero originale; è nato da una buona famiglia del Goggiam ed avrebbe potuto condurre una vita comoda ed agiata nel suo vil- laggio, fra i suoi campi ed i suoi armenti, se un giorno non si fosse voluto cavare il cajiriccio di fare un bel gesto. Stava chiacchierando con un suo compaesano sulle qualità di audacia e di ])rontezza che deve avere un uomo, quando il suo interlocutore, nel calore della conversazione, così, per ischerzo, e senza la menoma intenzione di eccitarlo, gli disse : — « Tu, per esempio. — 24 — non saresti mica capace di sparare adesso qui una fu- cilata, ad un tratto, contro di me, senza proferire una parola ...» — Ato Alula non proferì la parola, ma spianò l'arma e sparò la fucilata . . ., così, tanto per dimostrare all'amico clie era capace di fare quello che gli propo- neva ; ma l'amico non ebbe nemmeno tempo di mostrarsi convinto da quella dimostrazione perchè rimase morto sul colpo. Dopo quel grazioso scherzetto, Ato Alula dovette star lontano dal proprio paese e si ridusse a fare il « nagadi ». Violento ed imijulsivo, egli aveva tut- tavia qualche cosa di attraente e di divertente che ce lo rendeva piacevole. ISToi gli dimostrammo sempre la nostra simpatia, ed egli ha sempre cercato di ricam- biarcela con una grande fedeltà e con un fare rispettoso che gli dava come una vernice d'educazione europea. Con i servi invece ridiventava abissino ... e cioè prepotente e manesco. Al campo di Diddibà, proprio nel momento in cui stavamo per ripartire, un servo del « nagadi », offeso e soverchiamente bastonato dal padrone, si ribellò, abban- donò il lavoro, ed invocò la giustizia del i)aese. Era questo servo un antico schiavo galla, d'una lunghezza e d'una magrezza inverosimili, con due braccia che gli penzolavano fino alle ginocchia; vestiva mezzo alla europea, con un soprabitino corto corto, che un tempo doveva esser stato marrone e adesso era di tutti i co- lori, come una tavolozza, e che chissà quante peregri- nazioni aveva fatto, quante peripezie aveva subito, prima di andare a finire sulle magre e curve spalle di quel vecchio galla, servo di carovane, nell'interno dell'Africa. Il processo, se così si poteva chiamare, venne so- speso al suo inizio, per essere proseguito al nuovo campo. l'Ili l>l>( I.NDI.M Mi) |. 1 M I ALLA \ALLK l>l Kii|;inL\...». (l'a;j. -Jl) NEL CERCER. KITAIKAKI » ASFAU ED IL STO SEOlTKi — 25 — Ivi assistemmo ad una scena curiosissima : servo e pa- drone, accusatore ed accusato, stavano in piedi dinanzi al capo del villaggio che, per l'occasione, aveva assunto le funzioni di dagna, e cioè dispensatore di giustizia. Il servo galla era assistito da un collega amhara degno di sedere in uno dei nostri tribunali, tanto aveva la lingua sciolta, e sottile e artifiziosa l'argomentazione. Ma Ato Alula non si mostrava a lui inferiore, e ribat- teva ogni argomento con pronte, argute, vivaci risposte ; si difendeva con grande abilità, ed aveva nei gesti, nelle apostrofi, negli scatti, nelle invettive un fare così comico, un umorismo così irresistibile, che spesso il nu- meroso uditorio, lo stesso giudice, e perfino la parte avversa, scoppiavano a ridere clamorosamente e sgan- gheratamente. Sembra che, per giunta, Ato Alula avesse ragione ; ma se anche non l'avesse avuta — insinuava il mio interprete che mi traduceva i passi più eloquenti delle rumorose arringhe — avrebbe saputo farsela dare distribuendo a tempo opportuno una manciatina di talleri. Non è improbabile che l'interprete avesse ragione, perchè in Abissinia la giustizia è afiìdata all'autorità amministrativa, che deve, naturalmente, da quella fun- zione, trarre il maggior profitto. La giustizia viene esercitata, in prima istanza, dal capo del paese, e poi, o per appello, o per importanza di causa, su, su, ad autorità sempre più alte, fino ai tri- bunali presieduti dai degiac, dai ras e dallo stesso Negus, il quale rappresenterebbe una specie di Corte Suprema, ed è il solo competente jjer alcuni reati gravissimi. Ogni abissino però, in assenza dei giudici naturali, può esser chiamato a decidere fra due contendenti, quando essi si siano in precedenza messi d'accordo sulla scelta dell'ar- 26 bitro. Il giudice improvvisato non può, purtroppo, sot- trarsi a questo grave obbligo, che è per lui, molto spesso, sorgente di numerosi e non lievi grattacapi. Da Medaiddù per Sciola il sentiero sale verso Cunni, paese straordinariamente pittoresco cbe, se fosse com- posto di casette invece cbe di capanne conicbe, ricor- derebbe molto i nostri villaggi alpestri. Ogni capanna, col terreno circostante cbe le appar- tiene, è rinchiusa in un circolo perfetto di siepi verdi, per modo che, dall'alto, il paese sembra un grupjjo di belle collane di smeraldo con medaglioni d'oro, posate sul tappeto grigio smorto del suolo. 'Nei monti vicini ho veduto le più belle foreste che avessi ancora incontrato, formate da altissimi alberi simili al ginepro. Al campo di Cunni avemmo due sorprese : la prima fu costituita dalla visita imi)rovvisa del caj^o del paese, il cagnasmacc Teghegnè, che si mostrò straordinaria- mente premuroso e cortese : anzi tanto ridicolmente cor- tese, da farmi credere che avesse proprio bisogno di me. È vero ch'egli era stato in Italia col povero ras Ma- connen, e che doveva serbare del nostro paese e della accoglienza fattagli un gradito ricordo ; ma il desiderio di con tra cambiare la festosa ospitalità ricevuta nelle città italiane e quella qualunque forte simpatia che potesse avere per l' Italia e per gli italiani, non erano sufficienti per produrre in un capo abissino tanta copia di cordiali manifestazioni di i)remura e di cortesia quanta ne esibì il cagnasmacc Teghegnè. L'altra sorpresa l'avemmo a poca distanza dal campo, mentre dalla vetta di un cocuzzolo ammiravamo il mera- — 97 — Tiglioso panorama boschivo. Ad un tratto, da una mac- cliia folta, proprio alle nostre spalle, sbucò un bellissimo leopardo. La belva si arrestò un attimo stupita, piantata sulle quattro zampe robuste, muovendo irrequieta la lunga coda, ondeggiando un poco la curva elegante della schiena arcuata, con qualche fremito sotto la splen- dida pelle maculata. Ci fissò con gli occhi d'oro, incerta sul da fare ; poi, con quattro balzi veloci, traversò la breve radura a pochi passi da noi, e sparì nel folto producendo un fracasso di rami commossi. L'apparizione era stata così istantanea e così ina- spettata, che a nessun di noi era saltato in mente d' in- viare un buon colpo di fucile all'ospite improvviso, che, del resto, si era contentato di constatare la nostra pre- senza e ci aveva subito tolto l' incomodo senza farci la minima dichiarazione d'ostilità. * Dopo Cunni, camminammo per due ore nelle dense ombre d'una bellissima foresta, poi discendemmo fino alla valle di Boroma, dove il cagnasmacc Teghegnè tornò a visitarci giustificando così le sue cortesie del giorno innanzi ; infatti egli desiderava di far visitare e curare sua moglie che era ammalata, e voleva aver da noi qualche pacco di cartucce per il suo fucile; fu su- bito esaudito nella sua prima richiesta, ma in quanto alla seconda... egli aspetta ancora una risposta! I soliti acquazzoni noiosi ci forzarono a trattenerci per due giorni a Boroma. La seconda sera, mentre ma- linconicamente pranzavamo sotto l'umida tenda, udimmo appressarsi un grazioso cinguettìo di voci infantili, e vedemmo spuntare una frotta di musetti neri imbacuc- — 28 — cati di bianco, che vennero a far atto di ossequio e di omaggio BÌfrengi... con quanto disinteresse lascio a voi d'immaginarlo. Per ringraziarci dei doni clie facemmo loro, quella dozzina di vispi diavoletti di cioccolata ese- guì una fantasia; e mai, come quella volta trovai ap- propriato il nome alla cosa, giacché lo spettacolo di quei piccoli strani folletti bianchi e neri, che si agita- vano e danzavano fra i riflessi rossastri dei fuochi del campo, gettando grida gioiose con le chiare gole argen- tine, assumeva un aspetto davvero fantastico, e sem- brava uno strano episodio di qualche fiaba orientale, trasformato ad un tratto, per virtù d' incanti, in realtà. * * * Dopo Boroma incomincia la regione del Cercer che dà il nome alla via carovaniera. È una lunga vallata che ricorda un poco quella di Burca; ma invece d'esser costituita da un semplice impluvio diritto e stretto, si ramifica spesso in propagini diverse; è sinuosa in sul I)rincipio, poi si slarga in conche successivamente più aperte, come a Gara-Gurgora ; e forma paludi e laghi come quello di Gara-Gurgora che è detto anche Cercer, dal nome della regione. Anche la vegetazione ha mutato aspetto ; nelle zone pianeggianti e nelle ondulazioni si scorgono rare om- brellifere e qualche sicomoro, mentre dovunque si stende la prateria di altissima erba che ricopre ogni asperità. Nel Cercer il terreno è sparso di ciottoli di quarzo, mentre a Ghelensò non si trova più un sasso, e tutto il suolo è costituito da crete e da argille che rendono il sen- tiero penoso e sdrucciolevole. — 29 — A Laga Hardin si trova accanto all' immancabile do- gana la stazione telefonica, installata in una capanna rotonda di canne e di paglia, che mostra come la ci- viltà si avanzi così rapidamente nel cuore d'ogni paese più perduto, che ad esso non lascia nemmeno il tempo di cambiare il suo aspetto selvaggio. In quel villaggio termina il dominio di degiac Tafarì figlio di ras Ma- connen che risiede all'Harrar. Capo del paese è una mia vecchia conoscenza: il fitaurari Asfau. Questi, ap- pena seppe del mio arrivo a Laga Hardin, venne a tro- varmi, seguito da un lungo stuolo di armati, i quali avevano un aspetto fiero e bellicoso, con i loro grossi fucili portati sulla spalla, i rotondi scudi di cuoio d' ip- popotamo, ed i lunghi mantelli bianchi drappeggiati alla maniera bizantina, che li facevano somigliare a quelle teorie di figure ieratiche che spiccano sui fondi dorati nei mosaici delle più antiche chiese romane, di San Marco e di San Vitale. Fitaurari Asfau, dopo avermi usate molte cortesie, e dopo avermi fatto doni numerosi, mi narrò, cosa che del resto sapevo, che suo padre era morto ad Adua insieme con molti de' suoi soldati. Il fitaurari, senza risentimento nella voce, senza ombra di rancore nell'espressione, pro- nunciando anzi nobili parole all' indirizzo dei nostri prodi caduti, mi fece tutto il racconto, estesamente, spiegan- domi come Ras Maconnen, accusato al campo del Negus di patteggiare segretamente con il nemico, smentisse la calunnia lanciando i suoi soldati, con a capo il padre di Asfau contro il forte di Macallè, ed ordinandogli di attaccare furiosamente l'eroico Galliano. A proi)osito dell'attacco al forte di Macallè, Ras Ma- connen, natura mistica e superstiziosa, amava raccon- — 30 — tare un episodio, clie udii più volte narrare da lui stesso. Mentre conduceva, con audacia furiosa, i suoi seguaci dove più ferveva la mischia, venne colpito al petto da una palla di fucile ; ma il proiettile non produsse alcun effetto, perchè deviò battendo contro un orologio che il ras x^ortava costantemente appeso al collo come una sacra reliquia. — « Quell'orologio che mi ha salvato da una certa morte » — diceva Maconnen — « mi è stato do- nato da una Madonna, e perciò era naturale che mi ren- desse invulnerabile ». L'augusta donna, che il ras, nel suo lingiiaggio mistico, qualificava con un appellativo così religioso, che denotava una venerante adorazione del- l'animo, era la nostra Eegina Margherita, incantatrice di folle e di uomini, anche se questi siano barbari e nemici. Appena superate le aspre colline, che chiudono la valle di Laga Hardin, si presenta allo sguardo la inter- minabile pianura nella quale scorre l'Auasc. Sembra di discendere verso un immenso lago d'acqua torbida, tanto è antipatico il colore di quella terra ricoperta da erba secca bruciacchiata, giallognola, fin dove arriva l'occhio, verso l'orizzonte. E man mano che si discende, afoso, snervante, insoi^portabile piomba su noi il tremendo caldo africano, che noi avevamo avuto la sfacciataggine di desiderare, quando sulle montagne, inzuppati da qualche acquazzone, tremavamo sotto la nostra tenda per il freddo e l'umidità. Dobbiamo poi sopportare anche lo spiacevole cambiamento di panorama. Ci eravamo ormai abituati a passare da una bella foresta, ad una più bella ancora, da un prato ricoperto di fiori gialli, ad uno di fiori multicolori, da una vallata ombrosa piena — 31 — di profumi, ad una montagna clie ci mostrava paradisi di verde, da una macchia lussureggiante sonora di gor- gheggi, traversata da voli di ali scintillanti, ad un vil- laggio grazioso immerso nel sogno tranquillo della na- tura in festa... E adesso, nel vederci davanti quella immensa piana gialliccia che sembra senza confini, priva d'alberi e di qualunque macchia verde, traversata da nere acute vertebre di roccia nera, abbacinante e affo- cata come un metallo incandescente, ci sentiamo ad un tratto presi dalla repulsione e dallo scoraggiamento, e si avrebbe quasi voglia di tornare indietro, tanto quel cambiamento ci urta i nervi. Fino all'accampamento, che posi sulle rive del ru- scello Argagà, ci venne dietro come un cane, un giovane abissino, che aveva modi affabili e signorili e che par- lava abbastanza bene il francese. Era stato educato in Francia a cura del Negus Menelich, ed ora, capo di un piccolo villaggio, si dedicava all'agricoltura, e coltivava, diceva lui, i campi secondo le regole della scienza agraria europea. Durante tutto il giorno ci era venuto dietro, senza staccarsi un istante dalle nostre costole, colmandoci di premure fino a diventare noioso e insop- portabile. E sapete perchè aveva fatto quelle cinque ore di lunga e faticosa marcia, ed aveva esaurito tutto il programma dei salamelecchi e dei complimenti di cui era capace? Perchè voleva chiedermi in dono alcune cartuccie cariche a pallettoni ! È inutile : anche educato in Francia, l'abissino perde il pelo, ma non il vizio ! La sosta di Argagà fu per noi un vero supplizio a causa delle infinite miriadi di zecche che avevano invaso il nostro accampamento. Non si riusciva a vedere di dove venissero, ma bastava muovere un passo fuor del sentiero battuto per essere subito coperti da migliaia di — 32 — quelle piccole belve avide di sangue. Le tende, i letti, i vestiti, erano tutti pieni di un brulichio grigiastro, schifoso, che ci metteva nausea e ribrezzo! Pare grot- tesco, e pur quante volte si preferirebbe di aver da fare con un branco di leoni o di rinoceronti, piuttosto che con le torme infinite di certi insetti con cui non c'è arme che valga, i^erchè quando ne avete uccisi cento o mille, ce ne sono altri centomila pronti ad assalirvi ed a mar- toriarvi. * * * Giungemmo all'Auasc, nel luogo dove trovasi il ponte fatto costruire da Menelich. Avevamo fatto una lunga e faticosa marcia, che ci aveva dato un saggio non indiffe- rente di quel che significhi camminare sotto il sole afri- cano senza trovare l'ombra di un albero che possa dare qualche ristoro. Ci attendammo presso al fiume che scorre rumoreggiando, incassato fra due alte pareti di roccie basaltiche ; in fondo, l'acqua torbida e irrequieta luccicava qua e là, sotto i fasci di raggi che, in qual- che gomito, riescivano ad insinuarsi fino al fondo. Con quel caldo asfissiante non era possibile percorrere in una sola tappa la distanza che ci separava da Te- decciamalcà, il luogo meno lontano dove esistesse acqua. Decisi dunque, contrariamente al solito, di marciare nel pomeriggio fino a notte, e di riprendere il cammino nella notte stessa, dopo aver concesso alla carovana al- cune ore di riposo. Giungemmo infatti l'indomani a Tedecciamalcà, e non è descrivibile la gioia che pro- vammo ad attendarci, dopo dodici ore di marcia sner- vante, sulle rive del ruscello Cassau, che scorreva lim- pido, fresco, trasparente su di un fondo multicolore di ghiaia rotonda, fra alte erbe ed ombrosi arbusti. ALI. rKKICU) TKLEFDXUO DI I,a(;a HAKDIX. (ili .x(;kmm() ali. tasc, nel ntxjo i»(ivk tkovasi il ponte... ». (1-ag. :ì-J) UA.MIÌIM I>I l',Al.( I. 33 A Tedecciamalcà trovammo, come avevamo trovato a Cunni, nientemeno che una bottega armena, se si può dar questo nome sontuoso di « bottega » al lurido bugi- gattolo, dove il proprietario sedeva in mezzo a cataste di roba innominabile di tutti i generi e di tutti i colori, coperta dai più varii strati di polvere e di muffa, e deco- rata da magnifici cortinaggi di ragnatele. È inutile dire che tutta quella merce, se aveva il pregio della varietà, aveva il difetto di essere d' infima qualità, e tutta vecchia e stantìa fino all' inverosimile. Acquistammo alcuni fia- schetti di Chianti, che speravamo contenessero un vino eccellente, perchè il bottegaio ci dichiarò di averli in magazzino da più di sei anni. Ma si vede che il Chianti, che, con l'andar del tempo, diventa sempre più buono nelle nostre cantine, perde questa bella abitudine quando si trova nella bottega di un armeno in un villaggio abissino, perchè io non trovo davvero le i^arole per de- scrivervi quale abominevole, velenosa e nauseabonda bevanda fosse contenuta nei fiaschetti dell'armeno, che pure avevano, a prima vista, un'apparenza tanto innocua. Certamente si trattava di vino indigeno. Infatti i Greci e gli Armeni che negoziano in Abissinia, sono abilissimi nel fabbricare sul posto vini e liquori, imitando, più o meno bene, quelli europei. * Da Tedecciamalcà a Cioba si risale rapidamente per una via carrozzabile molto primitiva, sulla quale tran- sitavano veicoli ancor più primitivi, trascinati faticosa- — 34 — mente da magri buoi, trasportando gli oggetti ed i ma- teriali di grosse dimensioni da Diredaua ad Addis- Abeba. La nostra carovana, però, deviò da questa strada quasi rotabile subito dopo Tedecciamalcà, per seguire l'antica mulattiera, che abbrevia di non i^oco il cammino. Il suolo, su questo secondo versante dell'Auasc, as- sume forme più aspre e più ripide, scoscendendo dai pendii delle montagne. Qua e là, rarissime, si scorgono piccole e magre piantagioni, accovacciate in fondo agli impluvii, come per raccogliere preziosamente, e sfrut- tare, le poclie goccie d'acqua utilizzabili. A Cioba si trova, purtroppo, la dogana dello Scioa. Dico purtroppo, perchè le dogane abissine procurano un monte di seccature anche a chi, come noi, viaggia con un lasciapassare imperiale. I doganieri, che sono aifetti da una manìa fiscale in confronto della quale quella europea sembra un regime da età dell'oro, afflig- gono i viaggiatori con ogni sorta di vessazioni. Quelli di Oioba vollero che si mostrasse loro il documento dal quale risultava che avevamo libero passaggio. E, dopo averne preso visione, pretesero che si pagasse una tassa per compensarli del disturbo che avevamo loro dato, obbligandoli a leggere quella carta, mentre noi, certa- mente, non li avevamo pregati di mostrarsi così zelanti nel disimpegno delle loro funzioni. Un'altra tassa ci fu imposta per darci il permesso di far abbeverare le nostre bestie da soma in certe pozze, dove, per cura delle lo- cali autorità, vien raccolto qualche litro d'acqua torbida e fetente. Ma la lista delle delizie doganali non finisce qui : ci son poi sempre le mancie, che, senza esser richieste, divengono obbligatorie, per ricambiare alcuni doni signi- ficativi, consistenti in qualche dozzina di uova, qualche pollo, od una magra pecora, che vengono portati al mo- 35 — mento della partenza, in modo che, per non saper dove metterli, si restituiscono dopo averli profumatamente pagati. * Ampie gradinate di roccie ci si presentano innanzi, sovrapponendo, ininterrotte, i loro enormi scaglioni da Manabella a Gadaburca. Su ogni i^ianoro cominciamo a rivedere frequenti aggruppamenti di capanne ed uber- tose coltivazioni, consolandoci un po' della snervante marcia fatta per vari giorni attraverso alla vasta risecca vallata. Anche la temperatura ridiventa mite e quasi fresca; infatti siamo di nuovo ad un'altitudine che si avvicina ai duemila metri. Quel bel tipo del nostro « nagadi » ha trovato modo un'altra volta di crearsi grattacapi con la giustizia — mi si passi la parola che potrebbe sembrare ironica — del paese. A Manabella egli ha permesso che i muli della carovana andassero ad abbeverarsi a certe pozze, che, secondo le disposizioni delle autorità, sono riserbate sol- tanto agli animali del paese e non a quelli di passaggio. Le nostre bestie colpevoli furono sequestrate, ed il loro proprietario venne deferito alla giustizia. H fatto suscitò un grande scompiglio nell'accampa- mento, perchè l' indomani era necessario ripartire. Mandai quindi l' interprete ad intercedere perchè i muli fossero messi « in libertà provvisoria », ed intanto feci dire al « nagadi » che ungesse le ruote rugginose della giustizia con talleri sonanti, per tacitare le bramose canne dei neri magistrati, sempre pronti a tender ricatti allo stra- niero, con qualunque pretesto. Ato Alula restò mortificato, jierchè avrebbe preferito di sfoderare un'altra volta la sua caviHosa ed impetuosa — 36 — arte oratoria ; ma quando fu convinto clie io non inten- devo affatto trattenermi a Manabella, per il solo gusto di assistere ad un nuovo esilarante processo abissino, mi obbedì, sebbene a malincuore. Così potemmo proce- dere senza altri inconvenienti verso Gadaburca. * * In fondo alla valle di Gadaburca, che, a quanto mi parve, è il risultato di una frattura, si raccolgono e scorrono in paurose fenditure profondissime, con mugghii di bestia scannata, le acque clie scendono tumultuosa- mente dalle ripide terrazze di Baici e dalla ubertosa regione del Mingiar, assai bene coltivata. C inerpicammo fino a Baici per un sentiero assurdo scavato nella roccia. Ci attendammo più tardi a Scion- corà, dopo avere attraversato vaste pianure, dov'erano frequenti le coltivazioni di orzo e di tief, che, del resto, sono frequenti in tutta la regione scioana. Prima di rimetterci in marcia, ogni mattina, mentre rifacevamo per l'ennesima volta il noioso e complicato lavoro di toglier le tende e di rifare i carichi, ci vede- vamo circondati tutt' intorno da innumerevoli pupille umane e bestiali, luccicanti di avidità. Eran misere donne curve e rugose, bambini macilenti, col ventre mostruosamente gonfio, che aspettavano di contendersi i nostri rifiuti : le ossa spolpate, le pelli gettate via, le scatole vuote, i brandelli di lacere stoffe, e perfino le sudicie fascie che avevan servito a bendare qualche piede escoriato. E sui rami degli alberi avvoltoi appol- laiati ed immobili, ed in alto, nel cielo, stormi di falchi roteanti e di corvi gracchianti, e in basso, ai piedi dei tronchi, branchi di cani rognosi, sfiancati, ischeletriti — 37 — dai lunghi digiuni ; da per tutto dove volgessimo le pu- pille vedevamo orridi spettri viventi, umani e anima- leschi, che tendevano i magri colli, gli occhi spalancati, le bocche affamate verso di noi, attendendo, con uguale bramosia, di poter gettarsi su questo o quell'immondo avanzo, adocchiato in precedenza: pronti a slanciarsi tutti insieme, con meditata rapacità, sulla preda ago- gnata, appena ci fossimo allontanati e a difendere con le unghie e coi denti il miserabile tesoro. Io mi sot- traevo, più rapidamente che potevo, alla vista di quel nauseante spettacolo, ma le poche volte che mi capitò sotto gli occhi quel viluppo convulso di mani e di ar- tigli, di musi e di ali che si agitavano freneticamente, lottando su di un immondezzaio, fui preso alla gola da un senso di ribrezzo tanto profondo da superare anche la pietà. * * Continuammo a traversare il vasto pianoro che se- guita ininterrotto fino ad Addis-Abeba, incontrando spesso ruscelli e fiumiciattoli, che s'intersecano e si ra- mificano, irrorando e rinfrescando tutta la regione. Il più importante di essi, l'Acachi, per mezzo di un canale rozzo e primitivo, irriga le coltivazioni di caffè e gli orti tenuti in concessione dagli europei. Da Sciafedenza vedemmo alcuni lontani luccichii, che in sul principio non sapevamo spiegarci. Erano i tetti di lamiera della capitale etiopica, che, riflettendo i raggi del sole, ci annunziavano, come una face, la vicinanza della prima mèta del nostro lungo viaggio. Infatti l' indomani, 1° novembre, entrammo in Addis- Abeba, accolti con simpatica cordialità dal Ministro d' Italia conte Colli di Pelizzano, e dal segretario di Le- — 38 — gazione cav. G. Cora. Finalmente! Dopo tante setti- mane trascorse in mezzo alla natura selvaggia e ad uomini troppo diversi da noi nell'anima e nei costumi, eran volti italiani quelli che ci sorridevano affettuo- samente, eran mani italiane quelle che si tendevano a stringere calorosamente le nostre, eran voci italiane quelle che ci salutavano con le dolci parole della bella lingua nativa, producendo sul nostro spirito una commo- zione, un'esaltazione gioiosa, come quella che produce il risentire, dopo molto tempo, una musica soave tanto conosciuta e tanto amata. II. IL NUOVO FIORE (Addis-Abeba). Il nome di Addis-Abeba ha, in amarico, un poetico significato: quello di «nuovo fiore». Non voglio discu- tere l'olezzante sostantivo i)er rispetto alle opinioni este- tiche degl' indigeni ; in quanto all'aggettivo, esso è indi- scutibilmente assai appropriato perchè Addis-Abeba è nata insieme all'impero di Menelich, il quale, come è noto, salì al trono di tutta l'Etiopia nell'anno di grazia 1889. Anzi questa città è sorta per volontà dello stesso Negus, il quale pare non avesse soverchia simpatia per la decrepita residenza di Entotto, appollaiata sull'aspro culmine di un monte. Perciò, salito alla dignità im- periale volle discendere qualche chilometro più al sud, e pose il suo « Ghebì », la sua residenza, insomma, su di una collinetta riparata dai venti freddi di nord-est ed elevantesi, insieme ad alcune altre, nel bel mezzo dell'altipiano. Sebbene, ormai, parecchi anni sian trascorsi da quando la prima rotonda capanna fu inalzata per ordine della Imperiale Maestà, pure Addis-Abeba conserva, ancora oggi, il carattere di una città in corso di costruzione. Questo suo aspetto proviene dal gran numero di case e di opere pubbliche che hanno tutta l'aria di attendere — 40 — vanamente la mano industre del muratore per essere condotte a termine. Menelich, infatti, che aveva senza dubbio una non comune intelligenza, aveva ideato e fatto iniziare, proba- bilmente dietro consiglio di europei, un gran numero di opere pubblicbe. Ma queste, come dicevo, son rimaste quasi tutte in asso, poco dopo il cominciamento della loro costruzione. Anche alcuni privati indigeni volevano farsi edificare case con sistemi europei; ma queste co- struzioni furono rapidamente abbandonate; ond'è che adesso se ne vedono i muri cadere prima che mai ab- biano servito al loro uso. Tutto quel che può passare inosservato all'occhio del comune viaggiatore, impressiona invece vivamente chi conosce a fondo il carattere abissino. L'acuto inda- gatore vede, infatti, nell'aspetto della capitale, come l'espressione tangibile, come il simbolo esteriore, della volubilità e dell' incostanza che sono le principali carat- teristiche dell'anima etiopica. In realtà, se si eccettuano le capanne indigene e le case fatte costruire e abitate dagli europei, tutto il resto di Addis- Abeba è una folle accozzaglia di muri incompiuti, di rottami abbandonati, di edificii, di strade, di ponti, appena iniziati e già cadenti, che conferiscono alla città uno strano aspetto paradossale, come d'un paese nuovo e già troppo vecchio, d'un paese che stia sorgendo e che già cada in rovina. Anche le poche vie fatte costruire da Menelich son ridotte ormai in uno stato miserevole. Nessuno si è più occupato della loro manutenzione; l'acqua, scorrendovi come in un letto di torrente, le ha guastate ed erose; alcuni ponticelli, lesi, sconnessi, traballanti e giammai onorati di una riparazione, sono stati chiusi al pas- — 41 — saggio per evitare ai viandanti i pericoli a cui andreb- bero incontro se, per distrazione o per amor di cimento, vi transitassero sopra. Si può dire quindi che, durante la stagione delle pioggie, il passeggiare per le vie della capitale sia altrettanto incomodo quanto il camminare su di una qualunque carovaniera dell'altipiano. Se si eccettua una conduttura d'acqua, assai jjros- sima, per contro, all'esaurimento, tutte le altre opere pubbliche che in Addis-Abeba vivono e resistono al tempo sono dovute all' iniziativa degli europei. A dire il vero, anche l'ospedale è dovuto alla munificenza di Me- nelich : ma, a quest'ora, il pietoso asilo non esisterebbe nemmeno allo stato di rudero, senza l'opera assidua ed amorosa del dottor Vitalien che ad esso ha consa- crato tutta la sua attività e tutte le sue forze. L' unico mulino a vapore che lavora è stato costruito dall'ita- liano Vaudetto. La bella chiesa di San Giorgio, che inalza la sua graziosa cupoletta sull'armonico poligono delle mura, simmetricamente traforate dalle finestre di stile Rinascimento, è stata pure disegnata ed elevata da un altro italiano, l'architetto Castagna. Anche il telegrafo, che dirama le comunicazioni al nord di Addis-Abeba, è opera d' italiani e da italiani viene esercitato ; mentre quello del sud vien tenuto da impiegati francesi ; come pure da impiegati francesi è fatto il servizio postale, su cui, però, il Governo imperiale conserva la sua facoltà di controllo. Esiste pure un comodo albergo che si dice costruito con i danari dell' imperatrice Taitù — la quale sarebbe cointeressata nell'azienda — e che è diretto da un suddito greco. L'impressione di precario e di efiìmero che la capi- tale etiopica produce sul visitatore, viene confermata dai numerosi attendamenti, che sorgono, un po' da per tutto, — 42 — come strane fungazioni biancastre, e che si addensano specialmente verso la periferia della città. Essi appar- tengono ai capi, elle vengon chiamati dal Governo per ragioni di servizio, e che giungono seguiti da numerosi gregarii ; ai « nagadi » che arrivano alla capitale con le carovane ; a tutti coloro che, per una ragione o per l'altra, dopo lunghi viaggi in contrade inospitali raggiungono il centro dell'Etiopia. Appena il sole è tramontato ogni circolazione cessa per le vie di Addis- Abeba; agl'indigeni è proibito di transitare per le strade durante la notte; quindi, man- cando completamente ogni movimento notturno, non si è sentito il bisogno d' impiantare un sistema qualunque d' illuminazione x)er le vie della capitale, le quali restano perciò immerse nella più profonda oscurità. Soltanto qualche volta si vedon dei lumi dondolare nella tenebra, assumendo un'apparenza quasi fantastica in mezzo al buio, al silenzio, alla solitudine; son le lanterne degli europei, i quali, se hanno bisogno d'uscire dopo il tra- monto, son costretti a farsi accompagnare da quei lam- padefori, così poco eliòni.. . * * Sulla sinistra del torrente Cabanà, sorgono, l'una ac- canto all'altra, le sedi delle rappresentanze estere. Esse, tutte costruite in muratura, linde e nitide, mettono una riposante nota di civiltà, in questa caotica confusione di barbare capanne intramezzate da mura incompiute e minate che ricordano l'aspetto delle città dissepolte. Quelle legazioni europee, sebbene fornite di tutte le comodità che è possibile procurarsi in questi paesi, hanno però un po' tutte l'aria di fattorie di campagna. Quella — 43 — d'Italia, a detta d'oguimo è la meglio situata, e costruita col maggiore buon gusto : di ciò si deve dare tutto il me- rito al nostro ministro conte Colli, che ha fatto trionfare, anche nel centro dell' Abissinia, il tradizionale senti- mento artistico italiano. Il palazzetto è composto di un sol piano. Ha sulla facciata un portico a cui si accede con una doppia sca- letta, e che è formato da sei robusti pilastri quadrati; le linee dell' insieme sono semplicissime ma eleganti. Al disopra delle finestre si aprono piccole feritoie che cor- rispondono nel solaio e che tradiscono, sotto l'apparenza civettuola della villetta, il carattere sostanziale di for- tino, non inopportuno ne ineloquente nelle costruzioni europee di questi paesi. A nord del fabbricato principale si trovan le case per il personale italiano ed indigeno della Legazione, nonché la magnifica e ricca scuderia che eleva il suo gra- zioso tetto spiovente in mezzo a vasti prati ben tenuti dove i quadrupedi si esercitano al salto degli ostacoli : ad uno steeple-chase confidenziale, che, poi, in certi giorni dell'anno, diventa un vero spettacolo pubblico, laggiù, nell'elegantissimo Ippodromo che le varie Legazioni hanno impiantato con tutte le regole dell'arte ippica e con tutte le ralfinatezze dell'arte . . . cavalleresca . . . In- torno al palazzetto, alle case, alle scuderie, ai prati, ricorrono viali magnifici, tutti coltivati a rose; e non manca nemmeno un bell'orto che produce buona ver- dura e frutta eccellenti. Anche la residenza imperiale, il Ghehì, offre lo stesso aspetto caotico del resto della città : si scorge entro un gran recinto, un confuso aggruppamento di costruzioni di tipo indigeno, o scimmiottanti le foggie europee; le capanne mescolate agli edificii in muratura, il vecchio — 44 — che viene a patti col nuovo; il tutto senza ordine e senza criterio. E dovunque s'aggirano continuamente muratori e manovali in gran faccenda, ma fermamente decisi a non farci mai vedere quattro muraglie com- plete che rappresentino, non dico un palazzo regale — sa- rebbe troppo chiedere — ma almeno qualche cosa che somigli da lontano ad una nostra semijlice casetta di cam- pagna. Kella città, oltre alle Legazioni, vi sono alcuni altri edificii che possono meritare l'onorifico ai^pellativo di « case » e sono sparsi qua e là specialmente nei pressi del mercato ; appartengono naturalmente ad europei e ad indiani, per la maggior parte commercianti ; ma nessuna di quelle case assume proporzioni di qualche importanza, anzi dimostrano tutte la generale mancanza di mezzi della capitale abissina. * * * Tutte le supreme autorità politiche, amministrative, legislative, giuridiche son concentrate in una sola per- sona : il Negus ; e quindi tutte le principali funzioni di quelle autorità son riunite nel luogo dove egli risiede. Il Xegus i)ersonifica lo Stato : è il padrone assoluto di tutto e di tutti, ha un potere illimitato, e governa con un regime molto simile all'antico feudalesimo. Quindi tutti e tutto fan capo a Addis-Abeba. I ras, ì degiac, ì capi, i sottocapi, tutti quelli che reggono in nome del Negus una provincia o magari un piccolo villaggio, devon render conto dei loro atti e della riscossione dei tributi ad Addis-Abeba, dove affluiscono jìeriodicamente. Esiste, è vero, presso il Negus una specie di Consiglio dei Ministri, che vorrebbe rassomigliare quelli europei. — 45 — ma non ne è invece che l'ombra, poiché funziona in in un modo straordinariamente primitivo e manca di qualunque organo di decentramento. Ond'è che i vari ministri non sono altro, in sostanza, che consiglieri per- manenti della Corona, i quali aiutano il sovrano nella direzione dei varii dicasteri ; ma il potere assoluto resta sempre nelle mani del Negus che è il solo e supremo arbitro d'ogni manifestazione politica o amministrativa. Anche questo sistema di Governo, cui ho rapida- mente accennato, mi persuade a credere che gli Abissini siano proprio di razza camitica, piuttosto che di razza semitica, come molti scienziati vorrebbero affermare. È certo che nella religione, nella lingua, nelle tradizioni, si riscontrano traccie d'infiltrazioni semitiche; ma ciò non dimostra che il ceppo della razza sia semitico ; anzi, se si osservano i costumi, le usanze, la psicologia degli Abissini, si è indotti a i)ropendere per la mia tesi, poiché essi tradiscono troppo le origini camitiche; soltanto pro- genitori di questa stirpe possono aver tramandato ai moderni etiopi, non soltanto l'uso di accentrare tutti i poteri governativi nel capo guerriero, ma anche lo spi- rito di rapina e di conquista portato ad un così alto grado. La storia dell'Etiopia, con le sue guerre che somigliano a razzie, e con le lotte intestine per ogni successione al trono, cagionate dai varii pretendenti è tutta una eloquente conferma della mia ipotesi. * Però, quanto alle lotte di successione, quest'ultima volta, sebbene tutti temessero lo scoppiare di tremende guerre civili, la scomparsa di Menelich dalla scena po- litica si è realizzata in una relativa calma : per lo meno — 46 — senza spargimento di sangue. Varie sono le cause che potrebbero darci la spiegazione di questo fenomeno. Anzitutto Menelich aveva già avuto il modo di de- signare il successore, e, sebbene paralizzato, sebbene cronicamente agonizzante, non era ancora morto; due ragioni perchè il suo lascino personale esercitasse an- cora una potenza di dominio assoluto su tutto e su tutti. Il leone moribondo non è la stessa cosa del leone morto ; tanto più quando ha lasciato nella tana un lion- cello che, se non ha ancora i denti abbastanza forti per mordere, può coprirsi come di un'egida col rispetto im- posto dal vivente fantasma del suo autocratico jjrede- cessore. Poi, i pretendenti erano troppo deboli di fronte al fascio di forze coalizzate, che Menelich, con sapiente diplomazia, aveva saputo radunare intorno al suo gio- vane successore; l'unico partito potente, che avrebbe potuto alzar la testa con qualche probabilità di riuscita — quello che faceva capo all' imperatrice Taitìi — si trovò isolato e disorganizzato al momento della lotta, e potè quindi essere sùbito ridotto all'impotenza dai forti e ben collegati sostenitori di Ligg Jasu. Un altro fatto che può aver influito sul pacifico modo con cui è avve- nuto il trapasso del trono, è l' indebolimento dello spi- rito bellico prodotto nel carattere abissino dal lungo periodo di pace che l'Impero ha goduto sotto il regno di Menelich. Questo l^egus ha esteso il proprio dominio su tutti i paesi che era possibile conquistare, e li ha riuniti in modo definitivo all' Impero. Cosicché da molto tempo è mancata la ragione per tentare qualunque guerra di conquista. Sebbene io fossi preparato a ricevere un' impressione di cittadina vita pacifica, pure devo confessare di essere stato non poco sorpreso dallo stato di perfettissima calma N« 105 MINISPER LA FRONTIERA DIRe.O-ETIOPICA 9°03 9°03' PIANTA N» 105 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI DIREZIONE CENTRALE DEGLI AFFARI COLONIALI ADDIS ABEBA MISSIONE PER LA FRONTIERA rTALO-ETIOPICA Longitudine dal meridiano di Greenwich Strada a rondo arti/ìcia/e Isiitiuo geografica militare .191^ Hiliefo eseguito dai Topografi Srupelli e Venturi A Capitano Citerni — 47 — che regnava in Addis- Abeba e dalla inverosimile tran- quillità con cui i tradizionalmente bellicosi abissini disbri- gavano tutti i loro affari, e con cui si svolgevano tutte le funzioni della vita pubblica. Mentre il vecchio Negus, completamente paralizzato e impotente, miserevole spet- tro di sé stesso, seguitava a vivere vegetativamente, assistito dall'imperatrice Taitù, ed era tenuto nascosto alla vista di tutti, tantoché alcuni si eran convinti ormai della sua morte, Ligg Jasu, il giovinetto desi- gnato dalla volontà del morente, regnava, sorretto, nelle cure del governo, da Eas Tesamma, diramando la sua autorità per tutto l'Impero attraverso ai ministri, ai ras, ai degiac e a tutti gli altri capi. Mentre mi trovavo ad Addis Abeba, fu imprigionato Eas Glie, fratello della Taitù ; poi, sì questa che quello vennero relegati ad An- cober. Da poco tempo era stata sedata la ribellione di degiac Abrahà, il quale si era lasciato prender prigione dopo la battaglia di Quoram, così sfortunata per lui. Ebbi dunque, durante il mio soggiorno, la possibilità di osservare la vita della capitale, in un x)eriodo di straor- dinaria tranquillità. Dopo che fu assicurata la succes- sione di Ligg Jasu, l'andamento politico interno ed esterno continuò a procedere con la sua normale fisonomia, pro- pria di questo paese, e cioè complicato dai subdoli in- trighi dei favoriti, turbato ogni tanto dal rumoroso allon- tanamento d'un capo caduto in disgrazia, distratto dal- l'interesse d'un processo alla moda che riempiva di commenti la capitale. Ad Addis- Abeba vi erano stati finora rappresentanti di cinque grandi potenze, e cioè : dell' Italia, della Francia, dell' Inghilterra, della Germania e della Eussia. Ma, ulti- — 48 — mamente, anche la lontana America ha voluto far giun- gere la sua voce politica nel cuore dell' Abissinia, isti- tuendo un consolato nella capitale. I rappresentanti delle potenze devon trattare i loro afìari col ministro degli esteri; ma anche qui, come in tutto, la suprema san- zione è riserbata al giudizio ed alla volontà del Negus. Se si dovesse far la storia di qualcuno degli affari trat- tati dai rappresentanti esteri con il Governo abissino, ci sarebbe da riemijir dei volumi che riuscirebbero il pili curioso ed insieme il più noioso documento della inde- cisione umana. In Etiopia il sospetto e la diffidenza son posti a base d'ogni sistema diplomatico o commer- ciale ; il più semplice, il più piccolo, il più limpido affare vien circondato dal mistero, dall'ambiguità, e si compie, quando si compie, attraverso ad infiniti ondeggiamenti, con tali strascichi, con tali lungaggini da far impallidire la proverbiale sospettosa lentezza delle autorità turche. Il temilo non ha alcun valore per gli abissini: è inu- tile arrabbiarsi, incitare, cercar di convincere; bisogna armarsi di santa pazienza e di santissimi talleri. In simile ambiente non ci sono che due soluzioni da prendere: opporre astuzia ad astuzia ovvero mo- strarsi candidamente, onestamente sinceri. Io mi sono sempre afferrato con tutte le forze al secondo e più decoroso corno del dilemma. E, a giudicare dai frutti raccolti, il sistema prescelto non mi ha indotto mai al pentimento. * * ■* Le merci che giungono dall'estero per essere impor- tate nelle varie regioni dell' Abissinia, passano per Addis- Abeba ; ed ivi affluiscono, dall' interno, anche quelle che poi saranno avviate alla costa per essere esportate. Addis- Ai)i>i>- Ar,i;r..\. li; >( i dkkii-; dilla r. lki.a/idm;. AODIS-ABEBA. LA RACCOLTA DEL KIKNO ALLA R. LEGAZIONE. — 49 — Abeba è quindi anclie il centro commerciale dell'Etiopia e può essere considerata come un gran mercato. In un gran piazzale, due volte la settimana, si riunisce gran numero di negozianti in una pittoresca confusione e si espongono tutte le merci di produzione del vasto Im- pero: dall'oro alle pelli, dall'avorio al fascio di fieno. Il bestiame è riunito in tre separati recinti : uno per gli animali bovini, l'altro per gii equini, il terzo per gli ovini. Intorno al gran piazzale sono disposti i negozi e le botteghe degli europei e degli indiani. Fra di essi tro- neggia la dogana, l'unica istituzione, che, pur troppo, si trova in qualunque paese dell'Impero. Specialmente nei magazzini degli indiani, che sono completissimi bazar, si trovano molti generi anche di uso europeo, ed in particolare tutto ciò che è necessario per organizzare una carovana per l'interno: dalle co- mode tende di tutti i sistemi, all'oggetto più insignifi- cante di equipaggiamento, e perfino i cibi più fini con- servati in iscatola, e le bottiglie dei vini e dei liquori più ricercati. Gli indiani esercitano pure vari mestieri, fra i quali quello del barbiere e del sarto; sanno ese- guire abbastanza bene qualunque vestito purché se ne dia loro il modello. Del resto, indiani sono anche i grandi esportatori e importatori, che esercitano il loro traffico con capitali propri, o presi a prestito da indigeni e specialmente dal Negus. Essi hanno una grande attività; sono intra- prendenti e si contentano di moderati guadagni; con- servando un continuo contatto con la popolazione in- digena, hanno anche potuto rendersi perfettamente conto dei bisogni e dei gusti di quella; ed in base a tali osser- vazioni tengon magazzini forniti di tutto ciò che può essere spacciato in Abissinia, facendoselo arrivare dai — ÓO — centri di produzione più a biiou mercato dell' Europa o dell' India. Di più, mantengono, come del resto anche le ditte europee, numerosi rappresentanti arabi o indiani, nei principali centri dell'interno, che son situati sulle grandi vie carovaniere. Così possono far giungere i pro- dotti importati fino al consumatore, e possono incettare alle migliori condizioni i generi da esportare, facendoli spesso lavorare e preparare sul posto. Con questa per- fetta organizzazione, molti si son formata una solida posizione commerciale che può sfidare qualunque con- correnza. Facendo un giro per il mercato di Addis-Abeba, ci si può render subito conto delle svariatissime merci che s'importano in Abissinia. Ecco, infatti, se per poco vi allontanate dall'assordante marea di popolo che invade la piazza e vi rifugiate, un po' per trovarvi tregua, un po' per curiosità, in uno di quei molti negozi indiani, voi vedete fasci di armi di tutti i generi : son fucili di vari sistemi, antichi e moderni, da guerra e da caccia, semplici o graziosamente decorati, sono sciabole ricurve che luccicano al sole, coltelli da caccia, brevi pugnali insidiosi, e poi tutti gli accessori: pacchi di cartucce, guaine per pistole, foderi e impugnature di sciabole, eleganti borse di cuoio tutte lavorate per contenere le armi di lusso. Più in là, altri metalli luccicano, ma de- stinati ad usi più pacifici: sono vomeri ])er gli aratri, e zappe e vanghe per dissodare la terra, falcetti per la fìenatura, e seghe, e pialle, e scalpelli, e tutti gli uten- sili per gli operai e gli artieri. Ma ecco altri luccichii più vivaci prodotti dalle cristallerie e dagli oggetti in ferro smaltato per uso domestico. — si- ili altri luoghi vedete esposte le pezze di cotonate americane, dei tessuti speciali per gii sciamma, le ricclie stoffe di seta per le vesti dei capi, ed i bei ricami d'oro con i quali sono adornate quelle di maggior lusso; ve- dete anche tappeti vivaci e stoffe per tende; e vedete scarpe di tutti i generi, gambali di cuoio, e cappelli di feltro a larghe tese, bianchi o neri, che ormai sono usati da tutti gii abissini eleganti dei due sessi, i quali creano, così, senza accorgersene, una curiosa stonatura, com- pletando con un copricapo europeo il loro costume defi- nitivamente indigeno. Ma anche la tavola non è punto trascurata ; infatti scorgete sul mercato le scatole di latta che racchiudono conserve di frutta o di pomodoro, oppure tonno e sar- dine sott'olio ; scorgete le scure bottiglie contenenti vini di lusso specialmente siiumanti, e forti liquori diabolica- mente alcoolici ; e quelle gialle, trasparenti, ripiene d'olio di oliva ; e trovate zucchero, e riso, e x>'ista, e comme- stibili d'ogni sorta. In altro luogo trovate lampade di vari sistemi, fiam- miferi di legno, generi di drogheria, come il petrolio e il sapone, e perfino i medicinali più comuni, tra i quali i tenifughi contro il comunissimo morbo della tenia onde sono afflitti questi abissini divoratori di carne cruda. E trovate anche sigari e sigarette, che però son con- sumati quasi esclusivamente dagli europei. Gli abissini, com'è noto, fanno poco us(>
  • oterla ritrovare sempre uguale. Per esempio, le cotonate italiane sono poco ricercate, pur essendo di buona qualità, perchè ne fu variato troppo spesso il tipo ; grave errore su questo mercato dove, come ho detto, il successo dipende dal sapere presentare ai clienti la merce sempre dello stesso genere, tanto per la qualità come per il prezzo. Così anche i vini da pasto lian ceduto il passo a quelli importati da Marsiglia. Oggi vengono introdotti con successo i cappelli fab- bricati in Italia, ma incettati dai Greci e dagli Indiani. Credo che, oltre ai cappelli ed alle merci surricordate, molti prodotti nostri potrebbero trovare in Etiopia una rimunerativa diffusione, e specialmente quelli che, per il — 56 — loro basso costo, in Italia possono lottare con sicurezza contro la produzione straniera, come ad esempio, i generi alimentari in iscatola e specialmente il tonno, le sardine, le conserve, i frutti canditi ; poi il burro, l'olio, la pasta, il vermoutli e i vini, in particolare gli spumanti. Ma bi- sogna cercar d'inviare merci non di infima qualità, sempre uguali al campione presentato, e sempre dello stesso tipo. * * * Ogni industria ed ogni commercio di una certa im- portanza, vengono a poco per volta monopolizzati in Etiopia. Il Negus, in cambio di lauti comj)ensi in danaro ha concesso a ditte o a privati europei il monoi)olio dei tabacchi, del sale, del caucciù e perfino della macellazione delle carni. Questi monopolii hanno naturalmente una grande influenza sul movimento commerciale perchè im- pediscono ogni concorrenza. Vi sono poi concessioni indu- striali, e fra di esse, fiorentissimo è il grande mulino a vapore esercito dall' italiano Vaudetto in Addis- Abeba ; quello stabilimento mette una strana nota di febbrile operosità industriale europea in questo paese ancora tanto barbaro. Così pure prospera la concessione per l'estrazione del caucciù in certe provincie dell'Impero, data alla « Eubber Company ». Invece non han conse- guito buoni risultati altre concessioni minerarie ed agri- cole perchè impiantate su basi poco solide. Alcuni speculatori, nei tempi passati, venivano in Abissinia per chiedere al Negus qualche concessione, poi tornavano in Europa e si mettevano a battere la gran cassa decantando le miracolose ricchezze dell' Etio- pia, lasciando credere che laggiù bastasse chinarsi verso terra per raccoglier manciate di danaro ; così formavano LA CAKKOZZA DKLLA 1{. LK(rA/.II )NF. IN ADDIS-ABEBA. IN IH INO DI KAS INSAMMA AL ( iiNli; ( ciI.I.I. rXA lUFOLA CHE I'ASCdI.A I.II'.KK AM KNTF, NEI (AMPI DELLA K. LEGAZIONE. AI>I)LS-AUEI5A. IL MERCATO. — 57 — sindacati, allettando i gonzi e mangiandosi poi, senza scrupoli, i capitali raccolti. Questo trucco fece un gran numero di vittime specialmente in Francia, dove era stato ideato e organizzato. * * * I nostri connazionali non sono numerosi in Etiopia, ed appartengono quasi tutti al ceto operaio ; ma per la loro serietà, laboriosità e intelligenza sono molto ben ve- duti. Lo stesso Menelich nutriva per essi una gran sim- patia ed una speciale predilezione ; quando sapeva che erano disoccupati faceva in modo di procurar loro del lavoro. Se una parte della simpatia clie gì' Italiani ispi- rano agi' indigeni si deve alle loro doti personali, un'altra parte è opera dei nostri rappresentati, che seppero, con molto discernimento, limitare e disciplinare l'immigra- zione, e fecero ogni sforzo per tenere alto il prestigio nazionale. Di più, si deve notare che l'Italia non ha mandato qui, come han fatto le altre nazioni, aftaristi e speculatori avidi, ma lavoratori onesti e intelligenti, che fanno onore alla patria, e sanno farsi apprezzare dovunque, tanto ad Addis-Abeba quanto nel resto del- l' Impero e specialmente nel tratto Gibuti-Diredaua, in qualità di impiegati della ferrovia, ed oltre Diredaua, in qualità di manovali o sorveglianti nella costruzione del nuovo tronco. Così, sebbene appartenenti ad una nazione, che è stata per lungo tempo nemica dell' Abissinia, i nostri connazionali, con la loro onesta e intelligente operosità, han saputo conquistarsi la fiducia di questo popolo che è, per sua natura, ditìidentissimo. — 58 * * * Venne il giorno in cui dovetti prepararmi alla par- tenza. Le preoccupazioni che questa mi dava non pote- vano essere indifiFerenti giacche, prima ancora di incomin- ciare i lavori della frontiera, dovevo percorrere ottocento chilometri, da Addis-Abeba a Dolo, attraverso paesi che non offrono alcuna risorsa al viaggiatore. Ero quindi obbligato ad organizzare una carovana numerosa e com- pletamente equipaggiata sì da rispondere a tutti quei bisogni preveduti e imprevedibili che potessero sorgere durante il lungo cammino. Acquistai quel numero di muletti da sella e da soma occorrente all' impresa, ed arruolai centotrenta uomini tra conducenti, cucinieri, servi, che costituirono tutto il personale della carovana. L' interi^rete Hassan Aly, bel tipo di negro intelligente, che avevo condotto con me dall' Eritrea, il robusto huluc-hasci Cassa Sangal con i quattro zaptiè a lui sottoposti, mi furono utilissimi e mi coadiavarono magnificamente nel preparare la spe- dizione. Altri aiuti molto efficaci m'ebbi da tutto il per- sonale della nostra Legazione, al quale non sarò mai abbastanza grato per tutte le cortesie usatemi. In breve tempo il numeroso personale ed i molti quadrupedi furon reclutati; dovetti anzi rimandare in- dietro jjarecchi uomini che volevan seguirmi ad ogni costo, sebbene sapessero che avrebbero dovuto andare molto lontano, attraverso a regioni di difficile transito e piene di pericoli d'ogni specie, e che avrebbero guada- gnato il non molto pingue salario di dieci talleri al mese. Nello scegliere i miei seguaci, ebbi l'avvertenza di non accettare coloro che non fossero stati presentati da un così detto « garante », cioè da una persona ben nota — 59 — alla Legazione, clie s'impegnava verso di essa come mallevadore per l'arruolato, e che si dichiarava respon- sabile per qualunque furfanteria che questi potesse com- mettere. Tale precauzione, molto opportuna nel mio caso, e assai consigliabile a chiunque viaggi in Etiopia, nonché la buona indole della gente che reclutai, fecero sì che, più tardi, non avessi mai a lagnarmi del personale. Esso si mostrò non soltanto resistente alle fatiche del lungo e talvolta aspro viaggio, ma, come meglio non si poteva, premuroso, volenteroso e disciplinato nel disimpegnare il molteplice comj^ito opportunamente e i^recisamente da me ripartito secondo l'indole e le attitudini di ciascun mio seguace. In verità, non avevo voluto trascurare un punto, secondo me, essenziale a qualsiasi avventura in paesi nuovi: avevo voluto pre- cisare, talora con abbondanza di spiegazioni e di espe- rimenti preventivi, il compito cui doveva adempiere ciascuno dei componenti la spedizione. Il conducente, avuto consegna esatta del quadrupede, della bardatura e del carico, sapeva, già x>i'iuia di par- tire, non soltanto riconoscere, a certi segni distintivi, il materiale affidatogli sì da non confonderlo con quello ad altri commesso, ma conosceva anche quali sarebbero stati i suoi doveri in marcia, al campo e al bivacco. Non dissimili consegne e istruzioni, intese ad evitare, più tardi, equivoci, beghe e perditempi, s'ebbero i pa- lafrenieri, i cucinieri e tutto il personale di servizio. Completai la bella carovana assegnando aiutanti capaci al medico e ai topografi e scegliendo cacciatori e racco- glitori per le collezioni zoologiche. Ogni più legittima aspettazione era superata: che il 22 dicembre tutta quella gente aspettava da me il — GO — cenno della partenza. Dietro a me stava un paese che, per quanto ancora in uno stato primitivo, ospi- tava, soi)ratutto, volti amichevoli e affettuosi di com- patriotti; dinanzi a me stava la lunga via da percor- rere per monti aspri, per valli inospitali, per pianure ardenti, per luoghi ignoti e selvaggi, in mezzo a po- poli infidi, primitivi, feroci talvolta ; dinanzi a me stava il mistero attraente e sgomentante dell'Africa, in mezzo al quale tutta quella folla di uomini e di animali che mi seguiva, si sarebbe sentita piccola e sperduta come una fila di formiche; dinanzi a me stavano tre mesi interi di continuo e difficile cammino, senza un solo riposo sotto un tetto, senza, probabilmente, un solo incontro di un volto bianco, e senza un'assoluta cer- tezza di giungere alla mèta . . . Ma tutti questi pensieri non facevano che eccitare il mio desiderio di partire, perchè il mistero africano è come un forte liquore : chi l'ha bevuto una volta desidera di beverlo ancora, de- sidera sempre di più gustarne lo strano sapore, l'ori- ginale, forte, indicibile ebrezza. ADDIS-AlìKHA. I, A I. Il I ; U i i IH ILA (;H'S1I/.1A. N ( AriiI.A\iiKii J)KI.L"aKTK ini>i(.i:-na. "m-^^^ .1^, . ':^: .ìà III. FRA GLI ARUSSI. Il 22 dicembre, come avevo deciso, lasciai Addis Abeba, sebbene gli uomini della carovana avessero mo- strato il desiderio di trattenersi ancora un poco, e seb- bene il nostro ministro e il personale della Legazione in- sistessero cortesemente perchè accettassi di passare il Katale con loro. Ma la via lunga ne sospingeva, ed il do- vere da compiere non ammetteva più dilazioni. Eesistetti quindi a tutte le lusinghe e ruppi ogni indugio, dando il segnale della partenza. La lunga carovana, fatta grave da casse e da carichi d'ogni genere, uscì lentamente dalla città; e parve come se un serpe si snodasse scivolando fuor dalla tana. Poi si avanzò nel piano fra le grida gutturali dei conducenti che incitavano le bestie da soma. Ci fermammo dopo soltanto due ore di marcia, sulle rive del torrente Acachi. Fui obbligato ad arrestarmi per meglio organiz- zare la spedizione, giacché, sebbene io avessi tutto prepa- rato e predisposto, fin nei minimi particolari, secondo le buone norme del paese, assegnando cioè ad ogni condu- cente i suoi quadrupedi ed il suo carico, accaddero diversi incidenti imprevedibili che interruppero la marcia: alcuni muli imbizzarriti buttarono all'aria il carico che si sbu- dellò e si sfasciò tutto ; l'un d'essi fuggì addirittura la- sciando k' due casse in mezzo alla strada; un altro cadde* — (32 — ferendosi in malo modo tantoché fu dovuto abbattere. Queste sono le sorprese che serba ad ogni viaggiatore, per quanto preparato e previdente, il primo giorno di marcia. Del resto le prime tappe debbono essere brevi perchè obbligano a frequenti interruzioni. Inoltre è neces- sario, a princii)io, allenare gli uomini e i quadrupedi. Festeggiammo il Natale a Dicom, attendati in un magnifico prato, sulle rive d'un torrente cristallino. Le anatre selvatiche diguazzavano a gruppi tolti gridando e aliando rumorosamente; sul nostro capo si stendeva l'immensa serenità d'un cielo azzurro senza nubi; e il tepore carezzante dell'aria ci faceva pensare stranamente al vento gelido che doveva soffiare in quel giorno i^er le vie delle nostre città, ai caminetti accesi, alle nostre fa- miglie riunite intorno al desco fumante... * * Il giorno seguente, alle otto, eravamo di nuovo in cammino, e procedemmo senza incidenti fino al lago Arsadi, dove ponemmo il campo. Questo lago, che ha un perimetro di circa quattro chilometri, giace nel fondo di un cratere mettendo una viva macchia azzurra sul gri- giore ferrigno delle aspre roccie vulcaniche e sull'opaco nereggiare delle colate di lava, antichissime e recenti. La superficie cilestrina è tutta baleni, punteggiata e percorsa com'è dal vivace folleggiare di migliaia di uccelli acquatici di molte specie ; alcuni piccoli e roton- detti, nuotano protendendo boriosamente il petto rigonfio; altri più grandi, scrii e meditabondi, affondano ogni tanto il becco nell'acqua con gravità contegnosa, altri, infine, elegantissimi, si sorreggono su di una gamba alta e sot- tile come una verbena e snodano i lunghi candidi colli simili a serpenti. — 63 — Questa zona doveva essere certamente in comunica- zione col grande apparato vulcanico dello Zuquala, bel- lissimo monte, perfettamente conico, alto inh di 4000 metri, clie lia continuato a mostrarci, durante varii giorni di marcia, il suo proiìlo cupo e solenne. A guardarlo si pensava alla piramide sepolcrale di un fantastico Fa- raone che avesse regnato su di un popolo di titani. Da Dicom tino al torrente Moggio la regione è molto popolata, e possiede frequenti coltivazioni d'orzo e di tief ; discende lentamente verso il torrente che luccica in fondo alla valle fra i tronchi alti e sottili delle om- brellifere. Poi si discende ancora nel bacino dell' Auasc fra colline — vulcaniche, o costituite da calcari — che formano piccole ambe, dando al paesaggio l'aspetto di una serie misteriosa di fantastiche fortificazioni. * * Ed ecco finalmente il fiume, che scorre in alcuni luoghi fra alte sponde nitidamente tagliate, in altri fra dolci declivii coperti da campi di dura. Alti sicomori sorgono sulle rive elevando le grandi masse del loro fogliame verde intenso. Il terreno è tutto pesto e tor- mentato da innumerevoli orme di tutte le dimensioni e di tutte le sàgome. Quivi, infatti, gli animali, a mi- gliaia e migliaia scendono a dissetarsi nella fresca lim- pida vena che traversa l'ardente contrada, e gli uomini vengono ad attingere il liquido elemento necessario alla vita. Ci fermammo per tre giorni sulle rive dell' Auasc, ed ivi terminammo l'anno 1910. Il secondo giorno fu ral- legrato da un interessante episodio di caccia. Ero sceso al fiume per pescare e per arricchire la mia raccolta zoolo- — 64 — gica dì qualclie esemplare della fauna fluviale dell'Auasc, allorché vidi gli ascari, tutti eccitati, correre verso di me, balzando fra gli sterpeti col loro i^asso elastico di pantere : « Guaitaua, guaitana, gumare I » Nel loro gergo mi annunziavano gl'ippopotami. Piantai lì canne e barattoli, imbracciai il fucile e seguii i miei neri bat- titori. Eisalimmo un po' a monte sulle rive; poi, gli ascari mi fecero cenno di rallentare e di smorzare il romore dei passi. Strisciammo adagio adagio fra i cespugli. Ci sdraiammo sul suolo. Di fronte a noi, sull'acqua, uno, due spruzzi : nient'altro. Un lieve ondeggiamento della superfìcie liquida tradiva la presenza dei mostruosi ani- mali. Ma un nuovo spruzzo, quasi uno sternuto gigante- sco, fece da pedale ridevole all'aspra melodia di jjiombo cantata dal mio fucile. Ferito, l'un dei mostri, con moto convulso, alzò per un istante la testa fuor dell'acqua, mostrando le piccole pupille, folli di terrore e di furore. Coronato a. sommo da uno sciaquio fievole, il grosso pachiderma calò giù a fondo. Con grande nostra sorpresa, l'indomani, la corrente ce lo fece ritrovare un po' più a valle, impigliato in una rete di liane, straordinariamente gonfio. La caccia era stata facile, ma il difficile cominciò quando si volle tirare a riva la preda. ISTon so quante ore di fatica ci costò quel rude capriccio ; ma ricordo che non ne potevamo più ; ogni sforzo sembrava inutile ; appena la metà del pesantissimo mostro era uscita dall'acqua, le corde si rompevano e la gigantesca massa di carne rotolava giù per la riva a scarpata ripiombando con un fragoroso tonfo nell'acqua. Ci volle davvero una buona dose d'ostinazione da parte nostra per arrivare a tra- scinar nel prato la nostra preda; ma di essa allegra- mente ci vendicammo fotografandola in tutte quelle pose ?^^t^j:;-^ -" ^'^'' ;. '- \^ IL l-AGO AKSADl. « II. I)II1-I( II.K COMINC IO (RIANDÒ SI VOLLK TIKAUK A KIVA I. A l'l!i;i)A ...» (Pag. 61) «...l'KR AKKl\AKi; A TRASCINARE XKL l'UATO LA BKLLA PRKDA...». (Parj. 61) «...MA DI KSSA l'KKDA A LLK( i H A M KNTK CI VENDICAMMO, FOTOGRAFANDOLA ... ». (l'ag. Gì) — es- pili o meno eleganti che può assumere un ippopotamo morto. Il giorno di poi venne a visitarci un cantastorie, cu- rioso tipo di girovago, col volto tutto devastato dalle rughe ed uno strano sorriso stereotipato sulle labbra, che metteva a nudo il bianco luccicore della meravi- gliosa dentatura. Questo grottesco rapsodo abissino si accoccolò tranquillamente in terra, appoggiò fra le gambe una tiorba molto primitiva a forma di losanga, che, se- gata con un arco ancor più primitivo, rendeva suoni non dissimili da senili colpi di tosse. E cominciò, con la maggior serietà del mondo a cantare la mia gesta ! Non so dire quanto mi stesse bene a viso quella parte di Fingal in tenuta coloniale dinanzi ad un Ossian col muso affumicato! Ma il mio bardo non si contentò di questo, e, durante gl'intermezzi volle rallegrare l'udi- torio facendo ballare un fantoccetto di stracci, che, per mezzo di una cordicella, saltava su e giù lungo un pinolo conficcato in terra. Ahimè, proprio vuol dire che il me- stiere del rapsodo, dai tempi di Omero in qua è deca- duto assai, se oggi dobbiamo vederlo accoppiato a quello di burattinaio! * * * La sponda sinistra del fiume è tutta in discesa, for- mata dagli ultimi pendii delle colline, mentre la destra è costituita da un'ampia pianura tutta rasa. Occupiamo tutta la giornata del l» gennaio a traversare questa pia- nura nuda di vegetazione, la cui malinconica unifor- mità è interrotta soltanto da qualche enorme baobab che innalza sul suolo liscio il suo tronco secolare simile ad una torre, e spande intorno la vasta ombra dei rami — G() — innumerevoli, sotto ai quali si potrebbe rifugiare una intera tribù. Qua e là si vedono anche alcuni piccoli villaggi che hanno una disposizione originale : le capanne sono piantate intorno ad uno spiazzo circolare, sul quale esse aprono tutte le loro porte, e nel quale sta riunito il bestiame come dentro una cinta difesa. Gli abitatori sono di natura nomade, non coltivano il suolo e si nutrono soltanto di latte e di carne. Infatti non si scorgono campi nei dintorni, ma solo grandi mandrie di buoi. Con tutto ciò, non ricordo per qual ragione, il primo dell'anno noi restammo senza carne. Allora, accompa- gnato da un dei miei, uscii dall'accampamento, traversai il piano nudo, e mi diressi verso una boscaglia che già avevamo intravista. Appena fummo nel folto, ci tro- vammo in una specie di giardino zoologico nel quale non avevamo che da scegliere per empire il carniere; infatti, in una sola ora di caccia uccidemmo, con otto fucilate, cinque galline faraone, un francolino, una otarda e due lepri! Un lettore molto accorto e troppo mate- matico, potrebbe obbiettarmi che le vittime sono nove invece di otto ; io gli spiegherò l'assurdo dicendogli che, tirando ad una delle lepri, colpii, senza accorgemene, anche l'otarda che non avevo visto ! Cose che succedono soltanto in Africa. In Italia invece c'è pericolo di tirare alla lepre e alla otarda e di non prendere nessuna delle due. Si vede proprio che nel continente nero anche la selvaggina è meno civilizzata. * Nella notte dal primo al due gennaio avemmo freddo; il termometro scese a zero ; la pianura, le tende, i nostri indumenti, eran tutti ricoperti di candida brina lucci- VE.NNK A \l>lTAKel IN C AM AS 1 ( )RIE . . . ». (Pag. Or>) mmJt. "'''?e»t«W«^^ IN (ilADO Sri.I. AIASC. ...Ai. \ ii,l,A(.(.I(> J)I MKIJ.. A> 1 i>ri>M:\ AN'i . . . IN (;uri'ri akiisiki (in; sr.MiU!A\AM> (omposii da i^iaij hi: rrnoKi: . . . ». (/•(TI7. T.'o (iVKl DVK IXCAri'UCCIATI (iRAVI E IMMOBILI K QUEL BEL TIPO DI MORO RIDENTE . . . frac/. -5J DONNA AIUSSI DI (lOBA. — 73 — villaggio ; e attorno ad essa, come implorandone la pro- tezione, si affollano le capanne degli abitanti, che sono, per la maggior parte, soldati. Kei dintorni la campagna è poco coltivata, sebbene mostri le migliori intenzioni d'essere fertile; il fatto dipende dallo spopolamento e dall'impoverimento avvenuti dopo l'occupazione degli amhara. Ad uno svolto della via, vedemmo apparire, ad un tratto, una cinquantina di graduati, mandati dal degiac per renderci onore ; essi erano appiedati, e attendevano in posizione rispettosa, dritti, stecchiti, rivestiti dei loro abiti da festa riccamente ricamati, col fucile sulle spalle e, a seconda del grado, imbracciando lancia o scudo, ricoperto questo di strane e belle decorazioni metal- liche. Eran comandati dal cerimoniere del degiac, che mi recitò un lungo ed ossequioso saluto d'occasione, abbellito dai fiori della rettorica abissina e poi ordinò ai suoi uomini che salissero a cavallo dopo averne chiesto a me il permesso. La fiera scorta si dispose metà in testa e metà in coda alla carovana, e ci accompagnò verso il villaggio. Eran belli quei robusti cavalieri barbareschi, che, avvolti nei candidi manti, ricoperti dalle vivide cotte ricamate, caracollavano sui focosi destrieri, parati a festa con pom- pose bardature, le cui lamine metalliche scintillavano sotto il sole e producevano un sottile tintinnio continuo con gl'innumerevoli campanelli d'ottone pendenti dalle cavezze e dalle selle! In mezzo a quella selva di lancie acute che manda- vano faville di luce nell'aria limpida, si i)oteva credere d'essere tornati indietro di molti secoli, e di vivere al- l'epoca cavalleresca dei paladini e si poteva immaginare che quella scorta ci conducesse verso il castello ario- 10 — 74 — stesco (li qualche re moro, sorgente su di una roccia acuta, dinanzi a qualche precipizio spaventevole, circon- dato di magie, visitato dagli ippogrifì . . . Andavamo forse a liberare qualche bella principessa incatenata, chiusa in una torre buia, e destinata in pasto ad un drago con venti teste?... La fantasticheria fu interrotta dall'arrivo al ghehìj dove trovammo schierati i capi e i soldati disposti in due lunghe ale, fino alla sala di riceA'imento. Appena entrammo in quella sala, il degiac, in piedi, a capo sco- perto, ci salutò rivolgendo a tutti parole cortesissime. Era un bell'uomo, con piccola barba tagliata in quadrato. Avea modi signorili e distintissimi e i)ortava, con fierezza ed eleganza, il suo costume di degiac, consistente in una ricchissima cotta di velluto splendidamente ricamata, sovrapi)osta alla bianca tunica abissina. Egli si sedette su di una specie di trono, e ci fece sedere intorno a lui interrogandoci sul viaggio che ave- vamo fatto, sui paesi attraversati, sugli incidenti occor- sici. Poi ci lasciò liberi di recarci all'accampamento che egli stesso ci aveva fatto preparare in un bel recinto, all'ombra di alte conifere. * * * A Gobà eravamo giunti il 17 e ci trattenemmo fino al 29, vedendo spesso il degiac, che venne varie volte a colazione o a pranzo da noi, meravigliandoci sempre più con la distinzione disinvolta delle sue maniere. Egli sedeva a tavola correttamente, senza rifiutare alcun cibo per pregiudizio religioso, mangiava sobriamente, e par- lava di tutto, con buon senso, dimostrandosi un capo di vera intelligenza. Egli aveva imparato tutto ciò che LA FE.STA KKLIGIU.SA DICI. « TK.MC IIK T ». AC't'OMrAliNANDDNl': II, I.KNTO K MONOTONO lUlMo CON 1 « NACJAKIT » . . . ». (Pila, 'ti) 1 ! ] ^^^^ fc^^% f\ * rW rsibl£F9M t^ÉI^S^ Tra r^ fr' •-^'' ^> " ^ ì 1 ^ K ^ii'"\' >t'^r^^. 1^.^- < ^ ^^1 B^^l^^^ _ 1 à_^^^H __(;^^H «...II, SKMrKF, INTKKKS.SANTF, Sl'i;iTA((lLl) 1>KI,I,.\ « K.XNTA.SIA » . . . ». (Pag. 77; «...^:D HA « SAXT<(NI » CKLKBRI CIIK SOX RISPETTATI K VKNKKATI DA TITTI I KKDEI.I . . . ». (J'a;,. 70) di bello e di buono gli era occorso di notare nei paesi civili che aveva visitato, e cioè Gesusalemme, Ales- sandria, Marsiglia e Parigi. La sua educazione era tal- mente perfetta che talvolta ci sembrava di conversare con un europeo di buona famiglia, il quale si fosse, per capriccio, tinto il viso e travestito da capo africano. Soltanto una volta si mostrò buon abissino: nell'ac- cettare i regali cbe feci a lui e a sua moglie, consistenti in un bel fucile e due ricclii mantelli, vidi sfavillare i suoi ocelli di una gioia e di una riconoscenza esage- rata che somigliavano un po' troppo apertamente alla cupidigia. Visitammo spesso il mercato abbastanza importante, molto pittoresco, pieno di folla e di gridìo, osservando gli strani tipi degli abitanti che avevano bei corjji slan- ciati, movimenti lenti di stile e che, senza saperlo, si disponevano spesso dinanzi ai nostri occhi meravigliati e dinanzi all'obbiettivo della mia macchina in gruppi artistici che sembravano composti da qualche pittore per farne un quadro. Osservate per esempio quelle due giovinette esili che ci guardano, l'una stretta all'altra, in attitudine di timo- roso stupore ; e a destra, in fondo, l'uomo sorridente ap- poggiato al bastone che sembra tolto da qualche tela di Zuloaga, e in basso, seduto in terra quel giovane seminudo classicamente drappeggiato con un lembo di stoffa bianca, che sarebbe un magnitìco modello per un San Giovanni nel deserto. E nell'altra illustrazione quei due incapi)ucciati gravi e immobili che sembrano due anacoreti immaginati da Domenico Morelli ! E in mezzo quel bel tipo di moro ridente che pare disegnato dall'ar- guta matita d'un caricaturista americano illustratore di giornali per ragazzi ! 70 * * Una mattina il degiac ci invitò a colazione nella fo- resta. Trovammo un'elegantissima tenda già pronta, inalzata in mezzo ad una radura, in un luogo alpestre che aveva per sfondo gii acri e rabbiosi profili delle mon- tagne. Nei pressi v'era una sorgente di buon'acqua ferrug- ginosa e gasosa cbe doveva aver certo proprietà medi- cinali. Il capo abissino fece signorilmente gli onori di casa a noi ed alla nostra gente con un copioso ban- chetto nel quale erano inclusi, purtroppo, molti piatti abissini inaffiati con tegg di svariate qualità. Assistemmo poi al pasto dei soldati: i bravi militari abissini divo- ravano la carne cruda sanguinolenta sbranandola coi denti con avidità quasi felina. Avemmo [anche la fortuna di poter assistere alla festa religiosa del Temchet, che commemora il battesimo di Gesù Cristo nelle acque del Giordano per opera di San Giovanni Battista. Il degiac, i sacerdoti, amman- tati di candidi lini e col capo fasciato da una specie di turbante, i soldati in uniforme di gala, e tutta la popo- lazione cristiana si riunirono sulle rive d'un ruscello. Ivi, sotto una tenda sacra, i sacerdoti celebrarono la messa ; poi, recatisi presso l'acqua corrente, proseguirono la funzione benedicendo tutti i presenti. Indi, intona- rono canti liturgici, accompagnandone il lento e mono- tono ritmo con i nagarit, grossi tamburi di forma ori- ginale simile a quella d'un obice. Strana era quella fun- zione religiosa, che aveva qualche cosa di misterioso e di solenne, sotto l' implacabile cupo cielo africano ; le me- lodie s'inalzavano con le loro cadenze barbaresche, scan- dite dai sordi colpi del nagarit, e i sacerdoti ed il pò- — 77 — polo avevano sul volto una gravità di statue ieratiche che faceva sembrare i loro lineamenti scolpiti nella pietra antichissima di qualche tempio egiziano. Durante il ritorno i soldati ci dettero il sempre in- tt^^^ « ,. . (.iiK.NKK i; l'ir (III; Ai.rmi in mkkcato . . . ». (l'act. 1I/1A « 1»I (ilIKiNKK. — 79 — Gobà, distante alcuni giorni di marcia, è frequentatis- sima, richiama gran numero di pellegrini e di devoti, ed ha santoni celebri, che son rispettati e venerati da tutti i fedeli. La differenza fra dominati e dominatori, appare anche nell'aspetto esteriore. I primi, miseri, laceri, girano co- perti di rosse e logore pelli, lavoran per gli altri la terra che fu loro, esercitano i più umili mestieri; mentre i secondi si pavoneggiano in candidi e costosi sciamma e vivono da padroni, in ozio, nel territorio di conquista, sfruttando i poveri indigeni. Vi sono alcuni capi abis- sini intelligenti e di animo men duro, che, come degiac Nado, sembrano fare il possibile per render meno grave una dominazione così vessatoria ed odiosa; ma i loro nobili sforzi naufragano nell'universale cupidigia degli altri amhara, * Il 30 gennaio, la nostra carovana, divenuta più lunga e più folta per l'aggiunta dei delegati abissini e del loro seguito, si snodò novamente nella campagna. Cinque giorni di marcia ci stavan dinanzi prima di giun- gere a Ghigner. Nell'attraversare l'ondulato altipiano, trovammo, an- cora una volta, le euforbie candelabro, che circondavano gruppi di capanne come ceri disposti intorno a i)adi- glioni sacri. Nella seconda tappa ritraversammo l'Ueb, divenuto ormai un fìumicciattolo d'una certa importanza. Scorre dentro una stretta valle che sembra di erosione, e che è tagliata quasi a picco sul fiume, tanto che l'acqua non si scorge finché non si giunge proprio sul ciglio della ripa. La corrente, che è larga da 5 a 6 metri, è lim- pida e lenta e passa su di un fondo che sembra basaltico, — 80 — come basaltici sono i detriti levigati formanti il greto del fiume. Sulla riva sinistra ricomincia la pianura sconfinata che sale insensibilmente, senza alberi, con pochi villaggi e rare coltivazioni. Poi si trovano rapide discese clie ci conducono in una valle dove cantano limpidi ruscelli scorrendo in direzione opposta a quella dell'Ueb. Le loro acque vanno a gettarsi nell'Uabi (Uebi Scebeli) mentre il corso delll'Ueb appartiene al bacino del Giuba. Qua e là, lungo il sentiero, spesseggiano e si raggrup- pano le bianche tombe musulmane. Anche nell'ultimo giorno di marcia si continua a discendere; ma per obliqui aridi pianori, interrotti a grandi distanze da rari alberi, e intagliati da larghe fenditure che fanno sembrar più aspra la siccità della regione. Finalmente, su di una collinetta, appare il ghebì del degiac : poiché il nostro amico Nado risiede parte dell'anno a Gobà e parte a Ghigner. Posto sull'estremo limite del grande altipiano, prima che incominci la brulla arida sconfinata regione dei no- madi, Ghigner è, più che altro, un mercato : un grande e importante mercato, cui affluiscono, due volte la set- timana, commercianti e produttori dei paesi circonvi- cini, e dove si trovano rappresentanze delle aziende non soltanto di Addis- Abeba ma dell'Harrar, che è unito con Ghigner da una carovaniera diretta. Il mercato è oltre- modo interessante e pittoresco come lo sono, del resto, tutti quelli abissini. Dopo essersi un po' orientati in mezzo alla confusione degli indigeni vociferanti, dei cammelli e degli asini carichi, si constata quali siano le principali — 81 — merci clie dàn vita al traffico del paese: sono pelli di bovini e di caprini clie vengono portati dall'interno e venduti a commercianti esportatori ; sono sacchi di caffè che giungon dai Sidama e prendono la via dell'Harrar ; sono carichi di sale che giungon dalla Somalia, e, in- cettati a Ghigner, vengono poi mandati nei varii paesi dell'Etiopia; son mandrie di bestiame da macello, ed anche cammelli, che qui possono vivere per il clima con- facente alla loro natura; son cotonate e generi diversi che gli indiani portan qui da Addis- Abeba. Ghigner ha molta importanza pel commercio del Be- nadir; infatti vi incontrai commercianti che venivano da Lugh. Ma è necessario stabilire subito, fra il Benadir e Ghigner, facili e dirette comunicazioni, perchè la via carovaniera che presentemente unisce questo centro com- merciale alla nostra colonia è incomoda, mal sicura, e perfino priva di acqua in alcuni mesi dell'anno. Il governo della Somalia ha istituito presso Ghigner un'agenzia per facilitare il traffico fra i due paesi ed instituire solide relazioni commerciali, e ciò allo scopo di far pervenire a Ghigner, dalla costa, carovane appor- tanti le mercanzie più facilmente spacciabili sul mer- cato, accompagnate da gente abituata a negoziare cogli indigeni, pratiche degli usi e dei bisogni commerciali del paese. Queste carovane, che si dovranno moltiplicare in avvenire, esiterebbero a Ghigner i nostri prodotti che poi s' irradierebbero nell'interno, e, prima di tornare verso la costa, incetterebbero quelli indigeni più adatti all'esportazione, come pelli, avorio e caffè. n caffè dei Sidama, dopo aver fatto sosta a Ghigner, va a finire all'Harrar, dove mal sostiene la concorrenza di quello locale perchè si è aggravato, per via, di tutte 11 — 82 — le spese di trasporto e di quelle di dazio percepite dalle, molte dogane. Se invece da Gliigner il caftè fosse man- dato alla costa ben adi ri an a, potrebbe, secondo me, dar maggiori guadagni. Lo stesso dicasi delle liane per il caucciù, che la Compagnia concessionaria fa raccogliere nei Sidama e nelle regioni che attorniano il lago Mar- gherita; codeste liane prendon la via di Addis Abeba, da dove poi sono trasportate alla costa del Mar Eosso ; mentre che più breve e men costoso sarebbe farle arri- vare ai porti del Benadir, qualora la comodità e la si- curezza delle strade attirassero da quella parte le ca- rovane. Ora che si è ottenuta una assoluta tranquillità sulla costa della nostra Colonia dell'Oceano Indiano, dovrebbe, a mio modesto avviso, essere studiata e poi costruita una via interna, comoda, ben provvista d'acqua, senza forti dislivelli né difficoltà di cammino, che, attraverso la regione di Baidoa e i domini etioi)ici direttamente unisse le città costiere con Ghigner. È questo, come ognun vede, il più importante fra i problemi intimamente connessi al radioso avvenire della nostra Colonia ; e ad esso, io son certo, saranno appun- tati gli sguardi di coloro i quali ogni giorno intendono le lor forze perchè il tricolore italico non resti uno ste- rile segnacolo di signoria, ma simbolo di nuova, feconda, alacre vita commerciale e intellettuale e quindi di pro- spero rinnovamento e di opulenta civiltà. IV. DA GHIGNER A DOLO. I delegati del Governo italiano e di quello etiopico avrebbero dovuto, da Ghigner a Dolo, procedere insieme. Avevamo la scelta fra due vie: quella più breve, che segue il fiume Ueb, ma che, durante l'epoca del nostro viaggio, non avrebbe offerto acqua suflBciente per i bisogni d'una carovana numerosa come la nostra; e quella che, seguendo l'Uebi Mana, affluente del Ganale, e poi il Ganale stesso, ci avrebbe condotto a Dolo, a traverso sentieri aspri e faticosi, e ci avrebbe obbligati ad una deviazione e ad un conseguente allungamento di itinerario. Io parteggiavo per la prima via, a causa della sua bre- vità e della sicurezza dei paesi che attraversava ; avrei eliminato i disagi che poteva procurare la scarsezza dell'acqua, scaglionando convenientemente uomini ed animali lungo il percorso. Ma questo non era il parere degli abissini e degli indigeni, i quali, per speciali e ovvie loro ragioni, mi rapi)resentavano la via dell'Ueb come straordinariamente disagiata e pericolosa per la sua spaventevole siccità. Accettai dunque di seguire la via del Mana e del (ja- nale : il che mi forniva la possibilità di eseguire il rilievo — 84 — dei due importanti corsi d'acqua : vantaggio questo che non mi pareva trascurabile. Però i veri guai cominciarono quando giunse il mo- mento di decidere la partenza; gli abissini non erano mai i)ronti; ogni giorno trovavan nuovi pretesti e nuove diflficoltà per rimandare il viaggio; finalmente, con un atto, non so se di energia o d'impazienza, mi incamminai con la mia carovana. Gli abissini mi avreb- bero raggiunto per via. Così partii da Gliigner il 7 feb- braio. Il sentiero si presenta, in sul principio, come una rapida discesa clie ci porta in poco tempo a un disli- vello di 400 metri e seguita così a precipitare fino al torrente Dinnic, corso d'acqua violento, limpido, scor- rente fra antiche aspre roccie basaltiche, per entro le quali spesso s'incapriccia formando spumeggianti fra- gorose cascate, che sembran mettere una nota di fresca, primitiva allegria nel paesaggio rude, cantando le sue eterne canzoni affascinanti, di una poesia indefinibile. L'amba, su cui è collocata Ghigner, si eleva adesso dietro di noi con le sue ripide pareti che sembran di natura calcarea : cosa che infatti vien confermata dalle acute cuspidi dolomitiche, le quali, più ad oriente, inta- gliano arditamente nel cielo i loro profili strani che sem- brano imitare le zanne delle fiere, mostruosamente ingi- gantite. Allontanandoci da Ghigner, abbiamo anche abban- donato l'ultimo contrafforte di quella vasta regione montuosa che suol chiamarsi Altipiano etiopico. Prima di toglier le tende dall'accampamento del Dinnic fummo raggiunti dalla missione abissina. Si — 85 — vede che il nostro buon esempio aveva finito per scuo- tere i nostri compagni di viaggio. Mancava adesso sol- tanto il degiac ]!i^ado che era rimasto indietro per finir d'organizzare la sua carovana. Continuammo la marcia per un sentiero che, costeg- giando più o meno davvicino il Dinnic, scendeva sem- pre. Infatti la temperatura si intiepidiva sempre più e la vegetazione si trasformava, assumendo, a poco per volta, quell'aspetto che rende cosi caratteristiche le terre somale. Poi, quando j)erdemmo di vista il Dinnic, ci dirigemmo, per un terreno convulso e frastagliato, verso l'Ueb, che scorre incassato in un corridoio di can- dide e friabili roccie calcaree. * * Nella località chiamata Logh, dove il sentiero rag- giunge il fiume, ci è dato ammirare uno spettacolo indi- menticabile. L'acqua si è scavata un'ampia porta nella roccia, e, col suo paziente scalpello, più minuto di quello d'un marmoraro gotico, ha figurato, nella roccia, basso- rilievi fantastici, capitelli frastagliati, sculture millenarie, nelle quali par di scorgere fogliami di piante strane, eratiche figure sepolcrali, mostri addormentati, che for- mano indicibili connubi, nascendo l'uno dall'altro e cam- biando d'aspetto ad ogni punto di vista. Il fiume riflette, capovolto, quel misterioso ammasso di pietre, che sembra un cantiere abbandonato da operai scontenti, i quali avessero lasciata a metà la costruzione d'una moschea incantata . . . Non sembri arditamente seicentesca o artatto arbi- traria questa similitudine. Che, senza aspettare il ritorno al lavoro degli ipotetici scioperanti, gli indigeni sono — 86 — stati così colpiti dall'aspetto chiesastico di quella grotta quasi soprannaturale, che l'hanno proprio adibita alle pratiche del culto. E là, contro le roccie, appesi alla pro- minenza acuta di una fantastica tibia o incastonati nel- l'orbita di un ciclope petroso, gli ex- voto dei fedeli, con- sistenti talvolta in sandali, cartucciere, lancie, pugnaletti, armille, bàltei, conchiglie e cenci, fanno testimonianza della mistica destinazione della grotta. Ma l'acqua, senza punto curarsi di quelle faccende degli umani, silenziosa, lenta, solenne passa sotto i gi- ganteschi architravi di pietra, penetra sotto le ogive tenebrose, scompare nelle viscere del monte, quasi vo- lesse fuggir la vista di queste terre selvagge, irte di sterpi e di roccie, senza verde di pascoli e di campi, senza muggito di mandrie, senza canti umani ; jioi per- corre, invisibile, chiusa nelle vene di pietra, piìi di quattro chilometri, prima di tornare a riflettere l'azzurra pace del cielo. Le stratiflcazioni orizzontali della pietra, la strana levigatezza del fondo che sembra un jjavimento marmoreo di tempio o di sala da ballo, aggiungono ori- ginalità al magico spettacolo. L'Ueb, nelle antichissime epoche, doveva scorrere in un altro letto che formava con quello attuale un gomito di 00 gradi verso oriente. Poi uno scoscendimento di roccie, dovuto a qualche fenomeno tellurico o all'erosione delle acque che avevano consumato gli strati inferiori deve aver formato improvvisamente una diga che ha strozzato la corrente. Allora l'acqua, ristagnando nel- l'immenso corridoio che contiene l'Ueb, deve aver len- tamente, attraverso secoli innumerevoli, corroso la mu- raglia di roccia che le si parava dinanzi, riuscendo ad aprirsi la via sotterranea: così si è formato il meravi- glioso fenomeno carsico di cui ho tentato dare un' idea. — 87 * * Il sentiero s'avvia attraverso la macchia inestricabile, tenace, e folta così da non lasciare una radura in cui si possa porre un accampamento. Dovemmo quindi al- lontanarci un'ora dal fiume per raggiungere Corrò, un luogo ove gl'indigeni lianno abbattuto le piante ed hanno formato un largo spiazzo in cui tengono mer- cato. Dopo Corrò trovammo che il bosco diradava e, con sei ore di marcia, giungemmo all'Uebi Mana per- correndo aridi cocuzzoli ciottolosi, d'aspetto ingrato e selvatico, pezzati qua e là d'erba gialliccia tisica e ri- secca, che rendeva ancor piti triste il paesaggio povero e desolato. Trovammo alcuni villaggi di Gurra (Galla) il cui capo è Eoba Butta, un curioso tipo, abbastanza simpatico, che protestava ad ogni istante, non so se con molta o poca sincerità, la sua grande ammirazione per gli uomini bianchi, e che si lasciava ad ogni istante sfuggire mezze parole ambigue con le quali volea farci comprendere che sopportava mal volentieri il giogo etiopico. Se tutto questo suo esibizionismo parolaio fosse in accordo con i suoi veri sentimenti non saprei dire; ma so dire che certe sue pratiche alcooliste non erano affatto in accordo con la sua religione. Il buon Boba Butta teneva moltissimo a farci sapere che era maomet- tano convinto e scrupolosamente osservatore del Corano; ma non pare però che seguisse a puntino i comanda- menti di questo libro sacro che ordina ad ogni fedele di conservarsi astemio ; perchè quando richiesi al mio in- terprete, che ben conosceva le abitudini del capo, con che cosa dovessi contraccambiare i doni che il Galla mi aveva fatto, l'interprete mi consigliò di regalare al — 88 — devoto di Maometto alcune bottiglie di mastica! E Roba Butta si guardò bene dal rifiutare. Anzi al conspetto delle bottiglie, gli occhietti di smalto sorrisero arguta- mente e, contro il palato, schioccò, con una pregusta- zione anticipata, la lingua sua salace. Se Roba Butta beve, sa anche darla da bere: che ha molta influenza fra i suoi, e devo dire che anche a me ha saputo fare, in complesso, l'impressione di un brav'uomo. Al guado di Oargialo attraversammo un affluente del Ganale, il Mana, che è, in quel luogo, appena un ru- scello, ma in compenso assai ricco di pesci. Quivi anche ricevemmo la visita dìfitanrari Mamo, che mi dette uno strano incarico. Con fare solenne e ampollose parole mi consegnò una bambina dei Rahanuin, che era stata presa nella famosa razzia del dicembre 1907 e che poi, non so perchè, non era stata restituita insieme con gli altri prigionieri. La nuova compagna di viaggio, vispa diavoletta di cioccolata che aveva appena cinque anni, cavalcava come uno di noi, e non si sgomentava di nulla e di nessuno. Fin dal primo giorno si trovò come a casa sua, al campo, in mezzo agli ascari di cui divenne la delizia e l'idolo. Si chiamava Cullo Zabenai, ciò che signi- fica « piena di felicità » o « tutta felicità »; ed era davvero felice perchè non si meravigliava di niente, sgambet- tava, rideva, scherzava tutto il giorno, imitava le fan- tasie abissine, e di più strillava con la sua vocetta in- fantile una nenia popolare degli etiopi . . . Infatti fitaurari Mamo mi aveva detto con la massima gravità e con la maggior serietà che le aveva fatto studiare il canto «...LAMBA SU cri E COLLOCATA (JIIIGXER SI ELEVA DIETRO DI NOI COLLE SCE RIPIDE PARETI...». (Pan. SI) I.A STKKTTA VALI.K DKL MANA. — 89 — Quando si trattò di partire, anclie a Cargialo, sorsero ostacoli da parte dei delegati etiopici, i quali mi j)rega- rono di ritardare la i)arteiiza. E ritardai infatti, ma di un sol giorno ; poi mi misi in cammino senza di loro, alle- gando il pretesto che era meglio dividerci per sopportare meglio i disagi che ci avrebbe procurato la scarsezza dell'acqua e dei foraggi, scarsezza annunziataci dai nativi pratici della carovaniera. Ma purtroppo il mio pretesto divenne verità esat- tissima: fin dalla prima tappa, con dolorosa sorpresa, constatammo che il fiume scompariva e si perdeva in vene esigue fra i grossi ciottoli dell'alveo ; il suolo non produceva un filo d'erba; gli alberi, se pur numerosi, erano risecchi e privi di fogliame, come se un'enorme vampata di fuoco avesse arso tutta la regione. Nella sic- cità desolata, i tronchi e i rami, completamente nudi, si levavano beffardi come a dirci che là dove era la vita, oggi trionfava la morte, e che essi erano le stele di uno sterminato cimitero vegetale. Kel dì seguente, avanzando, trovammo la regione sempre più arida ; ormai, anche gli esili fili d'acqua non scorrevano più fra i massi, come fugaci sorrisi, ma, come torbidi sguardi, stagnavano formando pozzanghere ver- dastre, colme di detriti vegetali in putrefazione. E pure, in mancanza d'altro, fummo costretti a dissetarci con quell'acqua putrida che esalava un fetore nauseabondo. I poveri muletti, poi, facevano veramente compassione : non avevano altro foraggio all' infuori dei pochi giunchi che crescevano sulle rive screpolate o fra i ciottoli del- l'inutile letto del fiume. E intanto il cammino si faceva sempre più difficile e aspro; ci sentivamo affranti dalla fatica che era resa insopportabile dai tormenti della sete. Oh come allora ci sembrò lontana la mèta ! Questa 12 9(1 era l'Africa, la vera Africa che si trova descritta nei libri. E pensare che l'avevamo quasi desiderata quando si tremava di freddo, nelle notti umide e gelide della montagna! * * Giungemmo, non so come, a Malcà Burcà, con au- mento di torture [perchè le ^pozzanghere diminuivano sempre di numero, e diventavano più torbide e più fetide. Eipensandoci adesso, non so davvero spiegarmi come potemmo trangugiare quelP ignobile liquido vi- scoso e putrido. Intanto anche i foraggi mancavano completamente, e per di più uomini ed animali avreb- bero avuto bisogno di un giorno o due di riposo, perchè erano fiaccati dalla stanchezza dopo quei tre giorni di marcia lungo il Mana, attraverso a regioni rocciose, impervie, frastagliate, arse dalla siccità, deso- late dal silenzio e dalla assenza d'ogni vita, e special- mente dalla assenza di esseri umani, ch'erano fuggiti tutti, forse a causa della mancanza d'acqua e di pascoli, o anche perchè, avendo avuto sentore dell'avvicinarsi degli abissini, avevano voluto evitare di trovarsi sul loro passaggio, temendo le abitudini voraci dei domi- natori prepotenti, che sono considerati né più né meno che come nugoli di cavallette. Eravamo dunque avviliti, e affranti in mezzo a quel deserto, a quel silenzio, a quella arsura ossessionante; e se la necessità di ripo- sarci ci faceva desiderare una lunga sosta, d'altra parte il bisogno di ritrovare l'acqua e l'erba e' incalzavano a trascinarci innanzi. La situazione era oltremodo triste, e forse a più d'uno, nascostamente, il cuore tremava in petto dallo spavento. Ma mentre ci eravamo rassegnati — 91 — ad accampare presso una delle solite pozzanghere fetide, ecco, un dei seguaci, che era andato per faccende nei dintorni, ci annunziò che accanto, a due passi, c'era un lembo di paradiso terrestre: una vena d'acqua! Una improvvisa indicibile gioia rialzò gli spiriti abbattuti, una gioia che non può comprendere chi non si è tro- vato sperduto in certe solitudini africane, lontano dagli uomini e dalla vita, dove la natura sembra avere accu- mulato tutte le sue facoltà negative, spietatamente, in odio alla razza umana. Limpida, canora, gelida, una me- ravigliosa sorgente spicciava dalla terra; e, intorno al bacino, si stendeva un prato di erba, di vera erba, soffice, fresca, verde, di un bel verde smeraldino che riempì di felicità i nostri occhi estasiati che da tanto tempo, (un tempo che pareva incalcolabile!) cercavano avidamente quell'allegro riposante colore cui credevamo di non dover rivedere mai più. Eravamo veramente a pochi passi da quell'oasi d' incanti e non ce ne eravamo accorti, perchè le guide, abituate a far quella strada quando il Mana scorre gonfio d'acque, non avevano mai avuto bisogno di ricercare quella sorgente. È inutile dire che, l'accam- pamento di quel giorno, con tanta grazia di Dio innanzi gli occhi e con tanta freschezza dentro le nostre gole riarse, fu il migliore di quella lunga triste serie che l'aveva preceduta. Miglior luogo per una più lunga e meritata sosta non si poteva desiderare; onde è che decisi di rimaner quivi due giorni ininterrotti. Per la prima volta fummo visitati dai re della foresta ; le orme dei leoni si moltiplicavano nei dintorni, e spesso, la notte, rompeva improvvisamente il silenzio qualche possente, cupo, lungo ruggito. Le sentinelle scorgevano fuggevoli ombre strisciare nell'osiMirità e sparavano — 92 — verso di quelle qualche fucilata diradando per un attim ; le tenebre con vampate rossigne. Allora i muletti spa- ventati si destavano e si mettevano a correre, irrequieti, dentro la zeriba, fiutando l'odore della temuta belva. * * Il Mana teneva in serbo una sorjjresa per la nostra marcia successiva. Esso si mostrò infatti nuovamente colmo d'acque scorrenti; e le acque erano ancbe più copiose di quelle che, poco prima, s'erano nascoste, alla chetichella, sotto terra, sembrando raccogliere, per un fraterno addio, gli ultimi sorrisi dei cieli aperti. Nel letto del fiume apparivano roccie basaltiche, mentre, nei giorni precedenti, la natura del suolo era apparsa prevalen- temente calcarea, con quei sedimenti rocciosi e stratifi- cazioni orizzontali, che, forse, avevano dato origine al fenomeno carsico. Ma la maggiore delle sorprese la trovammo a Malcà- Girma, quando ci fu recapitata la i^osta! Sissig-nori, proprio la ijosta! O voi tranquilli mortali che la mattina, scendendo le scale di casa vostra, ancora sbadigliando, traete lentamente di tasca la chiave della cassetta delle lettere, dopo avere sogguardato un istante attraverso al vetrino rivelatore e aprite lo sportello e ritirate un fascio di corrispondenza, e lacerate ad una ad una le buste, e poi scorrete di mala voglia, distrattamente, i foglietti coperti di varie calligrafie, mormorando non di rado un sommesso : « seccatore ! » — potete immaginare, sol per un istante, la indicibile gioia di ricevere, nell'interno del- l'Africa, a centinaia di miglia da ogni centro civilizzato, in regioni selvaggie, abitate da leoni, una lettera, una vera lettera, chiusa in una autentica busta, con un non — 93 — fantastico francobollo timbrato, e con le notizie e le frasi affettuose dei vostri cari, che pensano a voi tanto rta lon- tano, che vi fanno rivivere, in ispirito, la vostra vita di uomini civili, e vi lasciano assorti, sognanti, compresi di una vaga strana tenerezza, tanto più intensa quanto più è difficilmente varcabile la distanza che vi separa dalle persone amate ? E i giornali f I veri giornali di Eoma, di Milano, di Torino, di Nai)oli che vi danno le notizie della Patria lontana, e che ^ i ricordano ad un tratto come nel paese dove si parla la vostra lingua ci siano automobili, telefoni, macchine rotative, aeroplani ! Come tutto ciò sembra strano in un luogo dove solo nude roccie vi circondano, e dove la natura vi jìare già infi- nitamente meno selvaggia quando, dopo tre o quattro giorni di solitudine e di deserto, incontrate un essere appena degno del nome di uomo, ricoperto di pelli, abi- tatore di qualche capanna sgangherata in cui noi esi- teremmo a ricoverare i nostri cavalli o i nostri cani! Le lettere e i giornali che ricevemmo portavano la data dei primi di dicembre, e ci giungevano il 16 febbraio ! Brano passate per Addis Abeba. Ma ci fecero, lo stesso, un enorme piacere ; ci dettero però la misura di quanto poco sia conosciuta, in Italia, la geografia dell'Africa; infatti i)ortavano indirizzi di questo genere: « Massaua j^er Addis Abeba» opjmre «Addis Abeba (Eritrea)». Ahimè ! * Nei giorni seguenti, il Mana comi)arve e scomparve a volta a volta, ogni due o tre chilometri, come un ra- gazzo allegro che giocasse a nascondersi ; ma purtroppo le apparizioni eran molto i)iù brevi delle eclissi, ed il più — 94 — delle volte fummo obbligati a dissetarci nelle famose, sudicie e già laudate pozzanghere. Un giorno ne trovammo una, più grande delle altre, che mi fece venire la bizzarra ispirazione d'organizzare una pesca. A dir vero, il sistema che adoprai era abba- stanza primitivo, ma la speranza di tirar su un buon mucchio di pesci non era addirittura infondata. Feci dunque disporre entro la pozza alcuni ascari, i quali sostenendo verticalmente un lungo telo che strascicava sul fondo, dovevano spazzare l'intero volume dell'acqua traendo in secco i pesci. Gli ascari procedevano così, lungo i margini nel- l'acqua, avanzando lentamente, diguazzando coi piedi nel fango e scherzando con rumorosa allegria, come sou soliti sempre di fare questi meravigliosi soldati che di nulla si sgomentano e che anche nei momenti più serii han l'aria di tanti gioiosi scolaretti in vacanza. Noi c'eravamo posti al limite dello stagno, e più vedevamo avvicinarsi gli strani j)escatori con la stranissima rete, più sentivamo accendersi in noi la curiosità e la spe- ranza d'un buon bottino. Ma quando ormai il telo non distava più che venti passi da noi, ed immaginavamo già di vederlo giungere nella sponda, pieno d'un ar- genteo brulichio, scorgemmo invece un'enorme bocca spalancata, armata di denti aguzzi, sorgere dall'acqua, e dietro quella, un lungo corpo legnoso, agitantesi su quattro zampe robuste, e poi una coda, una coda ster- minata. Sì, proprio una coda che non fluiva mai. Ave- vamo davvero fatto buona pesca. Con quel semplice telo avevamo tratto a riva un magnifico coccodrillo. Kimanemmo tutti immobili. Il mostro fece qualche passo verso di noi che avevamo così inaspettatamente visto ingigantire il pesciolino cui credevamo di trovare — os- ili fondo alla rete; spalancò tre volte le orribili ma- scelle guardandoci con un'espressione tutt' altro clie tenera, poi, con una rapida piroetta, si precipitò nuo- vamente nell'acqua alzando un'ondata di fango e por- tandosi via la nostra sciabica primitiva. Così se ne andò, senza farci alcun male, e senza clie noi, sbalorditi dalla sorpresa, avessimo il tempo di farne a lui. Però restammo abbastanza mortificati, perchè fra esploratori africani che si rispettano, e un coccodrillo che si ri- spetta, e che vogliono esser somiglianti agli esploratori ed ai coccodrilli descritti nei libri di viaggi che diver- tono tanto i nostri figli quattordicenni, deve accadere una delle due cose : o che gli esploratori ammazzino il coccodrillo, o che il coccodrillo mangi gli esploratori. Invece il nostro incontro con l'animale, così curiosa- mente pescato dagli ascari, fu straordinariamente pa- cifico, e somigliò esattamente all'incontro con un timido micio che soffia un istante e poi scappa a nascondersi nel primo pertugio di cantina che trova. Chi ci godette furono i pesci, che si videro così im- pensatamente salvati dall'inesorabile rete che li spin- geva senza speranza verso la morte... * * Nello stesso giorno, 18 febbraio, fummo raggiunti dalla missione abissina, con la quale si trovava anche il degiac Nado, che, con marcie forzate, era riuscito a riacquistare il tempo perduto. Il sentiero si confondeva, d'ora innanzi, col torrente incassato fra colline a picco, le quali formavano una specie di corridoio, dove il caldo sembrava concentrarsi e produceva un senso di insopportabile soffocazione ; il — 96 — paesaggio, che non variava mai, ci dava l'ossessione di camminare, camminare, e di ritrovarci sempre nello stesso punto; di più il riflesso abbagliante delle roccie abba- cinava e stancava la vista. II decimo giorno, secondo le })revisioni delle guide, avremmo dovuto raggiungere le rive del Ganale; in- vece il fiume non si vedeva, e le guide s'impuntarono a non voler proseguire, perchè capivano che il piccolo stagno presso il quale c'eravamo accampati era l'ultimo affioramento d'acqua, e assicuravano che, d'ora innanzi, non avremmo più trovato una goccia di liquido. La si- tuazione era difficile, ma la risolsi facendo legare soli- damente le guide e mandando due esploratori a rico- noscere la strada. Ritornarono con la tristissima notizia che, dopo tre ore di marcia, il Ganale non era in vista, e che in tutto il tratto esplorato non si trovava al- cuna traccia d'umidità, nemmeno una delle solite fe- tide pozzanghere. Allora inviai una seconda pattuglia con l'ordine di raggiungere il Ganale a qualunque costo. L'attesa fu lunga, sfibrante; sapevamo, dai calcoli fatti, che il desiderato fiume non poteva essere troppo lontano. Ma però un segreto timore ci agitava i precordii e ci metteva innanzi la terrificante visione di un possi- bile errore : di una grande distanza da percorrere senza trovare una stilla dell' indispensabile elemento vitale. E intanto il caldo si faceva asfissiante, insopportabile; il termometro segnava quaranta centigradi all'ombra; non spirava un alito di vento ; ci sentivamo la pelle risecchita, le fauci arse, il cervello in fiamme. L'incubo africano, fatto di calore scottante, di siccità spaventosa, di soli- tudine desolata, incombeva su di noi come se volesse schiacciarci, abbatterci. IL (i.VNALE, SCOHUK IN IX VKUo COR Kl DOK • . . . ». (Pag. 97^ '.D IN (ilADo M:I. (i.WAI.K IL (; ANALE A HANl)p:i: IL <;a\ALK SCOKKK FIXALMKXTK in PIANO. — 97 — Ma per fortuna, durante la notte, la pattuglia esplo- ratrice fece ritorno, narrando che il Ganale distava poco più di sei ore di marcia, e clie, a metà strada, si trovava una fossa sufficiente per dissetare tutta la ca- rovana. Quindi, con due brevi tappe, raggiugemmo il fiume sospirato; ed era tempo, perchè nel viaggio lungo il Mana, che era durato dal 12 al 25 febbraio, avevamo sofferto privazioni d'ogni genere. Se si eccettuano due giorni di riposo, ed altri due di brevi soste, avevamo sempre marciato per più di tre ore al giorno, su di un terreno difficile, faticoso, frastagliato, pieno di ostacoli, quasi privo di foraggi e con poca e pessima acqua. Se gli uomini erano stanchi, gli animali avevano risentito più assai di loro le conseguenze del disagiato viaggio. Parecchi eran morti per via, segnando con le loro carogne le tappe dell'aspro viaggio. * * Il Ganale, nel punto dove lo raggiungemmo, ha gli stessi caratteri del suo affluente Mana, e, come questo, scorre in un vero corridoio, che è anzi più profondo dell'altro, con sponde alte e ripide, talvolta addirittura a picco, tal'altra a scarpata come gigantesche muraglie d'una millenaria costruzione egiziana. Qua e là, dove la conformazione della riva lo permette, gruppi di belle palme dum elevano contro il cielo le loro eleganti ca- pellature verdi. La corrente aveva un volume d'acqua abbastanza notevole, sebbene in quel momento occupasse soltanto una quinta parte dell'alveo; quindi il degiac decise di tentare una pesca alla dinamite. 13 — 98 — Da principio, ero assai diffidente dell'abilità abissina in quel genere di pesca, ed avrei preferito di starmene lontano nel momento in cui gli uomini del degiac pre- paravano la cartuccia di gelatina da gettare in acqua; ma poi fui invece meravigliato della disinvoltura con la quale i novissimi pescatori maneggiavano il pericoloso esplosivo. Constatai che sapevano usare perfettamente il terribile preparato e non dimenticavano alcuna delle precauzioni necessarie. È veramente strano vedere come questa gente assimila facilmente tutto ciò che ha atti- nenza con le armi e con la guerra, mentre si dimostra oltremodo refrattaria ad ogni altro genere di cultura! La pesca non fu molto abbondante, ma avemmo la fortuna di uccidere alcuni pesci di razze rarissime che non sarebbe stato possibile prendere con l'amo. Io li preparai per la collezione zoologica, che si arricchì, in tal modo, di qualche interessante esemplare. * * Ci fermammo per tre giorni, dal 26 al 28, nel luogo dove avevamo raggiunto le sponde del Canale ; e quivi provammo un'amara delusione. Uno dei più ardenti de- sideri che ci aveva tormentato durante la marcia sul Mana, era stato quello di bere dell'acqua fresca, perchè le pozze che ci avevano dissetato fino ad allora ci ave- vano fornito acqua non solo sporca e fetida, ma anche nauseosamente calda; sentivamo dunque il bisogno acuto, allucinante di calmare l'arsura delle fauci con acqua, non solo limpida, ma fresca. Invece anche il Canale, se pur sufficientemente limpido, era però caldo come se sgorgasse da una sorgente termale, perchè scorreva su roccie continuamente infuocate dal sole. IN IPPOPOTAMO r( CISO A I>OLO. ■ IN VISTA 1>I ixil.o. II. XOSTKO ACCAMl'AMEXTO A DOLO. — 99 — Gli ascari approfittarono di questa qualità termica per starsene sempre immersi nell'acqua; del resto avevan proprio bisogno di fare qualche bagno, e di lavare i loro vestiti che, ridotti in uno stato indescrivibile, man- davano un profumo che non era precisamente simile a quello lasciato nell'aria dal passaggio d'una signora ele- gante. Dopo quei bagni e quel bucato i nostri ascari eran ridiventati tutti lindi, belli, eleganti, bianchi, come dovessero andare a dameggiare in un giorno di festa. Prima che ricominciassero le marcie, il degiac tornò indietro, giacché non aveva provvisto i suoi soldati di tutto il necessario per un così disagiato e lungo viaggio. Approvai questa decisione e con me l'approvò l'ulììciale tedesco. In tal modo il degiac avrebbe potuto organizzare meglio, a Ghigner, le truppe da inviarci alla frontiera quando fosse stato il momento opportuno ; intanto re- stavano con i delegati etiopici circa tre centinaia di soldati che, uniti alla nostra scorta, avrebbero potuto provvedere alla sicurezza dei lavori preparatore nei dintorni di Dolo. Pensavamo poi di inviare da Dolo al degiac un messaggio col quale gli avremmo indicato in che luogo e in che giorno avrebbe dovuto mandarci le truppe di cui avessimo giudicato necessario circondarci per difendere la tranquillità dei lavori durante la deli- mitazione dei confini. Riprendemmo il viaggio il i>rimo marzo, seguendo un sentiero che costeggiava il fiume sulla riva sinistra; poi ci arrampicammo fino sull'altipiano, dove la marcia era più agevole; ma fummo presto costretti a ritornar sulla riva dove il sentiero, scosceso e roccioso, metteva — 100 — a dura prova la nostra pazienza. Ad aumentar gli osta- coli del cammino s'aggiungeva, in quei luoghi, anche una folta vegetazione, tenace e imbarazzante come un groviglio di funi, che faceva inciampare i muletti e ci obbligava ad usar l'ascia per aprirci la via! Soltanto con la sicura testimonianza della proi^ria osservazione diretta, si può giudicare e immaginare quali tremende difficoltà debba aver superato il capitano Bòttego, quando, senza guide e con scarsissimi mezzi di tra- sporto, traversò, per il primo, queste regioni deserte, inospitali e selvagge! La seconda tappa non fu meno faticosa e penosa della prima : il fiume era sempre incassato fra le mon- tagne, in un solco profondo dove il calore, divenuto asfissiante, sembrava procedere ad un supremo sforzo di sintesi. Il sentiero passava fra le roccie, sul pendìo della riva che andava giù senza mai un gradino, un ripiano, ed era sempre coperto dal viluppo inestricabile di rampicanti che intessevano le loro maglie robuste fra i tronchi della folta vegetazione arborea. Per fortuna, in alcuni luoghi, qualche buon elefante ci aveva fatto inco- scientemente da battistrada, formando, fra il verde, col passaggio del suo corpo poderoso ed enorme dei viottoli non perfidissimi. Ma anche in questi corridoi non man- cavano gli ostacoli, formati da tronchi di palme cadute che imbarazzavano i muletti, e da certi rovi pungenti che carezzavano con troppo ironica tenerezza le nostre gambe e i nostri fianchi fasciati soltanto di labili stoffe e di tenace pazienza . . . Tutte queste difficoltà che stancavano e irritavano, mi impedivano un poco di ammirare la selvaggia bel- lezza della foresta tropicale: bellezza indescrivibile, bellezza unica al mondo: nuvola verde che avvolge il — 101 — viandante da tutti i lati, togliendogli la vista di tutto ciò che non è foglie e rami e fiori ed erbe ; labirinto dedaleo, che mostra, ad ogni istante, impreveduti aspetti della sua vigorosa magnificente fecondità, della sua infinita varietà di forme, con il filo d'erba e la larga foglia spi- nosa, lo stelo esile e il tronco gigantesco, la pianta nana e l'eccelsa cupola, il fiore delicato e la matassa di liane, che sembra un groviglio di enormi serpenti in letargo. A un certo punto ci accorgemmo che era impossibile proseguire. Allora guadammo il fiume per cercare un cammino possibile su l'altra sponda; ma, poco dopo, fu mestieri ritraversare di nuovo il corso d'acqua ; e così per quattro volte, nello stesso giorno, con indicibile noia, tanto più che, essendo i guadi assai profondi, dovemmo, quasi sempre, disfare i carichi e farli portare a spalle d'uomo, perchè non si bagnassero. Per evitare questi inconvenienti, i giorni di poi de- cisi di seguire il sentiero che passa sull'altipiano salendo e scendendo i^er gì' impluvi!. Su, in alto, si respirava, se non altro, un'aria meno soffocante, ed il sentiero era un po' più sgombro, sebbene dovessimo ancora crearcelo spesso con l'ascia per far passare [i muli che, povere bestie, erano assai mal ridotti da tutte quelle faticosis- sime salite e discese, e non s'erano ancor rimessi dai passati digiuni. Fin'allora ce n'erano morti ventisette! * * jS^ei seguenti giorni 5, 0, e 7 marzo, il cammino non migliorò: i)erciò quando, a Bander, potemmo fare una sosta ci rallegrammo non poco. Ma, d'altra parte, avevo in cuore un invincibile cruccio: in una delle marcie, s'era snuirrito il conducente che aveva in consegna il — 102 — materiale fotogratìco e di cancelleria. Facemmo iutinite ricerche, ma non riuscimmo a rintracciare né l'uomo, ne il mulo, ne il carico, che, lo confesso, era troppo pre- zioso perchè non mi importasse assai più di tutto il resto . . . Soltanto a capo di tre giorni vidi tornare le pattuglie esploratrici con il conducente, il mulo e il carico tutti incolumi. Quel bel tipo di carovaniere mi raccontò che aveva smarrito il sentiero, era ridisceso al Ganale e ne aveva seguito il corso, credendo così di raggiungerci; quando aveva visto scendere la notte, si era sdraiato sulla riva aspettando pazientemente l'alba. Il giorno seguente, aveva ripreso il cammino senza ombra di preoccupazione. Sapeva che dovevamo andare a Dolo e pensava che, prima o poi, ci avrebbe raggiunto ; l'acqua del Ganale avrebbe pensato a dissetarlo, ed i legnosi frutti della palma dum sarebbero bastati a togliergli la fame . . . Durante la notte un leone aveva tentato di assaltare il mulo, ed egli si era difeso, così come se si fosse trattato di scacciare una zanzara... Raccontava tutto questo con la massima calma e la più tranquilla naturalezza . . . Ed era rimasto solo, senza cibo, senza nozione dei luoghi, in mezzo ad un vasto territorio selvaggio privo di abi- tanti, nel più folto groviglio della foresta tropicale, dove il solo incontro probabile è quello di qualche belva af- famata... Io credo che davvero molti altri uomini sa- rebbero morti di paura, e non so se qualificare per corag- gioso o per incosciente il meraviglioso contegno del conducente abissino, che, tranquillamente e indifferente- mente, aveva portato a passeggio il suo mulo, la mia macchina fotografica e le mie raccolte grafiche attra- verso ad un luogo dove, ad ogni istante, la morte poteva raggiungerlo. A.\( ORA l.A» t A.Ml'A.MKN lo 1>1 Ixd.ii. ^:>^*^. b^c;IA AL l A .M 1' 103 A Bander, dove il fiume comincia ad allargarsi, tro- vammo le prime traccie di esseri umani; eran miseri ricoveri sospesi sui tronclii degli alberi, ma vuoti perchè gli abitanti appartenenti alla tribù Auata, discendente dei Bòran (Galla), che vivono di caccia e di pesca, erano, in quella stagione asciutta, emigrati più a monte. Sul suolo spesseggiavano le orme del rinoceronte; anzi in- contrammo uno di questi enormi pachidermi, per via. Un altro attraversò l'accampamento; quegli incontri erano abbastanza pericolosi perchè il rinoceronte, quando è sorpreso, fugge caricando e investendo gli uomini, a difierenza di altri animali che, con la fuga, pensano sol- tanto a mettersi in salvo. A Bander ricevemmo altra posta; questa volta ci giungeva dal Benadir, e portava la data del settembre antecedente ! Il 9 marzo riprendemmo la marcia con poche diffi- coltà perchè l'alveo del fiume era largo; ma, poco dopo, questo si restrinse in una strozzatura improvvisa, obbligandoci a risalire sul ciglio destro; dovemmo mar- ciare anche durante il pomeriggio, dormire senza aver potuto bere una goccia d'acqua, e, di giorno, raggiungere con faticoso cammino, il Ganale, in un punto dove le rive erano ricoperte da folti, altissimi, meravigliosi palmeti di una bellezza incomparabile. Gli amatori della caccia grossa avrebbero eletto quel luogo a loro paradiso. Fummo accolti da numerosi barriti che facevano un (•hmgore come di tube selvaggie, e udimmo il rovinoso schiantar di piante e di rame che produce la fuga del- l'elefante nel folto di una macchia. Il fiume era tutto — 104 — cosparso di ippopotami che si riunivano a branchi, di- guazzavano nell'acqua, mostravano or le vaste gropi^e brune, or le teste piatte e le fauci mostruose soffiando. L'ufficiale tedesco e gli abissini, senza muoversi dal- l'accampamento posto sulla riva, con pochi colpi di fu- cile ne uccisero una diecina. * * * Ormai il Ganale cominciava ad allargarsi veramente ; non si vedevano più dai due lati le ciclopiche muraglie delle montagne aspre e arroventate dal sole che osta- colavano la marcia, toglievano la vista e il respiro, e ci mettevano, in fatto di temperatura, nella condizione di un pane dentro al forno. Adesso si camminava con mag- gior facilità, senza troppi inciampi, e soprattutto con maggiore rapidità, coprendo in media una distanza di 5 km. all'ora. Di più ci allietava la buona notizia che con due sole tappe saremmo giunti a Dolo. Intanto il paesaggio era divenuto pittoresco e si era rivestito di tutti gl'incanti che possiede la terra afri- cana nei luoghi dove l'aridità non l'ha resa desolata e nuda. Il fiume scorreva ora argenteo, ora azzurrino, come una lama d'acciaio, ora scurito da cupe trasparenze verdi. Dalle sponde, eleganti boschetti di palme e di ombrellifere scagliavano in alto sui colli sottili le loro capigliature folte, emergendo dalle frangie compatte delle piante più basse che armonizzavano in gamme delicate di infinite sfumature verdi; e talvolta si cur- vavano dalle sponde verso l'acqua, come straripassero per troppa esuberanza, o come volessero guardare, attra- verso alla trasparenza della corrente, le pietre rotonde dell'alveo. Ma tutta questa lussureggiante vegetazione — 105 — non copriva che le sponde, formando come due strisce di velluto smeraldino clie orlavano il letto del fiume da ambo i lati. Al di là si stendeva, sulla pianura e sulle colline, uno sconfinato bosco arido, spinoso, spoglio di verde come se la vampa cocente del sole equatoriale lo avesse arso distruggendone la linfa vitale. Ma, per la gioia dei nostri occhi, era suflìciente il meraviglioso spettacolo offerto dal fiume ; e l'acqua limpida e i freschi pascoli compensavano uomini ed animali delle priva- zioni sofferte lungo il Mana. Difatti, ogni qual volta trovavamo le sponde accessibili, tutta la carovana si precipitava verso il fiume, serpeggiando con un brusio confuso di gioia; perchè soltanto in Africa si giunge ad aver l'esatta sensazione dell'importanza che ha il fresco limpido elemento per gli esseri viventi. Così si procedeva, passando spesso dall'una all'altra sponda di quel fiume a cui ci tenevamo attaccati perchè rappresentava per noi la guida, il ristoro, la necessità assoluta, il primo coefficiente della nostra esistenza. * » E finalmente, dopo tanto tempo di viaggio attraverso alla natura deserta, abbandonata a sé stessa, ritrovammo le traccie del lavoro umano, l'opera dell'essere intelli- gente che provvede alla propria vita trasformando co- scientemente la naturale energia. Eran pochi campi di dura coltivati dai Garra-Marra, ma rappresentavano per noi la mano dell'uomo che ha saputo dominare e asservire le forze cieche della terra. Arrivammo a Dolo il 15 marzo. Una grande e sem- plice felicità fece luminose le nostre pupille allorché vedemmo venire incontro un italiano, il tenente A. Costa 14 — 106 — delle truppe coloniali benadiriane che veniva a mettersi a mia disposizione, seguito da duecento ascari i quali dovean proteggerci durante i lavori di delimitazione. Non si può immaginare quale commozione gioiosa produca l'incontro d'un compatriota nell'interno del- l'Africa ! Sembra dì trovare un fratello amato da lungo tempo perduto e creduto morto ! E quante cose si hanno da domandare, quante da raccontare! Sembra che la voce e il linguaggio non siano sufficienti ad esprimere tutta l'esuberante effusione interiore. Avrei voluto che il collega mi avesse potuto dire subito nel primo attimo, tutto ciò che accadeva in Patria e nella Colonia, e nello stesso attimo avrei voluto narrare tutte insieme le pe- ripezie del lungo viaggio, e le osservazioni fatte, e le impressioni provate. È inutile; si viaggia, ci si interessa a tutto ciò che si vede, ci si immedesima col luogo in cui ci troviamo ; ma tutto ciò è puramente cerebrale. Direi quasi che viaggiando ci si perta dietro nelle valigie soltanto lo spirito, la mente, l' intelletto ; ma il cuore, il sentimento, l'affetto si lasciano a casa, si lasciano nella Patria ado- rata. Le sensazioni piacevoli o spiacevoli del viaggio restan disegnate nel nostro pensiero come su di una insensibile lastra fotografica ; e al di sotto di quelle con- tinua a palpitare immutato, immutabile, lo stesso cuore di prima, avvinto con tutte le sue fibre, con tutta la sua tenerezza, con tutto il suo caldo amore, alla gente della nostra terra, alla nostra cara indimenticabile Patria lontana ! V. DOLO. Sulle opposte Ksponde del Ganale e presso la con- flenza del Daua, sorgono due villaggi, cliiamati entrambi con un medesimo nome « Dolo » nome che ripete la sua etimologia dal vocabolo somalo doì equivalente a « barca » o « zattera da traghetto ». Dapprima questo api^ellativo, congiunto anche spesso a quello di Fullaje, designava soltanto il gruppo di capanne situato in territorio inglese, sulla dcvstra del Ganale e i)iù precisamente sull'ultimo lembo destro del morituro suo affluente, il Daua. Sulla sinistra siamo invece in pieno territorio ita- liano. E fu proprio il Governo italiano della Somalia che, dopo la convenzione 16 maggio 1908, decise di far costruire, là, dirimpetto alla Dolo inglese, un bel villaggio, cui, forse in omaggio alla bisogna fluviale, quivi mag- giormente esercitata, gì' indigeni estesero il nome dell'op- posto paesotto inglese. Esistono dunque, in quella località, una Dolo italiana e una Dolo inglese. L'importanza della duplice Dolo proviene dalla situa- zione geografica che fa di codesti villaggi la chiave di tre vie fluviali e il nodo delle comunicazioni che da quelle tre vie convergono. Intendo parlare del Ganale e dei suoi due attinenti, Daua e Ueb, che a Dolo si riu- niscono in un alveo solo. — 108 — Il paese ha dunque importanza commerciale, ma anche politica, però che quel lembo di territorio segni, secondo la summentovata convenzione intervenuta fra l'Italia e l'Etiopia, il limite dei nostri possedimenti lungo il Ganale. Del resto ò facile intendere come in questi paesi, l' importanza commerciale e quella politica spesso s'identificano. * * La popolazione stabile di Dolo è composta di un di- screto numero di famiglie Garra e Gubahin, che vanno man mano aumentando, e da alcuni commercianti quivi venuti da Lugli o dalla costa. V'è anche una popola- zione fluttuante : ed essa è costituita dalle carovane che trafficano fra Lugh e i paesi degli Arussi e dei Bòron. L'autorità politica di Dolo all'epoca del mio viaggio era tutta riassunta e sublimata dalla arida figura di Mohamed Urchei. Questo vecchietto intelligente e astuto era per me una vecchia conoscenza ; lo avevo avuto con me al tempo della seconda spedizione del capitano Bot- tego e mi si era particolarmente affezionato. Poiché dal Governo era stato mandato a Dolo per commerciare e per mantenere sotto l'autorità italiana il villaggio e le carovane, Mohamed Urchei disimpegnava queste sue funzioni con uno straordinario zelo. Era un informatore abilissimo e possedeva, di più, il raro pregio di essere devoto e fedele. Adesso è morto. Il mio amico capitano Ferrandi ha riportato in Italia la sciabola che il capi- tano Bottego aveva donato ad Urchei in segno d'affetto e di stima. Mi piace immaginare che, per atto di devo- zione, Mohamed Urchei, sentendosi in punto di morte. — 109 — abbia voluto sentire per l'ultima volta, sulla sua cute, il freddo della bell'arma nuda. Con la morte del buon veccbio, ignoro in qua! pugno di ferro o in quali scodelle capaci sia andata a riassu- mersi o a disciogliersi la politica paesana. Quanto all'autorità militare, essa è rappresentata da una « handa », un breve manipolo cioè di irregolari. È la guardia nazionale indigena. Costituiscono la banda al- cuni robusti 'giovanotti clie, forse per mettere in pratica e in vista qualclie dottrina individualista appresa nelle Università locali, indossano le più disparate uniformi (o pluriformi f) costituite — talvolta — da un pudicissimo pajo di mutandine e — sempre — dal ris^jettabile cinto della cartucciera. Questa soldatesca pacifica quanto inter- mittente è armata e pagata dal Governo e s' impegna di mettersi a disposizione delle autorità, tutte le volte che e' è bisogno di essa per scortare carovane e far servizio di polizia. Non posso affermare clie questa sia una spar- tana guarnigione ideale ; posso però sforzarmi a ricono- scere fra le molte buone lane di quella masnada alea- toria, discrete stoffe di futuri presidiar! . . . * * * Come ho già detto dianzi, vari commercianti fore- stieri, arabi e somali, venuti dalle città costiere, si sono (jui stabiliti e fanno relativamente buoni affari. Alcuni mi son sembrate delle vere macchiette. Guardate quel bel tii){> mogadisciano e ditemi se non vi sembra proprio un personaggio da operetta con il parasole da borghe- succia nostrana, con la capigliatura da wagneriano con- vinto e da somalo impazzito, con i sandali lasciatigli in memoria da qualche esploratore ciclista e colossale e — Ilo — con il manto bianco da statua classica ! Ora codesti stra- nieri si sono infiltrati e amalgamati mirabilmente con il resto della popolazione, che è costituito dai Garra-Marra: da quegli stessi Garra-Marra, che abitano l'altra sponda del fiume. È, si può dire, tutta una vasta parentela, non già divisa, ma unita dal fiume, sul quale si svolge appunto, con discreta vicenda, lo scambio di i)ersone, d' interessi, d' idee e di affetti. Gli antenati di questa gente erano in parte schiavi dei Garra-Badia che dimoravano più a monte sul Daua, e in parte schiavi dei Eahannin e più specialmente delle tribù Adama, Ober e Gasar-Guddà. Questi schiavi liberati dettero origine agli odierni Garra- Marra, che vivono adesso insieme ai loro antichi i)a- droni Garra-Badia, in massima parte su territorio inglese e han villaggi e coltivazioni lungo la destra del Ganale a monte e a valle della confluenza del Daua e lungo la parte più meridionale di questo affluente. Tanto i Garra- Marra che i Garra-Badia, pur abitando la destra del Ganale, continuano ancora oggi a pagare un tributo ai Gasar-Guddà di Lugh. Questo strano fatto è spiegabile soltanto se si tien conto della psicologia di questi na- tivi che, non potendo comprendere il regime e il signi- ficato delle spartizioni territoriali fatte tra l' Etiopia e le potenze europee, continuano a considerare i Gasar- Guddà come soli signori e padroni delle terre dove essi credono di stare come inquilini. I Garra-Marra, che abitano nel villaggio italiano di Dolo (di essi soltanto io intendo qui occuparmi) vivono assai miseramente ricavando risorse esigue da insignifi- canti scambi commerciali e dai pochi campi di dura che — Ili — essi coltivano con mezzi rudimentali e sistemi i)rimitivi sulle rive del fiume e allevando quel poco bestiame — cammelli, buoi e capre — che serve ai loro più imperiosi bisogni. Codesta gente, poco numerosa e non certo su- scettibile di miglioramento, mostra anche, come ho detto, poche e poco lodevoli attitudini pel commercio, conten- tandosi di scambiare con le popolazioni vicine le poche merci di cui fa uso. Ad onta che il i)olso della vita di Dolo sia languido e torpido, il villaggio italiano, giù, a valle, si va facendo più folto di capanne. Sono povere e semplici e piccole, tuttavia, queste capanne: come quelle dei nomadi, fatte quasi tutte della medesima stuoia con cui s' intessono i basti da cammello. Quelle costituite i^er ordine del Governo italiano sono assai migliori : han le pareti di traliccio di legno ricoperto di paglia. Anche gli utensili domestici sono molto primi- tivi. La dura, per esempio, vien macinata fra delle i)ietre lisce o con lunghi pestelli dentro mortai di legno; poi vien stacciata dentro ceste un po' concave che le ragazze indigene scuotono dal basso in alto: e in questo gesto, non privo di grazia, ricordano le statuette fuor di moda che ornavano, qualche decina d'anni fa, i canterani e i caminetti delle nostre mamme, in provincia. Le coltivazioni di dura, di fagiuoli e di cocomeri vengono fatte lungo il fiume nelle poche sciamhe: in quelle poche radure, insomma, ottenute in seguito a di- boschimento e dissodamento del terreno. Pare impossi- bile che oggi, al tenii)o delle « città terribili », al tempo della febbre e della rapidità ansiose, elevate a sistema d'esistenza, al tempo dei treni, dei telegrafi, dei gior- — 112 — nali, delle automobili, degli aeroplani, al tempo in cui si vive un anno in un'ora ed ogni azione si complica con infinite altre di altri individui che a quella si col- legano come i denti di un gigantesco ingranaggio, pare impossibile, dico, che ci siano ancora popoli che non sospettano nulla di tutto ciò, che sono ancora indietro di fronte a noi di trenta o quaranta secoli e che vivono con tanta schematica semplicità come questi abitatori di Dolo. Qui, uomini e donne attendono ai lavori dei pochi campi in aprile e in novembre, cioè prima che comincino i periodi delle piogge; in seguito fanno il raccolto, che non è sempre molto copioso e dipende più che altro dalla quantità di precauzioni prese per difen- derlo contro le scimmie e contro gli uccelli devastatori. Poi si può dire che non abbiano più altro da fare e che se ne stiano oziosi tutto il resto dell'annata. Quelli che hanno proprio una gran vocazione al lavoro, occupano qualche ora fabbricando, con una lentezza che rasenta l'inerzia, i primitivi utensili domestici che si riducono a pochi recipienti di terra e di pietra. Le donne, oltre a dividere con gli uomini le fatiche agresti, accudiscono alle faccende domestiche: ma si può bene immaginare che nemmeno questo lavoro è soverchiamente gravoso perchè quelle molto primitive massaie non han certa- mente da lustrare mobili o impianciti, né da sbattere tappeti, ne da spolverare statuette di Sèvres. Tutta la fatica consiste nello starsene accoccolate qualche mezza ora intorno alle pentole, poste, senza alcuna sorta di intermediari, in diretto colloquio con i tizzoni ardenti, e nell'aspettare che il fuoco compia l'opera sua. Poiché in ogni famiglia non manca una discreta collezione di figliuoli, ciascuna di quelle prolifiche Cibeli, po- trebbe, volendo, far concorrenza a qualche affaccenda- DÒLO. LA CONFLUENZA DKL DATA COL GAXAL?:. DOLO. LA < OM-U i:N/.A DKL KAt A COL CANALK. . :>sà J « . . . QUESTO VECCHIETT*) E ASTUTO . . . INTKLLK ». ;e\tk lOS) «...EKA IN IXKOKMATOKK ABILISSIMO...». (Pa:i. los-i — 113 — tissima istitiitrice di orfanotrofio europeo. Ma, appena staccati dalla mammella, alla quale, per anticipata rea- zione, nei primi mesi, stanno appesi notte e giorno, quegli idropici mostriciattoli pensano da loro stessi a crescere, come Dio, o meglio, come Maometto vuole, senza honne e senza istitutrice, senza che la madre si affatichi certo per dar loro una raffinata educazione. Spesso le donne vanno al fiume per attinger acqua : ed allora si fermano sulla riva a bighellonare e a chiac- chierare, tal quale come le comari dei nostri paesi, in- torno al pozzo o sulle soglie. Talvolta, anche, si danno convegno su qualche rozza panchina per far conversa- zione; ma quei ricevimenti all'aperto, bisogna dire la verità, non ricordano molto i five o' clock della nostra società elegante. Alcune donne, le più modeste e laboriose, stando- sene chiuse nel loro recinto, costruiscono graziosi ce- stelli in tessuti di vimini e d'avellana. Se in genere, le donne lavorano assai più degli uomini, non manca qualche signora di sangue bleu a cui il ri- spettivo uomo può permettere una vita oziosa. Queste specie di favorite^ come tutte le favorite del mondo, amano il lusso e sfoggiano vesti, gingilli, collane d'ar- gento e orecchini venuti dalla costa ; se ne stanno quasi sempre mollemente sdraiate sui canapè e sui tappeti: volevo dire : sui graticci di canne, come, da noi, i fichi, e su frammenti di cuoio mal concio. Sembrano piccole pantere in pensione : ma si danno delle arie da signore civettuole e passeggiano con la mano sull'anca protesa guardando gli altri miseri mortali con un certo sorri- setto di sufficienza che non è poi troppo dissimile da quello che abbiamo visto sulle labbra di qualche nostra mondana mentre sale in automobile provocando il mag- 15 — lU — gior fruscio di cui è suscettibile la sua gonna di seta o lasciando ondeggiare le lunghe piume del cappello largo proprio come una capanna sòmala... Qui, però, manca l'automobile, il cappello e anche, talvolta, la gonna... Un altro mestiere esercitato dalle donne di questi paesi è quello della stregona. Ne ho vista una a Dolo : vecchia, secca, allampanata. Pretendeva di guarire tutte le malattie — eccetto quella di credere alla sua arte — con i suoi rimedi costituiti dai soliti unguenti nauseosi e dai soliti succhi di radici e di foglie . . . Viveva, natu- ralmente, a scrocco, alle spalle dei gonzi... È anche vero che i gonzi non si trovano soltanto a Dolo. * Il gran polso della vita di Dolo è tutta là, sul fiume. Se non ci fosse quel poco di movimento, diciamo così, nautico. Dolo sembrerebbe un paese anchilosato da una paralisi epidemica — Per fortuna, il bisogno degli scambi fra gli abitatori delle due rive s' è fatto talmente sen- tire che il fiume è divenuto l'operoso telaio su cui certe chiatte primitive e rudimentali fan da spole. Perchè il nome dell'utensile tessile non induca in errore circa la forma delle unità navali di Dolo, dirò subito che queste ultime, essendo costituite da tronchi d'albero legati in- sieme, danno piuttosto l'idea di frammenti di staccio- nate cadute, per caso, giti nel fiume o di palafitte ribelli che, stanche di rimanere in piedi, si siano staccate dal fondo per adagiarsi orizzontalmente sulla superficie del- l'acqua. Il Commissariato di Lugli ha regolato le tariffe del transito fluviale, stabilito le ore di lavoro, scelto e di- « ... (ilAKUATK Ql'EL 15KL TIPO M( XiADISCIANO , CIt.N IL l'AKASOl.K ... ». (l'ng, l(n>) CAl'ANNK DI IJOI.O. Al'ANNA DI iMiLo. r-M'' ' \ rfe:^ — 115 — sciplinato i navalestri. Capo di costoro è un veccliio inverosimilmente, paradossalmente alto: così alto che, in un momento di distrazione, vien fatto di domandargli se tiri molto vento, su, all'altezza della sua zucca cal- vissima . . . Eppure, quando, nelle tregue se ne sta acco- sciato sullo scorcio della ripa a guardia della sua zattera ferma, sembra un omino di statura ragionevole. Penso ctie le sue gambe e le sue braccia e il suo torso debbano avere un qualcbe congegno non dissimile da quello dei tele- scopi. Or ecco una voce lo chiama dall'opposta riva. Ed eccolo, alla chiamata, sfoderare torso e braccia e gambe e rotolar giù dalla rii^a come lo scheletro terroso di un colossale anfibio e formarsi poi nella franatura informe con il suo soffio e il suo borbottìo umano . . . Sembra un rifiuto del fiume che s'animi a un tratto per trasfor- marsi in un Caronte dantesco. Non è egli la larva del Tempo ? E non forse su quel passatore deforme sembra che passino le acque del fiume come tutte le cose labili f Gli spiriti pratici e positivi mi ammoniscono che non l'acqua trascorre sul nocchiero, ma il nocchiero e la sua chiatta misera passano sul fiume. È vero. E passa la tartana del mio Caron non demonio come tutte le altre dei suoi colleghi (colleghi in mestiere, se non in altezza): spinta, cioè, per mezzo di un palo che il con- duttore appoggia sul fondo. Così, dall'una all'altra sponda naviga la merce caricata asciutta su codesti soffitti gal- leggianti e scaricata fradicia, tanto fradicia da rendersi necessaria una lunga esposizione al sole. Ai passeggeri poi sono offerte tutte le comodità: infatti, per non gra- vare di soverchio la zattera essi sono obbligati a far la traversata a . . . nuoto. Soltanto le donne, come viaggia- tori di prima classe, possono prendere posto a sedere — 116 — sulle balle di merce. Ed in questo, non si può negare, gli africani di Dolo si dimostrano abbastanza caval- lereschi. I bovi e i cammelli fanno la traversata a nuoto : anzi su questi ultimi, poveretti, sale spesso a cavalcioni il conducente che deve guidarli e sospingerli. In quanto alle capre e alle pecore esse vengono legate lungo i margini della zattera perchè non si sbandino. * * Sarà gran miracolo se a Dolo, fra qualche decina d'anni, resterà la floridezza commerciale di questo in- nocuo traffico fluviatile esercitato fra quei pochi con- sanguinei Garra-Marra che abitano indifferentemente sull'una o sull'altra sponda del Ganale. Quanto poi a credere che, dalla sua favorevole posizione geografica. Dolo possa in un giorno, più o meno lontano, trarre sì grande utilità da divenire un operoso centro com- merciale, io, ho i miei dubbi. L'essere Dolo situata presso la confluenza del Ganale col Da uà e coll'Ueb non costituisce un argomento decisivo per decretare la futura prosperità di quel nodo molto flu- viale ma poco stradale. La eccellenza della posizione geografica di Dolo è e sarà sempre, almeno nei nostri riguardi, di una utilità molto relativa Anche oggi, in- fatti, per andare dalla linea al Daua alla costa o a Lugh forse che si tocca Dolo? IN^emmeno per sogno. Xon si attraversa nemmeno un po' di territorio inglese attorno a Dolo. Si segue invece l'ipotenusa di un trian- golo del quale il Daua e il Ganale formano i due cateti e Dolo il vertice. Esiste già una via che, per Cercale, al limite orientale dei Boràn, adduce direttamente, dia- — 117 — tonalmente a Barderà e scorcia così di molto il cam- mino per andare alla costa. Quanto poi alle carovane che, dalla linea del Dana, vogliono recarsi a Lugli, perchè supporre che esse, soltanto in omaggio alla sospirosa posizione geografica di Dolo, debbano seguire tutta la sponda del Daua fino alla confluenza col Ganale, pas- sare per Dolo, inchinarsi devotamente, poi seguire il Ganale e giungere finalmente a Lugh, quando invece, per una comoda scorciatoia, possono arrivare diretta- mente a Lugh ? E i)oi di più dobbiamo fare i conti con la concorrenza degl'inglesi che cercano di attrarre sul loro territorio tutto il movimento commerciale del Daua e del paese dei Boràn: ed è probabile che riescano in un periodo più o meno lungo a fare affluire verso la loro zona il commercio di almeno gran parte del bacino del Daua. Come si vede, dunque, il Daua sbocca sì nel Ganale presso Dolo: ma questa confluenza di acque non im- plica una affluenza di commercio. Se il Daua, per un improvviso capriccio della natura, invece che gettarsi nel Ganale si impaludasse e si perdesse nelle melme. Dolo non ci perderebbe nulla. * Le altre due linee fluviali del Ganale e dell' Ueb ol)bligano invece le merci, dirette verso il mare, a tran- sitare in ogni modo per Dolo. Ma le statistiche, dimo- strano chiaramente che il commercio avviato ^'erso la costa da questi due bacini fluviali è sempre stato di poca entità e di nessuna importanza. Ciò dipende senza «bibbio dalla mancanza o scarsità di strade, dalla loro problematica sicurezza e dalle ragioni politiche che fecero — 118 — deviare verso l' Etiopia anche il commercio delle Pro- vincie meridionali dell'impero, commercio che avrebbe dovuto avere come sbocco naturale l'Oceano indiano. Queste cause influirono certo a rendere esiguo il mo- vimento diretto verso il Benadir; ma io credo che la causa principale e determinante risieda nella natura istessa del terreno clie forma il bacino del Ganale e dei suoi affluenti. Ed io lo posso dire con conoscenza di causa perchè ormai gli zoccoli dei miei muletti han calpestato molte di queste vie e mi han fatto percor- rere gran parte di queste regioni. Io credo dunque che, come non fu facile, agii indigeni, l'attirare lungo il Ganale e lungo l' Ueb le carovane, così non lo sarebbe per noi ; e penso che, dopo avere, con] lunghi anni di fatica e con gran profusione d'oro, abbattuto i continui e ingentissimi ostacoli della natura per fare comode strade o addirittura ferrovie, non ci troveremmo poi il nostro tornaconto. Il bacino del Ganale è accidentato ed impervio come pochi altri ; è, di i)iù, refrattario alla coltivazione. : Fra la pianura somala e l'altipiano etiopico è inter- posta una vasta zona d' una aridità sconfortante e pro- babilmente non suscettibile di alcun miglioramento. Nulla o quasi nulla oggi produce; e poco di più pro- durrebbe anche se fosse posta in mano dei nostri in- telligenti e laboriosi coloni che vi consumerebbero inutilmente sforzi preziosi. Tali condizioni negative non erano certamente le più indicate per rendere attivo, come dovevano, le relazioni fra la pianura somala e l'altipiano etiopico. Ma l'acume dei nostri diplomatici cercò, in qualche modo, di stabi- lire un anello di congiunzione fra la Somalia e l' Impero Etiopico. Ancora una volta l'ostilità della natura doveva 55 1 ITTA LA i-ATICA CONSISTK XELI.D STAliSK.N]; A< i i M. C i jLa i 1. qialchp: mezz'ora attorno allk pentole...». (l'ag. H2) ]>OLO. LA CIKA UVA lil.MIJI. — 119 — esser vinta. Le relazioni commerciali fra i due paesi dovevano, ad ogni costo, essere istituite, pronte, si- cure, alacri. A questo scopo, appunto, furono inspirate le Note che i due Governi si scambiarono nel 22-25 giu- gno 1908 (1). In virtù di siffatta attività diplomatica il primo passo (1) V. i seguenti Atti parlamentari, Legislatura XXII, Sess. 1904- 1908, Doc. LXXVII: A Sa Majesté Ménélik II élu de Dieu, Bois des Bois d'Ethiopie. Au nom du Gouvernement de Sa Majesté le Eoi d'Italie, mon Au- guste Souverain, que j'ai l'iionueur de représenter près de Votre Majesté et dans le but de rendre plus facile et de développer de plus en plus le commerce entre la Colonie de la Somalie italienne et les Provinces de l'Empire Etliiopien, j'ai l'onneur de soumettre à l'approbation de Votre Majesté les propositions suivantes: 1. La frontière de la Somalie italienne aura droit au mème trai- tement commercial que les autres frontières de l'Empire, c'est-à-dire, permission de libre commerce pour tonte marchandise, y comprises celles actuellement défendues, comme l'ivoire, etc. 2. Tous les commergants j)rovenauts de la Colonie de la Somalie italienne et spécialement ceux qui sont pourvus de documents qui prou- vent leur nationalité italienne auront dioit à la protection par les autorités éthiopiennes et au mème traitement que les commergants éthio- piens. 3. Sur la frontière de la Somalie italienne seront établis des ta- rifs de donane égaux à ceux des autres frontières de l'Empire. 4. Le Gouvernement éthiopien permettra aux commergants ita- liens et aux commer^ants protégés italiens d'établir des Agences, des dépóts de marchandises et d'exercer leur commerce avec les mémes droits reconnus aux commergants des autres Puissances. Le Gouvernement de Sa Majesté le Eoi d'Italie sera toujours dis- pose à s'accorder avec le Gouvernement de Votre Majesté pour faciliter et développer le commerce entre les deux pays. Addis Abeba, le 22 juin 1908. Colli. (Traduzione). Ha vinto il Leone della tribti di Giuda — Menelik II investito da Dio Re dei Re di Etiopia: che giunga al conte Colli di Felizzano, ministro plenipotenziario di S. M. il Re d'Italia. Abbiamo esaminata la lettera che Ella ci ha inviata, scritta il 15 Sene (22 giugno) in nome del Governo d' Italia, ed essondo anche nostra volontà di estendere ed accrescere il commercio fra il nostro Im- — 120 — è stato fatto, e con pieno successo. Ora non rimane che a rendere più agevoli le relazioni fra l' Etiopia e la So- malia: ora non rimane che a stabilire comode comu- nicazioni fra il mare e l'altipiano etiopico: quell'alti- piano ubertoso e fecondo che migliorerebbe assai le con- pero e«l i Possedimenti italiani del Benadir e della Somalia, conveniamo nel testo del seguen.te accordo : 1. I Possedimenti del Benadir e della Somalia saranno (commer- cialmente) considerati come ogni altro paese di confine ; 2. Il Governo Etioi)ico concederà ai commercianti italiani pro- venienti dal Benadir e dalla Somalia, e specialmente a quelli muniti di documenti comprovanti la loro nazionalità, la stessa protezione (trat- tamento) che ai propri commercianti ; 3. Sulla frontiera del Benadir e della Somalia saranno stabiliti diritti doganali identici a quelli di tutte le altre frontiere ; 4. Il Governo Etiopico permetterà ai commercianti italiani di sta- bilire dei depositi di mercanzie e di esercitare il loro commercio cogli stessi diritti riconosciuti ai commercianti di altre Nazioni. Il Governo Etiopico è disposto per l'avvenire e secondo l'opportu- nità del caso ad accordarsi col Governo italiano per estendere e ren- dere sempre più fiorente il commercio fra l'Etiopia ed i Possedimenti italiani del Benadir e della Somalia. Scritto in Addis Abeba, il 18 Sene dell'anno di grazia 1900 (25 giu- gno 1908). NOTA. Art. 1. — In forza di questo articolo, la nostra frontiera del Be- nadir e della Somalia viene ad essere messa di fatto nelle stesse con- dizioni delle frontiere finora più favorite dell' Impero etiopico, poiché cessa per essa il divieto di esportazione finora esistente di alcune merci fra le piìl ricche, quali l'avorio, lo zibetto, le corna di rinoceronte, che erano in passato esclusivamente avviate per la via di Gibuti e di Zeila con esclusivo vantaggio di quelle Colonie. La ragione di tale divieto, che viene ora abrogato, deve ricercarsi specialmente nelle necessità fiscali derivanti dalla assoluta deficienza e dalla mancanza anzi di qualsiasi organizzazione amministrativa nei ter- ritori meridionali dell'Impero etioiiico, e nella necessità quindi di in- terdire assolutamente l'esportazione delle merci piìi ricche e soggette a speciali obblighi e diritti per quelle vie che sfuggivano al controllo ed alle imposizioni delle autorità abissine. Per effetto del presente articolo, le relazioni commerciali fra il Be- nadir e le Provincie meridionali etiopiche avranno maggiore incremento anche per le merci la cui esportazione non era finora vietata, ma per le quali in passato esistevano pur anche altre difficoltà dipendenti dal- l' incertezza e dalla poca sicurezza del traffico e delle comunicazioni e .«iÉi»±ÌI:-. «...AI'PKSI NOTTK E CIORXO I>1A). DONNA (ÌAKH.V-.MAKKA. '^m^'^''^ -^M DOLO, doxnp: garra-makka. — 121 — dizioni della nostra colonia se verso di essa avviasse i suoi prodotti. Orbene io credo che, con tali linee di transito, si dovrebbe evitare, per quanto è possibile, di attraver- sare l'arida e tormentata zona di cui lio parlato. Le relazioni commerciali adesso, le comunicazioni ferro- dallo scarso profitto che da esse si poteva ritrarre : le migliorate con- dizioni di sicurezza (derivanti specialmente dalla definitiva sistemazione della frontiera fra il Benadir e l'Etiopia) e l'allettamento di maggiori e piti sicuri guadagni per Fesportazione di merci più ricche e rimune- rative, non mancheranno di risvegliare ed incoraggiare l'attività dei nostri commercianti, specialmente se ad essa sarà di aiuto l'azione del Governo diretta ad eliminare e diminuire le difficoltà delle comunica zioni e dei trasporti, costruendo strade carrozzabile e ferroviarie, ed attivando vie fluviali. Non è certo possibile prevedere ora lo sviluppo a cui potrà giun- gere il commercio benadiriano nel vasto e ricco paese Galla oggi quasi ancora sottratto ad ogni attività commerciale : la convenzione attuale rappresenta il primo passo alla conquista di quel mercato, ma i van- taggi ed i guadagni che da esso si potranno ritrarre saranno natural- mente lenti e graduali e proporzionati agli sforzi che si faranno per conquistarlo sia nel campo politico che in quello economico. Art. 2. — Per ragioni di consuetudini e per la poca sicurezza locale l'azione commerciale dei negozianti benadiriani era finora assai limi- tata ed ultimamente quasi vietata nelle regioni Galla con noi confi- nanti, le cui correnti commerciali dovrebbero già naturalmente avviarsi sui nostri mercati : la necessità di rompere con le consuetudini sud- dette e di attirare a noi il commercio attingendolo alla sua fonte, spiega e giustifica la designazione precisa di commercianti provenienti dal Be- nadir e dalla Somalia quali aventi diritto alla protezione delle autorità ed all'uguale trattamento degli stessi sudditi etiopici. È d'altra parte necessario che l'attività commerciale italiana, oltre a trovare la dovuta libertà d'azione e protezione presso le autorità delle stesse regioni Galla ove essa tende ad esplicarsi, venga altresì diretta verso quegli sbocchi che rappresentano e costituiscono le basi della nostra azione coloniale, e non sia invece sottratta a vantaggio di altri sbocchi commerciali, come succederebbe se le merci fossero d.ai nostri commercianti stessi avviate ad Addis Abeba od all' Barrar di dove pren- derebbero la via di Gibuti. Allo scopo di evitare inconvenienti che potrebbero intralciare il sereno sviluppo dei commerci fra il Benadir e l'Abissinia, e per dimi- nuire le responsabilità ed accrescere gli obblighi verso il nostro Go verno è stata misura opportuna quella di accordare una condizione di preferenza a quei commercianti muniti di documenti comprovanti la loro nazionalità, ciò che pone il Governo stesso in grado di respingere 16 — 122 — viarie più tardi, non vsi dovrebbero stabilire lungo il Ganale e nemmeno lungo l'Ueb che i>ur presentando minor difficoltà di percorso è però quasi privo d'acqua: ma dovrebbero passare nel centro del vastissimo iriano inclinato che separa il Ganale dall' TJebi-Scébeli. Credo che questa sarebbe la migliore soluzione. In- fatti anche oggi esiste una comoda carovaniera che, da Ghigner, conduce, in soli dodici giorni, ai confini del Benadir e in meno di altri venti, da quei confini al qualsiasi responsabilità per quei commerciauti che non fossero merite- voli della nostra protezione ed accordarla invece a quelli che offrono garazie suaecienti di esplicare la loro azione con la dovuta correttezza. Art. 3. — Nessuna norma doganale all' infuori del divieto assoluto fatto per l'esportazione dell'avorio, regolava per il passato il movimento commerciale fra le regioni poste sotto il dominio etiopico ed i nostri possedimenti di Somalia, die era lasciato all'arbitrio dei capi abissini preposti al Governo di quelle regioni, e che lo esercitavano con ogni sorta di soprusi e di angherie. L' istituzione delle dogane con l' imposizione di regolari tasse doga- nali identiche a quelle delle altre frontiere rimedia a questo inconve- niente grandissimo che intralciava e rendeva impossibile ogni nostro commercio, e crea per i nostri mercati piìi vicini di ogni altro alle Pro- vincie meridionali etiopiche, una condizione privilegiata, in confronto specialmente a quelli che fanno capo ad Barrar e ad Addis Abeba, e che nelle condizioni passate rappresentavano una pericolosa concorrenza per il nostro commercio in quelle regioni. Art. 4. — Questo articolo completa i precedenti ed ha per se stesso speciale valore, poiché elimina il grave pericolo che commercianti di altre nazioni possano ottenere e valersi di speciali diritti e prerogative che annullerebbero o diminuirebbero i vantaggi che noi dobbiamo alla nostra posizione topograficamente privilegiata di fronte a quelle regioni. Era quindi necessario affermare la libertà di azione e l'uguaglianza di diritti e di trattamento, ])er quanto riguarda specialmente il com- mercio nei Galla, con quelli accordati o riconosciuti ai commercianti di qualsiasi altra nazione. Tale affermazione ci dà modo altresì di re- clamare per noi e di usufruire di tutti quei vantaggi e di quelle con- cessioni di indole commerciale che altre nazioni concorrenti potrebbero in seguito ottenere dal Governo etiopico. Come corollario politico e morale di quanto fu concordato nel pre- <5edente scambio di « Note », è interessante tener conto delle ripetute dichiarazioni del Negus di essere ben disposto a concorrere all' incre- mento del commercio fra 1' Etiopia ed i nostri possedimenti di Somalia, ciò che costituisce un nuovo pegno ed una nuova conferma dei suoi propositi di pace e dei suoi sentimenti di amicizia. i>iii.i>. iiiiN.NA <.AUi;.'.-MAi;i;.\. dm « . . . SK M-; siANMi 1^1 A>i >i:.Mri;i; .mhu.kmi.n 1 1. .>1'i;ai a 1 1; . . . ». (Pag. ii:o ^K(•(l(;IA^(> VESTI, (tIX(;illi, collane d akiìknto . . . ». (J'afi. 1 /.•.') «... MOLLEMENTE SDKALVTE . . . ». (l'ag. H:ì) — 123 — mare. Così, anche adesso, partendo dalla costa, si pnò raggiungere Ghigner in un mese di viaggio, per una via scevra di difficoltà, percorribile tutta con i cam- melli e sopratutto ricca d'acque in tutte le stagioni. Ma questa via presenterebbe un altro vantaggio punto trascurabile : attraverserebbe, cioè, l' ubertoso territorio occupato dai Eahanuin che si è sempre pensato d'allacciare alla costa per la ragione della sua impor- tanza agricola e commerciale. Torno a ripetere: è un'utopia ed una ostinatezza supporre che, laggiù, le grandi linee fluviali debbano coincidere con le grandi vie di comunicazioni. Queste ultime debbono svolgersi indipendentemente dai corsi d'acqua. Kel caso nostro particolare, l'unica via di co- municazione i)ossibile è quella che senza seguire ne il Ganale né l'Uebi-Scebeli si mantiene quasi sempre equi- distante e dal Ganale e dell' Uebi-Scebeli, rendendo, in tal modo, non impossibile qualunque diramazione che si volesse istituire con questo o quello dei paesi posti lungo i suddetti fiumi. Nulla vieta infatti che dalla grande linea mediana svolgentesi su, nell'altipiano, si diparta, ad un certo punto, una carovaniera o, più tardi, un breve tronco ferroviario, che vada a finire, per esempio, a Lugli e che poi costeggiando il Ganale (in quel tratto meno ostile) vada a raggiungere Dolo. Tanto Dolo che Lugli, insomma, dovranno acconten- tarsi di una indiretta comunicazione col mare : e non dovranno mai pretendere di divenire mète terminali, teste di linee di una ferrovia. Da quanto ho detto è facile comprendere quale potrà essere la futura condizione di Dolo e di Lugli, sebbene la loro posizione geografica abbia fatto nutrire molte — 124 — speranze e suggerito anche all'odierno profeta sotto- scritto, ben diverse profezie , . . E parlo anche della posizione geografica di Lugh perchè questo paese raccoglieva veramente, meglio che Dolo, tutto il traffico delle tre linee fluviali, però che come ho detto, le provenienze del bacino del Daua, anche non passando per Dolo, dovevano poi affluire a Lugh. Quindi Lugh, pur non trovandosi come Dolo sulla confluenza delle tre linee fluviali convergenti, si trovava però sul nodo delle tre linee commerciali provenienti dai tre bacini. Per questo, Lugh ha, ancora oggi, la sua importanza e merita tutto il nostro interessamento. La seconda spedizione Bottego fondò nel 1895 questa stazione commerciale, ed essa è rimasta sempre sotto il dominio italiano, anche quando i confini fra la nostra Somalia e l'Impero etiopico l'avrebbero tagliata fuori dal Benadir. i^eWe vicinanze di Dolo, oltre i Garra-Marra, che abi- tano le rive dei fiumi a causa delle loro coltivazioni, vivono alcune tribù di Di-Godia che sono d' origine I)rettamente somala, mentre i Garra-Marra, come ho detto, sono discendenti di schiavi. I Di-Godia sono immi- grati dalla sinistra dell'Uebi Scebeli, e precisamente dall' Iran, regione situata ad ovest del sultanato di Obbia, nelle vicinanze del fiume. Discendono dalla tribù Hauia, che, ancor oggi, vive in massima parte nel sultanato di Obbia, sulla sinistra dello Scebeli. I Di-Godia furono costretti ad abbandonare circa un secolo fa il loro paese d'origine e si trasferirono sulla destra dello Scebeli. Poi, lentamente, migrarono sempre — 125 — più verso l'occidente, avvicinandosi a poco per volta al Ganale. Ma, in questo lento moto di spostamento, fini- rono per incontrarsi con i Eahanuin che erano i padroni del territorio; e siccome questi ultimi non avrebbero permesso che una tribù forestiera si incuneasse fra di loro, i Di-Godia furon costretti a domandare Jl'ospitalità ai Ealianuin, i quali la concessero a patto che i nuovi venuti s'obbligassero a pagare un tributo annuo. Infatti i Di-Godia stabilitisi quasi come inquilini nel territorio dei Eahanuin pagarono puntualmente l'afììtto per circa un secolo, e, nel frattempo, si avvicinarono sempre più a Lugli, che a causa della sua importanza commerciale, faceva da magnete. Ma un bel giorno, i Di-Godia pronipoti rifiutarono di pagare il tributo che i loro antenati avevan promesso anche per la discendenza; allora scoppiò la guerra fra le due tribù, e non terminò che per l'intervento del capitano Bòttego, il quale riuscì a far concludere la pace fra i belligeranti, nel 1895. E contemporaneamente riuscì a stringere coi Di-Godia un trattato per il quale essi si dichiaravano sudditi dell'Italia, e che poi, pur troppo non servì allo scopo. Intanto i Di-Godia per allontanarsi dai Eahanuin di Lugh e per conquistar terreno verso gli Arussi, si lagnarono col Bòttego di aver subita una razzìa e lo i3regaron di aiutarli a riconquistare il bestiame per- duto. Bòttego accondiscese, e i Di-Godia ripresero quel bestiame che aveva servito loro magnificamente da pre- testo, ma poi non vollero più tornare indietro, e si sta- bilirono nella piana di Oddo e sulle rive del Ganale e dell'Ueb, a monte della confluenza di questi due fiumi. Quindi le relazioni fra le due tribù non tornaron mai cordiali, anzi una vera animosità permanente è ri- masta fra di loro, sebbene non abbiano più ricorso alle — 126 — armi. I Ealiaiuiin considerano i Di-Godia come tribu- tari ribelli e mancatori di parola ; i Di-Godia arrogano diritti inesistenti. Ma e' è stato, a dir la verità, anche qualcuno che ha soffiato nel fuoco dell' odio perchè aveva interesse a che non si estinguesse. Voglio par- lare degli Amhara, i quali, dopo aver assoggettato i Di-Godia, alcuni anni or sono, li spinsero a ritornare nel territorio dei Eahanuin. E questa pressione divenne tanto più forte quando la convenzione del 16 maggio 1908, interceduta fra il governo italiano e quello abissino, as- segnò la tribù dei Di-Godia all'Impero etiopico. Quindi gli Amhara avevan tutto l' interesse a che i loro soggetti si spingessero il più possibile verso il sud, i^er poter così vantare diritti nel territorio da loro occupato, ed escluderlo dal nostro dominio. I Di-Godia non differiscono molto nel tipo dagli altri Somali e sono di statura in generale piuttosto alta. Eser- citano esclusivamente la pastorizia e posseggono molto bestiame; quindi conducono vita nomade, il che spiega la grande estensione di territorio da essi battuta in rap- porto col loro numero ; ma sono sempre odiati da tutte le tribù confinanti, un po' forse j)er il loro carattere, e molto per i loro legame e i loro intrighi subdoli con gli abissini. * A Dolo, finalmente, dopo una numerosa serie di osta- coli, si poterono cominciare le operazioni geodetiche. Ma gli abissini non mancarono di sollevare obiezioni, perchè, credevano che i segnali trigonometrici, da noi alzati, ser- vissero a segnare la linea di confine. Per quanto usassi tutta la forza della mia dialettica non riuscivo mai a con- vincerli completamente del contrario. Eppure io avevo ^a^SÈÈÈ^tf; ifc<^-«,> .. jt .^ì^^Hk9 « ... FKADU lA TANTO DA KKNI>KKSI NECESSARIA (XA LUNGA ESPOSIZIONE AL SOLE ... ». (Pafi. ilo) «...SONO OHlJLKiATI A KAK LA TJtA\'ERSATA A NTOTO . . . ». (l'an. lió) — 127 — preveduto questa difficoltà perchè sapevo che era sorta durante la delimitazione della frontiera anglo-abissina; ad Addis-Abeba, il conte Colli, dietro mia preghiera, aveva spiegato chiaramente, in mia presenza, a Eas Te- samma lo scopo di quei segnali, ed aveva consumato un polmone per mettere bene in testa all'abissino che essi non avevano nessuna relazione coi limiti della fron- tiera. Ma tutto era stato inutile. Fin dal principio dei lavori, e poi sempre durante tutto il proseguimento, ogni segnale trigometrico inalzato diveniva il vessillo d'una inevitabile logomachia, la secchia rapita d'una ostinata guerra di parole. Gli abissini poi pretendevano che il rilievo della zona attraverso a cui doveva passare il confine, non potesse farsi senza la presenza dei capi del paese. Ah, se potesse parlare il grande albero che con la sua ombra ci protesse durante le famose discussioni di cui non basterebbero dieci volumi a far la storia! La sera si lasciava in sospeso una discussione non terminata e la si riprendeva la mattina dopo e si giun- geva alla sera essendo rimasti sempre allo stesso punto. Un grave inconveniente derivava dal fatto che la Convenzione del 1908 non aveva potuto precisare il confine citando nomi di accidentalità del terreno come monti, fiumi e valli, perchè la regione essendo scono- sciuta, le carte in quel punto presentavano grandi spazi bianchi ; quindi si era dovuto ricorrere all'espediente di basarsi sui nomi delle tribù. Ma quelle tribù son nomadi, si spostano continuamente da un luogo ad un altro in cerca di pascoli o d'acqua, e si avvicinano al Ganale nei periodi di siccità. È così che gli Abissini avevano mille appigli per i loro cavilli, e, quando faceva loro comodo, consideravano la momentanea apparizione di — 128 — una tribù in un dato luogo, come una stabile ed an- tica occupazione. E disgraziatamente fra questi indi- geni non esistono documenti scritti che possano almeno dare una lontana idea del diritto e delle consuetudini locali ; consuetudini che del resto hanno subito continue variazioni seguendo le vicende delle guerriglie e le im- posizioni dei capi [influenti. Di [più era accaduto che alcune tribù poste sotto il dominio etiopico, avevano creduto di sottrarvisi spingendosi verso il Sud nel ter- ritorio italiano. Invece, essendo la Convenzione basata appunto sui nomi delle tribù, quelle che si erano avan- zate nella nostra Colonia non avevano fatto che portare idealmente più al sud i confini dell'Etiopia. E non so dire quel che dovetti faticare per convincere gli Abissini, che quelle tribù erano spostate dai loro confini naturali, e che quindi la loro situazione territoriale presente non aveva nessun valore. Per loro, il tempo non aveva alcuna importanza. Se li avessi lasciati fare, ancor oggi sarei là, sotto il grande albero, ad ascoltare gli squarci oratori! dell'eloquenza abissina."- Ma io tenevo informata di tutto la nostra legazione di Addis-Abeba, che a forza di vigorose proteste finì per ottenere dal Governo etiopico la promessa di sosti- tuire quei delegati con altri più ragionevoli e più devoti alla equità. * Intanto le giornate trascorrevano, sempre uguali, sempre monotone perchè, come si può immaginare, a Dolo non esistono le distrazioni che si trovano a Eoma. Non si potè nemmeno organizzare una caccia perchè la selvaggina era tutta fuggita dinanzi all'invasione «...SOLTANTO I.K DONNI', l'dSSoNo rKKNDKKE POSTO A SKDKKE . . . ». (Pag, 115) i£iL ^ r-'-'i .1 ■< ■^ "triy*6ìV'tf^ #1 r \ '^ff'^-*-'^- lniNNi: DI-lioDIA. «...IL GRANDE ALBERO CHE CON LA SLA OMBRA CI l'HUTESSE DURANTE LE FAMOSE DISCISSIONI ... ». (l'aa. /:-: — 129 — della nostra numerosa carovana composta di centinaia d'uomini e di animali. L'unica distrazione consisteva nell'andare ad osser- vare il fiume; distrazione monotona anche quella, ma pur piacevole, in Africa, dove la vista dell'acqua, e di tanta acqua come quella del Ganale, è così rara. Quindi nei momenti lasciatimi liberi dalle fastidiose sedute con gli Abissini, non occupati nella corrispondenza, nella amministrazione e direzione del personale, e nel fare rac- colte zoologiche, me ne andavo a sedere sulla riva e mi trattenevo a fissare quell'acqua scialba che passava, pas- sava notte e giorno, senza riposo, venendo da tanto lon- tano, dal cuore dell'Africa sconosciuta e andando tanto lontano, laggiù nell'Oceano che bagnava una terra sot- toposta alla bandiera della mia patria . . . Passava, pas- sava, fra le sue rive selvagge frequentate molto più dalle belve che dagli uomini, passava sotto soli ardenti, attraverso a foreste profonde, fra roccie inaccessibili, in mezzo a pianure sconfinate j e col suo continuo fluire pareva voler rappresentare la continuità della vita na- turale . . . Intorno il paesaggio uguale, triste, non variava mai . . . Ah sì, cambiò una volta con una improvvisa esplosione di bellezza, ma per così breve tempo! Fu quando cad- dero gli acquazzoni d'aprile ; allora, ad un tratto, come per incanto, la terra mutò volto ; da per tutto sbocciarono fiori ed erbe e foglie e rame e vermene . . . Dove la terra screpolata sembrava arida irrimediabilmente, un man- tello di velluto smeraldino si svolse in pieghe fresche voluttuose ; dove la sabbia faceva credere al deserto germogliarono distese immense di corolle multicolori; vallate, colline, pendici, pianori, tutto s'era improvvi- samente coperto d'un giardino lussureggiante, esube- 17 — 130 — rante, che sembrava svolgersi al di là dell'orizzonte, fino all' infinito. Ma la magìa disparve con la stessa ra- pidità con cui si era creata. A metà del mese di giugno già tutto era risecco, bruciato, inaridito, e tutta la vallata, fino al limite del cielo, aveva ripreso il suo uguale, fa- stidioso accorante colore gialliccio, colore della terra arrostita dal sole, colore delle macchie spinose di sterpi senza foglie, colore di erba secca, inaridita, morta. Finalmente i nuovi delegati giunsero. E da quel giorno i lavori poterono essere condotti con sollecitudine. Ci avviammo quindi lungo la frontiera abbandonando defi- nitivamente quel!' infausta Dolo dove avevo trascorso ben quattro lunghi mesi : quattro mesi, di cui i minuti mi erano sembrati settimane «...AH. SE PDTKSSK rAKI.AUF. Il, (iKANDE ALBERO...». (l'aii. l-Jl) DOLO. NKM.E DKK DI SIKSIA. VI. LUNGO LA FRONTIERA. Il nostro sistema di marcia, da Dolo in poi, doveva mutare radicalmente. Non si trattava più d'avanzare soltanto, attraverso un paese difficile; non si trattava più di camminare, per tappe, in modo da trovare, ogni giorno, un luogo qualunque clie ci avesse fornito la poca acqua e i pochi foraggi necessari a dissetare la caro- vana e a dar pastura alle bestie da soma. Adesso, il territorio clie ci stava davanti doveva esser studiato, misurato pezzo per pezzo. Non eravamo più i viandanti frettolosi elle passano, ma i padroni di casa che devono esaminare il terreno, su cui sarà elevato il muro di con- fine dei loro possessi. Decisi quindi di fare, ogni set- tantina di cliilometri, una sosta, col grosso della carovana, in un luogo bene scelto, dove potessimo trovare acqua e foraggi per un tempo indefinito, e dove le condizioni igieniche fossero tali da permetterci una permanenza anche lunga, senza pericoli per la salute dei viaggiatori. Da questa specie di quartieri generali dovevano dipar- tirsi distaccamenti leggeri che avrebbero esplorato e vi- sitato minuziosamente la regione; ed a quegli stessi quar- tieri generali dovevano far capo i topografi che sarebbero rimasti indietro prima e poi ci avrebbero sorpassati, ad ogni sosta, per eseguire il rilievo del territorio di frontiera. — 132 — La regione che ci stava dinanzi era, per la massima parte, sconosciuta ; si comi^rende quindi come io sentissi una grave responsabilità nell'avventurarvi tanti uomini e tanti animali. Si trattava di parecchie centinaia di uomini che dovevano mangiare, dissetarsi, trovare un giaciglio non troppo esposto alle intemperie, e questo ogni giorno per chi sa quante settimane o mesi. Mi im- posi dunque la massima prudenza, e, prima di iniziare il primo spostamento mandai il topografo Grupelli ed il tenente Costa a fare una ricognizione esatta del terreno e dei pozzi, non ostante che io avessi già avuto su questi e su quello attendibili informazioni da parte degli indi- geni da me interrogati. Quando gli alacri messaggeri tornarono, mi riferirono che la località più adatta per impiantare il primo accampamento era quella di Goriale, a quattro buone tappe di distanza, e che essa ci avrebbe permesso una lunga sosta. Ai primi di agosto dunque lasciammo finalmente Dolo: finalmente, sì. Epi^ure, nell'abbandonare il villaggio provammo un vero momento di malinconia. Si sa ; finché l'uomo è in un luogo, finché possiede una cosa, finché è vicino ad una persona, non vede che i lati antipatici del paese, le cattive qualità della cosa, i difetti della persona; salvo poi a scorgere le virtìi della persona, l'utilità della cosa, i punti di vista simpatici del paese proprio nel momento in cui la morte gli porta via la prima, in cui egli dona la seconda o si allontana dal terzo. Pare una strana maledizione del genere umano questa, che la vicinanza e il possesso tolgano ogni pos- sibilità di pienamente godere. Così accadde quando lasciammo il paese in cui ci era sembrato di morire di noia, un poco ogni giorno, durante quattro lunghi mesi. Allora soltanto ci accorgemmo che — 133 — il gigantesco albero secolare che ci era divenuto insoppor- tabile i)ercliè ci aveva x>urtroppo tenuti insieme durante le interminabili discussioni con i delegati abissini, aveva pur protetto, con la sua ombra verde, i sogni delle nostre sieste, quando, distesi su di una sedia a sdraio, fumavamo per lunghe ore in silenzio fissando l'intrico folto dei rami, che a poco a poco, nel dormiveglia, si trasformavano in una fantastica foresta da fiaba... Ci accorgemmo che se la sera non avevamo avuto il teatro o il hai tabarin, avevamo però trascorso ore meravigliose sulle rive del fiume, quando la luna lasciava cadere sull'acqua riflessi candidi che dan- zavano sul filo della corrente, e avvolgeva i boschi con tenui veli di nebbia argentea, o quando il folgorio pal- pitante delle stelle svolgeva sulle nostre teste l' infinita l^agina misteriosa dell' universo e lasciava cadere sul mondo addormentato la blanda carezza della sua luce diffusa . . . Oi accorgemmo che ci dispiaceva anche di ab- bandonare la nostra sala da pranzo, quella spaziosa lunga capanna che gii ascari ci avevano costruita e che, per tanti mesi, era stato il nostro salotto di convegno, il nostro studio, la nostra sala di lettura, e aveva udito le nostre risate e le nostre allegre conversazioni intorno alla tavola fumante per le buone pietanze che il cuoco ci aveva apparecchiato. A tutto dovevamo dire addio. A poco per volta quell'accampamento aveva finito per sem- brarci qualche cosa di stabile, e adesso, il toglier le tende ci faceva quasi l'effetto di radere al suolo un paese . . . Ma tutti questi piccoli rammarichi dovuti alla incontenta- bilità dell'anima umana, o al sentimentalismo, furono assorbiti dalla soddisfazione di poter scuotere finalmente la lunga inerzia, furono sommersi dalla i^rofonda, intima soddisfazione di poter compiere il proprio dovere, di ritor- nare uomini attivi, utili a qualcuno e a qualcosa, e non — 134 semplicemente rimbeccatoli di argomentazioni cavillose. Poiché precisamente questo era stato il mestiere che per quattro mesi, con pochissimo mio gusto personale, avevo per forza dovuto esercitare. * * Più di tutti eran seccati di dover x>artire i nostri buoni ascari; non perchè non amassero marciare o te- messeso di andare incontro a fatiche ed a pericoli, poiché essi, anzi, erano sempre pronti a tutto ed arditi, ma sol- tanto perchè dovevano abbandonare le straordinarie co- modità, che, in questo accampamento, erano riusciti a procurarsi. Durante la lunga i)ermanenza a Dolo, ave- vano trovato modo di costruirsi un grande accampamento lungo il fiume, presso al nostro, una specie di villaggio, formato di originali capanne coperte di foglie di palma, che, da lontano, aveva l'aria di un branco di grossi ani- mali villosi; di più s'erano fabbricati i letti che consi- stevano in graticci dì rami sorretti da quattro gambe di legno e ricoperti di frasche. Avevano ugualmente inalzata una capanna per la cucina ; ma la capanna ser- viva soltanto nei giorni di maltempo, perchè nei giorni sereni i nostri cuochi preferivano portare il fornello e le pentole all'aria aperta, e cuocere le vivande sotto la gran cappa del cielo azzurro. Insomma gli ascari avevano fatto di tutto per rendersi, con ogni ingegno- sità, la vita del campo meno scomoda j)ossibile. Figura- tevi che perfino la sentinella aveva una specie di gar- ritta di rami per ripararsi dal sole! In realtà, io non so quanto quelle loro capanne bucherellate come panieri riparassero dalle intemperie, e credo che, se uno di voi avesse dormito una notte su uno di quei loro letti, ne LA Nu>lKA « .SAI-A DA l'HANZi (Pag. 133) A\1.\A\<> 1NN\I,/,AI A I NA ( Al'ANNA l'I II I \ ( I l 1\\... ». J'ag. I3:ij «... LK ANTKHK TOMHK DI IXA TKIIU' <;.\J-LA NOMATA MADKXLE . . . ». (Pag. 137) L'aRKIAo DKLLA CAK()\A.\A AI POZZI DI GORIAL?;. — 135 — avrebbe poi avute le ossa peste e indolenzite per quattro giorni; ma in ogni modo gli ascari erano soddisfatti come se abitassero in un grande albergo con luce elettrica, ascensore e termosifone; quindi non si rassegnavano facilmente ad abbandonare quei loro tesori, e avreb- bero voluto portarsi dietro tutto ... « Omnia mea mecum porto ». Ad ognun d'essi si sarebbe assai bene adattata l'affermazione volontaria e incrollabile dell'Antico, la quale, evidentemente, non potè essere suggerita che dal I)robo ed esemplare spettacolo della chiocciola . . . Infatti, quanto al desiderio degli ascari della mia carovana, non c'era altro mezzo che caricarsi i propri arnesi sulle spalle; e così fecero, tant'è vero che il primo giorno di marcia erano quasi tutti cur\T sotto vecchi sacchi, sotto buffi trabiccoli di legno e di foglie secche . . . Ma il giorno dopo, l' indolenza e l' imprevidenza, che formano il fondo del loro carattere, presero il sopravvento, ed ogni cosa fu gettata e abbandonata per via. C è Allah i)er tutti, e Allah deve provvedere a tutto... * ■X- * Dopo la contluenza dell' Ueb, sulla riva sinistra, il terreno ricomincia a incresparsi, a ondularsi e ricompa- risce il seguito di quelle colline che, quattro giorni prima di giungere a Dolo, avevamo visto cessare ; sulla destra invece, poco a monte della confluenza dell' Ueb, si er- gono soltanto due o tre cucuzzoli, su uno dei (piali a vevo posto l'ultimo accampamento, prima di arrivare a Dolo. Il resto di quella sponda è basso e pianeggiante. La catena di colline della riva sinistra forma come una specie di digradante antiteatro che riunisce l'Ueb al Ganale e contiene, nel mezzo, fra l'insenatura del — 136 — fiume e (quella delle colline, iiii pianoro, in fondo al quale si trova Dolo. Questo tratto di terreno, costituito da un fertile terriccio d'alluvione, dovrebbe essere facilmente irrigabile giacché è abbracciato e superato dal fiume, e potrebbe, credo, dare una buona produzione agri- cola. Anche adesso gli indigeni vi coltivano nel mezzo qualche campo di dura; ma, per difetto d'irrigazione, il raccolto è quanto mai aleatorio ; infatti, negli anni in cui non piove, la messe intristisce prima di giungere a ma- turazione. L'arco di colline, che incornicia la pianura di Dolo, termina, avvicinandosi al fiume, nel luogo ove sorge il villaggio di Bantel, che dissemina le sue capanne sulle due sponde ; salimmo su quelle colline, le percorremmo per un tratto, e, al di là, trovammo un'altra piccola pia- nura, che aveva una forma non molto diversa da quella di Dolo, ma che però presentava difficoltà di cammino perchè ricoperta di macchie intricate e traversata da reti di fossi e di torrentelli, che corrodevano il suolo rendendolo simile ad un antico legno tarlato. La vicenda di basse colline e piccole pianure inter- poste si susseguì fino a Scidle; alcune di esse eran ri- coperte di alte erbe che arrivavano fino alla cintola, cosicché la lunga carovana snodantesi sembrava dimez- zata come se guadasse un gran lago verdastro ; in altri luoghi, quando il terreno era formato da squame di gesso, all'erba si sostituiva la irritante flora spinosa che ci carezzava poco piacevolmente le gambe, ma che però dava godimento alla vista perchè era spesso intramez- zata da folti gruppi di basse e graziose ombrellifere. Quelle colline avevano in generale profili regolari a tronco di piramide. Devono essere composte di are- narie mesozoiche e di calcari marini. Le coltivazioni «... DTK SIEPI DI SIII.DATI IM Mi lir LI . . . ». (Pvg 139) «... IL i)i;<;iAC AL\(iMi-i( ami:n ri: ohnaio di;! sioi i'auamkxti l>I <;i{AN (JALA ... ». (Vag. ViO) ir. MIA ri! Alti M AMn . . . ». (Pa(j. i39) LIGH. LA l'ORTA. — 137 — scarseggiavano; vedemmo soltanto qualche campo col- tivato dai Gubaìn nei dintorni di Baciali e di Scidle. Da quest'ultimo paese, abbandonammo definitiva- mente il corso del Ganale, la grande limpida arteria, di cui avevamo per tanto tempo veduto scorrere le acque ; e lo abbandonammo con dispiacere, perchè, in Africa, allontanarsi da un fiume significa perdere un protet- tore, un fratello, un amico, significa andare incontro al pericolo della morte più straziante, la morte per sete. Ma era necessario volgere ormai direttamente verso l'Oriente, e così facemmo, inoltrandoci nella estesa pia- nura del For-Osboi, un torrentello formato da un seguito di rari stagni che hanno la particolarità di essere com- pletamente salati. Questa strana qualità delle acque del For-Osboi fa pensare con nostalgia al mare, e potrebbe dare, a colui che fosse sperduto in questi paraggi, l'il- lusione della vicinanza dell'Oceano, Invece l'Oceano è tanto lontano, e la salsedine di questo torrente pro- viene soltanto dal fatto che esso raccoglie le acque di- scendenti dalle colline meridionali dove si trovano le miniere di sale di Aggherar. Ai piedi dei monti Rare trovammo due enormi mucchi di pietre, alti parecchi metri, ed elevati, come ben si capiva, intenzionalmente; domandai spiegazione alle guide, e mi fu risposto che quelle eran le antiche tombe di una tribù Galla nomata Madenle, oggi totalmente scomparsa . . . Così finiscono tante stirpi umane durate secoli e secoli; due monti di pietre e un nome; poi anche il nome sparisce, e di tante vite, di tante gene- razioni, di tante lotte, di tante sofferenze non restano più che i tondeggianti tumuli di sassi e di terra. 18 — 138 Eitrovammo, poco dopo, la catena di colline, che sem- brano ora di origine vulcanica, come certamente è appa- rato vulcanico il Monte Bongol die eleva verso il setten- trione, la sua oscura vetta perfettamente conica. Quelle colline seguitano fino a Goriale, dove si trovano i pozzi scavati nel letto ghiaioso del monte omonimo. Il nome di questa località significa « luogo dello struzzo »: infatti nelle pianure circonvicine abbondano quegli strani uc- celli corridori; ne vedemmo in lontananza passare a torme, di gran corsa, su quelle loro zampe robuste che han più Paria di gambe di giraffa che di zampe d'uccello. Goriale è circondata da un laberinto di ondulazioni boscose, coperte di ciottoli basaltici che sembrano vo- lere accavallarsi l'una su l'altra, si^ingendosi e inarcando le rotonde groppe villose. In un avvallamento si tro- vano i pozzi che contengono un'acqua un po' pesante, ma assai limpida. Non li trovammo mai esausti sebbene ne usassimo tutti abbondantemente. Ci accampammo dunque nei pressi di quei pozzi, occupando noi le colline di sinistra, e gli abissini quelle di destra e formando un insieme di tende e di capanne veramente pittoresco. Era bello vedere il formicolio di uomini e di animali che continuamente si moveva dal- l'uno all'altro campo avendo per centro i pozzi, e met- tendo ad un tratto in quella regione su cui il silenzio imperava da chi sa quanti secoli, la vita e il brusìo di un intero paese. La notte poi, quando nell'oscurità si vedevan brillare i numerosi fuochi rossastri dei due campi, si poteva credere che una città fosse sorta, per virtù d'incanti, in quel luogo disabitato ... Lo stupore — 139 — di quelle colline, di quegli alberi, di quel torrente de- vono esser stati grandi nel trovarsi in un momento ele- vati al grado di « sobborghi », di « giardini pubblici » e di « fiume cittadino »... Io non so quel che ne pensas- sero, ma so certamente che le iene non volevano as- solutamente rassegnarsi a quel cambiamento ; tutte le notti si sentivano, d'ogni intorno, dalla vasta tenebra deserta che ci circondava, giungere i loro ululati che riecheggiavano lugubremente dall'una all'altra valle, producendo nell'insonne un brivido di raccapriccio. * Durante la nostra permanenza a Goriale avemmo modo di assistere ai festeggiamenti che gli abissini fecero in occasione del giorno natalizio dell'Imperatore. Intervenimmo ad un solenne ricevimento del degiac, al quale eravamo stati cortesemente invitati. Percorremmo il lungo e stretto viale formato da due siepi di soldati immobili, col fucile sulla spalla, lo scudo imbracciato. In fondo allo strano sentiero si elevava la baracca, che era stata costruita appositamente per quella festa, e dentro la quale ci attendeva il degiac, magni- ficamente ornato dei suoi paramenti di gran gala, tutti coperti di ricami, e fiancheggiato dai capi suoi soggetti, primo fra tutti il simi3atico fitaurari Mamo che era ri- tornato nella nostra carovana, insieme col degiac, a di- spetto di chi non ce lo avrebbe voluto. Ci fu offerto dello champagne, e brindammo tutti alla salute di Menelich. Alla salute di Menelich ! . . . Mentre ognuno di noi alzava il calice, sentiva tutta l'ironia del suo gesto, sentiva l'ironia dell'augurio inviato ad un essere umano ormai ridotto a vivere come una pianta. — 140 — sentiva l' ironia del festeggiare un uomo che da tanto tempo stava continuamente agonizzando, e che, per 1 suoi soggetti, non esisteva più. A notte gli abissini accesero certe strane torcie che avevan fabbricato impastando il fieno col sego, e si di- ressero lentamente movendo da tutte le parti dell'ac- campamento, verso la tenda del degiac ; e per via can- tavano o piuttosto urlavano certe strane nenie guerresche che facevan risonare tutti gli echi della valle. La scena era di effetto veramente fantastico. Tutte quelle fiamme rosseggianti in alto sulle teste, illuminavano di riflessi sanguigni i volti eccitati, trasfigurati dal selvaggio canto; si avanzavano, si riunivano a due a tre, poi a dieci a venti a cento, formando ondeggianti teorie di splendori, agitati da mani ebbre; le voci urlanti mettevano rac- capriccio, e, j)iuttosto che ad una festa, sembrava che quei barbari movessero verso il luogo dove si sarebbe comjjito qualche orrendo sacrifizio sanguinoso, o verso un paese che doveva essere messo a sacco e incendiato e raso al suolo ; tutto l' insieme aveva l'aria d'una scena infernale, e i volti congestionati, con gli occhi scintil- lanti, le bocche spalancate, le vene gonfie, sembravan quelli di demoni o di dannati; e quella danza di innu- merevoli fiamme, quell'assordante concerto di grida for- sennate, faceva venire in mente qualcuna delle più spa- ventose visioni della Prima Cantica. Le noiose, interminabili discussioni coi capi abissini erano, per fortuna, molto diminuite ; a ciò influiva la pre- senza del degiac e del fitaurari, ma soprattutto la mia fermezza. Ormai, conformandomi allo spirito ed alla — 141 — lettera della convenzione italo-abissina, avevo dato or- dine ai topografi di eseguire il rilievo della zona seguendo una linea che da Dolo mirasse direttamente verso l'Oriente. Intanto, interrogando i capi indigeni e inviando pattu- glie di esploratori in tutte le direzioni, raccoglievo in- formazioni ed elementi i)er stabilire, con la maggiore esattezza possibile, quali fossero i limiti dei territori abi- tati dalle varie tribù. Gli abissini, dal canto loro, ese- guivano parallelamente inchieste dello stesso genere. Da Goriale, insieme col degiac Nado, mi recai a fare una gita a Lugli. Eividi così dopo sedici anni, la nostra stazione: quanti ricordi mi si affollarono alla mente! Il semplice fortino, che, sedici anni prima, la spedizione Bòttego vi aveva elevato, è scomparso; adesso grandi opere di difesa han sostituituito quelle prime mura che inalzammo per servir da baluardo al tricolore quando la prima volta sventolò su queste terre. Anche molte opere civili si stanno compiendo; sorgono nuove case, nuove strade si delineano, nuovi pozzi si scavano. La mano italiana sta compiendo miracolosi sforzi di civiltà in quel paese perduto dell'Africa selvaggia, in quell'ultima plaga della terra somala. Fummo accolti molto affettuosamente dai funzionari italiani e dagli ufficiali del jjresidio; da quei mirabili eredi della sapienza coloniale romana, che, con tanta pa- zienza e tanto tatto, sanno trattare quei popoli primitivi, diffondendo lentamente, ma solidamente, il prestigio della nostra dominazione, e trascorron la vita organizzando trujìpe, erigendo difese, senza mai uno svago, in un luogo così lontano e separato da ogni centro civile. Assistemmo anche a « fantasie » indigene eseguite dalle donne ; queste si riunivano accoccolate in cerchio nelle vicinanze di una capanna e percotevano i piccoli sordi tamburi con le punta — 142 — delle dita; mentre altre, in piedi si movevano ritmica- mente. Avevan tutte corpi snelli e nervosi, e le più gio- vani avevano anche un volto che, relativamente al tipo della razza, poteva parer bello e interessare, trasfigurato com'era dall'espressione estatica che assumeva durante la « fantasia ». A Lugh il degiac fece varie compere, provvedendosi di dura per i soldati ed acquistando vari gingilli per sé. Durante la permanenza a Lugh ebl^i miglior modo di esservare quanto fosse veramente perfetta la educazione di questo etiope ; egli pranzò sempre con noi, alla nostra stessa tavola, e mai mi venne fatto di notare ch'egli facesse qualche gesto che non andasse d'accordo col nostro galateo. La sosta di Goriale, che era cominciata il 14 agosto, durò fino al 12 settembre ; in quest'ultimo giorno iniziai il secondo spostamento del campo, che, dopo esatte in- formazioni ricevute dal tenente Costa, mandato in rico- gnizione insieme con un capo abissino, decisi d'im- piantare a let. I topografi, sarebbero, al solito, rimasti indietro per eseguire il rilievo, e si sarebbero a poco per volta, continuando il lavoro, avvicinati al nostro secondo accampamento, per poi sorpassarlo prima che noi aves- simo levato le tende. La prima località di qualche importanza che incon- trammo nella nostra marcia fu Kobodi, distante circa una diecina di chilometri da Goriale, e dove si trovano pozzi che a quelli di Goriale rassomigliano per essere ugualmente scavati nel letto lapidoso di un torrente ; da questa località la linea della frontiera, e naturalmente anche la nostra marcia, non seguirono più la direzione — 143 — ovest-est, ma si spostarono verso nord-est per passare attraverro a Durei e a Dermangit e raggiungere let, giiadagnando così una più larga zona al dominio ita- liano. Fino a Dermangit, ritrovammo continuamente le ormai solite colline vulcaniche, che si susseguivano senza ordine e senza direzione, sparse qua e là come se una mano sbadata le avesse lasciate cadere, senza un'idea prefissa, sulla pianura; in seguito riapparirono le for- mazioni gessifere, che, talvolta, assumevano le caratte- ristiche dei terreni carsici, e tal'altra eran rivestite da uno strato profondo di quella terra roggia, comunissima, che ricopre una gran parte della superficie di tutta la Somalia, e che è, probabilmente, il residuo lasciato dalle più recenti alluvioni. E col cambiare della natura del terreno, cambiò anche la forma esterna; variando lo scheletro variava anche il sistema muscolare. Infatti le colline scomparvero com- pletamente dai nostri sguardi ; e dinanzi a noi si distese la immensa, sconfinata pianura somala, che sgomenta il cuore del viaggiatore perchè ad ogni giorno di marcia la si vede ripetersi perfettamente uguale fino all'oriz- zonte, e sembra dover durare all'infinito. Una monotonia ossessionante vi impera; un'aridità accorante la fa eternamente trista. Brulla, ispida, ma- ligna, talvolta priva completamente di terriccio vege- tale, essa si distende sotto il gran sole implacabile come un infinito tappeto irto di aculei, che sembra voler op- porsi alla vita umana con una volontà più ostinata di quella della inaccessibile roccia e del deserto di sabbie mobili. Le ombrellifere nane, le mimose, ed i rovi di tutte le specie formano un basso e interminale bosco pungente, un continuo intrico di innumerevoli punte che — 144 — si ergono dovunque per graffiare, stracciare, ferire come un reticolato di trincea che si ripetesse all' infinito ; ogni forma tondeggiante di foglia e di ramo liscio è scom- parsa ; la natura ha riunito qui tutti gli sforzi della sua malignità per non produrre che aghi, che spine, che eculei, che uncini. E, ricoperto da questa camicia di Nesso, il suolo si stende, per chilometri e chilometri, ostinatamente pianeggiante ; invano l'occhio illuso crede di scorgere in lontananza ondulazioni e colline ; quando si giunge sul luogo ci si accorge di aver sotto i piedi sempre la stessa pianura desolantemente invariata. * * * Contrariamente alle informazioni avute in precedenza, trovammo in questa regione una certa abbondanza di acqua. I pozzi son numerosi, distano poche ore di marcia l'uno dall'altro, e, per la loro disposizione, permettono di traversare la regione con una relativa facilità, e favo- riscono l'allevamento di grosse mandre di bestiame. Anche i pozzi di Durei (località che prende il nome da una specie di pianta che cresce nelle vicinanze) come pure quelli di Goriale e Robodi che ho già descritto e come molti altri sono scavati nell'alveo ghiaioso e sab- bioso dei torrenti, e vanno a ricercare, approfondendosi, il velo liquido, che, per la permeabilità del terreno, scom- pare spesso sotto terra; contengono quindi acqua discreta, che se pur non è sempre perfettamente limpida, può dirsi però bevibile senza inconvenienti. Invece a Der- mangit (nome che significa : « il luogo ove venne domato il puledro ») a let, a Uascen, ad Ato, a Curalle ed altrove i pozzi, praticati nel centro di ampie radure concave, vanno alla ricerca di acque che sono per loro natura Lr(;H. LA RESIDENZA DEL COMMISSAKIO. Ll(;il. VKIUTA DEL \ 1 1,LA( i( ;i( i < ■. ■ .••. "> lA'GH. rXA «FANTASIA» DI DONNI; «... IL DEGIAC . . . PRANZO SEMPRE CON NOI, ALLA NOSTRA STESSA TAVOLA ... ». (Pag. 14--^) — 145 — sotterranee, e mostrano, nelle pareti scavate dalla mano dell'uomo, la natura degli strati geologici sovrapposti: calcari, argillosi e cretacei. Alla bocca del pozzo si ap- palesa il superflciale strato gessifero, e quindi successi- vamente andando verso il basso, la marna, l'argilla, la creta e, soprastante al velo liquido, la roccia di carbo- nato e di solfato di calce. Quindi ben si comprende come l'acqua di certi pozzi debba contenere in soluzione molti sali cbe la rendono sapida ed amarognola, sgradevole al gusto, e negli effetti sull'organismo umano, sjjesso non indifferentemente lassativa. Talvolta esala perfino un odore acutissimo di anidride solforica e solforosa. Queste acque son dunque pessime sotto tutti i rapporti ; servono malamente a lavare perchè non isciolgono il sapone, conferiscono un sapone insopportabile alle carni ed agli ortaggi clie vi si cuociono, e sono nauseabonde a beversi, sebbene talvolta la nausea derivi ancbe dalla soluzione di sudiciume, niente affatto minerale, che le intorbida per colpa degli indigeni e degli animali che lascian cadere indifferentemente nei pozzi ogni sorta d' immondizie. Penso che non sarebbe privo d' interesse ed anzi uti- lissimo, uno studio profondo e completo sul regime delle acque sotterranee nella Somalia; si comprende come tale studio illuminerebbe i problemi della viabilità, semplificandone la soluzione e porterebbe un neces- sario contributo alle direttive dello sfruttamento colo- niale, indicando molto spesso le varie possibilità di colti- vazione di ogni zona del paese. A quei pozzi aflìuiscono di continuo le greggi a dis- setarsi ; si vedono allora avanzare tutti quegli innume- 19 — 146 — revoli e mobili biancori come un molle lìume latteo; qua e là qualche maccliia nera punteggia la candida stria ; sono le graziose pecore, con la testa nera, che sem- brano scolpite nell'avorio e nell'ebano, miste alle eleganti caprette che saltellano irrequiete in vicinanza dei pozzi; e da tutto quell'ondeggiante e scorrevole fiume di lanose creature si leva un concerto di belati, alcuni profondi, altri, quelli degli agnelli più teneri, striduli ed acuti simili a vagiti umani. Le brune pastorelle, che accom- pagnano le greggi, non sono prive di grazia ; sembrano spesso squisite statuette di bronzo, ed hanno una certa foggia di acconciatura, un certo modo di drappeggiare sul corpo snello i luridi cenci, una certa ingenua ele- ganza di pose, che le fanno stranamente rassomigliare ai piccoli capolavori di Tanagra. Giungono spesso a dissetarsi anche le mandre dei cammelli ; si vedono allora arrivare lunghe file di quegli strani animali che avanzano goffamente come se fos- sero impastoiati, sulle alte gambe nodose, ondeggiando i dorsi gibbosi, e piegando i lunghi colli con un mo- vimento serpentino; guardano con i dolci occhi pieni di un assonnato stupore e si dis-pongono in lunghe file attendendo il loro turno. Perchè questa operazione di abbeverare le mandre, vien fatta con un sistema assai primitivo; i truogoli son collocati ad una certa distanza dai pozzi, e i pa- stori si dispongono in catena fra il pozzo e il truogolo, tal quale come i pompieri dinanzi ad un incendio quando mancano le pompe. Il più vicino al pozzo attinge l'acqua con un piccolo otre di cuoio, che poi vien passato, di mano in mano, fino all'ultimo che lo versa nel truo- golo ; dinanzi a questo, ad uno ad uno, passano gli ani- mali, e bevono, mentre quelli che ancor son lontani. — U7 — attendono pazientemente il loro turno dimostrando però la loro bramosia. Questo improbo lavoro, per il sistema con cui vien compito e per i mezzi primitivi, ricliiede naturalmente gran tempo e gran fatica, tanto più quando i pozzi son molto profondi o quando l'acqua scarseggia. In mezzo ad una vasta radura, nella regione deno- minata Forborale, sono scavati i pozzi di let. Accanto ad essi, due grandi alberi senza tronco, aprono i loro rami e stendono le loro fronde, come due giganteschi ventagli verdi. In tutto il resto della radura circolare elle ha quasi un chilometro di diametro, il suolo è com- pletamente nudo. Xon lontano dai pozzi di let si scorgono avanzi di coltivazioni e di un antico villaggio denominato Bilan- Babasc, che eran proprietà degli Adama, una delle fa- miglie della tribù Eahanuin. Poiché tutto il territorio che circonda la lunga serie di pozzi da me enumerati, serie che incomincia con Goriale e finisce con let, è sempre apj)artenuto ai Eahanuin. Io lo trovai invece occupato dagli Afgab, ma questi vi eran giunti da poco, spinti da quel vasto movimento di spostamenti succes- sivi, simile a quello delle onde marine di cui ognuna avanzando occupa il posto della precedente, prodotto dallo straripamento della invasione amharica, che, som- mergendo alcune popolazioni ed assoggettandole al giogo abissino, ha provocato nelle popolazioni vicine il terrore d'esser sommerse alla lor volta; così queste ultime han tentato di sfuggire il pericolo, volgendo il tergo all'in- calzare degli amhara, e portando necessariamente il con- traccolpo nelle altre tribù, che via via si paravano «lavanti, pronte a resistere e a combattere. — 148 — Per tali eveuti gii Ogadeu, premuti dagli Arussi e dai Gurra si spostarono verso il sud occupando il ter- ritorio dei Rahanuin. Questi ultimi, che, a differenza degli altri, sono per lor natura agricoltori, incatenati alla terra dalle coltivazioni che dovevano proteggere, non poteron seguire la corrente della fiumana di po- poli che migravano verso le regioni australi; però ac- colsero mal volentieri i non desiderati ospiti e tenta- rono ogni mezzo per opporsi alla minacciosa invasione degli Ogaden. Questi ultimi, aiutati materialmente dagli abissini, divenuti ormai dominatori delle regioni poste al settentrione, si fecero più aspri e implacabili nella lotta tradizionale contro i Rahanuin. Negli ultimi tempi le querele si sono complicate e le i)arti quasi rove- sciate. Gli Ogaden e i Di-Godia, si lasciavano di buon grado sospingere sempre più al sud, sperando così di finire per incorporarsi con i Eahanuin, i nemici di ieri, far causa comune con essi e rimanere quindi sotto il desiderato dominio degli italiani. * A let impiantammo l'accampamento, in modo da poter fare un'altra lunga sosta. Il grande inconveniente di questa località era il continuo via vai di indigeni che affluivano dai villaggi sparsi nei boschi a prender acqua e ad abbeverare gli armenti; giungevano coi loro caratteristici recipienti formati da grandi anfore rivestite da cesti di vimini intrecciati; e si spingevano innanzi numerose mandrie di bovi che avevano una piccola gobba sulle spalle come gli zebù indiani. Gli uomini e le donne, formando pittoreschi grux^pi, si accoccolavano in cerchio e atten- — 149 — devano pazientemente lunghe ore, finché il bestiame non si fosse dissetato. Siccome fortunatamente vi erano molti pozzi, ne destinai due alla mia gente ed ai miei quadrupedi, ne assegnai altri due agli abissini, e lasciai il resto per gl'indigeni; così potei ovviare agli inconvenienti, che la promiscuità cogli indigeni ci avrebbe procurato, e riuscii ad attingere acqua non intorbidata dalle immon- dizie e ad evitare la sorj)resa di pescare con la secchia qualche vecchio cencio ben macerato. Durante i lunghi soggiorni, come questi di let, ho avuto modo di studiare a fondo il carattere dei nostri ascari arabi. Questi i)reziosi soldati coloniali, sono poi nella vita intima, dei veri fanciulloni. Sempre allegri, vivaci, vogliosi di scherzare; trovano modo di ridere su tutto, e tutto li diverte; ma, appena si trovano in servizio o vengono chiamati da un superiore, divengono ad un tratto seri, impassibili, rispettosi, e rimangono impalati, sull'attenti, come statue di legno. Appena son lasciati liberi, ritornano subito vis^n ragazzi, e spalan- cano la bocca in gran risate, mostrando le candide dentature luccicanti. Bisognava vederli all'accampamento, la sera, verso il tramonto, nell'intimità, quando dopo finito il servizio si abbandonavano alla loro naturale allegria : alcuni si riunivano a crocchio intorno al fuoco, e gettandosi l'un l'altro frasi scherzose, preparavano il caffè nelle loro giabene^ cuccume arabe di rame o di terra; altri si ap- })artavaiio per dire le loro preghiere, con l'aria di com- piere un dovere qualunque di servizio ; fra di loro qual- cuno assumeva invece un'aria di asceta estatico che contrastava stranamente con la sua abituale giocondità e con il frastuono chiassoso del campo ; più in là sotto — 150 — una baracca improvvisata o sotto una tenda, un gruppo si metteva a cantare in coro qualche strana nenia del paese nativo, accompagnata dalle monotone modula- zioni di un piffero e dal ritmico batter delle mani, pro- ducendo un misterioso senso di inspiegabile nostalgia. Vi è pure fra loro qualcuno che soffre; son pochi am- malati sdraiati seminudi sotto le t^nde; ma non mo- strano alcun abbattimento ed hanno un'aria serena e rassegnata che non ispira la malinconia. Aspettano con fede e con pazienza che Allah li faccia guarire, perchè tutto viene da Allah, secondo loro ; e questo fatalismo, che potrebbe sembrare una debolezza, è spesso invece origine di una gran forza, sconosciuta a coloro che cre- dono nella volontà e nella potenza umana, e che poi di quella volontà e di quella potenza, troppo facilmente sindacabili e sottoposte alla critica, finiscono per du- bitare. * Il nostro accampamento di let era assolutamente privo d'ombra, e non aveva altri ripari all'infuori della zeriha; si può quindi immaginare quello che accadde il giorno in cui un turbine si rovesciò su di noi ; lo spet^ tacolo sarebbe stato buffo se non fosse stato seccante. Era un vortice di polvere asfissiante, opprimente, accecante; e, dentro di esso, le tende divelte si rincorrevano come i cavalli d'una giostra. In aria poi, fino ad inverosimili altezze, giravano follemente vestiti, coperte, cenci di tutti i generi, e carte, foglie secche e frasche; si jjuò immaginare l'aspetto del campo dopo che, passato il ci- clone, smessa la tregenda aerea, tutta quella roba, si degnò di ritornare in terra! Era uno spettacolo lacri- mevole e veramente indescrivibile. E quanta fatica ci — 151 — volle per riordinare tutto, e quanta pazienza per ritro- vare la nostra roba, di cui molta era andata a piovere a centinaia di metri di distanza! * Per corrispondere con Lugh mi fu utilissimo un gio- vane indigeno chiamato Derò, bel tipo di Gubain, snello, slanciato, diritto come un palo, che, pel modo con cui si drappeggiava e per le pose ieratiche che prendeva, ricordava esattamente le antichissime statuette egiziane ; era questi un podista miracoloso che percorreva abi- tualmente quel centinaio di chilometri intercedenti fra Dolo e Lugh, andata e ritorno, in due giorni e tre notti, e, quando c'era fretta, in un tempo molto minore. Però queste grandi corse, e la nevrosi di cui soffriva non gli toglievano mai l'allegria. Ma io, sapendolo affetto da quella malattia, e non avendo potuto trovare, ne farmi mandare da Lugh un interprete che mi servisse nelle relazioni con i Eahanuin, conferii a Derò questa carica, e Derò seppe disimpegnarla con zelo e premura. Quasi ogni giorno giungeva al campo qualche capo Eahanuin, che si era finalmente deciso a venire dopo reiterate insistenze e perfino minacele da parte mia. Ap- pena venuti cercavano ogni mezzo per andarsene su- bito, allegando insignificanti interessi domestici ai quali davano maggior peso che alla sistemazione del loro paese; sembrava quasi ch'io non lavorassi per loro, e che la delimitazione del confine non li interessasse, mentre invece essa doveva avere per risultato di libe- rarli dalle razzìe degli Afgab e degli Amhara. . . Oggi era Mohamed Nur, capo degli Adama, che vo- leva toriuire a casa perchè suo figlio stava per pren- — 152 — der moglie ; l'indomani era Islau Mallelo, capo dei Gasar- Giiddà, che voleva recarsi a Lugli per vendere nna vaccai Così dovetti lottare anche con il contegno am- biguo dei capi che dicevano d'essere nostri sudditi. Ma in verità, assai limitata era la nostra autorità su di essi, che per paura degli Amhara, si peritavano a darci indi- cazioni e informazioni, anche nel loro interesse ; e se io li richiedevo di servirmi da guide mi rispondevano che non conoscevano il paese ! Gli Afgab e i Di Godia invece obbedivano come automi agli Amhara loro dominatori ; si erano stabiliti nel luogo dove era loro stato ordinato di farlo, e a me ripetevano con scrupolosa esattezza la lezioncina che dagli Abissini era loro stata insegnata. A queste difficoltà prodotte dalla malevolenza degli uomini, a queste continue e sistematiche congiure contro la speditezza del rilievo della zona frontiera, se ne ag- giungevano altre ai)partenenti alla natura. Il terreno coperto jdi folta vegetazione e privo di accidentalità nettamente individuate non permetteva il collocamento dei segnali trigonometrici con quella sollecitudine che sarebbe stata desiderabile ; quindi finii per decidermi a far interrompere la regolare triangolazione che richie- deva un tempo enorme, ed a procedere, d'ora innanzi, con un rilievo speditivo. Gli Abissini furono lietissimi di quella mia decisione,; perchè avevano pochi viveri e temevano il sopraggiungere delle pioggie autunnali. Richiamai quindi i toi)ografl che erano ancora a Der- mangit e diedi loro le nuove istruzioni. Il 27 di settembre fu una giornata significativa per due avvenimenti che la distinsero dalle altre. AI ri)/,/J 1)1 DtKEI. :^ « ... CH KJ-l-"<»Nl>H.M l'A* iXA.NO I.K <;KK) « ... <;nx<;()N() spe.sso a dissetar.si anche le maxdre DEI CAMMELLI ... ». (Pag. i46) ] — 153 — In quel giorno gli abissini festeggiarono il Mascal o festa della croce. Verso il tramonto, si schierarono tutti in lungo ordine fuori dell'accampamento, sostenendo altissime pertiche in vetta alle quali eran legati fastelli di fieno intriso nel sego ; in mezzo a loro il prete abis- sino recitò lunghe preci, poi essi richiusero il cerchio e deposero nel centro i fastelli, su di un nido di ter- miti ; quindi appiccarono il fuoco al gran monte di fieno e di grasso che avevan formato. La notte era calata, e la fiamma si levò altissima nell'oscurità come una vam- pata di vulcano, e intorno ad essa freneticamente si agitavano centinaia di figure nere con contorsioni spa- smodiche ed urli da forsennati. Nello stesso giorno era accaduto che un ascaro, es- sendosi recato, contrariamente alle mie prescrizioni, a raccogliere foraggio da solo, si era smarrito. Il giorno dopo, non vedendolo ritornare, molto inquieto sulla sorte che poteva essergli toccata, inviai grossi pattuglioni perchè ad ogni costo lo ritrovassero ; ma gii esploratori tornarono dopo mezzogiorno senza aver visto nessuno. Nel pomeriggio, quando già cominciavamo a perdere ogni speranza di poter rivedere il nostro bravo sol- dato, questi ritornò accompagnato da un giovane so- malo. L'ascaro era ridotto in uno stato compassionevole per la fame, la sete, la stanchezza ; e ne aveva ben ra- gione; aveva camminato per due giorni e una notte senza cibo, senz'acqua e con lo spavento di non ritro- vare più il campo e rimaner solo, abbandonato, sper- duto in mezzo alle inestricabili boscaglie. Eppure, anche in quelle critiche condizioni, aveva trovato l'energia per mercanteggiare il compenso al giovane somalo che doveva servirgli da guida per ricondurlo al campo ! Si trattava della vita o della morte, ma per quel bel tipo 20 — 154 — di ascaro era ugualmente importante il non lasciarsi imbrogliare e prendere per la gola, e il non dare un tallero più del giusto al suo salvatore. Questi ascari non dimenticano mai d'aver nelle vene il sangue dei commercianti e nell'animo l'istinto del traffico. A la- sciarli fare commercerebbero continuamente. * Alcuni giorni dopo l'avvenimento veramente memo- rabile fu l'arrivo d'un telegramma che ci annunciava l'inizio della guerra italo-turca e la successiva presa di Tripoli. Chi può descrivere la profonda commozione che una notizia come quella potè produrre nel cuore di italiani ch'eran così separati dalla loro madre patria! La pianura somala svanì, svanì l'accampamento, svanì la distanza enorme. Fu come se gli orizzonti si apris- sero per lasciar posto a un grande azzurro e ad un gran verde . . . L'azzurro del nostro cielo, il verde dei nostri campi. Non eravamo jjìù laggiìi sperduti nell' in- terno del continente nero . . . Noi li vedemmo sventolare i nostri tricolori sulle torri eccelse, dai balconi infio- rati, sulle folle urlanti di entusiasmo ; e fra quelle folle fummo confusi commisti anche noi, anche noi urlammo gli evviva e cantammo gi' inni della patria . . . Tanto fu l' impeto di gioia e d'amore che violentemente agitò le anime nostre, che ci parve con quelle di travalicare bo- schi e deserti ed oceani, e raggiungere la grande anima nazionale per fonderci in essa, e con essa esultare di gioia. Anche gli abissini mostrarono di apprender la no- tizia con gran piacere e con viva simpatia e fecero voti per la nostra completa vittoria. « ... SONO SCAVATI I rozzi DI IKT... >^ (Pag. 147) II. CAMIM) I>I IKT. 1 B -',- AFFLI IVANO X>AI VILLAGGI SPARSI XKI 15(»!SC1I1... AD ABBEVERARE GLI ARMENTI ...» (rag. 14S) ■Éf- (ÌKANDI ANFOKK UnKSTriK J>A cesti di VIMINI INI KK( ( lAl 1 . . . ». (Pan. ilS) — 155 — Il degiac volle che gli mostrassi la carta della Tri- politania, ed esaminandola non finiva di meravigliarsi e di ammirarci perchè noi avessimo osato di muovere alla conquista d'una terra che era tanto più grande della stessa Italia. Eiprendemmo la marcia il 16 ottobre, lasciando al campo di let tutto ciò che non ci era strettamente ne- cessario, in modo da poter percorrere rapidamente la zona di frontiera onde eseguirne, come ho già detto, uno speditivo rilievo. Prima della partenza gli abissini ave- vano tentato di far risorgere i contrasti e mi oppo- sero non pochi ostacoli; si vede che provavano ormai la nostalgia dei loro sfoggi oratorii di Dolo durati quattro mesi ; ma io troncai ogni indugio e feci togliere il campo. Da let a Uascen il terreno si conserva sempre pia- neggiante e la flora non muta: poche varietà di om- brellifere, generalmente di basso fusto, più o men folte a seconda della natura del terreno, e frammiste a gom- mifere e a piante grasse poco elevate dal suolo. Sulle sponde dei torrenti, sulle prode dei fossi, negli impluvi, crescono invece grandi e belle ombrellifere ed altre piante di alto fusto, per lo più sempreverdi, le quali fanno un gradevole contrasto con la maggior parte della vegetazione, priva, quasi tutto l'anno di foglie, sì da sembrare bruciata ed impotente ad ogni germoglio. Per contro, subito dopo le pioggie, questo immenso bosco di aghi, di spini, di sterpi come per incanto si trasforma ed assume le gradazione del verde, dal te- nero color dell'erba al cupo bronzo dell'alloro; e s'in- ghirlanda di fiori dal profumo veemente, quasi acre. 15() Cessate però le pioggie, uua medesima rapidità fa di- sparire fiori e foglie, ed allora, sotto il dominio del ca- lore tropicale, sembra clie da per tutto sia trascorsa una grande vampata di fuoco. L'erba non alligna dovunque; talvolta nemmeno dove è terriccio vegetale: che questo è troppo travagliato dai venti per dare al seme la pace favorevole ad ogni fecondità. Perciò il foraggio è scarso; un poco se ne trova nelle bassure, ove una più lunga dimora delle acque ba reso compatta e consistente la terra ed un poco attorno ai cespugli ed ai tronchi degli alberi, al riparo dal vento. Da Uascen, 1 cui pozzi contenevano la solita acqua puzzolente, traversammo una bianca spianata di ter- riccio calcare per giungere ad Ato dove l'acqua aveva un sapore meno nauseabondo. Ad Ato ci dovemmo arrestare perchè i delegati etio- pici mi comunicarono un ordine del loro Governo, che, d'accordo con la nostra Legazione autorizzava a sospen- dere i lavori per ragioni di sicurezza. Analoghe istru- zioni ricevetti direttamente dal nostro Ministro. Ed in realtà verso l'Uebi Scebeli le popolazioni erano in fer- mento, tantoché i soldati di Degiac Tafari avevan do- vuto impegnare aspri combattimenti per tranquillizzare la regione. Dovetti obbedire, sebbene mi dolesse moltissimo di non giungere fino all'Uebi Scebeli. Però, siccome ero certo di aver rilevato esattamente la parte principale della frontiera, e sul resto avevo raccolto informazioni e dati sufficienti per poter offrire salde basi alla deli- — 157 — mitazione del territorio, così potevo ritenere come rag- giunto lo scopo della missione che mi era stata affidata.. Facemmo quindi ritorno a let, da dove gli abissini per la comoda via carovaniera da me già descritta nel quinto capitolo, dovevano dirigersi verso Ghigner. Ed ora diamo pure uno sguardo d'insieme alle varie tribù che s'incontrano lungo la frontiera. Sul territorio posto sotto la nostra frontiera abitano le tribìi dei Eahanuin, dei quali parlerò in seguito ; su quello posto sotto la dominazione etiopica, dopo alcune famiglie che dimorano nei paesi di Dolo, si incontrano subito gli Ogaden. Soltanto tre sotto-tribù Ogaden abitano la zona di frontiera, e precisamente da ovest verso est, gli Afgab, gli Aden-cher e gli JJafetttb. Queste sotto-tribù, che por- tano il nome comune di Haulian, sembra che abbiano avuto la loro denominazione da tre tìgli di un celebre capo Ogaden chiamato Mumi: «) Afgab. — Gli Afgab sono quelli che maggior- mente interessano per l'estensione del territorio di fron- tiera da essi abitato, per il loro numero abbastanza rile- vante e per la loro dislocazione rispetto ai due centri di Lugh e di Baidoa. Io trovai i primi Afgab a Goriale ; mi si prentarono con doni e si protestarono sudditi italiani ; subito, con mio e loro vivissimo dispiacere, dovetti, al riguardo far cadere ogni illusione. Anche ai pozzi di Eobodi, di Durei, di Dermangit e di let trovai « villaggi » di Afgab, i quali però, interrogati, rispondevano sempre che il territorio non era loro, ma che invece apparteneva ai Eahanuin. — 158 — Il veccliio Omar Fara di ottant'anni, del rer Afgab denominato Niir Fara, che io interrogai a Durei, pre- senti molte persone del suo villaggio, mi assicurò che i pozzi di Goriale, Abdio, Nur, For, Borale, let ed Ua- scen api)artenevano ai Rahanuin. Aggiunse che, da poco tempo, gli Afgab si erano stabiliti in questi luoghi; e precisamente in seguito allo spostamento verso il sud provocato dalla invasione amahara. I Rahanuin, ricchi di pascolo, amanti del quieto vivere e dediti all'agricol- tura, si raccolsero attorno alle coltivazioni, lasciando abbastanza tranquilli gli Afgab che, per quanto gua- dagnassero ogni giorno terreno, costituivano un argine alla minacciosa espansione amhara. Anche a Dermangit i capi Abdi Gir ed Osman Has- san der rer Hassan mi dissero che, da un anno soltanto, gli Afgab erano stabiliti in territorio Eahanuin sulla fronte Robodi-Durei-Dermangit-Iet ; che prima abita- vano molto più a nord, nella località di Coclè, Uetcal, Dercadò e Bodlé. Analoghe dichiarazioni m'ebbi da Teiss Hssuen del rer Haillé Nur, capo residente a Eobodi, mandatomi dal fitaurari Mamo perchè lo interrogassi. Data l'abitudine dei capi abissini nel preparare le risposte in bocca agli indigeni, si può ritenere che il Teiss Hussen abbia per lo meno detto la verità. All'arrivo della Missione gli Afgab erano in lotta con tutte le tribù Eahanuin, ciò nondimeno qualche famiglia Afgab si recava liberamente a Lugh per ra- gioni di commercio. Gli Afgab pagano il tributo all'Abissinia, regolar- mente, dall'epoca delle incursioni dell'allora degiac Lul- seghed. Da quel tempo, un capo abissino è rimasto a « ... M A( ( ()( ( (iI.A\ AMI IN ( 1;K( IIK) K ATTKNDKVANO l'AZIKNTEMENTE HN(;HE OKE. (l'agrj. US-149) i i EKA (^ll'-Sri IN l'OlUM \ Mli;\((>l. (l'nn. ì:,1) «...ISLAU M.VLLKLO, CAPO DEI OASAR-OUDDA . . . ». (l'an. 15 IO IX QiKL (iioKxo <;li abissini ki:stk(;<;iak(»n<) ir. « mascal » . . . ». (Pag. 153) — 159 — sfruttare il paese. Ora vi risiede il Cagnasmacc Te- samma dipendente di degiac I^ado. Gli Afgab avranno forse un migliaio di fucili, ma poclie cartucce che acquistano dagli amhara. Tale acqui- sto è stato fatto con la più grande disinvoltura, pur durante il passaggio delle due Missioni . . . h) Adex-cher. — Questa gente meno numerosa degli Afgab occuperebbe ora i pozzi fra Uascen ed Ebesale, frammista, nell'ultimo tratto est, ai Eer Ali, tribù anche essa di origine Ogaden e che non si sa ancora se ap- partenga a degiac Nado ed a degiac Tafari. Gli Adencher invece sono sudditi di degiac Kado al quale inviarono i propri capi: sembra che non abbiano sempre pagato il tributo regolarmente. Il capo Mohalli lusuf Mohamed che viveva fra gli Aden-cher e che io potei interrogare più volte, mi assi- curò che allora Aden-cher e Eer Ali occupavano i pozzi di Elbait, Aultire, Guddera, Gududuale, Elbar, Elme- ghit ed Ebesale ; che però, tanto il territorio occupato, quanto i pozzi appartenevano di diritto ai Eahanuin. e) Uafbtab. — Costoro, all'epoca del passaggio della Missione, abitavano a nord della linea di fron- tiera. Non avendo ancora fatto completa sottomissione agli abissini, mi si disse, anzi, che combattevano con molto accanimento contro i soldati di degiac Tafari. d) GiAGEL. — I Giagel sono, come i Di-Godia, di ori- gine Hauia. Anch'essi pastori e nomadi, confinano verso sud coi Baddi Addi. Il limite tra le due tribù non è molto ben definito. Stando ai miei informatori il limite più probabile, partirebbe da Ebesale per giungere al monte Duldir, passando pel pozzo El-Afuin. — 160 — Pare che i Giagel abbiano circa 300 fucili. Mai sono stati sottomessi agli abissini. * * * Avevo ricevuto l'ordine di recarmi alla costa somala per la via più breve ; dovetti separarmi dai delegati etio- pici, e, contro ogni pessimistica previsione, il distacco fu abbastanza commovente. Avevamo avuto, è vero, fra noi, lunghe discussioni, con le quali essi mi avevan tor- mentato fino all'esasperazione, e durante le quali non avevo mancato di difendere strenuamente i nostri di- ritti, anche quando ciò mi forzava a pronunziare le aspre parole e gli acerbi rimproveri che essi meritavano, ma in fondo devo confessare che non mi avevano mai mancato di rispetto, e che anzi mi avevano spesso di- mostrato deferenza e simpatia. E poi ... e poi, è inutile : le lunghe fatiche, gli aspri disagi sopportati insieme, i lunghi viaggi attraverso regioni ignote, deserte, semi- nate di pericoli, accomunano gli uomini più che non si creda, senza che essi lo vogliano e nemmeno se ne ac- corgano. Dinanzi alle ostilità della datura ostacolante la vita umana, gli uomini si sentono tutti della stessa razza, e sono insensibilmente attratti l'uno verso l'altro, anche se la diversa stirpe, la diversa educazione, gli op- posti interessi sembrano dividerli. Prima eh' io mi dipartissi, i capi, venendo a salutarmi, pronunziarono parole di calda simpatia e mi sembrarono commossi; e dopo i capi, anche gli inferiori, anche i semplici soldati vollero stringermi affettuosamente la mano, ad uno, ad uno, tutti, fino all'ultimo. Poco prima della partenza ricordai al degiac di com- piere un atto che aveva dimenticato di fare fino allora. — 161 — ed egli mi accontentò. Presenti gli interessati promise di risolvere al più presto alcune questioni pendenti fra i sudditi nostri e quelli abissini. Ma il momento di piti alta commozione fu quello nel quale Deghegné, capo degli Afgab appagando un mio desiderio sul quale in- sistevo da molto tempo, concluse la pace con gli Adama e con i Luhai giurando clie non avrebbe fatto più razzie sul loro territorio. Mentre Deghegné e il cadì degli Adama si abbracciavano e si baciavano, tutti gli altri capi pre- senti tacevano, impressionati e commossi ; ed io pensavo che i dolci sentimenti di pace, di perdono e di frater- nità devono avere una grande intima potenza se pos- sono i giungere a toccare il cuore anche di genti che hanno incancellabile nel sangue l'istinto della guerra e della rapina. E dovetti pure, con gran dispiacere, separarmi dai miei buoni ascari amhara, che dovevano tornare ad Ad- dis-Abeba. Eran tutti commossi fino alle lagrime nel salutarmi e mi chiedevano perdono se qualche volta avevano mancato. In dieci mesi di vita comune avevo imparato ad apprezzarli ed a conoscerli profondamente ; ma mai come in quell'ora del distacco avevo potuto così chiaramente vedere che anche essi hanno un cuore sen- sibile, e si aifezionano fortemente a chi li tratta bene, e magari con severità, purché non disgiunta dalla giustizia. L'ultima visione che mi è rimasta di quell'addio, è quella di Oerenet, un ragazzetto vivace e chiassone, di soli quattordici anni, che mi aveva sempre seguito come un cucciolo ringhi osetto ma fedele, e che, al momento della partenza, mi si gettò ai piedi scoppiando in singhiozzi e supplicandomi ch'io mi degnassi considerarlo sempre come un mio figliuolo! 21 «... I. II.TI.MA \ISIUNI ( IIK MI K KIMASTA 1>I <; l' KLL A DDK ) . . . ». (Pati, idi) VII. BAIDOA. n 26 ottobre levammo le tende per iniziare il viaggio di ritorno. Il mio compito era assolto. Adesso non restava più elle fare una non breve e non facile traversata della Somalia; ma, al termine di questa, ci saremmo trovati sulle rive dell'oceano, in cospetto all'orizzonte, su cui si vedono i piroscafi che navigano verso la cara patria. Decisi di dirigermi alla sorgente di Baidoa che dà il nome alla regione, e che è il centro più importante del paese dei Rahanuin. Traversammo il torrente Medul, dove si trova un pozzo, con acqua poco abbondante ma buona. Dalla sponda sinistra scorgemmo grandi piramidi di sassi che sembra van squadrati dalla mano dell'uomo ; eran le so- lite tombe dei Madenle, gravi monti di pietra che com- primono per sempre cadaveri innumerevoli di uomini scomparsi senza storia. Facemmo la prima tappa ai pozzi di Curalle, dove l'acqua era forse la peggiore fra quelle che avevamo fino allora inumidito le nostre gole riarse. Sembrava la più disgustosa delle medicine. Satura com'era di anidride solforica che emanava un fetore nauseabondo, appestante l'aria d'intorno, ci provocava la nausea nel beveria ed intaccava perfino il metallo delle posate. — 164 — L'aspetto del paesaggio non era mutato: pianura sconfinata ricoperta di sterpi, di rovi, di macchie intricate. Dopo Ouralle non s'incontra più un pozzo fino a Siggià ; son dodici ore di marcia, che naturalmente non si possono compiere in una sola volta ; e d'altra i)arte non potevo portarmi dietro l'acqua sutììciente per tanti uomini e tanti animali. Decisi quindi di partire nel po- meriggio, riposare la notte a metà strada e riprender la marcia all'alba. Ma tutte quelle ore senz'acqua mi preoccupavano non poco. Ad ogni modo, visto che non c'era altra soluzione, dopo aver camminato per circa cinque ore, feci arrestare la testa della carovana, cal- colando che la coda ci avrebbe raggiunto prima che scendessero i velari della sera. * * * Eravamo nel fitto d'una vasta ed intricata boscaglia, in un luogo solitario dove il sentiero è raramente fre- quentato. La tenebra ormai ci avvolgeva da tutte le parti e lo strano bivacco era pervaso da quella specie di apprensione e di disordine che genera la mancanza d'acqua. Le bestie si agitavano e scalpitavano, inquiete ; gli uomini non dormivano tormentati dalla sete, quasi non sentendo la stanchezza, impazienti di riprendere il cammino. Io ascoltavo quel nervoso brusìo, quell'irre- quieto malessere che serpeggiava fra i gruppi agitati di uomini e di animali, e pensavo con terrore a quel che avverrebbe se, invece di altre cinque o sei ore, aves- simo dovuto marciare ancora per un giorno o due prima di arrivare ad un pozzo. E di nuovo mi pareva strana, incomprensibile la nostra indifferenza di euroijei dinanzi all'acqua, abituati come siamo a dover soltanto girare — 165 — un rubinetto, in casa nostra, per vederla scaturire lim- pida, fresca, inesauribile ; mi pareva strano, incompren- sibile di non aver mai pensato, in Italia, in casa mia, a quel cbe rappresenta, per una popolazione, l'abbon- danza dell'acqua, di non aver mai valutato fino a qual punto sia prezioso e necessario questo liquido elemento di vita. Grandi fiammate si alzavano rombando, scoj)- piettando, lanciando le lingue ardenti, frenetiche verso il cielo, illuminando di riflessi rossastri l' intrico oscuro dei rami, fra cui occliieggiava il palpito di qualche stella. A un tratto, un coro di voci si levò nella notte, una nenia assonnata, strascicante, malinconica, quasi lugu- bre; e seguitò per ore ed ore, con le sue modulazioni tristi; seguitò, come se nulla la potesse troncare, fino all'ossessione. Eran gli ascari, che volevan restar desti per partire il più presto possibile, e, accoccolati intorno alle fiamme, cantavano le arie del loro paese. Ancora prima dell'ora stabilita cominciammo a rica- ricare le some, senza clie quasi nessuno fosse riuscito a riposare. Per poterci vedere si gettò nuova legna secca sui fuochi, e le fiamme ingrossate, insanguinando l'oscu- rità, davano alla scena di tutto quel rimescolìo di gente che si agitava impazientemente, un aspetto quasi tra- gico. Sembrava che si bruciassero dei cadaveri, e che quelle centinaia di uomini si affannassero per paura di non arrivare in tempo ad incenerirli tutti. Finalmente, dopo il faticoso lavoro del ricaricamento, la tromba della j)artenza squillò spandendo il suo suono, stranamente, nei silenzii dei boschi addormentati, e la lunga caro- vana si mosse, si avviò serpeggiando, dietro una lan- terna accesa, fissata in vetta ad un palo, che doveva servir da guida. La interminabile fila di uomini e di animali si avanzava brancolando nel l)osco, insinuan- — 166 — dosi nell'oscurità e flanciieggiata da rami accesi, portati a guisa di torcie, che facevano pensare ad un immenso corteo funebre di tempi favolosi. Forse attraverso a quel bosco selvaggio si trasportava la salma di qualche eroe? E si sarebbero sentite echeggiare le immortali note del « Crej)uscolo », gli squilli strazianti della marcia funebre di Sigfrido? Non le note del gigantesco genio della Tetralogia si udivano, ma i lugubri squilli della tromba che ogni tanto richiamava gli sperduti, e la cui voce, attraverso all'intrico dei rami, sembrava giungere da una lonta- nanza chimerica. La ondeggiante lanterna che ci serviva da guida, dondolava e brillava in alto dinanzi a noi a intermit- tenze, come una enorme lucciola gialla. Dove ci condu- ceva? Non si sarebbe spalancato ad un tratto d'innanzi a noi qualche abisso, qualche baratro insormontabile nel quale saremmo tutti piombati ? Talvolta, ad un tratto, il cuore si stringeva all'idea che potessimo sperderci in quelle boscaglie senza uscita, e ci traversava l'anima l'assurda fantasia che il giorno non dovesse nascere più. La luce della lanterna e delle torce empiva di va- cillanti riflessi luminosi i tronchi e i rami, che un mo- mento si disegnavano netti sul fondo oscuro, i)OÌ si som- mergevano di nuovo nell'ombra. E, al nostro passaggio, il bosco sembrava destarsi spaventato. Misteriosi battiti d'ale, fruscii di foglie secche, schianti di verbene, stri- sciamenti rapidi si udivano nelle macchie vicine, come se un intero popolo celato di esseri maligni si svegliasse ; ed avevamo la sensazione d' infiniti occhi invisibili fissi su di noi con espressione di terrore e di odio. Ad ogni poco, nelle profondità della tenebra, ci sembrava di ve- dere qualche ambigua forma che fuggisse senza rumore, AI roZ/I 1>I SKJCilA. INTEHKo.Mi'KS ANO l.N .Mw.MKNlo 1 ],t»K<> i,A\i)Kl CAMPESTRI E VI OSSERVAVANO IMMOBILI ... ». (Paria 17i^-17:>J — 167 — come un fantasma. Uomini! Animali? O soltanto un giuoco di riflessi delle nostre mobili luci? Talvolta la stanchezza ci prendeva; ma si continuava ad avanzare senza troppo guardare dove si andasse come in una specie di lucido dormiveglia; ed ecco eravamo subi- tamente destati da un'acuta puntura, da uno sgraffio, da uno sbrano cbe ci faceva sanguinare la pelle e sus- sultare : qualclie aculeo uncinato, qualche ramo spinoso, come se .si fosse con subdola malignità proteso dalla tenebra, ci aveva fatto l'aspra carezza... Finalmente l'intrico dei rami cominciò a disegnarsi in nero sul cielo schiarito ; l'alba tanto sospirata si levò, e i primi raggi scagliarono fasci dorati attraverso il fogliame. Ma non ce ne venne troi)po sollievo, perchè coll'avan- zare dell'ora, si manifestavano gli effetti della lunga marcia e del mancato riposo ; una grande stanchezza ci appesantiva il corpo, resa più grave dall'arsura delle fauci e dal calore asfissiante, dall'afa terribile di quella mattinata veramente africana. Giungemmo a Siggià alle undici e mezzo, ma il resto della carovana continuò ad arrivare, a gruppi separati, durante tutto il pomeriggio ; e gli ultimi comparvero soltanto verso l' imbrunire, tra- scinandosi affranti per stanchezza. Appena giunto, avevo requisito tutti i recipienti ed i cammelli ed avevo man- dato acqua incontro a sollievo di quella parte della carovana che indugiava e stentava per via. * * 1 pozzi di Siggià sono situati nel fondo ghiaioso di una specie di torrente e scavati attraverso a strati levi- gatissimi di roccie calcaree, che, con i loro riverberi. — 168 — abbagliavano gii occhi ed aumentavano il calore ren- dendolo sempre piiì asfissiante. Intorno ai pozzi si aggiravano varie donne indigene, con i caratteristici recipienti di legno fasciato di vimini che ebbi già a descrivere. Quelle donne sottili, coi volti allungati e il naso corto, appartenevano alla tribù degli Adama che abita in quei paraggi. Il capo di essa che mi accompagnava, ordinò che ci fosse portato del latte e dei buoi e ce ne fece dono. Giunsero in folla anche molti dei suoi sudditi per ossequiarci, e fra di loro una quantità di malati, affetti dalle infermità più diverse, che ci richiesero di esser curati; ma si meravigliarono che noi non potessimo guarirli ad un tratto, da un mo- mento all'altro. I vecchi poi erano i più insistenti ; avreb- bero preteso addirittura di essere rimessi a nuovo, come se noi avessimo posseduto il filtro della giovinezza che Mefistofele fece bere a Faust dopo che questi ebbe fir- mato il famoso contratto. Si vede proprio che la vita per la maggior parte degli uomini ha un pregio stra- ordinario, e che, malgrado la si calunni quotidianamente, non ha poi un valore così trascurabile, se quegli indi- geni, ormai vecchi e condannati ad un'esistenza miser- rima e primitiva, ci tenevano tanto! * Fra Siggià e Jabel, il terreno e la vegetazione, pur non mutando natura, avevano mutato aspetto ; le prime pioggie cadute avevano compiuto il solito miracolo afri- cano. Gli sterpi secchi, gli alberi scheletriti e riarsi e i rovi pungenti s'erano coperti di un verde meraviglioso, vivace, fresco, che ci allietava la vista, dopo tanto tempo di paesaggio gialliccio e bruciacchiato. E il terreno duro. Il, « Al -Il l>l-,(,l.l I-. I, \|. M |,( Il \|( Ili \ \n;|. lIAltcìN . . ». « ... XOX SERVK CHE A RIPARARE I.E LUNGI! K TAVOLETTE SU CUI È SCRITTO IL CORANO... ». (Pag. 176) — 169 — risecco, screpolato, s'era ridotto molle e dolce al passo per un soffice mantello d'erba folta improvvisamente germinata dalle radici e dai semi invisibili. Fra Siggià e Jabel, durante una sosta notturna, fummo ancbe sorpresi da un violento acquazzone ; e così la mattina trovammo i carichi tutti inzuppati e dive- nuti doppiamente pesanti. Ciò rese più difficile il cari- camento dei cammelli, che, del resto, anche senza questo inconveniente, era sempre noioso e penoso per tutti. Le povere bestie, ancora stanche del giorno innanzi, ma- nifestavano in tutti i modi il loro malumore, mentre i conducenti componevano e fissavano le some sul loro dorso gibboso ; e gli uomini cui stavano dinanzi molte ore di marcia, avrebbero volentieri fatto a meno di esau- rirsi e stancarsi in precedenza con quel lavoro compli- cato e seccante. Quel quotidiano, faticoso fare e disfare, faceva pena anche a chi stava a vedere come me. Durante quella insopportabile ora e mezzo di attesa, che sempre intercedeva fra il toglier delle tende e la partenza, come al solito, mi avveniva di fare un paral- lelo fra i disagi dell'esploratore africano e quelli del buon borghese europeo. Osservando quell'intenso intermina- bile lavoro che faceva ritardare la partenza, mi sem- brava proprio grottesca la nostra irritazione, quando, sotto una comoda tettoia di stazione, con la prospettiva di un rapido viaggio e di una buona dormita in vagone- letto, ci impazientiamo se il treno ritarda dieci minuti a partirei Ogni giorno poi si ripetevano i soliti inconvenienti, a malgrado delle mie precise istruzioni, delle mie insi- stenti raccomandazioni per arrivare a far presto e bene. Spesso i carichi si disfacevano appena legati o risulta- 22 — 170 — vauo troppo pesanti o non si riusciva a metterli insieme per la troppa diversità degli oggetti. Perchè, sebbene ogni conducente avesse il suo carico assegnato, poi, per la morte dei cammelli, o per necessità di portarsi dietro acqua, si finivano per raggruppare i carichi che risultavano composti con elementi talmente eterogenei da divenire grotteschi. Mi è rimasto impresso nella memoria un cam- mello, che un giorno, mi passò dinanzi con due tavolini legati ai due lati della gobba ed il forno da campo troneg- giante sulla sommità, da cui ciondolavano le scarpe del cuoco ed una mezza capretta già pronta per essere arrostita; dalle gambe dei tavolini poi pendevano, a grappoli, recipienti pieni d'acqua di tutte le forme e di tutte le nature : erano fiaschi toscani e bottiglie da cham- pagne, ghirbe di tela e di pelle e borraccie di legno ; e frammiste ad esse sacchi e fagotti pentole e padelle . . . Insomma, un vero bazar di chincaglierie. . . E tutta quella roba ondeggiava, sbatteva, si accavalcava scricchio- lando, tintinnando, fruscendo ; talché quel povero cam- mello mi ricordava un poco quei musicanti da fiera che suonano l'organetto con le mani ; con i piedi, per mezzo di una cordicella, battono i piatti e la grancassa che portano sulla schiena ; con la bocca sofiìano nel sistro ; con i gomiti azionano il triangolo ; ed agitando la testa fan tinnire una selva di bubboli e di campanellini fis- sati su di una specie di casco! Il periodo delle pioggie era definitivamente comin- ciato ; spesso l'acqua ci sorprendeva per via o inondava durante la notte l'accampamento ; ma in compenso, din- torno a noi, si svolgeva un panorama attraente e ripo- sante, coperto di un verde meraviglioso, folto, fresco. — 171 — vigoroso. Nella pianura uniforme che si stende fra Jabel e Galamò, la vegetazione formava un vero parco fan- tastico di smisurate dimensioni; pareva quasi che le piante fossero state disposte da un sapiente giardiniere per il piacere degli occhi ; e F intenso verde smeraldo, lo smorto verde antico, il vivace verde Paolo Veronese, l'oscuro verde di Prussia, il tenero verde gialliccio, l'opaca terra verde, il raffinato verde cinereo, forma- vano una sinfonia indescrivibile con infinite gamme ed infinite sfumature che sembravano il frutto del gusto squisito e del sapiente studio di un geniale e sovru- mano colorista. Anche la strada era insolitamente facile; piana, comoda, senza ostacoli di sorta e ben marcata. Ei)pure uno dei nostri ascari trovò modo di smarrirsi anche lì. È vero che ci s'imbatteva assai spesso in pa- recchie diramazioni, ma il i)assaggio di una carovana, numerosa come la nostra, lascia tali traccie e tali orme da non provocare alcun dubbio sulla vera via da seguire. Il fatto è che questi negri, i quali hanno talvolta una tale acutezza di attenzione da notare particolari insignificanti che sfuggirebbero a chiunque, sono, in altri momenti, così spensierati da non badare più a nulla, e da rischiare stupidamente la vita per qualche stolido capriccio improvviso. Incontrammo per via alcune famiglie di nomadi che cambiavano residenza. Avevano caricate tutte le loro masserizie e tutti gli oggetti domestici, nonché le ca- l)anne e le armature di queste sui cammelli, i quali, con quelle curiose coperture, assumevano da lontano l'aspetto di mostruosi animali preistosici, come una specie di gi- gantesche tartarughe con lungo collo e lunghe gambe. Quasi quanto i cammelli erano cariche le donne che facevano la parte di bestie da soma, perchè oltre ai — 17-; — loro bambini porta van sulle sj^^H^ grandi fagotti di ca- rabattole d'ogni genere; gli uomini invece se ne anda- vano avanti con le sole armi indosso precedendo le mi- sere carovane con aria troutìa e altera di dominatori . . . Questa è la gentilezza cavalleresca che si usa verso il sesso debole nel paese dei somali! Più in là passammo nelle vicinanze di uu villaggio e scorgemmo gruppi di donne e bambini affollarsi curio- samente sull'orlo del sentiero ; la loro ammirazione era eccitata dagli ascari del « Sercal » (Governo), che, per la I)rima volta, attraversavano quelle terre, e che ra])pre- sentavano il primo seguo tangibile della lontana po- tenza dominatrice. Anche gli uomini osservavano passare i soldati con manifesta meraviglia, facendo commenti sottovoce; ma si vede che, anche in questi luoghi, la curiosità è di sesso femminile, i)erchè gli uomini non sentivano il bisogno di scomodarsi x>er venirci a vedere da vicino e restavano accoccolati in gruppo sotto gli alberi. * * * La vasta e folta boscaglia, che avevamo traversato fino allora, termina a Golamò, dove cominciano le col- tivazioni della regione di Baidoa, la quale, come ho già accennato, prende il nome da una sorgente, e che è il centro più importante dei Eahauuin. Ivi giungemmo il 31 ottobre, accolti con curiosità da quei robusti coltiva- tori, che hanno un tipo caratteristico, coi loro volti allun- gati, i tratti fortemente disegnati, le larghe bocche che sembrano sempre sorridere lasciando scojjerto il bianco dei denti, e le lunghe e folte chiome lanose che incor- niciano selvaggiamente le fronti lucide. Interrompe- vano un momento i loro lavori campestri e ci osser- — 173 — vavano immobili, in attitudini statuarie, formando dei gruppi clie sembravano fusi nel bronzo. Da Golamò fino a Eevai viaggiammo sempre in mezzo ai camj)i, interrotti soltanto da qualche maceliia bo- scbiva, e cosparsi di numerosi villaggi clie lianno un aspetto pittoresco ed elegante, con le loro capanne rag- gruppate e con le graziose siepi di euforbie. Che differenza dall'arida piana spinosa e deserta che avevamo percorsa dopo la zona di confine! Là sem- brava che la natura avesse accumulato tutti gli osta- coli per opporsi alla permanenza ed anche all'avanzata della razza umana ; qui, benigna, alla razza umana s'era piegata, e la mano dell'uomo l'aveva soggiogata, l'aveva reso docile strumento della propria vita e del proprio benessere. Là rari pozzi con acqua quasi imbevibile; qui, oltre a pozzi di buona acqua, cisterne ad ogni passo fiancheggiavano il cammino, testimoni dell'ingegnosità del popolo industre che ivi dimora. Quelle cisterne erano costruite nel punto più basso d'ogni coltivazione, dove l'acqua si sarebbe naturalmente raccolta; in quel punto era stato formato un grande terrapieno, nell'interno del quale con sapiente e regolare escavazione era stato approfondito un serbatoio, lasciando libera naturalmente la i>arte dalla quale l'acqua doveva poi defluire. Così, nel periodo delle pioggie, il bacino artificiale si riempie e nel periodo di siccità i gruppi d'euforbie e di altri folti alberelli, piantati sull'orlo del serbatoio, impedi- scono una troppo rapida evaporazione. In tal modo gli abitanti hanno acqua in quantità anche durante la sta- gione asciutta. Ogni villaggio ha molta di queste cisterne, ma varie se ne trovano, qua e là, anche lungi dall'abitato; esse sono rese possibili dalla imj)ermeabilità di questa terra — 174 — nera cliiamata hermadò, (diversa dal comune terriccio rosso nomato serman) la quale favorisce il deflusso delle acque e la conservazione di esse per mancanza di pro- prietà assorbenti. Però questa terra nera, durante le pioggie, è faticosa a lavorarsi, e rende diftìcile il tran- sito ad una numerosa carovana, divenendo acquitrinosa, molliccia, sdrucciolevole. Piantai le tende ad Amalcà, ove risiede il capo degli Elai, Scech Moliamed Haron, un robusto tipo d'indi- jjfeno, con una criniera folta sulla fronte rotonda e con le guance fortemente solcate. Portava anelli alle dita, e, se pur goffamente ammantato nella sua veste bianca, aveva un'aria di fierezza e d'autorità ed insieme di se- rietà, che ispirava fiducia. Si mise a mia completa di- sposizione e mi usò molte cortesie; di più mi dette informazioni precise sugli usi, costumi e natura dei Ralianuin, cbe, riunite a tutte le altre da me personal- mente fatte, esporrò ai lettori, percliè son convinto che bisogna interessarsi di questa popolazione agricola. Il nome Bahanuin è composto da due parole: Baha che significa « macina » e nuin che vuol dire « grande »'; la denominazione di queste genti sarebbe dunque ve- nuta dalle dimensioni dei primitivi istrumenti usati da essi per macinare la dura ; dimensioni assai maggiori di quelle delle macine adoperate dalle tribù somale. Dal tipo
  • £ «... UX VILLA(i(;i<> KAIIAXUIN T'RODrCE SnUTO in" IMPRESSIONE FAVOKEVÓEE . . . ». (Tnfì. iS7) ^( IM.MIori 1. SKN/.A SAl'KKLO, '^l Ali 111. ANIK A >1 \i; . 1 1 AI.E ... ». (l'aa. tSi) LK donni:... molto LABI>RI0SK . . . DKVONO IN(H.IKK A( ( l DIKK ALLE FACCENDE DOMESTICHE ... ». (Pag. 188) .SCECH MOIIAMKD IIAKoN KD IL «CADI» DEGLI ADAMA. — 179 — relativamente compatti, come tutti i popoli laboriosi. Infatti piuttostocliè colla vita nomade, colle ladronerie, colla razzia, come i loro circonvicini, i Ralianuin si procu- rano il necessario col lavoro delle loro mani e con l'ap- plicazione della loro discreta intelligenza. Essenzialmente agricoltori, e quindi attaccati per bisogno e per amore- vole abitudine atavica alla terra che coltivano, lianno co- struito su questa numerosi e popolosi villaggi, clie hanno carattere stabile, aspetto di tranquillo e fervido lavoro, e che spesseggiano principalmente nella regione di Bai- doa, la quale è, in realtà, molto più estesa di quel che sembrò dopo le esplorazioni iniziali della seconda spe- dizione Bòttego. Per essere più esatto dirò che le coltivazioni dei Rahanuin che cominciano a Baidoa seguitano quasi ininterrottamente fino alle rive dell' Uebi Scebeli; in questa vasta regione agraria si trovano qua e là campi invasi dallo sterpeto, abbandonati per mancanza di braccia, ma che potrebbero con molta facilità esser ri- messi in valore. Ne vidi in vicinanza di Jet e durante il percorso Curallé-Siggià. Mi è stato detto che in ogni luogo dove si trovano Rahanuin esistono coltivazioni. Ma questi laboriosi in- digeni non si contentano dei soli prodotti della terra ; esercitano contemporaneamente la pastorizia, allevando greggi e mandrie nei dintorni delle coltivazioni, e riu- nendo così i due più antichi mestieri della terra. * La musigghé, come la chiamano i Rahanuin e i So- mali, la tam o la dura come la chiamano gli Arabi, è quasi l'unica pianta che questo poi)olo coltivi : e in par- — 180 — ticolare la qualità rossa, perchè quella bianca, pur essendo migliore, non dà spesso un buon raccolto. Di questa dura rossa gli Adama, i Luliai, i Glielidle coltivano una va- rietà che ha i semi grossi, mentre gli abitanti di Baidoa e di Haccaba ne coltivano una che ha i semi piccoli. La terra nera, impermeabile, che conserva l'umidità e richiede quindi poca irrigazione, è eccellente per col- tivarvi la dura, mentre la terra rossa che assorbe l'acqua e la lascia i)assare negli strati inferiori, come un crivello, avrebbe bisogno di grande irrigazione che ne impove- risce le parti sostanziali, e di più mette in pericolo l' in- tero raccolto quando una siccità prolungata prosciuga tutti gli strati superiori. Il sottosuolo di questa regione, a mio giudizio, deve essere formato in parte da roccie basaltiche, e nel resto da calcari, fra cui predomina il carbonato di calce, che, affiorando in alcuni luoghi, mostra allo sguardo gii enormi lastroni dei suoi strati orizzontali. Questa immensa superfìcie, che è oggi interamente coltivata, è stata tutta con lungo e paziente lavoro disso- data dai Eahanuin e da altre tribù; perchè certamente in questi luoghi doveva esistere una interminabile fo- resta, che, bagnando le radici delle sue prime piante nel Ganale stendeva l'intrico verde dei suoi rami, ininter- rottamente, su tutta la regione, fi.no ad ombreggiare col fogliame dei suoi ultimi alberi il corso dell'Uebi Scebeli. Questo immenso manto di pelliccia verde, lungo due o trecento chilometri, si è trasformato lentamente in un uguale tappeto di velluto verde, di folto velluto cupo composto dai fiorenti campi di dura. E ciò per opera dei Eahanuin, e forse anche per opera delle tribù, oggi scomparse, che li precedettero in questi luoghi e che si chiamavano Megiani (Madenle e Materè). Di esse, da per — 181 — tutto, s'incontrano le tombe che, com'ebbi già a dire, son formate da alti mucchi piramidali di pietre sboz- zate. Gli indigeni odierni che professano l'Islamismo indicano quegli antichissimi e primitivi monumenti se- polcrali con la parola Aualtire che significa : « tombe di pagani »; ciò che dimostra come essi rimontino ad un'epoca in cui l' Islamismo ancor non esisteva, o almeno in cui non s'era ancora diffuso fino a queste terre. * * * Il lavoro di messa in valore del terreno è alacre: ancor oggi, con lenta avanzata, il campo coltivato con- tinua ad allargarsi e ad invadere il bosco. Varie fami- glie di indigeni si riuniscono, abbattono gli alberi nello spazio fissato, estirpano piante ed erbe, e poi ardono tuttociò sul luogo stesso; quindi si stabiliscono appez- zamenti che vengono assegnati ad ogni famiglia, e sui confini di essi si piantano siepi di aloe. Queste primi- tive funzioni hanno qualche cosa di solenne, che fa pen- sare ai tempi primordiali dell'umanità, alla prima vit- toria dell'uomo sulla natura, alla conquista della terra, alla prima, alla più grande scoperta fatta dall'umanità, che imparò a volgere a proprio profitto la misteriosa fecondità del suolo. Quando vedevo le grandi distese di alberi e di piante abbattute fiammeggiare, incenerirsi, poi fumigare lun- gamente sotto il cielo aperto, mi pareva che un rito sacro si compiesse, e immaginavo, in mezzo al vasto campo di ceneri, un'ara marmorea, e un sacerdote che gettasse sul fuoco le interiora di qualche agnello compiendo il sacrifizio per propiziare gli Dei verso l'opera dell'uomo. E quando scorgevo ricingere i campi dissodati con lunghe — 182 — siepi di aloe, mi pareva quasi strano che agli angoli della siepe non biancheggiasse l'erma del Dio Termine. * Quando il terreno è dissodato, gli agricoltori indi- geni vi scavano delle buche, distanti circa un braccio l'una dall'altra, ed in fondo ad ognuna seminano sei o sette chicchi di dura. Una quindicina di giorni dopo che la pianticella è sorta dal suolo ed ha raggiunto l'al- tezza d'un palmo, il coltivatore, con una piccola zappa, scerba e smuove il terreno intorno alle buche e sbar- bica in ognuna di esse gli steli meno vigorosi lasciando vivere soltanto i tre o quattro migliori esemplari. Com- piuta questa bisogna, l'agricoltore incrocia le braccia e attende con tranquillo fatalismo; nessun altro lavoro viene eseguito, e da allora in poi le probabilità del raccolto vengono abbandonate nelle benefiche mani del- l'onnipotente Allah! La seminagione viene fatta qualche giorno prima che cominci il periodo delle pioggie, il quale coincide col cambiare dei due monsoni di N. E. e di S. O. : e cioè alla fine di marzo e alla fine d'ottobre. Quindi si hanno due seminagioni e due raccolti, nello stesso campo, in un anno. Ma, com'è naturale, questo intenso sfrut- tamento produttivo impoverisce e stanca la terra. I Kahanuin ne hanno fatto l'osservazione e, senza cat-- tedre ambulanti d'agricoltura, han trovato da loro stessi il rimedio. Infatti, quando si accorgono che un campo comincia a non render più quanto dovrebbe, lo lascian riposare per tre anni; il bosco, pronto ed avido, riaf- ferra subito la preda che gli era stata strappata, e ri- copre il campo provvisoriamente abbandonato ; ma, con ^ » ~H « ... CKKTI ViiI.TI TANTO I'(i( n KF.MM I NILI . . . ». (Fag. ISS) LA sorgenti: di 15.\II>0.\. — 183 — la sua presa di possesso, il bosco compie una buona azione; perchè, quando, in capo ai tre anni, il Eaha- nuin, con l'ascia e col fuoco, lo scaccia nuovamente, il terriccio vegetale ha riguadagnato tutta la sua primiera fertilità. È una specie di rotazione agraria, come si vede, che dimostra come il Eahanuin non sia privo di intelligenza né di spirito d'osservazione, sebbene tal- volta non si capiscano certe sue regole agrarie; per esempio quella di non usare i concimi, di cui egli co- nosce perfettamente i benefìci effetti. * * Gli uomini e le donne insieme lavorano nei campi ; si vedono, curvi, procedere zaj)pando con cura attenta, ma non smuovono il terreno che per una profondità di dieci centimetri appena, per causa dell'arnese troppo ])rimitivo da essi adoperato. È una zappetta formata da un ferro inverosimilmente piccolo, che è schiacciato e tagliente da una parte ed ha, dall'altra, una punta che viene inserita nel manico ; ma, nell' insieme, sembra piuttosto un trastullo da ragazzi, adatto a costruir ca- naletti nella sabbia della spiaggia, che un utensile de- stinato alla lavorazione dei campi. Soltanto per disso- dare il terreno dopo il disboscamento, gii agricoltori di Baidoa usano una zappa di maggiori dimensioni che intacca più profondamente la zolla. * Le coltivazioni di questa regione hanno due nemici : il « Kang » e le cavallette. Il « Bang » è una specie di passero giallo che somiglia al nostro ortolano, e vive in — 184 — stormi numerosissimi che si abbattono con assordante cicaleccio sui campi, quando la mèsse è prossima alla maturazione, facendone strage ; le cavallette sono molto più terribili perchè non aspettano che il chicco sia for- mato per compiere le loro devastazioni; per loro ogni momento è buono, fin da quando il primo germoglio bianchiccio, appena visibile, spunta timidamente dalla zolla. Si precipitano in dense nuvole sui campi, coprendo, con lo schifoso brulichio infinito dei loro corpi, vaste estensioni di terreno. E quando riprendono il volo e si vedono le nuvole sussurranti sollevarsi dal suolo, tutto è stato distrutto ; non più uno stelo di dura, un filo d'erba, una sola foglia son rimasti. Pare impossibile che questi esseri — innocui, presi uno per uno — possano divenire un flagello più spaventevole dell' incendio e dell' inonda- zione, quando, riuniti a miliardi e miliardi, in nembi densi, vengono ad abbattersi su di una estensione di terreno coltivato. I Eahanuin si difendono dal « Bang » impedendogli di trattenersi nei campi ; ad ogni poco si trova un uomo che fa la guardia e che, appena vede uno stormo d'uc- celli posarsi, si mette a far rumore e gesti violenti per scacciare i ladri alati. Secondo le credenze nelle tradi- zioni locali, gli agricoltori, per scongiurare durante tutto un anno i danni che gli uccelli posson produrre ai loro campi, hanno un altro mezzo che si dice efiìca- cissimo: quello di far dire una preghiera speciale da uno dei discendenti dello Scech Mumi... Ma, natural- mente, questa preghiera non vien detta gratis, anzi bi- sogna pagarla, e pagarla bene... E, strana combina- zione, colui che deve recitarla, colui che rappresenta in terra il benefico e venerato Scech Mumi è proprio sempre il cadì, capo del paese!... LA N'ASIA l'IAMKA SD.MAI.A CUPKUIA DI BOSC III MASSI KINo ALI.'oKI/ZoNTi; . . . ». (Tan. lOC) Sr QUKL MARE DI VEGETAZIONE, SORCJEVANO QUA E LA, COME A1?II)E ISOLE LE KOCCIE GKAXITICIIE . . . ». (Pag. 19r>) — 185 — * * * Abbiamo parlato dei nemici alati della dura; ma anche in terra e sottoterra ve ne sono, e non meno terribili. Da dieci anni è stata osservata una malattia cbe fa arrossare lo stelo, e ne fa colare una sostanza gommosa simile al miele ; difatti gì' Indigeni chiamano questa malattia malabessò, parola derivata da mal che significa appunto « miele ». Questa sarebbe la tabe dorsale della dura ; ma e' è anche la difterite, costituita da alcuni vermi che impediscono lo sviluppo della pan- nocchia, malattia che gli Indigeni chiamano duncovett, cioè «preso per il collo», «strozzato». La povera dura soffre poi perfino di paralisi infantile alle estremità, che è la peggiore delle sue infermità, dovuta al terribile hurìa, verme parassita che rode le radici quando la pianta è appena nata... Come medicine per tutti questi mali si adoprano esclusivamente le preghiere ad Allah. Le quali medicine un indigeno mi assicurava essere eflftca- cissime. E certo egli doveva essere convinto ancor più degli altri perchè era una specie di sacerdote, e le pre- ghiere rivolte ad Allah per commissione dei fedeli gli fruttavano da che vivere senza far fatica. Però, a malgrado di una salute così delicata, soggetta a tante malattie, con o senza l'aiuto di Allah, la dura a Baidoa arriva quasi sempre a maturazione senza gravi inconvenienti. Allora dopo 110 giorni da quello della semina, se il terreno non è stato troppo sfruttato, e dopo 120 se il terreno è stanco, la pannocchia vien ta- gliata dallo stelo e deposta in granai che sono perfet- tamente il contrario dei nostri; perchè questi sono si- tuati generalmente nella parte più alta degli edifici, 24 — 186 — mentre quelli consistono in vani scavati nel sottosuolo. Dove, invece della terra nera, si trova il terriccio rosso, le pannocchie vengon battute ed i chicchi estratti prima di porli nei granai sotterranei. La povera dura avrebbe, così riposta, il diritto di credersi finalmente in salvo; ma no, perchè anche nei granai un nemico l'attende per insidiarla; e questo è la tarma, che depone le sue uova nel raccolto, del quale poi le piccole larve si nu- triranno appena l'uovo sarà dischiuso. Oltre alla dura si coltivano, in quantità immensa- mente inferiori, i fagiuoli, le zucche e il cotone; ma non se ne fanno speciali coltivazioni; anzi i fagiuoli e le zucche vengono addirittura seminati in mezzo alla dura, mentre del cotone si trovano qua e là anche pianticelle isolate; ciò conferma quanto mi è stato assi- curato, che cioè nei tempi andati si facessero vere pian- tagioni di cotone, le quali sembra dessero buoni resul- tati. Io credo che si ijotrebbero tentare di risuscitare queste coltivazioni di cotone quando le comunicazioni migliorate offrissero al prodotto un facile sbocco verso il mare. In quanto alla dura i Eahanuin la esportano nel paese degli Ogaden, a Lugh, nelle città della costa, nella regione dei Boran e nei villaggi dello Scebeli; la spediscono per mezzo di carovane, racchiusa in ele- ganti sacchi di scorza d'albero ingegnosamente e fi- nemente lavorati. Un appezzamento di terreno quadrato, che abbia i lati lunghi tre tratti di freccia, e cioè, per parlare un linguaggio meno barbaresco, circa trecento braccia, può produrre, quando il raccolto è buono, 100 gisle (1) di (1) Misura di capacità: una gisla, nelle città della costa, equivale a 163 kg. — 187 — dura. Quando generalmente per causa della siccità, il raccolto è scarso, i coltivatori non se ne preoccupano molto, perchè, per l'eterno giuoco della « domanda e dell'offerta » il prezzo di vendita sale. Ma in media si può calcolare clie una gisla si venda al prezzo di due toj) (1). Gli usi e i costumi dei Rahanuin che menano una vita stabile (e sono la grande maggioranza) differiscono da quelli dei Somali soltanto per qualche particolare; invece le abitudini di quei Rahanuin che, per ragioni di pascolo, son costretti a condurre un'esistenza no- made, sono addirittura identiche a quelle dei Somali. I villaggi permanenti dei Rahanuin si rassomigliano tutti; sono disposti con regolarità su di un terreno bene spianato, secondo una pianta simmetrica preordi- nata (da noi si direbbe un « piano regolatore ») om- breggiati da begli alberi, circondati da siepi diritte e ben [tenute di euforbie; le capanne, solidamente co- struite, hanno le pareti cilindriche sostenute da arma- ture di rami intrecciati e sono sormontate da un tetto conico che]|ricorda un ombrellino giapponese semichiuso. Vi si può notare anche, cosa rara in Africa, una rela- tiva pulizia. È strano fino a che punto l'indole di un popolo si rispecchi'anche nelle sue abitazioni. Un vil- laggio Rahanuin produce subito un'impressione favo- revole che testimonia immediatamente della laboriosità e del buon carattere degli abitanti, sollevati, dall'amore per il lavoro, ad un gradino di civiltà superiore a quello delle altre tribti. (1) Il top, pezzo di tela della hiughezza di 14 braccia, ha un valore equivalente al tallero di M. T. — 188 — La capanna dei Ealianuin, pure avendo la stessa linea esteriore, è ben diversa da quella dei popoli che vivono disordinatamente di violenze e di razzie. Ci si accorge subito cbe essa è stata costituita da mani che conoscono gli utensili da lavoro, e che facilmente di- vengono strumenti della naturale ingegnosità umana. In quanto a vesti, gii uomini portano il top, come i Somali, specie di manto bianco che essi, inconscia- mente certo, drappeggiano un po' alla romana, cosa che stona discretamente con quei musi neri e quei profili niente affatto classici. Le donne usano una vestaglia, abbastanza bella nella sua semplicità, che ricorda un l^oco il costume delle Abissine e delle Galla; e, sopra a quella veste, drappeggiano anch'esse il top come i loro consorti, con relativa imitazione classica — Guardate un po' fino a che punto quella povera Eahanuina, che con un enorme pestello macina la dura dentro un grosso mor- taio, scimmiotti, senza saperlo, qualche antica statua di vestale, che fa bella mostra di sé nei corridoi dei nostri musei nazionali . . . Ma per le donne l' inconveniente della stonatura diviene anche maggiore. Esse son ben lungi dal possedere la bellezza romana spirante un superbo fascino di forza e di dolcezza dalla linea slanciata del corpo, dalla vivacità dello sguardo ardente e delle labbra rosse squisitamente disegnate, dall'arco deciso e perfetto delle nere sopracciglia ... Le Eahanuine invece hanno un corpo tozzo e sgraziato, e certi volti tanto poco fem- minili, che, quando son rugosi ed attempati, non per- mettono quasi di distinguerle dai loro confratelli del sesso forte . . . Come ho già detto, le donne sono molto laboriose, e faticano nei lavori campestri quasi piìi degli uomini ; devono inoltre accudire alle faccende domestiche, fra — 189 — cui, la più noiosa, è quella d'andare a prendere l'acqua, che talvolta si trova lontana. Devono poi macinare, stacciare, cuocere la dura clie forma il principale, per non dire l'unico, alimento di questo popolo. Come armi da guerra e da caccia gli uomini usano, al pari dei somali, la lancia, l'arco, il pugnale, e per la difesa, lo scudo. Quindi, anche come nemici, non sa- rebbero temibili perchè non posseggono e non sanno usare il fucile, del quale invece gli amhara sono ormai maestri. * * * La sorgente di Baidoa, che, come ho detto, dà il nome alla regione, si trova a due ore circa di distanza da Amalcà e Revai, i due villaggi che possono consi- derarsi come uno solo, perchè costituiscono il centro di tutti gli altri della regione. Quindi, allettato dalla brevità della gita, volli andare a vedere quella sorgente, una vera rarità per questo paese dove non ne esistono altre. Dopo aver attraversato le coltivazioni, discesi un pendio coperto di boschi lussureggianti e cosparso di grossi sassi, formato dalla stessa qualità di terreno che avevo trovato nei valloni di Siggià e di Jabel, ed in- terrrotto da grandi roccie bizzarre simili a quelle che si ergevano nelle suddette località. Vi si vedevano anche stranissimi alberi il cui tronco nano si biforcava subito ad altezza d'uomo in tre o quattro rami enormi grossi ed alti come grandi tronchi, che alla sommità si divi- devano ad un tratto in innumerevoli ramoscelli esili coperti di fogliame. Facevano un po' l' impressione di alberi grottescamente storpiati da un caricaturista, fe- roce o riflessi in uno specchio deformante. — 190 — Intanto gli strati declinavano sempre più fino a rag- giungere dolcemente il fondo dell'esteso avvallamento le di cui testate dall'una e dall'altra parte si innalzano quasi allo stesso livello, e che deve esser stato prodotto da una frattura geologica. In mezzo all'impluvio, al di sotto di un medesimo strato, sgorgano numerose e ricche polle d'acqua, vivaci, ridenti, chioccolanti, limpide, cantando le loro canzoni monotone e dolci ; sembra [che ciascuna di esse abbia la sua voce diversa dalle altre, e tutte quelle voci riu- nite formano un coro verginale, armonioso, sussurrante, che mette nell'anima un delicato senso di fresca i)oesia. Questa è la famosa sorgente, benefica come una deità tutelare per i popoli dei dintorni, '^che i Eahanuin chia- mano Baidoa e gli abissini « Maidaba » storpiando la pronunzia della parola indigena a cui fanno precedere il prefisso « mai » che, in amharico, vale « acqua ». Le buone vergini sorelle cantatrici, si riuniscono presto in un solo limpido ruscello, e poi, dopo essere discese, per un centinaio di metri, attraverso ad una piana seminata di grandi lastroni di pietra, trabalzano giù, dividendosi novamente in cascatelle, con allegri scoppi di jrisa argentine, dai massi di tufo che esse hanno lentamente eroso con un lungo e paziente lavoro millenario . . . Poi di nuovo, dopo quella scappatella gio- vanile, si riuniscono in un solo alveo e ridiventano serie e composte e scorrono, sotto forma di ruscello, fino ad Haccaba, come mi fu detto, dove più o meno si trova acqua durante tutto l'anno. Quindi quelle sorgenti hanno grande importanza e rappresentano la ricchezza del paese, perchè rendono i^ossibile non solo l'allevamento di numeroso bestiame, ma la vita stessa dei Eahanuin di Baidoa, che, altrimenti, dovrebbero contare soltanto — 191 — sull'acqua piovana, la quale, oltre a non cadere con costanza matematica, imputridirebbe, certo dovendo es- sere conservata a lungo nelle cisterne. * In quanto al clima si può dire, senza tema di smen- tita, che esso sia generalmente buono; ad ogni modo siamo lontani dalle esagerazioni di coloro clie s' immagi- nano questi luoghi come arsi da un calore insopportabile e asfissiante simile a quello del Sahara e di altre parti dell'Africa. Qui invece la temperatura tropicale è molto mitigata dal benefico sofiio dei due monsoni, e non si fa sentire in modo notevole che nel periodo di cambia- mento dall'uno all'altro di quei due venti; ma anche allora il termometro può raggiungere soltanto dei mas- simi di 40°, per brevi giorni, e per poche ore del pome- riggio di ogni giorno ; nel resto dell'anno la temperatura si mantiene relativamente sopportabile, in ispecie du- rante la notte che è sempre mite, se non talvolta addi- rittura fresca. In complesso dirò che in questa regione non viene quasi mai fatto di invidiare la temperatura delle nostre città in certi giorni di luglio e d'agosto, quando i roventi lastricati di pietra e l'asfalto rammol- lito sembrano voler cuocere addirittura gli abitanti, e continuano a tramandare anche durante la notte un calore insopportabile togliendo il respiro al disgraziato nottambulo, che si aggira vanamente per le vie in cerca d'un soffio d'aria, e che invece prova continuamente l'incubo d'essere ravvolto nelle spire inevitabili d'un gigantesco termosifone sovrariscaldato. In Somalia le pioggie, come ho già accennato, coin- cidono esattamente col cambiar dei monsoni, e cadono — 192 — dunque in aprile e in novembre; durano pochi giorni, ma sono relativamente copiose e rinfrescano molto l'aria ; poi, flncliè soffia il monsone di S. O., e cioè durante i mesi di luglio, agosto, e parte del settembre, il cielo si mantiene quasi sempre coperto di nubi, specialmente la mattina, fino a mezzogiorno; e anche questo fatto, naturalmente contribuisce a rendere più mite la tem- peratura. Come bene si comprende da ciò che ho esposto, le condizioni del clima di questa regione, ben diversamente da quelle di altre parti dell'Africa, rendono possibile e quasi gradevole la vita anche all'europeo che vi si tra- sferisce. * In ogni villaggio di Baidoa si incontrano commer- cianti somali che vengono dalle città della costa, da Mogadiscio, da Merca, da Brava, e si riconoscono subito dagli abitanti stabili non solo per il tipo diverso, ma specialmente per un certo aspetto più civile che hanno acquistato sotto la dominazione italiana ; essi si danno delle grandi arie di superiorità come di aristocratici piombati in mezzo ad una turba di miseri idioti; si pavoneggiano con ostentazione un po' comica nelle loro vesti candide, nei loro top eleganti, accurati, pulitissimi ; sfoggiano parasoli enormi, pistole col calcio intarsiato, e fumano molte sigarette con l'aria di dire: «guarda- teci!». Questa, naturalmente è l'attitudine che assu- mono verso gli indigeni ; quando incontrano noi, invece, ci salutano cortesemente in italiano, dimostrano di es- serci devoti e affezionati, di avere compreso quali benefici si ritraggano dalla nostra dominazione. Essi importano quasi unicamente cotonate, ed esportano pelli. « ... NIDI' ... CON LE l'.XKKTI .V l'ICCO . . . ». (l'a-g. 196) IN <.r.\i)() MI. IH mi: I i:iii s(i:r.i:i.i. «... J'l.l!( III-. 1. INIKKA CAKOVAXA GlADASSi; DALl/l NA AI.L'aLTRA SPONDA...». (Pceg. i9S) 193 — * * Dopo avere congedato il tenente Costa destinato a Lugh, ed una parte della scorta, partii da Revai il 12 no- vembre e mi diressi verso Eglierta, seguendo un itine- rario parallelo a quello della seconda spedizione Bottego percorso nel 1895 e mai più eseguito da altri europei. A principio continuai a traversare le solite coltiva- zioni di dura, marciando faticosamente perchè il terreno era reso pesante dalle pioggie, che cadevano abbondanti tutti i giorni; era anche difficile trovare il luogo dove piantar le tende, perchè, con quella umidità, sarebbe stato pericoloso attendarci nei campi umidi e fangosi. Il primo giorno impiantai l'accampamento dentro una macchia folta, dove speravo d'essere un po' al riparo dal mal tempo e dalla melma. Ma, nel pomeriggio, cominciò a piovere e a ripiovere dirottamente, in varie e ostinate riprese. Le tende grondavano, l'acqua entrava di sopra e di sotto, da tutti i lati, in forma di sgocciolature, di schizzi, di spolverìi . . . Eravamo addirittura in mezzo ad uno stagno ... Le sentinelle, coi piedi nell'acqua, sta- vano immobili, mute, impalate, là, al loro posto, e cola- vano e grondavano, impassibili, come grotteschi fantocci che qualcuno per scherzo avesse messo sotto la doccia. Né coloro che non erano in servizio avevano troppo da rallegrarsi; per indolenza e per imprevidenza si erano lasciati cogliere dalla pioggia senza avere scavato il fosso intorno al campo, e quindi si trovavano immersi in un vero pantano. Lo strano effetto psicologico depri- mente dell'umidità si manifestava al più alto grado ; il nostro campo ordinariamente così allegro, così pieno di festosi clamori taceva in un silenzio di morte. Quegli 25 — 194 — uomini audaci, che avrebbero affrontato qualunque pe- ricolo col riso sulle labbra, tacevano adesso soggiogati da un indicibile sconforto; nessun fuoco scoppiettava, nessun suono, nessun canto si elevava, nessuna frase scherzosa, nessuno scoppio di risa attraversavano l'aria. Soltanto si udiva l'infinito monotono continuo fruscio delle goccie innumerevoli sulle foglie innumerevoli, ed il tamburellìo più sordo dello scroscio sulla tela tesa delle tende.. . Scese la notte, e l'oscurità, e il silenzio, e il fradicio gelido che penetrava fino alle ossa resero ancor più grave la tristezza diffusa... Ma quella tristezza era in noi. Italiani soltanto super- ficiale; j)erchè ciascuno di noi, con intimo sussulto di gioia, sentiva che il mare era ormai vicino, e che si andava verso la cara [patria festante e orgogliosa per la sua nuova guerra intessuta di vittorie ... E nella fan- tasticheria dell'insonnia, vedevamo attraverso agli umidi veli di tenebra apparire e sparire i profili del Campi- doglio, del Palazzo Ducale e di Santa Maria del Fiore ed altri, ed altri . . . irraggiando intorno una luce mera- vigliosa che fugava l'ombra, un tepore di tenerezza che ci faceva dimenticare le stille gelide continue cadenti sul volto, e la pesantezza della nostra coperta intrisa d'acqua e di fango . . . * Il giorno seguente, presso i| pozzi di Helo, dovemmo subire un nuovo acquazzone ; dintorno a noi non vede- vamo più campi coltivati e terra nera, ma terra roggia e boscaglia folta. E quella boscaglia, diceva la guida, si stendeva ininterrotta fino al mare... « Fino al mare...». Chi di voi può comprendere la magia che racchiude- vano per noi quelle semplici parole cosi comuni? — 195 — Nelle boscaglie che attraversavamo il bestiame ab- bondava, e spesseggiavano i villaggi dei nomadi, ap- partenenti alla famiglia dei Lissan. Quegli indigeni ve- devano, per la prima volta, uomini dal volto bianco, e pure, non so per qual ragione, ostentavano una grande indifferenza, fìngevano di non vederci passare, nascon- devano con cura la loro meraviglia e la loro curiosità ; ma noi sentivamo fra il fogliame delle macchie, fra gli interstizii delle zeribe, fra le fessure delle capanne, fil- trare mille sguardi avidi e stupiti che ci osservavano, ci esaminavano, ci spiavano; ed io son sicuro che, fra dieci o venti anni, molti, in quei paesi sapranno ancor dire di quanti cammelli e di quanti uomini la mia ca- rovana era composta, e qual'era il colore dei nostri ve- stiti, e il genere delle nostre armi. * A Sui-Menasse lo scech Mahamud Nur, capo degli Ormale (Hauia) venne a trovarmi per rendermi omaggio a nome della sua tribù. Era un vecchio alto dall'aspetto fiero che ricordava qualche pittura di apostolo e di pro- feta ; ma se fiero era l'aspetto, non altrettanto lo era il carattere, perchè infatti Maliamud ]S'ur pretendeva da me ad ogni costo un dono ; ma io mi guardai bene dal farglielo perchè egli, contrariamente all'uso, era venuto a mani vuote. Egli insisteva dicendo che era abituato a ricever doni dal sercal (governo) ; ed io lo richiesi di dirmi quel che avesse fatto a nostro profitto per meri- tarsi dei regali. Allora, confuso, senza rispondere, se ne andò, con la sua aria da Evangelista che avesse perso il libro sacro: solennemente, così com'era venuto. — 196 * * Intorno a noi si stendeva con la sua tremenda mo- notonia la vasta pianura somala coperta di boschi bassi lino all'orizzonte che terminava in linea retta come quello del mare. E su quel mare sterminato di vegeta- zione, sorgevano qua e là, come aride isole le roccie granitiche nude, a forma di cono o con le pareti a picco, che davano l'illusione di un arcipelago. Salendo sull'una di esse ed osservando la infinita distesa verde che lontanava in azzurri oltremarini, pa- reva che, ad un tratto quella superfìcie si dovesse muo- vere, increspare, sollevare in onde e che flutti furiosi dovessero battere spumeggiando il piede delle roccie... Ma il miracolo non accadeva, ed allora si pensava al miracolo contrario ; si j^ensava che quella grande super- ficie fosse quella d'un mare fantastico che un incanta- mento avesse coagulato e condannato ad una eterna immobilità; e che il gruppo montuoso dell'Egherta che si delineava appena trasparente sul cielo, fosse la mi- steriosa residenza del mago che aveva compiuto lo strano incanto . . . Un altro tremendo acquazzone ci sorprese poco prima di Dombò mentre attendevamo che la carovana ripren- desse il retto sentiero dal quale aveva deviato. Ma, più tardi, dopo alcune marce ce ne consolammo giungendo sulle rive di un afiiuente del Matagoi, il torrente Uareg, che ci offrì uno dei piìi belli spettacoli naturali che avessimo ancor visti. Esso scorreva biondo e impetuoso fra roccie muscose disegnate con arditi profili, e fra piante magnifiche folte di un verde intensissimo che straripavano coi loro fogliami esuberanti giù dalle rive — 197 — inchinando sull'acqua le fronde tremule. Tutto era così artisticamente disposto, che non pareva possibile fosse opera del caso; sembrava invece di traversare un ma- gnifico parco, dove il gusto d'un maestro della pittura avesse armonizzato le linee e i colori e avesse disposto fin l'ultimo particolare, fin l'ultima frangia di musco vellutato, fin l'ultima trina di capelvenere che tremo- lava giù dalla cavità della roccia macchiata di vivi gial- lori! E dopo pochi giorni, terminato il periodo delle pioggie, tutto quell'incanto doveva sparire, lasciando un alveo secco scosceso screpolato, ed un intreccio di rami spogli, riarsi, scheletriti. Qua la Natura fa tutto il possibile per essere il simbolo fedele delle illusioni umane ! Ad Egherta giungemmo il 19 e permanemmo fino a tutto il 20 con la simpatica comj3agnia del tenente Sper- nazzati che colà risiedeva. Dall'Egherta all'Uebi Scebeli impiegammo cinque lunghe tappe traversando una vasta pianura che abi- tualmente è piena d'acqua e poco frequentata anche dai nomadi, ma che in quella stagione era invece tutta verdeggiante, ricca di bestiame e cosparsa di numerosi villaggi come Saba Scidle, El-Gheri, Gofra-Ammà, Gu- fiale e (lubi-Ooude. Vi dovevano vivere anche mandrie di elefanti selvaggi perchè ne vedemmo spesso le fresche orme sul terreno. Finalmente giungemmo al tanto sospirato Uebi Sce- beli che ci rallegrò e ci dette la consolazione di fornirci acqua buonissima e ci fece rij)rovare quella speciale impressione di gioia e di tranquillità che produce in Africa l'incontro d'un corso perenne d'acqua... — 198 — Il « fiume dei leopardi » scorreva maestoso e solenne, fra le rive basse ed estese, coperte di praterie liscie e di boschi fiorenti, ed io mi trattenni ad ammirarlo du- rante le lunghe sette ore che furon necessarie perchè l'intera carovana guadasse dall'una all'altra sponda; quando l'ultimo cammello giunse in secco, ci rimet- temmo in marcia e andammo ad attendarci ad una certa distanza dal fiume per non esser molestati dalle zanzare. L'indomani, da una breve altura, appare dinanzi ai miei occhi l'azzurra distesa dell'Oceano! Non so dire con quale commozione di gioia posassi gli sguardi sulla liquida via che doveva ricondurmi in patria, ed insieme con quanto dispiacere sentissi giunto il momento di ab- bandonare quel vasto suolo che era pure italiano e che avevo traversato con tanta fatica, e studiato con tanto amore[; sentii in quel momento che lo amavo di pro- fondo amore quel suolo troppo ignorato e trascurato dai miei comijatrioti, e che invece sarebbe degno del loro massimo interesse; avrei voluto che tutti i cuori italiani avessero battuto in quel momento insieme al mio cuore, e che le energie italiane si fossero rivolte verso quella terra, che, oso assicurarlo, ci arrecherebbe benefizii maggiori di qualunque altra parte da noi dominata. Il vasto territorio dei Kahanuin in ispecie, che è quasi tutto atto alla coltivazione, potrebbe, con- venientemente sfruttato, conferire enorme importanza alla Somalia Italiana. Sono convinto che, dove oggi cresce soltanto la dura, si potrebbero coltivare altre piante tropicali ben altrimenti rimunerative, come per esempio il cotone ed il caucciù; né in quella regione si avrebbe deficienza di mano d'opera, come accade alla costa, perchè i Eahanuin sono abituati fin dall'infanzia alle opere campestri, ed hanno indole buona e laboriosa. — 190 — Il suolo fecondo e l'uomo clie lo lavora sono i due fattori che, senza alcun dubbio, posson produrre la ric- chezza ; in quella regione dunque nulla manca per pro- muovere un certo e rapido sviluppo agricolo e com- merciale. Il serio programma coloniale che si è iniziato in Somalia con lo sfruttamento delle terre con la costru- zione delle necessarie opere pubbliche, e soi^rattutto istituendo comunicazioni dirette colla madre patria con- seguirà lo scopo di mettere al più presto in valore quel che la Ifatura così spontaneamente e generosamente ci offre. Date le sue favorevolissime condizioni naturali, la Somalia è destinata a divenire, secondo il mio modesto giudizio, la nostra più ricca e fiorente colonia. Siamo na- turalmente portati a dare tutta la nostra attenzione alle terre che abbiamo maggiormente intrise col nostro sangue e che ci sono costate i più grandi sacriflzii di denaro ; ma non si dovrebbero invece dimenticare quelle che, pur essendoci costate piccoli ma dolorosi sacriflzii di uomini e di oro, danno il maggior affidamento di poter produrre buoni frutti. Ogni terra da noi conquistata, col ferro o con un semplice contratto, deve essere da noi sfruttata se vo- gliamo essere i veri seguaci dello spirito coloniale ro- mano, e la maggiore importanza dev'essere data a quel dominio che può con la sua produttività accrescere la grandezza della Madre patria; e tanto meglio per noi se per averlo sotto la nostra bandiera, pochi o nessuno dei nostri figli ha lasciato le sue ossa alla base delle pietre miliari della nostra avanzata. Non intendo davvero dare con queste parole una comoda arma in mano dei pacifisti ; e sia benedetta la guerra che ci ha dato la Libia, anche se ci fosse co- stata dieci volte di più, e se dieci volte più grande — 200 — fosse stato il numero dei nostri eroi abbattuti dal piombo turco-arabo; ma intendo di dire che quando ormai la nostra bandiera sventola su di una t^rra, le considera- zioni di ordine sentimentale devon lasciare il posto a quelle di ordine positivo, e dev'esser dimenticato se il dominio fu ottenuto con guerre sanguinose o con pa- cifica penetrazione. Quel che dopo vale soltanto, è la maggiore o minore i>ossibilità che può avere una terra di darci vantaggi, di aumentare in qualunque modo la grandezza e la potenza della nostra Italia. Dinanzi a me, sulla riva dell'Oceano, Brava apparve. La rivedevo dopo quindici anni di assenza. Adesso, giungendo dall'interno, mi fermai per salutarla su quelle stesse dune dalle quali l'avevo salutata quindici anni prima, lasciandola per avvicinarmi verso l' ignoto . . . Quante cose sono accadute da allora ! . . . L'Italia ha piantato il tricolore su queste terre, e su altre ancora, per portarlo sempre più avanti, sim- bolo di luminosa civiltà e di grandezza romana ; sempre più avanti . . . sempre più avanti . . . Fin dove? «... sri.r.A UIVA DELI. oCKAXd. 15KAVA AITAK \i; . . . ». (l'ag. àOO) l NA VIA DI BRAVA. APPENDICI 26 Appendice I. Lavori astronomico-geodetici e topografici compiuti dalla missione per la delimitazione della fron- tiera italo-etiopica. Il compito assegnato ai topografi Grupelli e Venturi che seguirono il capitano Gitemi in Somalia, per coadiuvarlo a stabilire in modo definitivo la frontiera dei nostri possedi- menti equatoriali con l'impero abissino, doveva essere as- solto naturalmente con opportuni rilevamenti topografici ap- poggiati a posizioni astronomiche, le quali dovevano essere definite mediante metodi speditivi, ormai adottati in tutti i viaggi di esplorazione, quando cioè occorre avere la carta di una regione nella quale difettano o mancano affatto mezzi adeguati a potere eseguire determinazioni di coordinate geo- grafiche suscettibili di una grande precisione. Prescindendo dal caso che riguarda la valutazione della latitudine e dell'azimut, occorre subito dichiarare che non era possibile determinare la longitudine con una estrema precisione, perchè nella regione attraversata manca la tele- grafia elettrica, né d'altra parte si avevano mezzi adatti a raccogliere le onde herziane che ogni notte la stazione della Torre Eiffel lancia nello spazio per dar modo di regolare i cronometri delle navi in viaggio o di altri osservatori radio- telegrafici rispetto al meridiano dell'Osservatorio di Parigi. Per la determinazione della longitudine fu perciò adottato il metodo cronometrico, il quale, se non è il migliore per la precisione che da esso può scaturire, è senza dubbio il più semplice ed il più conveniente quando, come nel caso nostro, — noi — si tratta di dovere effettuare rapidi e frequenti passaggi da una località ad un'altra. Il metodo che alla stessa determinazione può assegnare un'adeguata precisione è quello delle culminazioni lunari quantunque, in tal caso, bisogna anche riflettere che l'errore accidentale inerente all'ascensione retta della luna resti in- grandito ben 28 volte. In ogni caso, come già è stato accen- nato, anche per tale obbiettivo mancavano ai due operatori i mezzi strumentali piìi logici ed insieme la opportuna com- pilazione di buoni cataloghi stellari prestabilita con i criteri di severa critica che richiede il metodo accennato. Gli operatori infatti non disponevano che di un teodolite di piccolo modello e di due orologi Longines tascabili, uno dei quali regolato a tempo siderale e l'altro a tempo medio: il puro necessario cioè a fissare in modo non assoluto, ma approssimativo, e sufficiente per una carta parziale, la posi- zione di alcuni punti del suolo geografico percorso, prescin- dendo naturalmente dalle ineguaglianze che probabilmente esistono rispetto alla supei-ficie geometricamente definita dell'ellissoide terrestre. Giova ora soggiungere che la lettura dei due cerchi del teodolite usato è ottenuta con due microscopi micrometrici, i quali consentono ciascuno l'ajjprossimazione di 20" e che l'andamento medio diurno degli orologi all'epoca della par- tenza da Firenze era; per quello regolato a tempo siderale di + 15',64 e per quello a tempo medio di — 4%77. Per la critica dei risultati parziali bisogna poi tener pre- sente che ad ogni angolo semplice può competere teorica- 20" mente l'errore medio di —j^. = ± 14",2, e che assumendo qiie- V2 sta grandezza come errore medio unitario, cioè dell'unità di peso, è lecito j)revedere, relativamente ad ogni angolo misu- rato n volte in posizioni opposte del circolo verticale, l'er- 14" 2 rore medio di ± ,— ' . Se si assume, per esempio, n = 16, l'er- yn rore medio complessivo sarà di di 3",55. — lM)5 — Tutto ciò vale a giustificare sommariamente le discor- danze che manifestano i valori delle latitudini e degli azimut determinati col menzionato teodolite; discordanze le quali non possono essere considerate eccessive perchè, come è fa- cile comprendere, in esse concorrono errori di altra natura ed ordine, sistematici ed accidentali, dipendenti dalla divi- sione dei cerchi, dal moto della bolla nella canna delle livellle, dal puntamento dell'astro, dagli errori residui di rettifica — errore di verticalità specialmente — e da tutte le inegua- glianze che hanno la loro causa nell'aria atmosferica. Le osservazioni vennero infatti eseguite per ciascuna sta- zione in breve tempo j)oichè, come già è stato detto, era ne- cessario passare rapidamente da un luogo ad un altro e venne così a mancare la possibilità di usufruire con sovrabbon- danza del metodo
  • , A — p ' — loinb() inferiore A diametro apparente, j; parallasse di altezza. Ora, la formola differenziale corrispondente a quella che dà cos Z fa vedere chiaramente che gli errori in t, Zo e fi hanno influenza minima sul valore della latitudine quando le osservazioni sono distribuite intorno al meridiano. Fu perciò adottato anche il metodo delle distanze zenitali meridiane, per cui risultando M=^H, si deduce. 1 -(- stella a sud della zenit f — stella a nord » La conoscenza dello zenit strumentale si fa scaturire dalle stesse letture angolari se è noto, anche approssimativamente, un valore della latitudine. Col teodolite adoperato si deduce perciò: Zenit strumentale = lettura ±: distanza zenitale appros- simata. Nel caso del Sole, e quando le osservazioni siano eseguite in angoli orari piccoli, di mezz'ora al massimo, si è anche adoperato lo sviluppo: cos Z= cos (o — ò) — 2 cos o cos 6 seii* -^ /. Considerando Z come funzione dell'ultimo termine, si deduce : ^ . „ <^os '-S cos ò . , rcos » cos 6 n* ■j = ù -\- Z ^ m 4- ootg (-i — o) I ! — I n. ^ sen(9— ò) ^ "^' -* |_gen (9 — 5) J — 209 — I coefficienti m ed n sono ricavati dalle tavole 26 e 27 delle citate Formeln und HiUfstafeln, ecc., dell'Albreclit. La formola precedente può consentire l'approssimazione di un secondo e quando t è piccolissimo, cioè di pochi se- condi, si può allora abbandonare il quarto termine ed as- sumere : co = ò -f Z — et". II coefficiente C (riduzione al meridiano di Z)ii funzione della latitudine e della declinazione che basta conoscere ap- prossimativamente. Infine si potè conseguire il valore della latitudine col me- todo di Gauss, osservando i temj)i in cui tre stelle passano allo stesso circolo di altezza. Essendo T, . T^ . T3 i tempi cronometrici corretti, si pone : \ = T._-T,- («2 - a,) X. = T3 - r, - (a^ - a,) ]>er ricavare: wij seii M^ = seii .^ X, cotg ^ (ò._, — ò,) m, cos M^ = cos ^ X, tg ^ (òg -\-c.^) »»., sen Jfg = sen ^ X., ootg - (Ò3 — ò^) »/, cos Af, = cos — X„ tg — (ò., -f- ò,) Dedotti i valori delle grandezze incognite, si assume an- cora : in, VI = arctg — ^ jx-r ottenere: *S [<, + y i^i + ^^^o)] = tg (450 - Yi) cotg I (.Y, - A-,) e conseguentemente l'angolo orario #, dell'osservazione ini- ziale e l'andamento unitario dell'orologio allo stesso istante, giacché : Si ha infine: tgc?=m, co8(/i-f.VJ tg cp = m.2 cos (/, 4 ^9)- 27 — 1>1() — Questo metodo è il più sicuro di tutti, dopo quello delle distanze zenitali meridiane, e consente per la latitudine e la correzione dell'orologio ottimi risultati, quando le tre stelle «listino mutuamente in azimut non più di 120° e siano poco distanti tra loro i temjji delle osservazioni. Determinazione della differenza di longitudine. — Quando è conosciuto l'andamento unitario dell'orologio e lo si suppone costante nel tempo, allora si può determinare la rati- cità del metodo e la sua relativa esattezza, rispetto cioè ad uno scopo puramente cartografico, indusse i due operatori a farne uso esclusivo. Triangolazione topografica. — Per avere una carta — omogenea in tutte le sue dimensioni lineari — del terri- — 211 — torio che si estende da Dolo ai pozzi di Groriale e da questa località alla regione di Grorof Daruè, le levate topografiche vennero appoggiate a posizioni geodetiche, invece che alle corrispondenti posizioni astronomiche. Da Dolo, nelle cui adiacenze venne misurata una base di circa 3 chilometri, la triangolazione si spinge verso ponente seguendo l'andamento del primo verticale, e poscia ripiega a nord -est per andare ad arrestarsi nella regione Gorof Daruè. La misura della base ottenuta con un procedimento spe- ditivo che è fondato sulla misura dell'angolo parallatico cor- rispondente ad un segmento rettilineo ortogonale all'allinea- mento principale, risultò di L == 3050",82 ±_ 0"',22 ossia con un errore relativo di circa j-tx^tk, il quale è per- 14(HKr fettamente in armonia con l'approssimazione che può 'dare nella distanza lineare una carta alla acala di ttww^ktj' Tutta la rete è costituita di 50 triangoli e 36 vertici. Ogni angolo è stato misurato in media 8 volte, e però a ciascuno di essi compete l'errore medio di m = -1- , = ■+- 5",0. ~ Vs^ ~ All'ultimo lato che si troverebbe a 110 Cra. da Dolo, se- guendo lo stesso percorso della triangolazione, verrebbe a competere l'errore relativo di circa ^Tw^ nella ipotesi che gli angoli più piccoli non abbiano valore inferiore a 20° e che al cumulo degli errori accidentali corrisponda, per naturale compensazione, un residuo minimo. Di tutti i vertici della triangolazione topografica venne calcolata la posizione geodetica orientando l'ellissoide terre- stre sulla verticale di Dolo, e quindi con le coordinate geo- ffraflche così ottenute vennero calcolato le coordinate carte- — 212 — siane per la sintesi grafica sul piano col metodo della proie- zione naturale. Per il calcolo delle coordinate geografiche e degli azimut furono adoperati gli sviluppi in serie di Legendre valevoli pel caso che la lunghezza dei lati non fosse maggiore di 25 Cm., e cioè: H cos a (« seu a)* '^' ^ '^ + R are 1" ~ 2 R- are 1" ^^ "^ , « seii a sec !? ' ' iJarcl" . « sen a tg o, o>, y.j latitudine, longitudine e azimut incogniti o oj X » » » noti A' raggio della sfera locale, cioè della sfera che si adatta convenientemente alla curvatura dell'ellissoide terrestre nel punto di cui è conosciuta la posizione geografica. Nella ipotesi che l'asse delle y sia diretto secondo il me- ridiano di D(do e quello delle x coincida con la perpendi- colare al meridiano nel centro di osservazione, si avranno nella citata proiezione le corrispondenze: .'/=Pm (? — ?«») <"■'■ l" X = JVcos

    ,) are 1". L'azimut iniziale corrisponde alla posizione di Burgudut o M. Bocolo a circa 4 Cm. da Dolo, e fu determinato il 3 mag- gio 1911 con osservazioni di Sole ed il giorno 6 dello stesso mese con osservazioni della Polare (a Ursae minoris). Nel primo caso si ottenne: Ji = 58'>.14'.71",2±9",0 nell'altro : ^3 = 58 .14 .30 ,4± 6 ,0 È quindi lecito attribuire all'azimut iniziale il valore: j == 5S°.U'.oO",H ± 11",0. — 213 — La latitudine d'origine, che è quella di Dolo, ottenuta col metodo di Gauss e col metodo delle distanze zenitali meri- diane assume il valore di: tp = 4M0'.36",6 db 6",8 , il quale rappresenta la media pesata di 21 determinazioni. L'altitudine dei punti si ottenne col metodo della livel- lazione geodetica adottando la formola di Bessel: h=.H-\-s cotg {Z — ps) + A/ — AJf H è l'altitudine nota, .s- la distanza del punto di cui si vuole la quota altimetrica, Z la distanza zenitale, fi il coefficiente angolare che caratterizza la correzione dovuta alla curvatura terrestre ed a quella della traiettoria luminosa intercetta fra i due punti, \I l'altezza dell'asse di rotazione del cannoc- cliiale sul suolo, IM la distanza verticale fra il piano mirato e quello di riferimento dell'altitudine. L'altitudine origine stabilita a Dolo, era già stata deter- minata mediante un'accurata livellazione barometrica. CONCLUSIONE. Gli elementi geografici raccolti in questa relazione hanno il carattere proprio di grandezze fitte a &ssa,Te grosso-modo la^ l)osizione geografica di alcuni punti della frontiera tra la Somalia italiana e l'Etiopia. Per coraiirendere poi in quale maniera le posizioni così determinate possono, in via approssimativa, giovare alla co- struzione di una carta topografica in una scala data, occorre innanzi tutto pensare alle condizioni che esige il complesso lavoro della sintesi grafica. Nel disegnare la carta di una regione, si attribuisce alla superficie del suolo la stessa cur- vatura della superficie matematica della Terra, cioè dell'ellis- soide di lU'Ssel. Ora, tutto ciò non presenta difetti quando le posizioni dei punti sono definite sulla stessa superficie con i metodi (Iella geodesia operativa. Se invece le menzionate — 214 — posizioni risultano determinate alla maniera astronomica, al- lora si verificano anomalie che possono rendere illusorio, ov- vero non perfettamente logico, il procedimento grafico. Prescindendo dalla possibilità che la superficie delle posi- zioni astronomiche non sia identica o simile a quella dell'el- lissoide, occorre ben considerare l'anomalia che scaturisce dalla varia natura dei metodi di osservazione, dagli errori stessi di osservazione, ed infine dal fatto che per lo stesso elemento geografico determinato in epoche diverse da vari osservatori non esiste, in generale, l'identità nell'ubicazione della verticale istrumentale. Perchè sono precisamente tali ineguaglianze che fanno mancare l'uniformità nella compagine di un lavoro collettivo e non ammettono confronti se non in base all'analisi matematica di tutti gli elementi sussidiari. Esaminiamo i fatti. Le coordinate geografiche determinate mediante osservazioni astronomiche non possono avere la medesima precisione in ciascun punto se non a parità di strumento e di osservatore, di metodo e di peso (il quale è caratterizzato dal numero di osservazioni) ed infine di per- fetta uguaglianza negli effetti di cause perturbatrici esterne. Se manca una sola delle accennate condizioni, ed in pra- tica ciò si verifica specialmente nei viaggi di esplorazione, allora le distanze lineari intercette tra le posizioni astrono- miche determinate non potranno assumere la stessa preci- sione relativa e verranno così a sovrapporsi al rapporto di riduzione del disegno altri elementi congeneri impossibili ad essere apprezzati nel campo delle grandezze scalari. Se poi si considera il caso di più operatori, si troverà che manche- ranno quasi completamente le condizioni accennate e per di piìi l'aggravante di uno spostamento piìi o meno grande rela- tivamente alla posizione di un medesimo centro di osserva- zione, ed è allora logico escludere qualsiasi confronto fra i risultati ottenuti dai singoli osservatori. La Carta dell'Etiopia del D'Abbadie, che fu senza dubbio il pili fortunato esploratore di quella regione, è iu completo — 215 — disaccordo con le carte degli altri viaggiatori che lo segui- rono; ma non si può, a vista d'occhio, giudicare con favore piuttosto una che un'altra produzione cartografica. Manca, per farlo, la bilancia, ossia il complesso di quelle notizie, in base alle quali la sola analisi matematica potrebbe decidere. Nel caso nostro possiamo soltanto considerare la latitudine (li Dolo nelle sue determinazioni del 1896 e del 1911. Ma giova, in primo luogo, notare che la determinazione del 1896 si riferisce ad una località posta a sud della confluenza del Ganale col Daua e che quella del 1911 si riferisce invece ad un'altra località situata a nord della confluenza medesima. Il Vannutelli poi nel 1896 determinò la sua latitudine osser- vando una sola altezza di Sole e nel 1911, invece, la latitu- tudine venne determinata con due metodi suscettibili di mag- giore precisione ed osservando ben 21 stella. La diflerenza tra le due latitudini di circa 30" rende ma- nifesto che se i due centri di osservazione appartenessero allo stesso meridiano la loro distanza lineare sarebbe di circa 926" e la nuova carta fornisce appunto la stessa indi- cazione. Per contro la triangolazione topografica orientata a Dolo non può ammettere nessuna protesta, inquantochè è la sola parte che ha veramente completa uniformità, tanto rispetto ai metodi di rilevamento, quanto rispetto alla derivazione degli elementi fondamentali. Tutto il lavoro astronomico adunque bisogna accettarlo come è risultato dalla discussione degli elementi originali ; discussione che, occorre ripeterlo, data l'armonia relativa delle osservazioni, non ha fornito motivo a segnalare nessun criterio di reiezione. Firenze, settembre 1912. Prof. Antonio Lopebfido Ingegnere geodeta capo. Visto : Il Tenente Generale Direttore dell'Istituto Geografico Militare firmato Gliamas. l'k; Determinazione del tempo - Orologio Longines 5 a tempo medio. Epoca Stazione Indicazione topo- grafloa Stato doll'orologlo Andamento diurno 1910 Ottobre 26 y> dicemb. 19 » » 31 1911 geiiiiJii<» 7 » » 11 » » 14 » » 24 » » 26 » febbraio 4 » » 5 » » 11 » » 26 » » 27 » marzo 8 » aprile 4 » » 5 » » 17 » giugno 7 » » 8 » noveiiib. 7 » » 8 » » 19 » » 29 Tedecia Mali Addis Abeb Aliasi- Alras.sò Borofa Acci) . Golja . » (ìliigiier » Cargialo Malia Galla] » » Malcà Ciratt Dolo Baidoji Eirlierta Brava . <\iUiua lìresso la Le- gazione Ita- liana sull;i sinistra del Hnnie presso Azzn- zerà sotto i monti Lasgio + 1". + 1- + 1. 24. + 1- + 1- + 1- / a Nord della \ + 1 . collinn del \ Ghebi / I I I ad Ovest den + ^• paese I Bivio (Joba- Ghigner Continenza Guado per Dolo + 1- + 1- + 1- 24. 26. 26. 29. 3.5. j a 300'» dal j riva sii f stra del G a 300'» dalbi sini- ', Ga-\ naie e di fronte all.'i i continenza / _j- 1. del Dana in vicinanza , + 1- della sor- \ gente omo- presso l'ac- qna omoni- ma sni pal.tzzo sede del re- sidente + 1- + 1- 37. 50. 48. . 18 .10 57. 69 42. 34 20. 21 18. 89 28. 22 7. 42 51. 72 36. 13 33. 01 35. 97 47. 52 50. 11 16. 45 16. 61 19. 67 46. 80 28. 37 30. 17 11. 87 13. 81 59. 29 55. 01 7*. 85 3. 12 + 2. 59 3. 06 2. 26 1. 99 1. 80 + 1. 94 217 Determinazione del tempo - Orologio O Tempo medio. Epoca Stazione Indicazione topo- grafica Stato dell' orologio Andamento dinrno 1911 niaggid 3 » » 4 » » 5 » giugno 7 » » 8 » ottobre 12 » » 13 » » 18 Dolo Jet 2". 68.07 -f 2. 23. 32 i 1+2. 23. 32 f Vedi \ '+ 2. 41. 27 Vedi prima Uasceii . . . a S-K. dei pozzi a Snd dei pozzi -f 8. 58. 97 4-- 9. 12. 47 1+ 34. 37. 76 i- 34. 51. 57 4- 36. 49. 76 4 17». 25 + 17. 95 + 11. 80 -f-13. 50 + 13. 81 Determinazione del tempo - Orologio Longjnes III Tempo siderale. Epoca ! Indicazione Stazione topo- grafica Stato dell' orologio And.'imento diurno 1911febbr:i io26 Mana Ganale + 2". 36"'.53s. 67 ', Contìnenza -|- 168.91 » » 27 » » \ 1 + 2. 37. 10. 58 » aiirile 4 1 Dolo ì f Vedi + 2. 49. 55. 71 -f- 14. 10 1 » » 5 » 1 prima -1-2. .50. 9. 81 28 218 — Determinazione della longitudine. Epoca Stazione Ditiorenzé di longitudine in tempo Longitudine della origrine rispettò a Greenwich 1910 die. 19 » » 31 1911 geuTi. 7 » » 11 » » 14 » » 26 » febb. 4 » » 11 » » 27 » apr. 4 » 11 ov. 7 » » 19 » » 29 » ott. 12 » » 18 Addis Abcba . Auasc ( . . . . Alcassò . . . . Borofa Accò Goba Ghigne!" . . . . Cargialo . . . . Mana Gaiialc . Dolo Baidoa Eglievta . . . . Brava Jet Uasceii 0" + 1- + 3. + 2. + 2. + i- + 6. + 7. + «• + 11. + 19. + 17. + 21. + 8. + 9. . 08.00 47. 6.5 2. 27 21. 95 47. 03 16. 13 46. 25 3. 73 9. 91 36. 47 33. 93 .58. 07 34. 40 21. 87 11. 01 0°. 0'. 0. 26. 0. 45. 0. 35. 0. 41. 1. 4. 1. 41. 1. 45. 2. 2. 2. .54. 4. 53. 4. 29. 5. 23. 2. 5. 2. 17. 0". 0 .54. 7 34. 0 29. 3 45. 4 2. 0 33. 7 .56. 0 28. 6 7. 0 29. 0 31. 0 36. 0 28. 0 45. 1 38.» 44'. 26".U (Marcliaud) (*) (*) La longitudine di Brava determinata nel 1904 dall' latitato Idrografloo della Regia Marina risultò di 44<'" 2'. 19" E. G. ; col trasporto del tempo da Addìs-Abeba si è ora invece ottennto 44». 8'. 2". La differenza fra i dae valori (5'. 43") non può essere sog- getta a discussione né ad un criterio di compensazione ; ma occorre anche notare che essa non può neppure menomare lo scopo che si trattava di conseguire. — 210 Determinazione della latitudine di Dolo Metodo di Gauss. 6 maggio i9il Stelle Coordinate equatoriali al 1911.0 Tempo siderale dell'osservazione a ù S Corvi e Virginio a Hyclrae 12''.25".15».441 12. 57. 44. 795 9. 25. 12. 864 — 16°. 1'. 12". 12 + 11. 26. 14. 32 — 8. 16. 20. 60 10". SS". 35». 6 11. 0. 9. 7 11. 12. 48. 2 X, = — 0\27"'. 55». 9 A, = + 3\ IG-^.lSs. 6 1/j = -j- 80°. 53'. 11". 9 M^ = — 88°. 12'. 05". 3 .V, = — 84. 22. 41. 9 X^ = + 113. 6. 32. 3 lì = -\- 2. 19. 27. 0 AT = + ÌK 3 22. 26. 10. 8 ?»= + ^ 0. 10'. 37". 1 ^ + 40.10'. 37". 8 + 4. 10. 36, 4 220 Determinazione della latitudine di Dolo Metodo delle distanze zenitali meridiane. N. Stt-Ue Coordinate equatoriali al 1911.0 Distanze zenitali approBsimate Rifrazione ò Lioii ,; Lio» Y Grande Oiir.se, r Viertje . . . . , ò Conrbcaii . . . £ Grande Guise , e Vierge i Vierge i Grande Ourse. a Vierge r, Glande Ourse, 7! Bouvier . . . , fi Centaure. . . . a Bouvier . . . , a.^ Centauie . . = Bouvier . . . , a Balance ... 11*-. 9"'.22s.65 44. 31. 28 49. 9. 33 12. 15. 21. 15 2."). 15. 46 .50. 7. 05 51. 7. lìS 57. 44. 79 13. 20. 20. 71 20. 30. 15 44. 2. 13 50. 26. 83 57. 32. 00 14. 11. 36. 09 33. 32. 73 41. 6. 01 4.5. .57. 13 + 21°. 0'. + 1.5. 4. 4 54. 11. — 0. 10. — 16. 1. 4- 56. 26. -^ 3. .52. -i 11. 26. + .55. 23. — 10. 41. + 49. 45. + 18. 50. — 59. 56. + 19. 38. — 60. 28. + 27. 26. — 1.5. 40. 41' 2 10. 6 22. 6 20. 1 12. 1 33. 9 51. 4 14. 3 23. 8 49. 1 25. 8 36. 7 38. 6 43. 4 6. 8 56. 2 20. 7 — 16». 49'. — 10. .53. — .50. 0. -L 4. 21. + 20. 11. — .52. 1.5. + 0. 17. — 7. 15. — 51. 12. + 14. 52. — 45. 34. — 14. 39. 4- 64. 7. — 15. 27. 4 64. 38. — 23. 16. + 19. 51. + + + 4 1, + + + 1. + 1- 4 1. 4 + 2. + 18".2 11. 6 11. 8 4. 6 22. 2 17. 8 0. 3 7. 7 14. 9 16. 0 1. 5 15. 8 58. 6 16. 7 0. 0 25. 9 21. 8 221 Determinazione della latitudine di Dolo. Metodo delle distanze zenitali meridiane. 19 maggio i9il. N. Stelle Letture sul cerchio corrette dall' inoliuazione Zenit istrnmentale medio Latitudini 1 ò Lion 10». 46'. 10".0 353». 56'. 16". 7 4». 10'. 31".9 2 ^ Lion 4. 49. 11. 0 11. 2. 7 4 71 Vierge .... 349. 34. 47. 0 11. 6. 4 .5 6 Courbeau . . 333. 44. 8. 0 11. 6. 5 7 ò Vierge .... 354. 14. 18. 0 10. 45. 3 8 £ Vierge .... 346. 40. 24. 0 10. 8. 0 10 a Vierge .... 8. 49. 4. 0 11. 2. 4 12 Yi Boiivier . . . 339. 16. 28. 0 10. 25. 5 medio = 4. 10. 46. 0 Determinazione della latitudine di Dolo. Metodo delle distanze zenitali meridiane. 29 magfiio i9ii. N. SteUe Letture sol cerchio corrette dall' inclinazione Zenit istrumentale medio Latitudini 2 p Liou 4».48'. 36".0 353°. 56'. 4", 7 4M1'. 26".6 3 -(• Grande Oui-se 43. 56. 10. 0 10. 16. 0 6 £ Grande Ourse 46. 11. 32. 0 9. 56. 3 9 S Grande Ourse 45. 7. 26. 0 10. 52. 8 11 ■n Grande Ourse 308. 22. 22. 0 10. 44. 7 12 Y) Bouvier . . . •339. 15. 52. 0 10. 3. 2 13 [3 Ceutaure. . . 58. 2. 16. 0 11. 11. 8 14 a Bouvier . . . 338. 27. 44. 0 9. 59. 6 15 a.^ Centaure . . 58. 33. 28. 0 10. 58. 7 16 £ Bouvier . . . 330. 39. 10. 0 9. 31. 1 17 a Balance . . . 13. 46. 42. 0 10. 25. 6 medio — : 4. 10. 29. 6 22.- Valore definitivo della latitudine di Dolo. c?i = + 4M0'. 37".l peso 2 92 = -f 4. 10. 46. 0 » 8 c?3 z= + 4. 10. 29. 6 » 11 o = -\- 4M0'.36".6 ± 6".S (errore medio). Determinazione dell'azimut di Bocolo sull'orizzonte di Dolo. 3 maggio 1911 — Azimut di Bocolo dedotto con osservazioni di Sole Ai= 58M4'.71".2 ± 9".0 6 » » — Azimut di Bocolo dedotto con osservazioni della Polare Aj = 58M4'.30".4 ± 6".0 Azimut medio: A„ z= 58°. 14'. 50". 8 -h ll".0. 224 Determinazioni di latitudine con distanze Stazione Tempo osserTato corretto Distanza zenitale resa geocentrica Tedetia Malcà Aco = + 2\ 50 Auasc Ao) = + 2^ 61 Alcassò Ao) = -J- 2^ 63 Borofa Aw = + 2". 62 Accò Ao) = + 2>'. 63 Goba Aw = ~\- 2^ 65 25 ottobre 7 gennaio 11 iiennaio 14 "■ennaio 24 gennaio » 26 1910 30 dicembre 1910 31 1911 1911 1911 1911 ll^ 1- .54M 11. 31. 51. 8 42. 11. 8 52. 37. 8 11. 41. 5. 3 50. 58. 8 11. 30. 15. 2 39. 28. 2 50. 09. 2 11. 34. 58. 9 44. 41. 9 .54. 45. 9 11. 35. 13. 2 45. 13. 2 55. 57. 2 11, 32. 15. 4 41. 31. 4 11. 43. 37. 7 48. 12. 7 53. 17. 7 23<'.2^^ 34".7 32. 32. 46. 4 32. 3. 53. 6 31. 45. 48. 2 32. 2. 57. 4 31. 44. 33. 0 31. 34. 31. 9 30. 59. 59. 1 30. 34. 42. 5 30. 26. 22. 9 29. 54. 12. 1 29. 31. 39. 6 29. 47. 23. 4| 29. 12. 24. 6 28. 47. 26. 7 28. 11. 51. 8 27. 28. 34. 8 26. 54. 1. 2 26. 37. 26. 9 26. 22. 4. 5 lenitali circummeridiane di Sole. cp — M — 110.50'. 39".5 — 23. 13. 21. 6 — 23. 13. 20. 0 — 23. 13. 18. 4 — 23. 9. 30. 2 — 23. 9. 28. 6 — 22. 29. 53. 7 — 22. 29. 50. 9 — 22. 29. 47. 4 — 21. 57, 22. 7 — 21. 57. 19. 1 — 21. 57. 15. 3 21. 28. 31. 0 21. 28. 26. 7 21. 28. 22. 0 19. 26. 15. 0 19. 26. 9. 5 18. 57. 10. 3 18. 57. 7. 5 18. 57. 4. 3 42"' .278 9 30. 37. 4 20. 15. 7 9. 42. 0 21. 45. 7 11. 50. 5 35. 52. 8 26. 28. 2 15. 55. 5 32. 49. 8 23. 5. 2 12. 59. 5 33. 45. 4 23. 43. 8 12. 58. 0 39. 53. 0 30. 35. 5 28. 57. 8 24. 22. 1 19. 16. 3 — 12". 2'. 40".6 23. 24. 33. 0 23. 18. 12. 9 23. 14. 25. 4 23. 15. 7. 5 23. 11. 8. 2 22. 44. 54. 9 22. 37. 59. 6 22. 32. 43. 7 22. 9. 41. 9 22. 3. 23. 3 21- 59. 10. 3 21. 41. 19. 1 21. 34. 44. 8 21. 30. 14. 6 19. 42. 46. 0 19. 35. 49. 9 19. 5. 39. 2 19. 3. 7. 1 19. 0. 48. 9 210. 10'. 14".0 -f 31. 51. 33. 1 + 31. 45. 39. 5 4- 31. 41. 35. 7 4- 31. 41. 52. 2 4- 31. 38. 16. 1 + 30. 34. 43. 8 4 30. 27. 0. 4 + 30. 22. 40. 0 + 29. 33. 43. 5 4- 29. 27. 51. 2 + 29. 23. 14. 8 4- 28. 49. 44. 6 -f 28. 43. 32. 8 4- 28. 38. 44. 7 -f- 26. 42. 27. 6 -I- 26. 35. .5. 2 4- 26. 4. 39. 5 -f 26. 2. 16. 7 4- 25. .59. 56. 6 4- 90. 7'. 33".4 4 8. 27. 0. 1 27. 26. 6 27. 10. 3 26. 44. 7 27. 7. 9 + 8- 27. 5. 9 + 7. 49. 48. 9 49. 00. 8 49. 56. 3 -^ 7. 49. 35. 3 + 7. 24. 1. 6 24. 27. 9 24. 4. 5 + 7. 24. 11. 3 + 7- 8. 25. 5 8. 48. 0 8. 30. 1 + 7. 8. 34. 5 + 6. 59. 41. 6 59. 1.5. 3 .59. 0. 3 59. 9. 6 .59. 7. 7 + 6. 59. 14. 9 29 — 226 Segue Determinazioni di latitudine coi Stazione Epoca Tempo osservato corretto Distanza zenitale resa geocentrica Gbiguer 4 febbraio 1911 10''. 4tì"'.15». 7 32°. 6'. 40".3 Ao, = -L 2'-. 69 » » » .54. 59. 3 30. 40. 41. 2 5 » » 10. 52. 44. 9 30. .50. 1. 1 » » » 11. 1. 8. 6 29. 30. 37. 2 » » » 9. 4. 6 28. 20. 59. 6 Calcialo 11 febbraio 1911 10. .56. 5. 6 28. 39. 43. 7 Aw = -(- 2". 70 » » » 11. 6. 28. 0 26. 59. 21. 8 » » » 16. 53. 0 25. 26. 39. 7 Maua Ganale 26 febbraio 1911 21. 16. 12. 7 24. 10. 49. 3 A(o = + 2\ 72 » » » 26. 25. 7 22. 12. 4. 8 » » » 36. 17. 1 20. 24. 14. 7 27 » » 21. 40. 17. 6 20. 6. 2. 5 Malcà Ciratti 8 marzo 1911 11. 52. 29. 4 11. 15. 55. 6 Aco = + 2", 75 » » » 57. 0. 4 10. 50. 37. 1 » » » 12. 1. 40. 4 10. 31. 4. 8 » » » 6. 26. 4 10. 18. 56. 6 Jat 12 ottobre 1911 11. 8. 28. 8 15. 0. 48. 7 Aa> = + 2\ 72 13 » » 11. 8. 44. 6 15. 12. 42. 7 » » » 18. 2. 6 13. 53. 26. 2 » » » 28. 29. 6 12. 45. 7. 9 » » » 39. 18. 6 12. 3. 51. 2 227 distanze zenitali circummeridiane di Sole. ò ~ M cp — _M ? — 160.31'. 8".4 87"'.59s. 7 — 170.44'. 15. '1 + 240. 49'. 46".0 4 70. 5'. 30".9 — 16. 31. 1. 9 79. 14. 7 — 17. 29. 40. 5 -h 24. 34. 41. 6 5. 1. 1 — 16. 13. 14. 5 81. 35. 5 — 17. 14. 36. 1 + 24. 19. 41. 1 5. 5. 0 — 16. 13. 8. 2 73. 10. 4 — 17. 2. 0. 3 + 24. 7. 4. 5 5. 4. 2 — 16. 13. 2. 0 65. 13. 1 — 16. 51. 32. 1 + 23. 57. 2. 1 5. 30. 0 4- 7. 5. 14. 2 — U. 20. 41. 2 78. 32. 2 — 15. 11. 25. 8 + 21. 52. 22. 3 4- 6. 40. 56. 5 — 14. 20. 32. 8 68. 8. 1 — 14. 58. 17. 6 + 21. 40. 24. 9 42. 7. 3 14. 20. 24. 3 57. 41. 4 — 14. 47. 11. 6 -f 21. 29. 13. 5 42. 1. 9 - 9. .5. 12. 4 77. 27. 7 — 9. 37. 18. 5 -|- 15. 5. 52. 1 + 6. 41. 41. 9 4- 5. 28. 33. 6 - y. .5. 2. ,s 67. 14. 7 — 9. 28. 56. 9 + 14. 57. 41. 4 28. 44. 5 — 9. 4. 53. 7 57. 23. 3 — 9. 22. 7. 8 -f 14. 50. 26. 4 28. 18. 6 — 8. 42. 30. 6 57. 9. 5 — 8. .58. 55. 5 4- 14. 27. 9. 4 28. 13. 9 — 5. 15. 29. 9 18. 45. 1 — 5. 16. 33. 1 -t- 10. 15. 50. 0 4- 5. 28. 27. 6 4- 4. 59. 16. 8 — 5. 15. 25. 5 14. 13. 3 — 5. 16. 1. 8 -f 10. 15. 21. 1 59. 19. 3 — 5. 15. 20. 9 9. 32. 6 — 5. 15. 37. 2 -j- 10. 14. 58. 2 59. 21. 0 — 5. 15. 16. 3 4. 45. 8 — 5. 15. 20. 3 -f 10. 14. 56. 9 59. 36. 6 + 4. 59. 23. 4 — 7. 1. 14. 1 38. 25. 2 — 7. 7. 10. 0 + 11. 39. 3. 5 4- 4. 31. 53. 5 — 7. 23. .50. X 37. 54. 2 — 7. 29. .5.5. 0 + 12. 1. 3. 1 31. 8. 1 — 7. 23. 59. 6 28. 34. 7 — 7. 27. 25. 7 4- 11. 58. 44. 0 31. 18. 3 — 7. 24. 9. 5 18. 6. 0 — 7. 25. 31. 9 + 11. 56. 55. 8 31. 23. 9 — 7. 24. 19. 6 7. 15. 2 — 7. 24. 32. 8 4- 11. 55. 53. 0 31. 20. 2 4- 4. 31. 24. 8 — 228 — Segue Determinazioni di latitudine coi Distanza zenitale Stazione Epoca Tempo osservato corretto resa geocentrica Uascen 18 ottobre 1911 11\ 3".498.6 170.22'. 0".9 Ao = + 2". 73 » » » 11. 46. 8 16. 15. 17. 5 » » » 21. 18. 4 15. 10. 14. 2 » » » 28. 55. 6 14. 31. 26. 5 » » » 37. 6. 8 14. 4. 31. 0 Bai (lo a 7 novembre 1911 11. 10. 48. 9 20. 4.5. 5. 5 Aw = 4- 2^ 91 » » » 22. 3. 9 19. 50. 12. 4 » » » 28. 17. 9 19. 28. 7. 9 » » » 33. 46. 9 19. 14. 27. 7 » » » 40. 22. 9 19. 6. 58. 4 8 » » 11. 19. 36. 8 20. 17. 2. 7 » » » 25. 53. 8 19. 53. 4. 3 Eglierta 19 novembre 1911 11. 13. 1. 3 22. 43. 51. 3 Aco = + 2\ 88 » » » 19. 32. 3 22. 13. 30. 7 » » » 27. 3. 3 21. 46. 23. 1 » » » 32. 23. 3 21. 32. 38. 8 229 distanze zenitali circummeridiane di Sole. M 90.15'. 12".l 9. 15. 19. 5 9. 15. 28. 2 9. 15. 35. 2 9. 15. 42. 7 15. 59. 31. 8 15. .59. 40. 2 15. 59. 45. 0 15. 59. 49. 0 15. 59. 53. 9 16. 17. 29. 5 16. 17. 34. 1 19. 14. 24. 1 19. 14. 28. 0 19. 14. 32. 5 19. 14. 35. 6 41'".428.5 33. 44. 0 24. 10. 9 16. 32. 4 8. 20. 0 32. 54. 8 21. 37. 9 15. 22. 9 9. 53. 0 3. 15. 9 24. 13. 4 17. 55. 3 32. 19. 8 2.5. 47. 7 18. 15. 5 12. .54. 6 90.24'. 21".5 9. 21. 17. 3 9. 18. 31. 3 9. 17. 0. 7 9. 16. 4. 4 16. 8. 59. 6 16. 3. 44. 4 16. 1. 48. 3 16. 0. 39. 9 15. 59. 59. 4 16. 22. 41. 0 16. 20. 24. 3 19. 25. 7. 2 19. 21. 16. 4 19. 17. 56. 6 19. 16. 17. 5 -f 140. 4'. 0".6 4- 14. 0. 44. 0 f 13. 58. 25. 1 -f 13. .57. 2. 3 + 13. 55. 37. 1 + 19. 14. 50. 5 4 19. 10. 12. 3 + 19. 7. 41. 0 -f 19. 5. .57. 1 -f 19. 6. 2. 9 -f 19. 28. 2. 7 + 19. 25. 56. 9 -\- 21. 28. 37. 2 4 21. 24. 57. 8 -f 21. 21. 46. 3 4 21. 20. 16. 1 + 40.39'. 39'M 39. 26. 7 39. 53. 8 40. 1. 6 39. 32. 7 4- 4. 39. 42. 8 + 3. 5. 50. 9 6. 27. 9 5. 52. 7 5. 17. 2 6. 3. 5 5. 21. 7 5. 32. 6 4 3. 5. 46. 6 + + 3. 30. 0 3. 41. 4 3. 49. 7 3. 58. 6 3. 44. 9 — 230 — Triangolazione topografica Nome dei punti Coordinate geografiche suU'elissoide di Bessel Latitudine Longitudine Quote kltinictriolie Dolo Boccio o Bitrguiiilut. Gol (Est» Nord Base di Dolo) Estremo Sud Base di Dolo M. Bangol Ual Egilo Corre Nord Corre Sud M. Carari Gherzei o Curo M. Rare Geglè Cormaghimbì .... Gel GeU Goriale Ciallai Didduin Fultur Ginger Nur Moo -|- 4M0'. 36".b- -i 4. 11. 41. 3 4 4. + i- + i- + i- + 4. H- 4. + 4- + i- + 4- -i- 4. -t- 4. 4 4. 4- i- 4- 4. + 4. 4- 4. + 4. 12. 21. 10. 47. 15. 41. 11. 47. 11. 21. 8. 21. 13. 22. 13. 2. 6. 1. 8. 48. 10. 32. 13. 17. 11. 54. 12. 3. 10. 25. 9. 33. 8. 51. 8. 52. 0°. 0'. 0".(i + 0. 1. 44. 0 — 0. 4- 0. + 0. 4- 0. + 0. 4- 0. + 0. 4- 0. 4- 0- -i- 0. 4- 0. + 0. 4 0. 4- 0. ^ 0. + 0. + 0. + 0. 0. 0. 8 0. 32. 0 6. 32. 3 6. 26. 7 12. 38. 5 12. 37. 9 12. 9. 0 17. 32. 0 16. 38. 3 24. 47. 0 32. 40. 6 32. 46. 4 38. 32. 4 40. 54. 0 40. 47. 4 42. 3. 8 46. 21. 0 42. 38. 9 221. 2 270. 6 276. 1 2.54. 5 374. 0 242. 9 381. 3 372. 5 283. 8 234. 6 349. 5 249. 5 344. 6 386. 1 353. 1 368. 8 350. 8 332. 7 335. 3 329. 2 — 231 — Sef/ue Triangolazione topografica Nome del punti Coordinate geografiche snll'elissoide di Bessel Latitudine Longitudine Quote altimetriohe Elben .... Scimilè 11° . . Scimilò 1° . . Dioici . . . . Giimerta Digiei Durei II" . . . Durei 1° . . . Tsama .... Bui- Meghed . . Dermangit Beielei .... Adii ma 1° . . Igiei . . . . Tzu<;hella Sud . Addilla II" . . Addilla III"^ . . Tziichella Nord. 4M1'. 4. 13. 4. 13. 4. 12. 4. 15. 4. 15. 4. 16. 4. 18. 4. 16. 4. 18. 4. 19. 4. 19. 4. 20. 4. 21. 4. 20. 4. 22. 4. 23. 15".9 25. 3 59. 3 27. 5 32. 6 2. 0 51. 0 5. 2 32. 7 34. 1 20. 1 14. 1 7. 2 49. 3 57. 0 0. 7 8. 3 + 00.45'. + 0. 47. + 0. 45. -f- 0. 49. 4- 0. 48. -! 0. 50. + 0. 49. 4 0. 50. -f- 0. 54. 4- 0. 53. -^ 0. 51. 4- 0. 55. -f 0. .54. -f- 0. 54. -f- 0. 55. -1 0. 55. • 0. 54. 33".7 40. 2 26. 1 43. 7 5. 1 15. 2 51. 7 43. 1 2. 7 14. 0 43. 5 9. 3 28. 7 29. 7 17. 7 25. 9 14. 9 347. 6 353. 3 361. 6 365. 8 355. 2 351. 2 358. 7 368. 7 352. 4 357. 3 366. 3 364. 6 369. 3 374. 6 373. 0 376. 1 387. 2 Loiigitudiiu) di Dolo rispetto a Greeinvich = 41°-38'. 33 '. 0. 232 Rappresentazione della triangolazione sul piano cartesiano. Nome dei pnnti y X Dolo 0 0 Bocolo o Burgudut 1 1987"' + 3207"' Gol (Est» Nord Base di Dolo) . . 4 3207 — 25 Estremo Sud Base di Dolo . . . + 329 + 987 M. BaD<;ol + 9368 4- 12096 Ual Egilo + 2190 + 11924 Corre Nord + 1370 + 23389 Corre Sud — 4165 + 23372 M. Carari .... 4- .5105 4490 + 22479 32439 Ghezzei o Curo M. Eare — 8443 + 30787 Geo-lè — 3314 + 45856 Cormagliimbì — 114 + 60459 Gel Gelé + 4954 2402 + + 60634 7i:!05 Goriale Ciallai 4- 2678 344 + 75671 75471 Diddum Fultur — 1947 + 77828 — 233 — Segue Rappresentazione della triangolazione sul piano cartesiano. Ginger .... Nur Moo . . . Elben . . Scimilé II» . . Scimilé 1° . . Diglei .... Gumerta Diglei Durei II». . . , Durei I" . . . Tsama Biir Meglied . . Dermangit . , . Beielei . . . . , Addura 1° . . Iglei Tzuchella Sud , Addura II" . . Addura IH" . . Tzucliolla Nord — 3231" — 3185 + 1207 -f- 5181 -I- 6226 4- 3406 -f 9091 + 8152 + 11499 4- 1377S -f- 10937 + 14666 + 16079 + 15895 + 17526 -f- 20661 + 19055 -f 21012 -f 23088 + 85761'" + 78911 -\- 84298 -i 88194 + 84058 -f- 92004 -4 88958 -f 92971 -f 92242 + 93825 -4- 99982 + 98479 + 95684 + 102030 + 100776 + 100803 + 102285 + 102535 -f 100344 30 Appendice II. Cenni sulle collezioni zoologiche fatte dal Cap. Gi- temi durante la Missione per delimitare i confini italo-etiopici. Non è questa la prima volta che ho l'onore d'illustrare collezioni zoologiche fatte dal capitano Gitemi, perchè ho già trattato di quelle da lui radunate in Somalia nel 1903 (1) e prima ancora, nella mia relazione sul materiale scientifico ottenuto durante l'ultima spedizione del capitano Bòttego il nome del valoroso ufficiale è più volte citato (2). Durante la spedizione per la delimitazione della frontiera italo-etiopica, il capitano Gitemi, ammaestrato dall'esperienza (1) Collezioni zoologiche del tenente Gitemi in Somalia {Bollettino della Società Geografica Italiama, 1904). lu questa memoria sono enumerate le specie più degne di menzione per la loro rarità, o per l'interesse pre- sentato dal iiunto di vista biologico ; alcune sono figurate (Athyreus Gi- ternii e il bellissimo Fasmide Burria Gitemii). li' Anthictts Citernii è de- scritto dal Pie nel voi. XLI, 1904, degli Annali del Mmeo civico di storia naturale di Genova, ove trovasi pure la descrizione di un nuovo deride, il Phloeocopus verticalis, Schenkling e di un Imenottero della famiglia dei Braconidi, Bhogas Gitemii, Mantero. Durante la stessa spedizione, il Gi- temi ha scoperto anche varie specie nuove di Crisomelidi, dei generi Diamphidia e Apophyllia. Non si deve dimenticare che a lui si devono anche interessanti collezioni zoologiche fatte nel Harrar (maggio-giu- gno 1904). (2) Genni sulle collezioni zoologiche dell'ultima spedizione Bòttego (L'Omo. Relazione sulla seconda spedizione Bòttego nelV Africa orientale, di L. Van- NUTELLi e C. CiTERNi, Roma, 1899. Synodontis Gitemii, Vinciguerra. / pesci dell'ultima spedizione del capi- — 236 — delle precedenti ricerche, ha dimostrato semiire più lumino- samente il suo zelo e i risultati ottenuti sono di molto su- periori a quanto si poteva attendere da chi non ha scelto la zoologia a scopo precipuo dei suoi studi. Il breve tempo che mi fu accordato per redigere questa relazione, non mi consente di compiere per intero lo studio delle raccolte affidatemi ; esse comprendono una quantità di specie spettanti a molti gruppi disparati, che di necessità si devono ripartire fra diversi specialisti, non essendo dato, nello stato attuale della scienza, che uno da solo possa rigo- rosamente determinarle tutte. Mi limiterò dunque a consi- derazioni generali e all'accenno di quelle forme che presen- tano maggiore interesse. MAMMIFERI. La collezione risulta di micromammiferi conservati in alcool, di alcune pelli a secco e di crani di varie specie di Ungulati. Piii pregevoli sono i micromammiferi in alcool; essi com- prendono sette specie di Chirotteri e una interessante Cro- cidura; il resto consta di Roditori, fra i quali varie specie di Muridi, un Tachyoryctes e lo straordinario Heteroceiìlialua. Fra gli esemplari a secco notiamo i generi Guereza, Cer- copithecus, Galago, Canis (2 specie). Genetta, MelUvora, Xerus, Sciurus, Mus (2 specie), Tachyoryctes, Pectinator (coll'unica specie P. Spekei, Blyth) e Lepus (2 specie); più un giovane Hyrax e tre belle Antilopi, cioè : Madoqua Swaynei, Thomas, Lithocranius Walleri, Brooke, e Ourebia montana, Cretzschm. tana Bottega (Annaìi del Mmeo cìvico di storia naturale di Genova, ser. 2*, voi. XIX (XXXIX), 1898). Odontopyge Citernii, Silvestri. CMlopodi e Diplopodi dell'ultima spedi- zione Bottega (loc. cit.). Platyxantha Citernii, Jacoby. Some new genera and species of Phyto- phagous Coleoptera collected during Captain Bottega' s last expedition (loc. cit.). — 237 — L'egregio viaggiatore ha ricordato che, per lo studio della fauna delle regioni da lui percorse, importava avere il mag- gior numero possibile di specie ; quindi ha reso servizio alla scienza conservando almeno il cranio di quegli animali che, per mancanza di tempo, o per le circostanze del momento, non era possibile preparare interi; e così abbiamo crani tli Ippopotamo, di Phacochoerus, della elegantissima antilope Oryx heisa, di Gazella Soemmeringi, di Cobus ed altri. UCCELLI. È una delle parti della collezione esaurientemente illu- strata per opera dell'insigne ornitologo conte Tommaso Sal- vadori (1) e di molta importanza perchè comprende 155 specie. Di fronte a questa cifra cospicua, notiamo un numero rela- tivamente scarso di esemplari, in tutto 254, il che rivela il giusto criterio del raccoglitore, che si è curato di radunare il maggior numero di sjìecie, anziché accumulare individui, utilizzando così nel modo il piti proficuo per la scienza il tempo, limitato dalle circostanze del viaggio. Nessuna delle specie è nuova, come osserva il Salvadori, e non è da sorpren- dere, considerando che la regione percorsa dal Gitemi è stata largamente e diligentemente esplorata da parecchi viaggia- tori e naturalisti e specialmente dal barone von Erlanger. Pili meritevoli di essere citate sono le specie seguenti: Francolinus castaneicolUs^ Salvad., specie che rammenta molto il Francolimis Bottegi, Salvad. Rhinoptiluii Hartingi, Shell. 0ti8 humilis, Blyth, specie molto rara nelle collezioni. Falco saeer, Gm. Spreo Fischeri, Rchnw. (1) Miinione per la frontiera italo-etiopica sotto il comando del capitano Carlo Citerni. Risultati zoologici. Uccelli per T. Salvadori. (Annali del Museo civico di storia naturale di (ienora, ser. 3*, voi. V (XLV), 1912). 238 — Le 155 specie 3iite '. sono ri partii jQ per famiglie ne 1 modo Anatidae .... specie 3 Bucerotidae . . . specie 2 Phasiiiiiidae » 3 Alcedinidae . . » 4 Pteroclidae » 3 Meropidae . . . » 5 Columbidae » 4 Upupidae . . . » 1 Ibididae » 2 Iirisoridae . . . » 3 Ciconiidae . » 2 Caprimulgidae . » 1 Ardeidae . » 2 C3ri>8elidae. . . » 1 Charadriidae » 4 Hirundinidae. . . » 1 Scolop'acidae » 3 MuBcicapidae . . » 3 Otididae . » 1 Campophagidae . » 1 Bubouidae. » 3 Lauiidae . . . » 9 Vulturidae. » 2 Diciuridae . . . » 1 Gypaetidae » 1 Oriolidae . . . » 1 Falconidae. » 13 Stuxnidae . . . >■> 6 Psittacidae » 3 Ploceidae . . . » 13 Musophagidae » 3 Friugillidae . . » 2 Cuculidae . » 1 Motacillidae . . » 6 ludicatoridae » 1 Alaudidae . . . » 3 Capitonidae » 3 Pycnonotidae. . » 3 Picidae . . » 5 Nectariniidae . . » 6 Coliidae » 2 Paridae .... » 1 Trogonidae » 1 Sylviidae . » 14 Coraciidae . » 3 RETTILI E BATRACI. Al valente erpetologo del Museo Britannico, Gr. A. Bon- lenger dobbiamo lo studio dei rettili e dei batraci (1). La serie non è molto numerosa, ma interessante; essa comprende: Chelonii, 2 specie. Saurii, 22 specie, fra le quali un nuovo Gecotide, Hemi- dactylus Citernii, forma interessante che si avvicina all'iT^e- midactylus graciUs, Blanf., dell'India e aW Hemidactyhis oxy- (1) Misfiione per la frontiera italo-etiopica sotto il comando del capitano Carlo Citerni. Risultati zoologici. List of the Beptiles and Batrachìans, by Gr. A. BouLENGER, F. R. S. (Annali del Museo civico di storia naturale di Genova, ser. 3^, voi. V (XLV), 1912). — 239 — rhinus, Blgr., di Socotra. Il Chalcides Bottegi, Blgr., di cui un solo esemplare fu raccolto fra Sancurar e gli Amarr durante l'ultima spedizione Bòttego, venne ora ritrovato dal Gitemi ad Addis- Abeba. Camaleonti, 3 specie. Ofidii, 15 specie, e fra queste il nuovo Zamenis Citernii. Fra i Batraci, ammontanti in totalità a 5, è degna di men- zione la Eana Beccarli, Blgr. (1), specie assai pregevole che fu descritta sopra esemplari scoperti in un torrente a Filfll, Eritrea, dal dott. Nello Beccari. Il capitano Gitemi l'ha rac- colta ad Addis-Abeba. PESCI. Il materiale ittiologico fu elaborato, con la solita grande e ben nota perizia, dal prof. Decio Vinciguerra (2). È scarso, risultando di 11 sole specie; ma in compenso 3 di esse sono descritte come nuove, cioè : Mormyrops Citernii, Labeo sticto- lepis, ambedue dell'Alto Ganale e Labeo Boulengeri del fiume Berber, nel paese degli Arussi Galla. Il risultato non è poco, considerando che anche il piti lieve contributo alla conoscenza dei pesci d'acqua dolce di quelle regioni ha sempre molta importanza scientifica. MOLLUSCHI. Fra questi è da notarsi l'elegante Ampullaria speciosa, Phi- lippi, della quale esistono nella raccolta Gitemi vari esem- plari, raccolti, in novembre 1911, nel torrente Baidoa (So- malia). (1) Descripiion of a new Frog discovered hy Signor Nello Beccari in Erythraea, by G. A. Boulenger, F. R. S. (Annali del Museo civico di storia naturale di Genova, ser. 3', voi. V (XLV), 1912). (2) Missione per la frontiera italo-etiopica sotto il comando del capitano Carlo Citerni. Risultati zoologici. Pesci per D. Vinciguerra. (Annali del Museo civico di storia naturale di Genova, ser. 3*, voi. V (XLV), 1912). — 240 — CROSTACEI E MIRIAPODI. Queste due classi di Artropodi non sono state trascurate dal solerte raccoglitore. Fra i primi va citato un Potamon, trovato in vari esemplari nel torrente Baidoa. I Miriapodi, specialmente Diplopodi, sono rappresentati da un buon nu- mero di specie. ARACNIDI. Anche gli Aracnidi si presentano, come i Miriapodi, con una serie considerevole di specie. Abbondano gli Scorpioni e gli Araneidi, più povera è la serie dei Solifugi e i Pedi- jjalpi non contano che una specie. Fra gli Scorpioni noterò il Buthus Uminii, che Pocock ha descritto sopra un esemplare rinvenuto sulla sponda meri- dionale del Victoria Nyanza da Emin Pascià. Questa specie non è però che una varietà del Buthus trilineatuSj Peters, dif- fuso dall'Africa orientale germanica al paese dei Cafri. Il Gi- temi l'ha trovato nel territorio dei Rahanuin. Altre sette specie di Scorpioni fanno parte della sua collezione e sono : Buthus acutecarinatus, E. Sim., Parahutlius liosoma, H. & E., Parahuthus palUdus, Pocock, Xanohuthus Andersotii, Pocock, Uropleetes Fischerl, Karsch, Pandinus pallidus, Kraepelin ed un I/ychas che richiede ulteriori studi. L'unico Pedipalpe è un Phrymchus, che, secondo il parere dell' insigne aracnologo prof. Kraepelin, potrebbe essere una specie nuova. Uno dei Solifugi è la Zeriassa RuspoUi^ Pavesi (1), la cui scoperta devesi a don Eugenio dei principi Ruspoli fra Lugh e Barderà, nel febbraio del 1893. Seguono altre tre specie, cioè il comune Galeodes arabs, C. L. Koch, il Bhagodes Karschi, Kraepelin e una Baesia non ancora determinata. (1) studi sugli Aracnidi africani del pi-of. P. Pareni. IX. Aracnidi so- mali e galla raccolti da don Eugenio dei j^^'incipi Buspoli. (Annali del Museo civico di storia naturale di Genova, ser. 2», voi. XVIII (XXXVIII), 1897). 241 — INSETTI. È questo, come era da aspettarsi, il materiale più copioso ; ma io dovrò limitarmi a passare brevemente in rassegna i diversi ordini, segnalando per ciascuno di essi le forme più importanti e più caratteristiclie. Le specie sono così distribuite: Colcoptera specie 324 Hymenoptera Diptera Aplianiptera Hemiptera sp. 83 ,) Homoptera sp. 13 ) Neuroptera Pseudoneuroptera Orthoptera Rliynchota 63 26 1 96 8 3 34 Specie 555 COLEOTTERI. Il numero delle specie di Coleotteri si può riassumere nel quadro seguente; Cicindelidae Carabidae . Dytiscidae Gyrinidae . Paussidae . Staphylinidae Silpliidae . Hydropbilidao Cantharidae Cleridae Ostomidae . Ccx'oinellidae Diyopidae . Dermestidae Elateridae . Bnprestidae specie 4 Lyinexylouidae . specie 1 » 39 Bostryohidae . . » 8 » 3 Aiiobiidae . . . » 3 » 3 Meloidae . . . » 8 » 2 Mordellidae . . y> 1 » 11 Allcculidae . . » 3 » 1 Tenebrioni dae . » 49 » 2 Rbysopaiissidae . » 1 » 4 Cerambycidae » 23 » 6 Chrysomelidae . » 27 » 1 Antliribidae . . » 1 » 10 Brenthidao . . y> 1 » 1 Curculiouidae . » 29 » 1 Scarabaeidae . . » 58 » 13 Cetonidae '. . . » 2 31 242 Le Cicindele sono state sottoposte all'esame del dottor Walther Horn, l'autorità più competente per questa fami- glia (1). Egli ha trovato che si riferiscono a quattro specie, delle quali la piìi importante è una forma della Megacephala regalis, Boh., che egli considera come sottospecie nuova e descrive col nome di Megacephala Citernii. Lo studio di essa ha condotto l'autore ad utili considerazioni d' indole sistema- tica e ad appunti sulla distribuzione geografica delle Mega- cephala di questo gruppo. Le altre Cicindele portate dal Ci- terni sono : la sottospecie quadrìpustulata, Boh. della Prothyma versicolore Dejv la Cicindela alboguttata, Klug, che abita la Somalia, l'Abissinia, l'Eritrea e trovasi pure presso Aden, e infine la Cicindela rectangularis, Klug, razza est-africana della Cicindela octoguttata, Oliv. Di Carabici si ha una ricca serie, che offrirà largo campo di studio, con coppia di novità. Non mancano fra essi Calo- soma, Anthia e sopratutto Polyhirma abbondanti in quelle regioni, e sono rappresentati: Grajìhipterus, Galerita, Triae- nogenius, Zuphium, Brachimis, Clivinidi con due eleganti forme, Cyclosomus, Siagona, Morto e tanti altri. Si è detto dei Paussidi che sono per gli insetti come le Orchidee per le piante, alludendo alle strane particolarità che li rendono estremamente notevoli fra tutti i Coleotteri. La bizzarra conformazione delle loro antenne tanto variabili, la loro convivenza colle formiche, la loro rarità, li fanno molto ricercati, talché ne abbiamo visto assai aumentate le specie in un tempo relativamente breve (2). (1) Missione per la frontiera itaìo-etiopiea sotto il comando del capitano Carlo Gitemi. Risultati zoologici. Enumération des Cicindelides par Walther Horn. {Annali del Museo civico di storia naturale di Genova, ser. 3', V (XLV), 1912. (2) Nel Cataìogus Goleopterorum di Gemminger e Harold, pubblicato nel 1868, le specie di Paussidi ammontano a 99; nel Catalogo sistema- tico dei Paussidi di R. Gestro (1901) sono 270; nel Goleopterorum Cata- ìogus di JuxK, Paussidae di R. Gestro (1910) arrivano a 298, cui dob- — 243 — I nomi di Paussus Antinorii, di Arthropterus Feae, di Peti- taplutartìirus Bottegi, di Paussus Andreinii, di Paussus Ba- yonii, da me applicati a specie di Paussidi africani, mostrano che i nostri benemeriti esploratori e raccoglitori hanno re- cato un buon contributo per lo studio di questa famiglia. Chi ha raccolto maggior materiale è il capitano dott. Al- fredo Andreini, che durante il suo soggiorno in Eritrea, dal 1901 al 1903, si è dedicato ai Paussidi con speciale amore, non trascurando però le altre collezioni zoologiche in ge- nere, di cui ha saputo radunare grandissima coppia (1). Dal- l'Eritrea abbiamo pure avuto Paussidi per mezzo del valente imenotterologo dott. Paolo Magretti, altro benemerito della fauna africana. La famiglia è anche rappresentata fra gli insetti dell'ultima spedizione di Don Eugenio dei Principi Ruspoli col Paussus laevifrons, Westw. e col Paussus spini- cola, Wasm., specie finora esclusiva della Somalia, dove tro- vasi dentro alle spine rigonfie delV Acacia fistula, insieme alla formica Cremastogaster Chiarinii. Il dottore E. Bayon, inde- fesso ed abile raccoglitore, che ha fornito grande quantità di elementi per la conoscenza della fauna dell'Uganda, ha trovato per questa regione sei specie, mentre prima se ne conosceva una sola, e fra queste il Paussus Bayonii è sco- perta sua (2). Dobbiamo essere grati anche al capitano Citerni che ha saputo tener conto dell'importanza di questi insetti, racco- gliendone fin dalla sua prima spedizione in Somalia nel 1903, ed ora dal suo recente viaggio ne ha riportate due specie. biaiuo aggiungere due specie recentemente descritte, Paussus Andreina e Paussus Bayonii. (1) Materiali per lo studio della fauna eritrea raccolti nel 1901-903 dal dott. A. Andreini tenente medico. Paussidae, di R. Gestro. {Bullettino della Società entomologica italiana, anno XLI, Firenze 1911). (2) Collezioni zoologiche fatte neW Uganda dal dott. E. Bayon. IX. Ap- punti sui Paussidi, di R. Gestro. (Annali del Museo citrico di storia natu- rale di Genova. Serie. 3», voi. IV (XLIV), 1910). — 244 — Una è nuova; ho l'onore di dedicargliela e mi compiaccio che vi sia anche un Paussus insignito del suo nome (1); l'altra è il bellissimo Paussus procerus, che è fra i più grandi, e fu descritto dal Gerstaecker nel 1867 sopra esemplari di Abissinia. Il Paussus procerus fu trovato finora fuori dei for- micai ; il Citerni ne ha colto tre esemplari durante il percorso dal Harrar all'Auasc. Nel Museo civico di Genova se ne con- serva un esemplare del Harrar, dovuto all'egregio commis- sario di Assab, Pietro Felter. Il diligente raccoglitore ha radunato anche parecchi Sta- fllini, assai pregevoli, benché minuti; l'unico che fa eccezione è un grande e magnifico esemplare di Platyprosopus heduinus, Nordm., specie della Nubia che fu però raccolta anche al Cairo da Giacomo Doria durante il viaggio dell'« Esplora- tore » ad Assab. Un'altra specie dello stesso genere, di mi- nori dimensioni, è il Platyprosopus longicoUis, Epp. ; il primo è di Dolo, l'altro proviene dal territorio dei Rahanuin. Bello è pure lo Staphylinus liemichrysis, Fauv. irto di peli dorati. Vi sono inoltre quattro specie di Paederus, uno Zyras, un Leptacinus, un Bledius e due Philonthus, dei quali uno porterà il nome di Philontìms Citernii e sarà descritto prossimamente dal dott. Bernhauer, il valente monografo degli Stafilinidi. Scarso è il numero dei Malacodermi e notevole sopratutto la povertà assoluta in fatto di Lycus. La famiglia dei Cleridi invece si presenta piìi ben fornita, perchè in mezzo a graziose specie già note {Cylidrus fa- sciatus, Cast., Tillodenops plagiatus, Fairm., Phloeocopus vinctus, Gerst., Opilo rudis, Gerst., Tenerus variabUis, Klug) troviamo una specie nuova che verrà in seguito descritta col nome di Stigmatium Citernii. (1) Missione per la frontiera italo-etiopica sotto il comando del capitano Carlo Citerni. Risultati zoologici. Nuova specie di Paussus della Somalia di E. Gestro. (Annali del Museo civico di storia naturale di Genova, serie 3*, voi. V (XLV), 1912). — 245 — Non ricca, ma interessante è la serie degli Elateridi, coi giganteschi Tetralobus ed altre specie minori. Fra i Buprestidi un'importante cattura è quella delVAm- blyslerna stictica, Kerrem., magnifica specie trovata dal Gi- temi a Dolo e descritta in origine sopra esemplari dell'Africa orientale germanica. La Sterasjns colossa, Harold, già nota della Somalia e raccolta dal Bòttego nei Boran Galla, forma notevolissima per la sua statura e pei suoi colori smaglianti sopratutto nelle parti inferiori del corpo, è qui rappresen- tata da un esemplare di Dolo. Altri Buprestidi della colle- zione sono la Ghrysobothris empyrea, Gerst., la Sphenoptera ahyssinica, Thoms., la Sphenoptera cuneiformis, Cast. & Gory, la Sphenoptera Bayonii, Kerrem. e VAgrilus Breyeri, Kerrem.; infine una Melanophila dell'Uebi Mana appare differente dalle altre specie conosciute e verrà pubblicata come nuova col nome di Melanophila Citernii. Abbiamo poi belli esemi^lari di un Lymexylonidae, VAtrac- tocerns hrevicornis, Linn. e una piccola serie di Bostrycliidae, composta di otto specie, delle quali una {Bostrychopsis Citernii) è nuova (1). Ha destato in me vivo interesse la presenza nel materiale a me affidato di un Rhysopaussidae, perchè questa famiglia, di Coleotteri viventi fra le termiti e dotati di caratteri straor- dinarii, è finora povera di specie, ciò che rende maggiore l'importanza del contributo arrecato dalle collezioni di Ci- terni. Si tratta di un Hoplonyx, genere di cui si conosce og- gigiorno circa una diecina di specie, abitanti l'Africa orien- tale ed occidentale (2). (1) Missione per la frontiera italo-etiopica sotto il comando del capitano Carlo Citerni. Risultati zoologici. Bostrychidae par P. Lesne. (Annali del Museo civico di storia naturale di Genova, serie 3*, voi. V (XLV), 1912). (2) La figura di un Hoplonyx, del Sudan, fra gli ultimi descritti (Hoplonyx termitophtlus, Wasui.) trovasi uell'opera Besults of the Swedish Zoological Expedition to Egypt and the White Nile, 1901, under the direo- — 246 — L'Africa è il paese dei Tenebriouidi e quindi è naturale che troviamo numerose specie di questa famiglia nella col- lezione Gitemi; esse superano quelle da me enumerate nel lavoro sui Coleotteri della spedizione Bòttego al Giuba (1). Bella è la serie delle Zophosis e dei generi vicini ; meno nu- merose sono le Adesmia e le Rhytidonota ; noto la Pimelia Bottegi, alcuni Moluridi, tre Sepidiini, un'Anemia, un Endu- stomus e tanti altri che richiedono lungo studio per essere esattamente determinati. I Cerambicidi sono in tutto 23, dei quali 4 Prionini, 8 Ce- rambicini e 11 Lamiini. Dei Prionini noto come più impor- tanti il héìV Acanthophorus nyassanus, Kolbe, di Dolo; gli altri sono: Cantharocnemis spondyloides, Serv. e Macrotoma palmata, Fabr., pure di Dolo e Titlioes confinis, Cast., dell' Auasc. Fra i Lamiini specialmente osservo parecchie forme minute, molto interessanti e con probabilità in parte nuove. I Crisomelidi, ammontanti ad una trentina, comprendono due Criocerini, un Gryptocephalus, un Clitrino; piìi numerosi sono gli Eumolpini; vi è una sola Cassida e mancano gli Hispini. Le due famiglie degli Antribidi e dei Brentidi, sempre parcamente rappresentate in quelle regioni, contano ciascuna una specie. Non si può dire lo stesso dei Curculionidi, che si presen- tano in serie numerosa e ricca indubbiamente di novità. La famiglia degli Scarabeidi è quella che offre il mag- tion of L. A. Jiigerfikiòld, parte I. U Hoplùnyx termìtophilus vive nei nidi di Termes nataleims, Hav. UHopìonyx Casatii, da me descritto sopra un esemijlare del Lago Edoardo, raccolto dal compagno di Gessi e di Emin Pascià, il maggiore Gaetano Casati, è molto diverso dalla specie ripor- tata dal Gitemi. (1) Esplorazione del Giuba e dei suoi affluenti compiuta dal cap. V. Bòt- tego durante gli anni 1892-93, sotto gli auspici della Società geografica ita- liana. Risultati zoologici. XVI. Coleotteri, pel dott. E. Gestro. {Annali del Museo civico di storia naturale di Genova. Serie 2*, voi. XV (XXXV), 1895). — 247 - giore numero di specie. Non manca il comune, ma splendido, Scarabaeus purpurascens, Gerst., cui fanno compagnia alcune specie ugualmente splendenti di Ontophagus. Pregevoli assai sono quattro specie di Bolboceras. In mezzo alla serie degli Aphodius osservo tre esemplari di Stiptopodius Doriae, Harold, cosa che mi compiaccio di accennare, sia per la rarità di questo insetto dotato di caratteristiche straordinarie, sia perchè esso è legato ai nomi di quattro insigni esploratori italiani ; infatti il primo SUptopodms fu trovato in Eritrea a Sciotel, fra i Beni-Amer, dal dott. Odoardo Beccari, un se- condo è dovuto a Don Eugenio dei Principi Ruspoli, che lo raccolse a Leboi sul Daua, il terzo, preso fra Mat-Agoi e Lugh, spetta alla raccolta fatta dal capitano Bòttego durante la sua ultima spedizione, ed infine abbiamo i tre esemplari colti dal Citerni a Dolo, sponde del Ganale Doria, e nel ter- ritorio dei Eahanuin (1). Di Cetonidi non abbiamo che la Pachnoda Stehelini, Schaum e V Hoplostomus fuUgineus, Oliv. ; la prima è comunissima, ma non può dirsi lo stesso delV Hoplostonms^ conosciuto finora della Cafreria e della Senegambia e citato dal Gerstaecker fra le specie del viaggio di Von der Decken. IMENOTTERI. L'ordine degli Imenotteri conta le specie seguenti; Ichneiimonitlae . siiecie 4 Scoliidae . . . specie 1 Braconitlae » 3 Pompilidae . » 6 Chrysidae . . » 3 Crabronidae . » 3 Formicidao . » 25 Vespidae . . » 5 Mtttillidae . . » 6 Apidao . . . » 7 (1) Per la figura e la distribuzione geografica di questo insetto, unica specie finora descritta del genere Stiptopodius, vedi : R. Gestro, Un cenno sul genere « Stiptopodius », Harold. {Annali del Museo civico di storia naturale di Genova. Serie 2*, voi. XIX (XXXIX), 1899, pag. 519, fig. pag. 520). 24S DITTERI. La serie è importante e comprende numerosi generi. Emerge fra tutti una graziosa Diopsis, colta in copiosi esemplari sull'Auasc; questa specie, a primo colpo d'occhio, lio creduto dovesse riferirsi alla Dioims Beccarli, Eond. trovata, pure in quantità, a Sciotel nell'Eritrea, ma ho verificato in seguito trattarsi di cosa assai diversa. RINCOTI. Il numero dei Eincoti è davvero ragguardevole special- mente per gli Emitteri, che salgono ad 83, mentre gli Omot- teri non sono che 13. Abbondano i Eeduviidi e fra essi fa bella comparsa, per dimensioni e colorito, il Platymeris Rha- d€imanthu8f Gerst., seguito da buon numero di altre specie assai notevoli. NEUROTTERI E PSEUDONEUROTTERI. In questi ordini troviamo parecchi Mirmeleonidi, qualche AscalaphuH e pochi Odonati. ORTOTTERI. Gli Ortotteri non furono davvero trascurati. Prima di tutto dobbiamo notare una. serie importante di Blatte, fra cui varie specie del curioso genere Derocalymma, e lo stesso per le Mantidi, benché non ancora interamente determinate. Posso citare fra queste ultime: Danuria holauana, Saussure, di Dolo. Hpliodromantis viridis, Forsk., dell' Auasc. Sphodromantis Andreinii, Giglio-Tos, di Dolo. Ischnomantis, due specie finora indeterminate dell' Auasc. — 249 — Tarachodes, due specie pure da determinare di Dolo. Tarachodes pantherina, Gerst., di Dolo, specie elegante figu- rata dal G-erstaecker nella parte entomologica del viaggio di Yen der Decken. Entella, del territorio dei Kalianuin. CalidomanUs, dell'Auasc; queste due ultime ancora da studiare. Di Fasmidi non esistono che due specie del genere Ba- cillus. Seguono i Grillidi, con un discreto numero di specie; i Locustidi, con varie forme del bizzarro genere Eugaster e in- fine gli Acrididi, con poche, ma ben caratteristiche specie, ed i Forficulidi, con una sola. Genova, novembre 1912. Prof. E. Gestro. 82 Appendice III. Osservazioni Meteorologiche e loro discussione per il Dr. Emilio Oddone primo assistente del B. Ufficio Centrale di Meteorologia e geodinamica in Koma. Al E. Ufficio centrale di meteorologia e geodinamica per- vennero dalla Direzione centrale degli affari coloniali al Mi- nistero degli esteri, le osservazioni meteorologiche fatte du- rante il viaggio della missione incaricata di limitare il confine italo-etiopico, perchè fossero discusse. Delle osservazioni era incaricato il topografo signor An- nibale Venturi dell' Istituto geografico militare, addetto alla missione. ì^^umerosi schiarimenti ci furono forniti a Eoma dal ca- pitano Gitemi comandante la missione stessa. Le osservazioni meteorologiche raccolte durante il viaggio della missione Gitemi del 1910-1911 si riferiscono a misure di pressione, di temperatura, di vento e dello stato del cielo, compiute dai nostri nella regione continentale dell'Africa orientale tra il quarto ed il decimo grado di latitudine nord. Sono state fatte lungo la via che dall' Harrar recava la missione a Dolo, per Addis-Abeba. Le osservazioni sono di due sorta: quelle fatte ad ore fisse in luogo di lunga permanenza, e quelle fatte alle stesse ore fisse, ma in località di- verse, secondo l'itinerario del viaggio. Le prime sono tra loro paragonabili; le seconde non lo sono e pur nondimeno presentano un forte interesse, rife- — 252 — rendosi a regioni poco visitate e quasi sconosciute dal lato meteorologico. Le une e le altre abbiamo assoggettate a breve esame critico, decidendo di dividere le seconde osservazioni in varie serie, come comportava il variare della stagione, della lati- tudine e dell'altitudine. Per ordine di data, le osservazioni vanno dal 1° ottobre 1910 al 9 agosto 1911 e si possono dividere naturalmente in quattro serie nel modo che stiamo per descrivere: La prima corre dal 1° al 31 ottobre, e comprende le os- servazioni fatte in paese elevatissimo nel viaggio Harrar- Addis-Abeba, lungo circa il parallelo del grado nono. La seconda serie include il novembre ed il dicembre 1910, e sono le osservazioni fatte in posto ad Addis- Abeba alla legazione d' Italia. Quelle della terza serie sono le osservazioni durante il viaggio da Addis-Abeba a Dolo dal 22 dicembre 1910 al 16 marzo 1911. Furono fatte quando la missione scendeva dall' altipiano abissino in direzione SE, fin verso il quarto grado di latitudine settentrionale, passando dalla quota di 2450 m. propria ad Addis-Abeba a quella di 221 m. sul livello del mare a Dolo. Sono le più difiBcili a raggrupi^arsi. Infine viene la quarta serie, con le osservazioni fatte a Dolo dal marzo all'agosto del 1911. Prima di accingermi alla discussione delle osservazioni, io esprimo il parere che le osservazioni meteorologiche d'esplo- razione siano pubblicate in extenso così come l'osservatore le ha raccolte. Ogni meteorologo le discuta come meglio la sua esperienza gli detta, ma si guardi con soppressioni od arbitrii di togliere ad altri studiosi la possibilità di risalire alle osservazioni genuine. Conseguente a tale convinzione, io ho consigliato di far pubbliche le osservazioni del Venturi quali furono trasmesse, senza correzioni o ritocchi. Dalla discussione delle medesime io ho tratto quel po' che ho saputo ricavare; altri, colle fonti allegate, potranno verifi- care le mie conclusioni e spingersi più addentro nella materia. — 253 — Barometria. — La spedizione possedeva due barometri aneroidi della marca Trougliton e Simms, contrassegnati dai nn. 990 e 1171. Non è detto nel quaderno delle osservazioni, se l'osserva- tore possedeva le rispettive curve di correzione strumentale. Vi leggiamo però: che il barometro aneroide n. 990 al mare, a G-ibuti, an- ziché 760,2 segnava 749; ed il barometro aneroide n. 1171 nelle stesse condizioni di tempo e di luogo, segnava 765. Dallo stesso quaderno si può facilmente scorgere che i due barometri corretti per l'accennata differenza di Gributi, segna- vano ad Addis-Abeba sull'altipiano, rispettivamente 568,2 e 573,2. Siccome la media pressione ad Addis-Abeba è nota, eguale a 568 circa, ne concludiamo che l'olosterico n. 960 non alterò la sua correzione passando dal livello del mare a 2450 m.; fatto che depone a tutto favore del detto ane- roide ; mentre l'altro contrassegnato col n. 1171 diedesi a di- vedere soggetto ad un isteresi di 5 mm. e quindi meno buono. Troviamo ancora sul giornale che addì 20 dicembre 1910 si suppone caduto il barometro 1171, ed a svantaggio di que- sto 1171, sta ancora il fatto che a viaggio compiuto, essendo capitato nelle nostre mani per la taratura, abbiamo consta- tato che esso aveva l' indice fermo su di una pressione corri- spondente circa all'altezza di Addis-Abeba dove è presup- posto sia caduto. Senza insistere su ciò che potrebbe essere una fortuita coincidenza, abbiamo tre argomenti che depon- gono a sfavore del 1171. Perciò diamo incondizionata prefe- renza ai dati forniti dall'olosterico n. 990. Questi dati sono elencati nella terz'ultima colonna delle tabelle ed ai mede- simi occorrerà portare la correzione che abbiamo chiamato di Gil)uti (-^ nìm. 11,2). Le pressioni allora risultanti, jiermet- teranno il ricavo di dati ipsometrici abbastanza approssimati, affetti solo piti dall'errore dell'escursione incognita della pres- sione barometrica che dal suo valore normale. — 254 — Temperatura. — Il quaderno non dice con quali termo- metri si siano fatte le letture e nemmeno ne specifica la cor- rezione. È però probabile siano etati adoperati il termometro in quinti ed i termometri a massima e minima in uso nelle stazioni termo-udometriche italiane. È altresì probabile che la loro correzione fosse nota e sia stata applicata. In caso contrario, ricordando che i termometri da noi accettati e messi in circolazione per la meteorologia hanno sempre una correzione piccola, potremo con buona approssimazione rite- nerla trascurabile. Le letture al termometro sono state fatte tre volte al giorno; alle sei, a mezzogiorno ed alle diciotto t. v. ; però nei giorni in cui l'arrivo al campo tardava sul mezzogiorno, si preferì trasportare l'osservazione dal mezzogiorno alle 15''. Tutto ciò risulta dalle tabelle. Prima Serie, Viaggio lago Haramaia-Addis-Abeba. — a) La serie incomincia con le osservazioni meteorologiche addì 1° ottobre 1910 a Carsa e continua per quindici giorni di viaggio, lungo un altipiano alto circa 2000 m., su di un percorso di circa 150 km. fino a Cunni. La temperatura dal 1° al 14 ottobre compreso ebbe una media di circa 12°,7 alle sei » » 21°,1 alle quindici » » 16°,1 alle diciotto. La media delle temperature massime fu di 21°,9, quella delle minime 8^,1. La temperatura media diurna ricavata dall'espressione — "^ fu di 14°,5. L'escursione media diurna, calcolata dalla media delle massime meno la media delle minime, diede 14°,5. La tempe- ratura massima assoluta arrivò a 26°, la minima a 5° e la massima escursione diurna a 21°. Sono temperature molto basse per la latitudine cui occor- — 255 — rono. La ragione va cercata neiraltitiidine, nel 'S'È incipiente tra gli altri venti, e nel prolungo esagerato del tempo pio- vigginoso e temporalesco, come leggesi nella colonna ultima delle tabelle intitolata varie. b) Da Cunni, la missione scese da 2000 a 1000 m. sul li- vello del mare nella risecca vallata dell' Auasc, per risalire poscia a 2000 metri a Sciancorà. Ad un'altezza media di circa 1500 m., in questa seconda quindicina di ottobre, con cielo sereno e venti del secondo quadrante, le temperature ebbero i seguenti valori medi: Dal 14 al 28 ottobre compreso: 14°,8 alle sei 27°,'4 alle quindici 23*',0 alle diciotto. La temperatura media tu di 22" approssimata, perchè es- sendosi guasti i termometri a massima ed a minima la si 6'' + 15'' + 18". dovette ricavare dall'espressione meno esatta o Così a criterio dell'escursione media diurna, il dato che me- glio specifica le condizioni termiche del paese, si tenne la differenza tra le medie alle 15'' ed alle 6'' ricavandone il va- lore di 12°,6. Paragonate queste cifre alle precedenti del comma a) risulta evidente l'aumento di temperatura per la diminuita altitudine, aumento ancora più sensibile in fondo alla valle, presso lo Auasc, a 950 m. circa, dove il termometro salì alle 15'' a 35"! Tra le stazioni a) e le stazioni b) alla levata del sole la differenza di temperatura è piccola ; ma verso le 15'' e le 18'' si fa notevole, corrispondendo al decremento adiabatico di 1° circa per ogni cento metri d'altezza. Kipresa la salita, verso Addis- Abeba, si ebbero notti fred- dissime e ad Ambissa 2°,5. Seconda Serie, od osservazioni ad Addis- Abeba. — Le osservazioni ad Addis- Abeba città, vanno dal 3 novembre — 256 — al 21 dicembre e si riferiscono a regione molto alta sul mare (2450 m. circa) in una stagione nella quale dominò sempre il monsone di l!^E, con cielo sereno, salvo brevi periodi pio- vosi nella seconda decade di dicembre. Dato il clima equatoriale di Addis- Abeba che è a 9 gradi di lat. Nord, era da aspettarsi che la temperatura media men- sile vi fosse abbastanza costante ed infatti il valore medio mensile di novembre fu di 13°,") e 13'',4 circa quello del mese di dicembre. Non ci fermiamo molto su queste osservazioni di Addis- Abeba perchè il nostro Governo vi tiene in funzione una stazione termo-udometrica che ha già fin dal 1905 pubblicato alcuni risultati preliminari (1). Dalle schede mensili della medesima si possono togliere a complemento, le massime e le minime dove esse mancano. Così impariamo che le temperature massime furono quasi semi)re le stesse, intorno 25°, mentre le minime da circa 6" alla fine di novembre, salirono a 10° circa a metà dicembre. Ci piace peraltro far notare che il metodo allora adot- tato per la determinazione della temperatura media diurna , .. , ^a 4- Mi aveva per base la tormola ^ ; mentre noi in queste osservazioni siamo in grado di poter adoperare l'espressione . ^ Q^ A- IS'' 4- Ma 4- Mi _ . più approssimata - — — ' . Per i mesi di no- vembre e dicembre i valori medi ottenuti con l'espressione ultima scritta, sono assai più bassi di quelli che si sarebbero ottenuti applicando la prima espressione. Ci è finalmente di soddisfazione constatare che nei dati delle due stazioni : la provvisoria del cap. Citerni e la stabile del dottore L. De Castro, l'accordo termometrico fu in gran parte raggiunto. (1) L. De Castro ed E. Oddoxk, Boli, della Soc. Geogr. Itah, fase. I, 1905, pag. 19-30. — 257 — Terza Serie. Viaggio da Addis-Abeba a Dolo. — a) Nel primo tratto da Addis-Abeba al lago Arsadi (22 al 26 dicembre 1910) la regione attraversata presenta elementi meteorologici dalle stesse caratteristiche come nel tratto prima di Addis-Abeba e di Addis-Abeba stessa. b) Dopo il lago, scendendo di qualclie centinaio di metri verso la pianura umida dell'alto Auasc, la temperatura salì di poco, per tosto ridiscendere quando la missione prese a risalire il versante opposto. Qui si incontrarono temperature minime insolitamente basse, fino a 4° sotto lo zero, con ab- bondante produzione di brina, un fenomeno non sconosciuto, ma non frequente allo Scioa. Xel tratto da Sirie a Ghigner, durante l'intero gennaio 1911, ad una media altezza di 2400 m., con venti sempre del primo e del secondo quadrante (periodo intenso del monsone) e cielo per lo più sereno, si ebbero le seguenti temperature medie: Dal 2 gennaio al 6 febbraio compreso: 6°,8 alle sei 25°,0 a mezzogiorno 14°,4 alle diciotto. La media delle temperature massime si mantiene ancora intorno i 26° salendo la massima assoluta a 29°. Le tempe- rature minime oscillano da — 4° a + 11° con una media di -|-5°,7 mentre l'escursione diurna fu sempre forte ed addì 1° gennaio raggiunse i 29°,5! La temperatura media risultò di circa 13°,2. e) Al di là di Ghigner, il viaggio nella prima quindicina di febbraio si svolge da Nord a Sud per una ininterrotta lenta discesa. Per avere gli elementi meteorologici intorno ai 1000 m. d'altezza, abbiamo raggruppato le stazioni tra Malcà Uoddà a 1410 m. ed Aggio Cata a 790 m. In questa quin- dicina sofi&ò sempre il monsone di NE ed il cielo fu preva- lentemente sereno. La temperatura fornì le seguenti medie: SS — 258 — Dal 7 al 17 febbraio: 10°,7 alle sei 33°,3 a mezzogiorno 27'',6 alle diciotto. La media delle temperature massime fu di 34°,7, quella delle minime 8°,9 risultandone una temperatura media di 20°,5. La temperatura massima assoluta fu di 38°,5 e la mi- nima assoluta di 6° con escursione diurna media di 25**,8 e massima di 28°,5! d) Il rimanente del viaggio da Malcà Carsà a Dolo si svolse ancora in continuata discesa. Occupò la seconda quin- dicina di febbraio e la prima quindicina di marzo. I venti l)redominanti furono del primo e secondo quadrante ed il cielo si mantenne sereno. Si era in jnena estate etiopica e l'unica giornata temporalesca del viaggio, fu quella del 9 marzo, con la caratteristica di possedere la temperatura massima assoluta del periodo: 4:5°,5! Eaggruppato quelle stazioni di declivio comprese tra le altezze di 779 e 221 metri sul livello del mare, così da ren- dere in qualche modo possibile di riferire gli elementi me- teorologici ad un'altezza media di circa 500 m. ; in questo intervallo abbiamo ottenuto per la temperatura, le seguenti cifre medie: Dal 18 febbraio al 14 marzo: 22°,7 alle sei 38°,3 a mezzogiorno 34°,0 alle diciotto. La media delle temperature massime fu di 40°,6 quella delle minime 22°,5 risultandone una temperatura media di SO",© con temperatura massima assoluta di 45*',5 e minima assoluta di 20". Quarta Serie, od osservazioni a Dolo. — La località era a 221 metri sul livello del mare, a circa 4° 10' di lat. iJj'ord e 41° 45' Est del meridiano di Greenwicb. 259 — Le osservazioni si estendono dal 17 marzo al 9 agosto 1911. In questo periodo l'andamento della temperatura si può rias- sumere come nel seguente specchietto: Temperature medie mensili MESI Massime Minime Medie Minima assolata Massima assoluta Marzo (a principiare dal 17) . Aprile Maggio Giugno (dal lu al 17 osserva- tore ammalato) .... Luglio Agosto (solo fino al giorno 9) 350.9 250.2 31.0 ! 24.4 35. 3 23. 8 33.4 I 23.4 31.0 ! 22.3 31.0 22.0 29.4 28.3 28.5 27.6 26.1, 25.9 230.0 23.0 20.5 22.0 20.0 20.0 390.0 37.5 37.5 36.5 34.0 31.5 L'andamento annuo è tale che le temperature massime si incontrano in marzo e regolarmente decrescono fino ad agosto ed oltre. Le escursioni sono piccole e sconosciuti i bruschi sbalzi di temperatura. La costanza climatica equatoriale vi si mo- stra in tutta evidenza, tanto nelle piccole e regolari varia- zioni termiche, quanto nei venti, che durante sei mesi all'in circa, ebbero la provenienza predominante di SE e SW. Nota l'escursione termometrica annua, che i dati di Dolo e di Addis- Abeba in concordanza coi valori forniti dal pro- fessor Hann nel suo Hatlas der Meteorologie, dicono non su- periore ai quattro o cinque gradi; e noto l'andamento ter- mico annuo che gli stessi dati dicono diminuire da marzo a dicembre e salire da dicembre in avanti, riesce fino ad un certo punto possibile di riportare le temperature delle varie serie al probabile loro valore medio annuo. 260 Questo abbiamo fatto, e non avendoci troppo da preoc- cupare della correzione per le diverse latitudini, perete le isoterme corrono piuttosto parallele che perpendicolari alla costa, siamo in prima approssimazione arrivati alle cifre del seguente prospetto, cifre troppo modeste per illustrare nel modo che avremmo desiderato come varia la temperatura media annua con l'altezza sul livello del mare, nell'Africa equatoriale orientale. Media altezza 8. 1. d. m. STAZIONI Temperai, media anima approBsim. 250 m. 500 » 1000 a 1500 » 2000 » 2500 » Dolo Malcà Carsà-Dolo Cunni-Sciancorà e Malcà Uoddà-Aggiò Cata. Carsà-Cunni Addis-Abeba e Siriè-Ghiguer 27«,0 26°,0 210,0 160,0 140,0 Il medio decremento tra Dolo ed Addis-Abeba per un di- slivello t^H di 2250 metri circa viene di 13°,0, indicando un decremento medio di 0°,6 circa per ogni cento metri di sa- lita ; ma è una conclusione ripetiamo basata su troppo poche osservazioni perchè dessa non debba essere risoggetta a ve- rifica. ITINEEAEIO, DATI 0S8EEV AZIONI METEOROLOGICHE — 262 — Itinerario : Lago Haramaia- Addis LOCALITÀ 6h TEMPERATURA 1511 I8h MaSH. Min. 24 16,5 24,5 7,5 21 15,5 21 8 21 14,4 21,7 8,3 — 17 — 9,5 18,5 15 18,5 8,5 23 18,5 26 5 24 19 24 7,5 20 16 20 8,5 19,5 16,5 23,5 10 19 13,5 19 8 22,7 19,5 24,5 9,7 24 22 24 4 23,5 20 — — 25,5 21,5 — — 31,8 24 — — 35 30 — — 34,5 30 — — 29 25 — — 26 21 — — 24 16 — — 21 15 — — 21,5 16 — — 22 16 — — — — — — Ottobre 1 » 2 » 3-4-5 » 6 » 7 » 8-9 » 10 » 11 » 12-13 « 14 » 15-16-17 » 18 » 19 » 20 » 21 » 22 » 23 » 24-25 » 26 » 27 » 28 » 29 » 30 » 31 Novembre 1 Lago Haramaia : Carsa Uarabellè Ghcuda Laga Gliebià Derrìi , Burca Didibà Medaidù Sciola , Canni Buroina , Abró (Cereer) . . , , , Glielemso , Lagà-Hardin .... Argagà Auasc In marcia Tadecia Malcà. , . . Ciotà Manabella Godoburoa Sciaucorà Sciaffedenza Ambissa Addis Abeba 10 11,5 13,2 13 12,5 13 15 14 13,5 11 14,3 16 13 10,5 16 17 20 16 13 9 9 10 3 (*) Pressione media delle osservazioni giornaliere 6^ 15'', 18'' — 263 — ^beba - l-'-Sl ottobre 1910. BAROMETRO (*) 990 VARIE 1171 5 cu 2 ci cu vario 2 cu 6 cu 6 cu 6 cu coperto 8 nuvolo 3 ci cu semicopei'to 6 ci cu 4 ci cu 3 ci cu 2 ci stv puro 2 ci cu 1 ci cu 1 ci cu 1 stv 1 stv 1 stv 2 cu 598 590 575,6 587,3 570,3 605,4 598,7 580,3 579,1 561,5 608,8 607 608 621,3 653,7 673,8 667,3 630,2 615,3 613,7 578,7 570 572 608 597 590,7 601 592 614,3 608,7 593,7 594,2 581,8 616,9 615,7 619,8 630,5 663.3 684,7 677,3 640,5 624 621,7 596 586,8 586,7 pg. temporalesca la sera, 1. e t. vio. n))f. al mattino, alle 12 pgd. alle 12 del giorno 9 gocoie di pg. nb. alta al mattino. il 12 pg. daUe 12 alle 14; il 13 nbf. al mattino e gocce di pg. alle 11. nb. al mattino, alle 12 pooa pg. poca pg. ad intervalli tutti i giorni, pgd. alle 11, e scarsa 1» notte, pg. dalle 11 alle 12. termometro a Mass. e Min. guasto. notte /teddissima, rugiada, id. id. notte freddissima (2°, 5). Vedi specoliio a parte. Il barometro aueroide Trongton n, 990 segnava al mare, a Gibuti, 749 11. 1171 765 anziché 760,2 264 — Dati meteorologici raccolti ad Addis-Abeba (Legaziont TEMPERATURA DATA 6h 12h 18^ Massima Minima Novembre .... .... 3 1 8 » .... .... 4 7 » .... » .... .... 5 .... 6 6 8 » .... 9 » .... .... 8 8 » .... 9 7 » .... 10 8 » » .... 11 .... 12 7,5 8 » .... 13 9 » .... 14 8 » .... 15 9 » .... 16 8 » .... 17 7 » .... 18 8 » .... 19 7 » .... 20 8 » .... 21 8 » . . . . • .... 22 8 » .... 23 8 » .... 24 4 » .... 25 5 » .... 26 8 » .... 27 9 24,5 14 26,5 14 27 13 26 17 25 15 24 14 25 13 26 14 26 14 24 16,5 25 15 25 15 25 14 23 13 24 13 25 15 24 14,5 25 15 25 13 26,5 13 26 14 27 14 27 14 25 14 25 15 (*) Pressione media delle osservazioni fatte giornalmente alle 6, 12 e 18^ — 265 — d'Italia) dal 3 novembre al 21 dicembre 1910. BAROMETRO O VARIE VENTO CIELO 990 1171 NE 1 cu 558,7 578,3 termometro a massima e minima guasto. ;ene 1 ci cu 58,3 77,7 NE 1 ci cu 57,0 77,5 » 4 ci cu 55,7 79,3 E 4 ci cu 56,7 1 80,7 E 4 cu 57,3 80,3 » 1 ci str 57,7 81,3 » 1 ci str 57,0 80,3 NE 2 ci cu 56,3 80,5 E 5 ci cu 57,0 80,7 » 23ci cn 54,7 78,3 » 1 cu 56,3 76,3 » 2 cu 56,3 77,0 » 2 ci cu 57,0 77,3 calma 2 ci str 56,7 76,3 E 1 ci str 56,3 76,7 » 1 ci str 56,3 77,0 NE 1 ci 56,7 88,3 \ i » 2 ci str 57,0 92,0 » 2 ci str 56,3 ""'-' 1) si suppone caduto il barometro 1171 » 2 ci str 56,3 82,0 \ » 1 ci cu 55,0 80,0 1 » 2 cu str 56,0 77,0 » 1 ci cu 55,3 76,5 » 2 ci cu 55,7 75,7 l 11 barometri > Truu^lioii II. 990 sci,Miava al mare a Gibuti 749 / in cambio di 760 2 ì Il 1171 y> » 765 ) 34 266 DATA TEMPERATURA 6h 12h 18*1 Massima Minima Novembre Dicembre. 28 29 30 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 9 9 10 10 9 5 6 6,5 5 5 5.5 7 10 11 11 13 12 12 11 12 12 11,5 11,5 13 25 26 27 26 26 26 26 26 25.5 22 25 27.5 27.5 26 26 22 20 23 21.5 18 23 22 20 16 13,5 15 16 15 15 15 15 15 14 13 17 21 19 19,5 18 16 15,5 15 15,5 13,5 13,5 18 18 15 23 25,5 27,5 26,5 26 27,5 22,5 23,5 25 26,5 24,5 26 28 26,5 4,5 4,5 6,5 6,5 6,5 11 11 9,5 9 10,5 9 7 Temperatura media = 16°.05 267 — BAROMETRO O VENTO CIELO 990 1171 VARIE NE 1 ci cu 54,3 74,3 » 1 cimeli 554,7 575,3 , » 2 ci cu 53,7 75,0 » 2 ci cu 8tr 54,3 75,0 » 1 ci str 54,3 78,0 » 1 ci cu str 54,3 78,3 » 1 ci str 54,7 80,0 » 1 ci 55,3 79,7 » 2 ci cu str 56,0 80,0 » 1 cu str 57,3 80,7 » 1 ci cu 55,0 80,0 ricevuto termometro a massima e minima. » 1 ci cu 53,7 80,0 » 2 ci cu 53,7 79,7 » 2 ci 'cu 53,7 79,5 » 4 ci cu 53,8 79,3 » 7 nuvolo 55,0 76,3 calma 8 nuvolo 54,7 77,0 dalle 3 alle 8 e dalle 15 alle 16 pg ad intervalli. NE 4 cu 55,3 78,2 dalle 11 alle 13 pg ad intervalli. » 5 cu 56,0 76,3 » 8 coperto 57,7 82,0 dalle 12 alle 14 scrosoi di pg. » 3 ci cu 55,7 80,0 » 3 ci cu 53,3 77,2 » 5 cu 53,7 78,7 alle 18 gocce di pg. calma 9 nuvolo ni. 55,3 79,2 dalle 8 alle 14 pg ad int«rvalli = 555,7 579,0 — 208 — Osservazioni meteorologiche eseguite lungo l'itinerario: Addis TEMPERATURA DATA LOCALITÀ 6h 1211 18h Mass. Min. 1910 Dicembre 21 » 22 » 23 » 24-25 » 26 » 27 » 28 a 31 1911 Gennaio 1 » 2 » 3 » 4-5 » 6-7 » 8 » 9 » 10-11 » 12 » 13-14 » 15 » 16 » 17 a 29 » 30 » 31 Febbraio 1 » 2 Addis Abeba in marcia . . Acliachi. . . Bicom. . . . Lago Arsadi Mogio . . . Auasc . . . Tougì . . . Sirie .... Ciollò . . . Bobbi-Girddà Alcassò . . . Ullai .... Biechi . . . Borofa . . . Arò-Arbà . . Accò .... Guiè .... Abacarà . . . Goba .... Besàsn . . . Sceneddè . . Caracullè . . Sabró. . . . 13 12,5 11,5 14 13,5 8,5 - 2 13 - 1 5 8 11,5 4 6,5 8,5 6 - 1 5 6,5 8,5 9 6 3 16 24 24,5 25,5 26 25,5 26 26 20 22 24 26 25 22 21 25,5 22 22,5 21,5 24 22 23 25,5 15 16 19 18 21 19 20,5 18 10,5 12,5 16 21 13,5 12,5 16 17 9 15 13,5 12 16 14 14,5 27,5 26,5 25 27 28 27 26,5 26 23,5 24,5 27,5 29 25,5 23,5 21 27 22,5 23,5 26,5 25 24,5 26,5 26 11,5 10,5 11,5 7 7,5 5 - 3 11 - 1 4 6,5 11 3 5 7,5 4 - 4 5 5,5 8 8,5 6 2 (*) Pressione media delle tre osservazioni fatte giornalmente alle 6, 12, 18'' 269 Abeba-Goba-Ghigner-Dolo (22 dicembre 1910-16 marzo 1911). VENTO CIELO BAROMETRO (*) 990 1171 VARIE NE NE calma NE ESE ESE NE » calma NE » ENE » SW ESE NE coperto pg. 5 ci cu 3 cu str 3 cu str 2 ci cu str 1 ci cu sti" o o o 2 ci cu o o ub alta 3 ci cu 2 cu 2 ci cu 2 ci cu 3 cu vario 8 nuvole 5 nuvole 4 ci cu 1 ci str 555,3 574,0 577,2 595,0 603,3 620,5 624,0 599,3 541,5 553,3 560,1 593,7 561,0 535,6 545,5 552,7 518,7 533,2 537,7 558,2 563,0 556,7 573,2 579,2 593,5 698,8 610,2 615,0 630,2 634,3 611,3 568,5 577,2 588,7 608,0 591,2 562,9 578,8 579,7 548,0 565,2 561,5 585,0 588,7 584,2 596,3 brina. brina. brina 21, 22, 23 e 24 piccole piogge. pg la Bera e la notte. pg. la notte. brina. Il barometro Trou.^iitoii ii. 990 se » 11. 1171 jiiKiva al mare a Gibuti 749 ( 765 invece di 760,2. 270 LOCALITÀ TEMPERATURA DATA 1 6h 12h ISh Mass. Min. Febbraio 3 a 6 Gliiguer 10,5 26 17 26,5 9,5 » 7 Dinnic 13 31 23,5 32 13 » 8 Malcà Uoddà 10 31 25 34 9,5 » 9 » 10-11 Carro 10 6 30 32 24 26,5 31,5 33,5 10 Cargialo 6 » 12 Malcà Guggufto .... 14 33,5 28 34,5 13 » 13 Muddì Gialla 10 35,5 28,5 37 10 » 14-15 Burca 9,5 36 29,5 37,5 9 » 16 Girma 14 32 29,5 3.5,5 14 » 17 Aggio Cata 17 35 29 38,5 17 » 18 Malcà Carsà 20 33 32 38,5 20 » 19 Gurà 21,5 36 32 37 21 » 20 Billi Gliillè 21 37,5 33 39,5 21 » 21 Berarsuni 28 37 34 39 24 » 22-23 Ibu Maua 22 37,5 33 40,5 22 » 24 Ililleba 23 37,5 34,5 39 23 » 25 a 28 Uold Alul Lastullo . . 21 39 35 41 22 Marzo 1-2 eira Succhiella .... 22 38 34,5 41,5 22 » 3 Mena Cirà 22 41 35,5 44 22 » 4 Cirà Irmata 23 40,5 35 44,5 23 » 5 Alin Tale 21 40 35 42,5 21 » 6 Cararrì 20 40 35 43 20 » 7-8 Malcà Cirratti 20 39 34,5 40 20 » 9 Bander 25 42,5 35 45,5 25 » 10 in marcia — — — — — » 11-12 Gogorìi 26 35 33 47 25 » 13 » 14 » 15 » 16 Col 28 28 38 39 31 35 40 41 28 Bur 27 Dolo 26 33,5 34,5 40 27 — 271 — VENTO CIELO BAKOMETROn 990 1171 VARIE 2 ci str. o o o o o o o 2 ci cu str o 1 ci cu 1 ci cu 2 ci cu 4 ci cu 2 ci cu 1 cu 2 ci cu 1 str o 1 ci cu str o 1 str 1 cu b sp 3 ci cu 5 cu 3 cu str 588,1 621,5 633,8 636,5 642,4 674,8 682,7 685,8 693,3 696,7 706,0 708,3 710,8 714,8 718,9 721,3 714,8 705,5 718,5 716,2 723,3 721,7 722,4 727,3 2 cu str i 724,3 606,2 635,2 649,3 650,5 657,1 649,7 I 664,3 663,7 676,7 687,3 694,8 698,3 706,0 711,0 717,3 723,5 725,5 ■ gocce di pg 729,8 733,5 736,8 734,0 721,3 732,5 730,2 736,4 738,7 1 ci str 728,7 739,2 743,0 740,8 743,8 dalle 0 alle 2 temporali da N con vento forte 1. e t. e pg. Vedi Bpeoohio a parte comprendente le oBserva- zioni giornaliere dal 17 marzo al 9 agosto. 272 — Dati meteorologici raccolti a Dolo, sul Ganal DATA TEMPERATURA 6h 12h 18h Massima \ Minima Marzo 17 » 18 » 19 » 20 » 21 » 22 » 23 » 24 » 25 » 26 » 27 » 28 » 29 » 30 » 31 Aprile 1 » 2 » 3 » 4 » 5 » 6 » 7 » 8 » 9 » 10 » 11 » 12 » 1 26 25 27 25,5 25,5 26 26,5 24,5 26 24 24 25 25,5 26 25 25 24 25 27 26 25 24 25 24,5 25 24 26 26 33 , 32 ' 34 31,5 I 33 j 33 33 I 33 ; 33.5 ; 31.6 ! 28 I 31 ; 32,5 33 ! 33 ' 32 I 32 ' 33 33 : 33,5 32 I 27 I 1 31 31 25 29,5 30 31 27 33 33 32 32 33 32 32 31,5 25 30 32 32,5 32 32 28 32,5 32 32 32 32 28 26 30 30 29 30,5 31,5 39 39 37 38 34,5 36 36 36 36 35,5 33 34 34,5 35 35 35 34 34,5 32,5 35 35 35 30 33 33 34,5 31,5 33 26 25 26,5 25,5 25,5 26 26,5 24,5 25,5 24 23 25 25 26 25 25 23,5 24 26 25 25 24 23 24 24 24 25 26 — 273 — (Alto Giuba), dal 17 marzo al 9 agosto 1911. i 1 BAROMETRO VENTO CIELO 990 1171 VARIE media SE 6 nuvolo 732 745,5 vf, t. e poca pg. la sera. ! calma 3 ci cu 32,3 46,3 E 2 cu str 31 46,3 E 4 cu 33 47,2 vf. e pg. la notte. i E 3 cu 31,8 46,3 E 3 cu 30,2 46,2 1 ^ 6 nuvolo 30,3 45,5 pg. minuta e scarsa la nott«. calma 3 cu str 30 45,5 E 5 nuvolo 30,8 46,3 pg. tempor.-ilesoa la aera. E 7 nuvolo 34,2 47,7 pg. temporalesca là sera, raffiche. E 6 nuvolo 34,2 47,5 pg. la notte a mezzodì. i calma 3 cu str 32,2 46,2 ENE 5 nuvolo 29,7 44,3 NE 4^cu str 31,7 45,3 E 3 cu str 32,3 46,2 poca pg. la sera. calma 2 cu str 32,5 46,2 » 3 cu sp 30.7 45,2 SE 2 cu sp 30,8 45,7 E 3 cu sp 31,2 45,8 ESE 2 cu sp 30,7 45,3 SE 2 cu sp 31,7 45,3 caluia 6 nuvolo 35,8 47,5 pg. la notte ed in prima mattina. SW 6 nuvolo 33,7 46,5 pg. scarsa la sera. w 5 nuvolo 35,3 48 SW 8 nuvolo 35,8 48,5 pgd. por mezz'ora, alle 12, ohe produce un tino abbassamento di temperatura. repeu- SW 8 nuvolo 35,5 48,2 SW 5 cu str 34,2 47,7 WSW 4 cu str 33,3 47,3 35 274 DATA eh TEMPERATURA 12h 18h Massima Aprile 14 » 15 » 16 » 17 » 18 » 19 » 20 » 21 » 22 » 23 » 24 » 25 » 26 » 27 » 28 » 29 » 30 Maggio 1 » 2 » 3 » 4 » 5 » 6 » 7 » 8 » 9 » 10 » . . . • 11 » 12 » 13 26 23 23 25 25 25 26 25 26 25 24 23 25 24 24,5 24,5 24 25 24,5 25 26 24,5 24 23 24 26 25 27 25 20 26,5 31 32 30,5 31 30,5 31 32 31 31,5 25 30,5 30 30,5 32,5 31,5 30,5 32 33,5 35 31 32 33 32,5 30 32 35 34 33 27 26 31,5 32 31 32 31,5 32 32 28 29 28 26 30,5 28,5 30 30,5 31 30,5 30 32 31 31,5 26 29,5 29 30 30 32 30 26 33,5 26 32 23 33,5 23 35 25 34 25 34 25 34 26 35 95 35 26 32,5 25 34 23 29,5 23 31,5 24 35 24 35,5 24 35 24 36 24 36,5 24 37,5 24 37 25 36 26,5 34,5 24,5 37,5 24 35 23 35 23,5 35,5 26 37 24,5 36 26 37 20 35 25 275 — VENTO CIELO BAROMETRO 990 1171 ! media w 7 uuvolo 733,8 i 746,3 calma 3 ci cu 34 47,2 SE 4 cu ; 33,5 i 47,7 sw 2 cu 34,8 ; 48 » 3 cu 33 ! 46,7 » 2 ci cu str 33 46,3 » 6 cu 33,7 46,7 SE 2 ci cu 33,7 47 SSW 7 cu 34,7 47,5 E 7 cu 35,5 47,2 W 9 nuvolo 35,7 47 calma 7 uuvolo 36,8 47,8 » 4 ci cu 34,8 47,7 W 3 ci cu 36,2 48,2 calma 5 ci cu 35 47,5 » 5 ci cu 33,5 46,5 » 3 ('u str 34,7 46,5 SW 2 ci str 33,7 46,7 calma 3 ci cu 33,8 46,5 » 3 cu str 31,2 44,7 SE 7 nuvolo 33,5 46 s 2 cu str 33,5 46,2 SW 6 cu 35 47,2 calma 1 4 cu 35 47,2 SW 6 cu 34,3 46,3 1 nuvolo 32,7 46 » j 2 ci cu 32,3 46 » 5 cu ci 32,3 46 1 1 5 cu d 33,3 i 1 46,3 cullila ' 6 cu 34,3 46,3 VARIE dalle 18 alle 22 temporale con W. t. e pg. dirotta, pgd. dalle 6 alle 12 e dalle 19 aUe 22. pgd. dalle 13,30 alle 15. dalle 16 alle 17 pg. soaisa, raffiche. dalle 20 aUe 21 pg. soarsa, ratiìolie. dalle 20 alle 20,30 pg. soarsa. nb. alta al mattino e dalle 14,30 alle 15 pgd. rf. di SW. nel pomeriggio t. a NE e goooie di pg. dalle 19 alle 21 pg. Boarsa e r. pgd. dalle 9 alle 11 e dalle 16 alle 16,30. — 276 — TEMPERATURA DATA 6h 12h 18Ji Massima Mìnima Maggio Giugno 14 15 16 17 1« 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 j 29 I I 30 ! ì 31 I . . 1 2 . . 3 . . 4 . . 5 . . 6 . . 7 , . 8 . . 9 10 a 17 . . 18 . . 19 24 23 24 25 23 25 25 24,5 24,5 24 24 24,5 23 22 23 23,5 24 24,5 24,5 24 24 25 24 25 23 24 25 23,5 24,5 33 32 31,5 33 32,5 31 30,5 32 32 31,5 32 31,5 31 30,5 32 32 32,5 31,5 32 32 30,5 30,5 31 30,5 31,5 30,5 32 32 32 26,5 30 30,5 31 31,5 30 29,5 30 31 30 30,5 30 31 30 31,5 32 31 29 31 31 30 29,5 30 28 30,5 30 29 32 29,5 34,5 34,5 35 35,5 36 36 35 34 34 36 34,5 35 34 34 34 35 35 35 34,5 36,5 35,5 33 31,5 31,5 32,5 34,5 33 33 35 23 24 277 — BAROMETKO VENTO CIELO 990 1171 VARIE media calma 7 cu 734,2 746,7 dalle 16 alle 17 aggirante da E ad W con t. Dolo goccia di pg. a » 3 ci cu 35,5 47,3 » 1 ci str 35,8 48 SW 5 ci cu 35,5 49 » 4 ci cu 35 47,8 » 4 cu 34 47,2 nb. alta al mattino. ssw 5 cu 34,7 47,8 SW 6 cu 35,7 48,3 » 1 ci 34,3 47,2 » 1 ci 34,8 47,7 » 3 ci cu 34,3 47,2 nb. alta al mattino. » 2 ci cu 34,7 47,3 » 2 ci cu 35 47,8 » 1 cu str 35,8 48,2 » 2 ci cu 36 47,7 » 2 cu b 35,3 47,8 » 3 ci cu 34,2 46,8 calma 3 ci cu 36,3 48 alle 20,30 goccie di pg. SW 4 ci cu 36 49 alle 21,30 Tff. burrascoso di SW. » 2 ci cu 36,3 49 » 2 ci cu 35,3 48 » 5 ci cu 35,5 47,3 » 7 nuvolo 35,3 47,8 » 5 cu str 36,8 48,5 » 2 ci str 37,3 49,3 » 3 ci cu str 36,8 49 » 4 ci cu 36,3 48,8 — — — — osserratore malato. SW 2 ci cu 37 50,3 » 3 ci lu 36,7 49,8 27.S DATA 6h TEMPERATURA 12h 18^ I Massima ' Minima Giugno 20 » 21 » 22 I I » 23 » 24 » 25 ^ i » 26 : » 27 j i » 28 1 » 29 » 30 Luglio 1 » 2 ; » 3 » 4 » 5 » 6 » 7 » 8 » 9 » 10 » 11 » 12 » 13 » 14 » 15 » 16 » 17 » 18 » 19 23 22,5 24 24 24 23 23 22 22,5 23 23,5 24 23 23 23 23 24 23 21,5 22,5 23,5 22 22 23 24 23 24 23,5 21,5 23 30,5 30,5 30 29.5 30 29,5 31 31 31 31 30 28,5 28,5 26,5 29,5 30 28,5 28,5 26 28 29,5 27 28 30 30 29,5 30,5 28 27 2«,5 34 23 29 32 22 29,5 33 23 29,5 32,5 23 29,5 33 24 30 32,5 23 29.5 32,5 22,5 31 33,5 22 30 35 22,5 30 34 23 31 33 23 28,5 34 24 29 31,5 23 28,5 30 23 28 30 23 29 29,5 22,5 29,5 31 23,5 29,5 32,5 22,5 28 32,5 21,5 27 30,5 22 29,5 28,5 23,5 29,5 31,5 22 29 32 22 28 30 22 30 30,5 23,5 29,5 34 23 29 32 23,5 30 32,5 23 29 33 21 28 31 23 279 VENTO CIELO BAKOMETRO 990 1171 VARIE SW medi» ! 9 nuvolo 739,2 750,7 goocie di pg. alle 12. 5 fi cu 38,5 50,7 . 4 ci cu 38,7 51,3 4 ci cu 39,2 51,8 goocie di pg. alle 17. 4 ci cu 39 51,7 3 ci cu 37,3 50 3 ci cu 36,7 48,3 3 ci cu 35,7 48,5 2 ci cu 37,2 50,3 al mattino nb. E. 3 ci cu 38,2 50,8 3 ci cu 37,2 49,8 7 nuvolo 38 49,7 alle 9,30 goooie dì pg 7 nuvolo 39 50 alle 11 goocie di pg. 8 nuvolo 39,7 51,2 5 ci cu 39,7 50,8 7 ci cu 38,2 50 3 ci cu str 37,5 49 2 ci 37,7 49,3 2 ci cu str 39,2 50 9 mxvolo 40,7 51 4 ci cu 39,2 50,2 2 ci cu 37,8 49,2 5 nuvolo 39 49,8 6 nuvolo 40 51,2 5 ci cu 38,3 50,2 4 ci cu 39 51 3 CI cu 38,8 51 4 ci cu 39,2 50,8 2 ci 40,2 51,5 5 ci cu 40,5 - 280 — DATA TEMPERATURA 6h 12li 18h Massima Minima Luglio 20 I 21 » 21 21 » 22 20 » 23 I 23 I » 24 22 » 25 22 » 26 24 » 27 ; 21 » 28 I 21,5 » 29 ! 21,5 » 30 1 22 » 31 21,5 Agosto 1 22 I » 2 j 22 » 3 i 21 » 4 I 20,5 » 5 i 21,5 » . 6 22 » 7 j 23,5 » 8 I 23 » 9 23 » 10 I — 26,5 27 29 28 28 27,5 28,5 27 28,5 30 28 28,5 28 28,5 28,5 28,5 29 28 28,5 29 28 27 28 30 29 28 28,5 28,5 27 29 30 28,5 29 27,5 29,5 29 28,5 30 28,5 29 29,5 28 31 28 31 32,5 31 30 30 30 28,5 30,5 31,5 30,5 31 30 31 31,5 30,5 32 30,5 31 31,5 21 21 20 22,5 22 22 24 21 21,5 21,5 22 21,5 22 22 21 20 21,5 22 23,5 23 23 — 281 BAROMETRO VENTO CIELO 990 1171 VARIE media sw 7 luivolo 742 752,8 pg. scarsa la notte. » 5 ci cu 41,8 53,3 dalle 20 aUe 22 vff. di SE. » 2 ci cu 38,5 51,7 id. id. » 5 ci cu 39,2 51,3 id. id. » 3 ci cu str 39,5 51,5 » 3 ci cu str 39,5 51,5 » 5 ci cu 39,3 50,8 » 5 nuvolo 40,5 51,3 » 4 ci cu 40,3 51,3 » 1 ci cu 39,3 50,8 » 4 ci cu 39,5 50,7 » 2 ci 38,2 49,7 » 8 nuvolo 38,5 50 » 2 ci 36,8 49 » 2 ci cu 36,8 48,8 » 2 ci cu 37,2 48,8 » 2 ci 37 49 » 6 nuvolo 37,5 49 vento impetnosissimo la notte. » 6 nuvolo 37,2 49,5 » 4 ci cu str 37,7 49,5 » 5 ci cu 38,2 50 — — — — si toglie il campo a Dolo. 86 INDICE A Sua Eccellenza il Cav. Marchese A. di San Giuliano Pag I. — Da Gibuti alla capitale etiopica — Il unovo fiore (Addis-Abeba) — Fra urli Ariissi II. III. IV. V. VI. — Da Ghiguer a Dolo — Dolo . . — Lungo la frontiera VII. — Baidoa 9 39 61 83 107 131 163 APPENDICI. Appendice I. — » II. — » III. — Lavori astronomico-geodetici e topografici com- piuti dalla missione per la delimitazione della frontiera italo-etiopica 203 Cenni sulle collezioni zoologiche fatte dal Capi- tano Citerni durante la missione per delimitare i confini italo-etiopi ci ..... 235 Oaservazioui meteorologiche e loro discussione . 251 UNIVERSITY OF CALIFORNIA LIBRARY Los Angeles This book is DUE on the last date stamped below. R ?£ C E I V "iVlAiri LOAN DESlK 'ESK I L OCT 9 19 o. M. 8|9|10J11I12!1|2|3 yp.: m 1' U!^L # ^; V 0MIBL SiP^S SEP21tì6? i9n Form L9-5 P.M. 4|5|6 iRi 8994s4)444 3 1158 00501 2595 llwKa?f»WL u£,. .,„. . A 000 473 541 1