-; SETTE #2 i na - " È n a £ Si gerani i ea ae ir mai SATA SII I NE “e ea RA i STATE ROTA te Cane E TELE TT rn Lal £ Grug CT SK n° Ci ene eri n ENTE eta ST RINO re: eno — ne = LE peas IE SII Sn «1 é gi 3 BAssORILIEVO 3 PowPriANO | NERE Scavato nel 1849. > È # "iso Riflessioni Archeologica Mitico - Storiche bid con. PARALLELO DI ALESSANDRO E: nomoro i — poco ta cripossini DE cu n St le > muie SOCIO DELL’ ARCADIA DI nona, | pei : wi i si i des e ear. è g TI È. Re E° Lai A p S è 4 Hi È i 0 NAPOLI s FIPOGRAFIA DE BOREL E BOMPARD Palazzo Gravina — i pote i Segr I * gi Lp Mile, Peri sw. agi» Finchè sopito » Sarà Marte, che fatte avrà l’estreme » Sue prove, da un garzon dal sangue uscito » Misto d’Faco, e di Dardano, che insieme » Leon Tesprozio , e Galadreo chiamato » Distruggerà de’ suoi congiunti il seme. Licorrone C. VI. VersionE DEL GARGIULLI. I Opera è sotto Ja garentia della Legge, ' EHE GETTY RESEARCH INSTITUTE LIBRARY x i PREFAZIONE TA b=A, vanno la prima volta vidi il Bassorilievo dis- (; sotterato in quella Città , che sepolta nel 79 ge di N. S., nello scorso secolo rivide è sole, e rivive scientificamente, venni tosto compreso da quell’'interno convincimento inspirato dall'arte e dal soggetto rappresentato. Corsi subito all'idea, per lo gemio de Pompeiani, come di quasi tutta Italia, di veder riprodotti in ogni modo è Personaggi, i Miti, e tutte le svariate scene che la incantevole Grecia avea su di quella riversato ; essendo pur favorita dall'acre, dal Cielo , da mari , dal dolce de’ colli, dal misto genio Greco ed Orientale ; e dal sentire assennato , e nobile, contrabilanciante l energia del cuore e dell’ intelligenza. E siccome giovanetto avea gittato spesso il cupido sguardo su quel libro , ch'è tanto caro alla fresca e vergine fantasia, il Curzio, per esso avea imparato a ripetere spesso a me me- desimo le grandi cose di Alessandro «l Macedone ; +0 CIN . . “e . forse tanto più piacevoli , quanto più romantiche ; mentre altrettanto rispetto aveano ingenerato in me II î capitoli primi di Cornelio. La nobiltà pertanto del carattere del Macedone , la giovinezza abbellita da cose straordinarie, la sua venustà, l'ideale che l'anima nostra si forma alla dipintura de’ grandi Uomini , era rimasta fin dalla fresca giovinezza impressa nella mia mente. Al primo presentarmisi adunque il Bas- sorilievo , sentii trascinarmi da un sentimento, e da un intima convinzione che non potei non riferire ad Alessandro. E più facevamene persuaso l’azione espressa nel monumento, che offeriva un cavaliere che ha superati grandi ostacoli, domando un feroce animale. Con questi clementi osai nello scorso anno porre il piè nell'arena Archeologica, non senza trepidazione , comprendendone l'arditezza. Avea già tracciata la prima parte, del mio lavoro, ma impossibilitato a prosegure il mio piano per causa di salute, vedeami più smarrito, publicandosi nel maggio del p. p. anno la dotta Me- moria dell'ora defunto dottissimo Cr.° Avellino. Ma rassicurato anzi per essa nel.mio concetto della prima parte, e rinfrancato da quella Intelligenza onoranda, sudava ad investigare sulla mitica significanza,, che parevami si ascondesse nell'azione di Alessandro, do- mando il Bucefalo. E confesso che a ciò mi determinavano gl istessi più grandi e più solerti suoi Biografi , quali Plutarco, Arriano, Curzio, lo Pseudo-Callistene, Dio- gene Laerzio , ed altri. Dai quali sembravami pu- re, esser facile trarre un mito solare per le molte cose mitiche risparse sul nascimento dell’ Eroe, su la sua vila, e per molti altri riguardi. L' avanza- mento e il giganteseo progresso dell’ archeologia in PES) der” indi 3" mea gn un giorno di ottobre dello scorso 1849, cal- £ cando il Sommo Pontefice Pio IX. il suolo della 4a vetusta Pompei, che innumeri monumenti offeri» sce da un secolo nel vaghissimo cielo della Campania, un bassorilievo marmoreo veniva fuori dallo scavo apposita- mente fatto, per darne un saggio all’Ospite venerando, fra quanti han fatto invidiato il nostro suolo, inesauribile miniera di ogni antichità, sicchè ogni angolo della terra classica che calpestiamo è un vasto museo, messe alle lucubrazioni di uomini dottissimi, di cui non è almanco ingrata questa terra prediletta di Dio, di quel che la è di monumenti. Del quale marmo è mio desiderio parlare, e tentarne l'appartenenza e la significanza. Esso è un quadro della lunghezza di palmi due, on. 7, per palmi due, on. 2., nel- lalto di un lato del quale gira una cornice non in tutti ri- masta. Sul suo campo presenta un giovane che cavalca un destriero. Egli è imberbe, con capelli ricci e corti, in parte coverti da causia, avendo sugli omeri una clamide che avvolgendosi in vari modi, ricuopre con grazia le belle for- ti ‘me di lui, lasciando nudo alcun che il largo petto , e posando sul sinistro braccio , ricade svolazzando sul dorso del cavallo, mentre è fermata da fibula all’omero destro del Cavaliere, le cui gambe e i piedi son nu- di, facendo travedere le solee alle piante di essi senza nessun ligamento. L'atteggiamento seconda i focosi mo- vimenti dello sbuffante destriero ; il quale di speciosa e robustissima forma è ritto su i piè di dietro , stando in atto di galoppo. Ha la testa grossa e briosa: e la cri- niera tagliata simmetricamente, dà un aria di furore al- l'animale. Le narici slargate divampano quasi fuoco ., e l'occhio destro spalancato è rivolto verso il Cavaliere. Ha gambe piuttosto nerborute, e in quelle a dritta di d’avanti e di dietro, il marmo non è del tutto con- servato. La coda folta e sfioccata, è come rizzantesi nell'orgoglio della boria animalesca. Tutta la figura del bassorilievo mostrasi di profilo, e andante da sinistra a destra. ì Originale , quanto nuovo è ‘un tal monumento. Ed invero originale e nuovo ei sembra, quando ci vie- ne a memoria Alessandro il Macedone che doma il Bucefalo , non sapendone altro in cui 1 Eroe della Grecia sia in tal maniera a noi pervenuto , per quan- to io sappia. Ma non pare straordinaria cosa ricono- scere nel giovane cavaliere Alessandro , e nel cavallo il Bucefalo, perciocchè studiando il viso dell'uno , e le fattezze dell'altro , ne avremo gl’identici caratteri e sul quale subbietto verserò le mie debolissime forze. Or dichiarato il mio pensamento sul Bassorilievo , sono chiamato quasi involontariamente a ripensare due soka soggetti straordinarì , Alessandro , e il Sommo Ponte- fice Pio IX. L’uno che si trasporta co’ disegni , col ge- nio , e colla forza alla conquista del Mondo civile , Eu- ropa ed Asia, meno Roma , per assidersi fra esse , fra due civiltà, ed esserne il moderatore ; al che bre- vezza di vita, e troppa vastità di concepimento facendo velo , solo all’imperio delle idee , fondato con Alessan- dria , dando luogo ; renderono vano ogni altro disegno, chè vano fu il suo pregare innanzi di morire , ed in- fruttuoso legato di un testamento ineseguito! L'altro , in cuì sfolgorano la Clemenza e la pietà, vede solo gran- dezza in quella Religione che per Gesù Cristo domina un mondo di fedeli, uno stuolo di nazioni , e sta assiso su quel Seggio Romano, che non assalito un tempo dal Macedone , era dalla Provvidenza serbato alla Croce, all’imperio del Cattolicismo , del quale è Vicario VAu- gusto Pio IX. Imperò tornando al mio proposito , non lascio far intravedere , come sia difficile discorrere del nostro Bas- sorilievo nella pochezza degli scrittori , o nella loro in- fedeltà , nel dar notizie di Alessandro. In qualunque modo mi studierò raggruppare quel che rilevar possa il mio divisamento , e far riconoscere i tratti singolari del Macedone , per cui fu giudicato da suoi contempo- ranei, qual fu poi, il fulmine di guerra , ed il più grande politico , e il vero esecutore degli ammaestra- menti del Filosofo di Stagira nella grande idea di Ales- sandria. Huic enim Pellaei iuvenis lemeritati debemus litterarum et philosophiae facem , quae per terrarum orbem sparsa pracluxit majori huic luci , quam san- * dda ctiore doclrina accensam seniores detates ad nostre usque tempora viderunt ( Heyne Opusc: Acad: opum regn: Maced: caussae probab : vol. IV. pag. 172.). A tale effetto dividerò l’inferpretazione dell’interessante marmo Pompeiano in due parti ; nella prima cercherò la soluzione del problema, se il monumento rappre- senti Alessandro che doma il Bucefalo, Nella seconda quella dell'altro ; se l’ azione importantissima del Ma- cedone sia un Mito. Forti ragioni mi han determinato a premettere alla seconda parte il Parallelo di Alessan- dro e Romolo. PARTE PRIMA _eoc-- CAPITOLO I. IL BASSORILIEVO RAPPRESENTA ALESSANDRO CHE DOMA IL BUCEFALO ? Philippus Delphos misit consulens de suc- cessore j responsumQue tale accepisse ferunt : Is demum tuo imperio, om- nique orbi potietur quemcumque Bu- cephalus sessorem possessus fuerit. FrEinsHEM. SurPL. AD Curt. LB. 1. P. 5. ELZBVIR. Se ponghiamo a guardare il tutto della persona, e specialmente la faccia di essa nel raro bassorilievo , non potrà negarsi a se stesso, che il vincitore del Gra- nico e di Arbella non sia effigiato in quel monumento. Il portamento del personaggio , e la Greca fisonomia non fanno dubitarne , e non saprei scorgere differenza che leggera col ritratto dell’ autore dell’Itinerario (1) (1) Quippe ipse visu arguto, naribusque subaquilinis fuit, fronte omni nuda plerumque , quamvis pinguius fimbriata de exercilio ob vehementiam equitandi, cuius id arbitrio dabat , ex quo reclinam comam iacere sibi in contrarium fecerat, idque agebat decorius mi- liti, quam si deflueret. Statura juvenis mediocris, membris exsuc- cior sed quae nullas ferventi moras adferret; quod plus usui, quam contemptui lenocinaretur. Crebrioribus quippe musculis tuberascens, miris nervorum coetibus intendebatur. Pernir cursu quo vellet, et vehemens impelu quo mirarelur, nimius tormento jaculandi , con- tinari quem destinasset peritus , fervens irruere quo audendum , La e che si bellamente l’ ha dipinto nel suo quadro fisico morale , meno alcuna cosa, di che parlerò in prosie- guo. Ma se prendasi a disaminare tutti i particolari , c'incontreremo sempre con documenti che ne assicurano tutta la somiglianza con i ritratti monumentali , e con le descrizioni di essi prodottine. Ed infatti cominciandone l’analisi dalla testa, ritrovasi questa coperta della così detta Casia o Causia. Arriano in un luogo della sua storia (2) dice che Alessandro all'uso de’ Macedoni usava la Causia. Dal grande Visconti, e dal Cicognara (3) si ha, che questa specie di dappello fosse la copritura dei popoli della Tessaglia e della Macedonia fin dalla più remota antichità , talche Antipatro di Tessalonica ce ne fa fede con questo Epigramma riportato dal Suida (4) Kavsi n tondporte pan:ddstv Evno)ov @&@dy Kai suedb sa éy Pera, nat ndpvs 8 TO\SUO. cioè, Causia, quae ante Macedonum tegumentum fui- sti, tam mivem propulsans , quam galeae usum in bello praestans. Appo i Greci, portavasi il cappello anche in Città. constans excipere qui confideret, eminus cerlus, comminus violentus, eques improvidus turbidusque, pedes interritus pervicaxque. Mul- ius ad imperia difficultatum , onerosior tamen exempli proprii ir- rilamentis: quoniam bono opere praeveniri pudibile ducebat juveniac munus e corpore alacriter petens, Ipse barbae acuiae durior et cae- tera candidus , et quae sibi sane quisque rectius consulat, aut ipsi cerle imperatori vel militi velit. Itin. Alex. cap. XII, XIV, XV. (2) Lib. VII Expedit. Alexandr. p. 491 Blanchard, (3) Oper. varie Storia della scultura. Confer. Winckelmann. M. Ined, (4) Alla voce Kavsa, Yi Si sa altresì il bisogno e la necessità che aveasene in campagna, ed in viaggio; e ciò appunto per ripararsi e guarentire il capo dal sole, e dalla pioggia : eperò che se n’estese l'ala d’intorno, come vedesi in una gem- ma presso. Winckelmann. (5) E diffatti Kevsovos vuol dire aestus (6). Il pileo Tessalo, lo stesso che la Cau- sia Macedone, come abbiam detto con l'autorità del Cicognara , era adottato specialmente dagli eroi e dai divini, vedendosene fregiati Giasone , i Dioscuri , A- pollo, Mercurio ete. Il pileo Tessalo, dice l'Avellino (7) fu dato a Giasone per ricordare più particolarmente la patria. È noto in fatti quanto esso fosse proprio dei Tessali, perciò da Sofocle (8) detto mrosspis xuvii Osgsadss Suida a tal. v. (9) addita lo scopo de cappelli Tessali, da che vedesi chiaro come fosse necessario ne’ viaggi, nelle battaglie, e negli altri usi della vita. Anche le romane usavano in viaggio i cappelli Tessali (410). Fu detto anche viatorio , e ne sono fregiati pure i Dio- scuri, come può vedersi in moltissimi monumenti , e specialmente negli antichi vasi, fra quali quello rappre- sentante il mito di Talo (11). Giasone in un vaso ri- (5) Mon. Ined. part. 1. pag. 89. (6) Suida a tal v. p. 284 vol. 2. Kuster. (7) Illustrazione del Mito di Talo p. XIX dell’ediz. in fol. gr. (8) Oedip. Col. v. 313 et sequ. (9) Galerus umbram faciens, sive latam oram habens et caput a sole defendens. Thessalius vero dicitur, quia pilei Thessalici erant lati. Vol. 2. pag. 55 Kuster. (10) Zannotti Diz. Pitt. di ogni antichità alla V. Cappello. (11) Tav. II.* della citata illustrazione del ch. C. Avellino. illo portato dal Millingen (12) è rappresentato col petaso alla foggia Tessala (13). L'Iliria era contermine alla Macedonia; e in una medaglia di Genzio Re di tal Re- gno scoverta dal P. Froelich (14) nel Gabinetto di Vien- na, descritta pure dall’Eckel (15), e riprodotta dal Vi- sconti, (16) la testa è coperta della Gausia. Il chiar. Cavedoni nella Dichiarazione di alcune medaglie greche, parlando di Genzio Re d'Iliria, dice « la testa di questo Re coperta di un pileo nazionale fornito di larga tesa , si che somiglia ad un fungo , ( Eckel num. vet. tab. VI. 23) e ne fa vie meglio gustare il sale Plautino di quei due versi (in Trinum. v. 916, SIT.) » Pol! hic fungino quidem genere est , capite se totum segit Illurica facies videtur hominie eo ornatu advenit. » ( Bullet. dell’Ist. di Corrisp. Arch, di Roma n. 1.) (12) Vases divers. tav. VII. - (13) Vedi Panofhka intorno a questo vaso ‘nel suo scritto Noz- ze di Giasone e di Medea. Nel vaso Ruvese esprimente il sud- detto mito di Talo, si dottamente illustrato dall’Avellino , vedonsi de’ personaggi con pileo Tessalo simile al Macedone detto pur Via- torio , e Giasone ivi specialmente è distinto, perchè quest Eroe favoloso è abbastanza conosciuto. per l'impresa di Colco , per le sue peregrinazioni con la naye Argo, le sue relazioni con Me- dea, e con Circe, il che nella mitica storia allude ai peripli dei ‘mari, alla comunanza di origine co' Colchici Itali, e con le colo- nie Colchiche presso questi ultimi. Klausen Aeneas und die Pena- ten, p. 1189, Corcia, Jannelli etc. Giasone si riconosce dalla Clamide e da una specie di Causia ( Philost. Her., 2. ) (14) Reg. vet. Numism. p 45, tav. 6. n. 2. (15) Doctr, num. t. II, p. 158. (16) Iconograph. Grec. 'T. II. 8. ediz, fr. Mil. 1823 tav. VI, noti. In un altra di oro di Demetrio Poliorcete effigiato a sxulle presso a poco ; anzi simigliantemente al nostro ‘Eroe, codesto Principe è. ‘coperto. di Causia (17) senza «andare in traccia di altri molteplici esempi. Dal trovare adunque che il cappello detto Casia 0 Causia, era in uso appo i Tessali, i Macedoni, i Traci, e gl’Hlirii, popoli fra loro affini, ed attigui, ben se ne può dedurre, che la copritura del Giovane Alessandro fosse la Causia Macedone, e con l'autorità di sopra citata dell’Ar- riano, non che di Strabone sull’uso fattone da Alessandro, anche in tempi posteriori (18), pruovasi convincentissima- mente, che sia uno de’ segni dichiarativi di Alessandro Ma- cedone rappresentato nel marmo. Imperocchè essendo A- lessandro in uno di quei momenti , in cui traevasi alla ri- nomannza, e alla grandezza preconizzata; labilità dell’ar- tefice doveva ritrarlo con lo costume patrio, e con quegli ornamenti che si addicevano all’azione che dovea esprimer- lo, ed imponergli la Causia, come la più acconcia alla sua età e al domare il Bucefalo , riparandolo dal sole. Or venendo a riguardare mano mano la testa, i ca- pelli, il portamento, il volto , il petto , e il rimanente del corpo , vi si ravvisano a chiare note le espressioni caretteristiche conformi a quante ne veggiamo ripetute (17) Visconti op. cit: Tom. II., pag. 76, tav. II., num. 2. Cnfr. Aristoph., aves, 203. Muller Ueber die Macedoner p. 40.0 Lo Scita Scilurus è pur effigiato nelle monete di Olbia colla Cau- sia, così l'annotatore del’ man. di Arch. di Muller not. 1. al $. 342. Plaut. Mil. IV; 4, 41. Su la causa del color bruno assai. (18) « At Calanum, cum Chlamydem et Causiam ac crepidas induium conspexisset, risu sublatum ita fatum » etc. Lib. XV, p. 1042, Amstel. 1707. 2 — (QD în altri monumenti di Alessandro ; e a quanto ci è stato di lui riferito. i Credo esser buono ricordare che il medesimo fu con- temporaneo de’ grandi artefici greci; anzi Cantù , dice lui stesso artista, dotto (19), bello, forte. Fu massi- mo protettore di essi, e delle arti Greche , che al tempo del suo impero riceverono tale impulso , e pro- grediron tanto da esserne segnata l'epoca fastosa come di apice e di ultimo termine. Il genio Greco brillan- te, come il suolo suo brillantissimo , spogliandosi del- l'infinito Orientale , e delle smisurate , e colossali for- me di esso, informossi del vario , del leggiadro, e del bello ideale il più squisito (20) coi Fidia, coi Poli- cleti, cogli Apelli (21), coi Lisippi, coi Prassiteli che abbandonarono il parallellismo asiano nel profumato suol di Grecia, talche il genio delle arti di esso sovrasta alle orientali, come le Piramidi al Partenone. Non vi è che (19) Biografia di Alessandro, Docum. Vol. unico — S!rabone Lib. XV, pag. 1042 D. Edit. cit. parlando di Calano, dice per bocca dello stesso « Summopere quidem Alexandrum laudo, quod in tanta administrandi imperii mole sapientiam expetit quem solum ego in armis philosophantem vidi. » (20) Vidersi allora sviluppare nelle Scuole artistiche Greche delle forme , che sembrarono al gusto ed al sentimento naziouale quali sono quelle dell'organismo nel più alto grado di sviluppamen- to, come le sole veramente inventate , e che in conseguenza fu- rono prese per base nella rappresentazione generale di nna vita più elevata; queste forme son quelle che sono state chiamate ideali. Lor principale qualità la semplicità, e la grandezza. Mi'ler. Man. d’Ar- cheol. S. 331, 3. (21) Il gran Pittore Panfilo, di cui fu discepolo Apelle, era Ma- cedonieo. Adriani Lettera a Giorgio Vasari p. 17., Le Monnier. — 13 a portar lo sguardo su i pochi residui di tanta. gran+ dezza dell’arte Greca, e contristarsi lamentando Ja per- dita di copia immensa di capolavori, che l'avidità dei Romani conquistatori trasportò di Grecia o distrusse 0 guastd ! Si sa che Nerone fece recare a Roma più che 500 statue, per adornarne la celebre sua casa aurea, fra le quali era ancor quella di Alessandro il grande , e siccome a quell'epoca era già invalso presso i Romani il depravamento delle arti , il capolavoro Greco rappresentante Alessandro fu dorato , com’erasi fatto per altri moltissimi. (22) Or bene se l'epoca di Alessandro fu per le arti greche come l’apogeo , nel. che consentono il detto Cicognata , il Winckelmann, l'Heyne ed altri; potrà bene imma- ginarsi quali doverono essere le varietà , e 1 emule gare de’ migliori artefici contemporanei del gran Capi- iano, per rappresentarlo in tutte le foggie , in tutti costumi; dalla nudità Macedone, alle svariate e rieche stoffe asiane ; dalla semplice Causia, alla Tiara dei superbi reggitori de’ Persi; dalla gemma la. più pic- cola e preziosa di Pirgotele (23); dalla tela la più (22) Cicognara Stor. della Scollura. (23) Una bella pietra che offre il ritratto di Alessandro esiste nel M. del Duca di Blacas recentemente publicata nel Tresor de Glyptique , Iconograph. pl. XIH. D. p. 21, e porta inciso il no- me di IIYPIOTEAH® — Raonl Rochette Lettre è M, Schorn pi 151. — Questo chiar. Scrittore ricorda le frodi per le gemme del nobilissimo artista, del qnale molte contraffazioni sono state in- irodotte nei Musei di Ponialowscki , e in quelli di Lord Menta- gue; ed il Filippo e l'Alessandro di Lord Besshorough sono pur noti Im ibid. Il nuovo monumento citato dal R. Rochette pnò cri: PA cl maravigliosa e naturale di Apelle ; dal più fino e mor- bido marmo o bronzo di Lisippo, al gigantesco lavoro progettato da Stasicrate. Da ciò si misuri la potenza di chi ebbe un impero in pochi anni, che costò fa- tica, e sangue per 10 secoli ai Romani, e vedransi raggiunti gli estremi dell’adulazione e della gratitudi- ne; della grandezza, e dell’ardire de’ concepimenti. E quasi che Apelle , Lisippo e Pirgotele fossero i più di-. stinti e tra i nobilissimi artefici Greci; ad essi come a privilegio , fu riserbato quello di effigiare Alessandro. « Quod utinam ( esclama Apuleio ) (24) pari exemplo » philosophiae edictum valeret , ne qui imaginem ejus » temere assimilaret :' uti pauci boni artifices , iidem » probe eruditi, omnifariam sapientiae studium con- » templarent; nec rudes, sordidi, imperiti, pallio te- » nus philosophos imitarentur , et disciplinam regalem, » tam ad bene dicendum, quam ad bene vivendum re- » pertam, male dicendo et similiter vivendo contami- » narent! » Lisippo dotto in notomia , cui avea messo molto stu- dio , dovette più di tutti ritrarlo al naturale, sicchè son lieto in pensare che il bassorilievo fosse copia di una delle 600 opere in bronzo da lui fuse , delle quali molte, doveano essere del gran guerriero, massime che da Asclepiade ci si riferisce questo epigramma , dal quale rileviamo com’egli ben lo ritrasse. (25) ©’ essere pertanto una eccezione al genio di falsificare le opere di Pirgotele. (24) Apuleio Flor. VII. p. 114, edit. Nisard. (25) Antol, IV, 8, 37. nl {5 Quantus Alexander Lysippi spirat in aere ! Quae ducis e vultu vis micat eque oculis Ora etenim ad celum tollens , o Juppiter inquit , Laetus habe calum tu tibi, terra mea est E Posidippo (26) pur consacrò a Lisippo quest'altro Mire opifex Lysippe ; oculis ex. auribus ignem Aerea Pellaei vibrat imago ducis. Ignosco Persis: Quis viso armenta leone Miretur celeri, vertere terga fugae ? E quale accuratezza non doverono mettere gli artefici più celebrati della Grecia nel ritrarre Alessandro , es- sendo egli stesso artista, come ho notato col Cantù? Orazio (27) dice avesse iudicium subtile videndis ar- tibus. E quanta intelligenza aver dovesse nelle arti, ci vien mostrato da Plinio (28) il quale narra, che amasse tanto Apelle, da cedergli la sua favorita Campaspe (29), quando incaricatolo a ritrarla nuda, si accorse della fiamma, ond’era rimasto preso l'artefice sommo. Invano Eliano (30) ebbe a screditarlo in fatto di gusto di arte, meno non voglia ritenersi, che dopo la conquista del- l'Asia fossesi addimostrato in essa depravato per la pira eretta. al. suo Efestione (34). Nel che però ha da ri- (26) Im ibid. 8, 36. (27) Epistol. 1., lib. II., v. 242. (28) Lib. XXXV, 36, Hist. Nat. (29) Eliano corregge dicendo Pancaste la favorita. Ape//es vero concubinam Alexandri nomine Pancastam genere Larissaeam, cum qua etiam prima Alexander rem habuisse dicitur. Var. Hist. lib. XII, Cap. VII, p. 729. Edit. varior. — Vedi Adriani , Lett. a Vasari. i (30) Lib. II. Cap. IP. Hist- var. 31) St. Croix examen critiq. p. 213. re 16 — guardarsi, non fanto al gusto semplice e severo dei Greci, quanto all’arcano di quella pira, che misteriose cose simboleggiava, come avrò campo indicare nell’al- tra parte. Oltre che per ovviare alla taccia di Eliano, soccorre questa osservazione del dotto Freinsemio (32) Alexandrum ommibus ingenti fortunaeque dotibus abun- de auctum, ornatumque fuisse comperio, quibus fata- lem tantae potentiae virum oportebat instrui ; e di Apulejo (33). Or quanti monumenti verranno ‘da noi esaminandosi, prescegliendoli fra i più autentici che sianci pervenuti, ne vedremo la più sicura simiglianza col nostro basso- rilievo, senza ammettere ciò che alcuno possa osser- vare, di non esservi veri ritratti di Alessandro, al che contrapongasi ciò che leggiamo nel Raul-Rochette (34); Avellino, Quaranta ed in Visconti. E secondo quest’ultimo trovo uniformi le sembianze del giovane a cavallo a quel- le dei ritratti dallo stesso esaminati (35). Imperocchè la faccia del giovane Eroe ci si mostra imberbe (36) (32) Supplem. ad Lib. I. Cartii. (33) Alexandro illi, longe omnium excellenitissimo regi, cui ex rebus actis , et auctis cognomentum magno inditum est, ne vir, uli unicam gloriam adeptus , sive laudibus unquam nominaretur ; nam solus a condito aevo , quantum hominum memoria extat, inexuperabili imperio orbis auctus , furtuna sua major fuit. Apul Flor. VI, edit. Nisard. p. 114. (34) Lettera a M. Schorn op. cit. p. 151. (35) Op. var. ed Iconogr. (36) Prescindendo dalla riflessione che Alessandro all'epoca in cui domò il cavallo era giovanissimo, e per necessità imberbe, evvi pure, che all’epoca di lui ebbe luogo la moda di rader la barba, cosa distintiva , secondo Muller, dell'età che seguì quel grande. = 17 e dotata di quella freschezza, tipo della prima giovi. nezza , e che fu qualificativa di Alessandro. (37) L’oc- chio grande, e per quanto può aversi da un marmo, vivo, penetrante, che lascia intravedere l’anima fo- cosa ed impavida di lui. Il naso quantunque maltrat- tato, e monca la punta, non mostrasi, al modo che è rimasto, lontano da quello solito a vedersi negli al- tri ritratti del Macedone. E tal mancanza fa sovveni- re che Augusto fra coloro che visitarono la tomba di Alessandro, avendo trovato integro il di lui corpo, ne prese un pezzo (38). Il mento ovale, sul quale Visconti ha fatte giudiziose osservazioni ; Il collo nu- do , grosso, muscoloso , e piantato su di largo tora- ce, in parte nudo, e in parte coperto da clamide ehe scende graziosamente in svariate pieghe sul seno, e die- tro gli omeri, alquanto svolazzante fin sopra le ginoc= (37) Apelles autem Alexandrum pingens fulmen tenentem non representavit cotorem ejus ; sed magis fuscum, et sordidiorem fe- cit , quam fuerit ( ut ajunt ) candidus: qui color in pectore et fa- cie potissimum purpurascebat. Plutar. vit. Alex. « La bianchezza della pelle, e il color biondo de' capelli caretterizza la giovinezza degli Dei. Muller. M. d'Arch. $. 337 — I bianchi, secondo Plato- ne, sono i figliuoli degli Dei — Sul colore degli Atleti, Manilio Astronomicon IV, 720, pergue coloratas subtilis Graecia gentes == Gymnasium praefert vultu , fortesque polestras. Pare, che Ales- sandro avesse riunito il tipo della bellezza greca — E ben ci viene in punto il classico luogo di Apulejo « Eo igitur omnium metu fac- tum, solus Alexander ut ubique imaginum suus esset ; utque om- nibus statuis , et tabulis , et toreumatis idem vigor acerrimi belta- toris, idem ingenium mazimi herois , cadem forma viridis juven- tae , cadem gratia relicinoe frontis cerneretur. Flor. VI. (38) Dion. Cassi. lib, 51, S. 16. #48 chia , che restano rignude , del pari che le gambe e.i piedi. Le solee; (39) di cui veggonsi fregiate le piante dei piedi senza allacciamento, lo che addita alla natura eroi- ca. E il cavaliere stringendo il crine con la mano si- nistra, sta nella stessa foggia di quelli che veggonsi nell’Atl. del Muller ( tav. 24 fig. 28.). In somma pre- senta tulto ciò che si ha d'ideale, e monumentale del Macedone. Non rechi maraviglia , come Alessandro non mostri aver redini per frenare: il Bucefalo , poichè ben forse dovea averne, giusta i biografi e l’arte de’ domatori di cavalli (40); ma lo scultore idealizzando il costu- me degli eroi, avrallo rappresentato senza tali istru- menti cavallereschi, come farò osservare nel 2.° ca- pitolo. Alle statue-ritratti,, ( Muller Man d'Arch. $. 340 ) davasi il costume ordinario , menochè la figura (39) Si sa che le So/ee erano adoperate dagli eroi, conservando Ja nudità de’ piedi, di che pregiavansi i Greci, annettedovi un'idea di bellezza, e Lisippo scultore in tanti modi di Alessandro, e stu- dioso della bellezza sino a//e minime cose , essendo stato seguace della scuola di Policleto , noto per la grazia, di che sapea im- prontare le sue opere, in tal costume dovè rappresentarlo. * (40) Ducitur ante omnes rutilae manifestus Arion Igne jube. Neptunus equo , si certa priorum Fama , pater : primus teneris laesisse lupatis Ora , et litoreo domitasse in pulvere fertur , Verberibus parcens ; etenim ‘insatiatus eundi Ardor, et hiberno par incostantia ponto. Sacpe per Jonium Libycumque natantibus ire Interjunctus equis, omnesque assuelus in oras Coeruleum deferre patrem : stupuere relicta Nubila : certantes Eurique, notique sequuntur. Staz. Lib. VII. Tesarpr. bc innalzata al grado eroico, o divinizzata, non fosse collo- cata al di sopra de’ bisogni ordinari. Ecco l’idea dell’ar- tefice greco. Giusto Lipsio (41) dice d'altronde, che i Nu- midi avessero pugnato con cavalli senza freno , e Clau- diano presso lo stesso scrisse Sonipes ignarus habenae Virga regit | 0... E Silio Numidae gens inscia froeni Quis inter geminas , par ludum mobilis auras Quadrupedem flectit, non cedens virga lupatis. Abbiamo anche in Pindaro, che le corse negli stadi Olimpici eseguivansi con cavalli che non avevano freno e senza altra bardatura , così in Gerone. Qualor del chiaro Alfeo presso le sponde Posò volando senza sprone ne’ freni Il suo signor della vittoria in seno, Alessandro forse non fu straniero a tali giuochi, e l'invito ricevuto di recarsi agli Olimpici, meritò quel- la piccante risposta riportata da Freinsemio (42). Ma (41) Epist. Cent. III ad Belgas p. 150, vol. 2. Antverp. fol. ediz. del 1637. (42) Ergo dicentibus quoniam cursu plurimum valeret , debere profiteri numen suum inter eos, qui Olympicis ludis certaturi es- sent , cognominis sibi regis ervemplo ; magnam ea re per Grae- ciam sibi famam comparaturum : « Facerem , inquit, si reges haberem adversarios » Freinshem. Suppl, in Curt. Lib. I, p. 7. Lemaire, Cnfr. Plutar. vit, Alex, 3 iis Mia Y età cavalleresca di Filippo e di Alessandro, simile a quella del medio evo , cui tanto si affà, non per- melteva certo una incongruenza , senza ingiuriare al ge- nio Macedone per tal genere di esercizio , il quale con- tinuo com'era, ed abituale per la sua gioventù, distin- guevasi per la generosità de’ cavalli e per la loro ec- cellenza, per le corse e palestre , cui era dedicata , nè certo sfornita di ciò che a cavalieri briosi si addi- cesse. L'andamento poi del giovane sul cavallo, la supe- riorità che appalesa, la franchezza, e l’atteggiamento sicuro, e l’assecondamento dei movimenti di esso, non sono abbastanza conformi al narrato del Macedone nel domare il Bucefalo ? E se pongasi attenzione alla de- stra armata di frusta levata in alto, di cui non ser- vissi, come vedremo, e all'uso de’ domatori de’ caval- li, non convincerà qualunque , che Alessandro sia il ca- valiere del bassorilievo pompeiano ? Arrogi la nobiltà e l'umanità del volto, il vivo degli occhi, e avrassi la fedele immagine di lui (43), quasi terrestrenume. Non pretendasi ritrovare in esso l'aspetto terribile, e l'ira guerresca, che dappoi mostrò, e di cui si abbia fra gli altri un esempio, quando i Deputati In- diani vistolo nella sua tenda , e salutandolo caddero chini a terra spaventati (44). Nel bassorilievo dobbiam (43) His fantisque praedilus dotibus Alexander tum divinum ge- rere spiritum în hominis figura visus est , tum ad memoriam for- tiludinis ac felicitatis adeo insignis evasit. ut ejus fama atque no- mine aures omnium hominum omni aetate circumsonare necesse sit, Maii prefat. ad Itinerar. Alexandr. p. VI. (44) Legati ad Alexandri tabernaculum adducti quum illum se- di vedere delineati gli affetti dell'età sua intorno ai 14, o 15 anni; la passione dominante del paese del ca- valiere , e quella dolce fierezza compagna del genio della conquista , e dell’istinto di essa. E neppure pos- siamo confonderne i tratti con quelli che ce lo dipin- gono ad Arbela ; ad Isso , al Granico, quando le fa- tiche , i rovesci degl Imperi , l'ansia dei desideri della conquista (45), o la morte di Callistene , di Clito , 0 il dolore per Efestione , a questo novello Achille, aveano alterata mente , cuore , e lineamenti. Nel bassorilievo pompeiano è come balenaia la gloria di lui in quel volto quasi divino (46). Vuolsi, che l'aspetto di Alessandro avesse alcunchè di angoloso , di Zeomino (47), come pur ripetè il chiar. Cav. Quaranta nella sua dotta illu- dentem nondum deterso pulvere , omni adhuc armatura indutum , galeaque tectum et lanceam manu tenentem vidissent, aspeclu ejus perterrefacli in terram prociderunt , diuque silentium tenuerunt. Av- rian. Lib. V. C. 2. AI che consuona quel che dice l’autore del libro de’ Maccabei ( Lib. I. V. 3. Cap. 1.) £t siluit terra in conspectu ejus. (45) « Noctes complures insomnes, belligeransque dies traduxit » morte cruentas, cum invictis bello imperiis , immumerisque gen- » tibus. » Plutarc. de Fort. Alexan. (46) Vedi l'Epigramma Greco riportato dal Visconti nell’illu- strazione del Bassorilievo di Arbella. Oper. var. (47) Il tentativo ( così l’annotatore del Muller $. 335 man. d'Ar- ch. ) fatto con molto spirito dai moderni di paragonare i differenti caratteri dell’uomo cogli animali di diverso genere ( Giove- Leone, Ercole-Toro ) è molto a proposi‘o per l’ aspetto leonino d' Ales- sandro il Macedone , di cuì vedi quanto dirò più appresso. — Il Leone , dice Visconti , Iconograph. Grecque, t. IL, p. 64, fr. mil: 1825, è il tipo comune de’ rovesci di tre medaglie di Ales- $i strazione del Musaico Pompejano (48). In qualunque modo che sia , il nostro bassorilievo offre un viso , che allontana l'idea dell’ angolosità e di fierezza leonina ; anzi l’amabilità risentita della fisonomia ben si affà con ] abituale umanità del Macedone , non disconve- nuta dagli storici tutti , e specialmente riferita dall’Ar- riano (49) allorchè fu sedizione de’ Macedoni per favori accordati ai Persiani. Qui conviene ritenere l’angolosttà nel ristretto senso del profilo greco, cui tanto ebber cura gli artefici. ( Vedi più appresso) E parmi, che l’angolo- sità, e l'aspetto leonino siano stati sì spesso traveduti e interpretati dai moderni sulla fede di molti scrittori; e ciò per ispiegare forse la sua discendenza da Giove , e spe- cialmente da Ercole, solito ad aver per simbolo il Leone; compagno di ogni suo monumento, ed esprimente il culto solare. Ma su tal punto andrò a veder più basso le ra- sandro. Nel primo, quell'animale può avere un rapporto parti- colare con Ercole , nel qual costume Alessandro è rappresentato dalla parte della testa. In tutti e tre, questo tipo alluder può alla famiglia degli Eraclidi, dalla quale il conquistatore era sor- tito , e all’aria leonina , che i biografi gli han data. (48) Abbiamo da poco un novello opuscolo sul monumento in parola; ove il suo autore si è sforzato rivendicare alla Sicilia un falto, che non attribuisce ad Alessandro. Parmi che il sig. Carlo Pancaldi abbia un bel dire dopo le osservazioni de’ chiarissimi Quaranta ed Avellino. (49) Erat enim magis solito ad iram proclivis , atque ob bar- boricum comitatum non ita atque olim erga Macedones facilis at- que humanus. Arrian. Vit. Alexan. lib. VII. C. VII. iu Ji gioni , esaminando meglio i luoghi de’ Biografi , oltre ciò che abbiam veduto alla nota 47. Lunghe discussioni sono a noi pervenute sulla con- formazione degli occhi dell'eroe. Certo che la grandezza di quelli del cavaliere del bassorilievo pompejano, ri- velano la magnanimità , e l'umanità, le quali il S.* Croix vorrebbe essersi esercitate piuttosto verso i nemici, che verso i suoi; ma il caso eccezionale di che parla Arriano nel citato luogo non conferma l'opinione del critico francese, e l'umanità di Alessandro rifulge da quel che riferisce Plutarco. (50) Il Wetzel nelle annotazioni a Giustino ( Lipsiae 1817 al lib. IX. C. 8. p. 137, not. 11. ), osservando alle parole dello stesso su di Fi- lippo ed Alessandro , dice « Zn utriusque et patris et filiù moribus inter se comparatis non magis Justino , quam Ciceroni ( offic. A. 26. 3. ) assentior. — Cicero emm: « Philippum, inquit, rebus gestis et gloria su- » peratum video a filio; facilitate et humanitate fecisse » superiorem. » /Vonne autem major gloria est regnum Macedonum debilitatum et a tot tantisque hostibus la- cessilum non solum vindicare , sed huic etiam Grae- ciae imperium asserere , quem regnum ad hoc fasti- gium evectum tantis ducibus , tantoque exercitu fir- matum tueri, hujusque civibus evertere Persarum im- (50) Proinde in Alexandro cernere est humanitatem belligeran- tissimam mitem forlitudinem, frugi liberalitatem , iracundiam exo- ‘rabilem, amorem modestum , animi remissionem non vacantem las- sescentiam haud irremeabilem ...... Ecquis denique inimicis la: cessentibus infestior , aut miseris clementior , aut indigibus beni- gnior ? De Fort. Alex. Orat. 1. cn Viù perium iam ipsum dissolutum in qua suum ipsius exi- tium ruens ? Nè il torvo cipiglio voluto da alcuni appare negli occhi del giovane, ma vi traluce quello. slancio , che potenti cagioni, quali di uomini , che la Provi- denza crea a bene, od esterminio de’ popoli e delle nazioni , cacciano nello sguardo. E trovo non commen- devole la osservazione del S.t Croix. sull’essersi mo- strato Alessandro indulgente più verso i nemici , che verso i suoi ; imperocchè Alessandro aveva preso l'as- sunto di estinguere ogni odiosità fra tutti popoli; (51) ed aveva tolto il sublime carico di un generale ravvi- cinamento , l’opera la più portentosa , la più memora- bile, laddove avesse potuto da uomo menarsi a com- pimento. E del tentativo fattone abbiamo monumento insigne illustrato dal Visconti (52); in cui la prima (51) « Capita vero commentariorum praecipua et memoratu di- gna haec erant. . .... ut civium in urbes novas commigra- tio, et hominum ex Asia in Furopam, et rursum ex Europa in Asiam translatio fieret : ut per connubia et necessitudines continentes orbis maximas concordia mutua et cognatione ami- citia inter se devinciret. T'emplorum de quibus dictum , aedifi- canda erant quaedam in Delo, Delhpisque, et Dodona; quaedam in Macedonia , ut Jovis in Dio, Dianae (quam Tauropolon vocant ) Anaphipoli etc. » Diod. Sicul. lib. XVIIF. c. 4. Wes- selling. — Cnfr. Arrianum Expedit. lib. VII. « Illud certe mihi » asseverare posse videor illum nihil humile aut exigui momenti » animo volvisse neque quantumlibet terrarum suo imperio ad- » jecisset, conquieturum fuisse : non si Europam Asiae aut Bri- » tannicas insulas Europae conjuxisset, sed ulterius semper ali- » quid a notilia homiuum remolum quaesiturum. » (52) Op. var, v. III, p. 63 e segu. tav, II. — L'autore con ar- 6 6 VU si cv Pin — volta vedesi dall'artista assunta l’idea monumentale del grande disegno di Alessandro di estinguer l'odio tra gli orientali ed occidentali, di cui il misterioso Licofrone dice la forza (53). Ed è bello il riscontrarvi questo Epigramma greco Er Lafev BariAnes suov dopd, sQved 7° euTwVy Orsx msi yuing Qusavos vestat Ecui dop” HoxxAs0g Atds sxyovos, vids Bed imm Avuuiò@y yevene pntoos OXvurriados _ » IReelelor nazioni, el’oceano che circondando la » terra fa vivere, sono stati spaventati dalla mia lancia. » Figlio di Filippo , io discendo da Giove per Ercole , » sono della stirpe degli Eacidi per Olimpia mia ma- » dre (54). Ma gli sforzi di Alessandro non furono co- gomenti invincibili è riuscito a provare che il bassorilievo rappre- senti la battaglia di Arbella, e che lo scudo abbia fatto le veci di statua alla quale il tempio o l’altare apparteneva, lo che confer- ma con altri esempî ( p. 67 ) ed in cui leggesi la iscrizione « Hizt NEGLI Mann TPITA 7006 Aupator vyavomsvn sy Aprno:s » E questo, dice essere il terzo esempio di culto renduto agli scudi, tenendo luogo, come ho detto, di statua; poichè, secondo me, così egli, l'Europa e l'Asia vi adorano l'immagine d'Alessandro, rappresentato al mo- mento detl'azione della battaglia d'Arbella. « Egli fu adortao du- rante la sua vita , ed il suo culto generalmente risparso dovunque dopo la sua morte, anche sotto il dominio romano. Nell’iscrizione di Rosetta si fa menzione di Aeto, figlio di Aeto, sacerdote di Ales- sandro in Egitto, forse in Alessandria. Ivi. pag. 69. Ciò convalida quanto sarò per dire sulla divinità di Alessandro nella 2.* parte. (53) Licofrone Cassandra, Canto VI « L'emula, e sempre al- l'Asia Europa infesta. » (54) Questo Epigramma è nel bassorilievo dal Visconti credu!o rappresentare la famosa battaglia di Arbella. Il medesimo Viscont — MM i % ronati che da breve successo in quel che risguarda im- mischiamento di stirpi, chè l’idea veramente grande e primigenia fu inca.nata nella fondazione di Alessandria. Per questa , e per la famosa favola di Nettenebo , Ales- sandro cercò riattacccare la sua dinastia a quella de- gli Egizî, e legittimare in tal modo la sua conquista. Etsi enim Alecandria Urbs ac Regis Sepulchrum cete- ris populis Aegyptios Alexcandro sociaverani , non ta- men haec exurere ipsis videbantur ignomimam gugi ab alienigena Rege impositi. Rationem vero qua mi- ligari talia vel dilui possent a majoribus acceperani.. Nam quum antea Persarum imperata facere coacti fuissent , nihil imqui se pati dictitabant , videlicet Cambysem matre fuisse Aegyptium. . ..... Quid m- rum igitur st simili modo in Alerandri affinitatem se traduxerunt, adeo ut Nectanebi successori legit- Op. var. tom. III. p. 65 Milano, 1830 avverte, che la poesia aveva già prevenuta l'idea dell’artista, il quale ponendo nel bassorilievo Europa ed Asia, come adoranti Alessandro, avea seguito il pensiero di Eschilo nel sogno di Atossa ( Aeschyl. Persae v. 179 et sequ. ) ove, servendoci della bella versione del Bellotti messa dal chia- rissimo D.r Labus a p. X. della sua prefazione al Visconti , il Tragico Greco dice ‘0.00 + A me dinanzi Parvero due ben adornate donne Composta l'una in Persiani pepli , L'altra in Doriche fogge , alla statura Più auguste assai di quante intorno or vanno Di bellezza incolpabile , e sorelle Dun ceppo istesso ; e il suol di Grecia l'una, L'altra avea l'Asia ad abitar sortita. "> "000IEN su Di timo parere viderentur. (35) Nel quale sentimento ab- bonda il Letronne. Questo però non esclude Ja rifles- sione che ci vien dall’Heyne per la grandezza , il com- mercio, e gli eventi del mondo. (56) E pur fallita andò innanzi di Alessandro l’istessa idea con Sesostri; e dopo di lui, coi Romani, coi Crociati, e con Bonaparte. E ritornando allo sguardo del giovane cavaliere, nulla vi si rinviene di quella incertezza , che rimorsi ed an- gosce lo penetrarono vivamente dopo la distruzione di Tebe (57), di Tiro, e del favoloso racconto, forse, (55) Muller Introduct. ad Pseudo — Callisthenem p. XIX. Didot. (56) « Non sine respectu ad Carthaginienses in confinis Ae- » gipti haerentes Alexandriam in ipsis Aegypti finibus, et ad mare » fuisse conditam, Regi tamen ex Aegypto in ulteriora Asiae pro- » fecturo, jam hoc ad providendum satis caussae fecisse, ut prae- » ter Memphin et Pelusium, urbe maritimo in loco posita, prae- » sidia idonea et liberos ex hac urbe commeatus et commercia » cum Macedonia et Siria haberet; porro conjectare licet ipsa loci » opportunitate ductum AJexandrum forte ad casus futuros incer- » tos animum advertisse. Quae vero praeterea passim memorant » eum ad urbem condendam adduxisse, ea hominis divinitus af- » flati essent, qui jam cum loci opportunitatem ad commercia » per omnem terrarum Orbem jungenda prospiceret » Excur- sus de Alexand. M. agente ul totum etc. T. VI. p. 354. (57) A Tebe fu salva solamente la casa di Pindaro, lo che con- ferma la protezione che Alessandro accordava agli uomini di let- tere e di arte. Nel Giulio Valerio dell'edizione del Mai leggesi il pianto di Cleade snila rovina di quella città. Hancine tu Urbem marime regum Alexander Properabis excindere , quam tibi Dii Immortales prosapiae tuae Principes Pcepererunt ? — B è deila Regia di Persepoli (58), per sodisfare le volut- tuose voglie di Taide famosa. Più ampiamente vedrò appresso ciò che torna a dilucidamento maggiore del tor- #0 assertò e della volubilità degli occhi di Alessandro. Questi versi leggonsi pure in Giustino XI. 4. Lypsiae, ai quali egli soggiunge « Privata etiam Regem superstione deprecatur, ge- niti apud ipsos Herculis , unde originem gens Acacidorum ita: actaque Thebis a patire ejus Philippo pueritia. Rogat, urbi parcaè,. quae majores éjus pariim apud se genitos Deos adoret : partim educatos summae mojestotis Reges viderit. Sed potentior fuit ira, quam preces. Il Muller nell'introduzione allo Pseudo — Callistene, non dubita esser la narrazione della distruzion di "Tebe un Poe- ma drammaticolirico dovuto a Soterico, coetaneo di Dioclezia- no, i cui principî favolosi furono fabricati da Clitarco. Il titolo del libro di Soterico era Iv6oy 7% A)staydprdatv. Ora il Python per Soterico era il dragone che Cadmo anticamente aveva uc- ciso nel Citerone .al fonte d'Ismeno. « Per questa uccisione av- vamperà il nume, piangeralla il Citerone insieme ad Ismeno, finchè l’uccisore e la sua discendenza non avranno espiata l'of- fesa. La qual cosa, come dovesse accadere, annunziollo l'oraco- lo. Tebe al certo, è nei fati, che debba esser fabricata, nè può im- pedirsi, che al suon della lira i macigni ergansi a mura. Ma verrà, sebben tardi, il castigator dell'’ingiuria, el vindice del nume , Alessandro , il quale rovescerà queste mura istesse con la musica, e quando Ismeno imbrattato del sangue del Pilore lamentasi, al- lora esulterà tinto del sangue Cadmeo etc. » In tal modo il dram- ma sarà stato adornato da Soterico. Così il Muller p. XV. Didot. (58) Ho detto favoloso , forse , il racconto dell'incendio di Per- sepoti, poichè abbiamo in Clitarco ( Fragmenta Hist. Alex. p. 77. Didot. ) le seguenti osservazioni « Fabu/om hanc praeclarum declamationis argumentum, narrant Diodorus XVII,72, Curtius V, 7, Plutarch. Alex. 38. Nihil de muliercula ista Arrian., Strabo, Auctor Itiner. Epperò vorrei crederlo una fantasia come il poetico dramma di Tebe. Vedi nondimeno S.t Croix op. cit. p. 3II, Mr. DR Nel nostro bassorilievo il giovane eroe è tutto inteso a domare il cavallo famoso. Se egli vedesi alquanto inchinato col collo sulla sinistra spalla , ciò ne confer- ma il contradetto luogo di Plutarco (59) che fosse un difetto della sua persona e che perciò convincerebbe maggiormente, il bassorilievo appartenere ad Alessandro; del pari che Puso della Clanvide , propriamente secondo il costume Greco-Macedonico ; (60) e che ne fa sovve- nire quella nobilissima allocuzione di lui ai suoi, sol- dati Macedoni , tumultuanti , scontenti , defatigati ; e più che tutto sdegnati per gli usi Macedonici abbando- nati, per equiparazione de’ Persiani ad essi loro ; per corpi di quella nazione ammessi a guardia di lui; e nella quale rimembrando i larghi beneficì del padre suo Fi- lippo alla Macedonia arrecati, incivilendoli , fece loro deporre la nudità, e ricoprilli di Clamide ; pro pellibus chlamydes gestandas dedit (Arrian. VII , 9 , Didot.). La quale clamide fammi ricordare eziandio , come la bella città di Alessandria, che ebbe il più gran porto del mondo , posta tra Asia ed Europa , per essere anello Droysen Atexandr. p. 247, e Geier Comment. De Vit. Ptolom. Log. p. 47. (59) Ceteri inclinationem cervicis , oculorumque renidentem vo- lubilitatem imitari volentes, masculum ejus leoninrumque vu/tum non servabant Fort, Alex. Or. IT. 2. Didot. Da ciò sorge altro ar- gomento per escludere il /eonino aspetto. (60) Nell'arte antica ( Mii/ler M. d'Archeologia $ 340) le ve- sti sono presentate sotto una forma simbolica ed abbreviata ; del che nella parte mitica vedrò la ragione, +e — Bi di concatenazione tra l’orientale ed occidentale civiltà (641), (61) Incredibile est quam late evagati sint commentis suis viri docti , in his T. Pownal I c. p. 89, Alexandrum Alexandria condenda jam tum destinasse novam urbem omnis mercalurae per orbem terrarum metropolin, ita ut haberet ingentis pyramidis spe- ciem trinis suis lateribus Gades, paludem Macotidem et Indiae ex- trema spectantis, satis magnam laudem Alexandri esse putabimus, quod animadverlerit portum naluraliter tutum, emporium egregium, campos circa totum Aegyptum frumentorios immanis fluminis Nili magnas utilitales: Heyne op. cit. vol. 6. p. 354, nota F.— Pare che il gran pensiero ond'’era travagliato Alessandro si fosse Carta- gine, e lo stesso Heyne ibidem p. 357 dice : Jom /onginquarum terrarum extremi occidentis legationes in Asiam missae iis aetati- bus, quibus hae gentium et imperatorum pactiones et legationes non- dum frequentabantur , merito mirationem faciunt, quod si vera ea tradita sunt , videri potest fama de bello in Carthaginienses mo- vendo , jam tum increbuisse , odiisque ex Carthaginiensium domi- matione maris interni , mercatoriaque etc. — L'idee del profondo scrittore Tedesco, laddove fossero. messe in rapporto con quelle già pure a’ nostri giorni manifestate da Humboldt, ne vedremmo per- fetta consonanza. I vasti disegni di Alessandro sono da lui, dopo gli antichi Storici dell'epoca Romana, direi come riepilogati con quel genio di vedere in ampii quadri le azioni de Grandi Uomini. Occor- rerà al Leggitore vederle da me riprodotte, allor quando verrò in- dagandone la natura , e metterò a confronto il fondatore di Ro- ma, Romolo, col gran Capitano. Macedone. Vedrà egli allora se le grandi gesta di lui mirassero a grandi cose, ovvero si restrim- gessero nell’ angusta sfera delle semplici e nude conquiste , che sole non costituiscono la grandezza delle epoche istoriche. Vedrà pure come vadano errati coloro, che hanno voluto ammeschinire e quasi del tutto annullare la gloria del giovane Macedone. Non vi è stata accusa che non sia stata prodigata, non calunnia, non inveltiva, che non siano venute sotto la penna; e l'istesso elogio di Giustino , è tanto amaro, quanto la sventura di averne voluta id $ fu edificata a forma della stessa, (62) e quella depo- sitata nel carro funebre di Alessandro (63). E credo fare un parallelo col padre suo Filippo , che certo non meritava l'istesso posto storico col Figliuolo non infinto, non vile , non quale quegli è dipinto da Demostene. In felicemente questo re- pilogatore di 'Trogo Pompeo ha giudicato con le vedute di altro storico abbeverato di principii contrarii all’ Eroe di Pella ; e per difetto delle condizioni della filosofia storica non animante lo scri- vere della loro epoca , mal vista si rimase la grande epoca Ma- cedonica. Ma io non prosieguo più innanzi in questa nota, per- chè al leggitore mi rifarò da capo sù questo conto nel parallelo. (62) S.* Croix op. cit. p. 288, 2. ediz. — Cuper su Ja Cla- mide — Cantù Archeol. vol, unico. L' arte greca sorpassando i limiti del campo della religione , e della poesia, rappresentava, secondochè possedeva in proprietà, le contrade, le città, i popoli sotto la figura umana ; queste rappresentanze furono fatte, e mol- tiplicate durante il periodo macedone , e romano , e nell’ epoca repubblicana : Miller M. d'Arch. t. III. p. 370, S. 411. Vedi $. 328, $. 160, 5. 201, 9. — Roma fu assimilata a Pa//ade. Nel mezzo del 7ycheum d’ Alessandria , trovavasi, a quel che pare, la Dea della Fortuna, che corona la terra, e la terra che coroua Ales sandro. Libanius IV. pag. 1113 Aeisk, presso Muller pag. 208, t. 1., M. d' Arch. L'arte cercò spesso a personificare egualmente le Divinità delle Città ( «:xané)e0v ) ed i monarchi , ai quali erano sottoposte , con un genere di figure particolari, e che potevano essere individualizzate in un modo interessante, sotto il rapporto delle località, e delle produzioni. (63) «Supra hoc ‘circumjecta erat chlamys punicea perquam de cora , et auro variegata, juxta quam arma defuncti posuerant, eo consilio, ut speciem illam totam rebus ab eo gestis accomodarent. »» Diod. Sic. lib. 18. cap. 26, pag. 234 Didot.— Appiano narrando del trionfo del gran Pempeo , vinto Mitridate, fa menzione della Clamide di Alessandro M. « ipse Pompejus gemmato curru vehe- batur, amictus, ut fertur Alexandri Macedonis chlamyde ; si fas est Mn non sarà discaro veder riportato un luogo di Nearco (64) che così discorre di Alessandria « Sarebbe forse un » esagerare la previdenza, di cui era dotato Alessan- » dro, quest uomo straordinario , affermando ch° egli » avea premeditato un vasto piano di commercio dal » primo momento della fondazione di Alessandria. Ma » il suo genio si allargava in ragione de’ successi, ed » a misura che le conoscenze locali e geografiche au- » mentavano per la fortuna delle armi. » E più appres- so. « La vanità d’ ordinario è la molla potentissima dei » fondatori delle Città ; ma qualunque fosse 1 impero » che tal passione esercilasse su l animo di Alessan- .» dro, è mestieri dire a laude di lui , che le viste uti- » litarie lo diressero sempre a preferenza di ogni al- » tro movente. Harris ha giudiziosamente osservato , » che la più parte delle Città fondate dai Re Sirii , » non ebbero mai una durata più luiga della vita de’ » lor fondatori, e forse, se si eccettui Antiochia sul- » l'Oronte, Seleucia sul Tigri, non ne rimane una sola » esistente..........+. L’ Alessandria di Egitto dopo » esser sopravivuta alle moltiplici rivoluzioni degl’ im- » peri per 18 secoli, mon cadde che in seguito di una » scoperta, che cangiò tutto -1l sistema del commercio » sulla faccia del globo. » E bene osservasi dal Cantù, che Alessandria fondata da Alessandro, fu campo alla credere, hanc videtur invenisse in Mithridatis supellectile , quam ille in bonis Cleopatrae a Cois acceperat » — De bellis Mihridat. p. 341. Lugd. (64) Viaggio dall’ Indo all'Eufrate di William Vincent, tradotto da Billecoque p. 7. Paris an. VIII. RE più sublime idea, al centro intellettuale del vecchio oriente, e del mondo Romano per la Scuola Alessan- drina; dalla quale i raggi lucentissimi del sapere eter- narono la grandezza del suo fondatore. (65) A che sca- gliarsi adunque alcuni scrittori contro questo genio ? Valga però per lui quel che lasciò scritto l’Arriano (66) non bugiardo ; nè storico adulatore. Se tanto uomo fosse stato riprensibile dopo la battaglia di Arbella, dirò col- l’annotatore al quarto libro del Curzio , adesse nempe in omnium fere illorum triumphatorum vita , fatale Ripa. tempus. “# La fondazione di Alessandria è tale per sè sola un monumento da far grande qualunque uomo. A Diodoro Siculo, a Giulio Valerio , o Pseudo Callistene special mente, a Strabone , dobbiamo le notizie le più circo- stanziate di tale Città, che secondo Giasone Argivo (67) nominabitur Alexandria etiam Rhacotis et Pharos et Leontopolis. Hoc propterea , quod Leomis signo Olym- (65) Biograf. d'Alessandro Docum. v. unico. (66) « Qua propter quisquis Alexandrum incusat ac vituperat ; » is non ea solum quae vituperatione digna sunt afferens vituperet, » sed omnia ejus facta in unum cumulum congerens, ita demum » secum reputet, quis ipse et quali fortuna usus ad cujus ac » quanti principis accusationem accedat , qui ad tantum humanae » felicitatis fastigium evasit, ut utriusque continentis ( Asia et Eu- » ropa) rex citra ullam controversiam fuerit nom enque suum per » universum terrarum orbem propagarit : cogitetque iste quisquis » est accusator quam exilis ipse sit ,, quamque in exilibus parvique » momenti rebus laboret , ac ne illas quidem ipsas decore confî- » ciat. » Expedit. Alexandr. lib. VII. , c. XXX. Didot, (67) Fragment. Didot. p. 160, 2. Wife piadis:venter obsignatus fuerit. Più diffusamente ne avea parlato lo Pseudo-Callistene, pel quale il Muller nella introduzione a tale:opera ( p. XXI. Didot. ) dice Alterum caput quod Alexandrinum auctoren eccelen- lissime prodit , de origmibus urbis Alerandriae. Quod ulinam integrum ad nos pervenisset. Tacito nel quarto libro delle Storie $. 83 fa motto di Racoti come luogo antichissimo ed appartenente ad Alessandria, e del si- mulacro famoso variamente inteso , ma dai più Serapide, «ivi trasportato da Sinope. Fratanto un bellissimo mo- numento , la Coppa preziosa del Museo Borbonico, da tutti veduta, da moltissimi illustrata; profondamente in-” terpretata dal Jannelli, per questo vassi a compiere il voto in parte delle storiche descrizioni di ‘Alessan- dria, e del suo fondatore, risultando chiaro dalla illustrazione dello stesso, come in quell’Anaglifo sia espresso Alessandro con piccola Clamide , con istru- menti e in atto di designare la città famosa. Su tale interpretazione ritornerò nella parte mitica del bassori- rilievo Pompejano, come per la descrizione della Città dirò al principio della detta parte. Dopo tali digressioni rivenendo alla Clamide, dicui vedesi ornato il giovane ca- valiere semplicemente e senza altra veste, non debbe sor- prendere, mentre i Re Macedoni non usavano pompa, unico distintivo l'armatura, ed ognuno poteva salutarli col ba- cio in fronte (68); la qual cosa addimostra la patriar- cale famigliarità dei Macedoni. (68) Cantu Race. Epoc. AIT,, Stor, de’ Maced. + Arrian, exped. Alex, VII. Cap. XI, 5. Didot, conferma il bacio, narrando essere NRE, E siccome il giovane eroe è a cavallo con gambe e piedi nudi, devesi riferirlo al macedone costume, (69) indipendentemente dal gusto degli artefici Greci e dal genio di ritrarre gli eroi ignudi. (710) Or se confron- stato accordato da Alessandro ai suoi soldati Macedoni umiliati nel- le Indie, dopo le preghiere di Callino « Omnes vos, inquit, cogna- tos mihi facio, ac deinceps ita vocabo. His dictis, Callines progres- sus eum deosculatus est, aliique, quibus id cordì fuit. » (69) Plutarco vit. Alex. Cap. XV. narra « Ipse Alexander, oleo unctus cum sociis circum Achillis statuam, uti moris est, decurrit nudus, eamque coronans etc. » (70) Il Visconti nella sua lettera a Donon sul costume delle anti- che statue , ci avvisa, che gli scultori greci impiegavano gli abbi- gliamenti, che risalivano ai più antichi per li ritratti eroici. Se- condo questo massimo scrittore, seguivasi da essi un costume idea- le; perchè nè Achille, nè Giasone presentavansi nudi, malgrado le opere di scultura in nudo, che di lor si hanno. Così anche a Roma, la statua di Pompeo, che ancora esiste, e che da taluni si è asserito esser somigliante nel volto ad Alessandro ; era con essa rappresen- tato nudo, come gli altri Imperatori Romani. Quelle di Pindaro, di Euripide, di Demostene, di Aristotele etc. , non hanno che un gran mantello greco giltato in un modo pittoresco sul corpo nudo. Gli antichi, secondo il dottissimo archeologo, adoperando orna- menti nella scultura, lo facevano per decenza, o per emblema ca- ratteristico ; pel primo motivo davano una Clamide ad Apo/lo ; un'altra a Ma/eagro, a Giasone, a Ganimede, ne davano una pic- cola a Mercurio, e per renderle caratteristiche le facevano piccole, sicchè come quella di Me/eagro ha rapporto all’abito di cacciatore, il piccolo pezzo di mantello su la spalla sinistra di Pompeo e di Marco Aurelio significava, che il personaggio benchè nudo , era riputato abbigliato. In tal modo, secondo la teoria del Visconti, io credo, che la piccola C/amide gittata sul corpo nudo di A/essandro, significasse la necessità in lui di essere sbrigato, e sgombro da ogni imbarazzo nel dover cavalcare e domare il feroce Buce- 5) ce e tisi il nostro bassorilievo con quello interpretato dal Vi- sconti (71), vedrassi che ivi Alessandro è a cavallo bat- | tagliante, nudo , meno dove la decenza il vietava , co- verto di cimiero in luogo di Causia , differenza ben ra- gionevole per la diversa. azione rappresentata dai due bassorilievi, ed avente in mano l'asta, mentre nel nostro la frusta o flagello. Nè voglio trascurare, che il Cav. In- ghirami ritiene la nudità come simbolo di divina natu- ra (72), ma di ciò più a lungo nella parte mitica. È con- getturo, che il nostro bassorilievo, originale, 0 copia, sia disegno del grande artefice Lisippo, come opinò Visconti per quello da lui interpretato (73), perchè Lisippo effig- giollo a cavallo , come pure a cavallo dipinselo Apelle , secondo Eliano. (74) E Lisippo fu pur l’autore delle 25 statue in bronzo de’ prodi, 1 quali dopo la battaglia del Granico furono degnati da Alessandro di esserne ricorda- ti, (15) venendo collocate nella Città di Dium in Macedo- falo. Oltreche ia. piccolezza della Clomzide del nostro Alessandro riassumer potria la caratteristica celeste e solare, come esaminerò a suo tempo. Confr, Boettiger Opusc. p. 274. su le C/amide ete. Dippiù i giovani ( Visconti op. cit. vol. 3. p. 60) che attendevano il loro turno nei portici delle palestre, erano seminudi .... I Greci ed i Romani ebbero lungo tempo l'usanza delle gambe ignude. (71) Oper. var. t. INI, p. 63 tav. IL. (72) Monumenti Etrus. v. II. p. 477. (73) Oper. var. 1. HI. (74) Hist. var. L. II; p. ill. (75) Arrian. I, c. XV. Horum aeneae statuoe in templo Iovis sunt erectae , quas Lisippus Alexandri iussu finxit, et Alexan- drum ipsum. i Wi nia, donde furono rapite dai Romani,(76) insieme a quella d’Alessandro; alla quale per depravamento romano, a dir di Plinio , (77) Claudio Imperatore fece adattare la lesta di Augusto. Non debbe recar poi maraviglia nessuna, che l'eroe a cavallo al Bucefalo abbia in alto levato il flagello in atto di sferzare, sol perchè non vedesi narrato averne egli adusato, dicendo gli storici, che Alessandro avesselo do- mato sine verberibus. Ma Arriano, Curzio, Plutarco ete. non dicono esserne stato privo, e laddove si fosse verifi- cato , l'artefice sarebbe stato addebitato di poca cono - scenza delle regole di equitazione , troppo note in un paese , ove il feudalismo , epperò l’età cavalleresca , non era termine ignoto, e tali regole ci sono state conservate dal Polluce. Nè la Corte di Filippo, ove i più belli ca- valli erano addestrati, nè lo costume, nè la passione ca- valleresca de’ Macedoni; nè le richieste, se dobbiam cre- dere allo Pseudo-Callistene, e le istanze di Alessandro a Filippo per aver cavalli, ci mettono al garbo dubitar- ne. (718) Se per avventura Alessandro non avesse fatto (76) Vellej Paterc. lib. I, cap. XI. Cfr. Plin. lib. XXXIV, cap. XX. (77) Hist. Nat. XXXV. c. 37. (78) « Sed Alexander quintum et decimum ingressus annum, » explorato temporis opportuno , cum veniam e paternis auribus » pignerato osculo impetrasset, precario petit ut sibi Pisas apu& » Olympia certaturo iter largiretur » et quid, inquit, laboris ve » artis genus est, quod tibi ad certamina praeparatur ? Neque » enim reor non regum te nominis memorem hanc gloriam ew- pivisse. » Tum ille quidem quae sint parum liberalia munera re- futat ac negat, pugillatus scilicet atque luctalus et quae vile» D-- t-/ i UR uso del flagello nel domare il Bucefalo, non evvi ragio ne a dubitare, sol per questa parte, su la convenienza di quel che è narrato dell’Alessandro senza flagello con lAlessandro che ne va armato. Chè ben avria potuto es- serne apposta menda allo scultore , ritraendolo senza idealizzare il costume, e la necessità in un giovane av- viato alla gloria cavalleresca di avere il flagello. Ales- sandro anelava il momento di vedersi dominatore del Bu- cefalo famoso. E riflettendo al modo come egli lo fece, sulla scorta de’ migliori storici , quali Plutarco , ed in questa parte Curzio, la proposizione sine verderibus, ci dà il campo a supporlo armato di flagello , mentre la negativa equivalendo al non averlo fatto per ferocia dell'animale , ci mena alla positiva, di aver la frusta, della quale non usò, essendo il Bucefalo in tal grado, ne’ primi momenti, di non sentire nè freno, nè flagello, nè sproni; e pertanto i mezzi cavallereschi furono da Ales- sandro a grado a grado adibiti. (79) L'atteggiamento inol- » ceslibus , sive cursu plebiculam juvant. » Erim vero, inquit, » quadrigis ut certem. » Sedet patri professio adolescentis et « E- » quos, ait, ad hos tibi usus jubeo protinus doduci de quibus tibi » ad votum proclivitas fiat : neque enim improbo hujusce desiderii » gloriam. e Tunc filius : » gratiam equidem tibi, pater, hujusce » muneris facio : habeo quippe equos quos exacta tutela recenti » ad haec mihi studiosius praeparavi. » Pseudo Callysthenes Di- dot. I, XVII. in lat. traduzione, come credesi ( vedi l’Introduzione del Muller ) di G. Valerio. Nell'edizione del Mai manca il princi- pio, del pari che il racconto del Bucefalo domato da Alessandro di 14 anni. (79) Vedi le citazioni e i luoghi rapportati appresso al Capit. II. Part. 1. — 99 tre di Alessandro sul cavallo col flagello in atto di sferzare mi ricorda il pronique in verbera pendent di Virgilio,. eiversi di Stazio ( Tebaid. VI.) sul cavallo di Adrasto Ma poi che domo fu l’ardor degli anni Ebbelo Adrasto in donò e lo reggea Con dolce freno , con destrezza ed arte Ed or lo presta al genero Tebano Gli addita i modi , onde il destrier s’inaspra E quelli ancora onde si molce e placa : » Nol batter, dice , e siî del freno avaro. Ma ora esaminiamo meglio , se l'ideale di Alessandro corrisponda appieno al nostro bassorilievo, e questo con altri monumenti, che han nome di essere appartenenti ad Alessandro Macedone, e a quelli di coloro che nell'alta antichità furono riputati di persone che volevano , 0 cre- devansi simiglianti ad Alessandro. Riducendo a sintetico quadro le qualità fisico-morali dell'eroe , vanno esse riepilogate nella bellezza , nella bontà , nella fortezza e sapienza , alla quale non fu straniero , e mille titoli ne sono rimasti perchè l’uma- nità gliene abbia gratitudine. I rimprocci ond’è caricato talvolta han troppo fiele, e la gloria di lui non si scolora per umana imperfezione. (80) Aristotele avea (50) Il Michaud nella sua storia d'Alessandro l'accusa troppo fieramente, dicendo « dal seno. della voluttà Alessandro ordi- » nava la morte o versava egli medesimo il sangue de’ più va- » lenti suoi capitani. Stato fino ailora sobrio e temperante quel- » l’uomo che aspirava ad eguagliare gli Dei nelle sue virtù, che » predicava se medesimo un Iddio, invilì a segno da eguagliare » i più abbietti de’ mortali, rompendo a tutti gli eccessi dell'in- » temperanza. » Aveva scordato forse il Michaud, scrivendo, la messo nel suo cuore tanta virtù , da esser degna del più grande maestro (81), e del più illustre politico e capi- magnaminità di Alessandro verso la famiglia del vinto ed abbat- tuto Dario, e la più strenua moderazione e rispetto verso la sposa di lui, e le sue figliuole ? Virtù ammirabile in un conquistatore sì giovane ; virtù tradizionale ed incomparabile ! Dove dunque la voluttà? ad corporis voluptates neque facile alliciebatur et modice admodum iis utebatur. Plutare. Alex. vit. IV. Avea scordato lo storico, quante volte Alessandro avea condonate le ingiurie , sprez- zate le congiure, perdonati i delitti? Dove l’intemperanza ? Mi- nus quoque quam existimabatur vino fuit deditus ...... non enim illum , ut alios imperatores vinum non somnus , non ludus , non nupiiae a rebus gerendis detinuit. Idem XXI. Confr. Visconti Iconograf. Grec. Tom. II p. 42. ediz. fr. not. 2. (81) Alessandro ebbe molti maestri , ma il più grande Aristo- tele, al quale, nascendo Alessandro, Filippo suo padre scriveva, Certiorem te facio, filium mihi genitum esse; nec perinde diis gratiam habeo , quod omnino natus est, quam quod , te flo- » rente, nasci illum contigit , a quo educatum institutumque , » neque nobis indignum spero evasurum, neque successioni tan- » tarum rerum imparem. Satius enim existimo carere liberis , » quam opprobria majorum suorum tollentem, in poenam ge- » nuisse » I. Freinshem. Suppl. in Curt. l. 1. p. 5. Lemaire. E lo stesso a pag. 9. « Nec abnuit vir doctissimus, quum in- » telligeret, quantum esset a principio recte instrui multis im- » peraturum; frustraque contemni pro parvis , sine quibus ad » majora profectus non esset. Variis deinde magistris , ut alius » alia arte excellebat usus, non modo mentem egregiis implevit » disciplinis, verrm etiam corpus omnis generis exercitationibus, » ad usum bellorum , et patientiam laboris edomuit etc. « Postquam deinde aetas et ingenium paullisper, adolevit, jam- » que severioribus studuis idoneus visus est, revocatum , qui » apud Mitylenaeos agebat, Aristothelem continuo secum habuit.... » cognoscendae rerum (Diog. Laert. in Aristot.; Plutarc, Alex. IC) v san EI dl tano, Certo il gran filosofo di Cheronea, che non l'ha risparmiato di rimproveri, come di elogi , qualunque i) giudizio su lo scrittore, che vuolsi passionato lodator de’ Greci , conobbe la grandezza di lui, quando disse Non enim latrocinio Asiam incursare , aut insperatae fortunae dono praedas et spolia rapere meditatus , quo modo postea temporis Italiam Anmbal et priscis temporibus Treres Joniam , ac Seythae mediam popo- lati sunt , sed ommes terrae populos uni subiicere im- perio uc reipublicae formae omnes homines in unum populum conducere cupiens, hoc modo se se compo- suit. Ac nisi fam celeriter genius qui animum Alexan- » 11, ) naturae tanto avidius incubuit , quanto pertinaciore spe » imperium universi orbis praeceperat. » Il S.t Croix ( p- 203 op. cit. ) non avendo discreduto, che Alessandro fosse andato soggetto al desiderio delle adulazioni, ha creduto eziandio che Aristotele ne fosse stato capace pel suo al- lievo ; senza ricordarsi forse di quel detto di Terenzio « Homo sum, humani nihil a me alienum puto » appoggiandosi a Ter- tulliano, ed al Runchenio, e non bene interpretando una frase di Aristotele, corretta dal Visconti; v. Iconogr. Grec. t. II. pag. 42. Alessandro fu gratissimo al suo maestro , tal che ripe- teva « non minus se debere Aristoteli , quam Philippo : hujus enim munus fuisse , quod viveret , illius quod oneste viveret » e fullo ancora Aristotele, e per le ingenti somme ricevute per l'aumento della scienza , e più di ogni altro per la riedificazione di Stagira, patria del gran Filosofo. Senza Aristotele , Alessan- dro non avrebbe conquistato l'Oriente « Fam autem Philosophiae » partem, qnae sibi aliisque probe imperare docet, ita coluit , » ut magnanimitate , prudentia , temperantia, fortitudine, quam » armis et opibus instructior , tantam imperii Persici molem su- » bruere aggressus censeatur » ( Freinshem. ad Curt. I. , ll. Lemaire ). — 2 dri huc demiserat, eumdem ad se revocasset; una uti- que lex omnibus homimibus proposita fwisset : morta- lesque universi ad unicum jus tanquam communem lu- cem resperxissent. Nune ca pars terrae quasi solis ra- diorum expers mansit, quae. Alexandrum non vidit. ( Fort. Alex. Or. 1. p. 405. Didot. ) Le mende di tanto genio esiggono che io le taccia (82), essendo di rado scompagnate dalle grandi virtù , delle quali furono avidi, ed oh! quanto meschini imitatori i compagni e successori Suoi. Se gli Dei avessero voluto , così gli dissero i depu- (82) La crudeltà della quale è addebbitato Alessandro, è smen- tita da Schmieder , e ritenuta per favola la narrazione di quanto, dicesi, avesse fatto, per imitare Achille - Alessandro rispettò i culti, i costumi, e le città ; nè le distrusse, se non quando n’ era invincibile la necessità. Qual fu la punizione di Demo- stene che tanto aveva imprecato il nome di Alessandro ? Ales- sandro distrusse Tiro ? Se vogliasi accordar fede allo Storico Ebreo, che narra cose forse un pò inverisimili circa l'incontro di lui con Zeddo, la lettura de' Libri Santi, in cui il vaticinio contenevasi della distruzione di quella città famosa {Isaia , XI. 5.), e il dominio de macedoni, il Sogno avuto in Macedonia di figura augusta più che umana , la quale avvertivalo. che ad abbattere l'Impero de’ Persi, fra poco avrebbelo seguito in Asia (Ioseph. Antiqu. XI. $. ) da cui non sconviene tanto il S.t Croix nella 2. ediz, della sua op. Examen etc., ed il Sacy ( Chrestho- mathie arabe t. II, n. 6, 209 a 212.) ha riportato il simile racconto di Aboul’Ifatah ; certo Alessandro non fu che l' istro- mento dell'ordine Providenziale. Se poi voglia tenersi conto della ragion politica e conquistatrice , bisognava dare almondo altro centro, nuovo impulso ; quindi Ja distruzione di Tiro , fu una di quelle distruzioni politiche , che metton foce nella grandezza de- gl’ Imperi e degli eventi. ri fati Sciti , (83) darli un corpo proporzionato all'am- bizione della tua anima, l'universo intiero non potreb- be contenerti; con una mano tu toccheresti l'Oriente , con l'altra l'Occidente. Non saprei concepire orazione epigrammatica più sublime di questa , nella quale la laude supera qualunque elogio, nel mentre che il rim- provero fornisce il carattere del più alto ingegno tra gli uomini, pel quale mi sovviene quel piccante detto di Marziale. (84). Unus Pellae juveni non sufficit orbis Aestuat infelix angusto limite mundi Ora intorno al suo aspetto Eliano (85) ci dice essere stato Alessandro figliuolo di Filippo bello senza curarlo. Solino, Zaetis oculis et illustribus. Arriano (86) statura cerporis pulcherrima fuit, diligentissimus et vehementis- | simus magna enim fortitudine praeditus.Freinsemio (87) raggruppando le dipinture di Alessandro , traendole da varì scrittori, ce lo esprime in termini, che non so, se potranno essere rinunziati al nostro bassorilievo (88). Di tal guisa nulla avrassi ad opporre al mio giudizio (83) Curzio VII. Cap. VIII. (84) Sat. X. v. 167, 7. (85) Hist. var. (86) Lib. 7. (87) Suppl. al lib. 1. di Curzio. (88) « In puerilibus membris indomitus eminebat vigor , et exi- » miae indolis argumenta aetatem longe praevenerant. Excellens » nativa et genuina venustate corporis, cultum aspernabatur ; » anxiam formae curam foeminis convenire dictitans, quae nulla » alia dote aeque comendarentur. » 6 sia Gli cl intorno al marmo ; al quale corrispondono, paragonan- doli, l'Alessandro descritto dal Bottari, quello del Vi- sconti, del gran Musaico Pompejano , di cui tanto dot- tamente discorre il cav. Quaranta , come la Corniola dal medesimo ad Alessandro pure attribuita ; e fra le tante medaglie quella riportata dal Pedrusio , nel ro- vescio della quale vedesi a cavallo al famoso Bucefalo nella stessa mossa e portamento del nostro bassorilievo. Il citato dottissimo Iannelli (89) avea già avvertito , come talora sieno varianti i ritratti di Alessandro , nè potersi avere in tutti simiglianti, perchè osserva, che anche i moderni Monarchi cambiano talvolta di fisono- mia. Laonde piacemi da mia parte pur osservare, che quando lassieme delle circostanze del dramma, o del- l'effigie , o bassorilievo qualunque , portano a dover ri- correre a quel personaggio , cui sono più conformi ed allusive , conviene ad esse tener fermo. Nè sarà di lieve momento notare, come una più am- pla, e più chiara idea possa formarsi della simiglianza del nostro monumento con quante notizie e documenti abbiamo di Alessandro , dietro l esame de’ ritratti di coloro che volerono credersi dopo la sua morte a lui simili fra Greci e Romani, presso i quali le imma- (89) Nuova illustrazione della coppa preziosa Borbonica pag. 7. Il ragionamento di Visconti (Iconografia Greca t. II. ) è molto confacente al parere dell’Jannelli. Perciocchè il Visconti osservando a quanto avea scritto l'Eckel sulla diversità delle fisonomie di Ales- sandro ne’ medaglieni, vedea bene che se tutte le medaglie aven- tino il ritratto di Alessandro non tutte ne avessero la vera immagi» ne, qualcuna però dovea averla. ni 5É gini dell'Eroe svariatamente sfoggianti , divennero fin talismani per mente di eredula gentilità. E il dottis- simo Boettiger nelle sue escursioni a Terenzio (90) ci avvisa dell'emula gara di parere i suoi successori tanti Alessandri, che chiaro ancor risulta dalla lettura di Plutarco (91); e dal Visconti nell’Iconografia greca pur riconosciuto. Ma appunto dalla manìa de’ successori di Alessan- dro e de’ Romani Imperatori di voler essere ritratti si- migliantemente a lui, ricaviamo meglio le sue fattezze, le acconciature, i modi. E dal leggere H parallelo del- l’autore dell’Itenerario citato (92) tra Costanzo ed Ales- sandro non senza adulazione pel primo (93), rileve- remo quanta simiglianza fra i due soggetti nel viso , anche per testimonianza di Ammiano, del quale il Mai nelle sue note al detto Itinerario , reca un luogo. Nè per tanti monumenti dall’antichità riconosciuti au- tentici e risparsi per tutti luoghi, in Atene, in Olim- pia, in Delfo, non doveasi perdere l’idea della sua fisonomia. Come muoverne dubbio, dopo l'Alessandro fulminante nel Tempio di Diana Efesina del valore di 20 talenti d’oro (94) nella quale opera, oltre la mae- (90) Boettiger novae edilionis Terentii Excurs p. 265 opuse., il quale luogo più appresso è da me riportato. (91) Etenim quam praecipue successores cjus complures post, et amici aemulati sunt , vit. Alexand. (92) Op. cit. p. 18. (93) Quippe ego tibi Alexandrum dixerim , tu te videto. Nom nee blandiri proposui , et nolo videri auribus gratiosus, ubi oculis iudicare de te tuis omnibus lucet Op. cit. $. XV. (94) Cicer. in Verrem, IV. — Plinio, XXXY, 10. — 146— stà di un Giove terreno , vedevasi rilevato il fulmine ed uscir fuori della tavola? Della quale pittura gli Efe- sini furono sì compiaciuti, ed Apelle istesso onoravasane tanto , da dire , esser due gli Alessandri, uno di Fi- lippo invincibile, l’altro di Apelle inimitabile (95) L'i- stesso Apelle avealo dipinto pure a cavallo (96) , come ho detto. | I | Come poi credere , che le medaglie ed altri mo- numenti siano tutti apocrifi, e non autentici, se i ca- polavori Greci passati ai Romani, furono tenuti in gran conto ed immitati dai medesimi? A Roma erano Castore e Polluce con la Vittoria ed Alessandro in una tavola; ed in un’altra la guerra incatenata colle mani alle spalle, ed Alessandro sopra il carro trionfale. Le quali due ta- vole aveva Augusto dedicate nella parte più ragguarde- vole del foro suo; che stimate più da Claudio, ne crebbe gli ornamenti, ma levandone barbaramente il più bello, sostituendo al capo di Alessandro quello di Augusto (97). Quale non dovea essere la preziosità di tale dipinto , e quella dell’Alessandro a cavallo al suo Bucefalo, quan- do la gloria maggiore dell’artefice si fu quella di essere inarrivabile nel ritrarre i destrieri ? I soggetti eroici con- venivano al talento di Apelle, sopratutto i ritratti trat- tati, e concepiti in modo grandioso, cui appartenerono quei numerosi di Alessandro , di Filippo , e de’ Gene- rali. Nel rappresentare Alessandro fulminatore , cercò (95) Plutarch. Or. IT. Vir. Alex. (96) Aelian. Var. Hist. Il. c. 3, (97) Turneb. lib, X., 11. adyers, uso $I Td pingere il tuono , probabilmente e come scena della natura , e come personificazione mitologica. Stupendemente e svariatamente ritratto Alessandro da altri artefici, quali Eufranore, Protogene, Lisippo (98); i loro capolavori ricordati e descritti non lasciano dub- biezza della simiglianza del ritratto del nostro bassori- lievo con essi, e co’ monumenti rimasti ad Alessandro rivindicati. Dal Joro. complesso , e dal più scrupoloso eonfronto che venisse istituito. con lo storiche memo- rie, l'ideale dell'immagine del Macedone non sarebbe (98) Euphranor primus videtur expressisse dignilates Heroum._ ( Plin. XXXV. 40, 25. ) Zysippus fecit et Alexandrum m. mu'tis operibus a pueritia ejus orsus, Imagines summa omnium similitudine expressit. Plin. Hist. Nat. — La testa con elmo, e pendente d'una maniera tutta particolare della statua d'Alessandro con lancia ci è stata conservata nelle monete de’ Macedoni dell’epoca degl’Impe- riali. ( Cousinery Voyage dans la Maced. T'. I., pl. 5. n. 3,5, 8, alla quale corrisponde quella di Gabbio) Visconti Monum. Gab. 23.) simile) a quella del Louvre, n. 684 etc. —Il busto del cavaliere Azara ant. del Louvre, 132, è riguardato generalmen- te come un ritratto fedele di Alessandro, come pure la statua del Bottari, la pietra incisa da Pirgotele , come si è visto con l'autorità del R. Rochette, cui può aggiungersi il ritratto del Gran Musaico Pompeiano, checchè ne abbia pensato il sig. Pan- caldi nella sua illustrazione recente di tal monumento ; ai quali può , a giusto titolo, annoverarsi il nostro bassorilievo , cui con- vien dire opera o copia di Lisippo , il quale più che tutti sì di- stinse, in modo che del Bucefalo da lui fuso in bronzo, Stazio disse ( Sylv. I. L. 84. ) Cedat equus qui contra templa Diones Caesarei stat sede fori, quam tradere es ausus Pellaco ILysippe , duci. — 18 — al certo equivoco nè difforme ai monumenti di esso ri- masti. (99) Quindi per tutte le sudette opere Greche trasportate a Roma , come poteasene perdere l' idea , anche per la moltiplicazione dello loro copie ? Oltre che non puossi assolutamente dire nessun ritratto es- sere a noi pervenuto; e tutto mancando, avremmo le me- daglie. E quando queste fossero tutte apocrife ( la qual cosa, parmi impossibile a sostenersi, poichè in una nota del Tom, II, Cap. II. dell’Iconografia Greca del Visconti , trovo che l'illustre Scrittore ricorda la mara- vigliosa copia di metalli preziosi rinvenuta da Alessan- dro nel Tesoro di Dario , fatta ridurre a moneta co’ tipi suoi, e la superstiziosa serupolosità a non distruggerla presso i successori; onde la immagiue di lui dove rima- nere e trasmettersi fino a noi. E leggendosi le diverse opi- nioni di Eckel, Leblond, Visconti, Cousinery, di Fau- vel ete. nell’atlante di Chaussard ( traduction d’Arrien Paris 1802) ; e vedendosi come chiaro risulti, non es- ser noi rimasti del tutto privi di veri ritratti d’Ales- sandro, non sarebbe il presente bassorilievo piena- mente conforme all’ ideale storico dell’Eroe? E l' ideale che ci formiamo della fisonomia di esso , anche annul- lando qualunque monumento a noi pervenuto , non sarà sufficiente a stabilire , che il bassorilievo appartenga a quel grande, mentre vi troviamo i suoi caratteri , i (99) Sento che il chiar. Minervini da poco abbia letta una me- moria che tende a ravvicinare e confrontare i diversi monumenti di Alessandro. Sarebbe util cosa , che presto il suo lavoro ve- desse la luce, del pari che le dotte discettazioni dei chiarissimi cav. Quaranta, Cirillo , e P, Secchi sul gran Musaico Pompeiano, sin E Gipi suoi distintivi , l atteggiamento ; il vestire ,.e l'azione storica irrepudiabile? Siano o no veri gli altri ritratti, la loro equivocità non toglie luce al dramma del nostro bassorilievo. Ma lo stesso è simigliante alle immagini de’ varî Principi ed Imperatori , di cui non è equivoca Y autenticità. E tali ritratti sì dottamente illustrati dal Visconti ci ricordano Pirro , Lisimaco , Demetrio Po- liorcete, Filippo Figlio di Cassandro , le cui medaglie ci presentano costumi , usi simigliantissimi a quelli di Alessandro ; è ciò per boria di discender da lui, o per derivazione da Ercole (100). E fra i Romani Pompeo, (160) Delle riflessioni eruditissime sono state fatte dal dotto Boet- tiger su tal punto (Specimen nov. edit. Terent. Excurs, 1., Opusc, edit. Sillig. p. 264) Molto acutamente egli pensa , che Menan- dro avesse nelle sue scene non alluso a Pirro, ma ad Alessan- dro il Macedone. Vero, come dice il dotto Scrittore, che Pirro fosse abbastanza conosciuto , « sed nondum ita inclaruerat, » ut Menander , in scena attica militem gloriosum ejus exemplo » se venditantem traducere posset. » Indi più sotto « Aut egre- » gie fallimur, aut Menander miles ad magnum Alexandrum » egregium utique aciei instruendae artificem , facinus suum re- » tulit. Fecit Menander milites cum Alexandro se se comparan- » tes; «AM "Aletavdp@des h3n cosro laudavit Plutarchus e Menan- » dro in vita Alex. C. 17. T. IV. p. 274 in fragmento..... » Et sic in hac ipsa fabula, quam transtulit in Eunuchum Te- » renlius, in Colace, militi, qui capacissimis poculis ingurgitasse » se in Asia gloriatur, subiicit alter ’A)st4vdpov mii0v reeoras » apud Athenaeum X. p. 434, C. ( Bentlei in emendat. ad Me- » mandr. religu. p. 37.) Nec mirum hoc videri debet cogitanti- » bus, quod ex historia, illorum temporum inter omnes cou- » stat, quanta aemulatio incesserit 3eadoxovs , et omnes om- » nino duces post mortem Alexandri, ut illi fortitudine, magna- » nimitate, imo vitiis etiam, vultu et corporis specie similes ip Alessandro Severo , Costanzo , Caracalla (104). Non so poi come debba rinunziarsi l’ autenticità all’ Alessan- dro a cavallo sul Bucefalo in bronzo del Real Museo Borbonico , ed alla statua sì dottamenre illustrata dal Bottari, nel Museo Romano. E nella statua medesima, e nell’ immagine del nostro bassorilievo ricorre tanta si- miglianza , avuto riguardo all’ età dimostrata dall'una, da quella dell'altro, essendo che nel bassorilievo ap- pare giovanissima , perchè di 14 anni Alessandro do- mò il Bucefalo , da vedervi la speciosità del volto, la sveltezza del corpo, la non alta statura , per la quale vienmi a memoria il racconto della mensa di Dario (102), la nobiltà del portamento, la dolcezza ad un tempo , ed il fulmineo degli occhi , che il Freinsemio espresse » haberentur. Hinc spiritus sumslt ipse Pyrrus, a Macedonibus » Alexandéo collatus apud Plutar. V. Pyrr., et oris lineamentis » illis similes esse cupiit. » Vide lepidam histor. apud Lucian. Advers. Indoct. c. 2f. (101) Caracalla che avea abbandonata Alessandria al saccheggio della più inaudita crudeltà, volle alla crudeltà accompagnare la più stolta ed insensata immitazione del fondatore di essa , sicchè fece moltiplicare da per tutto le statue, e fece eseguire delle imma- gini a due facce di sè stesso e di Alessandro. Herodianus IV., 8. (102) Consedit deinde (Alexander) in regia sella, multo excelsiore quam habitu corporis. Itaque pedes quum imum gradum non contin- gerent, unus ex regiis pueris mensam subdidit pedibus: et quum spa- donem, qui Darii fuerat, ingemissentem conspezisset rex, causam maestiliae requisivit. Ille indicat, Darium vesci in ea solitum, seque sacram eius mensam ad ludibrium recidentem sine lacrymis conspi- cere non posse. Subiit ergo regem verecundia violandi hospitales deos. Iamque subduci jubeat, quum Philotas : « Minime cero haec feceris, rex, sed omnem quoque accipe ; mensam ex qualibavit ha- stis epulas, tuis pedibus esse subiectam » Curt. V. c, II ie ? n 51 fsi coll inerat autem iîpsis occulla quaedam vis. Laon- de, non ho creduto adottare la comune espressione, il torvo degli occhi, parendomi, che wogspos sia più ap- partenente al carattere morale , leggendo in Plu- tarco ( vit. Alex. ), che lEroe Macedone fosse stato formidabile , ed implacabile nella punizione de’ delitti «’Hdn d' na pofepòs 1v ual arapatentos no)aotns tèv \nups - rovvrov » Nè vorrei accettare tanto volentieri il detto da Ellanico , che Alessandro di /orvo cipiglio si fosse; chè la frase del prelodato Biografo ( vita Alex.IV.) xx: ri v76- ensa vo dupsroy , è dal Muller (man. d’Archeo. 6. 333), spiegata per dolcezza , attrattiva che incatena i cuori, in modo che davasi a Venere, come ad Alessandro. I Romani tradussero vypoy Paetus, Suppaetulus, la cui si- gnificanza portata al più alto grado, indica lo Strabismo. La varietà nell’intendere tal lezione, avrà potuto contribui- re a dichiarar torvo locchio di Alessandro. Lo stesso Plu- tarco ( vit. Pomp. II. Didot. ), parlando della fisono- mia, e del volto di Pompeo, chiamato per ludibrio , Alessandro, per una famigerata , e forse non vera, si- miglianza col Macedone , dice degli occhi del Duce Ro- MANO , nai dv eepi rà dupara pubud vypéras etc. , oculo- rumque mollitiem atque conversiones faciei similitu- dinem etc. Lo Xilandro vuole la voce reo» molle , flexile; unde arcum, Theocrilus uspas vypòv dixit. Da ciò ben vedesi, che il molle e il flexile possono rispondere alla dolcezza dello sguardo, ed all’attrat- liva di esso, che sono formate da certi movimenti degli occhi, da cui la ingenuità , e la non discove- nienza col fulmineo , dipendente, questo specialmente, 7 L5dtt n dalla fissazione, e massima prestezza de’ movimenti , e che per tal riguardo spiega, ed accostasi al paetus, e suppaelulus de’ Romani , e forse corrispondente alla voce ‘Opparamalosza presso Esichio p. 191; vox observatu dignissima, ac si diceres, oculos spicula vibrantes. Vi ha poi differenza nell’acconciatura de’capelli, essendo quelli del Bassorilievo Pompeiano ricci e corti, la cui ragione sarà discorsa nella parte mitica ; nè vedonsi on- deggianti e raggianti, come in una statua di Alessandro qual Fondatore d'Alessandria (Libanio Ecphr. t. IV. p. 1420); ed era ben naturale, perchè voleva farsi Dio Supero , come vedremo. La conformazione del naso nell’uno e nell'altro monu- mento non mostra discrepanza. Al Visconti sorse il dub- bio sulla lezione de’ Classici Greci intorno alla forma di esso, non credendola aquilina , ed io vorrei confor- marmivi, notando che nella statua equestre dell’ Ales- sandro del Bottari, e nel nostro bassorilievo , il naso non la possegga, qualunque siano le contrarie opinio- n, e ciò forse per l'intelligenza diversa della voce vroypvaros adoperata da alquanti Scrittori Graeci, e che il Visconti spiega per leggermente curvo al mezzo, che certo non è lo stesso di aquilino ; quantunque nel no- stro bassorilievo in tal parte faccia travedere leggera mancanza , pure il rimanente non dà campo a contra- ria sentenza. Nè forma aquilina rimarcasi ne’ ritratti e bassorilievi dilucidati dal Visconti e da altri. Aristotele nel trattato della fisonomia ( p. 120) pa- ragona il yporsv al. profilo dell'aquila, l'ertypvroy a quello del corvo ; ora il corvo non ha posseduto mai » ter Di il naso così delto aquilino ; e però vorrei la forma no*- male nel naso del nostro bassorilievo , cioè quella che sta fra il ypvaov., aquilino, ed il ono», piatto , for- ma dispiacevole ai Greci nell’età adulta , e ritraente la fisonomia barbara; sebbene in qualche modo grade- vole nell’infanzia ; del quale gusto dobbiamo averne ra- gione , essendo il bassorilievo appartenente ad un gio= vane di quattordici in quindici anni , e quindi, secondo i precetti dell'Arte Greca ( Muller M. d’Arch. $. 333 ) in uno stadio di vita, in cui gli Artefici Greci carez- zavano le forme medie, talvolta piatte, come ai Greci piacenti nell'età infantile. E difatti, coerentemente a ciò, abbiamo dalla lezione dell'Autore dell’Itinerario l’espres- sione di forma subaquilina in Alessandro, dunque me- dia, e presso che della forma normale , quale appa- re nel nostro bassorilievo. La differenza fra il yaro», aquilino , € l'eriyprrov ,° subaquilina, ossia normale, è più rimarchevole , perciocchè negli apoftegmi di Ciro + presso Plutarco (1p.203 Didot. ), discorrendosi del naso. di Ciro, dicesi aquilino , e perchè tale, bellissimo per li Persiani, che tal forma bramavano , e nel testo greco è adoperata la voce ygvrev , voltata dall’Adriani nel- l'italiano aquilino. Non voglio tralasciar riflettere, che l'aspetto del gio- vane Eroe possiede 1 caratteri del vero profilo greco, che nasce, come nota il Muller nel luogo citato, dal tratto non interrotto , formato dalla linea della fronte e del naso, al che può convenire in qualche modo l’an- golosità faciale , la qual cosa avrà potuto far sorgere l'idea di leomino nell’aspetto di Alessandro ; per cui È — 54 — dall Autore ricordato dell’ Itinerario è detto ipse visu arguto. La qual cosa può esprimere il carattere energico secondo il citato Aristotele (Physiogn. Cap. 6.) E dal- Yaver detto Plutarco ( Fort. Alex. lib. II., 2. ), che diversamente da Lisippo ; reliqui inclinationem cervi- cis, oculorumque renidentem volubilitatem imitari vo- lentes, masculum ejus leoninumque vultum non ser- vabant la mia opinione n'è confermata. Non vorrà addebitarmisi la facilezza nel conchiudere dalle addotte cose , che il giovane che stassi a cavallo su lindomito destriero , abbiasi a dichiarare franca- mente Alessandro il grande ; la quale mia conghiettura passerà, forse, a certezza, dopo che il lettore avrà avuta la benignazione scorrere il rimanente di questo mio lavoro , e dopo che avrò dimostrato , che il cavallo sia il Bucefalo, su di che verseranno le mie ricerche nel seguente capitolo. i CAPITOLO IL SUL BUCEFALO DOMATO DA ALESSANDRO ‘O dì Didirmos dimopynobite ov Ypnopod £ Viwos dmrivinos 1a A- Aetdydpa nsî nomdoaro airòy ei- may. « Koipors,"AAstaydpe nocpo+ Mpatop, vic Pseupo-CarLIistHENn. Lib. I. 17. Se l’aspetto , e il vestire del giovane a cavallo fanlo dichiarare Alessandro ; il cavallo medesimo per le sue forme convenienti al Bucefalo , rafforza e assolve da qualunque dubbio. Conciosiachè i grandi uomini si an- nunziano sempre al cominciamento della vita sociale con grandi atti, da cui la fantasia de’ contemporanei sia fissata con modi sorprendenti, non equivoci, e con tale arditezza , che i più chiamano fortuna , e che meglio potrebb'essere appellato Orpine, Provinenza: Sed reclius dicitur ( fortuna ) justitiae et Suadae soror, ac pro- videntiae ( Plut. de Fort. Rom. IV. ) E sul poco cal- colo della fortuna ben può vedersene la pruova, dal dire Plutarco ( Fort. Alex. XI. ) Parum abfwit quin fortu- nae culpa Alexander desineret Ammomis filius haberi. Or questi grandi sorgono come meteore sfavillanti che abbagliano di luce straordinaria la terra, avvolta per lo più, al loro apparire, fra scene di colluttazioni, fra rimescolamenti , e nelle agitazioni di un vago, che mano trapotente con genio superiore debbe fissare e farne cia ia escire nuovo disegno , ed altri sociali sviluppamenti , comunicanza di civiltà, immegliamenti , immettendo tutto un popolo, e spesso l'umanità tutta nella via segnata dall'ordine Providenziale. Tale ministero esso assegnava all’Eroe Macedone, che sorto’ fra ‘due civiltà, la teca, e l’Orientale; la pri- ma diffusiva i in grado, superiore; la seconda deorepita e corrotta in mano de’ Sàtrapi, attendeva da lui il mi- racolo di una nuova via, per l'energia de’ concepimenti, e pel genio della conquista. La Uuecia aveva a rinfran- carsi di molte onte recatele dai Persiani. (103) E fu desiderio di tal vendetta:, che condusse i suoi figli al Granico e ad Arbella. Ma la Grecia snervata da par- Liti, stordita fra le declamazioni di Demostene, e i di- segni di Filippo, non avrebbe potuto trionfare senza l'e- nergia di un popolo nuovo, giovane , e senza un uomo che non fosse della tempera di Alessandro. Con questi . due elementi gittossi sui campi orientali e vinse; e le (103) « Persis a Graecis armis esse aggrediendos et ultum cun- » dem esse iniurias ab iis Graeciae illatas, a multo inde tem- » pore demagogorum clamoribus fuerat persuasum; perstrepit ta - » libus clamoribus Panegyrica oratio Isocratis; Philippus rem » facile successuram esse intelligens ex perspecta imperii Persa- » rum ignavia ( v. Polyb. II., 6., 8. sequ. ) belli apparatus » providerat. Ab his initiis progressus est Alexander ad liberan- » das Asiae urbes a Graecis habitas, Persasque ab omni Grae- » ciae invadendae consilio in perpetuum abalienandos. » Heyne Opus. vol. VI. Excurs.. de Alexand. magno id agen. ut tot ter- rar. orb. mut. commerc. iungeret p. 356. — Confr. Curt. l. 5, nel vivo quadro dallo stesso dipinto de’ quattro mila Greci che presentaronsi ad Alessandro , dopo aver vinto Dario , per cui non regge l'animo all'inudita crudeltà persiana, e, pre arli, l'ingegno Ellenico si fusero in Oriente, e ricam- biaronsi i doni; ed Alessandro adempì i disegni della Providenza. Giuliano soprannominato l'Apostata fece opera argu- la, grave, di stile nobile e semplice , intitolata i Ce- sari, nella quale finge un convito ; in cui non vuol che manchi tra i Romani neppur Alessandro, per conten- dere ciascuno sul grado di gloria ottenuto dagli uomini; ed astutamente facendo ad ognuno arringare la propria causa, pone in bocca di Cesare invettive e rampogne contro Alessandro, del pari che in costui le sue giustifi- cazioni. Senza ripetere che un simigliante pensiero fu an- teriormente manifestato da Luciano ne’Dialoghi de’'morti, mi arresterò al giudizio di Giuliano su questi due grandi uomini, pe’ quali non esito un momento a rigettare l'idea del primate di Cesare sopra Alessandro; in qua- lunque modo amendue grandi; e forse non ben com- presi da Giuliano nella straordinarietà della mission loro. Egli nella lunga satira, quale puossi considerare la sua opera, non ha tenuta che sempre presente l’idea dei suoi predecessori in uno stesso modo, e beffeggiante. Superbo de’ suoi pensamenti , ingiusto verso Alessandro, e verso lo stesso Cesare da lui sublimato, egli, nella sua critica famosa, scorre le diverse età senza una gui- da, senza una face che gli scuopra il cammino dell'uma- nità, non avendo sentimento religioso che glielo ad- diti, e gli additi-la potenza che la muove. Non vede a traverso de’ secoli i disegni della Providenza sugli uo- mini che entro a quelli rifulgono ; ma la calpesta e l'in- sulta , perchè l’anima sua malignata, snervata da pen- cli siero impotente , e non aiutata da quello che tutto regge e governa, non può innalzarsi , per meditare esatta- mente e travedere lo scopo di questi esseri nobilissimi, cui l'universa gente non ha ricusato il nome .di grandi. Non potè senz’essa valutare l'alta missione di Alessan- dro, specialmente , e di Cesare, duc monarchi che pre- pararono all’ umanità altri destini suoli traverso. «di due popoli trascinati tutti e due da una libertà invereconda, e di loro divoratrice ; mentre egli agognando, ad immi- tare Alessandro , senza genio , senza virlù , senza.cuore, senza religione , dovea per necessità abbassarne il ca- rattere, per parere egli migliore. Ma perchè Alessandro non fondò un Impero duraturo, potrà dimandarsi , quanto quello di Roma? In Grecia, risponderei , non fuvvi unità d’'idea, e quest'era indi- vidua; nè una coscienza generale e conciliatrice, Roma nel lento svolgersi ne fu capace; amò la guerra, di cui ebbe bisogno ; si ammiantò della augusta veste delle leggi; cui aggiunse le formole arcane, e severe, e a quella consacrò religione, morale, e Miti. e ne uscì eterna. Alessandro ebbe l’idea di un vastissimo Impero, ma si restrinse ad impero d'idee , non men grande e glorioso. Or come egli fu l'organo immortale di tanta gloria Greca? Nato a Pella, il Padre suo Filippo aveagli pre- parata la via (104), e già l'oracolo avealo salutato della (104) « Quae temere suscepta a Philippo diceres;j summa cum » prudentia, fortitudine et virtute, maiore tamen fortuna , fuerunt » effecla ab Alexandro ; cujus mirabilibus victoriis maximum in » terris factum Macedonum regnum nomenque,. Habuit sane ista, su. straordinarietà , solito modo per esser padroni degli eventi, rispondendosi a Filippo, che voleva conoscere il suo successore, che sarebbelo chi domasse un in- domato cavallo (105), simigliantemente a quel che ri- ferisce Erodoto di Dario , il quale ebbe l'Impero per- siano pel cavallo , che nitrì il primo allo spuntar del Sole (106). E lo stesso Erodoto ci ha lasciato memo- ria della immagine del cavallo fatta scolpire da Dario con lapide , nella quale leggevasene il nome, ed eravi » non probandis forte de caussis suscepta, in Asiam profectio, cum » innumerorum quidem homiuum, urbium, provinciarum , po- ‘» pulorum cladibus coniunctas utilitates tamen ad totum genus » humanurm incredibiles. » Heyn. opusc. acad. Prolus. X. op. Regn. Macedon. caussae probab. v. IV p. 172. (105) « Eodem fere tempore Philippus Delphos misit consulens » de successore; responsumque tale accepisse ferunt. Is demum » tuo imperio, omnique orbi potietur, quemcumque Bucephalus » sessorem possessus fuerit Freinshem. » Suppl. in Curt. 1. p. 5. Edit. Elzevir. (106) « Postero die, quum illucesceret, sex Persae ex con- » vento adfuerunt equis insidentes, et quum in suburbio ultro » citroque vectarentur , ubi ad locum istum pervenerunt , ubi » superiore nocte equa fuerat alligata , ibi Darii equus accurrens hinnitum edidit: et equo id exsequuto protinus fulgur sereno » caelo tonitruque extitit. Haec quum Dario supervenissent eum inaugurarunt, tamquam ex composito quodam evenientia ; nam ceteri ex equis desilientes Darium ut regem adoraverunt. Sunt qui hoc dicant Qebarem fuisse machinatum ete. » S 1 » % DI e — 60 — ricordato il fatto portentoso , avvenuto per l’astuzia di Oebaro (107) onde Oppiano > + + « + « € già col suo nitrire, Puledro per inganno del Rettore Creò degli asiani Persi il Rege. - VERSIONE DEL SALVINI. La Tessaglia ricca di pascoli, ove la Tempe fa- mosa per le sue acque, i laghi suoi, le praterie irri- gate e rinfrescate da esse, dava larga pastura a’ ge- nerosissimi cavalli, onde abbiamo da Strabone il ri- ferito oracolo agli Egiesi, in cui era menzione di essi come di proverbiale celebrità Thessalicus praecellis equus: mulierque Lacaena , Virque bibens Sacrae liquidos latices Arethusae. Nelle monete di Orthe Tessaliae , il tipo del mezzo cavallo saliente presso un dirupo, nella cui sommità veggonsi due arboscelli, sembra senza meno rappresen- tare la contesa di Nettuno e di Pallade , che fanno e- (107) « Idem ( Darius ) viribus omni ex parte stabilitis ante » omnia quum cfligiem fecisset lapidem statuit, cui inerat ani- » mal, vit equus, inscriptis in haec verba litteris : Darius Hy- » slaspis filius, tum equi virtute , tum Oebaris Equisonis, Per- » sarum fegnum adeptus est. » Thalia II. 88, p. 196 Gro- nov. — Sul cavallo di Dario vedi pure il Rittershusius, Il Wes- sellingio ( v. III. delle annot. dello Schweighaeuser ad Herod. II. c. 88.) dice « Nam quod Thom. Hyde Relig. Pers. cap. 23 omnem de equo narrationem ex Persarum vocabulo, sed male expresso, Gheshtasp , i. e. factus equo, propagatum pertendit , a vero abborret. » bu Bio mergere dal suolo, quegli il primo cavallo , e questa la prima pianta d’olivo. Orte era vicina a Crannon , nelle cui monete ricorre un cavallo saltellante con presso il tri- dente di Nettuno ( Sestini. Lett. T. VI. p. 128) ; e se- condo alcuni , il primo cavallo venne a luce nella Tessa- glia, in qua et jam montem altissimum ostendunt, ubi primum equus visus sit. ) Serv. ad Geor. Î. , 13 (108). Nella Tessaglia pertanto il cavallo che dovea dare lo scettro del mondo al Macedone, già tenuto a vile, e sprez- zato da Demostene; (109) ivi fu nudrito, e di là fu tratto per essere ridotto nelle stalle di Filippo, che acquistollo per 13 talenti. Nè posso ristarmi dal riflettere mara- vigliando, come nella vita delle nazioni abbiano luogo delle ricorrenti e simigliantissime circostanze, dalle quali sono partoriti de’ grandi eventi. E qualunque non la- scerà immeditato , che Dario acquistò l'Impero de’ Persi, veniente da Ciro, pel nitrire di un cavallo; come si è det- to; mentre Alessandro domando un cavallo, conquistavalo da un suo successore ! Or Alessandro che davasi ad ogni sorta di disciplina e di esercizi (110), e dotto delle imprese degli Eroi, fa- (108) Cavedoni Dichiaraz. di alcune medaglie greche pres. il Bullet. arch. Rom. 1850 p. 13, (109) È notissima la lettera scritta da Alessandro al greco Ora- tore, in cui dicevagli « Tu mi chiamasti fanciullo , quando era » nel paese de’ Triballi, garzone quando passai in Tessaglia ; » ormai fatto uomo , spero giungere fra pochi giorni sot'o Atene. » E' conosciuto l’ostracismo di Demostene , del pari ehe l’onnipotenza della sua parola. — Plut. vit. Alex. p. 799. Didot. (110) » Corpus omnis generis exercitationibus , ad usum bel- » lorum, et patientiam laboris edomuit, » Freinshem. ad Curt. E. — 624 melico leggitor di Omero (1411); ammiratore , ed imitato re di Achille e di Ercole, dai quali discendeva per mater- no, e paterno sangue, dovè sentire lo stimolo di emularli; nè dimenticar Perseo, Bellerofonte, Achille, Teseo; ed ane- lare il momento di venire a capo del vaticinio renduto ; ed essere padrone del cavallo prodigioso , sicchè suo- nano ancora le sue parole « qualem isti equum per- dunt per mollitiem animi , et tractandi imperitiam ! Il cavallo Bucefalo fu tratto da Filonico di Farsaglia, avendolo trascelto fra gli altri per la sua bellezza , di cui sol degno credevane Filippo , il quale avea a sè cattivati i cuori Tessali, e donde all'uopo traeva cavalli, e cavalieri. (112) Anche Achille ebbe i suoi divini ca- Cnfr. Athen. 1, 15 e 19 — « Per otium autem primum assur- » gens rem sacram diis faciebat ; inde sedens prandebat. A pran- » dio reliquum diei venando , instituendo , iudicandoque aliquid » de re hellica, aut legendo exigebat. Si iter non admodum fe- » stinans faceret, inter eundem discebat aut jaculari, aut cur- » rum concitatum conscendere, ab eodem descendere. » Plutarch, vit. Alex. Cap. XXIII. Didot. (111) « Ex veterum monumentis nihil antehabuit Homero , » quem unum omnem sapientiam, qua imperia constant , opti- » me complexum esse autumabat: adecque eum cordi habuit, ut » Graeco cognomento amator Homeri diceretur ete. » Freinshem. ad Curt. lib. I., IV. — Plutarco riferisce, che Alessandro ap- pellava l’Iliade il viatico dell'arte militare. L'avea fatta correg- gere da Aristotele, e soleva impararne a memoria lunghissimi bra- ni. Vedi Plin. VII., 29 ete. (112) AI trionfo di Alessandro nella battaglia di Arbella mol- tissimo contribuì il valore de' Tessali, talche narra Diod. Sicul. lib. XVII. c. LX. p. 174. Didot, « Parmenio tamen cum Thes- » salorum equitatu aliisque sibi in pugnae societate adjunctis im- » pressionem ad tempus sustinebat. Et primo quidem strenue pu- ni Éti | valli, Balio e Xanto dalla Tessaglia, secondo Filostra- to. Dal quale è rammentato il rinvigorito costume, per opera di Alessandro, presso i Tessali di compiere de’ riti, de sacrifici, siccome l'oracolo di Dodona avea loro imposto , allo stesso modo che usavano essi anticamente; siechè nella guerra di Alessandro contro Dario, quanti cavalli il medesimo dalla Tessaglia traeva , essi intorno alla tomba di Achille adunarono , eseguendo una spe- cie di gara equestre. Lo invocarono poscia, acciò col suo Balio, e col suo Xanto soccorresse contro Dario, facendo questa invocazione stando a cavallo. (113) Ales- sandro non fu da meno d’Achille nell’eroismo, e nella ce- lebrità; ed il Bucefalo, se dovessero seguirsi alcuni scrit- tori, fece grande Alessandro, più che il Xanto Achille. L'epoca cavalleresca Macedone fece adoperare ogni arte perchè il Cavallo specioso fosse domato , ma tutto fu vano, e disperandosene l’ammansamento, rimaneva inutile e rinchiuso, non senza indignazione, nè senza sospiri dell'impavido ed ardimentoso figliuolo di Filippo; come raccogliesi dal complesso degli storici di Alessandro. Non so qual fede possa essere accordata allo Pseudo- Callistene, ed alle narrazioni rinchiuse nei codici Greco, e latino. Certo che molta parte favolosa, o meglio poe- tica è sparsa in essi ; ma d’altronde a traverso di simi- glianti narrazioni alcun che di vero puossi riscontrare , e » gnans Tessalorum virtute superior erat .......». Parme- » nio quanta potuit sollertia Thessalorum turmis utens profliga- > tis quam plurimis, vix tandem barbaros , Darii fuga conster- » natos, ad fugam adegit. » (113) Philostr, Heroi XY. “ — 6i — formarci almeno il carattere del cavallo sì vantato , riser- bandomi nella parte mitica trattare quel che può parere allusivo al mito di Alessandro e del Bucefalo ; alla fa- vola risparsa dell'uno ‘e dell’altro dopo la morte del ma- cedone, servita alla fantasia degli Alessandrini nella crea- zione de Poemi, di cui riscontriamo le tracce nei codici diversi del menzionato Pseudo Callistene. I periodi delle società umane si ravvicinano alcuua volta, ed hanno delle medesime sembianze. L'età eroica de’ Greci ebbe Ero- doto , il quale svincolavasi dalle scene poetiche dei dram- mi Greci, e con sembianza anche poetica , rivolgendosi alle muse, scrisse la più bella storia pagana. E ben ri- flettesi dall'Heyne (Litter. art. inter antiqu. Graec. con- ditio ex musarum etc. Opusc. vol. IT. p. 299 et sequ. ) che i nomi delle muse sono simbolici nel dinotare; ora le tradizioni. serbate a memoria , ora le arti, il culto ec.,. sotto tali nomi di muse narrate. Anche Alessandria ebbe l'età eroica sua, i suoi poemi; come l'età eroica del nostro medio evo ; ma, sgraziatamente senza un’ Ero- doto , se si eccettui per noi il divino Dante, Poeta, e storico; e son proclive al sentimento , che siccome eravi un poema per Nettanebo, per Laomedonte, fatto dai Ma- cedoni in onore d’Alessandro per Tebe distrutta; altret- tanto gli Orientali fantasiosi e viventi all’epoca de’ To- lomei, sotto i quali ogni gloria Alessandrina aggiun- gevasi alla propria, inventassero pel Bucefalo ; sicchè Yannunzio dato a Filippo dal custode de’ cavalli esse- re il Bucefalo di una forma spettabile , simile al Pe- gaseo, a quel di Laomedonte, di divorare uomini ; mette tanto nel mio pensare, da non farmi rivocare in dub- — 65 bio la favola che contiensi ne’ molteplici fatti narrati del cavallo prodigioso. E saria men male, che tanta insus- sistenza di cose non fosse viepiù avvalorata dal poetico racconto, onde è pieno il capitolo 33. lib. III. dello Pseudo-Callistene (114), in dove rinvengonsi eziandio de’ pezzi della poesia innestata alla storica novella sul l'incontro di Alessandro morente col piangente Bucefa- lo. E Ie ultime parole del primo sì bellamente inven- tate, han tal sembiante di una scena drammatica tra il più potente Re, e il suo cavallo, da non vedervi che uno de’ felici concepimenti della poesia orientale. Non è maraviglia il leggerne esempî simiglianti nel citato (114) Kai rasta cimdyros toù “AAeCavdpov ò Bovnipados l'amos pésov mayrwv Ipouatos sionA0s nat mAnotoy "Ade Caydpov eriotàs YipLaro toîs deiupvor natadover tiv ndivev Koreròs dè pèyas eyevero IIspody duoy nat Mausdoyay ért mm toi inmov daupupota ‘.. 005 nad 0V Tt dui tuyn fioda vevevsueyos, iva, di éuod nai où duotuymons év yap toîs modeuots elyoy ce cuyayavitduevov taviy dì év Tdi por tg bayatnodpo où suvayoyin modigo. Mons dé por ds 0iXwy Bondiisa: où Tuyasat. "Os rîv dimacay otnovpeyny IriAboy dioiuntov te nudi cnotstvain yafay quyeiv cova éÉ'oyuoa trv siuaputvnv. uUit dì uupd tas bBaydro mpodidor, vENUOL Tportumovoa Quppoinov piCst. Bieroy dì otparòs Buncîv Bistdusyoy Bondioa: 0idoyvtss dduvatodot Ò Aordy év “Aîn asicoua: tebaupuevos. dg ei poemetto di Oppiano, ove introduconsi parlanti cavalli. Talora, e passò leggi di natura ; Voce prese virile, e somigliante Lingua all'umana. Il marzial Destriero Del macedone Re , detto Bucefalo ‘dll’Armi incontra battaglier eruso (115). Il penultimo verso , secondo la versione del Lampredi, suonerebbe meglio, dicendo , Del macedone Eroe, Eroe Cavallo , ; Raccogliesi pure , che il Bucefalo alla bellezza , ed alla forza avesse congiunta la ferocia , e lindomita na- tura , qualità che non sono nuove del pari che l’affe- zione che tuttodì si ammira di tali animali generosi per li loro cavalieri. ul N cavallo fu chiamato Bucefalo , e Bucefala , ter- minazione usata indifferentemente, da non richieder molta pena per assegnarne la verissima, essendo stato uso presso i Greci ed i Latini adoperar l'una, o lal- ira (116). Di tal nome scrisse lo Pseudo Callistene ( lib. 1.60.45. Didot ) ( ExAn0n de Bovnspados , emedn ev To pnpo ergev eynavpa Boos nepadev al quale può aggiungersi quel che leggesi nella voluta versione del G. Valerio ( cap. XV) vocabatur enim equus quem supra diximus illo nomine : nam eo modo , quod corniculata fronte (115) Della Caccia lib. 1. versione del Salvini. (116) In una nota del Curzio dell'Elzevir , lib. VI. c. V. p. 365 , dicesi « aliae editiones Bucephalum habent, Graecis vel BanspaXos , Vel Bsnspxàas , ita Latinis utrumque expressum. » — 67 — terribilis fovet, ct quod inustio etiam fortuita quaedam ejus corae veluti taurini capitis imitamen insederat. Altri traevano ragione del nome”dalla forza e dalla parti- colar forma della testa somigliante a quella del Bue, dalla ferocia e dal torvo sguardo, da due escrescenze nella sua» fronte a simiglianza di corna. Il Suida e gli altri Etimo- logisti dalla forza, e simiglianza col detto animale (147). Non può rinunziarsi al nostro Bucefalo molte di queste qualità, dette da molti, ricapitolate in una nota del lib. VI del Curzio (148), e che osservansi nel bassori» lievo , quali ; la bellezza, e robustezza delle forme; la fierezza negli occhi, nella bocca, nell’atteggiamento slanciato ; ‘e se appartenga ad ornamento , o alle pro- tuberanze del Solino il rilievo che vedesi sotto 1 orec- chio destro , non potrei asserirlo francamente. Riscontro eziandio nell’etimologico del Vossio alla v. (117) Tom I. p. 447. Kuster. (118) « Notam quoque Mezeriaci manuscriptam in latinum ver- » tere et hic transcribere operae pretium est. Hujus nominis , » inquit, sensus est bovis caput ; affirmatque Festus eum sic vo- » calum quia bovinum caput habebat; Strabo XV., quia ipsi larga » frons, Plinius , Solinus , Suidas, Aristophanis Schol. Arrianus » multique alii, quia in femore bovis figura eum signaverant ; » Plinius quoque hoc nomen ortum ait ex ipsius feroci aspectu, » torvaque facie ; Solinus, ex duobus tumoribus, qui cornibus » similes erant, ex ejus fronte prominentibus ; Arrianus, quod, » quum toto corpore niger esset , A/bam maculam în fronte ha- » beat, bovis caput réferentem ; Tzetzes affirmat Bucephalam homi- » nibus vesci solitum » «Ego quidem, inquit S.t Croix examen crit, p. 215, Bucephalum credo habuisse caput-bovino capiti si- mile, et hujus generis fuisse quod vocamus jumert » Not. 18 al lib. VI. c, V. del Curzio del Lemaire. 9 ci We Bucephalus, il seguente capitolo, vera autem nominis ratio est, quod fuerit unus ex generosioribus equis Thessalis: qui elsi Kowws ita dicerentur , equus ta- men Alexandri, quia tantopere histornis celebraretur, nat etoniy illud nomen retinuii solus. Haec ita esse adicimus ex Etymologo qui et ex Aristophanis ge- mino loco sententiam suam probat , vera igitur nomi- nis ralio est quod generosioribus equis Thessalicis ( qualis fuit ille Alecandri M.) inureretur bucranium, sive crani bubuli figura quomodo xaugopar vocati equi, quibus impressum >, quasi Giy qopeyres etc. Non è poi inconveniente tanto 1a aescrizione del Buce- falo di Strabone (is Bucephalus a latitudine frontis quasi bovis capite praeditus , dictus est, quo semper Ale- xander in certamimbus utebatur : erat enim bellator optimus ), al nostro bassorilievo, essendo che in esso il cavallo presenta grossa testa. Ma parmi , non dovere staccarci dall’Arriano ; imperochè comunque si fossero le spiegazioni degli scriltori citati e di altri ; il clas- sico luogo dello stesso, non è controvertibile in verun modo ; ed è il più ragionevole ed esplicativo alla sua volta; e tale da fermare la vera etimologia del nome Bucefalo , e forse nello stesso senso per una parte del Vossio, e degli Scrittori dal medesimo arrecati. Znpstov dE oi mv Bods uspuAh Eyueyapayaton, 88 érov ua to dvopa toiro deyovow dri Epepey oi dé A éyovoy dr deunoy ofiuo elyev Er tiis nepadfis, puedas dby autds, sis Boòs nepuàriv uadiota sinacuEvOY, cIVE IVOLA Ci impressa erat Bovis caput , cujus etiam causa nomen ei Bu- eephalo inditum est, vel quod, ut aliis placet , ila Qi quum ipse nigri coloris esset } albam in capite notam haberet , bovis capitis per quam similem. ( Expedit. lib. V. GC. XIX, Didot. ) Sono queste le parole dal- lo Storico adoperate sul conto del Bucefalo. Egli è ve- ro, che la nota, o il bucranio non vedesi nel bas- sorilievo nel corpo del cavallo; ma su ciò discorrerò più a lungo nella parte mitica , cercandone la ragio- ne. La bellezza dell'animale notata dagli scrittori, nè trascurata da Arriano nello stesso capitolo citato; è ri- corrente, come abbiamo veduto qui sopra, non pure nel cavallo del bassorilievo Pompeiano , ma anche negli altri monumenti, come nel cavallo di bronzo con Alessandro nel R. Museo Borbonico , in quello del gran Musaico Pompeiano , che il chiar. signor Pancaldi (119) vor- ria di razza affricena, per servire al suo assunto in contrapposizione del Quaranta e dell’ Avellino. Ma ap- punto dal Pancaldi istesso desumo, che se il cavallo del gran Musaico è attribuito alla razza Araba, con testa grossa, occhi taurini , ed avente del feroce, eran questi i caratteri proprì e distintivi del Bucefalo, carat- teri che ora sono confermati dal novello monumento Pom- peiano , al quale aggiungesi altro titolo di pertinenza, da che nel gran Musaico il destriere cavalcato da A- lessandro combattente, ha volto l'occhio destro verso il cavaliere , nell’ istesso modo che osservasi evidentemente nel nostro bassorilievo , circostanza che non fa punto porre in bilico un momento la simile natura e l’ istesso (119) Il grande Musaico Pompejano illustrato, Napoli 1845 pag. 33. — 70—- individuo (420) nè due monumenti ; al che può aggiun» gersi , che ne cavalli del Museo Borbonico la criniera è tagliata nello stesso modo di quella del bassorilievo; e simile al Pompeiano è altro interpretato dal Visconti. Ritengo adunque , se non vado errato , che dopo la descrizione di Arriano, sia inutile discorrere su quanto dissero il Mezeriac, ed il S. Groix (4121) intorno alla voce Bucefalo. E vedremo in prosieguo, che se regger può il testimone di Arriano in riguardo alla nota , 0 segno, o marchio a testa bovina del Bucefalo , ciò avrà pro- fonda significanza mitica nella interpretazione. che re- stami a fare. Questo comporrebbe le molte discettazioni mosse a tal riguardo; e vedremmo così, le varie auto- rità meglio fraintese, conciosiachè il marchio. di Ar- riano, al quale fanno eco l etimologico magno, gli Scoliasti di Aristofane, Esichio , Plinio , il Vossio, Gel- lio ed altri, troverebbe luogo nel mitico racconto, e sarebbero conciliati i medesimi col silenzio di Strabone, di Diodoro, di Curzio, e di altri. E in tal modo il nome di Bucefalo verrebbe desunto dal marchio a for- ma di testa bovina del quale era insignìto. Non sgradirà il lettore che io trascriva un pezzo del (120) L'Hirt. crede il Musaico Pompejano rappresentare il com- battimento contro i Mardi pel Bucefalo — Nella citata nota 18 al 6.° Libro di Curzio leggesi « Alexandri Bucephalam domantis » marmorea statua Romam a Constantino translata est ex Alexan- » dria, et in Quirinali colle posita in medio thermarum , quas » ibidem construxerat , ex quo nomen inditum Monte Carallo. » (121) Exame, Critig. des Hist. d’Alexand. p. 215) not. I. . edit. Li) P. Daniele Bartoli , che dall’ombratica natura del Bice- falo parlando per avvertimento di quelli fra gli uomini, che all’ombre dàn corpo, pur egli facciasi. a discorrere della bellezza del medesimo sì conveniente al marmo con quella sceltezza di dire tutta sua :« Fazion di corpo; ) )) egli dice , più regolata e in ogni.sua parte meglio in- tesa non si era mai veduta: nè gli scultori che con l’arte migliorano e passano la natura, in quanto essi raunano in un sol corpo tutto il bello che ella divide fra molti, trovavano che volere in quest'uno e vero, a vo- lervi il meglio di tutti. L'anima poi tutta un fuoco di spiriti, tutta ardore di generosità e di bravura : agi- lissimo al muoversi, velocissimo al correre, ferocis- simo all’assalire, gagliardissimo al durare » — E più appresso dopo aver recato un luogo di Gellio sulla sua morte, prosiegue « Questo fu l’ultimo sconto, con che quel generoso animale finì di sodisfare al suo si- gnore dell’ averlo fatto divenire quel ch’ era : allora che il liberò in perpetuo dell’infestazione dell’ombre, che malamente agitandalo , il rendevano affatto ina- bile a cavalcare. . ... Solo Alessandro s'avvide, che la cagione di quel tanto implacabile smaniare, ‘e con- tendersi al maneggio , non era ferocità di natura ,. ma illusion d’occhi e inganno di fantasia. La sua me- desima ombra , ricresciuta con quella del cavaliere, e amendue insieme formate come in un gran corpo di mostro , che nel muoversi, quasi con lui si azzuf- fasse; quell’era che spaventandolo, il facea dare in que- gl’impeti di fierezza. Adunque preselo nelle redini egli stesso , e piacevolmente lisciandolo , il voltò contro — 724 » al Sole, fronte a fronte, sì che tutta l’ombra gli si riversasse dietro alla groppa, dove nonla vedrebbe. Indi, preso l’arcione , e montato in sella, e pur te- nendolo così volto , venne sicuramente maneggian- dolo quanto volle: poi gli diè un poco di volta; tor- cendolo, quanto solamente vedesse un ritaglio del- la sua ombra: prima fermo, sì che non altro che la vedesse ; poi dolcemente movendosi; e così a pal- » mo a palmo crescendo e nell'ombra e nel moto, fino » a rivolgerlo tutto contro essa, e farla , per dir così » impazzare ; formandola in varie apparenze; senza or- » mai più risentirsene il cavallo. (122) Il Bartoli , spiritosamente cacciandosi nel fatto di Bu- cefalo per servirsene nella parte morale tanto utile agli uomini, ha risoluto la fierezza del Bucefalo nel difetto di fantasia ; però egli l’ha fatto appoggiandosi a Plu- tarco , dal quale, non può negarsi, che le ombre im- paurissero il cavallo famoso; come chiarissimo risalta dalle sue parole, servendomi della versione dal Greco del Doehner; fraenoque correptum adversus solem ob- vertit; mimirum amimadvertens. equum umbrae quae agitata et tremens ei appropinquaret , conspectu per- lurbari. (Vit. Alex. ) E vediamo ancor noi di frequente come siffatti animali infieriscano , ed impazzino per tal difetto. Ma or dirò più dettagliatamente del modo, onde riuscì Alessandro, che beffavasi della insipienza de’cortegiani, < “% % s» “ x (122) Bartoli dei Simboli trasportati al morale lib, 1. p. 110 e segu. Torino 1840. o Sli7 Za a domare il Bucefalo , con la scorta di Arriano , e di altri storici. Dai medesimi è narrato esser venuto Ales- sandro a disfida e a patti per la riuscita felice di do- mare l’animale feroce; ritenendo per del tutto favoloso quel che riferisce lo Pseudo Callistene sul nitrire del cavallo , e le altre cose di tal fatta , meritando però esser ritenuto quel che dice in seguito (123) lasciando il poetico, anche per struttura di parole ravvisabile , come osserva il dotto annotatore al testo Greco p. 16 Alessandro adunque fece cavare il Bucefalo dal luogo in cui era, €@ situandolo in opposizione al sole, ( che non trovasi, nel Valerio, ove più semplicemente il fatto è narrato, di quel che lo avessero praticato Plutarco, Arriano e Curzio ), perchè non permetteva l’indomito destriero che fossa ombra di se innanzi a lui ; ed al- zandosi di un botto, essendo sveltissimo e leggiero (124), e trovatosi a cavallo, fece che i movimenti furibondi del- l’animale fossero frenati a poco a poco. Perciocchè trova- rebbesi più convenienza tra il racconto dello Pseudo-Cal- listene col modo in cui è rappresentato Alessandro senza redini, e senza sproni, che con quello di Plutarco , e (123) « Quod ubi intuitus est Alexander, fuisse in illo ante » hac tam truculentum officium edendis hominibus demiratur, » Denique custodibus evitatis , claustrisque dimolis, animal edu- » cit, jubamque ejus cum laeva apprehendisset , audacius ne- » scias an facilius, tergum quadrupedìs insultat , effrenemque , » sed morigerum tamen imperiosis moribus aurigabundus hac at- » que illac Alexander circumducit. » Pseud. Callislh. lat. I, c, XVII. Didot. p. 17. (124) Quia agilis erat et celer pedibus Plutarch, Apophthegm, p. 214. Didot. iù di Curzio , e di Arriano. ‘A simile contradizione di scrit- tori, e al non trovare segni nel bassorilievo di redinij di. | sproni, e di altro, meno il flagello sarebbe meglio suppor- li, vedendo ai piedi le solee, e la sinistra mano stringente alcuna cosa ; poichè nella Vittoria del Partenone d’Atene, sebbene senz’ali, pure dalle correggie, che pendendole da- gli omeri s'incrociano sul petto, sono state supposte , co- mè ha osservato il Visconti ( op. Var. t. II. p. 130). Gli artisti Greci usavano spesso di lasciar cose che do- veano esser supplite dall’immaginazione , per dare mag- gior interesse alla scena. (Visconti op. cit. Tom.IV.133.) Meno che pel flagello, possono sovvenire due ragioni, l'una che nelle sculture fosse uso alcuna volta presso gli antichi di dipingere gli ornamenti’, e gl’istromenti cavallereschi; TYaltra che vien dal costume che eravi pure ne’ giuochi Olim- pici di non adoperarsi , come abbiam visto con l'autorità di Pindaro, nella corsa, ne redini ne’ freni. Paîragoni il lettore i luoghi di Plutarco , è di Curzio, che ho posto nelle note, colla figura del Bassorilievo ed abbiane quella opinione che più gli aggrada (125). (125) » Et mox inter eos de solvenda pecunia facta sponsione, » Statim ad equum accurrit, fraenoque correptum adversus so- » lem obvertit ; nimirum animadvertens equum umbrae quae agi- » fata et tremens ei appropinquaret, conspectu perturbari. Deinde » quum paululum palpasset manuque leniter ducta demulsisset ut » animo spirituque repletum vidit, sensim abjecta chlamyde sese » in eum extulit, tutoque consedit , leviterque habena fraenum » adducens ‘absque verberibus atque ulla equi laceratione compe- » scuit; ut minas posuisse eum et jam cursus cupiditate aestuare » sensit, laxata habena cursum urgebat atque jam asperiorem vocem et pedum pulsum adhibuit. » Vita Alex. Cap, VI. p. È) i Alessandro adunque. sccondalilà il cavallo riuscì a'$ carlo , e dominarlo nella corsa, senza adoperar la frù sta 0 flagello. Qualunque 1’ opinione che tengasi, piut- tosto per Callistene , che per Plutarco , e Curzio , è sempre Alessandro ed il Bucefalo , che. ci si parano innanzi con i loro caratteri distintivi e spegglifii. Seo Alessandro è con la Clamide , ciò non contradice al luogo di Plutarco , e di Curzio , a quel che' se mi; e se pur si volesse, è rimarchevole Pseudo-Callistene in ciò non dispregevoledità cipio ho avvisato , il quale nel semplice racconto, nono fa motto che Alessandro fossesi.»disbrigato nell’ ascen-. dere sul Bucefalo della sua Clamide. Or dunque Plu- tarco (Vit. Alex. VI.) adusando la frase amogpras rovfn mv XAduvda , voltata nell'edizione del Didot dal Doeh- ner in latino , sensim abjecta Chlamyde , l'àmpf tas, abjecta , non debb’ essere ritenuta assolutamente per gettar via, ma per mandare addietro , in altra parte, e per un'azione su la persona , onde essere il cavaliere sbarazzato d’ogni inciampo , il che concilierebbe il silen- zio dello Pseudo-Callistene. E il dimissaque sensim chla- myde di Curzio , non pure include il totale sbrigarsi del 796. Didot.—« Tum Alexander comprehensis equi habenis, eum » ita statuit, ut in adversos solis radios conversus, umbram suam » conspicere non posset: ea enim antea exterrilum acrius fero- » cisse observaverat: quumque nihilominus aestuaret, jubam de - » mulcens, dimissague sensim chlamide, in saevientem adhuc » insilit. Jlle parendi insolens cervicem et calces jactare, multaque > pervicacia contra frenum niti ; denique proripere se conari et » ingenti violentia cursum moliri. » Freinshem ad Curth. I. IV. » p. 15. Zemaire. w 10 sii vestimento , tanto più che Alessandro di botto asceso sul cavallo , non avrebbelo potuto fare del tutto, ma solo ritrarla in dietro. Epperò la frase adottata da Rs Manzi nell’Italiana versione di Curzio, per cura di An- tonelli, con cui spiega il dimissaque etc. sovrappo- stogli il mantello , non va al vero senso, parendomi eziandio , che il dimissaque dia l’idea del ritrarre alcu- na cosa, non altrimenti che il greco ‘arofpinto da ano procul, e finto jacio, gittar lontano, metter addietro, gettare dietro , cui dev essere ravvicinato il dimittere. Infatti se prendasene esempio presso Scrittori che han parlato di cose appartenenti a’cavalieri , e di modi da essi usati, troveremo , che in Arriano ( Tachica p.$, € 9 Amstel. ‘1683, Blincard ):; alle parole Amphippi ve- ro, qui binis Libia ) non stratis et conjunctis, ‘ul ab rino transilire valeant in alterum, l annotatore al Non Stratis, dice, hoc peculiare fuit in his equis, quod monere omiserunt viri docti. Valgo otpouata, la- tine strata, habebant ex corio , aut pelle , aut qua- cumque veste , quibus insidebant equites. His carebant desultoriù , opinor , ne impedimento essent totiens transilientibus , fluxa videlicet et pendula , ut disci- mus ex imagimibus , et iccirco facilia, quibus inter transiliendum pedes implicentur. Dunque gli anfippî aveano bisogno di essere sbarazzati da qnalunque im- paccio di vestimenti. Ma non così per li Singulatores, che servivansi di un sol cavallo, per li quali la bar- datura e il vestire non era d’ inciampo , epperò Ales- sandro non dovè sbrigarsi della clamide, che vediamo Di To nel bassorilievo qual suo distintivo; tanto più, che il Potter ( arch. Graec. t. IL, 1367 c.3 p.17) de riva la cavalleria anfibia dai tempi eroici, forse pro- pria de’ barbari; e barbaro costume sarebbe stato in- vero quello di Alessandro, laddove fossesi del tutto ‘denudato. Vero è che Arriano parla di bardatura , ma per analogia può estendersi agli ornamenti de’ ca- valieri. Quindi più mal fatto , e più barbaro ancora, se l'artefice del Anaglifo, avesse ritratto l’Eroe senza Y ornamento che neppur nè divini era trascurato, come ho notato più addietro. Nelle sculture del Partenone di Atene ( Visconti op. var. t. IM. p. 132. Mil.), i ca- valieri sono vestiti alcuni di tunica ; ed altri hanno la clamide sola ; la quale fluttuante , lascia vedere il loro corpo quasi del tutto nudo ; ciò che formava il bello, non privo del velo della decenza. Quindi per la varietà delle narrazioni , è mestieri attenersi all'uso degli at- tisti antichi, ai costumi , alla bellezza del lavoro , ed alla verisimiglianza. Conviene inoltre rimarcare nel bassorilievo , come dl rimanente del corpo del cavaliere segua i moti dell’a- nimale sbuffante e ritto su è piedi di dietro; mal soffe- rendo il dominio del medesimo ; il quale per la violen- za de movimenti del suo Signore mostrasi rivolto alcun poco a dritta. Polluce nell’Onomastieo , ci ha lasciato degli ammaestramenti che offrono delle buone dilucida- zioni intorno alla posizione di Alessandro nel Basso- rilievo Pompeiano , dicendo « /ncita vera ipsum , e- quum signis hortatoriis et fraeno retrahe, fraenumque remiltes .. . non convemit autem calcaria subdere , ME. sed oportet magis demulcere et hortari ... ut caput deflexa cervice incurvet, gestumque eum induat. (126) Intanto se nel giovane cavaliere del Bassorilievo Pom- peiano vedonsi le solee senza stimoli, nom segno difreno, nè di redini nel cavallo , contrariamente a quello che ab- biamo veduto' essersi esposto da Plutarco, e Curzio , ri- cordinsi Je ragioni da me più sopra addotte; nè si tra- scuri osservare che la sinistra mano di Alessandro è in atto di stringere qualche cosa , e guardisi pure alla boe- ca del cavallo, ove par di vedere un segno di freno; men- tre son rimarchevoli nel marmo le gambe e i piedi e le altre parti disposte alla flessibilità voluta dal Polluce. « Cum vero insederis equo , nequaquam femora ad equilatera comprimes, sed pedes laxos , flexilesque habeas , stanti similis. Nè il vedersi d’altronde il Bas- sorilievo sfornito di ciò che dicesi necessario ad un ca- valiere , induca opinione contraria, per lo racconto di Plutarco e di Curzio, e discredere all’Alessandro in esso effigiato ; essendo da ricordare , che nelle statue se- guivasi , e servivasi ad un’ ideale, che sfuggiva alle minime cose, nè era assolutamente contrario al modo di rappresentare (127); talchè abbiamo nell’atlante del (126) Lib. I. XI. p. 127. (127) Parmi che di tutto valga a render ragione il seguente luogo del Visconti. ( oper. var. t. IMI. Sculpt. du Parten. et de l'Acmopol. a Athènes p. 133. Milan. 1830. Labus ) « Ces parti- cularités nous indiquent la liberté qu'avaient les arlistes anciens relalivement avx costumes de leurs figures. Il n'est pas vraisem- biable que les jeunes Athéniens parussent en publique presque nus, comme nous yoyons dans plusieurs d’entre eux°, ni que dans un Muller ( tav. 24 fig. 28 ) una schiera di cavalieri , i cui destrieri non han freni, non bardature , ed ‘essi stessi con brevissime clamidi, simigliantemente al nostro bassorilievo — E per quanto favolosa la storia dello Pseudo-Callistene , il breve, verisimile e semplice modo con che tratta il fatto dell’ascensione di Alessandro sul Bucefalo, non si lascia indietro a quanto han scritto Plutarco, e Curzio. Chi non ricorda poi, che domato ch’ ebbe Alessan- dro il Bucefalo, sceso di cavallo , abbracciato dal pa- dre intenerito e molle di pianto , intese le memorande parole che il genitore proferì? « Quaere, fili par tibi regnum, siquidem non capit te Macedonia. » (428) Credo inutile in questa prima parte dir oltre del Bucefalo jour de pompe et de cérémonie ils montassent leurs chevaux non- seulement sans éperons, mais sans chaussure, ni que les dames Athenienses s'y montrassent les pieds nus ( Aasdé.wro: mus pieds, et a'y.mvres, Échevelées ); mais l’artiste a donné è plusieurs les bottines appellées emdates — On pourrait penser que cette frise ayant élé rehaussée de quelque durures dans aecessoires de bronz, la seule dorure aurait pu suffire pour marquer quelque rubans et faire supposer de riches chaussures aux pieds des figures qui sem- blent n'en avoir aucun. Des observateurs ont cru mème remar- quer les vestiges de quelques couleurs encaustiques sur le mor- ceau. Ces suppressions sont faites en -faveur de l'art, et tien- nent à ce costume idéal , que les artistes de l’école grecque ont presque toujours suivi, méème en exécutant des portraits et en iraitant des sujets historiques. C' est un erreur des modernes de croire que les costumes des Grec et des Romains étàient toujours exactement ceux que nous retrouvons dans les ouvrages de l'art. » (128) Plut. vit. Alex, — 80 delle sue qualità, della sua morte, della Città Buce- falia surta per sua onoranza , insieme a /icea, della quale fu pur fondatore Alessandro , e di cui il ch. Dia- milla ( Annali di Numism. fasc. 2. p. 88, compilati dal ch. Fiorelli) discorre come fondata dai /Nicaeni , che facevano parte dell'esercito Macedone. Tengo a de- bito però rammentare, che del Bucefalo domato da Alessandro vidersene sculte opere , ed oltre il luogo di Stazio già da me prodotto, il Freinsemio, come ho scritto (. nota 120 ), ci dà notizia del bronzo sculto da Lofredo Sequano ; ed altre opere sono rammentate dal Gammi, e dal Rosino. Dal Panvinio, e dal Fa- bricio vuolsi, che il Colle Quirinale di Roma fosse detto Monte Cavallo, dacchè Costantino fecevi collo- care la statua marmorea rappresentante Alessandro il grande che doma il Bucefalo, tolta ad Alessandria. Però il Visconti, e dopo lui altri dotti (129), han fatto chiaro, che i Colossi del Quirinale, lungi dal presentare una doppia figura d’Alessandro il grande col Bucefalo, pre- (129) Oltre E. Q. Visconti, Filippo A. Visconti, e G. Ant. Guattani, M. Chiaromonti pag. 72. — Fulchiron, Voyage en Ital. Merid. t. IV., pag. 217 esprimesi « Elle ( /a Place Mon- te-Cavallo) tire son nom de deux colosses antiques . . + . et à tort ou raison, on pretend representers Castor et Polloux tenant, par la bride , leurs chevaux . .... qui se rapprochen! de l’Arabe etc. Secondo Visconti, ed altri furono rinvenuti nelle terme di Costantino , e diconsi opera di Agasia M. P. Clementino t. I. p. 71. M. Worsleiani p. 153. — Su di Agasia Labus Prefaz. ai M. Bor. di Visconti p. VI. — R. Rochette Lett. à M. Schorn. p. 320. sull’ errore del Sillig rilevato dal Boeckh ( corp. Inscr. gr. t. II, p. 237) intorno al nome di Agasia, cdi sentano i Dioscuri. Ed il Visconti stesso nel t. I. p. 713 del M. Pio Clementino tentò vederne pure l’autore. Se- condo che leggesi nel Miller (Man. d'arch. t. HI. p. 411, not. 5.), sono magnifiche figure con le propor- zioni di Lisippo éseguite a Roma dopo Augusto su gli originali Greci. A buona ventura mi è venuto sott’ oc- chio il bullettino Archeologico Romano (n. VI. Giu- gno 1850 p. 109), in cui il Canina ragguagliando sui moderni scavi di Roma , dopo le prime notizie del ch. Braun, discorre di un cavallo di bronzo di squi- sito lavoro rinvenuto , e che credesi uno dei famosi Ca- valli, sculto da Lisippo per ordine di Alessandro ad onoranza de’ prodi morti al Granico. Inoltre una statua d’Alessandro Magno vedesi incisa alla tavola XVII della Galleria di Dresda. H cavallo che sino al petto vi comparisce spiccato dal suolo, sarebbe il Bucefalo (130). Un tal monumento , oltre al rammen- tare l’azione portentosa di Alessandro in domarlo, ricorda l’uso di metter le protome de’ cavalli alle statue ‘de’ Ca- stori, del Sole, e dell'istesso Giove. E se simbolica- mente eran poste a’ Castori, e al Sole ; simbolica- mente pur credo fossesi usato per Alessandro ; e le idee da me prodotte nella seconda Parte, serviranno , forse , a confermarlo ; al che mi avvalora il riscontrare i fre- quenti dubî incontrati nel rivindicarsi diversi monu- menti, e fra gli altri la bella statua del Sole, attri- buita ad Alessandro , nella quale le due protome dei cavalli ; e 1 colossi del Quirinale , da poco attribuiti ai (130) Visconti Monum. Scel: Borgl. 1 XXTn Lp 152 not. 4. 3 ED" Dioscuri. I quali dubbîì per avventura non sarebbero sorti, se la fisonomia di Alessandro, i miti di lui , la sua bellezza, non avessero contribuito a vederli spun- tare e per Ja grandezza del soggetto e per l’infinità dei lavori; epperò crescono le ragioni per ritenere il Bas- sorilievo Pompeiano come rappresentante Alessandro e il suo Bucefalo, non men bello del cavaliere ; non facendogli onta la testa piuttosto grossa, essendo sta- ù nell antichità pregiati i cavalli. che l’ avessero bo- vina. (131) 4 Parmi aver esaurito quanto era in me per lo scio- glimento del primo problema. Or dovrei passare alla Seconda parte , ma credo esser bene premettere, come sonmi avvisato, un parallelo, dopo tanti fattisine di Alessandro , fra questo e Romolo ; il quale parrà forse arrischiato , ma che io lascio alla sapienza di chi mi onorerà leggendolo. (131) Visconti M. Worsleiani p. 130. Per maggior comodità del Leltore , ho fatto porre a capo del mio libro un incisione in rame rappresentante il Bussorilievo Pom- peiano, PARALLELO DI ALESSANDRO CON ROMOLO Difficile est iudicare utrum urbs reliqua urbes , an imperia, quae fuerunt, olim, hoc Imperium maiore superet intervallo. ArRISTID. 1N Rom. y& nvanzi di trattare la seconda parte di questo mio - = lavoro ; per maggior dilucidamento di essa ; e €25 per tentare un nuovo confronto del gran Capita- no Macedone qual sapientissimo politico, e fondator d’Im- pero con altro subietto di egual sapienza, sonmi arrischia- to compararlo col Fondator di Roma , incoraggiato dai molteplici paralleli, che sino a questo momento sono esciti di tanti, di varie età, di vario merito, nè tutti ri- spondenti al suo genio, all'altezza de’ suoi pensieri, alla grandezza di quel che operò ; nè tutti convenienti co tempi e col grado di civiltà in cui vivea Alessan- dro. Troppo accusato , forse mal compreso ; obbietto di critiche crudeli; della sua gloria si è fatto mercato di vano suon di parole ; e la tirannide e la crudeltà, nomi con cui è stata tratteggiata la sua vita, traden- dosi.il più bel quadro politico, sono stati gli allori di che alcuni critici han fatto degno Alessandro , per combattere principî, certo non buoni , nè santi , ma 11 - Mia non avvinchiati nel cuore suo magnanimo, e a quel punto, di cui è stato segno il figliuolo dell’astuto, e fino politico Filippo. (1) Invero siamo troppo superbi voler di. que- (1) Possono leggersi gli svariati e molteplici paralleli di Ales- sandro con altri personaggi nel Tomo 3. dell'Arriano di Chaus- sard. Napoleone qual nuovo Prometeo su lo scoglio rizzantesi dall’immenso Oceano tra Africa ed America, disse sentenza sul conto de’ grandi guerrieri e capitani dell'antichità, ed in Anni- bale vide un gran guerriero. L'illustre Chateaubriand seguendo le sue idee ( Itiner. de Paris à Jerusal. ), ecco come ne parla in confronto di Alessandro. « Annibale mi è paruto il più grande » capitano dell'antichità, se non è il più, che sorprende, Non » avendo avuto nè l’eroismo d’Alessandro, nè i talenti universali » di Cesare, li ha superati come uomo di guerra. Ordinariamente » l'amor della. patria o della gloria conduce gli. Eroi air prodigî ; » il solo Annibale è guidato dall'odio. Portato da un genio non » ordinario, parte dall'estrema Spagna con un'armata composta di » venti popoli diversi. ..... Impavido ne' pericoli , inesauribi- » le nelle risorte , fino, ingegnoso , eloquente, saggio, scrittore » di molte opere , Annibale ebbe tutte le qualità che apparten- » gono alla superiorità dello spirito ed alla forza del carattere , » ma non avea le alte qualità del cuore: freddo , crudele, senza » pielà, nato per rovesciare, e non per fondare gli imperi, fu in » magnanimità molto inferiore al suo rivale. » Questo, che può es- sere considerato come un triplice parallelo per Alessandro, Annibale, e Cesare, e forse anche Scipione, mi dà il campo vedere nel se- condo uno di que’ Capitani di ventura ,. che il Aicotti, non è molto , ha dipinti nella storia degli eroi del nostro medio evo. Annibale, al quale non conviene disdire grande conoscenza di strategia ; audacia somma , impetuosa violenza nello spingere le battaglie , non ha che l’anima di un di loro e guerreggia non per se stesso, nè per uno scopo politico. L'arte della guerra ancor- chè posseduta nel più eminente grado, non partorisce l’ eccellenza per sè stessa in chi la possiede ; ma debbe racchiudere pnranche l'abilità di sapersi servire de’ concepimenti de’ piani guerreschi ; dB st uomo straordinario parlare, e quel che peggio ab- bassarlo sì tanto; quando il dottissimo Plutarco non ebbe l'animo, sconfidato dall’immensa serie de’ suoi scrittori , scrivere, nè le guerre, nè le gesta, nè la vastità de’suoi pensieri. Epperò che non lascionne parallelo essendo di que’genì che escono quasi dall’orbita in cui si aggirano gl'istessi vati. E non ancora nè il giovane Pello, nè il figlio di Corsica hanno avuto un poema degno di loro. Un bel- lissimo ingegno Aprutino il chì Guanciale ne’ suoi canti ( de septimo congressu), lamentò la mancanza di quello di colui, che st nomò, due secoli, e che « trusit victor ovans tolumque exterruit orbem » e di cui profonda- mente e inimitabilmente pur disse « nec posse hune unum vincendo vincere secla. » e mettere a profitto il frutto delle vittorie. Annibale difatti ristassi al veder Roma, nè l’assale, scorgendo ostacoli insormon!abili per farsene padrone E qui Egli mostrasi da meno di Alessandro che non isbigottì alla resistenza di Tiro, Se Alessandro fosse sta!o nella slessa sua posizione presso Roma, avvrebbe assalita la Città eterna, (e sarebbe stata sua, come fu sua Tiro. Annibale fino a que! punto avea avventurate le sue battaglie, ed eran riescite buone; ma ora in mezzo di popoli spaventati dalla sua ferocia africana, shigotiì, non avendo alle spalle esercito che il guardasse. Alessandro avreb- be provveduto innanzi ai mezzi, per esser protetto. Ciò costitu'sce il grande de’ conquistatori, e de’ guerrieri. Quindi nè per cuore, nè per abilità, nè per grandi disegni Annibale può essere al di sopra di Alessandro..La Provvidenza avea fatto di Annibale i’istro- mento della distruzione della patria istessa che nol conobbe , ed egli non amò! Gran ventura per Europa, che gli abbronzati Figli di Cam si fossero arrestati pel mal talento del loro Duce! Chè dove ora splende la Croce avremmo visto le insegne di Bua/, e le Camitichè sozzure; e i figli del deserto, ove sono gl'industri popoli Giapetici. cli A tal punto si chiederà per avventura, perchè àllato di Alessandro, nen abbia io posto Napoleone, ravvicinando l'epoca la più grande del mondo Greco con quella del Gallico Impero ? Invero confesso, che de’ grandi ravvici- namenti fra essi loro vi potriano figurare ; molto campo avrei avuto ad un parallelo e per la dottrina, e pel ge- nio di conquistare, e nell’ operare , e nell’ innalzarsi alle più gloriose gesta. Le giornate di Millesimo, di Montenotte , e quella di Wagram congiungonsi ai grandi fatti del vincitore del Granico di Isso e d'Arbella. I geli del nord, la catastrofe della Campagna di Russia ri- chiamano in qualche modo allo sgomento di Alessandro; la ritrosia e l’avvilimento de’ suoi soldati su le rive del- l'Indo, non meno che la pièta de’ soldati del grande nostro Contemporaneo al passaggio della Neva, e della Beresina. Ma questi due genii si distaccano, all’Elba , a Lipsià, a Waterloo, a S. Elena. Uno era il loro pen- siero; ma comandavano a popoli di altra natura , di al- ira indole , in diverse circostanze. Venti secoli si stanno fra l'uno e l’altro genio; fra i quali pur sono le Corone, ei Troni de Tolomei abbattuti dai Cesari, l'impero Car- - taginese distrutto da Scipione, e l'ombra di Annibale vagante in quella Grecia che avealo temuto ; e il colosso Romano mirante a’ suoi piedi il simulacro dell'Impero di Bisanzio , decrepito sotto l'insegna della mezza luna. Dip- più Napoleone è il figliuolo di una rivoluzione, che ha distrutto l’opera di 18 secoli, nè ha avuto un Filippo, nè un giovane popolo, nè un'aristocrazia del suo paese. Egli solo è la scintilla di quel fulmine che scopptò da Scilla al Tanai. Quantunque i tempi somigliano, gli uo- BY mini non sono gl'istessi sempre, nè la civiltà si misura con civiltà già morta; chè la civiltà nostra ha altro cammino , altra direzione. La dissimiglianza de’ tempi fa sentirsi in tutta la sua forza dice Chateaubriand ( Rivolut. Ancienn. av. I. C. 479 t. I. p. 338. Pa- ris 1842. (2) Ecco perchè sonmi avvisato mettere in veduta piuttosto Alessandro con Romolo , nell’impossi- bilità di ravvicinare popoli, religioni, morale, e Capi aventino vita specifica, e propria, e divisi da secoli distruttori. Spero che il rimandare il lettore ai principî di Roma, ed all'origine di Romolo, e farlo traguardare nella culla di Alessandro, e nella fondazione di Alessan- dria, e mirarvi la grandezza di due Imperi, per esse cit- tà, nascenti, non sia di poco momento, come vorrei che nol fosse, com'è la pochezza del mio dire. Riflette il Michelet (3), che il tipo dell’eroismo non è presso i Romani un Dio incarnato, come nell’Asia. Del pari io lo considero in Grecia, ed anche in Macedonia. Se basta per fondare una Città ai figliuoli del Lazio un (2) Lo stesso Chateaubriand op. cit. p. 392 dice « vi ha una differenza considerevole fra l'età filosofica di Alessandro e la no- stra, considerata dal canto dell'influenza politica, » (3) Lib. 1. C.T. Cfr. Guignaut note al lib. III. della Simbo- lica del Creuzer p. 841. e 842 e segu. Il dotto annotatore fa ri- marcare, come il culto Greco , in parte si fondasse su l'apoteosi, direttamente opposta all’ izcarzazione delle religioni d'Oriente; e come per la credenza volgare Ellenica, mon vi era che un uomo, o un semidio il quale potesse tollerare il destino umano; così O;i» ride» Bacco avrebbe dovute necessariamente aver vita nel seno di una donna mortale. Nelle quali opinioni, io mi guardo bene dal- l'accettare i concetti Evemeristici, ui nato dagli Dei, non da una vergine, come i Numi India: ni, ma almeno da Vestale : Se in lui del pari che nella sua Città si unisce lo spirito. del Marte Italico | occiden- tale ( Mamers ) , che non conosce altra supremazia fuori quella della forza con lo spirito della Vesta Orientale ; simigliantemente traveggo nell'origine di Alessandro. Nato da Olimpia, non vergine, ed iniziata ne’ famosi misteri di Samotracia , ove non era ignota la Vesta de’ Romani, e di là co’ Pelasgi recata a Roma, è proge- nie del potentissimo de’ Numi, generatore di Ercole , da cui direttamente Alessandro ;$ e in tal modo anche in Grecia il Dio occidentale ( il Giove Dodoneo); mentre per Olimpia, e pe'misteri Cabirici assi il principio orien- tale. Il dualismo romano rivelasi in Romolo; e Remo. Romolo uccide Remo, omicidi simbolici , dice l'istesso Michelet, che non faranno maggior torto al buono, e giu- sto Romolo , di quel che ne faccia al Giove, padre degli uomini e degli Dei la mutilazione di Saturno. Alessan- dro uccide Nettenebo , augure, prestigiatore , mago, e scacciato d'Egitto e dal Trono. (4) (4) Ecco come lo Pseudo — Callistene latino pag. 14-15 Cap. XIV Didot, discorre di Nettanebo « qui ( Nectane bus ) » cum, ‘assidente sibi Alexandro, ex arte illa astrica loque- » retur, interpellat puer , et » Heus tu, inquit, istaene, quas stellas appellas, agitant nunc in coelo ibique visuntur? « Et » Nectanebus ita esse respondit. Pergit igitur Alexander: » Pos? » sumne istas videre atque oculis usurpare? Annuit posse. Tem- » pus exigit, vesperam pollicetur. Quae ubi advenerit » comi - » tare, inquit, una mecum ad campestrem locum , easque tibi » in coeli choro lucentes ostendam » Recipit ita sese facturum » velut cupidus puer. Ergo ubi tempus est progressus oppido , cs QU ‘ Or da ciò, e da quel che leggesi nella sottoposta nota ci par vedere una di quelle novelle, ond’è riccamente ve- stita l’origine Romulea, alle quali faceva allusione quel che già il citato Michelet in una nota al suo libro dell'incertezza dei. primi secoli di Roma, avea osservato, recando ad esempio le metamorfosi di Alessandro Macedone. E sic- come l'età eroica “di Romolo: fu il subbietto di canti na- zionali, dai quali gli storici prenderono l’abbrivo ( Eg- ger latini Sermonis Reliquiae p. XII. et sequu. ), si> migliantemente fu fatto dallo Pseudo — Callistene con quelli di Alessandro , di cui molti brani sono in esso risparsi. I miti e la poesia de’ popoli primitivi presen- tano le tradizioni di essi, e per lo più sono la vera storia nazionale. Ritengasi pure per invenzione poetica e per ritrovato degli Alessandrini al tempo di Tolomeo, dabat Alexandro videre quae cupiverat. Enim non una sedu- litas discenti puero cum magistro. Namque paulatim, Alexan- » der ad pracscisam fossam hominem appellens , impulsum im- » proviso praecipitat ; ibique letali ictu cervicis Nectanebus af- » flictus haec est conquestus : mi, inquit, fili, Alexander, quid- nam hujus facti tibi consilium fuit ? At ille respondit. » Con- querendum igitur tibi est de arte ista, quam noveras. Quippe » nescius quae te impenderent, humi rimare ea quae coeli sunt.» Ad haec magus; « Equidem , inquit Alexander, laesum me le- » taliter sentio, sed profecto nulli mortalium contra fatum per- » missa est fuga » Tum ille: cur ista inquis? Respondit magus: » olim quippe per hane scientiam videram fatale mihi fore a filio » interfectum iri, Ea igitur praescita non effugi. Et Alexandera anne ego sum Filius tuus ? Ita esse confitetur , et fabulae reli- ‘quam subserit seriem , tum Aegypti fugam , tum ingressum ad Olympiadem et tractatum et amorem, et quanam arte potitus uxore sit ad similitudinem Dei, Et in his dictis animam exaestuat..» bi x MI pe onde riattaccar la dinastia Macedone all’ Egizia, che ho fatto notare poco innanzi nella prima parte, seguendo il parere del Letronne , conviene del pari averne una certa ragione, essendo state cose in parte riconosciute dal medesimo ( Stat. voc. di Memn. p. 80 ); da Lee- mann (Papyri gr. Mus. Leid. p. 122 et sequ.); da Boeckh ( Maneth. p. 373 ). E Cedreno riferisce ( Necta- nebus ) praestigias quasdam et magicas Aegyptiorum artes exercens , ac futura praedicens , indeque Phi- lippo, et Olympiadi notus , creditus est quarundam praestigiarum ope cum Olympiadé concubuisse , et ex ea Alexandrum genuisse (Hist. Compend. p. 150 Pari- siis 1647.) Così pure Moses chorenensis II, 12; Sincello, Malala, e Muller (Introduct. ad Pseud-Callisthen p. XIX et sequ. Didot.) Quando si ha riguardo alla ragione di coonestare un dominio , come occorse ad Alessandro per l'Egitto, non starassi fluttuante alla diceria di Net- tanebbo (5) di cui rinviensi la simigliante in Romolo per la sua provenienza da Marte, pel quale eeco come esprimesi Livio (lib. 1. cap. II.) Vi compressa Ve- stalis cum geminum partum edidisset ( seu rata, seu quia deus auctor culpae honestior erat) Martem incertae stirpis patrem nuncupat. Al che consuona quel che leg- gesi nello Pseudo — Callistene latino (lib. I. c. IX. Didot), quando Filippo apostrofa Olimpia, dicendo « o coniux, patuit vero argumentum divini circa te cultus, vidimus enim deum auxiliantem tibi periclitanti (5) Dio. Chrysos. Orat. 4. de Regno, nel Dialogo tra Alessan= dro e Diogene, mette in bocca di questo ultimo , che Alessan- dro fosse figlio non legittimo. — Jia quamvis quis is sit nesciam: quippe ut Tovem credas ex aquila, ut Hammonem ex dracone. « E Faustolo e Larenzia, mitici personaggi forse quanto Nettanebbo ( io riguardo qui Nettanebbo non nella storica ragione, nella quale non disconvengo della sua realità , ma nel mitico rapporto con Alessandro in parola ), ebbono l'onore di dare agli uomini simil progenie, accreditata per divina, obbietto di mille interpretazioni , di tanto ‘culto , e di storie svariatissime. Oltreche, nella storia eroica de’ ge- melli Romani vedesi lomicidio , non solo di Remo , ma pur quello di Amulio; istessamente in Macedonia, quello di Nettanebbo, e più tardi quello di Filippo , sto- rico padre di Alessandro, per opera di Olimpia forse, e di Pausania. Ma quel che più monta, il luogo di Plu- tarco (in Romul. 2. ) intorno allo spettro apparso a Tarchezio Re di Alba, il presagio fattogli di prole chia- rissima per virtù , valore , e fortuna , ha tale. conso- nanza con quel che abbiam veduto per Alessandro , da non far rimanere immaravigliati. E quali modi furono inoltre tenuti da Romolo , e da Alessandro , l'uno fondando Roma, la Capitale dell’Im- perio della forza, onde fu detta Valentia; l’altra pure alla forza destinata, ma forza del pensiere, per le scienze che vi ebber sede, e Leontopoli appellata (6), ma (6) Già si è visto con Giunone Argivo , che Alessandria fosse detta LeontoPoLI, quod Zeonis signo Olympiadis venter obsignatus fuerit. Ma la origine de'nomi de'Luoghi ha tutt'altro fonte, special- mente presso i popoli teocratici nel novero de'quali, pare, doversi includere l'Egizio, perlocchè ‘basta riscontrare qualunque libro per veder fra essi incarnata la potenza sacerdotale, e la ierocrazia la più 12 Men. SR ambe dai lor fondatori più comunemente chiamate, Roma, ed Alessandria, noi lo vedremo. Se egli è sicuro quel che antica pagana , non ecclissata per volger di secoli, nè scaduta ne” varî periodi del dominio straniero, cui tanto fu soggetta la Egizia regione ; e solo scrollata al segno invincibile de'Cristiani. Intanto in ogni angolo di essa, non incontrasi città, non un luogo , che non ricordi, quale Ammone, quale Serapide, quale Osiride , o Canopo , od Iside. Le antiche città Etrusche d'Italia , che pur da casta sacerdotale e patrizia erano rette, e tanta affinità si avevano e con la religione Egizia e col loro regime politico ; e dal Mazzocchi, e dall’Tannelli ci son dette spesso nomate e dai loro Dii, e dalla spe- cie di destinazione sociale da esse ricevute dai loro rettori. Qual ma- raviglia pertanto, che Alessandria avesse pur nome di Leontopo- li per li Greci stessi, quando da Manilio impariamo, che in Mace- donia il culto del Leone Nemeo avea luogo‘come solare religione ? » +. . +. Phrygia, Nemeae, potiris, » Idoeae matris famulus , regnoque feroci » Cappadocum, Armeniaeque iugis : Bithynia dives » Te colit , et Macetum tellus ,-quae vicerat orbem » ASTRONOMICON Iv. , 759. Qual fede pertanto potrà essere accordata al Giunone argivo, alla Stefano Bizantino, il quale trasse la derivanza di Zeonzopoli dal primo ? Qual fede al Leonte scrittor di mitologia ? Ed infine allo stesso racconto del suggello di Olimpia ? Quel che mi dà peso, e che convincerebbe semprepiù del mistero, di che sapevano i pagani Sacerdoti improntar le cose, si è che Leontopoli fosse il nome sacro di Alessandria, dato dalla casta Sacerdotale , rela- tivo al Leone. — Gli Egizii primitivi adoratori di un sol nume, ( nel testo discorrerò a suo luogo su tal punto ) credendo al- l’unità del principio Divino ; per opera de'Sacerdoti mistifica- tori, si abbassarono , fino a diventar ludibrio delle genti, ed alle più schifose superstizioni. I Sacerdoti Egizî , che furono la casta guerriera e ieratica sovrappostasi alla gente antichissima, DI iam YZ asserisce Festo, Roma avrebbe avuto tal nome (17) da un compagno di Enea ( Pelasgico), ed Alessandria imposero facilmente il nome di Zeontopoli al luogo, ove fu Ales- sandria, avendo con esso nascosto come in un geroglifico l' o- rigine del nuovo culto solare, che avea oscurato il primitivo. Nè altramente, pare, possa andar spiegato quel che si è narrato della lettera scritta da Alessandro ad Olimpia, se non che, con essa Ales- sandro faceva aperto, l'arcano della Religione Sacerdotale Egizia , il quale consisteva nel riconoscere l’unico principio delle cose in Phtià, il Yw/cano, di cui dice Alessandro, il principio Cabirico, adom- brato, e simboleggiato per li volgari, e non iniziati, dal fuoco, dal sole, al quale era sacra Zeontopoli; perciocchè il leone, secondo Ora- pollo (I. 17 ) era simbolo del sole , e valeva splendore e fuoco; e dallo stesso Orapollo (I. 16), il leone a piè del soglio di Oro, qual simbolo del So/e; ed Oro dalle Ore, che sono il Sole ruo- tante. Eliano (lib. 4. c. 39) vuole il leone consacrato dagli Egizii al sole. Sl leone con. le tre idrie ( Orapollo 1.20 ), simboleggiava l'inondazione del Nilo , quando il sole rattrovavasi nel segno zo- diacale del leone; e vedremo il Ni/e— Sole, supremo nume Egi» ziano. Le ragioni astronomiche ( Guignaut ) che in Egitto avea» no riattaceate al Leone le idee di acqua , valsero per quelle di fuoco. L'illustre Vico (sapienza poetica } già disse che su le are formaronsi i primi asili ; e seconde il dottissimo uomo, Ari in Si- riaco vuol dir Zeone , e dalla difesa delle are. nelle contese eroi- che , i Greci dissero Marte, da A'pns — Epperò vorrei opinare che Leontopoli fosse la Città Eroica Egizia; di cui fan ricor- danza i sudetti scrittori da me nominati ; e la qual cosa darebbe maggiore esplicamento al già detto sulla sua origine ieratica — E ne ho conferma maggiore, trovando nella deseriplion de l'Egy- pie antique ( vol. V. pl. 58, 27 ) una medaglia apparlenente a Leontopoli in cui evvi guerriero armato di lancia , eoll’el- mo in testa, tipo greco del marte Egizio — Ecco perchè nelle medaglie di Alessandria vedesi il leone, e in una medaglia di Alessandro del museo Bodleiano accreditatissima, pure il Leone. (7) In v. Roma, Zeme oppellatam esse CePHALON Gergithius, — 94 — da Alessandro di stirpe pur Pelasgica. Combinazioni fortu- malte da far meditare su due grandi sedi, che hanno impe- rato sì tanto nella civiltà de’ popoli del mondo! Due nomi che fanmi ricordare ad un tempo il sacro , ed incomunica- bile nome di Roma, il cui scuoprimento costò la vita a Va- lerio Sorano, come narra Plinio (8) ; ed il nome eterno di gui de adventu Aeneae in Italiam videtur conscripsisse, ait , ab homine quodam comite Aeneae. (8) . . . Roma ipsa, cujus nomen alterum dicere arcanis cae- rimoniarum nefas habetur , optimaque , et salutari fide abolitum enuntiavit Valerius Soranus , luitgue mox poenas. Non alienum videtur inserere hoc loco exemplum religionis antiquae, ob hoc ma- xime silentium instilutae. Namque diva AnceroNA cui sacrificatur a. d. XII. Kalendas. lanuarii , ore obligato obsignatoque simu- lacrum habet. Hist. Nat. INIL c. 5., sez. 9. p. 231. Sillig.— Qui non è il luogo da esaminare l'arcano del nome di Roma , riman- dando il lettore al Creuzer, Abriss. droem. Antiqq. $. 14 — 3, al Servio, ad Aen. 1. 277, al Fuss, antiquit. Rom. Lips. 1837; a Macrob. Saturn. 3. IX. p. 285 Londini , luogo importantis- simo , ove di Angerona , di cui Plinio , fassi una divinità con- sigliatrice , che richiama il Dio Conso di Plutarco , Livio etc. Ma del mistero del nome di Roma , io penso doversene cercar ra- gione e nella ieratica influenza , e nell’avvicendarsi de’ coloni che l’abitarono. Vedi Mazzocchi Dissert. Tirreniche sul cambiamento de’ nomi delle Città. Giova forse riflettere a quanto dice il luogo di Plinio, che le origini delle Città erano state, come ho detto di sopra in nota, tutte la più parte teocratiche; e siccome il sistema ieralico era di non manifestare al volgare le vere tradizioni, es- sendo una proprietà della loro casta la sapienza, e le conoscenze, del pari che la religione e il culto ; per sostenere questo privi- legio, e dominare il volgo, avvolgevano le origini delle cose nelle ombre del mistero , ed accreditavano come divino , per alluci- nare la sapienza volgare , quel che non era che oggetto sempli- cissimo , e la verità ascondevano fra le simboliche ambagi, e fra ’ — 9) — Alessandria, datosi dopo l'oracolo di Serapide, solito a dimandarsi nè sogni, secondo avvisa Strabone (lib. XVIE p. 801.) , e che ci è chiaro dall’unico luogo del cita- to Pseudo-Callistene (9) E come superiormente sonmi miti religiosi , dei quali avendo sol essi la chiave; e il segreto, spacciavano al volgo quali misteri ‘incomprensibili, e riservati al- l'ordine loro, dei quali non era lecito a qualunque indagare il | senso ; ed imponevasene profondo silenzio , ricovrendo tutto di un velo mistico, che Valerio Sorano fu ardito squarciare , onde ebbe morte. Angerona dunque la consigliera, ossia la Casta Sacerdotale, che aveane preso esempio da quella degli Etrnschi, presso la quale era sacro l'arcano, e il mistero di ogni conoscenza umana, non volendo forse far trapelare la umile origine di Roma, e la sua pochezza primitiva, impose silenzio, onde il popolo non perdesse il prestigio della grandezza della sua derivanza. Il quale silenzio additato da Angerona, la divinità eroica , ossia la casta ieratico guerriera, mi ricorda l'anello con che Alessandro Macedone chiuse la bocca ad Efestione. (9) « Ad haec Alexandro de urbis perpetuitate quaerenti, et an nominis sui inhaesura appellatio videretur, visus est deus manu sese apprehendisse , ex inque ad editum celsumque admodum mon- tem una duxisse, atque ibidem consistenti » Potesne, ait , o.for- tissime, molem hanc montis in diversa transducere ? « Negitante Alexandro , addidisse: haec ergo similitudo est ejus scilicet dif- ficultatis, quam de tui nominis mutatione quaesisti. Ut enim na- îurae viribus spes ista deficit, quod mons tantus loco mutari queat, ita possibilitate res caret, inolitum nomen tuum urbi nunc conditae olim posse mutari. Lib. I, Cap. 33 p. 36—37. Didot. L'Arriano narrando della fondazione di Alessandria al principio del terzo libro della storia del Macedone , nulla dice di quanto abbiamo riportato ; però narra degli augurii favorevoli ricevuti, e degl’indovini ; e principalmente di Aristandro Telmesso. Cnfr. Diodor. sicul. — L'iscrizione ALEXANDER REX GENUS IOVIS FE- CISSET, espressa con greche lettere così disposte > Wbbm cs — avvisato ( p. 80 ), la storia de’ popoli primitivi spesso va tramandata da’ poemi, e canti nazionali; e i popoli ( Vico scienza nuova ) si fondarono con le leggi, e le leggi appo tutti furono in versi dettate, e le prime cose. de’ popoli pure in versi si conservarono; e Nevio , poi Ennio scrissero le guerre Carteginesi in verso eroico : Livio Andronico, la Romanide , o le guerre degli antichi Romani , sì credo, che il sogno dell'oracolo di Serapide facesse parte di qualcuno di simiglianti poemi Alessan- drini; dei quali non scarse rimembranze troviamo nel ci- tato mitico storico, al che mi confermano i versi che leg- gonsi nel capitolo 33 del Codice lalino, e greco, in cui son pure rimarchevoli questi altri e le cose poeti- che , delle quali dirò a poch'altro. Urbs vero quam nunc erigis mundi decus Nitoris urguet , cunctis exoptabilis Saeclis , virescens temporum recursibus Unaque semper fulta beatitudine Freqnens deorum templis atque numine. etc. Ora per render ragione eziandio dell’arcano del nome, di Roma e della varietà di esso, piacemi dire, che Remu- rea fosse stata appellata, quando l’antico culto di Satur- no avea in essa luogo per opera, forse de’ Camitici , ado- ratori di un Dio Ctonio, nascosto, sotterraneo, del quale rende ragione il Conso rinvenuto da Romolo nel suo recinto, e che ricordar può i coloni venuti per vuolsi dal Mai nel suo G. Valerio, apposta da mano recente nel codice. Vedi Pseudo + Callistene Gr. lat. 1. lib, I, cap XXXII. Didot p, 34-35. sii 97 tte mare dal Nilo ; ove chi non conosce il Libico Nettuno, dal quale con Listanasse, figlia d’Epafo, o Anippe, figlia del IVilo, Busiride; e Nettuno, l’istesso che Saturno che die- degli vita insieme a Nephtys sua sorella? (Guignaut op. cit. p. 848, 849.); e Valentia, accennante alla gente Pelasgica, alla quale apparteneva Romolo , con cui il culto di Giove:, onde la pugna simboleggiata ne’ due gemelli, avvisante all’urto de’ due popoli, l'antico stan- ziante, e il sopravvenuto trionfatore. Ed ecco l'arcano forse del misterioso dire di Plutarco, tacente siffatti avve- nimenti. Ma più che tutto sembrami necessario il dire della lotta de due principî, de’ due culti, delle due gen- ti, che li difendono ciascuno alla sua volta ;. del pa- triziato , e della plebe , che figurano i primi e i se- condi venuti, che battagliano per preminenza di diritti, e di ciò che vi è di più caro al mondo, la religione, e la vita sociale , lotta sì ben simboleggiata dal sommo epico latino, gran conoscitore delle Italiche antichissime vicen- de, nelle due potenti Divinità Giunone , personificazione della patrizia, od eroica gente; e quindi il nome di Eros avuto da Roma; e Venere personificazione della plebea, la Dea da cui Valentia, forza, valore, onde la vittoria, e la venere victrix, che incatena il cielo e la terra, co- me si ha presso Varrone; perciocchè Venere si disse Nata salo suscepta solo , patre edita coelo, (10) (10) Poetae de coelo quod semen igneum cecidisse dicunt in mare ac natam e spumis venerem, coniunctio ignis et humoris quam habet vim significant esse Veneris, VARRO V. p., 24 Mutter. — 989 E dalla vittoria (411); chè il culto de’ primi abitatori non resta mai vinto del tutto dal nuovo sovrapposto, ap- paciamento, conciliazione , corona della vittoria e del trionfo, forse Roma, Amor, la pace, e l'unione de’ due popoli, delle due genti battaglianti , 1 quali av- venimenti , mistificati dalla casta più veggente, accorta, e pronta ad avvolger tutto, per essere padrona di tut- to, vennero rinchiusi in simbolici nomi, conosciuti da chi aveane solla chiave. Povero Sorano morto per aver discoperto il vero celato a ignare menti! Ma se per avventura, sembrasse poco plausibile. lo stanziamento di una gente di razza camitica sul Tevere, non dovrà d'altronde parere strana la riflessione , che la gente sicula avesse fra i primi coloni stanziato a Ro- ma, venendo dalle parti settentrionali dell’attuale Regno di Napoli, ed appartenente alla prodigiosa e moltiforme stirpe Pelasgica, trasnatante il mar superiore ( l'Adria- tico ), e che fossesi diffusa a poco a poco, incalzata da nuovi avventori, nelle parti montane appenniniche sino alle sponde dell’Albula Laziale (Tevere ). Ove unissi per affinità di religione, di costumi e di derivanza alla sabel- Tica la più portentosa, e prolifica Pelasgica , che sovrap- ponendosi nei colli di Roma ai siculi ivi dimoranti, diede esempio magnifico di grandi propagamenti di colonie, ed istituendo culti, con fefrica, e arcana religione stabili quello del Pico marzio ( Picquier martier delle Tavole Eugubine), il Giove-Marte; poichè il Suida (Lex. t. 1. p. 643.) vuole Giove l'istesso che Pico. Or de’ due popoli, (11) Zpsa victoria ab eo, quod superati vinciuntur . . . Tel- lus enim quod prima vincta Coelo, victoria ex co; idem ibid. SRI A it Siculo, adoratore delle ctonie Divinità, delle forze in- terne della natura , onde il serpente nell’oracolo di Pico a Tiora; e il Sabino delle celesti, sicchè Giove-Marte, ed il picchio lor simbolo solare , innestaronsi i due culti nel cielo Romano con prevalenza dell'elemento sabinico, come fece chiaro Virgilio con quel data Roma Sabinis. E tale elemento Sabinico tanto più dovea aver prevalenza in quanto che venendo da gente lesmofora, ieratica , guer- riera, e di genio cosmopolitico, uscita o dall’Iran, o dalla Sophene in Assiria, incivilendo la più parte de’ popoli, non escluso l’istesso Egitto, dominato da Camitica gen- te, introdusse pure in Roma un culto religioso severo , e consono alla casta sacerdotale , della quale Ange- rona, ola Divimtà eroica, la Giunone argiva, e Pe- lasgica era la consigliatrice; e poichè telrica, a fede degli storici, era la natura della profonda religione dei Sabini, anche profondo , ascoso, e misterioso il no- me di Roma assoggettata ad essi. E qui uopo è ricor- darsi, che Cere, Pelasgica , e sacra Città, avea ar- cano commercio con Roma; e questa, sacerdotale e guer- riera ; quella, depositaria delle più sante cose , finchè Roma fatta grande per le combinazioni delle due genti, cui più tardi si aggiunse altro elemento, l’Etrusco, pur Pelasgico ( Iannelli tentam. in Hetr. Inscript. ), assunse potenza , e fu aperto il significato del suo nome. Questa Roma, la cui derivanza Pelasgica ben nota , mettevala fin dalla sua prima origine nell’uniformità dei costumi e delle idee Pelasgo-Greche, e quindi della Maca- — 100 — donia (12), imitolla pur tanto ; 0 meglio altramente , gli Storici Romani conformaronsi nel dire delle Romane cose a tutto quello che sapesse di Greco. Roma, adunque, ricorderò nuovamente , ebbe i canti nazionali, i suoi eroici poemi. Dionisio d’Alicarnasso fa menzione di an- tiche poesie , parlando di Romolo e di Remo (13). Che altro che un poema eroico il ratto delle Sabine, il dramma di Curzio , e molti altri fino al famoso as- sedio di Vejo? intorno al quale conviene che rimandi il lettore al Niebhur. Tali cose poetiche vedonsi a capello miniate per letà di Alessandro, come ora ve- dremo. La poca critica degli storici Greci e Romani fidlando troppo ne’ canti entusiastici dell'uno e del- l’altro popolo , personificando troppo ; la religione di- ventò storia ; e questa romanzo; e tanto grande Ales- sandro ,-dice il Michelet, era parso, che ognuno correva a furia nell’ attribuire ad onore di singoli uomini, tutto che una sana critica avrebbe spiegato, mercè della per- sonificazione di un popolo ( St. Rom. lib. H* c. 6. ) Su questo sistema Greco-Romano , la favola di Net- tanebbo.,, la distruzione di Tebe, i giuochi di Corinto, i sogni di Alessandro, il viaggio alla palude Meotide; la spedizione Italiana ; la visita e descrizione delle (12) Enea, secondo Livio, pria che in Italia, recossi in Macedo- nia. Non è qui d'uopo riandare alle idee di differenza tra l’ er- ratico , o il mitico Eroe di tal nome ; personificazione di una certa. gente Pelasgica ; perchè per moderne discettazioni su tal personaggio, non è a dubitarsi, che l'Enea che recossi in Mace- donia sia il mitico , e il colonizzatore di moltissime Città del- l'Elliria, della Macedonia, di Italia, identico al fondatore delle — 101 — Amazzoni; il duello di Alessandro con Poro; il pianto del Bucefalo, e il suo risorgimento; l'uccisione che que- sto fa dell’avvelenatore del suo padrone ; che la fantasia di qualche Arabo Alessandrino foggiò a dilettanza de’ To- lomei, come Diocle di Peparete, Livio, Dionigi d'Alicarnasso per li Romani, non hanno che una mutua e troppo comune parentela.. Non già che io pre- tenda esser trascinato al più fiero scetticismo storico eon. Beaufort, e con tutta la schiera de’ critici dell’ in- certezza storica. delle epoche eroiche; ma son per- suaso ; che molto di milico , di favoloso e di poetico debbe riconoscersi in siffatte età e ne’ suoi racconti; e ben disse Plutarco nel parallelo di Romolo e Teseo « iam illud contingat nobis ut rationis ope purgata fabula sese submittat et historiae capiat imaginem». Tratto da questi riscontri al ravvicinamento di Ales- sandro e di Romolo , non debbo intieramente confon- dere le due età, e il grado di civiltà, de’ due popoli, su i quali i due Eroi imperarono ; perocchè è mestieri considerarli più specialmente nel genio fondatore di nuovi Imperi, di nuove Città, e vederli paragonati per Ales- sandria., e per Roma , e pel carattere loro. Pertanto nell’uno e nell'altro Eroe, e nella fondazione dell'una, e dell'altra, vi hanno tali convenienze, che non è fa- Colonie nell’agro latino. Vedi X/cusen Aeneas und die Penaten Corcia storia del Regno di Napoli, ed altri. (13) Il Zazicano serba ancora la memoria de’ vati col suo no- me, e de'padri Fauniti. Pico, Fauno, Carmenta, o Canente, rive- lansi troppo sotto questo aspetto poetico. Le diverse opere del nostro Vico riboccano di dottissime osservazioni su tal riguardo. — 102 — cile rinunziarvi; ed io cercherò rintracciarle alquanto mi- nutamente, prendendone il discorso da Alessandria, la quale ebbe pur nome di Roma, come hassi da Zoega (Numm. Aegypt. p. 1-2; e negli addend. p. 395), e co- me piùtardi avvenne per Costantinopoli. E tanta la sua eccellenza, secondo Vico ( stabilimento de’ principî ) , che come Atene, ’Asw, Urbs Roma, Alessandria ma- dre delle scienze, fu detta wedMs. Or siccome i miei ragionamenti riassumonsi nelle cre- denze religiose degli Egizî , e nelle lor vicende , balenate dallo Pseudo-Callistene in questi versi sul prodigioso so- gno di Alessandro in colloquio con Ammone, dicente : Haec tibi, rea, Phoebi lunatis cornibus edo: Nomen si pergas aewo celebrare perenni, Urbs tibi condenda est, qua stat Proteia tellus, Praesidet et Numen , cui Dite potentius ipso Vertice quinqueiugo rerum secreta gubernans. così ne traccerò un quadro, per quanto è a me Sig e ristretto. Dai citati versi, dai varî codici Greco-latini dello Pseudo-Callistene, da Strabone ed altri scrittori, può per avventura darsi delle spiegazioni, e delle diluci- dazioni intorno ad Alessandria , e concordare le diverse cose religiose ; cui rispondono le autorità sulle Divinità Egizie, e su i lor monumenti , e su i diversi popoli che abifiolio quel paese. È fot di dubbio, che diverse genti presero il dominio di Egitto: e fin più che da ogni altra, fu abitato dagli Etiopi, camitici e tro- gloditici. Alessandria , quando di essa non esisteva che la vecchia Racoti, corrispondente, se non m'in- — 103- ganno ‘con varî scrittori , al luogo ‘ché abbiamo detto Taposiri, in cui furono mandati ad abitare in tem- pi più antichi gl’indigeni per le insolenti pretensioni, come narra Strabone ( lib. XVII. ) de’ predatori Greci, che occuparono il suolo prossimo al mare dai naturali ce- duto, avea ricevuto pur essa i Camitici Etiopi, e le loro trogloditiche escavazioni; alche può alludere il mito del sepolcro di Osiride , indicante l'origine dell’architettura | Egiziana, nata nelle grotte sepolcrali. Oltre che, l’o- racolo di sopra menzionato ce ne fa fede per Proteo, Etiope secondo alcuni, ci è manifesto eziandio dai codici dello Pseudo-Callistene , ove leggesi il suo sepolcro rin- venuto in Faro (14), per lo quale Alessandro comandò la (14) L'espressione di Proteia Tellus neli’addotto oracolo dallo Pseudo-Callistene, rischiara l’incerta narrazione del viaggio del ter- zo rapitore ( Paride ) di Elena (vedi le annotazioni di Schewei- ghaeuser ad Erodoto lib. 1I. p. 222 e seg. ); e pare convincere, che il violatore dell'ospitalità Lacedemone avessela recata nel domi- nio di Proteo , che abitava in Faro d'Alessandria d'Egitto ( Tzetze hist. 44. chil. 2, ). Ivi approdando la nave, fu, la donna che recò tante angosce , ritenuta da Proteo , che a quel tempo regnava in Egitto qnal successore di Sesostri, o Ramesse il grande, apparte- nente alla XIX Dinastia Tebana, e vivente v. il 1280 av. G. C., per quanto le ultime cronologie han potuto rischiarare, se pure non appartenga, in tanta incertezza storica, ad una personifica- zione dell’arte trasformata, ed ai culti battaglianti in quel tem- po. Noi abbiam notato di sopra il culto ctonio di Proteo ; ed ora rincontriamo in Boccaccio la caverna di lui in Faro. Ma tutto quello che si ha da Erodoto, e da Diodoro, dopo Sesostri, dice Guigniaut ( op. cit. p. 786-787), pare mitico, e visi rinvengono racconti allegorici. È il tempo in cui le dinastie si cangiano, e si succedono; i Greci sono già in comunicanza con — 104 — ricostruzione di esso ,, riformandolo , e la somma venera- zione in che dovesse esser tenuto. Dippiù dall'aver avuto gli Egizî, cui allude forse il viaggio di Paride ed Elena ; ed è l'età delle piramidi , che sarebbero espressione di nuova specie di co- struzioni. Svolgendosi l’ Egitto dalla sua ristrettezza , appare la significante moltiplicità delle sue relazioni con l'Etiopia, con la Siria, e con quasi tutte le nazioni. L'aspetto suo fassi poligo- nale , e tutta questa età da Proteo sarebbe probabilmente simbo- leggiata. A questo Proteo sembra identico il Thouris vivente nel- l'an. del m. 4319; lo stesso che Polybus marito di Alcandra, ri- cordato da Omero nell'Odissea , presso cui rifagiossi Menelao con Elena, contemporaneo dell’Assedio dì Troia ( Chronograph. G. Syncell. p. 320 edit. Niebhur. ) Or chi non conosce quanto siasi scritto su tal personaggio, di cui avvene uno appartenente tritto alla favola? Bastami, seguendo il Licofrone ( Cassandra Cant. 1. v. 115 e segu.), e l’ Hoffmann ( Lexic. alla v. Proteus ) fare le seguenti riflessioni. Proteo, qual figlio di Nettuno, e marito di Torona, figlia di quel Dio, e dalla quale la Città di Torona in Macedonia; e come viaggiatore pervenuto in Tracia, ove ricorda le spedizioni e le re- lazioni di Sesostri il:grande , esprimerebbe il commercio marino , le arti di quell'epoca in Egitto, e la esistenza di un porto in Faro, ove fu poi Alessandria. L'abbandono che ivi fa de’ suoi figli Tmolo, e Telegono, per essere troppo crudeli verso i fo- restieri; l'impetrito ritorno in Egitto dal suo padre Nettuno per una via sottomarina , accennerebbero all’orrore per le crudeltà de' barbari non del tutto inciviliti ; alla navigazione ne' mari pro- ‘fondi, ed alla ricchezza di essa protetta da Nettuno, il mare. Inoltre i campi Flegrei in Tracia avvisarebbono alle guerre di reli- gioni e di culti delle vecchie e delle nuove genti; de’ figli della terra, e de’ Numi celesti; mentre la leggenda di Ercole uccisore de’ suoi figli, direbbe lo scopo de’ due personaggi d'incivilire i popoli, opera- to il quale si ritorna alla patria antica, donde è partita la civiltà. La sua giustizia infine antonomastica, la mitezza de’ costumi, l'imper- turbabilità, formano l'ideale di codesta epoca , e l'onore del vecchio suolo Alessandrino; epperò l'impegno di Alessandro di sugellare la — 1059 — Alessandria il suo Serapèo i in Racoti, e dall'aver sentito nello stesso Biografo, e in altri scrittori, come Aléssan- dria fosse tutta vuota al di sotto, e nel Serapeo l’im- magine del vecchio Serapide, son tratto alle seguenti riflessioni, la prima delle quali cade appunto su que- sta tanto parlata Divinità. Ora è a risapersi, ed è troppo noto, che i Tesmofori sacerdoti di Egitto non riconosces® sero che l’unità di Dio, da che troviamo la celebre iscri> zione « Io sono quello ch'è, fu, sarà »; e vien confirmato da Plutarco ; unità voluta da Porfirio, Proclo, Giambli- co; e da Aristide ( Orat. in Serapim t. I. p. 94 e-95. P. Stephani 1604 ) fatto chiarissimo. Passarono indi , per amalgamare il culto brutale del volgo (di questo, che avea pur esso due branche di credenti , dividendosi negl’ini- ziati, e non iniziati : i non iniziati adoravano il sole, gli astri ete, ;, mentre gl’ iniziati ai misteri riconosce- vano , che l'autore dellà natura avesse tratto il’ tutto dal.nulla ( Savary op, cit. p. 107. e seg.) , conser- vando qualche; parte; delle patriarcali {radizioni ,ed a- vendo avuto strette relazioni col popolo eletto, dal quale aveano potuto attingere alcuni principì di vero ), pas- sarono dico, alla riconoscenza della Triade negli attributi della unica Divinità, ma attributi fisici e di forze seconde , e che fu varia a piacimento delle genti dominatrici ; siechè prevalendo Tebe, famosa Città, prevalsero Iside Osiride ed Oro, ciascun Nume con proprì attributi , nella cui mistifi- cazione vedesi, direi, la Storia Egiziana. Ad essa venne memoria di questo vecchio Monarca , anche ideale, il quale avea in Macedonia arrecata la fiaccola dell’ incivilimento , e di ringiovanirne la forza nella nuova Faro presso Alessandria da lui fondata. ‘— 106 — dietro la Religione di.Serapide, il quale dapprima era in forma di Canobo , già famoso per la sua ctonia natura, simboleggiata dal vaso , del che avrò campo ricordare altre cose a suo luogo ; del pari che la po- tenza Inferna, come i citati versi, e gli altri molteplici monumenti , ed autorità assicurano ; quindi ingentilissi , e cominciollo , vorrei, non al tempo di Tolomeo; ma come ci rischiarano lo Pseudo-Callistene , ed altri scrit- tori di questo più accreditati , al tempo dello stesso Ales- sandro , anzi, siccome la pensa il Mai, innanzi Alessandro istesso. Ma ora, dimanderò, chi fosse questo Serapide che vedremo assistere Alessandro nella fondazione della Ciltà del suo nome? Il dottissimo Macrobio ce ne dà notizia ( Saturn. 1. 20) , riferendo l'oracolo seguente implorato da Nicocreonte Re di Cipro, per conoscere della sua natura diuì Ye0s roios de padeîy , oÎ " tyd ciro Oupdyios ndopos uepadii, yuotip dé Saddacca Taio dé por wédes esi, rà T dat by arrepi uoîrat Oppd re tmhavyes Aaparpdy quos riedioto cioè «Io vi dirò qual Dio sono: date ascolto. La volta de’ cieli è la mia testa, mio ventre il mare: i miei piedi sono la terra ; le orecchie. nelle regioni dell’etere, l'occhio mio è la splendida face del sole, che brilla da lungi». E meglio al mio proposito fa buon viso dell’istesso Macro- bio poco innanzi citato, quant'altro soggiunge , e che tra- scrivo « Eidem Aegypto adjacens civitas, quae conditorem » Alexandrùm Macedonem gloriatur, Sarapin atque Isin » cultu paene attonitae venerationis observat : omnem » tamen illam venerationem Soli ( abbiam visto nomate == EEE ro —=—<*>r-è | i. .. i ....- a i: i i De a ì È 3 de -. x — 107 — » il Sole nell’oracolo nello Pseudo-Callistene ) se sub » illius nomine testatur impendere, vel dum calathum » capiti ejus infingunt , vel dum simulacro signum tri- ». cipilis animantis adjungunt ; quod exprimit medio eo- » dem maximo capite Leonis efligiem dextera parte ca- » put canis exoritur mansueta specie blandienlis; pars » vero laeva cervicis rapacis lupi capite finitur; easque » formas animalium draco connectit volumine suo ca- » pite redeunte ad dei dexteram qua sala mon- » strum » (Saturnal. 1. 20 in fine). Qual prò adunque da siffatte cose? Il trovare dep: prima, che Alessandro fondando Alessandria riconosce le Divinità dell'Egitto , e le modifica nel senso greco , co- m'erasi fatto dagli altri stranieri anteriori a lui ; ne scen- de poi luniformità del racconto dell'unico forse e mi- glior narratore delle cose del Macedone in Alessandria, lo Pseudo-Callistene, o chi in suo nome. Siegue inol- tre, che il modo com'è descritto Serapide da Macrobio, dà ragione delle diverse dominazioni anche della terra Alessandrina, dell’arte di costruire, e della sua diversità. Intanto per Proteo, la dominazione di Etiopia, e le co- struzioni sotterranee, e il Serapide Infero, Ctonio, onde il Serpente terribile nascosto, che sorte al comin- ciarsi la costruzione di Alessandria. Osservo il passaggio alle costruzioni a cielo aperto , e al culto celeste, nella rie- dificazione del Sepolcro di Proteo per ordine di Alessandro, nella venerazione, e dedicazione al Dio sole, come dal det- to oracolo, e dalla narrazione della visione di Alessandro istesso de’ cinque colli, uno de’ quali detto del Sole. Da ciò il manifesto modo è far Vistere, che il gusto, cl ge- 14 — nt nio camitico, e trogloditico finiva, per dar luogo al nuovo tempio, del quale è discorso nei vari codici dello Pseudo- Callistene ripetuto. La menzione delle dodici regioni no- minate nello stesso , assumerebbe l’idea de’ 12 se- gni del zodiaco, epperò avviserebbero al culto solare, di cui Serapide, il novello Dio succeduto all’invec- chiato Canopo, edall'Osiride già morto, è il tipo, come abbiam osservato con Macrobio. Alessandro adùn- que porta un cangiamento su ciò nella Religione Egi- zia; e Giove e Giunone compariscono non più alla vec- chia maniera. Giunone non è più la compagna del Plu- tone Infernale, ( Goulianoff Arch. Egiz. t. III. p. 279.) ma del Serapide-Giove; lo stesso che Giove Ammone, il Supremo Dio della Luce. Ma innanzi che io renda qualche spiegazione del Drago apparso, nel- la fondazione d'Alessandria, e della sua convenienza con Serapide ,’ Giove, Ammone , voglio redire al simulacro di Serapide, quale c'è stato dipinto da Macrobio te- stè riportato, per trarmi a probabili applicazioni per Ales- sandria. Or bene, il mostro associato alla statua di quel Nu- me, essendo simbolo di tre culti di lui riconosciuti, ed avendo una testa di Leone , da questo segno ricono- scesi il nome di Alessandria, detta, come si è osservato, Leontopoli, nè altramente il suggello, onde Olimpia ebbe segnato il suo ventre, può essere svolto dal suo mito, se non riattaccando il culto di Serapide, il Dio | Forte, ad Alessandro, da cui Alessandria, e da Licofrone | detto Leon Tesproto. Il Leone, secondo Macrobio, indica la forza del tempo presente ; e la forza quindi , e la — 109 — stabilità del dominio d’Alessandro. Egli fonda un in- pero con Alessandria; quia conditio epjus , lo stesso Macrobio , inter praeteritum futurumque actu prae-- senti valida fervensque ‘est; cui cede il passato, ch'è simboleggiato dal lupo rapace , che tutto cancella. e manda ad oblio ; cioè l'antico culto Etiopico ctonio; men- tre la testa del cane , blandientis effigies , futuri tem- poris designat eventum. Vedremo le dotte osserva- zioni del Creuzer a suo luogo intorno a Diogene ed Alessandro , lieti riguardantisi quali supero, ed infero Nume, Serapide; ed al cane che va associato al dolio, entro il quale era allogato Diogene, come (tonio Dio; mentre al di fuori, Alessandro è in atto di percorrere tutta la terra quall’altro Dioniso. Epperò il novello culto, e il suo solare significato e pel leone , e pel cane , ve- donsi in Alessandria introdotti, rigettato l'antico pel lupo. E quasi che volesse dimostrarsi , che lo Ctonio Nume è caduto nell'oblio nella botte di Diogene, vedesi il cane al di sopra di essa, come a spiare il futuro. Che viene pur confermato dallo stesso Macrobio dicendo del calato su la testa di Serapide, il quale avvisa ad un culto celeste, più puro, scopo certamente di Alessandro pieno delle idee di Platone, di Aristotele, volgenti a derisione le molti- plici, ed infinite varietà degli Dei, dal che tanta influenza nel reggimento de’ popoli. Ora faccio ritorno al Serpente. Alessandria veniva designata alla confluenza del Nilo vicino al Libico , ed al Mediterraneo mare, e nella idea di sorger fertile di commercio e di abbondanza. Il mitico racconto pertanto del Serpente apparso , ci fa sovvenire quanto scrisse Iablonski sul’Agatodemone, — 110 — o Cneph, 0 Cnouph, che valgono secondo lui buon genio, e buon Dio, adombranti alla fertilezza. Anzi secondo Eusebio ( Praepar: Evang. p. 42. ), i ser- penti Deorum marximos esse, rerumque omnium prin- cipes et moderatores (15). Il Nilo, immagine sensi- bile di Ammone-Cnouph, portava ne miti il nome di Agatodemone, identico a quello di Cnouph (16), il Deus effundens di Champollion. E secondo Orap ollo, e Giamblico, il Serpente simboleggiava l'Onnipotente di questo Mondo, perchè apud ipsos ( Aegyptios ) totum mundum permeans est spiritus. Inoltre per le idee di Champollion, Cnèph, Cnuph, Cnub, Chnumi, Am- mone-Cnuf , Ammone-Cnub , Vl essere increato , l'ani- (15) Il luogo dello Pseudo-Callistene ( greco ) lib. 1. c. XXXII. Cod. A. p. 35 Didot. ) nat Tn Aaédyres entrporiv mapaye- vopivov ov Onpòs natà fis viv'uadovpiyns Zitodis , cioè luque nuviler fuclun Uppressusgue co dci CS0 «i0CO, UO NUNC Sroam cocant; rende più chiaro quello di Euseb:0, al che cor- risponde quel che dice il Letronne, intorno alla parola Srorgetoy, Ja quale significa nel senso radicale , principio costitutrvo delle cose , parola che Piatone il primo prese nel senso filosofico di elemento naturale (la terra, l'aria , il fuoco, e l'acqua) nel So- fista, e nel Teeleto, con l'accezione generiea dell'elemento co- stitutivo di qualsiasi cosa — Anche Luciano, Amor. p. 887 l'in- îese nello stesso modo , come pure Empedocle presso Plutarco de placitis Philosoph. 878. Orapollo { I., I. ) nello stesso senso pur l'adopera parlando del fempo simboleggiato dal So/e, e dalla Luna, immagini dell’ eternità, supremo principio, ed elemento delle cose, di cui è geroglifico il Serpente, che secondo Boe- zio, è il Tempo infinito. Importante adunque è il luogo dello Pseu- do-Callistene, riportandoci alla scienza degli Egiztî, abbastanza oscura, ed arcana. (16) Goulianotf 3.me Parlie p. 342. — lil- ma universale ; il Jovis omnia plena di Platone rap- presentato simbolicamente sotto la forma di Serpente, è l’Agatodemone. Laonde tolgo per migliori rav- vicinamenti con quel che abbiamo osservato sul cam» biamento nella religione Alessandrina , quel che ha osservato il Goulianoff intorno a Giove e Giunone ; i quali (op. cit. III. part. 266 ) suonano Etere, identici ad Ammone Chnoub , ad Ammone-Hnef , lo Zeus de’ Greci, il Giove de Romani; e Giunone la Sati Egizia (17), tutti immagini e figli del Sole. Insomma tutte per- sonificazioni di esso, il gran Demiurgo degli Egi- zi (18). E poichè il Sole compie i suoi giri, levan- (17) Guigniaut not, du liv. 3.me p. 889. de la Symbolique— L'istessa. che esta era la Neith, o /'efere superiore ( anouke in Egizio ) secendo Goerres. (18) Goulianoff op. cit. T. 3.me p. 318; Confr. Savary (op.cit.), il quale espone il sistema teologico Egiziano in un modo abbastanza chiaro , riducendo ad un principio la loro religione, cioè a Phtà, in Cofto, ordinatore del caos, o Athor , il principio passivo, giusta Iablonski (lib. 1. ), Wenere, l'Amore; il primo cioè Phtà, detto Vulcano dai Greci ; il perchè Alessandro disse Vulcano il primo e sommo nume degli Egizî, scrivendo ad Olimpia. ( vedi Arnobio, S. Cipriano, e le difese di questo sul conto della lettera in Baluzio). Il quale come potenza attiva esplicandosi con saviezza con ecce/- lenza; ne vennero la Neith, e Chnef, rappresentato dal serpente. In Egitto adunque un principio, quando non voglia ammettersi quel fatale dualismo, proprio degli orientali sviati dalle prime rive- lazioni ; dappoi più sviate dal riconoscere non più il principio , ma le conseguenze di esso; e specialmente nel sole, nel vario suo e diutnrno apparimento e nascondimento, ende nel secondo ciclo, Osiripe, che dissesi AmeNFI; NiLo; SERAPIDE, e questo celeste o inferno, e Crono 0 CANOPO MISURATORE DEL TEMPO ai quali è conveniente l'emblema del Serpente il quale significava il tem- —— 112 —- dosi ed occultandosi, le sue personificazioni , fra le quali ancor quelle di Bacco, ed Osiride, doveano fingere, e rispondere miticamente a questo moto diuturno e be- nefico. Ma noi abbiam veduto per l’autorità di sopra stabilita, che Serapide è il Sole, e Serapide lo stesso Nume Ctonio , e Supero ad un tempo, a se- conda dei culti, od ombratici Etiopici, o celesti de’ Tesmo- fori Giapetico-Semitici, identico pertanto al Giove som- mo, ad Osiride, a Bacco ete. e però identico a Chnef, CGnuf ete. degli Egizi, e questi simboleggiati dal Ser- pente ; quindi il gran Serpente chiamato Agatodemo- ne, sorto al cominciarsi della costruzione di Alessan- dria, era Serapide, che vedeva di mal incuore una nuova dominazione ; ossia il vecchio e il nuovo culto lot- tanti, mentre se credasi agli argomenti del Goulianoff, Serapide, Canobo, ed Osiride non sono che un sol per- sonaggio e tutte Divinità benefattrici, e significanti tu- tela (49), ed identificate a Pluto n e; la qual cosa mette po , ma indivisibile, ed immutabile; e significava vita, Divinità, eternità , quindi il principio delle cose, che si è veduto stabilito» in Cneph, Giove-Ammone ( Guigniant p. 952. ). (19) « Nous devons rappeler maintenant que chez les Egyptiens. Osiris, Serapis et Canobe etaient un seul et mème personnage, et que l'antiquité les identifiait avec P/uton des grecs.(Arch. Egypt. 2. part. 329-330). Ampiamente vedonsi trattate siffatte cose nella Simbolica di Creuzer e Guigniaut. vedi p. 818, 819 t. 1. par. HI. E sopra tutto credo consultablle Cannegieter (de gemma ‘Bentinckiana ), secondo il quale, il Serapide Egizio è l'arbitro, e il Governatore del cielo, della terra, e degl’inferi; il Giove Som- mo, non volgare; il Dio del passato, del presente e del futuro. E parmi faccia molto a proposito l'Oracolo di Apollo ; cioè Se- ropis unus Jupiter, unus Pluto, unus Sol, Im, Ibid. — 13—- più in chiaro l'identità de’ personaggi, variamente intesi,’ secondo le genti da cui erano venerati. Ecco, come po- tremo trovare eziandio una esplicazione del detto Ser- pente Agatodemone , e del tempio in cui il simulacro di Serapide, con la donna veneranda, cioè la Sati Egizia, che viene dal Sit, o Sati equivalente di Ser- pente, figlia del Sole, come abbiam visto, dacchè Satè , è splendere, flammeus esse , splendor, flam- ma, ignis ( Goulianofî p. 279 op. cit. t. 2. ). Ecco puranche perchè troviamo rammentati vicino al simula- ero di Serapide gli obelischi , che stabiliscono l'identità di questo Nume con Ammone il Giove-Sole degli Egizii, essendo essi ( Tablonski Proleg. al Panth. p. 81. ) con- sacrati al Sole. Ed ecco infine come sarebbe spiegato il simulacro di Serapide in un tempio , che dissero gli ‘ abitatori del luogo, per tradizione ricevuta, appartenere a Giove e Giunone (20). Or venendo a Racoti; ivi era il Tempio di Sera- pide e d’'Iside ( Tacito Hist. IV. c. 84 ), ove dappoi fu collocato il simulacro di Serapide Pontico, pel quale fu bisogno d’interpreti e conoscitori religiosi per sapere della natura del nume, che era incerta ; che Tolomeo, o.per voluto sogno o per quella scaltrezza, onde ado- perasi la politica , avea fatto venir di Sinope , come dal detto Tacito al luogo citato. Che il nume, di Si- nope fosse l’istesso che il Serapide adorato a Racoti, e da Clemente Alessandrino , e da Plutarco, e da Ta- cito, e da quasi tutti gli scrittori, è facile il conoscerlo; (20) Vedi G. Valerio lib. 1. XXXI. Mai, e Pseudo Callistene greco , e lat. del Didot. — 114 del pari che la Dea che a quello vicina osservasi , la Giunone , 0 Iside, che abbiam visto suora di Plu- tone ; la Proserpina de’ Greci. Forse innanzi che Alessandro avesse ampliata, e ren- duta migliore la più bella Città del mondo , come os- serva Ammiano Marcellino , Alessandria esisteva, sotto altro nome ; e spartita a seconda delle denominazioni di contrade e di luoghi che leggiamo nelle sue descri- zioni (21): e sembrami convincentissima la testimonianza di Pausania. ( lib. IV. 21.) Alexandria nequidem in Canopico Nili ostio Alexander Philippi filius condi- dit: fuisse tamen et ante non magnum eodem in loco Aegyptiorum oppidum Rhacotin, memoriae prodi- tum est. Non potrebbe per avventura Racoti ricordare il Rathotis, o Athoris della XVIII dinastia , secondo Manetone , cioè il famoso Busiride de’ miti Greci, co- me dalla celebre iscrizione di. Abido, in cui apparisce Rathotis fratello di Ramsé I; da cui fosse stata fon- data? Il Leggitore abbia . di questa congettura quel conto che più gli piaccia. Pare altresì chiarissimo, che la parte di Alecgesidrià chiamata Rhacotis, fosse la più antica, anzi come ho notato con Giasone Argivo ( Fragm. hist. Graec. rer. Alex. Mag. Didot. ) Alessandria fu chiamata anche Rha- cotis, come vien confermato da Strabone nel luogo riportato, e da quello di Pausania. Pure il Langlés (21) Strab. lib. XVII. Ionson. Ecco quel che dice « atque iis, ( Graecis ) habitandam dederunt eam, quae Ruacotis appellaba- tur, ea nunc Alessandriae pars est, navalibus imminens ; tune vicus erat. » — 115 — dice aver esistito questa istessa Città sotto il nome:di Racoudah, molto prima dell'arrivo dei Greci, i qua- li non fecero che mutarne il nome in quello di Rha- cotis; della quale cosa danno maggior convincimento le catacombe, di cui è parola ne’ codici dello Pseudo- Callistene , sotto il nome di Cloache ; ed Irzio ( de bell. Alex. c. V.) dice « Alexandria est fere tota sul- fossa, specusque habet etc. ». Le istesse cose riferisce Clarke , Travels ; vol II; p. 179, 285 presso Gui- gniaut note al 3. libro della simbolica p. 766; e il dotto annotatore vuole edificata Alessandria su le ruine di Rakotis, rammentando quello che ho detto su Parchi- tettura Egizia ritraentesi all’Etzopica. Alle quali idee può essere riattaccata pur quella di Taposiri, che ho ve- duto essere spettante al luogo Racoti, che additando a Sepolcro, 0-Città di Osiride, secondo osserva Gui- gniaut, riattacca l'origine dell’architettura Egiziana alle costruzioni sepolcrali, interne non disgiunta dalle più tetre ed orrorose rimembranze (22); e conferma i pri- (22) E ormai conosciuto, quale idea si avessero formati i Gia- petici, secondi abitatori forse dopo i Camitici, dei luoghi da co- testi colonizzati , di tal gente segnata dell’ anatema del secondo padre della specie umana. La loro fantasia vivissima , dipinse la camitica gente quai mostri pel nero che contrassegnavala tutta, sicchè l'Africa nordica divenne il seggio di tetre ed orribili ma- ‘ raviglie, e sulle foci del Nilo a Damiata , e vicino Eroopoli, due mostri infestavano i passeggieri. Ondeche siffatti luoghi pas- sarono in rinomanza trislissima , e diventarono regioni di morte, di Ombre, d'inferno , ove la religione de' nuovi Coloni Egiziani rinserrarono le ricordanze di una gente primitiva, contrassegnata del culto satanico ; ec la religione de’ vinti simboleggiarono col Iò — 116— mitivi edifici trogloditici, e la natura cionia delle co- struzioni e delle religioni specialmente Egizie; epperò quella specchiata di Serapide. Ma se riuniscansi e si con- ciliino il luogo del detto Strabone, di cui abbiam dato un cenno più sopra (23), e l’altro del medesimo scrittore, ove leggesi degli abitatori di Alessandria » nam quan- quam permixti homines essent, ab antiquo tamen Graeci erant, et communis Graecorum consuetudinis haud im- memores ) ( lib. XVII. ), verrà confermato ciò non solo, ma ci porterà a considerare ed osservare varì fatti rela- tivi ad Alessandria ed alla sua antichissima esistenza sotto il nome di Racoti, seguendo anche il D' anvil- le, a Nettanebo II. , di cui vediamo la stretta rela- zione con Alessandro ; ed alle narrazioni storiche in- «torno ai Greci in relazione di commercio con la ricca terra d'Egitto, ed al loro antico impiantamento su quel suolo felice. Circa il 650 av. G. C. la casta de’ guerrieri oppres- sa da’ Sacerdoti Egizii, favoriti dalle armi straniere ( Gui- Serpente che allude a spodestate religioni, e a Divinità cacciata nell Inferno , come pur vedesi nell’oracolo di Tiora. Nè troverei difficoltà a riconoscere la convenienza di tali idee con le memo- rie di Racoti, o Rocoudah , ove tutto converge ad esse e pel Serpente mentovato , e per la religione di Serapide , e per le terribili apparizioni. (23) « Primi quidem Aegyptiorum reges iis contenti quae habe- » bant, nec valde accersitis aliunde rebus indigentes, ab omnibus » navigantibus accusabantur, praesertim a Graecis ( depopulatores » enim erant, et alieni appetentes ) propter soli tenvitatem huic lo- » co custodiam dederunt eam, quae A#acotis appellabatur, ea nunc » Alexandriae pars est, navalibus imminens, tunc vicus erat, quae — 117— gniaut notes du livre 3. de la symbolique de Creuzer p. 189) dà luogo all’anarchia ; quando Psammetico, vinci- » vero vico proxima erant, bubulcis tradidere , qui etiam eter- » nos arcerent. » Lib. XVII. Jablonslkî ( Opusc. Voces Aegy- » ptiacae ap. Script. vet. T. I. p. 226 Lugd. Batav. annot. » \Vater 1804. ), afforza il mio dire con queste parole. « Diu » igitur ante nota erat Afuacotis , quam conderetur A/erandria; » cujus deinde veluti suburbium fiebat. Nomen esse vere Aegy- ‘ » ptiacum , vel ex eo patet, quod interpres N. T. Coptus, a. » Wilkinsio editas, in locis omnibus , ubi fit mentio A4/exran- » driae, et Alexandrinorum, nobis conservaverint nomen anti- » quum , Rakoti, Act. VI. 9, XVIII 24, XXVII. 6. etc. » Quod etiam locum habet in libris Coptorum recentiorum Ec- » clesiasticis ( Exempla alia sunt apud Mingarellium p. CLI. Ra- » liqu. Codd. Aegypt. etc. ) Im Epistola Systatica , quam edidit » Boniourius in monumentis Copticis, appellatur Alexandria (p. » 12) magna urbs Rhacotis. » Cîr. Panth. Aegypt. lib. IL cap. 5. $. 4. Mi uniformo a quanto questo scrittore si è av- visato intorno all’ opinione da non doversi seguire di varî , che han creduto No-Ammon essere Alessandria ( Remphah. Ae- gypt. Deus t. II. p. 20-21 ; t. I. p. 163 e segu. , ediz. cita- ta). Non posso pertanto non far notare l'importanza del luogo, da poi occupato da Alessandria, da quel che ho riferito. Al che , se riattacchisi il mito di Proteo; quanto ho esposto in- torno a Faro; quanto il Iablonski ha osservato e per R: e m- plùalr, i Re del Cielo 0 il Sole degli Egizi, epperò / anno magno (p. 71.), e per Remphis (p. 231 t. II. ), figlio di Pro- teo ( Diod. Sicul. lib. 1. cap. 62 ), e Re degli Egizi, che può essere ravvicinato al Zemphauh nominato , il Dio della Zuce , o l'Ammone, onde vedremmo confirmati i titoli de Faraoni , che li usurpavano ( v. Goulianoff. op. cit. , ed altri ) dagli Iddii, di cui credevansi discesi ; troveremmo nel vecchio suolo di Alessandria la sede de’ grandi Re civilizzatori d’ Egitto, il culto del Sole ;, e ciò riannoderebbesi con Serapide , con O;i- ride, con Ammone, e con Canopo, da non mettersi fra i — 118— tore della Dodecarchia ( Herod. I. 454-454, Diodor.I., 66. ), trasferendo la sede Reale a Sais nel Delta , portò colpo terribile all'antico reggimento dell'Egitto , appoggiato specialmente alle Greche soldatesche merce- narie, alle quali abbandonandosi, diede ad esse in ma- no tutto il commercio del paese. A ciò tenne dietro un’emi- gramento di 240 mila uomini con le proprie famiglie , re- candosi in Etiopia, qual nuova pairia. Nel quale fatto vorrei vedere più che un’andata , un ritorno alla prima stanza degli Egizii (24) ( lunga ed astrusa quistione agitata tra i moderni, dopo Heeren, che aveala di- fesa, e. che ricorda la processione degli Egizii ad Am- mone, di cui Diodoro , e il mitico viaggio del Giove Omerico nell’Etiopia. Hiad. I. 423. ). Dappoi Amasi, o Amost, capitano di ventura, careggiò i Sacerdoti, non dimenticando i Greci, ormai unico appoggio dell'Egitto, dando a questi preziosi alleati un'esistenza politica (Gui- gniaut loc. cit. ; p. 794. Savary Lettres sur l’Egypte Tom. I. p. 62.), permettendo che si stabilissero a Nawu- soggetti Greci, ma come Nume benefattore, e tutelare , nel cui vaso funerario depositando gli Egizî le viscere , significar vole- vano il deposito delle loro iniquità in seno di questa Divinità Infernale , che dovea rimetterle ( Goulianoff. ap. cit. t. II. p. 330 e seg. ); ed alla quale, secondo Porfirio ( de abstinent. IV., 10), erano le viscere de’ defunti consacrate. Quindi penso do- versi rigettare l'opinione -di coloro che credono, Cazopo un limo- niere di Menelao ; e nel suo sepolcro nella terra Alessandrina vedo sempre le -rimembranze dell'antico culto tellurico , ctonio degli Egizii, e di una prima gente Camitica. (24) Guigniaut Notes du livr. 3. me de la Symboliqu. de Creu- zer p. 795. — 119- crati sul ramo Canopico del Nilo, edificasser'tempî , e si governassero con proprie leggi, al che allude il primo luogo addotto di Strabone (Herod. IT, 178. — 180. Humboldt vol. IL. p. 165.). Nel qual tempo verso la. metà del V. secolo a. G. C. , accadde altra emigra- zione Egiziana pur nella suddescritta direzione dell’Etio-. pia, che sembra maggiormente comprovare il ritorno alle antiche sedi Egiziane , come a rifugio nella madre patria (25). Ma il privilegio accordato ai Greci, e il loro soccorso non valsero a liberar l'Egitto. dall’ inva- sione di Cambise sotto Psammeccherite ( Herodot. III, 10, e segu. Gronov.; Diodor. I. 69.). Indi il trono de'Fa- raoni avuto un momento di aura favorevole sotto Amirleo di Sais nel 414 fino al 349, fu rovesciato da Artaserse Oco. sotto Nettanebbo II, che noi abbiam veduto ri- fugiato in Grecia, dove le relazioni preesistenti per l'amicizia regnata , facevangli trovare un’asilo , finchè non surse Alessandro a scatenar l Egitto dalla dipen- denza Persiana. Il quale principe (Savary op. cit. t. IL p. 66 ) di un carattere, e di un genio elevato, impa- rava combattendo contro la Grecia, l’arte di vincere tut- ti popoli del mondo; e conquistando l'Egitto, nol fece per distruggerlo , ma per assicurarsi di esso, ricono- (25) Sembra che un luogo di Eiiodoro ( Aethiopicor. lib. IX p. 320, Mitscherlich Bipont. ) faccia buon viso all’ opinione delle. origini Egizie dall'Etiopia, dicendo « atqui non Aegyptiae sunt hae tam graves , dixit Hydaspes, sed Aethiopicae narrationes. Cete- rum cum fluvium hune , seu vestra opinione Deum, et omnium fluviorum cumulum, Aethiopum terra ad vos deducat, merito a vobis coli debet, quae vobis Deorum mater existat ». — 120 — scendone l’importanza fondandovi una gran Città, circon- data di tre porti, capaci di ricevere le flotte della Gre- cia, e le mercanzie di tutte le nazioni; tracciando egli stesso un piano di commercio , che dovea ligare in- sieme le membra disperse de’vasti suoi stati; lasciando intatte all'Egitto le leggi del paese. Ora il dettar leggi di commercio , primo elemento di prosperità per le na- zioni , smentisce le accuse di coloro che dicono, non aver nulla lasciato di ciò che sapesse di norma legi- slativa; chè il dettar leggi savie e prosperose di com- mercî , non è lieve cosa, nè piccolo monumento per un gran Re; nè possono accordarsi savie leggi com- merciali senza un principio di leggi amministrative, eco- nomiche, e civili. Quindi posso conchiudere ora quasi fissamente, che Alessandria innanzi di essere ampliata , era esistente, e la Grecia avea in Racoti esercitata la sua influenza politica, e commerciale ; e in tal modo sono concor- date le autorità de’ classici scrittori massime quella di Tacito al quarto libro della sua storia, checchè siasi detto dal Bochart ( Hierozoicon lib. II. c. XXXIV. , Londini 1663. ). Or seguendo Arriano e Plutarco , Alessandria venne disegnata e fondata innanzi che Alessandro fosse ito a consultare l'oracolo di Giove Ammone. Curzio però, Giu- stino, Diodoro, vi si potendo aggiungere lo Pseudo-Calli- stene, vogliono dopo il ritorno da quello, nella 112.2. Olimpiade (334 — 32 A. G. C. ). Secondo il detto Ar- riano, Alessandria fu edificata nel luogo nomato Mare o- tide; mentre Plutarco la vuole nell'Isola appellata P h a- mr AQ i ro, per sogno avuto (Vit. Alex. c. 49 ). E Plinio dice: Sed iure laudetur in litore Aegypti maris Alecandria condita in Africae parte ab ostio Canopico XII. M. pas- suum quxta Mareotim lacum, qui locus antea R h a- cotes nominabatur. Metatus est cam Dinochares Ar- chitectus pluribus modis memorabili ingenio, XV. M. passuum laxitate insessa , ad effigiem Macedoniae cla- mydis orbe gyrato laciniosam, dextra laevaque pro cursu, iam tum tamen quinta situs parte regiae dicata. (Plin. H. N., lib: V. GC. X. S. II. $ 62 p. 336. Sillig). Alessandro chiama i primi artisti del suo tempo per disegnar la Città più celebre del suo nome (26). Per essa ,.ad onta che gli scrittori siano discrepanti su la sua ampiezza ed estensione , non son punto sconvenienti nessuno sulla figura di Clamide Macedone. (27) (26) Alessandria fu costruita sul disegno dell’architetto Dino- care (v.il Plinio del Sig ), il cui potente genio poteva rispon- dere allo spirito intraprendente d’Alessandro. Arriano vuole che l’istesso Alessandro l'avesse disegnata. (lib. 3. al principio), In- fatti nella Coppa preziosa del R. M. Borbonico interpretata dal- l'Iannelli, il Macedone apparisce in atto di farlo, a seconda delle narrazioni , specialmente di Diodoro. Però convien ciò ritenere fino ad un certo punto, non potendosi mettere in dubbio l'opera di Dinocare, non solo, ma di Stasicrate , il famoso progettatore del monte Athos ; di Cleomene di Naucrati ( Iust. XIII. 4. ) e la sorveglianza di Olintio, di Cratere, e de' figli di Libios, Heron ed Epithermos ? (27) Oltre l'addotto Plinio, Strabone, e Macrobio — Su la sua ampiezza, mi atterrò ad Adriano Balbi , che nella sua geo- grafia facendone bella descrizione, dopo averne posta l'antica po- sizione in quello spazio di terra tra il Zago marcotide, e il mare, la vuole di 96 stadii di circonferenza. = 122 — Seguendo l’opinione , ed il racconto che ci è venuto dai codici dello Pseudo-Callistene , Alessandro , approda al luogo detto Taposiri, ossia Sepolero di Osiride, luogo da lui prescelto , specialmente dopo il riportato colloquio con Ammone ( I.Valer., Alex.Ort.I. p.24 Mai). Si è visto, e vedremo nel corso di queste nostre osserva- zioni, quanta venerazione si avessero gli Egizì per Osi- ride trasmutata in Serapide , simbolo del suo dipartirsi e del rinchiudersi nel cavo del Bue Api, non men famoso. Alessandro, come da Diodoro Siculo, e da’ detti codici greco e latino dello Pseudo-Callistene, da Curzio, Stra- bone, Arriano , adopera per disegnare la nuova città polvere e farina. Il racconto de’ volatili di varia specie, ed anche stranieri nel mangiar dell'ultima, e la disper- sione perciò de’ segni stabiliti, il chiamarsi i conosci- tori di simili prodigì, meriterebbero le risa di uno storico critico e razionale ; ma nella mitica ragione , tutta la considerazione; essendo che la divinazione erasi impadronita della religione primitiva. Alessandro nel più eminente de’ colli, di cui ho già parlato, fece costruire un’ ara al Sommo Nume , che secondo le autorità prodotte, era Serapide (28), cui di- resse questa preghiera , dopo il sacrificio : Quisquis tu Dem rex es praestare diceris Huic terrae, mundumque istum interminem regis (28) .Serapide l' istesso che Giove , come si è visto. Aristid. (.orat. de Serap. ) dice « Illi sane qui magnam urbem ad Aegy- ptum incolunt, hune ( Serapiz ) etiam solum pro Iove invocant, quod nulla destituatur facultate, quin omnia pervadat ac repleat». Abbiamo parlato pure avanti della opinione di Macrobio. — 123— Recipias quaeso sacrum hoc, litantique mihi Auxilio fias rebus patis et bellivis. Ora il volo quivi di un aquila (29), straordinariamente grande, che cacciandosi ne:le mani d’Ale ssandro, ne invola le interiora, deponendole in un luogo lontano dall’ara; e il posarsi là ; l’andarvi il Macedone frettolosamente , e il riconoscere le viscere che il sacro uccello vi avea tra- sportate (30) ; il veder quivi un tempio di religiosa grandezza, dal tempo consunto , e nel suo interno un simulacro formato di una certa materia , sedente , e quale niuna intelligenza umana potea conoscere, avendo a sè d'appresso l’efligie di una giovane , ma veneranda (29) Iul. Valer. Alexandr. Ort. I. p. 40, Mai. (30) Il nostro grande Vico nello stabilimento de’ principî della scienza nuova, non lasciando far intravvedere la doria degli Egi- zii nell'assegnare al loro Giove Ammone la primazia sopra tatti gli Dei del mondo , dice , che diedersi ad una spezie di divina- zione d'indovinar l'avvenire da’ tuoni , e da’ fulmini , e da voli delle aquile, che credevano essere uccelli di Giove. Alessandro adun- que la fa da uomo che venera e rispetta gli usi e i costumi del popolo Egiziano ; da Re e Sacerdote. Imperocchè , i Sacerdoti ( Guigniaut op. cit. pag. 775.) per un’abile transazione, aveano stabilito, che dal momento in cui un guerriero era designato pel trono , faceva parte di loro , era consacrato , iniziato come Sa- cerdote , ed entrava nella comunanza de’ privilegî , de’ lumi, dei doveri e de' dritti. Da principio i Re erano scelti nella casta Sa- cerdotale ; differenza che fa notare il passaggio dalla Teocrazia, alla casta guerriera , passaggio avvenuto, dopo Osiride ed Oro, ultimi regi divini, inseguito di cui, i Faraoni. Ora Alessandro riassumeva i diritti di Neflanebbo , spossessato dai Persiani, e Nettanebbo l’abbiam visto instrutto nelle discipline arcane, e teo- logico-astronomiche. 16 — 124 donna e bella, che io credo essere la Sati Egizia, da quel che ho riferito, ossia la Giunone da essi pur an- tichissimamente venerata, e pur identica ad /side ( vedi Guigniaut note al terzo libro della Simbolica ) , è certo un mitico racconto dello Pseudo-Callistene , il quale ricorda pur l’altro del simulacro veduto da Ales- sandro nel paese delle Amazzoni, e quello di Sinope, la qual cosa mette al chiaro , come la religione de- gli Egizì fosse uniforme a quella degli Asiatici; e ri- salga ad un punto comune, e parta come quella degli altri popoli da un sol centro , gli auspicî, e la divi- nazione, la cui origine va insino alla favola de’ Giganti, di Tizio e di Prometeo, incatenati ad un alta rupe , cui’ divorava il cuore un’aquila , cioè, come dice il profondis- simo Vico, la religione degli auspici di Giove: e come il medesimo vuole, gl'incatenati furono attaccati ai fondi, e sottoposti al dominio divino , onde la catena di Giove in Omero ( forma men panteistica dell’Indostanica catena di perle nel Maha-bharata); che fallo il Re degli uomi- mi, e degli Dei, la Providenza: epperò l'autorità Divi- na, edumana , senza di chela società non può esistere. Quindi la leggenda sudetta serve a far conoscere la legit- timità del potere Sovrano di Alessandro per gli auspici. . Inoltre dal citato Valerio ( p. 40 — 41. ), il tem- pio istesso è detto di Giove e di Giunone , e ad esso accosto son due obelischi, che al tempo dello scrittore ancor vedevansi in quello di Serapide. Per li quali racconti, sembrami, possa cadere in ac- — 125— contio , ciò che leggesi nel Cav. di Sanquintino (34) , cioè che gli Egiziani solevano simboleggiare talvolta il loro Nume Mandu; detto Mendes dai Greci, il quale non era altracosa che il Dio Supremo Am- mone (32), considerato come l'Essere genera- tore dell’universo , con testa aquilina ornata di due piume ; al che sarebbe riferibile pure il fatto del- l'aquila. volata a Pella al nascere del Macedone. E lad- dove fosse congiunto all’altro dei due obelischi , vedriasi bene, come riattaccherebbesi al eulto solare , avvegna- chè si è notato, che 1 colli dedicati al Sole, visti in sogno da Alessandro , e pur riferibili a colonne , ed obe- lischi, son simboli di fertilezza , ‘e di prosperità ; felici presagi per Alessandria. E da quel che vado a dire, non parrà strano, che io veda ravvicinata la narrazione dello Pseudo-Callistene col sistema di credenze degli Egizi per riguardo a Serapide, a Canopo, ad Osiride etc. divinizzati nel Nilo , il principio umido , donde la fe- racità del suolo egizio per le sue acque. Stimo util cosa fermarmi qui alcun poco, e rimon- tare insino ai primordì egizì , e vederne i diversi sim- boli in conformità di quanto ho riferito intorno all’aqui- (31) Osservazioni sul maggior colosso del Regio Museo Egi- ziano di 'l’orino. (32) Ecco come sviluppa questo sistema Champollion « il De- miurgo , la luce eterna, V'essere. primo che pose al chiaro la forza delle cose nascoste , chiamossi Amon. Ra , o Amon Re ( Ammo- ne-Sole); e questi il creatore primo, lo spirito demiurgico, proce- dendo alia generazione degli esseri , appellossi Ammone , e più particolarmente Mendes. » Re, Pe la, ed alle altre cose. L'aquila ; avvisa a stabilità di sede, come si vedrà pure appresso , della nuova città, la quale fertilizzata dal Nilo, va come ad identificarsi con esso per li strettissimi rapporti che ‘ve la legano e la natura del suolo, e la religiosa credenza Egizia intorno al divinizzato fiume, essendo il volatile, che è a capo di tutta la specie, un geroglifico del Nilo , come leggesi in Valeriano (Hieroglyph. lib. XIX c. XIX.) Atque aquila hac quidem de causa Nili flumimis hie- roglyphicum in sacris Aegyptiorum litteris habita. AI che può aggiungersi, secondo lo stesso Scrittore , la favola di Prometeo , che non potè riescire a scoprire il corso del medesimo, ed al quale pose argini Er- cole, prole di Giove: Quoniam enim Nilum perni- citer currere, tantaque profunditate insurgere, obser- vatum est primum Promethei tempore: cam enim fwis- se aquilam nonnulli tradunt, quae Promethei cor di- scerperelt: quippe cum causas incrementi pervestigare non posset, ab Hercule demum aquila cohibitum, qui fluminis impetum partim aggeribus, partim fossarum declivio coercuerit, Prometheaque omnes exundatiomis causas edocuerit. Fra i moderni non è mancato chi à opinato , non essere state le Piramidi, che un mezzo da mettere un’argine agli straripamenti del Nilo. Io non sa- rei alieno dall'’ammettere ( ravvicinando le idee di tombe de Re, e de grandi; di panteismo , e di emanatismo, non stranieri all Egitto ; d’ imitazioni delle costruzioni interne nel cavo de monti, ed a seconda del sistema indiano ) che servissero, di argini, di tombe, di mau- solei, di osservatori, di ricordanza di una tenebrosa, — 127 —- ed arcana religione ; e di teologiche credenze; e quasi mezzo, per la loro struttura , a ‘trarre ‘la Divinità; con concetto emanatistico, dall’immensa sede, e imme- desimarla col finito sproporzionatissimo. V’ ha ‘inoltre chi crede, che le colonne, e gli obelischi , ‘colossali gnomoni , fossero servienti come tanti Milometri. Im- perocchè siccome le inondazioni erano periodiche , e per l’agricoltura aveasi bisogno di stabilirne l’epoche ; così , per essi segnavasene il tempo col mezzo delle astronomiche osservazioni. Ecco come ne discorre Elio- doro ( Aethiopicor. lib. IX p. 3418 — 319 parte 2. Misterlich. Bip. ann. VI. ) Ill autem puteum Nilum mensurantem ostenderunt , similem ci, qui est Mem- phi, ex secto quidem et polito lapide extructum, li- neas vero ulnac interstitio exculptas continentem > in quem aqua fluviatilis sublerraneo meatu impulsa et in lineas incidens, ‘incrementa Nili et diminu- tones indigenis monstrat , numero rectorum aut nu- datorum characterum, rationem exundationis aut defectus aquae mensurantium ostenderunt quoque et horoscoporum gnomones , mullam umbram in medio reddentes, radio solis, solstitio aestivo Syene ad amus- sim vertici imminente , et lumine undequaque circum- fuso, omnem casum umbrae repellente ; adeo ut etiam in puleis aqua in profunditate illuminetur, similem ob causam. Et haec quidem Hydaspes non valde, quasi peregrina , mirabatur. Accidunt enim eadem Mero Aethiopum. At cum festum praedicarent , et Nilum magnis laudibus attollerent , solem , et fertili tatis au- ctorem appellantes, ei Aegypli totius , superioris qui- — 128 — dem servatorem, mnferioris vero palrem et opificem; novum limum quotannis advolventem, unde et Nilum Graecis esse appellatum et annuas temporis vicissitu- dines exponentem , aestivam quidem incremento, au- tumnalem vero decremento , vernam autem floribus qui ex ipso enascuntur, et crocodilorum partu;. et nihil aliud esse ommino Nilum, quam annum, hoc et ap- pellatione confirmante : literis enim, quae nomine con- tinentur , in calculos distributis , ter centum quinque et seraginta umtates quot et dies sunt anni, congre- gabuntur. E siccome da quel che ho riportato , e vien confer- mato dallo stesso Eliodoro ( ibid. p. 292. ), essere il: Nilo per gli Egizii un Nume, ed il massimo tra essi, con la dotta espressione aemulum esse coeli fluvium; alla quale trovo un riscontro nel Serapide, che da Ari- stide si è detto il più grande de’ Numi, e l’istesso che Giove, Osiride, Canopo, in quanto questo è il simbolo del principio umido per l’urna niliaca nella duplice na- tura di ciascuno, 0 che vale lo stesso, nell’Imperio delle celesti e delle terrestri ose ; onde nel: sistema Egizio, il Nilo confondesi ( Guigniaut ) con quel che vi ha di più augusto nella teogonia di quel popolo ; così non farà maraviglia vedere desunto il nome di Serapide da Sar-Api, che secondo Iablonski , significa Nilome- tro, o quella specie di Colonna, che serviva ‘a mi- surare i gradi dell’accrescimento delle acque. Epperò secondo Rufino ( lib. 2. ) la misura del ilo era por- tata nel Tempio di Serapide, come sovrano delle ac- que, In uno scudo Alessandrino ( Pignor. Tav. Isiac. ) — 129 — in una parte del quale era il Nilo in sembianza di vecchio, e coricato con modio in testa, lo stesso ha in una mano il corno d'abbondanza, e nell’ altra un pezzo di papiro con questa iscrizioneo Nilo Deo Sancto. Nel rove- scio della medaglia , vha la testa di Serapide coperta di modio con la leggenda, Serapidi Deo Sancto. Possono eziandio stabilirsi de rapporti strettissimi fra le Divinità di vario nome, ma identiche nel senso teo- logico , la cui varietà istessa vada a riferirsi tutta ad un Nume ; e comprovatsi, dippiù l’importanza del rac- conto dello Pseudo-Callistene sul conto dell'Aquila. ap- parsa al fondatore di Alessandria , dalla quale sono partito, travedendo il culto ‘del Nilo, e l’uso degli obe- lischi , e sono disceso di rapporto in rapporto sino al Nilometro, che può servire di anello di ravvicinamento fra li diversi nomi delle Egizie Divinità ; e proseguendo ne lo svolgimento, posso venite a riscontrare con l'Aquila il simbolo del Milo; e con gli obelischi il solare culto, e il terrestre, 0 meglio il Milo Celeste, e è terrestre, ovvero l'Osiride, il Serapide, al Giove ; il Canopo ; e per quest'ultimo pure quello di Crono, il Saturno Egi- zio , tutti riferibili all'uso degli obelischi, che possono essere ad un tempo e segni di culto celeste, e mi- sura delle acque e del tempo , onde. posso dire con Plauto ( Captiv. ) Abeo ab illis , postquam me video sic ludificarier , Pergo ad alios , venio ad alios , deinde ad alios . una res >: © Omnes compacto rem agunt. Imperciocchè dal notato luogo di Eliodoro ; prescin- dendo da ogni altro testimone , apprendesi e l' alta idea del Nume Nilo presso dagli Egizi; avendolo te- nuto per sommo , e di duplice natura , cioè Celeste, e terrestre, come spesso ho ripetuto ; e la sua personi- ficazione con le citate massime Divinità , anche di du- plice natura; quindi i due principî , del calore, del fuo- co, e del sole, la potenza attiva; e dell'umido , ossia la passività, contemperati dal Tempo ( Chronos ). Pereioe- chè il riscontro rimarchevolissimo delle due colonne , od obelischi innanzi il tempio menzionato, facendo le veci di Milometri, e come tali, simboli del Nilo, epperò convenienti istessamente a Serapide, a Gio- ve-Nilo, ad Osiride-Serapide, a Canopo;0 Crono , sono relativi al principio umido , alle inon- dazioni del Nilo , cui le sudette Divinità presedevano, e dispensavanle per la fertilezza dell’ Egitto; mentre servivano eziandio qual simbolo del fuoco , del sole, e del tempo, nel quale le Divinità le largheggiava , nel che riassumer potrebbero il carattere celeste delle Divinità istesse ; E poichè Canopo è identico a Se- rapide, e al Dio Nilo, misuratori delle acque, e ad Osiride di essi altra personificazione, da Osch-Iri, seconde Tablonski, colui che produce iltempo, rispondente al riferito da Eliodoro nel citato luogo, al Nilo , che col Seldeno abbiam visto venir da Siris , Sirius, in Cofto Quciri, e dagli antichi anche Sirius; avwrebbesi in Canopo il Nilo per idria , misura del tempo. Laonde il Goulianoff ravvicina Canopo a Crono, il Saturno Egizio , il quale Crono era simboleggiato dal Cocodrillo , e il nome di Crono — 131- esseudo Sèk, Souk; e Souchos detto da Stra- bone il Cocodrillo , parmi, trovino un omonimo nella barca di Osiride , detta Quocer; la quale simbo- leggiando pur essa il giro del Sole, come leggesi in Champollion, si riattacca all'Ouciri, o il Milo come sopra; e però gli obelischi, e le colonne furono altret- tanti gnomoni, e simboli di Divinità Solari e fer- restri; e sotto questo secondo aspetto , quali Divinità pure Infernali, o Ctonie, o delle tene- bre, e aggiungerei del passato e del futuro, e pre- paranti l'avvenire dell’ umanità , di cui vogliono esser benefattrici (33). Ed osservo per ultimo, che inilometri eran segni è simboli di ordinamento, di sta- bilità, attributo di Phtà o Vulcano , che abbiam (33) Jablonski opusc. tom. II de Remphah Aegypt. Deo p. 64, a proposito di questo Nume , che identifica al Re del Cielo, 0 il sole , l’anno , cui presiede l'astro regnatore , fa buon viso a tali cose, perchè fassi a dichiarare, che Osiride , simbolo del sole, e dell'anno « mysticam sacrorum suorum rationem traden- » tibus, nonnunquam explicatur annus, teste Tertulliano, lib. 1. » advers. Marcion. C. XIII. Sic ef Osiris , quod semper sepe- » litur et in vivido quaeritur , et cum gaudio invenitur — Re- » cidivi Anni fidem argumentatur. Recidivus annus est, qui » et vocatur verlens , quum Censorinus ita describit, de die Na- » tali c. XIX. Annus vertens est natura, dum sol percurrens duo- » decim signa , eodem, unde profectus est, redit. Censorinus ita- » que annum hunc vertentem naturam esse ait . . . . e più ap- » presso ( p. 66, ) riporta il seguente passo di Proclo in Timae- » um IV. Verum et Theurgi hisce concinunt, qui Tempus hym- » mis suis celebrant , tamquam Numen , quod rerum universitati » interest, aeternum, infinitum, recens et antiquum, circulo simile.» 17 — 132 — visto identico alle divinità in parola. Ma su questo sog- getto mi permetterò altri rischiarimenti. Il Nilo, dice Seldeno, (34) fu appellato Siris, chec- (34) De Dis Syris, Syntag. I. c. 4.° p. 75, e 76 Amstel. 1618. — Il nome Siris mi richiama alle Siringi, ‘0: Colonne ; ( chi amasse belli riscontri intorno ad esse , legga il. Pantheon Egizio di Jablonski part. III. p. 175 — 181; Silvestre de Sacy; Observat.. sur le nom des Pyram. p. 42 —43 ) e le Siringi da Sir, che vuol dire Canzone, da cui le Sirene, le quali nella mitologia sonosi fatte abitatrici dei fiumi ‘e delle .acque in generale: E dal trovare , con la guida del grande Vico, che nelle Siringhe , o colonne gli Egizii scrivevano le memorie dei loro defunti in versi, sono.a grado di osservare , che Tot si- gnificando colonna, detta stela dai Greci, fu personificazione della casta Sacerdotale Egizia, la quale adoperava le colonne per tra- smettere le cose memorande agli avvenire; e per l'autorità dello stesso Vico, le leggi Egizie furono poemi della Dea Iside, il che corrisponde all'età de' poeti Teologi. Ora Iside assimilata (Gou- lianoff. Op. citat. t. HI, p. 177.) al Ni/o, questo con le colonne ha non leggiero rapporto ; imperocchè Thoth, che il Savary vuole, come ho detto , personificazione della scienza ieratica , e storio- grafo delle cose celesti e terrestri , dal quale ( Guigniaut op. cit. p. 885. ) Kamephis avo di Osiride ebbe la scienza, che insegnò a questo e ad Zside , che penetrarono i misteri de’ suoi scritti, facendone incidere su le co/onue la parte regolatrice della vita intellettuale e fisica degli uomini , è simboleggiato dalla colonne, quindi le colonne , e gli obelischi di cui dice lo Pseudo-Calli- stene, ci rammentano. l'identità de/ Dio Nilo legislatore , pro- tettore , benefico, e identico ad Iside, l’istessa che la terra (ops) secondo Plutarco ; conseguentemente l'età eroica del paese , la sua prima civiltà venuta dal Nilo, l'agricoltura, e il commercio, mercè la casta ieratica-guerriera venuta forse di Etiopia pel fiu- me Nilo, del quale, come si è detto l'Egitto fu un dono. Vedi la seguente nota. — 133 chè ne abbia detto il Muller presso Jablonski ( Opuse. T.T., pag. 305 alla‘v. Siris ) Sole ele, Zepds d H"os, giusta il Suida, al quale Siris aggiunta ia par- ticella 0, equivalente a terra, fiume, secondo riflette il medesimo Seldeno , avrebbesi il fiume, la terra del sole, Osîris ( Jablonski opusc. t. II. p. 64, e passim, vuole Ostride il Sole) fertilizzata dal calore e dal- l'acqua; epperò il Nilo, per l'opinione del citato scrittore, maximum Aegyptiis Deum fuisse passim constat ( Athen. Dipnos. V. ); ed Osiride Y istesso che il Nilo ; e quindi identico a Serapide, a Canopo; nell’uno il sole nascosto , il sole infero che attende il ritorno del Dio Sirio, per infondere i suoi benefici in- flussi sul principio umido che debb’essere fecondato , al che allude il Dio Canopo (34) personificazione, co- me si è visto , di enti identici. Onde verrebbene il nome del Nilo, cui pur conviene Air,” Asptos il signore delle ombre, il Dio dell'Occaso, il Dio infero, l'Aga- todemone, il buon genio ; il conservatore del Paese, lo Chnuf , it Deus effundens , già detto da Cham- pollion , tuttt una cosa con Ammone, Osiride etc. e secondolo stesso Champollion, Cnouphis è il Nilo celeste, e il Nilo terrestre; e sotto questo secondo rapporto , qual regolatore delle acque. E l'Egitto detto "Acpix ( do- mum Solis, secondo Forster presso Jablons. (Upuse. T. I. (35) Chnouph — Nilo — Agatodemone , il Giove — Nilo , 0 il Nilo-celeste, signore dell’inondazione ; Amon-fa ; come vedesi in una colonna scritta di. geroglifici alla tav. XXXVII n. 158. al vol. I p. 2. della simbolica del Creuzer—e Guigniaut. — 134 — p-459.), a questo nome può ben rapportarsi l'omonima voce di ’Hpa, è die, contratta di Hépa variante di "A4po 4 aria, 0 Giunone, la Sati Egizia, quale l'abbiam vista nel Tempio insieme al simulacro di Serapide, 0 Giove , l’istessa che Proserpina , o Giunone Inferna , e pur figlia del Sole , la quale, secondo il lodato Champol- lion, sta all’entrare del tribunale degli Amenti a rice- vere le anime de’ defunti, epperò sorella di Plutone, nel senso greco. Imperciocchè tutte le divinità Egizie eser- citavano certe funzioni negli Inferni ; e pertanto, gli Dei qualificati signori della regione superiore, dominavano egualmente su la regione inferiore , cioè negli inferni ( Goulianoff op. cit. t. IIE. p. 373 ); e in pari modo Ar- temidoro (36) in Serapide, Iside, Anubi ed Arpocrate, riconosce Divinità ctonie, che a buona ragione il Gou- lianoff medesimo mette in rapporto col Nilo , le cui leggende lo designano qual soggiorno de’ defunti; al che osservo col Creuzer , essere stata la religione Egizia di un carattere tellurico , riposando su l’idea princi- cipale di un Dio morto ( Osiride ), il quale simiglian- temente ad Arpocrate, preso per. Dio del silenzio, ma (36) « Serapis et Isis et Anubis , et Arpocrates tum ipsi, tum statuae ipsorum, ac mysteria et omnis de ipsis sermo, atque etiam de diis qui cum ipsis communia templa ac aras habent, turbationes et pericula, et minas et infortunia significant, ex quibus praeter expectationem praeterque oînnem spem servant. Semper enim ser- vatores crediti sunt hi dii . . . . Praecipue autem mysteria ip- sorum luctus significationem habent. Tametsi enim naturalis ip- sorum ratio aliud quid complectitur , fabulosa tamen narratio et historia hoc indicat ». ( Oneirocritica lib. II. c. 44; Rigaltii. ) — 135 — veramente additante. a cessazione di una certa maniera d’esistere, indica il finir di questa vita. Applicando ora siffatte teorie alli due obelischi citati; trovo, che gli Egizii adoravano il Nilo, da essi detto Co- lonna, sotto tal fonda, come fra gli altri è appresso Sui- da alla voce Canopus. Il quale narra Ja contesa religio- sa sulla supremazia del Dio Caldeo, il fuoco col nume Egizio, nella quale pruova la vinse quest'ultimo (37). Un: tal fatto non potrebbe andare altramente spiegato, se non dal vedere nel luogo di Suida , che il contrasto de’ due principî , tanto noto per Egitto del secco e dell'umido , donde l’altro identico Draco a questo , del /Vilo bolvaté e terrestre, o che vale lo stesso, del Dio Solare, Supero; ed Inferno; e del Giove Ammone, il Dio della luce, e di Serapide, il Giove tenebroso. Alla quale Divinità di du- plice natura, per quello che abbiam detto con Goulianoff , apparteneva l’erezione degli obelischi , cui adombrano quelli di cui dice lo Pseudo-Callistene ; con i quali si allude alla nobiltà del suolo Alessandrino bagnato dal fecondante Nilo, che fu supremo Nume degli Egizì, e di natura solare; e come tale, avea sacri gli obelischi; e perchè identico ad Ammone il Nume incomprensibile ( A- moun ) il Demiurgo , il nutritore; infatti il Nilo ren- deva fertile l'Egitto, ed Ammone valendo pure opifex , artifex , fundator , alla qual voce il Goulianoff riattac- cando il fulcio, ne deriva colonna, siàn, analoga (37) Il racconto di Suida fa travedere l'invasione Caldaica in Egitto ; il nuovo culto ivi portato , vinto dall'antico Egizio; del pari che la soprapposizione dell'uno sull'altro. Non lascio notare , che il racconto di Suida è tenuto per falso dal Savary. — 136 — ad obelisco, dall'Egizio ouoeit ( colonna), e Sot- bev (sagitta ) obelisco, da cui il greco èBedfonos , colonne terminate in punta , stanti, eccelse, quasi per imitare i raggi del Sole , quasi raggio del Sole , di cui essendo una personificazione. come può vedersi nel Sel- deno (op. cit. p. 322; Plin. XXXVI. (€. 14.), con- vengono ad Ammone , e al Milo-Sole, che abbiam visto primo Nume d'Egitto. Ma più grave considerazione ancora ne sorge e in- verso al culto Egizio-Alessandrino, e per conto special- mente di Alessandro. Imperocchè, se il Nilo è il Sole- Osiride, identico a Serapide, a Canopo del quale troviamo nel detto luogo di Suida Je pruove convincenti ‘ per l'idria in cui fu messo il liquido, e collocata come Divinità, sopra Ja quale il capo del vecchio simulacro di Canopo (capite veteris statuae, quae Menelai cujusdam gubernatoris fuisse dicebatur, amputato, ac hydriae tanquam novae statuae , impostto’); ed identico quin- di a Giove Ammone a Bacco, il vecchio Dioni- so, il Dulhkarnen degli Arabi : Se il Milo simbo- leggiavasi colla colonna (38) , geroglifico del Sole evi- (38) Si sa, che gli Egizii aveano il costume di dare alle loro statue una forma molto assottigliata; e le prime statue anzi non furono che sassi quasi informi, epperò con questo può stabilirsi un ravvicinamento con le colonne , ed obetischi , giovandomi di un luogo di ‘G. Pietro Valeriani ( Hieroglyphicor. lib. XLIX, cap. XXXI, p. 530 ) dicendo : Nor ineptum autem fuerit ani- madvertere Aegyptiorum statuas , quae antiquitatem sopiunt, gra- ciliores esse, et truncis oblongis propemodum similes....... , quippe qui ita facerent, ut divinitàtem minime corporatam esse ostende- rent. A\ quale può aggiungersi l'autorità di Goulianoff ( op. cit. t. — 137 — dentissimo (39); avremmo,nelle due colonne, od obelischi, di cui dice lo. Pseudo- Callistene, il sim- bolo del Tuus Niliaco, dal quale la ricchezza del pae- se; il vecchio Serapide, o Ammone, che assiste Ales- sandro nella fondazione di Alessandria , e con ciò vie- meglio dichiarata l’interpretazione dell'Iannelli della pre- ziosa coppa Borbonica , della quale sarò per dire in prosieguo ; e vie più fatto chiaro l'asserlo di questo Scrittore, che il giovane dell’ anaglifo sia il giovane Dhulkarnen, Alessandro, che per la gran Città, fu fondatore de’ due Imperi, Occidentale , ed Orientale. Dopo tutte queste cose, delle quali perdonerà il Let- tore la lungheria, sarà bene il dire, come presso a poco Romolo operato avesse per la sua Roma, cercando ravvicinare i principî delle due Città. Il Tempo e la Fortuna presiedono alla fonda- zione di Roma (40). Alessandro fonda Alessandria ; e II. p. 381. ) il quale dice, che Ammone talvolta era rappresen- tato da un obelisco. Può aggiungersi ancora l'autorità di Pausania‘ il quale parlando dell’ altare di Nettuno istmico, dice di Giove Milichio, e di Diana delta Patria , fatti senza nessun’arte , € Giove somigliante ad una piramide; Diana ad una co/lorna. De- scrizione della Grecia lib. II. cap. IX. Corinzia — Confr Ciampi annot. a tal luogo p. 425. (39) Valer. Hieroglyph. — Iablonski Proleg. p. 81., Goulia- noff. 381 e seg. (40) Non ergo de religionibus sanctis , nec de auspiciis aut au- guriis Romana regna creverunt, ‘sed acceptum tempus certo fine custodiunt. Profonda riflessione di S. Cipriano, che ne fa vedere la Providenza direttrice di ogni umana cosa, nonmeno degl'Im- peri e della lor durata. Cfr, Lindner annotazione a tal luogo p. 572. Parisiis 1844. — 138 — nella rara Coppa Borbonica vedesi il gran Dhulkar- nen, il Dio del passato e dell’età futura che abbiam visto identico a Canopo, e questo al Cro- nos Greco, o Salurno Egizio (41) assistere il minor Dhulkarnen, il Signor de’ due Corni , dell’Imperio Orientale, ed Occidentale, Alessandro, nella sua edi- ficazione. Il tempo e la fortuna per Roma; ossia il nuovo periodo dell’ umanità indicato da Saturno , l'istesso che il Tempo , e la cui falce è simbolo, non di distruzione, ma del tagliar le messi, ossia dell’e- poca delle invenzioni dell’arte agricola ( Goulianoff ) , il Dio benefico, agricola del Lazio , il rivolgitore del- l età che si avvicendano , congiunto ‘alla Fortuna, Fors, la Forza, il Fato, che congiunto al Tempo, è ordine Providenziale; ed hanno omogeneità col gran Dhulkarnen, il Sommo Nume degli Orientali, il Signor del passato e del futuro, come ho detto ; il Serapide di Iannelli, la divinità per eccellenza di Aristide ( Orat. in Serap. ). Due Numi della stessa natura assistono adunque i due più eccelsi fondatori delle più grandi Città del Mondo. Abbiam toccato degli auspicì Alessandrini ; or an- che Romolo adopera gli auspicî, e per trarli chia- ma gli auguri di Etruria. (42) Il volo degli avvoltoi, è (41) Iannelli Interpretaz. della Coppa preziosa Borbonica. (42) Itaque Romulus augur, ut apud Enniumest , cum fratre item augure , ( Cicer, de divinat. I, XLVIII. ) Curantes magna cum cura, concupientes Regni , dant operam simul auspicio , augurioque Hinc Remus auspicio se devovet , atque secundam —. 139 — un racconto quasi simile-a:quello dell'aquila in Ales- sandria ; anzi, abbiamo nel Valeriani qual segno’ di. stabilità ( Hieroglyph. lib. XIX. Cap. XXI ) l'aquila . annidata sul Campidoglio (43). L'altro degli uccelli, che di varia specie e di vario luogo venuti mangiano la fa- rina adoperata nel disegno, è per ambe le Città an- nunzio e presagio di avveniticci di tutte le nazioni (44). Alessandria non è quadrata; ma quasi quadrata , e senza contrasto a forma di Clamide Macedonica, che secondo Strabone (45), e Macrobio , simboleggia il mondo. Roma quadrata (46), è detta pur orbs , dalla fossa circolare in essa praticata, cioè mondo , donde antonomasticamente Urbs. Romolo disegna il Tempio di Vesta, divinità simboleggiata dal fuoco, e vi sacrifica. Noi Solus avem sercat. At Romulu' pulcher in alto Quaerit Aventino , servans genus altivolantum. (43) Potrei, seguendo il grande nostro Vico, risalir più oltre per vedere nell'aquila, e in Roma, e in Alessandria lo stabilimento del culto religioso , e di Giove specialmente , dal quale, servendomi dell'espressione di Vico istesso (p. 287. Sap. Poetica ), i reami eb- bero il loro incominciamento in forza de’ di lui auspicî . E ciò che addimostra l'età eroica, ovvero quel che riconduce gli uomini e le società a monarchia, che ferono Romolo, ed Alessandro, secondo lo stesso Vico, cen compiere cose all'uso eroico, si è, che i forti furono piantati in alto, ove albergavano gli uccelli di rapina, e dove le fonti perenni, presso le quali gli uccelli nidificano , onde furon detti agui/ae , che volano in alto, nella regione di Giove, epperò uccelli di Giove. © (44) Valer. Maxim. I. c. IV. p. 31 — 34 Lemaire. (45) Str. lib. II. c. V., e altrove. (46) Ennio disse : Eeqwis mune curat Romae regnare quadratae? 18 — 140 — abbiam visto le colonne intorno al Tempio , e all’ara , in cui Alessandro avea sacrificato , dimostrare il culto solare di Ammone , o Serapide, il Sole-Infero , il fuoco na- scosto, il nume tutelare e conservatore degli Egizii; come Vesta, la Dea conservatrice del fuoco sacro, e della so- cietà, e della famiglia; la divinità del fuoco interno, della forza produttrice (47). Romolo apre l'asilo, urbis conden- (47) La natura ignea degli obelischi, dei quali due ne abbiamo notati nel suolo Alessandrino , richiamandoci all’idea del fuoco , risvegliano pur l'analogia del culto del fuoco di Vesta; e però di Vulcano , Dio del fuoco, ossia del Demiurgo, della forza della na- tura, dell’architetto di questo mondo. Seguendo G. Valerio, Ales- sandro da Alessandria andossene al Tempio di Vulcano, ov'era la famosa statua di Nettanebo , che abbracciò, e funne contento sen- z' altro. Il qual Tempio di Vulcano ricorda pure l’epistola famosa scritta, come ho notato, da Alessandro ad Olimpia, con la quale riconosce in Vulcano il supremo potere degli Dei; la qual cosa non distrugge quel che abbiam osservato più sopra, perchè , come ho notato, Vulcano era presso gli Egizii appellato Ph/ka nella _religio- ne loro genuina antichissima. E i Cabiri ( Herodot. 3. 37. ) son detti figlinoli di Vulcano ; de' quali il primo culto fu presso gli Egi- zii, indi passato ai Fenicii, ai Pelasgi, dai quali fu recato in Samo- tracia, da cui per Dardano ai Frigii, ed ai Troiani, e per Enea in Italia ( Pherecidis fragm. 31 p. 143 edizione dello Sturz. }: sicchè Olimpia iniziata ai misteri di Samotracia compruova il vecchio culto cabirico Macedonico, come Vesta il Romano. Ora i Cabiri aveano due culti, quello degli iniziati, e quello della classe intelligente, che in essi riconoscevano il principio delle cose; che agli iniziati dicevas! significar fuoco. Ecco come trovo ravvicinati Romolo e Alessan- dro per Vesta Za Dea potente , la Dea che era stata portata a Roma dai Pelasgi, come custoditrice de' Lari, del fuoco sacro ca- birico , e i Cabiri eran detti Dif Potes. Vesta adunque il princi- pio femmina, come Vulcano il maschile , l’Axioeros, l'Axioersa appartenenti alla triade Samotracia. Epperò Alessandro , e Ro- — lil — dae consilium; Alessandro chiama i Fenicì; gli Ebrei, e gente di tutte nazioni. Abbiam visto il Dio incerto Ales- sandrino, cui parla Alessandro. Sul monte Aventino avvi pure un Dio incerto: Quis Deus incertum est , ha. bitat Deus ( Virgil. Aeneid. VIII. ). Su i sette colli di Roma, forse, altrettante città ; l’istes- sa cosa conviene opinare per li Colli di Alessandria. Roma detta prima Valentia, Flora 0 Anthusa, Eros, o amor(48), di cui ho cercato nella mia pochezza delle derivanze. Ales- sandria detta fhacotis, Pharos, Leontopolis, 1 quali nomi accennano alle diverse dominazioni antiche ,, 0 meno antiche di popoli, e di stirpi diverse ; sicchè per la prima forse i Camilici, indi i prim Pelasgi, e la pro- genie Sabello-Pelasga, e i Pelasgo-Latini , come per Alessandria gli Etiopi, i Sabi, e gli Arabi, i Greco-Mace- doni. Questa triplice 0 quadruplice provenienza per lo suolo Alessandrino, serbavasi quasi ancora al tempo di Polibio, che ne serive presso Strabone (49). Dippiù Romolo fa voto a Giove; Alessandro a Giove-Am- mone, teologicamente nella pagana dottrina, gl’istessi. Ro- molo assegna i nomi alle regioni in che divise la città, non nuova del tutto , secondo la chiara testimonianza di Plu- tarco, ma ampliata, e rinnovata (50). Alessandro faceva molo conservatori di questo culto arcano , e riservato ai pochi. (48) Fuss Antiquitat. Romanae Lips. 1837 p. 34 et seq. (19) Polyb. ap. Strab. lib. XVII. (50) Tre volte Roma fu edificata, il che può aver relazione con la triplice dominazione delle tre stirpi diverse che l’abitarono, se- condo leggesi in Antioco Siracusano presso Dionisio Alicarnasseo ( Archaeol. Roman, lib. 1. Edit. Henr. Steph. 1588 fol. p. 33.) — 142 — altrettanto in Alessandria, non nuova pur essa, come sonmi studiato investigare. I nomi delle regioni, ed il _— Forse i Siculi ( Pelasgi abitatori vicini agli Umbri nell’ Illiria, e nell'Epiro) furono i secondi abitatori, ed edificatori della seconda, Ro- ‘ma, i quali navigando il supero mare ( Adriatico ), ebbero prima stanza nel Piceno, ove più anticamente i tre Agri Adriano, Pretuzia- no, e l'enigmatico Pa/mense, nel quale l’A/bu/a di Plinio, (l’attuale Y ibrata ) donde facilmente salendo gli appennini, si tradussero alle sponde del Tevere , detto pur 4202/72. Il chiar. Troya nella storia del medio evo, è stato incerto, se l'Albula Picena avesse dato nome all’Albula Laziale ; ma parmi non dovervi essere dubbio nessuno in favore della priorità della prima dimora, perchè geograficamente passando i Siculi d'Illiria in Italia, il cammino più spedito e facile si era quello per lo Truento, grosso fiume del Piceno. Altramente, sarebbe stato uopo, che i Siculi, dei quali molte vestigia rimangono nell'attuale Provincia e Distretto di Teramo di Abruzzo; aves- sero dovuto diramarsi diversamente dal cammino ordinario, cioè quello da oriente ad occidente, tenuto dai primi coloni, e che serbasi ‘tuttora , come vediamo per America; e nell'altro senso, avrebbero dovuto partir di Roma per andare nelle regioni del moderno Abruzzo; mentre sappiamo, che i Siculi furono incalzati da altri Pelasgi soprav- venuti d'Illiria che incalzavanli, e che infine ridusser quelli nell'Isola da essi loro appellata. E quel che dico non parrebbe tanto strano} laddove alacri uomini versati in questi studî mettessero à confronto i monumenti che tutto giorno riveggono luce nel vetusto suolo A bruzzese, e di cui qualcuno non dispregevole è presso me esistente, @ che ricordano la dominazione de’ vecchi ‘e primitivi Osco-Pelas- — gi, de’ Pelasgo-Tirreni , fra i quali monumenti una iscrizione alla bustrofedon, appartenente agli antichissimi tempi, in forma arcaica, originale,. e che io credo di Palmense antichissimo dialetto , la quale in piedi a questa nota offro la prima volta edita al Lettore. Figuline di terra cotta svariatissime ivi rinvengonsi, non tra- scurando un bronzo pregevole che accenna al Giove Pelasgico Do- doneo , per li simboli di cui è insignito, fra i quali la Colomba in testa che si conserva dal ch. Ricci, che ne ba parlato nelle sue = 153 — loro numero possono vedersi nel Pseudo-Callistene greco. Per Roma, non..vi è bisogno di citazioni di scrittori, es- sendo cosa troppo nota. i A nuova fondazione, nuovi Numi. In Alessandria lPAgatodemone, e il novello Serapide; Giove»e Giunone hanno trovato luogo al. mio dire di sopra. A Roma del pari il nuovo culto di Giove, Giunone, e Mi- nerva. Ma nell’una e nell’altra Città rimangono, in Alessan- dria il Serapide antico , indi trasmutato in Pontico, nel novello Canopo; non più corpacciùto , e doliare, come avrò campo notare nella seconda parte col Creuzer ( Dio- nys.), in Roma il vecchio Saturno; ‘è l’intangibile dio Termine, che parmi possa andar ben comparato con Ricerche su l'ogro Palmense ; ed altrì che ricordano le Etrusche de- rivanze tanto simiglianti all'Egizie, onde presso di me cunservo una delle mistioni di animali di diversa specie, quale la testa di lupo, o chakal finiente in serpentello, che risalirebbe alle idee di Anubi, il quale incarnandosi prendeva tutte le forme che. potessero sim- boleggiare uno stesso principio divino , d'intelligenza, in rapporto con le potenze. della natura, e con gli uomini in vita ed in morte (Guigh. op. cit. p. 853); e così altri, di cui qui non è il nozb, -DETP DG.DADAN an IVVE OVOV3:3:4 Dic DIZ:EONELGD:i DE. Ù ima n:agna Di A A 0) E î vr Questa iscrizione si pietra di tufo sini fu rinvenuta in un colle sovrapposto ai piani di S. Omero nel circondario di. Nereto nel 1843 insieme è frantumi di guasto sepolero de dal signor Spinozzi. La pietra è a forma di stela, ed è mancante come vedesi. Azzardarsi, , da mia parte un giudizio, mon è nè del fore .joì del mio proposito; nia non sarei lone, tano dal credere essere stata l’iscrizione adibità in funebre nsonumento, La lubghezza della pietra è di palmi 3 3745 la larghezza media è di palmi 2.; e la forma. delle. lettere è è unciale, Lit Giove Ammone , in quanto che amendue avvisano a pro- prietà, possesso, la cui santità, 1 novelli abitatori dei luoghi, e delle Città vogliono religiosamente difesa. Mi vale l'autorità di Iablonski, che parlando di Vo-Ammon, Gittà d'Egitto ( Remphah Aegypt. Deus t. Il. p. 21. ) dice « oh enim Aegyptiorum sermone sortem et pos- sessionem designat. . . . . Erit igitur Diospolis Jo- . vis possessio , vel Jovis Urbs ». Questi due fondatori consacrano se stessi quali Dii, l'uno dicendosi Marte Quirino; l’altro novello Dioniso, progenie di Giove-Ammone. Fabbricansi ed ordinano per essi de’ Tempi; istituiscono sacerdoti al lor culto addetti; tanta la boria degli uomini! All’uno avea dato latte una Lupa , per l’altro il Leone fu visto in sogno da Olimpia. Due animali simbolici, che ricordano il culto solare de’ due popoli Greco, e Romano. Il Lupo era animale sacro al Sole, epperò leggesi nel Vossio ( Theolog. gent. lib. IX p. 536 ) Etiam lupus dicatus soli, ut est apud So- phoclis Scholiastem , nempe quia prima luce se confert praedatum. Eo et Avuos (lupus ) amò ris Vins , @ prima luce appellatus. Sed ob robur et praedas, ab aliis in Martis esse tutela credebatur. Ma quel che pare più conveniente , si è, che pel Lupo traevansi gli storici alla ricordanza della origine della nuova gente andata ad abitar Roma dall Oriente , acereditandola col mito della Lupa allattante i gemelli famosi. Imperocchè nell’Assiria due fiumi, l'uno de quali detto da’ Greci Aixos confluente nel Tigri ( che seguendo le osservazioni del Lannelli Ten- tam. in Hetrus. Inscript., è omonimo di Tybris ; e per tal rapporto avvalorasi il mio dire), e da Ammiano — 145 — detti Diabas ed Adiabas, da cui la regione Adiabene, quasi Avxr'ay, 0 regione Lupina ( Hierozoicon, de Lu- pis cap. X p. 821 Londini; e Phaleg. IV. G. XIX. ); da che vedesi chiaramente , come la gente Romulea pro- venisse dai luoghi Orientali , Mesopotamici ed Assiri, dove fa d’uopo ritrovare la primitiva sede de’ Pelasgi, innanzi che passassero in Grecia, di là in Italia tras- migrassero, checchè ne dica il Mazzoldi ( Orig. Ital. ) e della qual gente era progenie avventurata per Roma, Enea, autore della Romulea. E secondo lo stesso Hierozoicon, Davus derivato di Diabas , ed Adia- bas , significava Frigio Lupo, confermato da Esi- chio, e i Frigi che sono confusi col nome di Trojani , per cui Enea Frigio, esprimono col loro nome, essendo gente Pelasgica, la omonimia con la regione Adiabene, e quindi la provenienza dai luoghi citati Assiri e Mesopota- mici, ove per depravazione prima della vera tradizione pa- triarcale, deviossi, andando al culto del Sole, cui era sa- ero il Lupo (54); alla qual regione riporta il mito del- la Lupa di Romolo e di Remo, come sarò per dire, In tal modo può essere messa la Lupa in rapporto col Picchio, che apprestò ai due gemelli il cibo; del qual fatto Plutar- co nelle quistioni Romane va rintracciando la ragione; che può trovarsi nel culto Solare, di cui quell’animale era simbolo, pel mito Pelasgo-Sabello di Pico , il qual Re fu da Circe trasmutato, in picchio , e che vi allude, es- (51) Avxoy autem solem vocari etiam Lycopolitana Thebaidos civitas testimonio est: quae pari religione Apollinem, itemque Lu- pum (hoc est, Avzoy ) colit : in utroque solem venerans etc. Sa- turnal. lib. 1. c, 17, — 146 — sendo venuto ‘dalla Colchide Assira per la mitica maga , . personificazione della gente Pelasga adoratricedel du; e soprappostosi in Italia, ad altra gente ivi abitatrice più antica. Ma per tener miglior conto dell'origine di siffatto mito della Lupa, sarei tentato uscire da soliti esplicamenti; nè , vorrei esser tratto dall’ordinaria diceria , che nella Lupa abbia a vedersi .il significato di donna notata di.un mar- chio disonorante , cosa della quale lo spirito della cri- tica non è appagata. Vorrei cercarne altronde la ragio- ne, che parmi, debba porsi nella derivanza pelasgica, e nel detto culto solare, e in quella stessa Macedonia, ove sorse l’Eroe, che io vado comparando col Romano; e la qual comparazione riesce più addentrata , più com- plessiva , più conveniente , contenendo gli elementi delle simiglianze , non pure degli Eroi che ne sono l’obbietto, ma ancor quelli de’ ipelà; in mezzo ai quali essi son sorti. Allora sarà mestieri confessare quanta importanza ei venga ad un parallelo, laddove di essi possa mo- stratsi, ed appalesarsi un comun fonte, l'affinità di culto, di costumi, di genti; e sarà più grande pur l'idea, che due fondatori d’Imperi sieno usciti di uno stesso sangue, d'una patria originaria e comune. Ciò posto, mi vedo obbligato a volger lo sguardo alla Tracia; la quale , se è vero che fosse il paese da poi det- to Macedonia , per la duplice autorità di Strabone ‘( Lib. VII. p. 330) (52); riconosciuto dal chiar. Corcia ( Stor. (52) « Nam Pierie, et Olympus, et Pimpla et Libethrum quon- » dam loca fuere Thraciae, et montes quos.nunc Macedones pos- » sident » Strabo lib X. Ionson, — 147 — del Reg. di Nap, Tom. III. p. 434. ); non che dal Niebhur ( Stor. Rom. Enotri ‘e Pelasgi ediz. del Mo- schitti vol. 1. p. 55. ), e complessivamente ammesso dal dotto Troya in molti luoghi della sua storia del medio evo al vol. 1.; se è vero, che i Traci veni- vano di Leucosiria ( Strab. lib. XII. p. 543. ), posta nell'Asia Minore , accosto ai Frigì , dove agevolmente potè la gente Pelasgo-Licaonica , forse prima abitatrice della Tracia , trasferirsi dal centro Assiro, ed Armeno ( Jannelli vet. Oscor. Inscript. p. 17. ); se egli è vero, che Licaone ebbe un figlio chiamato Macedone, dal quale venne colonizzata la: Macedonia, da questa che fu detta madre delle portentose Colonie che piantaronsi nell’Illiria, nell’Epiro, donde scacciati da altri Pelasgi, i Deucalionei, la famiglia degli Arcadi-Dardanidi, e Frigî, venne ad occupar l’Italia, com'è chiaro dal testimonio di Virgilio, dal Jannelli riprodotto, dal quale impariamo l'edificazione di Roma sul Tevere per opera di questi Li- caonidi o Pelasgi primi, non è a muoversi dubbio, che essi fossero partiti di Macedonia specialmente, nella qua- le troviamo come il centro di questi primitivi Pelasgi; ep- però compresa nella regione appellata Pelasgiotide (33); al che può riferirsi la frase di Plinio ( N. H. lib. IV. G. X., 17. p. 271. Sillig. ): Macedonia postea cen- tum quinquaginta populorum. E che fosse stata con- fusa e compresa con la Tracia, ce ne accerta quest’al- tro dire di Plinio... .. « toto Oriente possesso, haec etiam (Macedonia) Indiae victrix per vestigia Liberi (53) Eschilo Supplici v. 248. i 19 — 148 — Patris atque Herculis vagata » ete. (Lib. IV. C. X. 6.39. Sillig. ). Or chi ha dubitato dell’origine Tracia di Bacco ? Nè dubbio può cadervi al rimembrare la Crestonia, VEli- meia, la Peonia, la Bottide, o meglio Beozia nella Mace- donia comprese; che là, l’Acheloo , il Peneo, la fatidica Dodona, la Pieria, rinomata per le Muse, e nella Tracia Orfeo, Lino, più inlà, Zamolxi co’ suoi Geti, Traci an- ch'essi; lo Strimone, e l'Olimpo famoso. Eliano ( de nat. Animal. lib. X. C. 48) parla di un Licaone figlio del Re di Emazia, che ebbe per figlio un Macedo, dal quale fu poi nomata la Macedonia, lasciato il nome di Emazia, più antico (54), sicchè pare da questo luogo, che a prefe- renza di altre regioni, il principal punto colonizzato dai Licaonidi fosse stata la patria del nostro Eroe. Quindi posso ben di là trarre l'origine Romulea ; aggiungendosi la ragione d'essere stati i Frigì commisti ai Dardani , dai quali i Trojani, ed abbiam documenti di passaggio di Frigi in Dardania nell’ Asia minore ; vi erano eziandio altri Dardani vicini alla Macedonia , anzi i Frigi abitaro- no la Macedonia sotto il nome di Brigi; donde passarono in Asia (59). E secondo Xanto Lido in un luogo conser. (54) Quanto leggesi nei frammenti di Marsia Pelleo ( Fragm. Hist. Graec. p. 42 Didot. ) mena al medesimo risultamento. Ecco le parole dello storico lib. 1. 2. ap. Schol. Homer. Jliad. XIV 226 « Macedo. Iovis et Aethriae ( Thyae ) filius, Thraciae re- »-gionem, quam tenuit, de suo nomine Macedoniam appellavit, » ductaque una ex indigenis duos genuit filios Pierum et Aema- » thum, a quibus duae urbes Macedoniae Pieria si Aemathia » nominatae sunt. » (55) È importante l'osservazione del Muller intorno al lib. 1. di Marsia, Macedonic. Frag. Hist, Graec. p. 44 Didot. per la ri- — 149 — vato da Stefano Bizantino (Histor. Graec. antiqu. frigo. edit. Fr. Creuzer p. 172-73. ) ripetendosi dai Traci con- vincono del già detto. Dalle quali cose è manifesto, come può rilevarsi da Geografi, specialmente Strabone , e da Erodoto (VII. 73.) .ed altri Storici Greci, che le trasmi- grazioni d'Asia in Europa si avverassero mercè la Tracia, che ripetiamo essere stata detta poi Macedonia, focolare di tutte le italiche colonizzazioni per DA via dell Illiria, e dell’Epiro. ‘ Ma con questo, non è assolto il mio dire , dovendo mostrare , come il mito della Lupa sia a siffatte ori- gini rapportabile. Più sopra ho cennato, che l’Assiria venne detta ed appellata Adiabene , e con l' autorità di Bochart ( Hierozoicon ). valeva regione Lupina (56), identica alla Licaonia regione , dalla quale escirono i Licaonidi. primi, o Arcadi-Pelasgi , dall’Achad di Nem- rod, secondo il Iannelli ( Vet. Oscor. Inscript. ), donde la Licaonia dell'Asia minore, e l’Arcadia o Licaonia Gre- ca, dappoi Pelasgia, nella quale abbiamo visto compresa presso che tutta la Tracia e la Macedonia. Essi adorava- cordanza di Mida re de' Frigi, come dal VII. lib. di Erodo'o c. 37, il quale imperò nelle antichissime sedi de' Macedoni; di- cendo « Midas, in Phrygiam venit ex Macedon'a , ubi Brigum rex in antiquissimis Macedonum sedibus imperavit. « E secondo » Erodoto VI. 45. 2 ; essendo rimasti una parte di Brigi, o Frigi, della stessa origine in Tracia, fa d'uopo maggiormente ritenere la Macedonia confusa , e commista con la Tracia. Cfr. Conon. 1. che facendo Mida uditore di Orfeo al Monte Pierio, . dà altro documento per la civiltà venuta di Macedonia. (56) Cfr. l'altra opera di Bochart Phaleg. lib. IV. Cap. XIX. 272 e seg. — 150 — no specialmente il Sole, talchè Diomede , ed Ulisse con la sua Circe , son celebri per la ricordanza di questo stesso culto , e per personificazioni di popoli affini , o meglio derivanti da uno stesso centro Assiro , onde i cavalli al primo sacrificato, e sacri, come simbolo del sole. E che altro Licaone , e la regione Lupina , o l’Adiabene voglion significare, e il fiume Lico , se non che la regione del sole, avendo toccato del Lupo quale animale sacro al sole ? Non è forse la prima regione, dove il culto solare, e astrifero ebbe incominciamento? Non abbiamo dalla mitologia lApollo Licio ? Quindi Li- caone si ricongiunge ai miti di Diomede, di Ulisse , di Circe , di Medea, di Pico di una stessa natura; e quello della Lupa di Romolo non è che una rimembranza di quello di Licaone; per lo quale fa mestieri riportarci alle primitive sedi Pelasgiche, alla Licaonia Greca-Macedo- ne, Asiana ed Assira; e vederne scritta la ragione sulle pendici dell'Emo , e del Pelio e dell’Atos ; sulle. sponde dell’Acheloo e dello Strimone ; chè dovunque Li- caone, diventato simbolo delle trasmigrazioni successive, fu l’apportatore della fiaccola incivilitrice col nome di Lupo, ossia la luce della civiltà, che i suoi figli arre- cavano dovunque, perloche bene Ovidio disselo trasfor- mato nell’animale sacro alla luce, e al sole. Dappresso siffatte idee non sarà maravigliato il leggitore sentire, che un Lupo fosse guida, e conduttore de’ Figliuoli dei Sabini, gl’Irpini , da Irpo , lupo; perchè, non erano i Sabini prole antichissima de’ Proto-Pelasgi , o degli Arcadi-Licaonidi , venuti dalla Sofene, regione o as- sira, o ad essa prossima; 0 della Siria Orontea, — bl — ove rinvengonsi le genealogie solari e Lunari ?_ (57) Il perchè non saremo più imbrogliati come al tempo di Plutarco , mercè i soccorsi della moderna archeo- logia , nello spiegare il mito della Lupa di Romolo , nella quale, oltre al vedersi improntata come ad eter- na leggenda la provenienza di Romolo dai Licaonidi, 0 Arcadi-Pelasgi, venuti dalla parte dell'Epiro e dell'Ilivia dalla antichissima Emazia , o Macedonia, sulle sponde del Tevere, evvi pure l'impronta dell’ antichissimo culto di que’ Proto-parenti, cioè il solare, e della luce, al qua- le alludono pure il mito di Pico, come si è detto, cui va congiunto quello di Carmenta , e di Evandro, in- segnanti le dottrine di unità , di luce , insomma cre- denze più consone ai primitivi culti , che non furono quelli posteriori misticizzati. E poichè i due infanti della Lupa possono avvisare al gemellismo, o al Cabirismo per la Samotracia , non lungi dai Licaonidi-Macedoni, ove abbiam visto, come un principio più semplice forse adorato , e nel quale iniziati furono , come si è nar-' rato , Olimpia e Filippo genitori d’ Alessandro , pos- siamo vedere in Romolo e Remo effigiato un principio di tale iniziazione , nella quale erano dati agli iniziati de nomi distintivi presi dagli animali, come ne misteri mitriaei (98). Ragioni più vicine e convincenti ci traggono vicen- devolmente da Roma in Arcadia , o Pelasgiotide ( nel qual generico nome cemprendo sempre la Macedonia); (57) Jannelli op. cit. p. 45. (58) S.t Croix Myster. du Pagan. Cf. Goulianoff op. cit vi IL p. 337 eseg. ove delle dotte discussioni, — 152 — imperocchè , abbiam toccato di Panlazio ; ed ora os- servo , che Palanzio in Roma ricordato come un’edi- ficazione attribuita ad Evandro, per questo stesso siamo riportati ai Licaonidi di Arcadia ; poichè ivi pure un Pallanzio fabricato da Pallante figlio di Licaone (Steph. Byz. h. v. Cfr. adnot. ad lib. VII. C. INI. Pausan. Siebel.) si rinviene. E se vogliasi maggior conferma, leg- gendosi Pausania (lib. VINI. Arcad. C. I. p. 272. Sie- belis ), si avrà che Licaone fabricò Licosura sul monte Liceo, che chiamò Liceo, ed istituî i Lupercalî in suo onore, dei quali sembra una genuina e perfetta immita- zione quella dei Lupercali in Roma instituiti. Non vorrei però ritenere nè quel che ci è pervenuto dal citato Pausa- nia e da altri sulla Antropotisia degli Arcadi , nè quel che ne ha pensato il Boetliger , che nella favola di Li- caone trasformato ha creduto rinvenire le vestigia della Licantropia; perciocchè, oltre che la favola apparter- rebbe piuttosto ad altro Licaone diverso da quello che fu -stabilitore delle Colonie Arcadie, ma anche ammet- tendola nel primo Licaone ; in essa, sulle orme, del- l'Heyne (Observat. ad Appollodor. II. C. 8. p. 261.), 1 diversi miti di cui ragiona Pausania, avvisano a miglior coltura de’ campi, a commercì introdotti , a stabilimenti di Città, ed a culto astrifero, comincian- do da Giove, che dicendo Licio, e consecrandogli un tempio în alto, avvisa a luce. E la favola di Callisto mutata in orsa, e collocata come costellazione zodia- cale, è esempio per Licaone ; sicchè tutto traesi ad un punto e quanto vi ha nella Lupa di Romolo, e nella trasformazione di Licaone in Lupo, Infatti nelle meda- — 153 — glie degli Egiziani degl'Imperatori, una Lupa, probabil- mente Bouto-Latona, la dea della Notte, allattando due fanciulli ( Zoéga, Num. Aegypt. imper. tab. XVII. et p. 70), non è che una ricordanza di tal principio per Roma. Oh qual sarebbe lo stato della nostra scien- za, se la simbologia, e la mitica ci nascondessero meno le memorie degli antichi ! | Passando da Romolo ad Alessandro, il Leone a quel che abbiam detto è per sè stesso evidentissimo simbolo Solare, come può raccogliersi. da un’ immenso stuolo di scrittori, nè v ha d'uopo di lungo discorso. Ma ol- tre al Leone, havvi per Alessandro il simbolo del Ca- vallo Bucefalo, del quale è mio scopo vedere la mi- tica ragione nella seconda parte, di cui in questo mo- mento bastami, indipendentemente dalle testimonianze che produrrò , indicare un luogo di Pausania (in La- conicis ), che dice « Ex quadrupedibus apud Graeco- rum nonnullos , equus soli sacer fuit. Itaque in Ta- leto, quod in vertice Taygeti solis fanum erat, equi sacrificabantur Soli ». In Alessandria inoltre abbiam visto l'’Agatodemone , sotto forma di gran serpente, sorgere di sotterra, e dedicarglisi un Tempio, come genio buono , e conser- vatore, della nuova Città. A Roma nell’ innalzarsi l'e- terne mura , rinviensi sotterra il Dio Conso, del quale disse Plutarco ( in Romulo, GC. XIV. ) « Consum ve- cabant Deum, sive consiliorum ille praeses a consilio dictus : l'istesso che Nettuno equestre; alla qual cosa non sembra che l’Alicarnasseo dia l’adesion sua, mo- | strandosi incerto dell’ara dissepolta, ed a Nettuno con- — 154 — sacrata come scuotitore della terra a lui soggetta , circondandola con le sue onde. Comunque ei sia, es- sendo difficile di talune cose dire il vero, come lV’i- stesso Alicarnasseo confessa; un luogo di S. Cipriano rinfranca il dire di Plutarco « Est Romulus. peierante Proculo deus factus et Picus, et Tiberinus, et Pilumnus et Consus, quem Deum fraudis, vel ut consiliorum deum, coli Romulus voluit, post quam in raptum Sabinorum perfidia provenit » (de Idol. vanit. p. 570 Paristis 1844). Baluzio negli annotamenti al detto luogo di S. Gi- priano (p. 569), reca l’autorità di Giraldi (Syntagm. Deor. V. ), ove si dà ragione delle conche, di:una aquila bianca con rossa cresta, di una testuggine, sim- bolo di consiglio , trovate in una casa sotterranea a forma di cella vicino al Tempio di S. Anastasia. Fermandoci un momento e sul riferito da Dionigi, e da Plutarco , e da altri, e trovando, che a Nettuno era de- dicato l’obelisco, la colonna, segni solari, di materia ignea , ciò non disconverrebbe a Nettuno scuotitor della terra per forza ignea interna, che fa sorgere e monti e continenti dall’istesso seno delle onde (59). Per lo che lara del Dio Conso , o Nettuno che fosse, sarebbe in- dizio essere stata eretta al dio che il suolo Romano avea fatto sorgere per vulcanica eruzione sommarina ( vedi le opinioni dei geologi moderni sulla natura vulcanica della terra di Roma ). Onde veggo in Gotofredo Ermanno ( opuse. vol. 7 de Apollin. et Diana p. poster. p. 307 (59) A che altro se non a questo accenna la favola di esser Vul- cano fatto figlio del Nilo , e questo figlio dell'Oceano, identico a Nettuno ? ( Boccaccio genealogia degli Dei.) i — 155 — Lipsiaè 1839 ) riportata l'opinione di A. Boeckh espressa in una sua dissertazione su di un’orazione di Demostene, nella quale leggesi » Solem cum Equestri Neptuno eum- dem putavit deum esse ». Sotto il rapporto poi di forza della natura, che non può non darsi a Nettuno, e quindi demiurgica , creatrice, che abbiamo ‘veduto nel: Nilo; Serapide, Ammone, Canopo per l'Egitto, troviamo un’eguale qualità in Nettuno o Cone so; che era mitologicamente fratello di Giove (60) d pria- (60) Il Dio Sole, l'istesso che Giove, e Serapide, e il Dife padre, e sotto tal rapporto Nettuno Padre , come il chiamava Lucilio presso Lattanzio, Instit. IV. 3. — Egger op. cit. p. 258, Ut nemo sit nostrum , quin pater opiaumu Divum Ut Nepiunu' pater , Liber , Saturnu pater, Mars Ianu' , Quirinu' pater , nomen dicatur ad unum I quali versi richiamano gli altri dello stesso Poeta Lucilio a «0 + Z'ubulus ‘si Lucius unquam , Si Lupus , aut Carbo Neptuni filiu' Divos «Esse. n Patate, tam impius aut perjuru' fuisset P Oltre Sackia ali v. ol. ku etc. (ad Aeneid. X, p. 554, Got- tingae 1826)», che dice tratto da Lucilio nel 1. libro, ove discorresi del concilio degli Dei, e specialmente di Giové, e su la necessità di uccidere Lupò i che egli crede un rettor di i , troviamo j qui trascritti versi in Cicerone de N. D. 1. , 23, che ridesi di siffatti Dìi ; dalle quali osservazioni di Suif e dal disprezzo di' Cicerone, veggo e il culto di questo Dio Lupo , e di Nettuno, che fa d’uopo credere antichissimo nel suolo Romano , cui potrebbe esser’ riferito il tanto studio di riprodurre la leggenda della Zupa allattante 20 — 156 — cipio della forza eterea, come Emio presso Varro- Romolo, e Remo; e l'impegno di Giove, e de’ suoi Dii compagni di spossessare essi loro dalla venerazione in che eran tenuti; e.il veder qui congiunti Nettuno e Lupo, mi ricorda la guerra di Nettuno con - tro Giove. In somma travedesi quella vecchia lizza: di stirpi è di calti diversi , che si contendono il primato, della quale Lucilio ci avrebbe conservata anche egli una ricordanza. Similmente il gran- de Epico Latino da poi faceva, adombrandolo nella contesa di Giu- none e di Venere, del quale dualismo è ripieno il.suo poema, ove la lotta del patriziato , e della plebe, personificati l’uno nella Giu- none protetti da Giove , il Dio massimo del patriziato, il Nume eroico; l’altra nella Venere dappoi equiparata agli Dii, ossia egua- gliate le condizioni dei diritti tra l’una e l’altra casta :; onde dopo Venere fu detta victrir Venus, la guerra tra il Cielo: e la terra, . cioè tra il culto celeste e terrestre; come da Varrone. Quindi posso ben affermare che Nettuno, o Conso, Nume antichissimo di Roma, forse fu detto Corso dal Consiglio degli Dei, fra i quali egli eguale a Giove, per atterrare il culto di Zupo, e di Carbo. Ma vedi ciò che dirò di Conso più appresso. Alle preposte osservazioni , potrebbe far miglior seguito quanto leggesi nelle giunte alle osservazioni dell’ Epitome del Lib. II. p. 505. di Ateneo dello Schweighaeuser (Argentorat: Bip. 1801.) ove Nes- tuno è identificato a Giove, il Znyvos ITooerdày, Il Giove- Nettuno, o il Summus Neptunus. Del quale scambio delle due Divinità, ne dà esempio Omero , anche con altre , così Zeùs natayboyios , e presso Virgilio Stygius Iupiler: Ala tòv èy Gaddoon il Mari- num Iovem di Eschilo presso Pausania ( Il. 24. ); e sécondo l’Eti- mologico m, p. 407 ; 7. colla parola Zeùs alcuna volta anche ò IIocedéy è indicato. Su tali e'ementi , stabiliti i rapporti tra Nettuno e Giove ; e questo riputato talvolta quale Ctorio Nume , o Plutone ; Nettuno ne assume le istesse idee , egual potenza , e uniformità , o a meglio dire, semplificando, è il Sommo Nume, che impera sull'Olimpo, su l'onde tempestose, e negl'Inferni, che la ignavia delle genti distinse sotto un’ aspetto di fisica teologia. Onde che resta spiegato così il Dio Corso, o Nettuno, come in- — 157 ne (641), e nella dottrina degli Orfici, Nettuno equivarebbe al principio umido rappresentato dal Dio dell’acqua uno de componenti primitivi delle cose create; ed eccoci allora riportati al sistema del principio umido del Serapide Nilo, o meglio del Gano po Egiziano, al quale l'i dria , e le colonne 0 stele, riunione de’ due principî umido e secco , o il fuoco, e le tenebre ; quindi simbolo del Dio Supero', e' dello ‘ctonio , ‘0 inferno , essendo stato il Nilo figura del soggiorno de’ morti ‘e il potere della doppia natura ; come di sopra ho osservato. E per tanto ben conveniente a Nettuno ‘0 Conso, Ja cui ara fu trovata sotterra a Roma, e al quale furono aggiu- dicati i ludi e le corse equestri; e poichè i cavalli, co- me abbiamo altrove veduto, son simboli solari e dedicati al Sole , e la gente Romana Pelasgica osservatrice di tal culto, nel.dio Conso, ignoto Dio, secondo Dionisio, dob- biamo vedere il Nettuno equestre ; qual Dio tutelare di Roma. Volendosi approfondir dippiù su questa leggenda Romana di Nettuno, avrei .a richiamare il mito di que- sto Nume con che è dichiarato padre di 35 figli, per- fero Nume, o Ctonio ; ed è l’istesso che Giove ; nel quale ri- vive sotto altro nome, e con'0n nuovo modo di essere ve- nerafo non più sotterra , essendosi già per la nuova gente fatto passaggio dalla architettura trogloditica a quella a cielo scoverto. (61) » Istic est is Iuppiter quem dico , quem Graeci vocant » "Aépx , qui ventus est et nubes , imber postea , » Aique ex imbre frigus, ventus post fit, aer denuo. » Haecce propter Iuppiter sunt ista quae dico tibi , » Quoniam mortalis atque urbes belluasque omneis iuvat Varro de L. L. lib. V. $ 64 e 65 Muller Lips. 1833. — 158— sonificazioni di 35 popoli colonizzatori, fra i quali Pe- lasgo fu annoverato ( Boccaccio Geneal, degli Dei ). La qual larga progenie per li mari si diffonde ; e non fu l'ultimo il suolo Romano ad avere una gente. personi- ficata con Pelasgo, figlio di Nettuno ; venuta per mare; e. siccome vediamo in Fornuto (Nat. Deor.,de Nept. G. 22 p. 194), le navi furono il mezzo da trasferirsi nei diversi luoghi, e come furono in terra i cavalli ado- perati, e simboleggiarono sempre, le. somme imprese degli Eroi, così il Dio Conso,. o Nettuno. equestre, attesta la venuta di qualche Nettunia gente colonizzatrice, che volle ricordare la memoria della sua derivanza col culto di /Veltuno Equestre; conferma del già, detto. Nè deve passarsi senza una osservazione quel che leggesi in Festo, all'articolo October equus , preso da Timeo , ricordato da Plut. ( quaest.-Rom...c. 284) e 287), e oggetto di discussione di Polibio: (-lib..XII. de sententiis c. 381 Mai), e infine discussa dal: Niebhur (Istor. prelim. di Roma vers. del sig. Moschutti p..113); il quale articolo, parmi importantissimò: per nuovi rap- porti che seco trae con le antiche colonie Pelasgiche ve- late sotto l'aspetto Trojano, che al postutto, non sono che pur esse Pelasgiche. Imperciocchè, se il sacrifizio del cavallo di ottobre rammentasse a Roma un costume de’ figliuoli de’ Dardani, nulla vi ha di straordinario in un popolo che tanta affinità avea, e tanti legami col, mi- tico Enea, passato con l’autorità di Livio in Macedo- nia, ove a sentimanto di Scilace (c..35 ) e di Stra- — bone ( XII c. 593 ) riportati dal dotto Niebhur, mesco- taronsi agli antichi cittadini una moltitudine di gente presa — 159 — da tutte le nazioni. E se egli è vero quel che osserva Hull= mann ( primitivo ordinamento della società Romana ); nel [Nettuno equestre, 0 Conso ; .da cui i Consualia, avremmo le alleanze, i matrimonii, onde trovo in Var- rone, che Nettunofu detto anubendo (Lib. IV. 40, Mul- ler ), e il gran Concilio generale che‘ ne venne fu detto Panlatium , costume che rinviensi in Grecia, e ‘che avea luogo pur in Macedonia. E rivenendo.al sacrifizio del ca- vallo in ottobre, mi richiama al pensiere, come: presso'i Romani primitivi, specialmente, rifulgano usanze e riti, che risentono del genio orientale, dacchè leggo in Grorresio (Introduzione al Ramayana; poema Indiano di Valmichi vol. I. p. XXI.V. Parigi 1843 ) la seguente descrizione, che vi ha tutta l'analogia. « Sulle sponde:della Sarayùsi » stende un ampio, e bel paese appellato dei Cosali. Ivi ) è situata la nobil città d’Ayodhyà, regal sede di Dasa- » ratha discendente illustre dell’antichissima stirpe degli » Tesvacuidi. Questi ormai provetto e privo di figli, i quali » perpetuino l’ inclita prosapia ed i funebri riti, ordina » con grande apparato un solenne Asvamedha o sacrifizio » del cavallo, a cui presiede il venerando Risiasringa » figlio di Casyapa, già abitatot delle selvé, è trattone » conarti di seduzione descritte inun episodio del poema. » Sul finir del sacrifizio s'incingono di quattro portati le » tre consorti di Dasaratha ,, e maturati i parti nenasco-, » no quattro figli, porzioni della sostanza di Visnù, Rama, » Bharata, Lacsmona, e Satrugna » (62). Ecco come (62) Da una moueta di Berea della Macedonia coniata per i ludi funebri Alessandreidi , a modo degli Olimpiaci , ( Eckhel p. 112) si può dedurre , che il cavallo in essi funerei onori non fosse stato — 160 — nelle Indie, in Grecia, in Macedonia, in Roma il cavallo riassume le più grandi forme epiche, mitiche , eroiche, e di ordinamenti civili, e religiosi. E per singolare analo- gia, nelle origini di Roma rinviensi l’ara del primo doma- tor de cavalli, qual fu Nettuno ; come Alessandria era l’o- pera del domator del Bucefalo. E qui viemmi a. taglio rammentare Curzio il quale a cavallo slanciasi nella vo- ragine, cosa del tutto mitica, di che non ci han dato ragione nè Livio , nè Dionigi , nè altri; e forse perveni tocene il racconto da qualche leggenda poetica passata nelle narrazioni de’classici scrittori delle Romane cose. Ma pria di porre termine al mio parlare sul Nume Conso , o Nettuno equestre, molto importante e per la sua attenenza al culto Pelasgico adottato a Roma, e per la sua convenienza coll’origine pelasgica della stessa, mi eredo nel debito di esporre le seguenti riflessioni, che deduco dalle annotazioni del Ciampi al Pausania, e dal Siebelis. Dalle quali, opino, rimanga rischiara- to, del pari che dall’Jannelli (op. cit. ) la derivanza di Conso , o Nettuno dalla razza Licaonide-Pelasga, es- obliato, tanto più che in una moneta di Olinto nella stessa Mace- donia ( Osserv. e memor. del ch. Cavedoni sopra alcune monete pu= blicate negli annali di Numism. del ch. Fiorelli 1846 p. 184, 185 ) evvi il cavallo gradiente ; ed in altra simile il cavallo in tutta corsa, e in cui la colonna sormontata dall’'urna rappresentante il sepolero di Olinto ; ed il cavallo , i ludi funebri , soliti cele- brarsi in onore dell'Eroe. In tal circostanza il dotto Cavedoni ri - corda la colonna funerea con l'idria contenente le ceneri di Oc- feo riportato da Pausania in Dio della Macedonia, che avvalora quanto di sopra per questa. Cfr. ciò che ha scritto il ch, Miner- vini nel Bu//ett, Arch. Nap. An, VI. p. 64 su questi monumenti. — 16) — sendo misto nel Panteo Romano con Mercurio , Pané, Girce ete. Ora il Ciampi aggiustatamente riflette ( Note al VII. Lib. di Pausan. Cap. XXI. ); Nettuno esserè stato delto equestre dai Romani, dall'fartos dei Gre- ci : vuole eziandio che Conso fosse stato così appel lato, perchè il Tracico nome di Conso: era venuto in Italia prima di quello: d’Hippios. La quale. riflessione porta a travedere, ‘che Conso: fosse stato il Nume dei Licaonidi-Pelasgi, i quali di Tracia trasmigrando, per l'Adriatico approdavano alle sponde Italiche, e risalivano il Tevere ; la qual voce di Conso essendo ‘alcun che simi- gliante al Kond della lingua Illirica significante. cavallo; essendo essa: contermine alla Macedonia, che .a'ribocco abbiam visto Tracica , probabilissimente potremmo ri- tenere, che Nettuno o Gonso- fosse stato adorato e por- tato a Roma dalla razza Licaonide-Pelasga ,. tanto più che Nettuno fu padre di un secondo Licaone, dal quale forse l'Attica, dapprima chiamata Cranaide ., ebbe ci- viltà: ( Troya ‘op. cit. vol. 4. pag. 48), e da cui fu- rono scacciati i primi Pelasgi. Con che rimonterebbesi a Nettunie colomizzazioni, a commerciali. comunicanze; a traffichi, e ritorni, le quali cose potrebbero far di- sparire Je difficoltà per omonimi coloni. A tal punto trovo un riscontro nel mito di Nettuno amante di Ce- rere , trasformata in cavalla, © risaputa. troppo per tesmofora; il quale seguendola nelle sue investigazioni per rinvenire la figlia, le si unisce sotto forma di cavallo; Ghe altro ciò significa, se non che alle leggi e alla civiltà introdotte ne’ popoli, e nelle contrade, fertilizzate dall'a- gricoltura, va dietro il commercio, di cui Nettuno è il > 162 — simbolo con la navigazione? (Paus. VII e. XXV. ) Che cosa è il trasmutarsi di Cerere in cavalla, se non l'amor dell'industria , de’ viaggi , i quali vengono compiuti con l’animale il:più* generoso, e il più adatto alla vita del- l'industria? E la trasformazione di Nettuno in siffatto animale ; non ne è il compendio ? . Quindi: il Conso di Plutarco, di Dionisio Alicarnasso; è la prima divinità e la più antica a Roma, il:cui nome grecizzato con Hippios , venne latinizzato con l'equestris, ma rimanendo sempre il Nume della stabilità , perchè dove le leggi, l'industria, il commercio, la prosperità è immanchevole , epperò va comparato al Nume Egizio, come abbiam veduto in Serapide-Nilo , anch'esso sta- bile e prosperevole. Venendo infine al carattere morale dei due Eroi, quale conformità non si riscontra di essi, non uscendo dalla linea miticostorica ! Romolo impetuoso quanto Alessan- dro, scuote il giogo degli Albani. Alessandro si svin- cola da quello de’ Macedoni. Questi vivea nell'epoca eroi- ca di essi, in cui il feudalismo , € l'aristocrazia la più fie- ra inceppavano il potere, e incatenavanlo, al quale però avea dato alcun brogio il fino Filippo; come Numitore avea fatto per Romolo. Alessandro parte adunque dalla feudalità , ossia dal patriziato potentissimo , come vedesi in tutte Je epoche eroiche, per innalzare ed equiparare le condizioni umane di tutti popoli, e ne concretizza l’idea con la fondazione di Alessandria , sicchè la glo- ria maggiore non fu: pel Macedone d'aver vinto Dario , ma appunto nell'aver fatto sorgere. una città tipo della, più sublime idea surta nel mondo degli Eroi. Romolo — 163 — dal suo canto parte dal patriziato di Alba, per fare altrettanto a Roma ; l’uno appartenendo alla stirpe Do- rico-Pelasga; l’altro alla Pelasgo-Latina. Il primo, co- me rilevasi dalle varie storie, e dalle narrate contese co’ Macedoni, non vuol riconoscere ne’ soggetti Macedoni; Persi, Egizì, Greci, Indi, che altrettanti cittadini di un sol paese, senza veruna dissimiglianza; quindi ordina ‘i connubii tra individui Macedoni e Persiani, ed altri po-' poli, ed egli stesso ne dà esempio. Vuol tutto riunire, assimilare, e non ha a vile la causia macedonica in con- fronto della tiara persica, le gemme, le porpore, le tu- niche , le corone , i non più visti padiglioni ( Athen. Deipn. XII. C. 9. n. 53, e 54. p. 496—300. Schwei- ghaeuser ) col vestire del più rozzo de’ suoi popoli. A ciò si uniforma quel che dice Plutarco di Romolo in rap- porto a Teseo (Parall. IV. p. 48). Romolo è fondatore di un Impero, che dovendo ereditar da quello di Alessan- dro, offre al principio l'esempio della pazienza e del tem- po; e dei secoli di ostinate fatiche e battaglie. ‘Romolo, riverente alla madre, conserva allo zio il Trono d’Enea : Alessandro riverentissimo ad Olimpia , lasciolla a Pella quasi Regina; a Lei comunica arcane cose, come aveala già difesa in faccia a Filippo, dal cui cuore era scaduta per Cleopatra. Ad. Antipatro nel corso delle sue vittorie, qual nuovo Numitore , as- segna d’invigilare la Macedonia , e fallo stare a guar- dia delle machinazioni de’ Greci, e di Atene special- mente e de’ suoi demagoghi. Ma questi due astri spa- riscono immaluramente ,. nè la forza del Leone , nè l’a- stuzia del Lupo valsero a camparli dalla prepotenza vile x 21 — 104 — del tradimento ; ed ebbero un fato presso che eguale a gli altri Eroi ; e furono vittime della perfidia , co- me Ercole, Schemschid, Achille, etc. ; e com essi divinizzati , quando l'invidia , e l'ambizione aveano spun- tati ne loro cuori i dardi insidiatori. Romolo muore all’in- furiare di una tempesta fra il tumulto del popolo, vittima de’ patrizî, cui pone un velo Proculo, narrando l’appa- rizione dell’estinto Re (63). Alessandro assalito da febbre tremenda (64), o forse, che sarà accaduto più verisimil- mente, avvelenato da suoi ambiziosi cortegiani, manda l’ estremo sospiro in Babilonia, ed è quindi spacciato e creduto un Dio per opera di questi stessi (65). E muore (63) « Sed profecto tanta fuit in eo vis ingenii atque virtutis , » ut id de Romulo Proculo Iulio homini agresti crederetur , quod » multis iam ante saeculis nullo alio de mortali homines credidis- » sent : qui impulsu patrum, quo illi a se invidiam interitus Ro- » muli pellerent , in concione dixisse fertur , a se visum esse in » eo colle Romulum, qui nunc Quirinalis vocatur : eum sibi man- » dasse ut populum rogaret ut sibi eo in colle delubrum fieret : se » deum esse et Quirinum vocari. » Cicer. de repubi, lib- Il. p 148, 149. Mai. ” (64) Vedi ciò che ne dice Littrè il quale crede morto Alessan- dro della febbre sizoca, e remittente d'Ippocrate, terribile nel suolo di Babilonia. Egli esclude le idee ipotetiche di St. Croix e quelle del Dr. Vincent. Vedi lo stesso, o Fragm. Histor. Graec. p. 123 e 124 Didot. Pausania parla di una specie di veleno che poteva rinserrarsi entro il cavo dell’unghia di cavallo lib. VHI, cap. XVIII. Ciò ricorda in confronto di quel che ha detto il Lit- tré, che in Arrian. lib. VII. C. XXVII. vedesi scritto essere stato Alessandro avvelenato con veleno mandato di Grecia rinchiuso nell'unghia di un cavallo o di mulo. (65) Riferisce Arriano lib. VII, c. XXVII. Didot, cosa presso — 165 — contemporaneamente il cinico Diogene, secondo Plutar- co (66), evenienza singolare , di cui non debbe tra- scurarsi notare la coincidenza, avendo in animo far vedere , come questi due personaggi che vivi eransi dichiarati due Numi, andassero a riunir la divinità loro, chi sa; se nell'Olimpo; o nell’orco. Ecco infine come fi+ nirono due uomini, grandi, per nascita , per città fon- date, per disegni vasti, immensi, mondiali ; per Ji quali, da una parte l'urto degli Asiani verso occidente perdeva ogni forza ad Arbella, completandosi il moto Europeo verso Asia; con cui per la falange Macedone il Giovane Alessandro., cacciava quell’ammasso di piccoli stati Greci dallo stato inoperoso, e rendevali cosmopoli- tici ; dall'altra, il moto Europeo, a resistere , e mettere una barriera al minacciante Oriente colla Roma del Ro- molo , la quale da costui ebbe principio di monarchia , e di stabilità incomparabile, alla quale se Cesare, avesse fatto ritorno, Roma non atrebbe avuto nè i Caligola, nè i Neroni. Ma questi mostri preparando i trionfi del Cristianesimo, prepararono egualmente i trionfi dell’Oc- cidente in Roma per esso. Se al termine del mio parallelo avessi a trovar punti di- che simile a quel che si narra di Romolo, in queste parole « qui- » dam etiam seribere non erubuit , Alexandruam quum jam de » salute desperaret, ad Eupbratem se contulisse conjiciendi se in » flumen animo, uti sublatus ex hominum oculis, certiorem apud » posteros fidem faceret , se‘ex deorum genere ortum ad deos » rediisse. Roxanem vero conjugem , consilio intellecto , inhi- » buisse , p'orantemque ipsum dixisse : invidere illam sibi divi- » nitatis parlae gloriam. » (66) Plutarch, Sympos. lib. VHI. p. 717. D. — 166 — sgiuntivi tra Alessandro e Romolo , sarebbe al certo nel vedere, il primo gran conquistatore, grande civilizzatore, strumento raro, e forse primo a mettere in comunicanza il vecchio Oriente con Europa. E se trovassi uomo a compa- rarlo sotto questo rapporto, non mi sentirei alieno dal met- tergli a fronte Buonaparte fino ad un certo segno; nè sen- za gloria maggiore pel primo. Imperciocchè maraviglia- no moltissimi del passaggio delle Alpi, quasi che costi- tuisse l’apogéo delle imprese eroiche; e risalendo ad Ercole, che il primo i miti ci mostrano averle supe- rate per arrecar civiltà , e più miti costumi, di cui eroici versi furono scritti ( Niebhur p. 76 ), ne credono insuperabile l'impresa registrata da ogni età ed in ogni leggenda. L’istesso Buonaparte maravigliava egli pure del passaggio medesimo eseguito da Annibale, per im- padronirsi d'Italia. Noi contemporanei di quel grande, abbiam sentito i sonanti versi del Bardo della selva nera, dipingente il Marte dell'era nostra, quando in Marengo discese fulminante; e diciamo opere, ardimenti estremi, cui al di là non può spingersi neanche bril- lante fantasia. Ma se meno abbagliati di avvenimenti quasi nostrali, e de’ primi tempi ante Romani', e di quell’Impero, considerassimo le marce di Alessandro, avremmo a scorgere, che questi non traguardava su quel piano incantato che natura ha ricinto con lAlpe e col mar, ove se lo sgomento si fa padrone del co- raggio , il coraggio rinasce a quel bel sole , che ad una ad una fa contar le Città , i villaggi, e addita lo delizie incomparabili, i campi ove rise l'Eterno, e la- sciovvi il sorriso interminabile. Il Macedone d'altronde sor- — 167 — montando l’Indo-Coosh coronato di perpetue nevi, ascese le estreme vette de’ monti del Caucaso Indiano; e per com- prendere la non più vista audacia Macedone, e l' im- portanza del gran Capitano conducente smarriti; € sfi- duciati soldati, animati solo nel cammino da una lan- guida face di speranza, che in lor palpitava di rive- dere alfine la patria a migliaia di leghe da essi lontana, gettisi un'occhiata su l'articolo di Humboldt (Cosmo Con- quiste d'Alessandro vol. II. p. 203 versione di V. de- gli Uberti ) « Se noi paragoniamo, egli dice, prendendo » per misura la longitudine, la lunghezza del Mediter- » raneo colla distanza da ponente ad oriente che divide » l’Asia minore dalle ripe dell’/pasi ( Gourrah ), e degli » altari del ritorno» (segni di confine ai giganteschi con- cepimenti di Alessandro , e simbolo de’ limiti delle cose . umane ) , « ci avvediamo che nell’ intervallo di pochi anni » si raddoppiò il mondo conosciuto da’ Greci... . Lungo » quel cammino l’armata attraversò terre basse, veri de- » serti privi di vegetali o salsi steppi ( come nella parte » settentrionale delle montagne Asferab che sono una » continuazione del Tian-schan ) e quattro grandi vallate » ricche e coltivate , quella dell'Eufrate , dell'Indo, del- » l'Oxo e del Iasarte, formavano un contrapposto di con- » tra ai nevosi monti alti quasi. 20,000 piedi. L’Indo- » Coosh, oil Caucaso Indiano de’ Macedoni , è un pro- » lungamento del Kuen-lun del Tibet Boreale , e più in- » nanzi verso Herat , a ponente della catena traversale » di Belor di settentrione , e di mezzogiorno , si divide in » due grandi rami che confinano col Kafirstan : il ramo » meridionale è il più alto ed il più importante. » — 168 — » Alessandro passò di sopra dell’Altopiano di Bomion valto più di 8000 piedi, dove supponevasi che si ve- » desse la caverna di Prometeo; ascese la cresta di Ka- » hibaba, e passò sopra Kabura, e lungo il corso del » Choes per traghettare l’Indo di sopra della Città pre- » sente di Attock. L'Indo-Coosh , coronato di perpetae » nevi, che secondo Burnos, comincia vicino di Bamian » con un'altezza di 12000 piedi francesi, paragonato alla » più umile elevazione del Tauro cui erano usi i Greci, » debbe aver data ad essi l'occasione di apprendere, in » un modo gigantesco, la soprapposizione di differenti » zone di clima e di vegetali ». Dunque allo sguardo del Filosofo e dello Storico Alessandro non è che la scin- tilla di quel fuoco Divino che i poeti dissero tratta dal Cielo da Prometeo, il Franklin del vecchio mondo ; la quale sparge immensi sprazzi di luce, e di sapere avvicendandoli in Asia e in Europa ; non mica una sto- lida conquista, ma la più preziosa conquista del sapere umano. « La spedizione, secondo che osserva lo stesso Humboldt (pag. 242), che disserrò sì larga e bella parte della superficie terrestre ad una nazione di così alto intelletto e civiltà, si può riguardare, nel più ri- goroso significato del vocabolo una spedizione scientifica: e nel vero era la prima nella quale il conquistatore si circondava di uomini dotti in ogni parte della scienza, di naturalisti, di storici, di filosofi e di artisti. AI principo di questo parallelo, ho detto in nota , che Buonaparte , ed Alessandro si slontanarono in Egit= to ; in quanto che sfortunata fu la conquista de’ Fran- cesi su quella classica terra; ma possono i due gran — 159 — Capitani riabbracciarsi nell'accordo scientifico di entrambi; poichè il mondo, e l'archeologia , dalla spedizione fran- cese in Egitto avvantaggiarono sì tanto per essa , quanto la più grande scoperta di un mondo incognito all'atto fino a quel punto, e che ha aperto il campo vastissimo ad infinito progresso archeologico , il quale si è volto al- l'ultima \delle sue conquiste , le Indie (67), | Per compiere questo quadro di Alessandro, credo op- portunissimo sentir riepilogato dall'Enciclopedico citato Scrittore quanto di grande offre l’immensità de’ suoi dise- gni; dopo i quali le accuse invereconde rimarranno anne- gate nella loro vastità ; e l'eco delle crudeltà per Clito , Callistene , Parmenione, sfumerà come il sogno di una notte allo splendorè. della gloria sua. « Le spedizioni di » Alessandro, eccone le parole, la caduta dell'Impero Per- » siano, l’incominciamento del commercio coll’India, e » l'influenza di 116 anni del Regno Greco-Baltriano , se- » gnano una delle epoche più importanti della Storia ge- » nerale ; o, di quella parte del progressivo svolgimento » della storia della razza umana, che tratta della comu- » nicazione più intima e dell’unione delle contrade Euro, (67) « Le caractère philosophique de l’expédition d'Egypte se- » rait unique dans les annales du monde, si on ne se rappele » lait Alexandre parcourant cette mème Egypte et l'Orient avec » Callisthène, Pyrrhon; Anaxarque, faisant fair partout des » recherches d’histoire naturelle et des descriptions de lieux pour » Athènes et pour Aristote. Le nouvel Alexandre, dans sa course » civilisatrice , avait aussi les yeux sur Paris et sur l' Institut, » Cousin Oeuvres Fragments Philosoph. Not. addition. a l' éloge de M. Fourier v, II. p. 245. Braxelles 1841. — 170 — » pee dell'occidente coll’Asia a Libeccio , colla valle del » Nilo e colla Libia. Perla qual cosa, quella comunanza di » vita, quella influenza reciproca di differenti nazioni, non » solo si ampliava fuor di misura sopra una vasta super- » ficie, ma si fortificava possentemente ancora, ed avanza- » va nella sua grandezza morale, mediante il costante de- » siderio del conquistatore per stringere tutte le diverse ) razze, e comporre un gran tutto vivificato dal Greco » spirito ». (Qui l’autore si è avvalso del Droysen, Geschi- chte Alexanders des Grossen, e Geschichte der Bisdug des hellenistischen Staaten-Systems , che io non ho po- tuto consultare, per non esservene qui nessuna copia ). « La fondazione di tante nuove città in cotali siti, » di modo che manifestamente indicavano uno scopo più » elevato e più generale, la composizione e l'ordinamento » di una comunità indipendente per il governo di quelle » città ( Ciò respinge ogni idea di non aver lasciato leggi, non potendo esser città con tanto intendimento fagli zate senza leggi, sovvenendomi del dire di Ocello Lu- cano ( de Lig: ‘feti. ex Stobaeo Ecl. Phys. Lib. A. Cap. 16 ) familias vero et civitates concordia, hugus autem causa lex.); « la tolleranza del culto nativo e » degli usi nazionali, sono pruove tutte di un gran di- » segno per istituire una società compiuta, ed unita. » Più tardi, come sempre avviene , molte cose che da ) prima non si erano comprese in quel disegno, venivano » fuori dalla qualità delle relazioni stabilite. Se rammen- » tiamo che solo 52 Olimpiadi erano trascorse dalla bat- » taglia del Granico sino alla distruggitrice irruzione dei » Saci e de’ Tocari nella Battria, noi non possiamo con- nia-t ff ia né »'siderare senza somma maraviglia con quanta forza l’in-, »'fluenza della civiltà Greca s imbocco nell’occidente; » la quale mescolata col sapere Arabo, e col più recente » Persiano, Indiano, mostrò la sua forza insino al mè- » dio evo, a guisa che spesso rendeva dubbioso ciò che » si doveva attribuire all'influenza Greca, o allo spirito » originale d’invenzione e di scoperta di quelle nazioni » Asiatiche ». « Tutte le istituzioni civili e gli ordinamenti di questo » ardito conquistatore dimostrano che il principio di unio- » ne e di unità , o piuttosto il sentimento della vantag- » giosa influenza di questo principio , era profonda- » mente impresso nella sua mente, ed anche conside- » rato come applicato alla Grecia, gli era stato, di » buon ora, trasfuso dal suo gran maestro (67). (67) Alessandro oltre ai grandi principî di politica e di econo- mia da lui tratti dagl’insegnamenti di Aristotele, come ho avuto occasione rammentare per lo innanzi , possedeva. eminenti qua- lità letterarie, Le correzioni da esso fatte praticare da Callistene, e.da Anassarco ai Canti Omerici , rivelano il suo. genio anche poetico. Ecco quel che leggesi nei frammenti di Callistene editi dal Muller p. 8. Didot., ov è recato un luogo di Westermann che dicendo di quello Storico, le sue parole han rapporto ad Alessandro: mon solum in colloquiis recitandis saepenumero ver- sibus Homericis , cerum etiam co probavit , quod Iiadem. jussu Alexandri eoque ipso praeeunte una cum Anaxarcho correxit itaque novom jus recensionem paravit , quae quoniam in capsula praetiosissima in Persico Thesauro reperta ab Alexandre circum= ferebatur etc. E la più alta conoscenza degli altri Poeti, e ’l gu- sto per Euripide, Eschilo, e il recitarne sovente de’ lunghi pezzi, non potevano nel suo genio, giovane, eniusiasta, potente e versalile non ingenerare in mezzo alle più svariate scene della vita, e di 22 — 172— Ad uomini di tal tempera cede ogni paragone, € lasciasi presso di loro aperto campo per esser solcato lui specialmente, un desiderio di lasciare alla patria sua fra i tanti, anche un monumento di poesia. In due luoghi ci dà contezza Ate- neo (lib. IT. c. IL. p. 195. f ; e lib, XII. p. 119, e 157. Schwei- ghaeuser Bip. 1805) di un Dramma Satirico avente per titolo Agen; del quale alcuni brani sono per esso a noi pervenuti. Con- fessano gli Annotatori del citato scrittore, essere impossibile sa- pere di detto Agen, e dire alcuna cosa oltre quello affermato da Ate- néo. Forse che l’Agen è un abbreviato del nome di Agenore, che se- condo gl’istessi sarebbe un nome adottato dallo stesso Alessandro : De Agene nihil prorsus liquet nobis. Videtur. autem fictum no- men esse ex Aylyvee lecurtatum; quo ipse fortasse Alexander desi- gnabatur. Animadvers in Athenacum in lib. XII. C. L. p. 165 Schweighaeuser. Intanto chi volesse meglio mettersi a conoscenza e del soggetto del. Dramma, e de’ suoi rapporti con Arpalo fug+ gito in Atene, ove fu accolto dai nemici d'Alessandro ; del Tem- pio costrutto a Pizionica sua druda , dell'immenso sciupo di de- naro da lui fatto; depredato in Babilonia dal tesoro rimastogli da Alessandro nel partire per le Indie ( Diod. Sicul. lib. 17, Plu- tarch in Phoc.), legga le dotte cose esposte dagli annotatori di Ate- neo al lib. I. e al lib. XHI, Di qual pregio poi fosse stato si Dramma menzionato di Alessandro, non è facile il parlarne; lo credo però di molto interessamento, essendo di quel genere difficilissimo, perchè toccante cose domestiche, depravamenti di costumi e di cui unica mente può dirsi aver ben trattato Aristofane; al quale potrebbe esserè ravvicinato per tal riguardo. E penso non appormi male ricordando, che Alessandro fosse in corrispondenza scientifica co’primi dotti della sua epoca ; e che le grandi quistoni su le sue epistole scritte ad Ari- stotele, siano abbastanza documentate dal vedersi ch'egli fosse in comunicazione anche con Teopompo, come rilevasi dal citato Ateneo ne luoghi notati. Sicchè non discredo che fosse stato formato un vo- lume di sue lettere, come riscontro con alquanti scrittori; delle quali varie sono a noi pervenute, e fin qui non da tutti credute autentiche. — 173.- da mano industre , ;e raccoglitrice dell'immenso seme ri- sparsovi, eredità di chi visse incomparabile. Questa raccolta da Tolomei , custodita, armonizzata fra gli uo- mini, aspettò nuovi eventi, e quell’ultimo giro che do- vea dar compimento al Genio Occidentale. Fornito questo parallelo, dimanderò cosa ci è rimaso di Alessandro e di Romolo ? Alessandria, e Roma. Ma di queste due più superbe Città del mondo, che rimane? Il pensiero per la prima , la parola per l’altra, che è la più fedele, la più potente ausiliatrice , e fecondatrice di quello. Alessandria sui confini de’ due mondi, orien- tale ed occidentale, raccolse nella grande scuola in essa aperta tutto quanto il sapere del vecchio Oriente, e Vintelligentissima Grecia avevano col pensiero innal- zato nell'edificio dell’umana sapienza. Roma accolse l'am- pia eredità, di cui fu tradizionaria pel suo nome in- communicabile , con la sua parola ; e fecondando il pen- siero Alessandrino, fecene eterno il pensiero , come sarà eterna pur essa per la parela. Ma non basta; Ales- sandria trasmise a Roma insieme alla sapienza prima, e sviata, ancor quello che i Padri Santi della Chiesa Cristiana da quel grande e sublime focolare della sa- pienza eterodossa avevano raccolto per la nuova, vera Ma se così elevato il suo ingegno - se trovandosi in mezzo ai più grandi Filosofi ; se di loro fu discepolo, se ebbe anima ardente di ogni gloria , mettendo in cima di essa e di ogni potenza , il sapere, come dice il Dacier ( compareison d'Alex., et de Cesar), non è » più un problema la sua dottrina , non ordinaria la vita sua lettera- ria; epperò come ho detto nella 1.* parte con Cantit Alessandro al genio della conquista, unì rara. dottrina. — 174 — e religiosa, per essere snodato , «e risparso all’ orbe universo. I Romani per Cesare ebbero onta incancellabile per la distruzione della prima biblioteca Alessandrina. Fatalità e superstizione distrussero l altra all’ epoca di Teodosio monumento della sapienza eterodossa e vecchia de’ pri- mi popoli del mondo, la Biblioteca de’ Tolomei, famosa quanto il lor nome. Pianse lo storico Orosio a tanta sventura per le lettere antiche e per le vetuste memo- rie, e non può abbastanza deplorarsi la perdita di un monumento insigne , in cui l’arte di due popoli erasi affratellata per farlo tipo di grandezza (68). Trovo a dover notare nel rincontro , che Ghateaubriand , le cui parole sono da me riferite nella sottoposta nota , ab- bia male addotto il luogo di Orosio, rapportandolo alla distruzione del Serapeo in Alessandria , e della Biblio- | (68) La distruzione del ‘Tempio di Serapide in Alessandria è ancora celebre, dice Chateaubriand ( Etudes Histor. ). Le sue bi- blioteche , i suoi portici , le sue statue , le sue colonne fatte di marmo ; le impellicciature , e le manifatture di argento ‘e d'oro, la statua colossale di marmo di Serapide con la testa misteriosa, di cui le labbra erano in una certa ora dal giorno irraggiate dal sole, sono cose conosciute ( Rufin. lib. XXII etc. ) I pagani ne volevano sostenere la difesa infiammati dall’eloquenza del Filosofo Olimpio. Ellade ed Ammone combattevauo sotto i suoi ordini. Teofilo arcivescovo d'Alessandria forte degli Editti di Teodosio , ebbe la vittoria. Olimpio abbandonò il Tempio dopo che ebbe là sentito una voce che cantava A//e/uja a mezzo della notte nel si- lenzio del tempio. (Zosim. p. 588, c. d. ) Allora l'edificio fu saccheggiato e distrutto « Nos vidimus (QOros. VI. c. XV. p. 421. armaria librorum quibus direpris, exinanita cam nostris hominibus, noslris temporibus memorant etc, — 179 — teca magnifica ch’ eravi annessa , al tempo di Teodo- sio, e di Teofilo Arcivescovo di quella città ; quando lo slorico Cristiano avea , fuor di sè, rotto nelle citate esclamazioni pel danno immenso arrecato dall’ Incendio ( almeno così pare da interpetrare l'oscuro senso del- l'autore , come pure è paruto all’ Annotatore nell’ edi- zione del Migne p. 1035 e segu. Parigi 1846 ) alla Bi- blioteca di Tolomeo , in tempi di crudeltà , cui 1’ in- felice Alessandria fu soggetta nell’ invasione di Cesare alla quale epoca sono riferibili le parole di Orosio. Im- perocchè la Biblioteca di Tolomeo era diversa dalla se- conda, come si ha dalle menzionate annotazioni allo stesso, la quale avendo ricevuto ingrandimento da quel- la di Pergamo , € collocata nel Serapeo, fu distrutta o dispersa al tempo della ruina del medesimo ; la quale cosa non fu minor dissavventura della prima. Ma sten- dere la mano, ove il dito della Provvidenza ha se- gnato la morte, è ardire dell’uomo ; chè quell’istesso dito avea contati i giorni ad Alessandro e a Romolo. E sul Serapèo stava scritto l'anatema tremendo, come sul Colosseo! a DI IDO TT LL da essa Ali slrg io ) OPOIRIMIM DO ò Ha slloa 0101 - » pena sora i baila sudialida i le pci è Sag pane it all BI88 igionli 1igo2 6 3L01 qndi dob sie cus 0, Abolreno ib nti st assolo ib 59 s1asabe ib. suditerab ito. puo cab pirbanazatà ssriligiaor0 ib gtendg dt idioti Sm0a 8909! alal. na atleti sarde sro. osasilo Hi anetoiidii sl diforovag olle iaviestunaa Mteaoisgdar sallabo sa da 9e109 cb > sfsnp. sb olanmiliagigai oteragie obasva DOT pi tende etimblià sil sorio dae ptanoltro Li e ib sl alsup sb ortiagiva fab carine allo oqmor fa aaqrib 0 - ola balio app alli srstisrvnazili scr Li ada pa san ssasbirron4, glisb alibi di Uol i open sl obo casstal'ilsap dl i owdv Usb stibia iron si "ola" Ma wall fi ‘o pra bai ECOFE 1A ilado9, io AI, ola, nce; nmuaisusi odia suola. ade S — 177 PARTE SECONDA ———____—_ CAPITOLO LI ALESSANDRO: DOMATORE DEL BUCEFALO È UN MITO? NY LessanpRO nascendo in Pella al cominciare della AYA 106° olimpiade , il giorno sesto del mese Eca- è 3:53 tombeon, che i Macedoni chiamavano Loon (1), nel 400 di Roma, 0406, secondo l'Avercampo nelle anno- tazioni ad Orosio, (Lib. III. Cap. VII: p. 840 Pariis 1846. Migne.) corrispondente ai 20 settembre dell’anno 556 av. G. G., da Filippo e da Olimpia, i suoi natali , quali son quelli degli uomini straordinarî, furono preceduti, ed ac- compagnati da vaticinî , da prodigi, e da grandi avveni» menti (2). Imperocchè a misura che gli uomini s’innalza+ {1) Plutar. vit. Alex. c. 4.; Demosthenes de corona. Vedi le dotte discussioni su i mesi macedoni e greci in detta orazione p. 305 e segu. Ediz. di Harless. Lips. 1814. (2) « Tunc etiam nox usque ad plurimam diei partem tendì » visa est, veris terram lapidibus verberavit. Quibus diebus etiam — 178— no, e debbano grandi cose operare , hanno mestieri esser fregiati di alcun che di divino , € di quella aureola lucentissima , che divini li renda presso i loro simili. I quali han d’uopo di questo fascino per far sublime idea di alcuno fra essi. Tale si fu pur l’origine di Ro- molo e di Remo a Roma, come abbiam visto; di An- nibale (3) e di altri grandi. Non vi è stato adunque Eroe nell’antichità , per lo quale non siasi ricorso ad origine divina , talchè il dotto » Alexander Magnus, magnus vere ille gurges miseriarum, at- » que atrocissimus turbo totius Orientis est natus. » — Oros. Hist. IL VI., 810- 11. edit. cit. }. Il suo parlare è conforme al tempo in cui scriveva; nè faccia per questo maraviglia, e leggasi l’apostrofe in fine del cap. XX. lib. III. p. 840, ove ado- pera altri sensi. — Circa quest'epoca ( V. C. 411.) Giulio Ob- sequente riferisce ‘le istesse cose ( Prodigior. Libell. p. 47, vol. II. pars poster: Lemain ) (3) » Vix videbatur ille’ (Annibal ) tantae molis bellum su- » scipere et impeditissimum: per Pyrenaeos, Alpesque iter cons » ficere potuisse sine praesenti numinis ope et deorum Enteayeio: » arripuerunt hoc historici, Graeculi in primis, fabularun m- » raculorumque captatores avidissimi , et variis fictionibus, qui- » bus inescarent ac delinirent lectores, pro more et ingenio quis- » que suo, res gestas Annibalis exornarunt. Ad lecythos igitur et » pigmenta historicorum, vanam lectorum delectationom occu- » pantium, pertinuit hoc quoque Annibalis somnium, quo in ge- » nere quantum indulserint sibi historici Graeci vel ex una A- » lexandri magni historia abunde patet. » Boeltiger Or. de Somn. Annibal. ap. Liv. XXI», 22, Opusc. pi 181. edit. Sillig. — Cnfr. Canal, Illustre. a Valer. Massim. in Scipion. p. 1702. Clas- sici Lat. Venezia Antonell. 1839. — Oros. Hist, lib, II. cap. VII. p. 810. Paris 1846, “ cio {79 si Heeren (4) dice, che la miglior raccomandazione per li Principi Greci si era poter rimontare per mezzo delle loro famiglie sino ad uno degli antichi Eroi, e sino agli stessi Dit, di cui Alessandro andò a cercar la sanzione al tempio di Giove Ammone. Ateneo (5) parlando della pompa di Tolomeo Filadelfo , riferisce , che nelle pro- cessioni insieme a Giove‘ ed altri Dei, era portata la statua d’Alessandro , e pur Teocrito nell’Idilio diretto a quel Re, non ricusagli un posto fra le Divinità (6). Laonde siamo obbligati a vedere in codeste derivanze, ed assimilazioni altrettanti miti, ‘che soccorrono piutto- sto alla storia di un popolo, alle sue credenze, ai costumi , all’indole , ed alle personificazioni di tutta quanta una epoca, ed una dinastia. Tolga il cielo , che con ciò intender voglia a sminuire la realità di Alessandro. Desidero sempre più sceverare alcun che (4) Politique et Comm. des peupl. de l'antiquit. trad. sur la 4.me edit. par W. de Suckau et A. Schutt. Paris 1844, t. VII. p. 104. (5) Deipnosoph. lib. V. cap. V. (6) Eccone i versi nell’Idill. XVIf. voltati dal Pagnini. Ben ai Numi beati in pregio uguale Lo rese il padre Giove , e albergo d'oro Fugli in sua casa eretto. Accanto a lui Sta l'Amico Alessandro , infesto Nume A' Persi e destro in oggirar consigli. In faccia a loro in solido adamante Al tauricida Alcide un seggio è posto , Ovei con gli altri abitator' det Cielo Siede a convito e de’ nepoti ognora Pig" DR di mitico che nella storia del Macedone rinviensi, forse aggiunto dai biografi, e dagli storici suoi e contem- poranei e posteri, non solo, ma dalle fantasiose menti degli orientali, e dai poeti greco-macedoni, allo stesso modo com'erasi praticalo per Giove , per Ercole , per. Bacco ete., che non furono che potenti e Régi, i quali in- staurando Regni, civiltà nuova, muovi culti, dannarono l'ignoranza, e la barbarie , le quali epoche proverbiali furono rammentate per simboli e per miti; opera; co- me vuole 1’ addotto Heeren; de’ poeti e degli artisti presso i Greci (7). Non può non intravvedersi, intanto De' suoi nepoti oltruso si compiace. Perocchè della squallida vecchiezza Giove lor membra terse , onde nomati Furo immortali i discendenti suoi Conversi in Numi ; poichè il figlio invitto D'Alcide a entrambi origin diede, e Alcide Entrambi fanno di lor ceppi autore. (7) La Storia di Alessandro cantata; dagli orientali ;è stata dai medesimi tradotta nel linguaggio il più enltusiastico, special- mente dagli Arabi. Nei deserti dell'Arabia e della Siria vive an- cora la memoria del. Grande ,. e questo popolo di. ardente fan- tasia, vagante , valoroso, sdegnoso della nostra civiltà , igno- rante la storia di altri popoli , immobile nelle prime istituzioni; immaginoso come un figlio del deserto ; scosso da qualche epoca nuova , da qualche soggetto straordinario, su questo fissa lo sguar- do , lo esalta , adornandolo stranamente ,. e il canto diventando nazionale passa di bocca in bocca ; e Salomone, e il suo anello; Alessandro e la sua spada, Maometto e le sue estasi , risuonano negli accenti di uno Sceicco adagiato nella sua tenda, ove fa a- — 181 — nel nome di Alessandro, e ne fatti che son di lui narrati e prima, e dopo la sua nascita quel costume già vec- chio in oriente , portatoin Grecia da’ vari colonizzatori, di sommettere tutto a’ miti. E la storia greca, ben disse il Leo (8), potrebbe essere largo campo a storia di mi- ti; tanta la fantasia e’l vario de’ popoli; del suolo, dei culti, onde fu-tutta distinta e contrassegnata nel corso delle nazioni. Talchè il vero fa d’uopo rintracciarlo per tal via misteriosa e quasi arcana. La qual cosa è confermata dal Creuzer(9), nè da rivocarsi in dubbio, dopo 1 sviluppa- menti portati dai moderni ricercatori di miti su i siste- mi Asiani ; e della vecchia Europa (10). I lor grandi scoltarne i prodigî al chiaror della Luna su le sabbie ove si at tenda la bellicosa gioventì. i Cfr. Cicero de Nat. Deor. lib. 1. C. XXVII: Quis tam caecus » in contemplandis rebus.unquam fuit ut non videret species istas » hominum collatas in Deos, aut consilio quodam sapientum, quo » facilius animos imperitorum ad Deorum cultum a vitae pravitate » converterent : aut superstitione, ut essent simulacra, quae ve- » nerantes, Deos ipsos se adire erederent ? Auxerunt autem haec » cadem poetae , pietores, opifices. Erat enim non facile agentes » aliquid et: molientes Deos. in aliarum formarum imitatione ser- » vare. Accessit etiam ista opinio fortasse quod nomine nihil pul- » chrius videatur. » (8) Stor. Univ. — Grecia — Confr. Niebhur Stor. Rom. (9) Religions de l'antiquite. 110) Erodoto avendo nel lib. 2. cap. 43, 44, stabilito nel culto di Ercole due parti distinte; l'una eroica, cioè di un mortale deifica- to; e l'altra di un Dio Olimpico derivato dall'Egitto, diede una pruova tra le più grandi per la storia delle religioni comparate della Grecia e dell'Asia. Da ciò, dice R00n) Rochette Mem. d'archéol. compar. sur l'Hehcul. p. 14, può vedersi qual progresso avesse fatto — 182 — lavori sono per me guida, e» scuola alle ricerche cui sono inteso. Non credasi futile un tal: parlare ,, perchè il bassorilievo Pompeiano fa concepirmi il pensiero, che rappresenti un mito; e mitica io credo essere la nar- razione pervenutaci .di Alessandro domatore del Bucefa- lo; e poetico è il tuono, e poetico il dire dello Pseu- do-Callistene intorno ad Alessandro domatore del Buce- falo, come ho già altrove cennato. Ma tal congettura non debbe camminare come un vero; e riluttante a tutto quello che sappiamo d’Alessandro , e che non potrebb'essere annegato, senza rinnegare ogni storica fonte ,, e dare ad essa quell’assentimento , che le appartiene. La moderna critica d’altronde sveste i perso- naggi e i fatti di tutte quelle favole, che la oscurità dei tempi, talvolta il genio di scrivere, la qualità degli scrit- tori agglomerano nella vita de’ grandi uomini. La storia di Alessandro n’ è stata troppo avviluppata ; essendo stato l’obbietto de’ canti di tutti Poeti, e delle narrazioni de- gli Storici e Biografi spesso imbevuti di fantasiosi rac- conti; epperò vasto campo per sè, e per la fantasia del più ideale popolo della terra alle mitiche figure. L'istesso Alessandro incaricato Aristobolo di scrivere î l'Ellenismo nella sua tendenza ad amalgamare le divinità Greche ed Orientali tra il secolo di Erodoto , e quello di Luciano (vedi pure M- Movers die Phoen. p. 85. ). Ai nostri giorni lo studio de' miti insieme a quello dei monumenti de' diversi popoli offre un avanzamento segnalato, ed un campo vastissimo all’archeo!o- gia, per iseoprire l'uniformità e l'unità di derivazione dei culti, e dei costurni di tutte le genti del globo. Sul duplice Ercole, e sulla diversità dello stesso, vedi Ecateo presso Arriano , e nei fram- menti del Creuzer p. 50, ed Heyne Obss. ad Apollodor. p. 158, — 183 — grandi avvenimenti, che Lui vivo succedevansi, fece rim- provero di cose da favola dette da costui. E se rammen- tisi che di un immenso numero di scrittori delle sue gesta, pochissimi sono a noi pervenuti, e dai pochi spargersi il favoloso, sicchè ne hanno tòlto taccia l'uno dell'altro ; non sarà difficile vedere espresso un mito nel bassori- lievo Pompeiano. Noi vedremo e andremo in traccia di tutto ciò che ha sembianza di mitico nella storia del grande Macedone , e noteremo , come i Greci fossero vaghi di ritrarre i loro grandi assimilandoli ai divini, e crederli tali; ed in Plutarco abbiamo questo linguaggio messo in bocca d’Alessandro (14). Due grandi idee, io opino ; s'inchiudono nel mito d’Alessandro domatore del Bucefalo. 1. Alessandro vuol essere dichiarato un Nume, un rigeneratore dell’ uma- nità, un novello Dioniso, il Figliuolo di Giove, e di Ercole , per venire all’ Imperio universale, al reggi- mento di ogni popolo (12); e però stende 1 immenso (11) « Herculem imitor, Perseum aemulor , Bacchique , qui » Deus auctor mei est generis, inhaerens vestigiis, rursus in » India vincentium Graecorum chorum volo ponere , et apud » montanas. agrestesque, trans Caucasum gentes Bacchi com- » messationum memoriam renovare ; sunt et ibi quidam durae » philosophiae nudato corpore assueti rerum suarum superantes, » nulla pera indigentes ; non enim recondunt alimentum, quae » iis terra subinde recens suggerit, potnm fluvii, folia ab arbori- » bus defluentia et herba e terra enascens laetum, per me et » hi Diogenem cognoscent, et ipsos Diogenes, oportet etiam me no- » misma cudere et barbarica e materia factum Graecanicae forma » reipublicae signare. De fort. Alex. Orat. 1. p.332 Amstelodam. (12) A ciò si riferisce la disputa tra Anassarco e Callistene, — 184 — sguardo alla conquista, alla religione ; al commercio, alla Filosofia, e da per tutto mostra l'umanità e la grandezza d'animo , ciò posto in veduta, ‘specialmente da Diodoro , e da Plutarco. Fassi imitatore de’ grandi Eroi e Occidentali, ed Orientali ; e di sè stesso ap- pellandosi divino ; divinizza chi gli è il più caro, Efe- stione, ed innalza al suo amico prediletto. un monu- mento funereo (13), quale si fu-la Pira, sopra un vasto disegno orientale; e con un'idea tutta orientale, perchè per lui tutto il ihondo è pgtria; e solo la' gran- dezza è fissa ne suoi disegni, concepiti e nati in Ma- cedonia, maturati dopo la battaglia di Arbella , che aveagli aperto il mondo asiano. Ma l'Imperio universale » secondo Arriano de expedit. Alex. lib. IV. p. 85 Vulcan « A- » naxarchus sermonis initium fecisse censentem, Alexandrum » majore jure pro Deo habendum, quam Liberum aut Herculem, » idque non modo propter. magnitudinem atqne praestantiam » rerum ab Alexandro gestarum , verum etiam quod Liber pa- » ter Thebanus fecisset, nihil cum Macedonibus commune ha- » bens : Hercules autem Argivus ne ipse quidem conveniens , » nisi quod ad Alexandri genus attinet. Alexandrum enim He- » raclidem esse. Macedones vero ‘multo convenientius atque ac- » quius suum ipsorum regem divinis: honoribus prosequi. Ne- » que enim dubium esse, quin postquam e vivis excessisset , » ut deum culturi essent; multo igitur satius esse , vivo illi di- vinos honores deferre quam mortuo, quum nulla ad eum cultus utilitas esset perventura. (13) Il signor Morison viaggiatore , che în questo momento percorre la Persia , ha scoperto in Hamadona , città dell’Yran, antica Echatana , una volta capitale della Media , la tomba di Efestione , celebre favorito di Alessandro , che morì in quella città l’anno 324 av. G, C. Questo sepolcro è nn'antichità pre- < x — 185 — | del mondo, è un vano pensiero : egli muore, rima- nendone una traccia, come zona descritta nel folto di una notte da quegli aereoliti che appariscono striscian- ti e solcanti l’ atmosfera bruna. 2. Alessandro vuol distruggere ogni seme di barbarie tra gli uomini, ogni dissensione , e vuol generare. fra essi il regno della pace , della felicità , dell’ armonia ; sterminando i mali; vuol essere l’Ercole novello, per ammansare |’ idra sem- pre rinascente dell’ ignoranza , della ferocia, e dell’im- mavità; e tal parte di mito la si vede nel domare il cavallo che miticamente narrarono alcuni biografi essere antropofago , carnivoro, quasi un secondo cavallo del mitico Diomede. } Queste due idee si snocciolano , e svolgonsi, dietro 1 tratti della vita del Grande, che andrò rammentando a mano a mano, sommettendoli alla osservazione , e de- eisione de’ dotti nostrali e stranieri. Intanto dal citato luogo di Plutarco, ben puossi ri- flettere com’ ei sia analogo a quanto ho manifestato. Ax che vuole aggiungersi il cennato intorno al genio Greco circa gli Eroi di quella Nazione. Laonde abbiamo in Mueller (14), che l’ identificazione de’ Principi con le divinità conosciute , col mezzo di forme corporee per co- stume e per attributi, aprì nel quarto periodo dell’arte un vasto campo all’immaginazione degli artisti ; delle ziosissima e contiene una iscrizione assai ben conservala, e che non fa punto dubitare della sua origine. Dall’ Ordine Giornale Nopolet. politic. e letter. 1850 n. 133 all'art. Persia. (14) Mueller M. d'Archeol. $. 160. ld — 186—. goal cose vedrò le ragioni il meglio che potrò. Ma perchè l'istesso nome di Alessandro ha qualche cosa da esser meditato nel mitico ragionamento , così da esso prenderò discorso. Trovo scritto al Capitolo XII. dello Pseudo-Calliste- ne , che Filippo al figlio avuto da Olimpia impose il nome di Alessandro ; perchè serbando tenerezza per altro figlio avuto da precedente matrimonio , e pur Ales- sandro chiamato , amò ripeterne il nome a lui caro (15). Sappiamo da Pausania (16), come Filippo fosse uso a ripetere l’ elogio di Glauco Spartano : Sancta patris melior sequitur vestigia proles ; dal quale vediamo quanto egli fosse persuaso , e pre- vidente dell’ eccellenza di Alessandro. Ma le varie con- ghietture che andrò io facendo intorno all’ etimologia del Nome di Alessandro, serviranno per avvalorare il mio intento, e l'intelligenza che debbe aversi intorno ad esso, fatto per esprimere la sua eccellenza , e la beneficenza qual nuovo Ercole, appellato Alexicacon difensore del- l'umanità, come lo chiama Varrone (17). Al che fa buon (15) « Sed enim cum videam sobolem esse divinam, educatio- » nemque ipsam elementis et diis pariter cordi fuisse, votis edu- » calionis accedo ; inque memoriam ejus filii qui mihi natus oc- » cubuit de prioribus nuptiis, Alexandri ei nomen dabo ». Lib. I. p. 12. Didot. (16) Lib. VIII. e. VII. (17) De L. L. lib. 7. p. 150, t51. edit. C. O. Muller Lips. 1833. | —. 187 —. viso quello che leggesi nello stesso Pseudo-Callistene (18) latino, il quale reca alcuni versi usciti dal labbro del Sacerdote di Apollo in Tegira,. città della Beozia, piut- tosto che Agrigento, secondo il detto annotatore del luogo dello Pseudo-Callistene, divergente in ciò dal Mai, quando Alessandro volendo un vaticinio da quel- l Oracolo famoso, e non riuscendo «ad ottenerlo, mi- nacciò ripetere quel che avea fatto Ercole, secondo la favola. Da alcuni versi in che prorupppe il sacerdote, impariamo, come annota il lodato Mai,.che Alessandro fosse stato appellato Ercole da Apollo (19): Id quidem quod tu facis , Hercules fecit et ille deus Et divinitati jam destinatus; Quare et te par est nihil In nostri contumeliam niti : Si modo wviriutibus iuis Ex favore numinum consulis. Dopo i quali aggiunse il Vate : En vides, rex , quod illa tibi Numinis praestigiat divinatio , Quae et Herculem et Alexandrum vocat Igitur praenuntio tibi fore actus tuos Humanorum omnium fortiores Nomenque per saecula porrigendum. Or se Ercole ; secondo Macrobio, significa Sole; e quì vedesi somigliato Alessandro a quell’Eroe, ecco chè Alessandro significherebbe anche il Sole. (18) Lib. I c. XLV. p. 49, 50. (19) Tul. Val. Ort. I. p. 78, not. 2. Mediol. 1817. 24 — 188 — Ma più addentrata ragione etimologica del nome di Alessandro ci menerà meglio che con ciò a quello che può dichiararne la grandezza, e la mitica è divina natura, e miglior simiglianza e derivazione dal mede- simo Ercole, e dalla Suprema Divinità , che gli sto- rici ci han dichiarata sua Autrice, tenendo conto il più ch'è possibile de’ migliori scrittori intorno a questo soggetto sì importante. Invero non potrà la mente del leggitore esser lusin- gata , che la tenerezza di Filippo per un Figlio per- duto, avesselo determinato ad imporre al Magno Alessan- dro un nome, che ricorda tutte le simpatie della po- tenza e del genio. Non invano sarà il rammentare, che la Macedonia colonizzata dai Pelasgi, come abbiamo veduto nel parallelo, adoratori del Sole massimamente, era vicina alla Samotracia, ove il fuoco simbolo di un’ar- cana dottrina lo eta pure del Sole. Ove furono iniziati Filippo, ed Olimpia, come abbiam cennato ; e va con- fermato con l’autorità di Clemente Alessandrino ; il quale pure (20) riferisce. del culto del fuoco presso ‘i Macedoni. Ora questo astro e il fuoco ritenuti come. divinità be- nefiche da siffatti popoli, questi a coloro che eran fre- giati di qualità straordinarie } e di derivanze divine , davan nomi che ne avessero l’ impronta. Sotto questo rapporto, trovo ravvicinabile !AAe£2y3pos alle stesse, dal perchè il radicale di questo nome famcoso venendo da (20) « Persatum autem Mago, multique ex his, qui Asiam » incolunt, et praeterea Macedones , prout Diogenes in primo . » Persicorum scribit , igni divinos honores tribuunt, Cohortat. » ad gent. p. 56 Potter, » — 189 — ddézo, colwi che opera a distruggere il male, donde il com- posto dAstinaros , colui che allontana il male, al quale è affine dAetrimno, e dAettoipns alla qual voce è riferibile l'Arete Macedone, l'Ercote diquel popolo, il quale appunto dall’esser distruttore de’ mali, fu delpari che Apollo, e Gio- re, detto &Asginanos ( Damm Lexic.a talv.) e in tal senso adoperato da Omero (Hliad. K. v. 20). Quindi avremmo Alessandro un personaggio , un Eroe simile ad Ercole, se pur questo non è identico all’astro massimo, benefica divinità, come benefico pur Alessandra, da “AXstdvTpos soccorritore degli uomini , qualità identica all’Ercole dAetusnos, e al sole che sparge le più beate influenze su le cose e ne slontana il principio malo. | La ragione di svincolarei ancor più dall'idea, che Filip- po più che dalla tenerezza del primo Alessandro , avesse avuto altri riguardi pel figlio di Olimpia, sarà dedotta dal pensare, che ebbe riguardo ai prodigì compagni del suo nascimento; e alla derivanza da Giove, per esso trasformato, eome per Dioniso, in Serpente, giusta il summenzionato Clemente Alessandrino; il quale dice eziandio del costume di arrogarsi il nome degli Dei ; Non solum vero reges, sed privati etiam sibi Deorum nomna arrogabani : ut Meneerates medicus , qui co- gnominatus est Iupiler. Quid porro opus est referre Alexarchum 2 Is , cum grammaticen professus fuis- set , ut scribit Aristus Salaminus, sese in solem tran- sformavit (21). Noi abbiam toccato di questo genio pure invalso in Alessandro ; e lo vedremo più a lungo (21) Chortat. ad gent. p. 48. — 190 — a suo luogo. Furono si forti questi motivi per Filippo, co- me l’altro principio di essere Alessandro ‘una progenie pu- ranche di Ercole, il quale troppo evidentemente da Macro- bio ci è mostrato come si è detto, una Divinità solare, da queste parole: Sed nec Hercules a substantia solis alienus est, quippe Hercules ca est solis potestas ; quae hu- mano generi virtutem ad similitudinem praestat deo- run ; è più appresso: et revera Herculem solem esse vel ex nomine claret. "HpamAfis enim quid aliud est nisi Aeas id est acris nAsos quae porro alia aeris gloria est misi solis illuminaiio ; cujus recessu profunditate oc- culitur tenebrarum? (22) che Filippo non potè rinun- ziare alle cose religiose , e alle tradizioni, e vaticinî. Quindi con questi dati seguiremo ad esaminare l’etimo- logia del nome del magno Alessandro, la quale contri- buirà a fermare la ragione mitica non solo di Lui, ma del misticismo Greco-Macedone , del quale è ri- vestito l'Eroe nel bassorilievo Pompeiano, e la sua figura in esso espressa , e l’azione milica rappresentante. Da HA o doricamente ‘AA è derivato l HAtos Sol dA@w , atto, quasi Lupiter, vel sol almus ( Avetiino IMlu- straz. del mito di Talo p.XX_, e XXI; Damm. Lexicon. Graec. Etym alla v: *HAtos). Or noi abbiam visto, come gli uomini, e la gente Pelasgo-Arcade precipuamente, di- sviata dalla primitiva e vera credenza, avesse fatto del- l’astro maggiore il massimo Nume, e questo Giove; quasi che la sua bellezza, e i beneficì suoi, simboleggiassero quella vera Divinità, che a mano a mano aveano scordato . (22) Saturnal. lib, 1. p. 206, 7. Loudin, — 191 Ma quasi che 4 Sole valesse, presso gli eterodossi, a dare la più compiuta idea dalla potenza e della bel- Jezza della Divinità ; al nome di quell’astro drizzarono ogni altra significanza di nome di essa, come il più acconcio a riprodurre l’idea di sè; sicchè anche quello di Giove ne fu la ripetizione, e dicevasene Figlio. Fi- dia, giusta Clemente Alessandrino ( Cohortat. ad gen- tes. p. 47 ediz. cit.) nel suo famoso Giove Olimpico inscrisse nel dito della statua del Nume Tlayrapan Kados Omnes juvans pulcher; epperò che il Damm nel suo lexicon ‘alla v. “HAtos , dice , Sol continet omnia in vita et est conservator et tutor omnium viventium quia est ommis pulcritudinis auctor, ipse quoque pulcerrimus, poggiandosi ad Omero Iliad: A. v. 475. Onde che nel- l’eterodossia de’ popoli antichi fu il Simbolo , e il no- me di somma Divinità , il cui fondo, come abbiam notato altrove, risaliva ad un sol principio , simboleg- giato dal Sole, il quale una volta che ritenuto non più come simbolo, e come immagine di quello, ma au- tore del tutto; il suo influsso divinizzato fu Ammone, Osiride, Giove, Serapide; ec. per lo che suonano an- cora quei versi enimmatici di Marziano Capella (23) , Salve vera Deum facies vultusque paternae Octo et sexcentis numeris , cui litera trina. Conformat sacrum nomen cognomen et omen. a’ quali egli stesso, pare che abbia dato. una inter- pretazione con questi altri versi Solem Te Latium vocitat, quod solus honore Post Patrem sis lucis apex; Te Serapim Nilus, Memphis veneratur Osirim. (23) De Nuptiis Philologiae p. 43, e segu. — 192 — Ed Ammone, Osiride, Oro in Egitto; Apollo in Grecia, Dioniso, e Bacco, non erano che il Sole, il principio; 0 nascosto, 0 già manifestato , per espri- mermi con termini migliori , benefattore , umano , po- tente, vigilante ed immensamente armonico per l'ordine universale e per la sua forza diffusa in ogni cosa , per . Jo che Ercole, che abbiam detto lo stesso che il Sole; esprimeva nella pagana teologia virtulem Solis , e per- fanto diverso dall’ Ercole di Alemena de’Greci, in quanto che l’espressione di Macrobio è relativa ad un princi- pio metafisico nel termine di potenza-astratta nell’ alto concetto orientale; da poi meschinamente personificato negli Ercoli delle genti posteriori , che lo concretarono nelle azioni di uomo d’ imprese eroiche ; nel cui si- stema dobbiam penetrare per assiderci al banchetto delle mistificazioni posteriori, delle quali ebbero bisogno genti non più potutesi innalzare a’concetti più astratti e più semplici. i: Epperò gli uomini desiderosi di equipararsi alle Di- vinità , nè presero nome, come ‘abbiam visto, ed at- tributi, e si ammantarono pure de’ loro simboli. E fra essi va noverato Alessandro, che volle le corna arie- tine dell'Ammone Giove, di cui dicevasi Figlio, e la pelle di Ercole, quasi che non fossero state bastevoli le anteriori personificazioni di Giove stesso , e di Ercole; e volle pur considerarsi un altro Osiride , come si ha da Letronne (24). E il suo nome istesso da AA-Ef£awdpos valse ad espri- (24) Statua Vocale di Memnone. — 1939 — mere da 'AX Sole o Giove, è Etaydpos Ercole, giac- chè Xdydpos anche senza E, può essere un’ equivalente di Sandran, come può leggersi in Raoul-Rochette (op. cit. su di Ercole); quindi PErculea prole di Giove credè Filippo nomare chi fra gli uomini supremi, volle innalzarsi fino al Cielo ed avervi un seggio divino. Onde in Cle- mente Alessandrino (25) abbiamo in propoposito « Zi sunt enim qui homines ausi fuerunt in Deos referre qui Alexandrum Maeedonem, quem Babylon ostendit mor- fuum, Deum decimum tertium numerabant. Ma a ciò può aggiungersi ancora in riguardo all’ esame da noi intrapreso del nome di Alessandro , quant’ altro ap- pariamo dal dottissimo Gesenio ; secondo il quale A/ vuol significare Deus, che egli deriva dal radicale Aul. Fortis, robustus, Heros; ‘e alcuna. volta in sen- so di Angeli, poeticamente. Figli degli Dei. Dippiù avverte che El ed Il fosse special nome di Saturno come da Sanconiatone presso Eusebio (Preparat. Evang. 1. 10. ); per la qual voce ci troviamo ricondotti all' HA, o AX, e troviam un’omonimia in Baal Fenicio , come dal Damasceio presso Fozio ( cod. 242. ) E chi non sa che Baal era il Dio Supremo ; il Dio Sole , il Giove-Sole, del quale vedremo essere stato Alessan- dro una terza incarnazione , come cerasi fatto per £r- cole, e Bacco (26)? E le corna arietine a simiglianza (25) Protreptricon p. 77, 27, 39. Potter fol. (26) De Iosia Rege legitur II. Paralipom. cap. 34 Diruerunt coram éo altaria Baalim, et simulocra comminuit quoe sacra illi fuerunt, Simulacra haec sunt Ebraice Chamanim ct effigies So- — 194 — di Giove, adottate da Alessandro, se credasi a Gese- nio summenzionato , essendo equiparate ai raggi del Sole (27), ci rimandano ad Ammone (28) ‘asserto Pa- lis intelligunt Rabbini. Nam et Solem et Calorem chammah vo- cant. Selden. de .Diis Syris p. 322. Confr. Gesenius ( op. cit. ) il quale alle voce Bai! non dubita nella interpretazione per Baal, cioè ,, Signor del Sole. (27) Etenim cerva aurorae dictio est pottica de sole matutino pri- mos radios spar gente , quem Arabes dorcadem socant radios ex usu linguoe cum cornibus comparantes.., Apud Haririum Cons. V. p. 162 ed Schultens. (p- 50 ed. de Sacy) est: postquam sparsit se cornu dorcadis, i. e. sparserunt se radii solis orientis , et alibi dicitur sternutavit mihi uasus dorcadis i. e. adfulsit mihi sol exo- riens. Vide A/ber. Schultens , et Sile. de Sacy ad Harir. }. c. Et hic quidem phrasin ita illustrat; prominet cornu solis i. e. su- percilium s. radius ejus quod primum prodit în solis ‘ortu dicitur sparsio cornu , ortus. vero vocatur , ubi vel minima pars ejus con- spicitur. Gesen. Thesaur. Philolog. Crit. Ling. Hebr. et Chald. p. 46 Lips. 1829. Se a questa autorità di sì dotti scrittori si ag- giunga, che in Egizio ( Goulianoff op. cit. IIme. Part. p. 405. ) l'Ariete medesimamente al nome semitico, dinota forte, potente, principe , duce ; questi simboli di Giove-Ammone sono' riprodotti in Alessandro e nella prima radice del suo nome, 4/ omiofona di Ariete, e ne' segni simbolici di quell’animale dal. Macedone adottati non solo per sè, ma anche pel suo Bucefalo, come avrò campo di ricordare; maggiormente rimane comprovata l'origine So- lare, e la provenienza di Alessandro da Giove. Dippiù Mendes di- vinità degli Egizii , secondo Iablonski ( voces Aegypt. ap. script. veter. alla v. Thmuis vol. I. p. 89. ), da cui facilmente la città del tal nome, fu 7Amuis, il quale corrispondeva all'Zrco o Arieté, simbolicamente immagine del Sole. Quindi sarà semprepiù com- provata la solare etimologia del nome di Alessandro. (28) Ammone, No-Ammon degli Egizii Città di Giove , Città del Sole, detta Zeliopolis dai Greci; Fons Solis dagli Arabi. — 195 — dre di Alessandro, che vale luce, sublimità, equipol- lenti di Sole; epperò il primo elemento del composto di Alessandro, Al, dinota tali attributi convenienti alla piosdne: di Giove (29). Da quel che abbiam superiormente Gesen. Op. cit. p. 52 , vedi Iablonski. Opusc. T. IL. p. 21. de Remphah ; T.v® Panth. lib. IL. c. 2. (29) Sembrami che oltre ciò, possa vedersi l'adozione di nomi simbolici da altra ragione, da clie Champollion ( Precis p. 196), si avvisa che gli antichi Faraoni avessero preso il titolo di Cari ad Ammone , come vedesi su gli obelischi e su i grandi edificî di Tebe, e nella stela di Rosetta ( Cantù). La qual cosa fu imi- tala da Alessandro, e quindi dai Lagidi ; perciocchè opino che l4/ del nome Alessandro significando Sole , Giove, o Am- mone , valesse ad esprimere simbolicamente un tal tito!o, mas- sime che Alessandro avendo adottato le corna d'Ammone, volle ad ogni modo avere tutto ciò che facesselo risalire insino a quella Divinità che fu Zuce , Sole, i cui simboli l’obelisco , l'ariete, dinotavano l’ igrea, e solar natura. Ingegnosa ma contro l'av- viso di Champollion, sembra la discussione di Goulianoff (LI Part. a p. 363,397 ), ove fa vedere, che il titolo di cui quegli ha da- to la sua interpretazione , vada soggetto a duplice leggenda , cioè che nella lingua Volgare presso gli Egizii significasse usur- patore, e che l’ Ariete simbolo enimmatico di Ammone avvisasse ad Obbrobrio di quelli fra i Faraoni che avessero usate abomi- nazioni (pag. 405 ). In tanta astrusità di quistioni, e nella va- rietà delle interpretazioni, sarà meglio ritenere l’ avviso di Cham- pollion e l'uso de’ Regnatori Egizii , fra i quali Alessandro, di adottare i cognomi delle massime Divinità Egizie , facendosene successori , e discendenti. Il gettare un’ occhiata sulla seguente iscrizione trilingue nella celebre Stela di Rosetta voltata dal testo Greco da Ameilhon , sulla quale tante investigazioni , ci metterà dal suo canto; e vi si noterà il nome di Alessandro fra i Divini. ‘Regnante ( Rege); iuvene et successore Patris in Regnum do- 25 — 196 — i osservato per la bellezza di Giove, o Sole, potrà inoltre di leggeri esser dedotto , perchè gli storici avessero ma- gnificata la bellezza di Alessandro ; e perchè financo il dotto Wincklmann ne’ monumenti inediti (p. 230 n. 475) lasciò persuadersi a riconoscere in una bella statua esi- stente in Roma la figura di Alessandro il grande, da poi restituita dal Visconti (Op.Var. T.IV.p.384.; M. P. Cle- menlino T.1.p.92.not.3.) ragionevolmente al Sole. E qui credo opportuno rammentare egualmente, che gli si fosse con tanto studio accordato un aspetto leonino; perciocchè stato la più parte della sua vita ne!le grandi spedizioni, e conquiste orientali, si fosse ritenuta l'idea di que’ Luo--. ghi, presso i quali un Eroe era onorato del titolo di Leone; così Artaserse, Leo forlis; e nel radicale Ebrai- mino coronarum perillustri , Aegypti stabilitore et rerum quae pertinent ad Deos , Pio hostium victore, vitae hominum emen- datore, Domino triginta annorum periodorum , sicut Vulcanus ille magnus; Rege, sicut sol Magnus Rex, tam superiorum quam inferiorum regionum; gnato Deorum Philopatorum ; quem Vulca- nus approbavit , cui sol dedit victoriam, imagine vivente Tovis, Filio Solis, dilecto a Phta, Anno nono; sub Pontifice ( Aete Filio ) ALEXANDRI quidem et Deorum Adelphorum et Deorum Evergetum et Deorum Philopatorum et Epiphanis gratiosi ; Athlophora Bere- nices etc. Se potesse aver luogo alcuna analogia tra il nome di ALcssan- pro che leggesi nell’ iscrizione di Fe, di dove ( Cantù Ep. Il. p. 344. ) si è tratta questa voce per norma de' caratteri foretici, figuranti non l’idea, ma il suono, l'alfabeto; nel Nome di Ales- sandro , che vado esaminando, potrebbero per avventura vedersi le prime sue iniziali tutte allusive al Macedone nome, cioè l'4- quila , il Leone, la Coppa, che riassorbonsi nei tratti prodi- giosi di Alessandro e della sua vita, — 201 » tratti generici . . . . Nella plastica al contrario ; se » facciasi astrazione dalla scelta de’ miti ( che è la ec- » cezione favorevole pel nostro bassorilievo) per allu+ » sione a degli avvenimenti istorici , le composizioni » storiche sono vane innanzi l’ epoca d’Alessandro ». Dal pensare del Miller puossi ben ragionevolmente trar- re favorevolissimo discorso per l'epoca di Alessandro; e delle mitiche composizioni , cui davansi in braccia gli artisti. Difatti nell’annotazione all’ addotto luogo del Miiller se ne citano i monumenti, come la coppa d’ambra con tutta l’istoria d'Alessandro, ed un bassorilievo di Giallo antico di Laurentum con una simbolica della battaglia di Arbella (Fea note a Winkelman II. 441. G. m.). Nè può cader dubbio, che la vita di Alessandro , e l’azione importantissima di domare il Bucefalo., non abbiano destato anche nella mente degli artisti. Greci l’idea di un mito. Perciocchè fino a quell'epoca, erano esauriti i mezzi che avea apprestati l’epica. Quelli più potenti per la via dell’ arte si trovano nello sviluppa- mento della vita Greca stessa. I cantori Esiodici aveano toccato il loro apogéo , ed aveano dato ad Ercole la clava , e la pelle di Leone , attributo di cui servissi in seguito la plastica. Or 1 epoca di Alessandro , la conquista da lui fatta del Regno de’ Persiani, fornì -al- l'arte del disegno delle occasioni brillanti e varie. Delle nuove città, fondate sul modello Greco, dice il Muller, s'innalzavano nel mezzo del.paese della barbarie ; nuovi Santuarì si aprirono agli Dei della Grecia. L'orizzonte dell’arte fu ingrandito; le maraviglie dell’oriente eccite- rono negli artisti di quest'epoca il gusto della magni- — 202 — ficenza, e delle proporzioni colossali. Al che sè ag- giungasi quello che dottamente riflette il Tannelli ( Op. cit. su la Coppa Borbon.), avremo per noi aperto un campo vastissimo a considerare sul mito di Alassandro, qual domatore del Bucefalo , figura e simbolo del nuovo Tesmoforo Greco, terzo Dio riputato dagli Arabi, come abbiamo da Arriano (33). Imperocchè il Iannelli tra- vedendo in mezzo alle orientali tradizioni, riguarda Ales- sandro nella Coppa preziosa come segnato e contra- distinto da caratteri Dionisiaci. Quindi sviluppato che avrassi il principio del Iannelli, ne vedremo l’analogia quasi perfetta col pensiere del grande mitografo Creuzer intorno all’incontro di Alessandro con Diogene. Ora il suddetto Iannelli stabilendo tre forme di Bacco nell'ultima delle quali lo dichiara Xe del futuro secolo, successore di Giove all'Impero del Mondo, distruttore di questa terra, e ristoratore di una nuova e felicissima età, insignito del corno , il quale, secondo l’autore, significa forza , fra gli altri attributi , potere, signo- ria , Impero , e nel dialetto arabico il corno, vale se- colo, tempo, passa a riconoscerlo pel potentissimo Dhulkarn Signore dell'età presente e futura, dell'Est e dell'Ovest ete. listesso che 1 Osiride dell’ Oriente ( pag. 14, 12.). Ricorda, che il luogo in cui fu edi- ficata Alessandria di Egitto fu detto Racoti , sacro ab antiquo a Serapide o Dite Padre , lo stesso che 0- siride o Bacco; sicchè ritiene, il Dio Ceratoforo della coppa , essere l antico Serapide , cui fu sempre con- (33) De expedit. Alexandr. — 203 — sacrato il suolo Alessandrino. Il vecchio cormifero., dice l'Autore citato, esser posto nell'alto della coppa, per di- notare l'Occidente della città di Alessandria, la cui fon- dazione e disegno egli riconosce nel personaggio gio- vane , imberbe , con breve clamide posto nel mezzo di essa per disegnarne la. forma, e la figura. E. nel quale vede Alessandro il grande, qual nuovo Bacco, o Dhulkaren, riferendo , che le. Orientali nazioni tutte erano persuase, che oltre al massimo Dhulkaren, che dovea venire solamente alla fine dei tempi per rifor- mare ; € ristaurare il genere umano, credevano, che ve ne fossero dei molti altri minori inviati ne’ principî de’ minori. periodi 0 cicli cronici per conquistare ampie nazioni, e fra cui il più chiaro ed illustre Alessandro il grande , il Signor dei due corni (34) ; così la sua missione per la presenza del massimo Dhulkaren vien tratta figuratamente, come vedesi nell'anaglifo da lui esaminato; e non dubita l’autore assicurare, che il Dhulkaren di Alessandro sia stato Giove-Ammone, di cui facevasi figlio ( pag. 18 e 19). Dopo questi tratti dell’ opuscolo del dotto. Iannelli , vedesi chiaro, che il Pompeiano bassorilievo ‘offra. un dramma, il quale ne’ suoi risultamenti apparisce piena- (34) Il celebre storico arabo Abul-Faragio dice: « Secando ben Filukuf regnò sei anni dopo morto Dario e sei prima, soggiogò molte nazioni , stese l'impero sino alle Indie e alle frontiere delia Cina, chiamavasi anche Dulkarnein , cioè 2 due corra, per la potenza sua che stendevasi dall’ Oriente all'Occidente ; vinse 35 re, fondò dodici città .,.. Cantù Schiarim. al lib, III, Tradiz. Orient. int. Alessandro. i 26 — DI mente analogo a quello dell’anaglifo , di cui sì dotta- mente quegli ha discorso, mostrando Alessandro domatore del Bucefalo ferocissimo, che dinota la barbarie, l’ignoran- za specialmente di molti popoli, e quindi il bisogno di estin- guerla , e quello di rinnovare Impero , costumi, re- ligione , locchè appariamo da quel che ci vien riferito da Plutarco , e da Arriano , i cui luoghi sono stati ri- portati, e c'è chiaro voler egli essere novello Bacco, o Dioniso. Difatti egli fonda o riedifica la città ap- pellata Nisa; ne salva cento- altre per memoria di lui;. e lo vediamo recarsi al celebre oracolo di Giove-Am- mone per conoscere della grandezza degli eventi, e di- chiararsi successore di lui. E poichè Ammone si ricongiun- ge al mito solare, come ho notato, significando, secondo Jablonski (33), luce ed ingresso del sole nel segno dell’A- riete, e secondo Champollion, come dal Lessico Cofto , gloria, altezza, sublimità ; e poichè simbolo frequentis- simo del sole, come avrem luogo di vedere più basso, era l’uomo a cavallo, così troviamo eziandio analogia massima fra il nostro bassorilievo, e la Coppa preziosa Borbonica. E questa analogia è pur tratta dal vestir della breve cla- mide del personaggio della stessa simile a quella del nostro monumento , dall’ imberbe , e giovanile faccia ; dalla forma quadrata di esso in amendue i monumenti. E se egli è vero, come ho detto, e vedremo più sotto, che oltre Alessandro rappresentato con corne arietine, anche il Bucefalo ne avesse nella testa, o come dicono altri, ne fosse stato 'fregiato da Alessandro, avremmo la giunta (35) Panth. II. 2. $. 5 e 7. — 205 + di quest'altro segno nel simbolico bassorilievo, segno che pertinente a Bacco, identico a Giove , di lui prima manifestazione, può essere accordato ad Alessandro qual nuovo Dioniso, onde si ha in Plutarco ( Fort. Alex. I. ): Volo Liberi Patris, mei progemitoris, ge- nerisque mei proauctoris , vestigia persequi etc. Ate. neo (36) narrando del fasto e delle delizie. di Ales- sandro, dice ehe questi imitò pur Mercurio, come a suo luogo ripredurrò ; « Aliquando Mercurii etiam reliqua fere, tum chlamydem purpuream , sagumque semial- bum ete. » Laonde passo , dopo le esposte cose, a dire. del- Y abbigliamento di Alessandro, che ci fornirà muovi ar- gomenti di mito nel nostro bassorilievo. La breve clami- de, la causia, i capelli corti, Y imberbe volto, il collo atletico , il petto, il flagello, i piedi nudi , e le solee meritano essere considerati, ed io lo farò pur brevemente. Nella prima parte di questo mio lavoro ho detto qualche cosa intorno alla clamide , ed ivi ho parlato de pensamenti intorno ad essa del Visconti, del Boet- tiger. Convien dire adesso di tale ornamento per ciò che risguarda il simbolo cui dà luogo. Il Muelter ( 6.340 ) afferma, che nell’arfe antica le vesti sono pre. sentate sotto una forma simbolica ed abbreviata , ed alla nota 5. del $. 3414, dell’opera del detto scrittore , dicesi, che l abbigliamento debbe discendere partendo dal petto sino alle ginocchia, ed osservasi che ciò contri- buisca all'edoynuosuy dell avatod4, che trovo conforme (36) Athen. lib. XII, cap. VITE — 206 — a quello che osservasi nell’ abbigliamento dell'Eroe Ma- cedone. Or la Clamide fu originaria della Macedonia, e disse Macrobio (37), come altrove ho cennato, il mondo figu- rare una Clamide. Nella prima parte ho parlato pure di ‘quella di cui va ornato il cavaliere del nostro monumento; nè ora mi resta che vedere il rapporto mitico con altri personaggi ne’ monumenti di mitiche divinità. Nessun argomento parmi che possa essere messo in campo per contrastare il nome di Clamide al sullodato ornamento che aggiunge tanta grazia al giovinetto a cavallo del nostro bassorilievo. AI che mi confermano la sua bre- . vezza , la sua forma ad angoli; le sue aperture -late- rali, l'essere senza maniche, e facile ad indossarsi dalla testa; e il vederla raffermata, ed allacciata su l’ome- ro destro, per lo che disse Ovid. Metam. XIV. v..345. . Poeniceam fulvo chlamydem contractus ab auro come riscontrasi in tutt i monumenti d’ arte. ( Vedi Vi- sconti M. P. Clementino t. 2. tav. 34, e 35; sulla borchia o fibula vedi Miller M. d’archeol. Raoul-Ro- chelte M. ined. tav. H. p. 12, 13 ed in infiniti altri. ) E a qual modo potrà rinunziarsi all idea di Clamide, dopo osservata quella di Mercurio nella tav. XXII del M. Chiaromonti? E di simile Clamide sono ornati Apollo, Marte , Minerva , Giasone , i Dioscuri ; nei quali se osservasi alcuna varietà , sarà sempre la varietà istessa (37) Denique veteres omnem habitabilem nostram extentae chla- mydi similem esse diacrunt. ( 1 207 — conferma per quella del nostro bassorilievo , nella quale rinvengo ‘la vera idea della Clamide Macedonica, e ri- chiamo Y autorità ‘prodotta da me nella prima parte del Visconti sul diverso uso delle clamidi , e sulla ‘varietà della forma a seconda del personaggio in cui era adope= rata (38). Era l’ornamento, come dice il detto Visconti ( M. P. Glementino t. II. 251 edit. Fr. ), che rin- viensi in tutte le opere antiche di figure di Divinità , e di eroi o mitici , 0 storici ; e rinviensi pure néi mo- numenti Etruschi, come può osservarsi nel Dempstero, e in molti che il Raoul-Rochette ha riportati nell'altra opera ( Monum. ined. ). Ma infine chi volesse altri schiarimenti sulla Clamide riscontri la grande opera de- gli Ercolanesi ( T. IMI. p. 121. ed il Ferrario de Re ve- stiaria Lib. IN. part. Il p. 849 VI. del Grevio ). Egli è vero , potrà oppormisi , che la Clamide appar- tenesse alla più parte de’ personaggi e mitici e storici; ma è pur vero che non tutti fra essi abbiano la qua- lità solare ; e pertanto qual conchiusione favorevole po- trà essere accordata per la clamide portata da Ales- sandro , e dichiararla nel di lui monumento come un simbolo solare, quando non è esclusiva la clamide me- desima del solar culto , e di sua speciale appartenenza? . Ancorchè non sia la Clamide wua esclusività di sim- bolo solare, pur nondimeno una tale intelligenza non (38) Del genere delle C/amzidi dette Diplaces le più ample fra esse, vedi Visconti, Op. v. Tom. IV. p. 22, tav. VI., ove il doltissimo Archeologo rammenta; il luogo di Omero Hliad. INI. a 126 che rappresenta Elena che lavora al ricamo di una Diplex. * — 208 — trovasi in opposizione con la clamide, ma le conviene egualmente; ed essendo di ciò la pruova ne’ monumenti che ci sono stati tramandati dalla dotta antichità, puossi ben conchiudere , esser la clamide , che veste il giova- ne cavaliere un segno solare e mitico del suo monumento; e servire e concorrere pur esso vestimento a farci opi- nare, che il medesimo sia ritratto sotto le. forme di un mito solare , simigliantemente a quanto ne ve- dremo in pruova ne’ monumenti di Mercurio, Perseo, e di altre divinità ed eroi certamente solari per forma e per miti, che mi son preso tutta la premura equiparare ad Alessandro. La Clamide, su l'esempio de’ Macedoni, fu adottata dai Tessali, e dagli Arcadi, ed era specialmente data di una forma breve e svelta a Mercurio, e Perseo, i quali aveano delle forme e de’ costumi comuni, come sulie monete Pon- tiche d'Amasia, ed in altri molti monumenti. Amendue questi personaggi, o. Divinità appartengono pure al culto solare, e si riassorbono nella teologia Perso- Egizia. Difatti incominciando da Mercurio, Plufazto ( De Isid. et Osir. p. 355 F. ) dice, Iside lho per padre Mercurio, e Iside fu avvolta nel sistema solare. E da altro luogo del sudetto scrittore , risulta, come sia congiunto al sistema Astronomico Egiziano, ed alla fa- vola di Tifone, dicendo « Et Mercurium fabulantur Ty- » phonis nervos exemisse, utique iis pro fidibus docen- » tes rationem concinnando universo id de dissonante con- » sonum redegisse, et vim interimendi non abolevisse, » sed implevisse » ( de Isid. et Osir. p. 373. ), nel che n’appare la dottrina dualistica Orientale, e vi traspare — 209 — quel che sarà veduto in prosieguo , l'idea che aveano gli Orientali degli Dei ricomparenti in altre età, quai signori, dominatori del futuro , Epifanici, e riparatori. Quale fosse reputato Mercurio , lo vediamo nello stesso Plutarco (39). Se ponghiamo mente per poco al culto Cabirico Sa- motracio, che il Creuzer vuole derivato in quell’isola di portenti dall’ Egitto, tosto riscontreremo nella tetrade Cabirica il suo Cadmilo (Mercurio) organo, opera, risulta- to, il quale più flessibile di tutti Protei si trasformerebbe in tutti gli Dei. Ma tre principalmente, dopo l'Amore, assumono la sua fisonomia ed il suo posto, Ercole, Mercurio e Bacco. Tutti e tre sono il Sole; tralasciando degli altri due, Mercurio compiacente e condiscendente, Tutti e tre sono viaggiatori, camminatori, cantori, danzatori; A. al figurato ( il Sole in Cielo fa passi, dpynotmdy èv ovpavs fidtos dosi ) , 2. in un senso più semplice ed alla lettera. Tutti e tre imitano l’amore, e sono quasi l’amore : 4. perchè ogni Cadmilo è af- finità, contatto, coesione, amore : 2. perchè il Sole è lamore ( Mihr in pehlvi aveva i due sensi ) ; 3. per- chè 1 loro caratteri proprii, vinosità , vigore , messag- gio, sono come faci dell'amore. Mercurio sopra tutto ha diritto a questo titolo (40). Dunque a giusta ragione (39) « Non enim proprie Cani Mercurium nomen faciunt, sed » ob custodiendi ac vigilandi studium et sapientiam ,, quam inter » amicum et inimicum internoscit eum callidissimo ( ut P/u/0 dit ) » deorum accomodant : de Zsid. et Osir. p. 355 B. » (40) Zannotti Dizionar. Pittor. d'ogni mitol. ed antich. alla v, Gigone. — 210— per la clamide speciale e breve datasi a Mercurio, Di- vinità solare, dirò quella di Alessandro alludente a per- sonaggio solare. E in rapporto a Mercurio posso dire anche con Macrobio » Praeter hoc quoque Mercurium pro Sole censeri multa documenta sunt... . Nam quia mentis potentem:Mercurium credimus . . . et sol mundi mens est. (' Satur. 4, G, XIX ). Sarebbe lunga e noiosa cosa dir tutto quello che vi è di tal Divinità, e che dai documenti riportati, non può rifiutarlesi l'origine solare (41) ; ma non voglio per brevità protrarre più a lungo tali riscontri, per venire a Perseo , del quale non occorre dir molte pa- role, per dimostrarlo appartenente all’ istesso culto , essendo abbastanza noto il suo rapporto col mito di Mitra; epperò Perseo e Mercurio aver comunanza. di co- stumi e di forme; ed esser loro distintivo la Clamide breve, abbigliamento, come vedremo, conveniente al culto Solare. Perseo servì di punto di transizione tra l’orien- | tale ed Ellenica mitologia. Imperochè il Perseo Greco (41) Ermete estende la sua vigilanza su tutte le creature , co- me Sirio, e dall'alto della volta celeste gira il vasto sguardo su l'immenso numero de’ corpi luminosi di cui è seminata. . . . . Ermete porta eziandio la maravigliosa /anterna cosmica , lo Spec- chio magico del mondo, nel quale vede tutti gli esseri ( Creuzer Symbol. liv. 3. p. 440 ). L'annotatore Guigniaut aggiugne che presso gli antichi eravi menzione di questa /an/erna, 0 specchio, o coppa magica attribuita a Visnù, a Dschemschid, ad Ermete, e che gli orientali assegnano pure a Giuseppe , a Salomone ad Iskander ( Alessandro ). Nel che trovasi semprepiù verificato , come nel nostro Alessandro debba vedersi un mito solare. — 21 — è non è altro che il Mitra modificato. E quel che reca stupore , si è appunto, come si ‘ha dalla simbolica del Creuzer (42), che il culto di Mitra-Perseo ‘si rattacchi anche all’ Egitto ,, perchè Inaco fu padre di Foroneo , e di Io. Da Foroneo , Sparton, Api Sera- pide, e l'.argiva Niobe; e da Giove ed. Io, Epafo, nome grecizzato di Api, Libia, Belo il Re-sole in Asia ed in Egitto ; Danao , Acrisio, e dalla sua figlia Da= nae, Perseo. E Perseo, come Ercole, che ne venne, persecutori, e purificatori da ogni male. Infatti Perseo è il distruttore delle Gorgoni, e salvatore di Andromeda. E nel mito delle Gorgoni e di Medusa in sì stretto rap- porto con Perseo, troviamo la spessa relazione del prin- cipio solare col lunare; e l egregio Minervini adope- randosi con zelo infaticabile a far noto al publico quanto di nuovo offrasi in genere d’ antichità, del che esem- pio ne abbiamo nella intrapresa opera di lui della interpretazione di rari monumenti finora inediti presso il signor Raffaele Barone , ha testè riportata nel primo fascicolo ( Monumenti Ined. p. 9. tav. 2. fig. 2. ) una terra cotta proveniente da Pozzuoli, rappresentante una testa gorgomica, della quale non mette in dubbio il senso lunare , riportandosi al Luynes, allo Streber , all’Avel- lino, al Cavedoni , al Panofka ; il quale in una testa gorgonica del Museo Blacas, ne’ 28 serpenti, ebbe ri- corso alle 28 rivoluzioni. della Luna (43) , pensamento (42) Lib. IV. c. V. p. 159. (43) Se fossemi permessa uua osservazione avrei un’ ardita con- gettura a presentare sul conto di queste 28 rivoluzioni lunari. 27 — 212 — approvato dal Duca di Luynes , e dall’Abeken; dal pri- mo, negli Eludes numism. p. 54. ; dal secondo negli Annali dell'Istituto 1832. p. 58. E il Minervini dotta- mente illustrando la terra cotta di Pozzuoli nelle do- dici teste di Serpenti, ravvisa i dodici mesi dell’anno appoggiato all’ autorità di Macrobio , da lui riportata. Quindi per questo altro dilucidamento di nuovi monumenti, la qualità solare di Perseo pei miti mentovati, ha ir- refragabile pruova. Inoltre Perseo può essere risguardato l'incarnazione del Dio della luce, V'Eroe Solare , secondo il Guigniaut ( lib. 2. p. 348), e il suo nome riscontrasi nelle genealogie Solari di Colco , nelle contrade dell’ Asia minore , nell’ Assiria , e nella Persia. Alcuni hanno voluto, che Achemenide | istesso che Dschemschid fosse stato generato da Perseo. Comunque sia noi possiamo trarre da quanto abbiam rammentato , che le due Divinità Mercurio e Perseo simboleggian il culto solare , e di questo ultimo trovo i rapporti i Il Bucefalo di Alessandro, che per avventura adombra il princi- pio lunare nel mito dello stesso essendo morto secondo alcuni di 30 anni, e secondo altri di 28, potrebbe tal racconto es- sere relativo a’ periodi lunari , se l'osservazione saviissima di Chaussard nelle sue note al Libro V. di Arriano nella versione francese, cioè essere un errore il crederè che Bucefalo fosse morto di 30 anni, perchè intal caso avrebbe dovuto essere di 18 anni nel domarsi da Alessandro, me lo permettesse. Ma per questa istessa riflessione del Traduttore del Biografo d’ Alessandro, trovo a rin- francarmi nel considerare l’azione di Alessandro nel domare il Bucefalo meramente mitica, — 213 — più intimi col domatore del Bucefalo , dacchè Alessan- dro ha clamide simigliante a quella di Perseo , breve e corla , e maggior rapporto pure , volendosi Alessan- dro proveniente dalla stirpe degli Achemenidi ,. come da un annotatore di Licofrone (44) ; e dall’ istesso Per- seo, come dagli Storici e Biografi; anzi Arriano (43) disse voler. essere. Alessandro emulatore di Perseo , e di Ercole. Dippiù Perseo è il distruttore della barba- (14) Non è maraviglia che Alessandro discenda dagli Acheme» nidi; perchè abbiamo veduto, che la Macedonia fu una delle pri- me dimore dei primitivi Pelasgi, Arcadi e Dardani Atlantici. Sappiamo dal dottissimo lannelli (ref. Osc. Inscript. p. 17), che facilmente passarono d'Assiria, dall’ Armenia nell’ Asia mi- nore, e per l’ Ellesponto nella "fracia, Macedonia prima di esserne cacciati dai Deucalionidi. Se ricorderemo con questo serit- tore i 50 Figli di Licaone, fra i quali Aemon, Macedon. che non furono che simboli di regioni , che mon potevano esser tutte in Arcadia; se rammenteremo con esso ( p. 21 } le colonie Diome- dee del Diomede Divino Dodoneo , cui sucrum fiebat Equo albo qui Persicus ei udeo Colchicus ; il toro Androposopo , V'istesso che il toro Abudad , e Gao-Mard degli antichi Persi , Vistesso che il toro Mi- triaco, il Giove Dodoneo di questi Pelasgi Arcadi primi ed Atlantici; avremo una ragione per vedere in Alessandro, e nella Macedonia, riti, culto solare, costumi, e tutt'altro che siftatti primi coloni seco- loro trassero dalla madre patria; e avremmo pure ragione sufliciente per lo ravvicinamento di Mercurio e di Perseo, perchè dall’Al/on- tico Mercurio, e da Arcade, secondo il dotto Iannelli (43), furono siffatte genti originate. Conf. Servio. ad Aen. II. v. 325. (45) « Erat porro Alexandro aemulatio quaedam cum Perseo et Hercule , quippe qui genus ab utroque duceret. Siquidem et ipse ortus sui initia ad Ammonem referebat , quemadmodum Persei. at- que Herculis fabulae ad-Tovem. » ip LEO rie ; è l Eroe che viaggia per recare in Asia , in E- gitto in altre Nazioni la civiltà, per fondar colonie , Città , ed abbattere il mostro dell’ ignoranza , e depu- rare i travisati culti divenuti materiali , e semplificarli. Col suo cavallo corre a liberare Andromeda , e si av- valse della testa portentosa di Medusa , per operare prodigî che a noi son venuti velati co’ miti. Tanto ve- diamo essersi agitato ancora nella mente di Alessandro, che fonda egli pure innumere Città, abbatte popoli viventi di crudeltà , e seco ha sempre negli ornamenti suoi la testa di Medusa, ch'era per lui di special simpatia. E qual discendente degli Achemenidi, gli Orientali, co- me abbiam visto, gli assegnavano una coppa, simbolo — solare, come data a Dschemschid, o Achemenide, a Sa- lomone ete. * Or dopo aver parlato dei rapporti di Alessandro con Mercurio e Perseo , e veduto la lor convenienza per la clamide ne loro monumenti col nostro bassorilievo , parmi esser d’ uopo venire ad esaminare qualche altro senso mitico di tal sorta di adornamento. La clamide era per lo più rossa, scarlatto o color di porpora. Grià ne abbiam visto esempio nel prodotto verso di Ovidio; ed in Filostrato Perseo liberando Andromeda ha cla- mide purpurea. Or questo colore purpureo , dice Gou- lianoff ( Part. II. p. 425. dell’ op. cit. ) era segno di potenza , di sovramtà , e di santità, e in Ge- remia ( X. 9. ) leggesi , che i pagani rivestissero i loro idoli di porpora. Tolomeo Epifane , secondo lo stesso scrittore. (.p. 418-19-) era vestito di fumica pur- purea nel suo ingresso in Memfi. Non so come il Vi- — 215 —- sconti abbia voluto affermare ( Oper. Var. T. III. p- 115.), chela Clamide fino all’epoca degli Antonini fosse stata nera ; quando Ulisse, sappiamo avessela avu- ta di color porpureo. Bacco, come vedesi in due Pit- ture degli Ercolanesi, ha la vesta purpurea. E di lui come Sole-Infero, può ripetersi con Virgilio (Aen. VI 640). Largior hic campos aether et lumine vestit Purpureo , solemque suum , sua sidera norunt. La porpora aggiunge il citato Goulianoff (p. 426 a 430), — esprime l'altissimo, la divina maestà, sulla fede di Hein- sius ( Exercitat. sacrae ) che ha a ministri Uriel, Raphael, Gabriel, Michael, che V Hiller nel suo Ono- mastico sacro, presso lo stesso scrittore, dice Lux Det, Ignis Dei, Medicus Dei, Vir Dei etc. quindi la Clamide per lo più rossa acconcia a significar potenza , maestà, luce, Divinità; e se voglia pur concedersi con altri la bianchezza alla Clamide, troveremmo miglior argomento per dichiararla simboleggiante Divinità solare , epperò sotto tal rapporto conveniente a Perseo , a Mercurio , egualmente che ad Alessandro. Ma da Luciano ( Dial. Mort. T. I. p.291 Amstel.8. ) è chiaro da non metter dubbio il colore purpureo della clamide di Alessandro , dicendo , dum purpuram. fi- bulis substrictam gestares. Ateneo, come qui sotto ve- drò, gli dà pur la Clamide purpurea; del pari purpurea era quella che secondo Diodoro Siculo, fu posta nel carro funebre di Alessandro. Del quale colore leggesi in Raoul-Rochette ( Monumens inéd. p. 76 not. 3), — 216 — che ia couleur de pourpre parait avoir été affeciée prino. cipalement è la chlamyde des héros, d'aprés les nom- breux temoignages qu on trouve à cet. égard. dan Ho- mère, Odyss. IV 4145. La quale annotazione è fatta dal dotto antiquario francese parlando. di una. delle pitture della Casa Omerica in Pompei, in cui la figura nuda nella parte superiore ha il pallio di color rosso; colore al quale riattaccandosi, secondo il mentovato. Goulianofî ( Op. cit. T. II. p. 507), la dottrina del dualismo , ne vedo tutta la congruenza con la clamide purpurea ugual- mente adoperata da Alessandro, il quale era sorto, co- me ho cennato e seguirò a veder , per disperdere il prin- cipio malo. Ma la cosa può esser riguardata ‘anche per questo lato solare sotto altri punti di vista. Che la Clamide fosse, e specialmente la breve, indizio di culto’ solare, oltre che Y abbiam visto indossare dalle surriferite di- vinità solari, lo ricaviamo ancora da ‘altri monumenti, e da altri scrittori. Tannelli nei Lemmi ierografici (46) parlando del Teroschema del soldato Gallicipite, riferisce alla Luna la veste militare, di cui ‘alcuna volta» vedesi ornato il Dio Luno , o il Men de Pisidii, de’ Frigî; e di altri popoli, come dalle medaglie presso Seguin ( Selecta Numuism. ‘antiqu. p. 105. ); la qual veste, dice il Iannelli istesso, è il Thorax Malachbali, Dio Pal- mireno, 0 il Sole mestruo. Su questo Nume può consul tarsi il molto detto dal Guigniaut nelle annotazioni alla (46) Tentam Hermeneut. in Hicrograph. Crypt. vet. Gent. Neap. 183 part. 4. p. 200, ams MB} Piacò simbolica. Or io mi penso non far differenza nessuna tra questa veste, ela Clamide; e l’addotto Goulianoff mi soccorre co’ suoi ravvicinamenti di tali abbigliamenti (lib. III. p. 449 e segu. ); oltre.che si è visto col Boet-, tiger, che la Clamide ommino militis esset vestimen- tum idem fere quod sagulum legionariorum; ma se- condo lo stesso, non debbe confondersi quella de’ sol- dati mercenari con quella de’ Duci che avessero un co- mando , i quali portavano la Glamide pretesta col 19909 pureo clavo. Presso Raoul-Rochette (47) ritrovo pure esempii di corta Clamide, segno è carattere di culto solare. presso popoli appo i quali era sorto prima che in ogni altro; e in divinità evidentemente pertinenti. a culto solare; quale specialmente Ercole, incarnazione del Dio Sole, Dio Salvatore. Il dotto Mitologo Francese cita un ci lindro d'avorio scavato a Cere, e conservato nel Museo Gregoriano. Il Dio Assiro, com’ egli: lo .chiama , è ve- stito d'una tunica corta all’inpiedi fra due Leoni rivolti contro di lui con le zanne d’ avanti , ch'egli abbatte, di cui non può smentirsi nè il carattere asiatico } nè la simbolica significanza ; travaglio etrusco e di forma indubitatamente Assira. Or qui, prescindendo da quel che ho detto col Goulianoff , nella funica ; il chiton, fa d’uopo riconoscere una di quelle piccole varianti 4 che non ingenerano una differenza essenziale con la Gla- mide propriamente detta; perchè specialmente la sunica breve senza maniche è del tutto simigliante alla Cla- (47) Mem, d'Arch. p. 120. — 218— mide, essendo pur essa allacciata al modo della Cla- mide l'Mangita alla v. Tumica; Miller ete. ) Resta che io vegga il soggetto cui si ha riguardo nell'adornamento ; e il R. Rochette l’assegna all Ercala Assiro, espressione , egli dice, simbolica de’ due principii del bene e del male; che non esce dal nostro proposito, e dall’idea solare, e di esser Ercole immagine del Sole, e l’astro benefico, Ale- scicacos ; epperò simigliante al nostro Alessandro ; nel cui radicale abbiam visto egual qualità. Lo stesso scrittore ( op. cit. p. 126 ) si avvale delle scoverte fatte dal Botta a Ninive,. la più bella con- quista dell’età nostra, di cui citando un monumento , del quale dà la figura ( tav. VII. n. 4. ) vi trova un Personaggio barbuto, vestito della tunica corta, che richia- ma al famoso gruppo di Persepoli ; e finalmente (p.138) ne adduce altro che rendesi pel mio assunto importantis- simo, imperocchè il personaggio divino è in atto d’im- molare, non già il Leone , ma un Cavallo , inalberato contro di lui. Questo monumento rimarchevole trovasi nella collezione del Duca di Luynes ; ed egli to deriva da un tipo Assiro. E poichè il cavallo era consacrato al Sole, come ne’ monumenti e nel culto Persiano ; qui ricade nominare Semiramide , divinità Assira, che pel cavallo riattaccasi a Pasifae, al suo toro sì conosciuta nella mitologia greca, onde disse Plinio « Equam ada- matum a Semiramide usque ad coitum, Iuba auetor est; epperò risveglia l’idea solare Persiana (48) ; il (48) I Persiani sacrificavano al Sole , alla Luna , al fuoco , alla terra, Herodot. Clio, Cap. 131. Confr. Strab. lib. XV, p. 1064 Coe- lum Iovem pulant, colunt solem, quem mithram vocant, — 219— culto di Mitra , il Dio sole di quel popolo, a cavallo ( vedi Guigniaut tav. XXI. ele sue annotaz.), e l'analogia; con Ercole-Sole, al quale puossi aggiungere Alessandro e pel cavallo Bucefalo , e per la Clamide da lui indossata nel bassorilievo: epperò il ravvicinamento sempre maggio- re tra il culto Orientale, Ellenico , ed anche Tirrenico. Or dell'uso che avea Alessandro d’indossar-la Gla- mide , ne abbiam testimonianza in Efippo presso Ate- neo (49) dicendo : Etiam sacras vestes in coenis ge- stasse Alerxandrum : nunc quidem Hammonis purpu- ram, et fissiles soleas , et cornua , velut ipse Deus; nune vero Dianae, cujus cultum saepe etiam sume- bat quum curru veheretur , Persica quidem stola in- dutus, sed ita ut supra humeros arcus Deae, et spi- culum emaineret. Subinde etiam Mercuri cultum ; a- liàs quidem fere ac quotidie chlamydem purpuream (noi abbiam superiormente notato brevemente quel che concerne il color di porpora, del quale qui troviamo conferma ; e troviamo pure conferma della relazione tra la Clamide di Mercurio , e di Alessandro ), et tuni- cam medio albo intertexto, et causiam cui diadema regium ete. ; il che aggiunge maggior fede a quanto abbiam detto nella Prima parte; e dà maggior campo a rilevare come Alessandro volesse adombrare con la Cla- mide a Divinità solare ; poichè il suo vestire all’ uso di Giove-Ammone, che sino alla noja abbiam detto ap- partenente al culto solare ; e di Mercurio , il quale ne fa pur esso parte , n’ è pruova lucentissima. (49) Lib. XII. c. 190 p. 497. Schwcighaeuser. 28 — 290) Ma non manca nei poemi ed in altri scrittori me- moria di Clanvidi stupende mitiche , e al culto solare accennanti. E vienmi da prima in pronto la descrizione presso lo stesso Ateneo (lib. XII. cap. IX. p. 490 ediz. cit. ) della Clamide di un successore di Ales- sandro, Demetrio Poliorcete, nella quale evidentissimi sono i segni di culto solare : Chlamydes ejus fuscum quemdam habebant coloris mitorem: et, ut verbo dicam, coelì polus eis intertus erat, cum aureis stellis, et duodecim signis. Pure Plutarco ne fece la descrizione. Ulisse avea il suo mantello fino di por- pora su gli omeri con doppia fibbia d’oro, avente in esso ricamata pure in oro l’immagine d'un cane che per- segue un cervo, mentre al di sotto avea tunica splen- dente come il Sole ( Cantù Ep. II. p. 591 not. 1. ). Apu- lejo parla della clamide degli iniziati ai misteri d'Isi- de (50). Ma la clamide che non lascerà alcuno imma- maravigliato, si è quella, che Apollonio Rodio ci ha lasciata dipinta a vivissimi colori, la cui descrizione ri- porto con la versione di Coriolano di Bagnolo con alcune sue osservazioni (51). (50) Apulejo, ( Me/am. lib. XI. ) parlando degli iniziati ai mi- steri d’ Iside, che secondo S. Croix ( Mysteres du Pagan. tom. 2. 2. edit. Sacy p. 134 e 135 ) sono gli istessi de’ Mitriaci, dice delle Clamidi che indossavano innestate e decorate di figure. Per in- tertam extremitatem ( chlamydis ) el in ipsa eius planitie , stel- lae dispersae coruscabant, earumque media semestris Luna flam- meos spirabat ignes. (51) Parnasso Stran, Venez. pag. 121 V. 5.0 — 221 — Porporeggiante clamide affibbiossi Sull’ omero il guerriero , opra leggiadra Dell’ Itonia Minerva , e santo dono Delle diva , dal dì che prima uniti Commise i travi della nave Argolide, E gl’insegnava a misurarne i seggi. E ben piuttos!o nel nascente sole Ch' entro quel manto afliseresti il guardo. D'un vivo rosso è il mezzo e tutto intorno — Porporeggian le falde , ed han ciascuna Ffligiate molte e belle istorie. V' erano primi i Cielopi ad immortale Falica intenti, pel Saturnio sire Ultimavano un telo, ad arder pronto E d'un sol raggio manco ; e a questa sopra Stavan , foggiandol con ferrate masse Mentr’ ei ferve d’ ardente fiamma in mezzo. Dell’ Asopide Antiope eran due figli Anfione e Zeto , e stava a lor dappresso Che fondata l’avean la non ancora Turrita Tebe. Zeto im sulle spalle Recava un monte d' innalzata eima E sen vedea il disagio. Anfion seguiva, Dell’ aurea Cetra arguto suon traendo , E dietro gli tenea di doppia mole Un'altra rupe a volontario moto, Pinta pur v' era dalla folta chioma La Dea Ciprigna, ehe il veloce scudo Sorreggeva di Marte. Ayea sfibbiato Dall’ omero sinistro a mezzo il braccio Il lin sottile, e ne appariva il seno; Mentre l’ opposta parte era rifranta Simile al vero dal ferrato scudo. Erboso un pasco si scorgea di tauri; E per essi pugnar d' Elettrione ir La generosa prole , e i Teleboi. Quelli eolpi alternar , questi vogliosi Di rapine apparian , come ladroni Di Tafo giunti, e il rugiadoso prato Rigava il sangue, che de’ molti all’ urto Quelli scarsi pastor soggiacquer vinti. Anco due carri v'apparian venuti Alla gara del corso , è retto il primo E ne squassa le briglie il forte Pelope : Era con esso Ippodamia qual destra Pugnatrice dal cocchio. Incita al corso Dietro a costoro i suoi cavai Mirtilo. Ha compagno Enomao che vi sostiene L'asta protesa , ed a ferir con essa Il tergo Pelopeo s'adopra indarno Chè, infranti a un tratto alla volubil ruota Dell’ asse i raggi, si distende al suolo. Febo ritratto pure è che saetta, Basso fanciullo ancor l’immenso Tizio Che audacemente trascinar Latona Osò pel velo. A Giove questi Elare Ben partoriva , ma il nutrì la Terra E a nuova vila sel cacciò di grembo, Ultimo alfim si scorge il Frisio Minio Che ode il monton , che di parlargli in atto A lui si piega. E ben ti fora l’alma AI mirarlo ingannato , e rattenuto L'’ uscente verbo , ti udiresti in core Alzar la speme d'un arguto detto, Ed il lungo sperar cadrebbe vano. Tal era il don della ‘Tritonia Palla Che vestissi Giasone. N dotto Baccio dal Borgo nelle sue annotazioni alla bella descrizione dell’ autore delle Argonautiche , 0s- = den serva giustamente a proposito de’ sette quadri che Apol- lonio ha presentati pienissimi di soggetti e di figure, che il Poeta sia stato ‘meno prolisso di Omero nella descrizione dello scudo d'Achille nell'Hiade , e nell'0- dissea per la Clamide di Ulisse. Ma per compiere il mio parlare intorno ai simboli della clamide , mi è d’uopo richiamare eziandio la in- terpretazione di Monsignor Bianchini del medaglione in- signe di Commodo (52), che ci offre anche fra i Romani esempio di miti solari. Il rovescio dello stesso rappre- senta una quadriga, guidata da Commodo nudo e ador- nato di corona radiata , che tiene il flagello nella de- stra mano , e le briglie nella sinistra , con un drappo intorno al braccio in atto di formargli gentile svolazzo circa gli omeri e il collo, quale in somma si dipinge il sole. La quadriga sta per ascendere sopra una rupe scoscesa in atto di correre con la facella accesa. Sotto la rupe sta coricata una donna che tiene il corno d’ab- bondanza nella sinistra, e dimostra la terra madre ,' o sia Cerere dispensatrice di biade. Finalmente sopra la figura del sole vedesi la fascia del zodiaco ornata di segni celesti. Che il medaglione, dice il Bianchini, da da cui ho tolta la esposta descrizione, rappresenti Com- modo istesso in abito di Sole, e in atto di guidare le quadrighe Circensi, vedesi chiaramente dal volto di lui e dalla figura del cocchio. Or qual miglior monumento di questo ; per metterlo dappresso a quello d’Alessan- (52) Storia Universale provata con monum. e simb. p. 344, De- cad. MII, Immag. XXVI. — 224 — dro , il quale differisce solo pel cocchio, ma è pure quasi del tutto nudo, con frusta o flagello , e con altri attributi, che non danno nessuna equivocità co’ simboli solari (53) ? Se vi ha alcuna differenza nella Clami- de ; se quella di Commodo è meno grande di quella di Ales- sandro , fa d’uopo trovarne la ragione e nello stile Ro- mano e in quello dell’epoca Alessandrina, e nella spe- cialità della clamide Macedonica. Nella nota sottoposta ho riportato un monumento, in cui il Sole ha clamide si migliante a quella del nostro bassorilievo (54). E per ultimo, ove lascerò la clamide che vedevasi di- stesa nel carro funerco di Alessandro istesso, giusta Dio- doro Siculo (59) ? Supra hoc aureum, egli dice, cir- cumiecta erat chlamys punicea perquam decora et auro variegata, juxta quam arma defuneti posuerunt eo con- silio , ut speciem illam totam rebus ab eo gestis ac- comodarent. La brillante descrizione di Diodoro esclude ogni necessità di ricordare la magnificenza di simil carro con nostre parole, potendo il leggitore ricordar quelle dello Storico. Il quale carro (56) e per la forma e per (53) In Visconti, Museo P. Clementino IV. p. 157 Tav. XVIII il sole è effigiato con clamide similissima a quella di Alessandro, e tutto nudo con flagello , e spingendo i cavalli , giusta l’espressione di Orfeo Inno al sole v. 19. (54) Nel bassorilievo ritraente l’incontro di Alessandro e Diogene prodotto da Winckelmann, ist. de l Art. II. p. 303; l'Eroe vi si vede con la clamide. Noi abbiam cennato come in quel famoso incontro Diogene avesse dichiarato Alessandro il Dio Supero , il Dioniso , o il Sole. (55) L'b. XVII. G. XXXVI. p. 234, Didot. (56) Vedi St. Croix Exam. — 2259 — li simboli e adornamenti che ivi alludono pure al culto solare, quali i Leoni ed altri segui di natura astrifera; trovano massima analogia con la pira già da Alessan- dro fatta innalzare al suo Efestione. E la pira, come toccherò, non era che un simbolo solare. Sicchè non troveremo per questo solo fatto della Clanvide vestita da Alessandro, oltre il cavallo, ed altri segni, a non do- ver rigettare l idea di mito solare nel nostro bassori- lievo senza altro corredo di documenti. | Passando poi alla causta, questa, di cui nella prima parte ho discorso la eostumanza e l'uso, è un attributo che può convenire puranche alle solari divinità. La sua qualificazione di sAtossprio come l’abbiam visto in Sofo- cle, ce ne dà ragione. Ma il Suida già da me citato ( 1.* Part. p. 9.), si avvisa che la Causia valesse Aestus. La qual voce, se è pur vero che valga a farci intendere, (ess ser diretta quella specie di cappello a difendere dal sole, ci trasporta eziandio a più elevate considerazioni , ri- conducendoci alle idee di fuoco , di calore e di sole, di cui vediamo nell’ #Atosspyo una radice. Or dunque la Causia ci richiama a simbolo solare, ed è segno di tale divinità ; ed a Mercurio , ai Dioscuri, a. Giasone potè convenire anche per tal rapporto ; nè per altro potè in certo modo esser data la Causia ad Apollo, quando fu costretto a vagar pastoreggiando in Arcadia le gregge di Admeto, se non pel rapporto Eliaco at- taccato al Nume Deliaco ; il quale nel suo dimorare in quella contrada , nell’ ingentilirla , e recarvi mili co- stumi , vi recò il culto Eliaco ; e se rammentiamo che Apollo era massima divinità Pelasga e. solare , — 226 — ben a proposito i mitografi gli accordarono la Causia. Che se vogliamo aggirarci ne’ termini generici di Pi- leo, copritura della testa, puossi la Causia, che era del costume patriarcale degli Arcadi, presso i quali avea nome di galero omonimo della prima , e de’ Ma- cedoni , riannodare all idea di potenza, di altezza , di Sovranità, ed ‘al Sole stesso ; come risveglia la voce Cappello ed ogni altra simile acconciatura , e covertura della testa. Imperocchè se egli è vero quel che narra Erodoto ( II. 152, e 162), che i Re d'Egitto porta- vano una specie di Cappello ( Kvyénv) in segno di So- vranità, come i Persiani aveano la Tiara ; ed altra specie di ornamenti di testa più-o meno variati e ric- chi i Sovrani degli altri popoli facenti le veci di Co- rona e di diadema, onde han detto i Greci rò fact Aero» ( segua ) n facideta ( repuepadata ) ; se egli è vero che lo Pschent fuportato come ornamento regale da Tolomeo nel suo ingresso in Memfi , la qual voce riscontrasi nella celebre iscrizione di Rosetta, e significante Corona, specie di copritura particolare secondo Champollion , la quale nel Pantheon dello stesso si vede coprire: Vul- cano ; e per Vl autorità del medesimo al n. 113 , lo Pschent si rapporta al nome NMmms, o Namms, che secondo un manoscritto ieratico del museo di Torino, il quale racchiudeva le litanie del sole, significava ac- conciatura reale, i più vicendevoli rapporti saranno ad- ditati di potenza, d'altezza, di sovranità, di luce, e Sole. E secondo lo stesso testo greco della iscrizione di Rosetta , la copritura superiore , rispondendo alla voce ava Xops, regione superiore; quindi il cappello , — 227 — la causia annunziano il Cielo ; ove gli astri armoniz- zando i loro movimenti, han per supremo reggitore del- l'ordine astrifero il sole, edil cappello in generale fi- gura la volta celeste. Basta poi guardare i molti monu- menti di divinità, che hanno in testa il modio, il calato, le corone, quali in Cerere, Cibele, Rea, in Serapide, come per questo ho parlato già addietro , per essere convinto, che la testa nell’ espressione artistica dovea essere ornata a seconda del vario grado di potenza , on- de essere la covertura modo distintivo degli Eroi, e de” Divini. Ma andremmo molto per le lunghe , laddove volessi tutte rammentare le allusioni del cappello. E ben ci conforta il Miieller dicendo ; che nell’ antichità i cappelli non facevano parte del costume ordinario del cittadino, non dovendo obliare, che il berretto se- miovale simbolicamente impiegato in Samotracia, pos- sa contribuire ad una interpretazione delle figure eroi- che (37). Or Cadmo è figurato colla #vyi Bororw su i Vasi antichi ( Millingen un. Mon. I. 27., Assemblea degli Eroi pl. 18. ); Giasone riconoscesi. dalla Clamide , e dalla Causia (58). E rialtaccando l’idea del Miller sul cappello semiovale , che può avere una certa analogia con la causia e quindi col cappello di Alessandro, ed impiegato simbolicamente in Samotracia, e ravvicinan- dolo a quello di tal forma dei Dioscuri } come Cabiri, a quello di Ulisse , di Enea , si avrà tutto il fonda- mento da eredere essere stata la causia anch’ essa tra (57) Man. d'Arch. 342 Cfr. Winckelmann V. p. 402% (58) Philostr, Her. H., 2. sot | 99 a —228— simboli di divinità solare. Ed il globetto che vedesi nella Causia d’ Alessandro non potrebbe figurare 1 uovo di Leda, il simbolo Cosmogonico , che nel sistema astri- fero figurerebbe il Sole, fra gli orientali creduto crea- tore ed ordinator delle cose? La sottoposta nota po- trà servir di chiarimento (59). Imperocchè i misteri Ca- (59) Il Pileo o Cappello rapresentava l’ emzisfero secondo la dot- trina degli Orfici; poichè essi figuravano il mondo un uovo ( Lucian Dial. Deor. ) ; e gli antichi, e specialmente i poeti com- paravano la forma de' pi/ei all'uovo ; ed ognuno sa che i Dioscuri, iquali aveano il pileo semiovale , figurassero \ Universo diviso in due emisferi, il superiore ed inferiore, e da ciò detti Dio- scuri ; ed ognuno sa pure che l’ imperio del mare e delle . acque ai medesimi appartenesse; ed ai quali era inerente la potenza ignea secondo riferisce Creuzer ( Dionys. p. 165 e segu. ), chi seguendo l’ autorità di Euripide ( Electra. 991. ), li chiama conservatori, e benefattori. Epperò che ai medesimi Tindaridi furono assegnati i pilei semiovali designanti l'uovo dimezzato , figura de’ due emisferi , per lo che deridendo questa dottrina il Poeta A/esside presso Ateneo ( lib. II. p. 230. Schweighaeuser ) co’ seguenti versi 7 + + + « Sedest adposita « Susie, redolens ipse horas , patina « Poli universi dimidiatus globus » Nam inibi inerat quidquid in coelo pulcrum : « Pisces, hoedi; quos intercusabat Scorpiua « Dimidiata ova slellas referebant » ne fa conoscere come l’ uovo dimezzato simboleggiato dal pileo semiovale dei Dioscuri si attenesse al sistema astrifero. Da que- sto era adunque ben facile trarre la detivanza del pi/eo. e co ì di tutte le sue varietà, da #0X06, r1A:s, onde opyigoy 7Idos in Aristofane ( Aves. v. 175 presso il dotto Creuzer p. 169 ) cioè Vv dpayd$s ; Se non voglia rimontarsi con lo stesso Scrittore all’al- tra dottrina degli Orfici dell’ uovo. primogenio , l' uovo protogono, — 229 — birici non ricordano quel che abbiam detto molte volte, il fuoco? Non ci ricordano l’Egilto., e più rimotamente l’Assiria ? I petasi Egizii e Persi non erano presso che della stessa natura ? Dario non fu coverto di causia ? Una pasta ‘antica. nella collezione di Stosch presenta l’elezione di questo Monarca per mezzo del nitrire del cavallo all’ Imperio Persiano ; e Teste Principe asso- ciato da cinque figure di personaggi , éra coperto non Le quali dottrine sono riferibili, a parere del medesimo , agli Egizii circa il loro Chnejh, nella cui descrizione sono a notarsi queste cose che riferisce Eusebio ( Praeparat. Evan.) èrî 3trfs uspad is nTEpoy pacieroy mepuuslueyova Di leggeri vedrassi da gciò l'origine del puéo, che iu appresso mutato, e il cambiamento avvenne a poco a poco, cosicchè da principio fu come uovo dimez- zato , ed usurpato da Chreph , Vulcano , e dai Dioscuri ; della na- tura ignea e Solare de’ quali abbiamo abbastanza fatto menzione; e poscia ridotti a cappelli più o meno svariati, a seconda de' popoli e de’ costumi e degli usi, ma sempre ricordando le idee di denefi- cenza , di creazione , di cose celesti, del cielo specialmente , e degli astri che vi girano , epperò potrebbero così spiegarsi gli astri da cui sono sormontati i Berretti dei Dioscuri. Quì sopra ho detto del g/obolo che vedesi neila Causia di Alessandro. Forse questo non era unico nella stessa, rion vedendosi. posto nel suo mezzo ; ciò potrà figurare il segno solare a simiglianza de’ due astri de'figliuoli ° Tindaridi, ed esser figura così dell'Imperio Orientale ed Occiden- tale , come il celeste e terrestre in quello de’ Dioscuri ; e siccome il Sole è il massimo Astro dell'Etereo Impero, il fuoco, ed è la forza della natura e apparente, e latente , così Alessandro nato a sim- boleggiarlo per esercitar la sua benefica influenza su la terra qual nuovo Osiride e Serapide, cui non meno conveniva quanto abbiam detto per li Dioscuri , nel rapporto di fuoco , e di natura ignea e solare , avrà avuto come i figli di Leda i-due globi indicanti il Sole , il gemino Sole, Elisio , ed Znfero. — 230 — già dall’ elmo, ma da un cappello schiacciato simile a quello de’ Macedoni. Or l avvenimento al Trono di lui al primo‘ nitrire del cavallo al nascer del sole , pel culto solare regnante in quell’Imperio , riannodasi a’ simboli solari di cui circondasi il sudetto Dario. Quanta simiglianza di principii di regno nel medesimo e in Ales- sandro ! Se ci volgiamo ai miti Argivi, troveremo ‘Per- seo col Frigio cappello ; negli Etolii Meleagro con cau- sia pendente su la nuca, in quello di Iolco troveremo Ja nota Medea, e nel Tebano Cadmo fornito di causia. - Or tutti. questi Divini, o Eroi non sono tutti 0 premo che tutti pertinenti ‘ai: miti. solari? Nella 4.: parte ho citata la medaglia di oro di De-, metrio Poliorcete a cavallo con causia ; se ricordisi che il medesimo tra i più affettati imitatori del grande Mace- done ne usurpò gli attributi, e fin Ja divinità, e la solar qualità specialmente , non riuscirà inutile il confronto. Quello che stabilisce ognor più che la causia fosse un segno solare, è il sapere, che la ‘stessa, clie abbiamo veduto nel senso generico una specie di Cap- pello , il quale avendo dimostrato additare a’ simboli solari, la causia in testa di Alessandro n'è indizio sicuro. Se leggasi pure l'articolo di Zannotti alla v. Cappel- lo (60) , troverassi che questo fu dato per distintivo | ad Apollo-Sole. E la causia Macedone che ne avea tutta la simiglianza, del pari che quella di Mercu- rio, la quale per li segni astriferi, di cui qui sotto ra- gioneremo , è analoga ai globetti indicati , rendesi (60) Dizionario Pittor, d' ogni antich. — BI — simile a quella portata da Alessandrio, ed è altro argo- mento per esser definito, quale appare nel marmo, come divinità solare e conservatrice. Per giunta a quanto ho detto di sopra sul globetto, che vedesi nella Cau- sia d’Alessandro , il Solerio (de Pileo p. 190) par- lando di un Carme di Sidonio, che dice la Tiara per- sica lunata, opina: facile exponi posset de tiara , in quo efficta acu, aut appicta esset imago Lunae, quam Persarum fuisse symbolum dixit Curtius lib. IV, et fuisse omen augendi subinde imperii censet Paschal. 9. de Coron. 18. Quindi allo stesso modo avrà potuto essere aggiunto il globetto nella causia di Alessandro. Se rammentisi pure che alcuni monumenti ci mostrano il petaso di Mercurio ( Montfauc. tom. I. tav. 75 ) con mezza Luna , non ci parrà improbabile che un segno solare indichi il globo della causia d’Alessandro. Infine la causia in testa al nostro grande Alessan- . dro è simbolo di nobiltà, e di liberazione della Grecia, al che ben risponde quel che abbiamo dagli storici es- sere stato acclamato generalissimo contro i Persiani ; dal quale giogo ed incursioni valse solo egli a conte- nere le continue conquiste che aveano annullata la po- tenza Greca , già troppo annullata pur da’ partiti. Ed anche sotto questo ultimo rapporto vediamo la causia portata dai Dioscuri nel soccorso da lor dato al famoso mitico personaggio appellato Talo, il Moloch degli 0- rientali ( Avellino interpretazione del mito di Talo ), V'i- stesso che il sole, del quale sono quasi sempre compagni questi Divi, e icui berretti in segno di astrifera ori- gine sono sormontati in quasi tutt' i monumenti , e spe- — 2592 — cialmente nelle medaglie, da una stella, donde la nota espressione , lucida sidera. Il largo petto poi che qualifica il personaggio del nostro bassorilievo, onde l'abbiamo assimilato al quadrato petto dell'altro monumento esaminato dall’Iannelli nella Coppa preziosa Borbonica , ci riporta al largo petto di Net- tuno , e derivatamente a Giove , cui volea Alessandro appartenere ; e più ancora alle quadrate forme di Er- cole. Pel primo è troppo noto il luogo di Omero : Ille Caput magni similis , oculosque Tonanti j; Neptuno pectusque , truci zonamque Gradivo. Ripetere quel che abbiam notato di Ercole, simbolo della forza del Sole , sarebbe una inutile cosa; e chi non sa l’atletiche sue forme antonomastiche? E dal largo petto e muscoloso vien la forza, emblema degli Eroi e de’ Divini. Gli antichi nel petto facevano risedere non solo il valore, ma più che tutto la sapienza , onde Ajace chiamato è da Ovidio senza petto. Ercole adun- que è il tipo cui dobbiam ricorrere per trovar ragione della larghezza del petto del nostro marmo. A lui dob- biamo accordarlo più che ad ogni altro , che nel suo combattimento con Gerione , al quale Euripide nell’Er- cole furioso dà l'epiteto di trisomatos, 0 a tre corpi, a tre teste, del pari che Apollodoro (HI. ) e che se- condo Lucrezio ( lib. V. ) , avea tre petti, +. Geryonai Quidve tripeclora tergemini vis ? la forza Erculea dovendo spiegarsi nel massimo grado, per combattere il mostro terribile della favola, dovea la — 2393 — favola contrapporre nel petto Erculeo il simbolo di quella necessaria ad abbattere l orrendo mostro. Nel torso di Belvedere difatti, che ha richiamata tanta attenzione degli antiquari, vedesi il nobile petto ed elevato, come dice Winkelmann (St. delle arti lib. X. f. 14) che ritrae l idea di colui che soffocò fra le sue braccia il Gigante Gerione. E non è desso questo mito riattaccato a quello de’ bovi del Sole pascenti in Sicilia in cui ri compare Gerione, un allusione solare ? Ma nel petto essendo la forza e il valore fisico,, € morale; nel petto l amore, il fuoco delle passioni (64), la fiamma de desideri o del bene o del male, così nel petto di Prometeo di Eschilo, vediamo la fiamma del fulmine di Giove piombare saettando , direi que- st uomo divino, cui per incatenare sulla rupe , si rac- colsero la Potenza , la Forza, e Vulcano. Va. pure in rinomanza il chiodo adamantino messogli nel petto, con cui fu affiso alla rupe. Nel petto divampano le fiamme — Ciclopiche; epperò che vediamo le loriche, e le corazze degli antichi decorate di soli , di sflngiî, e queste or- mai troppo risapute per simboli solari. Nè sarà di- scaro al leggitore che io ricordi la celebre testa di Medusa altro simbolo solare , che fu tanto a cuore e simpatica all’ Eroe Macedone , e che secondo il nostro sistema ben spiegherebbe la voluta da Alessandro so- (61) Eraclide Pontico nelle allegorie Omeriche p. 433. Anestel. 1688 dice « Nam quod iracundia seu animositas circa cor sita sit. » Ulysses aperte ostendit, cum procis iratus cor pulsat, ceu domi- » cilium quoddam , in quo improbitatis odium habilaret , e riporta » Omero ; £? peclus quatiens etc. ‘» ” — 234 — lare divinità; e VPemulazione di Perseo , la quale testa portavasi dal Macedone nella sua corazza; co- me si ha dagli storici ; e che noi abbiam rivista in molti suoi monumenti. Della stessa era decorato il suo petto nella figura del gran Musaico di Pompei illustrato dottamente ed invincibilmente dal chiar. Cr. Quaranta. E pure a idea astrifera riferì il dottissimo Abate Ma- rini i fregî che decoravano la corazza della Statua rin- venuta in Ercolano ( Ercolanesi Bronzi) e da lui cre- duta di Caligola giovane , fra i quali eravi rappresen- tato Apollo che scalda la terra tra il segno del Toro e quello dell’Ariete. Quindi nel petto spessissimo veg- giamo le allusioni delle divimtà , e la ricordanza dei miti che le distinguono, nè vuolsi altramente spiegare, la natura marina di Nettuno dal vederlo nel vaso del mito di Talo contrassegnato nel petto dalle onde ma- rine ( Avellino IMustraz. del mito di Talo ). Or venendo ad altri rapporti solari tra Ercole ed A- lessandro, vedo sempre due enti che soccorrono all’uma- nità. E se nelle 12 fatiche di Ercole non si hanno che idee astronomiche e solari, e nel ciclo mitico-morale un personaggio: benefico ; nell’ uno e nell’ altro. modo di vedere , non è difficile riscontrare l’ omogeneità col nostro Alessandro ; e siano pur segni e simboli solari queste 12 fatiche Erculee , noi abbiam visto la bene- fica influenza del sole esercitata su Il’ universa natura ch’ è la linea a seguirsi pel lato morale. Sotto questo rapporto Creuzer ( Dionys. p. 141.) ci dice : Prae- cipue tamen Somum sive Herculem pro sole ver- nali habebant ( Aegyplii ) , indeque Graecorum non- — 235 — nulli eidem Heben juventutis deam adjunetam cre- debant. Iam cum Harpocrates solem in solstitio hi- berno renovatum significaret , mirum non erat hos deos saepius ‘inter se vel confundi , vel certe ita con- Jungi, ut paene pro tisdem essent. . . . . Ac sicut Harpocrates inter salutares deos simul cum Iside ha- bitus est apud Aegyptios, ita ipsorum quoque Hercu- les secundae valetudimis largitor. Chi più di Alessandro , come sonmi studiato trac- ciare nel parallelo , soccorse all'umanità , sulle tracce di Perseo e di Ercole e di altri Eroi? La storia che registra i fatti e tristi e gloriosi degli uomini; ci-ha fatto pervenire quel tratto singolarissimo di Dario sven- turato verso Alessandro , in cui rifulge la magnanimità nella sventura dell'uno , e la grandezza e la virtù volanti d’un piè colla vittoria dell'altro (62). Ma non puossi lasciar andare questo parallelismo senz ammirare l'arte dello scultore del nostro basso- rilievo, che ha dato al giovine cavaliere largo petto, . ricordando l'Erculea derivanza di Alessandro. E se l’an- tichità questa caratteristica avea assegnata ad Ercole il quale in tutti monumenti, siano dell’Ercole Assiro, del | (62) « Dii Patrii et regnorum praesides primum mihi conce- dite ut fortundîn Persarum in gradum restitutam , quo eam accepi splendore relinquam , quo Alexandro gratiam referam eo- rum quae in meo adverso casu carissimis meis praestitit pi- gnoribus. Quod si fato hoc adest tempus deorum invidiae et rerum vicissitudini praefinitum ut finem capiat regnum Per- sarum, ne quis morlalium alius in Cyri solio sedeat quam Ale- xander. » P/ularch. Vit. Alex. , % [o] v “ bed vw - (o) bi » bi . e 30 — 26 Fenicio , dell’ Egizio , del Greco , dell Etrusco , vede- vasi sempre lottante, quale con Leoni, con Tori, con Cinghiali, con mostri , con Cavalli , e sempre quale chiamollo giudiziosamente Macrobio, Virtus Dei regen- tis; posso. io rammentare per Alessandro delle medaglie, che lo mostrano pure combattente , come a suo luogo esaminerò, e pugnante con cavallo inalberato , e con Leone ; che rientra nel principio dualistico sì comune, specialmente in Oriente. Del secondo fatto l'Eckel cita Gurzio (lib. VII. GC. I), e Plutarco ( Vit. Alex c. 40 ) che narra della stupenda scultura eseguita da SISI mandata a Delfo (63). Altri argomenti sorgono ancora per dichiarare Ales- sandro nel modo com'è stato effigiato, un mitico e solare personaggio , dal vederlo con capelli corti, con grosso collo , e con imberbe viso. Ora, oltre che i suoi capelli per esser biondi , come si è scritto da tutti gli storici, sol per questo colore risvegliano l'analogia di quelli del nume Eliaco , perchè aurei son sempre quelli dati al sole effigiato in giovanili e stupende sembianze ; anche Yaltra caratteristica di esser corti, risveglia l' idea degli Eroi , e specialmente di Ercole , il quale nelle massime sue imprese ci è dipinto e sculto con ricci e corti capelli, e noi abbiam visto come alla cerchia di Eroi.solari si appartenesse Ercole ; così questi rappresentato lo si vede in tanti monumenti, e per ultimo in un vaso Ruvese con- servato nel R. Mnseo Borbonico (64). Con simiglianti (63) Vedi Eckel D. N. V. T. JI. Vindobonae, (64) Bullett. Arch. Nap. Anno VI. p. 92. — 237 — capelli corti e ricci veggiamo quasi semprè-i Dioscuri , Achille, che non è mancato chi l’ha riposto nella schiera degli Eroi solari (65), e così altri non pochi. Dell’imberbe viso non dirò molte cose, perchè trovandosi il Macedone della freschissima età già da noi veduta, nel domare il Bu- cefalo; è per sè stesso esplicativo di una bellezza sì gran- de d’Alessandro e sì nota, da aver potuto abbagliare quanti han preso per Alekcandro la statua in Roma, poscia da Vi- sconti revindicata al Sole. E tanto di belle forme si fu egli, che secondo lo Pseudo-Callistene , Filippo era stato in forse se ritenerlo, o abbandonarlo , confessando. non esser suo, ma germe divino, dipingendolo il mitico storico ; Vultu formaque omni alienus a Philippo; ne matri quidem ad similitudinem congruus; ei quoque cujus semine creabatur, facie diversus : sed suo modo et filiù pulcerrimus: subcrispa paululum ct flavente cae- sarie ete. (66). Dilungarci a dimostrare adunque , che I’ imberbe e bellissimo volto , i biondi capelli , ed anche corti vanno convenienti al sole ed agli Eroi solari, sarebbe un voler provare quel che di argomenti non ha d’ uopo. E basta leggere l'inno Omerico per convincersene. » Solemque indefessum similem immortalibus , » Qui lucet mortalibus et immortalibus Diis , » » Equis vectus : horrendum autem hic inspicit oculis , » Aurea è galea : clari autem radii ab ipso » Splendote relucent , ad tempora autem genae » Nitidae a capite gratiose obtinent os (6 5) Zannoiti Dizionario d'ogni antichità et. alla v. Achille. (GG) Lib. E Cap. XIII. Didot. — 238 — » Lucidum : pulchra autem corpus fulget vestis » Tenuiter contexta flatu ventorum : sub autem masculi equi » Hic ille sistens aureum currum et equos » Vesperi mittit per Coelum in Oceanum, » Salve rex , benigne autem vitam suavem praebe (67). Ma il collo grande , come è dipinto Alessandro spec- chiatamente in quasi tutti gli storici, e ne’ monumenti i più indubitati, essendo stato segno di forza, di potenza, e ben anologo agli Eroi di tal natura , non mi richiama al bisogno di molte parole ; del pari che la nudità , essendo il Sole amore, luce, bellezza , e questi morali attributi non voglion veli, e l’arte Greca fu persuasa che il bello non va nascosto, perlocchè Plinio scrisse Graeca res est nihil velare. Al che riscontro nell’ Omerico Inno ad Apollo. Caeterum postquam, Phoebe, comedisti immortalem cibum, . Non te utique amplius retinuerunt aureae fasciae palpitantem, E veramente se il sole è l amore , è la luce mani- festata, l’Osiride benefico, il Dioniso ; la bellezza, l' a- more non han velo , perchè puri ; e il fonte da cui partono i raggi per far bella la natura, non può esser velato , ma nudo debbe presentarsi. Nè pure farò di- scorso della tinta della sua carne, che i biografi so- nosi affaticati ad esprimerci distintamente come rossa e specialmente nel petto, perocchè il rosso sappiamo essere stato quasi sempre aggiudicato ai Divini, ed io vor- rei ritenerlo come il più acconcio e dichiarativo nell’intel- ligenza solare, cui quel colore tanto si addice, e gl’'in- (67) Homer. Ernesti. V. p. 126. — 2399 — finiti modi poetici per pingerci l'aurora , il roseo suo colore che imporpora l’ aere , e la terra, sono nella bocca di quanti hanno gustate le prime idee, e le prime aure dell’ armonia e del ritmo del poetico linguaggio. Richiamo quel che ho detto al testo e in nota a p. T. Ben più ci fermeremo adunque sugli altri simboli, che per avventura potriano sembrare al primo guardarli equi- voci e non analoghi ‘al*mito solare. Fra essi il flagello pareva una contradizione, come si è cennato, la narrazione de’ Biografi intorno al modo tenuto da Alessandro in domare il Bucefalo, essendosi espressi con le parole sine verberibus, mentre trovasi nella de- stra di lui il flagello, ma riscontransi monumenti si- miglianti nell’ antichità anche remota , ove Divinità so- lari, ed astrifere, ed Eroi a cavallo o altrimenti hanno tale strumento ; e che questo avesse in sè medesimo la solare significanza , son lieto in vedere il nostro bas- sorilievo stia in perfetta relazione anche pel /lagello , con personaggi milico-solari. Intorno al medesimo, come simbolico segno del Sole, può trarsene pruova da Plutarco ( de Isid. et Ostr. ) dal Creuzer , e Guigniaut, da Zannotti ( op. cit. alle v. flagello , Phta, Phré; passim in Raoul-Rochette Op. cit. su di Ercole ). Io cercherò al meglio pos- sibile nelle mie riflessioni venir indagando il vero senso di questo segno , ‘del quale è armato il giovane Alessan- dro nel bassorilievo. Già il Iannelli avea scritto (68), che il /lagello del (68) Tentamen Hermen. in Hierograph. Crypt. part, 4. Lem- mata Hicrograph. in Abrax Sect. 1. Cap. I. p. 200, — 240 — soldato Gallocefalo convenga al Sole per le immagini andromorfe dello stesso in moltiplici monumenti , del pari che alla Luna, o meglio, com’ egli dice, al Dio Lino , da non confondersi con quella , essendo questo Dio massimo, il Sole mestruoò ( Strab. XII. p. 551). Ora è noto, egli dice, che il flagello o scutica, le quali voci sono indistintamente adoperate dal detto scrittore, e convenienti colle wastryes di Polluce (69) dal Kuhnio voltato nella voce /lagellum, e col pastit di Proclo nell’ inno al sole presso il Fabricio ( v. 25, e 26 Biblioth. Graeca, Tom. VII. p. 540), tra- dotto Flagra, sinomimo di flagellum (10) indichi 1’ es- pressione de’ mali o delle cose avverse, onde fu dato ad Iside, Oro e al Sole, per lo che il mentovato Proclo Scrisse ; » Te vero metuunt, tua si quid flagra minentur » Invisi nobis Genii, semperque feroces, » Qui miseris moliri animis mala millia norunt , Così accordato ad Osiride designa l'agricoltura de'campi, I abbondanza (71) la fertilità che vien dal sole. Ma oltre questi esempî di benefici, di cui è simbolo il fla- gello , da alcuni versi di Orazio ( lib. III. Od. XXV.) (69) Onomastico lib. I. Cap. XI. pag. 116 adnot. Kuhnii ete. (70) Servio disse, ad Aeneid. I. floerare venir da flando, fla- grare a frangendo. Ma flagro vien da @Àeyo ‘ntromessa r. da fla- gro flagrum , per cui Catullo Carm. XXV. Inusta turpiter tibi flagella conscribunt. a flagrum quoque flagellum summa palmitis pars, qua a venti flatu ita dictam falso putavit Varro lib. I. de R. R. ce. XXXI. Vossio Etimol adnot, Mazocchii alla v. //agra. (71) Plutarch. de Isid. et Osirt. —_ 2D4l —— il flagello nelle mani d’Iside esprime correzione, e pu- nizione di male dicendo : » O quae beatam diva tenes Cyprum et » Memphim carentem Sithonia nive, » Reginà , sublimi flagello » Tange Chloen, semol arrogantem, ) E se rileggiamo il Goulianoff (op. cit. part. II. p. 258 , e segu. ), troveremo, che il flagello valesse sta- tuere , constituere , cioè stabilità , conservazione e coordinazione, e che fosse stato uno de’ segni per com- porre misticamente il nome del Dio Ftà ; e secondo Champollion nel suo Panthéon, Phtah è l'orgamizzatore, del mondo materiale, e dello stato sociale ; e per lau torità delle stesso ( PI. 8. Nos. 4,59, 6.), il fla- gello divino è quello che Phtah tiene per stimolare la luna , che invia nel mondo terrestre i germi di tutti gli esseri viventi. Quale debb' essere inteso tà, non è d’'uopo che io lo dica esser stato il Dio del fuoco, richiamando l’ esposto intorno ad esso nel Parallelo ; e quindi il Sole, cui era identificato , nel quale l’ec- cellenza della qualità benefica, E per tal ragione mi vedo riportato alla religione de’ Persi, e al loro Mi- tra, 0 il Sole, sol invictus, onde la nota iscrizione; e trovo opportuno dichiarare, che il flagello in perso+ naggi con altri segni mitici, e solari, è segno di benefici, di distruzione di mali. AI che potrebbe riavvicinarsi la clava di Ercole , e quella pur di Mitra, simbolo, come dice il (@wigniaut , ( Notes du lv. IL. de la symbol. p. 136) dell intelligenza demiurgica , la — 22 — ‘quale è in Ftà Egizio, nell Efesto (il Vulcano de'Greci ; e nel Mitra, la parola celeste, ch'è il fuoco; sicchè Mitra come Ercole, è il guerriero, il Re, che feconda la natura, e combatte i flagelli che Ja minacciano; facendo regnare l'armonia divina. Donde da questi dati possiamo dedurre ‘essere assai esplicativa la significanza simbolica del fla- gello in mano di Alessandro qual vedesi nel bassori- - lievo, ove l’Eroe Macedone a simiglianza di Ercole , del Sole, di Ftà e di Mitra, rappresenta il principio della beneficenza e del bene, e della distruzione del male col suo flagello. Ma non mi resto con questi soli ri- ‘scontri, e mi permetto altre investigazioni. Un bello esempio abbiamo del flagello come simbolo solare nella descrizione e dotta illustrazione del basso- rilievo nella Cappella del Crocifisso in santa Chiara per- iinente alla famiglia Sanfelice di Napoli , riportato nei monumenti dell’ Istituto (72), fatta. dal Cav. Welcker negli Annali. Secondo il medesimo, vi sono nella faccia principale del sepolero Apollo , e Diana , ch' egli crede destinati ad indicare il giorno assegnato a Piotesilao per vedere la sua sposa. Il Dio del giorno ha una piccola Clamide, altro qualificativo, come ho veduto, del culto solare, che gli scende dalla sinistra spalla , e la testa con sette raggi; ove il ch. Minervini (73) rimarca, che l illustre mitografo ha mancato di porre il flagello in mano di Apollo. Non ha bisogno più di esser esser dichiarato questo ch'è evidentissimo, cioè l'essere il /lagello simbo- (72) Tom. II. tav. XL, A. ‘ (73) Bulet. Arch. Nap. anno II. p. 45 ci Qi licamente adoperato come segno solare: Febo difatti nel bassorilievo del M. Pio Clementino su di un carro tirato dai cavalli, ornato di clamide, ha nella destra il flagello; che vien dato a quella divinità (74), secondo Ja de» scrizione che ne fa Orfeo ( Inno al sole v. 19). Nuova copia ‘inoltre di monumenti, e di ravvicinanze mitiche Greche non solo, ma Assire , ed Orientali in genere , ci. viene dall’ opera di Cantù (15) e da quella: ripetuta di R. Rochette su di Ercole in riguardo agl’'uo- mini e alle divinità armate di flagello. Zama uno de- gli otto Vassù che figurano dopo Brama, uno di quelli cui è addetto il governo del mondo nella. parte del sud il Dio della notte, della morte e degl’ inferni , figlio d’ Aditi e di Kasiapa , che sembraci aver | ufficio di Osiride e di Bacco, come divinità Elisie (16), gl Ino diani lo rappresentano su di un Cavallo ; tenendo. nella mano un flagello. Or convien ricordare. ta gli Aditia erano genii Solari, e Kasiapa sposò 13 figlie di Dakscia figlia primagenita di Brama, da cui era nato pure. il Sole, e da esse gli Adgi (17). (74) TV. p. 157. ui (75) Documenti, Relig. V. unico. ; ti - (76) Cantù togliendo a fare il parallelo delle Divinità «procreate da Brama, dice ( p. 36 e/ig. degl’ Indi), Iama corrispondere al Dio Marte , e presiedere a Cardika o Ottobre nella costella= zione di Vriscik a lo Scorpione. Così anche per questo lato ab» biamo il riscontro solare ne’ segni del Zodiaco. (77) Qui è buono recare un dotto articolo del Zanotti nel Dizionario di ogni antichità e mitologia alla voce Aditia ; dal quale ve rischiarato quanto ho esposto nel testo, e nell’altra nota. Vuole il Zannotti mentoyato , che gli Aditia siano 12 }.e siauo è 31 — 244 — Phta che emana da Kneph o Ammone 0 Giove , il Vulcano Greco , nella dottrina Gabirica ; il Fuoco ma- nifestato, come più innanzi, avea per suo caratteristico segno un ricco flagello stimolatore (78). Ma quel che maggiormente giova al nostro dire, sì è il ritrovare l’emblema del flagello ne' svariati monumenti di Ercole , rintracciati dal mentovato R. Rochette. E quel che dà maggior peso alla nostra opinione , è il vedere associato quell’ Eroe o Divinità solare , come voglia caratterizzarsi, al cavallo, che secondo ho cen- nato e farò più distesamente osservare , era dedicato al sole. In tutto quel sistema Indiano che abbiamo ab- riguardati come altrettanti soli mensili; e sian figli di Adi, che è il giorno-sole primordiale ; e di Kaciapa, ch'è lo spazio, quel vasto mezzo occupato dalla luce e dalle tenebre; che si dividono il giorno e la notte a vicenda, e parzialmente prevalenti. Il qua- dro genealogico somministrato dal Mitologo alla v. Aditi, è molto esplicativo di questo sistema Indiano, dove Maritchi, luce , 0 Suoco-sole, cioè lo Ftà Indiano, produce Caciapa che sposò Aditi e Diti da cui i 12 Daitia, i genii tenebrosi. Lo scrittore nota, appog- giato al Parisot, che Aditi è qualche cosa di più del giorno pri- mitivo, e può esser considerato come la forza per cui tutto è, cioè la /uce. — E seguendo le tracce del ripetuto Zannotti; | u- nità solare (sia Aditi, sia Suria o Savatri), s'è divisa in 12 duodecimi adequati ciascuno al tutto, loro padre comune. Col qual numero egli va comparando e ravvicinando le costellazioni zodiacali; e qui ricade acconcio il ravvicinare le dodici imprese di Ercole; i 12 dei maggiori d' Etruria e di Roma, i 42 figli di Acca Larenzia. Da quel che ho riportato può vedersi quanto il flagello fosse conveniente per designare simbolicamente le deri - vanze ‘Sclari. (78) Belzoni viaggi, Atlante tav. V. bozzato nella nota arrecata, non figurerebbe benissimo l Ercole con le sue 12 costellazioni ;;0 imprese che vogliansi , e la sua virtù solare , la luce creatrice 2 Alessandro pertanto è munito del simbolo il più evi- dente solare. Se il dotto scrittore Frantese nell’ opera sudetta (79), crede all’ Ercole Assire di Ninive ) por- tante nella mano destra un elemento di rappresentanza non ancor prodotto su 1 monumenti che ne conosciamo; convenire benissimo il flagello , non essendovi cosa più comune che il flagello in mano del Dio-Sole , ed ora essere abbastanza provato, che l Ercole Assiro è un Dio-Sole; noi possiamo vederne una ben analoga ap: plicazione nel nostro Alessandro armato di flagello, ed essere riputato sotto tali forme qual Dia-Sole Mace- done e Greco. Inoltre , il Dio Mén ( Luno , sul quale è a sperare a veder presto comparire l’altra memoria del dotto Ar- cheologo Francese ) ; e sopra tutto il Iuo-Sole , spesso e su la quadriga , o su di un cavallo di galoppo; armato di flagello; sono i tipi 1 più ordinari delle mo- nete di Sardi, e simboli che risalgono al medesimo si- stema di Ercole-Sandan. Nelle quali monete la testa di Ercole-Tirio ; e il culto di Sandan Assiro-Fenicio avea luogo a Sardi, come a Tiro, e a Tarso ; ora Sardi era Città dedicata al Sole (80), e nulla di più comune nella Numismatica delle Greche Città dell’ Asia minore (79) 1.ve Mem. sur V'Hercul. p. 153. (30) Xanthus ap. Lyd. de mens, II. 14; Cavedoni Spicileg. numism. p. 224, e 192, — 246 — quanto l' effigiare il Sole montato su di un cavallo a ° galoppo ed armato di flagello. E quel che torna a mi- glior conferma di quanto ho detto , con l'autorità del ‘ch. Welcker, si è, che Cavedoni dando al A e ZAN delle monete di Celenderis , in cui è Apollo , che n'è il tipo accompagnato da queste note letterali , il rap- porto di Apollo con Sandaco è abbastanza riconosciuto; e il secondo fondatore di Celenderis è scrittoreon espres- sioni equivalenti del Dio Sole sotto nomi diversi. La qual cosa forniscem di altro argomento per vedere in Alessandro Macedone fondatore di /Vicea, a simiglianza di Bacco o Dioniso, divinità solare, un altro Dio Sole, come per Alessandria il Serapide , 0 Giove-Sole ; e la medesima cosa esser per Bucefalia; poichè le medaglie di queste Città ci mostrano egualmente i loro tipi coi cavalli , montati da personaggi su lo stesso sistema mo- netario delle summentovate; senza tener conto. delle medaglie, di cui ha discorso l’Eckhel per Ja Macedonia. Spingere più oltre le ricerche , già troppo note ai savì leggitori , sarebbe troppo lungo discorso : vado pertanto a conchiudere, che comunque le investigazioni sul bassorilievo Pompeiano sian fatte , sempre nuovi ar- gomenti sorgono per dichiararlo quale l'abbiamo veduto finora similissimo al mito Erculeo, e perchè abbiam notato , che il flagello fuga i mali, ed essere stato simbolo delle divinità benefiche , amorevoli di civiltà, di agricoltura, ed intente a dannare la barbarie , e salvare l’ umanità , ricostituendo la società ; il mito di Alessandro domatore del Bucefalo n’ è una imma- gine vivissima. Così il luogo di Plutarco, di Curzio e 2947 — di Arriano sulla contrastata espressione sine verde ribus, va conciliata col mito indicato , ed esclusa ogni contraria sentenza. Sulla significanza ‘mitica delle solee , siborduillo il già detto in fine della prima parte è il pensare del Visconti intorno al loro uso, alle allacciature, e alle do- rature delle medesime; nelle belle osservazioni dell’Heyne ( ad Apollodor. II. 4; 2 p. 120 esegu. ), trovo trattata la quistione della magica e maravigliosa forza falsa- mente attribuita alle solee o sandali; che dicevasi, far correre, e volare per gli immensi spazi del Cielo; e del mondo Mercurio, Minerva, Teti ed altri Divini. Il dottissimo Uomo ben si mostra avverso a tale opi- nione , e richiamando le classiche autorità di Omero; di Callimaco e di altri, fa costare evidentemente, co- me siffatta potenza attribuita alle Solee, fosse nè pie- di di que divini, epperò il volare e il percorrere im- mense distanze, non venisse dall’ adattamento delle so- lee, che ai Divini tal potenza non potevano accordare; ma il prodigio venisse dalla lor natura, nè secondo il mentovato Scrittore , le solee aggiunger potevano «una forza che in sè non aveano ; ma era tutta forza divina. Che se volevano adottarsi le espressioni di Omero , e degli altri Poeti sul géPew in rapporto alle solee, biso- gnava ritenere il modo di esprimersi dei poeti in un senso translato , non mai riferibile alle stesse, ma ai piedi. Ora esposta questa opinione dell’ Heyne, mi vedo nel caso servirmi delle sue dotte riflessioni, per dire, che appunto lo scultore del bassorilievo avendo a trat- tare un soggetto tutto mitico , e pertinente a Divinità — 2is8— solare , avrà dovuto adaitare al personaggio a cavallo le solee, nello stesso translato senso, com’ erasi fatto da Omero, Callimaco, ed altri per gli Dei; e siccome nel senso translato quelle ‘aveano il potere di far correre , e far percorrere al divino qualunque spazio , così Apollo le avesse alle piante de’ suoi piedi. Ed egli, creduto Divinità solare, ben dovea avere queste solee, perchè a chi meglio che al sole apparteneva il viaggio negli immensi spazî del Creato? Noil’abbiamo veduto caminatore e faciente grandi passi. E tantopiù dobbiamo rimanere satisfatti in quanto che le solee del bassorilievo non hanno comunanza nes- suna con quelle degli Eroi, di cui discorre pure l'Heyne nel luogo citato. Epperò son convinto, che le solee ci autorizzano a dichiarare effigiarsi nel bassorilievo , non un semplice Eroe, ma un Nume Dio-sole. Esaurito, per quanto era in me , l'analisi mitica del giovane cavaliere del nostro bassorilievo, sotto il rapporto esterno, se il mio pensare non sembri a’ dotti plausibile , sono nell’ obbligo affisarmi ad altre ragioni pel confronto solare di Alessandro, e di Ercole, al quale è in cotal guisa simigliante , che i loro miti non lasciano a ripensare sulla loro vicendevole convenienza, e tenendomi a ser- bare la promessa circa questa analogia de’ due. Eroi in riguardo al mito solare , cui tanto si addice il co- stume delle pire , di cui sonvi memorie e per l'uno e per l’altro, vengo ad esporne e ricordarne alcune cose. Varie volte ho detto della Pira che Alessandro fece innalzare al suo prediletto Efestione. Ed ora aggiungo che ad Ercole ne furono innalzate a Tarso, a Sardi, Sagalasso, Amasia, Nicea, a Ninive, a Babilonia , a — 249 — Piro, come si ha dal citato Raoul-Rochette. (84) L’illustre scrittore richiamando dotte autorità, ha dimostrato, come un tal monumento esprimesse la morfe, e la risurrezione del dio Sole. Le idee di vita divina, d' immortalità , d' apoteosi si attaccavano necessaria- mente alla pira, come espressione materiale del dom- ma della risurrezione del dio Sole, E per questa. istessa ragione nelle sepolture le immagini simboliche che hanno rapporto alla vita, alla fecondità , alla generazione. Sicchè il fallo, il gruppo simbolico del Leone che al- terra il Toro, ornamenti delle tombe Asiane, che passò nella Archeologia Greca e Romana, non hanno altra ragione e fondamento. Quella fatta costruire da Alessandro pel suo confi- dente dall’artefice Dinocrate era in forma di terrazzi , e dall’ annotatore del Miiller ( forse lo stesso Raoul-Ro- chette ) al $ 154, dicesi dover somigliare a quella di Diomigi il vecchio; e non mi sconfido crederlo, die- tro i disegni datine e che vedonsi e nell’opera di St. Croix ( Examen. Critique ); e nel Curzio del Lemaire, simigliante a quelle di Ercole; fntorno alle quali giova leggere l'opera del Raoul-Rochette. A Diodoro Siculo devesi la brillante deserizione della Pira di Efestione ( Lab. XVII. c. 113 ) ; per la quale sappiamo che vi erano alternati nel quinto piano i Leoni co’ Tori, simboli comuni e spessi de’ monumenti, spe= cialmente Assiri di Ercole. E dalla dipintura dello sto- (81) Vedi Memoîr. sur) Hercule Assyr. etc. e l'Appendice in delta opera a p. 388. — 250 — rico. suddetto, scorgesi quanta magnificenza , quanto senno simbolico e quanta sapienza teologica e nell’ A- mico che piange nella gloria maggiore del suo genio, e nell Artefice esecutore. Quindi ho ragione ad esclu- dere quel che da principio ho manifestato , contro il parcre del S.' Croix circa il voluto depravamento del gusto di Alessandro per le arti, dopo la conquista del- l'Asia per questo fatto della costruzione della Pira di Efestione. | Or la costruzione delle pire in forme piramidali, la quadriga del Sole all'apice di esse adattata, sono abba- stanza esplicative pel mito e simbolo Solare, culto che abbiamo osservato quasi generale in Oriente , nè straniero in Macedonia, come diffusamente ho discorso , specialmente nel parallelo. I ravvicinamenti di Alessan- dro e di Ercole pel nome del primo con le qualità e nome del secondo, vengono a stringersi più assai per la pira, nei quali ragionamenti, troverò quì appresso altri elementi che convinceranno , mi lusingo, più che tutto delle mie poste congetture. Ho già detto, che. "AMo significa Sole, e Sand Er- cole nei quali due radicali ha sua derivanza il nome di Alessandro. Ora con l’ autorità del R. Rochette ri- cordo che la pira di Melcarte ( Ercole ) a Tiro , in- cludeva l’idea di Sole e lazione del fuoco ad un tem- po simbolo di Ercole Tirio , e conseguentemente del Greco. Ricordo eziandio Adone , il Dio-Sole Fenicio ucciso dal cinghiale , o Marte, il qual fatto andò ce- lebrato in tutlo Oriente con la pira e le feste ; per figurare la morte e la risurrezione del giovane: Nio-Sole —,251 — Il Raoul-Rochette riportando la prefazione Diogeniana -( p. 780 Schneider \. vi ritrova la voce "AXmy con- giunta a quella di ITopay , e vi si legge pure Agpodiys il qual nome risvegua utili memorie. Perlanio li pri- mo radicale di “AA nella v. AAsgs pos ricorda. pu- re l’idea di Ercole-Sole e delia wa, el idea cal daica della rigenerazione del mondo per mezzo del fuo- co, e la purificazione per esso, idea fondamentale dei culti Asiani. Il quale costume fu esercitato anche al tempo di Alessandro, come praticò Calano, gittandosi nella Pira di che discorre diffusamente Arriano (82); e pervenne anche in Grecia, onde Alessandro che ge- neralizzava;, e tentava tutto universaleggiare ed accu- munare , fece eseguir quella per Efestione ; e l'istesso suo Carro funebre tanto celebre, quanto il nome del gran- de Macedone, non era formato che sul sistema delle pire. Il veder poi , come presso i Pamfili, Er figlio di Ar- menio, dopo essere stato esposto per 12, giorni nella pira, rinasceva a novella vita, ciò alludeva al simbolo del Dio-Sole che passava per li segni zodiacali. Questo è l’Er dei Pamfili, di cui Platone ha lasciato rimembranza dicendo ; Eris Armenùi fili, oriundi e Pamphylia ; qui aliquando, quum in acie cecidisset et decem diebus post sublati essent caesi iam corrupti,. inte- ger sublalus est, domumque deportatus, ut sepeliretur, duodecim diebus post rogo impositus revixil, et quum revixisset narravit quae ibi viderat (83). Dal qual (82) De erpedit Aler. VIII: 3.0 (83) Polilia X. p. 93. Ast. Lipsiae 1822. tic Dt la6go di Platone varie cose sono adombrate, e l’immor- talità delle‘anime, e una futura vita; è adombrata pure Ja dottrina della risurrezione di cui abbiam toccato qui sopra. E come fossero le cose, di cui si è fatto interprete Platone , incamate’ già nella mente de’ Greci, da quel. che ci espone il medesimo , non è difficile l'appararlo. E questo Eroe, di cui egli discorre , è troppo stretta- mente legato colla credenza, e col costume delle pire. simboleggianti il fuoco purificatore. Ed io vorrei ram- mentare che anche Alessandro stette 30 giorni in- nanzi di essere stato sepolto, e dopo ciò tumulato ($4) ; nè pare doversi prendere per briga di partiti de’ suoi successori , l'essere rimasto su la terra. Io ‘opino un arcano includersi nel racconto storico ; e qualche cosa di simile colla morte di questo Er di Panfilia, esservi in quella di Alessandro , la quale adombra a miti, e al sistema solare, al quale alludono per avventura in 30 gior- ni in cui rimase insepolto, o sia in un periodo solare. Er adunque dal radicale semitico , Or come vuole. il citato R. Rochette , è il fuoco ; e da Er, Ar; ed Ari, Leone, che ci fa di nuovo pensare ai Leoni della Pira di Efestione, e a quelli del Carro famoso dello stesso Alessandro, e di Ercole ; oltre che si ha Ariel, Leon di Dio nella Bibbia (85). Da questo radicale an- che Arete, o Marte, Dio-Fuoco Assiro , il Dio-Sole. (84) » Verum ille triginta diebus inhumatus, relictus est, donec » Aristander Telmissensis, divino numine afflatus, seu alio quodam » casu percitus in medios Macedones progressus est » etc. Aeliar. Var. hist. Lib. XII. C. 64. p. 832 4. Variorum 1731. (85) Gesen. Thesaur. Hebr. pag. 92. 259 — Quindi pure da Er l Ercole Panfilio , e tutti derivati de radicali Ar, ed Er, cioè Ar-Belus. etc. e trai Greci nomi “Hpes "Apns e viensi all "Apnros ch° era l' Ercole Macedone (86); e quindi da ciò non è difficile trarre come in Macedonia regnasse il culto solare e del fuoco , come si sarà rimasto pago , solo. per sentenza di Clemente Alessandrino da me riprodotta» più innanzi. Seguendo intanto a torre ra’ prestanza) le%mie:parolé dal lodato R. Rochette , le cui riflessioni sul suò EE cole, parmi, s'incarnano molto bene col mio concetto intorno al mitico ravvicinamento dello stesso con Ales- sandro per la pira, ciò mi disebbliga dall’andar ri- cercando altri. scrittori, essendo stati da lui esaminati; dovendo indagare l’altro radicale proposto, cioè . il Sand, omiofono ‘di Sandan e Sandran, Ercole. Se- condo Movers ( Die Phemicier I. 34041, e 479 ), I Ercole Tirio era qualificato Asar-Adan per Alsar- Adon, che risponde all &vxg rvpos: e il nome Asar è Persiano , servendosene anche attualmente. quel po- polo per dinotare il Dio-fuoco-Marte 3 e ne sarem più paghi, laddove leggasi il Guigniaut ( Not. @ la Sym- bol. liv. Il p. 703-704 ), ove dicesi che Ormuzd, Nume Persiano, che appellavasi Creator della Luce, fece gli Amschaspands . e gl {zeds incaricati di vegliare su tutto il creato. Ora i 28 /zeds,, di cui Plutarco non conobbe che soli 24 , restringendoli a questi che con gli Amschasspands , presicdono ‘ai, giorn‘. del mese e fra essi il lodato Guigniaut novera, Ader 0 Aser, quello (86) Hesvch. v. A. pura del fuoco , donde Aderbidjan , la casa del fuoco. A- sar, è il sacro fuoco delle pire, del pari che le pire dedicate ai sette Pianeti, come si ha da Hyde ( Relig. des Pers. G. I; II. XXIX; Goerres Mythen- geschichte 289 ). Esprime eziandio la Dea-fuoco-femmi- na, l'ignis femina di Firmico , e detta da Strabone (lib. XVI. T44.) "Agape oltre le varianti di Zdpa , Zapfinis Zapiva Zerprin Zupuvora; e il nome di Zagriris è fornito da Esichio a tal v., come quello di biana Persica. Zerina è il nome della famosa regina de’ Saci , il cui mito ( Diod. Sicul. II. 847) ha più di un rapporto con Semiramide, e va sul medesimo si- stema di credenze religiose. Quello di Zetprivn fornito da Esichio mentovato, come quello di Afrodite ado- rata in Macedonia, è la stessa Znpéy0 nominata nella Cassandra di Licofrone (v. 449.) con l'aggiunto di Morphe , che richiamava al fuoco femina, alla Mitra Urania di Erodoto (1. 134. ). Il nome adunque di Asar, o Atzor offre nell’ Assiro linguaggio la combi- nazione di Asaradon, V Ercole Fenicio , facilmente commutabile in Asardan, e per soppressione egual- mente dell’iniziale A, facile nelle lingue Orientali , riducibile a Sardan. che esprimerebbe la qualità del Dio-Fuoco , &vat evpòs di Nonno. Or bene, se sunuun , 0 Sardan equivalgano ad Ercole, mi è certamente conceduto, che il secondo radicale di Adet&ydpos, cioè Sando Sandran esprima una stessa cosa coi nuto solare, che riconosco nell’ Ales- sandro del Bassorilievo Pompejano. La qual congettura trae più forza , dal vedere, che Afrodite nella signi- — 255 — ficanza di sopra cennata, era adorata dai Macedoni , come Arele l’istesso che Ercole, e questo lo sfesso che Marte presso i medesimi ( Hesych. a t. v. ), come si ha pure da Macrobio ( Saturnal. IMI. 12. ), quia is Deus Hercules et apud Pontifices idem qui et Mars hahe- tur , per lo che ne venne il greco proverbio "AAXos oùtos “HpanAfis Laonde va a natural conseguenza, che come di £rcole serbavasi l'antico culto in Grecia, per ciò il fuoco , le pire, le stele, le colonne, e mille altri segni solari, del pari che presso le altre nazioni; così in Macedonia col nome di Alessandro. personificavansi, continuandosene la memoria; e il carro di Ales- sandro, e la pira innalzata ad Efestione furono co- strutte , seguendo un rito comune in Oriente ed in Grecia. Fu il modo da consacrare chi avea desiderata la Divinità, non solo per se , ma per l' Amico ; nel quale divisamento Alessandro per Efestione, ei suoi successori , e specialmente Tolomeo per esso, ebbero in mira di divi- nizzare chi Diogene avea dichiarato Nume Solare, e Supero, al quale ben si addiceva il sistema‘ della Pira, simbolo della Ns della beneficenza, e del risorgimento. Il nome di Diogene qui mi ricorda il dovere di espletare la promessa di favellare del suo incontro con Alessandro; ma pria di farlo sarà, spero, util cosa pre- mettere alcune idee intorno all’ allontanamento di Dia- na dal Tempio di Efeso, ed alcune altre sul culto Cabirico in conferma di quanto ho espresso. Soventi volte ho discorso del culto Solare in Mace- donia, e di esso; in cui furono iniziati Filippo ed — 256 — Olimpia Madre di Alessandro ; ma ivi come in tutta Ja Grecia non era men caro il culto Lunare. Abbiam cennato I incendio del Tempio sudetto di Efeso al tempo del nascimento di Alessandro. Questo fatto me- rita nella ragione mitica che io tratto del grande Ma- cedoné qualche sviluppo , per quanto è a me dato. Nella dottrina cabirica era regnante il principio orien> tale del dualismo, cioè del principio solare e lunare, maschio e femina , VAxieros, Axiokersa, ‘contem- perato da un terzo principio 'Axiokersos; era cele- bre l'uovo di Leda, con che il sistema astrifero de’ due emisferi rappresentati da due semisferi , che fu- rono in seguito simboleggiati, come poco innanzi ho toc- cato, dai berretti dei Dioscuri; e famoso pure l'uovo ca- duto dalla Luna e fecondato da Leda, o come altri vo- gliono da Elena. Il fatto di Olimpia pel Giove mutato in serpente, e pel fuoco apparso alla stessa , trova esplica- mento nel fuoco principio produttore di tutto , nell’Efe- sto-Vulcano del culto Cabirico-Samotracio. E il culto Lunare in Macedonia trova pure esplicamento con l’au- torità di Cicerone su l'incendio del Tempio di Diana Efesina (87). Imperocchè questa divinità. Lunare è il principio materiale , che debb' esser fecondato , e che spiega la dottrina cabirica dell’ elemento femineo nella persona allegorica di Elena fecondatrice dell’ uovo so- (87) « Concinneque , ut multa Timaeus: qui quum in histo- » ria dixisset qua die natus est Alexander, eadem Dianae Ephesiae >» templum de flagravisse, adiunxit, minime id esse mirandum, quod » Diana, quum in partu Olympiadis adesse voluisset , abfuisset » domo. » 3 “ (S] — 257 — prammentovato , il che rannodasi , secondo il Creuzer;. alla favola di Canobo, il quale non era che lo stes-. so Serapide-Giove; e già nel parallelo ne abbiam di- scorso. Ora l'allontanamento di Diana (88) dal suo Tem- pio , (89) ossia del principio lunare, per assistere alla nascita di Alessandro, preludia la divinità solare del me- desimo. Imperocchè presso gli Egizî alla cui religione convien ricorrere , come al culto Persico per avere degli esplicamenti su questo fafto importantissimo , e tutto mitico dell’ intervento di Diana Efesina, che si riannoda al Mitro-Mitra, una sola Dea con Anaitis (90), il genio fenina che presiede all'amore, la Persica Diana, troviamo il Cabirismo. Di Egitto eran partiti i misteri Cabirici, cui questo ricongiungesi, e presso di essi dice Guigniaut (94), alcun poco tempo innanzi la nuova Luna di Phamenoht (Marzo), essi solennizzavano l’entrata d'0- (88) Guigniaut op. cit. pag. 731. (89) Viene in acconcio quel che dice il Salmasio , Exercitat. Plinian. vol. II. p. 813, intorno al Tempio di Diana in Efeso, andato in fiamme al nascer d' Alessandro , perchè vi traluce la costui divinità. Il medesimo Tempio fu cominciato a riedificarsi, secondo. alcuni, quando l’ Eroe passò in Asia ; eccone le parole » Profecto id ex eo ( Plinio ) colligitur , quod Ephesiis promi- » sisse fertur, jam factos sumptus in templi fabricam se refu- » surum , et qui restabant faciendi de suo facturum, ea condi- tioge, utipsius nomen operi inscriberent. Hoc illi recusarunt, » Laudant veteres dictum civis Ephesini , cum id Alexander po- » stularet, non esse conveniens ac decorum , ut Deus Deo ali- » quid dedicet. Post victorias Alexandri, et quum iam Deum sese » dici haberique vellet, id apparet contigisse, » (90) Guigniaut p. 731. (91) Idem p. 802. (o) “ — 258 — siride cioè il Sole, nella Luna (92) , ossia il congiungi- mento dei due principii maschio e femina alludeva ad un sistema astronomico, ‘al quale siamo noi ricondotti col parto di Olimpia. Il fuoco veduto da questa risolvesi nel principio solare, nel calore fecondante, che ha generato in Olimpia una nuova solare progenie di Giove, un novello Dioniso, un’ altro Ercole; Alessandro, terza generazione di Giove-Sole , siccome viene espresso in Zannotti , nella citata opera. Invero che cosa simboleggia quel fuoco fatuo veduto da Olimpia, se non il fuoco fatuo de’ Cabiri ? Che cosa è l espressione , di cui Cicerone ( De Divinat. lib. I. c. XXIII. ) usa circa lo spavento. de’ magi al sorger di una nuova luce , ubi lucere coe- pisset, se non il nuovo Sole, ? Oro degli Egiziani ? Non abbiam noi visto tal nume nato di Osiride , ed Iside ; il Sole, e la Luna? Ecco l arcano della cabi- rica dottrina, non manca in Macedonia , che troppo vicina alla Samotracia , non poteva essere esente dalla sua influenza. Ma più classico, e più atto a spander luce. sulla mia opinione, vale il Dialogo fra Diogene ed Alessan- dro. Non ne ha defraudati Diogene Laerzio di que- (92) Diana, o la Luna, figurava la Notte, o la Notrra . per lo che da molti è stata appellata afoAn così da Sofoci al'oAn vv Trachin. 93. Il più santo significato, vice Creuzer Dionys, db, sic- chè in una iscrizione presso il Boissard, Topograf. Rom. part. IV. tab. 116, di Diana Efesia è scritto | EYYzI® TITANAIOA0®& TIANT. MHT, » — 259 — sto tratto sì carafteristico della vita di Alessandro, il quale ha richiamato tutta l’attenzione del dottissimo Creu- zer nell'opera già cennata ( Dionys. ). Questo mede- simo tratto rilevantissimo del Laerzio ci fa conciliare il Iannelli pel dramma dell’ espresso. anaglifo , nella cui interpretazione il patrio Scrittore, come si è visto, ha accordato al Macedone il titolo di Duhlkarnen, di Neo-Bacco ; e quindi d’ incarnazione del Supero Dio, dell’ Ammone degli Egizi, che per gli Alessandrini era il Giove Serapide , del quale varie: cose , nella mia pochezza, ho riandate nel Parallelo. i Ma odasi il Creuzer : (93) Ut enim credam , egli dice, huné Deum, quem Serapidis nomine colebant , antiquitus hydriae formam sive nudam, sive impo- sito capite humano, habuisse, Diogenes Laertius fa- cit loco memorabili , quem quoniam nemo adhue re- cte ‘explicuit , subiiciam. Ita enim: ille in. Vita Dio- genis Sinopensis ( VI. 63 coll. $ 23): Athemiensibus Alexandrum Dionysum decernentibus , et me, inquit.( Diogenes, ) Serapin facite. Le più accurate ricerche nella stretta cerchia delle mie conoscenze ho io fatte, come ho detto nel parallelo, intorno a Serapide, quale Diogene voleva esser riputato; e se non m'inganno, parmi aver mostrato la sua identità con Giove, e con altre supreme Divinità eterodosse; ed ora l’incontro di Alessandro con Diogene (94) ci dà campo a guardarlo da uno de’ suoi (93) Dionys. p. 191. (94) Winckelman, come si ha dalle sue Opere, scriveva, che gli Arlisti aveano preso giustamente Alessandro per loro Eroe; aver assimilata l'istoria di lui a quella degli Dei e degli Eroi, faccne O) I » — 260 — lati poligonali } cioè qual Giove ‘infero; come l’abbiam visto pure con Vl autorità di Aristide:( op. cit. 1. c. ); e veggo con piacere aggiungervisi ancor quella del no- minato Creuzer, che simigliantemente si appone; men- tre, come seguiremo a vedere col detto serittore, di- chiara, sulle tracce del Laerzio , Alessandro Dioniso , o il Sole, in conferma di quanto abbiamo esposto , rie- pilogando 1 interpretazione della R. coppa Borbonica del Iannelli. Ma seguiamo Je opportune osservazioni del Creuzer, per vedere come il dotto Mitologo svolga tutto un mito solare, non solo; ma l’idea sublime che s'in- chiude in detto incontro , in rapporto al sistema teologi- co filosofico, e alle benefiche vedute del Macedone. E tanta ne fu l’importanza, che un monumento pregevolissimo presso il Winckelmann descritto, ci è rimasto a rimem- branza di sì straordinario fatto, narrato pur da Plutarco, da Arriano, e da altri. Ma odasi ancora il Creuzer. Hoc ‘in loco , così segue, si quis de Sinope, Dio- done l’obbietto delle loro rappresentazioni ; ed essere stato lui solo e privilegiatamente effiggiato su’ bassorilievi. La storia istes- sa di quest uomo maraviglioso rinchiudere il principio del pri- vilegio , essendo in certo modo poetica, ed io direi mitica in alcune circostanze , la quale non interessava meno d'Achille , e del gi- rovago Ulisse. Malgrado ciò, dice lo stesso Winckelmann, ( Ist. dell'Art, T. IT. p. 303 eseg. non si ha di lui. che il Bassori- lievo dell'incontro di Alessandro con Diogene Cinico, pubblicato ne' monumenti inediti. Ma ora vi sono altri importanti monu- menti ; tra’ quali il bassorilievo della battaglià di A;bca) è questo che ha eccitato la comune attenzione , ed il mio studio, per non dir nulla dal celebre musaico di Pompei, sul quale tante opi- nioni furono avanzate. i — 261 — gemis patria cogilet, quo respexerit philosophus, cum co non contenderim, modo ne credat idem hac expli- calione rem confectana esse (93). Quo enim ejus ici vis penttus sentiatur:, non solum necesse est reputes fastum Rogi qui. se Ammonis: fillum o vdluedit haberi; qualis etiam esse ferebatur Bacchus, teneasque il lud quod Atovisov instar victricem pompam per terras ducebat Alexander. verum etiam cogitandus est ipse philosophus, tòv Ev té perpoo nio guy ointav . Fii:g> tibi enim Diogenem ; qualem-cetus anagliyphuun extibet dolio insidentem, solo prominente superiore parte corporis ; adde canem , qui ‘in hoe ipso anaglypho additur, et habebis Serapidem prisca forma, hoc est ollari eaque, quae Canobi nomine venit. Ila que mihil aliud intellivi co dicterio voluit philosophus, misi hoc : se esse Atovvsoy Y36vtor ( noi abbiamo visto nel parallelo il Bacco infero , il Dite Padre , il Giove Infero , il Serapide Infero . è tutti identi- ci), quando Alerander perhibeatur Afoyvsos Superus atque adeo , cum hic terraruin orbom oleat, regat- | que , tamquam Bacchus victor et ®pizuBos se ipsum inferis praeesse ( cujus rei olla insigne erat; ) ( Altrove ho manifestate alcune altre idee sulla bellezza del mo- numento , e ‘sula sua allusione nel vedersi Alessandro in grande abbigliamento , e nella maestà del suo ca- raltere , cui simboleggia lanaglifo , e la qualità de- siderata da due grandi in diversa sfera ) ; igiturque (95) Vedi su questo parlicolare Visconti Mus. P. CI. Tom. 2 p. 29, 30 Milan. Fr — 262—. universum orbem inter utrumque ex aequo esse distri- butum ( sive, in nota, quando Alexander sicut Sol su- perus, orbem lumine suo collustret : se tanquam in- ferum, loca infera lustrare, vide Diogen. 1.1. $ 64. mar Yip è fidtos eis tés dromares , dl & piaiverar Bacchus enim est sol cum aestwus , tum hibernus ex fabularum ratione , quod infra apparebit ), atque ita hic locus haud ambiguo argumento est obtinuisse etiam apud Graecos memoriam priscae formae ejus Dei, quem iidem cultiore forma exhibitum Serapidis nomine ap- pellabant ; la qual cosa intorno al miglioramento del simulacro di Serapide , l’abbiam ‘toccato nel parallelo. Pago di aver potuto addurre I opinione del Mitolo-. go Scrittore Tedesco intorno all’ incontro di Alessan- dro, e Diogene, dal quale si è potuto conoscere come in esso Alessandro appaja evidentemente il Dio-So- le; (96) posso d'altronde seguitare a vederne la perso- nificazione per le Coppe. Il vaso. mistico dato a Dschemschid, ad Alessandro ed altri, del quale ho cennato altrove, va per le boc- che di molti. È a risapersi (97), che sotto il Regno di Dschemschid , l Iran giunse al più alto grado di sua gloria. Egli è l' Eroe delle tradizioni e de canti popolari presso i Persiani, come Salomone presso gli Ebrei ; ed Alessandro presso i Greci. Egli è I anno Solare, val dire, che dopo tal epoca l Iran conobbe (96) Sarebbe lunga cosa tessere tutte le autorità intorno al Dioniso qual Sole. Il lungo catalogo di Scrittori su tal credenza me ne fa dispensalo. (97) Creuzer Relig. de l'antiquit.ete.lib.IL.p 511.12, Paris 1825, sous; DER ina questa forma di anno. Al che può aggiungersi quanto. osserva il detto annotatore Guigniaut , il quale dice : » questo Eroe ( Dschemschid ) (98) portò da prima il nome Dschem, cui si aggiunse Schid , che vuol dire Sole, a causa della sua bellezza. Egli fondò Esta- kar , e scavandosi le fondamenta di questa famosa Città , trovò il vaso maraviglioso chiamato Dschem , riempito di liquore prezioso, e ch'è alla sua volta lo specchio del mondo , lo specchio magico , e il vaso della salute: Or questo vaso mistico, siegue Guigniaut, è dato non solo a Dschemschid , ma a Giuseppe, & Salomone , a Bacco, ad Ermete, ad Alessandro ( da- gli Orientali ). E senza dubbio, dice Creuzer ( Dionys. p. 62.et sequ. ), fa d’uopo cercarne Y origine nel- l'antica Religione del Bacco Indiano. Ora dall’ anno- tazione del Guigniaut, vedesi come abbia egli ravvici= nato Alessandro e Bacco, ossia il culto diomisiaco , (98) Goerres fa di Dsechemschia un Eroe mitico, v. not. 2. alle note di Guigniaut al II. Lib. della Simbolica p. 679, e non men mitico l’ assieme de’ popoli, cioè Assiri, Medi, e Persi, che vuol discesi dal Caucaso, formando la grande Monarchia dell’ I- ran; dal che si disgiunge Rode. Infine può conchiudersi , che fosse stato capo degli Eroi, e il paese abitato da lui, e da’ suoi Eroico, da ciò Aria, o Ariana. E secondo le idee che leggonsi nel luogo citato, Dschemschid rappresenta i Semiti, la primitiva mo- narchia d'Iran; e Zohak, Nemrod Cuscita, il Nino, o Sesostri dei Greci. Quindi le due grandi divisioni dell’ Iran, e del Turan. E da Dschemschid, Perseo. Ora Dschemschid semitico, il cuî culto più puro, e appartenente al Sabeismo, era sempre in op- posizione col politeismo , dovè mostrarcisi nella storia e ne’ mo- numenti co'simbolici segni solari, cui appartiene il vaso in parola. — 264 — perchè Bacco era considerato ben spesso qual Sole (99), e noi labbiam visto qui sopra nel lodato Creuzer nel suo Zioniso. | Pa Questi ci fornisce nel. medesimo altre. memorie per Alessandro ; e per la sua Coppa; il cui valor solare nella. significanza simbolica di tale: oggetto andremo discettando. Eccone le parole: (100) « Ex-hoc autem »' fonte ad orientales homines manasse videtur illa fa- » ma de poculo vel potius poculis Alexandri mirificis, in qua ornanda poetarum ingenia et ipsa mirifice lu- » serunt. Quam rem egregie illustrat Ferdussii nobilis- ». simi Persarum poetae insignis locus e Schahnah- ». meh, insertus Chrestomathiae Persicae Wilkenii » nostri ( pag. 199 ) » Quum Alexander pervenisset in », palatium suum gyrantes exierunt Graeci locis suis, ». et laeti non viderunt noctem regis ( viderunt autem ) » quatuor pocula. Gyrantibus ita locutus est ( Ale- » xander ): salvi estote, laetamini hoc fausto omi- ». ne nostro, hic enim scyphus in pugna est salus no- » stra, princeps siderum est in potestate nostra ». In una nota poco innanzi ho mostrato l opinione intorno ai Persiani, e sul sabeismo de’ soggetti a Pschemschid. Ora così prosiegue il Creuzer : « En disputationem » nostram eo reductam, unde profecta est, en et hic » poculi illius astrologici mysticique manifesta vesti- » gia!... Certius apud unumquemque constet uni- (99) Quaranta Vaso Greco del Real Museo. Borbonico , rap- presentante. Bacco, Avellino Opusc. ed altri molti scrittori. (100) Dionys p. 62. — 265 — » versa ratio illius. poculi mystici veterum populorim, » quod idem Salomonis, Bacchi, Dschemi, Hermetis, » Iosephi, Alexandri, tamquam Summorum , sive » deorum sive heroum, nunc poculum, nunc globus, » nunc speculum, nunc pharus dicatur ». Dopo di che l Autore passa a far conoscere del vaso come mon diale simbolo , pertinente a Bacco, o Libero-Padre } che a ribocco è considerato l’istesso che il Sole. Anche il Boettiger versando su lo stesso oggetto, ha scritto (104): Supersunt adhue in anaglyphis et gemmis caclatae Herculis cum Scypho figurae, id quod docuit cliam Tristanus ( Comment. Hist. Tom. II. p. 614). Hine inelytus in primis posterioribus Herculaneus sey- phus in historia ultimi illius Alexandri convivii, in quo cum Proteas hunec scyphum ‘illi propinasset ete. Denique hue etiam pertinet mythus ex ultima antiqui- tate petitus de Hercule , seypho @ sole sibi dato in Erytian traviciente , de quo multi multa. Da siffatto testimone è bellamente dedotta la qualità solare di Ales= sandro per la sua coppa: Ma se svolgasi tutto quanto il libro XI. ed anehe it X. di Ateneo, ne avremo distintissime pruove desunte dagli esempi raccolti da quell’antico collettore di usi, costumi e religioni. Ivi additate troveremo le grandi coppe quai segni, non di vinosità, non di ubbriachezza, ma di simboli Dionisiaci, di libazioni eroiche; e di rivelazioni di culto so+ lare per soggetti cui alludono tali svariati, e preziosi vasi. (101) Qpucs. pag. 36 not., esplicat. loc. Virgil. Aeneid, VIII. 208, 303, Dresdae 1837 Sillig. — 266 — Così pure vi troveremo memoria di certami eroici , 0 per costume di banchetti e feste dionisiache; 0 per onori ai Defunti, quale ne venne ordinato uno da Alessandro per Calano volontariamente salito su di una pira per ar- dervi , tutto simbolo di culto del fuoco , e della quale intelligenza ho discorso. E per ultimo, non era in sif- fatti vasi che .vedeansi effigiate le più sublimi idee di religione, e i più grandi fatti degli Eroi? Ce ne fornisce documento ultimo fra i tanti la spiegazione della Coppa Sassanide di Adriano Longpérier (102) piena di emblemi solari ; e lo stesso ( p. 48 ) fa menzione di due coppe bellissime acquistate dal Dottor Lord a Ba- dakhschan nelle Indie, una delle quali rappresentando un Re a cavallo ferendo un lione abbattuto , ci offre molta analogia con una medaglia d’Alessandro Macedone in simigliante atteggiamento. È rimarchevole , che i Mirs di Badakhschan pretendevano discendere da Ales- sandro il grande. Nell’altra coppa eravi un Bacco con sim- boli allusivi, a quel che ne avea detto il Dottor Lord, al quale pensamento non conveniva volentieri il Longpé- rier , riconoscendovi de’ Sassanidi. Ma o l’uno o l’altro vero , nel secondo caso per le idee del detto illustra- tore., le più ample pruove solari si avrebbero per li simboli che fregiano le due coppe. In fine dopo quanto sonmi sforzato addurre per do- cumentare la qualità solare di Alessandro a cavallo al Bucefalo , parmi sia inutile dire del suo celebrè cane nomato Perita, che merita d’essere ravvicinato al cane (102) Explicat. d' une Coupe Sassanide. Paris 1844. Didot. i Md di Diogene, di cui ha detto il Creuzer; al nome d’ Iside appellata Cane dai Greci ( Plut. de Isid. et Osir. ) Ist dem vocari a Graecis canem : or secondo il ch. Cave- doni (103) il cane richiama al mito Lunare ed astrifero, e mi ricorda Nicea consacrata da Alessandro al cane; sic- chè allungar più il discorso sulla natura del mito del bas- sorilievo dichiarata solare pel Cavaliere, non parmi neces- sario. Sarei fortunato se dopo essermi incontrato col parere del grande Cav. Avellino, che nella sua Memoria sul Bas- sorilievo Pompeiano ha creduto rinvenire anche egli Ales- sandro che doma il Bucefalo ( Dilucidazione d'un antico bassor. di Pomp. Napoli 1830 ), potessi vedere accolta l'altra mia opinione in riguardo al mito solare che io vi ravviso, (103) Bullet. Archeolog, Roman. fasc. I. pag. 12 1850. 34 CAPITOLO IL. IL BUCEFALO CONCORRE A DICHIARAR SOLARE IL MITO D' ALESSANDRO ? In fine della prima parte ho toccato di passaggio il luogo importantissimo di Arriano, che parlando del Bu- cefalo, dicevalo insignito di una nota , ossia di una’ specie di Ducranio onpetov de oî riv Bods negaAn il qual luogo, parmi, sia stato fin qui poco atteso. Credo che lad- dove si fosse messo in rapporto colla religione Greco- Egizia , la nota speciosa del Bucefalo avrebbene avuta più chiara spiegazione ; e luce non dubbia ‘ sarebbesi vista nello scrittore il più accurato delle gesta d’Ales- sandro. I commenti del Creuzer ad Erodoto, non che le ideo generiche del culto del bue Api, di Busiri presso gli Egizii , il rispetto de’ Pelasgi pel Bue , sotto le cui forme questi popoli han simboleggiato le colonizzazioni , i trasmigramenti , il commercio , la civiltà , mi han dato lume per isvincolarmi da un nodo ben forte, del pari che le ravvicinanze de’ miti misti di Orientale e di El- fenico, in cui tanto figura il cavallo ; e Perseo singo- larmente, significante Cavaliere (104), capo della casa degli Achemenidi , vincitore della Chimera. E tantopiù mi è parso difficile il distrigarmi da’ dubbii , non ve- dendo modo a dar conto neanche a me medesimo di (104) Longpérier Opusc. Cit. p. 13. — 2609 quel segno 0 immagine, di cui dice Arriano. Ancorchè non possa quel segno vedersi nel cavallo del. nostro bas- sorilievo , pur tuttavolta la dicitura è chiarissima nello addotto storico; e in altri, nè puossi attribuire che ad uno scopo mitico il lor racconto ; ‘senza attendere ad altre ragioni, ind in tal segno parmi racchiuso lo scioglimento del mitico problema. dell’azione di Alessandro tali domare il Bucefalo ; nella, quale. azione assume il carattere di rigeneratore, di riparatore, di distruttore dHa barba- rie, carattere di novello Bacco ; di altro Ercole, qual nuovo Dioniso come abbiam. visto col Tannelli , e col Creuzer. Ma. appunto dalla nota. specifica di cui.è di- scorso ; dobbiam partire per le nostre. ravvicinanze, e riportarci ai miti del Bue Api, e di Busiri. ‘Non voglia intanto contradirsi al confronto, al quale io sono intento , perchè da Erodoto parlisi di Bue , Toro ; etc. ; mentre il nostro monumento ci presenta Y immagine d'un cavallo : perciocchè il mito è foggiato in Grecia : la patria del personaggio è la + Anni ove il cavallo fu in gran credito, e sculto nelle aiuta medaglie e tipo antichissimo di quelle della Tracia e della stessa Macedonia ; il cavallo si disse tratto dalla Tessa- glia, che n° era ricchissima ; e per ultimo Ercole , Per- sco, i Dioscuri sono domatori de’ cavalli. Laonde gli Artisti Greci foggiando .un. mito, mentre erano in grane relazione religiosa con Egitto, vestirono dell’ abito na- zionale Greco quel che racchiudeva un senso Egizio-0- rientale, senza che perdesse la siguificanza e il valore di un azione Greca. — 270 — Certamente adunque l'Iconografo Greco , presentendo fa grandezza del soggetto milico , avrà, direi, incar- nato nel dramma del Bassorilievo tutta una credenza, che ritraevasi alle fonti primitive ed originali della Teo- crazia Egizia, alla quale può aggiungersi l Assira e Persiana. Pereiocchè i Greci non fecero che copiare te loro istituzioni, dopo che ebbero tratta dalla Persia e dall'Egitto la sapienza teurgica, ed il sapere, in- gentilendolo. Qual meraviglia admque, se il linguaggio mitico de’ Geroglifici e la simbologia orientale vedasi trasportata sul suolo Greco, quando vediamo viaggi , escursioni, mifici personaggi valicare i mari, ed im- melter genti e culti nella Grecia ? Dove più la mara- viglia, quando vediamo la dualità Persiana, Egizia ; Indiana , indi trasformata in trimurti , contemperandosi i due principî del bene e del male, per: via di ua ente riparatore , e penetrare nel suolo Greco? E però la trimurti Indiana composta'di Brama, Siva, e Visnù; lEgizia d’Iside, Osiride ed Oro ; quella de’ Persiani di Ormuz, Ariman e Mitra. È siccome il principio ri- paratore si crede provenire dal Nume Creante , così ebbero derivanza Visnù-Crisna; Oro-Ammone ; Sem- Ercole; Mitro-Mitras ; Apollo-Tor; ed in Grecia siffatto sistema racchiuso ne’ profondi misteri Cabirici , in cui il Diomiso Demiurgo rispondente all’'Ammone Egizio , ch'era il Dio Supremo che manifestavasi all'uomo , e rendevasi visibile per le sue opere, sicchè la poten- za fecondante fu simboleggiata col sesso maschile, e la produttrice col femineo, da cui l'emblema del Lan- gam, del fallo degl’Zoni, della Cteis, del Cane, del Leone — 271 — del Toro, della Vacca. E poichè gli elementi della na- tura offrivano l’immagine della potenza creatrice , così adorandosi i fenomeni , vennero questi simboleggiati e personificati gli attributi e la forza. Così gli Egizii ado- ravano il Sole, come immagine del Dio Supremo , e la Luna ; così i Persiani, e i Greci stessi sotto varì no- mi e forme. Ora il bisogno di esprimere l’idea della riparazione suggerì incarnazioni e simboli ; così gli Dei riparatori furono simboleggiati quasi sempre dal Toro , dal Bue, o Vacca; così il Bue Api in Egitto , il Toro Dioni- siaco in Grecia : in Persia Mitra col Toro, Visnù in una delle sue incarnazioni va sotto forma di Toro. E questo simbolo costante dell’epifania degli dei avvicen- darsi ed entrare in tutte le composizioni mitiche in ogni momento; e con-mirabile parallelismo va considerato il cavallo in Persia con Perseo, in Egitto con Sera- pide,.(105) e nell'India egualmente, e in Grecia con tutti 1 miti. Ma siccome gli uomini amano innalzarsi a di- vinità per boria, per gloria e per principî, così gli Eroi divinizzati ebbero per lo più a compagno questi animali , che viaggiano con l’agricoltura , col commercio con la civiltà ; e dovunque scorrono , vi lasciano l'im- pronta di questi gradi di umanità migliorata , di sper- duta ‘barbarie. Ma la principal credenza del Supremo Nume venne adombrata col Sole, ecco dovunque un ricordare il culto solare, il Dio buono, sicchè Bacco il (105) Si ha dal Guigniaut notizia di Serapide col cavallo Not. du liv. III. me p. 891. — 272 — Sole, Dioniso, Osiride, Serapide; Iside, Ercole, Perseo viaggiano e con.essi son compagni il Bue, e il Cavallo. L'Iconografo dunque volendo, che Alessandro non fosse dammeno degli Eroi citati, e sapendo come con essi gareggiava, facevasi a concepire il dramma a noi sottoposto. Ora egli avea bisogno di consacrare i due principi del Dio buono e riparatore e distruttore della barbarie, e stampare nel monumento quel ch'era stato desiderio del grande, e la ricordanza de’ suoi Biografi con la storia del Bucefalo, e però diedegli i caratteri solari e Dionisiaci , assegnandogli convenienti attributi , ponendolo a cavallo ad un animale che fassene pur sim- bolo. 3 ì Ma dall’Iconografo potè farsi fino ad un certo punto in riguardo al cavallo Bucefalo ; dovendo. noi quanto d’invisibile è a supporsi in esso ritrovarlo nella descri- zione de’ secondi. E la nota speciosa del Bucranio, sebben non è apparente nel Bucefalo del nostro Bassorilie- vo, Si ritrova ne medesimi scrittori delle cose d’Ales- sandro; e per questa nota va ravvicinato ed assimilato al Bue-Api d'Egitto, e ad Europa figlia di Agenore, come si ha per questa da Ellanico (4106), e da Igino (107). Intorno al primo troviamo inassima luce in quel che abbiamo veduto nel Creuzer, ove Osîride effigiato venne col Bue, e rinserrato nel suo corpo, perciò Bovs Ogipts (106) Ze/lanicus Boeotica, 8 pag. 46 Fragm., Didot. Cfr. Apol. lod. Biblioth. III. 4. 1. (107) Cadmus cum erraret, Delphos venit, ibi responsum accepit, uit a pastoribus bovem emeret, qui lunae signum in latere ha- beret, eumque ante se ageret, /00. 178. — 2973 — Ora esaminando l'etimologia con Osiride’, 0 meglio con Serapide ; perchè da Bov-xe9aA0s abbiamo un animale dalla festa grossa ; 0 come vogliono molti con marchio alla groppa , 0 ‘alla spalla a forma di testa di Bue. Ma Arriano dicendo, che il marchio del Bucefalo a forma di Bucranio fosse in testa, da tal narrazione scuopresi l’a- nalogia con lo bue Api, e col Busiritico mito ; appunto perchè in Api riscontreremo e il fonte del mito, e il medesimo segno nella sua testa , come in quella del Bu- cefalo. Ora se Osiride , è identico a Serapide , ed Iside nella natura teologico-pagana ; se Osiride è il Dio Su- pero, e Serapide lo Ctonio in alcune circostanze, e ‘sotto diversi simboli ; ed Osiride l’istesso che Bacco , 0'Dio- niso , 0 il Sole ; il trovare conformità tra i simboli solarì e lunari di Osiride, e d’Iside di natura astrifera e su- pera , in Alessandro ; e i ctonii, o di Bacco infero, 0 di Serapide nel Bue Api, e nel Bucefalo ; sarà il miglior ar- gomento per convenire , che siccome Ercole immagine di Dio-Sole si scagliò contro Busiride , ossia il principio malo , immolandolo all’ altare del sommo Nume ; così Alessandro domando il Bucefalo feroce, figura la ripetuta 3.* incarnazione di (riove-Sole , 0 Animone ; l'istesso che Osiride, che abbatte la barbarie , e i mali. Ecco perchè Plutarco, Attiano ; ‘Curzio , Gellio ; Strabone ;: Sotino 4 Valerio , Diodoro , lo Pscudo Callistene , ‘ed''altri- Serits tori sì Greci che Lalini dicon tutti il Bucefalo feroce, terribile, indoinabile, e dall'ultimo è nomato @ntropo- fago ; i quali caratteri furongli assegnati non senza ra- gione, nè senza un mitico fine ; chè senza una ragione milica non sono ricordati i cavalli di Diomede ,. che — 274 — cibavansi di carne umana, e per li quali rivassi ad Ercole figura di soccorritore. dell'umanità ; dal quale fu- rono uccisi. Oltre che il pasto di umane carni at- tribuito ai medesimi addita., e ricorda le imbandigio- ni di Carne a larga mano risparse nelle mense. del Sole (108) , onde i cavalli di Diomede noti ormai trop- po ; a parere de’ mitologi, come simboli solari, tanto più che congiunti co’ miti iolori di Ercole , con Diomede istesso simbolo di sole , e del quale avrò a ricordare al- tre cose in fatto di tal culto ; non sarebbe nuovo il mito solare nella narrazione del Bucefalo mangiator di umana carne. Ma le nostre osservazioni sul medesimo debbono rag- girarsi molto su la nota suddetta significantissima ; pe- rocchè sembra importantissimo e classico il luogo di Erodoto sul Bue Api sul quale bellissimi rischiarimenti ha fatti il ripetuto Creuzer ne suoi commenti allo Sto- rico il più vecchio dell’ eterodossia. Narra egli que- sto veggente ed oculato Scrittore (109) sul bue sudet- to; sì celebrato nella Egizia credenza quanto siegue , che credo esser d’ uopo vada interamente trascritto "Ode Arts otros, d'Eragos, yiverar posyos én Bods frts ovueti oUseti oln te viverat. sis yaotipa dAi BaXAeoZat yòyoy. Aiyurtior dì Aeyovor cedas ÉnÌ tiv Boîy é1 toù ovpa- voù nattoyew, no'uiv Én toùtov turew tòv "Aniy"Eyeir de ò posyos outros, d'Amis uadeouevos, onpurta todde emy pilos, Eni per TE petra Aevnoy terpoyovoy qopesi int (108) Creuzer Dionys. pag. 42 ; Herod, III. 18. Pausan, At- tic. XXXIII. (109) IT. , 23, == u. 7. À., cioè: Codesto-Api, ossia Epafos è vitello che nasee di giovenca, la quale non è alta ad accogliere altra prole nell utero ; e gli Egizi dicono scendere sulla giovenca dal Cielo una folgore , ed ella da que- sta impregnata partorire Apis. Un tal vitello che Apis chiamano, ha questi segnali: essendo negro porta sulla fronte un quadrangolo bianco ete. (110). Così la figura che portava Api è detta quadrangolare dal traduttore ; ma nè il Gonte Caylus , nè Creuzer nella mentovata opera sopra Erodoto, nè Zoega in quella degli obeli- schi, l'hanno in tal modo intesa; e ben pure nelle dotte annotazioni a tal luogo di Erodoto ravvisiamo l' incer- tezza del traduttore medesimo ch. Mustoxidi ; ma pria di dire quello che nelle medesime si osserva , credò opportuno qui arrecare il pensamento dello: scrittore di Gottinga. Quum is ( Herodotus) , egli dice, in fronte Apidis locel Aevndy tetpayevov neque vero veterum seri- piorum quisquam cam. notam; agnoscat, amplexi sunt omnes fere interpretes conjecturam Cayli Comitis (Re- cueil d'antiquit:8, tom. I. p.43) Aevndy ri rpyovoy: Dopo di che arrecando l'autorità di Zoega ( de obel. p. 448 ), va citando il Rasche ( Lexie. V. N.; LL p. 930), e le gemme presso Stosch. Alla migliore intelligenza di Ero- doto, opino riprodurre le osservazioni del citato Conte Caylus, che commentando il luogo di Plutarco, osserva che la lezione di Erodoto debb’ essere intesa per Asvxoy (100) Z/erodot. TIT. c. 28 versione di A. Mustoridi p (25 Mi- fan. 1822. - SA | — BT te rpiyovov traendone la ragione; che desume dalla Teo- logia degli Egizi, dicendo « Plutarco (De /sid. et » Osir. c. 56. ) riferisce ch’ essi paragonavano la na- » tura divina ad un triangolo rettangolo , un lato del » quale rappresentava l' intelligenza , il’ secondo la »- materia, il terzo l'ordine risultante dal concorso del- » l'intelligenza colla materia. Essendo il Bue Api, se- » condo il sistema medesimo , il simbolo di Osiride , » e‘questi non essendo punto distinto da cotale intel- » ligenza, che avea secondato la materia e unitamente » con esso prodotto avea 1’ ordine ; nulla era più sem- » plice che riunire queste grandi idee nel bue Api, » e collocare sulla di lui fronte questo triangolo mi- » sterioso, anzichè una macchia quadrata, la cui forma » non ha alcun rapporto conosciuto co’ punti fondamen- » tali dell’ Egizia teologia. » Or questo cambiamento prodotto dal Caylus al luo- go di Erodoto, cioè di tt rpiyayoy di cui il Zoega ( de orig. et us. obelisc. sect. IV. c. 2. ) vorrebbe rite- nere la sola ultima voce, togliendo il 71, avendo potuto esso solo dar luogo a menda de’ copisti di Erodoto, è applaudito dall’annotatore dell’Erodoto voltato nella nostra favella nell'edizione di Milano ( p. 134 not. 154 ). L’an- notatore medesimo d’ Erodoto ( p. 135 ) duolsi che quando su questo segno misterioso il signor Daniele Francesconi avea già elaborata una Dissertazione su i segni frontali sul Dio Apî, non siasi determinato a met- terla a stampa somministrando solo una tavola desunta da un bronzo inedito del Museo Borgiano, rappresentante il — 277 — bove famoso il quale , tra gli altri simboli, ha la nota triangolare nella fronte (1414). Odasi ora la descrizione fatta da’ Arriano (112) del Bucefalo per quel che riguarda la nota in discorso « Nota ei ( Bucephalo ) insignita erat bovis ca- put, cujus etiam causa nomen ei Bucephalo indi- tum est : vel quod ut aliis placet quum ‘ipse migri coloris esset albam in capite notam haberet , bovis capiti perquam similem. AI che può aggiungersi Solino il quale (143) oltre il bucranio , disse che nel suo fronte , quaedam corniculorum protulerant. minae. Presso che le istesse cose furono ripetute dallo Pseu- do-Callistene Greco ; e nel latino ( p. 15) dicesi , cornicolato fronte terribilis. Nè son mancati di coloro, che han voluto generato il Bucefalo dal Toro mischiato con cavalla (114). Trasportandoei dopo siff'atti riscontri nel campo delle al- legorie e de simboli, quale accordo migliore potremmo ri- trovare fra Api e Bucefalo? Se aggiungasi la varietà del co- lore dell'uno, con la varietà di quello dell’altro, sembrerà udir parlare Erodoto del primo, come Arriano pel se- condo. Se Bucefalo rapportisi al principio femmina ; eccolo cormigero, come Iside, bovis cornibus insignem (111) Erodoto del Mustexili t. II. p.. 24 ; per la descrizione della fig. pag. 136 not. 54. (112) Lib. V. C. XIX. (113) Cap. 45. (114) Zannotti alla v. Bucefolia. I Bucentori eran metà ca- vallo, c metà toro. Ercole pugnò con un Bucentauro. !d. alla voce Bucentoro. — 278 — non minus quam Argivam illam To. ( Herodot. 1I. 41. Se rapportisi ad Osiride, che nel nostro mar- mo è figurato da Alessandro, ecco che appare questa divinità domatrice del Bove (115), come Alessandro domatore del Bucefalo , ed amendue armati di flagel- lo. Per Iside circa il flagello vi sono molti monumen- ti (V. le Tav. di Guigmiaut, e Description de l'E- gypte antique Vol. H. p. 27 e 359, cet v. 1. fol. 68 ). Ma a tali riscontri il campo mitico viepiù allar- gasi, e infinite, direi, sono le allegorie del Bue Api, noverando le quali, mi restringerò a quelle che hanno maggiore analogia col Bucefalo. ‘ Goulianofl' ( Part. II. p. 110 ) a la cui autorità sonmi sovente rivolto, quando di Egizie cose ho avuto a trattare, si avvisa, contro il parere di Tablonski, che ha creduto Erodoto poco esatto in parlando di Api, che questo non sia stato un semplice bove, ma una leggenda complicata d’ allegorie. Presso il mede- simo scrittore al luogo citato posson vedersi Je di lui ravvicinanze con lo scarabeo , che con l'autorità di Pli- nio il Naturalista , ritiene pel foro terrestre, e. qual simbolo demiurgico ; e credendo il toro , 0 bue co- me segno di principio ‘malo ; noi nel Bucefalo , che ha i caratteri e segni mistici di Api, ravviseremo questo stesso principio , il quale fu abbattuto, do- mato e vinto da Alessandro nell’ azione portentosa e milica, ch'è il soggetto delle nostre parole. E tanto più ne starem sicuri, in quanto che i ricordati cavalli di Dio- (115) Etymol, magnum p. 209, Syl. 6. — 279 — mede uccisi da Ercole, simboleggiavano nella mitica un simigliante principio, del pari che il Leone con quel- Y Eroe lottante, come appare negli innumeri monu- menti di lui pervenuti. Basterà inoltre per meglio addentrarci nel senso del mito , cui intendiamo , e a richiamare l’attenzione sul mito solare, leggere in Guigniaut ( Not. du Liv. HI. p. 904-905 ), che il grande anno Egiziano, formato dal periodo sotiaco di 1461 anno , moltiplicato per li 25 anni del periodo di Api, non cominciava che col regno del Sole. E ben ci giova quel che trovasi scritto nel luogo citato alla nota 4., e per li rapporti astronomici cui era ‘sì congiunta la religione Egi- zia, e per lo periodo di vita: di Api, che si riaccosta a quello del Bucefalo con lieve differenza, nel che ve- drassi, come .i simboli del Sole e della Luna, espressi in Iside ed Osiride ; sono reiterati in Alessandro, e nel Bucefalo, epperò questo trova analogia nel bue Api. Ecco intanto le espressioni di Guigniaut desunte da Gatterer, e adottate da Goerres ed altri. «È un vasto sistema, egli dice, di ciclo. astronomico , ‘in cui tutto dipende da Soti-Sirio , astro d’ Iside , vera regolatrice dell’anno e piccolo e grande. Gli Egizii credettero dapprima , che la luna facendo la sua rivoluzione to- tale in trecento e nove lunazioni e in novemila cento- venticinque giorni, ritornava conseguentemente allo scopo di venticinque anni civili verso lo stesso punto di Soti: da ciò la vita d’Api fissata a venticinque anni ed un ciclo di tal nome , indubitatamente relativo al passaggio della Luna pel toro celeste che gli conve- — 280 — niva attraversare per giungere a Soli. Eccoci adunque ad alcuni stretti rapporti fra Api, segno astronomico e Solare per lo detto periodo de’ venticinque anni, e il Bucefalo, al qual periodo ben può esser posto d’ ac- canto quello della vita dello stesso di ventotto. Ma volgiamo ancor più oltre il nostro sguardo sulla natura del bue Api, ond’essere convinti maggiormente della perfetta consonanza del suo mito con quello del ‘ Bucefalo. Questa natura di Api ci è designata dal ri- petuto Guigniaut, ( Explication des planches pag. 31, n. 166, XXXVII, ) dicendo essere Api corpo perpe- tuamente rinnovato d'Osiride , Y anima del Mondo e sua vivente immagine. Noi non abbiamo bisogno di ri- dire che Osiride avesse i suoi rapporti ctonii e. pre- sedesse agl’ inferni, nel quale rapporto era il Serapide infero o il Sole infero, o il Dite padre, nel che ri- vedremmo il dualismo già ricordato da Diogene Laer- zio nell’ incontro di Diogene Sinopense con Alessandro. Dippiù troviamo, che nella teologia egizia ( Guignaut not. du Liv. IIIme. pag. 898 ) Api figurava tra le di- vinità Thoout , ed Athor, le quali appartenevano al secondo ordine delle divinità principali di quel popolo tutte solari ed astrifere, dalle quali discendevano im- mediatamente queste seconde , le quali mettevan foce nell’ osservazione combinata della rivoluzione del Sole e della Luna, contemporanea all’ invenzione de’ dodici mesi. Del qual sistema, tutto solare, non vi ha bisogno - dir molte parole onde rapportarlo al culto del massimo Astro, i cui benefici influssi abbiamo addietro cennati. Nè mi credo nella necessità di andare oltre indagando, per — 281 — ‘trovare simiglianza di mito col Bucefalo , per essere to- sto al caso di ravvicinare questi due animali in ri- _ guardo ai più luminosi e caratteristici segni ; sicchè da quando abbiam detto, sarà ben facile dedurre 1 analo- gia del mitico racconto di Api con quello del Bucefalo, amendue nati per simboleggiare esseri voluti o creduti divini , accordantisi colla pro digiosità e singolarità dei segni. Io non entro nella grave discettazione sorta tra 1 chiariss. Corcia e Mazzoldi (116), se il bove fosse potuto venire originariamente d’ Egitto e dagli altri luoghi più Orientali, della quale ipotesi pare più chiara più con- veniente più documentata la derivanza , epperò l’ opi- nione del Corcia più ragionevole, poichè si è visto, e gra- vissimi seriltori hanno riconosciuto la civiltà originaria dell’ oriente ; mentre poco mi sento trascinato a credere in contrario col pensare del ripetuto Mazzoldi, non senza ammirarne la dottrina e le ricerche ingegnose. Se debba ritenersi quel che il Iannelli (117) ha divisato, cioè che Iside, la quale era mitologicamente effigiata nel bue Api e la stessa che Zone Inachia , Ione Argiva Pe- lasgica, la madre fecondissima delle razze Europee , e oriunda dall'Asia superiore Caucasea , la quale ‘opinione accettata dai più , è grave argomento contro il sud- detto Mazzoldi , ne apparirà assai più l analogia del mito del Bucefalo e di Api, e vedrebbesi, come dal (116) Questi ben a longo ne parla nella sua opera delle Oni- gini Italiche , ediz. sulla 2. Milanese con giunte e correzioni , 1849 vol. 2. pag. 199, e seg. Not. I. (117) Znterpretuzione della coppa preziosa Borbonica pag. 5. — 282 — ‘superiore Oriente portato il bove. Api in Egitto , qual primo simbolo pelasgico nelle remote origini dei popoli, fosse questo di Alessandro e del Bucefalo segno di un secondo, succeduto per adombrare un’ altr era di civiltà. Or venendo ai segni caratteristici in parola ; gli ad- dotti luoghi di Arriano, di Festo, di Solino, dello Pseu- do-Callistene etc. sono rimarchevoli per bastare a con- tentarci su l’ esistenza, i più di essi , del Bucranio.nella testa del Bucefalo ; gli altri, come l' autore dell’ Elimo- logico M. , Aristofane , Plinio, Vossio.ete. nella groppa, o alla spalla del medesimo son poco sodisfacenti. Ma per l’accordata fiducia maggiore ad Arriano, ritengo che tal bucranio avesse dovuto essere nella testa del cavallo; giu- sta l’espressione del greco scrittore , in capite notam haberet , bovis capiti perquam similem. Il medesimo aggiunge essere bianca ; quum ipse migri coloris es- set, albam in capite ete. Ecco adunque una delle note principali assegnata al bue Api per suo arcano distin- tivo , venire a riassorbirsi nel mito greco sotto le mede- sime forme, sotto le stesse sembianze nel principal punto, e nella più nobil parte dell’ animale, cioè nella testa, e con lo stesso colore. Forse alcuno vorrà dirmi esserci della differenza tra la nota triangolare, di che è contrasegnato in testa Api; ed il Bucramo , o nota a foggia di testa di bue nel fronte del Bucefalo. Parmi che io possa escir tosto d’o- gni ambage ‘per tale interrogazione. Imperocchè se guar- disi al tutto della figura del Bucranio , subitamente ri- sveglierà l'idea della figura triangolare , dal perchè la base del triangolo hassi dalla linea superiore , in cui — 283 — veggonsi le corna , cui insistono le duc altre finienti ad angolo nel punto della bocca. Nè questa assimila- zione sarebbe unica, anzi analoga a quella fatta da Plu- tarco dell Ibi al triangolo dicendo (118) : Ad haec de- ductis pedibus et rostro cum. his comparato triangu- lum aequalium omnium laterum efficit, et migrarum pennarum mixlio et consertio. Né è mancato chi al- l' Ibi ha dato a simboleggiare il cuore. Ora la figura del cuore non è dessa rispondente ad un triangolo ? Il che ci ricorda il sistema di. Prichard accusato da Guigniaut di soverchio materialismo ; nel qual sistema l’ antiquario Inglese crede; Thoth del pari che le altre divinità di Egitto debba avere un'origine o fisica o in- tellettuale, che cerca nel culto dell’ Ibi uccello sacro a tal Divinità, 0 piuttosto nella forma solamente di que- sto uecello che offre una luminosa somiglianza con l’or- gano del cuore di cui era simbolo; ed il cuore per gli ‘Egizì era la Sede dell’intelligenza (119). Io vedrò più sotto quel che di grande offre il segno triangolare che ora veggiamo assimilato al ducramio. Frattanto altra simiglianza importantissima troviamo tra il bueranio e le Jadi con le quali risvegliansi an- cora idee e rapporti mitici solari, ed astronomiei. Leggesi nei frammenti di Ferecide (pag. 84 Didot) che sette stel- le dette /adi erano figurate nel segno del Toro, offerendo la figura Y. Esse furon dette Ninfe Dodonee nudvici di Libero o Dioniso, come si ha da Igino ( Poet. (118) De Isid. et Osir. pag. 381. (119).Vedi Gwigniaut , Symbo!,, ed altri. 36 299 Astron. 2, 24; Mytograph. 1 $:120, pag.39. Ed. Bode) ed abitratrici ‘di Nisa. Quindi non è chiarissimo da una parte, che le Judi fossero appartenenti a segni solari? Non appajono esse sull’orizzonte, quando sulla cerula ma- rina annunziano prossimo l’apparir del Sole? Secondaria: mente ricordano ancora l’Eridano, e l'Orione, ai quali no- mi si riattacca Fetonte, simbolo solare, la sua caduta, e le Pleiadi piagnolenti ( V. Guigniaut. Tav. L. Expli- cation des planches, pag. 98.): epperò offrono la più, sicura simiglianza col bucranio e col triangolo. Ma quel che rinsalda validamente il mio dire. è l'autorità di Creuzer , che dice nel suo Dioniso (p. 272); in. Tauri fronte comparent , vel potius , ut Gellium audiamus, frontis taurinae speciem suo positu efficiunt, eae stellae, quae Graecis Yades etc. Il medesimo dotto Scrittore ( nello stesso luogo ) ha ravvicinato il cornuto Yin, e le fadi, con l'autorità di Ferecide, a Piomiso, che egli. ci dimostra identico a Bacco cornigero, e al Sole, che nel tempo vernale pur entra nel segno del Toro. Ma scorrendo dippiù nel campo delle utili analo- gie, mi par vedere nel bucranio un segno simiglian- te a quello dai dotti appellato croce ansata , di cui un bello articolo leggesi nel R. Rochette nell’ ope- ra citata su di Ercole. Ora se’ col lodato dotto scrit- tore la croce ansata è corrispondente al tau fenicio ed Ebraico T, la qual figura contiene un triangolo in potenza , se ne avrà identica forma col bueranio. Anzi se dei confronti vengano fatti colla tavola AXIA. fra le altre nell'opera del Creuzer- Guigniaut, nelle quali sono molti Egizì monumenti effigiati , "Vediunti che la croce ri IR ansalta ivi à forse simiglianza ben spesso colla figura del” Bucranio. Il medesimo R. Rochelte rigettando quasi del tutto | idea di Lajard che la vorrebbe come una ab- breviazione del simbolo detto volgarmento Mihir e come emblema della trimurti, pensa essere stato per gli As; sir, Fenici ed altri popoli del medesimo culto , quel do; cra per gli Egizi, cioè un simbolo di nuova vila, di vita spirituale per mezzo dell’ iniziazione, ritosandli così il principio della vita divina ed eterna. incluso nel simbolo in parola. Sarei troppo lungo se volessi più oltre. proseguire su questo simbolo, sul quale già tanti dotti-hanno manifestate le loro opinioni ( V. Gui quiaut not. du Livr. Hime. pag. 958 ) ; fra i quali il nostro grande Visconti (HM. Pia CL. t. IL 140), ha detto il taw segno del Sole.. Or venendo alla idea profonda che desta il bueranio , ehe abbiam assimilato al triangolo, priachè lo-vediamo in rapporto a tal figura misteriosa , seorreremo alquanti scrittori , e monumenti, ne’ quali venne adoperato sim- bolicamente, premettendo che il detto segno qualificativo pel Bucefalo, descritto dagli storici dl Alessandro, suscila una idea bellissima ravvicinato alba eroce ansata , fi- gurando la vita divina , la vita futura ; e dà io al un tempo al nuto di Ales : Imperocchè. essendo come he toccato la croce ansata simbolo del sole, ab- biamo in Alessandro e nel Buccfalo ricordato. il mito solare congiunto @ quello della rinascenza;, della sa- lute , della vita , di un nuovo periodo , come si è marcato per la interpretazione di Iannelli della coppa preziosa ridetta, — 2860— Or l’uso de Bucranii adunque è stato frequentissimo,; e vedesi nella più parte de’ monumenti antichi. Prescin- dendo da quelli che riscontransi in Visconti nelle sue diverse opere, e ne’ monumenti da lui interpretati; in un vaso illustrato dal Ch. Minervini (120), rappresentante la Gigantomachia, vedesi fra Apollo, e Diana un Bu- cranio bianco , simbolo Apollineo , quindi solare , ed Eliaco : Non vedonsi parimenti due bucranti nel famoso sacrificio d’Ifigenia in un bassorilievo importantissimo in- terpretato dal R. Rochette ( Monum. ined. p. 123, tav. XXV. B. ), nella quale scena intervengono Apollo, e Diana? Se per esso rimontisi all’idea de’ sacrificì umani, vedremo impiegati i bucranii quai simboli misteriosi as- sociati al principio di espiazione, cui tutta 1’ umanità anche traviata fu intenta. La quale espiazione esprime la necessità della riparazione, per lo che si riattacca al “nostro mito del Bucefalo, che insieme al Cavaliere che Jo doma, alludono a quel che abbiam detto intorno al- Yessere il mito d’Alessandro domatore del Bucefalo un simbolo di riparazione , e di distruziene del male ; al che può convenire quella frase di Plinio, riprodotta da Goulianoff intorno al Toro simbolo di Api, e in rap- porto a principio del male, nella quale si esprime (Lib. VII. c. 710643) Taurus . ... torva fronte . . . cor- mibus in procinclu dimicationem poscentibus. Ed il Bu- eranio risveglia esso stesso, essendo impresso in testa del Bucefalo , l'idea di domare, la quale ci vien sug- gerita dallo stesso Goulianofî , allorch’ egli ravvicina (120) Bu//ett, Arch. Nap. an. HI. p. 108. — 287 — per via di omonimia il serpente al Bove Api ( Part. pi. pag. 119.) Ma noi abbiamo bisogno ancora di ricordare , che Iannelli (124) pone fra gli attributi di. Bacco il Bu- cranio ; e Bacco abbiam visto e grande civilizzatore non solo , ma incarnazione solare di Giove, e Bacco è l'istesso che il Sole, come pure ho osservato, sicchè il Bucranio è simbolo in conchiusione non solo di culto solare, ma puranche di Nume benefico, e segno di luce ; il che può esser constatato dall’aver detto , come le corna la simboleggiano, mentre dal Bucranio non pos- sono andar esse separate. E col predetto Iannelli abbiam pur toccato, come le corna avvisassero a novella età, al tempo, a nuovi Dulkarnen o potenti Numi, figli di Nume Solare, e Sommo. Non è a dimenticarsi pure , che il Bucranio osser- vasi anche nelle medaglie della vecchia Italia, ove rappresentando il Fioéo Dioniso , simboleggiato dal | Toro a volto umano, immagine del fiume Acheloo, dal bucranio istesso sgorga l’onda prolifica. ( Vedi Avellino ne’ suoi opuscoli Vol. I. ). La natura demiurgica , e Solare di Bacco e Dioniso è abbastanza conosciuta. È vorrei qui pur ricordare il mito del fiume Acheloo cor- nigero della Grecia, che dissesi figlio di Gea e del Sole , transformato in Toro ; le cui Ninfe incantatrici armoniose lo abitavano, secondo il detto Tannelli, pas- sato in simbolo Dionisiaco Spermatogeneo diffusore di ‘civiltà, e di genti nuove. Il quale trova analogia col. (121) Tentam. Hermen. — 288 — monumento Indiano ( Guigniaut tav.:V. n. 27. ), ove vedesi da un Bucranio sgorgare l'onda del Gange ; per lo che sembra una riproduzione di simiglianti sistemi cosmogonici e teologici della vecchia Italia, della Gre- cia e dell’ India. Spero mostrare eziandio , ‘come il Toro Acheloo Androprosopo pur trovi alla sua volta ana- logia con le armonie e co’ canti che si alternano. nel monumento Indiano , ‘ove non manca il Sole che per metà si scopre dietro al Monte Merù misterioso. Dopo siffatte esposizioni avrei molti altri monumenti in cui il Bucranio entra ne’ simboli misteriosi delle relt- gioni Indiane , ma per li stessi rimando alle tante opere su quella importante regione del Mondo , ‘e special mente al Creuzer e Guigniaut. Dopo di che passo a risguardare il simbolo del Bucranio ‘in parola come identico al triangolo , e. alla figura di tal natura. che vedesi ne’ monumenti del Bue-Api nella più parle di essi, benchè non sempre posta, nè sempre visibile; 5 come accennerò più appresso. Con 1° osservazione del Conte Caylus abbiam visto le cose dette. dal profondo Plutarco nel suo trattato de Iside et Osiride, LVI ). Ma egli è d'uopo recarlo. per disteso, per. ammirarne tutta la bellezza : Zam prae- slantior, egli dice, ac divimior natura e tribus constat co quod mente cermtur et materia ut quod ex his com- positum Graecis Cosmos , id est mundus, dicitur. Ac Plato quidem primum illud ideam, exemplar, patrem- que nominat -.. Aegyptios autem probabile est trian- gulorum pulcherrimo in primis comparasse universi na- turam: qua comparatione etiam Plato in republica vi- — 289 — detur usus , ubi figuram nuptialem:compomit. Nel capi- tolo LVII. Fosdia etiam Hesiodus prima omnia faciens chaos, terram, tartarum et amorem videri potest non diversa , sed eadem rerum principia ponere , siqui- dem Isidis nomine terram, Osiridis amorem, Typhonis tartarum accipimus. AI G. LXXV Pythagorei autem nu-, meros quoque et figuras deorum ornaverunt appellatio* mbus. Nam -triangulum aequalium omnium -laterum nominaveruni Minercam e vertice natam , et Trito- geneiam, quia iribus perpendiculis eductis e tribus an- gulis suis dividitur. Unitatem Apollinis vocabulo af- fecerunt ; duplum eius Dianae , videlicet , binarium, eumdem binarium contentionem et audaciam vocave-. runt ; ternarium dignati sunt Iustitiae titulo ; acqua- lilas enim medio posita est eorum quae injuste agun- tur et contra ius tolerantur ab excessu et defectu pro- ficiscentia (422): vedrà ciascuno di leggeri, come in que- sto profondo scrittore fosse ascosa tutta una. dottrina teologica la quale noi vediamo riprodotta. non solo in Api, ma pure pel segno del bucranio nel Bucefalo. Il quale Dio Api figurando la {rasmigrazine delle amime, la vita riproduttiva, un novello periodo , secondo; gli Orientali, desso è abbastanza esplicativo nel senso dell’ Epifania degli Dei, epperò del Bacco Dioniso, del gran Dulkarnen degli Orientali, di Osiride , da’ quali non mostrossi lonieno dini per la nota del: Buce- falo. Ma di questo segno prodigioso , di cui ogni po- polo ha riconosciuto la grandezza, e il mistero , ec che (122) De Isid. et Osirid, p, 381. f. — 290 vedesi improntato su tanti monumenti che la vecchia età ci ha lasciati, cerchiamo e la natura e i simboli, se non siam paghi di quanto ci ha svelato il filosofo di Cheronea; e se vogliamo rintracciare le allusioni del triangolo alle trimurti, senza ripetere i nomi di quelle che abbiamo da poco noverate, dirò che la trimurti In- diana era formata da Brama, Visnù e Siva. Intorno ad essa Ragia Ram-Mohun-Roy Bramino venuto in Eu- ropa dopo il 1830, per ridurre d’ accordo le opinioni dell'Oriente, e dell'Occidente, ha dato un compendio della celebre dottrina dei Vedanda, composta dal famoso teo- logo Viasa (123). Vi si legge quanto qui appresso, dal quale si vede, come anche nell’ eterodossia siano rimasti alcuni principî di vero ; e come essi rispondono alle co- gnizioni degli altri popoli, ed ai più solenni loro simboli, fra quali massimo può credersi il triangolo ; come qui sotto osserverò. Ecco le parole intanto del Bramino. «Il Veda comincia e finisce con tre particolari e misteriosi epiteti di Dio: 1. Om; 2. Tat; 3. Sat. Il primo significa quest’ Essere che conserva , distrugge, e crea ! Il 2. quest’ Essere unico che non è nè maschio , nè femina ! Il 3. annunzia l'Essere vero, incognito, ch'è il Crea- tore, il Conservatore, ed il Distruttore dell’ Uni- verso. Ecco l’unità e la triade espressa ; 1 unità ch'è figurata dal complesso de’ lati del triangolo, e la triade da'tre lati dello stesso.» Or non è questa dottrina quella che abbiam visto accennata da Plutarco nel luogo di (123) Cantù documenti per la storia univ. vol, un. Relig. p. 400 a 410 Ediz Orig. x — 261 — sopra prodotto. Non vediamo presso che nello stesso . senso riprodotto il sistema ternario , e di unità d’una intelligenza prima , arcana , irtivelata nel sistema Egi- zio, già da me arrecato nel parallelo ? E priachè rechi alcuni pensamenti su di Toth , citerò un monumento degli Indiani ( Gwigniaut tav. II. n. 13 ) rappresen- tante Para-sacti-Bhavani, madre della Trimurti, rap- presentata da tre uova in un fior di loto , che forma il seno della Dea: e la figura triangolare grande che la include, rientra nel senso generico dell'immagine, ch' è appunto quello di cui ho favellato, cioè di una trimurti, e di una intelligenza unica ( vedi pure il n. 6 detta tav.), ove è il Zont sotto forma di triangolo nel centro del fior di loto, come in una pittura del Museo Borgia. Ma sorprendente è il monumento ‘che vedesi nella ta- vola del Guigniaut ( XX. n. 115 ), ove il triangolo maraviglioso scorgesi qual simbolo della creazione che riunisce tre mondi, e splende quale intelligenza divina e demiurgica. E per non escir dal sistema Indiano, no- lerò , che i simboli di Visnù, e di Siva sono il trian- golo sotto queste figure w e A_( Leo Stor. Univ. trad. del Menini Mil. 1840 Vol. 1. p. 29 ) ; le quali sem- brano in parte significare idee filosofiche Indiane , e quelle cosmiche sulla trimurti , interpretate quan- do pel Sole, per l'acqua, pel fuoco ; quando per l’ir- radiazione che emana la prima essenza dell’ astratta universale divinità : l'essere, il diventare, il non essere: materia , spazio, e tempo ; sicchè sono cotesti cotali idee; e i simboli segnati significano in parte la triplice divisione del zodiaco, | 37 i IGF Ma la triade, di cui emblema è quasi sempre il trian- golo, la ravvisiamo eziandio fra i tanti monumenti Egizi, presso i quali Kneph , l Essere supremo identico ad Ammone , da cui partono , e ritornano le miriadi di triadi Phta e Phré che si ricapitolano in Iside, detta anche Athor, in Osiride, identico a Serapide, ed Oro, o Aruero. Ed Athor ha emblemi o paredri, il disco, le corna di Vacca; ma quel che sembra renderla distinta è la regolarità della figura quasi sempre triangolare di cui è ornata , e dipinta di prospetto con capellatura nera ; la quale testa emblematica vedesi nella colonna del Tempio di File , nel Tempietto di Anebo , e nel gran tempio di Tentira, consacrato a Toth , ed A- thor (418). Ma su questo 7oth richiedesi alcun’altra no- stra ricerca per la sua natura , e pel simbolo triango- lare che laccompagna. Ma pria che tutt altro, piacemi recare alcuni versi del Visconti , già tanto conosciuti sul triangolo (119), ove così parla della sudetta di- vinità : » Quel Dio che in riva d’ Inaco » Argo lasciò trafîtio ; » Quel cui tre volte massimo » Chiamò l’ antico Egitto ; » Quel Dio che la difficile » Arte inventò primiero , » Che sa la voce pingere , » Dar sembianza al pensiero » Ei qui mi pose a splendere (118) Zannotti Op. cit. alla v. Ator. (119) Op. Var. Poesie , vol. IV. Mil. p, 618, e GI9. a L0ù o » Dove in lucenti chiome * » Siderea cifra annunzio » Del gran Tonante il nome ; » Nome al cui suon vacillano » Gli archi de firmamenti , » E fremon dell’ oceano » Gli atri gorghi muggenti : » Nome che dalle tenebre » Può trar dal nulla il mondo ; » E le cose ravvolgere » Può nel nulla secondo. Sarebbe forse ereduta inutile ogni ulteriore investi- gazione e sul triangolo , e su di Toth, dopo i riportati versi dell’ illustre Archeologo ; ma meglio rilucerà il di lui sapere, dal vedere come è desso consentaneo agli antichi, e moderni Archeologi. È maraviglioso frattanto veder sempre campeggiare ne miti Egizii specialmente Y intelligenza solare, e con essa compagno Ercole , il Bue, e Toth, è Mercurio. Qnesto che risalendo agli Atlantidi , © Atalanti , ac- cenna al padre de Pelasgi Atlanti e Arcadi, il cwi culto solare abbiam visto , si ricongiunge per esso al Bue Api, pel suo rapporto al medesimo Toth sia per la nota triaugolare , sia per l'idea di bue , che da Toth istesso fu recato in Egilto , ed ivi salito a tanto onore (*) Quantunque molti vogliono, che la costellazione del trian- golo sia l’immagine della Sicilia collocata da Cerere nel Cielo ; pure la mitologia di 'Teone Alessandrino ne’ suoi commentarj ad Arato che c'insegna essere il Delta cifra del nome di Giove, Atos posta da Mercurio fra le stelle, è stata seguita. ( Nota dell’ autore dell'Ole. ) — dra e venerazione. Ed è mafaviglioso , io diceva , come Er- cole non se ne distacchi , perchè chi non ricorda i buoi consacrati al sole, e rubati da Mercurio, non dal Greco, e secondo, ma dal Mercurio propagatore della gente Pe- lasga , e Cosmogonico ; chi non ricorda Ercole ucci- sore di Gerione guardiano de bovi del sole ? Il mito dell'uccisione di Argo fatta da Mercurio, al quale allude nella poesia il Visconti , è l’istesso Toth Egizio che introduce il culto del sole col bue in Egitto, ed il quale fu l'animale il più benefico per la civiltà e per l'agri- coltura , il simbolo più adatto ed acconcio per mostrare i beneficì che quell’astro beneficentissimo sparge su la terra coltivata da questo animale sì necessario all’ uma- nità. Apt non era che la vivente immagine di Ostri- de, come abbiam visto, ed è constatato da Plutarco ( de Isid. et Osir.); Osiride è identico a Bacco © Cosmogonico, e Pelasgico. Osiride in fatti fu il ci- vilizzatore d'Egitto con tutti i modi (120); e con Ma- crobio si può dimostrare , come con altre autorità ab- biam fatto, che gli Egizii adoravano in Osiride il sole; ed Osiride era l’istesso che Bacco , in modo che in Ermunthi, Città del sole, adoravasi un bue detto Bac- chin (124). Se Bacco è identico a Dioniso , Osiride non era che il Sole. Or di Osiride , fra i tanti simboli, non mancò quello di rappresentarlo con un triangolo con entro un’ occhio, che valeva la Provvidenza che si (120) Euseb. Praep. Evang. lib MI. Cap. I (121) Saturn, lib. 1, C. XXI. i = 295 — manifesta , e che protegge 1’ Egitto e la sua terra già configurata ad un Delta o Triangolo (122). Venendo al triangolo figura di Toth o Ermete, tro- vo scritto in estera (op. cit. p. 960) « nel ricer= care il simbolo del cono troncato ; o piuttosto trian- golo , che occupa ordinariamente le aperture operate per introdurre la luce e l’aria ne tempii, è veduto molto sovente nè geroglifici, e vi si riconosce con ra- gione un simbolo della luce ». Il Guigniaut nella nota su tal suo pensamento , va osservando che questo sim- bolo si combina frequentemente con altri non meno si- gnificativi, quali sono sul zodiaco rettangolare di Dendera (tav. XLIX), ed al fregio del medesimo tempio ( tav. XLVII , 188), ove il lume e la parola celeste iden- lificati sotto questa forma emblematica, sembrano dif- fondersi dalla sorgente di ogni lume, e di ogni dot- trina, cioè da Toth trismegisto, la parola manife- stata. Qui mi vedrei tentato a svolgere in qualche maniera ciò che di grande la dottrina degli antichissimi Egizii offeriva intorno a questa intelligenza incarnata per ri- velare l'arcano della loro religione , questo altro Mitra de’ popoli del Delta , ma l' idea di non parer troppo noioso, mi fa restringere a ricordare a’ savi leggito- Ti, che il simbolo timagniare essendo figura di Toth o Ermete, la parola siglata riannodasi, per quel che ab- biam detto poco innanzi al simbolo di Api figura vi- (122) Valeriano dice l'occhio esser figura del Sole, 54, 56, v. Guigniaut p. 805. — 296 — vente di Osiride , il quale presedendo alla. vicende umane , alla vita, come alla morte, al giorno; e alla sera, e al tempo, e alle sue vicende nello spazio; e al passato , al presente e al futuro , per lo che legasi col giudizio de' Defunti , al cui destino presiede, e dove si ricongiunge col Mercurio psicocompo , e secondo il Guigniaut Api istesso è un’ omonimo di Defunto , un genio degli Amenti ; vediamo in tal modo le massime relazioni fra Toth, adombrato dalla figura del triangolo, ed Api pur da figura triangolare in fronte insignito. Ed il Bucefalo che ne va esso pure segnato, e che aggiunge alla mitica azione di Alessandro l’importanza del mito epifanico, del bene, della salvezza della riparazione , adombra in Grecia, quel ch’ è stato og- getto del mito di Osiride, di Api, che combinato col primo nome, compone quello di Serapide , della cui natura abbastanza abbiam parlato nel Parallelo con Y autorità di Aristide, e riputata come di Divinità Su- prema , come il gran tutto degli Eterodossi, non isfug- giti perciò dal panteismo ; il gran Dulkarnen , per riu- sare ancora una volta la dotta espressione di Tannelli, di cui fu figlio, e Bacco, o Dioniso, uno de’ signori del novello periodo, e di Ercole , ‘e infine del signore de’ due Imperi Alessandro il grande, che si riattacca pel suo Bucefalo alle più sublimi idee degli Orientali e al loro più profondo culto religioso. Conchiuderò in fine il mio dire sul triangolo , rammentando , che Cri- sna (123) ha sulla fronte il segno sacro del sole, l’oc- (123) Symbolique lib. I. Cap. IMI. p. 120. — 297 — chio e il triangolo; o su le piante de’ piedi , 0 nella palma delle mani. Quindi riassumendo il mio dire intorno al segno ar- cano e misterioso di Api e del Bucefalo, vedo in que- sti due animali contrasegnati d’ uno stesso segno sim- bolico, uno stesso mito. Nè sembrar debbe tanto stra- na la nota discorsa del Bucefalo su la sua fronte, dal ricordare, che in Omero rinviensene un esem- pio (124) quando il forte Achille fe’ celebrare gli estre- mi onori al suo Patroclo con corse di Cavalli nel Circo. dicendo ; "Os 7ò uîv dio r650y qoivit rv, èv Ti perora, Acvuòy ofiu’ #retUUTO Fepitpoyoy , dure priva cioè » Destrier che tutto Sauro in fronte avea » Bianca una®macchia , tonda come Luna. Come altro esempio ne abbiamo di cavalli parimenti segnati come il nostro Bucefalo in Virgilio (125) nar- rando i funebri giuochi ad onoranza del padre suo An- chise, su l’esempio degli Eroi di Omero , dicendo del cavallo del piccolo primo figliuolo di Polite Pica lo Rat quem Thracius albis » Portat equus bicolor maculis vestigia primi » Alba pedis , frontemque ostentans arduus albam, (124) Iliad, ®. v. 454 e 455. (125) Aeneid. V. v- 565, et sequ. — 298 — Lo Scaligero ha osservato a proposito della macchia bianca in fronte, figurare un’ astro. E ravvicinando i due grandi Epici Greco , e Italico, non può dubitarsi che per rendere più pregiati i cavalli che doveano concorrere agli onori funebri degli Eroi divinizzati, essi lor donas- sero segni che risentissero di un simbolo celeste, astri- fero, e divino. E ci conviene pur rammentare che il dianco era simbolo solare ; del qual simbolo non m' intratterrò a .riprodurne le autorità, essendo per solare da tutti ri- conosciuto. Ma se mi sarà conceduto , dirò soltanto , che il cavallo bianco alludeva ai Divini , e donavasi ad uno de’ Dioscuri. E. meglio prendendo in conside- razione la bianchezza della macchia a modo di bucra- nio, 0 di triangolo , che val meglio, del nostro Bu- cefalo , e al colore del suo pelame , o scuro o rosso che fosse stato , troveremo anche per questo lato molta parte simbolica, cioè del buono e del cattivo principio, secondo la dottrina di Platone (126), dove allegori- camente discorre del cavallo buono , 0 cattivo. Ma quel che ricongiunge ognor più il Bucefalo al mito di Api, si è che siccome questo è omonimo di Defunto , come ho detto qui sopra, sicche lo si vede figurare ne’ monumenti di Egitto e nelle tombe, e nelle casse delle Mummie, per additare il passaggio da que- sta ad altra vita , il domma sì profondamente impresso nella mente e nel culto degli Egizì ; così anche il Bu- cefalo vedesi adempier tal voto fra i Greci. Abbiam già parlato, come il cavallo entrasse principalmente ne’ giuo- (126) Phaedr, X. p. 320 Bip. È > — 299 chi funerei d'Alessandro. E se farassi attenzione ad altri svariati monumenti, vedrassi, come in essi, e specialmente in quello, che osservasi nel Museo Vero- nese di Maffei (127), sono rappresentati due giova- ni eroi, aventi ciascuno dalla sua banda un cavallo equipaggiato per l’ultima partenza, ed essendovi un albero , vi stà avviticchiato un serpente, con l iscri- zione : MaygrAos AMexcaydpos usipere ; il quale albero ricordando gli Esperidi famosi , ossia l'Eliso , il cavallo ci fornisce l’idea dell'estrema dipartenza da questa vita (128), per condurre l Eroe nel soggiorno beato. Sicchè ve- diamo per tal guisa concorrere il Bucefalo alla divinità di Alessandro ; ed il colore bianco della sua macchia mostrare il contrasto della vita che si abbandona nella terra oscura, e di espiazione, con quella celeste, astrifera e divina della futura. Dell’ alternativa del bianco con altri colori, può essere consultato il R. Rochette (129). Qui cademi acconcio osservare , che non invano l' oc- chio diritto del cavallo del nostro bassorilievo è volto del tutto, e come spalancato verso il Cavaliere ; mentre oltre che l’occhio abbiam visto essere immagine solare per Os: ride , ed oltra al significare tal culto, come ne’ monumenti Assiri, e di altri popoli Orientali, riportati dal detto R. Rochette, ove vedesi rivolto l'occhio degli animali allEroe (127) XLVII; 3. (128) Vedi il vaso presso la Collezione di Zambderg, I. LIX. ove il cavallo in riposo fra due iniziati, accenna all’ addio fu- nebre. Sul significato del cavallo ha parlato pure il ch. Miner- vini. Bullett. Arch. Nap. An. VI. p. 14. (129) Monum. inéd. p. 96 not. |. 38 — 300 — solare, quale è Ercole, non escludendo queste osservazio- ni, il simile atto del Bucefalo guardante Alessandro può per avventura simboleggiare la vita futura divina e beata di Alessandro , il destino delle nazioni che da lui dipen- de, mercè l’ azione mitica che quegli compie con lo stesso. Ricordisi che nel gran Musaico Pompeiano l'occhio del cavallo Bucefalo è volto nella medesima direzione, e mostrasi quasi parlante; talchè ci assicura ad un tempo che i due. grandi Artefici han tenuto presente un medesimo tipo. Abbia il leggitore delle mie con- getture quel conto di che le crederà meritevoli. * Quindi dalle autorità e da’ monumenti risulta eviden- temente , che il mito di Alessandro si riattacca a quello di Api, di Dioniso, al dualismo Orientale contempe- rato da un terzo principio , che amalgama , che rior- ganizza , incarnandosi ; e rinnestasi con le moltiplici e svariate Epifanie. Nel che credo che sia il forte di esso, cioè nel giovane Alessandro , figura parlante del principio supremo del bene , da cui tutto emana, quasi Sole, quasi Supero Dio; e nel Bucefalo parlante immagine pur esso del Dio inferno , etonio , la cui po- tenza Tifonica è distrutta dal primo. E poichè Osiride nel Bue Api figura la novella vita che prepara con la morte naturale (130) , nel che vedesi l" emanatismo e riemanatismo , infine il Panteismo, di cui tanto difet- tarono gli Orientali , cui alludeva anche Plutarco ( De Isid. et Osirid. ), trovo vero quel che scrisse Tannelli considerando Alessandro uno de nuovi Dulkarnein, E (130) Guigniau! p. 808.9. — 301 — massima analogia di mito pur riscontro nella tomba ma- gnifica data dagli Egizii in Memfi ad Api, come ma- gnifica quella del Bucefalo nelle Indie da Alessandro in Bucefalia ; la quale sorse, com’ è narrato da Plutarco, da Arriano , da Curzio ed altri, dopo la grande vitto- ria de Macedoni contro Poro (134). E i più grandi onori funebri vennero a quel cavallo accordati da Alessan- dro, come leggesi in Solino (132). Qui sopra ho di- scorso come i cavalli entrassero negli estremi onori funebri, che mi disobbliga dalla necessità di parlarne più a lungo. E Micea Città , che possiamo dir gemella di Bucefalia , ebbe monete coi tipi del Bucefalo cor- nupede , e del cavallo ( Sestini Museo Hedero. t. Il. p. 61 n. 87; addenda tab. HE. fig. 4.). La quale fu detta così dalla memoranda vittoria, in cwi morì Bucefalo, alcuni vogliono per esireme fatiche, altri per grande vec- chiezza ; e dove Poro fu vinto, ma non doma la po- tente Nazione, che anche a dì nostri fa sperimentare alla cupida Albione quanto sia difficile immettersi fra (131) Arriano lib. V. (132) » Quo merito effectum, ut defuncto in India exequias » rex duceret, et suprema ornaret sepulchro : urbem etiam con- » deret, quam in nominis memoriam Bucephalam nominavit. ( che » moderni Geografi credono essere Lafor Capitale del Pengiab , » o come altri Ge/ften)...Agrigentina etiam regio frequens » est equorum sepulchris, quod munus supremorum meritis da- » tum creditur, Voluptatem his inesse Circi spectacula prodide- » runt: quidam enim equorum cantibus tibiarum etc. Cap. 45. » in Salmas. Exercitat. Plinian. p. 53. E Plinio aggiunge: Agri- » genti complurium equorum sepulchra pyramides babent. = 302 — popoli che contrastano col sangue le usurpazioni , ed un giogo straniero ; nè cessano di esser quali mostra- ronsi a colui cui disse la Pizia ; Figlio a te nulla resiste. Sento dirmisi , dopo siffatti ragionamenti intorno alla convenienza de segni del Bue Api, e del Bucefalo , che il Bucranio 0 triangolo non vedasi nel cavallo su cui va Alessandro. Ma debbe riflettersi , che il ci- tato luogo di Erodoto sul segno «del Bue Api mi dà campo a rispondere alla difficoltà che potrebbe esser prodotta. Debbe riflettersi pure, che nessuno ha negato ad onta della varietà della lezione di Erodoto , essere stata apposta quasi sempre la triangolar figura nella sua testa. Quindi con pari ragione potrei dire pel Bucefalo. Ma egli è buono addurre le osservazioni del Creuzer intorno al sudetto luogo di Erodoto , dalle quali io pren- derò lena per lo stesso. Pretendesi da qualcuno , che il luogo mentovato dello Storico Greco sia stato mutilato , dal perchè non vi si discorre del disco solare , che pur rinviensi ne monu- menti di quell’ animale (133). Creuzer riflette ( Com- ment. Herodot. p. 138) dottamente : si hoc loco ad- didisset ( Herodotus ) discum solarem notis Dei Api- dis, pronum erat ad intelligendum Mycerini filiam Osiridis in modum in Apidem sepulltam adeoque sa- cratum esse etc. Ma Erodoto non ebbe intendimento rivelare quel che ad uno storico non si conveniva. Quindi (133). Payne-Knight. Inquiry into the symbol. Langage of ancient art and mytho/og. S 32. p. 23. cano: FOB da ciò non potrebbe trarsi sentenza d’inesistenza di di- sco solare per silenzio di Erodoto : e per parità di ra- gione, non potrà addursi in contrario dalla mancanza del segno nel Bucefalo., perchè non apparente s mentre è indubitata per storica menzione. Ù Il seguente ragionamento del Conte Caylus ci sarà pur di soccorso maggiore per invalidare qualunque op- posizione. Or egli dice; « Plinio, ed Ammiano Mar- cellino narrano , che il Bue Api avea al lato diritto una figura di luna falcata ; ed in tal guisa è rappre- sentato sulle medaglie di Adriano, e di Antonino Pio, coniate in Egitto, e sopra un marmo conservato nel Gabinetto Odescalchi (questo simbolo noi lo vediamo egualmente nelle diverse tavole di Guigniaut , ed al- trove ). Questo simbolo qui non appare , cioè nel mo- numento i. ;..-.. dunt. Idem autem sacrum et Persis patrium esse no- vimus. L'altro dopo aver detto del Fano di Achille , che dissero gli Spartani edificato da Prace pronipote di Pergamo generato da Neottolemo , aggiunge; Progres- sis paulo longius est Equi monumentum ; Tyndareus enim equo ibi mactato Helenae procos ad exsecta equi exta iussit assistere , ac iuramento super iis adstrin- xt: e qui dice della natura del giuramento , dopo di ehe soggiunge, equum eo ipso în loco defodit. Prope absuni pilae septem , priscorum ( opinor ) ritu ere- etae, quas errantium VII. stellarum signa esse aiunt. Intorno a questo secondo luogo di Pausania va riflet- tendosi dall’Annotatore ( Adnotat. ad Lib. IE. C. XX.. (9. p. 65 ), che Tinduro avesse sacrificato il cavallo al Sole, come custode della santità de’ giuramenti , arrecando | autorità di Eustazio, e ciò essere stata la causa, perchè al cavallo ucciso fossero nel tumulo ag- giunti i segni de’ pianeti. E pel culto del Sole richiama allo stesso luogo di Pausania ($ 5 ), e dice “EXos ($6) fondatore di Hel , figlio di Perseo ; e lo stesso nome di Elena dinotar face, splendore. Nè ciò avendo bisogno di parole pel mio assunto, mi astengo da ogni ulteriore discussione. Mi è d’uopo ricordare arcora , che non invano negli antichi monumenti esprimenti scene Dionisiache , entra- no sovente i Centauri, di cui un esempio fra tanti se ne ha nel Visconti (143). Il Creuzer nell’ opera altre (143) Musco Chiaromonti lav. XXXIV. # — 10 — volte menzionata del Dioniso ( p. 2741, 12), ci av- verte , che spesso Dioniso , (il Sole ) lo stesso che . Bacco o Libero, vedesi congiunto ad Iside , ora qual mo- — glie, ed ora qual sua figlia; e co medesimi son due Cen- tauri, come da una medaglia presso Spanemio, da cui la dice desunta dal Seguin; ed altra essere stata presa da Schleger da un denaro di Alessandro (p. 29); e Ja sua essere appartenente a Nisa (tab. HI. n. 2. ). È ciò. una conferma, che il cavallo , avuta onoranza nella mitica de’ Greci di esser sì strettamente unito al- Y uomo , quasi dividendone la natura, fosse un’ animale dedicato al sole. E il veder ripetuti i tipi di Nicea nella sudetta medaglia d’ Alessandro co’ centauri, non è la pruova più manifesta di questo altro Dioniso, che ha a compagno il cavallo ? Vinet egregiamente» ha messo in rapporto il cavallo con le divinità Marine, e quindi an- che i Centauri con Scilla ( Mythe de Glaucus et Scylla). Ma ripensando al famoso Diomede , non l Omerico , ma il mitico , col quale si riattacca il culto solare di Agrio , di Pico ; di. Fauno , di Circe, di Perseo , ri- svegliasi tosto l'idea de’ suoi cavalli , de’ sacrificì che facevanglisi lungo le sponde dell’Adriatico in ogni anno di un cavallo bianco. Dalle sponde del Tigri era partito il culto solare e il simbolo ‘di esso pel cavallo , e por- fato nella Battriana., nella Media, nella Persia , nella Colchide Orontea, e di là in Tracia, era pervenuto fino sulle sponde di quel mare già famoso, e campo ai più singolari e mitici racconti. E se di questo mare ( Adriatico ) si ricordi Adria, forse in rappor- to all’alta sua antichità mal detta Picena , essendo la ne: 1 (PRI $ sua regione aulonoma, come ben'appare da Plinio ( lib- III. VIN. , 13.), insieme alla Palmense e Pretuzia-. na ; troverassi in. un suo quincunce ; rarissimo , il fa- moso cavallo Pegaseo in rapporto alla contrastata testa* di giovane vezzosa che mostrasi sporgente dal guscio . di una conchiglia marina, ‘dal Delfico ( Numismatica di Atri) detta Venere; e dagli Autori dottissimi del- Aes grave Kircheriano , Medusa. Ma se perde molti- plici colonie stabilite da Diomede lungo il lido dell'A- driatico ( Corcia st. del Regn di Nap. T. II. p. 434 ), abbiasi questo , sulla fede del Bizantino, fondatore di Adria; Se il mito di lui, come qui sopra , congiungesi a quello di Agrio, di Pico ; di Ulisse, di Perseo , tutti solari, e provenienti d’ Oriente , più che una relazione commerciale fra Corinto ; ed Adria , troverei nel quin- cunce di questa pelasgica Città adombrata l'origine d'As- siria, detta pur Afuria, e nell’Aturia un Atria , sia pel mito solare e lunare accennati dal cavallo alato , che per la giovane vezzosa; il primo, dal sapere che Dio- mede Eroe solare col Pegaso figurerebbe la colonizza- zione del suolo Adriano , dopo le vulcanizzazioni del me- desimo , perchè sappiamo che la Chimera uccisa da Bel- lerofonte, figurasse le fiamme , che sono state rapportate ai Vulcani de luoghi. Il secondo dal ricordare Dercelo , | la Venere , lAstarte de’ Persiani e degli altri Orientali ; ossia il principio lunare. E il Lupo , e la testa di Pico nell’asse di quella vetusta Città, il Gallo ed Apollo, non sono tutti miti, che osservansi nelle sue antichissime medaglie accennanti all’Oriente ? Noi abbiam parlato del Lupo come segno solare , e ricordante l'Assiria, e la Li- — 312 —- caonia Arcadica. Non ha il chiar. C.": Quaranta discorso dottamente degli ornamenti del gran Musaico di Pompei, e dimostrato il Gallo simbolo Persiano, e solare ? Se dal «Supero Mare, ci volgiamo all Inferiore ( Mediterraneo), Napoli tosto ci presenta il suo simbolo famoso del Ca- vallo, di cui una protome di lavoro inimitabile e co- lossale ammirasi nel R. Museo Borbonico. E la Campania ha pur troppo i suoi monumenti di culto solare per li Pelasgi che la possedettero , e per le colonie Calcidesi, che hanno bastante rapporto con Diomede , con 1’ Eu- bea , di cui si conosce la celebrità de’ suoi cavalli ; e 1 Calcidesi venienti di Tracia , erano adoratori del Sole. Nella Campania istessa , la più antica , troviamo Nu- certa Alfaterna di una origine tutta Pelasgica per li Sarrasti, e peri Teleboî adoratori del Sole, e l'eroe di quel paese Epidio Nuncionio ci si mostra nudo col cavallo in una medaglia , e già divinizzato , dopo es- sersi gittato nelle acque del Sarno. E sono forse ignoti pure i cavalli di Perseo (144), de Dioscuri , di Ercole ? Questo il più grande degli Eroi dell’ antichità per la cui nascita, dice Esiodo , Giove raccolse tutta la sua potenza e sapienza non solo, ma chiamò a consiglio gli Dei, ebbe il suo Arione che (144) Perseo, che ho notato come Ercole , uno de' purificatori dell'umanità, come vuole Creuzer lib. 4. p. 164, tronca il capo a Medusa ; nella quale operazione chiede il soccorso del Pegaso. Apollodoro ecco come narra |’ impresa ; « Dictitante autem Perseo » se ne Gorgonem quidem caput recusalurum esse , ceteris qui- » dem equos postulavit, quos vero Perseus equos attulit, haud » accepit, sed Gorgonis caput ut afferret mandavit. » — 313 — altri dà a Nettuno , del qual cavallo lo stesso Esiodo disse i pregi (145). Erodoto narra altresì che Ercole ebbe rubati (146) i suoi cavalli nel recarsi nella Sci- zia. Noi abbiamo abbastanza detto di Ercole-Sole , e massimo civilizzante, al che ci conferma la natura stessa del mitico racconto di tale sua spedizione, nella quale lasciò tre suoi figli. Ma quel che più monta, Erco- le non distrusse Troja per la fede mancata, nel non dar- glisi i cavalli di Laomedonte, ch’ eran creduti Divi- ni? (147). Inoltre furono dati cavalli al sole, come mi è ac- caduto innanzi ricordare , il nome di ciascuno de’ quali avea relazione ai fenomeni dell’astro maggiore , pel che mi torna gradevole dire coll’ Heeren (148) , che le forze della natura furono la base naturale della religione d’0- riente, e principale simbolo il sole , e massimo sim- bolo di questo Astro il cavallo. Ecate pur essa, che fa parte del suo sistema, cui va sempre congiunta , era appellata Cavallo , Toro , Leone e Cane , come scrisse Porfirio (149). Ed Ecate era pure benefattrice, secondo la teogonia di Esiodo (150). Il Cavallo Troiano non fu desso un simbolo del culto Solare ? Prescindendo che fabricollo Epeo con Y ajuto (145) Scut, Her v. 120. (146) Herodot. Melpom. IV. 8, e 9. (147) Omero Iliad. E. v. 640; Cs Licofr. Cassand. C. VI. (148) Politigu. et Commerce vol. 7. p. 70. (149) Porfir. IV. $ 16.a p. 162, (150) V. 450. » — 314 — di Vulcano (il fuoco), non è chiaro da quel che [di- ce Servio ne commenti ai due versi di Virgilio (1541) » Quo molem hanc immanis equi statuere ? quis auctor? . » Quidve petunt ? quae religio ? aut quae machina belli? quid desiderant ? utique ut placeretur Minervae ( ad sidera), ad locum siderum , vel quia semper sunt sidera , sed solis splendore vincuntur. Dal quale an- notare di Servio osservasi bene, come si intendesse nell’ opera famosa , surta nel pensiero degli astuti Gre- ci, e specialmente di Ulisse , un dono, un’ offerta al Sole, dopo il periodo di 10 anni, numero al certo simbolico fra Pelasgi, e del quale ritrovasi esempio nella mitica storia dell’ assedio di Vejo intrapreso. dai Romani, i quali erano eredi del vinto a Troia, ma non estinto potere pelasgico da lor redato. A chi non è noto Cillaro domato da Castore, e Sa- turno cangiato in cavallo per gli amori di Fillira , Ninfa dell’ oceano (152), dal quale Chirone educatore di Achille? Non son questi mitici soggetti appartenenti al culto astrifero ? Apollonio Rodio (153) fa sortir dal mare il cavallo prodigioso , che insegna a Giasone ed a' suoi compa- gni la via che debbono tenere per la continuazione della loro spedizione. La Colchica intrapresa ,. tanto variamente veduta, il vello d’oro, l' incantatrice Medea (151) Servio ad Aeneid. II. (152) Licofron. C. Vi. (153) Argonaut. Canto IV. — 315 — e Circe , Giasone , Eeta figlio del Sole , sono altret- tanti eroi Mitici , che ricordano il culto Solare. Nettuno fu il primo che dalla terra fece nascere il cavallo , venuto a contesa con Minerva pel nome di Afene. E a Nettuno, che del diviso impero con Giove avea avuto il mare a retaggio, è dovuta l' origine del suolo Greco , secondo il sistema Nettunio. E Nettuno era figlio di Saturno. Servio (154) scrive quos Assy- rios constat Saturnum, quem et Solem dicunt ... co- luisse. Saturno o Crono era detto. Bel, il Sole, il Dio Supremo , il Dio della luce ; e lo stesso Servio ag- giunge Apud Assyrios autem Bel dicitur quadam Sa- crorum ratione Saturnus et sol. Quindi Nettuno par- tecipava al culto astrifero e Solare in modo che in alcune monete di Claudio ,-e nelle pietre incise, vedesi effigiato col fulmine; e a Nettuno fu sacro il cavallo, e ne fu egli il primo domatore. La dotta Grecia ci‘ha lasciato un Inno d'incerto Poeta, egregiamente voltato in versi italiani da Giacomo Leopardi (155), dal quale rilevasi tale attributo del Dio delle acque, non che la disputa con Minerva con questi versi. PA NO . Ela ti vinse, Che con la lancia poderosa il suolo Percosse , e uscir ne fè virente olivo Di rami sparso. Ma tu pur fiedesti La diva terra col tridente d’ oro, E tosto fuor n‘ uscì destrier che avea Florido il crine , onde a te diero i fati (154) Ad Aeneid. I. v. 621. (155) Parnasso straniero Vol. VI. p. 290 Zaz0 a Nestuno. Ve- nez. Antonelli. 40 1 cavalli domar veloci al corso Di te son lavabi I CRI de’ cavalli , e primo Tu de la terra Scotitor possente Ai chiomati destrieri il fren ponesti: Salve equestre Nettuno. Un simile saluto vien ripetuto da Virgilio nelle Geor- giche; . Tuque, o cui prima frementem Fudit equum magnum tellus percussa tridenti, Neptune. Pare non doversi sconvenire della natura vulcanica ed ignea di Nettuno , alla quale son pur relative. le parole dell’ incerto Poeta di sopra riportate , tu della terra scotitor possente, e ciò messo in rapporto al dominio che avea Nettuno sulla terra (156), e col ful- mine che avea in mano nelle suddette monete , oltre quello che ricorderò qui appresso, lo conferma. Imperoc- chè Libia fu moglie di Nettuno e la Libia, regione del fuoco, del Sole, della quale Mosco nell’Idillio II. v. 36 cantò ). è «+ . » Europa aveva » PESA panier bellissimo ammirando , » Grand’ opra di Vulcan , ehe a Libia in dono » Il diede allor quand* Ella di Nettuno » Lo Scoti-terra al talamo recossi. è (15 6) In un epigramma riportato dal Brunk. analect. t. 3. p. 117 è chiamato re del mare e padrone della terra — Fu detto —317— Su di che può consultarsi pure Apollodoro nel lib. Il della Biblioteca. Questo Nume era tenuto anche per massimo nella Libia, ove il Sole massima divinità. E 1 Atlantide famosa di Platone nel Crizia , retag- gio di Nettuno, ove il carro di tal Nume è tirato da'Ga- valli alati, non ricorda il culto Uranico , cui quella regione famosa ‘allude? E della Selva luminosa di On- chesto , città della Beozia , sacra a Nettuno ( Omero dliad..H. v. 13), come Rodi al Sole, 0 Febo, 0 Apol- lo, qual ragione non deve darsi, se non di luce e di mito Solare ? Apollo fu scacciato insieme a Nettuno dall’ Olimpo per aver mosso guerra a Giove, ed essi insieme inalzarono le mura di Troia. È poichè nel ci- tato inno a Nettuno , si fa menzione di Polifemo, (Ci- clopo), come figlio di lui, ciò rimena al mito dei Ci- clopi , cultori del mito Solare, e del fuoco. Virgilio al Hb. V. dell’ Eneide parlando di Nettuno, dice, pel suo apparire esser fugate le nubi dal Cielo; come fuggono innanzi al Sole. » Iungit equos curru genitor, spumantiaque addit » Frena feris , manibusque omnes effundit habenas:: » Caerileo per Sumina levis volat aequora eurru,, » Subsidunt undae , tumidumque sub axe tonanti » Sternitur aequor aquis , fugiunt vasto aethere nimbi. A Nettuno fur consacrati pure i Tori, e fu il Nume che presiedeva ai giuochi Istmici , e lo stesso incerto Poeta così cantava ; anche Enrossigeo , come Scuotitore della terra , fenomeno vulca- nico ; e l’ opinione de’ moderni è ben appoggiata alla vulcanica formazione de’ continenti pel fuoco interno, ddr Salve Nettuno Ampio possente , a te g.’ Istmici Ludi E le corse de’cocchi e degli Atleti Son sacre , e l’ aspre lotte : e neri tori In Trezene , in Pereste, e in cento grandi Città di Grecia ogni anno a l’ are tue Cadono innanzi. Noi nel Parallelo abbiamo toccato di Nettuno ravv& cinandolo al Nilo , che per gli Egizi era simbolo del Sole. Ora mi giova ridire, che con Nettuno si,ricon- giungono Busiride, Epafo, e quindi i rapporti con Osi- ride, il Sole. Sappiamo inoltre dai Mitologi che Net. tuno fu padre di Astaco e Rodi, nel che traluce anche il mito solare. Chi non sa che il colosso di Rodi era dedicato al Sole ? Alia sorella de’ Telchini , generò con Nettuno una figlia chiamata odo, dalla quale dicesi Rodi fosse appellata; e i Telchini , secondo Diodoro - Siculo, furono gli antichi abitatori di Rodi (157). Or questa gente ebbe fama di fabbricar immagini di Nu- mi, e segnatamente solari, I Telchini erano (158) ado- ratori di Nettuno , cui dicevansi figli ; furono prima in Grecia , indi passarono a Redi ; avevano fabbricata la falce a Saturno , il Tridente a Nettuno. I loro rap- porti sono conosciutissimi coi Cabiri, Dattili, Cureti, e Coribanti. Furono sacerdoti di una porzione di Pelasgi ai quali volendo far abbandonare il culto di Saturno, s'impegnarono in una lunga guerra nell’ Egialea contro Foroneo. Passati in Rodi governata da Api figlio di co- stui, introdussero il culto di Nettuno , al che si op- (157) Lib. V. cap. 65 edit. Didot. i (158) St. Croix hist. du Pag. t. p. 99 e seg. — 319— posero ì giganti, ossia gli abitatori primi dell’Isola, cultori della Religione di Rea, o la terra. Dopo guerre, inondazioni, e tremuoti, come può vedersi nell’ impor- tante luogo di Diodoro Siculo (4159), il culto del Sole rimase a Rodi per opera di Telchini coi loro succes- sori , gli Eliadi , ossia adoratori del Sole (160). Av- vertasi che in questa Isola riveggiamo Api , e poste- riormente gli Egizî approdarvi ed introdurvi il loro culto. Ecco come tutto si riattacca alla gran catena mitologi- ca Greco-Egizia; ed il Bue ed il cavallo ognor vi sim- boleggiano e vi figurano. Chi desiderasse conoscere al- tre relazioni di Nettuno col cavallo , e per esso con Glauco , leggere potrebbe il dotto Opuscolo di Vinet in- torno al mito di Glauco e Scilla (161). Dal quale to- glierò l'osservazione, che se Bellerofonte era figlio di Nettuno, e Bellerofonte trionfò col cavallo alato della. Chimera , ciò convince che Nettuno ha i suoi rapporti solari pel cavallo ; imperocchè cosa era la Chimera , come si è detto, se non mito di fiamme, di fuoco , 0 di vulcanizzazioni, o di popoli al culto solare addetti? | Ma se dalla Greca mitologia trapassiamo all’ Italica antichissima pur troppo strettamente a quella congiun- ta, troveremo il famoso Pico , il cui palazzo sì bella- mente descritto da Virgilio , non equivocamente fa tra- lucere il culto Solare, come può raccogliersi da tutl i mitografi moderni, e detto da Virgilio equum domator. Ora Pico riattaccasi ai miti già citati di Fauno, Ulisse (159) Luogo cit. , e ca pit. segu. (160) St. Croix op. cit, t. IT. p. 103, e 104. (161) Pag. 20 e 22. — 320 — non l’erratico , ma il gemello del detto Diomede ; d'T- perione , di Circe , evidentemente Solari (162). Odasi l Epico Latino (163). » Picus equum domitor: quem capta cupidine conjux » Aurea percussum virga, versumque venenis » Fecit avem Circe , sparsitque coloribus alas. Ciò fammi ricordare 1 oracolo famoso di Tiora nell’alto Appennino Apruzzese ove il Picchio fatidico su di un albero (164), a piedi del quale un bucranio , simbolo del Bue colonizzatore , e forse di un culto più antico, onde richiama tosto al pensiero antichissime prove- nienze, quali la colomba nera di Derceto (Semiramide), le colombe di Dodona in Epiro, o Tessaglia, 1 Ora- colo di Giove Ammone nella Libia, visitato da Ales- sandro Macedone. Ma per vedere sempreppiù gli stretti rapporti tra gli Orientali e le occidue Nazioni, massime la Grecia, e più da vicino le relazioni di questa con quelli ai tempi di Alessandro, e le desunte testimonianze, che non equi- vocamente mettono in rapporto il nostro basso rilievo con monumenti d’analogie indubitate , specialmente Per- siani, e di Ercole, punto di partenza delle mie conside- razioni, mi è d’uopo rammentare con Erodoto il fatto (162) Vedi Zannelli Vet. Osc. Inscript.; Corcia Storia del Re- gno di Nap. Vol. 1. Michelet. Hist. Rom. Niebhur Id. (163) Aeneid. VII. | (164) Dionys. Halicar.j Strab. V., Annali dell'inslit. ann. 1832 p. 254 e seg. — 321 — di Dario, già da me discorso, per ridire come i Persiani sacrificassero al Sole il cavallo , ed. avessero questo animale in somma venerazione, e con quale arte quel Re seppe approfittarsi. della Religione del Paese per ascendere al Trono ; del che fu in qualche modo imita- tore Alessandro , il quale può dirsi pure seguace del costume Persiano , in quanto che Semiramide, fu come — abbiamo veduto ; amantissima di cavalli con la ripor- tata autorità di Plinio. Per compiere questo articolo sull’ importanza del cavallo nel culto Solare, cui il Bucefalo allude, due. cose mi restano ad esaminare più da vicino, cioè il costume Orientale d'impiegare il cavallo per simboleggiare tale mito ; dal vederne tanti monumenti che rinvengonsi re- lativi ad Ercole, dal quale voleva discendere Alessandro; e il mito di Cefalo , che mi richiama alla etimologia di Bucefalo. i La prima proposizione traemi a dover ammettere sem- preppiù il sistema Greco d’ improntare le costumanze Orientali, e l’idea di Alessandro di voler parere l' £r- cole novello. Il Raoul Rochette , parmi , rischiari que- sta derivazione, che non era sminuita all'epoca del Ma- cedone , quando ricorda i rapporti del cavallo con l'Er- cole Assiro, dicendo «Esiste d'altronde una. testi- monianza curiosa e positiva sul rapporto simbolico del cavallo con l Ercole Assiro , e questa testimonianza la dobbiamo a Tacito negli Annali ( lib. XII. €. 13.) ove” parla di sacrifici offerti dal Monarca Sassanide Gotar- és all Ercole Assiro , adorato principalmente vicino a Ninive, e de’cavalli consacrati a questo ultimo. Lo stesso — 322 —- costume era passato presso i Greci in un'epoca primi- tiva, come riconoscesi da una moltitudine di tradizioni conservate in molti luoghi, con influenza Fenicia ( PAu- tore in tutta l’opera è conosciuto, come per le altre, per favoreggiatore delle Fenicie provvenienze ): testimo- nio il sacrificio del cavallo al Sole, che compivasi in Laconia , innanzi le sette colonne, emblema di sette pianeti , sul monte Zaleton ( Pausania II. ‘20, Se 3.), il cui nome richiama quello mitologico di Talo, una delle forme del Dio Sole Fenicio in Creta (Noi ab-- biam recato di sopra l'autorità di Pausania, e può ri- chiamarsi quella del C.re Avellino sul mito di Talo). Era- vene pure presso gli Etruschi fra'i quali la conse- crazione del cavallo al sole era conosciuta fin dalla più remota antichità , a giudicarne dal trovarsi il ca- vallo alato sul pettorale e sù molti oggetti sacri della tomba di Cere , in rapporto simbolico col Sole ( Grift monum. di Cere ant. etc. t. I. II. p. 61, 62, 2.); lo che non può mettersi in dubbio , perchè siffatti rap- porti debbono andare più innanzi nell'antichità Asiatica a quelli del culto di Mitra , com’ è -esposto nel libro del Zend-Avesta. La relazione simbolica del cavallo col sole ha lasciato d'altronde delle tracce innumerevoli nella numismatica de’ popoli Greci ). Il detto Archeologo più innanzi scriveva « In quanto al motivo che fece sostituire . . . il Cavallo al Leone ne monumenti d'Ercole, il motivo spiegasi naturalmente con un sistema di credenze , in cui il Cavallo era come il Leone , un animale sacro al Sole. E però che Se- miramide, della quale abbiamo cennato altre volte il —-393—" mito simigliante a quello di Alessandro ebbe carissimi i cavalli ; sicchè Giuba il più erudito de’ Re ( Plut. an Sertor. (IX t. II. p. 523 ed. Reisck.), riportava sul conto di Semiramide , divinità Assira , una tradizione, che ponevala pel cavallo nello stesso rapporto di Pa- sifae , divinità di Greta dello stesso ordine, col suo toro , sì conosciuto nella mitologia Greca, come ho detto. In fine su tal punto conchiudo con l' autorità dello stesso R. Rochette , che l’uomo a cavallo con la frusta era un simbolo aim per gli antichi di culto solare ( Vedi passim nella citata opera su di Ercole ). Per la seconda già ho tentato P etimologia del nome del Bucefalo , e superiormente ho esposte , qualunque possano essere le mie idee su tal riguardo , ed ho cen- nato il rapporto che potesse correre tra il nome di Bu- cefalo, e il mito di Cefalo. Ora volendo disaminar me- glio la cosa su tal punto , veggo che la scomposizione del nome del cavallo famoso dà luogo a due derivanze, che sembrami , vengono naturalmente cioè da Bue e Cefalo. Sulla prima , ho forse detto abbastanza , anzi troppo , e con noia de leggitori; ma a costo di parer minuto, amo ridirne alcun’ altra cosa sotto nuovo aspet- to, pel mito di Cefalo , che può esser messo in rapporto col primo componente del nome Bucefalo. Per lo che mi è d'uopo riandar prima su la favola di Cefalo. Chi non conosce l’amore infelice di Procri, e di Cefalo? ©hi non sa gl inganni di Aurora amante di questo? Igino in varie favole può abbastanza darne lucc, e specialmente nella 189", e Natal Conti nella mitologia. Ma se allarghiamo le nostre letture , trove- 41 — 324 — remo, che l Aurora con Cefalo, procrea Titono , Fetonte, Astinoo , maggiori di Sandaco , Cinira e Adone , secondo alcuni (165); secondo altri l' Aurora è moglie di Titono, da cui Memnone; genealogie che hanno l impronta solare (166). Secondo Igi- (165) Apollod. III. 14, 2., (166) Il ch. Giulio Minervini illustrando ( Monum. antic. ined. vol I. p. 19 e seg. tav. IV. Nap. 1850 ) un Zance/lone Nolano proveniente da S. Maria di Capua , ed esistente presso il Signor Raffaele Barone in Napoli, viene a confermare molto a propo-- sito tal concetto , riconoscendo nella terracotta il mito di Au- rora, di Cefalo, e ‘l'itono, per li quali è ricorso, con dotte osser- vazioni e mitici racconti , a’ rapporti solari, facendo conoscere la rarità de’ monumenti , in cui sia attaccato un mito riferibile a Titono, per lo che vedi la sua not. 4. p. 21. Non ha trascurato fe morali osservazioni sulla scorta di Ateneo, non escludenti però Ja derivanza da’ luoghi Orientali, da cui mosse il giorno Hpep&); è però un mito di origine Assira, o Fenicia , e trovo. giustamente. dall’Autore arrecata l'autorità di Eustazio , circa la significanza solare ( not. I. p. 24), dalla quale , parmi , non doversi resi- lire, da che ho dichiarato, con la guida di R. Rochette, come Memnone, evidentemente appartenente al culto in parola, e iden- tico al Pamenophis, bellissimo, e bianchissimo , dinoti la bellezza della Zuce, e la bianchezza simbolo di essa, e del Sole, donde l'etimologia di Zuza ; come si ha da Strabone”, e come in altri luoghi ho pur manifestato. E dal veder congiunti in una medesima genealogia Aurora , Cefalo , Titono, Fetonte, ci-pare non esser affatto dubbioso asserire l’appartenere il mito di Aurora, di Ce- falo, e di Titono al culto solare. E dalle osservazioni dell’Heyne ad Apollod. IH. 12, 4. p. 300, e 301, togliendo che Titono fu lo stesso che Memnone « nomen ingenio poetarum potius, quam » ulla historiae fide ad res Troianas est traductum. Aegyptium » ab initio fuit sed corruptum ( apud Pausan. I. 42. p. 131. ) » Phamenoph est » rammentando con Memnone, l'armonia de- Iii no (167), Procri moglie di Cefalo fugge in Creta, dove trova finalmente pietà dei suoi casi da Diana, da cui ricevè i dardi, e il Cane Lelipe invincibile ; e l’Aurora si mostra in rapporto con Fetonte e con Memnone suoi figli , a cia- scuno de’ quali si dà l'epiteto di Zous, o Aous:; e ci ri- chiamano a memoria i, cavalli del Sole Pyrois, Eous, Acthos, e Phlegon (168). Aous, è identico ad Aodoto, ad Adone; le quali etimologie ci riconducono alla Cilicia, e al- l'Isola di Cipro. Se aggiungasi, che madre di, Aurora, ed Ava di Memnone fu Leucippe , sorella di Teonoe , saremo condotti al mito di Memnone si celebre , alla sua armonia ; all’ Egizio Pamenofi, alla statua vocale, al mito di. Osiride, al Celenderis , e per Leucippe ci riporteremo a Tifone , uno de’ maggiori di Sandaco, si- nonimo di Ercole, e al bianco cavallo del Sole e di Ercole. Nell’ Ercole Sandaco di Cilicia nudo; a cavallo di galop- po ; vediamo il fondatore di Celenderis, da xedeydepts, ( cavallo bianco del Sole ), Città di Cilicia, come vedesi in una medaglia, riportata dal Pellerin (169); e su la quale il dotto Eckel ha fatto bellissime osservazioni. Nella gli astri e dell'ordine mondiale , î sua figliuolanza da Gia ordinatore del sistema del mondo, ‘l'istesso che il Dio Sole, il Su- premo Pianeta, traggo la opinione di doversi rimontare per tal mito alle idee astronomiche. Guigniaut Not. du liv. Ii, me n. 931 e seg. vorrebbe Memnone un Faraone immortalato dalle spedi- zioni. (167) Fav. 189. (168) Ovid. Metam. II. ; Hygin. fol. 183. (169) Recueil etc. tab. 73 Eckel. D, N. vet. III p. 51; Creu- zer Symb. des Rel. de l'Antiqu, pl. 56, 219. è — 326 — medesima evvi dall'altra parte ( rovescio ) un bove, con testa volta in dietro. Ci vediamo pur tratti a Cinira Re degli Assiri, e figlio di Ercole e di Farnace; su di che il detto Creuzer (170) vede il culto solare nel primo, e in questo ultimo il Lamare, e l'identità con la Venere di Pafo, Urania; ein Cinira, l'Adone, o l'amante di Venere. Da ciò ben vedesi, come col mito di Gefalo raggrup- pansi i più importanti Miti Solari e Lunari , di cui esso è l espressione essenziale , e abbiam potuto tra- vedere, come a tali culti alludono i nomi de'destrieri. del Sole; ed abbiamo pure in Natal-Gonti (1741), che l'Au- rora ebbe prima due cavalli, l’uno chiamato Fetonte, e l’altro Lampo , e quindi ne aggiunse a simiglianza del Sole, altri due ; e perchè Y analogia tra il mito di Cefalo abbia maggior conseguenza con l'etimologia mi- tica del Bucefalo, veggasi il Miller (172) sul levar del Sole nel Partenone indicato da Cefalo. Riassumendo a- dunque tutto il detto in poche parole , potrei da queste conghietture conchiudere, che il Bucefalo di Alessandro pel suo secondo componente di tal nome accenni al mi- to solare, sì specchiato in quello di Cefalo , dell’ Au- rora etc.; e rialtaccandosi ad Ercole fondatore di Celen- deris, ove la medaglia col ‘personaggio nudo sul cavallo (170) Relig. de l’antiqu. lib. 5. Cap. VI. p. 214. (171) Mitologia p. 290 de So/e.— Cum vero lux Aurora sit ante .. Solis ortum iidem Solis equi dicuntur portare Auroram p. 292. Licofrone vuol portata l’Aurora dal cavallo Pageseo; e ‘T'eocrito dà all’Aurora bianchi cavalli: Nec pullis Aurora domum Iovis, at petit albis. ; (172) 22. d' Archeol.t. NI, p. 307. — 327 è bianco di galoppo, simbolo di Ercole, o anche di Apollo che fosse, secondo alcuni, sempre addita il culto solare, ed il principio femmineo per lo Bue, che osservasi, co- ., me ho detto di sopra, ipy ag opposta della me daglia. Ma ciò non è tutto, ‘perch il mito di Cefalo ripor= tandoci alla Siria , © Adinia”. spesso confuse , all Egit- i to, alla Gilicia a Cito, all'Italia , e specialmente alla Grecia, in siguiro a questa , pria di proseguire il na- stro esame sulla medaglia, e città di Celendira , ci è d’ uopo trasportarci a Leuca e Cefallenia. Con la prima verrà a memoria il salto di Saffo in- namorata di Faone, o come vuole Strabone, di Cefalo figlio di Deionio, e meglio, come vuole 1’ annotatore del Geografo dell’ edizione del Dutheil , la prima pruova dovè esser fatta dalla figlia di Pterela, amante di Cefalo, figlio di Deionio. Intanto ricorrono intorno a queste Isole le memorie mitiche, di cui Strabone per venire in chiaro di tutto ciò che risguardava Itaca famosa, la serena Itaca, le Isole Cefallenie, e l Acarnania, raccoglie tutte le autorità di Omero, e di altri Scrittori. E quel che importa al mio assunto moltissimo, si è appunto vedere ricordati Ulisse e Diomede per Itaca, e la Ce- fallenia; e secondo Eforo , presso lo stesso Strabone Alemeone e Diomede furono uniti per guerreggiare i Te- bani, per punirli di ciò che avevano fatto ad Veneo, avo paterno di Diomede ; nel che veggiamo i famosi Qenia- di : quindi la conquista dell’ Etolia accordata a Diome- de, e così questi Eroi mitici li scorgiamo vicini, del pari che il rinomato Acheloo , di cui diremo di quì a voi SOY poco , e tutti appartenenti al culto Solare ed ai Pelasgi Dardamidi. | 0° Lungamente nel detto Strabone vediamo inoltre parlarsi su l origine del nome di Cefallenia., su di che non fermandomi, passo a notare che Anfitrione, innanzi Pas- sedio di Troja, con Cefalo; aveva fatta guerra ai Tafit e Teleboi, pirati (173), le cui isole erano tra Lewcade, e le coste dell’ Acarnamia (474). L’accurato Geografo non vuole Tafio identica a Cefallemia. In riguardo al pri- mo-luogo, edizione del Dutheil ( lib. X. p. 46 e 47 not. 3 ), è riportato Apollodoro (15 e 4 $ 5 n. 4 ), il quale dice intorno ai Zeleboî, che da Me- store, figlio di Perseo, e da Lisidice , figlia di Pe- lope, nacque Zppotoe., che Nettuno tolse conducen- dola nelle Isole Echinadi: n° ebbe un figlio , che chia- mò Tafio, che fondò Tafo , e diede a questi popoli il nome di Teleboi, perchè (da Tele ) era andato lungi dalla sua patria. Ecco adunque i Teleboi popoli Pe- lasgi discender da Perseo, e rimandare all’ origine Pe- lasgo-Arcadica , e Dardania; e i Teleboi, può ve- dersi in Michelet, (175), Gorcia (176), erano popoli (173) Strab. lib. X. p. 50 Del Dutheil. (174) Id:m ibid. not. 4. p. 59. Dutheil. (175) Hist. Romaine t. premier p. 20. Ze culle magique de la flamme , ce mystérieux agent de !° industrie, cette action vio- lente de la volonté humaine sur la nature. ...... Le Cabires de Lemnos, de Samothrace et de Macédoine (le mé.ne nom desi- gnait les Dieux et leurs adorateurs ) élaient des forgerons et des mineurs , commé les Cyclopes du Peloponnèse, de la Thrace , de I Asie mineure , et de la Sicile ec. (176) Stor. del Regno di Nap. — 329 — . industriosi, che scavavano le miniere e adoratori come i Ciclopi, i Lestrigoni , i Lapiti, del fuoco e del Sole, e appartenevano al sistema del culto Cabirico di Sa- motracia. E per: questo lato, e per I autorità di Stra- bone, che riporta l opinione di chi disse Cefalo capo e reggitore di Tafii 0 Teleboi, al quale Anfitrione ,, diede le Isole Tafie , ricorre il culto Solare ; e il salto di Leuca ricordando i sagrificii umani fatti annualmente ad Apollo , l’istesso che il Sole , ricordano pure Faone figura e mito Solare. E per singolare ‘analogia, il Bucefalo di. Alessandro contiene .l’ elemento del. mito Pelasgico di Cefalo, che combattè i Telebor , poichè tolta da quest ultima voce, secondo l’addotto luogo di Apollodoro , il Tele, resterà Boo o Boe, omonimo di Bove, che insieme a Cefalo , offrono la più perfetta omonimia di Bucefalo. Ora adunque conviene riportarci alla medaglia di Celendira, che avendo nel rovescio il Bove , ci richia- ma alla Dea di Pafo , a Venere, al mito Lunare, e però alla Iside Egizia, a Pasifae Cretese, all A- starte Assira (177). E nel mito di Memnone figlio del. (177) Dottissime osservazioni ha fatte il R. Rochette ( op. cit. p. 228 e seg. ) su l' Ercole Cilicio sposo di Farnace , Dea Lu- na, nome Cappadocio del Dio Luno, richiamando la tradizione del culto dell’ Ercole Tirio Di-Sandon comunicato ai Cappadoci , per li rapporti d'origine e di credenza con le nazioni Semitiche della Siria. Il Movers per aver trovato in Apolledoro ( IH. , 14.3. ) avan, corretto però dall’Hyene in Sapyaxn, voleva abbrac- ciar tai voce, pel rapporto con Tarzis, torma d' Anaitis,, la gran Dea Luna Asiatica. Ma dal Suida si ha Furnace Madte di Cinira, Dippiù a Babilonia sotto il nome di Pherzoucos (Zunb/. 330 — P Aurora , vedersi può il mito di Osiride , il quale noi abbiam detto esser simboleggiato. dal Bue-Api. E la Dea di Pafo , Pasifae, non aveano la convenienza del ‘Joro simbolo in siffatto animale ? Delle quali cose to- glier vorrei I’ altra ragione del primo composto di Bu- cefalo , che abbiamo scompartito in Bu-Cefalo. E del Bue , oltre il Bue Api, della Pasifae ; della Dea di Pafo , come nella menzionata medaglia di Celende- ris, ne abbiamo altro esempio nel Bue Androproso- po dell’'Acheloo. Ma poichè abbiamo nominato. Me- mmone sì congiunto all’Aurora , a Cefalo, a Titono, apud Phot. Cod. 94 Movers die Phoenicier |. 649.; Auson. Epi- gram. XXX. 3. )è una personificazione del Dio Solare. Il doppio nome di Farnace ricorda il doppio sesso delle divinità in uso presso i popoli Scmitici, così Ba0/ maschio e femmina , il Milras. Mitra degli Assiri e de' Persiani etc. Quindi nel mito di Sar- daco , il Dio Sole, e Farnace la Dea Luna, la Dea natura degli Assiri, l' Onfale , tanto celebre di Lidia , regina, guer- riera, e voluttuosa , che fa perire i suoi amanti, in che somi- glia a Semiramide , come ad Atergate Siria, a Lamia della Li- bia , tutte espressioni diverse della stessa Zura Asiatica , sù le quali simiglianze il Movers ha benissimo parlato ( Die Phae- nicier 1. 469, 477 ). Il culto della Dea Natura a Babilonia si associa ancor più a quello di Semiramide , divinità dello stesso ordine, come abbiamo visto altrove ; di Astarte d' Ascalona, e della Dea di Paphos , epperò della Dea Siria. Coi quali miti ri- chiamasi quel detto d’Igino (fol. 243): Semiramis in Babylonia, equo amisso , in Pyram se conjecit. Il cavallo sacro al Sole è messo in rapporto con la Dea Luna Assiria, secondo Iuba, pres- so Plinio VIII 42 64 nell'istesso modo che il Toro, anche ‘ani- male sacro al So/e, con Pasifae, la Dea Luna Cretese. E però l'analogia di Alessandro , e del Bucefa/o , per le discorse cose, e per le relazioni col Bue Api, e col Bue Epafo , 0 lo. — 331 — e poichè identico ad Osiride per lo culto ,, per le ri- membranze, per da beneficenza, e per la custodia. delle Città, onde Phamenophis j ed il mito di Mem-. none riattaccandosi all’Oriente , al mattino, all’appa? rir dell'Aurora sorgente della Luce, era tenuto per bellissimo e bianchissimo , e trovando la morte in 0c- cidente , ebbesi ricorso al pianto dell'Aurora , per essa e pel suo disparire. Ogni Città ebbe il suo Memnonio, come il suo Serapeo ; ed a Miroe, e a Memfi avea sacrificii; e quando il primo raggio del nascente Sole vibravasi su la statua dell’Eroe , rendeva un dolce suo- no, dopo il quale principiava il canto de’ Sacerdoti , dal che può ben dedursi l armonia del suono (178). Gli Egizii, e la più parte de’ popoli Orientali osser= vanti e cultori massimi dell’ astronomia, con che fa- bricarono la loro Teologia , scopritori de’moti delle sfe- re celesti, maravigliati dell’ accordo del creato, del- Y armonia dell'ordine, de'loro movimenti nell’ immensità dello spazio, ferono Giove l’ordinatore di siffatto sistema, lo posero immobile ne’ cieli, e in Memnone suo figlio, prendendolo per tale, dacchè, dicevano il pianeta Giove Y istesso che il Sole, questo figlio della Luce fu de- stinato a presedere e stare immobile su la terra fra le vicende della luce e delle tenebre ; sicchè presiedeva all’armonia dell’ ordine , e de’ movimenti astriferi , e qual direttore de’ concerti armoniosi delle Sirene nelle celesti sfere disposte ; e da ciò 1 tuoni musicali , e la scrittura, e la mitologia figurandolo figlio di Titono, (178) Creuzer lib. III. Cap. VIII. p. 487. — 332 — vi ritroviamo il Tot , il Taut, il genio delle scienze, » del sapere, I’ armonizzatore benefico dell’ Egitto. Delle cui qualità troviamo un riscontro stupendo nel Bue Acheloo, del quale possono vedersi le disquisizioni del dotto Iannelli (179) su la significanza di quel mito (179) Yet. Os. Inscript. p. 32-34 In questo profondo mito del Bue Androprosopo Acheolo tipo massimo e Cosmogonico del Pan- teo Dodoneo ritroviamo pure Ercole, Demiurgo, e Creatore, il Kium di Palestini, Fenici, Egizî, Osci etc. il quale mito Dodoneo de’ Proto-Pelasgi fu appartenente anche ai Macedoni popolo an- tichissimo Pelasgo Arcade , Dardanio, i quali proto-Pelasgi pas- sarono quindi in Italia, seco portando il mito del Bue Acheloo, come dalle monete di molti luoghi di essa. Tal mito ritrovasi pure nella teogonia Egizia in Osiride, nel toro cosmogonico, e presso gli antichi Persiani nel toro Abudad e Gao-Mard e simi- lissimo al Mitriaco. Le Sirene disposte nelle sfere dirette da Mem- none hanno riscontro nelle Sirene dell’Acheloo Dodoneo, in'orno alle quali così discerre il Iannelli Op. cit. p. 40. « quia si Acheloo Dodoneo datae Sirenes filiae , et his dotae exquisita peritia Musi= ces, ut ipsis nos vidimus in Tentam. Herm. Gen. p. 60, 61, et filiae istae Acheloi datae comites et sociae initioò rerum Pro- serpinae Archaegonae: factum quia hujus mundialis machinae ge- neratio absque exquisitissima singularum partium harmonia ha- beri non poiuit , nec fieri potuit, quia fundamentales \oyov onsp- uorimor Tauri genitoris non fuerint positi in certis quasi musicis proportionibus et temperamentis ut jamdiu Orphici , Pythagorici, Confucistae, et plerique alii veterum philosophorum profunda per- suasione sunt arbitrati. Hinc Nymphae genitales etc. In tal modo sono ravvicinati i dommi Egizî di Memnone , quello di Cefalo, dell’ Aurora , del Bue Api, del Toro Acheloo dei Greci, de- gl Itali , al quale ravvicinamento ci ha richiamato l'etimologia del Bucefalo di Alessandro, e il mito di costui. E l’Ercole Demiurgo, batlagliere dell’ Acheloo , per Deianira, la natura delle cose, ritro- vasi nuovamente a fronte dell’Erco/e noveZ/o, l' Alessandro Macedone. — 333 — ‘ tutto allusivo alla musica , al canto, all'’armonia , alla ‘cosmogonia ; ed ivi pure le canore Sirene Acheloe , onde che per siffatte idee , parmi vedere nel Bucefalo armonizzata l analogia con i miti di Cefalo , dell’ Aw- rora, e di Memnone, il culto Solare e Lumare , il mito dell'Armonia , dell’ ordine (480) , simboleggiati dallArmonia delle sfere , e il rapporto il più stretto tra queste e quello di Bucefalo ; e siccome larmonia celeste debbe adombrare quella dei terreni, Alessan- dro fra essi nato per arrecarla fra gli uomini , e per ravvicinarli ; nel Bucefalo troviamo anche questa idea che fregia uno dei più grandi fra gli Umani, il di- spensatore di beni, il riordinatore , il riorganizzatore E non voglio , che resli trascurata la profonda simbologia delle corna data all’ Ahe/oo ed alle Sirene , del quale simbolo amò tanto Alessandro vedersi fregiato, come ne' ritratti suoi, e nelle medaglie atiribuitegli, perchè esprimente al vivo , nella mitica favella , la signoria, l’Imperio del futuro , il dominio dell'Oriente e dell’ Occidente. . sl (180) La religione degli Etiopi degli Egizii , dice il Leo Stor. Univ. p. 39, e segu. simigliantemente al Bramzismzo, ha un fon- damento astronomico. I Pianeti che raccozzandosi per la serie So- lare e Lunare maschile e femminile , con Osiride ed Iside, e formano il numero di sette, numero il più sublime , presiedono allora ai giorni della settimana , e ai singoli anni del settenne periodo , cui ne aggiungono un’ottavo detto ScAmur, che signi- fica l' Universo ovvero la terra. Tale è l'ordine ( nota 1. ) antico dei pianeti, in cui il Sole sta in mezzo, e sono gli altri disposti secondo velocità del lor movimento. In quest’ ordine le stelle mo- bili ( come le grandi potenze mondiali , gli E/o4im ) presiedono appo gli Egizii a’sette tuoni della musica. Cnfr. Gustavo Seyffarth Lipsia 1803, gi us "3" dell’ armonia , immagine di quella ‘celeste , perchè | già. disse bellamente nel suo ‘Sonetto il Mazza ‘» Tutto l Orbe è Armonia l’ Olimpo è cetra. » Toccando al fine queste mie riflessioni, potrà diman- darsi, quale scopo dovevano avere i Pompejani in ser- bare un bassorilievo risguardante Alessandro il grande ? Oltre le relazioni con la Grecia della nostra (Gittà di Pompei ; in cui era vivo ancora ai tempi anche Romani il parlare Greco ; oltre il numero ben grande di pa- piri rinvenuti in Etegliho” e tutti a’ Greci Scrittori ap- partenenti ; ; vha' nna IPP con l'iscrizione Aeschilus, per ile tragedie in Pompei rappresentate. Nell’ iscrizione nel rovescio portante XII. AICX YAOY,'la parola prin- cipale venne letta per AlcyvAoy di Foehilo. Fu così in-. ferpretata nella supposizione; però assai verisimile, che» nelle città della Campania si rappresentassero ancora le tragedie del più antico tra i sommi tragici Greci (Er- colanesi ‘pitture 2. serie parte II.). Il che è bastevole a render ragione dell’esistenza del bassorilievo: in Pom- pei. Abbifimo eziandio l'autorità dî Dionigi d’Alicarnasso cur. P. 2315. Reiske), ‘che gli abititori di Nola, sì” vicini” a Pompei, ‘amavano assai tutto. ciò che fosse. Greco. I vasi Nolani rimarchevoli per l'eleganza della forma ,-e del disegno; la bellezza della vernice , e del colore giallo-rosso , e della materia di | cui ‘sono la- | vorati, possono appartenere all’epoca di Filippo e di . Alessandro (Miller. Manual. d'Arch.t. I. $165n. T.). Se terrassi a memoria , che di Alessandro eransi fatti » , «dd ritratti, e presso i Romani , come in tutta Italia, € nelle Colonie Italo-Greche servissero ‘di talismano, non sarà stato strano, che i Pompeiani ne avessero mont- mento duraturo , e lavoro di abilissimo scultore , quale ci sembra quello del nostro bassorilievo ; e inserviente al culto dell’ uomo straordinario, come lo era servito , se- condo il Visconti, il bassorilievo della battaglia d’Arbela. Vorrei essere ardito a dichiarare , che siccome nel cavallo Epeo , onde Troja cadde in potere de’ Greci , vediamo un Ciclo mitico , e snodata l'idea Occiden- tale, e il dominio di essa in Oriente effigiata nella Troja Pelasga , e svelato il culto Eliaco de’ primitivi Greci, così in Alessandro domatore del cavallo Buce- falo , qual discendente del primo aggressor dell’ Iliaco muro, vedersi debba enodato il secondo Ciclo Occiden- tale, in cui gli Europei, per mezzo di Alessandro il Macedone , sì temuto da Cassandra , (1841) danno l’ul- tima mano al periodo , già finiente degli Orientali , col- l’abbattere l'Impero Persiano. La civiltà ha le sue pe- regrinazioni : venne d'Oriente , abitò la Grecia ; ingen- tilita e magnificata da questa , tornò in Oriente più ricca di quel ch’erane uscita. Alessandro nuovo Tesmo- foro Europeo e della stirpe Dorica ‘n°’ ebbe il carico. Ei ve la riportò come Ercole , e ciò compose il mito del suo tempo. La prima spedizione ebbe compimento (181) V. Licofrone Canto. VI. E molte guerre poi faransi, e molto Sangue versato , in questo ed in quel lito , Fia per l’ imperio ora perduto , or tolto. io 336 — mercè d'un cavallo ; la seconda ebbe cominciamento col cavallo domato , simbolo della barbaria dannata e vinta. ’ Sarommi infine per avventura mal avvisato ricono- scendo nell’ interessante bassorilievo un mito fra i tanti ideati ? Da quanto la brevità del tempo, e la mia po- chezza mi han permesso, mi lusingo doversi accordare qualche ragione al mio assunto , ed indulgenza al mio dire. FINE. INDICE PREFAZIONE . . . Mo: . Pag. Norizia sul siii i del Husseilieto seit in Pommpéii “Vil dda gi MI Do PARTE PRIMA. CaritoLo. I.° Il Bassorilievo rappresenta Alessandro che doma il Bucefalo? ._. . FERIE” CapitoLo II. Sul Dergale > domato ù Alessi dì “> PARALLELO. Di Alessandro e Romolo . . : è... . _» PARTE SECONDA» CaritoLo I.° Alessandro domatore del Bucefalo è un Mito "Salaze Pf ode. ca CapitoLo II.° Il Bucefalo concorre a dicliansii ui il mito d'Alessandro? . . . . » CapitoLo III.°I cavalli nell'antichità furono simboli del Sole. AR al e a I 82 I Logoria sd diodo | Marie de crm olim Pa i sota brilla Fer Ng (o. osorita;) | ERRORI 5 Kausayos: 6 Tessalo 7 Macedone Segit 9 Numidae gens par «Sprone ne' fecisse 4 eccellentissime volevano 22 volerono Not. 89 tutte le 22 d'oro (94), nella 24 appartenerono Not. 107 equus 6 Il Suida 12 Partenone di Atene 1 quel che I reliqua 9 aventino 8 prenderono Nota 6 Giunone 7 ’Asv Not. 23 eternos 15 Macedone not. -60 Znyos IIoce:dày. ! 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