RATER ts Wen re tu HAN FRE pt ANe Loniones RERLU (hr HANPATEE V4 . DIS pe Fe “ie rs AE 11 site UAPIEL El ne PEN 2 abrite : He Hire let PAU We Lai ñ 14) n EE de ou met Cine prier Pen pre dr paipee et ae gr À EN ET DE PALÉONTOLOGIE PUBLIÉES SOUS LA DIRECTION &” $ _ MARQUIS ANTOINE DE GREGORIO SL Livraison (Décembre) ALBERT REBER PALERME VEAREL VOCJIOGE CO EUX CMENUAENA ANNALES LU _GÉOLOGIE . cn PALÉONTOLOGTE BE ROUE AN ONE . a 31 Livraison. — Décembre 1906. Osserrazion sua srattura della cengre del Vesuylo eaduta in Napoli nel 1906 CENNI SUL VULCANISMO DELLE ISOLE EOÔLIE durante i tempi storici e sui loro antichi nomi DEL MARCH. ANTONIO DE GREGORIO ALBERTO REBER PALERMO 1906 Italien car elle interesse surtout les Ielense RO DO DO DO DO OLD OO LC AO DO OO DO DO DO DO OR OA ER CE CL En Er Dr D D RD ne Tr. à ne) STRUTTURA DELLE CENERI DELL'ULTIMA ERUZIONE VESUVIANA Taluni fenomeni di cui siamo abitualmente spettatori e che sembrano cosi semplici ed ovvi da non attirare la nostra attenzione, quando si studiano con occhio acuto scrutatore, non appaiono più tali, ma determinati da cause le quali sfuggono alla nostra prima indagine o restano dubbie; chè se con una oculata investiga- zione si possono queste talvolta sceverare, tal altra perd rimangono oscure, onde ci è giocoforza arrestarci alla ipotesi più verosimile. La formazione della grandine, il colore azzurro del cielo, la orientazione dell’ago magnetico, la formazione della nebbia, la sospensione delle nubi, l’attrazione, o in altri termini, il peso dei corpi, sono bensi fenomeni comuni , ma di cui tuttora non si & data esauriente spiegazione. Intorno alla causa delle eruzioni laviche e altri dei fenomeni sopracitati ho già fatto una comunicazione alla R. Accademia delle scienze di Palermo; in questo articolo mi limito a dare un cenno degli studi da me eseguiti sulle ceneri dell’ultima eruzione del Vesuvio, augurandomi che possa essere di qualche interesse al lettore. Le ceneri vulcaniche hanno tale epiteto per la loro grande tenuitä. Esse, come è noto, hanno su per giù la stessa composizione mineralogica delle lave, silice, calce, magnesia, argilla, potassa, soda, I cam- pioni da me esaminati furono raccolti dentro Napoli stessa, taluni nel golfo in mezzo al mare i giorni 6, 7, 8, 9, 10, 11 Aprile. Sono sensibilmente dissimili fra loro non solo pel peso specifico, ma anche pel colo- rito. Sono su per giù grigiastri; taluni perd tendenti al bruno, altri al plumbeo. La cenere caduta il giorno 7 rassomigliava a sabbia estremamente fine piuttosto che a cenere. Dissi che il peso dei campioni varia entro certi limiti, cid dipende in parte dallo stato di frazionamento. Riempiendo con garbo un cubo avente un lato di 6 centimetri (cioè un volume di 64 centimetri ceubi) dei vari campioni di cenere, ho trovato valori oscillanti. Il più leggiero risult di un peso specifico di O, 70, il più pesante O, 97. Parrebbe cosi che la cenere dovesse galleggiare, lo che non accade punto; l’errore di tal metodo dipende dallo spazio occupato dall’ aria. Rifacendo lo stesso sperimento, sottoponendo la cenere a una discreta pressione, ho trovato un valore medio di 1, 12 cioè poco superiore al peso dell’acqua, infatti, immersa in questa, va subito giü. Si potrebbe seguire forse il metodo classico di Archimede, ma atteso la porosità , si potrebbero avere valori non esatti. Certamente è più pesante dell’acqua; ma è falso quanto asseriscono i giornali del forte peso speci- fico della cenere. Ho provato ad avvicinarla all’ago magnetico, ma non ha questo menomamente deviato. La cenere perd 4 ANNALES DE GÉOLOGIE ET DE PALÉONTOLOGIE sotto l’azione di una forte calamita viene attratta; infatti immergendo in essa un potente magnete, si trova alla sua estremità un fiocco di pulviscolo. Collocando il magnete sotto un foglio di carta, sul quale sia spolverata della cenere, imprimendo alla carta un lieve tremolio, avviene che una certa quantità di cenere si profili sugli spigoli del maguete sottostante. Tali fenomeni perd non indicano nulla, non presentando alcun che di peculiare. Ben più fecondo è staso lo studio microscopico, dei cui risultati do di seguito un cenno. La forma dei granuli è affatto irregolare, nè presenta nulla di simmetrico. La tinta di essi è grigia- sStra; ho trovato perd qualehe granulo verde come l’olivina, raramente qualcuno tendente al celeste, al rosso, più di raro qualcuno trasparente. Molta difficoltà ho incontrato per esaminare l’intima struttura, per- chè essendo i granuli opachi, adoperando il microscopio come di consueto, ben poco si scorge; aumentando la luce dalla parte di sotto, non si riesce a nulla; per discernere cosi qualche dettaglio, si deve contentarsi di piccoli ingrandimenti, che non sono affatto sufficienti a fare scoprire l’intima struttura. Per poter esami- nar questa, ho studiato i granuli che sono di minima dimensione e quindi che lasciano passare la luce, e ho ricorso a un altro metodo: ho concertrato per mezzo di un sistema di lenti un vivissimo raggio di luce di- retta solare sulla superficie superiore del vetro porta-oggetti cioè sulla cenere, affievolendo la luce proiettata dallo specchio sottostante o del tutto intercettandola. Con tal mezzo ho potuto adoperare un ingrandimento di mille diametri e ho potuto discernere la microstruttura dei granuli di cenere. Qua e là appariscono delle bollicine estremamente minute, somiglianti ad altrettante puntine brillanti; sono evidentemente prodotte dalla dilatazione dei gas e con ogni probabilità vuote.La sostanza costituente la cenere è tutt’altro che omo- genea, ma intersecata in tutt’i sepsi da corpuscoli nerastri, vermiformi, brevi a guisa di esilissimi baston- cini ricurvi, somiglianti in modo prodigivso a colonie di bacilli. Sono dei microliti speciali che a prima vista pare formino un tessuto continuo ; laddove guardati attentamente, appaiono indipendenti l’ uno dall’ altro, ma ragoruppati irregolarmente. Il fatto di inclusioni microlitiche in rocce di formazioni cristalline non è nuovo, ma non credo che sia stato finora notato nelle ceneri vulcaniche nè tampoco di simil foggia. Tale concrezione speciale della materia e a cosi alta temperatura ha una importanza massima, perchè mostra una manifestazione di energia e di individualizzazione della materia anche in tali circostanze speciali. Continuando tal genere di studio, altre osservazioni mi è stato possibile di fare. Osservando i granuli di cenere più piccoli, in cui le bollicine gassose, di cui sopra parlai, apparivauo più distinte, isolate e di dimensione (per quanto minutissima) relativamente maggiore, non ho più trovato il tessuto microlitico sopra descritto, ma delle bollicine esilissime a contorni definiti, esaminando le quali ho constatato due fatti: 1° Che lo strato superficiale del liquido avviluppante la bolla e solidificato acquista uno ispessimento o per meglio dire un condensamento maggiore del resto della massa. 2° Che in ogni bolla si trova un microlito il quale re- sta rannicchiato aderente alla parte interna della bolla per circa una metà del circuito. Tale osservazione non pud dipendere da un inganno ottico causato dalla proiezione dell’ombra dello strato avviluppante, o da inter- ferenza, perchè il microlito si trova adagiato in un senso o nell’altro, indipendente dalla direzione della luce, Esso appare come se fosse conglobato e captato dalla bolla in guisa perfettamente analoga à quella di ta- luni bacilli, i quali rimangono talora avviluppati da globuli di sostanza eterogenea lo che avviene (per esem- pio) per opera di taluni sieri speciali sui globu!i rossi e sui batteri. Fatti analoghi ho io stesso osservato nell’azione di taluni liquidi in taluni spermatozoi. Le azioni delle tossine e delle antitossine trovano pure un riscontro in tali fatti. Infine talune soluzioni colloidali mostrano fenomeni di agglutinazione. I fatti da me sopra accennati hanno grande importanza, perchè mostrano uno stadio speciale di attività della materia ignea. Sono importanti altresi, perchè mostrano dei riscontri con fenomeni disparati, ma che infine non sono pure che manifestazioni, dello stesso principio vitale. I microliti si trovano comunemente nell’ossidiana, nei feldspati, nell’augite etc... non di raro sono quasi trasparenti, talora sono seuri filiformi e si soglion, chiamare « trichiti ». Quelli da me osservati nelle ceneri del Vesuvio, appartengono a questa categoria ; perd hanno una forma tutta propria. STRUTTURA DELLE CENERI DELL/ULTIMA ERUZIONE VESUVIANA 5 Tali fenomeni trovano, come ho detto, un lontano riscontro con fatti biologici e se non entrano nella sfera dei nuovi studi di biochimica, impromettono nuovi importanti risultati, schiudendo nuovi orizzonti allo scibile. / Tra le manifestazioni di attività della materia le più studiate sono quelle della cristallizzazione, ma molto più importanti sono quelle che dipendono dalla microstruttura delle particelle microscopiche , specialmente -quando queste si trovino in condizioni tali da potersi liberamente disporre, cioè quando si colgano nelle fasi di libero orientamento e sviluppo. E qui mi giova richiamare l’attenzione e lo studio alla microstruttura delle forme dendritiche e alle lente deposizioni chimiche. Certo i limiti tra la materia inorganica e organica vanno sempre più offuscandosi e se tuttora esiste una linea distinta di demarcazione, non si pud tacciare di assurdo chi preveda che finirà questa per cancellarsi. Non ricorderd le lunghe dispute intorno alla organicità dell’ Eozon canadense e come sia prevalsa l’opinione di Môbius che la ripudia; non so perd astenermi dal ricordare come talune forme d’idroidi che ho trovato negli strati titonici di Sicilia hanno spiccata somiglianza con tali forme arcaiche (De Gregorio Polypiers et éponges des Stramberg schichten de Palerme 1899). Ma non è qui luogo a toccare tali questioni nè tam- poco a trattarle, tanto più che ben poca relazione hanno col nostro argomento. Ritornaudo allo studio delle ceneri voglio accennare a un’altra osservazione da me fattu e che mi pare d’indiseutibile importanza. L'origine dei cosi detti crepuscoli rossi, che del resto è tuttora abbastanza oscura, ai più esimi scienziati si ritiene non di raro prodotta da polveri di ceneri vulcaniche sospese nelle alte regioni del cielo. Come è noto le polveri estremamente fini, quand’anche il loro peso specifico sia maggiore di quello dell’aria, si mantengono per un tempo relativamente abbastanza lungo, sospese nell’atmosfera. La polvere del Sahara è stata da me raccolta più volte in Palermo ed è arrivata anco in Germania (Hellman Der Grosse Staubfall Nordafrica 1901.) Ë lo stesso fenomeno, che in piccole proporzioni si produce allorchè in un vaso pieno d’acqua si versi una sostanza pulverulenta insolubile, la quale per deporsi al fonde lascia passare un certo tempo. Naturalmente quanto più piccola è la dimensione dei granuli e maggiore il loro frazionamento, tanto più a lungo rimangono sospesi, perchè evidentemente quanto maggiore è la loro super- flcie tanto più influisce su di essi il movimento dell’acqua e la resistenza di questa alla loro caduta. In simil suisa accade per le polveri sollevate nell’ atmosfera dai venti o da altre cause. Inoltre dagli studi recenti sulla estrema polverizzazione di talune sostanze abbiamo appreso che talune di esse, come l’oro, l’argento il il vue -cadmio etc. ridotte in polveri ultramicroscopiche (valutate da Cotton e da Mouton ad) TO0OUO di millimetro rimangono addirittura sospese nell’acqua assumendo l’aspetto di una vera soluzione, similmente è possibile che delle polveri estremamente fini rimangano permanentemente sospese nell’aria. Continuando a esaminare le ceneri vesuviane, mi è stato dato di fare un’ ultima osservazione non meno importante delle altre. Adunque mettendo una certa quantità di cenere in un vaso pieno di acqua, agitan- dovela e lasciandola poi in quiete, la cenere si depone naturalmente in fondo. Perd osservando bene l'acqua, mi sono avvisto che rimangono delle particelle minutissime galleggianti. Esaminando tale pulviscolo con forte ingrandimento, ho visto che è formato di bollicine estraordinariamente minute (il eui diametro ho valu- tato ‘/; di millesimo di millimetro) di forma rotondeggiante. La parte interna, vuota, risplende vivamente, -quando il portaoggetti del microscopio à molto illuminato. Ora l’esame di tale struttura speciale ci è di utile ammaestramento. Infatti ei spiega in certo modo come avviene che talora il pulviscolo della cenere possa essere sollevato ad altezze immense e trasportato a distanze considerevolissime. Ë probabile che delle bollicine an- “cora più piccole di quelle da me esaminate rimangano per lungo tempo sospese nelle alte regioni dell’atmo- sfera, finchè sieno alterate dalle azioni degli agenti atmosferici e precipitate sulla terra dalle pioggie e dalle grandini. La forza di sollevamento, o per dir meglio, di lanciamento della cenere non è affatto dovuta, come -da molti si asserisce, a conato d’impulsione lavica, ma bensi alla massa dei vapori caldi che si sprigionano pulverizzando la lava e formando una colonna di aspirazione che determina il noto pino. 6 ANNALES DE GÉOLOGIE ET DE PALÉONTOLOGIE Non mi rimane a dire che due parole sulla genesi di tali bollicine microscopiche. Evidentemente sono: esse formate dalla dilatazione interna dei gas contenuti; ma dipendono dalla diminuita pressione ovvero dallo: abbassamento di temperatura? Facilmente si è tratti à propendere per la prima ragione e ciù perchè venendo. su la lava da profondità in cuiigas vanno soggetti a fortissima pressione (da ridurli forse allo stato liquido) questi si dilatano sprigionandosi. Perd una piccolissima parte di essi resta carcerata per un fenomeno ana- logo a quello da me descritto nel mio lavoro. « Su certe azioni molecoluri dei liquidi » (Atti della KR. ACCa- demia delle Scienze Palermo 1893). Ho spiegato in questo come lo strato superficiale delle bollicine, quando: queste sieno molto minute, acquista una forza di resistenza estraordinaria. Trattandosi di un liquido cosi vischioso come la lava e di bollicine di una dimensione estremamente piccola, si comprende quale forza di resistenza debbano avere presentato le pareti di queste, per vincere la dilatazione del gas intercluso. L’ altra causa onde le bollicine possono essere state originate è invece l’abbassamento di temperatura : La lava nello interno della terra, toccando temperature altissime deve tenere in istato di assorbimento e per cosi dire latente una considerevole quantità di vapori che poi col raffreddamento prodotto durante l’eruzione, si sprigionano e sfuggono nell’atmosfera. Sembra una contraddizione, ma è un fatto: Dissi nel mio lavoro: < Sopra la causa delle eruzioni laviche ». (Atti Accademie Scienze Palermo 1893) che il vapore acqueo pro- dotto dalle eruzioni pud avere molte origini, ma tra queste quella endogena è molto più verosimile che la esogena. Infatti talune sostanze elevate ad altissime temperature hanno la proprietà di assorbire grandi quantità di gas che si sprigionano quando la temperatura si abbassi. Ë inutile citare esempi : le lave stesse raffreddandosi continuano per lunga pezza ad emettere vapore acqueo e acido carbonico. Ora da tali circo- stanze è facile immaginare che i gas sprigionatisi con veemenza trasportino seco in alto la lava polverizzata che costituisce la cenere. Tale pulviscolo di lava, sia per il raffreddamento, sia per la diminuita pressione, lascia sfuggire in massima parte i gas interclusi (di eui una minima parte resta carcerata) e subisce una rapida contrazione, che è probabilmente una delle cause determinanti la struttura microlitica. Perd le parti- celle estremamente minute formano delle bollicine microscopiche in cui i gas rimangono carcerati, peroc- chè lo strato liquido avviluppante acquista una resistenza molecolare immensa. Or siccome la temperatura di tali bollicine rapidamente diminuisce, il grado di solidificazione del loro straterello esterno è facilmente raggiunto, quando il gas interno ha ancora una temperatura lontana dal grado di condensazione, sicchè questo spaziolo microscopico raffreddandosi ulteriormente resta quasi vuoto essendo i gas estremamente vare- fatti. Ë questa una delle cause determinanti la grande leggerezza specifica di tali bollicine. Dopo quanto ho detto, si capisce di leggieri come il pulviscolo microscopico di cenere possa ascendere nelle alte regioni dell’atmosfera ed essere trasportato ad immense distanze. Cosi i feromeni dei crepuscoli rossi che hanno seguito molte delle grandi eruzioni, trovano una plausibile spiegazione. Non sempre perù le ceneri sono prodotte come io ho narrato. Un’ altra causa non meno valevole si ha nello sprofondamento dei coni vulcanici. [o. non entrerd qui a discutere intorno a un tal fenomeno perchè ge- neralmente noto. Nelle grandi eruzioni vuotandosi per cvusi dire la parte centrale del vulcano del materiale- esistente, per il liquefacimento della parte sottostante, accade che la parte soprastante subitamente si sprofondi. Allora l’antico cono viene, per cosi dire, soffiato via dando origine a immensa proiezione di lapilli, di sabbia e di cenere. Lo sminuzzamento dei materiali antichi avviene principalmente per la dilatazione subitanea del vapore acqueo, il quale impregna ie minuscole porosità della roccia e che per l’improvviso elevarsi della temperatura, prima ancora che si liquefaccia la roccia, la sgretola e polverizza. Cid è constatato dal fatto: che gli sprofondamenti dei coni vulcanici (sia nei tempi storici, sia ai giorni nostri) sono stati sempre se- guiti da copiose pioggie di ceneri. Più volte la cenere dell’ Etna è arrivata in Africa, in Turchia, nel continente italiano. Quella emessa quest’anno dal Vesuvioè arrivata non solo a Roma come è stato constatato, ma molto più lontano. Infatti da una comunicazione fatta dal mio illustre amico prof. Stanislao Meunier all’Istituto di Francia in Giugno) si STRUTTURA DELLE CENERI DELL/ULTIMA ERUZIONE VESUVIANA 7 detegge essere arrivata a Parigi. (Sur l’origine vesuvienne du brouillard sec observé à Paris dans la matinée du mercredi 11 Avril 1906). Certo ben maggiori e più disastrosi sono stati i danni prodotti dalle grandi emis- sioni delle ceneri che da quelle laviche. Non ricorderd nè l’eruzione che distrusse Pompei, nè quella recente della Martinica, nè questa ultima vesuviana, ma quella di Sumbava narrata da Lapparent, le ceneri del cui vulcano (Temboro) causarono la morte di 12 mila persone della stessa isola e di 44 mila persone nel- l'isola di Lombock situata a 120 chilometri di distanza ! E più ancora l’eruzione del 1835 del vulcano Cose- guina (nel Nicaragua) che Fouqué calcola avere emesso cosi grande quantità di cenere che a 40 chilometri di distanza lo spessore dello strato di questa era circa 6 metri. Lo spettacolo di fenomeni cosi grandiosi non puû non arrecare meraviglia e impressione anche ai geo- logi, avvezzi ad assistere alle scene stupefacienti della formazione della terra, ed à di potente incitamento a indagarne e sceverarne le cause e le leggi. Perd non minore è l’ammirazione, non meno attraente lo studio di chi, con gli strumenti che la scienza fornisce, ne scruta l’ intima compage e quale misterioso palombaro discenda nei profondi oscuri gorghi della primitiva natura della materia. Dopo avere esposto le osservazioni originali da me eseguite sulla cenere del Vesuvio, non è fuor di luogo dare un cenno sommario dei lavori eseguiti da altri sulla medesima eruzione. I signori Commanducci e Arena calcolano che la cenere lanciata dal Vesuvio si sia elevata da 3000 à 4000 metri sull’atmosfera e che ad una distanza di circa 14 chilometri ne sia caduta dal 4 al 13 Aprile circa 17 chilogrammi per ogni metro quadrato. Essi trovarono come peso specifico un valore di 2,65. Vi riscontrarono (Analisi Chimica della cenere caduta in Aprile 1906) molti metalli, (ferro, calcio, alluminio, potassio, magnesio, sodio, rame, manganese, bario etc.) e parecchi metalloïdi, tra cui il silicio, il cloro, il solfo, l’arsenico, l’azoto. I si- gnori Bassani e Galdieri (Accademia delle Scienze di Napoli) han dato delle interessanti descrizioni. Osser- vazioni importanti ha fatto il De Lorenzo (Geolog. Society of London). I signori Lacroix e Brun hanno pure pubblicato importanti articoli sullo stesso argomento; il primo negli Atti della Société de Chimie de Génève, il secondo nei rendiconti dell’Istituto di Francia e nella Revue Scientifique. Perd nessuno, ch’io sappia, ha fatto come me degli studi microscopici. CCR RS RO A DS DR DC DO RO DO DO DO PO DO DD LC DC DO PO LL DL LOC DO LE PO LS LS LE APPUNTI SUL VULCANISMO DELLE EPOCHE STORICHE DELLE ISOLE EOLIE E SUI LORO ANTICHI NOMI I1 violento terremoto di Ustica, che segui quello disastroso delle Calabrie e precesse la formidabile eru- zione del Vesuvio dello scorso Aprile, m’indusse ad eseguire talune ricerche storiche, di cui in questa breve nota credo utile dare il riassunto. Strabone parlando delle isole eolie, dette anche Lipare, dice che sono sette: Lipari che è la maggiore- e che fu chiamata Melaguni, ricca per.le miniere di allume, nella quale sono acque calde ed esalazione di fuoco. L’isola di Vulcano (detta anche Jera o Tera di Vulcano cioè sacra a Vulcano) è sassosa, deserta, ha! tre aperture, dalla maggiore delle quali sortono flamme e pietre infuocate. Tale isola è detta anche Termissas Di Strongyle (che di poi fu detta Strongoli e in ultimo Stromboli) dice, che è isola piena di fuoco, ma pero: l’impeto delle flamme è minore che in Vulcano, sebbene lo splendore sia maggiore. La quarta isola 8 Didima: (cioè l’attuale Salina). Quindi accenna ad Ericussa (dalla pianta di erica) la quale isola è l’attuale Alicuri, e Fenicussa (dalle palme che ne abbondano dette Phoenices) che è l’attuale Filieuri; di cid anche parla Ari- stotile (in Mirandis). Strabone cita infine Ævonima che egli dice deserta e in alto mare. Ora dalle sue pa- role «situata in alto mare» e dall’ordine con cui la menziona cioè dopo l’isola di Filicuri, pare egli intenda. alludere ad Ustica. Perd avendo egli detto che si chiama Evonima (cioè sinistra) per essere a man sinistra di chi naviga da Lipari verso Sicilia, à a supporre che egli con tal nome intenda riferirsi alla piccola. isola di Panaria. Infatti molti geografi tra cui Iustus Perthes (Atlas antiquus) sono di tale opinione. Strabone narra che Posidonio riferisce che durante la sua vita fu visto tra Evonimo e lera elevarsi il mare estraordinariamente per un certo tempo e poi ricadere in giü. Î pescatori che poi si avvicinarono, videro: molto pesce morto galleggiante trasportato dalla corrente e dovettero ritrarsi pel gran puzzo e pel calore e taluni che si avvicinarono troppo vi perdettero la vita. Egli narra che del fango sorgeva dal mare ein molti luoghi uscivano fiamme. Cid fu comunicato al senato romano da Tito Flaminio governatore di Sicilia. Stra- bone aggiunge che molte volte furon viste fiamme erompere di mezzo al mare attorno alle isole eolie. Diodoro Siculo col nome di Evonimo allude evidentemente à Panaria e cid si per le distanze assegnate,. si per il modo come lo cita. Egli dice che tutte le sette isole eolie « sono soggette a grandi eruzioni di « fuochi e vi si vedono i crateri; da Strongyle e da Iera sono lanciate pietre infocate e arena con fremito- « spaventoso come nell’Etna ». Bunone perd nel suo dottissimo liaro (Philippi Cluveri Sicilia antiqua contracta 1659 pag. 239) si riferisce- il nome di Evonimo all’attuale isoletta « Lisca Bianca » e ascrive il nome di Hicesia all’ attuale Panaria- APPUNTI SUL VULCANISMO DELLE EPOCHE STORICHE DELLE ISOLE EOLIE E SUI LORO ANTICHI NOMI 9% ù Plinio enumerando le isole della Sicilia dice (Libro 2 Capo 8). «et 75 m. p. a Solunto Osteodes, con- traque Paropinos Ustica » cioè Osteode settantacinque mila passi da Solunto, e dirimpetto i popoli Paropini Ustica. Con cid dire sembra che egli indichi due isole, una col nome di Osteode e una con quello di Ustica. In quanto ad Evonimo evidentemente egli applica tal nome all’ isola di Panaria. Questa secondo osserva Delcampil (1547 pag. 58 edit. Plinio in una nota) corrisponde ad Hiccesia citata da Tolomeo. Come’si rileva da quanto dice Plinio, le isole eolie erano dette dai Greci « Hephestiades e dai Romani isole Vulcani» cioè di Vulcano ed eran pure dette isole Liparee ». Plinio aggiunge che l’isola più grande fu detta Lipari dal re Liparo che successe ad Eolo e che l’isola Iera (cioè Vulcano) era prima detta Therasia. Nella carta antica di Sicilia del celebre Cluverio trovo segnato un castello col nome di Paropus presso a poco ove è l’attuale Collesano. Ove erano i popoli detti da Plinio Paropini ? Polibio parla di una fortezza a nome Ilaewros (Paropus lat.). — Fazzello (Dec. Lib. 1, cap. X) dice : « Ad occidentem collis incuhat; ubi diruti opiduli cadaver visitur; e cujus reliquiis Calisanum conditum, oppidarii praedicant ». Polibio (lib. I) narra che essendo nata contesa tra quattromila dei soci romani tra Termini e Paropo e accampandosi separata- mente, fu ucciso Amilcare. Paropini erano detti gli abitanti del forte e probabilmente anche quelli che abitavano nelle vicinanze. In pochi libri latini si trovano notate le isole eolie anche col nome di Vulcantae. Quasi tutti gli autori antichi, Aristotile, Mela, Dionisio, Marziano, Apollonio, Stefano, Marziano, etc. ne citano sette. 11 nome Eolie si trova fino dai tempi di Omero (Odyss lib. X) zlormv Aïouar. Egli alludeva all’ isola di Lipari circumnavigabile. Fazello narra che « al tempo suo e molti anni ancora innanzi finirono i fuochi in Lipari essendo consu- mata la materia che ardeva ». Aggiunge che nel Febbraro 1444 l’isola di Vulcano ebbe una potentissima eruzione e che tutta la Sicilia sofferse un forte terremoto e che ai tempi suoi la piccola isoletta presso Vul- cano chiamata Vulcanello gittava ancora fuoco ed era divisa da esso per un breve tratto di mare. Il citato autore crede che l’isola chiamata dagli antichi Evonimo corrisponda ad Ustica cid perd erroneamente. Vito Amico dice che nello Itinerario insulare l’ isola di Ustica è detta Egina o Egella cosa che non ho altrove ritrovato, nè posso controllare. Il nome di Ustica è per la prima volta menzionato da Plinio. Fuchs parlando di Ustica nel suo bel libro sui vulcani, menziona tre crateri. Diodoru Siculo nel Cap. 5 (Libro 4) parla delle isole eolie senza citar'e il nome di Osteodes. Nel cap. 5 parla di Eoloe di Lipari ea un dato punto dice: « Ma basti intorno a Lipari e alle altre isole eolie. Dopo « Lipari alla parte di Occidente in alto mare sta un’isoletta deserta che chiamano Osteode o ossaria pel fatto «che i Cartaginesi vi fecero morire 4000 soldati che si erano ammutinati; per cui tutta l’isola fu cosparsa « di ossa donde il nome di Ocrswôsç ». Ora dall’avere Diodoro Siculo detto che Osteode è in alto mare a po- nente di Lipara e intuitivamente dall’aver detto che è al di là delle isole eolie (tra cui egli ascrive Feni- eussa ed Ericussa) evidentemente parmi alluda all’isola di Ustica ovvero ad un’isoletta ancor più piccola e vicina ad Ustica, che si sia sprofondata. Nella carta di Sicilia del celebre Cluverio incisa da John Bunone sono ben notate due isole una non molto distante dall’altra nel sito ove è l’attuale Ustica. Quella verso levante à più grande, ed è notata col nome di Ustica (cum Opido cioè con un forte); quella verso ponente è distante circa venti chilometri da. essa ed ha il titolo di Osteodes. Pare quindi che l’autore fosse di opinione esser due isole e di diversa forma e grandezza. Devo osservare che nella edizione che io possiedo di questo importante lavoro (Amsterdam Ioann. Wolters 1597) l’isola di Vulcano è disegnata colla figura di una montagna fiammeggiante come l’Etna, non cosi Strongyle. Presso a questa isola se ne vede disegnata un’altra quasi della stessa grandezza col nome di Hicesia. Presso Evonimo si trova disegnata un’altra isola col nome di Herculis insula. Cluverio pare non ne abbia idea esatta perchè nella carta d’Italia (pag. 274) si trova disegnata una isola col nome di Ustica < Evonime ». Nell’importantissimo libro di Giovanni Bunone (1649 Philippi Cluverii Sicilia antiqua auctoris 10 ANNALES DE GÉOLOGIE ET DE PALÉONTOLOGIE methodo verbis et tabulis geogr. retentis contracta. Guelferbyti) è riprodotta la carta di Sicilia con Ustica e Osteodes. Nel libro di De Borch Lettres sur la Sicile(T. 1. Turin 1482) trovo riprodotta la carta di Sicilia di Cluverio perd vi sono soppresse le figure delle due isole Osteodes e (Ustica). Evidentemente Reiskius che fece le annotazioni al citato libro di Cluverio (pag. 306) non ascrive al gruppo delle eolie nè Ustica nè Osteodes ma solo le isole eolie propriamente dette. Egli dice che sono nove appunto perchè alle note sette isole ag- giunge Hicesia e l’isola di Ercole. — Smith (Sicily and its islands 1824) opina che Osteadese Usticasiano la stessa cosa e di tale opinione à anche Ad. Holm (Storia della Sicilia trad. Dal Lago e Graziadei p, 103). Nel dotto libro «Sicilia in prospettiva » (1709 pag. 544, scritto da un anonimo che credo sia il Padre Massa, è citata l’opinione di Bocharto il quale crede che il nome di Ustica derivi da una parola punica che sionifica «cosa bassa e pianeggiante. lo non ho nulla a ridire. Perd mi risovviene dell’ode di Orazio XVII (libro I) in cui è scritto « Usticae cubantis laevia personuere saxa ». Tutti i commentatori sono concordi nell’ asserire che con tali versi il poeta alluda ad una collina del monte Luerctile della Sabina presso un podere di sua proprietà. Or nasce una questione : fu forse per analogia di forma tra la montagna suddetta e quella dell’isola che le fu imposto tal nome? Infatti l’isola di Ustica à poco eretta nel mareeïin gran parte declive. Ovvero entrambi i luoghi furon detti cosi dal verbo «uro» dal cui participio sustus» facilmente potè derivare il nome di Ustica ? Potrebbe anche darsi che l’isola avesse un nome greco Osteodes e uno romano Oo fenicio di Ustica. Perd in tal caso come spiegare l’identitàa col nome della montagna della Sabi- na? D’altro canto, come ho sopra detto, dovea con probabilità l’isola di Osteodes avere più piccole dimensioni per rendere più probabile la narrazione di Diodoro Siculo. Anche Mela (Lib. 2 cotric. 18) cita l’isola di Ustica. Citai di sopra il nome di Boccartho, non il libro il quale non èin mia possessione; credo perd debba essere evidentemente lo stesso citato da Reiskius nelle annotazioni alla « Introductio Geograph Cluveri » Amster- dam 1797 pag. 302. Reskius parlando di Scilla e Cariddi riferisce che Bochartus (in Chanaan Lib. I) « dot- tissimo uomo ». dice che la parola Scylla viene dal punico Scoli che significa rovina Charybdis deriva dal punico Chorobdam che significa « buco di perdizione ». Evidentemente il libro citato nella Sicilia in prospet- tiva deve essere lo stesso. In un’altra nota a pag. 306 è citato pure il nome di Bochartus il quale fa deri- vare il nome Aetna dalla parola punica Aftunoo che significa fornace. Fatte ulteriori ricerche mi risulta che Samuele Bochart pubblicd una Geografia sacra (Cadomi 1640, Francoforte 1674) importantissima per gli antichi studi fenici riguardanti la Sicilia. Dal detto libro la parte per noi più interessante è il libro 2 (Pars posterior, Chanaan). Certamente molti geografi come Menke e tanti altri riferiscono il nome di Osteodes come sinonimo di Ustica, Perd essendovi, qualche contraddizione ho creduto cosa non disutile rimontare alle fonti e cosi sono venuto alla conclusione che non è impossibile che Osteodes sia stata una piccola isola che si sia sprofondata. Secondo Plinio (Libro 2 cap. 87), Vulcano surse subitamente dal mare 150 anni dopo che sorsero Thera Therasia. Egli cosi dice: « Inter Cycladas Olympiadis CXXXV anno quarto Thera et Therasia; inter easdem post annos CXXX Hiera eademque Automate ». Taluni, tra cui Holm, opinano che invece di Vulcano si tratti Vulcanello che era una piccola isola Vulcanica la quale poi verso il 1700 si congiunse e unifico con l’isola di Vulcano, Eusebio dice che l’isola di Hiera (ossia Vulcano) sorse dall’aequa al tempo dei consoli Postumio, Albinio e Fabio Labrone, lo che confermano Orazio e Eutropio. Devesi perd por mente che in Grecia esisteva pure un’isola Hiera la quale sorse dal mare l’anno 197 prima di Cristo e potrebbe nascere confusione. Tale piccola isola surse presso Thera isola vulcanica greca. Non molto distante sorse poi nel 46 dopo Cristo l’isola Thia e recentemente nel 1707 una terza isoletta. Attualmente Vuleano è una semplice solfatara, perchè la sua attività ignivoma & debolissima e si limita 2 dei vapori trasportanti materie sublimate tra cui principalmente solfo e solfuro di arsenico. Ma come os- serva Fuchs non è impossibile che si riattivi. Le sue ultime eruzioni notate da quest’ultimo autore furono — APPUNTI SUL VULCANISMO DELLE EPOCHE STORICHE DELLE ISOLE EOLIE E SUI LORO ANTICHI NOMI 11 nel 1444, 1693, 1739, 1771, 1786, 1873. Presso le grandi isole eolie ve ne hanno altre più piccole (Basi- luzzo, Darolo detto anche Dattilo, Lisca nera, Lisca bianca, Strombolicchio) che, come è noto, sono altret- tanti piccoli vulcani estinti. Secondo Bunone (Sic. Ant. Cluv. p. 241) tra Evouimo e Strongyle trovasi la Herculis insu!a detta dai Greci ‘Hoaæxlsorns cioè l’Isola di Ercole. Quindi essa corrisponderebbe all’ attuale Basiluzzo. Perd nell’atlante di Perthes è dato il nome di Isola di Ercole all’attuale isola Asinara presso la Sardegna. Nè tampoco è qui a citare l’isola Iæxovu (Baconia) che come osserva Cluverio (Sicilia antiqua contracta, Buno pag. 241) corrisponde all’attuale Isola delle Femmine. Claudio Tolomeo la pone tra l’isola Osteode e il fume Bathys, il quale corrisponde all’attuale fume Gallinella o Gianguadaro. Essa è tutt’altro che vul-