Teas aes ZIE ae ree Nee Se BIS sai co Bs ELST LOI SLOT ETE REI II RIINA asipi COCOS I IAN METODO a REM SEZ ZI ES ric ct EE IR IRA pitt Og ON = Coira a Nr errr gaa 2 rarer rei ow era Ser Sa 4 DI tua > ded ty ty 6 Fete a tary re rere Sx eee are ata a MPA ATA eo carers ae ssi rpg erette Library of the Museum OF COMPARATIVE ZOOLOGY, AT HARVARD COLLEGE, CAMBRIDGE, MASS. Founded by private subscription, in 1861, LAO No. sgh Ni . d Mn li mM N i | ee Di | i Ni ya RT * E Ul) ì wo a | , : val a 7 en HI LA BMD Fa RT, ll 7 ae } vin ne A ni oi Pi oY ANNALI DEL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE DI GENOVA __ VOLUME XI, DI » A | î mn ‘ y " 3 è Ja 4 . - 5 ì Lanna: È ; S | | n ony DI A 2 EE PRIA TIRA wey GEA | i I “owe re? A ix ale | ; ANNALI DEL MUSEO CIVICO. DE STORE NATURALE DI GENOVA PUBBLICATI PER CURA G. PoRIA E R- GESTRO VOLUME XI. - 1877-78 GENOVA Wega) ice nian 08 7 tapis CYTARES a = ta ee ee al pai : 4 Li - LATI bya) Siem « ida. è era Are tri’ GIGLI AD) eee CUI CROCIERA DEL VIOLANTE comandato dal Capitano-Armatore ENRICO D'ALBERTIS DURANTE IL’ ANNO 1876 Ù i a i i E OA : 4’ i : P cu J dl fa îi v P È A ’ o ; sn = ì RORY, sae Age ahaa iii hago! War dira ‘a | ae ee ** È het me. iH LAL aa PASO I ; X i ui Arai AVO la Ù Sep MAT ren yi nae Pe ERE i Ri eA thas a ie wan, | Me 7 (a ¢ { MADDALENA © a TAN 1876 VIAGGIO DEL VIOLANTE DA GENOVA A COSTANTINOPOLI |. > È 4 x i 1S Stefano Andata Ritorno È Ancoraggi © Posizione a mezzogiorno di Agi meo Corrente A ~ yi ee 98 6 Livorno Cattaro Gy ARDE ( Ferro ISOLA GALLITA Gall & Gallina @ FH 1 Kerkena P Fonor Ce Lampraki Barbieri Tombs d'Ajce miglia marine Panisala Actake 3 >È Cas O cei Skulan rm è Redi Kiet Salonico Stamfania è Sporto) Loconia € Malapon TM cere Baudo STE (ol Melelino\ oy Sigrt D stamfalia ) Scrpan | Gaidaro Nix > Serfo Palo x: PARTE NARRATIVA PEL CAPITANO ENRICO P Do LBERTIS iit Ot; ini a sale a feno Come Italiano e come Naturalista provo un sentimento di vera compiacenza, direi quasi d’ orgoglio, nel presentare al pubblico questo libro, di cui tuttavolta io sono il più umile collaboratore. Non già che le nostre modeste pagine aspirino al vanto d'uno stile forbito e immaginoso, o ricettino tesori di scienza e -d’ eru- dizione, o mirino in qualsiasi altro modo ad entrare nell’ alta letteratura. Esse non sono infatti che un semplice giornale di viaggio, d'un viaggio né arduo nè fortunoso, seguito da alcune succinte contribuzioni alla storia naturale del Mediterraneo e delle sue isole. Ma ritraggono un importanza non comune da che sono i primi frutti d’ un proposito che onora altamente un nostro concittadino, da che porgono un esempio ben degno di essere imitato e sono indubbiamente una lieta promessa per l'avvenire. Il Capitano Enrico D'Albertis, già ufficiale nella R. Marina, primo, in Italia, armò a sue spese una piccola nave, non già per fine di lucro 0 per vano diporto, ma col precipuo scopo di adoperarla in servizio dei nostri istituti scientifici e a pro’ dei Naturalisti. Col suo fragile cutter, che porta appena 12 tonnellate, coa- diuvato da due uomini d’ equipaggio e da due amici passeg- gieri, sfidando venti traversi e colpi di mare, solea in ogni senso il nostro Mediterraneo. Nel 1875 compie un viaggio di 1000 miglia; l’anno di poi percorre 3500 miglia visitando le coste di Tunisi, |’ Arcipelago greco, il Bosforo e toccando ben 36 10 porti o cale. Ed ogniqualvolta lo consenta la sicurezza della nave egli muove guerra implacabile agli abitanti della terra e delle acque: pesca, draga, caccia, osservando e notando quanto con- cerne gli oggetti raccolti e le localita esplorate. Cosi al ritorno delle sue escursioni egli reca al Museo Civico di Storia Naturale un cospicuo tributo di collezioni scientifiche e agli amici Natu- ralisti offre nuovi e pregevoli materiali di studio. Ed ora non ho io forse motivo di lodare la generosa inizia- tiva del Capitano D'Albertis e d’inorgoglirmi nello scrivere la prefazione al secondo viaggio del Violante? Tempo fa un illustre zoologo ginevrino, imbarcato sopra un umile e pigro burchiello, era occupato ad insidiar animali ma- rini nella rada di Villafranca, quando ad un tratto vide stac- carsi da un vascello ancorato in quelle acque una elegantissima lancia a vapore, che scivolando rapidamente sui flutti si diresse alla volta del vicino porto. Che è ciò? chiese lo scienziato al vecchio barcajuolo che vogava mollemente a prora della bar- caccia. E questi: « È il cuoco della squadra che va a terra per provviste ». « Fortunato quel cuoco! » esclamò I’ altro con accento d’ in- vidia. « Quando mai i Naturalisti saranno trattati così? ». Orbene, in grazia del Capitano D'Albertis, noi, Naturalisti genovesi, non abbiamo più nulla da invidiare al cuoco della squadra! ARTURO ISSEL. Utile dulct. Correva l’anno 1876, il giorno 7 Luglio volgeva al suo termine, caldo, infuocato; l’ aria era calma, il mare tranquillo; sul tardi, profittando degli ultimi raggi del sole e leggermente sospinta dalla brezza vespertina, una bianca vela usciva dal porto di Genova e con destinazione al largo s’ allontanava. La stella bianca in campo azzurro sventolava sulla svelta alberata ed 1 colori nazionali erano alzati al picco. Al crepuscolo sottentrò la notte ammantando ogni cosa nelle tenebre e la bianca vela pur essa poco a poco disparve nell’ oscurità. Qual’ era il nome del bastimento ? Ov’ era diretto ? Il bastimento era il Cutter Violante delia portata di 12 ton- nellate. La destinazione il Levante. Chi lo comandava era lo scrivente, il quale senza alcuna pretesa letteraria, ma invitato dagli amici suoi ad esporre le avventure di questa nuova crociera, lascia per poco il timone del suo Cutter e piglia la penna del nar- ratore. Nè farà quindi maraviglia se un tal lavoro, anzichè una letteraria esposizione di un viaggio in Oriente, sarà come un giornale di bordo, corredato di notizie storiche attinte sui luoghi stessi. Persuaso che le crociere del Violante nelle acque dell’ Arcipe- lago Toscano e della Tunisia, così graziosamente e con squisito sapore di lingua descritte dal Prof. P. Pavesi (1) avevano dato buoni risultati zoologici, decisi non arrestarmi a mezzo del (1) Le prime crociere del Violante (Annali del Museo Civico di Storia Naturale dì Genova, Vol. VIII, 1876). 12 CROCIERA DEL VIOLANTE cammino e dietro consiglio del Marchese Giacomo Doria, direttore del Museo Civico di Genova, abbandonando l’idea che avevo in sullo scorcio della primavera di spingermi col Violante oltre l Oceano e raggiungere Filadelfia, sede della grande Esposizione mondiale, mi diedi a tutt’ uomo a preparare invece il Cutter per una crociera nelle acque dell’ Arcipelago Greco, fino al presente poco esplorato dai naturalisti. Allorché si facevano tali progetti nulla sembrava dovesse turbare la pace del Bosforo, I’ orizzonte politico in Oriente era tranquillo; nulla accennava ad una probabile guerra. Però nell’ e- state complicandosi ognora più le cose e dubitando dello stato apparentemente pacifico di quei paesi, stimai opportuno dare al Cutter un aspetto guerresco compatibilmente alla sua grandezza, non già perchè potessi con ciò far pesare la bilancia più in favore della Croce che della Mezzaluna, ma per tema che i pirati, solito corollario delle guerre in Oriente, non apparissero ad infe- stare le acque dell’ Arcipelago. Era la nostra una piccola spedi- zione, oso dire, scientifica; rivestita quindi di tale carattere, non titubai per questi sconfortanti auspicil, sotto 1 quali nasceva, a continuarne i preparativi. Pensai perciò a mettere perfettamente in regola le carte di bordo, facendole vidimare dalle autorità Turche e Greche residenti in Genova, e dotai pure il Cutter di un piccolo cannoncino o spingarda a forcella, che faceva scintillante mostra di se in sull’ estrema prora, di parecchie carabine a retrocarica e di rivoltelle. Tutte queste armi erano disposte a gruppi od intrecciate a trofei nella piccola camera o quadratino del Violante, servendo così di ornamento e di difesa nello stesso tempo. Un piccolo dipartimento era inoltre destinato alle munizioni, sotto il nome di Santa Barbara. Un altro piccolo riparto venne pure destinato alle raccolte di Storia Naturale sotto il pomposo nome di « Zoological Depart- ment »; in questo figurava una quantità di tubi e bottiglie di ogni dimensione con alcool, per conservare le raccolte zoolo- giche. Avevo ben fornito il Cutter di utensili di pesca, arponi, fiocine, reti, arnesi e congegni d’ ogni genere, che bruniti e ri- splendenti formavano l'armamento della bassa prora, o locale dei PARTE NARRATIVA 15 marinai. Una draga era stata pure collocata a bordo per cura del Doria e del mio amico il Prof. Arturo Issel, e questo congegno do- veva servire ad estrarre dal fondo del mare i prodotti della fauna e della flora nelle varie località che avrei toccato, non intendendo però con questo piccolo istrumento di far concorrenza al « Chal- lenger» (*). Una piccola macchina fotografica con lastre preparate a secco fu pure aggiunta al materiale di bordo; macchina dalla quale ebbi buoni risultati, essendo le incisioni intercalate nel testo per la maggior parte ricavate dalle fotografie prese con (4) Non molti anni addietro le scienze fisiche e naturali poco si erano spinte al disotto dei mari, e sia per mancanza di mezzi o per insufficienza dei mate- riali, o inesattezza degli istrumenti, la nostra conoscenza delle grandi pro- fondità del mare era molto indefinita e oscura. Era stato anche accertato che la gravità specifica dell’acqua a considerevoli profondità era così grande che qualunque peso bisognava che si arrestasse rimanendo sospeso per sempre nel liquido elemento. Fu argomentato che nessuna vita animale o ve- getale potesse esistere nelle grandi profondità degli oceani; ma nel 1868 il Lightning legno della marina da guerra inglese, messo a disposizione della Royal Society e nell’anno appresso il Porcupine colle loro brevi crociere diedero risultati tali da far abbandonare affatto le vecchie credenze. Il Por- cupine aveva raggiunto colla sonda la profondità di 2400 braccia, aveva stu- diato la temperatura di quelle acque eternamente tranquille e aveva dragato a 1500 braccia esseri nuovi ed interessantissimi per la scienza. Dietro questi splendidi e stimolanti risultati il 19 Novembre 1872 fu armato allo stesso scopo e per una crociera di parecchi anni il Challenger, corvetta di 2000 tonnellate e ne fu affidato il comando al capitano George S. Nares, lo stesso valente e dotto ufficiale che, senza condurre a termine la crociera, fu da questo comando esonerato per assumere la direzione non meno importante dell’ ultima spedizione inglese al Polo, composta dei due legni Alert e Disco- very. Allo Stato Maggiore del Challenger fu aggiunto un numeroso stuolo di scienziati (scientific staff); capo supremo di questa spedizione era il celebre prof. Whyville Thomson. Questa splendida crociera, che non esito a dire, la più importante dei tempi moderni, ebbe fine nella primavera del 1876. Le più grandi profondità raggiunte furono di 3875 braccia nell’ Oceano Atlan- tico a 90 miglia a Tramontana dell’ isola di San Thomas e di 3950 nel Pacifico, 5° a Levante del Giappone. (Presso questi paraggi il Tuscarora legno, della marina da guerra degli Stati Uniti, aveva precedentemente trovato 4655 braccia, ossia metri 8518). Moltissime nuove e curiose forme di animali e vegetali fureno ritrovate a quelle grandi profondità ela fauna presentò alcune specie e generì che erano conosciuti solo allo stato fossile. L’ imponente materiale dragato fu con saggio intendimento del prof. Whyville Thomson affidato ai primi cultori e specialisti delle scienze naturali affinchè venisse studiato ed illustrato; nel distribuire ciascuna parte delle collezioni ai relativi mono- grafi, il celebre scienziato inglese non ebbe altra mira che I’ interesse della scienza e si mostrò superiore ad un falso orgoglio nazionale. 14 CROCIERA DEL VIOLANTE la stessa. Infine avevo provviste d’acqua, biscotto e conserve alimentari per una traversata di 50 giorni. Prima che m’ inoltri nella narrazione tornerà qui in acconcio che parli dei miei compagni di viaggio, o come io usava chia- marli, dello Stato Maggiore di bordo. Il direttore del Museo Civico, il quale si era mostrato desideroso di accompagnarmi , dovette rinunciare a questo’ suo desiderio poco prima della par- tenza, per l'improvviso arrivo dalla Papuasia del suo amico il Dott. Odoardo Beccari. Il Doria essendo depositario di tutto il ma- teriale scientifico, che il celebre viaggiatore aveva a varie riprese spedito da quelle lontane regioni, dovette rimanere presso di lui. Al direttore del Museo Civico succedeva naturalmente il vice direttore il Dottore R. Gestro, appassionato entomologo e mio buon amico. Altro compagno di viaggio era Alberto Giusti, mio cugino, cacciatore, con la stofta d'un uomo di mare. Entrambi io li avevo avuti a compagni nella crociera nel mezzogiorno della Sardegna. Avendo un Dottore a bordo, per dividere equamente le attribuzioni del mio piccolo Stato Maggiore, incaricai il Giusti del Commissariato, affidando al primo, come di ragione, la dire- zione del « Zoological Department » e la farmacia di bordo, al secondo la responsabilità e I’ alta sopraintendenza dei viveri e delle munizioni. L'equipaggio era composto di due uomini e due ragazzi o mozzi; dei primi uno funzionava da nostromo ed era conosciuto a bordo col nome di Comito (1), all’ altro aftidai (1) Comito in francese Comite, in catalano comitre fu come dire capitano nei primordii della marina medievale. L’ origine è Comes (compagno e conte ad un tempo in italiano) ossia compagno del duce supremo. Col tempo il Comito lasciò il tendale di poppa al cavaliere capitano della galea; gli rimase il carico di nocchiere, capo dei sott’ ufficiali, direttore della parte meccanica della navigazione; segno del suo grado era un fischio d’ argento sospeso al collo con argentea catena. Ebbe sott’ordine due sotto comiti armati di ba- stone e muniti di fischio. Alfonso il Savio Re di Castiglia dice nel suo rego- lamento sull’armata « Y comitres ay an toda galea que son como cabdillos » (capi). La camera del Comito era al centro presso la campagna (cambusa) di cui egli stesso era custode. La paga d’ un Comito nel 1344 era quella di un cavaliere armato pesantemente; quattr’ oncie d’oro e razione piena. I noc- chieri catalani, che sarebbero i sotto comiti, avevano un’oncia e i Calabresi venti tari siciliani. PARTE NARRATIVA 15 le attribuzioni di capo cannoniere; dei due ragazzi uno fungeva da dispensiere e l’altro da Cabin Boy (1). Ora che il lettore ha fatto conoscenza con tutto lo Stato Maggiore, |’ equipaggio e il materiale di bordo, possiamo sul Violante continuare il nostro viaggio. La notte è tranquilla ed anche troppo, perchè siamo quasi in calma; gran parte della sera fu quindi impiegata per rassettare ed accomodare ogni cosa, trovare un posticino per ogni singolo oggetto. Io m’ occupai a rivedere gl’ istrumenti, le bussole, le carte di bordo, spiacentissimo di non aver potuto collocar bene il cronometro, non avendo trovato per questo delicato istrumento luogo migliore di un troppo mobile tiretto, in mezzo agli effetti di vestiario già abbastanza pigiati. Il mattino dell’8 si presenta nuvolo regalandoci pure di una leggera pioggia. A mezzogiorno: la punta S. Giorgio del pro- montorio di Portofino per T@ 4° P.e della bussola; distanza 15 miglia. Siamo rallegrati dalla comparsa di vecchie conoscenze del Violante; varii delfini guizzano presso al bordo facendo salti e tonfi dei più graziosi, anche un grosso capodoglio s’ in- nalza maestoso quasi sotto la prora e piccoli tonni si fanno vedere ad intervalli attorno al bordo. Ne trassi lieto prono- stico, sembrandomi che la comparsa di tutti questi abitanti del mare appena partiti dal porto, e il loro guizzare scherzevole fosse segno di saluto e festevole accoglienza al Violante ed ai suoi Argonauti; cosicchè bandite le tristi ubbie che il Commissario mi aveva partecipato per il conculcato proverbio « di Venere e di Marte non si sposa e non si parte», cercai rallegrare la nostra mensa con la pesca di qualche tonnotto: furono messe in opera tutte le astuzie e le furberie conosciute dai marinai per richia- (1) A titolo di amenità dirò che l'inglese Cabin boy è il camerotto dei nostri liguri legni; i mozzi di bordo del giorno d’oggi corrispondono agli scanagali degli statuti di Gazaria al 1441. In esso chiamansi pueri 0 scanagalii ragazzi di bordo. Curiosissimi sono i nomi che loro si davano nelle varie marine europee. Portoghese pagen de camara; francese antico, page; tedesco Cajut- Junge, olandese Nabber (redazza); quest’ ultimo, per chi è famigliare coi nomi di bordo, è il più tipico! 16 CROCIERA DEL VIOLANTE marli, adescandoli con cucchiai o forchette fatte saltellare sulla superficie del mare, ma impauriti forse dalla presenza del capo- doglio, piu non si lasciarono vedere e il nostro fiociniere Filippo si rimase come Lucifero, « Vuota stringendo la terribil ugna ». Il Commissario aprì in questo giorno la campagna venatoria coll’ uccisione di un Puffinus Kuhlii, il quale fu giudicato dal Dottore un uccello molto comune ed invece di prepararne la pelle se ne fece un pennello mostravento. Il vento sempre leg- gero da mezzogiorno scarseggia e c impedisce di andare in rotta; non pertanto la mattina del 9 avvistiamo la Gorgona. Il poco vento di prora, e il mare vecchio non permettevano al Cutter di governare e turbavano il buon appetito a tutto lo Stato Mag- giore; l’aria oscura, e il cielo tutto coperto ci rendevano di un umore poco allegro; nella sera però rischiarava il cielo dalla parte della Spezia e Viareggio e un grazioso venticello di Greco abbonacciando il mare, spingeva velocemente il Violante verso l'isola. A mezzogiorno ne rilevo il centro per M° '/, S° distante 10 miglia. Verso la mezzanotte siamo al traverso dell’ i- sola e rilevo il fanale della Meloria per G.° L.°. GORGONA. Non sarà discaro al lettore ch’ io faccia un breve cenno della Gorgona, l'isola a noi la più vicina dell'Arcipelago toscano, ripe- tutamente da me visitata nel 75 e meta del primo viaggio di prova del Violante. Essa giace a 20 miglia da Livorno nella direzione di ponente libeccio; ed è quasi un monte massiccio alto circa 250 metri sul livello del mare, di forma pressochè circolare con 3 miglia di circonferenza alla sua base. Nel lato di ponente le pendici scendono a picco sul mare e vengono chiamate a giusto titolo preeipizii. Nel lato tramontana e propriamente a maestro PARTE NARRATIVA Vi apresi un piccolo e malsicuro seno, che viene detto cala maestra, ove ancorai il Violante all’ epoca della mia prima venuta in que- st’ isola; però il vero luogo d’ approdo è dalla parte di levante e vien detto Jo scalo 0 Cala principale. Sorgono quivi le poche case dei pescatori e la spiaggia offre sicuro ricovero alle loro barche. Il suolo è calcareo con schisti argillosi; non diffetta d’ acqua, essendovi nell’ isola ben 7 sorgenti ed è tutto ammantato da perenne verzura, per folte macchie di lentischi, corbezzoli, eriche, mortelle, e rosmarini. Vi prosperano altresì pini, cipressi, alcune quercie, l’olivo, il castagno, molti alberi fruttiferi e special- mente il fico. Si trovavano una volta nell’ isola capre selvatiche, o meglio inselvatichite, ma non sonvi al presente che conigli in straordi- naria quantità. Si dice che vi fossero pure gatti selvatici, ma credo non vi siano dati per asserirlo. Nella stagione del passaggio l'isola abbonda d’ ogni sorta di volatili. Ricco è il mare di pesce e nei mesi di Aprile, Maggio e Giugno numerosi vi accor- rono 1 pescatori di Santa Margherita e di Camogli alla pesca delle acciughe, rinomate per la loro grossezza e lo squisito sapore. Quest’ isola vien ricordata dagli storici e geografi Plinio, Pom- ponio Mela e Tolomeo sotto i diversi nomi di Urgon, Orgon, Gorgon ; ma nulla si conosce della storia antica di questo scoglio probabilmente lasciato incolto e disabitato; pure in alcuni scavi eseguiti nella località conosciuta col nome di Pian dei morti e più in basso della valle trovaronsi traccie di lavori antichissimi, cioè pavimenti a mosaico e muri a dadi, costruiti con tanta precisione ed eleganza da fare ritenere che debbano rimontare all’ epoca della potenza romana; fra quelle rovine e precisamente in una specie di grotta costrutta con solide mura si rinvennero due teschi, alcune monete di rame, un piccolo vaso di terra ed altri oggetti. Fu scoperta pure un’ interessantissima inci- sione etrusca scolpita in una parete, la quale credesi possa rimontare a mezzo secolo più addietro della decadenza del dominio etrusco. Alcuni dei teschi sembrano potersi ritenere di tipo etrusco presentandone tutti i caratteri descritti dal celebre Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (9 Ottobre 1877). 2 18 CROCIERA DEL VIOLANTE Prof. Vogt. (). Tutti questi oggetti vengono conservati nel pic- colo Museo che si sta formando nell’ isola per cura dell’ intelli- gente Direttore della colonia penitenziaria, Cav. A. B. Biamonti, che fece eseguire questi scavi e provano che a ben remota età devono risalire i primi abitatori dell isola, senza che noi pos- siamo però conoscerne la storia. Quest’ isola viene rammentata dal poeta latino viaggiatore Rutilio Numiziano nell’ anno 398 dell’ era volgare, nel lamentare che fa la sorte di un ricco giovane che aveva abbandonata |’ ido- latria per ricoverarsi fra i Cenobiti che abitavano l'isola. I monaci della Gorgona sono altresi ricordati dal Massimo Dott. S. Agostino, il quale approdò a quest’ isola allorchè dall’ Africa recavasi alla città di Luni; ed al cui vescovo essi obbedi- vano. Era allora questo Cenobio uno dei più cospicui dell’ Etruria. Anche fino al procelloso governo di Odoacre risalgono le memorie della Gorgona, leggendosi nelle cronache dell’ epoca essersi quei solitari dati ad una regola più austera, sotto il vecchio Eudosio loro superiore, di cui si conosce una corrispondenza epistolare con S. Agostino. Si sa infatti che la stretta regola di S. Benedetto abbracciata in seguito dai monaci predetti rimase in tutto il suo vigore sino ai tempi di S. Caterina da Siena, che più volte visitò la Gorgona; pare che anche la rinomata Contessa Matilde di Toscana appro- dasse a quest’ isola e facesse ricche donazioni all’ Eremo di San Gorgonio, allora posseduto dai PP. Benedittini, sotto la direzione dell’ Abate Lanfranco. Intanto i predetti monaci, ricchi per queste donazioni e per diversi beni che possedevano in Corsica, sembra che avessero idea di stabilire in Gorgona una delle loro sedi principali e nell’ anno 1074 sotto il pontificato di Gregorio VII, eressero un fabbricato da servire di monastero, al quale andava pure unita una chie- setta. Di questi edifizii il Biamonti crede vederne le vestigia nelle località del Pian dei morti. Anche l aggiunta fatta all’ an- (') Biamonti Cenni storici, geologici e botanici sull’isola di Gorgona. Livorno Tip. Meucci 1873. PARTE NARRATIVA 19 tico castello di Torre Vecchia vuolsi che sia stata opera dei Benedittini, sia per essere maggiormente garantiti dalle molestie dei corsari, sia per riporvi in essa le diverse raccolte della cam- pagna, giacchè sembra che ai rigori della più austera penitenza aggiungessero il lavoro dei campi, con cui provvedevano al loro mantenimento. Verso il 1283 temendo i PP. Benedittini che i Pisani non s’ impadronissero della Gorgona, elevarono, per mezzo del loro Priore Abate Marco, solenne protesta contro gli anziani di Pisa af- finchè non occupassero l'isola; sembra infatti che fossero esauditi, giacchè ne ricevettero in seguito protezione e molte provvigioni. In seguito i suddetti monaci infastiditi dalle frequenti scorrerie dei pirati saraceni, furono costretti ad abbandonare quasi total- mente |’ isola per riunirsi alla famiglia del convento eretto in attiguita alla nuova cappella di S. Vito, posta nel borgo fuori Pisa. Nel 1374 Papa Gregorio XI, per essersi da quei monaci quasi abbandonata I’ osservanza monastica e non essendo rimasti che in numero di soli 3, li soppresse e 1 loro beni col convento furono ceduti ai Certosini. Allettati i Barbareschi dai pingui bottini riportati precedente- mente dal convento della Gorgona, ritornarono in quest’ isola, ed egual sorte dei loro predecessori s’ ebbero i Certosini; poichè sbarcati i pirati ripetutamente nell’ isola trassero in ischiavitù gli stessi monaci, distruggendo e devastando ogni cosa e smantellando la presidiata rocca, come rammenta Papa Martino V in una epistola a Giulio Ricci Arcivescovo di Pisa (1). I superstiti mo- naci ricoveraronsi sul continente nella ridentissima valletta di Calci, ove esiste uno dei più sontuosi monasteri d’ Italia. Caduta Pisa sotto il dominio dei Fiorentini e divenuti padroni di Livorno, andarono al possesso della Gorgona e verso la metà del secolo XV si diedero a restaurare e presidiare le fortificazioni dell’ isola; ma affacciando i Certosini di Calci i loro diritti sulla Gorgona, i Fiorentini ne lasciarono ad essi anche la difesa. I Barbareschi (1) Attilio Zuccagni-Orlandini. Corografia fisica, storica e statistica dell’ I- talia e delle sue isole. Parte XII. Isole. 20 CROCIERA DEL VIOLANTE non tardarono a scendere di bel nuovo nell’ isola e i poveri monaci assuefatti alla vita claustrale, inabili all’ arte del soldato, si videro nuovamente espulsi. Passata quindi la Gorgona in enfiteusi a certi fratelli Griffi pisani nel 1509, piacque 10 anni dopo a Leone X investirne il comune di Firenze e quindi un certo P. maestro Stefano da Bisignano religioso del Carmine, a condizione che prestasse giuramento di fedeltà alla Signoria di Firenze, e ciò nell’anno 1520. La condotta del Frate feudatario e dei suoi scontentò il granduca Cosimo I, il quale nel 1564 spodestò il tonsurato vassallo e cedé la Gorgona ad una famiglia di monaci Basiliani, passando loro scudi dugento a titolo di spese necessarie al mantenimento dell’ ordinario presidio. Riserbavasi il granduca I’ alto dominio e il diritto di pesca. Allorché Cosimo III sali al trono, la famiglia dei frati Basiliani era a poco a poco venuta meno e i Certosini di Calci rimisero innanzi le lero pretese e tanto fecero sull’ animo del granduca, già portato a prediligere gli ordini religiosi, che accordò loro la restituzione della Gorgona alle seguenti condizioni: che marinai, passeggieri e pescatori potessero liberamente approdare nell’isola; che fossero lasciate alla corona seicento stara di terreno per provvedere alla conservazione dei fortilizi e del presidio; che tutti gli altri pro- venti del suolo non fossero soggetti se non alla decima pagata allo studio di Pisa; che i militari del presidio avessero licenza di far legna; che il diritto di pesca non fosse esclusivo ai monaci ma comune a tutti; ma che il far leggi e amministrar giustizia appartenesse esclusivamente al Sovrano. Con questi patti i Cer- tosini ritornarono al possesso dell’ isola (!). Si fu allora e negli anni susseguenti che i Certosini diedero co- minciamento all’ erezione della chiesa all’ ospizio della Certosa e a diversi magazzeni allo scalo principale e a quelli detti delle capanne; (1) Questa cessione fu fatta per atto notarile in Firenze nello studio di D. Francesco Maria de Giuntinis il 12 Luglio 1704. L’ abate Fedeli ne prese giu- ridicamente possesso il 14 Agosto di detto anno come da atto: « Ego Camillus q. Rocchi filius, civis Pisanus, de Calcis valle Not. Publ. Flo- » rent. rogatus fui et ideo ad laudem magni Dei me subscripsi solitumque » notariatus signum apposui ». PARTE NARRATIVA 21 ma di questi fabbricati se la maggior parte fu portata al com- pimento, altri rimasero incompleti. Un pozzo venne pure scavato in quest’ epoca: nella valle di Cala Martina e da tutt’ ora in abbondanza acqua potabile. Furono in quell’ epoca scoperte vicino all’ antico monastero della Certosa alcune cave di marmi di varie specie, qualcuno somigliante a verde antico, qualche altro al lapis lazuli, che inviati ben ripuliti a Roma furono stimati preziosi. Verso il cadere dell’anno 1706 furono date da D. Giuseppe Foco sovraintendente generale delle fabbriche e coltivazioni del- l'isola, le necessarie disposizioni per il diboscamento e coltivazione del terreno, affidando tale incarico a certo maestro Andrea Razzaguso di Camogli. Infatti questi coi suoi figli e con una frotta di lombardi, s imbarcò sul navicellone Annunziata dei PP. Certosini; appena giunto principiò la scassatura e il diceppamento del terreno nel luogo già più volte menzionato del Pian dei morti e rimise in istato di florida vegetazione le poche ma gi- gantesche piante d’ ulivo che tutto dì si osservano rigogliose in detta località, quantunque |’ epoca in cui furono piantate debba farsi risalire al 1374, allorchè i PP. Certosini abitarono I’ isola per la prima volta (!). Continuarono le intraprese coltivazioni fino al 1764, epoca in cui da D. Alfonso Maggi di Milano, Priore della detta Certosa di Pisa, fu ceduto l’ isola al gran Duca Pietro Leopoldo I e fu così definitivamente abbandonata dai Certosini. Passò allora l'isola nelle mani della famiglia Moretti e quindi sotto l’ amministrazione doganale. Fu data poi in affitto a brevi intervalli di 5 o 6 anni al più, e nell’ Ottobre del 1833 fu ceduta in enfiteusi ai fratelli Giovan Battista e Francesco Baldini per l’annuo canone di lire fiorentine 1650. Finalmente nel 1859 anche la Gorgona colle altre parti della Toscana fu unita al regno d’ Italia. Vi furono in prima mandati a domicilio coatto briganti e manutengoli, dei quali pochi laboriosi cominciarono a lavorare il terreno, preferendo invece la maggior parte passare la vita (1) Biamonti, op. cit. Be CROCIERA DEL VIOLANTE oziando. Però considerando il governo che dai progressi dell’ a- gricoltura deriva in gran parte la prosperità delle nazioni, che dai lavori agricoli potevansi ritrarre proventi maggiori che non in qualunque altro genere di stabilimento penale e che in una colonia si poteva ottenere più facilmente il rigeneramento morale del condannato, nell’anno 1869 vi costituì una colonia agricola penale succursale a quella della vicina Pianosa. Posta questa colonia sotto la direzione del Cav. Oggero, cominciava per l'isola un era novella di risorgimento, allorchè questo infelice funzionario venne misteriosamente ucciso il 19 Giugno 1871, mentre con una lesgiera imbarcazione tragittavasi a Livorno! La presente florida colonia è diretta dal distintissimo ed infa- ticabile Cav. Biagio Biamonti, il quale con molto zelo e sapere sta continuando I’ opera rigeneratrice iniziata dal suo predecessore. Nella mia prima visita fatta cola nel 75 trovai I’ isola già in gran parte diboscata e coltivata a vigneti; erano ben già 160 mila i maglioli piantati dalla fondazione della colonia; inoltre vi prosperavano piantagioni di lino, frutteti e rigogliose vi cre- scevano le ortaglie. Per quanto si proceda al diboscamento , non è però intenzione del Biamonti che questo sia esteso a tutta l'isola, che anzi con saggio divisamento vengono lasciate allo stato boschivo le cime delle colline e il versante a ponente, ed in altri appositi luoghi vien anzi favorita ed accresciuta la folta macchia colla seminagione di piante di alto fusto, così influenti nelle condizioni climateriche e così vantaggiose all’ in- dustria ed alla ricchezza delle nazioni ('). (1) Non voglio tralasciare di trascrivere qui un brano dell’ opuscoletto del Biamonti, che trovo così a proposito contro lo odierno sterminio dei boschi: « Molti infatti sono i vantaggi che ci danno le località boschive: ad esse » dobbiamo principalmente la deviazione e l’ arresto degli impetuosi venti, la » regolarità delle stagioni, l’ abbondanza delle pioggie, giacchè secondo Blu- » menbach sono dovuti alla frescura dei boschi il condensamento dei vapori, » cioè il richiamo della rugiada e della pioggia (cotanto necessaria in que- » st'isola nella stagione estiva) e l’ origine delle sorgenti. In effetto sono le » boscaglie, le quali difendendo dai raggi del sole il sottoposto terreno, fa- » voriscono l’ assorbimento degli umori e questi, filtrando nelle cavità della » ferra, forniscono quell’ acqua, che è dalla natura destinata alla manuten- » zione delle fonti, al quale riguardo Seneca scriveva essere i luoghi più umidi = | | | il | | | Ì | ill | | | | | Il | | | | \ | | IL lì ill | i | | | | (yn | ‘ Pag. 23 GORGONA — La torre vecchia. BR are a AVESTE VECI aS a VERI y » hi TAR È : ¢ Pegi de) ap ' DACI / fed Sek i 4 4 RI 5 } 4 Ù 4 Hi.) LI ade i 4 in 1 a ‘4 ? 5 i ae + È : ‘ } si n: a Pe 1 n ; ee } a wie ; ti ha ni k ray: l 5 5 : FATA Jf i : : ® Y id ’ | | n , ee i NO, ei I LA lA asi? : \é r : . a È Li te dS, È (a . aie) . i FALC TIA] ante n) i RI LI) SI aM ' ier vit 7 co ù A ’ Li x x é a è ul sf PARTE NARRATIVA 23 Trovai pur un sito adattato per I’ allevamento delle api; una vasta conigliera; un immenso pollajo; una fornace per far la calce; una conceria di pelli e tutto ciò condotto con sorpren- dente cura, diligenza e nettezza dai detenuti. Solo a coloro fra i detenuti che hanno avuto una buona condotta negli stabilimenti penali, è accordato come premio il benefico soggiorno delle colonie agricole. Essi sono al presente in quest'isola in numero circa di 300. Vi sono scuole elementari di geometria e di disegno per coloro che si applicano ai me- stieri; ai contadini che formano il nucleo maggiore della famiglia detenuta, s' insegnano le principali nozioni di agricoltura. In questo luogo claustrale, staccati dal generale consorzio, tra la frescura delle piante, sotto l’ azzurra volta del cielo, silenziosi e raccolti, 1 detenuti hanno campo di ritemprarsi a nuova vita e si preparano a ritornare emendati in grembo alla società. Essi vivono distribuiti in parte alla Torre Vecchia o I’ antico castello, in parte alla Torre Nuova e in un altra piccola casa colonica costruita nel lato di libeccio dell’ isola presso ad una grotta che porta il nome di Grotta di S. Gorgonio, abbenchè questo santo non abbia mai soggiornato nell’ isola. Tutte queste varie località sono fra loro in comunicazione e riunite con oltre 15 Kilom. di strade larghe e spaziose, le quali sarebbero carrozzabili, se alla Gorgona esistessero vetture. La Torre Vecchia o Vl antichissimo castello dell’isola sorge sui » quasi tutti ombrosissimi. « umidissima fere quaecumque umbrosissima ». » È pur dovuto alle selve lo scaricamento dell’ elettricita atmosferica...... » Non posso però passare oltre senza accennare che l’ innalzamento dei letti » dei fiumi, il disalveamento delle acque, le continue piene e rotte dannosis- » Sime che ora succedono nell’ Italia nostra, non avverrebbero, quando fos- » sero meglio conservate le boschive località, giacché esse impedirebbero di » scaricarsi tutto ad un tratto nei terreni e da questi nei fiumi; quest’incaglio » darebbe ai fiumi il tempo voluto per ismaltire gradatamente le sopravve- » nienti acque, le loro piene sarebbero perciò innocue; cosicché si potrebbero » ottenere considerevoli vantaggi da quegli eventi stessi, che oggi sono og- » getto di cotanto spavento: e decrescerebbero quelle mutazioni rapide di » temperatura Cul si va soggetti presentemente, le quali ci tolgono spesso i » benefici influssi delle stagioni di primavera e d’ autunno.....». Non sono essi disgraziatamente troppo veri questi mali a cui accenna il Biamonti ? 24 CROCIERA DEL VIOLANTE precipizii del lato occidentale, poggiato in parte sopra un arco che congiunge due inaccessibili punte che stanno sospese sopra un abisso di più di 100 metri sul mare. Pittoresco e fantastico quanto mai dir si può questo castello, dalle brune e vetuste sue mura sulle quali il tempo ha impresso quella tinta caratteri stica ed indelebile che non è dato che ai secoli il rivestirne i monumenti, si confonde colla montagna di cui ha il colore. Mugge ai piedi di quei precipizii |’ onda furiosa, che mossa dalle mareggiate di ponente si frange maestosa sulle sottostanti irte scogliere: scosse ne tremano le mura del castello e gli spruzzi del mare portati dal vento ne bagnano la merlata torre. Nidifica su quella altura l'uccello di rapina e roteando sulla severa rocca sembra contenderne all’ uomo il dominio. Posta questa a cavaliere dell’ isola, domina colla sua posizione il mare quasi d’ogni intorno e nelle epoche passate dall’ alto della torre si corrispondeva colla città di Livorno per rendere avvertiti in terra ferma dello approssimarsi dei pirati Barbareschi. La torre nuova presso al mare fu costrutta al tempo del go- verno mediceo. Dannosi alla colonia sono i conigli selvatici, 1 quali distrug- gono le seminagioni e devastano 1 campi, diventando un vero flagello per l'agricoltura. Sogno dorato del Biamonti sarebbe I’ attuazione di un molo, del quale già veggonsi enormi massi gettati in epoche anteriori colla stessa intenzione; si restringerebbero così le acque della cala principale aperte ora ai venti di mezzogiorno e scirocco in un tranquillo porticiuolo, difeso da tutti i venti, trannne dal grecale, che ne sarebbe la traversia. Questa colonia, che dipendeva prima dalla Direzione della Pia- nosa, fu fino dal 1871 resa autonoma e da essa al presente dipende la colonia penale della vicina Capraja. L’ isola appartiene alla provincia, circondario e mandamento di Livorno. Lunedì 10. — Continua tutta la notte il vento favorevole; si naviga con tutte le vele regolari, ossia la gran vela o randa, la freccia, che è la piccola vela o vela di buon tempo posta al PARTE NARRATIVA _ RO disopra della grande, e le due vele di prora che chiameremo: fiocco quello posto in sull’ estrema prora e trinchettina quella più vicino all’ albero. Appena giorno si vede distintamente la Capraia alla quale passiamo vicinissimo. A mezzogiorno la punta mezzogiorno dell’ isola detta Zenobito per ponente della bussola, distante miglia 4. GASP ETAT A: Non dista dalla Corsica che miglia 15 e 22 dalla Gorgona; al pari di questa fu essa ripetutamente visitata dal Violante e però non posso qui passarla sotto silenzio. S' innalza 350 metri sul livello del mare ed ha una forma allungata da tramontana a mezzogiorno con 14 miglia di circon- ferenza. Differisce essenzialmente dalla vicina Gorgona nella co- stituzione del suolo, essendo esso di origine vulcanica e quasi esclusivamente formato di rocce trachitiche variotinte e friabili. Vi si trova in certe località una specie di argilla colla quale si fanno buone stoviglie e alle falde del monte Castello vi si osserva una sorgente di vitriolo, ma in scarsissima quantità. Un lago o meglio una piccola palude si trova sulla vetta centrale dell’ isola e vien chiamata stagnone; questa anche nelle più grandi siccità non sì è mai essiccata ed è creduta un lago craterico di estinto vulcano; si gode di lassù di una bellissima vista del toscano arcipelago e della Corsica. Le coste dell'isola sono quasi tutte rocce inacessi- bili e frastagliate da piccole insenature e grotte ove altra volta, ma inutilmente, diedi la caccia alle foche, quivi abbondanti (’). Sgorgano nell’ isola parecchie sorgenti le quali somministrano acqua salubre e perenne agli isolani. È quivi scarsa la vegetazione, e per la natura stessa del suolo radi e circoscritti gli angusti campicelli, la coltivazione dei quali è precipuamente affidata alle donne, essendo gli uomini dediti alla vita del mare o emigrati in Corsica e altrove per cercarsi il vitto che loro nega l arida isola. La terra produce grano ed orzo in poca quantità (1) P. Pavesi. Prime crociere del Violante. 26 CROCIERA DEL VIOLANTE e pochissima uva di cui si fa un vino mediocre, non eccellente, come alcuni asserirono; ma che potrebbe essere tale se fosse fatto secondo le odierne norme enologiche, anziché nel modo del tutto noemico praticato dagli isolani. Si trovano nell’ isola mac- chie di lentischi, eriche, corbezzoli, rosmarini, qualche albero di carubbo, di mandorlo comune, il pero e il sorbo. Vi abbondano numerose le pernici rosse, starne, passeri solitarii, corvi, piccoli falchi e tutte le specie di uccelli di passaggio e permanenti, comuni alle isole dell’ arcipelago. Vi si trovano numerosi i conigli selvatici, grossi topi e, si dice, anche qualche gatto selvatico. All’ epoca del nostro soggiorno in quest’ isola, un solitario cignale, unico superstite di vari che vi furono importati, saggirava per le montagne, avendo potuto fino allora sfuggire alle insidie dei cacciatori. Il mare è ricco di pesci, sopratutto di triglie ; di queste ultime ne pescammo nel porticiolo stesso, colle reti gettate accanto al Violante; esse per la loro grossezza e squisitezza rammentano quelle che gli antichi Romani pagavano fino a 8000 sesterzi. Vi si pescano pure gronghi, orate, morene, delizia di Lucullo, e ali- guste. Nella prossimità dell’isola trovansi tartarughe di mare, delle quali una fu presa dal Violante nella crociera del 75. Dalla parte di levante I’ isola forma un piccolo golfo o seno che costituisce il porto, il quale gia di poco fondo, viene sempre più riempito del terriccio portatovi dal torrente Molino che si scarica nel medesimo. Sul molo’ del porto esiste un fanaletto dalla scarsa luce per indicarne l’entrata. La traversia di questo golfo è il Greco Levante. Il porto è difeso dalla fortezza S. Giorgio la quale è posta sulla sommità di una rupe sul lato mezzogiorno del seno; è essa dalla parte di levante pressochè inacessibile, si sarebbe detto una volta inespugnabile; fu eretta dai genovesi sul principio del secolo XVI per difendersi dai pirati Barbareschi, come risulta da un’ iscrizione esistente sulla porta principale. Il tempo comincia su di essa I’ opera sua distruggitrice, poichè dal lato di levante una parte soprastante al mare è già rovinata. Oltre alla fortezza, sulla punta mezzodi dell’ isola vi è una torre detta Zenobito e un’ altra, detta della Ti or È Pag. CAPRAJA — Veduta del paese. EE IO NONNI DI er a) { 4 x A n - . iero 7 SUMED A Iata Era: Metro an ea *” At ni 7a ral wir 4% ’ eer thr } : al ‘ LIE i : LIRA ae Ù ¥ - a4 : + la | Ì x 20,4 ia etti = - Li E dd i : Pi - ? = * +! x È 5 i i 7 . a 5 ve. i { be st Ti A LI 7 Ì PARTE NARRATIVA Peet Teja o Barbigio, è sulla punta tramontana; una terza torre è situata all’ ingresso del villaggio dal lato del golfo e domina il porto e la campagna. Il villaggio è I’ unico centro abitato dell’isola e sarebbe di una mediocre costruzione, ma le case sono in gran parte abbandonate o cadono in sfacelo, e questo paese che contava altra volta 1000 abitanti, ne conta al presente appena 500. L'isola fu chiamata dai Greci Aygilion e dai Latini Capraria o Caprasia per la grande quantità di capre che vi si trovavano un tempo sparse. Credesi essere stata in origine abitata da una co- lonia Greca e vuolsi che molti vocaboli del dialetto locale sieno greci, stranamente però alterati; come pure si pretende che le donne conservino una foggia di vestire ellenica, di che volli indarno capacitarmi coi miei propri occhi. Nel IV secolo vi presero stanza molti cenobiti; conquistata dai Saraceni nel 1055 vuolsi fosse ritolta loro da Lamberto Cibo, il quale fino dal 999 si era stabilito in Genova; ma una tal gloria sembra esser dovuta ai Pisani, ai quali ne fu confermato il pos- sesso insieme a quello della Corsica, della Gorgona, dell’ Elba e della Pianosa dagli imperatori Arrigo VI, Ottone IV, e Carlo IV. Nell’ anno 1430 se ne impadronì la famiglia genovese De Mari, ma la Repubblica ne la dispogliò nel 1507. (1). A questa fu ritolta dai Corsi, i quali levatisi a tumulto contro Genova, sotto la condotta del celebre Paoli, nel 1767, sbarcarono in Capraja e se ne impadronirono. Un anno dopo la Repubblica genovese cedé la Corsica alla Francia e ricuperò in quella guisa Capraja restandole definitivamente riunita. Nelle recenti vicissitu- dini politiche fu nel 1796 per breve tempo occupata dall’ Ammi- raglio Nelson, il quale fece saltare una parte della fortezza che guarda il villaggio e il porto. Sotto la Francia essa era aggre- gata al dipartimento corso del Golo. Nel 1814 venne di bel nuovo ostilmente occupata dagli Inglesi e finalmente nel 1815 dal trattato di Vienna fu col Ducato di Genova assegnata al Re di Sardegna. (‘) Gambiagi. Storia di Corsica Vol. I pag. 329. 28 CROCIERA DEL VIOLANTE Nel Marzo dell’ anno 1874 vi fu dal governo attivata una co- lonia penale agricola e abbenché in meno floride condizioni della Gorgona e piuttosto sotto la direzione del Sig. Cesare Marchesini, sarà essa pure sorgente di ricchezza allo Stato. Dominata la Capraja da furiosi venti, è la pampinosa vite che più di tutto vi alligna e cresce rigogliosa, tanto che pare voglia la stessa natura indicare la coltivazione da doversi ivi attivare di preferenza, promettendo importanti raccolti, quando alla viticoltura si dia specialmente ampio sviluppo. Quest immane congerie di sassi, resa in progresso di tempo a coltura, darà essa pure buoni risultati ove dell’ opera industre dell’uomo non faccia difetto; il che certo pare non sarà, poichè i detenuti che ora sono nel limitato numero di 200 potranno col tempo essere portati a 500 e così coltivare tutti i terreni ceduti dal comune, che formano un terzo dell’ isola stessa. Vivono ora questi detenuti aqquartierati nella fortezza; ma dal Ministero degli Interni venne disposto per I’ erezione di nuovi locali. A facilitare la costruzione dei fabbricati venne già attivata dal Maggio 1875 una fornace a mattoni, la quale disimpegnata dai detenuti stessi, da ottimi risultati. L'isola al presente è mandamento del primo circondario della provincia di Genova. Proseguimmo, sempre sospinti da un bel venticello di tramon- tana, per Pianosa; simpatica isola che non mi stancherò di vedere o di scendervi ogni qualvolta il Violante passerà per quelle acque. Navigando a breve distanza dall’ Elba senz’ altri incidenti, alle 6 pom. vi giungo, ancorandomi alla Cala S. Giovanni in 5 metri di fondo. PIANOS A. L’ isola di Pianosa, la Planasia degli antichi, è situata fra le isole d’ Elba, di Montecristo e di Corsica, ha circa 12 miglia di circuito e si chiama con tal nome per essere quasi tutta piana PARTE NARRYTIVA 29 con leggere ondulazioni, la sua maggiore elevazione dal mare essendo di soli metri 24. L’ ossatura dell’ isola è tutta calcarea; il travertino ne costituisce la parte principale; in qualche punto trovasi una specie di breccia assai buona per confezionarne macine da molino. È assolutamente dimostrato esser falso, contrariamente a quanto altri scrisse, che si trovino alla Pianosa marmi e graniti di pregiate varietà. Presso i così detti Bagni d’ Agrippa e altrove si vedono ruderi di antichi edifizj con avanzi di opere reticolate e marmoree: ma quei materiali vi furono evidentemente trasportati dai Romani. In qualche parte il calcare è conchiglifero e altrove è misto anche all’ argilla (!). Sono interessantissime le grotte ossifere ormai troppo bene esplorate dal dotto archeologo Prof. G. Chie- rici (*). Sonvi nell’ isola una grande quantità di annosi olivi in gran parte inselvatichiti e vegetano nelle parti incolte corbezzoli, rosmarini, lentischi, lecci, querce e qualche carubbo. Nella stagione del passaggio si trovano in quantità incredibile quaglie, lodole, tordi e beccacce e talvolta vi si fermano grù, oche ed uccelli acquatici di differenti specie; i colombi selvatici vi nidificano. Il clima dell’isola è mite e saluberrimo. Le acque potabili non mancano abbenchè non sia bagnata da stagni nè da torrenti: il terreno assorbe le acque piovane e le abbondantissime rugiade estive, le filtra fino all’ incontro di uno strato di marna sotto- stante ed impermeabile, il quale serve di fondo ai varii antichis- simi pozzi sparsi per I’ isola. Per la stessa cagione hanno origine alcune sorgenti, delle quali la principale è detta della Botte, ove trapelano le acque dallo scoglio, ricoperto da un verdeggiante strato di Capel Venere, mantenendosi perenni anche nelle maggiori siccità. Difficilissimo sarebbe voler stabilire in quale remota epoca e (1) Zuccagni Orlandini. Corografia fisica, storica e statistica dell’ Italia e delle sue isole. (2) Leggo in una memoria del Chierici , (Antichi monumenti della Pianosa): « Nelle ossa fossili ivi raccolte il Gastaldi riconobbe I’ orso speleo, la volpe, la » donnola, l’antilope, il cervo, la scrofa, l’ asino, il cavallo, il bue, l'aquila; ed » il gran numero di questi animali dimostrato dalla grande quantità delle ossa, » gli e argomento a supporre, che un lempo l’isola fosse unita al continente. 30 CROCIERA DEL VIOLANTE da qual sorta di gente venisse per la prima volta abitata la Pia- nosa. Rischiara alquanto quell’ epoca di tenebre un libro ma- noscritto del Goto Celteuso o Celteudo, il quale nell’ anno 530 dell’ era volgare, sotto il regno d’Alarico, recatosi all’isola d’Elba per osservarvi avanzi di antichi monumenti, scriveva: che sul principio della guerra di Troia Sarpedonte Re di Licia e Pan- filia, sbarcò con armate genti in Italia, occupando I’ Elba, la Pia- nosa ed il Giglio (1). Più recenti studii, a cui cooperarono non poco le ultime sco- perte archeologiche del Foresi e del Chierici (*), fanno intravve- dere che fin dall’ età della pietra quest’ isola fu abitata. Secondo Diodoro Siculo gli Etolii popolarono per i primi l'isola d’ Elba ed è molto probabile ch’ essi sieno discesi anche alla vicina Pianosa. Da bolli riscontrati in varii frammenti di tegole e di vasi rossi Aretini è indubitato che l'isola di Pianosa era abitata nel VII secolo di Roma e I’ aver quivi trovati sche- letri con un anello di bronzo attorno alla tibia, farebbe supporre essere stata Pianosa in una certa epoca luogo di deportazione. Le sue prime memorie più accertate non oltrepassano I’ epoca del secondo Triumvirato di Roma, essendosene in quell'epoca im- padronito Sesto Pompeo, il quale impossessandosi di quest'isola e di tutte le isole italiane, toglievale ad Ottaviano emulo di lui, promettendo però di lasciar libera la navigazione ed il commercio. Menodoro Ammiraglio valentissimo di Sesto Pompeo, rivale di Menecrate altro ammiraglio dello stesso Pompeo, fuggi ad Ot- taviano che lo accolse favorevolmente. Di questo discorre a lungo Appiano Alessandrino. La defezione di Menodoro decise della caduta della strana potenza marinaresca di Pompeo, il quale per un volger d’ anni assai lungo tenne colla squadra il Mediterraneo a’ suoi cenni ed impose talvolta le sue condizioni ad Ottaviano ed Antonio. Ciò avvenne I’ anno 720 di Roma ossia 34 anni A. C. (') Sarpedonte fu, secondo l’ Iliade, ucciso da Diomede; ma Celteuso poteva avere un'opinione tutta sua particolare, che rispettiamo profondamente. (2) Gaetano Chierici. Antichi monumenti della Pianosa. Reggio d’Emilia 1875. PARTE NARRATIVA sl Il punto più saliente della storia di quest’ isola è di aver servito di luogo d’esilio e di tomba a Marco Giulio Agrippa Postumo nipote di Cesare Ottaviano Augusto e da lui adottato. Divenuto questi signore del mondo intero ma non delle sue passioni, per compiacere a Livia smaniosa di procacciare la successione imperiale a Tiberio figlio suo e di Claudio Nerone, rilegò il nipote Agrippa in Pianosa, col pretesto di correggerlo dai suoi viziosi costumi. Infatti Agrippa non aveva ereditato nessuna delle qualità dell’Ammiraglio suo padre Marco Vipsanio, ma tutti i vizii di Giulia sua madre. Alcuni antichi scrittori pretendono che Augusto, mu- tato consiglio, sì recasse occultamente in Pianosa a visitare Agrippa, e che Livia perciò gli affrettasse la morte con un veleno! Co- munque cid sia, è certo che morto appena Augusto, quella sven- turata vittima dell’ altrui ambizione cadde sotto il ferro di un centurione. Preludeva così Tiberio col comando di quell’ assassinio alla tirannide efferata che lo infamo. Di ciò che accadde in Pianosa sotto il dominio dei Barbari tace la Storia. Ricomparisce il nome di Pianosa nella storia delle lotte sanguinose delle due emule repubbliche di Genova e Pisa; le quali dapprima collegatesi per purgare il Mediterraneo dai Saraceni, vennero alla divisione delle isole conquistate in quelle pugne e questo fu il pomo della discordia che tanto travagliò quelle repubbliche dal 1088 al 1300, e finì coll’ umiliazione di Pisa alla battaglia della Meloria avvenuta I’ anno 1283. Nel sog- giacere i Pisani a quella micidiale disfatta perdettero non solo l'isola di Pianosa ma quella ancora dell’ Elba, e nei duri patti di pace firmati nel 1300 fu convenuto colla repubblica di Genova che tornassero essi bensi al possesso delle lore isole, ma giu- rando di non navigare per 25 anni con legni armati e di lasciare la Pianosa per sempre incolta e deserta e per assicurare questa clausola gli antichi pozzi furono turati da grandi pietroni. Nel secolo XVI la Pianosa ricomparisce nella storia florida e ripopolata, e in possessione degli Appiani signori di Piombino, im- potenti a sostenere i loro dominii contro le incursioni dei Barba- reschi. Infatti nell’anno 1553 si presentarono davanti all’ isola le flotte di Dragut e Kara Mustafà; distrutta la rocca, pene- 32 CROCIERA DEL VIOLANTE trarono nell’isola, e la devastarono ponendo in ceppi gli abitanti. Rimase così più o meno deserta e spopolata fino a che le conci- tazioni politiche che accompagnarono la rivoluzione di Francia tolsero la signoria delle isole dell’ Elba e di Pianosa ai Principi Buoncompagni Lodovisi, succeduti all’ estinta linea degli Appiani nella sovranità del principato di Piombino, di cui dette isole erano dipendenza. Rottasi la guerra tra la Francia e le altre potenze europee, il mare Toscano cominciò ad essere corso da squadre inglesi; una delle quali nel 1808 predò un grosso bastimento di bandiera francese, ancorato sotto la Torre di Pianosa nonostante il vivo fuoco fatto dal forte per difenderlo. Questa difesa inaspri gli Inglesi, 1 quali nel Maggio dell’anno successivo 1809 comparvero nelle acque della Pianosa con una fregata e due brick, sbarcarono 150 uomini ed aiutati dai cannoni delle imbarcazioni diedero I’ at- tacco alla piccola fortezza. Il comandante del presidio restò ucciso da un colpo di fucile e il presidio si arrese. Poco dopo gli Inglesi fecero saltare in aria la torre che rimase così affatto distrutta. Al giorno d'oggi si osservano tuttavia alla destra del porticiuolo i massi delle fortificazioni caduti in mare nello scoppio. Gli Inglesi invasori abbandonarono quindi l'isola, lasciandola pressochè deserta. Nella rovinosa caduta di Napoleone I dal seggio imperiale, una sorte più mite di quella che lo trasse poi a S. Elena, gli conservava la signoria dell’ Elba, della vicina Pianosa e di Montecristo. Due volte scese Napoleone in Pianosa e fu sì grata l’ impressione che riportò visitandola, che formò tosto il disegno di fondarvi una colonia agricola, non trascurando in pari tempo l'attuazione dei mezzi di una vigorosa difesa; cosicchè ordinò che sulla scoscesa rupe della Teglia che domina il porto si costruisse un forte ed una caserma. Tutte queste opere rimaste in parte incomplete sono ora surrogate o mascherate da recenti lavori eseguiti dalla colonia penale agricola. Jl 1° Marzo 1815 Napoleone abbandonava l’ Elba dirigendosi sulle coste della Provenza e così svanirono tutti 1 progetti di quel grand’uomo; e tramontata la sua stella a Waterloo, I’ Elba, PARTE NARRATIVA 33 la Pianosa e Montecristo, per effetto del trattato di Vienna, fu- rono riunite al Granducato di Toscana, del quale fecero parte fino al 27 Aprile 1859. Il governo Toscano ultimò la caserma principiata da Napo- leone, vi mandò un distaccamento di 40 guardacoste e vi fece costruire alcune piccole casette, per vero troppo umili e poco sane, pel comandante, pel sergente e pel cappellano, mentre i pochi indigeni abitavano in varie grotte. Colla lodevole inten- zione di ripopolarla fu data in affitto pel tenue canone di 1400 a 2000 lire toscane a proprietari del comune Elbano, ma inutil- mente; essa continuò a rimanere deserta e fu anzi manomessa e danneggiata da quegli stessi che l’ avevano in affitto. Nel 1829 il comandante del distaccamento Giovanni Domenico Murzi vi piantò la prima vigna in 18000 maglioli che produssero ottimo vino. Il 3 Maggio del 1838 il gran Duca Leopoldo I visitò la Pianosa passando la notte a bordo della speronara I{ Lampo; I’ Arciduchessa Maria Luisa di lui sorella fu invece ospitata nel- l alloggio, o meglio grotta, abitata dal comandante Murzi. Sulle mura di quella si legge tuttora la seguente marmorea iscrizione: A pì 3 maggio 1833 S. A. I. R. LropoLrpo II Granpuca DI Toscana SI DEGNÒ DI VISITARE QUEST’ ISOLA DELLA PrANOSA COLL’ AUGUSTA ArcipucHEssa Marra Lursa LA QUALE PERNOTTÒ IN QUESTO ALLOGGIO DEL S. TENENTE CasreLLano Gio. Dom.° Murat CHE POSE LA PRESENTE MEMORIA. Il maggiore e più valido impulso per ripopolare la Pianosa venne dato dal conte Attilio Zuccagni Orlandini,dotto scrittore della Corografia di quest’ isola, pubblicata nel 1832. In essa dichiara « che potevasi con sommo vantaggio ripopolare la Pia- nosa . ... e che provvedendo ad una migliore difesa si sarebbe ottenuto il più utile intento ». Che questa precauzione non fosse superflua, è manifesto dal fatto che non molto prima di quell’ epoca, una mano di predoni montati sopra due feluche si diressero alla Pianosa per Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (12 Ottobre). 3 34 CROCIERA DEL VIOLANTE metterla a fuoco e a ruba; ma non sgomentati i terrazzani, ricacciarono questi invasori facendo mordere la polvere a parecchi di loro. Nel Febbraio del 1835 I’ isola fu ceduta in enfiteusi per lire 1500 al Console Prussiano a Livorno Carlo Stichling, col relativo apposito contratto in cui obbligavasi di ripopolarla e costruir case, ristorare il porto e la darsenetta. Questi formata una società in accomandita diede mano all’ impresa; ma avendo dato cattivi risultati, nel 1841 il dominio enfiteutico dell’ isola di Pianosa passò nelle mani del Conte Carlo Godardo Schaffgotsch, Ministro Prussiano presso la corte Toscana. I lavori furono principiati in quell’anno stesso e diretti in massima parte dal prelodato Conte Attilio Zuccagni Orlandini socio capitalista del Ministro Prussiano. Fu riformato il primitivo disegno della casa patronale, si riordinarono i già costrutti edifizii, si gettarono le fondamenta di quattro case coloniche, si miglio- rarono le antiche grotte sotterranee o catacombe, per aqquartie- rarvi provvisoriamente i contadini, e gli innumerevoli alberi d’ u- livo furono coltivati non senza utile risultato. Vi si introdussero i suini, oltre agli animali domestici e utili all’ agricoltura; la colonia sembrava prosperasse e soddisfatti e lieti di questi primi successi fu perfino dai coloni eretto un busto al benefico Ministro Prussiano. Così fin d'allora venivaci dalla operosa e dotta Ger- mania, un nobile esempio e sprone a continuare in quella profit- tevole impresa. Malgrado questi promettenti e fruttiferi principi, l'impresa di ripopolare e coltivare la Pianosa non ebbe esito fortunato e troviamo nel 1855 nuovamente proprietario della Pianosa il go- verno Toscano; il quale con molto sagace intendimento cominciò ad inviarvi in forma di esperimento « un piccolo numero di detenuti sottoposti alla reclusione correzionale dalla superiore Autorità Politica e dai tribunali di prima Istanza, per rimanervi durante il tempo della espiazione della medesima sotto conve- menti discipline » e con sovrana risoluzione del 9 Aprile 1858 sì approvava uno Statuto che istituiva e regolava la colonia penale agricola della Pianosa. Riconoscendosi in seguito la impossibilità PARTE NARRATIVA 30 di sopperire colla predetta categoria di detenuti a tutte le esi- genze delle coltivazioni e dissodamento del terreno, si mandarono alla Pianosa i condannati al carcere, alla casa di forza ed all’ er- gastolo a tempo, tanto che nel 1861 la famiglia reclusa constava di 149 individui. Un anno prima S. A. R. il Principe Eugenio di Savoja-Carignano, Luogotenente per S. M. il Re in Toscana, con Decreto in data del 23 Maggio 1860, portava la razione del detenuto da 28 oncie di pane a 32, e stabiliva la mercede da essere loro devoluta in quattro categorie o graduazioni, che sono tuttavia in vigore, ossia: la 12 lire 1,20, la 22 lire 1, 10, la 82 lire 1, la 42 lire 0,90. Metà della retribuzione è devoluta all’ amministrazione, l’altra metà è la quota spettante al con- dannato; quest’ ultima viene di nuovo suddivisa, una metà andando alla Massa di riserva, e V altra meta, che viene in con- clusione ad essere 1/, della intera mercede, passando al condan- nato che la può spendere a suo beneplacito. In tal modo la quota spendibile giornalmente dal condannato a seconda delle quattro diverse graduazioni è cent. 30 per la 12, 25 per la 28, 20 per la 32 e 15 per la 42. Però la Pianosa era sempre sotto la direzione dei RR. Possessi, ma sul finire del 1861 furono riunite in una sola ed unica direzione la sopraintendenza dell’ isola e la direzione della famiglia dei detenuti, cessando così ogni attrito ed antagonismo fra i due comandi dell’ isola, con gran vantaggio del servizio disciplinare ed economia dello stato. Da quell’ epoca il numero dei reclusi andò man mano aumen- tando e la colonia continuò a prosperare. Nel Dicembre 1863 un decreto del Ministro dell’ Interno ap- provò definitivamente il Regolamento e le norme secondo le quali doveva essere retta la colonia a datare dal 1° Gennajo 1864. In quell’ epoca fu ultimato un grandioso edificio capace di ben 350 coloni; ma siccome l'isola per la sua forma allungata, offre notevoli distanze e rendeva malagevole e penoso, anche per mancanza di strade rotabili, l’ accesso alle più remote sue parti, così si venne nel 1872 nella determinazione di dividerla in altrettanti centri di lavorazione agricola o Poderi. Divisi così i 36 CROCIERA DEL VIOLANTE coloni in altrettante famiglie sul luogo stesso del lavoro si ebbe guadagno di tempo, emulazione tra gli agricoltori dei vari poderi, donde potente spinta ai singoli lavori di coltivazione e infine ricchezza allo Stato. Attualmente la colonia è divisa in 9 stabilimenti situati nei luoghi più opportuni, presso ai pozzi e alle sorgenti, e riuniti da ampie e comodissime strade rettilinee. Compreso la colonia succursale della vicina Montecristo, composta di 45 individui e dipendente dalla Pianosa, tutta la famiglia penale posta sotto la direzione del Cav. Leopoldo Ponticelli è di 957 detenuti. Sotto questo distinto ed infaticabile Direttore, che con vera passione si è dedicato all’ arduo compito, la colonia offre già al presente il più florido e rigoglioso aspetto che immaginar si possa. Il Ponticelli fra le molteplici sue occupazioni sa trovare sempre un momento da dedicare alle persone che pongono piede in que- st isola e con vero piacere e con una soddisfazione che mal celata gli trapela dallo sguardo e dai gesti, vi mostra le mura e le case innalzate, gli antichi poderi migliorati, i nuovi fondati, i campi dissodati e ridotti a vigneti; vi fa partecipi delle sue idee e delle sue speranze: così, parla egli, di costruzioni ad uso di cantina, di caserma, di bigattiere, di magazzeni, di stalle.... avendo in animo di dotare la colonia di tutti quei comodi indispen- sabili ad una grandiosa ed esemplare Azienda agricola, quale non tarderà ad essere l'isola della Pianosa mediante la febbrile ope- rosità ed esperienza di questo egregio direttore. Tosto dato fondo scendiamo in terra impazienti di stringere la mano al Ponticelli, il quale accortosi del nostro arrivo ci aveva mosso incontro fino al porto accompagnato da tutto il suo Stato Maggiore. Ci abbracciò affettuosamente quali sue vecchie conoscenze, e fatti 1 nostri convenevoli con tutta I’ uf- ficialità, consistente nel vice-direttore, il dottore, e gli uffi- ciali del distaccamento, restammo col Direttore, il quale e invitava a veder le migliorie e le innovazioni fatte dall’ ultima nostra visita nell’ isola nell’ Agosto del 75. Troviamo infatti nuovi forni pel pane, una fabbrica di paste, una conigliera ben provvista, | al | i WAI { | il I Uil I IIiL] Il \ | WN i | Ul Il Il I i | il Il i I U Il | Ì ili | lt RI iii ili MH ili (ul LANA | HUNAN hal Pag. 37 PIANOSA — Veduta del porto. 4 ‘ m4 bi ù ie net rr ear ry rib ni sa nre i RA 5 ILE Ù Oth Ì Pa) Ù Yf ' È - bel | N mi : ite) n . ARG LIONE } * Pa 7 ny > ron x 2 De ‘ : 4 È ° Li I NS, . Na) { 5 i vi Veli ik J i È hee JY LI À "di 14 ‘ ulti MTA Va = i ie ete 4 “ Lia AI SCORTA GAL Wi ao = rusri VI [8] (di 14 Vi aci : LV bo - : wht st Pa VI PI)A % UL PERA + A : \ oe Pa hela) AN d a Thy re 7 = ys <= 4 ' ì : q : % . Ci . . i = LI PARTE NARRATIVA 37 piantagioni di gelso e di platani vicino al mare. Visitiamo nuo- ramente la bellissima, spaziosa e deserta infermeria e la cucina ampia, pulita e ben disposta; fattici entrare nel suo studio, osserviamo un piccolo museo di geologia e mineralogia da lui con molta cura costituito, riguardante la Pianosa e tutte le isole dell'arcipelago Toscano. All’ ora della cena vedemmo 1 detenuti mangiare la loro seconda minestra. Profittando quindi di un cavallo che io inforcai, e di due carrozzelle messe a nostra disposizione dal Direttore, fummo ai poderi detti del Giudice, Cardon, Marchese e Sembolella. Tutto ci fu fatto da lui stesso minutamente osservare in ogni singolo podere; le numerose mandre di pecore e capre, i vitelli, le vacche ritornanti dalla pastura, buoi da lavoro, quelli da ingrasso o da macello, che gravemente entravano nelle pulite stalle. Ciò mi faceva pensare alle dolcezze della vita agricola e mi ricordava i bei versi di Teocrito e lo scolaresco Titire tu patulae di Virgilo. — Pas- sammo il rimanente della sera allegramente discorrendo, goden- doci il fresco della sera tranquilla e serena e gustando del latte di capra che ci venne offerto. Fummo poi obbligati a cedere alle cortesi istanze del Direttore e dormire alla Foresteria. Martedì 11. — Ci alziamo per tempo, e prima di tutto ammi- riamo la splendida vista di cui si gode dai palconi della Fore- steria. Era un bel mattino, il sole indorava dei primi suoi raggi le montagnose vette dell’ isola d’ Elba, il mare quieto e terso come uno specchio, rifletteva sulle chiare onde Tl alberatura del Violante; a destra vedevansi i ruderi dell’ antico. forte, la ca- serma, il bastione e la merlata cinta che abbraccia il porticino, sicuro asilo per le barche peschereccie e legni leggeri, ma inca- pace alla profondità del Cutter; a sinistra si scorgevano la punta del Marchese, le rovine degli antichi Bagni d’ Agrippa e i vigneti che la circondano. I detenuti che recavansi solleciti al lavoro davano vita a questo bel quadro. Il commissario ed il Dottore ritornarono a bordo col proposito di dragare e far preparare il tutto per la partenza; io rimasi col Ponticelli a prendere due fotografie dell’ isola; quindi egli volle insieme ai suoi ufficiali accompagnarmi a bordo. Nel lasciare il 38 | CROCIERA DEL VIOLANTE piccolo porto mi mostrò buon numero di oche, degne discendenti delle capitoline, poichè sono vigilantissime nell’ avvertire 1 movi- menti insoliti e le persone straniere che sbarcano nel porto. Ben sel seppe il cabin boy, che sceso soletto sulla spiaggia del porto, dovette rifugiarsi di bel nuovo nel battello, messo in fuga da quei pennuti cerberi. Il direttore fece inoltre osservare la flottiglia di cui egli dispone, consistente in un piccolo Cutter, più piccolo an- cora del Violante, e un vecchio carcame, sul quale si legge Z/ lampo, la speronara che aveva portato Leopoldo II e anche Napoleone I, quando il suo impero era ridotto all’ isola d'Elba ed alla Pianosa. A bordo frattanto avevano dragato e itramagli gettati la sera erano stati salpati e stavano sospesi allo sciorino; al mio arrivo con tutta la comitiva un ammiccar d'occhio del commissario mi accertava che la colazione era preparata. Il direttore s’ intrattenne ancora un poco con noi somministrandomi molti schiarimenti, e molteplici note sull’isola, che molto mi giovarono al presente nell’ accozzare questi ricordi. Quindi tolto commiato ed auguran-- domi buon viaggio riguadagnò co’ suoi il porto. Alle 10, favoriti da un leggiero venticello, faccio lasciare e con tutte le vele regolari, passando presso allo scoglio detto La scuola, dirigo per Caprera. Fatto onore alle grosse triglie e ad un bellissimo dentice che erano incappati nelle nostre reti, occupiamo il tempo nella ricerca del materiale estratto colla draga. Il vento scarseggiando non ci permette di andare in rotta; desideroso com’ era di prendere una fotografia della romantica e misteriosa isola di Montecristo e di dragare in quelle acque, non me ne dolsi e lasciai che il vento mi spingesse colà, ove giunsi poco prima del tramonto. MONTECRISTO. L'isola di Montecristo è fra quelle dell'arcipelago toscano la più distante dal continente; sorge a Mezzogiorno Scirocco della Pia- nosa e ne resta lontana miglia 17. Essa presenta I’ aspetto di erta rupe colossale, le cui cime torreggiano sopra le altre 6&§ ‘6nd “edISOPW ereo — OLSIUDALNOW shel age no ù TAM ul si yack: toe the nyo Rly t 4944 cst UL 4 isan 7 è J vee i J ga! È [n ")° 45 i ui i : " l ‘ a wi } a i 5 Li . E y ' gi ; a i po oy) è p pu J "EPA . Dj iT Bi \ “ . i è 6 h li ì LOVE ‘ iQ } 4 colata È: vl i, , } 1A i Bg i iy nm é Vee a . Bui i? à fh DOT eta? veli DI ) ui A È 4 » af FASI 5 N} . & Lip as j yan VBA 6 6 4 5 ù PARTE NARRATIVA 39 isole circonvicine, elevandosi oltre a 644 metri sul livello del mare. La sua circonferenza è di circa 5 miglia; manca affatto di spiaggie e di seni riparati e non vi sì può approdare che in una insenatura esposta a P.¢ M.° e chiamata Cala Maestra. L’ isola è nota ai naturalisti per gli studi del Giulj di Siena, del Pareto e del Caruel e non tarderà ad essere illustrata anche dal Chierici, che vi fece in proposito breve soggiorno. Essa è formata da un monte tricuspide, coperto di scabrosità e di dirupi sino alle falde. La sua costituzione geologica è granitica e la roccia di cui principalmente risulta, presenta molteplici varietà nel colore predominante, essendo ora grigia, ora biancastra, ora oscura, ora rossastra, somigliando talvolta alla Stenite d’ Egitto. Nelle sue masse si trovano talora cristalli di tormaline e di granati. Presso a Cala Maestra è una breccia silicea giallo-verdastra e vi si trovano cogoli erratici di porfido , di calcare e di serpentino e in qualche località si rinviene un arenaria giallastra (1). Per la maggior parte la roccia granitica è nuda e ove si trova coperta di terra vegetale si osservano eriche, mortelle e lentischi. Vi è pure una macchia assai folta di annosi lecci. Errano fra quelle piante molte capre selvatiche con pelo rossastro oscuro, due delle quali furono prese da me nella crociera del 75 ed ora sono ostensibili in Genova nel pubblico giardino della villetta Di Negro. Vi si trovano pure martore e topi; nidifica negli scogli la Cotyle riparia e allorchè vi discen- demmo lo scorso anno vi trovammo pernici e corvi; questi ul- timi, a detta dei guardiani, conducono i loro piccoli, appena possono volare, in Corsica. Numerosa fu la raccolta che vi fa- cemmo in quella crociera di ragni, insetti, pipistrelli e vipere. Montecristo, secondo alcuni, è nome sostituito al più antico di Insula Jupiter. Plinio chiama quest'isola Og/asa, altri vogliono si chiamasse. anche Artemisia. Prescindendo dalle indagini sui primi abitatori di Montecristo e sulle vicende di quest’ isola in tempi remoti, giacchè ne tacciono gli storici, par fuori di dubbio (1) Zuccagni Orlandini. Corografia fisica storica e statistica dell’ Italia e delle sue isole. 40 CROCIERA DEL VIOLANTE che nel V secolo dell’ Era nostra fosse abitata, poichè S. Mami- liano Vescovo di Palermo, che i Vandali espulsero dalla sua sede nel 445, cercò un ricovero in quest’ isola per se ed alcuni com- pagni e si costruirono sulla montagna, e forse dal lato Maestro Tramontana e nel luogo conosciuto al presente dai pescatori per grotta di S. Mamiliano, un eremo di cui rimangono i ruderi. Presso questi si osserva una pietra da macinare ulive ancora ritta al suo posto e che indica aver tal luogo servito anche da mulino. Io visitai nella prima crociera tali avanzi che accennano ad età ben remote ed a cui sono attaccate leggende più o meno inverosimili. Visitai la grotta, che è uno scavo nella rupe con- tenente una pozza d'acqua eccellente, la quale senza alcun apparente sfogo rimane sempre allo stesso livello. Questa grotta fu convertita in una cappella e i pescatori che approdano nell’ 1- sola non tralasciano di fare un pellegrinaggio al santuario, quan- tunque sia situato a notevole altezza sulla montagna e per ac- cedervi si siano scavati gradini nella roccia granitica. Vi trovai parecchie effigie di santi, e piccoli voti o doni consistenti in pez- zetti di corallo! Il Barone Manno nella sua storia della Sardegna (Tom. I pag. 161) fa menzione di un certo Guglielmo, signore Corso, Giudice della provincia di Cagliari, che fece larghe donazioni al convento di S. Mamiliano dell’isola di Montecristo al principio del secolo XI, e di altri doni. Egli accenna poi ad un certo Ugone pur esso Corso e Giudice Cagharitano, il quale donò varii poderi alla Chiesa di S. Maria di Canovaria nell’ isola stessa. Sembra che nel 1232 Papa Gregorio IX aggregasse il Cenobio di Monte- cristo, allora florido per ricche donazioni fatte a quei monaci dai signori Corsi, all’ ordine Camaldolese, e dagli annali di questi religiosi (libro 2° pag.77) si rileva che i monaci avevano abban- donato |’ isola nell’ anno 727, essendo stato il convento smantel- lato e i monaci fatti schiavi. Gli stessi annali riferiscono che nel XII e XIII secolo ritor- narono 1 monaci ad abitare il convento di S. Mamiliano in Montecristo. Allora arricchiti per i lasciti dei devoti debbono aver costruito I’ altro più vasto e grandioso convento, il quale PARTE NARRATIVA 4) del color della roccia, a mala pena si discerne sul fianco della montagna, a sinistra della valletta oggidi abitata. La chiesa, costruita con grosse bozze di granito ben lavorate, ha notevoli dimensioni e sfidando le ingiurie del tempo sussiste tuttora in buono stato. Del convento, in gran parte diruto, esistono tuttora due ampi cameroni a pianterreno, costrutti anch'essi con bozze granitiche e capaci di contenere circa 50 letti ciascuno. Copiosi materiali giaciono confusamente all’ intorno, provenienti dalle rovine dell’ antico edifizio. Partendo da esso, un’ antica strada conduce fino alla fortezza e gira attorno alla parte set- tentrionale dell’ isola. È questa la cima più alta di Montecristo ed è chiamata così dai pescatori, probabilmente a cagione di una torre diruta che ancora vi esiste. Se la chiesa di Montecristo e il convento, che al presente vi sì osservano, siano stati veramente costruiti nel V secolo, come reca la tradizione, 0 se invece siano di epoca assai poste- riore, sarà manifesto per le accurate indagini che sta all’ uopo facendo l'illustre archeologo Prof. Gaetano Chierici, lo stesso che ha illustrati gli antichi monumenti della Pianosa. La Repubblica Pisana difese e tutelò sempre questa nuove famiglia Camaldolese; ma caduta la Repubblica sotto il dominio degli Appiani, signori di Piombino ed impotenti questi a difen- derla dalle scorrerie dei pirati barbareschi, i monaci furono costretti ad abbandonare nuovamente il loro eremo e a ricoverarsi sul continente. In generale quest’ isola seguitò le fortunose vi- cende della Pianosa e dell’ Elba che unitamente facevano parte del Principato di Piombino. Fu poi data in affitto a brevi intervalli a particolari, ma rimase sempre spopolata e deserta. Nel 1840 un religioso prussiano con un compagno vennero a stabilirsi nell’ isola col permesso della famiglia fiorentina Cambiagi che la teneva allora in affitto; ma poco dopo per dissapori insorti o per sollecito pentimento di una risoluzione in- considerata, lasciarono nuovamente deserta ed abbandonata l'isola. Pochi anni addietro un Francese, il signor Abrial, concepì il disegno di ritornare |’ isola al suo antico stato abitato, acquistan- done la proprietà; nel 1852 egli la cedé al signor Giorgio 42 CROCIERA DEL VIOLANTE Watson Taylor inglese, che da quell’ epoca sino al 1860 passò gran parte del suo tempo nell’ isola, occupandosi di metterla a coltura. (*) Questi fabbricò una comoda e spaziosa casa padronale, magazzeni, case coloniche, ripari per gli animali domestici; opere che si osservano tuttodi: incanalò per lungo tratto I’ acqua dalla montagna, facendola sgorgare nella casa stessa e zampillare in una marmorea vasca innanzi al palazzo. Aveva pure in animo di eseguire lavori di difesa al mare, affine di riparare meglio il pro- fondo dell’ insenatura ossia il punto d’ approdo esposto ai venti di Ponente e di Libeccio, che soffiano gagliardi dalle coste della Corsica e dalle bocche di Bonifacio; ma egli abbandonò repentina- mente 1 suoi lavori nel 1860 e lasciò l'isola, la quale fu riacqui- stata dal governo Italiano. Rimasta |’ isola deserta non è a stupirsi se i pescatori Gigliesi, Ponzesi ed Elbani vi facessero frequenti discese, esportando da quei fabbricati quanto erano capaci di estrarre colle loro mani e quanto potevano portare colle loro piccole barche. I mobili, le ferramenta, i telai delle finestre, i tubi di piombo ove era incanalata |’ acqua, la vasca di marmo, tutto fu asportato e nemmeno si risparmiarono i soffitti ed il tetto. Diventata lV isola colonia penale agricola dal Novembre del 1874, sotto la dipendenza del Direttore della Pianosa, si dovet- tero sul bel principio respingere alcune barche di pescatori, i quali domandati delle loro intenzioni, essendo sprovvisti di arnesi pescherecci, dovettero confessare che erano venuti per far bot- tino. Questo mi veniva raccontato dal capo guardiano, sig. Nicoli. La colonia è la più infelice tra le quattro dell’ arcipelago Toscano e allorchè si vuole spronare qualche riattoso a ben fare, si minaccia di traslocarlo a Montecristo. Al presente essa è composta di 45 detenuti sotto la sorveglianza di 5 guardiani, dei quali il capo funziona da direttore. Scarso è il terreno col- tivabile e quel poco è situato attorno al palazzo e spesso devastato dalle capre selvatiche che vi sono molto abbondanti. Ogni mese, (1) Quale zelante botanico fece anche una bellissima raccolta di tutte le piante dell’isola e servirono queste al Prof. Carel per pubblicare la sua Florula di Montecrisco (Atti Soc. Ital. Scienz. Nat. VI, 1864). PARTE NARRATIVA — 45 tempo permettendolo, la colonia riceve per mezzo del Cutter della Pianosa, la posta e nuove provvigioni. Nel caso in cui occorra domandare soccorso, o per altro imperioso bisogno, comunicare colla vicina Pianosa, sul far della notte vien acceso un gran fuoco sulle alture dell’isola, il quale avvistato da quei della Pianosa, vale come avviso per spedire immantinente il Cutter. Lo scorso anno l’arrivo del Violante a Montecristo venne con tal mezzo segnalato la stessa sera al Direttore Ponticelli, col quale era stato prima convenuto questo antico metodo di telegrafia. Ecco il vero sulla storia passata e presente di questo scoglio granitico, che accese sifattamente la fantasia del celebre roman- ziere Dumas, (o forse di Pier Angelo Fiorentino, che è I’ autore presunto del famoso romanzo). Noi vi giungemmo poco prima del tramonto e in tempo per poter prendere la fotografia della casa e del circostante paese. Senza dar fondo e lasciando il Cutter sotto vela, scesi sopra uno scoglio onde stabilirvi la macchina fotografica. Frattanto era già venuto al nostro incontro il capo guardiano signor Nicoli, il quale ci diede la sconsolante notizia che le capre selvatiche andavano ognora più diminuendo e che il valente Garrò, il cane di Terra- nova terrore dei caproni, il quale ci aveva così validamente ajutato nelle caccie dello scorso anno, era capitombolato in un profondo burrone e reso inabile a muoversi. Non ebbi coraggio di rive- derlo: povero Garrò, i mani dei numerosi caproni da te uccisi avranno esultato alla tua disgrazia! — Eseguita la fotografia, staccai un campione del granito che ivi costituisce il suolo e ritornai a bordo. Feci poi varie dragate nella ristretta Cala Maestra, in 10 e 20 metri di fondo e mancando quasi il vento, mentre si doveva manovrare vicinissimo agli scogli per fare il giro nel profondo dell’insenatura, ed essendo il giorno in sul cadere, stimai prudente allontanarmi, tanto più che gli indizi del tempo non erano tali da invitarmi a passare la notte all’ ancoraggio. Mercoledì 12. — Nella notte infatti perdurando sempre la calma di vento, un mare corto ed agitato caduto da Libeccio fa soffrire non poco I’ alberata. Alle 6 ant. l'isola di Montecristo ci rimane per G.° 1/, L.®, distante miglia 10. Continua il mare di 44 CROCIERA DEL VIOLANTE libeccio, il vento è appena tanto da far governare. A mezzo- giorno faccio il punto osservato. Lat. 22 Longs 10710 “E.G. Molti bastimenti sono in vista diretti a mezzogiorno. Continua tutto il giorno poco vento di G.° T.4, nella sera il tempo si oscura e il mare accenna sempre ad aumentare e a farsi piu vivo; il vento solo si mantiene appena tanto da permettere al Cutter di governare. Un’ occhiata data al barometro è piu che sufficiente per invitarmi a togliere la freccia, ricalare |’ alberetto, cambiare il fiocco, serrare alla vela i terzaroli e prendere tutte quelle disposizioni opportune per ricevere nella notte un colpo di vento. Passata la mezzanotte mi trovo infatti in un contrasto di venti con accompagnamento di pioggia; |’ aria è carica di elettricità e fra il balenar continuo, travedo ad intervalli le alte montagne della Corsica. Faccio rotta per Caprera, correndo sotto un violento pio- vasco che viene da Tramontana. Cessata l’acqua e rimasti in calma di vento, con mare agitatissimo sempre da Ponente Libeccio, e rischiaratosi alquanto l’aria, avvisto quasi contemporaneamente il fanale di Bonifacio e di Lavezzi. Poco dopo il vento imbiz- zarrito salta violentemente a Ponente, spingendomi con una velo- cità di più di 9 miglia all’ ora verso I’ isola di Caprera. Avvistato finalmente il fanale di Capo Ferro e trovandomi alquanto più a ridosso per I’ isola di Caprera stessa, dalle sfuriate del vento e dal mare che sbocca dallo stretto di Bonifacio, metto al tra- verso, avendo in animo di attendere il giorno prima di gettarmi nelle acque della. Maddalena e poter così scansare i frangenti detti Monaci e la secca delle Béscie. Alle 4 faccio servire ed accostata l'isola, entro nei passi della Maddalena e do fondo in 8 metri presso ad una goletta ancorata nella Rada della Chiesa per rilascio forzato, restando in vista della casa del ge- nerale Garibaldi. Abbenchè il vento fosse freschissimo, discendo col commissario nella piccola imbarcazione, dirigendomi al porto della Maddalena per fare qualche provvista e mettermi in regola colla sanità prima di toccare I’ isola di Caprera. PARTE NARRATIVA 45 MADDALENA. L’ isola della Maddalena è la più grande di quelle formanti gruppo alle bocche di Bonifacio. Essa fu abitata per la prima volta da una colonia di Corsi che in allora sì stabili sul monte ove sorge la chiesa della Trinità. Il borgo principale che è nido e sede di tanti provetti uomini di mare, quasi tutti appartenenti alla nostra Marina Militare, è pittorescamente situato alle falde di una eminenza rocciosa e circonda una piccola baja che serve di porto. Le case sono bene costruite e disposte lungo due strade parallele intersecate da straduzze che s'inerpicano su per gli scogli. Tutto quivi annuncia la pulizia e l’ ordine, offrendo in ciò il paese un deciso contrasto coi villaggi della vicina Sardegna; i muri sono imbiancati a calce e le strade sebbene non lastricate, sono sempre sgombre e pulite. In generale si vede che I’ ordine e la pulizia dei legni da guerra hanno attecchito in terra. Sulle circostanti eminenze veggonsi cespugli di mirto, lentischi, e fichi d’ india. L’ Ammiraglio Des-Geneys, quel grande Ammiraglio di una piccola marina, che colle prede sui francesi alimentava la corte derelitta dell’ esule Re rifugiato a Cagliari, quell’ uom di ferreo volere, di ardore infaticabile, per cui nulla era impossibile (nemmeno il far Medico Capo della squadra il suo barbiere), soggiornò fra questi buoni isolani per lo spazio di ben 15 anni ed istillò lo spirito marinaresco che anima al presente quella popo- lazione, in cui la pertinacia del Corso si accoppia mirabilmente coll’ onestà e colla fede inconcussa del Sardo. Non incontrammo alla Maddalena che donne fanciulli e vecchi, essendo i giovani tutti al servizio nella R.2 Marina o a navigare sopra legni mercantili. Chiunque nasce su quella terra è mari- najo. La brezza marina gli sussurra all’ orecchio il proprio destino, l’arida natura del suolo glielo impone. - Aggirandoci per le linde viuzze, fra quelle casette bianche e risplendenti al sole, fui meravigliato sentirmi piu volte chiamato per nome. Erano vecchi bassi ufficiali, e marinai in permesso della 46 CROCIERA DEL VIOLANTE R.@ Marina. Un d’ essi, la cui fisonomia non mi riusciva nuova mi offeri i suoi servigi; in passato egli era mozzo nella R.8 Ma- rina, poi aveva navigato sotto di me in qualità di marinaro ed ora è Capitano mercantile. Lunghesso il porto e sul piazzale della. chiesa incontrammo parecchie di quelle maschie figure che ai tempi dell’ Ammiraglio Des-Geneys navigavano colla bandiera turchina al picco (1); quelle maschie figure che hanno altra volta sfidato imperterrite gli elementi, veggonsi passeggiare in su e in giù come se fossero sulla coperta di una fregata, rispondendo con gravità e cortesia ad un tempo al rispettoso saluto degli inferiori. V’incontrammo pure quelle belle donne, bionde o brune, svelte, aitanti della persona, dai grossi denti bianchissimi, altrettanto pulite quanto semplicemente vestite. Eran desse le figlie di quei veterani e le madri di quei robusti fighuoli, di cui tanto e a giusto titolo si vanta la Marina Militare. Il porto detto anche Cala Gavetta non è molto vasto, ma basta ai bisogni della popolazione; vi sì veggono regolarmente ormeg- giati battelli da pesca lustri come jole di comandanti, e coi metalli bruniti e lucentissimi, i quali portano il nome di una corvetta o di una fregata, ricordo di qualche campagna gloriosa. Osservasi sulla sponda del porto una piramide in pietra che sostiene una delle bombe lanciate dalla vicina isola di S. Stefano nel 1793 dal giovane Capitano d’ artiglieria Napoleone Bona- parte, il quale preludeva modestamente in quei luoghi e con un solo mortajo alle titaniche pugne che insanguinarono Europa, ed Africa (?). (1) L'antica bandiera Sarda. (2) La piccola piramide fu fatta innalzare in occasione della visita fatta alla Maddalena dal Re Garlo Alberto nel 1843. La Repubblica Francese avendo nel 1792 dichiarato la guerra al Piemonte e invaso la Savoia e la Contea di Nìzza risolvette egualmente d’impadronirsìi dell’ isola di Sardegna; infatti alla fine del Dicembre dello stesso anno mandò davanti a Cagliari l’Ammiraglio Trugnet con una flotta considerevole e truppe di trasporto per attaccare la capitale dell’ isola. Questa spedizione andò fallita. Nello stesso tempo sì combinò un attacco nella parte settentrionale del- l’isola sotto gli ordini del generale Corso Colonna Cesari. La truppa si com- poneva in gran parte di volontarii Corsi posti sotto gli ordini del giovane Bonaparte, che alla sua qualità di Capitano d’ artiglieria aggiungeva quella PARTE NARRATIVA a L’ Ammiraglio Nelson soggiornò egli pure lungamente in questi luoghi allorchè spiava il passaggio delle squadre francesi nel caso di una seconda spedizione in Egitto; ma l'ancoraggio favorito del futuro vincitore di Trafalgar era la rada di Agincourt sita sulle coste della Sardegna e nel lato Ponente del canale che separa quest’ isola dalla Maddalena e da S. Stefano. Dicesi che l'’Ammiraglio Nelson non discendesse mai a terra, avendo giurato di lasciar il suo bastimento soltanto quando avrebbe battuto i suoi nemici. Questa permanenza continua a bordo non gli impedì però di regalare due candelieri e una croce d’argento ai buoni isolani, i quali mostrano tuttavia con orgoglio ai fore- stieri questo dono fatto alla loro parrocchia dall’ Ammiraglio protestante. Terminata la nostra rapida perlustrazione, fatta vidimare la patente e tolti con noi alcuni viveri freschi, fecimo ritorno a (e bordo, non senza esser molestati dal mare e dagli spruzzi sol- levati dal vento freschissimo, che riempiendo d’ acqua |’ imbarca- zione avariarono le poche provviste. - di Luogotenente Colonnello comandante i volontarii di Liamone. La spedizione partita il 10 Febbraio da Aiaccio era composta di 17 piccoli bastimenti gui- dati dalla corvetta la Fauvette comandata dal Luogotenente di fregata Gouetche. È all'isola di S. Stefano che sbarcarono e dove Napoleone stabilì l’ unico mortajo di cui disponeva e con questo mandò 60 bombe sulla città, delle quali la prima cadde sulla Chiesa senza però scoppiare. Si trovavano nel borgo della Maddalena 500 combattenti composti di truppe reali e di gente del paese atte alle armi. Nel porto eranvi due mezze galere Sarde e qualche gondola o galeotte armate e comandate dal Cav. Felice di Costantino, valente e abile ufficiale di marina che in tutte le disposizioni prese per la difesa spiegò molta capacità ed energia, avendo mandato questi bastimenti in luogo propizio per mantener le comuni- cazioni della Maddalena colla Sardegna, sulla sponda della quale isola trova- vansi bande di milizia Sarda sotto gli ordini del Cav. Giacomo Mantica Tiesi. Non ostante 1’ abilità dimostrata da Napoleone, i Gallo Corsi dovettero riti- rarsì minacciati da uno sbarco considerevole che i Sardì stavano per fare al- l'isola di S. Stefano e dietro ordine di Cesari, a dispetto di Bonaparte, dovettero i francesi abbandonare 1° isolotto, lasciandovi l’ unico mortajo, quattro cannoni e 14 prigionieri. Dicesi che vedendo il disonore e l’onta che derivava dall’ ordine di ritirata dato dal Cesari, Bonaparte facesse delle osservazioni al suo generale che le ricevette con sdegnosa fierezza. Voltan- dosi allora Bonaparte a qualche ufficiale, si contentò di dire freddamente: il ne me compren4 pas! (Manno, Storia moderna della Sardegna dall’ anno 1773 ali1799 V. I). 48 CROCIERA DEL VIOLANTE A mezzogiorno dopo una colazione resa più appetitosa dalla veglia della notte e dagli spruzzi marini, salpiamo, dirigendo per porto Palma, il porticiuolo dell’isola di Caprera, che aveva così bene ricoverato il Violante lo scorso anno e dove facevamo conto di sbarcare per recarci a far visita al Generale Garibaldi. Era mia intenzione di approdare nuovamente a questo deserto scoglio ove ha suo asilo il Leone di Caprera e di rivedere la sua dimora, tugurio di ré, tenda di soldato, modesta casa di amoroso padre, che novello Cincinnato, lasciata la spada per la vanga, vive lontano dal mondo attendendo alla cura delle sue aride terre. Le isole bagnate dalle onde che allora il Violante solcava sono helle e sono selvagge, sono una minaccia e sono un sorriso, e se quà e là veggonsi tra i declivi gruppi di ginepri, lentischi e mirti, tutto all’intorno sono aride terre, ignudi sassi e sui margini massi di granito crepacciati e fatti rotondi dalle onde del mare. Nella breve traversata vedemmo un pescecane al quale inutil- mente tendemmo insidie. Nel mentre il Cutter guadagnava il luogo dell’ ancoraggio il Giusti coll’ imbarcazione diede la caccia al Phalacrocorax Desma- resti, uccello acquatico che quivi è numeroso, e riuscì ad uccidere un bellissimo individuo femmina di questa specie. Ancorato il bastimento in quel grazioso porticiolo, spedisco su- bito il Cabin boy in uniforme di gala al Generale, con qualche presente ed una lettera in cui domandavo di poterlo ossequiare unitamente ai miei due compagni. Scendiamo quindi tutti nell’ i- sola in caccia d’ insetti e il Commissario in cerca di selvaggina. CAPRERA. Il suolo di quest’ isola è granitico e attraversato di filoni quar- zosì. La flora consiste principalmente in lentischi, ginestre, mirti, eriche, corbezzoli e lecci. Sulle colline dell’ isola abitano capre selvatiche. Il contorno di Caprera I’ antica Phitonis corre, a cagione delle molte sinuosità e delle irregolarissime sue coste, per circe PARTE NARRATIVA 49 12 miglia; la vetta più alta è il monte Tejalone che s’ innalza 250 metri sul mare e servi di punto trigonometrico al La Mar- mora. C’ intrattenemmo lungamente a parlare con alcuni coloni, i soli, all'infuori del Generale, che abitino I’ isola. Più che della terra si occupano questi del bestiame che ebbero in origine dal Generale e di cui dividono con lui il prodotto. Avendo sentito che un nostro compagno era a caccia per I’ isola, ci avvertirono che le capre selvatiche sono proprietà esclusiva di Garibaldi e così il Commissario dovette rinunziare ai suoi progetti. Da questa brava gente s’ ebbimo molte notizie sull’ isola e sulla vita e abi- tudini del Generale. Ci venne mostrata una roccia isolata lunga e sottile detta la _ Roccia di S. Stefano dal nome d’ un eremita cristiano che fu, secondo la leggenda di quegli isolani, primo abitatore di Caprera. La casa del colono fu eretta un secolo e mezzo addietro da un bandito Corso di Porto Vecchio e in essa trovò ricovero il Re Vittorio Emanuele allorchè nel 1853 visitò questi luoghi. Il Ge- nerale Garibaldi fin dal 1857 divenne acquirente di una parte dei terreni e dei dirupi granitici che ora possiede nell’ isola, -comperandoli dal comune della Maddalena, da un certo Susini e da altri privati. Nella stessa epoca un inglese, certo M.” Collins, si fece egli pure acquirente della rimanente parte dell’ isola; e per non venir meno alla eccentricità proverbiale dei nostri buoni amici d’ oltre Manica, visse più di vent’ anni sugli scogli che sovrastano al canale della Moneta. Aveva modi strani, breve la parola e un fare da misantropo. Il terreno acquistato gli ser- viva per allevarvi il bestiame e vi aveva fatto costruire una capanna. I due proprietari dell’ isola, come limitrofi e possessori entrambi di armenti non vissero mai in buona amicizia, poichè gli animali, non tenuti a conoscere esattamente 1 limiti territo- riali dei loro rispettivi padroni, passavano soventi le frontiere. Anzi narrasi che una volta il Menotti fece bersaglio e preda di un majale il quale usava troppo spesso grufolare pei campi di patate e di cavoli di pertinenza di suo padre. Il Collins inalberò e corse a darne querela al Giudice della Maddalena; ma un altro Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (13 Ottobre 1877). 4 50 CROCIERA DEL VIOLANTE inglese, il Cap. Roberts, lo dissuase dal piatire per causa sì frivola e si offerse paciere dicendogli « che fra galantuomini » |’ offeso chiede riparazione e ben sapeva egli che il Generale » non si sarebbe rifiutato di concedergliela di qualunque maniera, » fosse pure col pugnale, colla spada, col moschetto o col can- » none (1!) ». La nomenclatura di quelle armi mitigò la collera del Collins, il quale pregò l’amico di rapattumarlo col Generale e si mostrò in seguito miglior vicino. Mori il Collins nella sua capanna di Caprera per effetto d’ un colpo di sole e la vedova fece trasportare il corpo del marito sugli scogli del passo della Moneta, in una grotta ove i coniugi avevano dimorato qualche tempo prima di costruirsi la casina che ora biancheggia fra i rosei oleandri e i pini, di fronte a quella del Generale. Garibaldi acquistò allora dalla vedova Collins i terreni ereditati e divenne solo padrone dell’ isola. Alle 6 pom. ritornando a bordo, ricevo una lettera firmata dal segretario del Generale, nella quale ci si partecipa che egli non poteva riceverci a causa di acuti dolori artritici che lo avevano assalito il giorno prima del nostro arrivo. A malincuore dovetti rassegnarmi, ma mi dolse assai questo contrattempo così per me come per i miei compagni, i quali entrambi avendo militato nelle schiere del Generale, desideravano ardentemente di salutare il loro vecchio Duce. Nel giorno 14 che destinavo alla visita volli almeno rivedere quei luoghi, che mi avevano cagionata lo scorso anno tanta emozione. L’ idea venne abbracciata volentieri dai miei compagni; il Giusti volle anzi incaricarsi della nostra piccola corrispondenza e cercare mediante quella di aver adito maggiore per avvicinare la casa e forse pervenire anche alla presenza di Garibaldi stesso, dovendo le lettere nostre essere compiegate con quelle del Gene- rale per essere spedite alla Maddalena. Il dottore Gestro ed io rimanemmo per I’ isola cacciando insetti, raccogliendo qualche campione di roccia e conchiglie terrestri. (1) C. Augusto Vecchi, Garibaldi e Caprera. PARTE NARRATIVA Di Caprera mi fece la stessa impressione dello scorso anno nel vederla e nel porre il piede sopra le sue rocce bizzarre e fanta- stiche. Ivi il mio cuore provò un turbamento strano, un senso di tenerezza misto d’ ammirazione che non saprei descrivere. Ecco la residenza, io pensavo, di Giuseppe Garibaldi, il trono del- l’uomo dai grandi rifiuti, di colui che conquistò un regno e pur disdegna il potere, che tien le ricchezze e gli onori in conto di vanità, come chimere, che si sacrifica in pace e in guerra vo- lenteroso alla redenzione dei popoli oppressi. Le rocciose vette di Caprera scosse dallo strepito delle onde e bagnate dalle spume marine sono un degno piedistallo a quella nobile figura! In attesa del Giusti che si era allontanato per attender alla caccia, riparammo col Dottore sotto un padiglione di granito for- mato da rocce sovrapposte e coronate dal verde di una ginestra; da quel luogo ci si presentava all’ occhio il panorama delle bocche di Bonifacio e da noi poco discosta sorgeva la bianca casa del Generale. Il Dottore mi chiese che gli narrassi I’ accoglienza ricevuta da Garibaldi ed il colloquio di cui mi onorò lo scorso anno e con una certa soddisfazione volenteroso lo accontentai. « Il Violante giungeva il 12 Ottobre del 75 nelle acque di Caprera proveniente da Palermo; il tempo era pessimo e rotto a fortunali di Ponente e Ponente Libeccio che imperversavano furiosi in quei giorni nelle Bocche di Bonifacio. Trovai allora, come quest’ anno, sicuro asilo al Cutter nel porticiuolo di Palma. Sceso nell’ isola, col giovane naturalista Leonardo Fea, addetto al Museo Civico di Genova, il quale trovavasi meco a bordo, sotto un molestissimo pioviginare ce incamminammo verso la casa del Generale. Fattegli pervenire le nostre carte di visita, per mezzo del mozzo di bordo, messo per la circostanza in grande uni- forme, e manifestato il nostro desiderio di ossequiarlo, ve- nimmo poco dopo introdotti nel recinto della corte e quindi in casa. Ivi da una donna, la moglie del colono, ci fu indicata una porticina e invitati ad entrare: bussai....... spinsi la porta e una modesta camera e modestissimi mobili colpirono primi il mio sguardo. Ero in preda ad una forte emozione..... Un angolo di una lettiera in ferro sporgeva dietro la porta ..... m’ inoltrai 32 CROCIERA DEL VIOLANTE divorando con anziosi sguardi quel letto ..... su quello stava disteso il Generale abbigliato della sua ormai leggendaria camicia rossa. M'inchinai, chè l'emozione mi aveva tolta la parola; intanto una mano rattrapita dai dolori artritici e forse sofferente ancora dalle 6 ore di crudele tortura avuta al Gualeguay, (1) c indicava due scranne e uno sguardo d’ invito sorridente e benevolo accompagnava quel gesto. Ripresi animo e gli domandai come stava e senza tampoco attendere risposta continual: « cre- devo Generale dopo i bagni di Civitavecchia di trovarla guarita dai suoi dolori, poichè si era sparsa notizia dei benefici effetti che ella ne aveva riportato ». « È vero capitano » egli mi rispose «ma dacché il tempo si è guastato i dolori mi ritornarono ». Il discorso vagò in seguito sulla nostra traversata, sullo scopo scientifico cui avevo dedicato il Violante benchè piccolo, cer- cando di unire l'utile al dilettevole « wéile dulei » e n’ ebbi con mia soddisfazione lode e incoraggiamenti. Si parlò quindi E delle qualità nautiche del Cutter e qui il gran condottiero d’ eserciti sì palesò, come sempre, espertissimo nelle cose di mare. Egli mì narrò delle navigazioni che aveva fatte quando egli pure di ey. ~ comandava un Cutter, e mi disse come le acque della Madda- lena, Caprera e 1 circostanti paraggi lascino ancora a desiderare per la loro idrografia; soggiunse aver veduto figurare sulle. carte marine secche non esistenti, mentre altre vi mancano da lui medesimo osservate. Se ben mi rammento, mi avvertì fra le. (1) È noto come Garibaldi nel 1837 si trovasse con una piccola Goletta nell’A- merica del Sud, facendo viaggi dì cabotaggio fra i porti di Rio Janeiro e Capo Frio. In quella stessa epoca gli abìtanti dì Rio Grande fecero ribellione contro il Brasile; alcunì Italiani fatti prigionieri dai Brasiliani consigliarono Gari- baldì dì portarsì a Rio Grande colla sua Goletta e di far causa comune con gli insorti. Garibaldi accetta, arma la Goletta in guerra e comincia coi cat- turare un grosso legno brasiliano e credendo gli abitanti di Montevideo amici dei rivoltosi, va ad ancorarsi in quella rada. Sorpreso da una canno- niera del Brasile, le sfugge quasi per miracolo, ma nel combattimento una palla da fucile traversa il collo del valoroso Capitano. I marinai sbarcano il ferito a Gualeguay affinchè venga curato; ma una mattina alcuni amici del Brasile entrano nella sua casa, legano le mani dell’ infermo e lo sospendono per i polsì ad un trave del soffitto. Sei ore rimase così sospeso finchè altri non venne e lo sciolse; ma anche al presente i polsi gli dolgono quando spira Scirocco e gli rammentano I atroce tortura sofferta a Gualeguay. Cp Shee =e PARTE NARRATIVA Do altre cose, che non esiste il frangente visto da M. Noè nel 1830 e portato nelle carte a Tramontana dell’isola distante 2 miglia circa dalla costa. Non osai toccare la questione del Tevere, allora palpitante di attualità, abbenchè me ne pungesse desiderio sommo, giacchè temevo quell’ argomento potesse suscitare in lui dolorosi ricordi. Volle sapere perchè non avevo ancorato nel passo della Moneta sotto la sua casa: ed io mi scusai accennando alla piccola scala della mia carta locale e alla mia poca pratica di quei paraggi: » Ritorni » egli soggiunse e «se ne impraticherà; i miei figli lo accompagneranno volentieri nelle sue escursioni essendo molto amanti di tali divertimenti ». Fattomi ardito dall’ interessante colloquio, gli promisi che in quel giorno medesimo sarei venuto ad ancorarmi nel punto ch’ egli mi indicava e gli esibii di recarsi l'indomani a far colazione a bordo del Violante. « Pochi giorni prima avrei accettato mio caro capitano; ma ora non è possibile ch'io mi muova; ci vorrrebbero 10 paranchi per alzarmi a bordo »: (testuale); mi pentii di aver forse troppo domandato; ma a consolarmi del rifiuto il venerando ospite fece recare del vino fatto da lui stesso, che trovammo eccellente. Rifatto audace soggiunsi: « mi permetterà Generale di bere al ristabilimento della sua salute » gradi l’ augurio e bevve. Bacco m’ infondeva coraggio e chiesi al Generale il permesso di mandargli un assag- gio di vino della Pantelleria; accettò , e quante volte mi sono poi pentito non aver domandato di poter riempiere del suo le nostre fiaschette ! Domandai quindi al Generale perché non facesse coltivare una piu larga parte dell’isola: « la mano d’ opera costa » mi rispose, ma del resto i miei amici non mi lasciano mancar di nulla ». Volle poi sapere se avevo notizie del continente e mi diede un fascio di giornali italiani, inglesi e francesi che teneva sparsi sul suo letto, dicenlomi di mandare a lui la nostra corrispondenza che sarebbe compiegata colla sua e mandata alla Maddalena..... Ero confuso da tanta gentilezza, tanto più che nessun vincolo mi legava anche lontanamente a lui, e nemmeno avevo militato sotto 1 suoi ordini! Anzi mi confessai colpevole secolui di essere DÀ CROCIERA DEL VIOLANTE venuto nell’anno 1868, (mentre ero imbarcato in qualità di Guardia-Marina sopra la corazzata Formidabile) a far bottino di scope d’erica, per uso di bordo, nell’ isola, senza domandarne il permesso al suo legittimo proprietario; rise di cuore e mi assolse. Andavo intanto contemplando la nobile figura che aveva d’ in- nanzi! Un gran pittore solo, un Tiziano, un Leonardo da Vinci, ci sarebbe voluto per riprodurre I’ espressione di quegli occhi, la nobil fierezza di quel volto, rischiarato dal vivido lume di un sì gran cuore. Avrei desiderato in quei brevi momenti interro- garlo sopra tante cose, ma temevo d’ esser importuno. La bontà che spirava dal suo volto, il piglio sorridente, passionato, severo, energico, grave in una volta, m’ entusiasmava; il suo occhio scintil- lante pieno di vita, che dava un'aria di giovinezza a tutta la sua persona e penetrava nell'interno dell'animo, mi affascinava, ora invitandomi a restare ed ora troncandomi sulle labbra la parola. Era così scorsa una buona mezzora e parendomi aver troppo abusato della cortesia dimostratami dal Generale, mi alzai per togliere commiato. « Ritorni capitano in questi luoghi » egli mi disse « e sara il benvenuto »; e intanto ci porse la mano... non so ancora spiegarmi la foga di sentimenti che mi suscitò allora quel contatto.... &strinsi con effusione quella mano gloriosa incallita dalla spada, ora resa inerte dai dolori.... m’inchinai e partil. Giunto a bordo, mandai al Generale parecchie bottiglie di vino della Pantelleria, che accompagnai con una lettera e una sua foto- grafia staccata dal mio album di bordo. Io lo pregavo a voler controsegnare quest’ ultima della sua firma, acciocchè rimanesse quale grata memoria di lui nel quadratino del Violante; gli dicevo in pari tempo che al ritorno del mozzo sarei partito. Egli mi rispose con mal sicura mano, ma di suo proprio pugno, augurandomi buon viaggio. Avevo terminato il mio racconto, quando venne il Giusti alla nostra volta; gli muovemmo incontro per assediarlo di domande, ma dalla sua cera mesta comprendemmo che non aveva rag- giunto l'intento; per cui dolenti battemmo in ritirata. Arrivando ss *60d Tpleqizey, o[etoueyH [ep eseo = VUHUdVO SEL ey 7 ag . (7 CRAS: t é “4° ALE af a] a ad LI i A arta ae tal \ è v e° uy Ì tp ip! i Y A i i] PARTE NARRATIVA 55 a bordo, il Dottore trovò che le dragate fatte durante la nostra assenza avevano dato buoni risultati (*). Il vento che nella giornata aveva sempre spirato freschissimo andò sulla sera gradatamente calmando, onde stabilii pel domani di lasciar Caprera. Sabato 15. — I tramagli gettati nella notte aveano fatto buona preda di parecchie grosse e belle triglie che mandai per tempo al Generale. Nella notte avendo ripreso con straordinaria violenza il vento e sembrandomi che il tempo non fosse talmente ristabilito da permetterci di partire per Messina, ne profittai per scendere ancora in terra, recandomi da solo presso la casa del Generale e prender la fotografia della località. Il Dottore e il Commissario si diressero col battello presso il vicino isolotto del Porco; prima di separarci però ci demmo |’ appuntamento a bordo per mezzogiorno. Ricaleai con piacere soletto la comoda stradiciuola che, quale tortuoso meandro, s’ aggira in prima tra la fitta boscaglia d’ eriche e di lentischi della pianura, e traversato un ruscelletto diven- tando più regolare, comoda, quasi carrozzabile, giunge presso la casa del Generale. Quivi abbandonato il sentiero, cercai nascon- dermi tra i sassi e i folti ed alti cespugli della campagna, ché m incresceva di poter essere nuovamente osservato in quella località. Dal luogo ove mi trovavo si distingueva minutamente ogni singola parte della casa e delle sue adiacenze; quivi stabili la macchina fotografica. Sorge questa su d'un piano formato e recinto da grosse rocce granitiche; essa consta di due piani e giace per la sua posizione longitudinale nella direzione di Tramontana e Mezzo- giorno, la facciata di ponente restando rivolta alla Maddalena; (4) Fra le collezioni ottenute colla draga figurano varie specie di Alghe ed alcune furono anche raccolte dal Dottore alla spiaggia. Eccone i nomi, secondo la determinazione del Dottor A Piccone: Rivularia bullata, Berk., Halimeda tuna, Lamour., Acetabularia mediterranea, Lamour., Liagora viscida, Ag., L. distenta, Lamour., Dictyota fasciola, Lamour., D. linearis, Ag., Halyseris polypodioides, Ag., Padina pavonia, Gaill., Cystosira corniculata, Zan., C. se- laginoides, Bory, Laurencia obtusa, Lamour., Vidalia volubilis, J. Ag. 50 CROCIERA DEL VIOLANTE la porta si apre sul lato di levante e mette in un cortile circon- dato d’ ogni intorno da un muro a secco; il tetto è fatto a terrazzo per raccogliere in apposita cisterna l’acqua piovana. Un adiacente giardino è pure tutto rinchiuso da un muro a secco ed abbellito di aranci e di alberi da frutto; un monumento funereo attrista quel luogo.... esso ricorda al Generale la com- pianta sua figlia Clelia, della quale 1 coloni mi parlarono con vero trasporto. Attorno al piazzale sorgono irregolari costruzioni in materiale destinate ad uso magazzini per le derrate o di offi- cine pel legnajuolo, come pure una casetta in ferro, elegante e leggera. Fuori del recinto nella direzione di Mezzogiorno sorge una casetta nella quale funziona un molino, il motore del quale è una ruota in ferro a grandi pale, a guisa di quelle di un pi- roscafo, che il vento mette in movimento. Vi sono alcuni alberi a ridosso della casa, ossia dalla parte di Levante ed altri certo ne sorgerebbero ancora se il vento per- mettesse loro di crescere e svilupparsi. Compiono il quadro sem- plice e severo della casa le rocce della Maddalena e di S. Ste- fano, il mare, gli scogli e le montagne della Corsica e della Sardegna. Nella breve mia visita dell’anno scorso al Generale, non ebbi tempo ad osservare attentamente la di lui camera, e non sarà forse discaro ai lettori se ne presenterò loro la descrizione, tratta dal libro Garibaldi e Caprera del compianto Colonnello Augusto Vecchi, braccio e cuore di Garibaldi. di arte Nell’ Agosto quando la prima volta visitai quella casa vi trovai una sola sedia dalla spalliera assente. Ora ve n° ha delle nuove di acero donate dagli ufficiall e marinai del Wa- shington coi loro nomi scritti sopra ..... — La stanza dell’ eroe al presente è meglio guernita. Vi è un modesto lettuccio di ferro con cortine di mussola, sostenuto da un cielo di canne. Vi è uno scrittojo di noce e un canterano con sopra una spec- chiera, che tura una finestra a tramontana omai chiusa. Presso il letto è uno sgabello di abete con sopra libri e lettere. Una corda fissa sul muro attraversa la stanza, e su di essa pendono a cavalcioni camicie rosse, mutande di lana, calze e calzoni, che PARTE NARRATIVA yy si asciugano pei frequenti ricambi che ne fa il Generale, quando passa da un lavoro all’altro. Nel mezzo della parete in fondo è il camino costantemente acceso per dissipare l'umidità del luogo. Imperocchè sotto il pavimento è la cisterna dell’acqua che cola dalle gronde quando piove, e i mattoni del pavimento ne sono sempre fradici e nitrosi. Ai due lati sono biblioteche con libri di marina, di storia e di arte militare. Ma libri e fascicoli, a ver dire, sono da per tutto quasi suppellettile dei mobili. I fasci dei giornali moltilingui vengono ritirati appena il Generale gli ha letti. Sopra il camino è il ritratto ad olio di Rosita, una bambina morta in Montevideo. Sopra il letto è chiusa in una cornice di ebano la treccia di Annita, la donna gagliarda che non è più. E sotto al quadro il ritratto di C. Augusto Vecchi tra quelli di due ufficiali, morti l’uno a Milazzo, l’altro sul Vol- turno. Sopra lo scrittoio pendono dalla parete la spada illustre dello eroe, il suo revenque, specie di frusta brasiliana e la spada del valoroso Latour d’Auvergne primo granatiere di Francia, che è sempre vivo nei ruoli, quantunque morto sul campo dell'onore. I parenti del prode soldato hanno testè fatto depositario il Ge- nerale di siffatto titolo di gloria, come al solo uomo che ne fosse Meno .....». Come testimonio oculare, posso affermare che poco ha mutato la camera dell’ eroe italiano nel lasso di 14 anni; forse le sole grucce aumentarono il mobiglio di quella casa. Mi cadde pure sott occhio un genere di carretta nella quale il Generale si fa trascinare a mano, quando non si può muovere. Trascorso il tempo necessario per la fotografia, incassai la macchina, lanciai ancora un'occhiata a quella casa.... al monu- mento funereo, e partil. A mezzogiorno ci trovammo tutti a bordo. I miei amici ave- vano. dato caccia ai Phalacrocorax e alle sterne, ma senza risultato. Sull’isolotto del Porco fu da loro veduto una capra, sulla quale inutilmente il Giusti scaricò 1’ unico colpo a palla di cui potesse disporre. Trovammo a bordo 3 dozzine d’ uova che il Generale volle mandarci in contraccambio delle grosse triglie; giunsero esse molto a proposito e il Commissario prese sotto la 58 CROCIERA DEL VIOLANTE sua protezione queste uova che egli chiamò garibaldine, e credo che volentieri ne avrebbe conservato qualcuna per ricordo. Il vento andava cessando, il mare era considerevolmente dimi- nuito, e decisi di partire. Nel caso che il tempo avesse ripreso ad imperversare era mia intenzione rifugiarmi all’ ancoraggio del golfo degli Aranci, presso I’ isola di Tavolara. Tutto accennava al ristabilimento del bel tempo, quindi passato il canale delle Biscie, restandomi la torre del fanale di Capo Ferro per Ponente distante 2 miglia, feci punto di partenza met- tendo la prora a Scirocco e rotta per lo stretto di Messina. Na- vigai con tutte le vele regolari ma coll’ alberetto ricalato in causa del mare vecchio, onde non ne faticasse |’ alberata. Al tramonto il vento passa a Maestro e la notte ci toglie di vista la costa della Sardegna e I’ isola di Tavolara. AVA Ol AsEVAS. Quest’ isola a cui per le circostanze della navigazione non ho mai potuto approdare, è un immenso masso di calcare abitato da capre selvagge o almeno inselvatichite. Questo enorme scoglio vien ricordato da Tolomeo sotto il nome di Hermaea. Nell'anno 235 dell’ era volgare vi cessò di vivere il romano Pontefice Ponziano; negli anni 848-49 venne occupata dai Saraceni sotto il nome di Tolar; ne fecero loro luogo di riparo e di qui essi correvano ad infestare 1 paesi vicini e le, stesse coste degli Stati Pontifici. Ha circa 12 miglia di circonferenza ed è alta 457 metri secondo |’ am- miraglio Smyth; i suoi fianchi da per tutto ripidi e scoscesi, sono quasi verticali dalla parte di Scirocco. Al di d'oggi dal lato di Ponente vi si osserva una piccola abitazione che viene detta appartenere al re dell'isola !?.. Si al re dell’ isola. Il La- marmora nel suo Itnératre de I ile de Sardaigne (1860) ricorda i primordi di questo Regno e parla del suo re capo stipite. « Quest’ isola egli dice non è abitata che da una sola famiglia » di pastori il di cui capo è figlio e nipote del famoso Giuseppino » Bartolioni della Maddalena, e non corso come dice Valery. PARTE NARRATIVA 59 » Quest'uomo morto or fa qualche anno, avendo avuto da fare » colla giustizia per bigamia, prese il partito di lasciare una delle » sue donne (che erano due sorelle) nell’ isolotto di S. Maria » dove faceva da padrone, e l’altra nell’ isola di Tavolara ch'egli » riguardava egualmente come sua proprietà, e le visitava a vi- » cenda. Allorchè Carlo Alberto venne la prima volta in Sar- » degna decise di rendere proficuo ai vicini comuni quell’ arido » arcipelago che circonda la grande isola. Giuseppino gli sì pre- » sentò per pregarlo di non essere frustrato delle sue dure fatiche » col decreto che andava ad emettere. Accolto benignamente dal » re, il quale aveva saputo che viti e grano già per sua mano » prosperavano in quelle due isole, di ambedue fecegli dono » grazioso e Carlo Alberto e i cortigiani lo salutarono ridendo col » titolo di re di Tavolara. Giuseppino I gli fu in quel tempo » utilissimo per la caccia alle capre che vi fece il figlio del re, » il defunto Duca di Genova ». Pochi anni or sono Augusto Vecchi nel libro Garibaldi e Caprera fa menzione di Paolo I successore a Giuseppino I e dalla briosa narrazione che fa questo scrittore della corte del nuovo re pastore, contadino e pescatore, e della sua numerosa famiglia, sembra che non sarà facilmente per estinguersi la dina- stia dei sovrani di Tavolara! Vuolsi che le capre selvatiche di quest'isola abbiano i denti d’oro, o ricoperti di uno strato di lucentezza metallica. È proba- bile, a detta dei naturalisti, che questa particolarità dei loro denti provenga dalla qualità di certe piante che crescono nel- l’ isola e di cui esse si cibano. Il Lamarmora combatte I idea in altri prevalsa che possa ciò provenire invece dal carbonato di calce di cui è costituita l'isola, poichè dice aver osservato a Milano nel Museo Borromeo una mascella di una capra semi- selvaggia dell’ Etna, i denti della quale presentavano consimile strato d’ aspetto metallico e ognun sa che i vulcani e segnata- mente |’ Etna, son privi in generale di rocce calcaree. 60 CROCIERA DEL VIOLANTE Navigazione per Messina. Il mare andò nella sera sempre più abbonacciando e la notte passò tranquilla con poco vento da Maestro. Domenica 16. — Splendida giornata, poco vento in poppa; mare tranquillo; si naviga con tutte le vele regolari e forza di vele a sinistra, improvvisando questa con vele inoperose di ri- cambio e vele di cattivo tempo. A mezzogiorno Punto osservato: Late s00 9 ie Tone. 11° 16! Jo. 1G: Profittando della bonaccia si fa esercizio di tiro al bersaglio con gran piacere di tutto l’ equipaggio, quindi si provvede alla pulizia generale delle armi. Si vedono due vapori diretti per le bocche. Notte calma e tranquilla. Lunedì 17. — Continua un tempo splendidamente bello. Il poco vento di Maestro però va gradatamente scemando di forza. Nel mattino faccio esercitare il mio Stato Maggiore ad osservare col Sestante; a mezzogiorno Punto osservato : L'at-99039 . Lone. 11° 21005: Il caldo si rende insopportabile e mi rammenta di far uso dei miei termometri. Essi segnano per la temperatura interna ossia coperta + 31° C. e per la temperatura dell’acqua di mare + 25° C. — In questi due giorni non vediamo nè un pesce né un uccello; nella sera si rimane quasi in calma. La notte cre- diamo bene passarla in coperta stante il caldo soffocante dei nostri vasti appartamenti. Martedì 18. — Il vento sempre favorevole, ma leggero, varia da Greco a Maestro. Il bel tempo continua e con esso il caldo diventa insopportabile. Nella notte avvistiamo il gran fanale del Mediterraneo, Stromboli, e nel mattino si distinguono chiara- mente le isole di Alieudi e Filicudi, le quali restanci di prora sulla nostra dritta. A mezzogiorno faccio il Punto osservato, il quale combina esattamente col Punto fatto per rilevamenti sulle PARTE NARRATIVA 61 isole, assicurandomi in tal modo del buon andamento del cro- nometro. Lat. 39° 2' T. Long. 13° 50’ L. G. Nella notte si naviga sempre con mare tranquillo e leggere brezze variabili dal 4° al 1° quadrante. Mercoledì 19. — Nel mattino del 19 tutto J’ arcipelago Kolio Si presenta a’ nostri sguardi sorgendo come per incanto dalle placide onde. Sieno realmente queste isole sorte dal fondo del mare quali ora si vedono, come Plinio accenna di una di esse, o sieno come altri suppone, avanzi di qualche grande terra squarciata da straordinarie catastrofi in tempi anteriori alla me- moria degli uomini, le isole Eolie o di Lipari certo è che for- mano un gruppo incantevole di contro alla costa tramontana della Sicilia. Da Eolo re dei venti, supposto dominatore delle medesime, hanno tratto la loro generica denominazione. Sette sono le principali e abitate; quella a noi più vicina è Salina, da cui non distiamo che 12 miglia. Un galleggiante colpisce i nostri sguardi; avvicinatolo dietro invito del sig. Gestro e presolo a bordo, troviamo che è una stoja e il Dottore vi fa buona raccolta di crostacei. Essendo calma di vento e il mare placidissimo ne profitto per far scuola di voga ai miei compagni. A Mezzogiorno Punto per rilevamenti sulle isole: Lat. 38° 43' S. Long. 14° 42' L. G. Non potendo sperare di raggiungere nella sera 1’ ancoraggio di Lipari, affine di trarre partito del rimanente giorno, decisi toccare l'isola Salina e non trovandosi dalla parte Tramontana di quest’ isola luogo d’ancoraggio, lasciato il Cutter sotto vela, scesi coi compagni alla borgata di Malfa. SALINA. L'isola di Salina conosciuta dagli antichi col nome di Didyme, i gemelli, e in arabo Geziret diudima si compone appunto di due 62 CROCIERA DEL VIOLANTE montagne coniche quasi eguali, che forse non sono altro che due vulcani spenti. Essa giace a M.ro T.@ dell’ isola Lipari a miglia 2 di distanza; ed ha un circuito di 15 miglia. La sua natura è vul- canica, e ne sono prova le traccie di antichi crateri e le lave di differenti età che ammonticchiate le une sulle altre si spingono infino al mare. Quelle pietre vulcaniche hanno somiglianza col porfido e contengono cristallizzazioni di aragonite; sono di grana compatta non porose, lucide e vengono adoperate per ornare edi- fizii. L'isola è popolata da 6000 ab. divisi in 3 borgate. Essa è vestita di vigneti che vi prosperano rigogliosi, per essere il suolo vulcanico adattatissimo a questa coltivazione. Le pendici dei due monti gemelli detti l'uno il monte Salvatore alto m. 662 e l’altro monte Vergine alto m. 860, ne sono letteralmente coperte, offerendo di lontano all’ occhio un verdeggiante strato di viti non interrotto che dalle bianchissime casine dei coloni. La borgata di Malfa dalle case basse, bianche e tutte a terrazzo ci si presenta alla fantasia come un avamposto dell’ Oriente. I vigneti che tutta la circondano sono tenuti bassi, non oltrepassando m. 0, 60 di altezza; essi sono disposti a filari regolarissimi e formando tetto coi loro ramoscelli e pampini tra un filare e l’altro, stendono il loro fogliame in un verde tappeto non interrotto, che colpisce l'occhio da lontano. Tali vigneti producono la squisitissima uva secca conosciuta col nome di Passolina. che è il principale prodotto d’ esportazione e da essi proviene il prelibato vino, noto col nome di Malvasia di Lipari. Ci inerpicammo un pajo d’ ore su per sentieri che più propria- mente direi torrenti, poichè tali debbono essere durante la sta- gione delle pioggie a giudicarne dall’ acciottolato, raccogliendo lucertole, ragni, ed insetti. Trovammo in abbondanza piante di Capperi, che crescono in gran numero e rigogliosi in quest’ isola. Al ritorno tolta con noi qualche provvista fresca e un assaggio di malvasia, c'incamminammo alla marina. La padrona del fondaco o negozio ove ci eravamo fermati era una vecchia meggera con certi occhi e certi gesti da ricordare le streghe del Macbeth; però potemmo osservare tra la gente che faceva ressa alla porta della buja stamberga certe figure maschie e virili, abbron- PARTE NARRATIVA 63 zate dal sole e che dinotavano essere costoro dediti al mare quanto all’ agricoltura. Uno d’ essi credendoci figli d’ Albione, ci salutò nell’ idioma inglese e da lui seppi che aveva navigato con legni di questa nazione; qua e là qualche viso di fanciulla dai bruni capelli e dagli occhi intensamente neri mi fece trovare qualche somiglianza fra questa popolazione ed il tipo Spagnuolo. Il Giusti frattanto nelle molteplici sue occupazioni di Com- missario e cacciatore aveva trovato il tempo di domandare infor- mazioni sulla caccia e sapemmo che abbondano nell’ isola per- nici e conigli selvatici, ai quali si dà la caccia col furetto. Alle 5 1/, si fece ritorno a bordo ed al tramonto vedemmo dal lato dell’ isola prospiciente a Lipari la borgata Marina che può dirsi la capitale dell’isola, risiedendovi il Capitano del porto, l’ufficio di Sanità e la Forza pubblica rappresentata da N. 6 carabinieri. Nella notte calma. ; Giovedì 20. — Verso le 5 antim. si dichiara una leggera brezza di Maestrale, la quale gradatamente rinfrescando ci porta all’ ancoraggio di Lipari; ivi troviamo libera la boa destinata al vapore e vi ormeggiamo il Cutter. TOR AASRIE Quest’ isola detta dagli antichi Melingunis e Lipara è la più vasta e la più importante dell’ arcipelago Eolo. Ha un circuito di miglia 18, il suo aspetto eminentemente vulcanico le è im- partito principalmente dai suoi crateri, dei quali il più alto, detto S. Angelo, si eleva sul livello del mare 595 m. A Tramontana di questo s' innalza il cratere della Castagna alto m. 370, tutto coperto di pomice, che illuminato dal sole ci sembrava nell’avvi- cinarci all'isola, uno strato di neve. Tale cratere con altri monticelli tutti coperti di pomice diconsi con denominazione complessiva Capo Bianco. A Greco della città s’ innalza il monte Rosa alto 230 m. di un color rossastro e anch’ esso apparente- mente vulcanico. A Mezzogiorno sorge il monte della guardia tutto formato di lave vetrose e ossidiane ('). (!) Spallanzani. Viaggi alle due Sicilie. 64 CROCIERA DEL VIOLANTE La città omonima e capo luogo di tutto I’ arcipelago si pre- senta scaglionata lungo il versante del lido orientale dell’ isola. Una gran cittadella innalzata sopra una roccia torreggiante sul mare la domina. Questa fortezza, detta dagli isolani Civita, era per lo passato e propriamente nel tempo delle incursioni dei pirati barbareschi il solo punto abitato dell’ isola. Molti liparoti hanno tuttavia colà le loro antiche case, ma vivono al presente fuori della cinta della Civita nella Lipari moderna. Serve quella for- tezza al presente per ricovero ai condannati a domicilio coatto, i quali vi sono in numero di 200. Vuolsi che la città che sorgeva su questo stesso luogo fosse anteriore alla guerra Troiana. Il corsaro Dragut nel 1544 la rovinò e ne menò schiavi quasi tutti gli abitanti; ricostruita da Carlo V fu in gran parte distrutta dal terremoto del 1783. Presso il palazzo vescovile esistono gli avanzi di un bagno antico di cui fa parola lo storico Greco Polibio. L’ isola è quasi tutta coltivata a vigneti d’ onde gli isolani traggono la dolcissima malvasia e la passolina, oggetto, come dissi, di importante commercio. La popolazione è anche dedita alla navigazione e fornisce valenti marinai. Noi vi giungemmo alle ore 6 del mattino. Era una bellissima giornata; la città colle sue bianche case, il severo castello, le ver- deggianti colline e il mare tranquillo tutto contribuiva a presen- tarci quest’ isola sotto il più grazioso aspetto. Vennero subito al nostro bordo gli agenti della dogana e alcuni barcaioli; rimandammo 1 primi e fissammo due giovanotti colla loro barca per tragittarci alla vicina Vulcano. Mentre questi allestivano la barca scesi in terra co’ miei compagni e ci recammo alla sanità, seguiti da una turba di curiosi, che vole- vano ad ogni costo regalarci nazionalità inglese. Uno spedizioniere, il quale more solito era bellamente riuscito ad alleggerirmi del peso delle carte di bordo, andava cercando di convincerli che era- vamo italiani e genovesi. Aspettando la barca assistemmo ad una graziosa scena che aveva luogo tra un sudicissimo frate dei monaci riformati ed un negoziante di cipolle, il quale stava assi- stendo al discarico della sua mercanzia da un piccolo bastimento. ‘osoed yep empoA — IUVdIT = = === = ===“ F == = == 93 = = = = = = = = = = = = === == —— = = E = — “È == === == = = = == = == == = = == == net == = = = E = = = SS == = = == i = = = = = = - = === : == = = PARTE NARRATIVA 65 Era il primo un vecchietto magro dal viso arcigno e color di carta pecora, dal naso aquilino, dal mento aguzzo, dall’ occhio grifagno; una lacera e bisunta tonaca vestiva il buon servo di Dio. Il secondo era il tipo della floridezza e della salute, pic- colo di statura e grasso, il sangue gli affluiva alle guance e gl imporporava il naso allorchè rivolgeva la parola al frate, il quale sembrava pretendesse una decima sul carico; il veemente litigio sì aggirava principalmente sopra pesi e misure come oncie , cantara e rotoli ed era fiorito da certi intercalari proprii ai vernacoli del mezzogiorno d’ Italia, che avrebbero fatto arrossire un mussulmano. Il paffuto negoziante teneva duro, ma non saprei come finisse la questione perchè giunta la barca che ci doveva trasportare a Vulcano, vi feci saltar dentro i miei com- pagni, agguantai il timone, e issata la vela diressi per Vulcano. Aiutati anche co’ remi, che il vento era leggero, in meno d’ un ora fummo in una piccola insenatura formata da Vulcano e Vul- canello, ove prendemmo terra. NUCANO: L’ isola di Vulcano fu conosciuta coi vari nomi di Thermia, Mera, Vulcania, Therusia. Quanto Lipari è verdeggiante e colti- vata, altrettanto Vulcano è arida e deserta, almeno dalla parte di Tramontana; lave, scorie e cenere rendono sterile quel luogo. Vulcanello, estinto cratere, sorse dal mare |’ anno 200 a. C. ed era una volta separato da Vulcano; ma un’ eruzione di questo formò l’istmo che ora unisce le due terre. Alcune grotte o meglio tane scavate in una roccia nel luogo ove sbarcammo attirarono la nostra attenzione; ci furono indicate come abita- zione delle famiglie dei manovali che lavorano all’ estrazione dello zolfo e dell’ allume. Dalla parte di Vulcanello una casa, l’unica che si vede su quel deserto di scorie e lave vien detta la casa dell’ inglese; attorgo ad essa vi sono indizi d’ un incipiente coltivazione. Dopo un oretta di salita sotto la sferza di un sole che ben può dirsi vulcanico, per un sentiero a zigzag sopra scorie, lapilli e 5 Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (15 Ottobre 1877). 66 CROCIERA DEL VIOLANTE lava ci avviciniamo alla sommita del cono; vediamo qua e la qualche rada fumarola, ma non siamo per anco giunti sull’ orlo del cratere. Ricoverati all’ ombra di una roccia, facciamo I’ asciol- vere colle provviste di cui siamo muniti e intanto da quell’ al- tezza il nostro sguardo spazia sulle lontane coste della Sicilia, della Calabria e su tutte le isole che compongono I’ Arcipelago Eolio. Queste isole sono ricordate dagli antichi scrittori con i nomi di Aeoliae, Lipareae, Vulcaniae, Strophades. Secondo gli autori la loro popolazione primitiva sarebbe stata italica, giacchè si vuole che Liparus, il loro re più antico, fosse figlio d’Ausonia. All’ e- poca della guerra di Troia, dice la leggenda, Eolo vi giunse e sposò la figlia di Liparus d’ onde ebbe sei figli che conquistarono la Sicilia. Sotto il regno di Eolo, secondo racconta Omero nell’ O- dissea, Ulisse fu gettato dai venti su queste terre. Certo è che nel 589 a. C. una colonia venuta da Rodi ne aumentò la popolazione, coltivò il suolo e si difese valorosamente dai pirati. Gli Ateniesi prima e i Cartaginesi poi devastarono queste isole e vi fecero prigione Cornelio Scipione nell’ anno 260 a. C. I Saraceni s’ im- padronirono più tardi dell’ Arcipelago, ma ne furono espulsi dai Normanni nel II secolo. Nel 1544 il troppo celebre Khair-Eddin Barbarossa, detto Adriadeno, lo devastò di nuovo. Le isole furono infine orribilmente danneggiate dal terremoto del 1783. Seguirono quindi, gradatamente ripopolandosi, le sorti del regno di Napoli. Si scorgono dal nostro luogo d'osservazione a Ponente Alicudi, l'antica Hricusa poco abitata e quasi incolta; Filicudi, Phoeni- cusa e in arabo Geziret Ficuda, la quale deve il suo nome ai palmizi che vi allignavano in gran quantità, e al di d'oggi è quasi disabitata e poco coltivata; a Tramontana Lipari e Salina quasi proiettate l’una sull'altra; a Greco Panaria, l'antica Icesia, essa pure quasi deserta e poco coltivata; infine Stromboli dagli antichi greci detto Strongile per la sua forma circolare. Questa raggiunge l'altezza di 921 m., sovrastando a tutte le isole dell’ Ar- cipelago e le sue falde sono abitate e coltivate. Essa credevasi nell’ antichità la residenza del Dio dei venti Eolo, perchè secondo Plinio il fumo del suo vulcano permetteva di predire il tempo PARTE NARRATIVA 67 tre giorni prima. Esso è quasi sempre in attività; di giorno una bianca nuvoletta di vapore ne impennacchia la cima e di notte non è raro vedere un chiarore che fa ufficio di gigantesco faro. Nel Medio Evo era generale credenza che ivi fosse |’ entrata del Purgatorio e 1 crociati che passarono di là asserirono d’ aver udito perfino i gemiti delle anime! « Sola fides sufficit» disse il Dot- tore nel ricordarci questa medio-evale credenza. Da questo punto presi una fotografia dello splendido pano- rama che avevamo innanzi agli occhi e ci avviammo quindi al cratere, dal quale usciva un sordo rumore come di un treno fer- roviario nell’ interno di una galleria. Giunti sull'orlo il nostro sguardo corse tosto a scrutare nella profondità di esso e fummo meravigliati di scorgere colaggiù in mezzo a vortici di fumo esseri viventi, case in materiale e baracche di legno. Se non avessi veduto quelle persone e quelle case, |’ impressione di quel sordo rumore, i vortici di famo che s' innalzavano da quella profondità e l’acre odore di zolfo che esalava da ogni parte, mi avrebbero trattenuto di scendere nell’ abisso; ma vedendo che altri viveva laggiù, proposi agli amici miei di fare la discesa. Un tortuoso ma comodo sentiere praticato nella parete interna del cratere conduceva nel fondo. Nella discesa c'incontrammo in vari fanciulli d’ambo i sessi, curvi sotto pesanti ceste di materiale che portavano alla cima del cratere per essere radunato entro apposite botti, le quali collocate lungo il sentiero a zigzag, ve- nivano poi rotolate fino alla marina; questi fanciulletti scalzi e la- ceri, ansanti e trafelati mi fecero compassione; la loro retribuzione giornaliera per sì dura fatica non è che di L. 0. 70. Giunti al fondo mi diedi ragione di quelle case; esse non sono altro che forni per la purificazione dello zolfo, magazzeni pel materiale e ripari destinati agli utensili e alle provviste dei lavoranti. Rac- colsi bei campioni di incrostazioni di zolfo selenioso sopra lapilli trachitici alterati, zolfo puro e acido borico. Tutto l’interno di questo grande cratere, parecchie volte più vasto di quello del Vesuvio, essendo a mio giudizio di circa un chilometro di diametro , era rivestito di zolfo e di allume, tantoché 68 CROCIERA DEL VIOLANTE sotto i raggi del sole era impossibile guardarne le pareti senza che ne rimanesse offesa la vista; dappertutto uscivano vortici di vapore solforeo che quasi impedivano il respiro... il suolo bru- ciava sotto i nostri piedi ed era in un continuo tremito... il calore del suolo, I’ irradiamento delle pareti e il sole che dar- deggiava dall’ alto rendevano quel luogo impossibile a persone non avvezze a tale soggiorno. Guidati da un lavorante ci si fece osservare una grande apertura da cui usciva continuamente la fiamma; asfisiato dall’ esalazioni, presso ad essere arrostito dal calore che usciva da quel buco, mon potendo più resistere, feci un rapido voltafaccia e mi slanciai sulla piccola strada, né mi fermai che quando sentii i miei polmoni dilatarsi e potei respirare più liberamente. Ivi collocai la macchina fotografica e presi una veduta dell’ interno di quella vera Bolgia Dantesca. Non potei fare a meno che ammirare I’ effetto dell’ abitudine della vita in questi luoghi nei lavoranti e correre col pensiero. all’ idea che per un momento solo il Vulcano si sbizzarisse mentre uomini donne e fanciulli sono in quel baratro intenti al lavoro! Ci si disse però che le eruzioni sono segnalate da certi indizi particolari uno 0 due giorni prima. Sulla vetta trovammo il Direttore dei lavori, il sig. G. B. Nar- lean ingegnere e compitissima persona, il quale ci diede tutte le informazioni che desideravamo sull’ isola e con lui scendemmo per altra strada più breve ma più scoscesa; nel discendere ci fece osservare nuovi forni per la purificazione dello zolfo e gli effetti dell’ ultima eruzione. Ci narrò come l'isola venisse com- perata alla famiglia Nunziante, alla quale apparteneva sotto il Governo Borbonico, dal sig. Stephenson di Londra; però alcuni pic- coli proprietarii dal lato mezzogiorno dell’isola, ove sembra esservi qualche coltivazione, pretendono all’ assoluta padronanza delle loro terre e di qui liti e discussioni continue. Il Nunziante aveva avuto dal Governo Borbonico la concessione esclusiva dell’ intro- duzione nel regno dell’ allume esente da tassa, ed essendo il prezzo di tal derrata a suo beneplacito, Vulcano era allora fonte d’ immense ricchezze ai suoi padroni. I lavori stabiliti nell’ interno del cratere sono ancora opera della famiglia Nunziante. Al pre- PARTE NARRATIVA 69 sente l’ isola non dà più quei pingui risultati pecuniarii d’ una volta, al punto che forse non sarà lontano il giorno dell’ abban- dono dei lavori. Il sig. Narlean sta ora occupandosi di ridurre a coltivazione la parte meno arida dell’isola, e ove riesca, sarà quello il miglior risultato che se ne potrà ritrarre. Ci volle ospiti nella sua casetta o studio, e volle che scrivessimo il nostro nome nel libro dei visitatori dell’ isola. A giudicare da esso, non eravamo stati pre- ceduti che da una sola persona; era questa il conte Luigi di Neudorf, il quale era venuto lo scorso anno a Lipari sul suo Yacht Nix sotto bandiera austriaca, facendo in questi luoghi un lunghissimo soggiorno, a quanto sì diceva, per lavori idrografici dell’ Arcipelago e promettendo di ritornare nel prossimo mese di Agosto del 76. Stranissime voci correvano sul conto di questo personaggio eccessivamente generoso, che pareva cercasse una popolarità inesplicabile, e permetteva che lo si chiamasse Conte Luigi, figlio di Re di Francia, ovvero semplicemente re Luigi!! (1). Alle 3 p. m. preso commiato dal sig. Narlean, riguadagnammo la rada di Lipari. Si pranzò a bordo e la sera scendemmo in terra, ove si fece conoscenza col signor Palamara farmacista del paese e appaltatore delle provviste alla Famiglia dei coatti. Da lui ebbimo qualche indicazione sulla vita che conducono questi con- dannati. Essi non sono obbligati ad alcun lavoro e passano i giorni interi oziando, quando non trovino chi gli impieghi in qualche manuale occupazione; il governo passa loro L. 0. 40 al giorno perchè si provvedano il vitto! Alla sera debbono trovarsi ad ora fissa tutti riuniti nel castello. Abbenchè in apparenza più liberi, la loro vita però mi sembra più triste ed infelice che non quella dei condannati alle colonie penali agricole. Poco tempo prima 4 erano riusciti ad evadere con una barca del paese. Un bel giorno fu trovato sulla roccia al mare ove si erge il castello, (!) Da informazioni avute al momento di radunare questi ricordi, seppi que- sto personaggio essere I’ Arciduca Luigi Salvatore di Lorena, toscano e figlio di Leopoldo 11 ed autore di un’ opera molto pregevole sulle antichità di que- ste isole. 70 CROCIERA DEL VIOLANTE il cadavere di un coatto col corpo crivellato da quattordici ferite e dalle contusioni si giudicò essere stato gettato dagli spalti della fortezza e proprio dai cameroni ove essi convivono; chi commet- tesse quell’assassinio e quale ne fosse stato il movente rimase sempre un mistero! E chi mai dei pacifici proprietari vorrà torre a servizio persone di tal fatta? Nella sera il Palamara ci tece visitare una bellissima palazzina foggiata sullo stile moresco, ma abbandonata per paura degli spi- riti... molte altre di queste case ci furono insegnate pur esse abbandonate per tale motivo; che sentano esse la vicinanza del Purgatorio di Stromboli? Prima di separarci combinammo pel domani col nostro amico liparoto, una gita ai bagni di San Ca- logero. Venerdì 21. — Alle 6 del mattino del 21, fummo allegramente in marcia per S. Calogero; tutto lo stato maggiore del Violante a piedi per meglio attendere alle collezioni d’ insetti, ragni e lucertole; unico il Palamara, sotto un immenso cappello di fog- gia araba, cavalcava uno sezeco, (asinello) di puro sangue liparese. Ebbimo agio ad osservare in questa gita la coltivazione dell’ isola, in massima parte a vigneti e fichi d'india, caleando un terreno — sempre vulcanico composto di lave vetrose e trachiti. Lasciammo sulla sinistra una pianura detta Piano di Diana dove in origine saravvi forse stato il tempio dedicato alla Dea della caccia, che a detta del già citato Polibio, sembra sia realmente esistito. Da quando a quando godiamo di bellissimi punti di vista dell’ Arci- pelago e del monte S. Angelo, vulcano spento, ora tutto verdeg- giante in vigneti coltivati nello stesso modo che a Salina; scorgemmo I’ isola di Vulcano dal cui immenso cratere s’ innal- zava vaporosa una nuvoletta di fumo; le isole di Alicudi e Filicudi che si presentano all’ occhio quali immensi coni sorti magicamente dall’ imo de’ mari e più lontano, velate dai vapori, le coste della Sicilia. Dopo un ora e mezza di cammino, durante il quale non trala- sciammo di mover guerra a tutti 1 più innocenti animaletti che il Dottore designava dover essere sacrificati nell’ alcool ad inere- mento delle collezioni zoologiche, giungemmo in una deserta e PARTE NARRATIVA Tal selvaggia gola nel versante Ponente dell’ isola, in fondo alla quale sorge un caseggiato a due piani. Sembra che anticamente esistessero qui delle terme, a giudicare da una piscina scavata nella roccia e da due tronchi di colonne scannellate, avanzi di muri che |’ attorniano e che accennano ad epoche assai remote. L'acqua che sgorga in gran copia da un crepaccio del monte, ha la temperatura di 52.° C. I moderni bagni costruiti dal mu- nicipio di Lipari sono ariosi, grandi e ben disposti, ma disgrazia- tamente poco frequentati per l’infelicissima loro posizione, ab- benchè si narrino mirabilia delle acque. Dicesi che lo stabilimento costi 60,000 lire. Il locale è capace di contenere 20 ammalati e non ve ne trovammo che 3. Ritornammo al paese per la stessa strada e prima d’imbarcarci presi la fotografia della città di Lipari da una bella posizione. A un ora e mezza il Violante era in rotta per Messina, spinto da una leggera brezza di Ponente. Il gigante Etneo non tarda ad offerirsi ai nostri sguardi e poco a poco la penisola di Milazzo e tutta la costa Sicula, confusa dapprima e quindi gra- datamente delineandosi, sorge per così dire dal ceruleo vapore che avvolge tutte quelle belle spiaggie. Alle 9 restiamo in calma perfetta poco meno di 4 miglia dalla costa. Sabbato 22. — Nella notte la corrente che veniva dallo stretto di Messina ci aveva scostato dal Faro; però rimessosi alle 5 antim. un bel venticello da Ponente, diressi per il centro dello stretto. Godemmo di uno splendido panorama, reso ancor più hello da una magnifica giornata. Alla nostra sinistra le alte montagne della Calabria e Sez//a col suo antico castello fabbricato su di uno stretto promontorio. Sulla nostra dritta s’ avanzava la bassa punta di capo di Faro, l antico Pelorum, col suo fanale; presso a questa località ponevano gli antichi l’ altro non meno terribile vortice Cariddi; quindi le verdeggianti colline che fanno spalla alla città di Messina e sono come i primi contraforti e gradini alla gran mole Etnea. La città di Messina cominciava a mostrarsi in lontananza sotto una confusa e indistinta massa di fabbricati, dai quali si staccava a Tramontana la graziosa marina, che dalla città si estende infino a Faro, formando un ampio semicerchio. 72 CROCIERA DEL VIOLANTE È quivi ove trovansi in maggior numero i pescatori di pesce spada, da essi detto pesce valente e vediamo le barche, dalla strana alberatura, destinate a questa pesca. Il vento leggero e la forte corrente di prora non mi facevano abbastanza avvantaggiare, quando una barca di piloti-pescatori ci avvicinò offerendoci i loro servizi fino a Messina. Mal pratico dello stretto e avendo altra volta, allora in comando di un legno misto, esperimentato gli scherzi della corrente in questi paraggi, accet- tai I’ offerta, tanto più che dalla loro pretesa di L. 30 discesero alla tenue somma di L. 5, compresi i pesci per la colazione nostra e dell’ equipaggio. Ci fecero essi avvicinare la costa della Calabria e sì misero a rimorchiarci; più tardi però spiegatosi un bel vento da Tramontana, abbandonammo 1 nostri pescatori e ci trovammo in brev ora alla bocca del porto di Messina. Nel bel mezzo dell’ entrata un grosso pescecane passò vicinissimo al bordo, ma per presto che facessi, non fui tanto sollecito da po- tergli far fuoco. Lo avrei fatto tanto più volentieri poichè avrei dato così allarme ad una grande quantità di bagnanti, che erano sul lido inconsci del pericolo. i MESSINA. Ormeggiato il bastimento, scendo a prendere pratica in com- pagnia dei miei compagni; e qui al solito, per ragione di diritti d’ancoraggio, di bandiera da guerra ed altro, succede un batti- becco, al quale pongo fine col presentare l'Atto di nazionalità (1), e tirandomi addietro l’uscio, lascio quei signori a ragionare fra loro. Messina fondata sotto il nome di Zanele nel X. secolo a. C. ricevette due colonie messenie negli anni 668 e 495 a. C. in seguito alle quali venne chiamata Messana. La sua occupazione per parte dei Mamertini fu I’ occasione della prima guerra Punica. Nel 1283 Carlo d'Angiò la strinse d’ assedio inutil- (1) Il Violante, per mezzo dell’ atto di nazionalità, può battere bandiera da guerra (senza il diritto della fiamma); quindi è in tutto assimilato ai RR. Legni e come questi esente da tasse d' ancoraggio ed altri diritti. PARTE NARRATIVA 73 mente; nel 1571 l’armata combinata dai Principi cristiani si radunava nel suo porto, sotto il supremo comando di Don Gio- vanni d’ Austria, prima di muovere incontro alla flotta turca nelle acque di Lepanto; nel 1675 Duquesne sostenne la sua rivolta contro gli Spagnuoli. La sua cittadella ultimo baluardo del vacillante potere di Francesco II nella Sicilia, rammenta |’ E- popea del 1860. La città conta 103000 ab.; il suo vasto porto, che si può dire a buon dritto uno dei più sicuri porti del Mondo, é fatto dalla natura, nulla vi aggiunse la mano dell’uomo; esso è sempre pieno di bastimenti che caricano i prodotti d’ esporta- zione del paese, consistenti in olio, zolfo, agrumi ete. La città è pulita e regolarmente costruita, bello è il mercato vicino al porto e bellissima è quella lunga sequela di eleganti ed uniformi caseggiati che fiancheggiano con una non interrotta linea tutta la parte Ponente del porto. Gironzammo tutto il giorno per la città; in una piazzetta vi scorgemmo la statua in bronzo del vincitore di Lepanto. Nel dopo- pranzo femmo una carrozzata lungo la marina verso il Faro, godendo di una bellissima vista su tutta la costa della Calabria; di ritorno ascendemmo al Convento dei capuccini. Era l'ora del tramonto, le valli e le pendici delle montagne della Calabria si rivestivano di bellissime tinte vermiglio-azzurre, nel mentre le vette, illuminate ancora dai rosei raggi di un sole morente, spiccavano sopra il grazioso fondo opalino del cielo. Lo spetta- colo era incantevole e saremmo rimasti lungamente assorti in quella vista, se le esigenze profane dello stomaco non ci aves- sero rammentato che era necessario pranzare. — Allora presa la china a salti, fummo in breve seduti innanzi ad un fumante ed appettitoso piatto di vermicelli al sughillo, di cui femmo grande distruzione. Ci riducemmo quindi per tempo a bordo, allo scopo di fare i preparativi pel domani per una gita all’ Etna. Gita all’ Etna. Domenica 25. — Sorse il mattino del 23 limpido e sereno, un cielo del più bel zaffiro apriva il nostro animo alla gioia, 74 CROCIERA DEL VIOLANTE invitandoci alla gita. Alle 9 si partiva in ferrovia diretti per Catania. Faceva parte della spedizione il marinaro Filippo, che prudentemente avevo aggregato alla comitiva per portare qual- che provvista, la macchina fotografica e caricarlo di rocce e col- lezioni al ritorno. ; La ferrovia costeggia |’ antica strada postale, toccando varie stazioni di poca o nessuna importanza e traversando torrenti di un letto estesissimo, ora asciutti, ma che nella stagione piovosa, a giudicarne dai ciottoloni e dai massi che vengono dalla mon- tagna, debbono essere terribili ed impetuosi. La campagna è bellissima, la vista stupenda: ecco sorgere alla nostra sinistra il Capo S. Alessio con un pittoresco ed antichissimo castello... e sempre la vista del mare rallegrata da qualche bastimento in lotta colla calma e colla corrente. La spiaggia si presentava sempre nuova, sempre graziosa: ora erano pittoreschi gruppi di pescatori affaccendati attorno alle loro barche e alle loro reti, ora erano bagnanti che si presentavano rapidamente ai nostri occhi; e queste scene e questi gruppi variavano ad ogni spiaggia, ad ogni curva della ferrovia, ad ogni stazione. Arriviamo così a Taor- mina, l'antica Tauromenium con un castelllo e parte della città sopra di un altissima rocca; traversiamo in seguito il bellissimo e doppio borgo delle Giarre, mentre alla nostra destra sorge gigante |’ Etna. È nelle vicinanze del paese delle Giarre che ci si disse trovarsi il famoso Castagno dei cento cavalli, così detto perchè secondo una tradizione, Giovanna d’ Aragona sorpresa da un acquazzone vi sì ricoverò con cento cavalieri. La ferrovia solea quindi i torrenti di lava del 1329 e ben presto ci si pre- senta il paese di Aci Reale, celebre per le sue acque minerali. Qui il Commissario mi ricorda la metamorfosi di Galatea ed il gigante Polifemo, del quale si mostra la grotta ove Ulisse secondo Omero, pare abbia acciecato quel monocolo gigante; e additan- domi i Faraglioni, o scogli dei Ciclopi, mi ricorda che furono cosi chiamati perchè slanciati da Polifemo contro quella buona lana di Ulisse, il quale da 10 anni navigava senza aver ancora potuto trovar I’ uscio di casa sua! In queste vicinanze Magone ammiraglio Cartaginese sconfisse nel 396 a. C. la flotta di Dionigi tiranno PARTE NARRATIVA CD di Siracusa. Ammiriamo un castello rovinato che forse ricorda il celebre almirante Ruggero Loria e le incursioni dei Saraceni sulla costa Sicula. La ferrovia si apre quindi nuovamente pas- saggio in mezzo a torrenti di antiche lave che rassomigliano a burrascoso mare pietrificato; qua e là ove si presenta qualche straticello di terreno vi sorgono piante di fico d’ India e qualche raro tralcio di vite. Alle 12 3/, giungiamo a Catania, e fissiamo all’ albergo Cen- trale una vettura, che doveva condurci a Nicolosi e ricondurei all'indomani a Catania. Gli antichi conoscevano gia l Etna e vi collocavano nella loro immaginazione le fucine dello zoppo Dio Vulcano. In Omero però non risulta che i marinai greci conoscessero il monte come un vulcano. La sua prima eruzione in tempi storici ci viene descritta da Pindaro, il gran poeta lirico greco, e accadde nel 476 a. C. Sono 79 le eruzioni che annovera la storia, delle quali le prin- cipali e più disastrose furono quelle del 396, 126 e 122 a. C. e nell’ era volgare quella del 1169, 1329, 1537 e infine quella del 1669 descritta dal fisico Borelli, che fu la più terribile di tutte. Le eruzioni non ebbero tutte luogo dalla gran bocca, ma anzi il più delle volte dai fianchi squarciati della montagna dove si formano piccoli crateri, che vomitano la materia ignea vicino all abitato e nelle coltivate campagne e riescono più disastrose e terribili. Nel 1692 ve ne fu una accompagnata da spa- ventevole terremoto che distrusse 40 paesi e seppelli sotto le macerie 60000 persone. Nel 1755, epoca del gran terremoto di Lisbona, vi fu pure una grande eruzione dell’ Etna; nel 1848 e 1852 i torrenti di lava uscirono dalla valle del Bove; |’ ultima fu nel 1865. Gli abitanti dei dintorni contano in media un’ eru- zione ogni 10 anni. Traversammo tutta la lunghissima via Etnea, in fondo alla quale signoreggia maestosa l'imponente mole del vulcano. Erano le 3 pom., l’ ora della siesta, quindi ben poche persone incontrammo lungo il nostro cammino. Usciti dalla città, varie ville più o meno verdeggianti ed in posizioni sempre amenissime si offrono ai nostri sguardi; alla nostra destra le rovine di un antico acque- 76 CROCIERA DEL VIOLANTE dotto, tutte rivestite di edera, campeggiano su di un cielo d’un bellissimo azzurro. Passiamo per 1 paesi di Gravina, per Masca- luccia, ove vediamo i preparativi di una di quelle processioni così caratteristiche di questi paesi di montagna, e Torre di Grifo; tutti borghi che sorgono sopra lave più o meno recenti. Era quello giorno festivo, il sole era presso al tramonto e la popo- lazione uscita dalle case a godere del fresco, faceva ressa al nostro passaggio, dandoci così agio ad osservare tipi e fattezze indicanti, se non bellezza, una certa vigoria e salute in quei montanari siculi. Dopo Torre del Grifo la contrada si fa più deserta e la lava antica che si scorge qua e la ad intervalli, ma sempre co- perta da rigogliosa vegetazione, ci si mostra ora arida e nuda in tutte le sue rugose sinuosita; è la lava del 1537. Innanzi a noi sulla nostra sinistra l’automedonte, che ci faceva anche da cicerone quando gliene veniva il destro, ci additò i Mont: Rossi, che eguali di forma e di colore sorsero gemelli dal comun grembo etneo vici- | nissimi |’ uno all’ altro nell’ eruzione del 1669; la loro altezza sul livello del mare è 950 m. A Nicolosi mi furono offerti piccoli cri- stalli di augite e polvere di ferro titanato raccolto presso quei crateri. Siamo sui confini della zona coltivata che sì stende poco oltre Nicolosi. Questa vien detta Piedimonte ed è ricca di prati, vigna e selvaggiume, nonchè di ville e villaggi; la vite cresce in qualche punto di questa zona fino a 1300 m. sul livello del mare. La 2.2 zona, detta boschiva, si stende per balze dirupate e scoscese coperte da piante di alto fusto e fra queste spiccano il faggio e la betula; le foreste di pini del fianco rivolto a Greco giungono fino a 2200 m. La 8.8 è detta scoperta; questa non offre che rarissime traccie di vegetazione, ma vi si trovano tut- tavia 40 specie circa di piante. Finalmente la 4.2, chiamata de- serta, che arriva fino alla vetta ed è quasi sempre rivestita da nevi, non presenta che 5 fanerogame quasi tutte particolari del- l'Etna. Una di queste venne riconosciuta dal nostro Dottore per l'Astragulus siculus, se ben mi ricordo; essa forma grossi emisferi di verdura di più di un metro di diametro, che nella notte si prendono per grossi e arrotondati sassi. Distante ancora una mezzora dal paese di Nicolosi il nostro -~ PARTE NARRATIVA 77 cicerone c’ invita a scendere per osservare la grotta detta del Bove. Scavalcato un muricciuolo fatto di pezzi di lava a secco e traversato varii folti cespugli, vedemmo una specie di fossa di apertura irregolare e di una ventina di metri di profondità, ripiena di sterpi e sassi; probabilmente essa doveva essere qual- che antichissimo sfiatatoio dell’ Etna, a cui forse fu dato tal nome perchè sarà stata la tomba di qualche disgraziato bove. Profittiamo di questa discesa per dar la caccia a qualche ragno ed insetto. Poco dopo facciamo il nostro ingresso in Nicolosi, dopo aver percorso da Catania 3 ore di cammino. È questo piccolo borgo situato a 698 metri sul mare, distri- buito lungo la strada in due file di nere case. Qui tutto è color della lava, ossia di un grigio scuro, fuliginoso; di tale tinta sono i muri, le strade, le case, delle quali rara è quella che si dia il lusso di una imbiancatura alle esterne pareti. Fra queste è appunto la Locanda dell’ Etna tenuta dal sig. Giuseppe Cal- vagno. Questi ci accolse festevolmente e ammanitoci un buon desinare, attese a farci preparare i muli, chiamar le guide, e come persona da lunga pezza assuefatta a tale bisogna, vistoci sprovveduti di coperte, ci dipinse con parole tanto spaventevoli la notte glaciale che avremmo passato nelle alte regioni del monte, che non ci volle molto a convincerci di torre da lui a nolo certe vecchie e sdruscite coltri che, a dire il vero, furono per noi in seguito una vera provvidenza. Non dimenticò di aggiungere nelle ampie tasche che erano sospese al basto del mulo della nostra guida, una provvista di legna e qualche prov- vigione per bocca. Il Commissario aveva saggiamente pensato di portare da bordo un fiaschettino di cognac. Alle 7 inforcati allegramente i nostri bucefali, accompagnati dagli augurii di Don Beppino, dei suoi inservienti e dei pochi curiosi, principiamo la salita del Dyedel (*). Ciarlando, cantando e ridendo facciamo un oretta di strada battuta e giungiamo in- sensibilmente a 1100 m., come marcava il mio piccolo aneroide (‘) Parola araba che indica montagna e ancora usata in molti luoghi della Sicilia e della Sardegna; dalla corruzione di questo vocabolo si crede abbia potuto avere origine il nome di Mongibvello dato a questo vulcano. 78 CROCIERA DEL VIOLANTE misuratore di altezze. Si veggono qui gli ultimi vigneti, a destra e a sinistra della strada varii piccoli campi coltivati e circoscritti da lava grigiastra e qua e là grossi cespugli di ginepro. Il marinaro Filippo e la sua cavalcatura non erano perfetta- mente d’accordo, poichè questa con rapide alzate di reni o colpi di tangheggio, come soleva chiamarli il nostro marinaro, fece tanto che lo stramazzò al suolo. Fortunatamente lo vidi rimet- tersi in arcione incolume, bestemmiando come un saraceno. Io frattanto spingeva la mia cavaleatura ora accanto al Dottore ora presso il Commissario. Il marinaro dopo la caduta s'era avvicinato al primo e narrava a questi la sua sventura, ac- cennando a certi dolori che risentiva nelle parti poppiere e potei udire come egli dicesse che, sorpreso da un colpo di tan- gheggio, senza potersi agguantare ai vent? che erano in bando, era caduto passando di proravia. L' avaria non doveva essere stata grave giacchè continuò sempre allegramente il cammino, cercando colle carezze di tenersi in buona col suo mulo. Il Com- missario se la faceva colla guida parlando di caccia, e dalle in- formazioni ch’ egli raccolse, pare che in quel di Bronte e Ran- dazza, dall altra parte della montagna ove sono molte foreste, si trovino lepri, cignali e qualche lupo. Il sole frattanto era tramontato e alla sera, quasi senza cre- puscolo, successe la notte buia; allorchè alle 9, dopo due ore di cavalcatura, giungemmo alla casa del Bosco Rinazzi. Il mio aneroide marcava 1290 m.; eravamo in un bosco di castagni; l’aria cominciava ad essere troppo fredda per accusarne intera- mente la notte e I’ irrigidita articolazione delle mani ferme sopra le redini m indicava che la temperatura doveva essere molto discesa (1). Frattanto che noi, ricoverati nella casa Rinazzi, ci riscaldiamo ad un buon fuoco, le nostre cavalcature si riposano per riprendere |’ ultima più lunga parte della scabrosa salita. Dopo una mezz’ ora di fermata, ristorati cavalli e cavalieri, ci rimettiamo im arcioni. (4) Duolmi avere smarrito le graduali osservazioni termometriche e non poter quindi riprodurle. PARTE NARRATIVA@ wig La nostra carovana si era accresciuta di numero, un porta lanterna andava innanzi rischiarando il cammino, chè la luna faceva la ritrosa. Dico che il porta lanterna ci rischiarava il cam- mino; ma era piuttosto un lontano faro che indicava la posi- zione della testa della colonna, giacchè era tale la distanza che ci divideva talvolta, da non intenderci più l'uno l’altro e do- vemmo alla bontà delle nostre cavalcature assuefatte a tali strade, se giungemmo incolumi alla Casa degli Inglesi. Intanto il freddo cresceva ed avevamo tutti indossato le nostre coperte, tranne il Commissario il quale ci dava la baia; ma il briccone era custode della fiaschetta del cognac. Procedevamo lenti sulla lava del 1537 e il pallido chiarore delle stelle non era tanto da farci discernere la menoma traccia di cammino se pur ve n era; il torpore cagionato dal freddo che aumentava ognora più, e il bisogno di riposo ci avevan tolta la parola; ciascuno andava per conto suo, pur cercando di seguitare da lungi il fanale guida. Accortomi che tale incom- benza meglio di me era disimpegnata dalla mia cavalcatura, lasciai ad essa la cura di condurmi, e abbandonate le redini sul collo, riparai le intirizzite mani sotto il tepore della coltre. L'oscillante lanterna tenuta a mano dalla guida che ci prece- deva a piedi, ora appariva ed ora scompariva, come un folletto delle antiche leggende, dietro ad ammassi di rocce, delle quali l’incerto chiarore della lanterna esagerava le proporzioni, proiet- tandole sotto stranissime forme su quel burrascoso mare di lava; così pure cavalli e cavalieri sorgevano e giganteggiavano per- dendosi nello spazio, e davano alla nostra carovana un insieme di fantastico e bizzarro. Stavamo allora traversando la zona deserta all'altezza di circa 2000 m. Il freddo decisamente era per tutti divenuto penoso e avvolgendoci il meglio nelle nostre coperte, che ci sembravano sempre più leggere, proseguimmo lenti lo scabroso calle anelando alla sospirata meta. Da quando a quando I oscurità della roccia era come screziata da qualche macchia biancastra; era la neve, che ragunata dal vento e ammonticchiata nel profondo di qualche crepaccio sfida anche i calori estivi. Essa viene utilizzata in Ca- 80 CR@CIERA DEL VIOLANTE tania, e in tutti i paesi siti alle falde dell’ Etna e viene anche trasportata a Malta. Lunedì 24. — La guida a rinfrancare gli animi nostri ci da la buona notizia che dopo pochi minuti si sarebbe arrivati. I minuti si cambiano in 5 lunghi quarti d'ora, ma i nostri muli, che pareva comprendessero quell’ annunzio, sebbene avessero già 6 ore di aspra salita, raddoppiano il passo e mercè questo sforzo alla 1 e !/, assiderati dal freddo scendiamo o meglio ci lasciamo cadere dalle nostre cavalcature, ricoverandoci nella così detta Casa degli Inglesi. Questa casetta fu fabbricata a spese degli ufficiali dell’ esercito inglese, che occupava la Sicilia, al principio del corrente secolo. Essa sorge sugli avanzi di un osservatorio dei fratelli Gemellaro; ed è un asilo opportunissimo per riparare dall’ intenso freddo e dai venti impetuosi i viaggiatori e le cavalcature. Eretta da oltre 50 anni fu quasi schiacciata dal peso delle nevi, ma nel 1872 venne ristorata a spese di S. A. R. il Principe Umberto. Questa casupola risulta di due camere; quella a sinistra, nella quale si entra per l'unica porta, è destinata ad uso di stalla; oserei chiamare I’ altra Foresteria. Il mobilio di questa è composto di 3 sgabelli a sorpresa e di un tavolo addossato al muro per reggersi in piedi, ma che doveva un tempo poggiare sopra quattro estre- mità; la parete poi sorregge sei assiti di legno sovraposti in due file, che pretenderebbero sostituire letti e rammentarmi le cuc- cette di bordo, se un poco di paglia suddivisa parcamente fra quei giacigli non fosse la sola rappresentante dei soffici materassi, e del piumino d’ Eider. La guida additandoci questi simulacri di letti, ci invita a riposare dicendoci che ci avrebbe desti per tempo. Non me lo feci ripetere e adocchiato un ammasso di coltri, lo gettai in uno di quei giacigli, ove io pure my intro- dussi. Mi trovai con sorpresa coricato accanto al Dottore col quale ci ravvoltolammo ben bene sotto le coperte, e ciascuno vicendevolmente speculando sul calore animale del compagno , ci addormentammo. Il Commissario, il marinaro e le guide si radunarono attorno ad un buon fuoco fumando e sonnecchiando. Alle 3 fummo desti per rimetterci in cammino, questa volta PARTE NARRATIVA 81 non più a cavallo ma a piedi. Appena fuori della porta la punta del naso che sola usciva dalle nostre coperte c’ indicava che la temperatura era fortemente abbassata ; ci serrammo istintivamente al Commissario, il quale ci fu generoso di un buon sorso di cognac e quindi ci incamminammo su per l’erta, chè per godere il panorama bisognava trovarsi sulla vetta avanti la levata del sole. Sono circa 350 metri sul livello del mare che ci restano da salire per raggiungere |’ estremità del cono. La prima parte si fa sopra scorie, lapilli e ceneri, nelle quali il piede s’ af- fonda e rende oltremodo penosa l'ascesa. Questo passo ci ram- menta quegli infelici che Dante nel suo inferno condannò a passeggiare con una gran cappa di piombo. A meta cammino prendiamo un quarto d'ora di riposo e quindi allegramente diamo la scalata all'ultima e più ripida parte del cono. Qui non v ha ombra di sentiero e ciascuno pone il piede ove trova più acconcio il luogo e più sicuro; non vi sono che grossi pezzi staccati di lava, 1 quali scivolano sotto il peso del nostro corpo facendoci retrocedere talvolta di parecchi passi e non senza qualche pericolo..... Qua e là getti di vapore ed esalazioni sol- foree ci annunziano la vicinanza del cratere, il cui margine oscuro ed irregolare si projetta nell’ azzurro del cielo. Raddoppiamo di ardore e infine alle 4,30 ansanti e trafelati raggiungiamo la vetta del più alto Vulcano d’ Europa e secondo gli ultimi rilievi geodetici dello Stato Maggiore italiano, abbiamo ragione di crederci a 3312, 60 m. sul livello del mare. Al disotto di noi vediamo da una parte l’ intero ed immenso cratere limitato da una catena di colline che gira intorno per la lunghezza di 4 Kilometri. Noi sediamo sulla più alta vetta attorniati di getti di vapore e da fumarole, che ricuoprono tutto il suolo di deposizioni saline. Le pareti del cratere sono tagliate a picco in un baratro pro- fondissimo, tranne dalla parte di Mezzogiorno ove sembra non del tutto inaccessibile. Queste pareti sono qua e là screziate di striscie orizzontali di vario colore, che corrispondono ad altrettanti strati di pietre e d'altri materiali eruttati dal vulcano; strati che sì accrescono ad ogni nuova eruzione. Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (15 Ottobre 1877). 6 82 CROCIERA DEL VIOLANTE Ivi non udiamo rumore di sorta, nè sentiamo sotterranei tre- miti; solo dal fondo e in varii punti lungo le pareti s' innalzano colonne di fumo, massime dall’ apertura che la nostra guida chiama Bocca del Diavolo. Stendesi sotto i nostri piedi due terzi della Sicilia che si ma- nifesta per certe grandi e grigiastre macchie, le quali appena illuminate dai primi albori, si confondono col mare ancora privo d’ orizzonte. La mattina non può essere migliore; non una nuvola in cielo; radi e diafani i vapori che ancora velano lo sguardo. Immersi nella contemplazione dell'immenso quadro che va sempre più chiaramente disegnandosi sotto ai nostri occhi, aspettiamo con impazienza che l astro maggiore venga a dar vita e colore a questo mirabile spettacolo. A poco a poco verso levante il cielo si rischiara, piglia una tinta azzurro chiara, passa man mano al bianco, al giallo, all’ arancio; il mare si distacca dal cielo ed anch’ esso prende un colore più vivo, l'orizzonte s' imporpora, s’ infuoca e un disco rovente fa capolino dall’ onde; è Febo che sorge, è I’ astro della vita che s innalza; schiacciato dapprima s’ arrotonda di poi e sempre più sfolgorante spande ovunque i suoi raggi e fugando gli ultimi vapori della notte, indora la vetta del vulcano. — Ora ben comprendo il culto del sole! A Ponente intanto |’ Etna’ projetta la sua ombra gigantesca in forma di un immenso trian- golo; poco a poco la luce scende e illumina le spalle e la base del monte, nonchè la Sicilia tutta. Le coste Calabro Sicule si delineano pure nettamente e lo sguardo spazia sopra un pano- rama di oltre 80 miglia di diametro! Sì gareggiava fra noi a chi primo scorgesse nuove terre e nuovi mari, isole, seni, promontori e sapesse dare ad ogni punto il loro vero nome, decifrando l immensa carta geografica distesa ai nostri piedi. Scoprimmo così: lo stretto di Messina, la punta di Milazzo, le lontane isole di Lipari e Stromboli, le montagne della Calabria che formano contorno a questo gran quadro dalla parte di Levante. Più sotto a noi le montagne della Sicilia le quali rimangono schiacciate e livellate come una pia- nura appena ondulata e non colpiscono l’occhio che per le grandi PARTE NARRATIVA 83 macchie chiare od oscure che in esse inducono i terreni sterili o i boschivi. Lo sguardo vorrebbe spingersi oltre |’ Europa. Ma lo scorgere le coste d’ Africa non era possibile che colla imma- ginazione. Non dimenticherò mai questa gita e le emozioni provate sul- Y alto dell’ Etna alla vista di sì meraviglioso panorama. Dopo un po’ di tempo concesso all’ammirazione e dopo aver provato i benefici effetti dei raggi solari, mi diedi a raccogliere qualche campione di lava e per ricordo di quella gita, asportai un pezzo della pietra che formava la punta più alta di quella vetta « ad imperituram rei memoriam ». Presa una fotografia del cratere c' incamminammo alla casa degli inglesi, divertendoci a rotolare giù per la china enormi massi di lava, i quali urtando nelle scabrosita del cono si spez- zavano in altri minori. Questi poi roteando e saltando con ver- tiginosa velocità finivano per dileguarsi in profondi abissi. Presso ad una fumarola trovai un insetto che forse sì era quivi ricoverato per cercare una temperatura più confacente alla sua esistenza. Esso fu dal Dottore riferito al genere Bembidium e come tale condannato a finire nell’ alcool. Col sole la temperatura si era alquanto alzata e riprese le nostre coperte, che per essere più spicci avevamo abbandonate a metà dell'ultima salita, ritrovammo il nostro ricovero. Si fece co- lazione con un appetito veramente omerico. Sulle pareti di questa casupola, che comunque misera è una vera provvidenza per i visitatori dell’ Etna, leggemmo le se- guenti iscrizioni: AI NATURALISTI ITALIANI CHE PER LA PRIMA VOLTA IN FRATERNO BANCHETTO IL 27 Agosto 1869 SI RIUNIVANO SULLA CIMA DELL'ETNA IN OCCASIONE DEL IV CONGRESSO TENUTO IN CATANIA L’ ACCADEMIA GIOENIA PLAUDENTE AL FAUSTO AVVENIMENTO. 84 CROCIERA DEL VIOLANTE e un’altra latina che ricorda la fondazione della casetta, la vi- sita del Principe Umberto ed il restauro fatto a di lui spese: AETNAM PERLUSTRANTIBUS HOSPITALE HOC REFUGIUM A MARIO GEMELLARO ANNO MDCCCIV PARVA AEDE AERE PROPRIO INCEPTUM FERVENTE ANNO MDCCCXI BRITANNICO EXERCITU SICILIAM TENENS PRAESIDIANTE AB EODEM GEMELLARO AMPLIATUM AEVO ALTA NIVE QUOTAMNIS INCUMBENTE AC AB IGNITIS AETNAE LAPIDIBUS PENE DIRUTUM PRINCEPS UMBERTUS PEDEMONTIS AETNA AB IPSE ANNO MDCCCLXXII PERLUSTRANS SUO AERE RESTAURANDUM CENSUIT. Noi scrivemmo sulle pareti il nome del Violante, poscia, alle 8, principiammo la discesa ed essendo giorno potemmo meglio os- servare il cammino fatto nella notte. Facciamo una prima fermata sopra un punto che domina Val di Bove, immensi spaccatura che circonda il cono dalla parte di Levante. La sua profondità varia da 500 a 1000 m. Vicino a questo baratro havvi un cratere estinto che dicesi fosse in at- tività prima dell’attuale. Traversiamo quindi un piano di cenere e scorie e ivi faccio un ultima fotografia del cono principale e della casa. Il sole frattanto visitando coi suoi primi raggi quelle regioni e le sinuosità della lava umide ancora della notturna rugiada, andava sviluppando per quelle valli un aria vaporosa che ci to- glieva ad intervalli una gran parte del vasto panorama, il quale mentre scendevamo andava mano a mano restringendosi di dimensione e circoscrivendosi alla sola parte del versante ri- volto a Catania. Giganteggiava nuovamente alle nostre spalle il gran cono dell’ Etna e le montagne cominciavano a crescere e ad innal- zarsi a misura che noi scendevamo; certe piccole macchie bian- castre disseminate per il sottostante paese prendevano forma di PARTE NARRATIVA 85 città e villaggi e tutto andava dettagliandosi. Il Bosco Rinazzi, i monti rossi, Nicolosi, le case, le ville, i campi andavano gra- datamente ricomparendo ai nostri occhi e in lontano Catania col suo porto e il suo convento dei Benedittini. Alla casa Rinazzi ci riposammo alquanto ristorandoci con acqua freschissima e abbeverandone le nostre cavalcature, colle quali ormai eravamo in perfetta armonia. Troviamo quivi numerosi branchi di pecore e profittiamo della fermata per far caccia di qualche ragno e qualche insetto. Riprendiamo quindi la faticosa discesa su lave antichissime; ad intervalli ed in certi passi scabrosi preferiamo di far la strada a piedi, sentendoci più sicuri sulle nostre gambe che su quelle dei muli. La nostra vista abbraccia una quantità di piccoli coni e crateri e la guida ci disse esservene sui fianchi della mon- tagna dispersi ben 300! Finalmente smontiamo all’ albergo di Don Beppino ove un buon pranzo, rallegrato dalle stridule note di un violino, ci ristora completamente. Il vetturino minaccia di far ritardare la nostra partenza per un cavallo che avea salassato nella notte; ma dietro nostre ripetute istanze si parte. Alle 6 pom. eravamo già nella bellissima via Etnea. Facciamo una corsa al giardino Botanico, alla villa Bellini o giardino pubblico e un giro per la città; verso sera andiamo sul molo da dove si scorge tutto il piccolo porto ristretto dalla lava dell’ 8 Marzo 1669. Scesa questa dai monti rossi, irrompendo e deva- stando la campagna, giunse fin presso la città ove il torrente di fuoco mutata direzione, rispettò in gran parte il paese, river- sandosi al mare. Nella breve passeggiata ci potemmo convincere che Catania è ben a ragione una delle prime città della Sicilia, rivaleggiando con Palermo per la pulizia delle strade, per i caseggiati e per |’ ampiezza e grandiosità delle piazze. Rimet- temmo a domani la visita della cattedrale e delle antichità. Martedì 25 Luglio. — Catania venne fondata da una colonia Fenicia e secondo altri da una colonia di Calcideesi nell'8.° se- colo a G. C. Distrutta spesse volte dalle lave e dai terremoti, essa deve a questi cataclismi la regolarità e la bellezza delle nuove contrade, delle sue case e delle sue piazze. L' attuale 86 CROCIERA DEL VIOLANTE città si può dire che dati dal 1700 ed ha una popolazione di 70000 abitanti. Nel mattino spedisco il marinaro Filippo a Messina con tutte le collezioni fatte e noi andiamo alla Cattedrale. Essa fu comin- ciata nel 1091 da Ruggero I, ma nel 1169 un terremoto la di- strusse lasciando intatta l’ abside, che è l’unica parte che si conservi dell’ antica chiesa normanna. La chiesa è grande con belle colonne prese al teatro Greco; attorno all’ altare maggiore sonvi i sarcofaghi dei principi aragonesi. Nell’ abside a destra si conserva il corpo di sant’ Agata il di cui velo, dicono quei buoni catanesi, presentato all’irrompente lava del 1669, la fece sviare dalla direzione verso la città e prendere quella del porto. Nella sacrestia ci fu fatto osservare I’ affresco del Mignemi rappresen- tante questa eruzione ; se esso lascia a desiderare dal lato artistico è però terribilmente verosimile. Scendemmo quindi per una piccola scala esterna al tempio e ci fu fatto osservare un bagno romano sottostante all’ odierna chiesa. Fummo poi a vedere il teatro Greco romano, il quale al di d’ oggi si trova in gran parte sotto la via Filippina; le fondamenta greche sopportano costruzioni romane di un diametro di 96 metri e I’ orchestra è larga 29 metri. Giriamo rischiarati da torcie 1 varj corridoi tutti fatti con pie- troni di lava e osserviamo. nella platea su qualche marmoreo sedile incise lettere greche; forse il nome del proprietario. Com- periamo dal custode qualche anticaglia e una moneta antica agrigentina. Diamo quindi un’ occhiata all’ Odeone che s’ innalza qui vicino; esso è di costruzione affatto romana e serviva per i concerti musicali. Un seguace di Vulcano vi ha stabilito il suo bravo mantice ed i moderni bugigattoli, come nel teatro di Mar- cello a Roma, sono ammonticchiati sugli avanzi di queste bellis- sime rovine. I marmi e le colonne di questi edifizi adornano al presente, il Duomo e la chiesa dei Benedittini. Disgustati da questo vandalismo andiamo a visitare il convento di S. Nicolò, uno dei più grandiosi stabilimenti dell’ ordine di S. Benedetto; la chiesa, la cui facciata è incompleta, è una delle più grandi della Sicilia e Il’ organo uno dei migliori dell’ Europa; esso è di Do- nato del Piano. Questo sontuoso convento albergava i principi e PARTE NARRATIVA 87 i re nel loro soggiorno in questa città, e 1 suol religiosi erano tutti di famiglie nobili. Risparmiato dalla lava del 1669 fu di- strutto dal terremoto del 1693 e ricostrutto nel 1735. Il Demanio lo regalò al municipio di Catania (mostrandosi con questa città più liberale che non lo fu con Genova .....) Di questo vasto locale una parte, fu adibita ad uso di scuole e l’altra serve di caserma; era allora l’ epoca degli esami e i corridoi formicolavano di stu- denti. Fecimo una rapida corsa al Museo pertinente al convento e vi ammirammo iscrizioni, antichità, bronzi ed armi antiche e del Medio Evo. Fra queste il Giusti mi disse aver osservato una rivoltella a 4 colpi e a pietra col suo bravo cilindro ed una canna; il custode gli assicurò essere del 1600. Havvi pure una preziosa raccolta di majoliche, vasi, quadri antichi e qualche cosa anche di Storia Naturale. Diamo dai balconi uno sguardo alla lava del 1669, che cambiò direzione a meno di 20 metri dal muro di cinta del convento in modo veramente curioso e quindi abbandoniamo Catania per recarci a Taormina. Si trova questa città quasi a mezzo cammino fra Messina e Catania; discendiamo alla stazione dei Giardini di Taormina, paesello di nessuna importanza e ci arrampichiamo su per la montagna per arrivare all’ antica Tauromenium. Dopo un ora di salita e con un sole in pien meriggio, arrivammo alla città bassa e c' incamminammo subito a vedere il teatro. Il custode, certo sig. Francesco Strazzeri, un vecchietto sulla sessantina, ma vegeto e robusto, ci accolse gentilmente e ci fece osservare vasi, busti, anfore, lunghe iscrizioni da lui penosamente decifrate, di cui faccio volentieri grazia al lettore. Ci mostrò poi il luogo ove sorgeva l'antica Naxos ed ora è occupato in parte del paese dai Giardini di Taormma e fece un sommario storico dell’ antica Tauromenium, dicendo come essa fosse fondata 400 anni a. G. C. dopo la distruzione di Naxos, ricordando per sommi capi le guerre nelle quali ebbe parte, 1 soccorsi dati a Timoleone, I’ al- leanza dei Cartaginesi contro Agatocle, la rivolta degli schiavi sotto Ennio, i varj assedii sostenuti contro i Saraceni, la presa e l'incendio fattone da Harascim-ibn-Achunt nel 902, I’ altra fattane nel 962 da Enrico Massan che vi condusse una colonia 88 CROCIERA DEL VIOLANTE di Mori, il dominio dei Normanni in Sicilia nel 1080 che li rese padroni della città, l’ occupazione fattane dai francesi nel 1676 e finalmente quella del 1849 dei napoletani sotto Flangieri Duca di Taormina! E tutto questo con un corredo di date, di nomi e d’ indicazioni locali ch’ era un piacere a sentirlo. C’ incamminammo quindi al teatro e ivi vedemmo I antica gradinata che vi dava accesso, e dallo stesso Strazzeri scoperta. Scendemmo nella scena, la quale come in tutti i teatri greci è strettina, assai più angusta dell’ orchestra che è tra le meglio conservate; gli attori entravano per tre porte, fra le quali erano tre vani in cui si collocavano statue. Sotto la scena havvi una cisterna e un condotto per l’ acqua, forse per rendere più so- nora la voce degli attori, cosa che osservammo pure nel teatro di Catania; sonvi inoltre sale alte destinate ad uso di magazzini ed altre più basse servivano forse, a detta dello Strazzeri, pel vestiario degli attori. I posti degli spettatori sono divisi in nove cunei; sonvi pure sedili in marmo con le sigle dei proprietarii, ovvero dedicati a qualche illustre personaggio anche forestiero e lontano, cui in segno di rispetto e di onoranza si conservava sempre libero un posto nel teatro. Due gallerie circondano l'intero teatro, che è in forma di semi- cerchio e scavato quivi quasi tutto nella roccia; probabilmente da queste gallerie assistevano agli spettacoli le dame, che Giulio Cesare volle nei teatri divise dagli uomini. Lo Strazzeri ci fece osservare che le fondamenta e la scena non presentano i carat- teri dei monumenti Romani e si devono considerare opere Greche, mentre sarebbero romane "solo le parti laterali e le superiori. sulterebbe da un’ iscrizione che il teatro fosse stato distrutto e spogliato dai Saraceni nella loro prima invasione. Salimmo quindi a veder l'esterno del teatro da dove si gode un bellis- simo panorama: sotto di noi a greco del Promontorio sul declive del monte, vedonsi varii sepolcri romani e saraceni, uno dei quali ora convertito in piccola chiesa; di fronte il vasto mare azzurro e calmo come uno specchio, le montagne della Cala- bria e la città di Reggio; a tergo l'antica Acropoli di Tau- romenium, |’ eremitaggio, la città alta e più sotto la pianura Pag. 88 Rovine del teatro di Taormina. PARTE NARRATIVA 89 dei Giardini, luogo dell’ antica Naxos; più in là a tramontana le montagne di Mola, Venerella e i dirupi del monte Ziretto colle sue cave di marmo e per ultimo la gigantesca mole dell’ Etna. E questo un punto di vista impareggiabile e ben sapevanlo gli antichi che avevano scelto tal posizione a luogo di ritrovo e di sollazzo. Dopo una mezzoretta di contemplazione ci accomiatammo dal nostro mentore e movemmo a visitare le cisterne. Queste sono opera romana in perfetto stato di conservazione; vedemmo poi di volo un bel palazzetto di stile moresco chiamato Casa Corvaja, ed un altro appartenente al duca di S. Stefano, ambedue de- serti come gran parte della città. Alle 6 pom. discendemmo a Messina contentissimi della nostra gita. Mercoledì 26. — Un telegramma da Genova del mio compagno di collegio e buon amico Capitano F. Bozzoni, il degno succes- sore all’ infelice Nino Bixio nel comando del Maddaloni e ora comandante |’ Australia, mi annunziava che avea ottenuto il permesso dal direttore della compagnia Rubattino di rimorchiarmi per un buon tratto fuori dello stretto e mi avvertiva che lo attendessi in Messina, essendo anche latore di lettere pel Vzo- lante. Aspettando il vapore feci fare qualche riparazione all’ albe- rata e rinnovai le provviste d’acqua e vino. Nella giornata vado a far visita al commendatore Tonarelli, prefetto di Messina, pel quale aveva una commendatizia del di- rettore della Pianosa. Visitiamo poscia la nuova Necropoli di Messina che, ultimata, sarà uno dei più splendidi monumenti del suo genere. Verso sera il Prefetto volle gentilmente resti- tuirmi la visita e s’ intrattenne meco lungamente del viaggio che stavo per fare, mostrando molto interesse per la nostra spedi- zione e non dissimulando i suoi timori per gl’ impicci e 1 disturbi che avrei potuto incontrare nelle acque del levante. Giovedì 27. — Nel mattino facciamo una visita al sig. Benoit valente malacologo, il quale ci fece osservare |’ interessantissima sua raccolta di conchiglie siciliane. A pranzo abbiamo il piacere di ritrovare nuovamente il signor Narlean, |’ ingegnere dell’ isola 90. CROCIERA DEL VIOLANTE Vulcano, col quale piacevolmente passammo I’ ultima serata del nostro soggiorno a Messina, giacchè doveva giungere |’ Australia. L'indomani, con mio gran rammarico, un nome a me caro non figurava più nel ruolo di bordo; avevo dovuto cedere alle istanze del Dottore e sbarcarlo, poichè imperiose circostanze di famiglia lo chiamavano a Genova. Fui dolentissimo di questa circostanza perchè perdevo nel Dottore un simpatico compagno, e nella sua qualità di naturalista quello di noi che avrebbe po- tuto dirigere più utilmente la parte scientifica del viaggio ed occuparsi delle raccolte, che speravo questa volta sarebbero state copiose ed interessanti. Venerdì 28. — Il mattino del giorno 28 alle ore 6 giunge finalmente |’ Australia. Se non avessi dovuto attendere con questo vapore le lettere del Ministero che mi raccomandavano alle autorità consolari del Levante, lettere ottenute pel tramite del direttore del Museo Civico e da lui affidate alla gentilezza del cap. Bozzoni, il Violante sarebbe partito molto prima; perch è quel soggiorno in Messina mi pesava e la diserzione di una parte del mio stato maggiore aumentava il mio dispiacere, inquantochè man- cando la piccola spedizione di un naturalista, vedevo svanire la speranza che essa potesse dare quei risultati scientifici che mi riprometteva in sul principio. Il Bozzoni aveva pieni poteri dal comm. R. Rubattino, di- rettore della compagnia, di rimorchiarmi. Ultimate quindi le provviste fresche, sul mattino salpai e mi ormeggiai col rimorchio sulla poppa dell’ Australia. Le ultime disposizioni della partenza richiesero ancora la mia presenza in terra e al mio ritorno trovai |’ Australia pronta. Il Gestro era già sbarcato senza che gli avessi potuto stringere la mano. Siamo sulle mosse allorchè una lancia da guerra a voga arran- cata abborda il Violante e un piego mi vien consegnato da parte del Prefetto; si tratta di allarmanti dispacci della Stefani che con gentile premura il comm. Tonarelli mi partecipa prima della partenza. Si legge in essi fra le altre notizie poco confortanti: « Viva agitazione in Grecia, Candia e Rumenia.... Blocco del- l'isola di Candia ». PARTE NARRATIVA 91 Che cosa fare? Avevo il rimorchio di prora, provviste a bordo; non titubai e scrissi al prefetto: « Ho letto, la ringrazio e..... parto ». Un quarto d'ora dopo |’ Australia, lenta lenta, dirizzava maestosa la prora verso la bocca del porto. Il rimorchio filato in mare a conveniente lunghezza, quasi come un serpente che svolga le molteplici sue spire, si distese in prima con una scossa per rituffarsi nell’ acqua e tornare quindi dolcemente a sollevarsi e distendersi stabilmente in una curva o meglio catenaria quasi invariabile, che lambiva a lunghi intervalli la superficie del mare. Si scosse il Violante alla prima strap- pata, e come svegliato da un profondo letargo, seguì docile l Australia nella sua corsa veloce. Uscendo dal porto salutammo colla bandiera il R. vapore Wa- shington comandato dal cap. di fregata cav. C. Rossi, in mis- sione idrografica sulle coste del mezzogiorno d'’ Italia. Passammo vicinissimi alla fortezza e al fanale situati sull’ e- stremo lembo orientale della città, poi innanzi ai sobborghi ed ai paesi che si stendono lungo la riva nella direzione di Taormina, tutti verdeggianti di boschetti d’ agrumi e giardini; alcuni cam- panili qua e là disseminati a più delle montagne, oltrepassando colle loro cime i boschetti odoriferi, indicavano altri paesi e vil- laggi nascosti nella verzura. Le montagne che spalleggiano Messina e che servono per così dire di piedestallo all’ Etna, fanno fede delle frequenti comniossioni che scossero questa terra vulcanica; poggi sporgenti, bordi che nascondono precipizii, picchi adusti e spogli di vege- tazione, massi sospesi che sembrano aspettare un ultimo crollo per schiacciare sotto il loro peso ville e villaggi. Poco a poco il lido siculo si allontana e gli oggetti si confon- dono e svaniscono comparendo invece la costa della Calabria. Essa si presenta coperta da una vegetazione ricca e svariata. Le pendici delle colline, e i campi coltivati vengono a con- fondere la loro verdura colle acque del mare. Più innanzi asciutti letti di torrenti scendono al mare, somigliando da lungi a lunghe e spaziose strade. La città di Reggio offre allo sguardo 92 CROCIERA DEL VIOLANTE le bianche sue chiese che spiccano sulle case circostanti; più lungi avvicinandoci al capo d’ Armi, scogli nudi, burroni profondi, vette bizzarre e rocciose. L’ Etna che in Messina ci era occultato dalle colline, ritorna a giganteggiare colla sua immensa mole, e ci fa ricordare con soddisfazione il mattino del 24, durante il quale dall’ alto della sua vetta signoreggiavamo collo sguardo tutta questa parte d’Italia. Partiti verso le ore 11, a mezzo- giorno rilevo Capo d'Armi per T. !/, m. distante 1 miglio. Lat. 37-50. Inglone-ilo, 40019. Il porto semaforico di questo capo domanda per mezzo dei segnali del Codice Internazionale « che bastimento siete? » Tl Aw- stralia risponde alzando il suo nominativo e quindi si salutano colla bandiera. Il vento rinfresca passando più a greco; dò la trinchettina e governo a sinistra della scia del vapore per non risentire 1 potenti effetti della corrente provocata dall’ elice. Intanto col comandante dell’ Australia intavoliamo per esercizio di segnala- zione una corrispondenza che ha termine col segnale D P S., « volete venire a pranzo con me » ; invito che il comandante del Violante si fa premura di accettare per se e pel suo stato mag- giore. L’ Australia sì arrestò ed io governai per prendere a volo una cima che ci venne calumata dalla. poppa del vapore, e su per essa gl’ invitati s' avviarono a mensa. Il comandante dell’ Aw- stralia profittò di questo arresto per dare al Cutter un rimorchio più potente che non era il nostro e suddividere così lo sforzo dei cavi, il quale non era poco con una velocità di 10 miglia all’ ora! Non mi parve mai così piccolo il Cutter come quando lo vidi dall'alto della poppa dell’ Australia, mentre era quasi tutto som- merso dalle spumanti ondate che innalzandosi dalla sua prora si versavano sulla coperta. Il comandante, 1 suoi ufficiali, i pas- seggieri ci furono larghi d’ ogni gentilezza e in loro compagnia allegramente passammo la giornata. Siccome il tempo era bello e il mare poco agitato, cedetti alle istanze del Bozzoni e per- nottai a bordo dell’ Australia. Un fanale fu issato di poppa per indicare ai miei la posizione esatta del vapore, acciocchè potes- PARTE NARRATIVA 93 sero dirigersi durante la notte, ed un accetta venne prudente- mente collocata presso i rimorchi per poterli prontamente tagliare in caso di bisogno. Sabato 29. Nel mattino poco mancò che un incidente non ci obbligasse ad arrestarci di bel nuovo: mi rammentai del mio povero cronometro al quale non avevo data la corda giornaliera... come fare?.... colle bandiere segnalai al Cabin Boy (che passava pel più dotto del mio equipaggio) di caricare il cronometro, ma non fui compreso; allora il cap. Bozzoni ebbe una felice idea; mi pose l'orologio fra le mani e quindi egli fingendo di maneggiare un grosso succhiello imitò esagerando il movimento di chi da la corda ad un orologio di campanile !... fummo tosto compresi ed il nostromo si affrettò a disimpegnare il delicato incarico, avendolo io già altra volta edotto del come dovesse fare in caso di mia assenza. Alle 6 1/, pom. del 29, gli invitati dopo aver preso com- miato dal comandante, dall’ ufficialità e dai passeggieri, scen- dono dall’ Australia e questa volta non più per mezzo d’ una cima come vi erano saliti, ma con una imbarcazione messa gentilmente a loro disposizione. Povero Violante! Pareva arrossisse di essersi lasciato rimor- chiar tanto. Quella lunga e velocissima arrancata aveva corroso il rame dello scafo rendendolo rosso vivo. Io pure a dir vero provai quasi un senso di vergogna quando salito a bordo, vidi la coperta tutta bagnata e la mia gente stanca per la continua vigilanza al timone ed ai rimorchi. Ricuperato a bordo il nostro rimorchio faccio vela mettendo la prora per capo Matapan. Il punto in cui ci lasciamo col ca- pitano Bozzoni è Lat-'9018) T) Long. 21 Lug. Il vento è leggero da maestro. Si naviga con tutte le vele e la vela quadra. L’ Australia si allontana ed io la saluto; più tardi allorchè la notte ce la toglie di vista, accendo 3 razzi in segno d’ addio. 94 CROCIERA DEL VIOLANTE Domenica 30. — Nella notte si spiega un bel vento di tra- montana e alle 9 ant. si passa a circa 100 metri dal capo Ma- tapan detto dagli antichi. Taenarum Promentorium, punto più meridionale del continente europeo. Questo promontorio è fa- moso perchè furiosamente battuto dai venti e dalle tempeste. Presso gli antichi si consigliavano i viaggiatori a dimenticare famiglia e’ amici prima di accingersi a varcarlo. Il vento nel giorno passa a ponente, sempre diminuendo di forza, ed io temendo di rimanere in calma ne profitto per ay- vicinarmi all’ Isola dei Cervi e scendere finchè dura il giorno alla Baia Saracina. Alle 3 pom. dò fondo e lasciata la cura di dragare ai marinai, scendiamo a terra muniti delle nostre armi e di tutti gli accessori per far raccolte. è ISOLA DEI CERVI. Quest’ isola detta dagli antichi Onugnathus, è situata nel golfo di Laconia. Essa non presenta nulla di notevole. Nel punto ove sbarcammo vi è una piccola pianura arida ed incolta, con- tornata da colline poco elevate e quasi nude di vegetazione, le quali fanno anfiteatro alla rada Saracina. La piccola penisola che si inoltra nella direzione di mezzogiorno, formando il lato levante della Baia, è la sola parte che esplorammo facendovi qualche raccolta. I campioni di roccia presi in questa località spettano ad un calcare bigio scuro, compatto. Lasciata la penisola si fecero pochi passi nell’ interno. Alcuni individui s’ aggiravano per quelle colline e a poco a poco sce- sero alla pianura e ci avvicinarono; erano i primi greci che incontravamo e li osservavamo con diffidenza. Essi portavano larghi pantaloni azzurri chiusi al ginocchio, e nudo il rima- nente della gamba, piccola giubba fino alla cintura e il solito berretto rosso (fez) con gran fiocco azzurro: avevano a tracolla lunghi fucili e da una larga fascia che cingeva loro la vita facevano capolino impugnature di coltelli e di pistole. L’ a- spetto di quei baffuti ceffi non era molto lusinghiero, gli argo- PARTE NARRATIVA 95 menti che portavano in cintura non erano tali da ispirar confi- denza. Poco lungi vedemmo un tugurio ed un ovile, poi alcune capre che vagavano qua e là. Ciò mi fece supporre che costoro fossero pastori; comunque sia, le loro intenzioni erano tutt’ altro che ostili. In questa brevissima esplorazione verificammo che la vegetazione dell’ isola è poca, sebbene vi sieno grossi cespugli di oleastri, lentischi e ginestre. Di poca estensione e sassosi sono i campi, per lo più coltivati a fave, orzo e piccoli pomi d'oro, di cui quegli isolani ci furono generosi, in cambio delle munizioni che loro donammo. Alle 5. '/, ci ritirammo a bordo; alle 6 si parti per Milo, con pochissimo vento di maestro. Impiegammo il rimanente del giorno a scegliere il materiale che i marinai avevano dragato durante la nostra assenza. Avevamo alla nostra dritta l'isola di Cerigo che la sera per- demmo di vista, e a mezzanotte eravamo al traverso del fanale di quest’ isola; entrammo così nel mare Egeo e nell’ arcipelago greco. | ARCIPELAGO GRECO. The Isles of Greece, the Isles of Greece! Where burning Sappho loved and sung Weere grew the arts of war and peace Where Delos rose and Phoebus sprung! Byron. Si da il nome di Arcipelago greco alle isole che, disposte a catena, fanno in qualche guisa legame fra l'Asia e |’ Europa. Se ne contano una sessantina tra grandi e piccole. Per la massima parte esse sono montuose e scoscese; altre sono quasi piane e coperte di terra ferace; alcune popolate e ricche per |’ indu- stria degli abitanti o per doni della natura. La tramontana, che vi regna quasi costante nell’ estate è una provvidenza per queste isole ove il caldo sarebbe altrimenti in- tollerabile. D'altra parte |’ inverno appena si conosce nell’ arci- pelago, e in nessuna parte di esso il freddo acquista intensità; in tal modo si presta il clima alla coltura e ove è terreno col- 96 CROCIERA DEL VIOLANTE tivabile con poca fatica e cura ivi si ottiene un buon raccolto che eccede i bisogni del consumo. Ove é ribelle il suolo non manca mai la benefica influenza del mare, che serpeggia attorno a queste isole e-supplisce in certo modo a quanto può mancare agli abitanti; la pesca e la navigazione offrono loro infatti preziose risorse. L’ arcipelago, questo immenso labirinto di cui il mare forma tortuosi meandri, è così frastagliato e diviso che non potè mai essere facilmente soggiogato da un solo conquistatore e lo fu solo incompletamente e per breve tempo. Una volta ciascuna isola sebbene piccola aveva il suo re, poi 1 greci del continente europeo e le colonie asiatiche le soggio- garono per la maggior parte e dopo la caduta dell'impero greco, l’ arcipelago godè sempre di qualche libertà e franchigia, quan- tunque veneziani, genovesi ed altri popoli occidentali vi facessero delle conquiste, che per cause politiche o religiose poco durarono. Finalmente i turchi s’ impadronirono di tutte le isole, ma inabili ad amministrarle ciascuna in particolare e non potendo occuparle con posti militari, lasciarono ad una porzione dell’ arcipelago una specie di libertà e d’ indipendenza. Ciò contribuì mag- giormente allo sviluppo naturale dei greci, i quali essendo posti sulla via dell’ Europa all’ Asia, ricevettero germi di inci- vilimento che fruttarono in quelle popolazioni non del tutto de- generi e vi ridestarono quell’ esercizio che la mollezza orientale stava soffocando; finchè il sentimento della dignità e della libertà fu in loro abbastanza potente da provocare la ribellione e con- seguire, dopo eroiche lotte ed eroismo senza pari, |’ indipendenza dal giogo ottomano. Il fuoco sacro della libertà tenuto vivo dalla società patriottica dell’ Eteria si nascose dapprima nelle piccole isole di Spezzia, Idra e Bara e ingigantito divampò in seguito nella Grecia tutta e provocò la memorabile guerra dell’ indipendenza. Le navi mer- cantili furono allora mutate in legni da guerra, di cui gli ar- matori erano 1 comandanti. Le ricchezze acquistate col commercio si mutarono in munizioni e dinnanzi alle squadre improvvisate dovettero più di una volta ritirarsi le flotte ottomane, sterminate PARTE NARRATIVA 97 in parte dai brulotti. Rifulgono in questa Epopea, in questa lotta suprema fra il despotismo e la libertà, tra la mezza luna e la croce i Miaulis, i Sakturi, i Canari, 1 Botzaris, senza contare i Filelleni come Byron e Santarosa che diedero la -vita per questa nobile causa. Le isole formanti l arcipelago si dividono, come è noto, in due grandi gruppi: Cicladi e Sporadi. Le prime sì chiamano con tal nome dal vocabolo greco ciclos, cerchio, perchè formano presso a poco una corona attorno alla sacra Delo che dagli antichi era tenuta in conto di regina, benchè la più piccola. L’ epiteto di risplendenti, che 1 sacerdoti pagani apposero alla Cicladi, venne ad esse dato per la bianchezza delle roccie di cui sono formate, essendo per la maggior parte nude di vegetazione. Le princi- pali sono: Andro, Tino, Micone, Naxo, Sira, Ceo, Serfo, Milo, Paro, Antiparo, Amorgo, e nel loro circuito Delo. La fantasia degli antichi poeti greci le presenta come altret- tante Ninfe pietrificate in mezzo alle onde da Nettuno, sdegnato perchè esse gli avevano ricusato i sacrifizii che tanto stavano a cuore agli dei pagani. Nei tempi storici furono esse sottomesse da Milziade, il vinci- tore dei Persiani a Maratona, al dominio della repubblica ateniese. Hanno nome di Sporadi tutte le altre isole dell’ arcipelago, le quali sì trovano più vicine al continente asiatico e che al pre- sente sono tuttavia sotto il giogo turco. Il capriccioso aggruppamento e la strana configurazione di queste isole ed isolette quasi sempre sprovviste di fari rendono incerta la navigazione tra mezzo ad esse, perchè chi è mal pratico di questi paraggi confonde facilmente I’ una coll’ altra, massime con tempi foschi e nelle notti buie. Non sono però d’ avviso, come credono molti, che la navigazione dell’ Egeo sia oltremodo pericolosa e difficile; giacchè queste isole sono piene di seni, porti, baie, e luoghi d’ ancoraggio, in cui il navigante può sempre ricoverarsi, e le loro alte montagne, quando le spiagge rifiutano un luogo di rifugio, servono esse stesse quale riparo contro i venti fortunali. La loro forma e la loro costituzione geologica attestano esser Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (2 Novembre 1877). 7 98 CROCIERA DEL VIOLANTE quivi avvenute violente convulsioni della crosta terrestre, per le quali forse scomparve una terra che verosimilmente univa l Eu- ropa all’ Asia e all’ Africa. Ad avvalorare questa supposizione concorre il fatto che esistono nelle Cicladi copiose traccie del- l’attività vulcanica e che il lavorio delle forze plutoniche non ha cessato d’esercitarsi in questo ridente lembo della terra. Era mia intenzione nell’ andata fare scalo alle più importanti delle Cicladi, riserbandomi al ritorno di costeggiare l'Asia Minore, toccare le Sporadi e poi Candia; ma la stagione già inoltrata m'indusse a far diversamente e tuttochè viaggiando rapidamente facessi il possibile per mantenermi sulla rotta tracciata e non de- dicassi che solo un giorno e talvolta solo qualche ora ad alcune località, pure fui obbligato nel ritorno a tralasciare le Sporadi e Candia per raggiungere l'Italia, prima della stagione equinoziale. Ecco perchè dedicavo poche ore all’ isola dei Cervi e solle- cito veleggiavo alla volta di Milo, cara al mondo artistico pel capolavoro dall’ antica arte scultoria ivi scoperto e interessante del pari dal punto di vista della storia naturale. Lunedì 31. — Si naviga con leggero vento da Maestro. Verso le 2 ant. siamo presso Capo Malea o S. Angelo e vediamo il lumicino dell’ Eremita di S. Angelo, conosciuto da tutti i marinai che frequentano questi paraggi. Questo eremita abita una pic- cola chiesuola posta su questa punta estrema della Laconia, te- baide di nuovo genere pittorescamente descritta da Lamartine. Alle 4 il vento passa a Tramontana e mettiamo in rotta per Milo. Alle 8 va gradatamente crescendo di forza, e però alziamo a bordo la piccola imbarcazione che avevamo a rimorchio, ser- riamo alla vela due mani di terzaroli e crescendo mare e vento, ricalo l’alberetto. Molti bastimenti sono in vista colle sole basse vele e gabbie terzarolate; passiamo rapidissimi in vista delle pic- cole isole di Belo Pulo e Falconera, le quali benchè vicinissime, per la foschia prodotta dalla spuma del mare, si discernono a mala pena. Il mare corto e rabbioso si frange contro lo scafo riversandosi in coperta, e noi riceviamo in tal modo il primo battesimo delle acque dell’ arcipelago, rimanendo bagnati e freddolosi come nel mese di Novembre. A mezzogiorno siamo | PARTE NARRATIVA 99 sotto Antimilo, immenso scoglio che giace a maestro dell'isola di Milo. Qui mi rammento che un vecchio capitano, pratico dell’ arci- pelago, col quale altra volta navigai in questi paraggi, mentre la tramontana spirava furiosa soleva dirmi: « chi a Milo vuol arrivare, Antimilo deve montare » ossia passare sopra vento di questo scoglio. Procurai di attenermi al precetto del mio men- tore, ma presso ad Antimilo i reffoli di vento scendevano con una tale violenza e il mare era siffattamente agitato che non era possibile al Violante lo stringere più oltre il vento. Temendo non ce ne potesse incogliere danno e venisse a meno l’alberata, tanto era il cozzo dei colpi di mare contro lo scafo, posi in non cale il precetto, e sembrandomi abbastanza largo il passaggio dalla costa di Milo, passai sotto vento ad Antimilo, dirigendo per la bocca della gran rada, che situata nel lato Tramontana dell isola, si apre verso mezzogiorno tra il Capo Vani e Capo Spilas, internandosi nel centro dell'isola. Il bastimento non dovendo più lottare col vento e col mare ma da entrambi questi elementi portato e sospinto, sì trovò in brev ora all’ entrata della rada. Il mare ingrossato si rompeva con imponente fracasso sui frangenti di Punta Calamaria e Capo Vani, per cui tenendomi sempre lontano da questo e costeg- giando la collina la quale porta sulla sua vetta il paese di Kastro, non tardai a doppiare l ultima punta e a scoprire il luogo d’ancoraggio di fronte al paesetto di Skala. Ivi lasciai cadere l’ ancora in 12 metri di fondo alla 1 pom. Erano accanto a noi due Schooner Greci afforciati alla Tra- montana ed alcuni legni da pesca e di piccolo cabotaggio detti caicchi, qui venuti essi pure per rilascio forzato. Questi si tro- vavano ancorati più vicino al paese. MILO. Appena dato fondo alzai la bandiera ed in terra, al comando del porto, venne issata tosto la bandiera Greca. Non presi però pratica per non essere disturbato da alcuno molesto od intem- 100 CROCIERA DEL VIOLANTE pestivo visitatore; così l’equipaggio, che era stanco, potè ripo- sare e oltre a questo si ebbe tempo di scegliere ed ordinare l abbondante materiale dragato all’ isola Cervi; lavoro che ci tenne occupati quasi tutto il giorno, sebbene nella mattina il mare ci avesse portato via una gran parte delle nostre prede marine. Alle 5 pom. giunge in rada un vapore, |’ Jonion, postale Greco che arriva da Sira. Essendo già tardi né avendo an- cora ultimato il nostro lavoro, rimetto all’indomani la pratica della Sanità ed una gita nell’ interno dell’ isola, contentandomi per quella sera di spaziare da bordo collo sguardo sul grande panorama che ci sì presenta. La grande rada in cui siamo ancorati è uno dei migliori e più vasti: porti del Mediterraneo: a tramontana vi è il paesetto di Skala (poche meschine case in riva al mare ove si fa tutto il traffico dell’isola); al di sopra di Skala havvi scaglionato il pittoresco borgo di Kastro che da lungi colle sue case bianche sembra uno strato di neve che ricuopra |’ estrema vetta d’ una collina. Kastro è al presente la città principale dell’isola e quindi sede del governatore. Molti molini a vento fanno corona al paese e col rotear delle loro gigantesche braccia sembrano darci il ben- venuto. Dalla parte orientale della rada si stende una deserta spiaggia che si continua nell’ interno in una squalida pianura. È una località ora deserta e trista, ove in tempi remoti sorgeva la capitale dell’isola, Paleo Khori. Questa città a causa dello spri- gionarsi dal suolo di esalazioni deleterie , venne poco a poco ab- bandonata e la popolazione sì rifugiò a Kastro, ove certamente fu l’Acropoli dell’ antica città Greca. La parte ponente mezzo- giorno dell’isola è tutta montuosa e vi torreggia il monte S. Elia alto metri 846. La vetta di questo monte è uno dei punti trigonometrici dell’ arcipelago, e trovasi in Lat. 36° 40' T. Long. 24° 23' L. G. Essa è la più occidentale delle Cicladi e venne chiamata da Aristotile Zephiria; ma fu più generalmente conosciuta dagli an- tichi sotto il nome di Melos. N | Il | i Il | | Il | \ [ Ì | | il | i yi il | ù , il iy | i iu tI, [ I, i N i lì il si] \ il ii Il Vi Cae fis u Whey SATAN i Il i) Il | ll | | I | | Ì Ì th | i i | III] III] [INN | | | | lì I Il |} H| il Pag. 100. MILO — Paese di Kastro. ' PARTE NARRATIVA 101 La sua origine è vulcanica, e ne fanno fede le sorgenti ter- mali e le miniere di zolfo. Oltre a ciò dai crepacci del monte Kalamos si sviluppano esalazioni sulfuree e globi di vapore come da un vulcano in attività. Milo fu colonizzata prima dai Fenicii e quindi dai Dorici Lacedemoni; nella lunga guerra del Peloponneso, tuttochè par- teggiasse per gli Spartani, dichiarò mantenersi neutrale; ma non bastò per sottrarsi allo sdegno della fortunata Atene, la quale padrona del mare e vedendo di cattivo occhio I’ indipen- denza di Milo, la strinse d'assedio nell’anno 416 A. C. e dopo parecchi mesi se ne impadronì abbandonandola al sac- cheggio ed alla distruzione; gli uomini furono uccisi, le donne ed i fanciulli venduti quali schiavi e l'isola fu colonizzata dagli Ateniesi. Quindi passò con tutte le isole del mare Egeo sotto il dominio Romano. Nel medio evo fece parte del ducato di Naxos, per cadere infine con tutto l'arcipelago sotto il dominio Turco, finchè venuto per essa pure I’ era della riscossa, fu ag- gregata al regno della Grecia, con una popolazione di circa 3000 abitanti. Nelle prossimità di Kastro ove sorgeva I’ antica Melos esistono tuttodì gli avanzi di questa città. Martedì 1 Agosto. — Alle 7 ant. una lancia con bandiera Greca viene al bordo, recando un vecchio venerabile che mi ricordò il Lambro di Byron; faccia lunga, occhi fieri, foltissime le sopraciglia e i grigi baffi. Il suo vestiario consisteva in ampi pantaloni azzurri, una giacchetta bianca ed un corpetto con ala- mari neri; il rosso fez gettato all'indietro ed un’ ampia cintura ne completavano | acconciatura. Declinata la sua qualità d’ incaricato consolare italiano, egli venne a vedere se avevamo bisogno di qualche cosa e ci esibì i suoi servigi in un linguaggio misto d'italiano e d’ ellenico. È probabile che i pochi abitanti di Skala, quasi tutti piloti e lupi di mare, vedendo un sì piccolo bastimento battere bandiera da guerra desiderassero di sapere chi sì era e perchè colà venuti. Fatta colazione scendemmo subito in terra a prendere pratica, dopo di che ci venne offerto dal nostro agente consolare frutta 102 CROCIERA DEL VIOLANTE fresca, mastica vecchia ed una guida per |’ interno dell’ isola; accettammo il tutto e dopo poche ciarle ci avviammo verso il villaggio di Trippiti, fabbricato sulla vetta di una collina; ma lasciammo questo villaggio di nessuna importanza sulla nostra sinistra per raggiungere al più presto Kastro; e frattanto an- dammo raccogliendo ragni, insetti, lucertole e qualche campione di roccia. Il sentiero si apre talvolta passaggio fra scorie, la- pilli e pietra pomice; lunghesso la strada, ma in luogo che sembra già stato tocco e sconvolto dalla mano dell’uomo, trovai fra la pietra pomice pezzetti di terra cotta e una piccola scheggia di ossidiana che parrebbe foggiata a coltello! Seguiti da una folla di ragazzetti scendemmo per un burrone alle catacombe; queste sono scavate poco profondamente nel tufo; le cripte sono tali da ricevere due o tre cadaveri e due di esse son fatte a guisa di forno. Ivi trovammo gli avanzi di una statua muliebre con bei panneggiamenti e resti di rozze pitture. C’incamminiamo verso l'antico teatro e strada facendo osserviamo che questa ripida val- lata discendente al mare fu riserbata ai sepolcri, poichè più al basso, vicinissimo al mare, ne vediamo varii fatti di mate- riali, in mezzo a piantagioni d’ olivi. Poco dopo arriviamo al teatro vicinissimo alle mura dell’ antica città greca. Da quel poco che rimane sembra che fossero imponenti e fatte con marmi e grosse pietre sovraposte senza cemento. Certamente esse ricordano l’ assedio degli Ateniesi. Nell’ area del teatro ve- diamo varii pezzi di architravi in marmo lavorati a rosoni e mo- danature bellissime; avanzi di eleganti e robuste colonne spezzate e sparse qua e là; della scena non rimangono che le prime gra- dinate, ma ridotte in misero stato ed in più luoghi dirute. Prendo due fotografie del teatro e copiamo alcune iscrizioni. Su questo versante della collina si trovavano pure gli avanzi di un tempio Corinzio in marmo di Paro e poco lunge venne scoperta la ce- lebre statua conosciuta sotto il nome di Venere di Milo o Notre Dame de beauté, come soleva chiamarla Henri Heine (1). (') La scoperta di questa statua si deve al Contrammiraglio Dumont d'Urville. Questo gran navigatore, che fu anche botanico ed entomologo insigne, nel 1820 era imbarcato in qualità di Guardia-Marina sulla corvetta Chevrette, PARTE NARRATIVA 103 Saliamo quindi al paese, sede del governatore e del presidio. La piccola città è fabbricata sulla vetta di una rocciosa collina ed ha vicoli stretti, ripidissimi; le sue case sono serupolosa- mente intonacate di bianco e vi sono alcuni caffè molto puliti. La scalata della collina comincia da un vicolo che rappresenta la strada principale del paese, e diventa a misura che si sale sempre più scosceso e difficile. Ivi le case sono fatte con ruderi di antichi fabbricati; qua e là si vedono pietroni enormi, paral- lelepipedi immensi, certamente avanzi di costruzioni elleniche; frammenti di mura reticolate della dominazione romana; più in là alcune case che cadono in rovina, e sulle porte di quelle poche che sono abitate gruppi di donne e di fanciulli. I nostri sguardi cadono furtivi tra le prime, cercando invano alcun li- neamento che ricordi la Venere di Milo. Continuiamo a salire e la quale partita da Tolone il 3 Aprile dello stesso anno ancorò a Milo il 16. Ecco come racconta egli stesso il ritrovamento del prezioso capolavoro greco. « Tre settimane prima del nostro arrivo un contadino greco zappando nel » suo campo incontrò qualche pielra da taglio e siccome queste pietre sono » impiegate dagli abitanti per la costruzione delle loro case e hanno un certo » valore, così egli continuò a scavare. Pervenne in tal modo a mettere allo sco- » perto una specie di nicchia nella quale trovò una statua di marmo due » Erme e qualche altro pezzo. La statua si componeva di due pezzi con- » giunti da un ferro. Il greco ne aveva fatto trasportare la parte superiore » nella sua stalla colle dué Erme, l'altra parte era ancora nella nicchia. Io » visitai il tutto attentamente e questi pezzi mi parvero di buon gusto. La » statua di cui misurai le due parti separatamente misurava 6 piedi di altezza. » Essa presentava una donna nuda di cui la mano sinistra rialzata teneva un » pomo, la destra sosteneva una cintura abilmente panneggiata e cadente » dalle reni fino ai piedi; del resto esse furono l’ una e l’altra mutilate e » sono attualmente distaccate dal corpo. I capelli sono rigettati all’ indietro » e sostenuti da una benda. La faccia è bellissima e sarebbe bene conservata se l’estremità del naso non fosse guasta. Il solo piede che rimane è nudo. Le orecchie sono bucate e debbon aver avuto degli orecchini. ...... Al mio ritorno a Costantinopoli ne parlai coll’ambasciatore Sig. de Riviere e ri- misi al Sig. de Marcellus segretario d’ambasciata la copia della notizia......». Il Sig. de Marcellus venne spedito sul luogo dal governo francese per acquistarla statua, ma il contadino slanco di una lunga attesa l’ aveva ven- duta per 150 fr. ad un prete greco, il quale ne voleva fare omaggio al Dra- gomanno del Capitan Pascià. Per altro in Turchia fortunatamente cosa con- chiusa non è sempre cosa fatta. Il de Marcellus protestò, minacciò e tanto fece che quasi più all’energia di questo segretario d’ambasciata che allo stesso Dumont d’ Urville la Francia deve il possesso della Venere di Milo. Così sorse dall’ obblio questa Venere, ricordo d’un passato di cui nulla ha an- cora eguagliato le meraviglie. (Jurien de la Graviére. La Station du Levant). x *% % x 104 CROCIERA DEL VIOLANTE troviamo una specie d'arco formato da grossi massi di pietra ed una gran porta che dovrebbe chiudere la via; ma essa non pende che da un solo irrugginito cardine ed è una continua mi- naccia pei passanti e l’unico serio pericolo agli assalitori del- l’Acropoli. E qui doveva essere certamente l'ingresso dell’ Acro- poli di Melos!.... Saliamo ancora e nessuno ci contende il passo, tranne un fiero gallo ed un pacifico porchetto che grugnendo fugge lasciandoci libero l’accesso; giriamo ancora una o due can- tonate ed eccoci finalmente padroni di una piccola piattaforma dell’ Acropoli dalla quale godiamo di una vista estesissima. Sotto a noi si stende tutta la parte Tramontana dell’ isola, coi suoi precipizii, le sue insenature e i pochi avanzi della città antica; le isole di Chimolo, Argentina, Antimilo, Sifano e molte altre che sorgono in lontananza, formano un grandioso panorama, a cui fan degna cornice la nebulosa Attica e il mare; ma né su Milo nè sui vicini isolotti e fin dove l'occhio può giungere indarno cerchiamo scorgere un albero, un arbusto sulla cui ver- zura l'occhio possa riposarsi. Tale è la generale fisonomia di queste terre disseminate per I Arcipelago, alle quali nulla è rimasto delle delizie paradisiache onde le vollero rivestite i poeti, quando ne fecero la culla e la sede degli Dei. Restiamo qui qualche tempo godendoci la bella vista e ragio- nando con un vecchietto che alla meglio si fa intendere in ita- liano e dal quale il Giusti ottiene qualche informazione sulla caccia dell’isola; vi abbondano pernici, conigli, colombi selvatici e cornacchie. Ritornati sui nostri passi, faccio sosta ad un mo- lino, dal quale prendo una fotografia del paese di Kastro, mentre il Commissario sì mette a dar la caccia a numerosi sciami di co- lombi semi-selvatici. Contenti della nostra gita scendiamo alla marina, facciamo qualche provvista fresca, non tralasciando la Comanderia di Milo, specie di moscato dolce; quindi invitiamo alla nostra mensa I’ a- gente consolare ed un altro lupo di mare suo amico. Da questi durante il pranzo ottengo molte utili indicazioni sulle varie isole dell’ arcipelago, sui porti, sui fanali e sui luoghi d’ ancoraggio e mercè loro dò principio alla compilazione di un vocabolarietto PARTE NARRATIVA 105 greco-italiano, per nostro proprio uso e consumo, delle parole le più indispensabili. i ‘Milo e Sira sono i due porti ove rilasciano i legni che desi- derano prendere il piloto per l Arcipelago; e come tale mi si offerse il vecchio lupo, l’amico del nostro agente consolare.....; ma a che pro’ colle buone carte dell'Arcipelago di cui ero corredato e come alloggiarlo a bordo alla mia piccola nave? L'isola in generale sembra arida e sassosa, pure le poche valli coltivate sono molto fertili massime in frutta, grano, olio, cotone, agrumi e vino. Nell’ isola di Antimilo sonvi molte capre quasi selvatiche; esse sono proprietà dei macellaj di Milo. Alle 9 i nostri commensali ci lasciano dopo averci dato una raccomandazione per il cap. Nikola Barbarigo, loro amico in San- torino e scendono a terra inneggiando al Violante ed al vino italiano. Mercoledi 2. — Alle 31/, a. m. metto alla vela diretto per Santorino; il vento essendo fresco di Tramontana, esco bordeg- giando dalla rada colla vela terzarolata, e quindi costeggio il lato ponente dell’isola. Il vento frattanto si fa più gagliardo, perciò credo prudente di non lasciare il ridosso che mi offre la terra e attendo che la Tramontana si faccia più mite. Scelto quindi un luozo opportuno, alle 12 lascio cader I’ ancora nella Baia di Paleo Ikori, luogo situato nella parte Mezzogiorno dell’ isola. Mentre io m’ occupo a dragare, il mio compagno scende a terra a caccia, e non tarda a ritornare a bordo con un Phalacrocorax Desmaresti, un Falco Eleonorae di un bellissimo manto nero e qualche Columba livia. L'isola dal lato di mezzogiorno si presenta anche più acci- dentata e scoscesa che dalla parte di Tramontana e nelle sue roccie si manifesta chiaramente d’ origine vulcanica. Alle 7. pom. il vento accennando a diminuire, ne profitto per guadagnare Santorino, prima che la Tramontana venga nuova- mente a far tristo governo di noi. Quindi messo alla vela, nella notte faccio rotta per quell’ isola, spinto da leggera brezza di Maestro Tramontana e con mare in bonaccia. Giovedì 3. — Alle 2 ant. il vento rinfresca; il Violante sembra 106 CROCIERA DEL VIOLANTE riprendere lena e lasciate alla sua sinistra le isole di Polikandro e Sikino (nidi un tempo di arditi pirati) entra, alle 4, nel gran golfo di Santorino, e alle 5 prende la boa sul banco dell’ anco- raggio presso il gruppo Kamen. Spedisco subito il Giusti a prender pratica (poichè alle attribuzioni di Commissario il mio compagno univa talvolta quelle di Secondo); ed io resto a bordo a preparare le pelli del Phalacrocorax e del Falco uccisi a Milo. SANTORINO: L'aspetto che offre I’ isola dal luogo dell’ ancoraggio è impo- nente, tristo e minaccioso ad un tempo; nere e squalide roccie prive affatto di vegetazione e spaventevoli precipizi circondano la gran rada a Tramontana, a Levante e a Mezzogiorno. L’ iso- lotto di Therasia, dal lato di Ponente, porge lo stesso quadro di squallore e sembra, che tronco per subitaneo cataclisma dalla grande isola, abbia formato il passaggio da cui si entra nella rada. Poco discosti e sempre dallo stesso lato, sorgono gli iso- lotti Kaimeni, che si presentano come neri ammassi di lave e trachiti e non permettono dal luogo dell’ ancoraggio che 1’ occhio si spinga fino al Capo Akrotiri, che limita T isola dal lato di Li- beccio e forma con l'isolotto Aspro I altra entrata della rada. Thera, la città principale ove sì era diretto il battello, sorge sul lato Levante della gran rada ed ha piccole e bianche case, costruite a cupole e a terrazzi, che sembrano sostenersi le une sulle altre lungo l'orlo dei precipizii; una rampa a zigzag è l’unica comunicazione che dal mare mette fino al paese. A tra- montana della rada sorge del pari la città di Epanomera sopra un bianco strato di pietra pomice che stranamente contrasta colle nere roccie sottostanti; per la bianchezza delle sue case la città sì confonde con questo strato e non si discerne dall’ ancoraggio che pel contorno dei suoi campanili, dei suoi terrazzi e delle sue cupole che si proiettano nell’ azzurro del cielo. Il monte S. Elia, posto nella parte Libeccio, signoreggia dall’ alta sua vetta tutta Y isola e mostra alle sue falde indizii di coltivazione. Tale è l'aspetto di quest’ isola vulcanica e della immensa rada. PARTE NARRATIVA 107 Santorino, altrimenti detta Thera (0794), secondo un’antica leg- genda venne formata da una zolla di terra caduta dal bastimento degli Argonauti! Trascurando i miti e le favole, colle quali gli antichi vollero spiegare la sua origine e tacendo pure della sua prima formazione, che certamente è dovuta a sconvolgimenti plutonici, ma di cui non rimane memoria alcuna, ecco quanto si conosce della sua storia: Al pari di quasi tutte le isole della Grecia sembra che essa sia stata colonizzata nelle età più remote dai Fenici. Dagli an- tichi era conosciuta col nome Callisto ossia la Bella e !Strongilo ossia la Rotonda. In seguito ricevette una colonia di Dorici La- cedemoni condotti da Theros e da questi fu chiamata Thera. Nell'anno 631 a. C. essa era già florida e potente, talché mandò in Africa una importante colonia condotta da Battus, la quale fondò la celebre città di Cyrene. Con Melos rimase neutrale nella guerra del Peloponneso. Nel Medio Evo formò parte del ducato di Naxos. Il moderno nome di Santorino che data dal 3. secolo d. C., proviene dalla corruzione del nome di Santa Irene (canonizzata nella chiesa ortodossa), alla quale fu innal- zato nell’ isola un tempio. La natura antisettica del suolo e la frequente scoperta di corpi organici non decomposti ha dato luogo tra gli abitanti alle più strane superstizioni; si è sup- posto che quest'isola fosse il soggiorno favorito di Vrukolakos (parola d’incerta etimologia), una specie di vampiro, che secondo una credenza un tempo popolare in Grecia aveva il potere di risuscitare i morti dalle loro tombe e mandarli a convito coi vivi! Molte isole della Grecia sono di origine vulcanica, ma nessuna ne porta traccie così evidenti come Thera. Il gran porto o rada fatto a mezza luna non offre ancoraggio che sopra il banco presso al gruppo Kaimeni, dove appunto avevo ormeggiato il cutter, essendovi dapertutto profondità grandissime e pessimo fondo per le ancore. Però dalla parte di Mezzogiorno e Levante dell’ isola, si trovano buoni ancoraggi, almeno coi venti domi- nanti. Le nere rocce che circondano la gran rada non presen- tano allo sguardo segno alcuno di coltivazione e verdura; la parte invece che porge a Mezzogiorno e Levante, che si stende 108 CROCIERA DEL VIOLANTE con dolce pendio fino al mare, è verdeggiante e ricca in vigneti; cosicchè si comprende come un tempo venisse chiamata Callisto. Thera ha 36 miglia di circonferenza; essa produce: grano, cotone e vino in abbondanza. Questo è veramente squisito e quando è vecchio prende a ragione il nome di Vino Santo e come tale è conosciuto. L'isola manca in generale di acqua po- tabile e di legna da ardere. Gli abitanti sono in numero di 15000 e quasi tutti Greci, non essendovene che 600 di razza latina. Ivi risiede un Governatore e vi sono due Vescovi, uno ortodosso e l’altro romano. L'isola fa un discreto commercio colle terre vicine e possiede circa 50 bastimenti di piccola portata. Santorino è interessantissima per gli sconvolgimenti geologici di cui essa fu teatro. È impossibile di non riconoscere in tutte le isole di natura vulcanica disposte in figura circolare attorno al gruppo Kaimeni, un immenso cratere di cui il mare ha in- raso il centro. Quest’ isola infatti ha la forma di una gran mez- zaluna di cui le sponde a picco richiamano |’ aspetto del monte Somma presso al Vesuvio. Le isole di Therasia e di Aspro, che completano il circuito dalla parte di Ponente, erano un tempo unite, come ce lo rammenta l'antico nome Strongilo (rotonda) e come lo dimostrano anche maggiormente gli strati orizzontali di diverso colore che in ciascuna di queste isole si corrispon- dono, cioè sono situati alla stessa altezza e disposti collo stesso ordine (1). In un'epoca che i geologi chiamano periodo pliocenico il monte S. Elia, che è al di d’oggi il punto culminante dell’ isola, for- mava una massa a parte di schisto metamorfico e la bocca del vulcano principale si trovava forse nell'attuale centro della baia. Verso la fine dello stesso. periodo il vulcano acquistò energia e produsse una serie di coni parassiti sui suol fianchi, 1 quali con successive eruzioni di lave diedero all’ isola la forma ro- tonda e la coprirono di ceneri e lapilli. Le traccie di questi con- dotti secondarii per mezzo dei quali la materia ignea usciva dalle (1) Fouqué, L’eruption de Santorin et les iles volcaniques. Revue des deux mondes. Tome soixante-quatrième. 15 aout 1866. PARTE NARRATIVA 109 profondità del suolo e veniva ad espandersi al di fuori, si pos- sono osservare lungo le sponde nude e a picco delle coste di Santorino e Therasia, sotto la forma di lunghe striscie nere verticali che attraversano i banchi orizzontali di lava nera, di scorie rossastre, di ceneri di un grigio violaceo e infine I ul- timo strato bianco di pietra pomice che cuopre tutta l'isola. In un’ epoca più recente (2000 anni a. C.) la parte centrale dell’ isola s’ inabissò nel profondo del mare, avvenimento non raro nella storia dei vulcani. Questo gigantesco sommergimento della parte centrale dell’ isola, lasciò un abisso di più di 10 kilometri di diametro e di 250 metri di profondità, ove il mare si precipitò. In seguito di questo cataclisma vi fu un periodo di riposo che durò fino all’ epoca istorica. Fino all’ anno 236 a. C. sembra che Therasia e Santorino fossero ancora congiunte; poichè in quel- l’anno a detta di Plinio, in seguito ad un violento terremoto , queste due terre si separarono originando l'apertura rivolta a Maestro (!). Secondo Strabone, nell’anno 196 a. C. sorse dal mare |’ isola d’ Mera detta anche Paleo Kaimeni, I’ antica isola bruciata. Nell’ anno 46 dell’ era cristiana si vide emergere dalle stesse acque un’ isoletta chiamata Thia e che in seguito disparve. Dopo quest’ epoca fuvvi un periodo lunghissimo di tranquillità apparente, in cui però Paleo Kaimeni andò ingrandendosi. Nel 1570, un abbassamento subitaneo della costa Mezzogiorno della grande isola di Santorino, sommerse I’ antico porto di Eleusi. Poi nel 1573, una breve eruzione, fece uscire dal mare un’ isola trachitica Micro Kaimeni (piccola isola bruciata). Le. eruzioni più formidabili dei tempi moderni furono quelle del 1650, 1707 e del 1866. La prima si manifestò a due o tre miglia a Tramon- tana del golfo, non diede luogo ad alcuna isola e durò tre mesi; le onde che essa sollevò andarono a devastare le sponde delle vicine isole di Sikino, Nio e Anafi. Questo punto è segnato nella carta dal banco KXo/umbos. Nel 1707 s' innalzò un nuovo cratere tra Paleo e Micro-Kaimeni, il quale eruttò per un intero anno (1) È appunto da questo lato che fu presa la veduta dell’ isola, che si osserva nell’ incisione. 110 CROCIERA DEL VIOLANTE lave, ceneri, fiamme, fumo e pietre, formando due isolotti l'uno di bianca pomice, el’ altro di trachite nera. Questi dal 1711 al 1712 si riunirono in un cono di più di 100 metri d’ altezza sul livello del mare e Visola che ne derivò fu chiamata Neo-Kaimeni (da nuova isola bruciata). Fu osservato dopo questa eruzione un leggero abbassamento di tutta intera Santorino e quindi tutto ritornò nella primitiva tranquillità, fino a che nel gennaio del 1866 nuovi avvenimenti plutonici vennero a sconvolgere e a mo- dificare ancora la configurazione di questi luoghi. Davanti l insenatura del Vulcano che s inoltrava nella costa orientale di Neo-Kaimeni l’acqua era sempre torbida, di un colore giallastro e ne esalavano costantemente emanazioni di acido sol- fidrico. Esercitando queste un’ azione micidiale sugli esseri viventi, si pensò di trarne profitto per ripulire la carena dei bastimenti fasciati in rame dalle alghe e dagli animali parassiti che vi si attaccano; infatti due o tre giorni di soggiorno in queste fetide acque bastavano per ottenere lo scopo desiderato. Gli abitanti di Santorino mettevano a profitto certe proprietà medicinali di queste acque, prendendovi bagni nella bella sta- gione, e aveano già' fatto costruire lungo la riva vari caseggiati e due chiese, una cattolica e I’ altra greca. Tutto faceva presumere che presto le sponde del vulcano Neo-Kaimeni sarebbero diven- tate una stazione di bagni frequentata. All’ approssimarsi del- l'inverno del 1865, i bagnanti di Santorino ritornarono ai loro focolari e vi rimase solo una famiglia per la custodia delle abi- tazioni. Il primo giorno di febbraio del seguente anno questa famiglia venne svegliata di soprassalto dal rovinar della casa che abitava, la quale crollava per ogni lato. Atterriti quei di- sgraziati dalle fiamme e dal fumo che uscivano dalla sponda del mare, dal rovinar delle case e dall’abbassamento del suolo sotto ì loro piedi, quasi asfissiati da fortissime emanazioni di acido sol- fidrico, a malapena poterono trovar scampo nella loro imbarca- zione e portarono la costernazione in Santorino, col racconto delle cose vedute. 113 febbraio sorse in mezzo alla piccola rada del vulcano un isolotto, che venne chiamato Giorgio dal nome del re di Grecia; Akrotiri Therasia Gruppo Kaimeni Pag. 106. SANTORINO — Veduta generale. Pag. 110 NEO-KAIMENI — Baja di Vulcano (27 Marzo 1866). PARTE NARRATIVA 1g il 6 era già congiunto a Neo Kaimeni e continuava ad innalzarsi e ad ingrandirsi a vista d'occhio. Il 13 febbraio, alla parte Li- beccio di Neo-Kaimeni apparve un’ altra terra consimile alla pre- cedente, la quale sempre crescendo e sviluppandosi fini in seguito per congiungersi anch’ essa con Neo-Kaimeni e fu chiamata Afressa dal nome del vapore che avea portato la Commissione Scientifica Greca, incaricata di osservare quei fenomeni. Tanto I isolotto Giorgio quanto Afressa erano composti di massi di lava incoerenti; su alcuni di questi che giacevano in prima nel fondo del mare si trovavano aderenti molluschi ed altre produzioni marine. Final- mente il giorno 20, quello in cui per I appunto i membri della Commissione scientifica erano scesi sull’ antica Neo-Kaimeni per fare osservazioni, una terribile detonazione si fece udire, una densa colonna di fumo si innalzò vorticosa e con una spavente- vole rapidità tutti gli avvolse; e in pari tempo erano bersagliati da una fitta pioggia di cenere, lapilli e pietre incandescenti. Tutti cercarono la loro salvezza nella fuga e abbandonando gli stru- menti si slanciarono nella direzione di Tramontana; ma era tanto pericoloso il fuggire quanto il restare. L’ un d’ essi il sig. Chri- stomanos professore di chimica all’ Università d’ Atene, ebbe una ferita alla nuca e tutte le vesti bruciate; giunto alla riva del mare, sanguinante, lacero, scalzo, trovò i suoi compagni quasi ugualmente maltrattati e nell’ impossibilità di raggiungere il vapore Afressa, perchè una pietra lanciata dal vulcano aveva affondata I’ imbarcazione. Un’ altra pietra incantlescente era caduta a bordo allo stesso vapore, traversando il ponte e provocando un incendio. Infine il capitano greco Vallianos di un bastimento mercantile ormeggiato presso Neo-Kaimeni restò ucciso da una pietra che lo colpì alla tempia; il bastimento andò in fiamme e l'equipaggio atterrito si salvò a nuoto a Micro-Kaimeni. Tali fenomeni si riprodussero con più o meno violenza per tutto il mese di Febbrajo. Nel mese di Marzo il sig. Fouqué, mandato in missione dal- l’Istituto di Francia per osservare |’ eruzione, giunto sul luogo trovò le case e le chiese in gran parte atterrate o sommerse dai movimenti del suolo e danneggiate dalle pietre lanciate nell’ ul- PP CROCIERA DEL VIOLANTE tima eruzione. Esistevano, egli dice, presso la sponda sorgenti abbondanti d’acqua carica di sali di ferro, alla temperatura di 70° C.; queste acque erano verdastre e lasciavano sedimenti ferruginosi di un color giallo-rossastro. Terribile e maestoso ad un tempo doveva essere lo spettacolo di queste isole ricoperte da nuvoli di vapore durante il giorno e da fiamme durante la notte; esse spandevano, dice il Fouqué, una luce rossastra che illumi- nava tutta la gran rada e i cui riflessi giungevano agli atterriti abitanti di Santorino, molti dei quali aveano già provveduto alla loro salvezza colla fuga. L’ ingrandimento dei promontori Afressa e Giorgio e di un’altra isoletta formatasi in seguito e congiuntasi essa pure alle prece- denti, aveva completamente modificato fin d'allora la forma dalla parte Mezzogiorno e Levante di Neo-Kaimeni. Questi fenomeni continuarono fino al.1870 con più o meno intensità, tenendo sempre vivo fino a quell’ epoca un centro di eruzione, per cui andò sempre maggiormente aumentando l'isola di Neo-Kaimeni dalla parte di Mezzogiorno. Sembra che dall’ Agosto di quell’ anno i fenomeni d’iùgrandi- mento sieno cessati, lasciando però il paese sotto I influenza continua di forze eruttive, che sì manifestano dalle sommità e dai fianchi di Neo-Kaimeni con esalazioni sulfuree e globi di fumo, nonchè con sorgenti d’ acqua calda alle sue basi. Stavo terminandb la preparazione dei due uccelli resa difficile dalla mia poca pratica e deplorava la diserzione del Dottore, perchè questi avrebbe diviso con me il lavoro, quando, alzando gli occhi, vidi il battello che ritornava. Era il Commissario in compagnia di un uomo « bianco per antico pelo » che a prima vista mi fece correre col pensiero al vecchio e barbuto Nestore anzichè al capitano Barbarigo per il quale avevamo la commen- datizia dei suoi amici di Milo. Quella maschia e veneranda fi- gura mi fu simpatica a primo aspetto. Mentre si preparava la colazione, a cui egli aveva accettato di prender parte, demmo al nostro ospite notizie politiche che avidamente domandò e di cui sembrava da lungo tempo digiuno. PARTE NARRATIVA IS Il Commissario mi aveva intanto ragguagliato della sua spe- dizione, del come avesse trovato il Barbarigo e mi disse che in terra, per la nostra bandiera da guerra, il Violante veniva bat- tezzato per Vasiliko ossia regio. Durante la colazione il cap. Barbarigo ci narrò, come egli fosse oriundo Veneziano e propriamente dello stipite stesso di quell’ An- tonio Barbarigo che alla battaglia di Lepanto tanto e sì glorio- samente oprò pagando colla vita il suo valore e aggiunse che un altro Barbarigo, suo stretto parente, trovavasi all'isola di Ce- rigo. Ci raccontò di aver preso parte nella guerra dell’ indipen- denza sotto gli ordini di Mianlis Vocos e di Sakturi; aver egli una volta a Kerci nel Mar Nero, rotto la quarantena, rigoro- samente osservata in quei tempi in cui |’ Oriente era non solo straziato dalla guerra ma anche da micidiali morbi, ed essere stato per questo condannato dal governo Russo, in un co’ suoi, alla deportazione in Siberia. Ma il nostro Barbarigo riesce a far ub- briacare le guardie russe che erano a bordo, s’impadronisce della barcaccia del bastimento e coi suoi marinai si getta alla ven- tura pel mare, nel bel mezzo dell'inverno, e rischia la vita per fuggir la prigionia....... Ma la speranza della libertà esalta quegli animi; essi lottano per una lunga settimana contro gli elementi, assiderati dal freddo e estenuati dalla fame; e presso a soccombere, alla fine del settimo giorno, avvistano da lontano una vela. Raddoppiano gli sforzi, la raggiungono.... ma la bandiera russa sventola sulla poppa del bastimento. Il capitano russo insospettito non vuole raccoglierli. Che fare allora?...... L’orrore della morte che li aspetta muta quegli uomini in belve; disperati sì precipitano all’ abordaggio, e dopo breve e sangui- nosa zuffa s'impadroniscono del bastimento facendone prigioniere il capitano e il superstite equipaggio. Il capitano Barbarigo di- rige il bastimento in un porto e lascia tutti i suoi prigionieri in libertà! Il vecchio lupo di mare ci mostrò in prova del suo dire larghe cicatrici che una volta furono profonde ferite. Terminata Ja colazione Barbarigo ci propone di fare un giro col Cutter nel lato Mezzogiorno dell’isola ed io accetto con pia- cere. Metto quindi alla vela e spiego in coperta il piano del- Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (2 Novembre). 8 114 CROCIERA DEL VIOLANTE l’ isola per navigare con sicurezza e quanto è possibile vicino a terra; ma mi avveggo in sulle prime che il Barbarigo conosce meglio di me e della mia carta ogni scoglio, ogni più recondito seno e promontorio; laonde doppiato il Capo Akrotiri, imponente ammasso di grosse lave e trachiti, lascio a lui la cura di gui- dare il legno al punto più acconcio per scendere a terra. La- sciata cader l'ancora vicinissima alla costa e presso ad una sor- gente d’acqua ch’ egli erroneamente c’ indica per buona, ci avviamo poscia al villaggio di Akrotiri, raccogliendo frattanto insetti, lucertole, conchiglie terrestri, campioni di rocce e tutto ciò che crediamo possa interessare i nostri amici naturalisti di Genova. Osserviamo, cammin facendo, la strana coltivazione della vite in uso in questi luoghi: ogni pianta si presenta come un grosso nido formato dagli stessi suoi tralci, i quali ogni anno intrecciati fra loro e assicurati dall’ abile mano del colono, vanno sempre ingrossando e fanno in guisa che quei nidi fenomenali raggiun- gono perfino un metro e più di diametro. Dopo un’ ora di cammino per aspri sentieri giungiamo al vil- laggio di Akrotiri fabbricato su di una collina elevata sul mare 190 metri. È questo un ricco e popoloso villaggio, il cui castello è il più conservato tra quelli delle isole Cicladi. Esso sta in mezzo ad un massiccio di case che dominano il resto del vil- laggio e di cui la linea esteriore forma una sorta di muro o di baluardo munito di una sola porta bassa fatta ad arco. Fummo accolti con molta gentilezza in casa di un nipote del Barbarigo, simpatico giovanetto dodicenne e dal suo precettore, che è pure il maestro di scuola del villaggio, e ci fu offerto come al solito, caffè e mastica. Anche su quella buona gente pareva che facesse molta impressione |’ Italikò Vasiliko. Mi furono fatte vedere due anforette che dovevano avere molto valore archeologico per essere antichissime e di una forma assai strana; ma non potei acquistarle perchè il padrone di queste non era al paese, e sembrava ne fosse assai geloso (1). (4) Le relazioni scientifiche del Fouqué su queste isole giunsero a mia co- gnizione dopo fatta questa crociera. Ignoravo pertanto il giacimento di PARTE NARRATIVA PLS Si fece quindi ritorno a bordo col maestro e col nipotino, i quali accettarono volentieri di accompagnarci nella nostra escur- sione. Essi portarono coperte di lana per la notte e un botti- glione che a prima vista fu creduto dal Commissario vino santo; ma ben presto s avvide che si trattava d'acqua purissima di cisterna. Era una provvista necessaria in questi luoghi, perchè l’acqua di sorgente è per lo più carica di sostanze minerali e malsana. Pareva che il Barbarigo desiderasse di andare col Cutter all’ isola di Amorgos ove risiedeva il padre del suo nipotino, 0 almeno alla vicina Anafi, isola che andava descrivendo al Com- missario come un Paradiso terrestre dei cacciatori, inquantochè a suo dire, le pernici e le lepri vi erano più comuni delle gal- line e dei gatti. Frattanto siccome i miei marinai avevano rifatta I’ acquata, riuniti tutti a bordo i passeggieri, salpammo per il lato Le- vante dell’isola. Scansati i secchi di Z/eusi, che dicesi sieno i residui di due moli formanti il porto di questa antica città som- mersa nel 1570, e doppiato il capo xromiti, la punta più meri- dionale dell’ isola, restammo allo scoperto del vento e del mare di Tramontana. Il Cutter cominciò a slanciarsi sull’ agitato ele- mento col suo solito brio, nè valse a frenarlo una mano di ter- zaroli.......ed il maestro prima e quindi il nipotino da buon discepolo, pagarono entrambi il loro tributo al mal di mare. Vedendo che la gita non poteva prolungarsi che con sofferenza dei nostri nuovi passeggieri, decidemmo col Barbarigo di dar fondo sottovento a Capo Massa Vanno, enorme roccia di for- mazione calcare, sulla vetta della quale si offerivano al nostro sguardo le imponenti rovine di 0ea, la capitale antica dell’ isola. Il Giusti sperava far colà buona caccia di colombi selvatici poichè molti se n’ erano veduti svolazzare nelle grotte della mon- tagna. Però sull’imbrunire, in attesa del pranzo, si fece un piccolo giro coll’ imbarcazione attorno al promontorio; ma non riuscimmo nel nostro intento. Dopo pranzo maestro e scolaro scesero in terra e ripararono avanzi preistorici, consistenti in vasi di terra cotta, osservato da questo na- turalista presso il villaggio di Akrotiri; ragione per cui non ne feci ricerca. 116 CROCIERA DEL VIOLANTE in una chiesa dedicata a S. Stravos, che sorgeva biancheggiante a poca distanza dal luogo dell’ ancoraggio. Il Barbarigo da ma- rinaio qual’ è preferì dormire sul ponte. La luna che ci era stata fedele compagna ogni notte risplen- deva anche in questa di tutta la sua poetica luce. Il vento della giornata era cessato, il mare era ritornato tranquillo. Alitava solo una di quelle aurette gentili che scherzando sulla superficie del- l onda, spargeva la via tracciata sul mare dalla luna, di gemme, ed argentei riflessi, che a luminose striscie si spingevano infino all’ estremo orizzonte. Era una di quelle romantiche notti d’ estate in cui tutto il Creato è un incanto e l'ampia sterminata volta del cielo sembra abbracciare e confondersi colla terra in un am- plesso d’ amore; una di quelle notti in cui la natura tace, immersa in una quiete profonda. L'imponente promontorio di Massa Vanno che s' innalza a picco sul mare sembrava restasse sospeso sul povero Violante! L'ombra di quella massa proiettata sulle tranquille acque del mare dava loro una tinta profondamente oscura e faceva maggiormente spiccare la sommità gigantesca della montagna rischiarata dalla luna. Le ombre bruscamente delineate dai crepacci e dalle cavità della roccia mi andavano rappresentando all’immaginazione bizzarre e mostruose forme e davano a quel monte un aspetto imponente e misterioso. Ma a poco a poco le idee si facevan confuse ed io cedevo all’ invito prepotente di Morfeo. i Venerdì 4. — Era nostra intenzione di visitare le rovine di Vea, quindi alle 4 ant. scendemmo in terra dando l'ordine al no- stromo di ritornare all’ ancoraggio di Kaimeni, e di lasciare ad Akrotiri il maestro e lo scolaro. Il luogo della nostra discesa si chiama Perissa e corrisponde al luogo ove un tempo sorgeva un borgo antico detto Pireo. Or sono più di 30 anni fuvvi costrutta la vasta chiesa di S. Stravos in seguito a visioni miracolose che pretende aver avuto un contadino dei dintorni. È questa chiesa di forma circolare e presenta una gran cupola centrale con altre minori attorno, e siccome fu danneggiata da un terremoto la cupola principale fu rinforzata tutto all’ ingiro con archi, che poggiati sopra solido sostegno all’esterno, vanno a far capo col- PARTE NARRATIVA IR, l’altra estremità contro la chiesa stessa. Questo strano fabbricato, che veduto a volo d’ uccello somiglia ad un gigantesco ragno (mi si permetterà l’espressione in cui si sente troppo l'influenza dell’ atmosfera zoologica di bordo) è circuito da una muraglia a -secco, racchiudente un vasto cortile ove sono due casuccie; in una di queste abita il prete colla moglie, e l’altra serve di fo- resteria. Cola trovammo l'acqua buonissima e ordinai però che se ne attingesse, in sostituzione di quella d’ Akrotiri che è solfurea e sgradevole al gusto. Sembra che nei tempi antichi qui pure fosse adorata qualche divinità pagana, poichè dietro l'abside si osser- vano gli avanzi di un tempio circolare in marmo e vi si veg- gono distintamente i residui di un’ ara, la quale s innalza in forma cilindrica per 2 metri su tre gradini che le formano una base quadrata. Sonvi qua e là iscrizioni greche, una delle quali porta la data del IV secolo e contiene, a detta del prete, l’enu- merazione di tutti i beni: capre, buoj, vacche e quant'altro era proprietà del tempio e dei sacerdoti, i quali ci sembrarono me- glio trattati allora che al presente; difatti non mandre, non armenti, ma poche e magre galline formano la attuale ricchezza del prete. Separatici dal maestro e dallo scolaro e ringraziato il prete, cominciamo |’ ascensione del monte S. Elia (alto più di 580 metri), in cima al quale sorge il monastero dello stesso nome. La sa- lita non è certamente comoda; si va da principio camminando sopra sabbia e quindi su roccie calcari sminuzzate dall'azione del tempo; in qualche luogo la roccia sì presenta come marmo di discreta qualità e di cui tolgo qualche campione. Qua e la vediamo alcune piccole capelle dedicate a non so quali santi e sulla vetta del monte il grande monastero di S. Elia che non possiamo visitare, perchè il vento fortissimo da Tramontana ci impedisce assolutamente di salirvi. Prendiamo allora la direzione di Massa Vanno per visitare le rovine della città d’Oea. Troviamo prima una piccola capella costruita sull’ area di un tempio antico molto più grande, di cui veggonsi avanzi di co- lonne, pietroni enormi squadrati, foggiati a piedestalli e a capi- 118 CROCIERA DEL VIOLANTE telli; nell’ interno della chiesuola osserviamo due grandi anfore antiche che appartenevano, come ci disse il Barbarigo, ai preti del convento di S. Elia che ufficiano la chiesetta. Continuando verso Massa Vanno troviamo tutta la cima del promontorio co- perta di antichi avanzi, come colonne infrante, pezzi d’ ornato, piedestalli e molti frammenti di terracotta e di vetri antichi; ma non un solo resto di statua, perchè tutte le sculture preziose sono state esportate nel secolo scorso e principalmente dai russi nel- l’anno 1770. Vediamo numerose iscrizioni sulla roccia, che sono, dicesi, 1 più antichi esempi che si conoscano della scrittura greca, e gli avanzi di una muraglia di cinta, che dalle grandi pietre poligone collocate a secco sopra altre orizzontali e regolari, ben può dirsi pelasgica. Un piccolo edificio rettangolare e intatto colle muraglie di costruzione essa pure pelasgica, coperto di grandi lastre di pietra che ricordano quelle dei monumenti Me- galitici, è situato sulla parte più elevata della città antica. Al- l'estremità meridionale vi è una grotta ove fu stabilito nell’an- tichità un santuario ad Apollo Pitio, di cui si vedono ancora interessanti vestigia. Di queste feci una fotografia. La roccia è tutta coperta d' iscrizioni e nomi lasciati in ricordo del loro passaggio da pellegrini che vennero ad adorare quella divinità sotto il dominio ellenico 0 romano; |’ interno serve ora ad uso di ovile! « Omnia tempus habent ». Un pastore che ci fece da guida continuò a farci vedere altre rovine, tutte colla stessa impronta severa e maestosa. Traversammo così un ammasso confuso di marmi e d’altre pietre, nido di rettili e d' uccelli rapaci, ove cresce a stento qualche filo d’ erba, pascolo alle poche pecore a cui sono ovile le acropoli, i tempii e i ricchi palagi di una volta! Da quella sommità vedemmo intanto il Violante in naviga- zione per Akrotiri e Kaimeni quale un piccolissimo punto bianco. La casa del pastore consisteva in due antiche piccole sale ancora abbastanza conservate, delle quali una destinata a servizio dome- stico, l'altra a chiesuola. In questa, per invito dello stesso pa- store asciolvemmo, con eccellente latte di capra rappreso e del biscotto che avevamo con noi. Intanto mi furono offerte alcune PARTE NARRATIVA 119 monete antiche ed un piccolo idolo egizio in rame che ben vo- lentieri acquistai. Scendemmo quindi giù per un burrone scosceso, ove il sentiero talvolta è sospeso sul mare a più di 100 metri d'altezza e in qualche luogo manca affatto. Ii Barbarigo mi disse che più in alto si trovano sepolcri di età remota scavati nel sasso, nei quali furono trovati i dipinti greci più antichi che possedano i musei archeologici d’ Europa. Questo dirupato sentiero conduce infino al mare, dalla parte Tramontana del promontorio di Massa Vanno in un seno detto Kamari ove era un antico porto. Quivi il suolo è seminato di vetusti avanzi, per la maggior parte affondati sotto le acque, come a Perissa e ad Eleusis, nella grande commossione vulcanica del 1650. Presso la spiaggia di Kamari il Barbarigo possiede una villa ove trovavasi allora un suo parente, in compagnia di due preti qui venuti per prendere i bagni di mare. Due erano i preti e due erano le cappelle che qui trovammo. Se in Grecia le cappelle e le chiese sono numerose quanto da noi e forse più, sono per contro molto più modeste; due cande- labri, un vecchio quadro bisantino ed una lampada ne formano i soli ornamenti; i tetti ne sono a volta e massicci come in ge- nerale in tutte le case; impediscono così pel loro spessore il so- verchio riscaldarsi dell'interno, e vi si mantiene un fresco gra- devole. Sono ottime chiese e sarebbero eccellenti cantine. Ci venne qui offerto il tradizionale caffè insieme a varie qualità di fichi e ad uva squisita. Lasciato il Barbarigo col cugino e le fa- miglie dei preti, che stavano per porsi a tavola, uscimmo col Giusti ad osservare le rovine di questa località. Il Barbarigo vi avea fatto degli scavi, mettendo a giorno un pavimento di marmo, e ritraendone varie iscrizioni su lapidi marmoree, vari alti rilievi e molte statue muliebri mutilate. Una grande spia- nata che si stende per circa 80 metri e che si protenderebbe ancora se fossero proseguiti gli scavi, si presenta come un luogo per giuochi pubblici; ad avvalorare questa nostra sup- posizione, concorre un’ iscrizione sopra un tronco di colonna che si trova innanzi alla casa dei preti. Questa iscrizione greca, a detta di quei signori, indica che quel monumento fu eretto in 120 CROCIERA DEL VIOLANTE onore di un certo Ollo Plotio atleta e ginnastico invincibile al Cesto. Questo tronco di colonna che dovea portare il busto o la statua di quest’ atleta e immortalarne la memoria ora serve da sostegno ad una tavola da pranzo! Il Barbarigo ha la lodevole intenzione di formare un piccolo museo, continuando gli scavi di comune accordo con altri possidenti vicini. Per tale scopo due statue muliebri ed un busto in buono stato già furono traspor- tati a Thera. Erano le 4; prendemmo commiato dai preti greci e dalle loro famiglie e ci avviammo a cavallo per la strada che conduce a Thera. Traversammo l'isola diagonalmente e potemmo convin- cerci che essa è popolatissima: a destra e sinistra incontrammo infatti molti floridi villaggi, come Pyrgo, Vathon, Messaria. Il terreno ascende con dolce e continuo pendio dal mare fino all’ orlo del precipizio ove è fabbricata Thera, in cui si mani- festa, con gli scoscendimenti a picco che contornano tutta la rada, il limite del grande avvallamento del cono centrale. — La regione che traversiamo è fertilissima e produce grano, legumi e più ancora vini e frutta; ma è priva affatto di boscaglie. — Giunti al villaggio di Kartarado, piacque al nostro Mentore presen- tarci alla famiglia Zhan, di cui è parente e il cui capo dicevasi destinato a reggere l ambasciata greca in Roma. rimessi in cammino, dopo */, d'ora ci troviamo a Thera; e presso al tramonto, ma disgraziatamente troppo tardi per la riuscita del mio tentativo, prendo una vista fotografica generale del gruppo Kaimeni col Cutter che già si trova all’ ancoraggio. Ad ora tarda, ritirate le carte di bordo dalla Capitaneria, e ringraziato il nostro Mentore, il cap. Barbarigo (il quale prima di lasciarci ci volle dare una raccomandazione per il suo cugino di Cerigo), prendemmo commiato e si fece ritorno a bordo con una barca del paese. Ci restava a fare una visita al vicino gruppo di Kaimeni e a questa gita dedicammo il mattino se- guente. Sabato 5. — Nella notte la Tramontana sembrò calmare, ma nel mattino ringagliardi nuovamente, e rese il nostro tragitto alle isole Kaimeni colla piccola imbarcazione, difficile e direi PARTE NARRATIVA 121 quasi pericoloso. Alle 9!/, riuscimmo però a sbarcare a Neo Kaimeni: trovammo quest’ isolotto separato da Mikao da uno stretto canaletto di profondità inferiore al pescaggio del Cutter; questo canaletto si va man mano allargando e forma come un piccolo porticiuolo rinchiuso tra le due isolette e coll’apertura a Tramontana; sulle rive di tal porticello o insenatura si veggono gli avanzi d’un paesetto in parte scomparso e distrutto, i quali consistono in una fila di 5 o 6 celle tutte rovinate e a metà sommerse. Da certi canaletti incastrati nei muri si può arguire che fossero le celle dello stabilimento termale che sorgeva in Neo Kaimeni. Visitammo quelle cadenti casette entrando col piccolo battello per le porte. E potei osservare nella mia escur- sione che I abbassamento del suolo si effettuò con maggiore intensità verso il luogo dell’ eruzione, ossia verso Mezzogiorno. Infatti le rovine giaciono sopra un piano inclinato da Tramon- tana a Mezzogiorno ed il monte Giorgio sorse appunto nella medesima direzione rispetto al luogo ove ci trovavamo. Ivi l’acqua era di un color rossastro e a misura che ci avvicinavamo nel più profondo dell’insenatura, diventava sempre più rossa e cresceva la sua temperatura al punto, che in un luogo in cui si vedeva gorgogliare il termometro segnava 52.° C. Riempi di quest’ acqua una piccola bottiglia ed osservai che immergendovi monete di rame arrossano come se fossero nuove di zecca; infatti le la- strine di rame che rinforzavano all’ estremità le pale dei nostri remi erano diventate rosse fiammanti. Mi allontanai tosto da quel luogo pel timore che le acque sature di sostanze acide avessero a danneggiare la mia fragile imbarcazione. Più si al- lontana da questo punto l’acqua è meno rossa e meno potente la sua azione sul metallo. A_150 metri circa nel canale rivolto a Tramontana, è il luogo ove sogliono ormeggiarsi i bastimenti per ripulir la loro carena; alcune colonne e vecchi cannoni ivi appositamente collocati sono atti ad assicurarvi gli ormeggi. Qui tutto sì riveste di un tristo e severo aspetto: nere colate di lave e trachiti, informi ammassi di scorie e di detriti formano queste isolette. Salimmo su pel vulcano di Neo Kaimeni fino al cratere, il quale misura a un dipresso 50 metri di diametro e 122 CROCIERA DEL VIOLANTE 12 di profondità. Un acre odore di zolfo esala d'ogni intorno e varie fumarole circondate da depositi salini e sulfurei sprigio- nano nubi di fumo e accennano all’interna e continua incan- descenza. Da quell’ altezza possiamo abbracciare collo sguardo il nuovo tratto di cui l'isola si è accresciuta per l'eruzione del 1866 e distintamente osservare i promontorii Giorgio e Afressa ora con- giunti fra loro dalle irregolari ondulazioni di lava e di trachite. Vaghiamo alla ventura, non potendo a meno di correre col pen- siero all’epoca non lontana in cui quelle lave incandescenti e fluide traboccavano dalle viscere della terra! Soddisfatta la curiosità, abbandonammo questi luoghi tristi scendendo o meglio ruzzolando dal ripido cono fino al mare, e raggiunta la nostra imbarcazione ci allontanammo. Nella parte più a Tramontana di Neo Kaimeni trovammo due alberetti di fico senza frutti di sorta, e sono le uniche piante che potemmo osservare in questo gruppo d'isole o scogli vulcanici. Era mia intenzione di far l'intero giro del gruppo, ma il vento che spirava sempre con violenza e il mare agitato, im- pedivano alla nostra imbarcazione di procedere oltre, quindi, doppiata l'isola di Micro, sì ritornò a bordo. Da un rilievo del luogo, che ebbi sott'occhio, fatto dall’ ufficia- lita della Fregata italiana Principe di Carignano (allora comandata dal Cap. di Vascello Faussone di Clavesana), la quale si trovava in quelle acque nel Marzo 1866, epoca dell’ eruzione, da varie fotografie prese della località nella stessa epoca e dalla descrizione che ne fa il Fouqué, si può seguire abbastanza esattamente il graduato ingrandimento di queste isole; e confrontando il tutto col piano di questo gruppo rilevato nel Giugno 1872 dal Shear- water bastimento della Marina Militare inglese, risulta la scom- parsa del paesetto, ad eccezione di alcuni avanzi delle celle dello stabilimento balneario, che furono quelli da noi visitati e che si dovevano trovare nella estrema parte Tramontana dell’ insena- tura di Vulcano. Questa insenatura nella quale Fouqué pone il paesetto e nel cui mezzo sorse l'isolotto Giorgio, finì per diven- tare invece un promontorio che non cessò d’ingrandirsi dal 1866 Spaccato della costa di Therasia Tule pomicoso Zo EP Conglomerato e Cenere === Lava Congiomeralo e Cenere | | | = = Lava | E | | | a Costruzioni preisloriche ] I. THERASIA Neo Kaimeni Costruzioni A) preistoriche. Bo Mansell Paleo Kacmeni ye oo < £ C Akroteri om Banco Kolurbos eruzione del 1650 € Kolumbos \ { Ge \ I.SANTORINO PS Pe Vurvulo LIZA La Mikro Kamen De = cati Pe! Giorgio 5 CE «DS —P. J SSL 1 fy 3) Ei ti n) È i y SS i R*fEleusi S50 pe ra C'Exvmili ae Kilometri C Mesa Vauno PARTE NARRATIVA 123 al 1870, innoltrandosi per piu di 800 metri nella direzione di Scirocco ed accrescendo, insieme al promontorio Afressa e Reka, l'isola di Neo Kaimeni (nella parte di Mezzogiorno) di una striscia di suolo vulcanico lunga d'un miglio sopra una lar- ghezza media di 1/, di miglio (1). . THERASIA. Dell’isolotto di Therasia, che non potemmo visitare, parla a lungo il Fouqué nelle precitate relazioni. Egli dice che alcuni anni or sono furono messe allo scoperto a Therasia abitazioni preistoriche, sepolte precedentemente dalle eruzioni vulcaniche. La catastrofe dovette essere subitanea come a Pompei ed Erco- lano, perchè gli abitanti furono sorpresi dall’ eruzione in mezzo alle loro occupazioni famigliari; i loro utensili, i loro vasi, 1 loro istrumenti rimasero per più migliaia d’ anni sepolti sotto uno spesso strato di pietra-pomice nel punto stesso ove i proprietarii li avevano riposti. A Santormo e a Therasia sono esplorate da tempo immemo- rabile cave di Tufo pomicoso che forma uno dei principali pro- dotti d’ esportazione del paese e serve a preparare un cemento resistente all’azione atmosferica e all’ acqua del mare come ri- sulta dall’esperimento fattone nei lavori dell’ istmo di Suez. Or bene un giorno, mentre si praticavano questi scavi, gli stru- menti dei lavoranti s incontrarono in dure e pietrose promi- nenze, le quali non erano altro che mura di case innalzate sopra uno strato di lava sottostante al tufo. Questo fatto che parve di niuna importanza ai proprietari delle cave, colpi invece l’attenzione del Sig. Christomanos, pro- fessore di chimica all’ Università d’ Atene, il quale aveva visi- tato accidentalmente la località. A questo scienziato debbonsi i primi scavi sistematici colà eseguiti per esplorare quei ruderi interessanti. (1) La parte emersa di Neo Kaimeni, si vede nel piano di Santorino, situata a mezzogiorno della linea di demarcazione. 124 CROCIERA DEL VIOLANTE La costruzione principale messa allo scoperto si compone di 6 camere di disuguale grandezza, tra le quali la maggiore misura metri 6 per m. 5; la piu piccola è quadrata con metri 2, 50 per lato; uno de’ muri principali si prolunga e si ri- curva sopra se stesso in modo da circoscrivere una specie di cortile di metri 8 di diametro ed offre una sola apertura. Da un lato di questa cinta si osserva una costruzione cilindrica oc- cupata da una stretta cavità interna, alta 1 metro al disopra del suolo. Il genere di costruzione delle mura è intieramente diverso da quello usato oggidi a Santorino e a Therasia; non vi sì vede traccia alcuna di pozzolana e di calce, materiali di cui si fa invece molto uso nelle presenti costruzioni nell’ isola. Le pa- reti sono formate da una serie di massi di lava irregolari so- vraposti senz ordine e di cui gli interstizi sono ripieni di una cenere vulcanica rossastra e senza coesione; tra le pietre corrono in tutti 1 sensi lunghi e tortuosi rami di olivo, colla scorza di un bruno nero, come carbonizzati. La facciata di Tra- montana di quelle case preistoriche presenta due finestre e su ciascuno degli altri lati si trovarono tre finestre ed una porta. Le porte e le finestre erano sormontate da legno simile a quello trovato nella muratura; nell'interno giacevano i rottami del tetto distrutto e misto col tufo. Il tetto era formato, a giudicarne dai frammenti, da uno strato di m. 0. 30 di pietre e terra vulca- nica, il tutto sostenuto da traverse di legno d’ olivo. Da queste scoperte, dice il Fouqué, si può già conchiudere che il rivestimento di tufo che ora cuopre l'isola, non esisteva affatto, non trovandolo utilizzato in nessuna parte di questa co- struzione e che la casa messa allo scoperto dopo I’ escavazione di ben 20 metri di tufo, doveva un tempo essere stata costruita all'aria libera sopra un banco di lava, e che l’olivo doveva es- sere comunissimo nel paese. Gli oggetti quivi trovati sono principalmente: vasi di terra cotta e di lava, e utensili di silice e di lava, ossa d’animali, e infine uno scheletro d’ uomo. È da notarsi l'assoluta mancanza di oggetti in ferro e in bronzo. I fossili non debbono andar con- PARTE NARRATIVA 125 fusi coi vasi etruschi e greci, né con quelli dell’ Egitto, quan- tunque abbiano con essi qualche analogia; le ossa sono di capra e di montone; lo scheletro che fu trovato nella gran camera andò per la maggior parte disperso per la poca precauzione usata nel disseppellirlo. Esso apparteneva ad un uomo di età avanzata (come lo dimostrano i denti logori) riferibile alla razza che tuttora popola | Arcipelago. Dalla sua posizione si può inferire che l'individuo rimanesse schiacciato dal ruinare del tetto. Oggetti in terra cotta simili a quelli raccolti a Therasia fu- rono pure rinvenuti nel villaggio d’ Akrotiri, ove mi furono mo- strate quelle ampolette di cui già tenni parola; essi trovansi colà in uno strato di m. 30 di spessore sottostante ad un letto di 3 o 4 metri di ciottoli rotolati e di alluvioni terrose. Queste scoperte aprirono un nuovo orizzonte alla scienza in quanto concerne la storia dell’ isola e permisero di stabilire che questa ebbe una civiltà anteriore alla colonizzazione Fenicia, e che già fin d'allora gli abitanti dell’isola Bella e dell'isola Ro- tonda mantennero relazioni commerciali coi paesi vicini, special- mente con Milo, d’ onde provengono gli istrumenti d’ ossidiana suaccennati e certi vasi, e con Anaphi, da cui verosimilmente furono esportati altri vasi di color rosso. Ecco ora le conclusioni che il Fouqué trae da quanto precede : « Questo strato pomicoso è il risultato di una lunga eruzione » che ha preceduto l'innabissarsi dell'isola, poichè il tufo che » si presenta nelle isole di Santorino e Therasia è tagliato a » picco come le lave sottostanti, ciò che non si può spiegare » se non supponendo che sia stato tagliato per essersi affondato » contemporaneamente a tutto il resto. Inoltre questa eruzione » di pietra pomice ha ricoperto le abitazioni preistoriche di The- » rasia senza rovinarle, il che vuol dire che il cataclisma è av- » venuto senza scosse violente di terremoto, ciò che ha contri- » buito maggiormente a sorprendere gli abitanti sul luogo. Fu » una pioggia analoga a quella che coprì di cenere Pompei ». 126 CROCIERA DEL VIOLANTE Alle 2. pom. faccio vela e lasciando questa piccola ma inte- ressante isola di Therasia sulla nostra sinistra, usciamo dalla gran rada di Santorino diretti per Antiparo. Domenica 6. — Rischiarati da una bellissima luna, bordeg- giamo tra Nio e Sikino la Tramontana, la quale durante la notté mostravasi sempre più docile e maneggevole che nel giorno, e alle 81/, diamo fondo nella rada di Despotiko, nell'isola di An- tiparo, sicurissimo ancoraggio coi venti del 1.° e 4.° quadrante. Unico nostro scopo nell’ approdare quest’ isola si era di visi- tare la grotta che ha fama di essere una delle più vaste ed interessanti fra quante si conoscono. ZAIN TEASE @); Quest’ isola è poco abitata e tanto meno dal lato di mezzogiorno ove siamo ancorati: poche case di coloni si offrono allo sguardo, sparse qua e là e appena una ottantina di famiglie risiedono a un miglio dal mare nell’ unico villaggio chiamato Kastron, a Tramontana dell’ isola. Essa ha 7 miglia di lunghezza su 3 di larghezza. Fu chiamata anticamente Oliaros, e dicesi colonizzata per la prima volta dai Fenici. Più innanzi la storia ne fa poca menzione e la famosa grotta non è neppure accennata dagli scrittori dell'antichità. Antiparo è separata dalla vicina Paro, così rinomata pei suoi marmi, da uno stretto canale, navigabile solo dai piccoli bastimenti, e diversifica da questa per la sterilità del suolo, non producendo che poco grano e pochissimo vino. Vi manca affatto la vegetazione arborea e i suoi abitanti vivono per la maggior parte di pesca. La struttura del suolo è calcare e presenta qua e là tracce di minerali di ferro. Scesi im terra muovemmo incontro ad alcuni isolani, i quali erano presso alla spiaggia e, forti del nostro vocabolario mano- scritto ed inedito, ch'io andavo consultando ad ogni parola, prendemmo lingua. Non fu difficile far loro intendere che vole- vamo vedere la grotta, e messici d’ accordo, tornammo a bordo per far gli opportuni preparativi. SEA = z= == ——s == SS == AZ Pag. ANTIPARO — Entrata della grotta. Lene fied PARTE NARRATIVA 127 Un’ ora dopo scendemmo muniti di cime, di candele, dell’ ap- parecchio fotografico e dell’ occorrente per far raccolte zoolo- giche. La nostra guida era un marinaio di un caicco ancorato presso il Violante; si uni poscia a noi un nativo dell'isola, il quale ca- valcava un asinello. Ci avviammo alla grotta traversando due vallate coperte di arbusti e incontrammo per via qualche raro vigneto e pochi cam- picelli d’ orzo e di grano. Lasciataci addietro una cappella rovi- nata, salimmo su per una costiera brulla e rocciosa e dopo una ora di cammino giungemmo all’ imboccatura della grotta. La sua apertura è quasi semicircolare, ma leggermente de- pressa, e misura metri 10 circa di diametro; si può scorgere dall ancoraggio come una sorta di spaccatura. Nell’ antigrotta e a destra vha una piccola cappella, nell’ interno della quale si osserva un Santo dipinto sul legno nel solito stile bisantino pro- prio a quasi tutti i quadri delle chiese greche. Prima di discen- dere nella grotta le nostre guide, tolta la chiave da un buco nella roccia e aperta la porticina della cappella, accesero una piccola lampada davanti al quadro ed in pari tempo due ramo- scelli resinosi ch’ essi tennero in mano finchè non furono consu- mati. Volevano essi rendersi così propizio il patrono di quella grotta? Intanto io andava cacciando ragni ed insetti e col mar- tello assaggiando la roccia qua e là. Lasciammo poi alla guida la cura di disporre le cime, ed argomentai dai preparativi che la discesa dovesse riuscir piuttosto difficile. Si fece capo saldo della cima più corta ad una stalagmite, che sembrava vi fosse stata messa appositamente dalla natura, e ci raccomandammo ad essa colle mani, scendendo ad uno ad uno per un adito strettissimo e quasi verticale, della lunghezza di 5 o 6 metri. Fatto quivi lieve sosta, nel mentre veniva portata innanzi la cima, accen- demmo le candele; quindi ci venne dato l'avviso che potevamo | avanzarci e proseguimmo nella nostra discesa per circa una ven- tima di metri, tenendoci fortemente alla cima, la quale era stata assicurata in basso alla sporgenza di una incrostazione. Ci tro- | -yammo così tutti riuniti in un pianerottolo che per uno squarcio 128 CROCIERA DEL VIOLANTE della roccia metteva alla parte superiore della camera principale; essendovi penetrata la luce delle nostre candele ne misurammo collo sguardo l'altezza: non rimanevano più di 8 o 10 metri di discesa verticale da farsi a forza di braccia per raggiungere il fondo. Ebbi occasione di visitare nella nostra Liguria e altrove molte grotte, ma nessuna di queste supera per difficoltà di accesso quella di Antiparo. La camera suaccennata ha 50 metri di lunghezza sopra 30 di larghezza ed è alta 15 e da quanto ci dissero è la principale. Confesso che rimasi un po’ disilluso, aspettandomi a qualche cosa di più grandioso, come sono le grotte di Adelsberg già da me visitate nella Carniola. .Bianche stalattiti stanno sospese dalla volta sopra di noi, al- cune disposte a fasci in gruppi fantastici, altre isolate con forme leggiadre e bizzarre. Molte stalagmiti sorgono dal suolo, si con- giungono colle sovrastanti stalattiti formando come colonne che sorreggono l immensa volta. Numerose colonne e colonnine tutte intagliate a svariatissimi ornati, suddividono in piccoli anditi e camere minori, quella che in tempi remoti doveva esser una sola e vasta sala.... La volta, il suolo, le pareti sono tutte or- nate di incrostazioni cristalline che rifulgono alla luce delle no- stre faci. Talvolta queste assumono forma di bianche bende fre- giate di picciole stalattiti e scendono, dall'alto della volta, ora restringendosi ed ora allargandosi, finchè giunte in luogo ove la roccia rientra e si ripiega sopra ‘se stessa, si spiegano a guisa di velarii e festoni trasparenti e si modellano in maestose pieghe e morbidi panneggiamenti. Talvolta bianche stalagmiti proiettate sopra l'oscuro fondo di cavità tuttavia inesplorate, ci appariscono come fantasmi in bianchi lenzuoli cadenti, vaganti per quegli oscuri recessi e secondo i riflessi delle nostre faci, sembrano approssimarsi, giganteggiare o dileguarsi nelle tenebre. La grotta è disgraziatamente in gran parte danneggiata. Le guide non hanno serupolo di rompere e di guastare le concre- zioni; di più la scintillante bianchezza così caratteristica di questa grotta tanto decantata dai visitatori, è ora in gran parte offu- PARTE NARRATIVA 129 scata dal fumo delle faci. In un punto ove la roccia è più af- fumicata e nera lesgemmo il nome di una cannoniera francese, il Gladiateur colla recentissima data del 1876, di una inglese la Research in data del 1871, di un vascello francese il Triton col millesimo del 1886, e infine una bizzarra iscrizione che ri- sparmierò al lettore, la quale si riferisce ad un idillio sotter- raneo e all'anno 1676. Io scrissi su quella pagina lapidea il nome del Violante. Avendo presenti le raccomandazioni del direttore del museo Civico di Genova, feci ricerca di insetti cavernicoli e principalmente di Anophthalmus, ma non trovai nulla; il solo essere vivente che vedemmo in quelle cavità fu un pipistrello, e non fu pos- sibile coglierlo. Se la discesa fu malagevole, l'ascesa non riuscì di certo meno incomoda, avendo dovuto innalzarci a forza di braccia per lunghi e sdrucciolevoli cunicoli. Tornato a riveder la luce, mi sembrò di essere sollevato da un enorme peso. Uscito dalla caverna mi prese desiderio di fare qualche scavo nell antigrotta o vestibolo, nella speranza di poter rinvenire qualche oggetto archeologico, ma ne fui dissuaso dalla natura stessa del suolo che era tutta roccia quasi allo scoperto e con leggerissimi strati di terra qua e là nelle varie concavità. La scoperta della grotta nei tempi moderni viene attribuita al sig. De Nointel ambasciatore di Luigi XIV a Costantinopoli, il quale vi discese nel giorno di Natale dell’ anno 1673 e vi fece celebrare con gran pompa wna messa in un punto che porta tuttavia il nome di Altare. Questo punto è situato ai piedi di una monumentale stalagmite alta circa 8 metri, colla base di 7 metri di diametro. Rifatta la stessa strada per dove eravamo venuti ci ritirammo a bordo. Giova notare che nel ritornare, traversando le pendici delle colline prospicienti alla baja dell’ancoraggio, osservammo qua e là varii scavi praticati per scopi minerari e in uno di essi, vicino al mare raccolsi un bellissimo campione di Galena. Avevo divisato di navigare la notte per incontrar calma di Tramontana, e di approdare possibilmente nel giorno in qualche Ann. del Mus. Civ, di St. Nat. Vol. XI. (10 Novembre 1877). 9 130 CROCIERA DEL VIOLANTE punto per far raccolte e dragare. Perciò alle 7 !/,, dopo aver prima eseguito parecchie dragate, faccio vela diretto per Sira. Appena fuori della rada il vento cade e si rimane fino a mez- zanotte in balia di un mare molto agitato dalla Tramontana che aveva spirato freschissima nel giorno. Lunedì 7. — Alla una il vento si rimette da Tramontana, portandoci di bordata fin presso I’ isola di S:far0 (Siphnos), celebre un tempo per la ricchezza delle sue miniere d’oro e d'argento. Vicinissimo a terra viro di bordo prendendo le mure di sinistra. Col fare del giorno il vento e il mare crescono con una costanza ed una violenza tale da dover prendere la seconda mano di terza- roli; il mare sempre padrone della coperta ci bagnava continua- mente e ci impediva di accendere il fuoco per cucinare. Trovan- domi poi abbastanza al vento per poter prendere di bordata l’isola di Serfo, lascio correre per questa direzione e alle 9 ant. dò fondo innanzi alla marina di Livadhi in 5 metri d’ acqua. Questo però non fu un rilascio forzato, ché il Violante ben altro tempo poteva agguantare, ma mi ricoverai colà principal- mente per dar riposo all’equipaggio e far rinascere a bordo il buon umore, che le sevizie usateci quotidianamente dal vecchio Borea avevano da più giorni assolutamente bandito. SERFO. La rada di Livadhi è sicurissima quasi con tutti 1 venti non essendo aperta che al mezzogiorno. Essa inoltrasi nella direzione di Maestro Tramontana per una lunghezza di miglia 1 #/, ed è ‘apace di numerosa flotta. Il paese ci si presenta montuoso e brullo, con qualche leggero indizio di coltivazione solo presso la marina. Questa natura tanto arida e nuda fece supporre agli antichi greci sempre immaginosi, che Perseo avesse presentato a quest'isola la formidabile testa di Medusa per la quale in un istante uomini, piante ed animali fossero tutti rimasti pietrificati. La storia ci dice che essa fu colonizzata dagli Joni di Atene e che va citata tra quelle che rifiutarono sommissione a Xerxe e che ebbero parte più gloriosa nella gran giornata di Salamina. | PARTE NARRATIVA 131 Luogo così arido era più degno di servir di prigione che di dimora agli uomini e così pensarono gli imperatori romani, che scelsero questa terra a luogo d’ esiglio pei colpevoli di lesa mae- stà. La sola città, o meglio villaggio, che si trova nell’ isola è a 3 miglia dal porto sopra una rocciosa collina elevata di 250 metri sul mare e contiene quasi lpintiera popolazione di Serfo, cioè meno di 2000 abitanti. I serfani furono sempre conosciuti per la loro povertà; tuttavolta quelle aride ed inospitali loro rocce ascondono ricche miniere di ferro, che la barbarie dei turchi e la povertà dei greci moderni hanno lasciato intatte. La terra non vi produce che poco grano e pochissimo vino. Appena dato fondo, reffoli violenti di vento scendono dalle col- line; la nostra ancora non tiene saldo, per cui cadiamo da 5 in 18 metri d’acqua e dobbiamo dar fondo alla grossa ancora essendo già presso colla poppa agli scogli! — Molti Caicchi sono anco- rati nel porto e molti giungono di rilascio forzato. Ormeg- giato sicuramente il Cutter, mettiamo ogni cosa allo sciorino, chè da più giorni eravamo a bordo in una continua umidità. Poscia io preparo la pelle di un Puffinus Kuhlii ucciso dal Commis- sario nell’ entrare in rada. Più tardi discendo a terra e prendo pratica; ci vien data, in assenza del capitano del porto e dell’ ufficiale di sanità , dalla mo- glie di lui, il più bel tipo greco in cui ci siamo fin qui in- contrati. Nel fare quindi una escursione nell’ isola vediamo aggi- rarsi fra gli scogli della rada qualche falco di cui non possiamo decidere se sia |’ Hleonorae, e vediamo una grossa Jacerta di color verde cupo, che però non riusciamo a cogliere; raccolgo invece alcuni insetti, fra i quali grossi ortotteri e conchiglie terrestri. L’ isola è di struttura granitica come lo dimostrano i campioni che tolgo dalla roccia. Un esemplare di roccia feldspatica bianca presenta macchie ferruginose. Terminata la nostra escursione e ritornati alla marina prendo una fotografia del paese e del porto, con meraviglia somma di quei buoni isolani, fra i quali il bel sesso primeggia per numero e per curiosità. Alle 6, essendosi abbonacciato il vento, metto alla vela per Sira. Poco dopo passando presso l'isolotto Boidi, distante un miglio 182 CROCIERA DEI VIOLANTE a Levante di Serfo vi scorgiamo molti Falco Eleonorae e colombi selvatici; però il mare agitato , il vento e I’ ora tarda non ci permettono di farvi una discesa come avrei desiderato. Nella notte il vento si fa più bonaccia. Martedì 8. — Dopo la mezzanotte eccoci da capo; il vento comincia a crescere di forza e col far, del giorno spira nuovamente con tale violenza da obbligarci a serrare la seconda mano di terzaroli, (l’ alberetto si trovava ricalato da parecchi giorni); ma non mi do ancora per vinto e dirigo per la punta Tramon- tana dell’isola coll’ intendimento di doppiare quel capo; perchè se anche nel giorno la Tramontana si cangiasse in fortunale tanto da impedirmi di tenere il mare, mi troverei al vento in modo da poter raggiungere I’ ancoraggio in poppa, rimanendo il porto di Sira nella parte orientale dell’ isola. Fu giusto il mio avviso, poichè anche prima del giorno il vento e il mare eran già tal che più tardi imperversando maggiormente non avrei più potuto far loro fronte. Affidatomi allora alle buone qualità del Cutter, tanto lottai contro gli avversi elementi che alfine doppiato il capo alla distanza di un centinaio di metri e lasciate addietro quelle nere e minacciose rocce sopra le quali rabbiosa frangevasi l'onda, portato dal vento e dal mare, costeggiai il lido orientale dell’isola ed in breve giunsi in vista della città di Sira, nel cui porto an- coravo alle ore 5 1/,. SIRA. Quest’ isola poco o nulla ricordata nell’ antica storia, va debitrice della sua odierna prosperità alla sua posizione centrale. La vec- chia città greca era situata nella parte che sta ora presso il porto; di essa non rimangono che frammenti di fondazione e qualche muro. Nel Medio Evo gli abitanti, per sfuggire ai pirati, sì riti- rarono sulla sommità di una collina ad un miglio di distanza dal mare e vi fabbricarono la città ora conosciuta col nome di Vecchia Stra. L’ isola non ebbe che poca importanza fino all’e- poca della rivoluzione, durante la quale seppe mantenere un abile neutralità fra i turchi e i greci; allora emigrazione degli "SEF O07 .._{{{ : E = PARTE NARRATIVA 133 esuli, specialmente di quelli di Scio e di Psara I innalzarono rapidamente a floride condizioni. Sira fornisce, oltre al vino, che è il principale prodotto d’ espor- tazione, una grande quantità di verdura che viene spedita in Atene e Costantinopoli. Il clima vi è estremamente sano e mite. Le pioggie, vi sono rare tranne che durante |’ inverno. Le sor- genti essendo scarse; gli abitanti fanno uso dell’acqua piovana raccolta dai tetti e terrazze e conservata in cisterne. L’ isola ha 10 miglia di lunghezza nella direzione Tramontana Mezzogiorno, per 5 di larghezza. Le colline sono principalmente formate di micascisto. Presso il mare in alcune località trovasi del marmo ma di qualità scadente; nell’ interno ricetta miniere di ferro. La moderna città, detta complessivamente Hermopol:, contiene più di 30000 abitanti e si può dire la principale città della Grecia. Fabbricata sulla spiaggia del porto e su due colline quasi della stessa altezza, ci si presenta dal luogo dell’ ancoraggio sotto un aspetto molto pittoresco; le chiese, le case, i molti vapori e ve- lieri ancorati nel porto, i cantieri di costruzione, gli innume- revoli caicchi colle loro bianche vele, che intersecano da ogni lato le acque del vasto porto ci danno un'idea del mo- vimento commerciale e della ricchezza della città. Questo porto offre un eccellente ancoraggio ai bastimenti, ma è piccolo e sempre ingombro e la sua gettata è insufficiente per proteggerlo interamente contro i venti del 1° e 2° quadrante. Nel 1869 vi fu bloccato da Hobart Pascià il vapore Enossis che ebbe tanta parte ne'la rivoluzione di Candia del 67 e 68. Sulle calate che circondano una buona parte del porto, tro- vammo molti caicchi ormeggiati vicino a terra colla poppa spor- gente sulle banchine, per far mercato di verdura, frutta, pane, vino, quasi fossero un bazar galleggiante. Trovasi poco discosto dal porto, la pubblica pescheria, il macello, negozi d’ ogni ge- nere, fondachi e caffè. Per quelle anguste vie è un andare e un venire di gente affaccendata, un brulichio di teste, un agitar di braccia, che col gridar chiassoso dei rivenditori e dei passanti producono una confusione indescrivibile. Qui ognuno si sente in 134 CROCIERA DEL VIOLANTE mezzo ad un gran centro, nel cuore della Grecia commerciale. Innanzi ai caffè, che qui sono molti, come in tutto I oriente, stavano seduti all’ ombra di tende molti greci, dagli enormi baffi, col rosso fez piantato in capo alla palikara, e con certe faccie fiere, abbronzate dal sole, tali da far sospettare che più duno di loro avea altra volta corso i buon bordo! Andammo subito a trovare il Console italiano, il quale ci mise in relazione col sig. G. B. Mazzini oriundo genovese, che gen- tilmente ci esibì di farne da guida, sia per visitare la città, sia per assisterci nelle spese che ci sarebbe occorso di fare. La vetta della collima ove sorge la Vecchia Sira è coronata dalla chiesa cattolica di S. Giorgio, dalla quale si gode di una bellissima vista. Questa parte dell’attuale Sira è esclusivamente abitata da cattolici in numero di quasi 6000, in parte discen- denti da genovesi e Veneziani, in parte da famiglie francesi. La seconda parte della città, conosciuta più particolarmente sotto il nome di Hermopoli, è fabbricata sulla collima gemella e sulla spiaggia; essa è popolata da circa 25000 abitanti, quasi tutti marinaj, armatori, o negozianti: qui traffico, commercio e movi- mento, all’incontro nella vecchia città calma e poca vita com- merciale. La popolazione di Hermopoli è quasi onninamente composta di greci scismatici, che però vivono in buona armonia coi loro vicini della Vecchia Sira. Le case di entrambe le città sono generalmente assai pulite e qualcuna è ornata di vivi co- lori, come si usa presso di noi; non poche ne osservammo con gran davanzali a poggioli in ferro come in Spagna. Le strade sono discretamente acciottolate e disposte a saliscendi ovunque, tranne che in riva al mare. Facciamo una corsa ai cantieri, che non hanno nulla da invidiare a quelli della Liguria. Stanchi e molestati dal gran caldo ci rifugiamo in un caffè ove possiamo osservare 1 pittoreschi abbigliamenti dei greci. Generalmente essi hanno brache di colore turchino larghe e lunghe ‘in modo da formare quasi un gran sacco con due fori per passarvi i piedi, calze del pari turchine, scarpette nere ed un giustacuore o far- setto nero, con una grande fascia attorno alla vita ed un fez rosso in testa, ornato di lungo fiocco azzurro. Qualche albanese PARTE NARRATIVA 135 si vede qua e là colla fustanella, non sempre bianchissima, colle maniche della giacchetta svolazzanti, cappello di paglia in capo e lucide armi in cintura; essi hanno un’ andatura svelta quale si addice a montanari, sono d’ ordinario bella gente, dallo sguardo fiero, dalla faccia virile e adorna di foltissimi mustacchi. In com- pagnia del Mazzini, salimmo sull’ alta Hermopoli e visitammo la chiesa di S. Nicola, forse la più bella fra quelle dei greci scisma- tici. Sulla sommità della collina le scalinate sostituiscono le strade. Sull’imbrunire molte donne e ragazzi stanno sulle porte delle loro case, godendosi il fresco e facendo al nostro passaggio chi sa quali commenti sulle nostre persone. La città nuova è divisa dalla vecchia da una valle nella quale havvi il cimitero di que- st’ ultima attiguo ad un collegio convitto. Il Mazzini mi assicurò che il municipio si prende molta cura delle scuole sì diurne che serali e che gli allievi di quest’ ultime sono circa 3500. — Discesi alla città bassa, al passeggio pubblico potemmo osservare I’ high life di Sira e qui il sesso brutto ci sfilò d’ innanzi impettito nel solito cappotto nero e sotto |’ antipatico cappello a stajo e il bel sesso, secondo il solito, scimiottando le mode parigine. Fatto an- cora un piccolo giro alle calate splendidamente rischiarate dalle innumerevoli faci dei negozi e dei caffè, accomiatatici dal Console che avevamo poco prima incontrato e dal sig. Mazzini, ei riti- rammo a bordo. Mercoledì 9. — Nel mattino si rinnovarono le provviste non dimenticando un assaggio del vecchio vino di Sira, che aggiun- gemmo alla nostra collezione di vini delle varie isole toccate. Alle 10!/, mettemmo alla vela. Nell’ uscire dal porto la città si presenta sotto la forma di due enormi pani di zucchero, cioè di due colline rivestite di case. Il mare è mosso dalla Tramontana del giorno innanzi ed abbiamo pochissimo vento. Governo per passare a Mezzogiorno dell’ isola. Siccome all’ una il vento cessa affatto, restiamo tutto il giorno inoperosi in calma poichè la gran distanza della costa m’ impedisce di farvi una discesa e di dragare, come mi ero prefisso. Giovedì 10. — Nella notte si rimette nuovamente la Tra- 13 CROCIERA DEL VIOLANTE montana; ma tanto moderata che con nostra maraviglia possiamo navigare con tutte le vele regolari. Dirigo pel canale di Thermia passando fra quest’ isola e Zea (Keos) patria di Simonide e Bac- chilide poeti lirici fiorenti nel V.° e IV.° secolo a. C. CAPO COLONNA. Coll’ aurora novella salutammo le lontane coste dell’ Attica e le creste del Laurium che ci sì presentavano allo sguardo indo- rate dai primi raggi del sole; la giornata era splendida, il mare leggermente increspato, segnava d’ argentea striscia il solco del Violante e un’ auretta gentile ne accarezzava la vela e rapida- mente lo avvicinava a quei lidi. Sembrava che la natura col fascino dei suoi vezzi ci chiedesse d’ obliare le sevizie dei giorni passati. Possiamo in breve discernere distintamente il Capo Colonna, l’antico promontorio Suniwm, coronato dalle rovine del Tempio di Minerva; ci avviciniamo rapidamente alla costa ed alle 8 diamo fondo in una piccola insenatura del promontorio chiusa dall’ isolotto Arkhi. La natura di questi luoghi ci si presenta brulla e deserta; pochi arbusti e nessun albero; la sola abitazione del custode di quelle rovine sorge solitaria sulla spiaggia. Il tempio s’ innalza sopra una rupe calcare che scende quasi a picco sul mare e deve a quelle rovine il proprio nome di Capo Colonna. Omero indicava già questo luogo come consacrato a Mi- nerva e a Nettuno, i quali vi erano adorati da tempo imme- morabile. Visitando la collina osserviamo qua e là vari scavi, non molto antichi, coi quali si misero allo scoperto pezzi di muraglioni e fon- damenta di fabbricati; forse avanzi di locali pertinenti al tempio. Di questo non rimangono che 12 colonne ed un pilastro del Pronao; le colonne sono d’ ordine Dorico scanellate, e sorreggono ancora l’ architrave. È curioso osservare come questo tempio sia l’unico monumento d’ ordine Dorico in cui le colonne abbiano 16 scanalature in luogo di 20. Tali colonne hanno m. 1. 02 di Pag. 136 CAPO COLONNA — Rovine del tempio di Minerva. PARTE NARRATIVA hav diametro alla base e m. 0. 89 al capitello sopra m. 6. 10 di altezza. Veggonsi inoltre qua e là informi massi di marmo che furono forse foggiati in colonne, in capitelli e basamenti; ma tra questi nessuno avanzo di statua d’ ornato. Il tempio doveva esser lastricato con enormi pezzi di marmo, che dopo la sua caduta, giaciono qua e là rotti e sconnessi. La costruzione di questo monumento si fa risalire approssima- tivamente all’ anno 422 a. C., ossia all’ epoca della tregua di 50 anni conchiusa con Sparta allorchè Nicia, il ricco ed aristocratico generale ateniese negoziatore di quella pace, possedeva più di mille schiavi alle miniere argentifere del Laurion. In grazia dell’ orizzonte limpidissimo si vedevano di lassu le « Isles that crown the Aegean deep (') ». Macronesi l antica Helena dei Greci detta dai nostri marinai l Isola lunga, S. Giorgio l’ antica Belbina, Zea in altri tempi Keos, e Thermia l'antica Cythnus e più lungi Serfo e le montagne di altre isole ancora che si perdono e tra loro si con- fondono nel lontano orizzonte; il mare che leggermente incre- spato lambiva la base della rupe e la bella giornata, davano a questo splendido panorama un colore ed una vita incantevoli. Dinanzi a questo sublime aspetto della natura mi assisi all’ ombra di quelle colonne e mi posi a meditare pensando a Platone la cui parola eloquente fu tante volte ripercossa dall’ eco di questi BEAR RIE IE TEN AYE LU BOS POE EEN) 00) RRS Prese due fotografie delle rovine ritornammo a bordo. Io -m’ occupai allora di trarre la draga, mentre il Giusti faceva una gita col battello al vicino scoglio d’ Arkhi per cercar di cacciare colombi o falchi. Egli però non ne incontrò, ma vide un alcione ed uccise varie rondini riparie. Alle 3 pom. mettemmo alla vela. La navigazione dell’ Arcipe- lago in mezzo a questo dedalo d’ isole, e quasi sempre di notte (4) Byron. 138 CROCIERA DEL VIOLANTE richiedendo percid costantemente la mia presenza in coperta, mi aveva alquanto affaticato, ond’ è che vedendo di non poter giun- gere lo stesso giorno al Pireo, stimai meglio profittare ancora del vento, che già andava scemando col mancare del giorno, per recarmi all’ ancoraggio di Porto S. Nicolò e quivi riposar tran- quillo. Passati quindi tra l'isolotto di Caidaro e il continente, alle 5 della sera davamo fondo in 14 m. d’ acqua. Trovammo in questa rada due o tre Caicchi ormeggiati presso la costa e varii piccoli battelli di pescatori, che erano intenti alla pesca delle spugne presso al luogo ove eravamo ancorati. Ecco come si eseguisce questa operazione: |’ equipaggio di tali battelli è composto di 3 individui; mentre uno di essi voga, un altro è in sulla prora col corpo penzoloni all'infuori ed ha la testa entro un tubo di lamiera della lunghezza di circa mezzo metro, la cui estremità è immersa nell’ acqua. Con questo ingegnoso e semplice spediente egli può penetrare collo sguardo, non turbato dall’ increspamento dell’acqua, nel profondo del mare e quando vede la spugna fa. un segno al terzo compagno, il quale gli porge una fiocina che serve a ghermire e a trarre a galla lo zoofito. Attorno a noi ne vedemmo prendere parecchie. Da canto mio tentai imutilmente raccoglierne qualcuna colla draga e non ottenni che poche conchiglie, sabbia ed alghe. Fatta una breve discesa in terra, non raccogliemmo che uno scudo di tartaruga in cat- tivo stato di conservazione e qualche campione di un calcare ce- roide dolomitico ferruginoso. Il luogo ove scendemmo è incolto e deserto , solo in fondo alla rada, nel profondo dell’ insenatura sonvi indizii di coltivazione, qualche casa e parecchie saline. Sentendomi stanco ed indisposto mi volli ritirare a bordo e il Giusti mi seguì. Giunta la sera la gente dei caicchi ed i pescatori di spugne accesi dei grandi fuochi sulla spiaggia, si diedero a far baldoria con canti assai chiassosi accompagnati dal suono discordante di pifferi, zampogne ed altri istrumenti; alle 10 ancora continua- rano a divertirsi. Venerdì 11. — Alle 5 ant. faccio vela diretto pel Pireo, con PARTE NARRATIVA 139 una leggerissima brezza di Tramontana, la quale ci abbandona appena fuori della rada presso l'isola di Arsida, I’ Hleusa degli antichi. Alle 7 il vento passa al 2.° quadrante ma cangiando spesso direzione; intanto la costa si carica di nuvole, I aria s' oscura e accenna a turbamenti e burrasche locali, poscia un lampeggiare non interrotto da Ponente mi annuncia qualche colpo di vento da quella parte. Presso I’ isola di Fleva il vento rinfresca passando a Maestro, e un grosso piovasco, che tutta avvolge |’ isola di Salamina e ce la toglie di vista, sembra che si diriga alla nostra volta. Serro alla vela la seconda mano di ter- zaroli e cambio il fiocco; poco dopo il piovasco sì scarica a bordo con un rovescio d’acqua mista a grandine e poco vento. Ma è una burrasca che poco dura e ben presto I’ aria si rischiara ed il sole torna a far capolino. Mentre ci troviamo a 3 miglia dalla punta Tramontana di Egina, a poco a poco torniamo a rivedere l'isola di Salamina ed il vicino continente. Allora viro di bordo, sciolgo i terzaroli, stabilisco nuovamente tutte le vele e m’ av- vicino colla stessa bordata fino a Capo Temistocle. Impaziente e commosso ad un tempo figgo gli sguardi su ‘quelle colline che richiamano alla mia mente mille confuse re- miniscenze. Ecco presentarsi finalmente fra gli altri un colle sulla cui vetta confusamente dapprima, ma più distinto di poi, sì scorge un monumento. Ad esso fanno riverente corona il monte Imetto il Licabeto ed il Pentelico; non m’ inganno. Io vedo proprio |’ A- cropoli col Partenone, oggetto della mia ardente curiosità ! Man mano che il Violante s' avanza, le terre e le spiagge escono come per incanto dal mare, delineansi esattamente e eaerase Sopra l’ Egea sponda si leva Nobilmente superba in suol fiorente Una città di puro aver beata (1). Stanno alla nostra destra Falero e Stratiotiki, gli antichi porti d’ Atene, e innanzi a noi la collina che maschera interamente il Pireo. Dietro la baia di Falero si stende una pianura in fondo alla quale spiccano le gigantesche rovine del Tempio di Giove (1) Brofferio. — Scene Elleniche. 140 CROCIERA DEL VIOLANTE Olimpico di Teseo e il monumento di Filippapus, sui quali tutti torreggia superba |’ Acropoli col suo Partenone. Sta dunque d’innanzi a noi questa terra gloriosa, questa me- tropoli che ebbe tanta parte nei fasti dell’ umanita, |’ Atene di Teseo, di Solone, di Milziade, di Pericle, d’Alcibiade, di Fidia, di Sofocle, di Socrate, di Platone e di Demostene. Insensibil- mente mi trovo trasportato nei tempi remoti dimenticando il presente che è tanto diverso: ecco intanto l Imetto, ecco il Parmeo che ci addita la Beozia, ecco il Pentelico dalle rocce marmoree dietro a cui sì stendono i campi famosi di Maratona; sopra un mare di un vago azzurro veggo poi sorgere due isole dai fianchi rocciosi; Salamina che ricorda sì maravigliose gesta, Egina un tempo rivale d’ Atene. Il Violante soled di poi quelle acque sulle quali si combatte la lotta suprema tra i Greci ed 1 persiani invasori e ove Temi- stocle trovò il serto dell’ immortalità. Rapidamente mì passarono davanti le figure di quanti illustri ateniesi ricorda Cornelio Nepote e Plutarco, e i fasti tutti che illustrarono questa terra prima nelle arti, nelle scienze, e nel valore; ma triste pur mi balenò agli occhi il sinistro chiarore della mezzaluna anch’ essa un di padrona e sfolgorante in sul l’ Acropoli e rammentai la sanguinosa lotta dell’ indipendenza di questo popolo un di così grande, ora così infelice! Doppiata la punta della collina che forma il porto del Pireo, ci si offre allo sguardo un monumento funereo, il quale suol essere indicato come la tomba di Temistocle; alla nostra sinistra è l'isola di Lipsokutali o Psytalia ove fu più accanita la lotta, e di fronte, sul continente, la piccola collina dalla quale, secondo la tradizione, Serse seduto su argenteo trono assistè alla sua ignomigniosa sconfitta. Passarono ormai 2356 anni da quella me- morabile giornata avvenuta 480. a. C.; sparì l argenteo trono, ma è sempre viva nella memoria degli uomini |’ umiliazione in- flitta dai greci all’asiatico invasore. Dopo la problematica tomba di Temistocle, che da nome al Promontorio, vediamo il sem- plice e severo tempio del moderno Navarca Miaulis, che ebbe sì gran parte nell’ ultima guerra dell’ Indipendenza Greca. PARTE NARRATIVA 141 Alle 4 diamo fondo nel porto del Pireo presso al vapore Pachino della Compagnia Italiana La Trinacria. Prendo pratica e subito dopo mi reco a far visita al console e a ritirare lettere e giornali che ci attendevano numerosi al consolato. Il console era il comm. E. Colucci che avevo già avuto la fortuna di co- noscere, allorchè mi trovavo imbarcato sulla corvetta « Prin- cipessa Clotilde » di stazione nelle acque di Candia, durante l insurrezione del 1867. PIREO. Il Pireo porto di Atene ci fece la più grata impressione. Fabbricato alla moderna, le sue strade sono spaziosissime e fian- cheggiate da alberi, le sue case sono basse ma pulite; non vi- coli, non stradiciuole sudicie e oscure, ma dovunque aria, luce e pulizia. Sul tardi il Console venne a visitare il Violante e si mostrò sorpreso della piccolezza del legno, del lungo viaggio che con esso avevamo fatto e di quello che ancora ci proponevamo di fare. C’ invitò poscia ad accompagnarlo al Falero, l'antico porto d’ Atene, mutato al presente in uno stabilimento di bagni di mare con albergo e teatro; ma non accettammo perchè ci stava acuore di terminare la nostra corrispondenza prima che partisse il postale. In quanto alla storia dell’ antico Pireo si dice che la roc- ciosa penisola, ove in gran parte è fabbricato il paese, fosse in origine un’ isola che gradatamente si congiunse colla terre ferma, sia per l accumulazione di sabbie sia per uno dei tanti esempi di lento sollevamento del suolo. Lo spazio così ricolmo, fu chiamato Holipedum e si prolungava fin presso Atene con una | palude quasi impraticabile, la quale è ricordata da Senofonte col nome di Halae. Venne questa in seguito attraversata da una strada e posta così in diretta comunicazione con Atene, Falero i ne divenne il porto. | Temistocle aveva circondato l'intera penisola con forti mura e fortificazioni e l’entrata dell’ odierno porto è resa così ristretta 142 CROCIERA DEL VIOLANTE e pericolosa appunto da enormi massi ora sommersi, che non sono altro se non la continuazione delle mura che circondavano tutta la penisola, difendendone i porti e collegandoli con Atene. Sabbato 12. — Alla mattina consegniamo le nostre lettere al console, il quale gentilmente s' incarica di spedirle col piego del consolato ; inviamo inoltre al Museo Civico di Genova una cassa contenente le raccolte fatte fino a questo giorno e corriamo quindi alla ferrovia diretti per Atene. Il Commissario mi dice bronto- lando che a lui sembra una vera profanazione il viaggiare in fer- rovia sulla terra di Cecrope e che preferirebbe fare il cammino all’ uso Peripatetico. Io lo trascinai meco nel treno risponden- dogli che i filosofi greci non tenevano come noi il tempo in conto di moneta. Appena usciti dal Pireo lasciamo a destra gli avanzi delle lunghe mura, fatte costruire da Temistocle, le quali congiungevano le fortificazioni del Pireo con Atene, proteggendo la strada che univa la capitale al suo porto. La ferrovia quindi sì dirige verso la baia di Falero, lasciandosi a destra il monumento di Karaiskaki, uno degli ultimi eroi della guerra dell’ indipendenza, morto sotto le mure dell’ Acropoli mentre riportava una vittoria sui turchi. Si offrono poi allo sguardo, dallo stesso lato gli antichi porti di Munychia e di Phalerum. Sulle sponde di quest’ ultimo si vedono alcuni ruderi, uno stabilimento di bagni, un albergo, ed un pic- colo teatro diurno. Un altro monumento funereo, quello forse dei filelleni franco-tedeschi venuti in soccorso dei fratelli greci, campeggia sull’arida pianura. Ad un terzo di cammino sì co- mincia a vedere qualche albero d'ulivo e poco dopo la ferrovia traversa un fiumicello, il cui nome fa più rumore nel mondo che non le sue acque; esso è il tanto decantato Cefiso dei poeti, poichè varii sono in Grecia i fiumi che portano la mede- sima denominazione. Da questo momento il paese diventa più ridente e si cuopre di un vasto bosco d’ olivi, che circondava una volta tutta la città; ora la guerra dell’ indipendenza e il rigoroso inverno del 1849 e 50 lo hanno successivamente deva- stato. Uscendo da questo bosco comparisce la tanto desiderata Atene. La piccola città moderna non risponde all’ idea che uno PARTE NARRATIVA 143 si può formare d’ una capitale, e d’ una capitale che porta un si bel nome; ma a mutare questa meschina impressione si presenta il tempio di Teseo, |’ Acropoli coll’ imponente frontone del Par- tenone, il roccioso Licabetto e più in là l Imetto ed il Pentelico. Oltrepassata la collina delle Ninfe, sopra cui torreggia il mo- derno osservatorio, il treno si ferma presso al tempio di Teseo ATENE. Dicesi, com’ è noto che la fondazione d’ Atene risalga a 1643 anni av. G. C. e sia dovuta ad una colonia egiziana condotta da Cecrope. Pochi popoli si sono tanto occupati della loro genealogia quanto i Greci; ma non avendo cominciato a valersi della scrit- tura, per conservare ricordi dei fatti storici, che all’epoca della 1.2 Olimpiade, che corrisponde a 777 anni a. C., così prima di questo periodo tutto è confuso, incerto e mitologico. In origine Atene era limitata alla collina dell’ Acropoli e por- tava il nome di Cecropia. Confusamente tra la mitologia e le tradizioni, compariscono come re d Atene 1 nomi di Cranao, Anfitione, Pandione ed Eretteo. Questo re, il quale si diceva figlio della terra e nutrito da Minerva, innalzò il tempio di Minerva Polliade sulla collina dell’ Acropoli. A vari altri re succedette Teseo che riunì in un solo stato le dodici città Ionie delle quali Atene fu la capitale. Si fu in questo periodo quasi mitologico che una colonia di Pelasgi, accolta in Attica, edificò le mura della cittadella, ossia dell’ Acropoli. Codro fu I’ ultimo re ateniese (1132 a. C.). Successe quindi nel governo d’ Atene, la legislazione di Dracone con gli Acronti nel 623; quella di Solone nel 592, e infine la tirannide di Pisistrato nel 560. Si die’ principio appunto in quest’ epoca alla fondazione del gigantesco tempio di Giove Olim- pico. Quindi Aristide e Pericle inaugurarono il governo demo- \ eratico puro, restringendo la potenza dell’ Areopago, e gli abitanti furono divisi in cittadini, non cittadini e schiavi. Una novella era s' apri per Atene dopo la prima guerra per- | | | Il ll | 144 CROCIERA DEL VIOLANTE siana; ridotta in cenere da Serse verso il 480, fu ricostrutta, for- tificata ed abbellita da Temistocle, il quale diede pure un grande im- pulso alla potenza marittima dello Stato. L’ Acropoli cessò d' allora ad essere abitata e divenne il santuario dell’ arte e della religione, pur rimanendo sempre la fortezza d’ Atene. Cimone innalzò il tempio di Teseo, il muro Mezzogiorno dell’ Acropoli e il tempio della Vittoria senz’ ali (Niké apteros), quasi avesse voluto im- pedirle di abbandonare le armi ateniesi. Pericle (444-429) costruì sull’ Acropoli il Partenone ossia il tempio dedicato a Minerva, I’ E- retteo, il Propileo, e nell’ interno dellla città l' Odeone; edifizi tutti ultimati in 15 anni! La guerra del Peloponneso fece sospendere la costruzione dei pubblici monumenti; vincitrice prima, vinta poi dai Lacedemoni, Atene finì per cadere sotto il giogo di Filippo il Macedone. Dopo qualche tentativo d’ indipendenza sotto i successori di Alessandro, nell’ anno 146 cadde in potere dei Romani. Alleatasi a Mitridate fu presa e distrutta da Silla nell’ 87. D’ allora in poi, fu assai scemata la sua importanza politica e commerciale; ma rimase ancora per molto tempo I’ asilo delle lettere, delle scienze e delle arti e divenne la scuola della gioventù romana. Vinta così dalla forza delle armi, a sua volta soggiogò col- l'ingegno e la coltura intellettuale la sua vincitrice. Nerone fu il primo imperatore romano che spogliò Atene di alcuni suoi monumenti a beneficio di Roma. Adriano le fu al- l’incontro vero benefattore, perciocchè terminò la costruzione del gran tempio di Giove Olimpico, dotò la città d’un ginnasio, di una biblioteca, d’ un nuovo acquedotto e quasi innalzò un nuovo quartiere. L’anno 258 dell’ era Cristiana l’imperatore Valeriano rialrò le mura d’ Atene per respingere le invasioni dei Goti e degli altri barbari. Il paganesimo si mantenne in Atene fino ai tempi di Giustiniano, epoca nella quale i templi furono convertiti in chiese cristiane. Nelle età medio-evali Atene è poco ricordata dalla storia. Dopo la presa di Costantinopoli dai cristiani nel 1204, essa divenne un Ducato francese e subi varii dominatori stranieri, finchè la mezzaluna fu vista splendere sinistramente sull’ Acropoli. Si è Pag. 145 ATENE — Veduta generale. PARTE NARRATIVA 145 nel 1456 che la città fu espugnata da Maometto II e che i Mus- sulmani convertirono gli antichi templi in moschee. Nel 1687 il doge Morosini s impadronì di Atene dopo un assedio che recò più grave danno ai monumenti di quanto non ne avessero sofferto nei secoli trascorsi. Qualche mese dopo i veneziani si ritirarono abbandonando la città alla vendetta turca. Dopo la memorabile insurrezione del 1821 Atene fu saccheg- giata e quasi interamente distrutta, in tal modo che non co- minciò a riaversi se non quando la Grecia ebbe riconquistata la propria indipendenza. Nel 1834 essa fu proclamata capitale del regno di Grecia. Ad onta di tutte queste vicissitudini e malgrado le reiterate alternative d’imperio e di schiavitù è ancora bello ed imponente quanto rimane dell'antica rivale di Sparta. Atene moderna è costruita nella grande pianura dell’ Attica tra il Cefiso a Ponente, I’ Ilisso a Scirocco, ai piedi del monte Licabetto e della collina dell’ Acropoli. Il terreno occupato dalla moderna città, a Tramontana dell’ Acropoli, non faceva parte anticamente di Atene, la quale si stendeva in semicerchio attorno all’ Acropoli stessa sulle rive dell’ Ilisso e sopra le colline del- l' Areopago, delle Ninfe e del Museo, che al di d'oggi sono disabitate e incolte. Presentemente la città è popolata di 42000 abitanti e, secondo Senofonte, non ne ebbe mai più di 120000 anche nei suoi tempi più floridi. Attorno all’ Acropoli si trova il quartiere turco, il quale tende a sparire di giorno in giorno. Usciti dalla stazione c’ innoltrammo nella gran via Herme, continuazione di quella che viene dal Pireo e che dividendo in due la città, fa capo al Palazzo Reale. Al principio essa è fan- gosa, fiancheggiata da casupole meschine; ma ben presto prende un aspetto migliore, le case sono pulite e di disegno europeo, la strada è selciata e munita di marciapiedi; traver- sammo poi la via di Minerva e quella d’ Eolo, due altre fra le principali arterie d’ Atene che tagliano ad angolo retto la via d Herme, e raggiunta la piazza della Costituzione, prendemmo stanza all'albergo Des Etrangers presso al Palazzo Reale. Questo Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (10 Novembre 1877). 10 146 CROCIERA DEL VIOLANTE palazzo costruito dal 1836 al 1843 è una pesante massa di marmo pentelico che somiglia ad una caserma e manca di qual siasi pregio architettonico. Fatta colazione e accompagnatici ad uno dei ciceroni dell’ al- bergo, certo Milziade Vidis, oriundo veneziano, ci dirigiamo al tempio di Giove Olimpico situato su di un altipiano, a Scirocco della città. Sboccati sulla piazza chiamata Olimpeum, vediamo innalzarsi all’ estremità di essa 16 gigantesche colonne sottoposte ad un architrave; sono questi gli unici avanzi del grandioso tempio. Pisistrato lo cominciò nel 530 av. G. C. Dovette però ben presto interromperne la costruzione. Perreo re di Macedonia e dopo lui Antioco Epifane ripresero i lavori; ma caduta Atene in mano di Silla questi ne portò a Roma molte colonne e non fu che sotto l’imperatore Adriano (117-138 dopo G. €.) che il grandioso monumento venne ultimato dopo circa 700 anni di peripezie. Nell’ interno del tempio eravi la statua di Giove tutta d’oro e d'avorio e nella circostante piazza si ammiravano molte statue regalate dalle varie città della Grecia. Il tempio presen- tava una duplice fila di colonne ai fianchi ed una triplice alle estremità a causa del Pronaos e del Posticum, in tutto erano 120 colonne di stile corinzio di metri 1,98 di diametro alla base e di metri 18, 28 d’ altezza. Per le sue dimensioni non era se- condo che a quello di Diana in Efeso e misurava 116 metri di lunghezza sopra 56 di larghezza; doveva essere veramente impo- nente. Fra i pezzi dell’ architrave che tuttora sussistono, si cal- cola che il maggiore debba pesare 23 tonnellate. Nel Medio Evo questo monumento servi ad uso di cava di pietre agli abitanti d’ Atene, precisamente come il Colosseo servi allo stesso uso per quei di Roma. Tali rovine sono proprio maestose, non solo per le loro proporzioni colossali, ma ancora per la squisita eleganza di forme, per |’ armonia delle linee e pel loro isolamento sul vasto altipiano che ne forma come la base. Presentemente non restano che 16 colonne di marmo pentelico, una delle quali fu atterrata da un terremoto nel 1852, e giace in pezzi sulla piazza. La guida ci disse che anticamente un eremita avea sta- bilito la sua dimora sull architrave! Ai piedestalli delle colonne PARTE NARRATIVA 147 è ora addossato un caffè. Quanto alla piazza serve di passeggio e di pubblico ritrovo, godendovisi una bella vista dell’ isola di Egina e della costa dell’ Argolide. Da quell’ altura vediamo lo Stadium costrutto da Licurgo 350 A. C. ed abbellito da Erode Attico (140 D. C.) Dicesi che 50000 persone potessero assistere ai giuochi che vi si celebravano. Vediamo I’ Ilisso con acque scarse e limacciose e non possiamo perdonare a Glauco, tuttochè innamorato, di aver voluto condurre la povera Jone a specchiarsi in quel pantano. Passiamo quindi a vedere |’ arco di Adriano, che formava I in- gresso del nuovo quartiere chiamato Adrianopoli dall’ Imperatore Adriano che lo costrui; quest’ arco è discretamente conservato. Dalla parte di Levante, ossia da quella che è rivolta al nuovo quartiere, sta seritto: « questa è la città di Adriano non quella di Teseo » e dall'altra: « Questa è Atene, la vecchia città di Teseo » . Strano orgoglio di fondatore! Ci recammo poscia a visitare il monumento Coragico di Lisicrate, volgarmente chiamato Lan- terna di Diogene. Esso è situato fra l Arco d’ Adriano e |’ A- cropoli e ha per oggetto di commemorare la vittoria dei giovani della tribù Acamante, sotto la direzione di Lisicrate figlio di Lisitide, al concorso dei giuochi Dionisi, come consta da una iscrizione. Su di una base quadrata s’ innalza un piccolo tem- pietto rotondo di forse 7 metri d’ altezza; sotto il tetto, soste- nuto da 6 colonnette d’ ordine corinzio, havvi un bellissimo fregio rappresentante i pirati assalitori di Bacco metamorfosati in delfini. Il monumento è abbastanza maltrattato, ma conserva sempre una vera eleganza. Proseguiamo per la strada di Bacco, lungo la quale si vedono scavi interrotti e ammassi di antiche costruzioni ruinate. Qui vi- cino esisteva l’ Odeo di Pericle, specialmente destinato ai con- corsì musicali, il quale fu distrutto ai tempi di Silla; in mezzo a ruderi d’ ogni specie entriamo nel teatro di Bacco, il quale da poco tempo venne sgombrato dalle macerie che lo coprivano. Esso fu edificato dal retore Licurgo e dopo una prima rovina ricostruito da Adriano; il diametro dell’ edificio ai gradini supe- riori è di 160 metri; la scena aveva metri 25 di larghezza e 148 CROCIERA DEL VIOLANTE poteva contenere 30000 spettatori! Vi osservammo vari sedili di marmo sopra i quali è scolpito un nome, quello probabilmente del proprietario. Al centro e faccia della scena, tra 1 primi posti, stava il sedile distinto del gran sacerdote di Bacco con due più piccoli ai lati. Al posto della scena e dell’ orchestra vediamo var] avanzi di bassorilievi rappresentanti Sileni, Astanti, nonchè figure muliebri. Il teatro non solo serviva ai pubblici divertimenti, ma anche ad assemblee popolari e i più celebri filosofi vi andavano talvolta a divulgare le loro dottrine. Eccoci giunti all’ Odeone di Erode Attico, riputato modello di antica architettura. Esso è molto alterato e dalla facciata, di cui non rimane che una parte, apparisce chiaramente di stile romano. Seguitando quindi un'antica strada fiancheggiata da mura greche, veneziane e turche, costruzioni innalzate sopra rovine antiche, e con materiali tolti dai vicini monumenti, en- triamo nel recinto dell’ Acropoli. Acropoli, ossia città alta, è il nome che davano gli antichi alla fortezza o meglio alla cittadella che conteneva 1 più im- portanti edifizii della città; come templi, palazzi e simili, re- cinto sacro ai numi, alla scienza e alle arti in tempo di pace, propugnacolo e difesa in tempo di guerra. Dell’Acropoli d’Atene Chateaubriand scrisse: « On dirait un piedestal taillé tout exprés » pour porter les magnifiques edifices qui le*couronnaient ». L’ acropoli al principio di questo secolo era ancora, come ai tempi di Pericle, la cittadella d’ Atene e quindi il Partenone, 1 Propilei sepolti in mezzo a barbari edifizii divisero con essi le ca- lamità e 1 disastri delle guerre e delle rivoluzioni e fa meraviglia se non andarono completamente distrutti. Il governo Ellenico ha fatto dell’ Acropoli un santuario consacrato alle arti ed ai ri- cordi d’ Atene antica. Essa consiste ora in una piccola collina alta 154 metri sul livello del mare, di forma oblonga e piana alla sua parte superiore. Le sue pareti sono a picco ed inacces- sibili. ù Le mura antiche dell’ Acropoli seguono il contorno del colle, ed impartono una irregolare figura poligona all’ area compresa nella cinta. Nella muratura si veggono incastrati tronchi di co- PARTE NARRATIVA 149 lonne, avanzi dei templi bruciati dai Persiani, utilizzati da Temi- stocle per ricostruire in fretta le mura della fortezza; ruderi che il patriottismo ateniese aveva conservati per eternare con essi l odio contro i barbari. Noi penetrammo nell’ Acropoli per un ingresso relativamente moderno, ove osservammo un artista romano intento a modellare in gesso varj bassorilievi. Seguendo le mura innalzate dai Ro- mani, per l antica scala riservata alle processioni Panatenee sa- limmo ai Propilei, che sono come il vestibolo dell’ Acropoli. La gradinata veduta dal basso è proprio imponente. Essa è costruita in modo che potevano facilmente accedervi gli animali destinati ai sacrifizj. Alla sommità torreggiano le colonne della facciata, mutilate ma sublimi ancora per mole e per armonia di forme, e più innanzi sì aprono cinque ampie porte; il marmo bianco di cui è fatto l’edificio spicca vivamente sopra un cielo azzurro e da risalto a quest’ ingresso veramente degno del tempio degli Dei. L’ edifizio è diviso in tre parti: il centro e le due ali; queste posano su gradinate. Fra una colonna e I’ altra sonvi muraglioni fatti di enormi pietre sovrapposte senza cemento, ma unite con arpioni di bronzo. Di bronzo era pure I’ antica porta a battenti disuguali. Vediamo poscia numerosi frammenti di statue e di bassorilievi di un lavoro squisito; qui sono le vestigia più antiche dei sentieri pelasgici, gli avanzi delle costruzioni aggiunte dai Romani, infine il gran portico opera di Mnesicle, a destra I’ elegante tempio della Vittoria Aptera (senz’ ali); a sinistra la grande sala che corrisponderebbe alla Pinacoteca di Pausania; mai non si vide | più maestoso peristilio in un edifizio sia pur consacrato alle pa- trie memorie. Le rovine dei Propilei permettono appena d’ im- maginare quello che furono al tempo del loro splendore. Si rimettano i loro capitelli sulle bianche colonne, si rialzino i timpani, i frontoni, gli architravi e gli ornamenti che giacciono a terra e sì collochino sotto i portici le innumerevoli statue che li adornavano, sì restituiscano |’ oro e i vivi colori che si armoniosamente si associavano alla bianchezza del marmo, e 150 CROCIERA DEL VIOLANTE si avrà appena un'idea lontana di questo monumento che I an- tichità nel suo entusiasmo metteva al disopra dello stesso Par- tenone. Cola non si può a meno di pensare ai tempi remoti in cui il popolo festante in occasione delle grandi feste Panatenee, ascen- deva al sacro ‘colle, con ricche offerte di doni e di vittime pro- piziatorie da immolarsi agli Dei. In mezzo alla folla reverente fumavano gl’ incensi; sulle are sacre agli Dei ardevano le vi- scere delle vittime; e tra queste pareti ora mute e deserte mi- gliaia di voci glorificavano i numi della Grecia. Proseguiamo quindi lentamente il cammino fino al Partenone in mezzo ad avanzi e rottami, come capitelli, tronchi di colonne e frammenti di statue. .... Si adergono sulla nostra sinistra l Eretteo e il tempio di Minerva Poliade poi, finalmente, cal- chiamo le gradinate del Partenone che supera ogni altro edifizio di questo recinto, sia per le proporzioni, sia per la conservazione dei colonnati e degli architravi. Da qui l'occhio abbraccia tutta la spianata; vediamo i residui di una moschea e di una torre veneziana, che formano un sa- liente contrasto con quanto rimane dei monumenti antichi, ove lo sfarzo orientale è temperato dall’ attica purezza. È doloroso che anche qui la guerra abbia lasciato le sue vestigia; infatti osservammo le traccie di numerose palle da cannone sulle co- lonne dei Propilei e del Partenone; ma il danno maggiore venne fatto da uno scoppio di una polveriera il 28 Settembre 1687 e precisamente nel tempio il più bello e il meglio conservato, nel Partenone stesso; pure è tale la mole e la solidità di questi secolari residui, che soffersero meno di quello che si crederebbe. I Turchi contribuirono non poco nella loro barbara ignoranza, coll’ adoperare bassi rilievi, ornamenti, fregi, e residui di statue nella fabbricazione di bastioni e trincee, a distruggere quanto il tempo aveva rispettato. Un'altra non meno vandala mano, non però distruggitrice, fu quella di Lord Elgin, che spogliò questi luoghi di tutti i bassorilievi, statue e ornati a beneficio dei musei inglesi, regalando alla città d’ Atene un pubblico orologio, che tuttavia si vede, forse per risarcirla e pagarla dei tesori invo- PARTE NARRATIVA 151 latile (*). Pur quanto rimane è sempre bello e maestoso e più si guardano questi luoghi più vi sì scuoprono nuove bellezze. Allorché si osserva il Partenone produce un'impressione di un’ opera semplice , piena d’ armonia di forme e grande; osservato ancora, l'entusiasmo ch'esso inspira è anche più durevole e finisce in una ammirazione che non ha limiti; e il tempo, ben lungi dal togliere, conferma ogni giorno questo sentimento d’ en- tusiasmo. Bello semplice e forte il Partenone è un monumento che con la sobrietà dei suoi ornati, l'armonia delle sue parti, non può a meno di impressionare vivamente chi lo contempla, lasciandone nell’ animo imperituro ricordo. Fatto innalzare da Pericle, il tempo della sua costruzione durò dal 444 al 436 A. C. e costò più di 2000 talenti, ossia 12 milioni di franchi; Callicrate e Ictino ne furono gli architetti. La facciata di questo tempio aveva 100 piedi di larghezza, per cui fu chia- mato anche Hecatompedon. Fidia il quale era alla direzione di tutti i lavori, si era riservata la statua colossale di Minerva, fatta d oro e d’ avorio, che ornava |’ interiore della cella; essa era di metri 12 di altezza sopra 3 di base; fu portata via dai cristiani ai tempi dell’imperatore’ Giustiniano e probabilmente servi ad ornare l Ippodromo di Costantinopoli, come la statua di Giove Olimpico dello stesso scultore. Le dimensioni del Partenone erano metri 68 di lunghezza sopra 30 di larghezza, altezza totale metri 20, diametro delle colonne alla base metri 1,85, loro altezza metri 10, 20. Tutte le formole capaci all’ uomo per esternare l'ammirazione e l'entusiasmo sono state impiegate per celebrare il Partenone, il più bello dei tempii antichi, che l’azione devastatrice dei secoli e la vandala mano dell’ uomo ci abbiano conservato. Un gran numero d’ opere gli furono consacrate; molto se ne parlò, molto se ne scrisse, lo cantarono i poeti, lo descrissero minutamente (!) È noto come Lord Elgin fosse scozzese; un mio amico reduce da un pellegrinaggio a quel santuario dell’arte che è |’ Acropoli, mi narrava aver letto sopra una colonna del Partenone un grafite così concepito: Quod non fecerunt Goti Scoti fecerunt BrRon. 152 CROCIERA DEL VIOLANTE gli archeologi e gli architetti; ma la scoperta che al giorno d'oggi ha fatto ancora tanto parlare e dato tanto da dire a questi ultimi è l'osservazione fatta principalmente su questo tempio delle Curve orizzontali e delle Inclnazioni verticali. Allorchè ci trovammo sulla parte anteriore del tempio e pro- prio sulle gradinate che ne formano la base, la guida fattoci abbassare il capo in modo che I occhio restasse sul livello di un gradino, ci domandò se su quel gradino stesso all’ estremità del quale essa allora trovavasi, vedevamo nulla, e così dicendo c' indi- cava il suo cappello, a noi invisibile, collocato allo estremo dello stesso gradino; saranno stati 15 o 20 centimetri di freccia sopra la fronte dell’ Hecatompedon..... Questo fatto ci spiegò chiara- mente che cosa erano le curve orizzontali. Ad un attento osser- vatore poi non sfugge l'inclinazione verso il centro di tutti i quattro lati dell’edifizio, non formando in tal modo il tempio stesso che un tronco di piramide e questa sarebbe I’ Inclinazione verti- cale. Primo ad osservare questi segreti architettonici fu 1’ architetto inglese sig. Pennethorne nel 1837 (1). Il tempo e il clima dell’ Attica hanno dato a questi avanzi delle tinte brune dorate, mentre il marmo dei Propilej conserva un abbagliante bianchezza; sembra che su questi monumenti survoli uno spirito, un’ anima che li ringiovanisca e impedisca loro d’ invecchiare (?). Il Visconte di Marcellus, lo stesso che tanto s’ adoperò per la Venere di Milo, scrisse le sue rimembranze intorno all’ Oriente (1) Burnouf. Revue des Deux Mondes (Décembre 1847). —- Penrose. Prin- cipes de l’ architecture Athenienne. 1851. (2) Volendo darsi una ragione di questa differenza di tinte tra il Partenone e 1 Propilej, essa non si potrebbe trovare che ammettendo la Policromia dei monumenti greci osservata per primo dal sig. Beulé. Questi infatti non du- bitava che i marmorei templi greci e massime il Partenone, fossero stati co- lorati. Le prime scoperte che se né fecero non incontrarono che degli incre- duli, ma l’ attento esame dei monumenti e sopra tutto dei frammenti, hanno messo oggi fuori di dubbio che vivi colori facevano maggiormente spiccare la bianchezza del marmo in certe parti dei monumenti, mentre altre parti erano coperte da tinte leggere e graziose o affatto incolori. (Hittorf. Archi- tecture polychromique chez les Grecs). Quale dunque meraviglia se le colonne dei Propilej fossero lasciate bianche, onde far maggiormente contrasto con ì colorati monumenti che racchiudeva l’Acropoli e specialmente col Partenone? PARTE NARRATIVA 159 e mette in bocca del dotto archeologo sig. Fauvel una apprez- zazione su questo monumento che credo qui a proposito I’ ac- cennare. « Su questo Edifizio magnifico, « dice il Fauvel, » le opinioni » sono tante quanto gli antiquaril; ognuno vuole avere il suo » sistema e la sua preferenza. Un artista, colpito da queste » maestose ruine, dirà sospirando: Oh come gli antichi architetti » erano grandi al paragone dei nostri! e un altro artista perduto » nell’immensa basilica del Vaticano, esclamerà con trasporto: » Oh gli antichi non valevano not! Questi due uomini, se sono » francesi, saranno gente da battersi o da sprecar botti d’ in- » chiostro per sostenere la loro asserzione esclusiva, e, pesata » ben bene a che cosa si riduce essa? A questo precisamente » cioè: che gli antichi non costruivano chiese sulle rive del Te- » vere, e che noi non fabbrichiamo templi in Grecia ». Ed ora sia permesso a me pure stendere e sviluppare la mia gocciola d'inchiostro su questo argomento. Ammesso che la na- turalezza e la semplicità debbano essere le principali doti e i più belli attributi delle opere che sortono dalle mani dell’ uomo e che l'estetica e la vera bellezza delle sue opere debba essere una necessaria conseguenza di quelle doti, trovo nei primi mo- numenti, ossia nei monumenti antichi greci, la naturalezza delle forme, ossia le quattro mura e il tetto acuminato, la più sem- plice e più naturale abitazione fatta dalle mani dell’uomo, che in questi monumenti è portata all'apice dell'armonia, e colle sue linee severe e sobria d'ornati è diventata sontuosa e degna della residenza dei numi stessi. In queste costruzioni la bellezza e l'eleganza non sono che attributi naturali della grandezza e della maestà delle forme, cosicchè anche 1 piccoli monumenti in- gannando l'occhio ci si presentano grandi e sontuosi più che in realtà nol sieno, nè l'occhio si stanca im rimirarli e vi si compiace Tutti si accordano nel colorare questo tempio con diverse tinte e nella stessa maniera : il cielo dei suoi portici, il fregio, la cornice, la cella, infine tutte le parti alte del monumento; restando però discrepanti i pareri sulla que» stione delle colonne, volendo fare alcuni dipendere quel colore giallo oro, dalla qualità del marmo pentelico. 154 CROCIERA DEL VIOLANTE trasportato in un’ estasi di ammirazione. Trovo nei secondi I’ al- lontanamento dalla naturalezza e semplicità delle linee e dal vero concetto del bello; vi si vede l uomo in lotta contro la natura, vi si vede lo studio e la ricercatezza per far giganteggiare queste costruzioni affinchè diventino grandi monumenti, ove colla mole, colla profusione di ornati e di ricchezze si vorrebbe raggiungere la maestà e l'armonia dell'insieme così naturali ai primi. Queste costruzioni anche monumentali non sono però sempre grandiose, saziano |’ occhio ma non appagano e strap- pano un grido più di sorpresa che di ammirazione. Ciò sia detto a quattr’ occhi fra noi e con buona pace del Bramante, del Mi- chelangelo e del Bernini. Vedemmo poscia |’ Eretteo, l’altro tempio attiguo ; esso è meno vasto del Partenone, ma non meno bello nel suo genere. Quasi dimenticato dai visitatori dell’ Acropoli, basterebbe per se solo ad illustrarla; riveste nelle sue forme esteriori colle sue linee ioniche e quelle cariatidi, modelli perpetui di un’ eleganza e di una grazia inimitabile, il carattere dello stile architettonico allora fiorente sulle rive dell’ Asia e conserva col suo nome il ricordo della sua origine; ma resta però sempre offuscato dalla dorica severità del Partenone. Esso racchiudeva nella sua cinta i santuarii di Cecrops e di Minerva Polliade; vi si conservava I’ olivo sacro che questa Dea aveva dato all’ Attica e tutti i ricordi della prima religione d’ Atene; si divideva in piccoli santuari tutti con corridoi e scale, e ridotti ove si praticavano riti misteriosi. Al di d'oggi tutto è aperto alla gran luce del giorno; non più misteri; I’ occhio pe- netra fino alle sotterranee cavità, gli oracoli si tacquero, ces- sarono i riti, disertarono i sacerdoti, crollarono le are.... ma a che riandare lamentando un passato a omai sempre distrutto? Dall’ alto dell’ Acropoli lo spettacolo offre sempre quella magni- ficenza d’ un tempo. La pianura apparisce in tutta la sua vasta estensione; a Tramontana e a Mezzogiorno si vede una vasta foresta di oliveti, bagnata dalle acque del Cefiso, sulla quale si riposa con piacere lo stanco occhio in mezzo all’ arida Attica; il Parneo ha tuttavia i suoi boschi e il Pentelico i suoi marmi fa- mosi; il mare sopratutto attrae i nostri sguardi .... ecco i porti PARTE NARRATIVA 55 che incapaci erano a contenere le flotte ateniesi, da dove facevano vela per il Peloponeso, la Sicilia e l' Asia Minore, innumerevoli, rapide ed invincibili. ... Oggi vi si attende lungamente un postale, unico legame della Grecia colla civilizzazione, che ha abbandonato le sponde elleniche..... Il mare di Salamina e d’ Egina è soli- tario; la ricchezza e la potenza hanno preso altre vie, il Pireo è silenzioso, Munichia e Falero sono ricolmi di sabbia. Più non si vede il grandioso tempio di Giove Olimpico, ma solo poche e mutilate colonne .stanno sotto di noi e così si presenta all’ occhio l'arco d’ Adriano, la torre dei venti, il monumento di Lisicrate.... e tutta la moderna Atene col recente palazzo reale e i suoi giardini e la chiesa Metropolitana, entrambi monumenti pesanti, accozzaglie di stili diversi e senza gusto. Consacrato qualche tempo all’ ammurazione di questo splendido panorama lenti e a malin- cuore ritornammo sui nostri passi verso |’ uscita dell’ Acropoli. Se limperio d’ Atene disparve come quello di tanti popoli, un privilegio unico è rimasto e rimarrà alla città di Minerva: dal mezzo delle sue rovine e del suo abbandono essa parla al mondo e sembra non aver nulla perduto di quella superiorità e domi- nazione intellettuale ch’ essa si era arrogata sulle antiche nazioni; e da tuttavia ne’ suoi figli esempi d’ eroismo ed abnegazione tali, che mostrano alle nazioni presenti, che il sangue dei suoi eroi non ha tralignato, ma sì è trasfuso attraverso a intere generazioni fino al di d'oggi. Presi due fotografie del Partenone e abbandonai commosso questi luoghi; il mio compagno, forse anche più di me entusiasta, suddivideva questo mio sentimento. Nell’ uscire comperai una moneta d'argento dell’ epoca di Alessandro Magno, due piccoli vasi lacrimatorj ed una piccola anforetta; tutti oggetti garan- titi e autentici, a credere al venditore, trovati nelle tombe presso all’ Acropoli! Se anco non fossero stati veri, in quel momento, non perpetravano in me una dolce illusione? A piedi della collina in faccia all’ Acropoli, vediamo nella roccia tagliata a picco tre aperture, le due laterali eguali, quella al centro di forma ogivale. Questa porta il nome di prigione di Socrate; ha metri 3,40 di diametro ed è altrettanto alta con un’ apertura 156 CROCIERA DEL VIOLANTE in alto che veniva chiusa un tempo da due grandi e pesanti lastre, una delle quali si conserva tuttavia. Qui Socrate, secondo la tra- dizione, avrebbe bevuto la cicuta; a meno che non fossero questi antichissimi sepoleri pelasgici. Passammo quindi a visitare la massa di nude roccie che a dispetto dei secoli conservò il nome di Areopago, nessun’ altra vestigia rimane del supremo tribunale di Atene, se non che due emicicli scavati nella rocca e vari gradini; è qui dove gli Areo- pagiti, i savj ed incorrotti Giudici d’ Atene tenevano le loro se- dute illuminati, a quanto dicevano gli antichi, dalla Dea Astrea! Poco distante da questo tempio della giustizia scorgiamo una im- mensa piattaforma sorretta da un muraglione di enormi massi irregolari, uno dei quali era 4 metri lungo, 2 alto e 4 profondo; si trattava evidentemente di una costruzione pelasgica (!) che rimonta ai primi tempi dell’ esistenza d’ Atene; è qui ove si (4) Tre sono le diverse antiche costruzioni che s'incontrano nella Grecia. 1.0 Ciclopica, che e il primitivo stile di tempi preistorici. Massi irregolari di pietre enormi sono rozzamente adossati gli uni sugli altri e gli inter- stizii ripieni con piccole pietre. Queste grossolane mura qualche volta diffi- cilmente si riconoscono da roccie scoscese e Giroccate. Sono chiamate ciclo- piche perchè credute innalzate dai Ciclopi, i favolosi giganti della mitologia. Bello esempio di queste mura si trova in Argo. A Serfo pure sono indicate costruzioni ciclopiche. 2.0 Pelasgiche o Poligonali, spesse volte confuse dai viaggiatori colle ciclo- piche, appartengono ad un’ epoca relativamente più vicina a noi; i massi si presentano all’ esterno come poligoni irregolari fra loro ingegnosamente connessi e riuniti senza cemento di sorta; talvolta i massi sono già scelti e tagliati a lastroni, ossia colle superficie orizzontali, possibilmente parallele; esempio di questa sarebbe la piattaforma presso l’ Areopago; se ne trovano esempi per tutta la Grecia e nell’Italia centrale. Le enormi pietre sono messe con una certa precisione e qualche piccola pietra sì trova anche adoperata a riempiere gli interstizii. In epoca comparativamente più moderna vi si ve- dono frammiste in queste costruzioni pietre sempre più lavorate e più pic- cole in dimensione e gradatamente si passa alle costruzioni Elleniche. 3.0 Elleniche, le quali sono costruzioni dei tempi storici. I massi ricevono una forma perfettamente quadrangolare a spigoli vivi, le pietre di uno stesso strato hanno una eguale elevazione e formano mura e monumenti di una perfezione e solidità immutabile, continuando tuttavia ad esser privi di calce e cemento di sorta; le giunte delle pietre sono talmente esatte da eccitare l'ammirazione di tutti gli architetti. Esempi di queste costruzioni, noi le riscontrammo nelle rovine di Oea e Santorino miste però con qualche traccia pelasgica, e nella cinta fortificata dell’ Acropoli da’ Atene. Sono queste le prime mura che cominciarono ad essere merlate e anche bucate da specie di feritoie. Sembra che i greci non abbiano mai adoperato mattoni nelle loro costruzioni, PARTE NARRATIVA log agitavano le popolari deliberazioni e si adunava il popolo per ascoltare gli oratori e provvedere allo stato. In un lato di questa piattaforma vediamo un’ enorme tribuna tagliata nella pietra a cui si accede per tre gradini; era questa la tribuna degli ora- tori; è qui dove Temistocle invitava gli Ateniesi a ritirarsi a Sala- mina per vincere |’ Asia; è da qui dove Pericle governava tren- t' anni col senno e colla parola il primo popolo del mondo; è qui dove Demostene meritava la immortale corona e dove scagliava la folgore sul capo del Macedone conquistatore. Da quest’ altura scendemmo in breve al tempio di Teseo. Di tutti gli antichi monumenti di Grecia non solo, ma d’ Italia, è questo quello che è più conservato; si direbbe che rispettando questo monumento ebbe cura il tempo di giustificare quella pre- dizione del poeta latino Ere Manet, aeternumque manebit Infelix Theseus...... Situato com’ è sull’ estremità di una gran piazza, coll’ armonia delle sue proporzioni e con la tinta bruno dorata di cui il tempo ha rivestito il marmo pentelico delle colonne, esso fa una bellis- sima impressione. È strano che sotto un’ apparenza così maestosa prenda così piccole dimensioni allorchè vi sì avvicina; nessuno edifizio presenta un esempio più evidente dell’ arte meravigliosa con la quale gli antichi riescivano a produrre con elementi i più semplici degli effetti pieni di grandezza. Il tempio fu innalzato da Cimone in onore di Teseo, per ricordare la sua apparizione alla battaglia di Maratona. Cominciato l’anno 469 A. C. fu ter- minato il 465, ossia 30 anni circa prima del Partenone. L’ edi- fizio è in marmo pentelico e si posa sopra una base di pietra calcare. Esso conta 39 colonne, ha metri 32 di lunghezza sopra 13 di larghezza e la sua altezza totale è metri 10; le colonne sono metri 1,02 alla base e di metri 5, 70 d’ altezza. Minacciato d’ es- prima della dominazione romana; come pure sembra che non conoscessero affatto gli archi e le volte fatte con pietre tagliate a cuneo. (M. Batissier. Histoire de l’ art monumental dans l’ antiquité et au moyen age: 2.° edit. 1870). 158 CROCIERA DEL VIOLANTE sere demolito dai Turchi nel 1660, percosso dal fulmine e scosso dai terremoti, l'insieme del monumento si è conservato quasi intatto e |’ interno è diventato un museo di sculture antiche. Una dracma data al custode guardiano di questo tempio ce ne apri le porte. Le mura nell’ interno conservano tuttavia le traccie di stucchi e pitture di cui Cimone |’ aveva decorato. Tutto ci fu fatto mi- nuziosamente osservare, cominciando dai bassorilievi di Fidia fino alle tombe degli Inglesi a cui è saltato il ghiribizzo di andare a farsi sotterrare all'ombra e sotto la protezione del vincitore del Minotauro. Tra le tante sculture e i bassorilievi quivi radunati, quel che parvemi più curioso fu uno stele (bassorilievo) conosciuto sotto il nome di Soldato di Maratona. Fu trovato vicino ai campi di Maratona e rappresenta un guerriero con una lancia alla mano e sembra appartenere più all’ arte egiziana anzichè alla greca. Il nostro Mentore ci assicurò ch’ esso rappresenta quel soldato che primo portò in Atene la nuova della grande vittoria e che subito dopo la gloriosa notizia, cadde morto sfinito dalla stan- chezza. Usciti da questo tempio ci dirigemmo all’ antica Necropoli d’ A- tene, detta il Ceramico, ove si vanno ora facendo degli scavi. Fra i monumenti funebri più o meno guasti, quello di Dexileo è uno dei meglio conservati; vien questi rappresentato a cavallo atter- rando un guerriero. In varie tombe furono trovati oggetti d’ oro, come anelli, smanigli, collane, nonchè armi ed armature. Ci ven- nero indicate due tombe intatte che dovevano essere scoperchiate al ritorno del Re in Atene; sembra che egli si curi molto della conservazione degli antichi monumenti. Gli Ateniesi per rinvigo- rire gli smarriti animi e per tener desto in tutte le generazioni il sentimento della patria, evocavano gli estinti e davano voce e favella alle tombe; non seppellivano già essi gli illustri Ateniesi nel recinto solitario del Ceramico, ma le loro ceneri erano de- poste in sontuosi monumenti e collocate sopra la via principale che conduceva all’ Accademia. Quale diversità di costumi .... al pre- sente ci è insopportabile I’ aspetto di una tomba e rileghiamo in funereo campo le ossa dei congiunti, ove la vanità dei vivi stanca di bugiardi epitaffi le glebe dei morti! Sopra la tomba di Pericle, PARTE NARRATIVA 159 il grande ristauratore d’ Atene, non vi si leggeva che questa iscrizione : Pericle della tribù Acamantide del sobborgo di Colargua. Così alla vita era grande lezione la morte. Per ultimo visitammo la torre de? venti, edifizio ottagono di circa 9 metri di diametro sopra 18 di altezza; le 8 facciate sono orientate secondo la rosa dei venti e sormontate da un fregio a seconda del vento che rappresentano. Questo edifizio serviva inoltre da orologio pubblico, essendovene uno solare ed un altro idraulico; esso s' innalza da un sotto suolo, pavimento inferiore all’ attuale, poichè qui come a Roma, la nuova città s’ innalza sulle rovine dell’ antica, e le superbe macerie dei templi e dei monumenti son talvolta umile base al modesto tugurio. Facciamo in seguito un giro pel Bazar, che non da nessuna idea dei Bazar orientali e vi facciamo acquisto di alcuni barattoli di miele del monte Imetto, tanto decantato nell’ antichità; com- periamo fez, pugnali, fotografie, cibuch (pipe orientali) e ritor- niamo all’ albergo. Al pranzo fra le altre cose ci venne offerto un piatto turco e del vino detto ricinato ; hum! ci bastò il nome, nè lo volemmo tampoco provare. Nella sera per ferrovia ritor- niamo al Pireo. Il console c’ invitò con lui al teatro del Falero, ove sentimmo la Linda di Chamounix data da una buona com- pagnia d’ artisti italiani; sul più bello però un’ uggiosa pioggia ci disperse e non fummo tranquilli che a bordo del nostro Violante. Domenica 13. — Il prof. A. Issel mi aveva caldamente racco- mandato di visitare una località vicina ad Atene, chiamata Pi- chermi, ove si trova un ricco giacimento fossilifero , che fu esplo- rato da diversi naturalisti e recentemente dal geologo francese Albert Gaudry. Dedicai perciò questa giornata a Pichermi. Dopo colazione scendemmo a terra e poco dopo ci trovammo sulla piazza del palazzo reale. Scelta una buona vettura e col nostro Mentore del giorno innanzi al fianco, partimmo di trotto alla volta di Pichermi. Il Prof. Issel avendomi detto che la loca- lità era vicina ad Atene e ciò essendomi stato confermato dalla guida, non mi curai d’ altro e dato uno sguardo al monte Imetto 160 CROCIERA DEL VIOLANTE di cui costeggiavamo le falde, mi addormentai. Era forse un’ ora e mezza che la vettura seguiva il suo cammino, allorchè mi svegliai e meravigliato dalla natura selvaggia del luogo e pit che selvaggia malinconica e tetra, domandai alla nostra guida dove eravamo, a che mi rispose: « sulla via di Maratona e presso al luogo ove i briganti greci uccisero nel 1872 i ricattati inglesi e italiani ». Non potei trattenere un’esclamazione di sorpresa;.e il Giusti al pari di me spiacevolmente impressionato rivolse alla guida alcune domande. Questi ci rispose dicendo: che da qualche tempo non si sentiva più parlare di briganti e sog- giunse per confortarci, che gli altri viaggiatori, allorchè visita- vano queste contrade, ne davano avviso alle autorità, le quali mandavano sul luogo gendarmi a cavallo in perlustrazione. Essendo noi partiti in gran fretta era mancato il tempo di dar l’avviso opportuno. — Dopo due ore e */, di vettura arriviamo ad una fattoria e persuadiamo un contadino a prendere la sua zappa e a salire sul cassetto della nostra vettura; ancora 1/, d’ora e giungiamo presso il luogo degli scavi. È questa una specie di valletta occupata dal letto di un torrente asciutto; il terreno è d’ alluvione e in qualche luogo franato dalle pioggie e dalle acque del torrente. Scavando entro queste frane che formano un muro quasi verticale, vi rinvenni un frammento di coltellino d’ ossidiana sottile piatto, di sezione quadrangolare, con due tagli seghettati e cocci di stoviglie mal cotte e non tornite; vera qualche cenno di assaggi fatti da altri nel terreno, ma superficiali. Fummo quindi condotti in un luogo ove feci buona caccia di ragni, insetti e conchiglie senza trovare il menomo indizio di ossa fossili. Un pastorello gentile dallo sguardo dolce, dal volto sereno, un vero pastore d’ Arcadia, ci mostrò col suo vincastro la dire- zione del punto ove erano stati praticati i più recenti scavi. Giunti sul posto trovammo infatti il terreno tutto sconvolto e smosso e vi raccogliemmo alcuni denti e ossa fossili di ruminante. Ma per scavare con frutto bisognava aver uomini e tempo, e non disponevo nè degli uni nè dell’ altro. Il giorno era sul decli- PARTE NARRATIVA 161 nare e la lugubre memoria che in noi ridestava questa località mi fece affrettare il ritorno. Traversammo un bosco di olivi antichissimi, a giudicarne dagli enormi e vetusti ceppi, e vedemmo alcune cappelle rovinate. Il nostro Mentore ci assicurò che in questi luoghi selvaggi, odonsi ben spesso nell'inverno, ululare i lupi che qui scendono dalla montagna attirati dagli armenti. La strada traversa quindi vaste pinete, ove osserviamo un gran numero d’alberi, la cui cor- teccia porta incisioni a collare così profonde da mettere allo scoperto le fibre del legno e attorno alle quali si vede raggrumata una specie di reséna. Avendo richiesta alla guida la spiegazione di questo fatto, ci rispose, che si fa raccolta di resina per met- terla nel vino acciocchè si conservi, e ciò presso Atene come in tutta la Grecia. Ecco la ragione, del sapore resinoso che hanno molti vini di questo paese. S' incontrarono quindi magri pascoli sui quali veggonsi qua e là errare branchi di pecore; il nostro cicerone ci disse che appartenevano a due fratelli Biriako e ad un Stravosogonos, una volta banditi e briganti audacissimi. Il governo aveva fatto quanto poteva per prenderli ma non vi era riuscito. Essi solevano rimanersi per poco tempo tranquilli, poi tutto ad un tratto e più particolarmente durante le ele- zioni politiche, venivano fuori con qualche audace aggressione. E ciò spiegano i Greci dicendo che 1 partiti soccombenti si pro- curavano, pretesti d’ opposizione col suscitare il brigantaggio. Fatto sta che non potendo il governo ridurli a dovere colla forza, scese a patti, e concedendo loro l’amnistia, passò loro 80 dracme mensili cadauno; così dormi tranquillo, ed ora quei tre soggetti da galera vivono come agnelli! Era Domenica e giorno di festa quindi, ritornati in Atene ve- demmo tutta la gente in movimento e affollato il passeggio al pubblico giardino. Ivi osservammo parecchie graziose acconciature nazionali, ma nella classe agiata la moda di Parigi regna so- vrana ; il pittoresco costume greco è a poco a poco abbandonato ed appena sì conserva nelle isole e nelle parti più montuose dell’ interno. Anche la vantata bellezza greca è pur diventata rarissima. Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (19 Novembre 1877). ll 162 CROCIERA DEL VIOLANTE Il nostro automedonte per la soverchia cura dei suoi cavalli giunse in ritardo alla stazione e dovemmo aspettare due ore un altro treno per restituirci al Pireo. Tornammo nella sera al Falero col console e ivi assistemmo alla rappresentazione del Ballo in Maschera; per cui non eravamo di ritorno a bordo prima della mezzanotte. Lunedì 14. — Staccata nel mattino la patente di Sanità debi- tamente vidimata dal console Turco, e imbarcate provviste di biscotto e viveri freschi, levammo I’ ancora alla 1. pom. e con leggero vento da Libeccio uscimmo bordeggiando dal porto. Il console volle darci il buon viaggio e non ci lasciò che all’ uscire dal porto. i Il vento si stabilisce M.° L.° e si naviga con tutte le vele rego- lari. Da lontano diamo ancora un addio alla maestosa Acropoli che si dilegua e quindi dirigo tra l'isola Caidaro e la costa, ove appariscono le punte di terra biancheggianti che Serse, fug- gendo dopo la battaglia di Salamina, aveva preso nella notte per vele dell’armata ateniese sicchè, come dice Erodoto, più ra- pido fuggiva. Nella notte restiamo in calma presso al Capo Co- lonna. Martedì 15. — Alle 4 del mattino vento soave da G.° T.a, bella giornata, mare tranquillo; molti velieri e parecchi vapori sono in vista diretti pel Canal Doro. A mezzogiorno siamo in mezzo del canale di Zea. Alle 5 scambiamo saluto con una corvetta corazzata di bandiera greca. Nella notte con calma, quasi perfetta e brezza leggera e variabile si governa pel fanale d’ Andros. Mercoledì 16. — Mare e vento rivaleggiano in galanteria, leggermente increspato |’ uno moderato I’ altro, epperò si bor- deggia nel modo migliore per passare il canale d’ Andros. L’ isola montuosa e fertile che porta questo nome e ci sta sulla dritta è la più settentrionale della Cicladi; in essa Bacco ebbe un culto particolare. Il canale è formato da Andros e da Negroponte (l'antica Eubea) ove sorgeva la città di Calcide così presso al continente che fu congiunta alla Beozia per mezzo d’un ponte. Il Capo Doro che limita il canale è scosceso e roccioso; esso era PARTE NARRATIVA 163 molto temuto dagli antichi, i quali lo conoscevano col nome di Cafareo. Una parte della flotta greca reduce dall’ assedio di Troia vi fece naufragio. L’ influenza della corrente che scende da Tramontana comincia in questo canale a rendersi sensibile. Molti vapori e velieri sono in vista, tra iquali un legno da guerra a vela con rotta a nol opposta. A mezzogiorno Lat. 38° 5! T. Long. 24° 50! L. £. Il vento ringagliardisce da Tramontana, ma nella notte spira più moderato; si corre colla bordata sopra l'isola di Psara. Giovedì 17. — Alle 2 del mattino viro di bordo a 2 miglia di distanza dall'isola. Rimasto seduto sulla poppa a contemplare questa terra, la quale vicina all’ Asia Minore e a Smirne, come sentinella della Grecia domina da lunge il mare Egeo, quest’ iso- letta dalla quale sorse la scintilla, come da Idra e Spezza sue fide sorelle, che accese l'incendio della rivoluzione greca, mi passarono per la mente quelle terribili e memorande parole pro- nunciate dal feroce sultano Mahmud, allorché informato della ribellione di Psara e fattosi mostrare sopra una carta la posizione dell’ isola che compariva. fra le altre come un impercettibile punto « è questa disse sogghignando, è questa la terra così infesta al mio vasto impero? » voltosi al gran visir Ghalib: « Sia » questo punto cancellato; chiama Kosreu Pascià, ordinagli di » partir subito, di legar Psara alla poppa del suo vascello e di » trarla sotto i chioschi del mio palazzo! (!) » Degno del suo padrone fu il servo e dei feroci propositi fedele interprete. Contemplando Psara in quell’ ora notturna, mi pareva che una sinistra luce la rischiarasse, che nuvoli di fumo, ed un acre odore di polvere s’ innalzassero da quei colli rocciosi; mi pareva che sulle onde, vermiglie di sangue, galleggiassero i corpi degli in- felici sgozzati nel sanguinoso eccidio. Io scorgeva le fumanti ro- vine del castello di S. Niccolò fatto saltare dagli Psarioti anzichè arrendersi, e udivo tuonar la voce di Kosreu, il feroce Ca- pitan Pascià, mentre eccitava le sue ciurme alla strage. La ma- schia figura di Costantino Canaris sembrava giganteggiare in (!) Brofferio Scene elleniche. Vol. 1. pag. 277. 164 CROCIERA DEL VIOLANTE mezzo a quella ecatombe e sulle fumanti rovine giurar vendetta ai trucidati fratelli! Intanto la notturna brezza ci spingeva lungi da quel lido e coi primi albori svanirono i tristi pensieri. Al sole novello altro non m' apparve di Psara che una lunga ed oscura striscia sul- l’estremo *orizzonte. A mezzogiorno, essendo in Lat. 30° 49' L. Long. 24° 48' L. g., presso all’ isola di Schiro, Skyros, viro di bordo prendendo le murre di sinistra. Quest’ isola, ora quasi deserta, ci vien ricordata da Omero come regno del re Licomede. Si è tra le donzelle di Skyros che si tenne celato il bollente Achille, finchè Ulisse non venne a trarnelo. Passando sul banco di Mansell, vedemmo molti uccelli di mare, pesci, delfini e quattro capidogli sui quali scaricammo inutilmente le nostre armi; il Giusti uccise invece un Puffinus Yelkouan che venne la sera stessa preparato. Nella notte si rimase in bo- naccia; decisamente la Tramontana era stanca, o spiaceva agli Dei che si abbandonassero così presto questi luoghi a loro già sacri. Venerdì 18. = Alle 4 ant. il vento si dichiara da Greco e va gradatamente crescendo di forza, per cui tolgo la freccia e viro di bordo mettendo la prora sopra I’ isola di Lemno. Presso quest’ isola, nella sua parte mezzogiorno, restiamo in calma con poco vento e mare agitato dal vento del mattino e dalla cor- rente, 1 cui effetti si fanno qui sentire assai fortemente. Lemno presenta ovunque traccie di commozioni vulcaniche e si collega così la natura del suolo alle leggende dell’ anti- chità che facevano di essa una delle fucine di Vulcano e dei suoi Ciclopi. Intanto il tempo sembrandomi minaccioso tentai di gettarmi nella Baia di Mudros che è nella parte mezzogiorno di quest'isola, ma la corrente e il poco vento non me lo permisero. A mez- zogiorno Tato Ione: 125.0 29M Il vento passa poi a Maestro e mi permette di far rotta per lo stretto dei Dardanelli, ma dopo breve calma, alle 4 passa a G.° T.3; PARTE NARRATIVA 165 prendo allora le murre a dritta e non viro di bordo che in prossimità del banco di Aharos situato a Greco di Lemno. Questo banco non dev’ essere altro che la sommersa isola di Crise nota agli antichi per esservi stato abbandonato I eroe Filottete. Qui Lucullo vide ancora l’ altare presso il quale un serpente lo aveva ferito (1). L’ aria intanto s' andava sempre più oscurando, il cielo si copriva di nubi di un color plumbeo, il tuono rumoreggiava in lontananza e 1 delfini, fiutando la tempesta, soleavano le onde correndo loro incontro; l'apparente calma di vento m’ annunziava più certo e più vicino il temporale. Stavo ansioso coll’ occhio rivolto verso quel tetro e minaccioso orizzonte aspettando una burrasca di cui indarno avrei voluto scandagliare la forza, la du- rata, e l'intensità. Il legno intanto in balia del mare sconvolto e rotto dalla corrente, senza governo, soffriva un poco. Povero Violante, allora più che mai gli augurava il tranquillo ancoraggio della Baia di Mudros! Una bianca striscia parve alfine staccarsi dall’ orizzonte, avanzarsi velocissima, distendersi e coprir tutta la superficie del ,mare di minutissima spuma; era il vento che precedeva la procella. Il Violante frattanto si era disposto a rice- verlo come si conviene, chè serrata in quel punto la terza mano di terzaroli resistè bravamente al primo cozzo della tempesta. Il vento sibila impetuoso sul sartiame e nell’ alberata e grosse stille d’acqua miste a grandine ci offendono il viso, mentre l’acqua del mare strappata dal vento ci flagella de’ suoi spruzzi; l'onda bolles gorgoglia e si frange contro lo scafo, la bufera imper- versa ed aumenta, guizzano le saette e |’ oscurità della notte sopraggiunge ad accrescere |’ imponenza di quella grandiosa lotta della natura. Il mare fatto gonfio dal vento, dichiaratosi fortunale, comincia ad innalzarsi minaccioso riversandosi in grosse ondate sulla coperta. Temendo qualche disgrazia, invito il Giusti a ricoverarsi nel quadratino coi due mozzi e il marinaro franco di guardia; 10 rimango al timone cercando sulla mal ferma (1) Cosi nelle Rimembranze intorno all’ vriente del Visconte di Marcellus. Ma secondo Omero, Filottete ebbe ferito un piede essendovi caduta sopra una freccia di Ercole tinta del sangue del Centauro Nesso e perciò avvelenata. 166 CROCIERA DEL VIOLANTE bussola di dirigere il legno all’ ancoraggio di Tenedos. Il fanale di quest’ isola che vedevo alle 8 della sera e che mi avrebbe servito di guida durante la notte, mi vien dalla nebbia tolto affatto di vista. Perduta così questa unica guida, mi pareva imprudente correre all’ impazzata verso la terra che non vedevo, e incerto com’ ero della mia posizione per la corrente che in questi paraggi si ri- sente fortissima, temevo pure i banchi di Kharos che mi restavano sotto vento; in questa critica situazione e sotto quel vento im- petuoso decisi di attendere il nuovo giorno, procurando di man- tenermi possibilmente nelle stesse acque. Verso la mezzanotte crescendo sempre la forza del vento e del mare e perdurando completa I’ oscurità non interrotta che dal rapido guizzar dei lampi, rimango col solo piccolo fiocco e la vela quasi del tutto ammainata. Sabato 19. — Seguita tutta la notte una vera tempesta, il vento anzichè diminuire sembra col far del giorno voler crescere di forza, ma è il suo ultimo e supremo sforzo, chè da questo momento va sempre scemando. Avvisto Tenedos e siccome non rimane tanto sottovento quanto mi sarei immaginato, anzichè verso Tenedos tento di dirigere per la Baia di Besika, ma il legno e l’alberata soffrono troppo e temo fortemente che qualche colpo di mare non ci faccia avaria o trascini qualcuno di noi in mare, quindi faccio rotta invece per la punta mezzogiorno di Tenedos. Parecchi bastimenti scorgevansi intorno a noi con vele, ridot- tissime, tra i quali alcuni di grossa mole; da ciò potei assicu- rarmi che la nottata non era stata cattiva e burrascosa pel solo piccolo Violante. Man mano che ci avvicinavamo all’ ancoraggio si restava a ridosso del vento e del mare. Frattanto il cielo essendosi alquanto rischiarato feci aprire il boccaporto e chiamai la gente in coperta. Primo a sorgere fu il Commissario, il quale facendo capolino mi diede la sconsolante notizia che tutto il nostro vino aveva durante la notte fraternizzato coll’ acqua della sentina. Trovai il mio compagno di viaggio un poco sbalordito da quella notte agitata, ma pronto tuttavia per la colazione. Alle 10 diedi PARTE NARRATIVA 167 fondo nella Baia di Yukery in 9 metri d’acqua e poco lontano dalla costa. Nella burrascosa nottata non ebbi fortunatamente a lamen- tare alcuna avaria, la pompa, a cui feci dar mano appena arrivati, non trasse che il vino versatosi e poca acqua stillata dalle mastre del boccaporto. Il Violante era più baldo di prima. È vero che sotto coperta regnava un po’ di disordine; le stovi- glie si erano moltiplicate e non v'era oggetto che non avesse più o meno mutato di posto, ma nessun serio guasto era avve- nuto. Un brano del giornale del Commissario può dare una pal- lida idea dell’ interno del Violante nella notte dal 18 al 19. «..... » Vengo dal Comandante amio malincuore confinato nel quadratino » coi mozzi e marinai franchi, 1 quali non potendo stare nella » bassa prora, perchè balzati qua e là dai violenti sussulti » che soffre il bastimento, si sono rifugiati nel nostro locale. » Stiamo distesi su vele bagnate e quivi gettate alla rinfusa la » sera precedente, cercando inutilmente riposo. Ho messo tutto » quello che ho potuto nei cassetti; ho legato e assicurato » quanto minacciava di cadere, ma sento un tic tac che non » mi piace ..... è il barile del vino che va in fasci. Un solo » marinaio sta in coperta col comandante; noi nel quadrato, » come osserva il marinaio Filippo, siamo come tanti Giona » nella Balena, e non ha torto, poichè sentiamo le onde che » s' infrangono contro i fianchi del bastimento e si riversano furio- » samente sulla coperta. Oh Dottore Dottore, perchè non essere » qui con noi a ballar la Furlana; scommetto che acquisteresti » un appetito da digerire un capodoglio! » Si vede che nono- stante il tempo cattivo il buon umore regnava fra i reclusi del quadratino! Trovammo in rada 50 e più bastimenti quivi ricoverati tra quali ne conoscemmo qualcuno per genovese. Dal luogo dell’an- coraggio sì vedeva in distanza, nella direzione di Tramontana, una selva d’ alberi e pennoni che rivelava la presenza della squa- dra inglese ancorata a Besika; sulla nostra sinistra vedevamo la città di Tenedos, la sua vecchia fortezza, sulla dritta una terra ondulata, bassa, coperta di verdi cespugli. ‘ 168 CROCIERA DEL VIOLANTE Il cutter era ormeggiato in luogo sicuro, nè richiedeva piu oltre la mia vigilanza, ed io però mi gettai sul mio letto cer- cando riposo .... Indarno sperai prendere sonno, un pensiero non mi lasciava, quello che d’innanzi a noi v era la Troade! Chi avrebbe potuto dormire? Mi slanciai in coperta e vi trovai il mio compagno di viaggio, presso il quale già stavano I Iliade, l Eneide e una carta topografica stesa sulla coperta; teneva fissi gli occhi a terra e stava certo evocando le memorie dei tempi eroici. Quasi vergognoso d’ essere stato preceduto, mi diedi ad ammirare lo spettacolo che aveva sotto gli occhi. Questa terra piana e a dolci pendii è la costa di Troia, Campos ubi Troia fuit..... il teatro delle immortali gesta tramandate alla posterità dal genio greco e dal genio latino, da Omero e da Virgilio ed ora come Enea nel raccontare la sua storia a Didone, posso ben dire: Est in conspectu Tenedos. poichè ecco appunto di contro a noi l'isola da dove uscirono 1 serpenti che avvolsero nelle loro terribili spire Laoconte e i suoi figli ed offersero alla statuaria antica il tema di un capolavoro insuperabile (*); le rocciose e quasi inaccessibili coste dell’isola confermano quel verso che I’ accenna..... statio male fida carinis... Sarebbe però difficile di trovare il luogo ove la flotta dei greci si celò dopo la simulata partenza che ingannò i Troiani. La posizione di Tenedos all’ entrata dei Dardanelli ha sempre dato a quest’ isola una certa importanza. Colonizzata probabil- mente dai Fenici, saccheggiata dai Greci durante la guerra di Troia, fu ripopolata da una colonia Eolia. Sottommessa poi da Serse, servi di stazione navale durante la guerra dei Persiani; cadde in seguito sotto la dominazione d’ Atene fino al regno d’ Alessandro. Dopo la dominazione Macedone, subi quella dei Romani. Nelle sue acque Marcello sconfisse Mitridate. Sulla costa I’ imperatore Giu- stiniano fece costruire, per dar ricetto alle derrate provenienti da Alessandria e dirette a Costantinopoli, un gran fabbricato, le (1) Questo si conserva, come è ben noto, nel museo del Vaticano. PARTE NARRATIVA 169 cui rovine si vedono ancora al presente. Nell’ eta medioevale la sovranita di quest’ isola fu assai disputata fra Genovesi e Vene- ziani. Maometto II, dopo dubbia fortuna la tolse definitivamente ai veneti nell’ anno 1657. Nel 1820 la flotta turca vi fu in parte incendiata dai bru/otti dell’ eroico Canaris. Il piccolo porto di Tenedos presenta un aspetto assai pitto- resco; la città è addossata ad una collina che è dominata da una fortezza triangolare, un modesto minareto tradisce una moschea. La popolazione conta circa 3000 ab. Turchi e Greci. L’ isola produce un famoso vino moscato. Il vento che continuò a spirar freschissimo durante il giorno, tanto da obbligarci a rimanere a bordo, andò nella sera grada- tamente calmando. Nel giorno avevamo occupato il tempo a fare parecchie dragate e a tirare al bersaglio. Alle 5 ant. il vento tuttochè nuovamente ringagliardisse, ci permise però uno sbarco sulla costa Asiatica. Nella breve traver- sata il Giusti uccise un giovine Larus melanocephalus. La spiaggia è tutta formata da una arena biancastra e più innanzi il terreno è coperto da fitte macchie di mirti, oleastri e lentischi. Lascio che il Giusti s innoltri nell’ interno per far caccia ed io mi reco intanto sulla punta che divide la baia di Besika dalla baia di Yukery e da quel luogo prendo una fotografia della squadra inglese. Imcontro poi Giusti sulla spiaggia ed egli mi mostra la sua caccia che consiste in parecchie tortore.... Mi dice di aver pur vedute parecchie Upupe. Non vedevo I’ ora di raggiungere Dardanelli poichè almeno cola, anche malgrado un vento freschissimo, il Violante avrebbe potuto far molto cammino bordeggiando tutto lo stretto. Quindi giunto a bordo impartii gli ordini per la partenza e alle 9 perdurando il mare grosso e un vento freschissimo da Greco Tramontana spiegai le vele. Varii piccoli rimorchiatori provenienti dai Dar- danelli girovagavano per esibire i loro servigi a varì bastimenti che andavano verso il canale. Più d’ uno venne ad offrirci il rimorchio; ma rifiutammo. Poichè il Violante fu libero di se con due mani di terzaroli alla vela, piccolo fiocco e alberetto ricalato, si slanciò nella baia 170 CROCIERA DEL VIOLANTE di Besika per dare un saluto alla squadra inglese. Stava questa bellamente disposta in 3 file parallele alla costa ed era forte di 10 corazzate, tra le quali 3 monitors a parapetto (breastwork monitors) le quali formavano la fila più a Levante, ossia più prossima al lido. Erano tutte ormeggiate sopra due ancore , avevano gli alberetti ricalati e dal vapore che usciva ancora da qualche tromba si poteva argomentare che qualcuno aveva do- vuto aiutar le ancore colla macchina. In terra vedevansi delle tende da campo che supponemmo appartenessero all'ospedale della squadra. | Queste fortezze galleggianti, queste montagne di ferro tutte tinte di nero, vera negazione del bello, lasciavano travedere dalle cannoniere delle loro torri enormi cannoni lucenti che parevano quasi altrettanti occhi nelle cavernose occhiaie di mostri immani del mare. Gli angolosi contorni, le disadorne linee del moderno naviglio mi parevano fuor di luogo presso quelle classiche pla- ghe. Si, chiamatemi pure sognatore e poeta; ma allora non po- tei a meno di ricordarmi d’ un evo marinaresco che fu tutto no- stro, durante il quale quella croce vermiglia che è ora insegna degli Inglesi fu il temuto gonfalone di Genova repubblica. Quante volte sorsero sull’ ancora innanzi a Besika le sottili galee degli Zaccaria e dei Gattilusii! Quante volte esse salparono per correre a voga arrancata al conflitto epico! Ecco guizzar sull’ acqua le spalmate carene; i palvesi scintillanti d’ oro e d'argento ne di- fendono i fianchi. In quei palvesi scorgo gli stemmi dei Doria, dei Grimaldi, degli Interiani, dei Malocelli, dei Vivaldi e dei Giustiniani! Guardate come è bella quella capitana! Oh la leggiadra curva del tagliamare! oh la robusta palamenta! oh la bell’ arcatura delle antenne dalle quali pendono e s'agitano fiamme, gonfaloni ed insegne! L’ argento e la seta, la porpora e il terzo pelo spuntano dalle intermittenze dell’ armature luccicanti e cesellate che rico- prono i cavalieri del mare. La gioconda fanfara alterna gli acuti squilli colla nacchera saracena. Chi sono i nemici? Son Catalani, Greci, Pisani o Veneziani; poco monta! E il numero loro? Non sì conta! PARTE NARRATIVA V1 Ma già l’aria è oscurata dal fumo della chiroboarda () e volano le quadrella. Il rombo delle artiglierie alterna coi gridi di guerra. Aur,aur! esclamano i Catalani, San Marco! gridano i Veneti, Panagia! i Greci; 1 Genovesi un grido solo, San Giorgio il Valente! E poi cozzano le prore, tempestano i verettoni, rim- balzano le palle di marmo, frombolano i sassi, s’ urtano e s'avvinghiano e scricchiolano i legni, si spezzano i remi, cigola il fuoco greco, gemono, maledicono e pregano i moribondi..... La pugna diventa generale ed accanita e cessato poi lo sparo delle ormai inutili artiglierie, per essere le navi Puna all'altra arrembata, la battaglia degenera in zuffa, in sanguinosa mischia a singolar tenzone, in una lotta corpo a corpo, petto a petto.... E questa la vera battaglia navale in tutta la sua ferocia, la guerra a mezza spada che iromani ci hanno insegnata, la bat- taglia colorita, multiforme, delizia del poeta e del pittore, trionfo dello storico, perchè |’ eleganza suprema può regnare anche nell’ orrido. IlViolante venne di bordata sotto alla poppa della corazzata il Triumph, che batteva bandiera di Commodoro; era Domenica e suonava l'ora della preghiera; in luogo della bandiera nazionale , la vermiglia croce di S. Giorgio in campo bianco, stava issato in quel momento il segnale della preghiera, segnale che ricorda ad un tempo Dio e Patria. Dalle cannoniere delle batterie vedevamo gli equipaggi allineati e i volti abbronzati dei marinai, starsi chini e riverenti innanzi al sacro ufficio. Salutammo tre volte la vecchia Inghilterra, e non era ancora ultimato il saluto, che la bandiera nazionale sostituita al segnale della preghiera avea sfiorato per tre volte la tolda della corazzata. « Quanta minor premura e cortesia ci dimostrò in Sira una fregata Austriaca! » mi sussurrò all’ orecchio il Commissario il quale, col lapis in mano, prendeva intanto il nome di questa co- razzata scritto in caratteri cubitali, sull’ estrema poppa. Bordeg- giando quindi in mezzo alla squadra passammo in seguito di poppa alla corazzata Monarch, ai monitor a torri Ruppert, Hotspur, all’ Hercules corazzata ammiraglia che portava la bandiera del (1) Nome delle prime artiglierie di mare. gee CROCIERA DEL VIOLANTE Vice Ammiraglio Drumond, alla corazzata Pallas, al Swifisure , al Sultan, all Invincible e finalmente alla Devastation. Virammo parecchie volte di bordo sul traverso delle corazzate, quasi a sfiorarle, e sotto agli occhi degli equipaggi, i quali, ultimata la preghiera, erano saliti sulle impavesate e sulle sartie per meglio vederci. Passando sotto la poppa dei varii legni salutammo i comandanti e I ufficialità agitando i nostri berretti, saluto che ci fu sempre cortesemente contraccambiato. Il mare che sempre padrone della coperta si frangeva ad ogni istante sopra di noi, la vela bagnata dagli spruzzi quasi fino al picco e il mio piccolo equipaggio in tenuta d’ acqua, aggrappato attorno al boc- caporto, davano al Violante, sotto alle sue due mani di terzaroli, un aspetto che credo abbia fatto peccar di desiderio più d’ uno dei tanti ufficiali della flotta, i quali da più di tre mesi rima- nevano inerti in quel luogo vestiti dei loro brillanti uniformi e stavano sui casseretti e sui palchi di comando delle diverse co- razzate, seguitandoci coi cannochiali e pigliando interesse alle nostre evoluzioni. A mezzogiorno viro di bordo vicino alle isole dei Conigli, Lagusses degli antichi, e quindi sulla costa di Troia presso ad un piccolo promontorio che i marinai chiamano Capo di Trota, il quale corrisponderebbe alla posizione dell'antica città di Agamza. Viro ancora una volta tenendo le stesse murre fin presso Jmbros , isola di nessuna importanza e poco menzionata nell’ antichità. Presso quest’ isola incontriamo di controbordo un Brik senza ban- diera con forti avarie nell’ albero di trinchetto forse riportate nella passata burrasca; dallo scafo mi parve Austriaco. Alle 5, nonostante il vento e la forte corrente contraria giun- giamo finalmente sotto a Capo Ellas ed entriamo così nello stretto dei Dardanelli. STRETTO DEI DARDANELLI. Questo stretto, detto dagli antichi Hellespontus, separa |’ Europa dall’ Asia e unisce il mar di Marmara, la Propontis degli antichi, all’ Arcipelago. Esso si estende da (Gallipoli all’ estrema punta PARTE NARRATIVA iS della penisola del Chersoneso di Tracia, per una lunghezza di 35 circa miglia, la sua larghezza varia da meno d’un miglio a 4 miglia. La corrente scende costantemente dal mar di Marmara all’ Arcipelago e si vuole sia prodotta dalla gran massa d’acqua dolce che versano i grandi fiumi nel mar d’ Azof e nel mar Nero. Questa corrente aumenta o diminuisce a seconda dei venti favorevoli o contrarii, come per lo squilibrio prodotto dalle diffe- renti evaporazioni dei vari bacini che queste acque attraversano. Nelle gole le più ristrette essa raggiunge talvolta anche la ve- locità di 5 miglia all’ ora. La difesa militare di questo stretto è fondata sulla sua angustia e sulla difficoltà che incontrerebbero legni da guerra per rimon- tarne la corrente, trovandosi così lungamente esposti ai tiri delle fortificazioni; tale vantaggio è immensamente scemato dopo l’ ap- plicazione del vapore. Rammenterò che Serse nell’anno 480 A. C., i crociati della terza spedizione nel 1189 e i Turchi nel 1356 hanno passato I’ El- lesponto da una riva all’ altra e una sola volta venne risalito a viva forza da una flotta. Dardanelli è il nome che si dà alle fortificazioni costruite per difendere lo stretto; vi sono i Dardanelli Vecchi e 1 Nuovi; questi sono situati all’ ingresso dalla parte dell’ arcipelago, i Vec- chi nella parte più stretta del canale. La convenzione del 1841, che fu poi confermata da quella del 1856, vietò il passaggio dei Dardanelli a tutti i legni da guerra di linea; il qual vocabolo col mutar delle costruzioni navali e delle artiglierie acquistò un significato molto elastico e di assai ambigua interpretazione. Noi vedemmo infatti a Costantinopoli legni da guerra russi, ameri- cani, austriaci con cannoni di tutti i calibri. Passammo vicinissimo alle batterie del nuovo Dardanello d’ Eu- ropa detto « Setil o Sedd-ul-bahar-Kalessi » (Castello diga del mare). Esso s' innalza sul promontorio Ellas, Hleonte degli an- tichi e fu costruito dal Barone de Tott. Da principio era mu- nito di 70 cannoni e di parecchi mortaj; ma recentemente vi furono costruite batterie rase o a fior d’acqua che incrociano i loro fuochi con quelle del Dardanello d’ Asia. Presso il castello 174 CROCIERA DEL VIOLANTE s' innalza il fanale che annuncia ai marini il Chersoneso di Tra- cia; un piccolo villaggio e un cimitero completano il paesag- gio. Ivi scorgemmo molti bastimenti all’ ancoraggio in attesa di vento favorevole per risalire lo stretto. Un tumulo che si innalza su questo capo sembra corrispondere secondo Strabone alla tomba di Protesile, il primo guerriero greco morto per mano Trojana sulla terra di Priamo. Un poco più a Tramontana, dietro una grossolana fortificazione, si veggono gli informi avanzi che se- gnano il luogo dell’ antica Zleonte, colonia d’ Atene. E di qui che Milziade s’ imbarcò per la spedizione contro Lemnos e che Alessandro parti per la Troade. La riva dell’ Europa non presenta in seguito che aride sponde senza alcuno interesse. Dalla parte dell’ Asia vi si scorge invece una sponda scoscesa coronata da varii molini a vento, che si protende poi bassa e sabbiosa in mare formando il capo Lenz Schehr il quale indica l’entrata dell’ Ellesponto sulla costa Asia- tica. Su questo capo è collocato il villaggio dello stesso nome, che significa (nwova città), anticamente detto Sige. Qui appro- darono Ercole con gli Argonauti, i Greci sotto la condotta di Agamennone e più tardi Alessandro il grande. Gli Archeologi pre- tendono riconoscere in diversi tumuli visibili sulla costa le tombe dei due illustri amici Achille e Patroclo e quella di Aiace re di Salamina (?). Il Dardanello d’ Asia, detto il castello di Awm Kalessi (castello della sabbia), è fondato sopra una bassa spiaggia all’ imboccatura del fiume Mender, lo Scamandro d’ Omero. Sarebbe appunto (!) La tomba che si attribuisce a questo re greco non è altro che uno dei tanti tumuli sparsi sulla costa e nell'interno della Troade, cioè una col- linetta di forma conica che offre al terzo della sua altezza un’ apertura per la quale si penetra in un doppio antro. La sommità del tumulo porta le ve- stigia di rovine dell’epoca romana, vale a dire avanzi di una costruzione cir- colare che avrebbe formato il recinto dell’ Atanteion o Tempio di Aiace più volte ristorato nell'antichità. La posizione del monumento è accertata da un gran numero di testi antichi ; questa località vien chiamata dalla gente del paese (A/ant-tepé). Il vocabolo tepe, che in turco vuol dire monticello o pro- montorio, è in Oriente assai generico. 11 compianto senatore e naturalista De Filippi lo adopera nelle sue Note di un viaggio in Persia, per indicare certe collinette analoghe, che si trovano sparse in quella parte dell’ Asia e la cui destinazione è tuttavia avvolta nel mistero. PARTE NARRATIVA |, 175 presso a questo punto, in una baja ora insabbiata che i Greci avrebbero tirati a terra i loro legni da guerra e in quei pressi avrebbero formato il campo che minacciava la città di Priamo. Lasciato dietro di noi Z/eonte, ci avviciniamo alla costa d’ Asia, là ove s’ apre la pittoresca e fertile valle di Tumbruk; ciò per evitare la corrente che è sulla costa d’ Europa fortissima e sen- tiamo di guadagnare innanzi notte |’ ancoraggio, conosciuto dai marinai genovesi col nome di Zucche bianche, appunto per le macchie biancastre del terreno che distinguono da lontano il capo Barbieri, presso cui si trova questo ancoraggio. Alle 7 /, do fondo presso vari altri bastimenti in 18 metri d’acqua; nella notte il vento calma. Lunedì 21. — Alle 5 del mattino scendo in terra affine di met- termi in regola per la patente e dar corso alle pratiche occorrenti. Osservo che i legni ancorati presso di noi sono partiti col ri- morchiatore e li vedo già lontani in mezzo allo stretto. Giunto in terra mi si fece attraversare una specie di corpo di guardia ove giacevano sonnecchiando una mezza dozzina di sol- dati turchi. Nel mentre ero in attesa dell’ ufficiale della sanità vidi al di fuori una lunga fila di camelli che seppi di poi do- vevano raggiungere Kanak e far parte di una carovana di par- tenza per l'interno. Ignoro il nome che si dà a questo gruppo di case, il quale non è che un posto militare prossimo al paese di « It-Guelmez-Keui » I’ antico Rhoeteum, villaggio situato un po più a mezzogiorno sopra una collina fertile e boschiva. Su questa collina si osservano tuttavia le rovine di un fortilizio edi- ficato dai Genovesi, il quale si chiama « Paleo Castro » il vecchio castello. Il posto militare turco o ufficio di sanità ad un tempo, è qui stabilito per comodo dei bastimenti, i quali restando sotto vela, senza esser obbligati a dar fondo a Kanak, possono porsi in regola colle autorità turche prendendo il Firmano (che costa 1 lira turca, 23 fr.) prima di proseguire nei Dardanelli. Tutto all’ intorno il paese è fertilissimo e coltivato ad ortaglie di cui feci buona provvista prima di recarmi a bordo. Siccome il vento, stava mettendosi di prora, volli spicciarmi 176 CROCIERA DEL VIOLANTE coll’ ufficiale di sanità, il quale con lentezza veramente orientale andava troppo per le lunghe e poco dopo salpai. Lo stretto comincia a disegnarsi pigliando l'aspetto più del- l imboccatura di un gran fiume che d’un braccio di mare. Stringo il vento il più convenientemente, con brevi bordate, tenendomi più vicino alla costa d’ Europa sicura e sana che all’ asiatica; la corrente vi è meno forte che nel centro e giungiamo così fin presso al Dardanello d’ Europa o « Kelid-ul- Bahar » la chiave del mare. Questo castello si compone di una vecchia torre e di fortifica- zioni più moderne; aveva una volta 64 cannoni 16 dei quali lanciavano grossissime palle di pietra. Un piccolo villaggio sta intorno al castello, il quale è costruito proprio sulla punta che gli antichi chiamavano Cinossema « la tomba della cagna ». Alla fine della guerra del Peloponneso vi fu combattuta una battaglia navale tra gli Ateniesi e gli Spartani; probabilmente la battaglia di Aegos-Potamos vinta da Lisandro (1). Sorgeva dall’ altro lato il Dardanello d’ Asia, che i Turchi chia- mano Sultanié-Kalessi 0 Boghas-Hissar ed è situato all’ imbocca- tura del Rhodios di Omero che scende dal monte Ida. Il castello si compone di una massiccia fortezza e di batterie moderne; il suo antico armamento era di 120 cannoni, dei quali 18 grossis- simi per palle di pietra. Le proporzioni di questi pezzi furono però molto esagerate nelle relazioni dei viaggiatori. Accanto al castello si stende il villaggio di Kanak che è veramente |’ unico luogo conosciuto dagli europei col nome di Dardanelli; i suoi minareti, le case rossastre, gialle, verdi brune e le abitazioni dei consoli sormontate dalle bandiere nazionali predispongono al Bosforo. Kanak è principalmente abitato da Ebrei che fanno il commercio di vini. I bastimenti che non hanno ancora preso il Firmano a Barbieri, debbono ancorarsi in questa rada per met- tersi in regola colle autorità turche. Noi vi scorgemmo due va- pori da guerra inglesi, uno dei quali era |’ Antilope, lo stazio- nario di Costantinopoli; l’ altro l'avviso della squadra di Besika con la bandiera di vice Ammiraglio al trinchetto. Dopo breve fer- (1) Alcuni vogliono che Aegos Potumos corrisponda alla rada di Gallipoli, PARTE NARRATIVA Were mata il primo riprese la rotta per Marmara mentre I altro proseguì per Besika. In questo punto la larghezza del canale non è che di 1950 metri e coi venti freschissimi di Greco ora dominanti, la corrente è quivi talmente forte da rendere quasi impossibile la navigazione ai legni a vela, se non sono rimorchiati. La mia ostinazione a voler passare a qualunque costo poco mancò non riuscisse fatale al Violante. Di varii caicchi, fini velieri ed eccellenti bordeg- giatori che erano in quel giorno nel canale, uno solo risali con noi i Dardanelli. Stringevo il vento murre a dritta, tirando la bordata dalla costa d’ Asia al Dardanello d’ Europa; ero nel punto il più stretto del canale ed il Violante scarsamente aiutato dal vento si gua- dagnava il passaggio palmo a palmo combattendo la corrente, la quale stava per gettarlo contro le mura delle batterie del Dardanello d'Europa..... Fu questo un momento difficile, giacchè bisognava o avanzar tanto da superare la punta della fortezza, o essere trasportati dalla corrente sulla fortezza stessa. Giun- gemmo a poco più di uno scafo da questa nella impossibilità di fare qualunque evoluzione. Ma alfine riuscimmo vincitori; il vento impietosito rinfrescò, ringagliardi; il Cutter piegò ub- bidiente sotto quel nuovo impulso, avanzò e, gradatamente au- mentando il suo cammino ci tolse da quella critica posizione. Mano a mano che avanzavamo mi sembrava respirare più li- beramente, lo stretto si apriva e la massa d’acqua non più ristretta riprendeva la sua normale velocità. Il Violante baldo ed altero e se si vuole anche fortunato, bravamente bordeg- giando tutta la giornata, raggiunse tutti i bastimenti che ri- morchiati erano partiti prima di lui ed arrivò felicemente nella sera all’ancoraggio di Lampsaki. Traversammo così la più importante parte dello stretto non tanto per la difesa militare del luogo quanto per le tradizioni storiche che vi sono annesse. Questo passaggio venne forzato il 19 febbrajo 1807, dalla squadra inglese comandata dall'ammiraglio Duckworth, forte di 7 vascelli, 2 fregate e parecchie corvette. Nell’andata non ebbe a Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (19 Novembre 1877). 12 178 CROCIERA DEL VIOLANTE soffrire molto perchè fortunatamente le batterie munite di vecchi cannoni, montati sopra cadenti affusti, erano nelle mani di poco esperti puntatori e le navi non ebbero un sol albero abbattuto, ma solo qualche vela lacerata e 60 uomini fuori combattimento. Nel ritorno, benchè favorita da un freschissimo vento di Greco e dalla corrente la squadra non impiegasse che poco più di un’ ora da Nagara a Barbieri, pure le artiglierie dirette allora da ufficiali francesi lanciarono una tal quantità di palle di pietra di 2 piedi di diametro che molte perforarono i vascelli inglesi, e mettendo fuori combattimento 200 uomini, ridussero la spe- dizione a mal partito. Le nuove batterie renderebbero ora il passaggio ancor più difficile. La punta di Nagara sulla costa d’ Asia marca esattamente il luogo ove una volta sorgeva Abydos. Secondo Plinio e Strabone la larghezza dello stretto era qui di 1255 met. (7 stadi) ma al presente é di 1960 m., quindi maggiore che a Kanak. Sembra che lo stretto abbia qui dovuto aprirsi a cagione delle correnti. Abydos fondata da una colonia di Lesbi, bruciata da Dario, era già ricostruita ai tempi di Serse, il quale vi fece costruire un ponte pel passaggio del suo esercito che muoveva alla con- quista della Grecia. Qui il superbo monarca pretendeva casti- gare il mare flagellandolo, perchè non assecondava la sua stolta impresa. Non resta al presente aleuna rovina dell’ antica città. L’ ultimo cenno che ne faccia la storia si è a proposito dell’ as- sedio ivi sostenuto contro l’ Ammiraglio romano Livio, nell’anno 189 D. C. Il porto restava probabilmente nella curva sabbiosa che fa fronte ai Dardanelli e ove ora trovasi tuttavia un buono ancoraggio, stazione abituale di un bastimento da guerra turco. Sulla costa sinistra d’ Europa scorgemmo una piccolissima baja conosciuta sotto il nome di « Ak-Bachi-Liman » che segna la po- sizione di Sestos, altro villaggio a cui faceva capo il ponte gettato da Serse. La fortezza di Zemenick costruita sulla collina che domina Sestos è il primo punto d’ Europa ove Solimano piantò la mezzaluna. E questa la stessa località che fu celebrata dalla commovente leggenda d’ Ero e di Leandro. È noto che Byron tenne ad onore di poter rinnovare la prodezza natatoria di PARTE NARRATIVA 179 Leandro. Egli attraversò lo stretto a nuoto e Vv impiegd un’ ora e dieci minuti, ma confessa nei suoi mirabili versi che non ne raccolse che stanchezza e febbre (*). Le rive dell’Ellesponto of- frono entrambe in questa località una magica prospettiva; le colline coperte di arbusti, le sponde dello stretto smaltate di vaste praterie e di sterminati campi di grano formano un quadro proprio incantevole. Nella località detta Siglar sulla costa asiatica, come pure a Lampsaki, feci sotto vela qualche dragata, ma in poca profondità. Lampsaki era l'antica Lampsaqus che Serse aveva dato a Temistocle per fornirgli la sua provvista di vino ed anche al pre- sente essa è rinomata per la squisitezza dei suoi vini. Lampsaqus era celebre nell'antichità per il culto che vi si prestava al Dio Priapo e pei costumi licenziosi dei suol abitanti. Nessun vestigio d’antichità ora vi rimane. Posta in luogo delizioso, |’ occhio spazia con piacere sul suo verdeggiante e fertile territorio col- tivato a vigneti e ad oliveti. Il paese conta circa 200 case sulle quali torreggia una graziosa moschea. Martedì 22. — Nella notte si rimase in calma perfetta; alle 5 stabilitosi un bel venticello da Greco, feci lasciare, poi bor- deggiai nel modo migliore per passare lo stretto di Gallipoli ed entrare così in Marmara. Alle 9 passammo presso questa città, virando di bordo vicinissimo a terra e sotto al fanale. Gallipoli, l’ antica Gallipolis, ha due piccoli porti o baje d’ an- coraggio. La più frequentata ed importante è a Mezzogiorno del paese, restando I’ altra a Tramontana. È questa la prima città d'Europa che cadde nelle mani dei Turchi (1357) circa 100 anni prima della presa di Costantinopoli. L'imperatore Giovanni Pa- leologo per consolarsi diceva che non aveva perduto che una giarra di vino e un porcile, facendo allusione alle cantine e ai magazzeni che Giustiniano vi aveva fatto costruire come a Te- nedos. Ma i sultani compresero meglio I’ importanza della sua posizione e Bajazet I vi fece costruire una grossa torre, che an- cora si vede, rialzò le mura della città e ne migliorò il porto. (1) He lost his labour, I my jest For he was drown’d, and I’ve the ague. 180 CROCIERA DEL VIOLANTE Essa conta 30000 abitanti ed ha un aspetto miserabile. Vi scor- gemmo qualche raro minareto, case costruite in legno e un grosso fabbricato in pietra presso al porto, probabilmente una scuola od un ospedale. Gallipoli subì qualche miglioramento dal 1853 al 1856 allorchè vi stazionarono le flotte anglo-francesi. Essa non offre d’interessante che gli avanzi delle sue fortifica- zioni e qualche frammento di scultura sparso nella città. Continuiamo a bordeggiare per uscire in Marmara. In una bordata sulla costa d’ Asia e propriamente presso il banco di Punta Fanar poco mancò non ci succedesse una disgrazia. Il Commissario era intento a dar la caccia agli uccelli di mare che erano quivi abbondanti ed io stavo dirigendo il Cutter sopra uno di questi posato tranquillamente sull’ acqua, affine di por- targlielo a tiro; quando essendo ad un tratto cambiato il color delle acque m’accorsi di essere sul banco; virai sollecito di bordo e, gettato lo scandaglio, segnò 10 piedi d’ acqua! Un piede di meno ed il Violante si sarebbe adagiato sopra un banco di sabbia! Giunto a Costantinopoli, seppi che 15 giorni prima su quello stesso banco era rimasto incagliato lo stazionario inglese Antiope, a bordo del quale oltre al Comandante v'era l'Ammiraglio!!... Qui il canale si allarga sempre più aprendosi al mar di Mar- mara, il Mermer Denizi dei Turchi, la Propontide degli antichi. A mezzogiorno per rivelamenti sulla costa abbiamo: Lat.2402° 926) ol. Lone: 26° 50 LG. La giornata è bella, con poco vento da Greco, tanto però da raggiungere parecchi bastimenti che avevamo sopravvento. Mi tengo bordeggiando sulla costa d’ Asia sperando che nella notte il vento passi al 2.° quadrante, come aveva fatto le due notti precedenti nello stretto, e per profittare di un filo di corrente favorevole accennata nelle carte presso Kemeris. È questo un grazioso e pittoresco villaggio situato in amena località frammezzo a verdeggianti boschetti, per cui a mala pena si scorge dal mare. ’assati oltre Kemeris prendo le murre a dritta e tento di av- vicinare il lato europeo ove ben presso alla costa si trova, a PARTE NARRATIVA 181 quanto pare, la controcorrente che risale tutta la costa della Rumelia fino al Bosforo. Nella sera avvistiamo il fanale di Hora ed essendo la costa sicura e sana tiro la bordata vicinissimo a terra per profittare quanto è possibile della corrente. Il sonoro raglio d'un asino mi avverte che siamo più che vicini a terra e senza attendere un secondo avviso viro sollecito di bordo. La notte essendo chiara e la brezza alitando leggera fra le vele, verso la mezzanotte diedi le mie consegne e mi ritirai. Mercoledì 23. — Alle 3 ant. fui svegliato di soprassalto dal chiamar sollecito del Commissario, il quale mi avvertiva della vicinanza di uno scoglio, balzai in coperta e virai di bordo. Che cos era successo? Il fanale di Kutali, contrariamente alle con- segne date, non mi era stato avvertito e il vento, che aveva leg- germente rinfrescato, ci aveva portato presso allo scoglio di Avansha nel gruppo delle isole Marmara. Il colpevole era il timoniere, cui per vero il Commissario avea distratto dal proprio ufficio, eccitandolo a raccontare le sue gesta marinaresche. Alle 8 si resta con poco vento e colla prospettiva di perdere per la corrente anche parte del cammino già fatto; procuro quindi di raggiungere l'isola di Marmara e propriamente la baja di Palatia. A mezzogiorno siamo a 5 miglia da questa baja che ci resta per Scirocco. Vicinissimo a Palatia un vapore da guerra turco ci avvicinò velocemente mantenendoci per un buon tratto la prora addosso con una costanza di cui non sapevo darmi ragione. Lo credetti dapprima diretto per Palatia; ma dovetti convincermi che ve- niva diretto proprio alla nostra volta; alzai allora la bandiera nazionale e all'istante, quando non era più che a 50 m. da noi cambiò rotta e si allontanò. Che cosa cercava? Perchè era ve- nuto a fiutarci così dappresso?... Tutto ci fu spiegato al nostro arrivo a Palatia. Eravamo presso alla baja allorché un immenso sciame di Ci- cogne passando poco lungi dal Cutter si diresse sull’isola di Marmara; sarebbe stato impossibile il contarle, era proprio una emigrazione in massa che veniva dalla Rumelia con direzione al Mezzogiorno; lo stuolo sembrava una striscia grigia che ta- 182 CROCIERA DEL VIOLANTE gliasse in due la volta del cielo e di cui per la lontananza non si vedevano le due estremita. Il vento intanto ci aveva abbandonato affatto; armati quindi i due grandi remi, di cui disponiamo ed aiutati dall’ imbarca- zione proseguiamo assai lenti il viaggio, finchè alle ore 2 arri- viamo all’ ancoraggio. ISOLA DI MARMARA. Il luogo dove noi siamo ancorati è una piccola insenatura a Levante della gran baja e si trova più a ridosso dai venti di Tramontana che gli altri punti della baja stessa. Questo anco- raggio vien formato da una penisola che termina con una bella collina tutta verdeggiante, coltivata a vigneti e fa contrasto col- Y aridità della rimanente parte dell’ isola, la quale si presenta rocciosa e spoglia di vegetazione. La montagna si vede ovunque sconvolta dalla mano dell’uomo, perchè ivi sono cospicue cave di marmo lavorate fin dai tempi antichi e tutt'ora in attività. Il paesetto di Palatia si presenta pittorescamente disposto in fondo alla baja colle sue case gaie e variopinte; alcuni piccoli leoni stanno ormeggiati a ridosso di una specie di molo col quale si volle difendere il fondo della baja dal mare di Tra- montana. Quest isola detta anticamente Proconnesus fu abitata da una colonia di Milo al 7.° secolo a. C.; gli Ateniesi I’ occuparono in seguito; fu quindi presa e devastata dai Fenici, dopo la ribel- lione degli Ioni; fece infine definitivamente parte dei possedi- menti ateniesi e non prese il nome Marmara che nel Medio-Evo. Si crede che questo nome gli sia stato dato per le sue cave di marmo, altri credono che venga da Giorgio Marmora che fu investito della sovranità del Proconneso da Emanuele Comneno suo parente, l’anno 1224. Il capo luogo dell’isola è Marmara, grosso borgo situato nella parte Libeccio di quella terra, con un buono ancoraggio riparato dai venti di Levante e Tramontana. L'isola sarebbe assai fertile se non fosse così spopolata; i suoi marmi che hanno fornito materiali a tutti 1 monumenti di Co- PARTE NARRATIVA 183 stantinopoli e del Bosforo, sono ancora oggidi l'oggetto di una esportazione assai considerevole. La popolazione dell’isola è tutta greca; 1 turchi in numero di 40 circa vivono a Mermerdjk, pae- setto presso le cave. Recatici al porto per prender pratica, incontrammo alla ma- rina un individuo vestito all’europea che ci salutò nel nostro patrio idioma, facendoci gentilmente da interprete coll’ incaricato della Sanità che era anche capitano del porto ed unico impie- gato governativo del paese. Prendemmo insieme col nostro in- terprete la tradizionale tazza di caffè ed intanto ci disse essere egli Giovanni Calamata isolano di Scio, ma di nazionalità ita- liano qui addetto alla sorveglianza dei lavori nelle cave di marmo. Accettammo poi di buon grado l'offerta che ci fece di visitare insieme le cave. Cammin facendo ci narrò che delle due cave da lui dirette |’ una è lavorata dai Turchi, l’altra dai Greci e dovette confessarci che i lavoranti più indocili e chiassosi sono i Greci. Quel poco che vedemmo del paese è relativamente pulito; le case, parte in pietra e parte in legno, sono alla foggia turca, ossia con grandi poggioli in legno che sporgono all’esterno dei muri; esse sono variopinte, come molte case di Sira, e rendono per questo più gaio I’ aspetto del borgo. Uscendo fuori del caseg- giato, presso il mare, osservammo varie fornaci da calce e lungo esse alcuni legni che stavano caricando. Durante il cammino vedemmo pure uno sciame degli stessi uccelli incontrati nella mattina, il quale tentava di buttarsi in un canneto vicino ad una piccola palude; varie cornacchie non videro di buon’ occhio questa invasione e slanciatesi in massa serrata contro gli intrusi ne seguì per l’aria una comica zuffa che finì colla vittoria delle cornacchie e la fuga delle cicogne. Siamo ai piedi delle cave ed il poco tratto di paese che abbiamo traversato è benissimo coltivato a vigneti e frutteti; qua e là vi sono anche pascoli e prati, ove alcune pecore e poche vacche e tori ci contemplano con gravità. Dopo tanto tempo che non sì vede un poco di verdura sì prova un vero conforto nel tro- varsi circondati da una rigogliosa vegetazione! Vicino ad una 184 CROCIERA DEL VIOLANTE piccola chiesa vediamo un pozzo tutto rivestito di marmo at- torno al quale attingono acqua alcune donne, i cui vario- pinti costumi spiccano pittorescamente su quel fondo verde della campagna; esse portano ampi pantaloni alla turca di una stoffa rossa o gialla a grandi fiorami ed una giacchetta della stessa roba. Salendo il sentiero che conduce alle cave troviamo un enorme tronco di colonna scanellata di 2 metri di diametro distesa a terra. Il suo colore indica che da secoli e secoli giace così ab- bandonata. La nostra guida ci assicura che se ne trovano per la montagna di quelle ben più voluminose. Le cave più ricche sono queste di Mermerdjk, nelle altre il marmo è di qualità inferiore e meno abbondante. Havvene fra antiche e recenti circa 40, ma le sole esplorate al presente sono due, una delle quali esclusivamente lavorata dai greci. Gli operai perce- piscono circa 3 franchi al giorno, ma vivono molto misera- mente. Essi scavano grandi massi di marmo dalla cava e quasi sempre così maestrevolmente, che poco rimane perchè sieno squadrati; son poi trascinati questi sopra certi carri a ruote massiccie, fin sull’ orlo di una pendenza composta di detriti marmorei e terra e quivi a forza di leve, e dandosi la voce, con un certo grido gutturale e cadenzato per imprimere uni- tamente l'impulso ai pesanti massi, li precipitano verso la sottostante rada di Mermerdjk, laddove mossi a forza di braccia e leve, vengono imbarcati. Tutto questo lavoro si fa con mezzi oltre ogni dire rozzi e primitivi e con estrema len- tezza! Fra li proprietarii delle cave erasi discusso il progetto di costruire ai piedi della marmorea montagna una ferrovia a cavalli e potenti argani; ma per diffetto d’ accordo non se ne fece nulla. Nella cava che noi visitammo e che è quella lavo- rata dai turchi osservammo questi giornalieri, dai petti nudi ed arsi dal sole, dal collo e dalle braccia erculee, coperti di vesti tutte a brandelli di cui non si conosce nè la forma nè il colore originari. Invitati, entriamo in uno dei marmorei tugurii che servono d’ abitazione a questa gente; è il Dervish di questa piccola co- PARTE NARRATIVA 185 lonia, il prete turco in persona che ci offre ospitalità. Veste egli una nera tonaca, sul capo porta un turbante verde e in una larga cintura al fianco sta conficcato un astuccio d’ ottone contenente calamaio e penna. L’ interno dell'abitazione è diviso in due stanze, di queste |’ unica che vediamo, ha per mobili due piccoli tavolini ed una specie di gradino in legno o divano non più alto di 30 cent. dal suolo, che gira tutto intorno alla camera; un ragazzetto è intento a scrivere o scarabocchiare sopra un pezzetto di carta, con un bastoncino foggiato a penna, non so quali geroglifici e ne inferiamo che questo locale debba ser- vire ad uso di scuola. Ci viene poi offerto dell’ acqua freschis- sima ed un eccellente melone, che per essere rimasto molte ore . in certe grotte d’ onde traggono l’acqua, è fresco quanto un sorbetto. Da un terrazzino di legno, che per la sua leggerezza ci ram- menta il ponte d’Alzirat, si gode di una bellissima vista sul mar di Marmara, sull’ isolotto Nisi e sulla piccola penisola di Palatia. Su questa penisola, a quanto si dice, vi sono pernici e piccioni selvatici; anche i conigli abbondano nell’ isola e si da loro la caccia col furetto o coi cani. All’ uccellame si fa la caccia alla mattina o alla sera allorquando va a bere in certe note località. In questo mese di settembre da Gallipoli e da Co- stantinopoli arrivano spesso brigate di cacciatori e dicesi che fac- ciano vere ecatombe di pernici e di conigli. Il nostro buono e ospitale Dervish faceva gli onori di casa sua con un garbo turchesco ed una dignitosa amorevolezza verso di noi infedeli, che ben chiaramente dimostrava essergli assai grata la nostra visita. Egli volle accompagnarci mentre s’ an- dava a fare una fotografia della cava e mostrando finta di non addarsi dell’ operazione, si mise però in posizione tale da restar colto nell’ obbiettivo della macchina. Finita l’ operazione foto- grafica ci accomiatammo dal Dervish, al quale fummo larghi di profondi inchini e di salamelecchi. Lo Sciotto ci disse che nell’ interno dell’ isola havvi un ca- stello rovinato che fu preso dai turchi per tradimento d’ una donna, la quale introdusse il nemico per una lunga via sotter- 186 CROCIERA DEL VIOLANTE ranea. Gli assedianti ne la ricompensarono come fecero i Ro- mani di Tarpeia. Ci raccontò del pari due recenti avvenimenti che ci diedero non poco a pensare. Dodici giorni prima del nostro arrivo una barca turca montata da 15 uomini armati, abbordò un basti- mento mercantile di Palatia con 7 uomini oltre d’ equipaggio, il capitano ed un ragazzo; quest’ ultimo, accortosi del pericolo, si nascose nella stiva entro una botte sfondata; i pirati intanto si fecero consegnare dal capitano 8000 lire turche che aveva a bordo, e per assicurarsi il segreto tagliarono la gola a tutto l'equipaggio, eccettuato al ragazzo nascosto e, lasciato quindi il bastimento in balia del mare, andarono altrove a dividersi il ricco bottino. Il povero ragazzo aspettò pazientemente parecchie ore nel suo nascondiglio e non udendo più alcun rumore, salito in coperta trovò l'equipaggio trucidato e immerso in un lago di sangue. Egli allora per mezzo di segnali chiese soccorso ad un bastimento, il quale lo rimorchiò in porto e così I’ autorità fu informata dell’ accaduto! Due giorni dopo il capitano di porto di Palatia fu invitato con un suo amico a passare un giorno di festa nella campagna di un prete greco situata dal lato mezzogiorno dell’ isola. Verso sera, dopo una giornata trascorsa colà allegramente, odono ru- more vicino alla chiesa.... Il prete va a vedere di che si tratta insieme all’ amico del capitano e vede i pirati che fanno bottino degli ornamenti della chiesa; di qui naturalmente proteste del prete, ire dei pirati e infine il povero uomo si busca sette col- tellate e l’ amico colpito alla sua volta rimane freddo sul posto. Il servo di Dio è ora in via di guarigione. Quanto al capi- tano, più fortunato di tutti, se la svignò dalla finestra e la paura gli diè l’ ali ai piedi! Frattanto il Governo si era dato premura di reprimere queste atrocità ed un vapore da guerra turco 5 giorni prima aveva catturato una barca con 9 dei pre- sunti pirati (1). (4) Al nostro arrivo in Genova seppi dal console turco che i pirati erano stati tutti presi, e giustizia era stata fatta. Aggiunse che essi erano pirati turchi provenienti dalle sponde dell’ Asia Minore del Mar Nero, PARTE NARRATIVA 187 Questi fatti ci spiegarono la sorveglianza usata dal vapore incontrato nel mattino. Si stava facendo tardi, quindi retrocedemmo verso il paese. Giunti ad un poggio presso di un molino a vento presi la foto- grafia del cutter e dell’adiacente penisola; m'incamminai quindi col Calamata a Palatia per ritirare la patente, mentre il Com- missario andava a bordo per fare allestire il pranzo a cui ave- vamo invitato il nostro amico Sciotto. Giunti al paese, nel mentre il Calamata andava in cerca per noi di viveri freschi, stetti at- tendendolo al caffè e ivi feci acquisto di monete antiche porta- temi in gran quantità dagli isolani; erano tutte però del basso impero. Prima di lasciare il paese, il Calamata volle farmi vedere un platano secolare che è una vera maraviglia poichè misura circa 5 metri di diametro. Sotto questo grand’ albero si trova un pozzo con acqua freschissima, che nel paese vien reputata la migliore ed è conosciuta per l'acqua del platano. È qui il luogo di convegno di tutte le comari del paese, e delle fan- ciulle da marito; potei quindi osservare più attentamente i pit- toreschi abiti delle donne screziati a vivi colori e le loro alte pettinature cariche di fiori e di mussola bianca; non è raro pregio fra loro la bellezza e godono per l'oriente riputazione di grande virtù. Prima di abbandonare I’ isola volli stringere ancora una volta la mano al capitano del porto, il quale a giudicarne dalla faccia stravolta, non mi sembrava ancora del tutto rimesso dalla bur- letta fattagli dai pirati. Il Calamata aveva portato a bordo un coniglio vivo e un assaggio del vino dell’isola; tenemmo prigione il primo e be- vemmo il secondo alla salute di Scio ed allo sterminio dei pirati. Alle 8 il nostro nuovo amico ci diede il buon viaggio e au- gurandoci di non incontrar pirati pel Marmara ci lasciò. Spento ogni lume a bordo e levata tacitamente l'ancora, alle 9 eravamo già alla vela. Il vento, che verso il tramonto si era rimesso leggero da Greco, nella notte si stabili freschissimo da Levante; avevamo due mani di terzaroli e il mare a bordo; il lettore ha 188 CROCIERA DEL VIOLANTE gia oramai fatta sufficiente conoscenza col Violante per com- prendere come quella riuscisse un’ altra brutta nottata. Giovedì 24. — Lascio correre tutta la notte colla bordata sulla costa della Rumelia ove sperava trovar nuovamente la corrente favorevole; sul far del giorno il vento accenna a calmare. Allorchè il sole indorava coi primi suoi raggi le montagne della Rumelia ci troviamo presso Herakli l'antica Eraclea, altra volta Perinto, e così vicino a terra da scorgervi gli avanzi dell’ anfi- teatro eretto dall’ imperator Severo. Il vento era andato grada- tamente calmandosi ed era passato più a Scirocco, il mare si era abbonacciato, quando incontrato un galleggiante e raccoltolo a bordo, si vide che era una piccola tartaruga di quelle che vivono presso l’ acqua dolce (Hmys caspia). Le furono prodigate tutte le cure richieste dalla sua condizione e unitamente al co- niglio fu consegnata al piccolo dispensiere incaricato del governo di quelle bestiuole. Il coniglio il giorno stesso cadde in mare e si annegò! A Mezzogiorno si ha il punto: at40085 Sg Lone. 28° I) IG: Il vento passa a Mezzogiorno Libeccio; si naviga con tutte le vele, forza di vele e vela quadra. Quest’ ultima da Capo Ma- tapan non si era piu potuta adoperare per il costante vento di prora. L’ episodio dei pirati narrato ai marinai dal Commissario aveva eccitato l’ ardore belligero dell’ equipaggio, per cui sul tardi si fecero esercizi di tiro al bersaglio con carabina e revolver. Nella notte calma. Venerdì 25. —- Alle 3 ant. si dichiara una leggera brezza da Mezzogiorno; avendomi la corrente staccato dalla costa, durante la notte faccio prora per avvicinare Capo S. Stefano e mettermi così nella corrente favorevole. Presso questo capo eseguisco qualche dragata; poi, a mezzogiorno metto definitivamente in rotta per Costantinopoli scopo principale del nostro viaggio. Il sole raggiava di tutto il suo orientale splendore in un azzurro e limpido cielo; il mare tranquillo sembrava riflettere una superficie di fuoco ed era appena leggermente increspato da una auretta gentile, che dalla costa di Mezzogiorno ci giun- PARTE NARRATIVA ; 189 geva impregnata dei profumi dell’ Asia. Il Violante sotto le sue bianche vele, solcava l'onda tranquilla simile ad un cigno che avesse l’ali spiegate. Intanto il nostro sguardo spaziava sulle coste dell’ Anatolia spingendosi fino alle nevose vette del monte Olimpo, sulle coste della Bitinia e sulle verdeggianti isole Prin- kipo, le quali sorte poco a poco come ombra, confondevansi all orizzonte colle montagne che fan corona al golfo di Nico- media, la moderna Ismid. Mentre si cerca invano Costantinopoli all'orizzonte, si subisce un'impressione sgradevole alla vista di grandi fabbriche e sta- bilimenti metallurgici con altissimi camini ed anneriti dal fumo, né più nè meno che a Londra o Manchester; ma al di là di questo sobborgo manifatturiero la vicinanza di Costantinopoli co- mincia a manifestarsi coi minareti e colle cupole delle moschee che poco a poco spuntano dalla nebbia. Qua e là piccoli rimor- chiatori solcano per ogni senso il mare offerendo i loro servigi ai legni a vela, i quali per lo più li rifiutano al pari del Vio- lante, sperando che il vento abbenchè leggero, debba portarli all’ ancoraggio. Vari sandalini (barche leggerissime e veloci) si dirigono all’ incontro dei bastimenti attesi in arrivo; numero- sissimi caicchi vanno e vengono, facendo il piccolo cabotaggio della costa; già apparisce quel movimento, quella vita, che in- dica l'approssimarsi del Bosforo, la meravigliosa Porta dell’ O- riente. Man mano che ci avviciniamo, la vaporosa nebbia che ci na- sconde l'orizzonte diventa più diafana e nettamente vanno deli- neandosi i contorni della gran città e dei suoi sobborghi; l’occhio scrutando attentamente discerne ogni cosa. Le cupole si collo- cano sulle monumentali moschee, i sottili minareti che le cir- condano crescono, si fan giganti e si congiungono ad esse.... tutto prende forma, figura e nome.... Compariscono così al no- stro sguardo le moschee di S. Sofia e del Sultano Achmet, il castello delle Sette Torri, le vecchie mura Teodosiane, l’ im- menso Suleimanyech, la torre del Seraschierato, la moschea di Bayazid, il grande fabbricato moderno dell’ università e infine la punta del Serraglio, il tanto decantato soggiorno degli im- 190 CROCIERA DEL VIOLANTE peratori di Bisanzio e degli Osmanli, la perla del Bosforo, il giardino dell’ Oriente.... foresta di secolari cipressi all’ ombra dei quali sono disseminate e sparse moschee, abitazioni, ca- serme e misteriosi chioschi che formavano l'antica residenza dei Sultani. Sul verde cupo degli alberi, altre cupole, la torre qua- drata del serraglio e tutto quel seguito di bianche mura mer- late che completano la residenza imperiale. Spira da questi luoghi un non so che di misterioso e di solenne che ne rende ancora più magico l'incanto. In faccia, sulla costa d’ Asia si stende Skutari colla sua im- mensa caserma, alle spalle il monte Bulghorlu e più a Le- vante Kadi-Keni, l’antica Calcedonia e tutta la costa asiatica ricca di vegetazione e popolata da numerosi villaggi.... Non avremmo dato il nostro posto per tutti 1 tesori e le meraviglie dell’ Occidente intero; la gioja traspariva dai nostri volti e mal celata si tradiva alle monche e incomplete parole che la mera- viglia ci strappava dalla bocca e che per voler troppo dir nulla dicevano; eravamo felici, stavamo per raggiungere finalmente la nostra meta.... ma no; non dovevamo ancora porre il piede in Costantinopoli. Il vento, che ci aveva da un mese contrariato il cammino, costringendoci a bordeggiare, guadagnandoci il mare palmo a palmo, ci mancò del tutto. Il mare era diventato un cristallo sul quale si rifletteva questo splendido panorama che non sa- prei descrivere senza deturparlo ed impicciolirlo; spettacolo in cui l'immaginazione e l'aspettativa sono di gran lunga inferiori alla realtà! Accostai bene la sponda per guadagnare tutta |’ influenza della controcorrente e armati quanti remi avevamo a bordo e rimorchiati dalla piccola imbarcazione lentamente avanzammo, costeggiando i quartieri di Stambul (la città turca). Presso al tramonto, il vento volle come per un momento lusingarci an- cora, ma fu impotente a farci vincere la corrente; si gonfia- rono nuovamente le vele sotto questo supremo sforzo per ri- cadere poco dopo inerti lungo l'albero, essendo il vento calmato quasi subito. Avendo allora già alquanto oltrepassata la punta PARTE NARRATIVA 19] del Serraglio e trovandomi quindi nel più forte della corrente contraria fui obbligato ad attraversare il Bosforo e alle ore 6 lasciai cader |’ ancora in 15 metri di fondo sotto I’ immensa caserma di Skutari, poco discosto dal fanale o torre di Leandro. Di qui ci appariva in tutto il suo splendore l’ immenso quadro di Costantinopoli e dell’ entrata del Bosforo. Poichè fummo all’ancora, la fame e il bisogno di riposo es- sendo sentiti da tutti, feci servire il pranzo in coperta, ed in- tanto non ci saziavamo di guardare il magnifico e fantastico paesaggio che ci si parava d’ innanzi. Dopo pranzo sedemmo sul ponte, e per conformarci ai co- stumi locali, il Commissario volle preparare egli stesso il caffe alla foggia levantina; poscia fumando nei cibuk comperati in Atene, tra una zaffata di fumo e l’altra, andammo compilando il programma per la giornata del domani. L’ azzurro cielo intanto andava smaltandosi di stelle e noi ra- piti all’ ammirazione contemplavamo ancora questa magica scena, la quale a seconda delle varie gradazioni di luce mutava aspetto, forma e colore. Ci scosse da quell’estasi la voce del nostromo il quale mi annunziava che era stato acceso il fanale sulla torre della Bella Leandra, com’ egli usava chiamarla. Intorno all’ ori- gine di questa torre potemmo afferrare a volo un racconto che per la sua originalità regalerò al lettore. Allorchè egli ebbe sospeso il fanaletto di posizione allo strallo, chè eravamo ancorati in rada e in luogo di passaggio, rivoltosi ai suoi compagni « non sapete », egli disse, « chi era questa Bella Leandra »? No, risposero; e chi mai era dessa? I ragazzi si serrarono istintivamente attorno a lui; accesa egli la pipa, gravemente prosegui: « La signora Leandra era figlia di un Sultano ed era bellissima ». Qui il narratore tratteggiò maestrevolmente le bellezze della bella orientale carezzando la immaginazione dell’uditorio e cattivandosene così l’attenzione da abile oratore. Quindi seguitò: « Una zingara aveva predetto che » morrebbe in seguito alla morsicatura di un aspide; il Sultano » a scongiurare tanta disgrazia fece costruire su questo scoglio, » che allora nudo sorgeva in mezzo al Bosforo, I’ attuale torre e 192 CROCIERA DEL VIOLANTE » vi rinchiuse la bella Leandra. Il figlio del re di Persia che » per certi suoi negozi scendeva lungo il Bosforo, passando » sotto la torre la vide, si accese di forte passione per lei e le » spedi un mazzolmo di fiori che nel loro linguaggio simbolico » doveano dichiararle il suo amore; ma in quel mazzolino di » fiori era fatalmente nascosto un aspide; la bella Leandra ac- » colse il presente del Principe persiano, fu punta dall’ aspide » e così il vaticinio sì avverò. Ora la principessa giace sepolta » sotto la torre (*) ». Il cabin boy, il saccentello di prora, saltò sù e disse: consimile caso avvenne alla regina Cleopatra moglie a Carlo Magno, Sultano dell’ Egitto! Trattenemmo a mala pena le risa a quella scappata e I’ uditorio, tuttochè com- miserasse la miseranda sorte della bella Leandra, non domandò di sentire la storia della moglie di Carlo Magno e seduta stante s addormentò. Le ombre della notte ci facevano sembrare più vicina e più imponente la gran caserma di Skutari, la cui immensa mole sembrava come sospesa sopra di noi.... le trombe suonano il si- lenzio della sera in tono lamentevole e monotono, quasi invi- tandoci al riposo. Sotto quel limpido cielo e allettati dalla te- pida brezza della sera, per quella notte ci fu tetto il cielo e soffice letto all’ affaticato corpo la tolda del Violante. COSTANTINOPOLT. Sabato 26. — Le trombe della vicina caserma ci risvegliano squillando la diana; si diradano le tenebre verso |’ Oriente e l alba sorge sulla città di Bisanzio. Nove rondinelle stanno posate sull’alberata del Violante; esse avevano dormito con noi, e ci danno cinguettando il buon giorno; poi timide e paurose s'allontanano al primo rumore. (!) Si è creduto che questa torre fosse stata costrutta da Emanuele Comneno per sostenere la catena che chiudeva ai bastimenti il Corno d’ oro; ma sembra invece che questa catena fosse tesa tra la punta del serraglio e la sponda di Galata. PARTE NARRATIVA 193 Tutto è ancora immerso in una quiete profonda. Man mano che l'aurora imporpora il cielo, la natura si rianima e s’ abbel- lisce, risvegliansi le popolose rive del Bosforo e là ove era calma e silenzio ricomincia il movimento e la vita; al rumori della città si mescolano intanto i canti del Muezzin che dà il segno della preghiera. Finalmente s’ affaccia il sole dalle mon- tagne dell’ Olimpo ed indora coi suoi primi raggi il Serraglio, le sue cupole, 1 suoi minareti, i suoi chioschi e squarcia il velo che ancora copriva la meravigliosa Bisanzio. Giace sulla nostra dritta Kedi-Keni, l’ antica Calcedonia fondata da una colonia di Megaresi nel 676 ossia 17 anni avanti Bisanzio; fu chiamata anche città dei ciechi perchè i suoi fondatori avevano preferito quel luogo a Bisanzio. Fa seguito verso il Bosforo il cimitero di Scutari, il più grande e il più popolato di tutto |’ O- riente; colossali cipressi coprono il terreno montuoso; ivi lo strider dei falchi posati sugli alberi si congiunge ai gemiti dei colombi e delle tortorelle celati nel campo dei morti. Il suolo di Scutari é considerato come una terra sacra; è là che è stata fondata la dinastia degli Ottomani, è di la che l Islamismo è partito per spandersi sull’ Europa. In mezzo a migliaia e mi- gliaia di tombe un monumento attira maggiormente la nostra attenzione; consiste in una cupola sostenuta da sei colonne di marmo ed è la tomba del cavallo favorito del sultano Mahmud! Vien quindi la gran caserma e poi la città di Scutari che coi suoi sobborghi senza limite si spande e si congiunge ai circostanti villaggi. | Perdurando una perfetta calma e rincrescendomi più oltre in- dugiare, prendiamo il rimorchio d’ un vaporino per rimontare la forte corrente. Avanziamo rapidamente in mezzo a sciami di va- pori, bastimenti, caicchi e sandalini, il cui numero aumenta a misura che ci avviciniamo alla grande città. Sulla nostra dritta prosegue il Bosforo colle sue verdi sponde, co’ suoi marmorei palagi, dal lato d'Europa colle sue torricelle eleganti, da quello d Asia colle sue ricche ville immerse ancora nell’ ombra; è una scena sempre varia, un succedersi di ville e di giardini, di chioschi e di pinete che si stendono e si perdono alla nostra Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (26 Novembre). 13 194 CROCIERA DEL VIOLANTE vista come un lungo fiume serpeggiante che apporta la vita in un oceano non interrotto di città e di villaggi. Ma ben presto si arriva in presenza del Corno d’oro, il porto di Costantinopoli, detto dai greci (Krysokeras) a causa della sua forma e per la ricchezza delle sue sponde. Traversiamo una flottiglia di vapori turchi, inglesi, francesi, italiani e austriaci, che ingombra questo Tamigi dell'Oriente, ove si concentra la mag- giore attività della metropoli. Qui migliaia di caicchi, sandali, e velocissimi battelli omnibus a vapore s'incrociano e s' intersecano in tutte le direzioni. I mille rumori che risuonano in mezzo a questo porto immenso, la varietà infinita degli aspetti e il gran nome di Costantinopoli mi commuovono profondamente. Sbalordito da tanto spettacolo, a mala pena riuscivo a gover- nare.il Violante per scansare i mille ostacoli che ad ogni istante si presentavano di prora. Finalmente giungemmo davanti a Top- Khané, il gran parco d'artiglieria, e quivi in mezzo a parecchi legni da guerra di diverse nazioni demmo fondo. Libero allora dalla cura della direzione del Cutter mi abbandonai interamente alla contemplazione. Gli occhi non si potevano staccar più da questo promontorio che si avanza maestosamente in mare e che forma la punta del Serraglio, da questa terra che ha portato a più riprese I’ Acro- poli dei Cesari Bisantini ed il Serraglio dei Sultani. La massa confusa delle moschee, dei giardini, dei palagi, dei boschi di cipresso, si spande d’ ogni intorno, invade le rive circostanti e circonda il Corno d'oro e va a formare le città di Pera e Ga- lata. Qui il suolo si innalza a partire dal mare e le costruzioni sl presentano scaglionate in anfiteatro; le moschee sorpassano, questo oceano di verdura e di case colle loro grandi cupole, coi loro bianchi minareti che spiccano nell’ azzurro e limpido cielo del mattino. Tale apparisce la città di Costantino, la città Romana, Greca e Turca che un tratto di genio innalzò all’ entrata del Bosforo perchè regnasse sopra tre continenti. Trascinato mio malgrado dalle rimembranze d'allora, lascio trascorrere veloce la penna procurando di rintracciare quelle PARTE NARRATIVA 195 impressioni che tanto agitarono l’ animo mio. Ma non m'è dato presentare in un modo degno del soggetto una descrizione di Costantinopoli. Di quest’angolo della terra, giardino del creato, tanti scris- sero, tanti scriveranno ancora che io non mi sento il coraggio di espormi al cimento; per cui dirò col compianto senatore e naturalista De Filippi: « Rinuncio volentieri a un diritto del » quale i touristes sogliono usare ed abusare e non scriverò la » mia pagina su Costantinopoli, e non dirò nulla delle impres- » sioni provate, de’ pensieri suscitatimi da questa città, che un » passato fatale, un presente scioperato premono nell’ abisso di » un avvenire tenebroso; di questa vera Babele di lingue e di » costumi ove tutti i vizii e tutte le virtù dell'Oriente e dell’Oc- » cidente si trovano a contatto, senza mai confondersi nei mille » anfratti e rigiri di una società artefatta ». D'altronde un valente campione della nostra letteratura che già illustrò la Spagna, l Olanda e il Marocco, l’autore dei Boz- zetti militari, che seppe toccare le più segrete fibre del cuore umano e accarezzarne l'immaginazione e la fantasia, sta ora per descriverci le sponde del Bosforo; e chi meglio di lui po- trebbe illustrare Costantinopoli? Colui che ci condusse per entro all’ intricato labirinto dell’ Alambra e dell’ Escuriale, che trat- teggiò così maestrevolmente le cattedrali della Spagna, e i co- stumi dei suoi abitanti, che ci fece vivere e palpitare nei vo- luttuosi ambienti dei Patio di Siviglia, che ci dipinse le bellezze andaluse, ci condurrà pure a visitare le innumerevoli bellezze della meravigliosa Stambul. Ben venga dal l'Occidente la luce sull’ Oriente e sotto il fascino di tanto scrittore inchinandomi, ripiglio volentieri il timone del mio Violante gridando: Salve al Costantinopoli di Edmondo De Amicis! Passammo nella capitale turca 4 giorni visitando delle curio- sità e monumenti. Fra le nostre più gradevoli gite sul Bosforo, merita particolar menzione quella da Terapia alle Isole Prinkipo che si fece a bordo al vapore da guerra Mestre, comandato dal luogotenente di Vascello Bozzetti, nella quale ci trovammo in compagnia del 196 CROCIERA DEL VIOLANTE Comm. Peruzzi e della sua consorte. Non voglio qui lasciarmi sfuggire l'occasione di ringraziare il Console per le tante gentilezze usateci durante il soggiorno del Violante a Costantinopoli e per esserci stato largo di ajuti e consigli. RITORNO. Avevo stabilito di partire il mattino del 30,. però avendo os- servato dalle alture di Galata che il vento era mutato e spi- ‘ava favorevole al nostro ritorno, presi la decisione di salpare quel giorno stesso, e, trascinato a bordo il Commissario ricalci- trante, alle 4 pomeridiane, favorito da un bel venticello di Tra- montana, misi alla vela dirigendo per Marmara. Il vento favo- revole mi aveva messo di buon umore, nonostante il brontolare del Commissario al quale doleva di dover lasciare così presto l'Oriente e le sue bellezze. Il mio equipaggio era lieto di ri- prendere la via del ritorno, perchè stanco della inerte vita del- l'ancoraggio, e infastidito di sentire quotidianamente il Muezzin di Top-Khané chiamare i fedeli alla preghiera. Un prepotente desiderio mi pungeva di riguadagnare al più presto l’Italia, in prima perchè mi era stato più volte ripetuto da persone pratiche di questi luoghi, che alla Tramontana, so- lita a spirare quasi costantemente per tutto l’ Agosto, avrebbe tenuto dietro il Ponente, vento a noi contrario, e confesso che ciò m’impensieriva. Eravamo stati già troppo maltrattati nell’ Ar- cipelago dai venti contrarii e già abbastanza conoscevo le qua- lità nautiche del cutter col vento di prora, per desiderare di farne di nuovo l’esperienza. In secondo luogo temevo, ritardando il nostro ritorno, di dover traversare il mare Jonio nell’ epoca dell’ Equinozio, perchè suol essere burrascosa. Queste considerazioni dettatemi dalla prudenza abbreviarono le nostre peregrinazioni nell’ Arcipelago greco, obbligandomi a tralasciare molte isole che avevo divisato di visitare allorché, prima di partire, andavo progettando il viaggio testè eseguito. PARTE NARRATIVA 197 Ma quod differtur non aufertur e penso di far tesoro di queste parole dei nostri padri per la prossima crociera del 77. Il ritorno adunque, più che la continuazione della crociera dell’ Arcipelago, si potrebbe chiamare una ritirata. Il Violante non doveva fare che lo scalo di Smirne, poichè colà ci attendeva la nostra corrispondenza dall’ Italia. Giù per le acque della Propontide scivolava il Violante, e dol- cemente cullato. dal mare e sospinto dal vento e dalla corrente Sl avanzava con una velocità superiore alle 10 miglia all’ ora; sembrava che egli fosse conscio dei miei timori. A poche miglia da terra una barca carica di brutti ceffi ci raggiunse a portata di voce e costoro ci fecero intendere che desideravano il rimor- chio. Ma risposi coll’ aumentare la nostra superficie di vela. Che cosa avresti tu fatto cortesissimo lettore? Verso sera, data quindi la rotta per la notte, ed assicura- tomi che quella barca si andava allontanando sul lontano oriz- zonte, mi misi a contemplare le bianche mura delle moschee imperiali, le cupole, e i minareti, i soli che indicassero ancora il luogo dove giaceva Costantinopoli che andava tutta coprendosi di densi vapori. Diedi poi un addio alle verdeggianti isole Prin- kipo che rapidamente sfuggivano al nostro sguardo, alle incan- tevoli rive ed alle vaghe colline i cui contorni ancora si deli- neavano nella incerta luce del crepuscolo. A poco a poco le tenebre ci occultarono l’ultimo lembo di terra e noi rimanemmo soli coi nostri pensieri e col capo gonfio di impressioni e di ricordi, mentre la mente stanca ma non sazia di veder cose nuove, domandava riposo. Il fanale di Capo S. Ste- fano, rimase solo colla sua luce a rischiarare la nostra rotta, unico punto fra le tenebre che ci additasse I’ Oriente. Il cielo limpido e sereno scintillava di stelle lucentissime e il vento con- tinuava propizio a gonfiare le vele del Violante. Passò così anche Costantinopoli, la bella Bisanzio, dai miste- riosi serragli, dai marmorei palagi, dalle verdi colline, dall’ az- zurro cielo, la gemma forse più preziosa del creato. Addio sublime Porta dell’ Oriente, capitale dell'impero degli Osmanli. Amo meglio vedere sventolare sulle tue torri la ban- 198 CROCIERA DEL VIOLANTE diera di Maometto e sulle dorate cuspidi delle tue moschee scin- tillare la mezzaluna, anzichè la nordica aquila grifagna « Che per più divorar due becchi porta ». Tu sedesti è vero, fra le grandi potenze europee, ma una storia di epoche non molto remote ci lega a te e prima d'esser capi- tale d'un impero e sede dei Califfi, fosti città di romana pro- vincia. Strisciamo lungo all'isola di Marmara di cui si veggono proiettarsi neri ed incerti i contorni montuosi sull’ orizzonte. Alle 4 a. m. presso il fanale di Hora accosto leggermente a sinistra mettendo la prora su Gallipoli; alle 9, restando il fa- nale di Gallipoli per Maestro, entriamo nello stretto dei Darda- nelli. Le coste d’ Europa e d’ Asia, Lampsaki, Sestos, Abidos, ripassano velocissime sotto ai nostri occhi, finchè alle 11.30 metto al traverso e scendo nella piccola imbarcazione per por- tare a bordo del vecchio legno da guerra turco ancorato presso punta Nagara il Firmano o lascia passare, rilasciatomi a Costantinopoli. L'obbligo di consegnare questo firmano non solo è una precauzione inutile, ma un grande incaglio ed un pericolo alla navigazione, poichè il vento, talora freschissimo e la cor- rente, in questo punto rapidissima, sono spesso cagione d inve- stimenti e di avarie tra i bastimenti che qui attendono le imbar- cazioni mandate a terra pel disbrigo di siffatta formalità. Stabilite nuovamente tutte le vele, scorgo all’ ancoraggio di Kanak un legno da guerra italiano e non tardo a riconoscere la Vedetta che sapevo comandata dal Capitano di Fregata Cav. A. Conti e attesa da parecchi giorni a Costantinopoli; faccio orza e dirigo per la poppa della Corvetta, ed allorchè passiamo a sfiorare coll’ alberata la sua poppa e la nostra bandiera tributa gli onori del saluto al regio legno, una salva di Awrrd risuona da bordo alla Vedetta; vi fa eco il Violante e quel grido, che è il saluto del cuore, accompagna il saluto delle bandiere. Invitato dal Comandante, ormeggiai il cutter sulla poppa del R. legno, salii quindi a bordo. Il Comandante mi disse che era giunto da pochi minuti, proveniente da Smirne dov era stato PARTE NARRATIVA 199 rilevato dalla corvetta Sca comandata dal Cav. Carlo Libetta e che andava a Costantinopoli a prendere il comando della sta- zione navale italiana del Levante. Io per contro gli narrai per sommi capi la nostra felice navigazione e datoci reciprocamente il buon viaggio ci lasciammo. In quel punto una terza bandiera italiana sventolava nella rada, era il vapore Pachino della So- cietà Trinacria, lo stesso che avevamo veduto al Pireo e a Co- stantinopoli. Alle 3 entravo nello stretto e non eran trascorse 24 ore dalla partenza di Costantinopoli che già veleggiavo sul mare Egeo. Alle 4 salutavo colla bandiera il vice-ammiraglio Drumond sulla corazzata Hercules, la quale unitamente ai due monitor Rupert e Hotspur e ad un avviso erano i soli della squadra inglese ri- masti nella baia di Besika. Il vento passando più a Maestro, feci rotta fra Tenedos e la costa; il Violante non fendeva le onde, ma come rapido alcione volava leggero, trasportato dalle sue grandi vele, costeggiando la Troade. Questa rapidamente scorreva sotto i nostri occhi che non potevano saziarsi dal rimirarla. Passò pure sotto ai nostri occhi |’ Alexandria Troas, città fondata da Alessandro Magno come deposito per lo scambio dei prodotti dell’ Asia Minore, della Tessalia e del Peloponneso; impresa che fu imitata più tardi dal- l’imperatore Giustiniano coi suoi vasti magazzeni dell’ isola di Tenedos. Sempre spinti dal buon vento, allorchè il sole sparì dietro le vette gemelle del monte Athos, ci trovammo al tra- verso del Capo Lectiom, che divide I’ Kolia dalla Troade, il quale è detto oggidi « Baba Kalessi » e quindi alla luce del crepu- scolo ci appari I’ Isola di Lesbo, I’ odierno Metelino colle sue dentellate montagne. Tra il Capo Baba e la patria d’Alceo e di Saffo s’ apre il golfo d’ Adramyti. Alle 10 eravamo presso a Capo Sigri, la punta più occidentale di Metelino, e in questo momento il loch segnava 9 miglia all’ora; il cutter era coperto di vele e il vento accennava a rinfrescare. Intanto la velocità aumenta, l’ albero geme sotto l'ampia ve- latura e l'onda spumeggia, gorgoglia e sì frange per richiu- 200 CROCIERA DEL VIOLANTE dersi scintillante sulla nostra poppa. Il movimento del bastimento e il cigolar dell’ alberatura in quella corsa veloce avendo de- stato l'equipaggio, questo si trova pronto in coperta, benchè da me non richiesto, pronto ad eseguire quelle manovre che la pru- denza avrebbe consigliato. Però appena doppiato il capo restiamo in calma perfetta. Il Violante non aveva mai portato tante vele con vento così fresco; e quando dopo 30 ore di viaggio arrivai all'imboccatura del golfo di Smirne, mi parve quasi impossibile. METELINO. Quando Lesbo era libera ed ispirava Alceo e Saffo, il genio della musica e della poesia lirica era istintivo negli abitanti, ma essi erano altresì tanto raffinati nei piaceri dei sensi, che caddero ben presto nella mollezza e nella corruzione e diven- nero facil preda del primo invasore; ora quest’ isola sconta ben. duramente le antiche voluttà. Fornita di vasti e sicuri porti, di lussureggiante vegetazione e ricca d'acque, eccitò più d’ ogni altra terra dell’ Egeo la cupidigia dei conquistatori. Ora essa è in balia dei Turchi, ma ove dominano costoro sembra che regni il genio della distruzione ; gli antichi edifizii cadono in rovina, gli abitanti scemano e la vegetazione medesima deperisce. Al dire dei visitatori ivi non sì cammina che su rovine, dovunque incontransi campagne paludose e deserte in vece di ricchi e fer- tili campi; pochi villaggi, rari cascinali e ruderi antichi, indi- cano il luogo dove in altri tempi sorgevano ricche città, popolosi borghi che rendevano gaia ed incantevole quest'isola già tanto favorita dalla natura. Il tepido clima e salubre, cui Ippocrate attribuisce l'ingegno dei Lesbi, s'è alterato per mancanza di cultura, ed alcuni viaggiatori assicurano che nell’ interno sonvi villaggi popolati di soli lebbrosi. Certo è che vi si trovano fo- reste ricche di legnami da costruzione navale, ma gli abitanti, che attendono alla pastorizia e un poco all’ agricoltura, hanno quasi interamente abbandonato la navigazione che arricchisce le PARTE NARRATIVA 201 altre isole dell’ Egeo ed i loro cantieri celebri un tempo, sono ora quasi disertati. — Kastro sostitui l’ antica città di Miti- lene ed è posta a Levante sul lido rivolto all’ Asia Minore; essa conta 6000 abitanti dei quali due terzi sono Turchi; vi si trovano frammenti di scultura e d'architettura che diconsi di gran pregio. Giovedì 31 Agosto. — Nel mattino il vento si spiega da Maestro, ed io allora dò forza di vele a dritta e dirigo pel golfo di Smirne. Il nostro cammino è rallegrato dalla comparsa di tonni e palamite, che a guisa di tritoni e nereidi guizzano attorno al Violante; ben presto il nostro fiociniere riesce a gher- mire un bel tonnotto che figura più tardi sulla nostra mensa. Passiamo a poca distanza da una corazzata russa, che sta fa- cendo manovre ed esercizi sotto vela e a mezzogiorno faccio il punto con rilevamenti presi sulla costa: Lat. 38° 45' T. Long. 26° 23' L. g. Rimangono intanto sulla nostra sinistra le coste dell’ antica Pho- caea. Man mano che ci avviciniamo a Smirne, si scorgono di nuovo vapori e velieri, barche e caicchi. Verso le ore 3 si ode un prolungato rombo, come un rombo di artiglierie e sulla sera tutta una collina nella direzione della capitale dell’ Anatolia è illuminata da una luce rossastra. Quel cannoneggiamento e quel fuoco m impensierirono perchè temevo a bella prima che fos- sero scoppiati disordini a Smirne e pensavo alle scene di sangue del 1821. Alle 9 penetriamo con poco vento tra i fanali che segnano il limite dei bassi fondi e I’ entrata della rada, passando sotto le mute artiglierie della fortezza Sanjak-Kalessi (1). (1) Questa fortezza fu costruita nel 1650 dai Turchi, allorchè comandati da un Amurat s’impadronirono di Smirne. All'epoca dei primi torbidi successi in quella città allo scoppio della guerra dell’indipendenza greca nell’ estate del 1821, la guarnigione, ribelle agli ordini di Costantinopoli e al Pascià di Cesarea allora governatore di Smirne, dominava la città e il paese, impe- dendo ai bastimenti da guerra esteri il passaggio nella rada per la prote- zione dei connazionali. Però un atroce fatto costrinse i legni da guerra a 202 CROCIERA DEL VIOLANTE L’ incendio sulla collina andava spegnendosi, e la tranquillità regnava sulle sponde di quell’ incantevole golfo di cui la luna pallidamente rischiarava i contorni. Si dileguarono allora i miei timori e scorgendo da lontano varie macchie oscure che mi par- vero ed erano infatti legni da guerra, mi diressi a quella volta. Prima di dar fondo, li passai tutti in rassegna, essendo mia in- tenzione di ancorarmi presso la corvetta italiana Sce/a, che dal Comandante della Vedetta sapevo doversi trovare a Smirne. In- contrai prima sul mio passaggio una corazzata inglese, di cui non riuscii a decifrare il nome, mi comparve poi d’ innanzi una grossa fregata russa in legno La Svetlana, una corvetta pari- mente russa ed una austriaca, e finalmente lessi sull’ ultimo bastimento « Sci/la ». Diedi la voce a bordo al regio legno e mi ancorai poco discosto dalla sua poppa in 11 m. di fondo alle ore 10 pomeridiane. Il sottotenente Susanna, ufficiale sullo Scz//a e mio compagno di collegio, venne poco dopo a trovarmi a bordo gridando: « habemus sultanum! habemus sultanum!..... » e da lui seppimo che il cannoneggiamento del giorno e l'illuminazione della sera erano il saluto fatto al nuovo sultano Hamid, ignorandosi an- cora se il decaduto Murad fosse vivo o se, come il suo sventu- rato predecessore Abdul-Aziz, fosse stato suzcidato! Da canto mio narrai al Susanna le vicende della nostra navigazione, e dopo esserci trattenuti lungamente a ragionare sulla gran questione che agitava in quel momento I’ Oriente e |’ Occidente, ci sepa- rammo promettendo di rivederci l'indomani. forzare il passaggio. Un bastimento sardo mercantile era stato catturato dai Turchi per aver cercato di salvare dei fuggitivi Greci; il capitano e l’equi- paggio, tenuti qualche tempo in ostaggio, vennero infine dal debole Pascià consegnati alla sfrenata soldatesca e al popolaccio, che ne fece scempio, gettandone i corpi mutilati al mare. Questo fatto suscitò lo sdegno degli europei. Il 28 Luglio la fregata francese La Guerriére colla bandiera del con- trammiraglio Halgan venne a gettar l’ ancora davanti alla città. La guar- nigione del castello volle impedirne il passaggio, minacciando di far fuoco se sì avanzava; ma l’ammiraglio mostrò loro lo stendardo gridando « France » e passò oltre. Il 2 Agosto 7 bastimenti da guerra erano riuniti in rada. Questa risolutezza e questo apparato di forze pose fine ai disordini di Smirne (Jurien De la Gravière. — La station du levant. — 1876). PARTE NARRATIVA 203 SMIRNE. Venerdì 1.° Settembre. — Smirne o Ismir, la capitale dell’ Ana- tolia, ovverosia Smyrna la regina dell’ antica Jonia, giace leg- giadramente scaglionata su dolce pendio alle falde del monte Pagus, che la domina col suo medioevale castello, le cui mura sorte certamente sulle rovine dell’ antica Acropoli vanno lenta- mente rovinando. La città si estende in forma di anfiteatro al fondo dun incantevole golfo. Sul lembo di essa bagnato dal mare s innalzano varii edifizii ad uso di caffè e magazzeni, più addietro sì presentano bianchi terrazzi sormontati dalle bandiere dei vari consolati; i campanili, le torri e le cupole delle catte- drali armena e greca, che dominano la città, ed i svelti mina- reti delle moschee che si slanciano al disopra di ogni altra co- struzione; boschetti di cipresso vegetano fra le case e segnano i luoghi ove i seguaci di Maometto riposano nel sonno eterno. Sembra che la città si risvegli dal notturno letargo ; |’ acuto e monotono grido del muezzin, che invita dall'alto del minareto i veri credenti alla preghiera mattutina, sì confonde col suono delle cattoliche campane ed un confuso ronzio, come di gigan- tesco alveare indica che i 130,000 abitanti di Smirne si danno alle loro consuete faccende. L’ azzurro del cielo, il mare tran- quillo già illuminato dai primi raggi del sole e i vari basti- menti da guerra che specchiano in esso i poderosi fianchi e le robuste alberature, completano questo panorama incantevole. Smirne è la Parigi del Levante, o come altri dicono la Na- poli dell’ Anatolia. Certo è che questo porto, assai frequentato dalle navi da guerra d’ ogni nazione, è il paradiso di tutti gli enseignes, midshipmen, quardia marina. Era la seconda volta che lo visitavo, essendovi approdato nel 1867 colla corvetta Principessa Clotilde, allora comandata dal Cav. A. Del Santo. Ricordo con piacere le impressioni che provai in quell’ epoca, I’ allegra e spensierata vita del guardia-marina, le ore di guardia, le scap- pate in terra, gli amici perduti ed i bei tempi che non ri- tornan più ! 204 CROCIERA DEL VIOLANTE Ma lasciando le melanconie, dirò che Smirne fu fondata da una colonia Eolia, soppiantata poi dagli abitanti dell’ antica Colo- phon, città presso Efeso. Tuttochè di origine Eolia, essa fece parte della confederazione Jonica. Sodiatte re di Lidia la rovinò; quattro secoli dopo fu riedificata da Antigone ed abbellita da Li- simaco ; passò in seguito dalla dominazione dei re di Pergamo sotto quella dei Romani e fu capitale di Mitridate nell’ 88° anno a. C. Durante la guerra civile che seguì la morte di Cesare fu saccheggiata da Dolabella e rovinata da un terremoto durante l'impero di Tiberio. Ricostrutta in gran parte da Marco Aurelio, fece parte dell'impero d’ Oriente fino all’ anno 1094, durante il quale i Turchi se ne impadronirono; nel 1344 i Crociati la ritolsero e da ultimo nel 1402 fu interamente distrutta dal gran Tamerlano. Ad onta di queste peripezie e sebbene molte volte fosse. de- vastata da crudeli pestilenze, Smirne, stante la sua posizione eccezionale, si rialzò dalle sue sventure e sempre rimase la principale città dell’ Asia Minore. Smirne non perderà mai il naturale vantaggio d’ essere situata al fondo del golfo che più si addentra nell’ Asia Minore, posizione per la quale essa è ne- cessariamente |’ emporio dei ricchi prodotti dell’ interno e il luogo di convegno delle carovane che arrivano da vari punti e persino dalla Persia e dal Kurdistan. Sebbene Smirne faccia parte del Vilajet di Aidin pure il go- vernatore di questa grande provincia risiede in Smirne. Esso non sì ingerisce delle varie e cospicue colonie europee, che sono poste sotto la diretta e speciale sorveglianza dei rispettivi con- soli, 1 quali qui, come in generale in tutto il Levante sono come altrettanti piccoli potentati indipendenti. Presa pratica mi recai a bordo dello Sci/a per complimentare il comandante, Cap. di fregata Cav. Carlo Libetta e salutare il sottotenente Susanna e gli altri ufficiali, i quali erano tutti mie vecchie conoscenze. Raccontai loro il nostro viaggio con tutte le sue peripezie ed incidenti, ed accettai volentieri I’ invito di pranzare a bordo del R. Legno. Ritornato sul Violante discesi in terra col Commissario per presentare 1 nostri salam aleikun PARTE NARRATIVA 205 al Console italiano Cay. Domenico Brunenghi, e per visitar la città. Sbarcando feci osservare al mio compagno i progressi ottenuti dal commercio e dall’ industria nella parte della città che si specchia nel mare; difatti il nuovo porto è contornato da spa- ziose banchine e da ogni altra comodità per I’ approdo, ed è sorto come per incanto nello spazio di pochi anni, mercè I’ o- perosità e lo spirito d'iniziativa dei negozianti Levantini. Il porto non è ancora ultimato e vedemmo lavorare alle gettate che ne formano la bocca, la quale è rivolta a Tramontana in guisa che le navi rimangono completamente riparate dal vento o imbatto che spira freschissimo quasi tutti i giorni dall’ entrata del golfo. Questo vento giornaliero alquanto molesto ai basti- menti, è una vera provvidenza pel paese, che ove mancasse sarebbe nell’ estate inabitabile per I’ estremo calore. Esso a mio credere, non è altro che la Tramontana dell’ Arcipelago, la quale per la configurazione e le accidentalità delle coste e delle montagne vicine s' innoltra fino a Smirne prendendo la direzione di Ponente, come prende a Dardanelli quella di Greco. Sbarcati, c internammo nella città per recarci al consolato. Tanto Smirne pare europea vista dal mare, altrettanto diventa turca quando uno s' avanza nelle sue anguste strade o viottoli. Giunti al consolato fummo lietamente ricevuti dal Cav. Bru- nenghi e dai vari suoi impiegati. Domandando informazioni , sugli usi e costumi, sul commercio e sull’ industria del Vilajet di Aidin, al quale Smirne appartiene, seppimo che vi sono due linee ferroviarie; una che conduce ad Aidin e l’altra che fa capo ad Alascheir, l'antica Fadelfia (*). La prima di queste due linee passa ad una distanza assai piccola dalle rovine di Efeso. Io avevo gran desiderio di veder i ruderi di quella città in (1) Queste due linee di ferrovie possono misurare un 350 chilometri; furono costruite da una società franco-inglese per conto del governo turco e la so- cietà ne conserva |’ esercizio mediante un’ annuale garanzia fissata per un certo numero d’anni, spirato il qual termine diverranno di assoluta proprietà del governo stesso. — Per tali ferrovie, ove fossero prolungate sino alla fertile ed ubertosa vallata del Deresti, si aprirebbe un prospero e ricco avvenire. 206 CROCIERA DEL VIOLANTE cui s' illustrò lo stolto Erostrate; ma il Brunenghi me ne dis- suase dicendomi che le strade erano assai mal sicure. Tuttavolta prima di abbandonare il mio disegno volli parlarne agli ufficiali dello Scilla per vedere se, col permesso del Comandante, fosse stato possibile di effettuare questa gita in numerosa brigata e colla scorta di vigorosi marinai, tali da non temer briganti e da con- quistare all’ occorrenza l’intero Vilayet di Aidin. Gironzando per Smirne osservammo che è divisa in due ben distinte città, cioè: la Turca e l Europea, o meglio Levantina. La prima ci richiama alla mente |’ aspetto di Costantinopoli, sebbene offra molto meno interesse. A Smirne non domina come a Stambul l elemento turco ; il greco e l'europeo sono in gran maggioranza; qui infatti 1 Turchi sono trattati da infedeli. Un’ apparente buona armonia regna tuttavolta tra le varie religioni e nazionalità. Però questa con- cordia fu bene spesso turbata in passato per futili motivi e Smirne fu teatro di scene di sangue, di rapina e di tutte le violenze che può commettere una popolazione dominata da fa- natismo religioso. Sembra che per |’ addietro i cattolici si diver- tissero a suonare più che non convenga le loro campane, a di- spetto dei buoni mussulmani, e spesso avveniva che questi, sec- cati da siffatta musica e fors’ anche, e più probabilmente, per altri motivi si gettassero sul quartiere cristiano, facendo strage della popolazione e commettendo ogni sorta d’ empieta. Le me- morie delle famiglie Smirniotte recano spesso il racconto di ter- ribili sventure cagionate da codeste ire di religione. I Levantini compongono la maggioranza della popolazione e sono la classe la più interessante per l'osservatore. L’ influenza del clima d’ oriente, |’ abitudine di una vita brillante e la fre- quente mescolanza colla razza asiatica diedero a questa colonia un'impronta tutta particolare. Così il Levantino conserva I’ at- tività e l'energia dell’ Europeo; ma ha la grazia ellenica e qualche volta non va esente dall’ indolenza asiatica. Dall’ incro- ciamento delle razze nascono quelle rare bellezze che vedemmo sempre, come per contrasto, splendere negli angoli i più oscuri e sudici dei quartieri greci o ebrei. PARTE NARRATIVA 207 Sempre però più attivi ed industri dei loro concittadini Turchi, i Levantini concentrano nelle loro mani gran parte del com- mercio della Turchia Asiatica e ben lo dimostra il quartiere da loro ‘abitato, che colle sue sontuose case attesta la ricchezza degli abitanti (1). Stanchi di aggirarci per le vie della città ci avviammo verso il Bazar. È questo un vasto quadrato formante un quartiere se- parato, pieno di vie, piazzette, vicoli, angiporti ove si accumulano le svariate merci dell’ Oriente e dell'Occidente; inferiore per ricchezza, importanza ed estensione a quello di Stambul, che è più svariato e con una certa mistura di Europeo, non manca però d’ interesse, ed anzi a me sembra più originale e pitto- resco. L’ Europa non vi si manifesta se non per la lingua spagnuola parlata da tutti gli Ebrei che vi tengono negozio. Essi sono ve- stiti all’ orientale e nell’ udirli hablar espaio!, ci figuravamo di essere tornati indietro di qualche secolo e di trovarci ai mer- cati di Siviglia e di Granata sotto i Re Mori. L’ aspetto di un Bazar Orientale ha sempre per un Europeo un non so che di fantastico, di nuovo, di sorprendente che colpisce ed attrae; ed è impossibile ad uno di noi di non lasciarvi il proprio tributo. Avvertiti che una carovana persiana era giunta da due giorni, ci recammo in un magazzino ove uno dei negozianti aveva shal- lato i suoi tappeti. Colà vedemmo in un angolo un vecchio in- turbantato che stava accoccolato su di un tappeto e colle scarne dita contava le pallottoline del suo Terpi. Era pallido e maci- lento, bianca e rada aveva la barba, e I’ occhio fisso e vitreo, perchè forse risentiva gli effetti dell’ oppio e dell’ haschich. Il suo abito consisteva in un vecchio caffettano di colore in- certo. Questi era il padre del mercante il quale, chiamato , non tardò a presentarsi e fece tirar giù da alte pile che erano ad- (1) Per dare un’idea più esatta del commercio che è nelle mani dei levantini dirò che annualmente fanno un giro di affari per 400 milioni coi varii Stati d'Europa, coll’America del Nord e colla Turchia ed esportano robbia, noci di galla che provengono dal Kurdistan, frutta secca, lane, tabacco, seta greggia, essenze, tappeti ed altri tessuti. 208 CROCIERA DEL VIOLANTE . dossate ai muri, molti tappeti persiani di svariati e smaglianti colori, di elegantissimi disegni e d’ ogni grandezza e qualità. Un tesoro era disteso ai nostri piedi, tale da far perder la testa. Sentite un mio consiglio: se volete visitare un Bazar andatevi a tasche vuote. Si faceva tardi per noi, essendo invitati a pranzo per le 4 dall’ ufficialità dello Sela. Lasciati i nostri acquisti sul Violante ci trovammo allora stabilita a bordo del regio legno. Il Coman- dante Libetta e tutta la sua ufficialità furono prodighi per noi d'ogni attenzione e cortesia. Durante il pranzo rimisi in campo la quistione della gita in Efeso, ma non fui secondato: chi non poteva, chi non voleva, e persino il Comandante stesso ci negò la sua compagnia, dicendoci che in momenti sì torbidi non era prudente che pernottasse in terra e tanto più lontano da Smirne! Dovetti però rinunziare al mio disegno. I miei ospiti bevettero ai prosperi viaggi del Violante, ed io mi credetti in dovere di bere a quelli dello Sc¢é/a. Il Susanna ci accompagnò quindi in terra, e mentre sorseg- giavamo una tazza al caftè dell’ Alhambra, situato presso il mare, ci raccontava come gli ufficiali della squadra italiana, che aveva da poco lasciata questa stazione, erano molto ben veduti dagli Smirniotti e dalle Smirniotte in ispecie...... Ci rac- contò di qualche curioso incontro, di partenze che avevano co- stato molte lacrime. Insomma, sembra che i nostri Enea trovas- sero quivi molte Didoni; a meno che il mio amico Susanna..... da quel giovialone ch’ egli è non abbia colorito forse troppo fantasticamente le sue narrazioni. Al tramonto le artiglierie turche ripeterono il saluto al nuovo sultano. Nella sera an- dammo al giardino detto di Capitan Paolo, ove era orribil- mente rappresentata, sopra una specie di palcoscenico da una compagnia italiana, la commedia intitolata: I Biriechino di Pa- rigi. Preferimmo ritornarcene a bordo anzichè assistere a sì sconcia parodia. Prima di giungere alla banchina ci perdemmo per quelle numerose e strette vie che costituiscono un vero labirinto nel quartiere della marina. Potemmo così osservare le abitudini PARTE NARRATIVA 209 degli abitanti. Le finestre a pianterreno e le porte general- mente aperte, per lasciar libero accesso alla frescura della sera, ci permettevano di gettarvi dentro lo sguardo. Vedemmo grandi vestiboli, vaste sale semplicemente mobighate , piccoli e gra- ziosi cortiletti, e giardini da cui emanavano i più soavi pro- fumi; le donne ed i fanciulli, anzichè sfuggire gli sguardi del pubblico come è costume dei mussulmani, si stavano non- curanti pressochè sdraiate sopra larghi divani, o attendevano a domestiche cure senza la più piccola soggezione dei passanti. Quella vista dell’ interno delle case, di quei vestiboli, il pro- fumo di quei giardini trasportò la mia immaginazione all’ An- dalusia, che visitat anni sono. Qui le stesse strade, le stesse piazze e la stessa abbagliante bianchezza dei muri. Ma infine l'aria non m apportava il suono di canti e di melodiosi istru- i menti, né I allegro bisbiglio delle vivaci conversazioni ; I’ alle- -gria, la vita gioviale, la poesia e I’ entusiasmo proprio del po- polo Spagnuolo mancavano a compiere |’ analogia. Sabato, 2 Settembre. — Nel mattino rientra la corazzata russa che avevamo incontrata fuori del golfo e viene salutata dalle ar- tigherie della fregata Svetlana. Scesi a terra, ¢ incamminiamo al monte Pagus per far. colassù qualche raccolta. Il Console ci aveva procurato un Cavasso, specie di guardia consolare, come scorta nella città turca e guida per la montagna. Era questo un bel giovanotto mussulmano, vestito del suo pittoresco ed ele- gante costume nazionale, con sfoggio di lusso maggiore dell’ or- dinario. Egli parlava un poco l'italiano e ci fu di molto van- taggio anche come interprete. Traversando la città c' imbattemmo in varie fila di camelli alcuni dei quali veramente giganteschi, che gravemente incedevano per le vie del quartiere turco. Queste piccole carovane erano precedute da un asinello, al quale si at- tribuisce l'istinto di riconoscere le strade assai meglio d’ ogni altra bestia da soma. L'asino dell’ Oriente, si sa, non somiglia molto al nostro; è brioso, vivace, e non si fa pregare per trot- tare; si direbbe quasi che ha il sentimento della propria dignità e v ha perfino chi lo crede ambizioso. Usciti fuori della città cominciammo l’ascensione della collina Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (26 Novembre 1877). 14 210 CROCIERA DEL VIOLANTE sulla quale siede la fortezza. Grandi cimiteri abbandonati in mezzo ad antichi cipressi cuoprono le pendici del monte Pagus; i modesti monumenti consistono in pietre verticali come assicelle, sormontati da turbanti di varie forme, talvolta colorati, 1 quali servono ad indicare le qualità del defunto a cui è stanza quel luogo funereo. Questa triste foresta si prolunga attorno alla città e discende fino alle sponde del sacro Meles cantato da Omero. Il poetico fiume scorre povero d'acque all’ ombra di bellissimi platani. La tradizione fa nascere Omero sulle rive del Meles, mettendo così Smirne nel numero delle nove città che si dispu- tano l’ onore di aver dato i natali al gran poeta dell’ antichità. | Il ponte detto delle Carovane attraversa non molto arditamente lo stretto letto del fiume; e qui si entra in città e fanno capo le carovane che apportano dall'interno le ricchezze dell’ Anatolia e della Persia. Vedemmo su quel ponte sfilare lentamente 1 camelli delle carovane, mentre altri si riposavano poco lunge dormendo col lungo collo disteso sulla sabbia. Salendo su per erta salita, dopo tre quarti d'ora giungemmo sotto le mura della fortezza, da dove lo sguardo spazia sopra un incantevole panorama, sulla città, sulla campagna e sull'intero golfo di Smirne. ll tempo è splendido, il mare tranquillo, il golfo pre- senta un incomparabile aspetto. Il mare, le montagne, I’ oriz- zonte, tutto è innondato da una splendida luce. Le sponde del golfo coi loro villaggi e la loro ricca vegetazione somigliano a quelle dei nostri laghi in piena estate. Si distingue nettamente il delta formato dal fiume Kedooz, I’ antico Hermus, che colle sue acque melmose, massime nelle straordinarie piene, ha quasi ostruito l ingresso della gran rada (1). Di fronte sulla sinistra sponda sorge severo il castello di Sanjak Kalessi...... È mézzo- giorno: globi di fumo lo circondano, e il rombo delle sue ar- tiglierie giunge sino a noi, ripetendoci per la terza volta che regna il sultano Hamid. Osserviamo le rovine del castello innalzato dai genovesi nel 1500. Questa mole posa sopra le antichissime rovine, tuttora visibili, (4) Il tempo non è lontano che questa non sarà più praticabile, se il go- verno non pensa a porvi riparo. Pag. 211. SMIRNE — Monte Pogus. PARTE NARRATIVA ZIO del tempo di Alessandro il Macedone. Sul fianco di Tramontana del Monte Pagus ergevasi un tempo il forte detto di S. Pietro, distrutto nel 1402 da Tamerlano, il quale procedendo dall’ in- terno dell’ Asia, giunto sulle sponde del golfo, attaccò la città e il castello difesi, ma inutilmente, dai Cavalieri di Rodi. Seguendo il contorno del golfo dal lato della fortezza di Sanjak Kalessi, l occhio segue le colline di Ghieustepé, deliziosa posizione coro- nata da case di campagna e boschi. Il caseggiato continua più rado lungo la sponda, finchè in vicinanza di Smirne si rende più fitto e prende il nome di Karatasch ed è vero sobborgo. Di faccia dall’altra parte del golfo sembra innalzarsi dalle onde il basso e paludoso villaggio di Cordelio, così chiamato da Ric- cardo Cuor di Leone che vi soggiornò, come pretende la cronaca locale. Finalmente all’ estremità del golfo si estende una verdeg- giante pianura che giunge fino al grosso villaggio di Burnabat, ove s' innalzano le ricche ed eleganti villeggiature dei signori smirniotti, soggiorno favorito anche nella stagione invernale. Non lontano da questo paese sorgevano i grandiosi e rinomati bagni d’Agamennone, eretti in onore di Diana, frequentati dagli antichi greci e celebrati dai loro poeti. Scende quindi dalle pen- dici del monte Pagus l’intera città di Smirne, col suo nuovo porto. I legni da guerra formano un gruppo a parte situato dalla parte Tramontana della città. Lo spettacolo come si offre da questo punto è grandioso e fin troppo vasto perchè si possa abbracciare con un solo colpo d'occhio. Facciamo di poi un piccolo giro nel recinto del castello che doveva essere imponente, a giudicarne dalla vastità e dal nu- mero delle torri che lo cingevano. Nell’interno si trovano molti avanzi, fra i quali quelli d'una antica moschea e di varie case. Scendemmo fra le rovine in due cisterne quasi ricolme di sterpi e sassi, ove feci buona caccia di ragni, insetti e lucertole. Rientrando in città passiamo pel quartiere degli ebrei. Era sabbato e quindi per essi giorno di festa; stavano però quasi tutti per le strade o ai balconi, facendo pompa dei loro bizzarri e variopinti vestiti e le loro donne mostrando la loro provocante bellezza. Giunti al consolato ritirai le mie carte di bordo, do- 212 CROCIERA DEL VIOLANTE lente di non aver potuto più salutare il Console, il quale gen- tilmente mi era stato largo di offerte e di consigli e mi aveva fornite molte delle notizie qui trascritte intorno alla città e spe- cialmente sui costumi degli abitanti. Tornati a bordo mi recai a stringer la mano una volta ancora al Comandante dello Scilla ed ai suoi ufficiali, e rimasi a pranzo con loro, mentre il Com- missario mi sostituiva a bordo nel sopraintendere ai preparativi della partenza. Alle 5 e mezza presi definitivamente commiato e volai a bordo impaziente di partire, per trarre profitto del vento prima che si calmasse. Salutai tre volte colla bandiera il regio legno italiano e bordeggiando quindi il più convenientemente, alle 8 uscii dalla rada. Il vento col cader del giorno abbonacciò lasciandoci quasi in calma in vista dello Ship light o fanale galleggiante posto alle foci dell’ Hermus. Trovandomi abbastanza avvantaggiato nel mio ritorno dalla rapida traversata da Costantinopoli a Smirne e pel breve sog- giorno fatto in questa città, avevo staccata la patente per Scio. Mi chiamavano primieramente in quest’ isola le tristi reminiscenze della guerra dell’ indipendenza greca, poi mi stava a cuore di appagare il desiderio del Commissario cui piaceva di visitare quest’ antico dominio dei Genovesi, che secondo alcuni avrebbe anche il vanto d'esser patria d’ Omero. Domenica 3. — Sul far del giorno il Maestrale riprese forza e bordeggiai attenendomi alla penisola di Kara Burnu. A mez- zogiorno faccio il punto con rilevamenti presi sulla costa. Il tempo è bellissimo, il caldo soffocante. Si bordeggia tutto il giorno senza alcun incidente. Doppiato il capo di Kara Burnu, do- vendo far prora per Mezzogiorno , il vento che prima ci era di prora, si fa a noi favorevole e ci spinge velocemente nel canale di Egri Liman. Frattanto le colline di Scio si staccano dall’ oriz- zonte e si avvicinano ai nostri occhi ed uno splendido tramonto termina questa bella giornata. La notte scende tranquilla e se- rena come di consueto in Grecia ed è rischiarata da una splendida luna. Lasciamo a dritta gli scogli cui si da il nome di Spalma- oe equo Bn a = p ojeroue3 eqnpa YN, OID S ife dia = ssi We PARTE NARRATIVA 213 dort e che altravolta i greci chiamavano Oenusses; al vento di Maestrale succede la calma e nella notte con leggiera brezza di terra ci avviciniamo al porto di Scio di cui si scorge il rosso fa- nale. La luna intanto si copre di una macchia rossastra, s’ o- scura, s'eclissa. Suona la mezzanotte e lascio cader I’ ancora nel porto; l'eclissi è nella sua fase maggiore e dalla luna non scende più che una fioca luce sulle rovine che circondano il porto. SCIO. Mira il nocchier dal pelago Sul caro suol natio Di Psara le reliquie Le ceneri di Scio. BROFFERIO. Lunedì 4. — Quest’ isola, che fa parte delle Sporadi, veduta dal mare non offre un bell’ aspetto; essa non è che una lunga catena di montagne, i cui contorni si delineano monotoni e se- veri senza nulla di caratteristico, e rivaleggia in aridità colle isole Cicladi. Però le pendici inferiori, massime quelle prospi- cienti al porto, ossia verso |’ Asia Minore, sono ricoperte di ve- getazione; là si ritrovano le fresche valli, i boschi d’ aranci, e gli ombrosi recessi di cui i viaggiatori hanno forse troppo van- tato le delizie. Appunto in questa parte più amena dell’ isola sorge la città di Scio, le cui case disseminate, per la più parte nuove e sorte fra i ruderi delle antiche, attestano tuttavia le devastazioni sofferte per opera dei Turchi. Scio offre al presente l'aspetto di tutte le piccole isole dell’ impero turco: fortificazioni cadenti ‘e rovinate, molte case meschine e qualche modesto mi- nareto. I turchi vivono ritirati nella cinta della fortezza o citta- della, che abbraccia una grande estensione vicino al mare, ove essi hanno moschee, scuole e Bazar. Stando alle descrizioni dei Viaggiatori la vista di Scio doveva essere altra volta assai più ridente. Le abitazioni stendevansi sul declive di un monte, coperte da terrazzi ombreggiati da perenne verzura, al pari degli orti sospesi dell’ antica Babilonia e dei giardini pensili di Ninive. Colà salivano gli abitanti a respirare nella sera le > i: CROCIERA DEL VIOLANTE fresche aure notturne, e a contemplare nel giorno le floride vette dei colli e le cerulee acque del mare; offerivasi ai loro occhi da ogni parte una deliziosa prospettiva, e le coste dell’ A- sia Minore, le quali vedevansi da lunge accarezzate dal mare, presentavano un insieme grandioso e seducente. Scio fu nell’ antichità chiamata con diversi nomi: Aethalia , Makris e Pityusa o isola dei pini, per le vaste pinete che rico- privano i suoi fianchi ora rocciosi e brulli. Essa è lunga mi- glia 25 da Tramontana a Mezzogiorno, la sua maggior larghezza è di 15 ed è separata dall’ Asia Minore da un canale di miglia 5 di larghezza. La sua configurazione montuosa giustifica il nome di mamadéecon datogli da Omero. Il vino di Scio fu altamente stimato nell’ antichità e gode tuttavia di una certa riputazione; sono pure notevoli le sue conserve dolci, i suoi fichi, la sua seta e la così detta mastica, che forma la principale fonte di ricchezza del paese. Questa pro- viene dal Lentisco (Pistacia lentiscus) e si ricava praticando in- cisioni sulla scorza dell’ arbusto verso i primi d’ agosto; la ma- stica in forma gommosa comincia a sgocciolare abbondantemente e nel corso d'una settimana viene ritirata. Di poi si raffina e si mette in commercio per uso delle signore orientali, le quali si beano nel masticarla, abbenchè il suo sapore sia piuttosto in- sipido. Il miglior prodotto che se ne ottiene è un liquore assai apprezzato in tutto l’ Oriente. Se ne fa pure una pasta dolce che sciolta nell'acqua serve per rinfresco. Il centro di questa coltivazione è una località detta Mastiko Koria. L’ antichissima capitale di Scio occupava lo stesso luogo della città moderna, dove alcuni avanzi sono tuttora visibili. Scio è una fra le città che reclama I’ onore di aver dato i natali ad Omero e qui come nell’ isola d’ Itaca, che pretende allo stesso vanto, allo stesso titolo onorifico, sì mostrano certe rovine di- stinte col nome di scuola di Omero. Di Scio fu istoriografo Teo- pompo che fiorì nel 3.° secolo a. C. Scio si considerava in passato come speciale appannaggio della Sultana madre, e come tale era fra le isole della Grecia la pre- diletta del governo turco, il quale non esigeva che una tenue PARTE NARRATIVA 215 tassa ed una certa quantità di mastica per I’ uso del serraglio imperiale. Triste privilegio che fu poi cagione di lagrimevoli sventure. Allorchè divampò la ribellione, gli abitanti di Scio, ammol- liti dalla vita facile e dalle dovizie, non risposero unanimi al- Y appello dei loro fratelli di Lesbo e di Samo. Pochi fra essi impugnarono le armi e i loro tentativi per cacciar |’ oppressore non riuscirono che ad inasprirlo; laonde il Sultano Mahmud meditò di colpire quegli isolani colla più crudele vendetta. I più antichi abitanti ne furono, dicesi, i Pelasgi. Da Erodoto Scio venne noverata tra quelle componenti la confederazione Jonia. Al tempo della conquista dell’ Jonia fatta da Ciro, i Sciotti furono protetti dalla loro condizione di isolani, poichè i Persiani non disponevano allora di alcuna flotta. Essi fecero causa comune cogli Joni nella ribellione dell’anno 499 a. C., e nella gran battaglia navale combattuta a Mileto presero parte alla lotta con 100 bastimenti (1). Dopo la disfatta degli alleati, i Persiani sbarcarono a Scio, distrussero la capitale dell’isola e popolosi villaggi e recarono seco loro prigioniere le più belle fanciulle. Le atrocità commesse dagli eserciti persiani in quell’ e- poca ebbero un riscontro, se anche non furono superate, nella recente guerra dell’ indipendenza greca, allorchè le orde mussul- mane condotte dal feroce Vechir Pascià furono sguinzagliate sul- l'isola. La battaglia di Micale ritornò a libertà Scio, che rimase alleata agli Ateniesi dal 479 a. C., epoca della battaglia, al 412 a. C., nel quale anno ruppe guerra con Atene e venne da questa ridotta a servaggio. : Più tardi fu dichiarata dai Romani « libera civitas » per aver sposato la causa di Roma contro Antioco; il qual titolo portava una maggior libertà di governo, tuttochè non escludesse la di- pendenza da Roma. Nel basso impero Scio fu una delle isole in- cluse nell’ « Insularum provincia » stabilita dall'imperatore Vespa- siano. La storia moderna di Scio non è che una storia di calamità. Nel principio del 14.° secolo i Turchi s' impadronirono dell’ isola. (1) Erodoto VI, 8, 32. 216 CROCIERA DEL VIOLANTE Nel 1346 essa cadde in potere dei Genovesi e i Giustiniani fu- rono i Signori di Scio. Cade qui in acconcio il ricordare come ai tempi della maggior potenza della repubblica genovese combattessero sotto la sua — bandiera a pro’ della comune patria i Signori di Scio. Jacopo Giustiniani ebbe infatti una parte importante nella battaglia di Ponza, gloriosa vittoria conseguita dalla Repubblica sul Re Al- fonso d’ Aragona. I genovesi stringevano d'ogni intorno la Ca- pitana Aragonese condotti dal Notaro Biagio Assereto, il quale comandava la flotta genovese in qualità di Ammiraglio. Ridotto il superbo Re Alfonso a mal passo, minacciato nella vita e co- stretto ad arrendersi, sdegnava nonpertanto di consegnare la propria spada nelle mani dell’ Assereto che gli sembrava plebeo, e come tale immeritevole di tanto onore. Fattosi allora innanzi Jacopo Giustiniani semplice cavaliere del tendale, gli disse: « AL fonso d’ Aragona a me quella spada; io pure son Principe, son Signore di Scio e batto moneta come voi! » ed il genovese ebbe le spade d’un re, d'un infante d’ Aragona e di un Almirante di Sicilia. Prima della rivoluzione l'isola conteneva numerosi villaggi e parecchie popolose città. La capitale contava 30,000 abitanti e l’intera popolazione dell'isola ammontava a 110,000 tutti greci eccettuati 6000 turchi, pochi ebrei ed altri pochissimi fore- stieri. La capitale quasi per intero fabbricata sotto la domina- zione genovese era ragguardevole per la ricchezza delle sue chiese e dei suoi conventi e per l'eleganza delle sue case, e vi fiorivano il commercio e l'industria di pari passo colla civile cultura. Il popolo di Scio contento della sua condizione non aspirava che al quieto vivere. Scoppiata però la ribellione nel Peloponeso, nell’ Attica e in tutte le isole dell’ Arcipelago, i capi del governo ottomano ve- nuti in diffidenza di tutto e di tutti ed irritati per le patite sconfitte, intimarono ai primati di Scio di costituirsi in ostaggio nella fortezza, per tenere in freno la popolazione e gli improv- vidi obbedirono; domandarono allora che fossero disarmati tutti gli abitanti e gli improvvidi ubbidirono. Compiuto il disarmo PARTE NARRATIVA 217 si videro sbarcare migliaia di asiatici, sbandarsi per le cam- pagne e spargervi la desolazione: assassinii, estorsioni, stupri, supplizii diventarono quotidiani; le soldatesche turche non cono- scevano più freno. Alcuni dei mansueti abitanti, stanchi alfine di tanti oltraggi, divisarono di rivendicare i loro diritti calpe- stati e di ricacciar l’onta e l'offesa sui loro oppressori. Segrete pratiche furono a quest’ uopo tenute con Samo, e Li- curgo Logoteta Samese con un drappello di coraggiosi compagni sbarcò notturnamente in Scio per soccorrere 1 fratelli. Gli Sciotti fatti pusillanimi e ciechi dal lungo servaggio, disertarono per la maggior parte la causa dell'indipendenza greca e si rifugiarono nella fortezza in potere dei turchi, acclamandoli loro Signori e protettori ! Si stenterebbe a credere a tanta servilità se non ci fosse at- testata da documenti irrefragabili. Il 30 marzo 1822 segna una data terribile per quest’ isola e il principio di una serie di terribili sciagure. Nel mattino una numerosa flotta turca, che a Smirne e a Scalanova aveva im- barcato orde sanguinarie, si presentò d’innanzi alla città di Scio, mentre pochi insorti con alcuni piccoli pezzi di artiglieria inu- tilmente facevano fuoco sulla fortezza. Il Comandante della for- tezza ordinò allora che si mettessero a morte 120 ostaggi e fece penzolare le sanguinose teste dalle mura della cittadella. Fu questo il segnale dell'invasione; i turchi sbarcarono, si accamparono in silenzio sulla terra di Scio e vi stettero 24 ore taciti e inoperosi come se non avessero altro disegno che di ricondurre la pace nell’ isola; ma tutto ad un tratto sul far della sera veggonsi le fiamme divampare da una chiesa vicino al porto, a quell’ incendio cento altri succedono in cento punti dell’isola e un grido altissimo, feroce si fa sentire per tutta la costa: « Sterminate, lo impone Allah, lo comandano il Profeta e i Sultano; sterminate, sterminate » (1). A quest’ urlo spaventoso che suona d'ogni intorno sulle labbra dei Fachir e dei Dervish tien dietro la strage e Scio è allagata dal sangue dei suoi figli. Vechir Pascià, il feroce, si pone alla testa degli assassini, si (1) Brofferio — Scene Elleniche 218 CROCIERA DEL VIOLANTE spinge innanzi con un tizzo acceso e incoraggia i soldati alla carneficina e all'incendio; donne, vecchi, fanciulli cadono sotto la scimitarra, mentre crepitano i moschetti e tuonano le artiglierie (1). Nella notte i carnefici depongono alfine la spada, ma solo per violare i sepolcri ove credevano trovar le nascoste ricchezze degli isolani. Accortisi poi dell'inganno, riprendono le spade e tornano allo sterminio. Al chiarore dei notturni incendii veggonsi le donne trascinate pei capelli onde essere vituperate fra i morti e gli ago- nizzanti! Turbe di Dervish danzano con sacrilega esultanza intorno a cataste di cadaveri e piramide di teste umane in cima alle quali piantano la bandiera di Maometto, e ghirlande di orecchie e di mutilate membra sono mandate ad adornare la poppa delle navi. Ritorna il giorno e il sole non rischiara di Scio che un ampio deserto di cenere e di rovine irrigate di sangue e semi- nate di cadaveri; quanto è vasta l’ isola più non si vede che un popolo di fuggitivi! .... Migliaia di uomini erano stati mietuti dal ferro dei barbari ed altrettante donne e fanciulle erano tratte in schiavitù, al- lorchè nuove orde asiatiche sbarcarono nel porto di Scio chie- dendo di partecipare al bottino ed alla strage; ma erano de- serte le città ed i villaggi e i superstiti che non avevano potuto abbandonare l'isola si erano rifugiati nell’aperta campagna o sotto la protezione dei consoli esteri, ai quali Vechir Pascià non osava far violenza. Ma il 5 Maggio molti di questi infelici tratti in inganno da fallaci promesse di clemenza si costituirono e furono poi trucidati. Intanto anche gli ostaggi superstiti, fra i quali l’ Arcivescovo, erano messi a morte! La ferocia dei turchi non doveva però rimaner impunita, poichè l’intrepido Canaris si apparecchiava a vendicar gli ec- cidil di Scio. I turchi celebravano il Bairam e passavano la notte in tripudii; il Capitan Pascià aveva convitato a banchetto gli ufticiali della flotta. Il vascello ammiraglio era illuminato di mille globi colo- rati ed ovunque echeggiava il suono dei tamburri, delle trombe e degli oricalchi misto a grida di gioia che insultavano alle vit- (!) Pouqueville — Storia della rigenerazione della Grecia. PARTE NARRATIVA 219 time di Scio ancora insepolte e al prode Baleste il difensore di Creta, le cui mutilate membra stavano sospese sulla prora. In- vece di un migliaio di uomini, come di consueto, vi erano a bordo del legno ammiraglio ben 2286 persone (!). La notte è cupa, neppur un astro si vede splendere in cielo, le onde del mare agitate dal vento si frangono sulle rocciose coste di Scio e Spalmadori.... Due vele si presentano all’ en- trata del canale lottando col vento contrario. Esse passano inos- servate sotto i cannoni delle due fregate turche preposte alla guardia del porto. Canaris, poichè quelle navi son sue, si avvicina cautamente, una mano al timone, una miccia aecesa nell’ altra; il suo occhio scintilla di una sinistra luce e già assapora la sospirata ven- detta.... Spinge il Brulotto sotto la nave ammiraglia, vi mette il fuoco e cerca poi scampo in una barca leggiera. Giorgio Pi- pino d’Idra, degno compagno a Canaris in tanta impresa e non meno audace di lu, aggrappa il suo Brulotto alla nave di Riala-Bey..... In un attimo divampano entrambe e ben presto l'incendio si comunica ad altre. Tutta la flotta ottomana è in fiamme e in mezzo ad una confusione indescrivibile le migliori navi si affondano o scoppiano. Cosi la salma dell’ infelice Baleste ottiene un funerale degno di lui. I due valorosi frattanto fuggono al largo a tutta forza di remi, col fermo proposito di farsi saltar in aria piuttosto di cader in mano dei Turchi, e riescono a sottrarsi al pericolo. Il Capitan Pascià invece, perduta la flotta e gravemente ferito, naufrago spira sulla spiaggia di Scio in mezzo ai cadaveri dei greci da lui assassinati. Frattanto una popolosa città, 50 floridi villaggi, molti splen- didi conventi e chiese furono ridotti in cenere. Si calcola che entro due mesi furono ben 25000 gli Sciotti caduti sotto la sci- mitarra, 45000 quelli condotti in schiavitù (*), per la maggior parte donne e fanciulli delle più cospicue famiglie. Ben 15000 privi di tutto e nella più squalida miseria fuggirono alla rabbia (1) Gordon vol. I, p. 361. (2) Gordon vol. I, p. 361. 220 CROCIERA DEL VIOLANTE mussulmana nelle varie parti della Grecia e alla fine dell’ Agosto 1822 solamente 20000 cristiani rimanevano nell’ isola. La nostra fermata in Scio fu di breve durata. Al mattino _scendemmo in terra per salutare il Sig. Ignazio Pasqua, il quale fungeva l'ufficio di console italiano e intanto visitammo la città e ne osservammo gli abitanti. Notai fra Il altre cose che molti di questi hanno cognomi genovesi e parlano il dialetto di Balilla. Dopo la rivoluzione molte famiglie tornarono a ripopolare l' i- sola abbandonata, e questa sembra ora rivivere; tuttoché sia ben lontana ancora dal suo primitivo splendore, pure trovammo il suo porto pieno di bastimenti, e commercio piuttosto attivo. I rigogliosi vigneti, gli oliveti, gli aranci e l albero della ma- stica contribuiscono in cospicua parte alla rinascente ricchezza e prosperità del paese. Il vento continuando propizio, decisi di non perdere I’ occa- sione per partire e la patente fu staccata per Messina, a- vendo io in animo di non toccare più alcun porto della Grecia. Alle 6 sciogliamo le vele alla brezza di Tramontana e usciamo dal porto. Nella sera ci troviamo in calma. Lunedì 5. — Tutti a bordo temevamo il sopraggiungere del Ponente che era il nostro spauracchio; i piloti dell’ Arcipelago ce lo avevano pronosticato per questo mese. Ma fortunatamente un freschissimo vento di Greco Tramontana gonfiò le vele del Violante e di poi ingagliardi talmente che fummo obbligati a serrare due mani di terzaroli. Sospinti velocemente attraverso all’ Egeo da questo vento propizio, nel mattino stesso traver- sammo il canale di Myconos formato dall’ isola che ne porta il nome e da Tenos. L’isola di Myconos (Micono) di cui la mitologia greca fece il teatro della lotta tremenda tra Ercole e i Centauri è arida e sterilissima. Essa è rinomata fra i Greci per gli impavidi noc- chieri che fornisce alla navigazione e per la bellezza e robu- stezza dei suoi abitanti. Tenos o Tino si presenta da lunge come formata da terreno arido e sassoso; ma tuttavia le sue pendici sono coltivate con PARTE NARRATIVA 221 meravigliosa cura prestandovisi la feracità del suolo. Essendo popolatissima, i suoi abitanti sono costretti ad emigrare e per lo più si recano a Costantinopoli, a Salonicco e a Smirne. Finalmente comparve sulla nostra sinistra la piccola Delo, la regina delle Cicladi, la quale al presente non è più abitata che da qualche pastore. Le passammo così da lontano che non po- temmo scorgere le rovine dei templi che gids’ innalzavano sulle pendici del monte Cinto. Nella fantasia dei Greci quest'isola sorse in virtù d’un colpo di tridente vibrato dal Dio dei mari. Essa fu poi venerata nel- l’antichità perchè si credeva che vi fossero nati Apollo e Diana. Il gran tempio d’ Apollo riceveva nell’ antichità le offerte di tutti 1 popoli della Grecia che vi convenivano ogni 5 anni, chiamati dalle feste ginnastiche e musicali che vi celebravano. Del tempio e del teatro ora non giaciono al suolo che avanzi tuttora imponenti. Delo è di difficile approdo e poco frequentata dal marinaio, che non vi trova nè acqua nè legna. « Delo, disse Latona, io non credo che tu sarai mai ricco di » buoi e di pecore, tu non puoi produrre nè le viti né le » piante diverse; perchè il tuo suolo è sterile; ma gli uomini » di tutti i paesi t’ addurranno numerose ecatombe; nubi di » fumo si leveranno continue dai tuoi altari, e gli Dei ti pro- » teggeranno ». Lasciata l'isola sulla nostra sinistra si dileguarono col suo allontanarsi i mitologici ricordi e i poetici pensieri; nuove terre che con una straordinaria rapidità ci passavano davanti ferma- vano la nostra attenzione. Vedemmo Paros e Naxos sulla nostra sinistra, Sira sulla nostra diritta. All'altezza dello scoglio « Nata» che poco sporge dall’ acqua e resta nel bel mezzo di questo passaggio, osservammo due pic- cole barche, le quali balzate dal mare e sospinte dal vento fre- schissimo mi sembravano in critica condizione. Mi avvicinai ad esse credendo che potessero abbisognare di soccorso e vidi che erano pescatori i quali sorpresi alla « Nata » dal tempo cattivo, cer- cavano di guadagnare il porto di Sira. Essi nulla mi chiesero ed io però nulla domandai loro, pol poco a poco si allontana- 222 CROCIERA DEL VIOLANTE rono mentre le loro leggere imbarcazioni sollevate dal vento e dal mare, correvano in spuma d’ acqua, comportandosi meglio del « Violante » che, inzavorrato di piombo cadeva pesante- mente tra onda e onda. A mezzogiorno ottengo il punto per rilevamenti presi sulle isole: Tuat uel Wake. 22.0 Do. LG Il punto in cui ci troviamo è il più centrale delle Cicladi e quello da dove l'occhio scorge il maggior numero di esse. L'ar- cipelago greco si può dir quasi tutto sotto ai nostri occhi; da ogni parte sorgono le isole dal seno del mare e formano come una corona intorno a noi. Vediamo Sira, Giura, Thermia, Paro, Antiparo, Micono, Tino, Serfo, Sifano, e tra queste due ultime che ci rimangono di prora, già si scorge la sommità del monte S. Elia, nell’ isola di Milo. Imperversando sempre più la Tramontana e crescendo il mare divisai di accostare gli isolotti di Serfo Pulo e di Piperi a tra- montana dell’ isola di Serfo per lasciar passare questa sfuriata di vento, e mentre il cutter sarebbe rimasto sotto vela e a ridosso, noi avremmo cacciato su queste isolette i Kalco Eleo- norae abitatori dell’ arcipelago. L’ aspetto roccioso di quelle iso- lette mi aveva da lungi colpito, allorchè nell’ andata veleg- giavamo per Sira; e I aver veduto tali falchi sullo scoglio di Boidi presso Serfo nonchè il tempo cattivo mi spingevano a quella volta. Giunti sotto Serfo Pulo, arido e nudo scoglio di poco più di un miglio di lunghezza da Ponente a Levante e a picco sul mare, i reffoli di vento scendevano su di noi repentini ed im- petuosi; e siccome mi dispiaceva di lasciare il cutter così vicino agli scogli, mi contentai accertare col Giusti la presenza dei falchi sull’isolotto, tanto più che essendo molto vicini a terra potevamo riconoscere che sì trattava veramente del Falco Eleo- norae. Serrate due mani di terzaruoli alla vela quadra, nono- stante il vento e il mare, feci rotta per Capo S. Angelo co- steggiando la parte Tramontana dell’ isola Serfo. Era proprio imponente il rombo ed il fracasso che faceva il mare penetrando PARTE NARRATIVA 2923 negli antri profondi della costa e frangendosi sulle irte scogliere che circondano tutta |’ isola da quel lato. Passammo così rapidamente presso I’ isola di « Falconara » che lasciammo alla nostra dritta e la sopravegnente notte non ci permise di distinguere lo scoglio detto « Karavi » presso il quale passò il Violante. Mercoledì 6. — Alle 2 ant. ci troviamo a 13 miglia dall'isola « Cerigo » in vista del fanale di Capo Spathi; qui il vento ac- cenna a scemare di forza e a passare di prora. Temendo di re- stare poi in calma e sottovento al Capo S. Angelo, reputo con- veniente di profittare ancora del vento e di raggiungere un ancoraggio dell’isola di Cerigo. Questa mia decisione è lieta- mente accolta a bordo, giacchè siamo tutti assai stanchi per le fatiche della giornata e della notte. All’ alba eravamo nella baia di S. Nicolò; ma l'isola presen- tandosi da questa parte sterile, rocciosa e quasi deserta preferii di non fermarmivi; e profittando ancora del vento diressi alla volta del porto principale, situato nella parte Mezzogiorno, ossia nella Baia di Kapsali, ove siede la capitale dell’isola che vien chiamata collo stesso nome di Cerigo o Tzerigo. Giungemmo al- l'ancoraggio alle ore 7. CERIGO. Cerigo, l’antica Cytherea dei remoti tempi di Omero, fu anche chiamata Porphyrussa o Porphyris e deve questo nome all’ esi- stenza del Porfido nelle sue montagne, o come altri vogliono al mollusco produttore della porpora che qui pure si trovava. Que- st isola giace col vicino Cerigotto all’ ingresso del mare Egeo, tra Creta e il Peloponneso. Venere usci quivi dall’onda, narra la favola e soggiunge che appena ella fu sorta dall’ umido ele- mento se ne fuggì tosto nel guscio di una gran conchiglia e scortata da tutti gli dei e genii dell’ aria e delle acque, che a lei fecero corteo meravigliati di tanta bellezza, giunse a Pafo dove si fermò. E infatti i verdi e lussureggianti boschetti di 224 CROCIERA DEL VIOLANTE Cipro agitati sempre da soavi e profumate brezze convengono più al culto di Venere che gli aspri ed aridi scogli di Citera. Molto probabilmente Cerigo fu popolata da una colonia Fe- nicia; la storia ce la ricorda posteriormente come dipendente da Sparta. La possessione di quest’ isola era ritenuta di grande importanza fin da quei tempi, per la sicurezza che offrono i suoi due porti alle navi. Durante la guerra del Peloponneso essa fu conquistata dagli Ateniesi con grave danno della vicina Sparta; ma alla pace del 421 a. C. essa fu nuovamente sottoposta a quest’ ultima. Nel Medio Evo fu conosciuta coll’ appellativo di « Lanterna dell’ar- cipelago ». Nei tempi moderni essa seguitò la varia fortuna delle isole Joniche. La città antica, secondo ricavasi dallo storico greco Tucidide e da Pausania il geografo dell'antichità, trovavasi 10 stadi dentro terra dalla parte rivolta verso Capo Maleo (!). Il rinomato porto di Scandea era probabilmente nella baja di S. Nicolò, attorno alla quale veggonsi oggidi resti di tombe ed antiche mura, ovvero il porto di Kapsali. Di un altro porto detto Phoenzeus vien fatta ancora menzione da Senofonte. Questo vocabolo al- lude evidentemente al popolo che colonizzò l'isola e vi portò il culto della Venere Siriaca dai Greci detta Urania. Si accerta che il culto di Venere fu introdotto a Citerea dai Fenici, e che il tempio ivi innalzato alla dea forse è il monu- mento più antico delle credenze religiose recate dagli stranieri in Grecia. Esistono qua e là alcuni rari avanzi che si attribui- scono a questo grandioso tempio. Allorchè Nicolay, signore di Arleville, accompagnò nel 1551 il D'Armont ambasciatore di Francia a Costantinopoli, esistevano ancora sopra una altura due alte colonne d'ordine jonico senza capitelli, e cinque co- lonne quadrate che sembravano aver formato un portico. Vicino a questi avanzi vedevasi una statua colossale, donde la testa era stata tolta pochi anni prima dal Provveditore di Cerigo ed inviata a Venezia. Secondo l'opinione comune era questa una statua d’Elena, della famosa regina le cui bellezze accesero la (1) Lo stadio greco è eguale a 180 m., il romano a 185 m. . ‘6 raa ‘004 i ‘tpesdeyy ftp eleq — ODIHHO TS de SS == PARTE NARRATIVA 225 guerra tra i Greci ed i Troiani. Un poco più in basso sulla stessa collina, sì vedevano avanzi di mura costruite con immense pietre e senza cemento, che si credeva fossero gli avanzi della reggia di Menelao. Discendendo verso la supposta città di Citerea s incontravano sulle rive della rada di S. Nicolò diciotto o venti piccoli bagni, scavati con molta arte nel masso e riceventi acqua da canaletti. Finalmente sulla montagna di S. Nicolò, il viag- giatore francese visitò due cappelle, una delle quali era deco- rata di un bel pavimento in mosaico antico, rappresentante una caccia in cui figuravano cacciatori a cavallo, orsi, leoni, cervi, cani ed altri animali. Ora queste costruzioni sono in gran parte atterrate e non meritano attenzione che per la loro antichità (*). Il Castellan che alla fine del secolo scorso esplorò Cerigo con somma diligenza, vi scoprì antiche catacombe che i terremoti ave- vano messo alla luce e rinvenne altri edifizii sparsi tra questo punto ed il mare, nonchè le traccie di una cava da cui pare sieno stati tolti 1 materiali che servirono alla costruzione del tempio di Venere e della reggia di Menelao. Il suolo dell’isola è generalmente calcareo, e presenta varie caverne degne di essere visitate. L'isola si estende per 15 miglia da Tramontana a Mezzo- giorno sopra 8 miglia di larghezza ed è popolata da circa 2200 abitanti distribuiti in 20 villaggi, dei quali i due principali sono Cerigo a Mezzogiorno e Potamo al settentrione. Gli abitanti sono di buona indole, industriosi e frugali. Molti recansi annualmente in altre parti della Grecia e nell’ Asia Mi- nore al tempo della mietitura per attendere ai lavori della cam- pagna e ritornano in patria col frutto delle loro fatiche. Quest'isola appartenne per molto tempo ai Veneziani e come le altre sue consorelle Jonie, dopo la dominazione inglese fu aggregata al regno Greco. Essa in causa della sua posizione geografica è soggetta a ter- ribili venti e a furiose tempeste. Le sue montagne di solito se- (!) Marmocchi. Raccolta di viaggi. Rimembranze intorno all’ oriente del Vi- sconte di Marcellus. Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (29 Novembre 1877). 15 226 CROCIERA DEL VIOLANTE gnano il limite della Tramontana, che regna quasi sempre e con violenza nell’ Arcipelago Greco. Dal luogo del nostro ancoraggio non si scorge la città, la quale rimane del tutto coperta e difesa da un castello medio- evale posto sopra una collina a Ponente della Baja. Qualche rara casupola, qualche magazzino ed un antico lazzaretto sono i soli fabbricati visibili lungo la marina. Non manca tra essi la chiesa, la quale spicca per la sua abbagliante bianchezza ed è collocata sopra un grazioso poggio che domina la rada. Dal mare si vede parimente un santuario annidato in una incavatura della roccia, a cui si perviene per una ripida strada quasi tutta ta- gliata nel vivo masso. Alcuni piccoli bastimenti sono ormeggiati nel più profondo dell’ insenatura e al riparo del promontorio, sul quale sorge un piccolo fanale che addita nella notte l'en- trata della rada. Sceso in terra, mia prima cura fu di salire il piccolo promon- torio ove sorge il fanale e di far la fotografia della marina e del castello. Costeggiai quindi la marina ed innoltratomi per un erto sentiero, lungo il quale potei raccogliere varii oggetti di storia naturale per gli amici genovesi, mi trovai in breve sotto la imponente massa del castello, il quale è da quel lato inac- cessibile. Il paese giace dalla parte di Tramontana ed è sempre mascherato e coperto dal forte, finchè non si arriva alle prime case che sono aggruppate attorno alla rocca come se gli abitanti temessero di scostarsi dall’ombra delle mura protettrici. Le strade sono pulite, le case bianche; il paese sembra deserto forse perchè è l ora della siesta. Stanco dalla salita e dal caldo, mi riposo in un caffè, e vi trovo il Commissario, il quale sbarcato prima di me, aveva già fatto abbondantissima caccia di quaglie e tor- tore. Recatici insieme in traccia del Barbarigo cugino al Nestore di Santorino, non ci fu difficile di trovarlo e fummo accolti assai gentilmente in casa sua. Passeggiando poscia per la città in com- pagnia del nostro ospite, osservammo più di ogni altra cosa la pulizia delle strade e delle abitazioni. La bianchezza delle case è qui generale come per tutto I’ Oriente e tale da offendere la vista di chi non vi è avvezzo. Vedemmo poi nel recinto della PARTE NARRATIVA Bot fortezza nn’accozzaglia di antiche opere di difesa, di magazzini, di polveriere e caserme per la guarnigione. Questa al presente è comodamente alloggiata, non componendosi che di quattro soldati compreso un caporale! Vi osservammo pure una immensa ci- sterna scoperta ma ingombra di rottami e con poca acqua li- macciosa. Qua e là vi sono alcuni cannoni in ferro di forma elegante e fregiati del Leone di S. Marco, i quali sono soste- nuti da due pietre invece dell’affusto. Domandammo al caporale del piccolo presidio se per caso gli affusti fossero nei magazzini, ma ci fu fatto comprendere che non esistevano! Il Castello è opera dei Veneziani e porta la data del 1508. La vista che si gode dall'alto delle sue mura è stupenda e comprende una vasta estensione dell’isola che sembra in parte ben coltivata e altrove ricca di pascoli; le coste però compariscono contornate da rupi nude e inaccessibili. Di lassù si vedono distintamente Cerigotto e le lontane creste di Candia. Prosperano nell'isola l'ulivo, la vite, l’ arancio, il frumento e varii legumi. Rientrati nella cettà facciamo acquisto di un miele squisito , forse non inferiore a quello così celebrato del monte Imetto. Anche il vino quantunque meno spiritoso del vin santo di San- torino, è pur da lodarsi, e fu ammesso dal Commissario a far parte della collezione enologica di bordo. Giovedì 7. — Prima di partire si combina una partita di caccia alle quaglie e mentre siamo assenti i marinai rinforzano con due nuove sartie volanti l’alberata e rivedono accuratamente ogni manovra, ogni vela, affinchè il bastimento sia pronto per la traversata. Al ritorno trovo tutto in buon ordine e dato un ultimo addio a Cythera, dirigo la prua a Ponente con leggero vento da Greco. A mezzogiorno ottengo con rilevamenti: IRE e Si naviga con tutte le vele, piccola freccia e vela quadra. Il vento accenna a calmare passando più a Mezzogiorno e dichia- randosi quindi Ponente. Si serra la vela quadra e si stringe il vento murre a sinistra. Nella notte poco vento e calma. 228 CROCIERA DEL VIOLANTE Venerdì 8. — Continuo a stringere il vento murre a sinistra. Parecchi vapori e velieri sono in vista e fra gli altri un legno da guerra turco proveniente a quanto pare dall’ Adriatico e di- retto pel Capo Matapan. A Mezzogiorno: Lat:00,glu gie Mcong.. 22° 15) iG, Verso sera il vento rinfresca, si serra una mano di terzaroli alla vela e in causa del mare si ricala |’ alberetto. Ci troviamo davanti al golfo di Kalamata formato dalle coste dell’ antica Messenia e della Laconia. Veggonsi da lontano le vette del Tai- gete ammantate di nubi dominare la montagnosa Laconia e non possiamo a meno di pensare all’ antica Sparta. Alle 9 stabilisco il punto con rilevamenti presi sulla costa della Morea. i Sabato 9. — Nella notte il vento e il mare si calmano e non si fanno che poche miglia. Alle 6 del mattino si sciolgono i terzaroli, si ghinda I’ alberetto e si dà la freccia; il vento è Ponente Maestro, l'orizzonte diventa fosco e nebbioso. A mezzo- giorno il punto osservato reca: Lat490 91 DE. due. 21° 20) bs Gre Si vedono tuttavia le lontane coste della Grecia che corri- spondono a Navarino e all’ isola di Sapienza, le quali si deli- neano vagamente sull’ orizzonte; nella sera però si perdono af- fatto di vista. Sparisce così ai nostri occhi questa terra che noi visitammo con sì vivo interesse e non senza commozione. Dobbiamo però convenire che l'impressione che la Grecia pro- dusse sull’animo nostro fu minore di quanto ci aspettavamo. L'idea che uno si forma di questi luoghi tanto decantati dai poeti, e in cui si svolsero le vicende d’ una storia che tutti co- noscono, non risponde alla realtà; laonde il viaggiatore si trova bene spesso deluso. Le verdeggianti montagne, gli annosi boschi, i prati, le chiare acque dei ruscelli mancano alla Grecia odierna. Isole e terraferma offrono invece il più delle volte monti e colli grigiastri, squalidi lidi arsi da un sole cocente. Già ai tempi di PARTE NARRATIVA 229 Strabone (60 anni a. C.) quasi tutte le montagne della costa avevano perduto la loro rinomata vegetazione e al di d’ oggi solo qualcheduna dell’ interno del Peloponneso e del littorale Jonio conserva le sue secolari foreste. In generale la Grecia odierna non è quasi che lo scheletro di quello che fu in passato. Domenica 10. — Nella notte vento scarso e variabile e mare mosso da Ponente. Alle 5 ant. il vento ci permette di andare in rotta; ma ad onta di ciò si fa poco cammino. L'incertezza del tempo cui s'aggiungeva l'indicazione data dal barometro costantemente basso dalla partenza di Cerigo in poi mi impen- sieriva. Verso mezzogiorno restiamo in calma perfetta; una sola vela è in vista nella direzione di Tramontana e sembra un brick diretto per Capo Matapan. Punto osservato : rat 0R0 AI: Lono. 2012/81. La calma continua fino alle 2 pom.; quindi tutto il giorno leggere brezze variabili fra il 3.° e il 4.° quadrante e nella notte nuovamente calma. Lunedì 11. — La calma continua e le ondulazioni del mare vengono sempre dal 3.° quadrante. Per distrarci alcun poco dalle noie d'una monotona navigazione ci esercitiamo a tirare al ber- saglio. Intanto uno dei marinai riesce a cogliere colla sua fio- cina una magnifica dorata che s’ aggirava fin dal mattino intorno al cutter. Ammirammo le splendide squame aurate del pesce; ma ciò non tolse che lo si consegnasse al cuoco. Mentre questi lo riduceva a pezzi per cuocerlo trovò che aveva nel ventricolo un corpo estraneo resistente che riconobbe per una palla da revolver dello stesso calibro di quelle di cui ci eravamo serviti poc anzi. La presenza del pesce attorno al ber- saglio e la sua cieca voracità ci fecero supporre che il proiettile fosse stato inghiottito mentre finiva di descrivere la sua para- bola nell’ onda. Per l’ equipaggio fu giorno di festa benchè per l'appunto allora dovessimo deplorare una perdita. La nostra tar- taruga di Marmara era passata a miglior vita e noi le avevamo 230 CROCIERA DEL VIOLANTE assegnata una degna tomba in un boccale pieno d’alcool fra le collezioni zoologiche. A Mezzogiorno : Lat. 36230) Tone; 19° 29" LLG. Dopo il pranzo feci esercitare la gente a prendere la nuova ed ultima mano di terzaroli, detta dagli inglesi balancing reef, che avevo aggiunta a Cerigo, e restammo sotto la velatura così ri- ‘ dotta fino alle 2. Si dichiara una leggera brezza da Mezzogiorno e va gradata- mente crescendo di forza: dò pertanto tutte le vele possibili e faccio rotta per Ponente corretto. Nella notte il vento continua e va aumentando sempre di forza; si naviga con tutte le vele e vela quadra aperte sulla sinistra. La rotta dei primi giorni, come si vede dalla carta, era di- retta per la costa della Sicilia e più a Mezzogiorno che a Tra- montana dell’isola, ma la mia meta era l'isola di Gallita. Pas- sando a Tramontana della Sicilia avrei nuovamente toccato Messina e quindi il gruppo delle isole Egadi, ossia Marittimo, Favignana e Levanzo; passando invece a Mezzogiorno avrei toc- cato le isole di Linosa, Lampedusa e forse Tunisi; fra le due strade era mio desiderio attenermi alla seconda, quindi favorito dal vento di Mezzogiorno feci forza di vele e tentai di raggiun- gere al più presto Capo Passaro, temendo che il vento potesse poi passare al 3.° quadrante e diventar contrario. Martedì 12. — Nella notte lampeggia nella direzione di Po- nente, il cielo è tutto coperto e il barometro m' inquieta. Alle 4 ant. il vento passa a Mezzogiorno Libeccio e credo però op- portuno di togliere la freccia e di serrare la vela quadra. Alle 10 ant. riesco ad osservare il sole a Mezzogiorno ed ottengo: Lat. 30° 30' T. Long. 16° 57' L. G. Ringagliardisce il vento e il mare da Libeccio; ma rimango sempre senza terzaroli per forzare il cammino ed avvistare nella notte il fanale di Capo Passaro. Intanto lo sforzo dell’ alberata è grande perchè sopraccarica di vele e pel mare che gonfio e mi- naccioso già padroneggia la coperta. Da quando a quando sì ro- PARTE NARRATIVA 231 vescia a bordo un’ abbondantissima pioggia. Faccio spesso visitare l’alberata agli incapellaggi ed alle ferramenta per scongiurare qualunque pericolo d’avaria. E dietro queste esplorazioni il gab- biere mandato a riva alla visita, mi avverte d’ una fenditura nel ferro che forma la gola del picco. Quest’ avaria ci costringe a rimaner parecchie ore colla vela ammainata per riparare prov- visoriamente al danno; e da quel punto in poi sino al nostro afrivo a Genova dobbiamo navigare quasi sempre con una mano di terzaroli alla vela. Fu questo l’unico accidente che ebbe luogo durante tutta la campagna nel materiale di bordo. E poiché siamo presso le coste della Sicilia e sotto la sferza del Libeccio rammenterò un detto dei marinai siciliani che con- cerne per l'appunto questo vento: Libici sempre male fici E quando bene fici Non fui vero Libici. Alle 7 il vento sembra diminuire di forza lasciando però un mare molto agitato. Mercoledì 13. diminuisce alquanto; il cielo che si mostra sereno sul nostro zenit è però coperto su tutto I’ orizzonte ed acceso dai Jampi nella direzione della Sicilia e di Malta. Al sorgere del sole l’aria è troppo carica sulla costa perchè questa si possa scorgere. Alle 7 siccome il vento passa a Maestro, si vira di bordo prendendo le murre a dritta, ciò mentre siamo presso ad un grosso basti- mento che dallo scafo mi sembra inglese. Alle 10 diradatasi al- quanto la nebbia che ci occultava la terra si delineano ai nostri occhi le coste sicule. Si distingue nettamente il piccolo paese di Pachino, il più meridionale della Sicilia, ove avrei desiderato di approdare se avessi creduto d’incontrarvi il capitano di fregata cav. G. B. Magnaghi e il tenente di vascello Domenico Lasagna qui venuti nel mese di Agosto per conto della Commissione della misura del grado europeo, a determinare le coordinate geogra- fiche della stazione di Pachino, che forma uno dei vertici della triangolazione di primo ordine dell’Italia; ma temendo che quegli Alle 1 ant. calma il vento ed anche il mare 232 CROCIERA DEL VIOLANTE amici miei fossero già partiti, proseguii. A mezzogiorno rilevo il Capo Passaro per Ponente distante 10 miglia, d’ onde Lat. 30% 417 i one, 15° 20° LAaG La stima mi aveva dato un errore di 5 miglia a Mezzogiorno forse a causa del mare grosso e della corrente, ma più proba- bilmente per la instabilità delle bussole dipendente dalla picco- lezza del bastimento. Il tempo è fosco; si ha poco vento da Greco Levante; e si naviga con tutte le vele non esclusa la vela quadra. Alle 2 faccio punto di partenza dall’ isola delle Correnti rilevandone il fanale per Greco Tramontana distante 2 miglia. Il vento va quindi gradatamente rinfrescando e faccio rotta per Linosa. Il tempo sembra accenni a turbarsi, il barometro si mantiene basso con tendenza a discendere ancora. Al tramonto il sole si occulta dietro oscure nubi quasi immobili, gettando ad intervalli qualche sprazzo di luce fioca sopra un mare agitato e sconvolto in tutte le direzioni. Quegli sprazzi di sole mi fanno ricordare il noto proverbio francese: Soleil avec haubans Pluie et vents. Era proprio il caso nostro. Questi indizii mi facevano presagir male della vegnente notte; rimasi quindi in coperta pronto ad ogni evento. Ma in quella notte non si verificò nulla di straor- dinario, tranne la caduta di un’ abbondantissima rugiada. Pas- sando a 15 miglia dall'isola del Gozzo avrei dovuto vederne il fanale, che secondo 1 libri di navigazione è visibile per 24 miglia, ma era tale l'oscurità che a mala pena discerneva la prora del cutter. Giovedì 14. — Alle ore 1 ant., impressionato dall’ opprimente tranquillità e dalle tenebre profonde che regnavano attorno a noi, feci togliere la freccia; nello stesso tempo sotto un forte piovasco il vento saltò bruscamente da Greco Levante a Mezzo- giorno Libeccio; io allora lasciai correre in poppa e chiamata tutta la gente in coperta feci salvar la vela quadra e prendere PARTE NARRATIVA 233 due mani di terzaroli alla randa. Scaricatosi il nembo, rilevai il fanale di Gozzo per Scirocco e vidi presso di noi i fanali di un vapore e di un bastimento a vela. Orientata la velatura ed il vento avendo ripreso a spirar da Levante in modo piuttosto ma- neggevole, rimisi in rotta aspettando il giorno prima di scio- gliere i terzaroli. Alle 5 nebbia e grande oscurità per tutto l'orizzonte, il vento si è molto abbonacciato, ma il mare con- tinua ad essere agitato in tutte le direzioni. Non sono che brevi burrasche locali, le quali mantenendo però il tempo minaccioso, m' invitano a cercare un sollecito rifugio nel vicino porto di Lampedusa. Alle 8 si rischiarò per brev ora il sole e potei prendere 3 altezze; poscia colla latitudine stimata feci un calcolo d'angolo orario, da cui argomentai che mi trovava a 20 miglia da Linosa, la quale tuttavia non sì discerneva affatto. A mezzogiorno potei travedere il sole fra le nubi ed avere un’ altezza meridiana abbastanza esatta e quindi il punto: Tato tone 32 GI Ero a 15 miglia dall'isola di Linosa e ancora non la vedevo; finalmente verso le 2 mi apparve la sospirata terra che si projettava sopra un orizzonte minaccioso. Quantunque poche mi- glia ci separassero dall'isola, non giungemmo a metterci al suo riparo che alle 5. Il vento che spirava allora da Scirocco era saltato bruscamente a Ponente lasciando un mare agitato: ri- calai allora I’ alberetto, cambiai il fiocco e ripresi due mani di terzaroli. Tuttochè il tempo fosse sempre minaccioso, il vento freschissimo, il mare grosso e I’ ora tarda, era tale il desiderio che provavo di toccare Linosa che, gettata in mare |’ imbarca- zione, mì preparai a sbarcare senza indugio. LINOSA Eravamo dalla parte di Levante dell’isola e incerti del punto di approdo, chè tutta la costa si presentava irta di scogli e fran- genti, mi diressi ove s'erano aggruppati in maggior numero gli 234 CROCIERA DEL VIOLANTE o abitanti, che alla vista del cutter erano corsi alla spiaggia per as- sistere al nostro sbarco. L'isola di Linosa si potrebbe dir quasi circolare, con un dia- metro medio di circa 3 miglia; essa giace a 88 miglia dalla costa della Sicilia e quasi ad eguale distanza dalla costa della Tunisia. Dagli antichi era conosciuta col nome di Larniusa, Aqusa e apparteneva, colle vicine Lampedusa e Lampione, al- l'antico gruppo delle Pelagie. Il suo suolo eminentemente vul- canico rammenta quello di Vulcano e di Santorino e risulta di lave e trachiti nere o rossastre. L’ isola presenta un gruppo di quattro montagne, la più notevole delle quali elevasi a Scirocco ed è chiamata Punta dello Strepito. La sua altezza misurata dallo Smyth è di piedi inglesi 522; le altre sono tre crateri di vul- cani spenti. La natura geognostica dell’isola fu diligentemente studiata dal Calcara (). Nella parte occidentale di essa lo spro- fondamento di un cratere ha dato luogo ad un’ insenatura ove potrebbesi trovare sicuro ancoraggio, se il fondo fosse buon te- nitore, con tutti i venti, non escluso il Libeccio che ne è la tra- versia. Linosa è ferace in oleastri; vi crescono assai rigogliosi il lentisco e la fillirea. Per disgrazia vi manca acqua di sorgente ed è questa la vera cagione per cui fu sempre deserta e lasciata in abbandono. Il metodo tenuto fino ad oggi per colonizzare quest'isola non produsse buoni effetti, e la popolazione importatavi dalla Sicilia rimase stazionaria. L'esatta posizione dell’isola fu calcolata nel mese di Agosto di questo stesso anno dal Cap. di Fregata G. B. Magnaghi e da questo gentilmente comunicatami. Le osservazioni astronomiche furono fatte presso la Chiesetta della colonia e si trovò per questa località: Lat. 35° 51' 18'’ T. Long. 12° 51’ 29" L. G. Appena sbarcati ci avvicinammo ad alcuni abitanti che si erano raccolti sulla spiaggia, tra i quali v’ era un tale che pa- reva esercitare una certa autorità sopra tutti gli altri. Sicuro del fatto mio, presentai a costui la mia patente di Sanità escla- (1) P. Calcara. Rapporto del viaggio scientifico nelle isole di Linosa, Lampe- dusa e Pantelleria. — Palermo, 1846. PARTE NARRATIVA 235 mando Sanitas. Ma egli indietreggiò con tutti quelli che avea d’attorno, accompagnando quella mossa retrogada con un gesto che pareva volesse dire vade retro Satanas! Ci volle del bello e del buono a persuadere questo zelantissimo ufficiale di sanità che venivamo dalla Grecia, ove la salute pubblica era eccellente e che a bordo della salute ce n’era da vendere. Ciò che fini di dileguare i suoi sospetti si fu la bandiera italiana colla corona che assimilava il Violante ad un legno da guerra. A quella vista il suo volto burbero si rasserenò ed atteggiandosi a dolce sorriso c invitò alla sua casa o meglio al Municipio, giacchè Don Bernardino è la prima autorità civile e militare dell’isola, copre cioè le cariche di sindaco, di ufficiale di sanità, di notaro, di farmacista e di dottore! Il Buonadonna, poichè così si chiama, accoltici tra le mura dei suoi domestici lari, sì studiò con ogni sorta di complimenti e gentilezze di farci dimenticare I’ acco- glienza fattaci da principio, che era del resto più che ragione- vole da parte sua. Allorchè tirammo fuori i nostri tubetti per gli insetti e la macchina fotografica, la sua ammirazione per noi non ebbe limiti. Ci fece servire il caffè e nel frattempo lo interrogammo intorno alle condizioni della sua isola. Dagli avanzi di edifizii, di cisterne e di monete antiche quivi rinvenute si può inferire che questa terra sia stata altre volte abitata dai Romani e più recentemente dagli Arabi. Ferdinando Borbone di Napoli volle colonizzarla, e il 25 aprile 1845 vi mando all uopo una spedizione composta di un deputato di sanità, di un medico, di un prete, di alcuni esercenti arti e mestieri e di parecchi agricoltori. Ma fabbricate una casa, una chiesa ed un magazzino, il Borbone non volle perseverare nell’ impresa. Fino all'anno 1875 la superficie dell’isola, toltane poca parte ridotta a coltura, era tutta a bosco e serviva al libero pascolo degli animali bovini, ovini e suini che vi si allevavano in gran quantità e da cui gli abitanti traevano il loro sostentamento. I capi di famiglia percepivano inoltre dal governo una piccola sovvenzione col titolo di guardie urbane. Per la trasformazione degli ordini coloniali nei municipali, ogni membro della popolazione dell’ isola è ora divenuto proprietario 236 CROCIERA DEL VIOLANTE di una buona parte di terreno che ha gia cominciato a dissodare e a coltivare sotto buoni auspici. La popolazione di Linosa conta 143 abitanti divisi in 36 fa- miglie. Essa visse finora in uno stato prossimo alla barbarie. L’ingegno e la svegliatezza proprie ai coloni, sono tuttora assopiti dall’ ignoranza e offuscati da una congerie di antichi pregiudizii, 1 quali malgrado l'istruzione ora iniziata nell’ isola e gli accresciuti mezzi di comunicazione, non potranno essere così di leggieri abbandonati. L'isola non ha approdo di sorta, ma ora vi si sta costruendo uno scalo che faciliterà assai le comunicazioni, anche per mezzo di barche di discreta portata, e favorirà lo svolgimento dell’ in- dustria e del commercio. Il bestiame, i legumi, il carbone, e anche il vino saranno importanti articoli di esportazione per l’ isola. Non vi sono colà fino ad ora che una strada, una casa ed un magazzino; ma è già tracciata ed in via di esecuzione la rete stradale che deve mettere iu comunicazione fra loro le diverse parti dell isola, facendo centro al luogo designato per la fondazione del villaggio; dapoichè un villaggio dovrà sorgere in virtù della concessione enfiteutica delle terre, e allora quei coloni abbandoneranno le grotte immonde ove da trent’ anni vivono come bruti. Era in progetto, e sarà presto fabbricato a spese del governo, un grazioso edifizio per I’ ufficio munici- pale e per la scuola. Il governo largheggiò lodevolmente nelle spese per impiantare sovra solide basi le nuove istituzioni ed apparecchiare alla colonia un prospero avvenire. Lo stato sanitario dell’isola sarebbe ottimo se la insalubrità delle grotte in cui vive confinata quasi tutta la popolazione non cagionasse infermità, che sovente conducono ad una vita di do- lori ed alla morte precoce. L’ isola dipende dall’ autorità governativa di Lampedusa , rap- presentata dal nostro gentile ed ospitale Dottor Buonadonna. Usciti all’ aperto, il nostro medico-governatore e capo della colonia ci mostrò i pochi terreni in coltivazione : erano campi- celli contorniati da siepi di fichi d’ India e coltivati a luppoli , PARTE NARRATIVA Bi ceci, fagiuoli e vite. Tutte le altre derrate necessarie alla co- lonia vengono da Lampedusa. Visitammo poi i tugurii dei coloni formati da muri addossati alla collina o da certe grotte munite sul davanti di una specie di anticamera costruita a volta con terra, lava e qualche raro mattone; il tutto era però scrupolo- samente imbiancato e pulito. Il Buonadonna mi disse che eravamo stati preceduti un mese fa dal Comandante Magnaghi qui venuto per determinare esat- tamente le coordinate geografiche di quest’ isola, come pure da due botanici. In fatto di uccelli non vedemmo nell’ isola che lodole ed un falco. Ci dissero che in Giugno abbondano i colombi selvatici, e che spariscono poco dopo il raccolto del grano. Mentre il Commissario discorre di caccia col Buonadonna io m'aggiro nei dintorni in cerca di ragni ed insetti, e vado cer- cando, ma inutilmente, una lucertola nera di cui m’ avevano par- lato quei del paese. Prendemmo poi commiato dal cortese dottore, il quale ec’ in- caricò di portare buone nuove dell’ isola e della sua popolazione al cav. Ulisse Maccaferri, suo superiore immediato, Commissario Regio di Lampedusa e Linosa e Direttore del domicilio coatto di quell’ isola. Alle 6 e mezza facevamo ritorno a bordo, ab- bandonando a malincuore quest'isola dopo una fermata di poco più di un’ ora; ma le circostanze meteorologiche ci consigliavano a non ritardar la partenza. Il vento variabile di direzione e di forza era nel frattempo diminuito e passato a Tramontana; avevamo un mare agitato in tutte le direzioni e il bastimento sotto l’ azione di queste onde rotte ed irregolari, abbenchè con poca velatura, si affati- cava e temevo avesse a subir qualche danno. Misi adunque la prora su Lampedusa, la quale non dista che 25 miglia da Linosa e le cui coste biancastre si vedono dalle alture di quest’ isola. Venerdì 15. — Alle 2 dopo la mezzanotte percorse 21 miglia nella direzione della punta Levante di Lampedusa, feci mettere al traverso, giacchè era impossibile scorgere terra di sorta e 238 CROCIERA DEL VIOLANTE sarebbe stata pazzia il tentare l’approdo. Le cateratte del cielo si apersero allora e si rovesciò sopra di noi per tutto il resto della notte un vero diluvio d’acqua con grossa grandine. Avrei desiderato doppiare la punta Levante di Lampedusa e mettermi al riparo sottovento dell'isola stessa; ma il buio era così fitto che sarebbe stato temerità il tentarlo. Alle 4 cessò alquanto il diluvio e spuntando l'alba feci rotta per passare a levante dell’isola; intanto I’ aria cominciò a ri- schiararsi ed un freschissimo vento di Ponente Maestro ridonò al cielo la sua limpidezza e al sole il suo splendore. Dopo brevi bordate, doppiato il capo Cavallo Bianco che porta sulla sua estremità il fanale, ci apparve |’ insenatura che forma il porto di Lampedusa e alle 7 lasciavo cader l’ancora in m. 5 di fondo. Per maggior sicurezza feci portare una cima in terra rimanen- domi afforciato al vento freschissimo di Maestrale che sembrava ringagliardire. Eravamo stanchi, bagnati ed affamati, le nostre mani e le no- stre orecchie sentivano ancora le ammaccature della grandine della notte, però rimandai a più tardi la nostra discesa in terra per le pratiche d’ uso e issata la bandiera e messi i nostri panni a sciorinare, ci ponemmo tranquillamente a far colazione. Ma questa tregua non ci era consentita, che l'ufficiale sanitario e 1 doganieri vennero a bordo; diedi le carte al primo e rimandai in buona pace i secondi. Poco dopo lo stesso Commissario Regio, il Cav. Ulisse Maccaferri, volle onorarci di una visita ed esibirci la sua assistenza per quanto potesse abbisognarci. Frattanto sulle rive si andavano formando numerosi cappannelli di persone che attentamente ci osservavano. Due paranzelle, poche e leggere barche pescherecce erano or- meggiate nell’ interno del porto. Oltre a 7 grandi casoni a due piani che fronteggiano il fondo dell’ insenatura, attirarono pure i nostri sguardi poche altre case bianche e basse, qua e là dis- seminate pel circostante paese e le rovine di un forte distrutto che sorgevano quasi sul mare, dividendo in due il profondo del- l’insenatura. PARTE NARRATIVA 239 LAMPEDUSA Lampedusa dagli antichi detta Lepadusa ed anche Lipa- dusa, era la più grande delle isole formanti il gruppo delle Pelagie. La posizione esatta di quest’ isola fu al pari della Linosa ve- rificata dal Magnaghi, il quale prese per punto di operazione una località presso la Cala detta della Madonna sita nel lato Tramontana dell’isola, trovando per questo punto: Lat. 35° 30' PR Lone. 12% 34' 98" 1L.(G. L’ isola consiste in un altipiano lungo e scosceso dal lato di Tramontana che corre da Levante a Ponente per una lunghezza di 6 miglia; la sua larghezza dal lato di Levante è di circa 2 miglia; seguita quindi a restringersi dal lato di Ponente pren- dendo la forma di una lingua. Da Tramontana la costa si in- nalza di 100 metri sul livello del mare, poi scende gradatamente ad una spiaggia frastagliata da una moltitudine di piccoli seni, il maggiore dei quali forma il porto dell’ isola. Questo è aperto ai soli venti di Mezzogiorno e di Libeccio ed offre un buono ancoraggio a legni non superiori alle 500 ton- nellate; ma con poca spesa di escavazione e colla costruzione di un molo, parmi si potrebbe ripararlo da tutti i venti e renderlo atto ad accogliere bastimenti d’ ogni portata. Il suolo di Lampedusa è in gran parte calcare e contiene resti organici fossili, Jai quali si può inferire che si riferisca all’epoca terziaria. Il terreno non si presta molto alla coltivazione dei ce- reali che danno uno scarso e cattivo raccolto. E ciò senza dubbio dipende dalla soverchia proporzione dell’ elemento calcareo, dalla mancanza d'acque sorgive, dalla scarsità di pioggia, nonchè dai continui venti impetuosi ai quali è esposta l'isola. Non esistono sorgenti sulla roccia calcarea, ma scavando a poca profondità si trova acqua più o meno salmastra, a misura che i pozzi sì praticano presso il littorale o alquanto discosti dal mare. Secondo avviso del Calcara quest’ acqua proverrebbe dal mare e filtrando 240 CROCIERA DEL VIOLANTE attraverso gli strati calcari e marnosi di cui l'isola è composta, si spoglierebbe in parte dei principii salini che contiene (!). Lampedusa rimase per lungo tempo deserta a causa delle in- vasioni dei barbareschi e della sterilità del suolo e però è poco o nulla menzionata nella storia. Dalle monete e dai sepolcreti ritrovati in essa si può argomentare che sia stata abitata dai - Greci, dai Romani e dagli Arabi; ma delle sue sorti nulla si sa sino al 1436. In quest’ anno da Alfonso d’ Aragona venne infeudata con poteri baronali alla casa Decaro, dalla cui famiglia passò nel 1667 alla famiglia Tomasi, nella persona di D. Fer- dinando Tomasi, col titolo di Principe di Lampedusa. Nella seconda metà del secolo passato consta che l'isola era abitata e che nell’anno 1794 la popolazione fu colpita dalla peste. Quest’ epoca è ricordata da un'iscrizione mortuaria che ci fu mostrata sul porto, nella quale leggesi: « Qu: trovasi un ca- davere morto di peste in giugno 1794 ». Da documenti storici consta che in quello stesso secolo la corte di Pietroburgo ai tempi di Caterina II mirasse alla padronanza di Lampedusa e delle altre isole formanti il gruppo delle Pelagie, per farne una stazione navale della Russia nel Mediterraneo. Al principio di questo secolo, quando pretendevasi da Napoleone I che gli In- glesi evacuassero Malta, il gabinetto di San Giacomo gettò gli occhi sovra Lampedusa per rifarsi della perdita alla quale erasi assoggettato. La sua posizione sembra buona infatti dal punto di vista strategico quanto quella di Malta, perchè comanda ad un tempo nei due grandi bacini del Mediterraneo; ma è però inferiore a Malta per la capacità del porto. Fu in quell’ epoca appunto che la parte orientale dell’isola venne messa a col- tivazione dalla famiglia maltese Gatt, che ebbe le terre in enfiteusi dai Principi di Lampedusa. Questa famiglia la diede poscia in concessione ad Alessandro Fernandez, il quale riuni nell’ isola una colonia di trecento persone e vi si atteggiò a padrone. Egli fabbricò nel 1810 il castello che esiste sul porto; ma in seguito a contese sorte tra Fernandez e il Gatt, quest’ ul- timo rimase solo padrone dell'isola sino al 20 Settembre 1843, (1) P. Calcara. Opera citata. PARTE NARRATIVA 241 giorno in cui Ferdinando II Borbone, Re delle due Sicilie, la richiamò al dominio dello Stato avendola comperata per ragioni politiche dagli eredi dei Principi di Lampedusa. Da quell’ epoca s' imprese a colonizzarla a spese dell’ erario pubblico. Lampedusa e il vicino scoglio Lampione debbono i loro odierni nomi, prestando fede ad una leggenda del Medio Evo, ai fuochi che nella notte vi accendevano gli eremiti per guidare i naviga- tori (1). Ai nostri giorni la lampada leggendaria è sostituita dal piccolo faro del porto e gli eremiti hanno ceduto il posto a quella brava gente di condannati a domicilio coatto! Alle 10 facciamo la nostra ufficiale discesa, muniti dei soliti attrezzi, per cacciare insetti, fare assaggi di rocce, e prendere fotografie (2). Sbarcati presso le rovine del forte ci dirigiamo alla casa del Commissario Regio il cav. Ulisse Maccaferri, il quale ci accoglie colla maggior cortesia e risponde alle nostre numerose domande. Egli ci narra come la colonia impiantata dal Re di Napoli Ferdinando II sia andata deperendo e come da qualche anno l'isola sia stata scelta come luogo di deportazione pei con- dannati a domicilio coatto. Sembra, soggiunge, che il governo abbia intenzione d@’ innalzare |’ isola a comune e di sopprimere la colonia, ma da tre anni egli è Commissario in Lampedusa e non si è presa alcuna deliberazione in proposito. Per contro noi gli esponemmo lo scopo del nostro viaggio e gli narrammo bre- vemente le nostre avventure. Egli ci fece fare la conoscenza del Dottore della colonia e dell’ Ufficiale comandante il distaccamento, che insieme al Tenente delle dogane formano lo stato maggiore dell’isola. I vagiti di un bambino chiamarono il Commissario nella sala attigua; colà nella sua qualità di ufficiale civile, egli doveva assistere alla deposizione dei parenti d’ un neonato; noi (1) Vallardi — Dizionario corografico da’ Italia. (2) A Lampedusa ho raccolto le seguenti specie di Alghe: Sphacelaria scoparia, Ag., S. filicina, Ag., Cladostephus verticillatus, Ag., Dictyota fasciola, Lamour., Halyseris polypodioides, Ag., Peyssonelia rubra, Grev., Melobesia verrucata, Lamour., Amphiroa rigida, Lamour., Jania gra- cilis, Zan., Sphaerococcus coronopifolius, Ag., Gracilaria dura, Ag., Rho- dophyllis bifida, Ktz., Rhytiphiaea tinctoria, Ag., Vidalia volubilis, J. Ag. Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (10 Dicembre 1877). 16 242 CROCIERA DEL VIOLANTE lo lasciammo alle sue occupazioni e andammo a far un giro nell’ isola. Visitammo dapprima gli spaziosi caseggiati fabbricati nel 1844 per ordine del Re di Napoli per alloggiarvi le famighe dei co- loni; poi ci recammo sul promontorio detto del Cavallo bianco ove sorge un fanale e ivi, stabilita la macchina fotografica , presi la veduta del paese e del porto (7) Girammo quindi J’1- sola cercando ragni, insetti e lucertole e frattanto il Commis- sario non potè resistere alla tentazione di tirar qualche colpo alle quaglie, che sembrano qui meno abbondanti e più furbe che a Cerigo. L'isola ci sembrò ricca di granaglie; c' imbattemmo in molti coloni intenti ai lavori agricoli nei loro poderi divisi gli uni dagli altri mediante cinte di muri a secco o siepi di fichi d’ India. Alcune case coloniche sono fornite sul davanti di una specie di pergolato coperto di vite, il quale reca ombra e frescura, cosa da non disprezzarsi sotto un sole veramente africano. Ma accanto al bello vi è il brutto; vedemmo infatti certe abitazioni che non meritano il nome di case, formate da mucchi di pietre e di terra, unico ricovero delle più povere famiglie, le quali di più convivono con certi sudici animali che in questo caso son dome- stici proprio di fatto. Nel nostro giro non incontrammo un pozzo, non un solo ruscello, e ovunque la terra era arida e bruciata dal sole. Tut- tavia crescono in varie parti dell’ isola e prosperano varie qua- lità di viti, fichi d’ India in gran copia, legumi e ortaglie. Man- cano quasi le piante arboree; si riducono cioè a qualche raro carubbo e a pochi oleastri e questi non si prestano all’ innesto dell’ olivo. I venti impetuosi impediscono poi ai pochi alberi di innalzarsi e di fruttificare. Tornati a bordo per lasciarvi le nostre raccolte rivedemmo più tardi il Sig. Maccaferri, il quale ci volle a mensa seco lui. (4) Il fanale era allora della portata di 6 miglia; ma si lavorava a collocarne uno nuovo. Sarebbe utile oltre a questo, un fanale sulla punta Ponente del - l’isola e sembra che si sia presentato un progetto al Ministero per provvedere al bisogno. are ‘Ong *eruo[od er[lop empoa — VSACHANYVT PARTE NARRATIVA 243 Durante il pranzo il nostro ospite ci forni interessanti ragguagli sulle vicende della colonia dalla sua fondazione fino ad oggi. A capo e ordinatore di essa era stato designato dal Borbone il cav. Bernardo Sanvisenti, capitano di fregata della marina napoletana, autore d’ una pregevole memoria sopra Lampedusa e le isole vicine. Sotto di lui ebbe luogo il dissodamento di buona parte delle terre boschive e la fabbricazione delle case di abita- zione che costituiscono il villaggio. Egli governò la colonia fino all’anno 1853, con una sola interruzione cagionata dai noti av- venimenti politici del 1848. Al Sanvisenti sottentrò una Commis- sione di funzionari locali che resse la colonia sino al 9 Luglio 1873, epoca in cui venne sciolta dal Governo per apparecchiare ed eseguire la conversione di essa in Comune, giusta le tradizio- nali aspirazioni dei coloni e le promesse dei Governi Borbonico e Italiano. Gh studi e l’opera della riforma vennero affidati ad un Com- missario straordinario, scelto con savio intendimento nella per- sona del cav. Ulisse Maccaferri. L'impianto della colonia fu iniziato da una spedizione che comprendeva: un Comandante civile e militare, un Sindaco, un Cancelliere, un medico, un prete, un sagristano, 18 uomini addetti ad arti e mestieri diversi colle funzioni di guardie urbane ed un distaccamento militare di 40 uomini. A popolare l'isola accorsero dalla Sicilia e più specialmente dalle isole di Ustica e Pantel- leria parecchie famiglie di agricoltori, lusingati dalla promessa di diventar proprietari di terre e di case. Essi ebbero poi la sospirata proprietà; ma le terre di Lampedusa essendo povere di produzioni naturali ne rimasero ben poco avvantaggiati. La popolazione dell’isola andò progressivamente crescendo sicchè all’epoca del nostro soggiorno ammontava a 918 abitanti, dei quali 452 maschi e 466 femmine. Questa era la popolazione libera; ma l'isola essendo diventata nel 1872 sede di una colonia di domiciliati coatti, si aggiunsero ai suoi abitanti un distaccamento militare e un drappello di guardie di pubblica sicurezza e cara- binieri. I condannati a domicilio coatto, che sono poco più di 200 244 CROCIERA DEL VIOLANTE vivono in uno stato di estrema miseria. Il governo dà loro I al- loggio ed il vitto, ma questo è per la maggior parte insufficiente ; dippiù essi devono pensare a vestirsi. Epperò molti di loro son quasi ridotti alla nudità e quasi sempre sofferenti per I’ inedia. Generalmente si fa calcolo dal Governo che il condannato a domicilio coatto, spinto appunto dalle sue ristrettezze, debba, ricorrere al lavoro e prestare l’opera sua al cittadino ed al colono; ma in Lampedusa la stessa autorità non potrebbe obbli- garlo a ciò, non avendo il colono che scarso lavoro da offerire. Inoltre la popolazione libera, semplice di costumi e retta di cuore, avendo avuto motivo di lagnarsi assai dei coatti da principio, ora li tratta forse con soverchia diffidenza; quindi, anche ammet- tendo che i coatti fossero tutti nemici dell’ ozio, è si difficile per loro il trovar lavoro e ne ricevono così scarsa retribuzione che preferiscono vagabondare senza far nulla. E invero 25 centesimi di paga per una giornata di lavoro son pochi; senza contare che il colono ritira la panatica devoluta al disgraziato coatto e lo nutrisce a modo suo, cioè con cipolle e ceci. Varii sono i penitenziari da me veduti, giacchè nel corso di due crociere ebbi campo di visitare le colonie penali agricole della Gorgona, di Capraja, di Pianosa, di Montecristo e 1 domi- cilii coatti di Lipari, Pantelleria e Lampedusa; nelle prime sempre trovai la salute ed il buon umore impressi sul viso del condan- nato, giungendo il lavoro a far dimenticare a quegli infelici la loro condizione, al punto di affezionarsi a quei luoghi fecondati dai loro sudori. Trovai invece negli ultimi il vizio, l’abbrutimento e il delitto, conseguenze immancabili dell’ ozio. Molti di costoro i quali, costretti ad un lavoro utile, sconterebbero una colpa la quale molte volte non è poi ben provata, condannati invece ad un ozio che uccide il corpo e I’ intelligenza diventano peggiori di prima. Il domicilio coatto abbrutendo l’uomo, ne inasprisce le passioni, ne guasta l'intelligenza ed il cuore. Il domiciliato coatto reso libero anela a vendicarsi della società, che forse tal- volta a torto lo isolò per tanto tempo su queste spiaggie inos- pitali; il colono agricolo invece, ritornato alla propria famiglia persevera nel lavoso da cui trasse un vero conforto. PARTE NARRATIVA _ 245 Ci diceva il Maccaferri come supremo piacere di questi paria sia di procurarsi del vino e per soddisfare alla loro passione vendono quanto possiedono; alcuni d’ essi, a cagion d’ esempio, che dai vestiti laceri lasciavano vedere le nude carni, erano stati nel passato mese di Dicembre regalati di qualche vestito, ma dopo pochi giorni, il dono era sparito e convertito in bevanda. Non potevo persuadermi che tanta gente trovasse sostentamento col semplice prodotto di un terreno sì ingrato; ma il Maccaferri mi fece osservare che la pesca delle sardine e delle alici, la quale attira anche molti pescatori forestieri viene in soccorso di questi isolani. Comincia la campagna di pesca nel Marzo e termina col Giugno di ogni anno e sono 20 anni che venne iniziata; vi pren- dono parte in media 40 barche e 240 pescatori circa. Questi in parte sono dell’isola, gli altri forestieri, cioè provenienti dalla Pantelleria e da Trapani. Le sardine e le alici si salano in barili che commercianti Dalmati sogliono esportare nei mesi di Giugno e Luglio per poi venderle sui mercati della Grecia, della Turchia e della Germania. L’ isola ne lucra 150,000 lire annue. Questa pesca si esercita lungo le coste dell’isola e particolarmente allo scoglio del Lampione. Ivi si pescano pure lungo l’anno dentici, luvari, minnole, che in parte si salano e in parte servono di alimento alla popolazione dell’isola; ma a questa pesca prendono parte pochissimi individui. Si importano nell’ isola granaglie, legumi, vino, animali do- mestici, olio e materiali da costruzione. Servono a quest’ uopo tre barche di una trentina di tonnellate di stazza, le quali fanno altresì il servizio postale con Porto Empedocle nella Sicilia, e due altre piccole barche di 16 tonnellate, che importano specialmente il vino di Marsala. L’ isola facendo parte della provincia di Girgenti, ha le sue principali comunicazioni con Porto Empedocle. Ogni settimana una barca postale fa vela per quel porto e ritorna nell’ isola. « Infelice colui che è costretto a viaggiare con essa », ci diceva il Maccaferri, « indarno cercherebbe comodità e conforto ». Questi mari essendo talora assai tempestosi, accade, special- mente nella stagione invernale, che l'isola rimanga senza alcuna 246 CROCIERA DEL VIOLANTE barca in porto e senza comunicazione di sorta e ciò fin per 60 giorni e più; la popolazione trovasi allora costretta ad assottigliare il proprio vitto, a mettersi a razione e a passar la sera e la notte senza lume, sempre col timore che succeda anche di peggio. Ad onta di sì tristi condizioni e quantunque la colonia dei coatti costituisca sempre un vero pericolo, le autorità locali non dispon- gono nemmeno di un telegrafo. Le condizioni sanitarie dell’isola sono generalmente buone, e il numero delle nascite supera largamente quello delle morti; ciò principalmente a causa del clima mitissimo e per la temperanza della popolazione. Le pioggie sono nell’isola rare e di breve durata, ma per contrario le rugiade sono abbondantissime, massime in primavera; onde il bisogno di cisterne che furono scavate dal governo e dai coloni e da questi sono con gran cura e gelosamente custo- dite. Abbenché la carta inglese dello Smyth segni vari torren- telli e sorgenti, pure il Maccaferri ci confermò |’ assoluta man- canza di acque correnti. Per la scarsità delle pioggie e I’ assoluta mancanza di acque sorgive l'isola va soggetta qualche volta a straordinaria siccità. Per una di queste nel 1875, 400 abitanti emigrarono in massa sulle coste della Tunisia e dell’ Algeria. Terminato il pranzo uscimmo a passeggiare pel paese in com- pagnia del Maccaferri. Il villaggio non è brutto ed ha case spaziose e pulite; ma, come ci fece giustamente osservare il Maccaferri, non sono case da contadini. Il Re Ferdinando Bor- bone desiderava che si facessero pei coloni casette rustiche sparse per la campagna; ma ne fu dissuaso e furono invece co- struiti sette grandi palazzi con appartamenti che non soddisfano ai bisogni delle famiglie coloniche e corrispondono malamente a quelli delle famiglie civili. Il sig. Maccaferri ci disse che si trovano nella folta boscaglia conigli selvatici in gran quantità, massime nel lato ponente dell’ :- sola, e che vi è abbondante il passaggio degli uccelli. Aggiunse che non molti anni addietro, sempre all’ estremità occidentale, s incontravano ancora alcuni cervi, la cui razza è oggidi estinta. Quest’ animale fu probabilmente introdotto nell’ isola dai Baroni PARTE NARRATIVA 247 Decaro o dai Principi Tomasi, per darsi il piacere di farne la caccia. Gli avanzi di antiche tombe che trovansi nell’ isola, i ruderi di antiche costruzioni e di vetusti muri che s’ incontrarono nel luogo ove fu fabbricato il paese e le monete rinvenute dal San- visenti porgono prove irrefragabili che l'isola fu in tempi remoti abitata dai Greci, dai Romani e dagli Arabi. Sabato 16. — Desiderando il Commissario di fare un’ altra escursione nell’ interno prima di lasciare Lampedusa, rimandai la partenza che era già fissata per quel giorno. Nel frattempo noleggiai una grossa barca peschereccia e mi diressi fuori del porto per fare qualche dragata. Questa barca, che sembravami vecchia e sdruscita, ebbe a quanto pare un glorioso passato. I pescatori narrarono come nel 1860, quando era nuova e forte, fosse stata scelta per portare l'eroe di Calatafimi e di Marsala al Faro di Messina. In allora era munita di una grossa spingarda a prora, al pari di una sessantina d’altre barche consimili. Questi pescatori sono siciliani e vanno girando per le coste di Kalibia, di Susa e di Tunisi ove esercitano la loro professione. Essi mi assicurarono che nell’ isola e specialmente allo scoglio del Lampione vi sono molte foche. Questo scoglio che discernevo in lontananza verso Ponente è alto 45 metri sul livello del mare e distante da Lampedusa 8 miglia. E tagliato a picco da ogni parte tranne che da Levante, ove si abbassa gradatamente. Fatto ritorno a bordo diedi ordine che si preparasse ogni cosa per la partenza e mi recai a terra a salutare il Sig. Maccaferri. Questi mi offeri, mentre mi accommiatavo, una quantità di mo- nete antiche, tra le quali le poche riconoscibili sono romane ed appartenenti al basso impero. Quanto di buono esiste nell’isola è pressochè tutto opera del governo italiano, il quale ha speso e spende largamente per mantenerla popolata, per trasformare gli ordinamenti e gli usi coloniali nella costituzione e nelle costumanze municipali e con- vertire gli abitanti, che erano quasi servi della gleba, in liberi cittadini di libero Comune. Il divisamento del governo nazionale è ottimo e sommamente civile; ma è difficile il raggiungerlo 248 CROCIERA DEL VIOLANTE completamente perchè vi si oppongono la ignoranza delle masse e le interessate aspirazioni dei maggiorenti. Tuttavia mercè i lumi, il senno e l’operosità di quel solerte funzionario che è il cav. Ulisse Maccaferri, l’opera è già molto innanzi ed omai il buon esito può ritenersi assicurato. Sebbene Lampedusa non sia per anco retta a Comune e tut- tora sussistano le leggi cui era soggetta la colonia ai tempi di Ferdinando II, pure un avviamento alla vita libera e civile è stato dato testé alla popolazione dell’ isola. Sotto l'impulso del Regio Commissario, sono state istituite scuole elementari per 1 fanciulli e per le fanciulle ed una scuola serale per gli adulti, entrambe fornite degli opportuni arredi scolastici ed affidate a buoni insegnanti, e in tal guisa sono frequentate dalla popola- zione che ne ricava gran profitto. In tali scuole si è introdotto l'uso della solenne premiazione degli alunni, e la popolazione festosamente vi prende parte. È stata poi istituita una società di mutuo soccorso tra gli operai, che ad onore dell’isola fiorisce e prospera non meno d'una biblioteca popolare circolante a cui non mancano libri utili e assidui lettori. Io dovetti intanto pensare alla partenza, ma non senza ram- marico, giacché avrei voluto veder più da vicino le nuove isti- tuzioni dell’ isola e goder più a lungo della compagnia del cav. Maccaferri. Questo simpatico funzionario ci dimostrava un vero affetto, segno del suo animo appassionato e gentile; e siccome i nostri rapporti erano divenuti assai intimi, mi permettevo, scherzando, di dargli il titolo di Re di Lampedusa. Egli però mi dipinse con sì tristi colori la. vita d'un re di quella specie che le sue pa- role lasciarono in me una profonda impressione. Privo di ogni conforto della vita sociale, senza famiglia, sovente mancante dei più necessari alimenti e colla responsabilità immensa che pesa sopra di lui, egli conduce una vita tormentosa ed intollerabile. Unico suo conforto si è la rara visita di qualche forestiere. Io gli augurai proprio di cuore un pronto richiamo e, dolenti en- trambi di separarci così presto, ci lasciammo. La ristrettezza del porto, il gran pescaggio del cutter, i bassi PARTE NARRATIVA 249 fondi che ci attorniavano e il vento che spirava fresco da Libeccio (che è la traversia del porto) resero la partenza oltremodo la- boriosa. Usciti dal porto il vento essendo da Mezzogiorno e manegge- vole e il mare molto calmato, ghindai I’ alberetto , diedi la freccia e sciolsi 1 terzaroli che per cautela avevo preso alla partenza. Scorgemmo in lontananza lo scoglio del Lampione rassomi- gliante ad una poligonale fortezza dalle mura verticali e inac- cessibili. Poi si navigò tutto il resto del giorno in vista della vulcanica Linosa che offre uno strano contrasto per le nere lave e trachiti di cui è formata, colla vicina Lampedusa, le cui roccie sono invece biancastre. Il tempo era bello, il mare tranquillo e non si scorgeva una nube sull’orizzonte. La colonna barometrica andava gradatamente rialzandosi e tutto faceva sperare che il buon tempo volesse ristabilirsi. Quando il sole fu prossimo al tramonto osservai un fenomeno singolarissimo; verso Levante apparve all’ orizzonte come una sor- gente di luce a raggi, la quale diventava sempre più intensa man mano che il sole si andava occultando e raggiungeva il suo massimo splendore dopo il tramonto. I fasci luminosi erano così vivi da potersi propriamente paragonare a quelli del sole che nasce dietro alle nuvole o a tergo di qualche addentellata catena di montagne. Il cielo intanto si manteneva puro e sereno e il mare in perfetta calma rifletteva lo strano ed incantevole spettacolo. Gli sprazzi di luce proiettati dall’orizzonte non giun- gevano al nostro zenit, ma passavano sicuramente i 50°. Non fui solo ad osservare tale fenomeno, chè il Giusti e la gente di bordo | ammirarono anch’ essi. Domenica 17. — Alle 4 ant. si spiega un bel vento dalle coste d'Africa e all'alba si avvista I’ isola di Pantelleria per T.!/, M. della bussola; ma nella mattinata il vento cessa quasi affatto e a mezzogiorno abbiamo : Tar90 Zool long Mie Durante il giorno poco vento e variabile dal 2.° e 3.° qua- drante permette di dare tutte le vele; inoltre ne improvvisiamo 250 CROCIERA DEL VIOLANTE altre comprese nella numerosa categoria delle vele di caccia. Si naviga tutto il giorno in vista dell’isola di Pantelleria. Avrei desiderato rivedere quest’ isola ove forse ero aspettato; giacchè lo schooner I due fratelli da noi incontrato a Sira, do- veva aver portato la notizia del mio probabile arrivo al Sig. Gio. Batta Valenza, il simpatico amico di Pantelleria di cui feci la relazione nella mia crociera del 1875. Temendo però il rinno- varsi dei cattivi tempi dello scorso anno, preferii spendere qualche giorno di più alla Gallita anzichè far sosta altrove; lasciai quindi che il vento favorevole mi spingesse verso il Capo Bon. Ad onta di ciò non è quì fuor di proposito il fare un breve cenno di quest'isola tanto interessante. PANTELLERIA Quest’ isola dista, nella direzione di Greco Tramontana, 55 miglia dal Capo Granitola, il punto più prossimo di Sicilia, e 35 miglia dal Capo Mustafa, punto più prossimo della costa d’A- frica nella direzione di Ponente. L’ isola ha una forma allungata nella direzione di Maestro e Scirocco e misura 9 miglia di lun- ghezza sopra una larghezza di 4 miglia. Montuosa al centro e nella parte Scirocco, si presenta bassa dalla parte opposta. Os- servando la configurazione del fondo del mare si vede che que- st isola è geograficamente legata all'Italia, abbenchè ne disti maggiormente che dall’ Africa. Non è così delle isole di Linosa e Lampedusa, le quali sono già al di là delle grandi profondità che separano il Continente Europeo dall’ Africano e quantunque più distanti da questo, possono dirsi tuttavia geograficamente Africane. L'isola di Pantelleria è di origine vulcanica e in conseguenza di ciò è composta di rocce eruttive per lo più di color cupo od anche decisamente nere, cosicchè vista dal mare, ha un aspetto tetro e melanconico. In molti punti vi si scorgono crateri spenti Non si sono incontrati in nessun luogo alla sua superficie , come pure nel sottosuolo, terreni di sedimento e sembra invece che i prodotti vulcanici poggino su terreni della stessa natura. Ne PARTE NARRATIVA 251 risulta che |’ isola intera ha dovuto emergere dal mare per effetto di forze eruttive, come il gruppo Kaimeni in Santorino. Nel centro dell’isola sorge la montagna principale che si eleva di 832 metri sul livello del mare; accessibile da Greco, questa è affatto scoscesa e dirupata dalla parte opposta. Varie sono le montagne di minore importanza e le colline che si partono da essa, le quali suddividendosi in punti più o meno elevati si protendono fino al mare (1). In varii punti ancora l’azione vulcanica non è cessata, poichè in alcuni crateri che si trovano attorno alla gran montagna centrale si vedono fumaruole in attività, le quali dagli isolani son dette Favare. Io ebbi agio di osservarle nella escursione che feci nell'interno dell’isola nella passata crociera del Violante. Durante il mio breve soggiorno in Pantelleria pbtei racco- gliere intorno ad essa dati storici e archeologici, che credo me- ritevoli di esser qui riferiti. Si crede che essa sia stata abitata dapprima dai Fenici, i quali vi sì posero in relazione coi Sicani per ragioni di commercio. Alcuni storici credendo di scorgere nei vocaboli Corsura, Cos- syra, Cosyra, Cossura, Cosyrus, Kausera, Costraeus, (tali sono 1 nomi con cui viene ricordata dagli antichi scrittori e geografi) un’ etimologia asiatica, su ciò fondarono il supposto che fosse una colonia Siriaca; altri ritengono che sia stata primamente abi- tata dai Greci e diffatti il nome di Cossyra è greco, e taluni infine la reputano una colonia Egizia. Questa discrepanza di opi- nioni è prova dell’ oscurità delle sue origini (*). Pantelleria segui per lungo tempo le vicende della Sicilia, (‘) Guido dalla Rosa. Una gita alVisola di Pantellaria. (Archivio per l’Antro- pologia e |’ Etnologia, Vol. II). (2) In quanto all’odierno nome di Pantelleria parmi si possa far derivare da pantano alludendo al piccolo lago che vi si trova. Uno scrittore del secolo scorso il P. Placido Spatafora nella sua Prosodia Italiana (Palermo 1709), dice che fu chiamata in tal modo: « quasi Pantanaria per li pantani » ma meglio sarebbe a mio credere usare addirittura il singo- lare e alludere così all’ unico lago. Nel Dizionario topografico di Sicilia del D’ Amico si legge: « che forse le fu dato tal nome dai Pantalei, popoli asia- tici, che si crede avere approdato in Cossura nel VII.° secolo »; ma la nar- razione di questo autore non raccomanda affatto la versione da lui proposta. Doe CROCIERA DEL VIOLANTE alla quale era aggregata. Essa fu probabilmente posseduta dagh Egizi, dai Fenici e dai Greci; almeno ciò si può argomentare dai monumenti e dalle monete che vi si scoprirono, ed es- sendo collocata tra Cartagine e Roma, fu più volte presa e ri- presa dai Romani e dai Cartaginesi, rimanendo finalmente in pos- sesso dei primi nella seconda guerra punica. Mi furono mostrate antiche monete che ricordano quest’ epoca e portano I’ immagine di una donna velata da una parte e l'iscrizione Rec Res dal- l’altra; dalla parte della donna velata sta scritto Cossura e Ree Res, il che vorrebbe dire Recepta Restituta (Romanis). Ciò prova in qual conto era allora tenuta quest’ isola. Ottaviano Augusto vi rilegò sua figlia Giulia e Nerone vi esiliò fino al termine della sua vita Ottavia figlia di Messalina. Ma se fu Pantelleria un tempo di qualche importanza, ben diversa e miseranda fu la sua sorte nelle epoche posteriori, quando essa divenne preda dei Barbari che |’ invasero e la spogharono. Nel 1053 presso quest’ isola naufragò una numerosa flotta Tunisina che con buon nerbo di truppe andava in soccorso dei Mussul- mani di Sicilia assaliti dai Normanni, i quali erano allora guidati dai figli e nipoti di Tancredi d’ Altavilla. Nel 1147 venne tolta agli Arabi da Ruggero L°re di Sicilia. Dalle mani di Federico II cadde poi in potere dei Baroni. Il feudalismo e le frequenti in- cursioni dei Barbareschi nel secolo XVI resero Pantelleria quasi spopolata. Ai tempi di Carlo V fu assediata e depredata dai pirati della Siria; il Barone che la governava era allora D. Giovanni Salcedo, il quale insieme alla propria famiglia fu preso dai Turchi. Poscia l imperatore la riconquistò e vi pose un forte presidio, quindi riparò il Castello aumentandolo di nuove opere di difesa, il che fece credere a taluni che egli ne fosse il fonda- tore (1). (1) Ecco quanto dice su questo Castello un pregevole lavoro del Sig. Caval- laro (Bullettino della Commissione @ antichità e belle arti in Sicilia. — N. 7}. Quito Questo Castello è da attribuirsi a varie epoche per la differenza di » costruzioni, l’ ultima delle quali appartiene alla dominazione spagnuola. » Le sue più recenti fabbriche offrono quel modo caratteristico di tutte le » fortificazioni dell’epoca che precesse il tanto conosciuto sistema di Vauban; » ma in quelle altissime muraglie costruite con pietre di lava irregolari, ‘892 ‘Ong ‘esoed Joep e[etoue3s eimpa A — VIYHATIALNVd = = === = = = === == = = = = == = = = === == = = == SEPE == = === = = : = = == SESS PARTE NARRATIVA 253 L'isola segui poi le sorti della Sicilia fino ai nostri giorni. All’ epoca del mio soggiorno Pantelleria mi parve una terra ricca, relativamente popolata e di una vita propria, nonchè d’ un ben’ essere ignoto alle vicine Isole di Lampedusa e Linosa a cui tutto manca. Il villaggio, capo luogo dell’isola si trova nel lato di Ponente e si stende in semicircolo intorno al porto. Quan- tunque abbastanza simpatico, pure essendo contorniato da vul- cani spenti, quali sono il Monte S. Elmo, la Cudia bruciata , le Cudie rosse, partecipa del triste aspetto, comune a tutta I’ i- sola, per cui disse un viaggiatore del secolo scorso, parlando di Pantelleria: « Isola senza nessun conforto « O pietre 0 vento 0 campane a morto ! » L’ angusto porto non può ricevere che bastimenti di piccola portata, essendo la sua maggior profondità di due braccia inglesi. Da qualche anno fu maggiormente difeso per mezzo di una get- tata eseguita a spese del Comune della Provincia e di alcuni negozianti ed armatori dell’isola. Benchè ora più sicuro di prima, è però sempre aperto al Maestrale che spesso vi cagiona avarie e disastri. La carta dello Smyth, l’ unica che esista di questo porto, é sbagliata non essendovi marcata una secca pericolosissima situata appunto all’ entrata, dal lato di Tramontana. Fu mira- » connesse con una eccellente malta, si osservano intercalati molti filari di » pezzi parallelepipedi di un preciso lavoro, i quali non appartengono cer- » tamente alla costruzione spagnuola eseguita con solidità; ma senza la pre- cisa ed elegante fattura delle opere più antiche: questi filari di pezzi ri- vestono la parte inferiore del muro del Castello esposto all’ Occidente e le due costruzioni, oltre le differenze notate, si distinguono dal loro para- mento. Le più antiche sono perpendicolari, e quelle di epoca spagnuola sono a piano molto inclinato, come i così detti bastioni d’allora , fatti per meglio resistere alle artiglierie. « Altre costruzioni sì osservano parte compenetrate in questo Castello, » parte fuori dello stesso e da ciò sì può concludere che quasi nello stesso » sito esisteva una fortificazione più antica, forse di epoca Bisanlina o Nor- » manna, e, sesi vuole sì potrebbe supporre che questa fosse innalzata nello stesso recinto dove esisteva un antico Castello Romano, onde proteggere » quella stazione, base di operazione nelle guerre puniche, e così garantire » il presidio di Cossura da ogni sopresa ». Soe ev ey = ¥ 254 CROCIERA DEL VIOLANTE colo se il Violante non vi lasciò la chiglia! (*). Faccio voti perchè il Governo provveda con sollecitudine al rilevamento d’ un buon piano di questa località. Sebbene in così infelici condizioni, il porto ricovera una buona parte dei 40 bastimenti fra quadri e latini che fanno il commercio dell’ isola; i cui principali articoli sono: uva passola, legumi, fichi, vino, animali domesticie tessuti di cotone. L’ isola fa comune a sè e conta 7000 anime; in questi ultimi tempi divenne sede di una Colonia di domiciliati coatti, i quali vivono acquartierati nel Castello; essi sono in poco più di 400, e, più fortunati di quelli di Lampedusa trovano abbondante lavoro presso i proprietarii delle campagne. Nel mio soggiorno in quest’ isola mi era compagno il giovane naturalista Leonardo Fea e a lui debbo la veduta della città tratta da un suo disegno fatto sul luogo. In una escursione nell'interno, sopra i tanto decantati asini o scechi di Pantelleria , notevoli per la loro statura e per la perfezione delle loro forme, visitammo il luogo ove sorgeva l'antica Cossyra o Cossura, sul versante di Ponente del Monte St. Elmo, ove tuttavia scavando si trovano sempre avanzi inte- ressantissimi dell’ epoca romana. Fummo poi condotti al lago cosidetto Bagno, percorrendo un viottolo scosceso, praticato attra- verso a massi di trachite. Nel traversare questi luoghi non si può a meno di ammirare la valentia e direi quasi l’intelligenza degli Scechi. Dal lago, che misura circa un miglio di circonferenza, la vista è veramente imponente. Lo circondano tre promontorii di ossidiana e trachite nera e massi di roccie sembrano sospesi sulle sue acque.come se fossero per staccarsi da un momento all’altro. Nel lago scaturiscono sorgenti minerali di acqua calda presso le quali il termometro segna. 40° R. Si crede che antica- mente il lago abbia potuto servire per giuochi e giostre navali. (1) La notte del 13 Marzo 1872, una corazzata inglese il « Lord Clyde» partita il 12 da Siracusa investi alla punta di S. Leonardo; dopo essersi allegerita gettando il carbone in mare e scaricate le provviste e munizioni sulle barche del paese, fu tolta da quella critica posizione da un’ altra corazzata inglese; ma rimase attaccato alla sua carena un grosso scoglio del peso di circa 2 tonnellate! col quale fu rimorchiata fino a Malta. PARTE NARRATIVA 255 Siccome le sue acque contengono sali a base di potassa, gl’ isolani se ne servono per bagni e per nettare i panni senza bisogno di sapone. Or sono parecchi anni, alcuni inglesi vi trasportarono dal mare un battello e poterono misurarne la massima profon- dità che è di 30 metri, mentre prima di quella prova gli isolani reputavano impossibile di raggiungere il fondo. Risaliti per altro non meno disastroso sentiero traversammo molte ville quasi tutte coltivate a vite e rinchiuse da muricciuoli fatti di massi di lava senza cemento. La vite secondo l’ uso del paese è completamente appoggiata al suolo. Le uve vi riescono dolci e atte a fornire vini squisiti. Osservammo in quei dintorni alcune alte torri del diametro massimo di 15 metri che si chia- mano nel paese giardini. Ci rendemmo ragione di questo nome quando, entrati in una di esse, vedemmo che conteneva alcune piante di agrumi ivi deposte per difenderle dai venti e dai ladri. In Pantelleria fummo ospitati in casa del Dott. Alfonso Errera, parente al nostro amico il Sig. Gio. Batta Valenza. Il Dott. Er- rera è uomo versato nelle scienze naturali, e fautore appassionato dell’ industria agricola. Egli ci fece osservare i suoi campi e i suoi frutteti che sono veri modelli e ci fece assaggiare vino da lui preparato, il quale ha molta analogia coi vini di Spagna. Poco discosto dai suoi poderi ci mostrò una grotta, forse un’ an- tico sfiatatoio vulcanico, nella quale allorchè spira lo Scirocco, la temperatura s’ abbassa talmente che le frutta, l’acqua e i cibi che vi si collocano si raffreddano in un modo mirabile ed in brevis- simo tempo, il che non succede quando spirano altri venti. Altri fori consimili, che sono detti Havare dagli isolani, emettono conti- nuamente vapori ad altissima temperatura. Gli abitanti dell’ isola ne traggono partito col condensare in purissima acqua dolce, il vapore che sgorga da esse. A cid pervengono sovrapponendo alle sorgenti di vapore rami d’ albero, dai quali I’ acqua goc- ciola e vien raccolta in apposite vasche. Le sorgenti d'acqua son rare e lontane dal paese; per cui si deve far uso dell’acqua solforea, nauseante e grave che si estrae dall’ unico e mal custodito pozzo. Quest isola, situata tra i due grandi bacini del Mediterraneo 256 CROCIERA DEL VIOLANTE e sulla grande linea di navigazione tra |’ Oriente e I’ Occidente, avrebbe dovuto acquistare una grande importanza strategica e commerciale, se avesse posseduto come Malta, un buon porto. Quello che esiste invece è in condizioni tali, da renderne i meee sibile ? ingrandimento e il miglioramento. Fra le curiosità di Pantelleria sono a notarsi i Ses?, monumenti preistorici sul cui significato i dotti sono ancora discordi. Ne ve- demmo uno nella regione dell’ isola detta Cimilia, il quale è straordinario per la sua mole. Sopra un basamento cilindrico di circa 2 metri di altezza e 56 m. di circonferenza s’ innalza una grande calotta sferica, come la cupola di una chiesa; alla sua base sono praticate 10 aperture situate irregolarmente e che s inoltrano nell'interno a guisa di cunicoli diretti apparentemente verso il centro; questi però non si riuniscono fra loro, ma ter- minano ciascuno in un piccolo spazio circolare, ove appena tre o quattro persone potrebbero restare in piedi. Per penetrare nel- l'interno di queste fabbriche bisogna andare carponi; la gran calotta che ricopre il tutto porta l'altezza totale dell’ edificio a m. 8. È strano l’osservare che lo spessore di queste costruzioni è ottenuto, per così dire, mediante replicate fodere di pietra, tali da far supporre che fossero progressivamente ingrandite. L’ edifizio è formato di pezzi di lava, senza cemento, ma ben connessi fra loro. Moltissimi di tali monumenti si trovano nell’ isola: ve ne ha qualcuno di figura emisferica, altri sono cilindrici, altri a tronco di cono; ma quasi tutti poggiano sopra una base circolare solida e massiccia. I cunicoli variano nella direzione e nel nu- mero, ma non comunicano mai fra loro. A qual uso furono eretti questi bizzarri edifizii? Furono essi destinati a sepoleri o servirono d’ abitazione agli aborigeni di Pantelleria ? Il loro numero, la loro forma, la loro costruzione, hanno indotto il valente archeologo Guido Dalla Rosa, il quale visitò 1 Sesi, a considerarli come abitazioni. Il ritrovamento di schegge d’ossidiana e d'un coltello di piro- maca nell’ interno di tali monumenti confermarono il Dalla Rosa nella sua induzione. In una memoria sulle abitazioni dell’ epoca della pietra della osos uels jop empeA — VIUMTIHINVAd i \ \ AlN bh PARTE NARRATIVA 257 Pantelleria, presentata al congresso preistorico di Bologna, quest’ autore dice: che gli aborigeni dell’ isola non potendo avere ricovero nelle caverne pel calore insopportabile che vi regnava, costruirono 1 Sesi per cercarvi refrigerio contro il cocente sole e trovarvi rifugio e difesa dalle insidie di altri uo- mini selvaggi; poichè un uomo ardito, sdraiato in questi cunicoli alla guardia delle entrate, avrebbe potuto rendere queste pacifiche abitazioni fortezze inespugnabili. Sebbene io non abbia la presunzione di oppugnare le conclu- sioni del Dalla Rosa, mi permetto di avvertire in proposito che un uomo non solo non può penetrare che carpone nel cunicolo di un Sese, ma entrato nella celletta, non può starvi ritto che nella sola parte centrale, la quale raramente è alta m. 2 sopra un diametro medio di m. 1,50. La luce penetra dal piccolissimo in- gresso, nè esiste altro spiraglio o ventilatoio per rinnovarne l’aria; quindi mi sembra difficile che uno spazio così ristretto, privo quasi d’ aria e di luce possa aver servito di abitazione. Sa- rebbe assurdo che tanti monti di pietra siano stati eretti col solo scopo che vi potessero dimorare alcune persone, le quali non ‘avrebbero potuto nè sdraiarsi nè reggersi in piedi che in un solo punto di ciascuna cella. Che abbiano potuto servire come una specie di difesa, è questa per me una supposizione infondata, poichè avvicinandosi I’ assalitore di fianco all’ entrata e chiudendo con pietre |’ unico foro del cunicolo, l'uomo là dentro acco- vacciato sarebbe stato sepolto vivo dal suo nemico! Tanto i Nuraghi della Sardegna quanto i Ses? della Pantel- leria sono monumenti che salgono a tempi così remoti nell’ an- tichità che non si conserva alcun dato storico intorno ad essi, il quale possa facilitarne I’ interpretazione. L’ incisione qui unita di un Sese fu tratta da una fotografia eseguita per cura della Commissione di Antichità e Belle Arti in Sicilia, la quale pochi anni or sono recavasi nell’ isola di Pan- telleria all'oggetto di studiarne i monumenti. Tutta la notte poco vento e variabile. Lunedì 18. — Alle 2 entriamo nel cerchio del fanale del Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (4 Gennaio 1878). 17 208 CROCIERA DEL VIOLANTE Capo Bon, il quale ci rimane di prora e un po a sinistra. Al- l alba si spiega un leggero vento di Mezzogiorno e si vede di- stintamente tutta la costa che si stende tra la Kalibia e il Capo Bon, Vantico Promontorium Mercuri 0 Hermaeum, che si pre- senta elevato, irregolare, di colore oscuro e terminato da una collina sulla cui estremità fu collocato da poco tempo il fanale, il cui apparato lenticolare venne dal Governo Inglese regalato al Bey di Tunisi. Questo fanale è ivi molto opportuno perchè vi transitano nu- merosi bastimenti e specialmente quelli che sono diretti dall’ Eu- ropa occidentale alle Indie e all’ estremo Oriente attraverso il Canale di Suez. Tali paraggi difatti sono pericolosi per vari scogli e banchi che vi si trovano disseminati tra la Sicilia e la Costa d’ Africa. E appunto in questi paraggi e propriamente nella località se- enata nelle carte col nome di Banco Nerita che nell’anno 1834 sorse I’ isola Ferdimnandea 0 Giulia, sulla quale il Governo In- glese troppo si affrettò a piantare 1 colori nazionali, poichè dopo due mesi I’ isola s innabissò nei flutti. Sembra ora che essa ac- cenni ad innalzarsi poco a poco di bel nuovo (!). Non tanto pel fondo che al presente sarebbe sufficiente in questa località per bastimenti di qualunque portata, ma pel mare che vi si innalza minaccioso e terribile durante i temporali e per un altro peri colo conosciuto col nome di roccia Aeh a Maestro del detto banco, i bastimenti devono per necessità tenersi prossimi a se- conda dei venti, o alla Costa di Sicilia 0 a quella d’ Africa per evitare il centro del Canale. Da ciò tanto più risulta vantaggioso il fanale del Capo Bon. Presso l'isolotto Zembra, che costituisce colle terre che cor- rono a formare il Capo Bon, I entrata del golfo di Tunisi dal lato di Levante, rinfrescò talmente il vento da obbligarci a rien- trare più che di fretta la freccia e serrare alla vela la seconda mano di terzaroli. Ma questo vento impetuoso che veniva dalla Costa d’ Africa fu passeggiero, e nel giorno ritornò manegge- + (1) Luigi Lamberti — Portolano dei mari Mediterraneo e Adriatico. PARTE NARRATIVA 209 vole, permettendoci di far rotta con tutte le vele per I’ anco- raggio della Goletta. Troviamo in rada due vapori da guerra, uno francese ed uno tunisino, e passiamo vicinissimo ai postali « Africa» e « Gor- gona» della Società Rubattino. Alle ore 6 lascio cadere l’ ancora presso la Goletta in 6 m. di fondo. Essendo I’ ora tarda e sa- pendo l’ufticio di sanità chiuso al tramonto, rimando al domani la nostra prima discesa in terra, ciò malgrado l’impazienza del Commissario, il quale è ansioso di porre il piede sul suolo Afri- cano, la terza parte del mondo che visitiamo dopo meno di tre mesi di viaggio. Casa della Pantelleria. LOEINTSTX La Tunisia o Reggenza di Tunisi è per I’ italiano il tratto della Costa d’ Africa più vicino alla sua terra nativa; è un paese in cui, senza i disagi di un lungo viaggio, sì trova trasportato come per incanto in mezzo ad un mondo nuovo. Qui egli può vedere nuovi costumi, nuove razze, nuove e bizzarre foggie di vestire, e sentire un nuovo idioma; mentre la bellezza del cielo e la mitezza del clima concorrono a rendergli piacevole questo soggiorno. La prossimità della Tunisia, le tradizioni storiche dalle quali siamo vincolati a quest’ antica Provincia Romana; 260 CROCIERA DEL VIOLANTE dovrebbero far nascere in noi maggior desiderio di visitarla, di studiarne i monumenti e di trar partito delle sue ricche produ- zioni. Io vorrei che gli Italiani non dimenticassero che colà la patria nostra ha vitali interessi da propugnare! La Tunisia è limitata a Tramontana ed a Levante dal Medi- terraneo, al Mezzogiorno dalla Reggenza di Tripoli e dal Saara, a Ponente dall’ Algeria. La popolazione, da quanto si suppone, non arriva a 2 milioni di abitanti. Il territorio è diviso ammi- nistrativamente in Califfati. Il Bey che governa il paese è an- cora nominalmente vassallo del Sultano di Costantinopoli e al suo avvenimento al trono la Sublime Porta gli manda un Fir- mano d’ investitura. Il Bey ostenta di considerare il Sultano più come Califfo, ossia capo della religione, che come Sovrano, ma tuttavia gli corrisponde un dono o tributo di 2 o 3 milioni di lire italiane. Il suolo della Tunisia è assai produttivo e il suo clima per- mette le più svariate coltivazioni. A torto sì attribuiscono tal- volta alla Tunisia il clima ardente e l’aridità che son proprii del Saara. La provincia denominata Sahel in cui fioriscono le città di Susa, Monastir, Sfax e Kéruan non solo non è un de- serto, ma si può citare come uno dei territori più ricchi e fe- condi. Le principali esportazioni sono: olio, cereali, lana, sapone, bestiami, cuoia, cera, ossa, stracci, per più milioni di lire. Il commercio dello Sahel, mancando di una importazione di- retta e proporzionata all’ esportazione, recava in Tunisia un grave squilibrio nel numerario e rendeva inoperose rilevanti somme con serio scapito del commercio (1). Fin dal 1854 la Reggenza era collegata all’ Italia per mezzo d'una linea di va- pori, ma questa non faceva scalo che a Tunisi. Le colonie della costa, conscie del danno che loro cagionava il privilegio della metropoli, chiesero a Genova ii prolungamento da Tunisi a Sfax della linea di navigazione esercitata dai vapori della Società Ru- battino e C. Si fecero istanze, si mandarono progetti, si offrirono (4) E. Degubernatis — Lettere sulla Tunisia. PARTE NARRATIVA 261 interi carichi di prova per incoraggiare gli armatori, ma da Ge- nova adducendosi mille ragioni in contrario per lungo tempo non si provvide. Finalmente nel Dicembre dell’anno 1874 i Sige. Fedriani e Ravasini, solerti agenti di quella Società, otten- nero il tanto sospirato prolungamento fino all'isola di Gerba ('), in virtù del quale tutti gli scali importanti della costa orientale della Tunisia venivano collegati tra loro e all’ Italia da un ser- vizio regolare di vapori. Martedì 19. — Il mattino del giorno 19 era limpido e sereno e il sole, raggiante di tutto il suo splendore, illuminava un pa- norama incantevole. D’innanzi a noi stava la città della Goletta colla sua antica fortezza, qua e là qualche palmizio e siepi di fichi d'India, ma in generale poca vegetazione; più in là la collina che domina il paese e sulla quale s’ innalza la cappella dedicata a S. Luigi (2) e più a Tramontana ancora il Capo Car- tagine e lungo la spiaggia mucchi di pietre, ed altri ruderi che solo rimangono al di d’ oggi ad accennare il territorio ove una volta sorgeva la rivale di Roma. A Levante delineasi vagamente l'isola di Zembra, sorge quindi il capo Zafferano e dentro terra giganteggiano i picchi di Gebel Hufrah e Gebel Hif. La costa seguita quindi bassa e ben coltivata, protraendosi nell’ interno in pianure. Essa è fiancheggiata dalle montagne del Piombo, Gebel Sas, ricche di minerali, ma sinora poco esplorate. Alle loro falde, presso al mare, sorge il villaggio di Hammam El Lif, ossia Bagni Minerali, piccolo mucchio di case bianche spiccante sul verde dell’ adiacente campagna; in ultimo appa- risce il lago (la cui lunghezza è di circa 5 miglia) che si frap- pone fra Tunisi e la Goletta e si estende poco discosto da noi, separato dal mare mediante una sottilissima diga (*). Sul mar- gine di questo specchio d’acqua scintillante si mostra Tunisi, (1) È questa l’ antica Meninae nella Leptis Minor, il probabile Triton d' 0- mero. (2) Luigi IX re di Francia che, secondo la tradizione, morì di peste in questo luogo. (3) Il lago di Tunisi non ha che un mezzo braccio di massima profondità. Ingegneri francesi hanno proposto più volte di affondare il canale che l’at- traversa ma ì Bey hanno sempre rifiutato. 262 CROCIERA DEL VIOLANTE che il sole saluta coi suoi primi raggi, e sembra un’ ampia macchia biancastra, che addossata al dolce pendio di una col- lina, spicca sul fondo azzurro e violaceo delle montagne, riflet- tendosi nelle acque tranquille. Il sole era già alto sull’orizzonte, però divisai di prendere pratica e di recarmi sollecitamente a Tunisi. La Goletta è il porto di Tunisi; il suo nome deriva proba- bilmente dalla piccola gola o stretto canale che mette in co- municazione il mare col lago alla cui estremità è situata Tunisi. Questo canale troppo angusto per grossi bastimenti attraversa la città. | Entrando ci si presenta a destra l’ incompleto molo, la Sanita e quindi tutto il paese colle sue bianche case, una fortezza, e lungo il canale una batteria guardata tranquillamente da senti- nelle, le quali tunetano more stanno facendo la calza, sedute per terra accanto alla loro carabina; seguita quindi una chiesa cattolica e infine il palazzo dell’ ammiragliato. Dall altro lato vi è l’arsenale e un bagno o luogo di reclusione. Un ponte in ferro che si può aprire e chiudere per lasciare adito alle barche di- rette a Tunisi, congiunge queste due parti del paese; ciò presso allo sbarcatoio. Qui discesi ci troviamo nel bel centro del paese; ossia in una gran piazza tutta fiancheggiata da alberi con una fontana al centro. Ci dirigiamo all’ ammiragliato e ivi trovo una mia antica conoscenza, il Capitan Beppino, funzionario conosciuto in tutta la Goletta, e direi quasi nell'intera Reggenza. È questi oriundo di Carloforte nell’ isola di S. Pietro in Sardegna e nato alla Goletta (!). Ora è Capitano del porto della Goletta, aiutante dell’ ammiraglio e factotwm in tutto ciò che concerne la marina tunisina. Mi recai quindi a salutare il Console Cav. Ro- berto Angley e a portargli le mie carte di bordo. Questo regio funzionario, simpatica e distinta persona, si occupa con vero (4) Questi semi-italiani o semi-tunisini, numerosi in Tunisia, sono detti Ta- barchini e provengono da famiglie di Santa Margherita Ligure, le quali tra- piantatesi all'isola di Tabarca per la pesca del corallo, di là dovettero poi fuggire per sconvolgimenti politici e si rifugiarono nell’ isola di S. Pietro in Sardegna o nella Tunisia stessa. PARTE NARRATIVA 263 amore dei molteplici uffici dipendenti dalla propria carica. Egli è inoltre molto amante di antichità, ed ha nel piccolo giardino, attiguo al Consolato, un vero museo di terre cotte, iscrizioni, marmi, fregi e frammenti di statue trovate nella vicina Carta- gine. Mi accolse, come si può accogliere un vecchio amico, offe- rendomi tutto il suo appoggio in ciò che mi potesse abbisognare durante il mio soggiorno colà. Ricercato il Commissario, lo trovai che stava facendo gli onori della mensa al Capitan Beppino e ad un tal Liberato, signore napoletano, da lungo tempo stabilito alla Goletta e da me co- nosciuto fin dallo scorso anno. Essendo questi valente cacciatore, strinse presto relazione col Giusti e combinarono insieme una gita venatoria alle rovine di Cartagine. Durante la colazione ci narrò come del 1840 egli avesse ucciso un cervo a Lampe- dusa, cosa che fece andare in visibilio il Nembrod di bordo d’ or- dinario men fortunato. Capitan Beppino da canto suo mi par- tecipò la morte del vecchio ammiraglio suo capo, a cui egli, mi aveva presentato lo scorso anno. Qualche tempo prima, allorchè la squadra inglese trovavasi an- corata in questo golfo, quel buon vecchio, forse non ignorando che la sua carica fu altre volte occupata dal terribile Ariadeno Barbarossa (!) il terrore del Mediterraneo, recandosi a bordo alla corazzata Hercules che portava la bandiera dell’ ammiraglio Drummond, ebbe a dirgli: « Noi due abbiamo lo stesso grado! » intendendo così di non essere defraudato del saluto di 17 colpi di cannone devoluto al suo grado. Avendo già visitato per ben due volte le rovine di Cartagine, lasciai che il Giusti vi andasse in compagnia de’ suoi due com- mensali ed io preferi trasferirmi a Tunisi senza indugio e mi (!) Barbarossa nacque a Metelino (Lesbo) da padre albanese rinnegato e va- sajo di professione. Il nome turco di Barbarossa era Baba-Aruddj (Padre Aruddj), e suo fratello minore era Kher-ed-Din (Bene della Religione). Il primo fu proclamato Re d'Algeri, avendo fatto uccidere il legittimo sovrano da cui era stato chiamato in aiuto contro gli Spagnuoli e fu ucciso nel 1518 sulle rive dell’ Occed-el-Malah. Gli succedette Kher-ed-Din che si dichiarò vassallo del Sultano Solimano II nel 1518 e morì nel 1546. 264 CROCIERA DEL VIOLANTE recai però alla vicina stazione ferroviaria , ove il treno era già pronto per la partenza (!). Salito in un carrozzone, trovai il Cap. Massa della Società Rubattino, col quale avevamo altra volta navigato sui Regi legni; ed essendo egli pure diretto per Tunisi ci facemmo buona compagnia. Il treno corre rapidissimo attraverso la campagna costeggiando per lo più il lago che rimane sulla nostra sinistra. Lasciamo sulla nostra dritta le imponenti e colossali macerie del grande acque- dotto che portava l’acqua a Cartagine e tutte le rovine che an- cora restano di questa città. Gli innumerevoli uccelli d’acqua e specialmente i fenicotteri che stanno posati sulle sponde del lago, impauriti dal treno fuggono a stuoli in altra parte del lago e si schierano sui lidi pantanosi come reggimenti di soldati. Man mano che ci avviciniamo, Tunisi sì delinea più netta- mente; quell’ informe macchia biancastra comincia a suddivi- dersi e ad ombreggiarsi; risaltano sulla montagna le bianche mura della fortezza, o Kasbah, che domina la città; sorgono le cu- pole, i minareti e le torri; le case si staccano come in un quadro dal fondo della tela; sì spiega infine la grande e popolosa città. Lo stridulo fischio della locomotiva ci annunzia che siamo giunti in Tunisi. I due fratelli Aurelio ed Emilio Fedriani e il sig. Guido Ra- vasini, agenti della Società Rubattino, di cui avevo fatta la gra- dita relazione lo scorso anno, avvisati dell’ arrivo del Violante, mi procurarono la piacevole improvvisata di trovarsi alla sta- zione al mio giungere. Concessi i primi istanti ai saluti e ai complimenti, che in questo caso sono da ambe le parti cordia- lissimi, mi reco in città per salutare il venerando Cav. Giu- (1) Questa ferrovia, l’ unica che esista sul suolo Tunisino fu inaugurata nel 1872 sotto il nome di Tunis Railways con un capitale di 5 milioni di lire che al presente fu ridotto ad uno e mezzo a causa dei cattivi affari e della disordi- nata amministrazione. Essa percorre Kil. 14 e mezzo tra Tunisi e la Goletta, e Kil. 8 nella diramazione per Marsa. Il materiale è eccellente e adattato alle condizioni climatologiche del luogo. PARTE NARRATIVA 265 seppe Fedriani padre e suocero dei miei amici. Si è alla instan- cabile operosità di questi signori che si deve in gran parte l'incremento del commercio italiano sulle coste della Tunisia. Tutti i viaggiatori italiani che visitarono la Tunisia conservano la più grata memoria di queste egregie persone. Pur tacendo dello scrivente, il quale fu da loro più e più volte gentilmente ospitato, la commissione testè incaricata dalla Società Geografica di studiare il problema degli Sciott (7) fu accolta dai signori Fedriani e Ravasini e dalle loro famiglie con ogni maniera di cortesie. | Prima di accingermi a descrivere Tunisi mi permetta il lettore di passar rapidamente in rassegna le vicende storiche di cui fu teatro questa città (*). Gli storici credono che essa sia stata fondata verso la stessa epoca di Cartagine, ossia 900 anni a. C. Gli antichi scrittori ricordano I’ odierna posizione di Tunisi coi nomi di Thunettum , Tuneta, Tunes e Tunisium; gli Arabi la chiamano Tunah, Tu- net, Tunes, parola che in fenicio sembra voglia significare « abi- tazione ». Dei primi secoli di questa città non rimane alcun ri- cordo. Si sa però che due secoli e mezzo a. C, epoca della prima guerra Punica, possedeva una flotta poderosa che si era unita precedentemente alla flotta Cartaginese per combattere 1 Fo- cesi. Presa da Regolo dopo la vittoria riportata sopra Amilcare e Annone, essa rimase il quartier generale dell’ armata romana fino al giorno in cui Regolo fu a sua volta vinto dal generale Lacedemone Xantippo. Scipione la riprese in seguito e da quel- l'epoca Tunisi seguitò per lungo tempo la sorte di Cartagine, (1) Si dicono Sciott certe bassure salmastrose che si estendono per lungo tratto attraverso Ja Tunisia ed oltre i suoi confini nella vicina Algeria. Il capitano Rondaine concepì, tempo fa, il disegno di porre queste bassure in comunicazione col mare, mediante un canale navigabile, formando così un mare interno che renderebbe il paese più fertile, più salubre e più accessi- bile al commercio. Secondo l'avviso della commissione italiana e di parecchi scienziati stranieri l'attuazione di un tal progetlo riuscirebbe assai più ardua e dispendiosa di quel che non credesse l’ autore e i vantaggi ne sareb- bero molto problematici. (2) Vedere L’ Univers Pittoresque, il volume intitolato: Algérie, Etats Tripo- litains, Tunis. 266 CROCIERA DEL VIOLANTE e, come questa, fu distrutta dal secondo Scipione e rialzata dalle sue rovine per opera degli Imperatori. Dopo la divisione dell’ Impero romano fra i tre figli di Co- stantino, nell’ anno 337 d. C., le vicissitudini di Tunisi e Carta- gine furono così diverse e rapide che si seguono con difficoltà. Al V secolo Genserico re dei Vandali, padrone delle due città vi creò una formidabile marina che devastò e saccheggiò succes- sivamente varie parti dell’ Italia, della Grecia dell’ Istria e della Dalmazia. Nell’ anno 535 Belisario se ne impadroni, come pure delle città circonvicine, a nome dell'Impero Greco; quindi i Persiani sotto Kosroe vennero a devastare Tunisi e Cartagine e fondarono una importante città che chiamarono Keruan (1). Tunisi passò vicendevolmente sotto l'autorità dei Califfi occidentali, delle tribù della Mauritania, dei Berberi, dei Fatimiti, dei Peiriti, dei Almohadi e infine dei Beni-Hafs. Essa era appunto governata da un principe di questa dinastia che gli storici francesi chiamano Omar el Muley Moztanser, allorchè nel 1270 Luigi IX Re di Francia venne ad assediarla; l'occupazione di questa piazza forte, nei disegni del Re Crociato era come il punto di partenza per la conquista della Terra Santa, ossia dell’ Egitto prima e quindi della Siria. È noto che questo Re morì di peste, ma non si sa bene se a Porto Farina sulla punta settentrionale del golfo di Tunisi, o sulle rovine stesse di Cartagine ove erano accampate le forze Francesi e proprio nella località ove ora sorge la Cappella innalzata in suo onore dal Re Luigi Filippo. Jl 26 Settembre dello scorso anno allorchè il Violante salpava dal golfo di Tunisi, diretto per l'isola di Pantelleria, una squadra francese, di 6 corazzate, sotto gli ordini dell'ammiraglio Roze, era quì convenuta per inalberare ofticialmente per la prima volta la bandiera della Repubblica nel recinto della cappella. Durante il XII secolo e fino alla fine del XV, le immigrazioni dei Mori dalla Spagna accrebbero in sommo grado la prosperità di Tunisi, trapiantandovi quelle arti ed industrie che avevano (1) Keruan è tuttodì considerata come una città santa e la terza in grado dopo la Mecca a cagione della sua moschea con 500 colonne di granito; in essa é sotterrato uno degli apostoli del Profeta. PARTE NARRATIVA 267 reso Siviglia, Cordova e Granata ricche e fiorenti. Tunisi era di- venuta capitale di un vasto impero che comprendeva Bona, Tri- poli, la Calle, etc. e che stipulava trattati di commercio colle grandi repubbliche d'Italia, la Sicilia , la Provenza e |’ Aragona. La dinastia dei Beni-Hafs regnò fino al 1533, nel qual anno il pirata Kher-ed-Din generalmente conosciuto nel Mediterraneo col sopranome di Barbarossa, allora sovrano d’ Algeri, profittando di una discordia nella famiglia regnante in Tunisi, s' impadroni della città a nome del Sultano Solimano (Suleiman-Khan, figlio di Selim I). Mullei Hacem che era il re spodestato chiamò in suo aiuto Carlo V, che salpò da Barcellona il 81 Maggio 1535 e venne ad assediare Tunisi con una formidabile armata composta di 400 navi Spagnuole, Portoghesi, Fiamminghe, Genovesi, Sarde, Maltesi, montate da 27,000 combattenti. Barbarossa non sostenuto da Costantinopoli sì trovò impotente contro sì nume- rosi assalitori, tanto più che 10,000 schiavi cristiani da lui impie- gati a scavare il canale della Goletta, mentre tutte le forze mo- resche erano uscite all’ aperto, si ammutinarono e spalancarono le porte a Carlo V. Questi si contentò di dettare un trattato a Mullei-Hassan, rimesso sul tyono e lasciò alla Goletta 10 galere e una guarnigione di 1000 uomini sotto il comando di Don Ber- narlino Mendoza. I Tunisini sdegnati che il loro re fosse quasi vassallo di un monarca cristiano si ribellarono e lo cacciarono da Tunisi. Hassan tentò riprendere la città aiutato dagli Spa- gnuoli; ma vinto e caduto nelle mani dei vincitori, il figlio suo capo della ribellione e usurpatore del trono, gli fece cavar gli occhi e i superstiti della guarnigione spagnuola fece tagliare a pezzi. Diciotto anni dopo il figlio snaturato fu alla sua volta cacciato dagli Algerini. Nel 1673 il famoso Don Giovanni d’ Austria prese possesso di Tunisi a nome di suo fratello Filippo II; e in quello stesso anno si spense la dinastia dei Beni-Hafs e il Sultano di Costantinopoli coll appoggio del Dey di Algeri Sinan-Pascià, s' impadronì di Tunisi; il Dey d’Algeri ne divenne allora sovrano sotto il vas- sallaggio della Turchia e un governatore fu posto a capo del paese col titolo di Bey. Nel 1664 attraverso a sanguinose peri- 268 CROCIERA DEL VIOLANTE pezie, Tunisi riusci a rendersi indipendente e dal Sultano di Co- stantinopoli e dal Dey Algerino. Due fratelli, Mohamed e Ali espulsero la guarnigione turca e il Dey; Mohamed si pro- clamò allora primo Sultano di Tunisi o semplicemente Bey. I suol successori pervennero al trono mediante una lunga serie di delitti e di eccidi. Hammuda-Pascia, uno dei Bey più famosi, giunto al trono il 26 Maggio 1782 governò per 23 anni la Tu- nisia con prudenza e giustizia. Allorché la Francia s’ impadroni dell’ Algeria regnava Sidi Hussein che mori nel 1835. A suo fratello Mustafà, morto nello stesso anno, sottentrò Sidi-Ahmed che nel 1846 venne a Parigi; a questi tenne dietro Sidi-Mohamed, che ebbe per successore il 24 Settembre 1829 l’ attuale Bey Sidi- Mohamed-el-Sadok il quale sì firma « Possessore del regno di Tunisi ». E qui faccio punto!... chiedo venia ai benevoli lettori e alle benigne lettrici e vado a zonzo per la città coll’amico Ravasini. Salutai prima il signor Fedriani, il quale era occupato in quel momento a presiedere una seduta del Consiglio d’ammini- strazione delle Finanze Tunisine. E strano e lusinghiero per noi il veder un genovese puro sangue» sedere a quel posto; eppure è proprio così. Siccome nel 1870 le finanze dello Stato, dila- pidate, sperperate da coloro stessi che dovevano amministrarle, erano in condizioni sì deplorevoli che i pagamenti rimanevano sospesi, per riparare a tanto disordine si costituì allora col con- senso dell’ Italia, della Francia e dell'Inghilterra, una Commis- sione finanziaria mista, divisa in 8 sezioni: 1.° Comitato esecutivo, che è presieduto dal primo Ministro il Generale Kheredine e conta fra i suoi membri un Ispettore di finanze Francese e Mohamed Hasnadar Ministro dirigente. 2.° Comitato di controllo composto di due Italiani, due Fran- cesi e due Inglesi che rappresentano i creditori dello Stato e debbono controllare il Consiglio amministrativo. 3.° Consiglio d'amministrazione composto di 4 Europei e d'un Arabo. Tal Consiglio, che è appunto quello presieduto dal Fedriani, deve amministrare tutte le rendite dello Stato e pagare le cedole del debito tunisino. PARTE NARRATIVA 269 Tunisi ha nome di città bella all’esterno, ma sudicia all’ in- terno; ma se ciò poteva esser vero per lo passato, ora mercè la solerte cura di una Commissione municipale mista di Europei e Tunisini, essa è molto cangiata e l'eleganza delle nuove co- struzioni va di pari passo colla nettezza. La prima impressione è sempre però sfavorevole, giacchè non si sono fatti 500 passi dalla stazione ferroviaria nell’ interno che si trova un labirinto di viuzze e piazzette. Ma v’ ha il compenso di svariati e graziosi incontri. Spesso si arriva presso a caffè ombreggiati di piante che fanno piacevole contrasto col succedersi monotono dei fabbricati. In uno di questi caffè ci sedemmo stanchi ed assetati col Ravasini e domandammo un rinfresco, cosa come ognun vede naturalissima; eppure ci sì rise in faccia e qualcuno ci guardò con aria di commiserazione e sembrava dicesse « poveri infedeli »! Il mio compagno comprese subito di che si trattava: era quello giorno di Ramadan e però di digiuno. Dal sorgere al tramonto del sole durante I’ astinenza prescritta dal Corano, il fedele credente non fuma, non mangia; ed i più zelanti si asten- gono anche dal bere; ma appena il cannone della Kasbah annuncia il tramonto del sole, si vede un affaccendarsi, un correre e come un risvegliarsi dell'intera popolazione, e mentre si accendono fuochi di gioia e si prepara il tradizionale kuskussw, chi mette mano con vera frenesia al Cibuk, chi liba con delizia un profu- mato caffè e quindi tutti passano la notte in gozzoviglie per rifarsi delle privazioni sofferte. I giorni del Ramadan sono trenta, a cui fanno seguito dieci giorni di festa che i figli d’ Islam chia- mano Bairam, e corrisponderebbero alla nostra Pasqua. — Prose- guendo la nostra passeggiata per la città ora s’ allarga innanzi a noi una piazza nella quale eleganti colonnine sostengono tende dalle tinte vivaci, ovvero tettoie di legno che ricoverano dal sole pittoreschi gruppi di abitanti, nei loro svariati costumi; ora s’ in- nalzano maestose le arcate di una moschea, di stile moresco, i cui svelti minareti si levano arditamente sopra ogni altro edi- fizio; sotto quegli archi appoggiati alle colonne, accoccollati sui marmorei gradini stanno i credenti ammantati nei loro bianchi burnus e fra questi si distinguono 1 Dervish dal turbante verde. 270 CROCIERA DEL VIOLANTE Ben sovente accanto ad una di tali moschee, o in una piazza, o presso un caffè s' innalza un maestoso palmizio. La via può talora sembrar monotona, ma ecco tutto ad un tratto comparisce una cupola, un minareto, un monumento an- tico, la tomba di un santo, o meglio un chiassoso bazar. È in- vero strana l'impressione che ho sempre ricevuta dalla vista di questi mercati coperti, 1 quali m' attirano per la bizzaria del luogo, per la ricchezza e la varietà delle merci poste in mostra e per la folla variopinta che vi s'incontra. Ma non volevo pe- netrarvi che in compagnia del mio compagno di viaggio; ne rimandai quindi la visita ad altro giorno e continuammo invece a gironzare per la città. Mi fu mostrato il Collegio arabo che fu istituito dal Generale Kheredine, e che fa veramente onore al paese; ma in esso disgraziatamente non sono ammessi i figli degli Europei. Proseguendo incontrai sempre nuove moschee; in- vero sono in così gran numero che un viaggiatore del secolo passato ne contò più di 300! Il numero mi sembra un poco esa- gerato (1). Non è però men vero che da ogni parte lo sguardo è attirato da questi eleganti edifizii dalle più svariate ed ele- ganti forme. Alcuno fra essi meriterebbe di essere visitato; ma è severamente vietato all’ Europeo, qualunque sia il grado che rivesta, di penetrarvi. Sotto questo cielo sempre sereno la luce del sole ha un’ in- tensità tutta propria. Essa abbellisce ogni oggetto col suo ma- gico tocco; così per essa le vesti grossolane d’ un mendicante arabo si mostrano smaglianti di vivi colori ed emulano per la varietà dei toni i più ricchi tessuti; la più modesta cupoletta as- sume l'aspetto di un ampio e nobile monumento. Insomma si prova colà come un’ ebbrezza di luce e di colori! La razza tunisina è generalmente bella: gli uomini sono di costituzione piuttosto asciutta e di pelle bruna od olivastra; la loro vita sobria e tranquilla e la loro naturale robustezza li pre- servano da molte malattie comuni in Europa. Le donne si pos- sono dir quasi sempre belle; la loro carnagione traente al bruno (1) Non farà però tanta meraviglia quando si pensi che a Roma sì annove- rano ben 360 fra chiese e cappelle. a PARTE NARRATIVA ail non esclude un abituale pallore, 1 loro grandi occhi hanno molta espressione, i lunghi capelli sono generalmente d'un bel nero e li portano intrecciati o anche cadenti sulle spalle. La grassezza è considerata nella Tunisia e nella più parte dei paesi orientali come una condizione essenziale alla bellezza. Mi si disse che per ingrassare le Tunisine facciano uso di quella specie di semola detta da loro kuskussw, nonchè di un seme nero detto drò. Si vuole che esse si nutrano altresì a quest’ uopo di giovani cani. Tra gli abitanti della Tunisia si distinguono oltre agli Ebrei, i Mori, gli Arabi e i Neri. Le differenze fra i mori e gli arabi sono sensibili non tanto al fisico quanto al morale. In generale l'arabo abita sotto la tenda, il moro invece dimora nelle città e nei villaggi; l'arabo è per lo più leale, coraggioso e ospita- liero; nel suo tipo come nei suoi costumi porta l'impronta della propria razza. Esso è parco nel mangiare, incurante delle intem- perie, semplice nel parlare e nel vestire, ignaro d'ogni cosa nostra è però avidissimo d’'imparare. Il moro che d'altronde varia molto d'aspetto secondo le località, è non di rado dissi- mulato, astuto, gretto e fanatico; ma d’ordinario la sua intel- heenza è più sveglia. Nel villaggio di Zi Djem (Tysdrus degli antichi) s' innalza un grandioso anfiteatro romano; il tipo di quegli abitanti si dice bellissimo e si odono ancora presso varie famiglie nomi di Ro- ‘molo, Numa ed altri, che fanno singolarmente contrasto con la lingua parlata (1). Si vuole che il moro sia in casa propria parco nel mangiare come l'arabo, ma smoderato e indiscreto in casa d'altri, ove mangia senza scrupoli di coscienza anche cibi vietati dalla sua religione, il che non si osserva presso l'arabo. Il moro ha sempre una famiglia, una casa da cui non sa vivere lontano. L’ arabo invece non ha affezione pel luogo che lo vide nascere; è suo tetto il cielo, sua patria la terra, sua dimora una tenda. Esso vive prestando un lavoro mercenario al moro; ma talvolta arric- chisce la sua tenda col furto. Presso il nomade la donna attende (1) De-Gubernatis. Lettere sulla Tunisia. DA 2A CROCIERA DEL VIOLANTE ai lavori più pesanti; e mentre questa nelle nostre famiglie è regina, dall’ arabo vien tenuta in poco conto, e per quanto il suo lavoro sia utile e necessario, pure quando essa manchi la sua perdita ne è meno sentita dal padrone di quel che non sia la perdita di un camello, di una vacca o di un cavallo. Egli può infatti rimediare alla mancanza della donna sposandone un'altra, ma non può ricomprar senza danaro il camello, la vacca, il cavallo perduto. La razza nera propriamente detta forma una parte relativa- mente minima della popolazione a fronte delle precitate e co- stituisce come una classe a parte con abitudini tutte speciali. I Neri parlano fra loro una lingua propria; essi lavorano come muratori, imbiancatori, servi e bifolchi; sono poco intelligenti; hanno un carattere energico e ardito e vivono riuniti In comu- nità presiedute da un capo elettivo. Mentre Pelissier nella sua Histoire de la Régence de Tunis fa ascendere a 1,200,000 gli abitanti della Tunisia, non ne concede che 70,000 a Tunisi; il Gregoire nel suo Dictionnaire Eneyclo- pedique ne attribuisce a questa citta 115,000, dei quali 40,000 ebrei e 10,000 cristiani. Da informazioni da me assunte sul luogo la popolazione di Tunisi supererebbe i 100,000 abitanti, tra 1 quali 28,000 ebrei e 12,000 cristiani. Gli Italiani raggiun- gerebbero il numero di 9000. Ma tutte queste cifre sono molto approssimative, poichè, come è noto, in questo paese la stati- stica è ignota. Tra i monumenti che vidi in Tunisi e che meritano di essere visitati citerò il Palazzo del Bey, Dar-el-Bey, il Palazzo del Muni- cipio e la fortezza (Kasbah). Il Dar-el-Bey, che esteriormente non ha nulla di rimarchevole, fu da me visitato lo scorso anno in compagnia del mio compagno di viaggio che era a.lora il signor Leonardo Fea. Questo palazzo è decorato all’ interno in stile moresco e con gran lusso; quivi vengono alloggiati 1 forestieri lilustri. Il Bey ha la sua residenza ordinaria al Bardo, vasto castello cinto di mura e bastioni e situato a 2 kilometri da Tu- nisi nella direzione di Maestro. La scuola politecnica, le prigioni di Stato e le caserme di una numerosa guarnigione sono com- PARTE NARRATIVA Paes presi nella’ sua cinta, entro la quale si trova pure una lunga strada fiancheggiata di botteghe. Mi ricordo di aver veduto in questo palazzo, che è pure la sede ufficiale del governo, una gran sala, una specie di sala del Trono e di ricevimento, ove erano raffigurati in grandi quadri sospesi al muro quasi tutti i sovrani d’ Europa e, contro l’uso maomettano, anche alcuni Bey. In una delle corti del Bardo, la quale è ornata di svelte ed eleganti colonne di stile moresco, lessi incisi sui marmi delle colonne molti nomi di italiani di varii paesi con date ed indica- zioni precise, che ricordano come quegli infelici fossero qui vis- suti in ischiavitu. Fra le altre io trascrissi le due seguenti: Jo Natale Sorrentino della Torre del Greco cascato schiavo al 10 Luglio 1786 e il detto fu quardaletto di Hamud bey. — Gioachino Savorese fu predato schiavo il Maggio 1795. Ci fu fatta vedere al Bardo la sala ove generalmente il lunedì e il sabato il Bey amministra la giustizia e mentre passavo nel vestibolo, il picchetto di guardia abbagliato forse dai bottoni do- rati del mio abito da marinaio, lasciate da banda le inevitabili calze, di cui i militi erano gravemente occupati, fece ala al nostro passaggio presentando I’ armi; allora ebbi agio di osservare certe baionette irrugginite che facevano capolino da foderi senza pun- tale, abiti sdrusciti e unti e certe calzature che facevan boc- cucce da tutti i lati. Il Bey di Tunisi è il supremo ed unico magistrato del paese; questo fatto è per sè stesso un’ enormità e dimostra quanto sia primitivo colà il modo d@’ amministrar la giustizia. Il Bey non ha codice, non ha consiglieri; un maestro di cerimonie grida che l’ udienza è aperta ed entra chi vuole ad esporre le pro- prie ragioni all’ augusto magistrato. Gli affari in questo tribu- nale di prima ed ultima istanza si sbrigano con una celerità sorprendente. A proposito di questa giustizia sommaria non “mancano curiosi aneddoti che rivelano la sagacia e lo spirito di cui talvolta dà prova il magistrato. Mi furono narrati i se- guenti: Un giorno un moro si presenta al Bey (allora Hamudah-Pascià quello stesso che regnò 23 anni) trascinando secolui un individuo Ann. del Mus. Civ. di St, Nat. Vol. XI. (8 Gennaio 1878). 18 274 CROCIERA DEL VIOLANTE e narra che avendo egli perduta una borsa che conteneva 100 mahbugs (monete d’oro) quel miserabile I’ aveva raccolta, per poi restituirgliela con sole 20 monete, cioè colla mancanza di 80 monete che evidentemente erano state sottratte. Il Bey riflette un istante, quindi si fa recar la borsa del moro e 100 mahbugs e invita Il’ accusatore ad introdurvi tutto il danaro; ma questi non vi riesce perchè la borsa è troppo piccola, ed è così chia- ramente palesato |’ inganno. Un’ altra volta, due querelanti si presentano allo stesso Bey: una vacca era stata trovata da costoro e se ne disputavano il possesso: chi dei due aveva primo messo la mano sovra di essa? Il quesito è arduo. Ma il Bey non riflette a lungo; manda la vacca alle stalle reali e soggiunge: « cento colpi di bastone saranno somministrati a colui che verrà a ritirarla per punirlo della poca cura che ebbe nel custodirla! ». Allorchè il Bey è stanco od annoiato il maestro di cerimonie grida Hi Afia « la Pace »; e tutti si ritirano. Bisogna convenire, ad onore del vero, che tutti sono uguali di fronte all'arbitro supremo che è il Bey; non vi ha distin- zione che nel modo in cui i condannati subiscono la pena ca- pitale. I Turchi hanno il privilegio d’ essere strangolati in una sala della fortezza; i Mori e gli Arabi debbono aver la testa tagliata al Bardo. Due esecutori si mettono ai fianchi del condannato che ha gli occhi bendati; l’ esecutore di destra punge il paziente al braccio colla punta di un’ arma; il dolore fa subito volgere la testa del paziente da quel lato; intanto IT’ esecutore di sinistra profitta del momento in cui la testa del condannato è inclinata sulla spalla dritta e gliela recide con un colpo di yatagan. I Ma- rocchini e i soldati del Kabil sono semplicemente impiccati alla porta Bab-el-Suec. I militari sono invariabilmente fucilati. Gli Ebrei erano una volta bruciati; ma non più al presente poichè è comune la credenza che ne verrebbe la peste. Le donne colpevoli facevansi annegare nel lago, invece ora si rilegano nell’ isola di Kerkena al Mezzodi della Tunisia. La bastonatura diventa anche una pena capitale quando sia energicamente applicata, ma 1 PARTE NARRATIVA PAS ricchi pagano i carnefici perchè non battano forte e così il più delle volte deludono la legge. Il mio Mentore mi parlò a lungo fra I’ altre cose delle feste che soglionsi celebrare dai Tunisini. Oltre al Bairam, egli mi disse, si annoverano fra le più stre- pitose quella del Mw/ed o anniversario della nascita di Maometto. Tunisi si risveglia in tal giorno al frastuono delle salve d’ arti- glieria; le strade sono invase di buon’ ora dalla popolazione e tutti si vestono dei loro più belli e ricchi abiti. In questo giorno solenne è d’uopo mostrarsi allegri col sorriso sulle labbra, poichè basterebbe l’ aver una cera melanconica e triste per essere accu- sati d’ empietà; le persone più serie ad onta della gravità mus- sulmana si saltano al collo e s’ abbracciano come fratelli ovunque s incontrino; le piazze sono piene di divertimenti e affollate da giocolieri, saltimbanchi e mercanti girovaghi d’ ogni sorta. Altra occasione di festa è I’ investitura del Bey; ma questa non offre alcuna particolarità degna di nota. Terminata la nostra gita, ci recammo a far visita al Console generale d’Italia comm. Pinna, poi essendo omai I’ ora della partenza, volgemmo i nostri passi verso la stazione ed usciti dalla porta di Bab-el-Kara percorremmo una seconda volta la nuova passeggiata della Marina testé abbellita di eleganti fabbriche al- Y europea e di filari d’ alberi. “Noi eravamo diretti a Duwar-el-Sciott (nome di località che -suonerebbe nella nostra lingua Villaggio della Spiaggia) ove la famiglia Fedriani possiede una villa; e cola eravamo aspettati a mensa. Durante il tragitto che fu breve, il mio compagno mi additò la montagna denominata El Zaguan, lontana circa 50 ki- lometri da Tunisi e nella quale hanno scaturigine le acque che abbondantemente soddisfano ai bisogni di questa città e della Goletta. L’ acquedotto di cui si vedono ancora i ruderi a Carta- gine attingeva l’acqua dalla stessa montagna, appié della quale Sorge tuttavia un magnifico tempio romano. Un’ altra sorgente oltre quella del Zaguan, sgorga dal monte « Zugar » che è pur sede di un tempio romano. Passando col treno sulla sponda settentrionale del lago, os- . 276 CROCIERA DEL VIOLANTE servai la piccola fortezza di Scikli che sorge sopra un’ isoletta poco discosta dalla riva. Questa fortezza, che cade ora in rovina, fu eretta dagli Spagnuoli e comprende nelle sue fondamenta un’ ampia cisterna. Giunti a Duar-el-Sciott i miei occhi cercavano indarno qualche gruppo di case, qualche cosa che somigliasse ad un villaggio, ma non vidi che una sola abitazione, quella dei miei amici, la quale si trova propriamente nella località in cui sorgeva Car- tagine Punica. Mi furono prodigate colà dalla famiglia Fedriani le più cortesi accoglienze che si possano immaginare. Mercoledì 20. — Ritornato alla Goletta il mattino del 19 per tempo, sorpresi a bordo il Commissario che stava in muta contemplazione guardando I’ Oriente. Supposi un istante che egli rivolgesse qualche prece ad Allah e al suo Profeta; ma non tardai ad accorgermi che osservava con attenzione mista a vivo desiderio le isole di Zembra e Zembrotto, nelle quali si vuole che abbondino conigli e capre selvatiche. Io dovetti però contra- riare le aspirazioni venatorie che quella vista destava nel mio compagno , avvertendolo che avevo divisato di partire sollecita- mente per la Gallita, ove mi proponevo di far raccolte zoologiche pel Museo Civico di Genova. Udita la sentenza, il Commissario soffocò un enorme sospiro; quindi mi narrò la sua gita a Car- tagine e le delusioni da lui provate tanto in fatto di caccia, quanto in materia d’archeologia, e finì col mostrarmi una bella Lacerta ocellata da lui raccolta fra quelle classiche rovine. Prima di lasciare il bordo, mi rammentai in buon punto che quel giorno era appunto I’ anniversario dell’ entrata dell’ esercito italiano a Roma, e per celebrare una ricorrenza memorabile ordinai fosse issato il gran pavese, e lasciato il Violante tutto imbandierato e festoso, ci recammo alla stazione ove già ci attendevano i nostri amici. A mezzogiorno ci trovammo tutti riuniti a Duar-el-Sciott e ivi presental ai miei ospiti il Commissario, il quale trovò in Aurelio Fedriani un antico compagno d’ arme garibaldino. Lasciatili poi mentre stavano scambiando i loro ricordi, mi occupai di fare varie fotografie e quella fra le altre della cappella di San Luigi che PARTE NARRATIVA Petit é a poca distanza dalla villa Fedriani. Dopo il pranzo si fece una breve escursione alle rovine di Cartagine. CARTAGINE. Questa citta ebbe il triste destino di non risplendere di sua massima luce che poco prima della sua rovina e di vedere af- fidato a storici stranieri il compito di tramandare ai posteri il ricordo dell’ epoca gloriosa che precedette la sua distruzione. Cartagine Karthada o Karkabe in punico, ebbe sua origine da una Colonia di Tiro, poichè la lingua punica, come asseri- rono parecchi autori antichi e moderni, non è altro che la. fe- nicia. Secondo la tradizione poetica raccolta da Virgilio e da Trogo-Pompeo, questa città venne fondata da Didone moglie a Siceo e sorella a Pigmalione re di Tiro. Questo Principe avendo fatto ingiustamente morire Siceo, Didone, che i Tirii chiamavano pure Elisa, fuggì co’ suoi tesori e seguita da pochi partigiani “approdò in Africa presso al Capo Farina, nel golfo in cui una volta sorgeva Utica. Questa Principessa domandò ai nativi che volessero cederle tanto terreno quanto poteva comprenderne una pelle di bue. Non credettero questi di poter rifiutare un sì pic- colo favore alla bella Fenicia; ma dovettero accorgersi a loro spese che questa era discendente di quelli avveduti negozianti che avevano il monopolio del commercio del mondo; infatti ella tagliò in sottilissime striscie la pelle di bue e le pose le une dietro alle altre in modo da circoscrivere un’area assai vasta ove essa fondò la cittadella che si chiamò Byrsa. Byrsa (Bupox), in greco significa pelle, ciò che forse ha dato credito alla graziosa storiella della pelle; però dotti versati nelle lingue Semitiche hanno dimostrato la falsità di questa tradizione, avvertendo che bosra in ebraico e in siriaco significa cittadella, e che questa parola fu dai Greci cambiata e corrotta in Birsa. Alcuni antichi storici pretendono che i fondatori di Cartagine fossero Zoro e Carcedone; la maggior parte degli scrittori am- mettono che fosse invece Elisa o Didone; ad ogni modo si può credere che Cartagine sia stata fondata da una Colonia Tiria e che 218 CROCIERA DEL VIOLANTE la sua fondazione abbia avuto luogo prima di quella di Roma, ossia 878 anni avanti l’ Era Volgare. Addottando però questa data conviene muovere un appunto all’ autore dell’ Eneide per l’anacronismo da lui commesso facendo comparire alla Corte di Didone un Principe Trojano che avrebbe dovuto esistere più di 300 anni prima, riportando così la fondazione di Cartagine verso |’ anno 1255 a. C., cioè presso a poco all’ epoca della guerra di Troja. Addottando questa supposizione Didone o Zoro Carcedone non avrebbero fatto che ingrandire la cinta o au- mentare la potenza di Cartagine. — Ma quali e quante licenze non si permettono 1 poeti ? Do e: Meg Pictoribus atque poetis Quidlibet audendi semper fuit aequa potestas (1). La storia di Cartagine è piena di oscurità. Durante 4 secoli essa lotta contro le popolazioni Africane, le sottomette, arresta l’ambizione di Cirene, capitale della Cirenaica, sua rivale e con numerose flotte domina tutto il Mediterraneo. Nel 540 a. C. 1 Cartaginesi si stabiliscono in Sicilia a Panhormus, (Palermo), fondano Lilybaeum, (Marsala) e fanno supremi sforzi per to- gliere |’ isola intiera ai Greci. Le tre guerre contro Roma, le celebri guerre Puniche, cominciano nell’ anno 264 a. C. e ter- minano nel 146 colla distruzione di Cartagine (*). Prima della 2.2 guerra Punica il territorio di questa Republica si stendeva dalla Gran Sirti, Y odierno .golfo di Sidra, alle Colonne d’ Ercole o stretto di Gades, oggidi stretto di Gibilterra; essa aveva conqui- stato la Sardegna, tolta la Corsica ai Focesì 1 fondatori di Mas- silia (Marsiglia), occupato le Baleari, una parte della Sicilia e Malta e aveva cominciato la conquista della Spagna. La marina Cartaginese esplorava le Coste Occidentali dell’ Africa, facendo gran commercio coll’ isola detta Cerne, sotto il qual nome s'in- tende forse Madera, e con Thule come la chiama Orazio, la quale secondo alcuni doveva essere una delle isole Orcadi a Settentrione della Scozia e secondo altri l'Islanda. Sappiamo che (1) Orazio. Arte poetica. (2) IL vocabolo Purico proviene da Poeni che significava Cartaginese. PARTE NARRATIVA 279 il Re Annone allorchè passò lo Stretto di Gades (Cadice) con- ducendo seco 30000 Libi-Fenici, fondò varie colonie sulla costa occidentale dell’ Africa. Nello stesso tempo Imilcone esplorava la Costa occidentale d’ Europa; ma pochi frammenti di Festus Avienus che parla di questo Periplo non dicono nulla di certo sullo scopo e sul risultato del viaggio d’ Imilcone. Dal fondo dell’ Arabia giungevano le carovane facendo le sta- zioni del Deserto dall’ Egitto fino ad Ammonio, e di colà prose- guendo fino alla Magna Leptis, oggidi Lebedach, sulla Costa della Reggenza di Tripoli, d’ onde esse trasmettevano a Carta- gine 1 tesori dell’ Oriente. A mezzodi le loro relazioni commer- ciali si estendevano fino al fiume Niger ove mandavano sale ed altri prodotti, ricevendone in cambio polvere d’ oro, schiavi, datteri e pietre preziose che Plinio chiama Carbunculi Carche- donii. Le tribù nomadi erano gli intermediari di questo com- mercio, ma talvolta gli stessi negozianti Cartaginesi si univano alle carovane. Si narra infatti di un certo Magone che fece tre volte la traversata del deserto. Il governo di Cartagine, così lodato da Aristotile e da Po- libio, è poco conosciuto. L’ opinione del popolo dovea avervi molta influenza; ma la somma delle cose verosimilmente era sempre tra le mani di un certo numero di notabili; il Senato era eletto fra i più ricchi cittadini i quali, more solito compe- ravano 1 suffragi a peso d’ oro. I due capi che comandavano l'esercito di terra e l’armata di mare erano eletti per un anno e dovevano rendere conto del loro operato ad un Consiglio di 104 giudici scelti tra i Senatori. L’ opulenza e la prosperità di Cartagine eccitava l odio e l’in- vidia delle popolazioni a lei soggette; tuttavia era travagliata da gravi disordini. Le armate di mercenarii che essa reclutava in tutti i paesi erano fiere, indisciplinate, e talvolta si rendevano temibili fino ai loro stessi capi e al paese, tumultuando e ri- bellandosi spesso per futili pretesti. Ma la ricchezza, lo sfarzo e la sete insaziabile del guadagno corruppero in breve quella flo- rida Republica e furono causa della sua rovina. Colla sua caduta essa diede un terribile esempio ai suoi vincitori, di cui questi 280 CROCIERA DEL VIOLANTE per altro non seppero approfittare giacchè alla lor volta sog- giacquero più tardi alla stessa sorte. Non bisogna giudicare i Cartaginesi da ciò che ne scrissero 1 Romani; lo spirito di parte dettava pagine bugiarde su questo infelice popolo. I Cartaginesi tenevano in onore al pari dei Romani e dei Greci, le scienze e le arti, l'agricoltura e la navigazione, ma ben poche notizie rimangono intorno alla loro civiltà. Un solo libro punico ci pervenne, ed è un trattato d’ agricoltura tradotto da Varrone. La loro religione era piena di misteri ed aveva riti barbari e crudeli, pei quali forse i Cartaginesi furono da’ Ro- mani tacciati di crudeltà. Essi sacrificavano vittime umane alle loro divinità asiatiche Moloc o Baa! il re del Cielo, a Thanath o Astarte la dea del Cielo e degli astri e a Melcarth Vl Ercole Tirio. Ma il Popolo Romano non sacrificava esso pure alla sua brutale passione per gli spettacoli di sangue migliaia di vittime nei circoli e negli anfiteatri? Cartagine fu distrutta nell'anno 146 a. C. e il suo territorio costituì una Provincia Romana col nome di Africa. Caio Gracco vi condusse poi una Colonia di 6000 Romani e la nuova Carta- gine fu chiamata Junonia; ma venne presto abbandonata e dopo un altro inutile tentativo di Cesare, solo nell’ anno 44 d. C. Augusto fondò a Mezzogiorno dell’ antica Cartagine una nuova città che crebbe ben presto a tal segno che nel IV.° secolo riva- leggiava con Alessandria e Costantinopoli. Dalle sue scuole usci- rono Tertulliano, San Cipriano e Sant’ Agostino il luminare della Cristianità. I vandali sotto la condotta di Genserico la pre- sero nel 439 e da quel punto la sua prosperità declinò. Ripresa da Belisario nel 533, essa cadde nel 698 in potere dell’ arabo Hassan che la distrusse dalle fondamenta, siechè ora sul suolo ove si succedettero due città non v ha che un’ arida, sassosa ed incolta landa ove solo rimangono misere rovine. Fra queste ve- donsi le vestigia del Colossale Acquedotto che portava sopra altissime arcate attraverso a monti, valli e burroni le pure e fresche acque del lontano Zaguan alle cisterne di Cartagine. Due piccoli laghi presso il mare, ora convertiti in Saline, segnano il PARTE NARRATIVA 281 luogo occupato dal Cotton, porto militare, e del porto mercan- tile, ove Scipione diresse l'attacco e penetrò vittorioso in Carta- gine. Vicino al mare e più a Tramontana dei porti v' ha un enorme ammasso di macerie che son forse i resti del Teatro e del Ginnasio. La fondazione del primo viene attribuita da Virgilio a Didone (*), ma gli avanzi che se ne veggono indicano pale- semente una costruzione romana e non punica, e secondo il Signor Dureau de la Malle (*), questo teatro era dovuto alla munifi- cenza d’ Augusto (3). Ove ora sorge la cappella dedicata dai Fran- cesi a Luigi IX, vuolsi che s'innalzasse una volta il tempio d’ Z- smun-Esculapio, ultimo refugio di Asdrubale quando era incalzato dai Romani vincitori. Qui il generale Cartaginese si arrese a Scipione e anzichè cedere alla prepotenza romana la consorte di Asdrubale, dopo aver uccisi i suoi figli volle morire tra le fiamme che incendiarono il tempio! (4). Ovunque in paese arabo v ha una rovina essa viene subito guasta e sminuzzata per esportarne il materiale il quale si ado- (4) Giterò i versi di Virgilio, i quali però non provano I’ origine Fenicia del Teatro, ma danno un’alta idea della grandezza del monumento. do Ot Hic alta Theatri Fundamenta locant alii, immanesque columnas Rupibus excidunt, scenis decora alta futuris. /Eneid. 1,431. (2) Recherches sur la topographie de Carthage. (3) L’ Univers Pittoresque , Afrique vol. 2, Carthage. (*) Ecco come racconta lo storico Appiano questo atto di coraggio che prova che tutti i popoli e tutte le nazioni hanno i loro eroì e le loro eroine. « Al » momento in cui l’ incendio cominciava a divorare l’ edificio, la moglie di » Asdrubale rivestita dei suoì più belli abiti si presentò coi suoi due bam- » bini onde essere veduta da Scipione e gli gridò: « Romano gli Dei ti sono » favorevoli poiché ti accordano la vittoria, ricordati di punire Asdrubale » che ha tradito la sua Patria, isuoi numi, sua moglie, i suoi figli; i genii » che proteggevano Cartagine sì uniranno a te per quest'opera di vendetta ». Indi voltandosi verso Asdrubale: « Oh il più vile e il più infame degli uomini! » Tu mi vedrai morire qui coi miei due figli, ma bentosto tu saprai che la » mia sorte è ancor meno a compiangersi della tua. Illustre Capo della pos- » sente Cartagine tu ornerai il trionfo di colvi di cui tu baci i piedi e dopo » questo trionfo riceverai il castigo che meriti ». Dopo queste parole scannò i suoi due fanciulli e sì gettò nelle fiamme! — Soggiunge lo storico: « non era la moglie di Asdrubale che doveva terminare la vita con questa morte eroica, ma Asdrubale stesso ». 282 CROCIERA DEL VIOLANTE pera nelle moderne costruzioni. Le sole cisterne, forse perché rimasero lungamente difese da un strato di terra, sono ancora relativamente ben conservate e con qualche riparazione potrebbero servire anche al di d'oggi. Esse vedonsi presso la Cittadella Byrsa, nella località conosciuta ora col nome di Ma/ca. Altre non meno importanti e ben conservate sono più vicine al mare in una località dalla quale fu presa per |’ appunto la veduta ripro- dotta nell’ incisione. In un altro punto situato presso I’ antico porto militare si vuole sorgesse la Casa d’ Annibale! Più nel- l interno, a Greco'della collina di San Luigi si cercano invano collo sguardo le rovine del tempio di Juno Coelestis, ove sotto la dominazione romana si onorava questa divinità con un misto di riti asiatici ed italici — Da per tutto il terreno è ingombro di macerie che si stendono sopra il Capo Cartagine e fino ai villaggi denominati Sidi-Abu-Said e Marsa, nonchè in minor copia, a Tramontana di quest’ ultimo nella località occupata da Megara (1). A mala pena e per brevi tratti un attento osserva- tore potrebbe forse rintracciare gli avanzi delle mura che forma- vano la cinta della Roma africana; il poco che sfuggì all’ azione distruggitrice del tempo, e alle devastazioni dell’ uomo è infatti sepolto sotto terra e sassi, o invaso dalle sabbie del mare. La notte limpida e serena sopraggiunse mentre eravamo fra quelle rovine; rischiarati da una pallida luna e da miriadi di stelle ritornammo alla dimora ospitale da cui quasi senza avve- dercene ci eravamo così discostati. Giovedì 21. — Prima di lasciar Tunisi mi procurai il piacere di andar a zonzo un'altra volta pel Bazar in compagnia del Commissario e del mio buon amico Ravasini. Se per vastità, importanza commerciale e ricchezza il Bazar di Tunisi rimane molto al disotto di quelli di Smirne e di Stambul, pure esso appaga forse più d’ogni altro il viaggiatore pel suo color locale. Fra un di quei giorni in cui soglionsi far vendite all’ incanto e il mercato era però ingombro di sensali e negozianti, i quali invece di starsene mollemente sdraiati o accocolati sui loro di- (1) Vocabolo proveniente dal punico Maga», che secondo Isidoro di Siviglia vuol dire città nuova, Pag. 282. TUNISIA — Rovine delle cisterne di Cartagine. PARTE NARRATIVA 283 yani o sulle stoje che formano tappeto alle loro stamberghe, si mischiavano invece alla folla, mostrando le loro mercanzie e ‘ gridandone il prezzo con tutta la forza dei loro polmoni. Il mo- vimento e il frastuono erano tali da stordire. Sembra che il Bey, si compiaccia di questo affaccendarsi del suo popolo e si diletti di osservare dall'alto del suo palazzo la folla rumorosa dei mer- canti. Infatti, mentre eravamo proprio nel punto più chiassoso ed affollato del Bazar, ove questo fa capo al Dar el Bey, ve- demmo |’ augusto personaggio seduto in un aureo seggiolone ac- canto al davanzale di una modesta finestra guardare verso di noi. Mohamed-el-Sadok mi parve un uomo sulla cinquantina, ma ancora vegeto e robusto. Esso portava tutta la barba e i baffi; vestiva in quel giorno un abito nero con bottoni d’oro, ed aveva in capo il solito beretto rosso. Proseguendo la nostra passeggiata pel Bazar vedemmo certe anguste e brutte strade risplendere dei più preziosi oggetti : selle in velluto o marocchino rabescate d’oro e d’argento, scatole, forzieri e tavolini intarsiati in madreperla, tessuti in seta dei più splendidi colori e dei più vaghi disegni, abiti moreschi con ri- cami, fiocchi e cordoni, poi pugnali, scimitarre, yatagan d’ ogni forma e dimensione, scintillanti di pietre preziose, lunghi fucili arabi dal calcio adorno d’argento, di madreperla e di corallo, e cento altre svariatissime cose, accanto alle quali le merci europee sembravano goffe e sbiadite. In certe misere botteguccie ci furono poi presentati a nostra richiesta interi assortimenti di ricche stoffe, di coperte variegate, di molli tappeti, di beduine, di burnus contesti con pelo di ca- mello bianchi bruni listati, con fiocchi o senza, semplici o con orli in seta del più bel colore scarlatto; e quei bugigattoli diven- tarono come per incanto emporii da disgradarne i nostri più ricchi negozi. Altra fila di botteguccie della stessa apparenza tramandano grate fragranze di gelsomino e di rosa; qui ha sede il Bazar così detto degli odori soavi, Swk-el-Atarin. Una delle industrie che più prospera in Tunisi è quella dei beretti rossi detti Fez, Tarbusch, o Sciscèa. Mi si disse che i Tu- 284 CROCIERA DEL VIOLANTE nisini sono valenti nella fabbricazione di queste piccole calotte rosse e che ne esportano per dei milioni, in ogni paese in cui Allah è il vero Dio e Maometto è il suo Profeta. Nel nostro viaggio ne osservammo diverse foggie. La turca è tronco-conica, bassa, generalmente di un rosso cupo e ornata di un piccolo e modesto fiocco nero; questo Fez,suol porsi perpendicolarmente sul capo e non è punto grazioso. La foggia Greca è pesante cilindrica, alta, di un color rosso vivo, ed ornata di un ricco e lungo fiocco azzurro. Esso ben s' addice alle faccie abbronzate degli abitanti delle isole greche e sebbene sembri quasi sempre buttato in testa a casaccio, pure sogliono acconciarlo con molta cura, affinchè si addatti alla propria persona e caschi con grazia all'indietro. Le donne usano di un cuopricapo consimile, ma di più esigue dimensioni e di un rosso scarlatto. Esse poi lo adornano di una mappa d'oro; non è a dire quanto questa acconciatura faccia risaltare le bellezze di Smirne, di Scio e d’ Atene. La forma Tunisina, tuttochè analoga alla greca è più bassa e va guarnita d’ un fiocco azzurro, ma più modesto. I soldati portano sul proprio fez, una piastra d'ottone sulla quale si vede lo stemma della reggenza. Il Sultano Mahmud impose le uniformi europee ai militari e agli impiegati del proprio impero e a lui si deve se il fez sostituì il monumentale turbante , e l’ ampio e variopinto abito turco fu abbandonato per |’ inelegante e incomodo vestito europeo. Questa riforma che oftendeva sì profondamente 1 costumi dei veri credenti, non fu adottata senza grave malcontento ed incontrò la stessa opposizione contro la quale ebbe a lottare l’imperatore di Russia Pietro il Grande, quando ordinò ai Mo- scoviti che si togliessero le ispide barbe e le lunghe chiome. Ci volle tutto I’ energico volere di Mahmud per riuscire nei suoi propositi e forse non vi sarebbe pervenuto se, mosso da interessi di ben maggiore importanza, non avesse decretato I’ eccidio dei Giannizzeri, di quella turbolenta e fanatica falange che opponeva più energica resistenza ai suoi disegni. Il fez non è bello nè utile, mentre il turbante, quando non abbia esagerate dimensioni, è talvolta un vero ornamento e serve contro PARTE NARRATIVA 285 la pioggia e contro il sole e all’ occorrenza può offrire al soldato una difesa contro i colpi di sciabola. Qui vidi pure i più ampi cappelli che forse siano mai stati fatti; per grandezza e sopratutto per altezza superano quelli dei Planteurs del Brasile e della Plata e son contesti con foglie di palma. È proprio ridicolo il vedere questi fenomenali cappelli in capo a persone che cavalcano certi somari di una piccolezza non meno straordinaria. Il buon Ravasini fece un supremo sforzo per trattenermi ancora un giorno, proponendomi di fare una gita alle rive del fiume Megerdah, il Bagradas degli antichi, che scorre presso le ro- vine d’ Utica e mette foce poco lunge dal Capo Farina; ma quantunque Il’ escursione che egli mi progettava avesse per me molte attrattive, stetti saldo nel proposito di partire, pro- mettendo a me stesso di riveder fra non molto questa simpa- tica terra. A mezzogiorno lasciammo definitivamente Tunisi diretti per la Goletta. Ivi feci una visita di commiato al Vice-Console Cav. An- gley presso il quale ritirai le carte di bordo, avvertendolo che avevo intenzione di trattenermi alcun poco alla Gallita. Intorno a quest isola egli si compiacque di somministrarmi documenti e notizie molto interessanti per me, di cui terrò parola in seguito. Finalmente ci recammo a bordo in compagnia dei nostri amici Ravasini e fratelli Fedriani cui avevamo proposto di fare un breve tragitto sul Violante. In questo punto partiva il vapore del Governo Tunisino Bescir, che sotto il nome di Toscana, apparteneva alla compagnia Rubat- tino; esso, insieme ad un altro piccolo vapore, rappresentava tutte le forze di mare della Reggenza; e siamo ben lontani, come ognun vede, dal tempo in cui le flotte barbaresche incutevano tale spavento alle potenze marittime europee da obbligarle a pagare an annuale tributo affinchè i proprii legni fossero rispet- tati da questi formidabili e feroci corsari. Il ministro della guerra in persona, il generale Rustan col suo seguito era imbarcato sul Bescir e si recava a Costantinopoli in missione coll’ incarico di presentare al Sultano Abdul-Hamid 800000 piastre frutto di una 286 CROCIERA DEL VIOLANTE sottoscrizione volontaria apertasi nella Reggenza per contribuire alle spese della guerra. Seppi di por al mio arrivo in Genova, che nell’ arcipelago greco, lo sfortunato legno tunisino, aveva investito e mandato a picco un grosso vapore inglese. Mentre scrivo queste memorie (Aprile 77) il vapore e la missione tunisina non sono ancora rimpatriati ! Alle 3 partiamo con leggero vento da Greco e giunti di contro alla spiaggia di Cartagine poniamo a terra i nostri gentili ospiti proprio d’ innanzi alla loro casa. Un colpo di cannone è Y ultimo saluto che loro manda il Violante mentre essi agitano da lontano i fazzoletti in segno d’ addio. Il tempo essendo bello, stabilii tutte le vele e strinsi il vento, murre a sinistra; poscia mi occupai di ordinare le poche rac- colte fatte a Tunisi. Venerdì 22. — Nella notte vento poco e variabile ; all’ alba del 22 scorgo I’ isola Piana ed essendo il mare tranquillissimo mi risolvo a farvi una discesa. Lascio però il cutter sotto vela e scendo in terra col mio compagno. ISOLA PIANA Quest’ isoletta è distante 2 miglia da Capo Farina, nella di- rezione di Ponente; la sua superficie piana ed elevata di pochi metri soltanto sul livello del mare diede origine indubitatamente al suo nome. Essa si estende per due terzi di miglia in lunghezza da Ponente a Levante, sopra un quarto di miglio di larghezza, ed è tutta circondata di scogli e frangenti che rendono angusto il passaggio tra quest’ isola e Capo Farina. Noi vi scendemmo dal lato di Levante in una piccola insenatura praticata dal mare. Ivi raccolsi campioni di una specie d’ arenaria giallastra e pa- recchi fossili, tra i quali grosse ostriche, un pettine ed un bello echinoderma. Percorrendo l’.isola vi trovammo due specie di cisterne fatte a forma di orciolo e a metà ricolme di terriccio e sassi; vi en- PARTE NARRATIVA 287 trammo agevolmente e vi potemmo catturare un piccolo rettile della tribù dei Gecotidi (Hemidactylus verruculatus) e qualche insetto. Due colombi selvatici ed una quaglia fuggirono impauriti dalla nostra presenza. Nell’ isola si trova qua e là qualche arbusto di ‘ lentisco, ma gli spruzzi marini che di continuo la bagnano e la mancanza di terra vegetale non permetterebbero, io credo, col- tivazione di sorta. Nel centro di essa vidi una pila di pietre a secco, la quale non è altro probabilmente che un segnale trigo- nometrico. Alle 10 rimetto in rotta dopo aver fatto una dragata in 22 metri di fondo con buon risultato. A Mezzogiorno rilevo il fanale degli isolotti dei Cant per Mezzogiorno Tramontana , distante 6 miglia. Mantenendosi il tempo bellissimo e il mare tranquillo non re- sisto alla tentazione di far qui pure una discesa, mentre per cura del nostromo si trae la draga sotto vela. ISOLOT'EL DEL CANI Questi isolotti sono aridi e nudi scogli situati alla distanza di 5 miglia in direzione di Greco Tramontana da Capo Zebib e 12 miglia da Biserta; essi sono in numero di 3 e giaciono nella Isolotti dei Cani. direzione di Libeccio a Greco per circa 1 miglio. È questo un * luogo di continuo passaggio di bastimenti, e prima che vi si fosse 288 CROCIERA DEL VIOLANTE stabilito il fanale era assai pericoloso. La posizione del fanale é: Lats 37°21. Longe 4 EG: Il primo Cue verso Libeccio non è che un piccolissimo scoglio emerso di pochi piedi sull’ acqua ed ha una superficie limita- .tissima. Noi vedendolo coperto da una quantità di Phalacrocorax, vi dirigemmo l'imbarcazione per farne caccia; man mano che ci avvicinavamo essi cominciavano ad allungare il collo, a vol- gere con inquietudine la testa a dritta e a manca, ripetendo questo movimento con rapidità sempre maggiore, poi finivano per tuffarsi in mare un dopo l’altro. Discesi al secondo scoglio si fece caccia di lucertole e topi, che vi sono abbondantissimi. Per essere più libero in queste ricerche avevo lasciato il mio fucile nella barca, per cui nell’ udire im- provvisamente la detonazione d'un arma da fuoco non seppi a tuttaprima a che attribuirla e raggiunsi di gran corsa la riva del mare per vedere che cosa fosse accaduto. Era il ragazzo rimasto a guardia del battello, che avendo visto a sua portata un Phalacrocorax, non aveva potuto resistere alla tentazione di scaricargli addosso una canna del mio fucile e l’aveva uc- ciso. Frattanto frotte di colombi spaventati al rumore fuggi- vano di scoglio in scoglio, di antro in antro: lasciai che il Giusti li inseguisse ed intanto collocai la macchina fotografica per ot- tenere una vista del terzo Cane, che è il maggiore dei tre e sta a Greco dei due altri; su questo è stabilito il fanale che con- siste in una torre a base quadrata, ed è munito di un apparato diottrico a luce fissa di secondo ordine, visibile a 18 miglia. A proposito di questo fanale mi venne raccontato dal Capitan Montano, comandante del vapore Africa della Società Rubattino, un incidente che poteva avere serie conseguenze. In uno dei tanti viaggi che fece da Cagliari a Tunisi durante una notte buia e burrascosa egli passò col proprio bastimento assai vicino al Cani senza poter discernere il fanale. Tuttavia giunse felice- mente alla Goletta e colà avverti l'autorità locale di questa cir- costanza, ma nessuno se ne diede per inteso. Qualche tempo dopo si venne poi a sapere che il fanale spento era un segno conven- zionale per avvertire quei di Biserta che un fanalista era malato. PARTE NARRATIVA 289 L'imbarcazione ci traghettò quindi al grande scoglio e vi trovammo tre fanalisti, un vecchio e due giovanotti, tutti della costa tunisina; credo che il vecchio vi avesse anche la sua fa- miglia. Domandammo di salire sul fanale , il che ci venne su- bito concesso. Eravamo a circa 40 metri dal livello del mare. Il nostro sguardo spaziava da quell’ altezza sopra tutta la costa africana che si stende da Capo Farina a Capo Guerra e vedevamo distintamente una macchia bianca di case che ci indicava la po- sizione di Biserta, l'antica Hippo-Zarytos, gia nido di temuti pirati; dietro a questa si scorgevano catene di montagne che si andavano perdendo in lontane sfumature. Sotto di noi il cutter lentamente si moveva, trascinando nel fondo del mare la draga; un cielo sereno color di zaffiro, un mare leggermente increspato e scintillante sotto i raggi di uno splendido sole completavano il panorama. Allorchè fummo + discesi denimo con buona fortuna la caccia a qualche lucertola, fra le quali il Phyllodactylus ewropaeus, e raccolsi qualche campione di roccie, che sono parte di calcare bigio tutto traforato da cellette irregolari e parte di calcare ce- roide. Trovai pure un frammento di legno fossile impregnato di calcare terroso ed un nodulo di matite gialla terrosa forse for- matosi attorno a qualche oggetto di ferro. Salutati i fanalisti e regalatili di qualche moneta, ci resti- tuimmo a bordo del cutter. Alle 5 mettiamo in rotta per la Gallita favoriti da un bel venticello di Levante, e mentre il legno scivola dolcemente sul mare attendiamo ad ordinare le nostre raccolte e a scegliere il materiale dragato, operazione lunga e punto divertevole (1). Nella sera il poco vento cessa affatto e restiamo in calma per- fetta. (!) Aggiungo i nomi delle poche specie di Alghe che ho raccolto all’ Isola Piana e agli Isolotti dei Cani. Isola Piana: Sphacelaria filicina, Ag., Udotea Desfontainii, Decne, Peysso- nelia squamaria, Decne, Jania gracilis, Zan., Vidalia volubilis, I. Ag. Isolotti dei Cani: Codium bursa, Ag., Valonia utricularis, Ag., Halyseris polypodioides, Ag., Jania gracilis, Zan., Vidalia volubilis, I. Ag. Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (10 Gennaio 1878). 19 290 CROCIERA DEL VIOLANTE Sabato 23. — La calma continua tutta la notte; nel mattino leggere e variabili brezze dal 1.° e dal 2.° quadrante ci portano in vista della Gallita che salutiamo con vero trasporto. A mez- zogiorno non ne siamo lontani più di 6 miglia, rilevandone la punta Mezzogiorno per Ponente Tramontana della Bussola. Alle 3 lascio cadere |’ ancora nella rada della costa meridionale, in metri 11 di fondo, rilevando la punta Mezzogiorno per Scirocco e la sorgente d’acqua della marina per Greco Levante. ISOLA DELLA GALEMGA Giace quest’ isola presso la costa della Tunisia, non distando da Capo Serrat, punto più vicino del lido africano, che di sole 22 miglia. Osservando il rialzamento del fondo del mare e i banchi coralliferi che la collegano all’ Africa, non si può a meno di considerarla come appartenente a questo: grande continente e di argomentare che abbia ricevuto da esso la Fauna e la Flora. Secondo la carta dell’ ammiraglio Smyth la parte più centrale ed elevata dell’isola, sì trova in Lat. 37° 31' 16" T. e Long. 8° 661 120: La Gallita, fin quì poco conosciuta, fu visitata nel 1840 dal Signor Bory de Saint-Vincent, il quale ne parla in questi ter- MIDI. da PSR È una terra elevata che corre da Ponente a » Levante per una lunghezza di una lega e per un quarto di » lega di larghezza; al punto culminante è di 476 metri al » disopra del livello del mare; all’ estremità orientale vi ha » un'altra elevazione tagliata a picco dal lato del mare, alta » 377 metri e completamente spoglia di terra vegetale. » La Gallita è d’ origine ignea: è un’ immensa roccia di tra- » chite, è un sollevamento vulcanico appartenente al sistema » della Sicilia e della Pantelleria che sorse a suo tempo per ef- » fetto della stessa forza, che ai nostri giorni ha fatto compa- » rire l'isola Giulia. Solamente la Gallita, composta di elementi » solidi, ha resistito; i frammenti, le parti friabili sono sparite » sotto l’azione del tempo e non ne resta che lo scheletro. Vi » si trovò dalla parte dell’ ancoraggio acqua dolce; essa pro- ‘06 ‘bod ‘euejuoweLyL Ip orey — VLITIVO MEX: (03090 k:29) e8n3y o133e1000Y VUI[er) oney QISITRAR) [ap OZZIq oreyqoong IP ueg O BIplend oyu ‘OUIOISOZZOIN Ip 0787 — VLITIVO RIPIENI) dJUON o153v100Uy QISI[RAVO [Ap OZZIA PARTE NARRATIVA 291 » viene da infiltrazioni che hanno luogo attraverso gli strati di » un arenaria assai grossolana che è esposta al Mezzogiorno » dell’isola, e che fu evidentemente sollevata dalla lava in » mezzo alla rivoluzione fisica nella quale essa venne alla luce. » I dominatori dell’ Africa ebbero a diverse riprese delle sta- » zioni alla Gallita. Noi vi conoscemmo traccie di rovine an- » tiche; vi furono lasciati in libertà conigli e capre che vivono » allo stato selvaggio; essi hanno distrutto alcune famiglie di » piante, per esempio, le leguminose. Non si trovano nell’ isola » più di circa 80 specie di piante. Vi si veggono degli uccelli » di rapina (*), i quali spiano gli uccelli di passaggio, di cui » numerosi sciami vengono a riposarvisi a due epoche dell’anno. » A qualche distanza a Greco e a Libeccio dell’ isola, vi sono » ammassi di roccie chiamati Gallitoni, egualmente d’ origine » vulcanica: essi sono interamente spogli di terra e di vegeta- » zione. La Gallita offrirebbe un poco di terra propria alla col- » tivazione ed eccellenti posizioni per la vigna » (?). Seppi a Tunisi che fu pubblicato intorno alla Gallita un ac- curato lavoro idrografico dei Sigg. Bérard e De Tessan; ma mi fu impossibile rintracciarlo. A quanto mi dissero si fa cenno in quest’ opera a cinte di muri, ad avanzi di una torre di guardia e ad altri ruderi che dimostrerebbero come l'isola fosse in altre epoche abitata. Il Bory de Saint Vincent vi ha ritrovato delle monete puniche; d'altronde il nome primitivo dell’ isola sarebbe esso stesso pu- nico, se gli antichi nomi greci e romani della Gallita « Calacthé, Calacte e Galata » fossero derivati, come pare, da una radice punica, la quale avrebbe pur dato origine al vocabolo arabo Kalaat che vuol dire Fortezza. L'isola di Gallita era probabilmente anche popolata nel Medio Evo, poichè Papa Clemente VI, in una sua Bolla emanata da Avignone il 15 Novembre 1344, la designa come facente parte del Dominio insulare devoluto all’ Infante Luigi di Spagna, pro- (') Questi spettano alla specie Falco Eleonorae. (?) Lamarmora, Voyage en Sardaigne, Troisiéme partie, Description Geo- logique, Tome I, p. 538. 292 CROCIERA DEL VIOLANTE nipote di Luigi IX Re di Francia, colla condizione però di ri- durla al cristianesimo. Quest’ isola, diretta nella sua maggior lunghezza da Ponente a Levante, offre nella parte di Mezzogiorno un comodo e sicuro ancoraggio contro 1 venti del primo e quarto quadrante ; quivi il fondo è buon tenitore per le ancore e presso la spiaggia tro- vasi una perenne e fresca sorgente d’ acqua. I pescatori che fre- quentano questi paraggi mi assicurarono che coi venti del se- condo e terzo quadrante l'ancoraggio offre eguale sicurezza, poichè l’ alta montagna detta il Pizzo del Cavaliere ripara le navi dai venti impetuosi. Tuttoché non mi piaccia di contraddire gente incanutita sul mare e grave d'esperienza più ancora che d'anni, pure nella mia penultima crociera, essendomi ancorato per la prima volta colà, mentre imperversava un fiero temporale da Levante, passato il vento a Mezzogiorno, salpai sollecito e mi rifugiai col Violante dal lato di Tramontana ove fui molto più riparato e tranquillo, talchè potei attendere col Signor Fea, al- lora mio compagno di viaggio, alla caccia dei falchi e alle rac- colte scientifiche. Quest’ isola dal punto di vista strategico è situata, a parer | mio, in condizioni paragonabili a quelle di Malta o Pantelleria e per questo riguardo è degna di considerazione. L'acqua di cuì | è fornita e che con ben poca fatica potrebbe radunarsi in ampil serbatoi, la feracità e l'estensione del suolo rendono meritevole quest’ isola, ora disabitata, di ben altro destino; scoglio incolto e deserto al presente, perchè così sì vuole, potrebbe diventare in breve una fiorente colonia agricola e la sede principale della pesca del corallo, che come è noto si esercita su larga scala im questi paraggi. Sebbene poco discosta da varii porti di primaria importanza, la Gallita non è in comunicazione col resto del mondo se non mediante alcune barche di pescatori che vi ap- prodano di tanto in tanto per esercitare la loro industria, ma nessun legno mercantile vi fa scalo e non v'è quindi da stu- pirsi se rimase sconosciuta anche dai naturalisti. La rotta tenuta dai vapori e dai velieri diretti dallo stretto di Gibilterra al bacino orientale del Mediterraneo e al canale di Ì PARTE NARRATIVA 293 Suez li conduce in vista di quest’ isola, e non credo errare fa- cendo voti perché vi si stabilisca un faro. Questo potrebbe col- locarsi vantaggiosamente sul Gallo o sulla Gallina, scogli che giacciono a Greco della Gallita, o meglio sul Gallitone o sul- YAguglia che, situati a Libeccio, sono più vicini al pericolo segnato sulle carte inglesi col nome di Sorelle Roks, pericolo distante 15 miglia dalla Gallita, e dai corallini denominato Summo ('). Ma sarà forse il governo Tunisino che penserà a collocarvelo ? Alla gentilezza del Vice-Console italiano della Goletta, Cav. R. Angley, autore di un pregevole scritto sulla pesca del co- rallo esercitata nelle acque della Barberia, son debitore di alcune notizie intorno alla Gallita che mi propongo qui di riassumere, sicuro di far cosa grata al lettore cui stanno a cuore i nostri interessi sul littorale africano. In questi paraggi si danno alla pesca del corallo molte barche di Torre del Greco dall’ Aprile all’ Ottobre e pagano perciò alla Francia un tributo di L. 400 annue! Perchè, si chiederà senza dubbio, si debbono pagar diritti ai francesi, mentre la pesca si esercita in acque tunisine? Alla mia risposta è mestieri fare pre- cedere un poco di storia e risalire a qualche secolo addietro. La pesca del corallo sulle coste dell’ Algeria e della Tunisia è industria italiana fin da tempi antichissimi. Fin dal 12.9 se- colo la repubblica Pisana, allora padrona della piccolissima isola (1) A proposito di tal pericolo ricorderò che il Colletta nella sua Storia del Reame di Napoli dice che sullo scorcio del secolo passato venivano alla pesca del corallo in queste acque oltre « a seicento barche grandi, bene ar- » mate, e pronte a guerra con più di 4000 marinai » e aggiunge « che occupa- » rono un piccolo scoglio deserto ed innominato, lontano 24 miglia dall’ isola » di Galita e 43 dalla terra di Barberia che chiamarono Swmmo dal nome del » marinaio che primo vi pose ii piede, e vi costruirono frascati, ricoveri e » difese ». Ma questo esatto storico fu certamente indotto in errore nella de- terminazione dello scoglio, perchè Summo vien detto dai marinai del Mezzo- giorno d’ Italia a ogni scoglio che veglia fuori d’ acqua, e quello accennato dal Colletta deve essere appunto il pericolo conosciuto col nome di Sorelle Rocks in cui solo un limitatissimo spazio di 5 a 6 metri quadrati vi rimane a secco nei tempi di maggior calma e di acque basse, mentre è sempre som- merso dalle onde quando il mare è agitato e rigonfio. 294 CROCIERA DEL VIOLANTE di Tabarca sulle coste d’ Africa ne aveva il monopolio; nel 16.° secolo la famiglia Lomellini di Genova per concessione avu- tane dal Sultano Solimano II, occupava la stessa isoletta ed in- nalzava presso Bona un forte che si vede tuttora e vien detto « Genovese ». Verso il finire di quel secolo la Francia otteneva, mediante un trattato coi Bey di Bona e Costantina, il privilegio della pesca su tutta la costa da Bona a Tabarca, e con varia vi- cenda, a seconda dei politici sconvolgimenti, ne affidava I’ eser- cizio a privati o a società più o meno cospicue. In quel tempo Provenzali e Corsi parteciparono anche a questa industria. Dopo circa un secolo e mezzo di mal sostenuta concorrenza colla fa- miglia Lomellini che continuava a mantenersi padrona di Ta- barca, nel 1740 la Francia acquistava diritti di padronanza anche su quest’ isola e diventava così sola arbitra della pesca lungo tutto il littorale algerino e tunisino. Una Società Marsigliese privilegiata sotto il nome di Compagnia Algerina, ebbe allora il monopolio della pesca e l’esercitò per qualche tempo senza com- petitori. A_Marsiglia concentravasi la manifattura del corallo, il quale era spedito dalla Vecchia Calle, ove la compagnia aveva fortificazioni e magazzini. Nel 1741, scoppiata la guerra fra la Francia e la Reggenza di Tunisi, questa riprendeva Tabarca di cui rimase quind’ in- nanzi in possesso. La Compagnia algerina e la popolazione ita- liana di Tabarca cacciate da quest’ isola diedero origine alla città denominata La Calle in Algeria e a quella di Carloforte nel- Y isola di S. Pietro a Ponente della Sardegna. La Società fran- cese dopo aver condotto una vita sempre più stentata cessò di esistere nel 1794 per decreto del Comitato di salute pubblica, il quale proclamò la libertà dei mari e tolse ogni impedimento all’ esercizio della pesca con gran vantaggio dei corallini italiani, la cui industria cominciò allora a rifiorire. Ora da Genova, da Napoli e da Torre del Greco accorrono a quei lidi numerose barche coralline, e ad onta dei tributi che loro impone il governo francese, il quale padroneggia la pesca non solo nelle acque d’ Algeria, ma anche in quelle della Reg- genza, mercè un trattato da esso concluso col Bey di Tunisi, PARTE NARRATIVA 295 superano vittoriosamente ogni concorrenza e per fin quella che loro muovono associazioni privilegiate. Altra volta ogni nostro battello corallino era costretto a pa- gare una tassa di 1600 lire; ma ora questa è ridotta a sole 400. La pesca del corallo si pratica con un congegno formato da due forti barre di legno unite insieme a modo di croce, alle quali stanno sospese per mezzo di funi di distanza in distanza mazzi di reti a larghe maglie fatte di grosso spago mollemente torto e talvolta altre più fine, allo scopo di aiutare l’azione delle prime. Il battello giunto sul luogo della pesca lascia cadere in mare l'apparecchio, il quale dai pescatori si denomina rgegno. Esso è raccomandato ad una robusta fune e quando per forza di remi o «di vela, vien tratto sul fondo, i mazzi di reti si spandono, stri- sciano sugli scogli, penetrano nelle cavità, e aggrappandosi ai rami del corallo li svelgono e ritirate poi a bordo portano seco il prezioso polipaio. Si può calare l'apparecchio ogni giorno un certo numero di volte che varia a seconda del fondo; in gene- rale però non più di 10 volte. La pesca si fa tanto di giorno quanto di notte senza interruzione, alternandosi gli equipaggi ogni 6 ore di lavoro, e le barche tengono sempre il mare fino all’ esaurimento delle provviste, ammenoché non sieno costrette dal tempo a rifugiarsi in un porto. I corallini attendono per mesi e mesi in questo duro lavoro non riposandosi che poche ore nella notte. Se si considerino le gravi fatiche alle quali si sob- barcano sotto la sferza di un sole ardente, e lo scarso vitto di cui si contentano, che consiste in biscotto e pasta una sola volta al giorno e in sola acqua per bevanda si converrà meco che per esercitar questo genere di pesca occorre una tempra di ferro. Per ciò appunto la pesca del corallo fu sempre un'industria italiana, benchè la Francia abbia più volte tentato di rapircela; giacchè ad onta del proverbiale dolce far niente, è certo che i marinai italiani sono i più sobrii, 1 più operosi e resistono più degli altri alla fatica. Si avverta pure in proposito che il minor costo dei viveri, delle barche e degli attrezzi presso di noi, la tenuità delle paghe e le cognizioni pratiche dei nostri corallini concorrono a conser- 296 CROCIERA DEL VIOLANTE vare all’ Italia questa industria dalla quale essa ricava diretta- mente o per via indiretta non meno di 20 milioni. Sulle antiche vicende della Gallita mancano precise indicazioni. Si sa che alcuni anni or sono, vi sì stabili un Francese venuto da Bona; poi dopo avervi passati alcuni mesi fu trovato morto. Nel 1869 un sedicente Conte d’ Arfoar, Brasiliano, persona colta e di belle maniere vi stabili la sua dimora col proposito di dedicarsi colà all'allevamento di pecore recatevi in grande numero dalla Calle. Ma per mala ventura le pecore morirono e l unico compagno del conte, un servo spagnuolo si ferì, dicesi, col proprio fucile, e trasportato alla Calle cessò di vivere allo spedale. Il d’Arfoar voleva far credere d’ aver comperato I’ isola dal Bey e vi esercitava diritti di padronanza che cominciavano a divenire molesti ai corallini che solevano rilasciar colà sia pel cattivo tempo sia per rinnovar I acquata. Il nostro Console a Tunisi, Commendatore Pinna, geloso custode dei nostri diritti, fece per questo procedere vive rimostranze al governo tunisino, il quale promise di reprimere siffatti abusi. Intanto il conte in- formato che il governo tunisino stava per mandare colà un vapore per iscacciarlo, lasciò l'isola con una piccola imbarcazione e riparò a Napoli. Al d’Arfoar succedettero nel 1872 un certo Antonio D’ Arco, dell’ isola di Ponza ed un suo fratello, entrambi ammogliati con figli. Essi avevano stabilito la loro abitazione in una spaziosa grotta, e dissodati 1 terreni, circoscritti alcuni campicelli con muricciuoli a secco, li coltivavano a grano, legumi e vite. Al- cuni di questi già somministravano prodotti eccellenti, talché si poteva prevedere che il nuovo tentativo sarebbe riuscito, mentre d’altra parte il D'Arco nulla trascurava per divenir capo di numerosa colonia. Ma il governo del Bey, non so per qual immaginario pericolo, o meglio per quale ubbia, mentre correva il Novembre 1873 spediva colà un vapore, il che è quanto dire tutta la flotta e costringeva il Ponzese e la famiglia di lui ad abbandonar I isola. Si disse che i coloni erano venuti spontaneamente sul continente, poichè il comandante del vapore si era limitato ad intimar loro lo PARTE NARRATIVA 297 sfratto; ma il Ponzese negò sempre recisamente che non vi fosse stata qualche violenza. Da ciò nacque un po’ di chiasso e qua- lunque fosse la vera tra le due versioni, fatto sta che si proibi ai poveri agricoltori di ritornare alla Gallita. Però, le nostre autorità consolari, ottennero dal governo tunisino che fosse con- cessa al Ponzese un'indennità di circa 1000 piastre, a patto che egli e tutta la sua famiglia rinunziassero al soggiorno dell’isola. Egli acconsenti, ma nascostamente ritornò ai suoi campi e vi rimase fino all’epoca del raccolto che fu abbondantissimo; quindi si ritirò alla Calle e di là tien fissi gli occhi alle sue terre ab- bandonate, al sogno della sua vita. — E così la Tunisia è salva ! Il governo tunisino fu informato della presenza dei coloni ita- liani da alcuni viaggiatori, i quali sbarcati colà da un vapore che avea riportato gravi avarie, preferirono lasciarlo proseguire e rimaner nell’ isola per una quindicina di giorni anzichè esporsi al rischio d’ una pericolosa navigazione. I pescatori d’ ogni nazionalità possono liberamente tendere insidie al pesce di cui tanto abbondano le acque della Gallita. Alla pesca delle aliguste quivi abbondanti attendono principal- mente alcune barche italiane che vi si recano nella buona sta- gione dalla Goletta, dalla Calle, dalla Sicilia e perfino dalla lontana isola di Ponza. Fra le barche di pescatori italiani che frequentano la nostra isola vi è quella di un tal Nicola Straz- zera, da Trapani, che conobbi alla Goletta nella prima crociera del Violante. Questi è un bel tipo di vecchio marinaio ed è fra- tello allo Strazzera, di cui il giornale « Fanfulla » narrò l’anno scorso le gesta, ricordando come avesse guidato il generale Ga- ribaldi allo sbarco, allorchè il gran condottiero volgeva le sue prore al lido di Sicilia e stava per iniziare la memorabile im- presa che ebbe tanta parte nel nostro nazionale risorgimento. Nel 1869 un brik siciliano approdava alla Gallita per racco- gliervi una specie di graminacea (l’ Ampelodesmus tenax) che cresce abbondantissima in tutta I’ isola, e di cui i pescatori si servono per intesserne i loro congegni. Cinque dei marinari erano scesi in terra intenti alla bisogna e due solamente rimanevano 298 CROCIERA DEL VIOLANTE a bordo, quando si scatenò un violento fortunale. Il legno sferra e corre alla ventura ed i cinque marinari trovandosi sul versante opposto dell’isola non si accorgono del male che li colpisce se non quando, ritornati sui loro passi, non vedono più il legno all’ ancoraggio. i Consumate le scarse provviste che avevano tolte da bordo e che dovevano durare per un solo giorno, quei tapini vissero d’ erbe, di radici e di patelle per una settimana, dopo la quale, migliorato il tempo sopraggiunse lo Strazzera colla sua barca alla pesca delle aliguste e divise cogli abbandonati il biscotto e le provviste di bordo. Ma fatalmente ritorna il tempo pessimo, è impossibile riprendere il mare. Esaurite le vettovaglie son di nuovo ridotti a cibarsi d’erbe e di radici. Non tardano a risentirne i tristi effetti e ad uno ad uno ammalano; la dispe- razione, quel terribile sentimento che in simili circostanze assale l’uomo più animoso e che lo avvilisce quasi più che la stessa fame, comincia ad insinuarsi fra loro, a vincere la loro fermezza e ad abbattere i loro animi. Finalmente sembra che il tempo, migliori e rimettono la barca in mare; ma il vento contrario infuria, bisogna retrocedere; e quindi nuovi e maggiori tormenti. Passano altri tre giorni nell’ isola nella medesima angoscia, poi risolvono di perire annegati anzichè di fame e s' affidano al mare benchè burrascoso. Durante un giorno ed una notte sono balzati e sospinti da venti contrari e finalmente giungono alla Calle! Rinunzio a descrivere lo stato compassionevole in cui erano ridotti quegli infelici. Basti dire che avevano sofferto in mare una sete ardentissima, essendo loro accidentalmente mancata la provvigione dell’acqua per l’imperversare delle onde. Il buon Strazzera, |’ intrepido soldato, il vecchio lupo di mare non volle compensi e solo a forza gli si potè far accettare una provvista di biscotto. Ed il brigantino? Il brigantino aveva corso fortuna fino a Tra- pani, appena frenato, piuttostochè diretto, da uno dei marinai, e si rifugiò in quel porto senza avaria di sorta. Di colà, rifornito d’ uomini venne poi a riprendere il suo equipaggio. PARTE NARRATIVA 299 Al nostro giungere, alcune barche che vidi alla spiaggia mi annunziarono la presenza dei pescatori, forse di quelli stessi Ponzesi che vi avevo incontrati lo scorso anno. Una delle barche non tardò a staccarsi dal lido e si avvicinò al nostro bordo ; essa era montata da 5 uomini, tra i quali mi parve di riconoscerne uno. Esclamai: Francesco Romano! Era proprio lui, uno dei pescatori che conobbi or fa un anno e ci scambiammo però una buona stretta di mano. Subito dopo scendemmo a terra per profittare del resto della giornata e dare la caccia a qualche Falco Eleonorae; quindi senza tampoco soffermarci alla spiaggia ci ponemmo a salir la montagna ognuno per conto proprio, fissando però a punto di ritrovo la vetta del Picco denominato nelle carte Pan di zucchero e detto più propriamente dai pescatori Monte della guardia. Nell’ ascen- dere potei raccogliere qualche insetto e alcuni ragni (Eperra); qualche volta m’ appiattai coll’ intenzione di uccidere qualche falco, ma sempre inutilmente perchè essi volavano troppo in alto. Non tardammo a ricongiungerci col Giusti sulla bizzarra e frastagliata vetta del monte, ove osservammo antichissimi avanzi di mura a secco formate di grosse pietre irregolari. Qui giunti lasciammo in pace i falchi e non pensammo che a contemplare la bella vista. Di qui si vedono bizzarre e scoscese roccie e più in basso certi piccoli ripiani erbosi che portano traccie non dubbie di an- tico livellamento e di non remota coltura. Sulla rada che riflette nelle sue tranquille acque il Violante, si delineano nettamente in lontananza il Gallitone e l’ Aguglia indorati dagli ultimi raggi del sole; e lo sguardo spingesi fino alle lontane coste della Barberia. La splendida vista, |’ ora vespertina, il soave venticello che ci aleggiava intorno, ci facevano provare una sensazione di ben essere, di tranquillità che solo era interrotta dall’ acuto strillar dei falchi; questi finirono col toglierci alla nostra ammirazione e allora nascosti dalle anfrattuosità di quelle brune rocce cercammo di farne preda. Insospettiti dalla nostra presenza essi s’ innalza- vano, librando il lento volo in ampii cerchi sopra di noi; ma in seguito resi più curiosi o più audaci dalla nostra immobilità, scendevano roteando e passavano come frecce sotto il tiro dei 300 CROCIERA DEL VIOLANTE nostri fucili. Ben presto qualcuno cadde fulminato, ma stante la difficoltà di rintracciarli fra quelle rocce, mentre già il sole tra- montava, rinunziammo alla caccia e ritornammo a bordo (?). Mi parve in questa gita assai scemato il numero dei falchi, i quali l’anno scorso erano tanto abbondanti quanto lo sono le rondini che s' aggirano attorno alle nostre case. Nella notte godemmo di una calma perfetta; il mare sembrava una superficie cristallina su cui riflettevansi in oscure ombre le montagne dell’isola e le innumerevoli stelle di cui il cielo era cosparso. Sulla spiaggia scoppiettava il fuoco acceso dai pescatori per ammanire la cena e le loro festevoli grida giungevano fino a noi. Qual differenza, dicevo a me stesso, dallo scorso anno, allorchè sfiniti, stanchi, bagnati dalla travagliata navigazione di una notte burrascosa, ancorammo alla Gallita. Allora il mare era agitato, il cielo coperto, piovigginoso, guizzavano lampi di continuo, e non ardivamo scendere a terra per tema di dover da, un momento all’ altro abbandonar I ancoraggio! Allora I isola mi era apparsa tetra, malinconica, uggiosa, questa volta invece mi sembrava ridente e desideravo prolungare quanto era possi- bile la nostra fermata. Il mattino di domenica, per tempo, il mio compagno dichiarò che scendeva in terra e non sarebbe ritornato senza recar seco una capra selvatica. Io gli misi nelle tasche alcuni tubetti di vetro con alcool, esortandolo ad empirmeli di lucertole, insetti, ragni, di tutto ciò insomma che potesse interessare 1 nostri amici del Museo Civico e a lasciar in pace quelle povere capre. Allonta- natosi il Commissario, vedendo che il mare e il vento erano fa- vorevoli misi alla vela e calai varie volte la draga con buon risultato, raggiungendo una profondità massima di 90 metri sopra un fondo coralligeno. A mezzogiorno essendo rimasto in calma di vento alla distanza di un miglio dal Gadlitone e dall’A- guglia, scesi nella piccola imbarcazione e mi diressi a questi (1) Sul Falco Eleonorae ho raccolto un parassita del genere Ornithomya, ohe fu riconosciuto dal Prof. C. Rondani come appartenente ad una nuova specie, che verrà descritta prossimamente in questi Annali. PARTE NARRATIVA _301 scogli per osservarne da vicino la struttura geologica. Essi risul- tano di roccie granitiche sulle quali riposano strati bizzarramente disposti. Il Gallitone è l'isolotto più cospicuo del gruppo, dopo la Gallita. L’Aguglia che deve il proprio nome alla sua forma acuminata, ha un'altezza di circa 40 metri sul livello del mare. Da alcuni campioni di roccia staccati qua e là e determinati al mio arrivo a Genova dal Prof. Issel, risulta che questo scoglio è composto principalmente di Leptinite giallastra finamente gra- nulosa. Dalla parte di Ponente si vedono poi stratificazioni verti- cali di quarzite, di gabbro verde e di flanite. Tentai l’ascensione dell’ Aguglia, ma mi fu impossibile rag- giungerne l’ estrema punta perchè la roccia è troppo nuda e scoscesa. Mentre toglievo campioni di rocce, vidi colà alcune bellissime lucertole nere, ma non potei prenderne alcuna. In varii punti ove si presenta qualche straterello di terriccio os- servai cespugli di Lentisco e piccoli ciuffi di palma (Chamerops humilis). Appena disceso al Gallitone mia prima cura fu di fare una fotografia della Gallita; e mentre stavo disponendo la macchina fui scosso dalle grida del mozzo che era sul battello e nello stesso tempo vidi spuntare dall’ acqua una testa nera, grossa e lucente con due occhi rotondi, grandi, espressivi che sembravano guardarmi con curiosità... Io scaricai la canna del mio fucile carico a palla su quell’ animale, il quale subito scomparve con un gran tonfo. Non potevo ingannarmi, era una Foca, e fu per me una grande scoperta. Il Direttore del Museo Civico desiderava da molto tempo uno di questi mammiferi e mi proposi di procu- rarglielo. Costeggiai l'isolotto e parvemi luogo atto a porgere ricovero alle Foche, essendo molto frastagliato, e presentando piccole spiagge e grotte come quelle in cui questi animali so- _ gliono ritirarsi allorchè escono dall’ acqua. Più di una volta mi sembrò udire il loro grido, ma una sola rividi nello stretto tra l’Aguglia ed il Gallitone e fuori di tiro la testa nera che m’ era già apparsa. Essendo suonate intanto le 3 pom. decisi di far ritorno a bordo per ricondurre il cutter all’ ancoraggio prima di notte e 302 CROCIERA DEL VIOLANTE giungere in tempo a cucinare la capra che ci aveva promesso il nostro Nembrod. Avevo ucciso vari falchi adulti, fatto preda di tre nidiacei e caricata l'imbarcazione di campioni di rocce e di foglie di palma. Appena salito a bordo e preso il governo del legno, mi parve di scorgere alla distanza di 200 metri circa dalla prora un punto nero intorno al quale il mare gorgogliava e si frangeva; io stava osservando quest’ oggetto, quand’ eccolo agitarsi e come trasci- nato da una forza irresistibile, sommergersi repentinamente, poi ritornare a galla e infine mostrarsi ai miei occhi sotto I’ aspetto di un grosso corpo pisciforme. Sollecitati dalla curiosità ci avvi- ciniamo rapidamente; il fiociniere Filippo già pronto a prora coll’ arpone in pugno. Quando siamo a breve distanza vediamo un grosso delfino morto, che serve di pascolo ad un enorme pescecane, la cui pinna dorsale, sporgendo fuori d'acqua, tra- disce la sua presenza. Il delfino già monco della coda vien reiteratamente cacciato in alto e quindi di nuovo ghermito dagli acutissimi denti dello squalo che tutto lo dilania. Lo avvicinarsi del Cutter sembra accrescerne la voracità, quasi paventi che un altro mostro di lui maggiore venga a ritogliergli la ghiotta preda. Appena giunti a tiro scagliammo un colpo d’ arpone contro il pescecane, ma inutilmente; poi ordinai al nostromo d’ impa- dronirsi del corpo del delfino. Fui tosto ubbidito , chè il nostromo sceso col mozzo nel battello si accinse a passare una cima sotto le natatoie del cetaceo; ma in quel punto ricompari sulla super- ficie del mare, presso al leggero guscio di noce che ci ser- viva d’' imbarcazione, la pinna del pescecane il quale girava velocissimo attorno alla perduta preda. Rimasi un momento in grande angustia temendo che la feroce belva marina potesse rovesciare la fragile barchetta; il nostromo intanto continuava con sangue freddo la pericolosa operazione, mentre il mozzo teneva a rispettosa distanza il pesce spaventandolo a colpi di remo. Quanto a me dopo aver inutilmente gridato agli impru- denti di abbandonar l'impresa, riuscii con rapida manovra a condurre il Violante presso al battello e colla carabina colpii per PARTE NARRATIVA 303 ben due volte lo squalo all’ altezza della pinna dorsale. Al se- condo colpo esso scomparve, lasciando traccie di sangue dietro di sé. Era strana la costanza dello squalo a mantenersi in quel tram- busto, sempre a pochi metri dalla sua preda, non curante del battello, del Cutter, delle palate di remo e perfin delle palle! Quando esso si fu allontanato, feci salire a bordo i marinai e la cima a cui era raccomandato il delfino venne assicurata sulla poppa del Violante. Ma non son passati ancora cinque minuti che esso si presenta un’ altra volta ad afferrare l’agognata preda. Io allora ordino sollecitamente al marinaro che si tenga pronto sulla poppa coll’ arpone, affido il timone al nostromo, e mi pongo in vedetta aspettando con ansia febbrile il momento op- portuno per scaricar la mia carabina sul pescecane. Esso si avvi- cina di nuovo e già sta per afferrare il corpo del delfino, quando l’arpone lo colpisce al sommo del dorso e contemporaneamente una palla gli attraversa il capo. Fu questo un bel momento a bordo; le scosse, i colpi di coda le contorsioni e i salti che faceva lo squalo, che in lunghezza era un terzo del Violante, per liberarsi dall’ arpone sono inde- scrivibili. Frattanto una terza palla gli attraversò di nuovo la testa penetrandovi per un occhio; esso spalancò I’ immensa bocca alzandosi con supremo sforzo col capo all'altezza della coperta, ed io colsi il momento opportuno per cacciargli la canna della carabina tra le sanguinose fauci e scaricargli contro un ultimo colpo, dopo il quale ricadde fulminato lungo il bordo. Cono- scendo quanto dura la vitalità di questi pesci lo lasciai pruden- temente fuori bordo temendo che con qualche codata in coperta non mi avesse a far avarie; ma acciocchè non potesse più fug- gire lo feci assicurare con un laccio alla coda ed uno al mezzo del corpo, lasciandolo sospeso lungo il fianco sinistro del basti- mento. Entrammo così trionfanti in rada ove demmo fondo nello stesso punto del giorno innanzi. Mi recai subito in terra per aver gente ed intendermi col Romano affinchè si potesse l'indomani scorticare la nostra preda e conservarne la pelle. Il sole essendo già presso al tramonto, 304 CROCIERA DEL VIOLANTE rimorchiammo in terra il pescecane e lo adagiammo sulla spiag- gia; quanto al delfino lo regalai ai pescatori, 1 quali lo adope- rarono per adescare le loro nasse. Lo squalo misurava m. 4,25 di lunghezza e m. 1,80 di cir: conferenza massima; era un bellissimo individuo della specie che i Naturalisti chiamano Oxyrrhina Spallanzani. Mentre eravamo intenti a squartare la nostra preda vedemmo. da lungi il Commissario, il quale portato dall’ali della fame ve- niva giù a gran balzi dalla montagna, ma scendeva troppo svelto e leggero per aver sulle spalle il peso di una capra! Giunto alla spiaggia, egli rimase meravigliato della nostra pesca e do- lente di non esserci stato compagno nell’ uccisione dello squalo. Da canto suo, aveva veduto indizi certi della presenza di capre selvatiche nell’ isola, ma non era riuscito ad ucciderne alcuna, dopo un'intera giornata di aspro e faticoso cammino per le più rocciose vette della Gallita. Prima di ritirarci a bordo interrogai il Romano sulla presenza delle foche nell'isola; ed egli mi assicurò trovarsene molte, prin- cipalmente al Gallitone ove ogni mattina si recano i pescatori a ripassar le nasse e gli ordigni da pesca. Aggiunse poi averne essi già uccise quattro in un sol giorno mentre dormivano tran- quille sulla spiaggia. Combinai adunque col vecchio pescatore che se il prossimo mattino fosse stata bonaccia di vento e di mare egli sarebbe venuto a bordo alle ore 3 ant. per condurmi sul posto prima di giorno. Durante il pranzo il Commissario mi fece un particolareggiato racconto della sua gita: aveva salito il monte più alto dell’ isola ed era sceso pel versante di tramontana, dal quale gli era parso di udire il grido delle foche. Mi accennò a certe lucertoline verdi, che aveva vedute senza però riuscire a coglierne alcuna, e mi mostrò due piccole tartarughe da lui trovate. Nella sera prepa- rammo ogni cosa per la gita dell’ indomani. Lunedì 25. — La notte passò calma e tranquilla. Alle 31/s si avvicinò al nostro bordo la barca peschereccia che noi stavamo già aspettando; scendemmo allora nella nostra leggera imbarca- zione colle nostre provviste e le armi e con essa ci mettemmo led PARTE NARRATIVA | 305 di poppa a quella dei pescatori e ci avviammo tutti insieme verso il Gallitone, presso al quale si giunse dopo un'ora e mezza di voga. Intanto il nostro pescatore somministrateci le opportune indicazioni circa il luogo ove avremmo potuto incontrare le foche, si accommiatò. Ai primi albori cominciammo le nostre indagini non trala- sciando di esplorare alcuna delle numerose insenature, anfrat- tuosità e grotte dell’Aguglia e del Gallitone. La giornata non poteva essere migliore; non il più lieve soffio di vento che in- crespasse il mare, non la più leggera nube sull’ orizzonte; Y onda tranquilla lambiva gli scogli e le spiagge permettendo d’internarci coll’ imbarcazione. nelle più strette sinuosità e fen- diture delle rocce. In questa nostra perlustrazione ci dilettavamo di battezzare le varie località da noi vedute con nomi appropriati alla configurazione dei luoghi. Così per esempio chiamammo il Consesso delle Foche un piccolo seno circolare a cui non si per- viene che da una sola entrata e ove fanno capo parecchie grotte; dal centro di esso sorge uno scoghetto le cui rive lievemente in- clinate sembrano appositamente disposte per comodo delle foche. Bel luogo invero, ma poco sicuro per esse, poiché sbarrata l u- nica entrata sarebbero rimaste prigioniere ! Nella parte meridionale del Gallitone discendemmo a visi- tare una caverna cui demmo il nome di Grotta del Violante. Questa s’ interna all’asciutto per circa 100 metri tra due pareti di durissime roccie metamorfiche, e la soprastante volta è for- mata di una specie di puddinga poligenica. All’ entrata e prima di penetrare nell’ interno dalla parte di Levante trovammo del- l'acqua potabile, la quale stillava dalla roccia e veniva rac- colta in una piccola cavità sottostante, in poca abbondanza, ma tanta da bastare all’ uso di due o tre persone. Nell’ uscire da questa grotta vedemmo una grossa foca attraversarne |’ imbocca- tura; era la più grossa che avessimo incontrata in questi pa- raggi; essa metteva da quando a quando un certo grido che somiglia a quello dell’ elefante ma è più cupo e basso; il ma- rinaio Filippo gli scaricò contro una delle nostre armi, e falli- tala la insegui coll’imbarcazione e quasi sotto ai nostri occhi le Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (10 Gennaio 1878). 20 306 CROCIERA DEL VIOLANTE vibrò un colpo d’arpone, ma inutilmente, chè tuffatasi più non ricomparve. Doppiata poscia la punta Ponente del Gallitone ci trovammo in mezzo ad un gran numero di piccoli scogli neri, alti e stretti che da lontano svegliano l’idea di persone in varie attitudini, e per il loro aspetto severo e minaccioso s' ebbero da noi il nome di uomini burberi; su questi il Giusti uccise un bellissimo Pha- lacrocorax. Questi uccelli marini erano assal numerosi, ma non tiravamo loro che raramente pel timore di allontanar le foche colle esplosioni delle nostre armi. Dopo quel colpo vedemmo aggirarsi fra gli scogli una foca, ma fuori di tiro. Percorrendo il lato Ponente dell’ isola ci avvicinammo poi ad una specie di antro o grotta, che per la forma della sua apertura ci richia- mava alla mente le costruzioni egizie, e le demmo il nome di Grotta Egizia, nome che, come si vedrà in seguito, fu mutato in quello di Grotta della Foca. In questa grotta penetrammo coll’ imbarcazione nella parte più profonda, cioè oltre a 25 metri dall’imboccatura fino ad una piccola spiaggia formata di grossi ciottoloni che ne limi- tava l estremità. All’ uscire vedemmo ripetutamente aggirarsi attorno a noi la testa grigia di una foca, la quale non sem- brava punto spaventata da qualche palla che già le avevo fatto fischiare alle orecchie e con strana insistenza contimuava a pre- sentarsi ora qua ora là presso di noi, ricomparendo talvolta quasi sotto il nostro battello e tuffandosi subito dopo, senza darci il tempo di prenderla di mira. Allorchè spianavo Varma sull’animale provavo una impres- sione spiacevole,. perchè in quegli occhi grandi e pieni di vita della foca, mi pareva d’incontrare uno sguardo umano. Chi sa se le Sirene degli antichi non erano foche? Delle nostre due carabine rigate una s'era guastata ed avevamo dell’ altra pochissime cartuccie; di più le provvigioni di bocca erano quasi esaurite; però rimandai il battello col commissario e il marinajo alla Gallita per fornirsi di provviste e munizioni affine di poter continuar la caccia. E frattanto feci dire al no- stromo di venirci a prendere sottovento all’ isola, nel caso che si PARTE NARRATIVA 307 mettesse vento fresco. Rimasto solo nell’ isola, mi occupai di raccoglier patelle per la mia colazione; questi molluschi sono qui comunissimi e una specie raggiunge straordinaria grossezza. Attendevo tranquillamente a prepararmi il pasto quando sentii alle mie spalle un gran tonfo; era la foca e doveva trovarsi ben vicina, giacchè le onde sollevate dal tuffo venivano a frangersi al miei piedi. Decisamente essa abitava qui presso e forse nella grotta stessa che avevo visitata. Questa circostanza mi pose sull’avviso; ma per quanta attenzione io facessi non mi riuscì di rivederla. Dopo colazione salii sull’ alto del Gallitone per dar la caccia al falchi che aggiravansi numerosi attorno a quelle vette. Giunto ad un certo punto le roccie essendo così erte e scoscese che mi sarebbe stato impossibile d’ inerpicarmi più oltre, mi trattenni alquanto ed ivi uccisi due falchi e raccolsi cinque nidiacei. Nello stesso punto ritrovai con gran piacere le lucertole dell’ Agu- glia (Gongylus ocellatus) ed altre di un bel color bronzo do- rato che seppi in seguito riferirsi alla rarissima specie deno- minata Tropidosaura algira; da principio i miei tentativi per prenderle andarono falliti, perchè appena tendevo la mano per afferrarle si rifugiavano nei buchi e nelle fenditure di cui è pieno quel terreno sassoso; tentai allora di coglierle coll’ astuzia. Avevo osservato stando sdraiato al sole che le bestiole mi gi- ravano attorno, passavano e ripassavano presso di me, ciò perchè le attirava il sangue dei falchi uccisi, talché le più ardite venivan a lambirlo; allora spiumato un uccelletto che avevo trovato presso un nido ne posi il corpicino nella reticella da farfalle che por- tavo meco e tenni il manico di questa in una mano, fingendo di dormire. Non tardarono le incaute bestiole a slanciarsi sulla preda, divertendomi colle loro più comiche giostre, ed io dopo averle alcun poco osservate ne catturai parecchie tirando rapi- damente a me la reticella. Ripetendo più volte lo stesso giuoco potei ottenerne una tale quantità da riempirne i miei reci- pienti; però della Tropidosaura non ne colsi che un esemplare solo. Se avessi la vena dell'autore della Batrachomiomachia quante 308 CROCIERA DEL VIOLANTE piccole scene amorose o belligere che passarono sotto i miei occhi potrei descrivere! Vedevo il trastullarsi dei piccoli, gli amoreggiamenti dei giovani, gli scherzi, le gelosie, le lotte degli adulti, il procedere cauto e guardingo dei vecchi che sa- pevano sfuggire le mie insidie. Col fingere di addormentarmi, ed essendo omai stanco della facile caccia, mi addormentai davvero. Ma poco dopo due colpi di fucile mi destarono. Era il Com- missario, il quale mi chiamava in questo modo fragoroso. Il frastuono mise in fuga una falange di lucertole che si era rac- colta intorno a me; il corpo dell’ uccelletto era sparito ed un falco era già malconcio dalla voracità dei piccoli sauri, 1 quali avevano forse invitate altre vicine tribù allo splendido banchetto. Il Commissario era giunto con provviste d’ ogni genere; ma la traversata di circa 3 miglia, che tante ne corrono dal luogo dell’ ancoraggio alla parte occidentale del Gallitone, era stata oltremodo faticosa a cagione del mare da Maestro e del vento che stava allora rinfrescando. Non appena riuniti scendemmo subito al mare per riparare al più presto in altra parte dell’isola meno esposta, aspettando il Cutter che, stante la consegna data, non poteya tardare a ve- nirci incontro. Comparve infatti ben presto la bianca vela del Violante; ma non essendo visti da bordo, il Cutter, avvicina- tosi, stava bordeggiando. Frattanto il piccolo battello, strac- carico di provvigioni, d'armi e ‘sopratutto delle nostre per- sone, cominciava ad imbarcare acqua, e col vento e il mare che andavano crescendo la nostra posizione era un po’ critica. Final- mente attirammo l’attenzione di quei di bordo con parecchie fucilate ed inalberando un fazzoletto innestato ad un fucile, quale bandiera di soccorso. Alle 4 salivamo a bordo e alle 5 davamo fondo al solito nostro ancoraggio. Appena arrivato scesi subito in terra e trovai il pescecane tutto tagliuzzato e guasto; i pescatori, occupati attorno alle loro reti, a costruire grandi vivai e a riattare le barche, avevano trascurato l’incombenza che avevo loro affidata; d’ altra parte io non possedevo recipienti tanto capaci da contenere la pelle PARTE NARRATIVA 309 dello squalo in alcool; cosicchè decisi di conservarne soltanto le mandibole che potevano bastare per determinare la specie. Intanto i miei marinai felici di poter piantare i loro coltelli in quell’ abborrito pesce, fecero il cadavere a pezzi, ne tolsero la spina dorsale, o bastone come lo chiamano essi, che aggiudi- carono a me come di diritto, e conservarono la coda recisa qual trofeo per ornarne il Violante. Prima d’imbarcarmi pregai di nuovo i pescatori di recarsi al Violante il mattino vegnente per accompagnarmi al Gallitone. Il sole era già tramontato quando mi ritirai a bordo; ivi si pranzò e quindi ci occupammo di preparare i falchi ed il Phalacrocorax. Martedì 26. — Nella notte il vento andò sempre rinfrescando e fattosi giorno ed il tempo minaccioso, 1 pescatori non vennero. Però invece di recarci alla caccia della Foca, come ci eravamo proposti, scendemmo alla Gallita per visitarla di nuovo più mi- nutamente. j In quel giorno conversai a lungo col Romano e da lui seppi che nel 1876 le barche Ponzesi venute alla pesca erano in numero di 4 con 33 pescatori; 7 altre barche Trapanesi erano aspettate da un giorno all’ altro. Il Romano mi narrò qual via sogliono tenere i pescatori per approdare alla Gallita. Essi si staccano da Ponza e raggiungono Cagliari nelle belle giornate dalla fine di Agosto ai primi di Set- tembre. Da quel porto, imbarcate sopra una paranzella le loro piccole barche peschereccie, le provviste da bocca per 3 mesi, sale e barili per conservare il pesce e gli ordigni da pesca, fanno vela per la Gallita. Nelle acque di quest’ isola pescano per tutto Settembre, Ottobre e Novembre e alla fine di questo mese 0 prima, secondo i tempi, ripartono colla loro paranza che viene a riprenderli e sulla medesima imbarcano il pesce salato e quanto hanno potuto conservare nei vivai; rifanno poscia lo stesso cammino già percorso e giunti a Cagliari spediscono il pesce fresco sul continente per mezzo dei vapori postali. La loro pesca consiste principalmente in aliguste. Romano mi disse pure che i suoi dipendenti percepiscono L. 60 al mese, più il vitto. Alle 3 antim. essi debbono già trovarsi in 310 CROCIERA DEL VIOLANTE mare colle barche per portarsi sul luogo della pesca, ripassare le nasse e ritirare il pesce. Alle 12 sono già di ritorno al loro accampamento, ed attendono a collocare il pesce raccolto in grandi vivai, a rifar nasse, a risarcir reti e a riattar barche; nel dopo pranzo sì ripetono gli stessi lavori del mattino, poi sul far della notte si riducono a terra a cenare. I pochi che rimangono a terra tutto il giorno vanno girando l'isola in cerca di vimini per intessere nuove nasse, oppure raccolgono nidiate dei falchi e degli uccelli di mare comuni fra le rocce dell’isola, le quali ser- vono loro, parte per adescare le nasse, parte per loro cibo. In tal modo di questi uccelli si fa un grandissimo consumo e i pe- scatori vedono mal volentieri che altri ne distrugga. Presso all’ accampamento il senso dell’ olfato è spiacevolmente impres- sionato dalle emanazioni di residui di falchi, d’ uccelli di mare ed avanzi di pesce in istato di putrefazione, di cui la spiaggia è letteralmente coperta. Sotto questo rapporto il lido della Gal- lita si può paragonare ad un villaggio esquimese. Terminate le nostre osservazioni sull’ attendamento ci avviammo alla montagna. A Levante del Pan di Zucchero da un certo livello in giù, il terreno costituito di calcare si è avvallato per un tratto assai esteso sdrucciolando forse sopra certi strati di roccie arenacee e friabili che compariscono presso alla spiaggia e nelle quali trovai delle conchiglie fossili. Mi sembra che le acque piovane infiltrate dal piano soprastante possano aver cagionato lo sco- scendimento scorrendo verso il mare fra quegli strati di roccie friabili e il calcare sovrapposto. E mi conferma in questa sup- posizione il fatto che una sorgente d’ acqua sgorga precisamente al disotto della. frana. Quest’ acqua scaturisce a grosse goccie dalla volta e dalle pareti di una grotta tutta verdeggiante’ di capelvenere. Una sorgente inesauribile proprio nel punto della costa più prossimo all’ ancoraggio è una vera provvidenza per l’ isola. Mentre osservavo la rigogliosa vegetazione erbacea che cresce intorno alle scaturigini, vidi strisciare fra le piante un serpe che dagli amici naturalisti mi fu poi dato a conoscere per I’ innocuo Tropidonotus viperinus; non sapendo con che specie di rettile avessi PARTE NARRATIVA 511 a fare, lo uccisi a bastonate ed acciocché non mi fosse d’ impaccio nella mia gita lo mandai subito a bordo. Salendo su per la montagna vedemmo i magazzini dei pesca- tori cioè piccole cavità praticate nella roccia, nelle quali ripon- gono le loro provviste e che talvolta servono di ricovero a loro stessi mercé l’aiuto di qualche tenda o di stuoie. Il terreno è tutto fesso da larghe e profonde screpolature ca- gionate dal grande avvallamento già detto, le quali rendono penosissimo il cammino. Più innanzi incontriamo un’ ampia distesa di terra vegetale coltivabile. Perchè mai essa è così abbandonata mentre non vi manca l'acqua e ogni altra condizione perchè diventi feconda? Perchè il governo Tunisino non cerca di trarne partito e non protegge chi tenta di sottoporla al regime dell’ a- gricoltura? Perchè almeno non cedere questa terra in enfiteusi? Si è coltivata la Capraca, si prova di ridurre a coltura le rocce granitiche di Montecristo e le trachiti di Linosa e per certo queste isole sono molto più ingrate all’ opera dell’ uomo di quello che non sia la Gallita. Qui poi ai prodotti dell’ agricoltura si aggiungerebbero quelli della pesca; e se l'isola manca di porto non è impossibile il costruirne uno con poco dispendio. Insisto forse troppo sulla colonizzazione di quest’ isola, pen- sando alle molte migliaia di Italiani che abbandonano la loro patria per correre in lontane regioni, ove per lo più non li aspetta che miseria e stento, mentre abbiamo qui nel Mediter- raneo terre fertili e ricche alle quali non mancano che braccia e semi. Ad un certo punto feci osservare al Giusti la grotta che servi di abitazione al Ponzese D’ Arco. Essa fu da lui o dai suoi pre- decessori molto ingrandita, come apparisce dal mucchio di terra assodato che si osserva presso I’ apertura ed in mezzo al quale passa lo stretto viottolo che conduce nella spelonca. Vi tro- vammo avanzi di terre cotte recenti e molti gusci di patelle, re- sidui di pasti poco succulenti. La grotta sembra divisa in due compartimenti, uno più piccolo che doveva servire di alcova, l’altro che era sala, magazzino e cucina ad un tempo come apparisce da una specie di focolare e dalle affumicate pareti. Presso la a, CROCIERA DEL VIOLANTE grotta si vedono ancora qualche tralcio di vite inselvatichita e serpeggiante al suolo, un albero di fico, l’ unico in tutta l'isola, cocomeri, pomi d’oro, zucche, melanzane, tutto confusamente con piante inselvatichite, pruni, ed erbe spontanee. Fatti alcuni passi verso Tramontana s’ incontrano i campi del Ponzese; ivi il terreno conserva traccie di recente coltivazione e mucchi di pietre innalzati in vari punti attestano la diligenza colla quale quel pover’ uomo attendeva ad apparecchiare il suo terreno sgombro ad una buona coltura. Quivi il terreno si stende per un certo tratto in pianura che pende lievemente verso Mez- zogiorno riaizandosi a Levante ed a Ponente fino all’ incontro della rocciosa vetta del Pan di Zucchero e del monte Guardia. Avverto qui per incidenza che i pescatori chiamano Monte Guardia il Pan di Zucchero e danno al Monte Guardia della carta inglese il nome di Pizzo del cavaliero. Credo che essi abbiano ragione giacché nella vetta del Pan di Zucchero esistono dei ruderi che sembrano aver appartenuto ad un antico posto di guardia o di osservazione. Nel salire il Giusti si separò da me per correr dietro ad un branco di colombi. Nel versante di Tramontana, benchè molto ripido e in qualche luogo quasi a precipizio, il terreno si presenta foggiato a sca- glioni come si usa sulle colline della Liguria. Questa disposizione e le traccie di antiche mura a secco, possono far credere che in epoche remote I’ isola sia stata abitata e coltivata su larga scala. Qui come altrove trovai i falchi diminuiti assai di numero e per quanto mi aggirassi per quei scoscesi dirupi e fin sulla estrema punta del monte non potei ucciderne un solo. Feci però buona preda di ‘nidiacei. M° imbattei poscia in un grosso ra- marro (Lacerta ocellata) che al mio apparire si rifugiò in un cespuglio addossato ad una roccia e non potendolo scovare al- trimenti, diedi fuoce al suo ricovero che in un attimo avvampò; l’incauto sauro, fuggendo l'incendio venne a porsi da sé fra le mie mani. Finalmente, e questa fu l’ultima caccia della giornata, trassi fuora dalla spaccatura di uno scoglio un serpentello e lo misi nell’ alcool a far compagnia al ramarro. Era la Coronella PARTE NARRATIVA 3] 3 cucullata, specie comune nella prossima costa d’ Africa. Qui poco mancò che il capitano del Violante non pagasse il fio delle sue sevizie contro i rettili e non si sfracellasse il capo su quegli scogli, chè nel saltare fra punta e punta mi venne meno I ap- poggio di una pietra oscillante e caddi scivolando lungo la roccia per l'altezza di quattro o cinque metri. Fortuna volle che me la cavassi colla sola paura, giacchè certe punte di scoglio mi trattennero un po di mala grazia, è vero, ma in tal guisa che m’impedirono di ruzzolare infino al mare. Intanto la pietra smossa ne trasse seco altre nella sua caduta e tutte insieme precipitarono in basso con gran frastuono. Mi rialzai temendo che qualche membro mi negasse l'usato ufficio, ma, tranne leggere scalfitture alle mani, non mi feci alcun male. Rinfrancato un poco, mi levai cautamente di là e passando fra sasso e sasso, mi ridussi in luogo più sicuro e re- spirai. Due pescatori i quali aggiravansi sul monte in cerca di nidiacei, attirati dal rumore e dal rovinio dei sassi, mi raggiun- sero offrendomi assistenza nel caso che mi fossi fatto alcun male. Li ringraziai e li pregai frattanto che serbassero per me 1 pic- coli falchi che avevano raccolti. Nella discesa m’imbattei nel Commissario, il quale era an- ch egli a mani vuote e narrandogli la mia sventura scendemmo insieme alla spiaggia. Avendo poscia combinata un'altra gita al Gallitone per l'indomani, andammo a riposare di buon’ ora per alzarci presto il mattino seguente. Nella notte, alle falde del monte Guardia udimmo un continuo ed alto frastuono, come di lamenti e miagolii, di cui allora non potemmo scoprire gli au- tori e seppi di poi che erano uccelli marini della specie nomata Puffinus Kuhl. Mercoledì 27. — Alle 3, favoriti da un leggero vento di Mae- stro, salpiamo. Sotto vento all’ Agugha metto al traverso e scendiamo nell’ imbarcazione colla quale si fa una rapida corsa al Consesso delle Foche, alla Grotta del Violante e ad altri punti già da noi visitati; ma infruttuosamente. Giunti agli Uomini burberi e rimasti allo scoperto, non ci è più possibile proseguire per la Grotta Egizia a causa del mare grosso alimentato tut- 314 CROCIERA DEL VIOLANTE tavia dal vento, cosicchè retrocediamo, e mentre il marinaio attende a far buona provvista di patelle, scendiamo sul Galli- tone. Ivi penetriamo, dopo erta salita, in una verdeggiante val- letta profondamente incassata fra le rupi, che non ci saremmo immaginati di trovare in quel luogo. Il mio compagno ed io asse- gnammo alla località il nome di Gola di Napata, che fa riscontro a quello della vicina Grotta Egizia. Appiattati nell’amena valletta, uccidemmo vari falchi, uno dei quali con bellissima livrea nera e potemmo ottenere alcuni nidiacei. Vi trovai pure il Chamaerops (già da me rinvenuto all’ Aguglia) e feci ampia provvista delle sue foglie per ador- narne il quadrato del Violante. Finalmente raccolsi sotto un grosso macigno un'altra specie di lucertolina (Phyllodactylus eu- ropaeus). Vedendo che i falchi si allontanavano e che il vento ringa- gliardiva, ritornammo al basso, non senza un certo rischio per la ripidezza dei dirupi, e a mezzogiorno già eravamo a bordo; quindi poco dopo riprendemmo il nostro ancoraggio della Gallita. Non essendo riuscito ad uccidere una foca e sembrandomi inu- tile una ulteriore permanenza alla Gallita divisai di partire nella notte; ma cedetti poi alle istanze del Commissario e decisi di partire solo nel caso che si mettesse vento fresco e che il lato del Gallitone ove si apre la Grotta Hgizia fosse inaccessibile. Nella sera scendemmo in terra a salutare il Romano e ad ac- quistare ancora alcuni nidiacei (già ne avevo adunati 61). Fatti i nostri addii a tutta quella brava gente ci ritirammo a bordo col proposito di partire per Genova in quella notte se fosse rinfrescato il vento. Giovedì 28. — Die albo signanda lapillo. Nella notte calma perfetta; alle 3 metto alla vela con leggerissima brezza, poi sopravvenuta di nuovo la calma discendiamo col Giusti e col fio- ciniere Filippo nell’imbarcazione, ci dirigiamo alla Grotta Egizia ed ordino al nostromo di venirci ad attendere col cutter dalla parte di Ponente del Gallitone. Giungiamo alla bocca della ca- verna ante lucem e però deliberiamo di aspettare il giorno. Di- radatesi un poco le tenebre, alle 5, penetriamo cautamente e PARTE NARRATIVA DLS senza far rumore nella grotta. Due Phalacrocorax che stavano sonnecchiando su d’ uno scoglio all'imboccatura, appena accor- tisi della nostra presenza, si tuffano in mare, con nostro di- spetto, giacchè temiamo che il rumore dia la sveglia alle foche. Procediamo intanto in silenzio. Dall’ ingresso penetra un fioco raggio di luce che scarsamente illumina il profondo della grotta, nella quale si distingue la spiaggia di grossi ciottoli che ne forma l estremo limite. Eravamo già per toccare la spiaggetta e collo sguardo ne perlustravo ogni angolo più riposto, quando il Giusti mi disse: « scendiamo per osservar meglio..... » « Zitto! la foca è la... » gli risposi. Infatti fra 1 grossi sassi colà giacenti v era un corpo oblungo grigiastro che aveva già da un pezzo attirata la mia attenzione. Esso era immobile ed aveva tutta l apparenza di una grossa pietra ovale; ma osservandolo attentamente io di- scernevo già gli occhi socchiusi, le narici, i baffi, la bocca, infine la testa di una grossa foca grigia. A far comprendere ai miei compagni ove fosse ci volle qualche tempo. Io, frattanto, avrei potuto far fuoco, ma profittando del sonno dell’ animale, che era alquanto discosto dall’ acqua, procurai di disporre le cose in modo da far sicura la nostra preda. Dissi dunque al Cominissario di mirare I’ animale alla testa ed ordinai al mari- naro di tenersi pronto coll’ arpone. La foca continuava a dor- mire ;.... Da canto mio puntai il fucile verso il tronco dell’ am- fibio e gridai: « Fuoco ». I nostri due colpi rimbombarono in quell’antro profondo; il fumo per un istante ce ne occultò I’ ef- fetto, ma poco dopo rivedemmo l’animale ritto sulle zampe posteriori; i suoi occhi splendevano, in quella mezza oscurità, come due carboni accesi, ed aveva la’ bocca sanguinosa e spa- ‘ lancata. Pareva contorcersi pel dolore senza cercare scampo nel suo elemento. Puntai la mia seconda canna e il colpo falli. La foca allora, ricadendo sopra se stessa, cominciò a trascinarsi penosamente al mare, ma il Commissario nel frattempo rinno- vata la cartuccia, gli sparò un terzo colpo nel dorso; « I’ ar- pone! » gridai allora, vedendo che I animale si tuffava; ma lo strumento non era pronto, e la vittima intanto, fuggendo 316 CROCIERA DEL VIOLANTE (quasi a fior d’acqua), si approssimava al battello. In quel punto afferrai la daga della carabina e con quanta forza po- tevo la conficcai nel corpo dell’ amfibio, Al secondo colpo che Caccia della Foca. gli vibrai il corpo rimase inerte sotto la punta della daga. Allora non senza confusione e con pericolo di capovolgere il battello procurammo di agguantare la nostra preda, la cui lubrica pelle scivolava fra le nostre mani. Finalmente, pigliandola chi per una zampa, chi per la coda, riescimmo a porle un laccio e ad assi- curarla all’ imbarcazione. Ognuno può immaginarsi la gioia che provammo per l'esito insperato della nostra caccia. Usciti fuori e veduta al chiaro l’e- norme preda, raddoppiò l’allegrezza ed intanto compariva il Vio- lante dietro agli Uomini burberi, risparmiandoci così la fatica di rimorchiare la foca per lungo tratto e di tenerla esposta agli as- salti degli squali. Alla grotta, teatro delle nostre gesta, fu mu- tato il nome di Grotta Egizia in quello di Grotta della Foca. Volai subito col pensiero a (Genova, rammaricando di non di- sporre d'un telegrafo per dare immediatamente la lieta notizia ai nostri amici del Museo Civico. PARTE NARRATIVA BLT Giunti sotto il Cutter e issato non senza fatica il pesante ani- male a bordo, lo distendemmo in coperta. Era una bella fem- mina della specie che i naturalisti chiamano Pelagius Monachus e misurava m. 2,60 di lunghezza e m. 1,65 di massima circon- ferenza. 11 suo colore era grigio chiaro ed aveva la testa piut- tosto piccola; però ci parve diversa dalle altre vedute i giorni precedenti, le quali erano nere e colla testa molto più grossa. Il suo peso era tale che ci voleva I’ opera di tutto l’ equipaggio e quello dello stato maggiore per giunta a trascinarla da un punto all’ altro della coperta ! Prima nostra cura fu di osservare le ferite che avevano fatte le nostre armi. La prima palla colpì l’animale in bocca, squar- ciando il labbro superiore e danneggiando la dentiera senza pe- netrare più oltre; il secondo proiettile traversò il corpo da parte a parte. Il terzo, che aveva sorpreso la nostra vittima allorchè stava cercando il suo scampo nelle acque, colpì la spina dor- sale, dopo aver forato i principali visceri. Dei due colpi di daga uno penetrò circa 15 centimetri, l’altro appena perforò la pelle. Il tempo bello, il vento favorevole m’ invitavano a raggiun- gere Cagliari, ove avrei potuto procurarmi i mezzi di conservare convenientemente la pelle e lo scheletro dell’ animale, giacchè a bordo difettavo d’ alcool e di recipienti opportuni; ma temendo di andare incontro ad una lunga traversata e di perdere così ogni cosa, risolvetti di toccare nuovamente la Gallita per avere, ove fosse possibile, da quei pescatori un po’ di sale e qualche recipiente. Prima di squartare la nostra foca ne presi diligen- temente tutte le misure e notai tutte le particolarità da trasmet- tersi al preparatore che doveva imbalsamarla pel Museo Civico di Genova. Quindi ciascuno di noi si mise a lavorar di coltello per toglierle la pelle e ripulire lo scheletro. Lasciai però il cutter con poche vele al traverso e a ridosso dell’ isola, non essendo così necessario alcun uomo al timone. Allorchè vidi l'operazione già abbastanza avanzata e la pelle pronta, feci rotta per l'ancoraggio. Il lieto successo della spedizione m'aveva messo di sì buon 318 CROCIERA DEL VIOLANTE umore che immaginai di fare una burla al pescatore Romano. Avvicinandomi alla rada, alzai la bandiera rossa colla mezza- luna e, dato fondo, scesi in terra. Chiamato il Romano gli chiesi ex abrupto se aveva il permesso dal Governo Tunisino di pescare nelle acque dell’isola; mi rispose un sè impacciato e non seppe presentarmi alcuna carta in prova del suo asserto. Io soggiunsi allora che non gli si poteva più permettere una simile usurpa- zione e, additandogli la bandiera rossa, gli domandai se non si era accorto che io veniva a sorvegliare l'isola per conto del Bey di Tunisi mio signore. Lo minacciai finalmente di cacciarlo dal- l’ isola se non giustificava la sua presenza con serii documenti. A dar più peso a questi argomenti ci eravamo coperti il capo col rossi fez tunisini e avevamo messo in batteria il nostro can- none. Non è a dire se il povero pescatore rimanesse sorpreso e tuttochè stentasse a credermi, andava borbottando tali scuse che perdetti la mia serietà mussulmana, e scoppiando in una gran risata gli dissi: « Veniamo a patti: datemi un barile e il sale » che mi abbisogna per conservare la pelle della foca ed io vi » lascio tranquillo alle vostre pesche e il Governo non saprà » nulla ». Il pescatore che cominciava ad inquietarsi, sbalordito e confuso dalla mia risata, mi promise tutto ciò che desideravo, lietissimo che si trattasse d'uno scherzo e nulla più. Per com- pensarlo della paura provata gli diedi poi tutto il grasso della foca. A proposito di questo mammifero mi disse di averne in- contrati dei più grossi, ma di color nerastro, che sono piuttosto comuni; e mi assicurò che 1 grigi, tanto più di quelle dimen- sioni, sono assai rari. Poichè fu quasi esaurito il nostro compito di scorticatori e di macellai, siccome il vento spirava fresco da Levante, ne volli approfittare; fatta quindi lavare la coperta che era tutta imbrat- tata di sangue e rassettata ogni cosa, diedi ordine di salpare. Salutammo una volta ancora il nostro amico pescatore dicen- dogli che saremmo venuti a trovarlo a Ponza; poi alle 6 met- temmo alla vela, ripromettendoci di ritornare in quest’ isola, nella quale avevamo provato così belle emozioni. Avevamo a bordo G1 falchi, le due tartarughe prese alla Gallita ed un giovane PARTE NARRATIVA 319 uccello di mare che faceva vita comune coll’ unica gallina di bordo. M’augurayo buon tempo, poichè tutti questi animali sa- rebbero stati preda del primo colpo di mare che avesse spazzata la coperta. Oltrepassato lo stretto fra la Gallita ed il Gallitone, volgo la prora per T!/, M'°, col proposito di dirigermi a Ponente della Sardegna, lusingandomi d’incontrare da questo lato venti più favorevoli e di raggiungere più sollecitamente il porto di Ge- nova. Venerdì, 29 Ottobre. — A mezzanotte il vento ci abbandona. Nel mattino, sì spiega una leggera brezza da Libeccio e alle 8 siamo a 30 miglia dalla Gallita, che si distingue chiaramente. A mezzogiorno: Lat. 37° 59' T. Long. 3° 22' L. G. Più tardi spira un vento leggero da Ponente e si naviga con tutte le vele regolari, oltre quelle di caccia. Alle 6 abbiamo fatto 50 miglia e si scorge tuttavia la Gallita, mentre sorgono dal mare e lentamente crescono le coste della Sardegna, tra le quali nella sera già sì distinguono il Capo Teulada e il Capo Sparti- vento. In quel giorno si continuò la pulitura delle ossa della foca, della quale i marinai serbarono un buon pezzo di grasso che fe- cero liquefare al sole per trarne un olio cui attribuiscono mira- bili proprietà medicinali. Nelle prime 24 ore di viaggio perdemmo 6 falchi, morti, 10 credo, per indigestione di carne di foca che noi potevamo fornir loro in abbondanza, ma che non era atta a sostituire 1 teneri uccelletti di cui si cibano abitualmente. Sabato 30. — Durante la notte poco vento e calma. Alle 7 del mattino rilevo il Toro per T? distante circa 15 miglia. Dopo due giorni di navigazione trovandomi ancora così indietro e non sembrandomi il tempo disposto ad assecondare i nostri voti pro- curandoci una rapida navigazione, divisai di toccar Cagliari per spedire a Genova mediante il vapore i falchi e la foca, tanto più che continuava la mortalità fra i primi e che la seconda 320 CROCIERA DEL VIOLANTE correva rischio di corrompersi. Quindi mi diressi per quel Golfo. A mezzogiorno: Lat. 38° 41" one. 8° 437 Lal: Arrivo a 6 miglia da Capo Spartivento con leggeri venti e variabili, rimanendo il fanale per Ponente. Domenica 1 Ottobre. — Nella notte il vento passa a Tramon- tana e bordeggiandolo il più conveniente alla 1. 30 a.m. ci tro- viamo in rada d’innanzi alla città di Cagliari. Benchè mancassi delle carte del golfo, pure, favorito da uno splendido chiaro di luna, penetrai nella Darsena ove diedi fondo. Essendo Domenica non potei far nulla; 1 negozii erano chiusi e la gente si trovava a spasso. Dovetti quindi contentarmi di preparare ogni cosa per l'indomani ed intanto annunziai per telegramma al Direttore del Museo Civico di Genova la pros- sima spedizione della foca e dei falchi. Passai parte della gior- nata sul vapore « Arabia» comandato dal Cap. Canepa, e la sera sull’ « Africa » col Cap. Montano, che avevo incontrato alla Go- letta il 18 del mese scorso. Lunedì 2. — Nel mattmo fummo in cerca del signor Luigi Grillo, console della Repubblica dell’ Uruguay, nostro buon amico, col quale avevamo stretto relazione nella crociera dell’anno scorso. Mediante il suo cortese aiuto potei sbrigar le mie incombenze per modo che a mezzogiorno tutto era già pronto per la partenza. La pelle della foca era stata collocata in un barattolo di la- miera, fatto appositamente e ripieno di spirito. Lo scheletro, disarticolato, si pose in un sacco, e 1 due oggetti furono racco- mandati alla gentilezza del Cap. Pienovi comandante il « Mon- calieri » vapore della Società Rubattino, che partiva la sera stessa. I falchi erano già stati consegnati a bordo dell’ « Africa », il cui Capitano mi aveva esibito d’incaricarsene. Ognun vede come questi bravi Capitani della Società Rubattino si mostras- sero premurosi di favorire, in quanto potevano, la mia spedi- zione, rendendosi così benemeriti del nostro Civico. Museo. Poco dopo mezzogiorno mettevo alla vela con bel vento di Tramontana. In rada salutai il vapore « Africa » a cui passal | | | PARTE NARRATIVA Sol vicinissimo. Posta la freccia, la vela quadra e quante poteva portarne |’ alberatura, diressi per il fanale di Carbonara e l' I- sola dei Cavoli. Sotto il fanale di Capo S. Elia risposi colla bandiera geno- vese ad un saluto che mi venne fatto non so da chi e perchè, colla stessa bandiera. Passato lo stretto dell’ Isola dei Cavoli, il vento ci abbandonò, lasciandoci quasi in calma. Ne profittai per dragare in circa 100 metri di fondo; ma la rete ebbe pochissima azione e non rac- colsi che alcune conchiglie. Per tutto il rimanente del giorno soffiarono venti variabili dal 1.° al 4.° quadrante. Nella notte un vapore che crediamo fosse il « Moncalieri » passò tra noi e la costa della Sardegna. | Martedì 3. — Il tempo continua splendidamente bello; il vento è leggero da Tramontana, e però si bordeggia tutto il giorno. A mezzodi si avvista il Capo Sferracavallo per Pe i], Me alla distanza di 8 miglia. Nella giornata siamo rallegrati dalla vista del littorale sardo e dall'incontro di parecchi velieri e va- pori. Al tramonto calma perfetta, mentre ci troviamo ad un miglio dal fanale di Bellavista. Col sorgere della luna scende da terra una leggera brezza che cessa ben presto, lasciandoci a poche miglia dal fanale. Mercoledì 4. — Alle 5 a.m. l'aria s’ oscura da scirocco, al- cuni piovaschi si mostrano sull’ orizzonte e ci fanno temere un colpo di vento del 3.° quadrante, ma al sorgere del sole I’ aria si rischiara, si dileguano le nuvole, ricomparisce il sereno, quindi un bel venticello L° S° ci permette di dare tutte le nostre vele di caccia e ci fa sperare di raggiungere in breve il porto di Ge- nova. Intanto si segue sempre la costa della Sardegna a poche miglia di distanza. A mezzogiorno vediamo il Capo Comino per Mro 1/, Pe, distante 5 miglia. Continua poscia tutto il giorno il vento del 3.° quadrante che ci porta vicini all’isola di Tavolara. Il tempo si mantien bello, il mare tranquillo come nel mese di Luglio; qual differenza dal passato Ottobre allorchè mi trovavo col cutter in questi paraggi! (!). (1) Prime crociere del Violante. (Ann. del Mus. Civ. di Genova, Vol. VIII, 1876). Ann. del Mus. Civ, di St. Nat. Vol. XI. (17 Gennaio 1878). 21 322 CROCIERA DEL VIOLANTE Nella notte il vento abbonaccia e restiamo in calma dinnanzi alle Bocche di Bonifacio. Giovedì 5. — Al sorgere del sole si rimette leggero vento da Scirocco, per cui sopracarichiamo di vele il Violante, il quale come se comprendesse il nostro desiderio, solea veloce le onde tirrene. Bellissima giornata che in parte occupiamo eser- citandoci a tirare al bersaglio. Verso il mezzogiorno rispon- diamo colla bandiera e con tre colpi di cannone al saluto del vapore « Africa », il quale, ci passa innanzi diretto per Ge- nova. A mezzogiorno : Lat. 41045] IT. Longe. 9° 50 1: 3G: Dopo il meriggio comincia a sorgere dal mare I’ isola di Mon- tecristo e intanto si mostrano alla nostra sinistra le alte giogaie della Corsica. Alle 8 si rileva il fanale di Alistro per Ponente magnetico, ma non riusciamo a vedere quello delle Formiche di Montecristo, quantunque ci troviamo entro la sua cerchia. Venerdì 6. — Alle 3 siamo al traverso del fanale di Bastia e poco dopo avvistiamo quelli della Giraglia e di Capo Corso. Mentre sta per sorgere il sole, il vento, già rinvigorito, sempre più rinfresca, passando sulla murra di sinistra ed obbligandoci a togliere le vele di caccia e la freccia. Alle 6 faccio punto di par- tenza per Genova, rilevando la Gorgona, la Capraia e lo scoglio Giraglia. A mezzogiorno : lat. 40: I Longe: 9-13" ERG: ossia a 47 miglia da Genova. Il vento va gradatamente cal- mando e passando al 1.° quadrante. Si discerne chiaramente tutto il contorno degli Apennini e della riviera ligure di Le- vante fin sopra Genova. Alle 6 il vento calma affatto; al | tramonto si distinguono chiaramente i forti che fan corona a | Genova e verso sera cominciamo a vedere gli splendori della | Lanterna, la quale ci rimane per T !/, M°. Tutta la notte calma. Sabato 7. — Il 7 Ottobre del 1876 era proprio una giornata | incantevole; la più diafana nuvoletta non velava l'azzurro del I E ; d I PARTE NARRATIVA 323 cielo, nè la più lieve brezza alitava alla superficie del mare tran- quillo e terso come uno specchio. In quel giorno una bianca vela si rifletteva immobile sulle chiare acque del Golfo di Genova; poi volgendo il sole al tramonto essa veniva tratta in porto da una lancia a vapore. Sull’alberata sventolava una cornetta con stella bianca in campo azzurro e una coda di pescecane ornava come trofeo l'estrema prua. Non sarà difficile al cortese lettore d’indovinare qual fosse quel legno. Ebbe così fine la crociera del 1876, che come meglio ho sa- puto mi sono studiato di narrare a coloro ai quali non essendo ignoto il nome del cutter Violante, possono interessarsi alle sue navigazioni e desiderarne un ricordo. Come dissi da principio, quantunque io sia profano alle scienze naturali, i miei amici naturalisti mi istigarono a scrivere questa narrazione, perchè servisse di proemio alle loro memorie scienti- fiche. Non so se avrò saputo contentarli. Ad ogni modo se non sarò riuscito che a tediare i lettori, ne chiedo perdono per me e sopratutto per gli amici miei sul quali deve ricadere princi- palmente il peso del misfatto. Il cutter compì precisamente, alle 6 p. m. del 7 Ottobre, 3 mesi di navigazione, dopo aver toccato 36 località diverse e percorse più di 3500 miglia in 50 giorni. Molto debbo nel compilare queste memorie ai numerosi ap- punti fatti dal mio Commissario, osservatore acuto e minuzioso; ho così riempito varie lacune, a colmare le quali non bastava la mia memoria, nè il mio laconico giornale di bordo. Colgo quest’ occasione per ringraziare con tutto I’ animo le Autorità Consolari e Direttori di Colonie Penitenziarie dei luoghi da me visitati per le gentilezze di cui mi furono prodighi, per le istruzioni e i consigli da loro ricevuti e pei materiali che mi forni- rono per la compilazione di questo lavoro. Come pure porgo le più sentite grazie al Comm. Rubattino , il quale mi permise di far rimorchiare il Violante dal vapore « Australia » allorchè partii da Messina. Debbo al Direttore del Museo Civico di Genova, il Marchese Giacomo Doria, e a tutta I’ eletta schiera di naturalisti che gli 324 CROCIERA DEL VIOLANTE fanno corona, di aver ordinato e studiate le collezioni zoologiche raccolte durante il mio viaggio, la cui illustrazione scientifica fa seguito a questa parte narrativa. E in ispecie mi piace profes- sarmi pubblicamente grato : Al Professore A. Issel per aver determinato alcuni campioni di roccie riportati da me e per aver ordinato ed enumerato il copioso materiale che ottenni colla draga; al Prof. Pietro Pavesi che si occupò della parte aracnologica; al Dott. R. Pirotta e al Sig. A. Dubrony che classificarono, l’uno i Miriapodi, I’ altro gli Ortotteri da me raccolti; al Dott. Raffaello Gestro che si prese cura dell’esecuzione tipografica del mio lavoro; ed infine al Sig. Leonardo Fea, il quale con molto amore e disinteresse volle ornare il mio viaggio di incisioni, tratte con gran fatica e pazienza dalle mie fotografie, che per la maggior parte erano danneggiate dall'umidità. Genova, Agosto 1877. II. RISULTATI ZOOLOGICI CATALOGO DEGLI ORTOTTERI PER A PuBRONY Fam. FORFICULIDAE. Gen. Forficula, Linn. ], F. auricularia, Linn., Syst. Nat., p. 686, 218, 1. Monte Etna, 24 Luglio; Isola Gallita 26 Settembre. Specie delle più comuni dapertutto. 2. F. decipiens, Gené, Saggio di una Monografia delle Forficule indigene, p. 11, N. 7. Isola Gorgona, Giugno. Specie abbastanza sparsa in tutto il bacino del Mediterraneo. Fam. MANTIDAE. Gen. Mantis, Linn. 3. M. religiosa, Linn., Syst. Nat. II, p. 690, N. 5. Isola Gallita, 26 Settembre; Cartagine, 20 Settembre; Lampe- dusa, 15 Settembre. Specie molto comune in tutto il bacino del Mediterraneo. Gen. Ameles, Burm. 4. A, Picteti, De Sauss., Mél. Orthopt., Mantides, p. 25: (Larva). 328 A. DUBRONY Baja di Kapsali, Cerigo, 6 Settembre. Specie rara, indicata anche dell’ Andalusia. Essa è molto rico- noscibile, anche allo stato di larva, per gli occhi terminati da spine. | Gen. Fischeria , De Sauss. 5. F. brachyptera (Pall.), Reisen durch verschied. Prov. | d. russisch. Reiches, II, App. N. 81. (Mantis). Porto Livadhi, isola di Serfo, 7 Agosto; Isola dei Cervi, 30 Luglio; Isola di Milo, 1. Agosto; Isola Gallita, 25 Settembre. Comune solamente in Grecia, Asia Minore e Russia meridionale. Fam. GRYLLIDAE. Gen. Gryllotalpa, Lar. 6. G. vulgaris, Latr., Gener. Crustac. et Insect. II, 95, | Cartagine, 20 Settembre. Specie sparsa dapertutto. | Gen. Liogryllus, De Sauss. 7. L. bimaculatus (De Geer), Gesch. HI, 338, N. 4, t. 43, f. 1. (Acheta). capensis (auct.). Burm., Serv., Oliv., Fabr., Ramb. Habitat ? | Specie comune in tutto il bacino del Mediterraneo. Gen. Gryllus, Linn. 8. G. burdigalensis, Latr., Hist. Nat. XII, 124, N. 3. Isola di Caprera, 14 Luglio. Specie comune in tutto il bacino del Mediterraneo. ORTOTTERI 329 Gen. Mogisoplistus, Serv. 9. M. brunneus, Serv., Hist. Nat. des Orthopt., p. 357. Isola di Santorino, vulcano di Neo Kaimeni, 5 Agosto. Specie sparsa nel bacino del Mediterraneo, ma rara dapertutto. Fam. LOCUSTIDAE. Gen. Ephippigera, Larr. 10. E. elegans (Fisch. fr.), Orthopt. Europ., p. 219, t. X, ty 113: . . Isola di Caprera, 14 Luglio. Questa specie non era stata trovata finora che nei dintorni di Roma, dal Prof. Zeller. Gen. Phaneroptera, Larr. ll. P. faleata (Scop.), Entom. Carniol., p. 108 (Gryllus). Habitat? Specie molto comune nell’ Europa centrale e meridionale. Gen. Decticus, SERV. 12. D. albifrons (Fabr.), Entom. Syst. II, p. 41, N. 29. (Locusta). Isola di Gallita, 26 Settembre; Messina, 22 Luglio. Specie comune in tutto il bacino del Mediterraneo. Gen. Platycleis, FIEBER. 13. P. grisea (Fabr.), Entom. Syst, II, p. 41, 3. (Locusta). Porto Livadhi, isola di Serfo, 7 Agosto. Specie molto comune in tutta |’ Europa. 330 A. DUBRONY Gen. Rhacocleis , FIEBER. 14. R. Brisoutii (Yersin), Ann. de la Societ. Entom. de France, 1860, p. 520 (Plerolepis). Lampedusa, 15 Settembre. Specie rara, che finora era stata trovata solamente in Sicilia. Io l'ho ricevuta dai dintorni di Napoli e l’ ho raccolta io stesso in Liguria, a Pegli, nel 1877. Gen. Gampsocleis, FIEBER. 15. G. speetabilis (Stein), Berlin. entom. Zeitschr., IV, 1860, p. 258, t. V. (Drymadusa). Pikermi, presso Atene, 13 Agosto; Isola di Santorino, 4 Agosto. (ninfa). Questa specie magnifica e rara era stata trovata in Acarnania (Grecia) dal Dott. Kruper. Fam. ACRIDIDAE. Gen. Acridium, SERv. 16. A. aegyptium (Linn.), Mus. Lud. Ulr., p. 138, N. 29 (Gryllus). tartaricum, auct., Fabr., Charp., Burm., Serv., Latr., etc. Porto Livadhi, Isola di Serfo, 7 Agosto. Specie molto comune in tutto il bacino del Mediterraneo. Gen. Caloptenus, Burm. 17. ©. italicus (Linn.), Syst. Nat. I, 2, p. 701, N. 46, (Gryllus). Var. marginellus (Serv.) e siculus (Burm.). Isola di Caprera, 14 Luglio; Isola di Santorino, 4 Agosto; Pi- ORTOTTERI 331 kermi, 13 Agosto; Porto Livadhi, Isola di Serfo, 7 Agosto; Isola Gallita, 26 Settembre; Isola di Lipari, 21 Luglio; Monte Pagus presso Smirne, 2 Settembre; Lampedusa, 15 Settembre; Isola Piana, golfo di Tunisi, 22 Settembre; Isola di Milo, 1. Agosto. Specie molto comune in tutto il bacino del Mediterraneo. Gen. Euprepocnemis, FIEBER. 18. E. littoralis (Ramb.), Faune de l’Andal., p. 78, N. 3, sr, f. 1. 2. (Gryllus). Cartagine, 20 Settembre. Specie rara della Spagna e dell’Africa settentrionale. Gen. Acrida, Linn., STAL. Tryxalis, Auct. 19. A. turrita (Linn.); de Villers, Entom. Lin. Tom. I, p. 434, t. II, f. 4. (Gryllus). nasuta, auct., Fabr., Latr., Charp., Burm., Serv. Pikermi, 13 Agosto. Specie comune in tutto il bacino del Mediterraneo. 20. A. nasuta (Linn.), Syst. Nat. Ed. X, I, p. 427. (Gryllus). unguiculata, Ramb. Cartagine, 20 Settembre. Specie abbastanza sparsa nella Spagna meridionale, Africa settentrionale, Sicilia e Morea. Gen. Stauronotus, Fiscu. fr. 21. S. Genei (Ocskay), Nov. Act. Acad. Nat. €ur., Vol. XVI, PSN p. 961) (Gryllus). Cartagine, 20 Settembre. Questa specie è sparsa in tutto il bacino del Mediterraneo, ma localizzata. 33 A. DUBRONY Gen. Oedaleus, FIEBER. 22. Oe. nigrofasciatus (De Geer), Mem. 3, p. 493, pl. 14, f. 5 (Acridium). Isola di Milo, 1. Agosto. Comune nell’ Europa centrale e meridionale. Gen. Ctyphippus, FieBER. 23. C. coerulescens (Linn.), Syst. Nat., p. 700 (Gryllus). Isola di Milo, 1. Agosto; Isola di Linosa, 14 Settembre; Isola Gallita, 26 Settembre; Isola di Caprera, 14 Luglio. 24. ©. gratiosus (Serv.), Hist. Nat. des Orthopt., p. 727, N. 9. (Aedipoda). Monte Pagus (Smirne), 2 Settembre; Nicolosi presso Catania, 23 Luglio. Specie abbastanza rara dell’ Italia meridionale, Sicilia, Russia meridionale, Turchia. Gen. Sphinctonotus, FiEBER. 25. S. azurescens (Ramb.), Faun. de l’Andal., II, p. 88, t. 7, f. 3 (Aedipoda). Cartagine, 20 Settembre. Specie piuttosto rara della Spagna meridionale e Africa set- tentrionale. 26. S. coerulans (Linn.), Syst. Nat. I, 2, p. 701, N. 48 (Gryllus). Isola di Milo, 1. Agosto; Attica, porto S. Nicolo, 10 Agosto; Isola di Santorino, vulcano di Neo Kaimeni, 5 Agosto; Isola dei Cervi, 30 Luglio. Specie molto comune dovunque. ORTOTTERI 333 Gen. Acrotylus, FIEBER. 27. A. insubrieus (Scop.), Delic. flor. et faun. insubr. PSI p. 64, t. 24, f. e. (Gryllus). Besika, 20 Agosto; Porto Livadhi, isola di Serfo, 7 Agosto. Specie comune in tutta l’ Europa meridionale e l’ Africa set- tentrionale. Gen. Tettix, CHARP. 28. 'T. meridionalis, Ramb., Faune de l’Andal., p. 65. Habitat? Specie comune in tutta l’ Europa meridionale. ARACNIDI AGGIUNTO UN CATALOGO SISTEMATICO DELLE SPECIE DI GRECIA PEL PROF. PIETRO PAVESI DELL’ UNIVERSITA” DI PAVIA dui OF wy i TAG np GTA a Ci] tei \ @ 3, Se vi sentite turbati dall’ orgoglio di aver ottenuta la perfezione in un’ o- pera, e volete guarirvene, stampute un catalogo. STEVENS. Cap. I. Aracnidi raccolti col « Violante » nel 1876. I cortesissimi Sige. Marchese Giacomo Doria e Capitano En- rico D'Albertis di Genova vollero offrirmi da studiare anche le caccie aracnologiche, fatte da quest’ ultimo nella nuova crociera del suo cutter Violante, toccando, dalla metà di luglio alla metà di ottobre 1876, isole e coste del Mediterraneo quasi tutte inesplorate dal nostro punto di vista. Il viaggio ci viene questa volta raccontato dallo stesso ardito Capitano di mare (1), per cui dirò soltanto che veniamo ora a conoscere alcun poco della fauna di Caprera, Salina e Lipari, Linosa e Lampedusa e della regione etnea; nuovi materiali ci sono recati da Cartagine, dalla Galita e Gallitone, da Scio, Smirne e Besika in Asia Minore, da Costantinopoli e Marmara, e specialmente da parecchie celebri località greche, come le isole di Milo, Serpho, Santorino, Antiparo, Cervi e Cerigo e da Pi- kermi nei pressi di Atene sulla strada di Maratona. In tutto ebbi 47 specie d’ aracnidi, appartenenti a 3 ordini, 15 famiglie e 81 generi; due di esse mi sembrano nuove e (1) Vedi P. Pavesi: Le prime crociere del « Violante » — Risultati aracnolo- gici, con una cartina ed il racconto dei viaggi nel vol. VIII, p. 407 di questi Annali. Colgo l’ occasione per ringraziare l’ ignoto corrispondente del Car - faro (11 Ottobre 1876), che ebbe la bontà di scrivere una rivista assai lusin- ghiera su questo mio piccolo lavoro; e son lieto di soggiungere che le rac- colte che ne furono base, insieme con altre da me illustrate, mi valsero una medaglia d’oro all’ Esposizione industriale-didattica tenuta in Pavia nel- l’ullimo scorso settembre. Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (19 Gennaio 1878). 22 338 parecchie furono per la prima volta prese in Grecia, Turchia, ecc. Se i risultati non sono così splendidi quali avrebbe forse potuto fornirci un naturalista o meglio un aracnologo, buon raccoglitore in quei paraggi, bisogna però essere grati al Ca- P. PAVESI pitano D'Albertis, che continua, da semplice dilettante, a rendere profittevoli le sue escursioni anche a questo ramo specialissimo di scienza, oltre a farne fiorire altri. Cl. Ord. Fam. Gen. Ord. Fam. Gen. Fam. Gen. Fam. Gen. Fam. Gen. Fam. PROSPETTO DEGLI ORDINI, FAMIGLIE E GENERI ARACHNOIDEA. . . . sp. SCORPIONESI/ sa seo ate » Pandmidae:zstt sie. rue » Euscorpius, Thor. ... » ARANKAEl: i) cite enue » Hpeiridae. . Raro » Argiope, Sav. Aud... » Epetra (Wialek:)> <0. » Cyrtophora (Sim.).... >» Meta (C. L. Koch)... » Tetragnatha, Latr.... » Uloborus, Latr.. ... . » Pherididae te sass » Linyphia, Latr.. .... » Argyrodes, Sim... ... » Lithyphantes, Thor. . . Lathrodectus, Walck.. » Seytodidae . teme. dh » Pholcus, Wialckda.o » Loxosceles, Hein. e Lowe » Agalenidae...... re ee Legenaria, (iste) <2. > Agalena (Walck.).... » LeLirie. Unsere » Drassidaernti* ERA » 47 Drassus (Walck.).... » 6 1 Gnaphosa (Latr.).... » 2 1| Fam. Dysderidae. + LA » 3 1 | Gen., Dysdera (Latr.). CRE » @ 45 | Fam. Filistatidae ....... > “a 100/Gen. Pulestata, Latr N08] > 1 | Fam. Theraphosidae ..... > aa 4 | Gen. Cteniza, Latr....... > a 2 Nemesia, Sav. Aud... » 1 1 | Fam. Heteropodidae...... > i 1 | Gen. Micrommata (Latr.) .. » 1 1 | Fam: Thomisidae e » 4 5 | Gen. Thanatus, C. L. Koch. » 1 2 Diaea , Thor RESSE > 1 Xysticus (C. L. Koch). » 279 1 | Fam. Lycosidae e » 404 1 | Gen. Lyeosa (Latr.) +. O. » 2 | 3 Tarentula (Sund.).... » 2 2 | Fam. Eresidae | c)-.-anenene > sf 1'| Gen. Eresus, Walckt 3 stn > a 7 | Fam. Atttidaed) SRI » 10] 2 | Gen. Menemerus (Sim.).... » 1 | 2 | Ord. ACARI. le RE >» 1] 3 | Fam. Trodidae tt, E e > = 3 | Gen. Hyalomma, C. L. Koch. » 1 ARACNIDI 339 ELENCO CRITICO DELLE SPECIE 1. Euscorpius carpathicus (Linné) 1767. Syst. nat. ed. 12.8 I., p. 1137, sub: Scorpio. Is. Antiparo, all’ entrata della grotta. Ne posseggo 5 esemplari, le cui principali dimensioni risul- tano dal seguente specchio : Lunghezza totale del corpo, compreso I’ ultimo segmentovcodale «n. 0a demi 24-29 » delisronconie? Wheel ti ane 14-16 » delb'cefalotarace» coni. (2). ao cia 3-4 » Gempalpis Gras B., wethion oA Capes 10-13 » delliraddome. bi agio Ale %< a 0/12 » dei cinque segmenti posteriori n liaddonie: neal sere turer ie » 9-10 uilta totale della coda compreso il pun- ciolioneste ti ; si dn 91/,-12 » del quinto segmento della vr gna -3 » dell ultimo — » » » » 214-3 Essi presentano 8-10 denti o lamelle ai pettini (due ne hanno 8, due 9, uno 10); 8 fossette ocelliformi (uno solo con 7) al mar- gine esterno della superficie inferiore del braccio o quarto arti- colo dei palpi, la prima delle quali comincia un po’ all’ indietro dell’ apice dell’ articolo ; 3 fossette al palmo della mano, in linea retta obliquando all’ interno, la posteriore lontana dalla seconda il doppio di quanto questa dista dalla prima e posta avanti la metà della mano; colore generale del corpo gialliccio, soltanto la mano passa al giallo-rossastro nella metà anteriore e al rosso- bruno lungo le coste e parimenti rosso-bruna è la punta del- l’uncino. Non possono essere riferiti all’ E. flavicaudis (De-G.), così dif- fuso in Europa, perchè questo ha 13 (10-13) fossette alla su- perficie inferiore del braccio e 4 al palmo della mano; nè al 340 P. PAVESI naupliensis (C. L. Koch), altro del medesimo genere di Grecia, perché esso ha 12 fossette al braccio, 8-9 alla mano e 7-10 denti ai pettini, comunemente 8-9. Quanto al sistema di colo- razione ricordano invece gli Se. aquilejensis e tauricus di Koch, specialmente poi il secondo. Ma il tawricus (Arachn. IV, p. 6, tav. CXI, fig. 255), che avrebbe circa le stesse dimensioni, siccome gli vengono assegnati 28 mill. di lunghezza totale, presenta al contrario la coda un po’ più lunga del tronco e soltanto 7 fossette al braccio. E l' aquilejensis (ibid. III, p. 101, tav. CV, fig. 244) è specie assai più grande, misurando 44 mill., ha pure coda proporzionatamente più lunga del tronco, forma e grandezza di- versa dell’ ultimo segmento (benchè questo sia un carattere ses- suale non è da trascurarsi); tuttavia offre del pari che i nostri esemplari 9 denti ai pettini, 8 fossette al braccio (e pure in un caso 7) e 3 al palmo della mano, di cui similmente la poste- riore più lontana dalla media che questa dalla prima. Gli scor- pioncini di Antiparo somiglierebbero tanto più allo S. aquile jensis Fanz. (Scorp. îtal., p. 11, tav. III, fig. 6), ma il dott. Fanzago figura una mano un po’ diversa da quella dei nostri e dell’aquilejensis Koch e le 3 fossette del palmo quasi equi- distanti, l’ultima delle quali dietro la metà. In tale difficile quistione io opinerei che gli individui in di- scorso siano piuttosto giovani, quindi scoloriti, del carpathicus L. Nulla osta difatti che così si chiamino. Il carpathicus Koch ha 10 fossette al braccio, ma i di lui sinonimi secondo Thorell (Etudes scorpiol., p. 137 (211) nota), ne hanno 8 (banaticus, concinnus, Oravitzensis) 0 9 (provincialis Fanz. non Koch), anzi il chiar. Thorell mi scrive che ne vide appena 7 appunto nei giovani; così pure l’ ultima delle fossette del palmo della mano è nel carpathicus, come nei nostri scorpioni, avanti la metà e questa si fa più o meno lontana dalla precedente. 2. Argiope lobata (Pall.) 1772. Spicil. zool. I, fas. 9, p. 46, tav. II, fig. 14, 15, sub: Aranea (Epeîra sericea aut.). Is. Caprera, Salina a La Malfa (Lipari), Nicolosi (Sicilia), Is. Linosa, Lampedusa, Galita, Cerigo alla Baia di Kapsali, Santorino, Besika (Asia Minore). ARACNIDI 341 3. Epeira regia, C. L. Koch 1845. Die Arachn. XI, p. 88, tav. CCCLXXX, fig. 899 (E. angulata Walck. part. var. C, E. bal. L. K.). Is. Galita, Lipari. Varie nel colore più o meno scuro; una della Galita e quella di Lipari hanno una macchia bianco-giallognola tripartita fra i tubercoli omerali. Gli esemplari di Galita e Pantelleria, citati da me nelle Prime crociere del Violante, p. 27 (431) sotto il nome di E. angulata (Cl.), sono invece appartenenti alla regia e tali pure devono essere quelli d’ Algeria indicati da Walckenaer e Lucas. i 4. E. circe, Sav. Aud. 1827. Descr. de l’ Egypte, 2.2 ed., XXII, p. 338, Aracn. tav. II, fig. 9 (Z. Schresbersi aut.). Is. Santorino. 5. E. acalypha, Walck. 1802. Fn. paris., I, p. 199, sub: Aranea (E. genistae Hahn). Is. Salina a La Malfa. 6. E. adianta, Walck. 1802. Fn. paris., II, p. 199, sub: Ara- nea (Miranda pie LAK.): Is. Caprera. 7. Cyrtophora citricola (Forsk.) 1775. Descr. anim., p. 86, n. 27, sub: Araneus (Epeira opuntiae aut.). Is. Salina; Taormina, Catania, Etna (Sicilia); Cartagine. Gli esemplari siciliani hanno un colorito molto scuro , cefa- lotorace e femori delle zampe quasi neri, questi ultimi legger- mente anellati di bruno; invece gli esemplari tunisini hanno tutti un colore chiaro. 8. C. insulana (0. G. Costa) 1834. Ann. zool., p. 65, sub: Epeira (E. trituberculata aut.). Is. Caprera. 9. Meta Merianae (Scop.) 1763. Entom. carniol., p. 895, sub: Aranea (Epeira antriada Walck., M. muraria C. L. K.). Costantinopoli: Moschea di S. Sofia. Specie nuova per la fauna turca (1). (1) Vedi P. Pavesi: Gli Aracnidi turchi, in Atti Soc. ital. Sc. nat., XIX. 1875 (1876), p. 50. Le specie da me catalogate vanno accresciute anche della Prosthe- 342 P. PAVESI 10. Tetragnaiha extensa (Linn.) 1758. Syst. nat., ed. 10.4, I, peor), sub: Aranea. Catania. 11. Uloborus plumipes, Luc. 1846. Expl. Alg., Artic. p. 252, Arachn. tav. 15, fig. 8. Etna. 12. Linyphia triangularis (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 71, pl. 3, tab. 2, fig. 1, sub: Araneus (L. montana aut.). Etna. 13. L. frutetorum, C. L. Koch 1834, in Herr. Schaeff., Dewtschl. Inss W271, 19% 220: Nicolosi. L’ unica femmina adulta presenta a meta del campo nero del dorso dell’ addome due paja di punti bianchi. 14. Argyrodes gibbosa (Luc.) 1846. Hupl. Alg., Artic., p. 254, tav. 15, fig. 9, sub: Linyphia (L. argyrodes W1k., A. epeirae Sim.). Nicolosi, Cartagine. 4 L’ unico esemplare siciliano, maschio giovane, ha il dorso del- l’addome interamente argenteo, vedesi appena la striscia nera mediana longitudinale. 15. Lithyphantes Paykullianus (Walck.) 1806-08. Hist. nat. Aran., 4. 4, sub: Theridion (Phrurolithus hamatus, lunatus, erythrocephalus C. L. K. Is. Caprera. Una femmina giovanissima, che ha la fascia bianca anteriore dell'addome continuata ai lati da due macchiette ben distinte, e 4 macchie decrescenti pure bianche sulla linea mediana del dorso. i 16. Lathrodectus 13-guttatus (Rossi P.) 1790. Fn. etrusca, I, p. 186, tav. IX, fig. 10, sub. Aranea (Theridion malmignattum aut.). Is. Lampedusa. Fra gli esemplari femminei, alcuni giovani appartengono alla — var. oculatus Walck. (argus Say. Aud.), gli altri adulti alla | sima conspicua (L. Koch) descritta su esemplari di Orsova (Avachi. fam. Drass. JII. 1866, p. 149. tav. VI, fig. 90-92, sub: Melanophora). ARACNIDI 343 var. lugubris Duf. con I’ addome provveduto o privo della fascia trasversa anteriore, della macchia sopranale e di una o due striscie gialle o rossastre al ventre. 17. Pholcus phalangioides (Fuessl.) 1775. Verz. Schweiz. Ins., p. 61, sub: Aranea (Ph. nemastomoides C. L. Koch). Is. Caprera, Antiparo all’ entrata della celebre grotta, Santo- rino, Monte Pagus sopra Smirne (Asia Minore). Due dei numerosi esemplari di Antiparo sono curiosissimi per la colorazione ranciata dell’ addome, un po’ più chiara al ventre, e percorsa da una striscia bianca lungo il vaso dorsale; I’ occhio armato di lente riconosce una reticolazione pallida sulla tinta di fondo. Essi rammentano il mio Ph. ruber (Aracn. in Notizie nat. e chim. agron. Pavia 1864, p. 109; Aran. ital. in Atti Soc. ital. sc. nat., XI. 1868, p. 863 (126)), che era però di color carmino; per cui ritengo anche quello una variazione ac- cidentale e non più una specie distinta. 18. Ph. rivulatus (Forsk.) 1775. Descr. anim., p. 86, sub: Ara- nea (Ph. impressus C. L. Koch). Is. Salina, Catania, is. Lampedusa, Cartagine, is. Scio. 19. Loxosceles erythrocephala (C. L. Koch) 1839. Die Arachn. V, p. 90, tav. CLXVIII, fig. 399-400, sub: Scytodes. Is. Lampedusa, Pikermi presso Atene. 20. Tegenaria parietina (Fourcr.) 1785. Entom. Paris., sub: Aranea (T. Guyonii Walck.; intricata C. L. Koch). Is. Santorino. SUNT. pagana, 0. Js. Koch 184]. Die Arachn., VIII, p. 31, tav. CCLXII, fig. 612-13 (7. subtilis Sim., variata Thor.). Is. Antiparo presso la grotta. 22. Agalena labyrinthica (Clerck) 1757. Sv. Spindl., p. 79, pl. 2, tab. 8, sub: Araneus. Nicolosi; Is. Cerigo: Baia di Kapsali, Milo fra Skala e Kastro, Serpho: porto Livadhi, Antiparo: dint. della grotta; Besika, Is. Marmara: Baja di Palatia. Gli esemplari greci e della Marmara sono di grandi dimen- sioni, assai robusti e pelosi, con anello bruno terminale della tibia ben manifesto. 344 P. PAVESI 23. A. similis, Keys. 1863. Beschr. newer Spinn., in Verh. Z. . Gesellsch. Wien, XIII, p. 6, tav. X, fig. 2, 3. Pikermi presso Atene. ee) Specie nuova per la fauna greca. 24. Textrix coarctata (Duf.) 1831. Descr. et fig. de quelques Aran. in Ann. sc. nat. XXII, p. 358, tav. X, fig. 1, sub: Aranea (T. ferruginea aut., Lycosoides rufipes Luc.). Is. Lampedusa. 25. T. vestita, C. L. Koch 1841. Die Arachn., XIII, p. 08 tav. CCLXVII, fig. 628-29. Pikermi, is. Antiparo, monte Pagus sopra Smirne. 26. T. Violantis, n. sp. Cephalothorace longitudine tibiam cum patella IV paris parum superanti, medio dense albo-piloso, summo margine et regione oculare nigris, fascis duabus longitudinalibus extrinsecus dentatis fuscis ; palpis pedibusque testa- ceis, femoribus subter nigro- triannulatis; abdomine nigrescente, fascia lon- gitudinali testacea, antice rubida, supra mammillas duabus lineolis fuscis transverse incisa, basi lateribusque anticis 2 lineolis et punctis °-formibus pilis albidis vestitis; vulva parva, lamina pentagonali rima exeunte, a latere 2 tuberculis rotundis, antice 2 corolliformibus vel geniculatis corpusculis longis limitata. Q ad. TLionp.simazimartot \. . ® © mill or, >) -cephalothoracis’::5..° 2+ "9" "287, > Gabdomimisi 4!) 2A) 5 2A Bs IAS >il gpedumelGparis: .. 4b ¥) > ROWE » >» Let III paris, 2 26 » » IV » » 7 Wp Cefalotorace lungo 2 ?/, per 1%/,, appena di più della pa- tella e tibia del IV paio di zampe, torace ovale con stria breve, sottile e solchi laterali raggianti ben manifesti, testa brusca- mente ristretta al davanti del I paio di zampe, lunga, che sì allarga ed arrotonda nella parte anteriore; di color testaceo chiaro, bruno-rossastro sulla convessità della testa, nero nella regione oculare, che continuasi all’ indietro con una breve stri- scia, filettato di nero sui margini e percorso da due fascie brune laterali, che hanno origine dai lati della testa e sul torace, sono profondamente dentellate all’ esterno, più scure ARACNIDI 345 nei solchi, più larghe degli spazii testacei; l'intervallo me- diano vestito da peli fitti bianchissimi. Serie anteriore degli occhi leggermente recurva, i mediani più piccoli dei laterali, più vicini a questi che tra di loro, senza toccarli; serie poste- riore più curva, occhi mediani assai grossi, distanti fra loro un diametro e più vicini ai laterali. Clpeo più lungo dell’ area ocu- lare e alto poco meno del quadrato intermedio. Mandibole ro- buste, convesse alla base, liscie, rivestite di rari peli neri, rosso- brune: uncino breve ma robusto. Mascelle e labbro marginati di bianco all’ estremità, le prime testacee, il labbro fosco. Sterno cuoriforme, tronco all’ avanti in linea retta, nerastro, ma lar- gamente occupato in mezzo da uno spazio testaceo, dentellato sui margini e percorso nel senso della lunghezza da una lineetta bruna mediana. Pa/pi testacei, rossastri verso |’ estremità. Zampe 4. 1. 2. 3, robuste, riccamente provviste di lunghi peli e di spine, coi femori anteriori curvi, fulvo-testacee, rossastre ai tarsi, ornate da anelli nerastri, che scompariscono alla parte supe- riore, 3 più evidenti sotto 1 femori, cioè due presso le estremità e una in mezzo. Addome con una fascia longitudinale nel mezzo del dorso, rossastra nel !/, anteriore, che si restringe e di nuovo si allarga e si dentella esternamente nella metà posteriore dov’ è testacea e comprende delle macchie cutanee irregolari bianche e poi due linee trasversali brune, la prima ad accento circonflesso, la seconda ad arco di cerchio, la quale limita uno spazio an- cora rossastro sopra le filiere; questa fascia mediana è margi- nata di nero. All'esterno di essa, nel !/, anteriore, vi è da ciascun lato una linea longitudinale bianca per peli, che co- prono anche la base dell’ addome, dove la fascia mediana si restringe continuata da una macchietta a , colla convessità al- Y indentro. I fianchi dell’ addome sono nerastri all’ avanti e poi di colore fosco, traversato da serie di macchiette rotonde più scure, disposte obbliquamente all’ in- dietro, con peli neri e bianchi sparsi. Ventre ci- nerognolo uniforme. Filiere maggiori coll’ articolo basillare nerastro all’ esterno e coll’ articolo ter- minale lungo e rossastro. Vulva piccola, presentante una la- 346 P. PAVESI mina rossiccia pentagonale, ottusa e leggermente incavata al- l’ indietro, la quale esce dalla rima trasversa; ai lati di questa due piccoli corpi rotondi, 0 borse seminali, che si continuano obbliquando all’esterno; al davanti della rima due corpi ros- sicci, lunghi, un po’ arcuati all’esterno, sporgenti e genicolati, ossia fatti a coroncina di quattro a cinque nodi o dischetti in serie continua. Non posseggo che un solo esemplare 9 ad. preso a Caprera nel luglio. La forma affatto peculiare della vulva e specialmente quei corpi genicolati, che la precedono, la distinguono da tutte le altre specie di Textrix ; tuttavia dev’ essere molto affine alla flavomaculata Lue., che vive anche in Corsica, e più ancora alla variegata Sim. di Spagna e Marocco. Quest’ ultima però è più grande e presenta, oltre una diversa forma di vulva, diverso colore dell’ addome, un solo accento circonflesso sopra le filiere e viceversa un’ anello nero incompleto di più sotto 1 femori. La chiamo Violantis per ricordare il bastimento che servi a scoprirla ed il nome della madre dell’ egregio raccoglitore. 27. Drassus lapidicola (Walck.) 1802. Fn. paris. I, p. 222 sub: Aranea [lapidosa]. Is. Caprera. 28. Gnaphosa rufula (L. Koch) 1866. Arachn. fam. Drass., I, p. 20, tav. I, fig. 12-13, sub. Pythonissa. Etna. Specie nuova per la fauna italiana, conosciuta soltanto della Russia meridionale (Sarepta) e del Turkestan. L’ unico esemplare (97 ad.) presenta qualche minima differenza dalle descrizioni e figure del dott. Koch; il cefalotorace non è più lungo, ma un po’ più breve dalla patella e tibia del IV paio di zampe, il filetto corneo interno del bulbo è più grosso alla base, repentinamente si stringe e piegasi a doppia curva. 29. G. thressa, Pavs. 1876. Aracn. turchi; in Atti Soc. ital. Se. nat. XIX, p. 65 (18). Pikermi. Specie nuova per la fauna greca e conosciuta finora soltanto di Turchia. ARACNIDI 347 È assai affine, com> ho scritto, alla G. erornata (C. L. Koch), pure di Grecia, particolarmente alla var. fig. 447 (Die Arachn. VI, p. 65, tav. CXCVI); ma la vulva consta di una depres- sione più stretta e lunga, la costa mediana non si allarga in mezzo e soltanto all’ estremo posteriore, il processo superiore della tibia è uncinato, cioè rivolto in basso e all’ indietro, il bulbo genitale assai sporgente, conico, piegato verso l'interno, i processi curvi posteriori disposti diversamente; sono costanti le due macchiette nere ai lati del cefalotorace fra i solchi rag- gianti; le zampe sono più lunghe. G. exornata (sec. L. Koch) G. thressa I pajo 7 9-11 mill. 9 8 Sgt e0n1a AVANT, 9-11 » SÙ 17 14 30. Dysdera maurusia, Thor. 1873. Rem. on Syn., p. 467. Is. Gallitone (presso la Tunisia). La larghezza del clipeo è uguale alla lunghezza della tibia I e non maggiore, come doyrebb’ essere nella femmina adulta; nell’ armatura delle zampe è identica alla descrizione del Thorell. 31. D. Kollari, Dobl. 1853. Beitr. Monogr. Spinnengesch. Dys- dera, in Verh. Z. B. Ges. Wien, IN, p. 123 (D. Westringu Cambr.). Monte Pagus sopra Smirne. Credo che l unica femmina, che posseggo, sia da riferirsi a questa specie descritta su esemplari di Dalmazia. Gli occhi me- diani posteriori non sono però così piccoli quanto dice e figura il rev. Cambridge (Spid. Palest. a. Syria, p. 223, tav. XIII, fig. 2) per la D. Westringi di Palestina e Siria, già giudicata si- nonima della Aollari, nè gli occhi anteriori più grandi degli altri. Non può essere la D. Cambridgii Thor. (= erythrina Hahn e Koch) assai affine, perchè la base del femore IV è provvista di una spina breve ed anche pel colore dell’ addome, che è iden- tico a quello della Westringii. I punti impressi del cefalotorace sono minutissimi. 82. D. lata, Reuss. 1834. Zool. Misc. in Mus. Senkenb., p. 196. Is. Antiparo. 348 P. PAVESI Specie nuova per I’ Europa. Non posso riferire l’unica femmina giovane ad altra specie, particolarmente per la forma e brevità del cefalotorace. Quanto all’ armatura delle zampe si approssima molto alla D. maurusia Thor., come già osservò il dott. Thorell (Rem. Syn., p. 466); però, oltre ad avere 2. 1. 1. (1) spine sul femore IV, ne ha 1 breve sul femore III, ed il clipeo è più breve della tibia I. 33. Filistata testacea, Latr. 1810. Considér. gén., p. 121 (A. bicolor aut.). Monte Pagus sopra Smirne. 34. Cteniza orientalis, Auss. 1871. I. Bestr. Kenntn. Arachn. fam. Territ. in Verh. Z. B. Ges. Wien, XXI, p. 154 (88). Pikermi presso Atene. L’ esemplare 9, mentre conviene in tutti i caratteri organici, differisce nel colore dalla Cteniza descritta dall’ Ausserer, in quanto che l’ addome è grigio uniforme, più scuro in mezzo; la parte anteriore del corpo è verdastro-uniforme e presenta sol- tanto una macchia rossiccia ai lati della base e all’ estremità degli articoli che seguono i femori ed il cumulo di spine brevi della base della tibia IV al lato esterno è pure rosso. 35. Nemesia caementaria (Latr.) 1798. Extr. d'un mém. sur la fam. des Araign. mineuses in Bull. Soc. Phil. II. II. p. 169, fig. 1, A. F. (N. Sauvagesii Dorth. sec. Thor.). Is. Lampedusa.» 2A 36. Micrommaia formosa, n. sp. Cephalothorace patellam + tibiam I paris longitudine aequanti, testaceo, vitta media lata vittisque parvis lateralibus et marginalibus fuscis notato, area oculari rosea ; oculis posticis crassiusculis, intervallo diametri minore, oculorum serie antica recurva, mediis minimis dimidium cireiter posti corum; pedibus robustis, testaceis roseo-punctulatis; abdomine testaceo, lincolis miniaceis a latere variatum, vitta longitudinali media fusea intense miniaceo-marginata, vittis flavis extrinsecus duplicata. 9 juv. Long. maxima... mill. 8 » cephalothoracis . » 4 >» abdominis..... » 5 Lat. cephalothoracis .. » 3 Long. pedum I paris. . » AFT: oe ARACNIDI 349 Long. pedum II paris mill. 12 circ. » >il » 10,34 >» » IV » 14 Cefalotorace convesso, lungo come patella + tibia del I paio, con ristringimento soltanto al davanti dell’ inserzione di esso, parte cefalica breve, rotondata, stria toracica breve e poco sen- sibile, rivestito da peli brevi sugli spazii scuri e da lunghe se- tole anteriormente ; di colore testaceo pallido, carminato nella regione oculare, percorso in mezzo da una fascia ben definita e larga circa come lo spazio occupato dagli occhi anteriori, a cui giunge senza dividersi, bruno-rosea; una linea irregolare di macchiette brune parte dagli occhi laterali posteriori e, mantenendosi paral- lela al margine del cefalotorace, più vicina ad esso che alla fascia mediana, va fino alla parte posteriore; margine del cefalotorace bruno. Occhi circondati da una zona nera; i superiori abba- stanza grossi, in serie leggermente procurva, quasi equidistanti, separati da un intervallo di poco maggiore del loro diametro; gli anteriori in serie più recurva che retta; i mediani assai piccoli, circa !/, dei superiori, separati da uno spazio eguale al loro diametro e molto più vicini ai laterali che tra di loro; laterali appena più grossi dei superiori. Clipeo !/, più alto del diametro degli occhi laterali anteriori, da cui proviene una stri- scia ondulata rosea che arriva fino al margine. Mandibole grosse, verticali, irte di setole sul davanti, con macchiette rosee alla base. Mascelle, labbro, palpi e sterno bianco-testacei, con brevi peli sparsi e setole. Zampe robuste, 4. 2. 1. 3, con spine lun- ghe, sottili, bianche nella metà basale, nere nel resto; il fe- more I ne porta una più lunga all’ innanzi dopo la metà, la tibia IV due al disopra, una basillare I’ altra alquanto discosta dall’ estremità, e 2. 2. laterali; scopula poco evidente; coscie e base dei femori, specialmente del IV paio bianco-testacee, nel resto le zampe sono testaceo brune, sparse di macchiette rosee e con le estremità dei tarsi nere. Addome ovoide, lungo, for- nito di peli brevi, testaceo chiaro, cosparso sui lati da lineette 350 P. PAVESI rosee e percorso in mezzo da una fascia longitudinale, che fi- nisce a punta sopra le filiere, testacea all’ innanzi, rosea in- dietro, limitata da due sottili limee di color carmino intenso e nella porzione anteriore duplicate da fascie giallo-chiaro; ventre testaceo, sparso di piccolissimi punti rosei. Organi genitali indi- stinti. Una sola femmina raccolta a Lampedusa. Non esito a descri- verla, quantunque non conosca la forma adulta, perchè ha ca- ratteri rimarchevolissimi. È molto affine alla M. ornata Walck. (partim auct.) e alla fu/va Sim., ma senza dubbio distinta. In essa gli occhi superiori o della seconda serie sono abbastanza grossi e non assai piccoli; distano reciprocamente meno del doppio del loro diametro ed in quelle invece il doppio od il triplo; la serie an- teriore vista dal disopra è recurva e non retta; i mediani ante- riori sono circa la metà dei superiori e non eguali o maggiori in grossezza; diverso inoltre è il colore del cefalotorace, essendo la fascia mediana fosca ben definita, larga e non divisa all’ a- vanti, e presentando fra essa ed il margine fosco del cefaloto- race un’ altra linea di macchiette, che partono dagli occhi late- rali posteriori. 37. Thanatus lineatipes, Sim. 1870 (non Cambr. 1876) Aran. nouv. ou peu conn. du midi de l’ Europe, I, p. 62, in Mem. Soc. roy. Sc. de Liége. Is. Cervi (al nord di Cerigo), Monte Pagus sopra Smirne. Specie nuova per la fauna greca. E. Simon nell’ opera Arachn. de France (III. 1875, p. 320) descrive un Th. rufipes, che forse è identico al lneatipes, di Spagna come il precedente. Egli cita « E. S. 1870 »; ora il Simon nella memoria Aran. nowv. surricordata non descrive alcuna specie di Thanatus col nome di rufipes, ed io credo tanto più che siagli qui incorso errore, perchè in Arachn. de Fr. (p. 321) dice che Cambridge trovò il rufipes anche a Smirne, da cui provengono pure due de’ miei esemplari (7 e 9), al quali converrebbe meglio la descrizione del dineatipes. Quest’ ul- timo ha bensi la priorità, ma non si deve confondere il Tha- natus lineatipes Sim. 1870 coll’ omonimo pubblicato recentemente ARACNIDI 361 dal rev. Cambridge (Zgypt. Spid. in P. Z. S. of London 1876, p. 591). 38. Diaea globosa (Fabr.) 1775. Syst. entom., p. 482, sub: Aranea. (Thomisus rotundatus aut.). Catania. 39. Xysticus bufo (Duf.) 1820. Descr. de cing Arachn. nouv., in Ann. gén. des sc. phys., V, p. 206, tav. LXXVI, fig. 4, sub: Thomisus. Smirne. 40. X. bliteus (Sim.) 1875. Arachn. de France, II, p. 286, tav. VII, fig. 25, sub: Oxyptila. Is. Caprera. L’ unico esemplare (9 giov. lunga mill. 3,5 circa) concorda nei caratteri principali soltanto con la specie descritta dal Simon su individui della Corsica meridionale. Non presenta però la pic- cola spina sul femore del IV paio, benchè abbia quelle del II e III; inoltre i femori non sono bruni che disopra verso I’ apice ed il dorso dell’ addome ha due lineette trasversali nere, che separano la metà anteriore dalla posteriore, e dietro, in mac- chiette brune oblique, i residui di altre simili linee, per modo che ricorda in questo la femmina dello X. praticola C. L. Koch. 41. Lycosa proxima, ©. L. Koch 1848. Die Arachn., XV, p. 53, tav. DXVII, fig. 1453-54, sub: Lycosa (Pardosa). Is. Caprera. 42. L. atomaria, C. L. Koch. 1848. Die Arachn., XV, p. 31, tav. DXII, fig. 1437, sub: Lycosa (Leimonia). Pikermi presso Atene. L'unico esemplare (9 ad. lunga 8 mill.) presenta una colo- razione del dorso dell’ addome irregolare, per macchie brune e non disposte in linee trasverse ; il secondo allargamento della fascia mediana più chiara del cefalotorace è quasi eguale o ap- pena maggiore del primo; sterno bensì nerastro, ma con tre 0 quattro macchiette giallo-brune da ciascun lato ed una stri* scia del medesimo colore in mezzo che non arriva fino all’ estre- mità posteriore; vulva in forma di fossetta larga, percorsa in mezzo da una carena rossastra, che comincia tronca in linea 392 P. PAVESI retta poco dopo il margine anteriore, al di dietro si dilata, manda due piccoli processi laterali ed obliqui, ciascuno dei quali limita uno spazietto bruno e termina rotondo. 43. Tarentula narbonensis (Latr.) 1806. Gen. Crust. et Ins., I, p. 119, sub: Lycosa tarentula narbonensis (L. melanogaster Latr. Thor.). Is. Lampedusa. Non sono in grado di distinguere dalla narbonensis le molte Q ad. o giov. quivi raccolte, quantunque discordino in qualche punto dalla recente descrizione e figura di Simon (Arachn. de Fr. IN. 1876, p. 241; Revis. esp. europ. du groupe de la Lycosa tarentula, 1876, p. 78, tav. 3, fig. 1 e 2). Osservo che I’ epi- gina negli esemplari adulti è meno larga ed ovale; il pezzo me- diano alquanto si strozza prima di dilatarsi in trapezio terminale, perchè i due solchi laterali sono più convergenti; il loro allar- gamento, quando si ripiegano all’ avanti all’interno, si avvicina dippiù al pezzo mediano; quest’ ultimo poi, nella parte anteriore dei solchi, sporge con due tubercoli oblunghi, in mezzo ai quali prende origine il leggiero solco mediano. GI’ individui giovani pre- sentano I’ epigina press’ a poco eguale alla suddescritta. Questi sono di color chiaro, con anelli delle zampe appena manifesti; gli adulti assai scuri, con la macchia nera del ventre estesa fino alle filiere ~ senza restringersi, lo sterno e le coscie d’ un rosso-bruno uni- forme o bruno-nero. Altri forse potrà, io non credo di dare alle indicate differenze un valore specifico; in parte saranno varietà locali, forse anche dipenderanno da piccole imperfezioni di di- segno, di cui abbiamo parecchi esempi nella tavola del Simon. L'egregio aracnologo francese sostiene che le specie di questo gruppo, eccetto la 7. radiata, siano molto più localizzate di quanto si pensa e che la narbonensis sia propria soltanto della Francia meridionale; le licose della Russia, Italia, Spagna, AL geria, ecc. così chiamate dagli autori, secondo lui, sono diverse da essa e tra di loro, onde le denomina e descrive come nuove. Limitandomi alle osservazioni proprie, non solo affermo che gli esemplari di Lampedusa sono di narbonensis, ma identifico con ‘essa anche quelli delle is. Vacca e Galita, da me catalogati nelle ARACNIDI aap Prime Croc. Viol. p. 38 (443) sotto il nome erroneo di 7. ra- diata (Latr.) var. liguriensis (Wlk.). Il o7 ad. (di Galita), quan- tunque abbia le parti boccali, lo sterno e le coscie uniforme- mente bruno-rossastre, non nere, mi ha convinto ch’ è di nar- bonensis, presentando una struttura del bulbo genitale che col- lima colle descrizioni degli autori e dello stesso Simon, per- sino nelle minutissime strie concentriche del corpo anteriore. Io divido pertanto la più comune opinione che la narbonensis non è chiusa in un’ area geografica così limitata. 44. T. radiata (Latr.) 1817. Nowv. Dict. hist. nat., 2.2 ed. XVIII, p. 292, sub: Lycosa (L. captans Wlk., L. tarentuloides liguriensis Wlk., T. famelica C. L. Koch, ecc.). Is. Caprera, Pikermi presso Atene, Monte Pagus sopra Smirne. L’ esemplare (9 ad.) di Grecia appartiene alla var. liguriensis 8. Thor. 45. Eresus lineaius, Latr. Nowv. Dict. hist. nat. X, p. 393. Catania. Simon (Note sur la fam. Eres. 1873, p. 337) dice comune a Catania l adspersus C. L. K.; questo esemplare (Q giov.) però è senza dubbio il Zneatus Latr. var. fuscifrons C. L. Koch. 46. Menemerus semilimbatus (Hahn) 1829. Monogr. d. Spinn. 5, tav. 3, fig. B, sub: Salticus (Euophrys vigorata C. L. Koch, ecc.). Is. Lipari, Pikermi. 47. Hyalomma hispanum (Fabr.) 1793. Entom. Syst., IV, p. 426, 5, sub : Acarus. Is. Caprera. Specie nuova per la fauna italiana. Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (22 Gennaio 1878). 23 354 P. PAVESI CAP. JI. Aracnidi di Grecia (1) La favorevole circostanza di esaminare i sopracitati pochi aracnidi di Grecia, raccolti col Violante nel 1876, mi stimolò a redigere un catalogo ragionato e per quanto possibile com- pleto di quelli che vivono nell’ interessantissima e classica El- lade, togliendo le indicazioni da tutte le opere speciali di cui posso disporre. Io spero che quest’ elenco non sarà per riuscire discaro agli studiosi di aracnologia e di geografia zoologica, poichè tali in- dicazioni sono troppo sparse per farsi un'idea generale della fauna greca. L’ opera pubblicata dalla Commissione francese, che esplorò il Peloponneso al tempo dell’ eroica guerra d’ indipen- denza è assai poco nota, eppure contiene importanti dati, de- scrizioni e figure di ben 25 specie d’ aracnidi, dovuti alle ri- cerche ed agli studii del sig. Brullé. C. L. Koch ne illustrò molte dell’ Argolide, che ricevette dall’ attivissimo dott. Schuch, me- dico militare a Nauplia; il rev. O. P. Cambridge nel 1864 vi- sito Corfù e vi prese parecchie specie, che egli medesimo, il dott. L. Koch ed il sig. E. Simon hanno fatto di pubblica ra- gione; finalmente nel 1866 J. Erber perlustrò di nuovo Corfù e si recò anche a Tinos e Sira, raccogliendovi altre specie, che furono descritte dai sullodati chiarissimi aracnologi di Norim- berga e Parigi, non che dal prof. A. Ausserer. Le specie nuove del Brullé sommano a 12, ma soltanto 4 vennero discusse in seguito, cioè la Lycosa albofasciata e gli Eresus Walckenaeri, Theisit e Audovinit, mentre le altre caddero in di- menticanza; ho cercato pertanto di ristudiarle tutte accurata- mente, confrontandole con quelle descritte dagli autori più re- (1) Lessi una comunicazione preventiva di questa seconda parte del mio lavoro nell’ adunanza del 17 maggio 1877 del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere (Sugli Aracnidi di Grecia, in Rendiconti R. Ist. Lomb., serie II, vol. X, fas. 11, p. 323). I ARACNIDI 355 centi. Da quest’ esame mi risultò che a parecchie dovevansi re- stituire i nomi del Brullé, primo ad occuparsi dell’ aracnologia greca e ad illustrarle. Spero di aver colpito nel segno col dimo- strare che dobbiamo ora chiamarle così come ho detto nel testo, e che mi sarà fatta venia se, dalle troppo brevi ed incomplete descrizioni e dalle figure poco comprensibili dell’ Exploration scien- tifigue de Morée, non ho saputo indovinare meglio gli equiva- lenti nomi moderni. Ho escluso poi dal mio catalogo tutti quegli aracnidi che il Simon gratuitamente assegnò alla fauna ellenica e |’ ho corre- dato della loro distribuzione nei circostanti paesi e di note si stematiche a proposito di molte specie. La fauna greca, cul recano tenue tributo anche le ricerche del D'Albertis, ridotta ai limiti dei fatti accertati, risulta com- posta da 191 specie d’ aracnidi, comprese in 6 ordini, 25 fa- miglie e 83 generi. Paragonandola a quella d’ Italia, colle pub- blicazioni del prof. Canestrini e mie, della Palestina e Siria e dell’ Egitto, secondo il rev. Cambridge, della Russia meridio- nale, secondo il prof. Thorell, della Turchia col catalogo che io ne diedi |’ anno scorso, ecc. presenta in comune con: italia veisoler. ius. ba Sp. 00 Palestina es Sina ie.) ui bo Basso Weltto., . . . 2» 38 Durchiae Candia, .... |», 37 Russia meridionale. . » 35 Tunisia eee ee ae Ie 3 Dalmazia ed-isole’. (ita 19 Asia Minore ed isole. » 16 Questi rapporti riusciranno più intimi e reali, quando al- cuni dei suddetti paesi saranno più studiati dal lato aracnolo- gico. Ma, viceversa, la Grecia offre 67 specie esclusive sopra 191, quindi circa il 35 p.°/,, che discende al 28 per i ragni, ma sale all' 83 per gli opilioni; nel catalogo queste specie sono con- trassegnate da un asterisco (*) per distinguerle a prima vista. Nessun paese d’ Europa ne alberga altrettante in così piccolo 356 P. PAVESI spazio e tutto fa presumere che esse cresceranno anche in pro- porzione dell’ aumento generale, che subirà la fauna greca con nuove ricerche. La Turchia p. e. si riduce ad averne a mala pena il 15 p. °/) e l'Italia, che vanta una fauna aracnologica forse tripla della Grecia, non regge al di lei confronto. Io credo di spiegarmi questo fatto notevolissimo considerando I estrema divisione della Terra Achea in un gran numero di isole, le quali ognidove sono culla di specie proprie; in prova vediamo che queste assai più della metà sono insulari. Ad ogni modo la fauna in quistione risulta meridionale , me- diterranea ed orientale, dal contenere molti generi (Buthus, Iurus, solpughe, Lathrodectus, Loxosceles, Uroctea, Oecobius, Cyrtocarenum, Selenops, Eresus, ecc.) ed alcune specie, che non varcano certi limiti di latitudine e longitudine. Cl. ARACHNOIDEA. Ord. SCORPIONES. Fam. ANDROCTONIDAE. Gen. BUTHUS (Leach). 1. B. europaeus (Linné) 1754 (non 1758). Messene (Brullé, in testo: Buthus Dufoureius, in errata e stav.: Androctonus Du- foureius); Grecia (Gervais: Scorpius (Androctonus) occitanus ; Pavesi: Androctonus occitanus e Buthus europaeus). Hab. — Italia ('), Turchia?, Cipro, Egitto, Tunisia. (1) Mantengo la citazione « Italia » ad onta della replica del dott. -F. Fan- zago (Sullo Scorpius flavicaudus De-Géer, in Annuario Soc. Nat. Modena, X. 1877, fasc. 4.°) alla semplice osservazione, che gl’ indirizzai l’anno scorso (Aracn. turchi, in Atti Soc. ital. Sc. nat. XIX. 1876, p. 56, estr. p. 9). Dal fatto che manca nel Museo di Padova il Buthus europaeus L. 1754 (non 1758 ecc.) 0 occitanus 0 tunetanus, con provenienza italiana, o dal fatto che il Fanzago, nè altri oggidì siano riusciti a ritrovarlo in Italia, non deriva che questa specie sì debba espungere dalla nostra fauna, quando vi è riferita da parecchi autori. Il Fanzago scrive (a pag. 4) « Che il Gervais dia come italiano, oltre che dell’ Egitto, Grecia etc., lo Se. occitanus, è vero, ma l’accetti chi vuole , per me non ha forza di legge. Converrebbe sapere a che fonte I’ ha attinta ARACNIDI 307 Oss. — Dalla descrizione e figura del B. Dufoureius Brullé (Exped. sc. de Morée, Ill. I. 2, p. 58, tav. XXVIII; fig. 2) è quella notizia, chè più volte il Naturalista francese, nella sua Storia Naturale degli insetti atteri, lascia qualche cosa a desiderare. Il prof. Pavesi poi non ‘hain proposito osservazioni proprie, alle quali non avrei soggiunta parola ». Con ciò egli mostra d’ ignorare affatto che già Linné, nell’ ed. VI? del Systema naturae (Stockolmiae. 1748, p. 68), chiamandolo prima italicus, implicitamente ammise e, fissando poi il suo nome in europaeus nel Museum Regis Adolphi Friderici (Holmiae. 1754, p. 84) esplicitamente dichiarò che « Habitat in Italia = Bor i Italien ». Non occorre che io mi estenda adesso a dimostrare essere lo Scorpius europaeus L. 1754 il Buthus in discorso e non lo scorpione gene- ralmente chiamato europaeus, ossia una forma di Euscorpius, avendo già suf- ficientemente trattata la quistione il prof. Thorell (On the Class. of Scorpions, in Ann. a. Mag. of Nat. Hist. 4.2 serie, XVII. 1876, p. 7, nota 2; Etudes scorpio- ‘logiques, in A®ti Soc. ital. sc. nat. XIX. 1876 (ed. marzo 1877) p. 165 (91), 206 (132), 207 (133), 211 (137)). Se al dott. Fanzago non pareva di accettare quella indica- zione di patria del Gervais, doveva per lo meno mettere il Buthus europaeus in appendice, come « species invisa » ed incerta per la nostra fauna, ma non mantenere al proposito l’ assoluto silenzio in un lavoro, che si annuncia col titolo: Monografia degli scorpioni italiani (Atti Soc. Ven. Trent. Sc. nat., I, 1872, p. 85, tav. III). È il buon metodo universalmente adottato, perchè non ‘ci sarebbe più progresso se dovessimo soltanto basarci sui fatti verificati da noi medesimi, si comincierebbe sempre da capo se non ci fondassimo un poco anche su la tradizione o le indicazioni altrui, quando non si provino insussi- stenti, gratuite o false. Ora noi abbiamo nessun diritto d’ impugnare l’as- serto di Linnè, che non può essersi immaginata la patria dell’europaeus 1754; e, ripeto, tentando nuove ricerche lo troveremo senza dubbio, perchè é una specie che vive nei dipartimenti meridionali della Francia attigui alla nostra Liguria e forse in tutto il littorale mediterraneo. Il dott. Fanzago però non si limita ad attaccarmi su questo punto ; l’ ultima sua noticina scorpiologica sembra scritta apposta contro di me, come non risponde affatto al titolo, di cui l’autore abusa per infliggermi lezioni più o meno aspre e non provocate, senza dire alcun che di nuovo intorno all’ ar- gomento principale. Io non risponderò certo alla chiusa, lasciandone a chiun- que una sentenza imparziale, per restringermi a replicare sulla parte scien- lifica. In primo luogo dirò che, imprendendo l’esame critico di una specie, * fa d’ uopo ricorrere alle fonti e non sì va a prestare le descrizioni di seconda mano, come fa il Fanzago quando comincia così « Paolo Gervais caratterizza lo Sc. flavicaudus De-Géer colle seguenti parole: ..... ». Eglì poteva piut- tosto riferire e discutere la frase e la descrizione del De-Géer (Mémoires pour servir AV’ histoire des Insectes, VII. 1778, p. 339, tav. 40, fig. 14-13), chè forse non avrebbe scritto cosi facilmente e troppo leggermente concluso in siffatto modo (p. 2-3) « io riteneva che lo Sc. flavicaudus di De-Géer restasse senza significato; non era opportuno porre in sinonimia di questa non definita e che lasciava sempre dietro a se il dubbio, una specie ben definita ed ampia- mente descritta da più Autori. Inspirato a questo principio, nella mia mo- nografia succitata, esclusi del tutto lo Scorpio del De-Géer ». Questo principio urta contro le leggi finora stabilite della nomenclatura, trattandosi tanto più di una specie al contrario definita, pubblicata e figurata dal De-Geér ; con si- 358 P. PAVESI difficile poter concludere se piuttosto a questa specie, o al pe- loponnensis C. L. Koch esso appartenga. Quanto al numero dei mile ragionamento saremmo tenuti a cassare tutte le specie di Linnè, di Fabricius, ecc. Ma è più sorprendente il periodo che fa subito seguito, quan- tunque apparisca che dovrebb' esserne staccato col mezzo d’ un altro che tro- vasi più in basso: cioé, dopo aver riferita lV’ informazione, scrittaglitdal prof. Thorell, che il flavicaudis De-G. corrisponde al massiliensis di Koch, dice « questa notizia è sorta per una fortunata circostanza che non altera meno- mamente la regola che in simili casi devesi seguire ». Dunque una penosa ricerca bibliografica e complicata discussione, l’esame e la determinazione di tipi del De-Géer, per cui viene decisa in appello una sinonimia, sono fortuiti e la regola sarebbe di respingere un nome così stabilito?! È vero che questa « regola » ha il merito di essere affatto nuova e che non potrà essere adot- tata che dal suo autore! Né appena il massiliensis Koch dovrà tradursi in flavicaudis De-G. nella monografia del Fanzago. Il Thoreb (Etud. scorp., p. 211 (137) nota) ha or ora dimostrata anche erronea la sua determinazione del provincialis, che non è il provincialis Koch, ma il carpathicus Linn.; ed a me pare altresì assai dubbio che l’ aquilejensis Fanz. sia l’ aquilejensis Koch, specie molto più grande, che non ha la stessa forma di mano né equidistanti le caratteristiche fossette del palmo della mano, come figura il Fanzago (fig. 6), ma « es befinden sich drei Griibchen in der gewòhnlichen Reihe, wovon das hintere weiter als das vordere von dem mitlern entfernt steht » (C. L. Koch. Die Arachn. III, p. 101, fig. 244). Quindi il dott. Fanzago venne ad au- mentare la confusione che già esisteva a riguardo dei supposti otto Ewscorpii nostrali, che insieme cogli europei in genere, attendono tuttora una mono- grafia seria dalla penna d'un valente aracnologo, il quale avesse a disposi- zione un gran numero di esemplari e dì forme, specialmente dalle prove- nienze di quelle del Koch, tanto a tbrto riunite sotto i nomi di europaeus 0 di flavicaudis, quanto a torto distinte ed elevate tutte al grado di specie. Non voglio dire con ciò che l’unica specie nuova pubblicata dal Fanzago, lo Se. Canestrinii, sia da confondersi con altre ed anch’ io l’ ho ritenuta valida nella memoria: Le prime crociere del Violante (Aun. Mus. civ. Genova, VIII. 1876, p. 430 (26)): è una specie che differisce dal carpathicus anche per la coda più esile, carattere di cui il Fanzago non fa cenno. A tal proposito anzi sono ben lieto di sentirmi « rammentare » che il chiar. prof. Targioni-Tozzetti (Annuario scient. industr. Anno IX. 1872 (non 1873) parte II, p. 512 (non 912)) ha trovato pure sui monti pisani questa nuova specie. La quale indicazione» non mi sarebbe sfuggita, e non avrei scritto che il Canestrinii è esclusivo della Sardegna, siccome sono solito a fare tutte le indagini bibliografiche ne- cessarie, se non fosse stata data per incidenza in un’opera destinata più al popolo che agli specialisti, i quali conoscono già i lavorì di cui tratta lAn- nuario prima di quando esca alla luce. Non giungo poi a comprendere cosa abbia voluto dire il Fanzago con queste parole « Anche nella vecchia rac- colta del Museo di Padova esisteva un Androctonus stenelus di Koch, ma l'ho trovato legato assieme a due esemplari del funestus provenientì dall’ Al- geria (p. 4) ». Forse ch'egli crede che lo stenelws sia proprio sinonimo del- l’europaeus, come io ho supposto (Aracn. turchi, p. 56 (9)), contrariamente al Simon, che lo pensa un leptochelis Hempr. Ehr. (Avachn. de Syrie, in Ann. Soc. entom. Fr., 5.° serie II. 1872, p. 250) e vuol escludere l’ idea di una pro- ARACNIDI 359 denti dei pettini vi é discordanza fra il testo e le tavole; un numero così basso (10-11) com'è indicato nel testo è assai im- probabile nel genere Buthus, invece va meglio il numero (21) che si osserva nella tavola (fig. 2.9). Per questa ragione si avvicinerebbe dippiù al peloponnensis (che ne ha da 20 a 30 secondo C. L. Koch, 21-24 secondo Simon), mentre le di- verse forme di Buthus, descritte e figurate dal Koch hanno sempre un numero superiore (25-28 circa) di denti dei pettini. Ma il peloponnensis ha coda più robusta; la bolla velenifera gra- nulosa alla superficie e non liscia come nel Dufoureius; den- tellature e non lobi alle carene inferiori del 5.° articolo; il 3.° degli occhi laterali maggiori un po’ più in basso degli altri e non sulla medesima linea retta, e la carena dei tubercoli so- praciliari abbassata e non sollevata sopra di esso, come vedesi dalla figura (2.2) del Dufoureius. Nessun altro carattere pos- siamo rilevare in questa specie del Brullé fuorchè il colore. Ora esso è detto verde scuro e nerastro sul corpo, rossastro pallido alle zampe e al segmento terminale della coda, nero all’ uncino; ciò che si osserva nell’ Androctonus ajax di Koch (Arachn. VI, p. 53, tav. CXCIII, fig. 467), messo tra 1 sinonimi o varietà locali dell’ ewropaeus o tunetanus anche dal Simon (Arachn. de Syrie, p. 251), mentre il peloponnensis è interamente giallo con venienza italiana anche dell’ esemplare del Museo di Padova? Ma le raccolte antiche dei nostri Musei, prive in generale di indicazioni precise di patria, non sì devono citare nelle faune, altrimenti rischieremmo di emulare p. e. quel tal Prodromo della fauna cremonese, che conterebbe, secondo l’autore fortunatamente ignoto, lo scoiattolo volante, gli avoltoi papa e grypnus , il Serpentarius, la Diomedea exulans e via dicendo. Tutto il resto della noti- cina del Fanzago non paga la pena di parlarne, e sarebbe stato molto più utile alla scienza una seconda edizione della sua Monografia, dove egli si cu- rasse anche delle citazioni italiane di scorpioni nostrali, invece di dir tutto a nuovo, facesse molte necessarie aggiunte nella parte critica delle specie, ne desse più accurate descrizioni e cancellasse non pochi errori, quale sarebbe di dire che il numero delle lamelle dei pettini « non varia tra gl’ indi- vidui di una medesima specie » (p. 77, estr. p. 3). Nemico dei petegolezzi e scevro da ogni animosità contro chi mi permetto di criticare a vantaggio dei nostri studii, coll’ esprimere il mio debole pa- rere e senza pretendere all’ infallibile, termino questa nota dichiarando che non risponderò più a qualunque pubblicazione che per avventura il dottor Fanzago credesse di fare di nuovo contro di me su tale argomento. 360 P. PAVESI 3 striscie brune sul dorso, giallo chiaro all’ ultimo articolo della coda, che ha il pungiglione rosso-bruno. I caratteri orismologici e di colore del Dufouwreius combinano abbastanza bene con quelli dell’ ewropaeus da autorizzarmi a crederlo sinonimo. 2. B. peloponnensis (C. L. Koch). Grecia (0. L. K.: An- droctonus ; Sim., Pavs.). Hab. — Asia minore. Fam. PANDINIDAE. Gen. IURUS Thor. 3. I. gibbosus (Brullé). Morea (Brullé: Buthus ; Gerv.: Scor- pius; ©. L. Koch: Buthus granulatus; Lucas: Scorpius gibbus laps. typ.; Pavs. 1876: Huscorprus); Grecia (Thor. 1877: Lurus granulatus). Hab. — Is. Candia, Rodi; Egitto. Oss. — La descrizione di Brullé (E£xpéed. sc. de Moree, Il. I. 2, 1832 p. 57, tav. XXVIII, fig. 1) del suo Buthus gibbosus è quasi incomprensibile e non corrisponde manco alle figure, nè per molti caratteri organici, nè pel colore, tanto che si po- trebbe quasi sospettare uno scambio di segnatura col B. Du- foureius; ma la figura ricorda troppo bene il Buthus granulatus C. L. Koch (Arachn. IV. 1838, p. 46, tav. CXXII, fig. 279). Io (Aracn. turchi, p. 57 (10)) | ho riferito al genere Huscorpius sulla fede di Gervais (Jas. apt., III. p. 66) e di Lucas (Artie. de Créte, in Rév. et Mag. Zool., serie 2.2, V. 1853, p. 52%) che lo danno per uno Scorpius p. d.; ma ora che posso consul- tare a bell’ agio l opera di Brullé correggo sollecitamente I’ er- rore in cul sono caduto, perchè esso non è uno Scorpius, bensi un Buthus nel senso antico, avendo 3 e non 2 occhi laterali mi- nori, come vedesi dalle figure 1.2, 1.” La forma e lunghezza del cefalotorace, particolarmente l'incisione del margine anteriore e la forma dei lobi frontali: la posizione e reciproca distanza degli occhi dorsali e laterali : le due linee di granulazioni che partono da questi ultimi e convergono agli occhi dorsali: la ARACNIDI 361 forma della coda e specialmente del 1.° articolo più stretto al- l’indietro: le coste granulose dei palpi, i denti robusti del lato interno del braccio e sopratutto la forma e le coste granulose della mano, visibilissime nella figura : il numero dei denti dei pettini (benchè nella descrizione indicati 22-23, nella fig. 1.° soltanto 9 e sono 10-11 secondo Koch, 13-14 secondo Thorell): il colore bruno-rossastro più chiaro sulle zampe (quantunque nella descrizione detto giallo sporco, un po’ verdastro sul corpo): le considerevoli dimensioni (lungh. totale Q 70™™, 7 55 sec. Brullé; 1.' 9" sec. C. L. Koch; 9 fino a 100™™ 7 68 sec. Thorell) sono tutti caratteri del Buthus granulatus di Koch, ri- ferito al nuovo genere Jurus da Thorell (Étud. scorp., p- 193 (119)) che ne descrisse per la prima volta il maschio. Brullé lo dice comunissimo nella Morea, il che avvalora la mia opinione, essendo ben poco probabile che il dott. Schuch abbia preso del pari in Morea e spedito al Koch un altro scorpione del medesimo tipo del Buthus gibbosus qual sarebbe il granulatus. Il nome di Brullé ha la priorità. Gen. EUSCORPIUS, Thor. 4. E. carpathicus (Linn.) 1767. Messene (Brullé, in testo: Buthus terminalis, in tav. ed errata: Scorpio); Is. Antiparo! Hab. — Italia, Turchia, Monti Carpazii, ecc. Oss. — Gervais (Ins. apt. III, p. 67) e Lucas (Artic. de Crete, p.527) riferiscono indubbiamente al flavicaudis De-G. il terminalis Brullé (Expéd. Mor. III. I. 2, p. 59, tav. XXVIII, fig. 3), fi- gurato e descritto su di una femmina. Ma il flavicaudis, partico- larmente la femmina, è più grande, ha diverso colore del tronco e delle zampe, d’ ordinario 10 lamelle ai pettini, ecc.; invece la grandezza totale (28 mill.) e la forma del corpo del terminalis, la sottigliezza e brevità della sua coda, eguale o minore del tronco, il numero delle lamelle dei pettini (9 7, 2 8), il colore bruno-scuro del dorso e verdastro del ventre, rossastro delle zampe e dell’ ultimo articolo della coda, che ha nero I aculeo, sono proprii del carpathicus Linn. (= S. provincialis Fanz. non 362 P. PAVESI Koch), a cui io credo di porlo in sinonimia. Questa revisione sa- | rebbe certa se il Brullé avesse detto il numero delle fossette ocelliformi del palmo della mano e della superficie inferiore del braccio, che costituisce oggidi il più importante carattere per la difficile determinazione delle specie di questo genere. Non si comprende poi perchè l’autore lo confronti collo S. lepturus Pal. de Beauv. d’ Africa e non colle specie gia note d’ Europa. “5. E. naupliensis (C. L. Koch) Grecia: Nauplia (0. L. Koch: Scorpius). Oss. — L'autore lo confronta (Arachn. X, p. 19) coll’ italieus Herbst, dal quale differirebbe per la coda più esile, una fos- setta ocelliforme di meno al palmo della mano, coste dei palpi liscie , ecc. Ord. PSEUDOSCORPIONES. Fam. CHELIFERIDAE. Gen. CHEIRIDIUM, Menge. 6. Ch, museorum (Leach). Grecia (Stecker, Pavs.). Hab. — ‘Italia, Turchia, Russia; ecc. Gen. CHERNES, Menge. 7. C. cimicoides (Fabr.). Grecia (Steck., Pavs.). Hab. — Italia, Turchia, Russia, ecc. Gen. CHELIFER, Geoffr. 8. C. meridianus, L. Koch. Grecia (L. Koch, Steck.). Hab. — Italia. | 9. * C. heterometrus, L. Koch. Sira (L. Koch, Pavs.); Isole | greche (Steck.). ARACNIDI 363 Gen. OLPIUM, L. Koch. 10. * 0. dimidiatum, L. Koch. Isole greche (L. Koch, Steck.). 11. * 0. graecum, L. Koch. Grecia (L. Koch, Steck.). 12. 0. Hermanni (Sav. Aud.). Grecia L. Koch, Steck., Pavs.). Hab. — Is. italiane, Turchia, Egitto, Tunisia. Fam. OBISIDAE. Gen. OBISIUM, Ill. 13. * 0. manicatum, C. L. Koch. Grecia (L. Koch, Steck.). 14. 0. muscorum, C. L. Koch. Grecia (L. Koch. Steck.). Hab. — Italia e is. Ord. SOLIFUGAE. Fam. GALEODIDAE. Gen. GALEODES, Oliv. 15. G. graecus, C. L. Koch. Argolide: dint. di Nauplia, Arcipelago (Brullé: G. araneoides); Grecia (C. L. Koch 1836: G. araneoides, Arachn. fig. 164-65; id. 1842 Gerv., Butl., Pavs.). Hab. — Sardegna?, Turchia, Russia merid., Candia ? Gen. SOLPUGA (Herbst e Licht.). 16. S. scenica, Herbst. Grecia (Herbst, Gerv., Butl., Pavs.). Hab. — Italia e is.? Candia. 17. S. tarda, Herbst. Grecia (Herbst, Butl., Gerv.). Hab. — Italia e is.? Oss. — Secondo Butler (List. of Galeod., in Trans. entom. Soc. London for 1873, p. 428) forse è la femmina della precedente. 364 P. PAVESI Ord. OPILIONES. Fam. PHALANGIDAE, Gen. EGAENUS (C. L. Koch). 18. E. crista (Brullé). Morea: Coron (Br.: Phalangium); Attica (C. L. Koch: Zacheus mordax + Z. trinotatus); Grecia (Gery. : Zacheus; Pavs.: Egaenus). Hab. — Italia, Dalmazia, Turchia. Oss. — La descrizione di Brullé del Phalangium crista (Expéd. Morée, Ill. I. 2. 1832, ‘p. 60, tav.\XXVIII, fig. 12),* quan tunque imperfetta, corrisponde esattamente al Zacheus mordax C. L: Koch 7 (Arachn. V. 1839, p. 152, tav. CLXXX, fig. 431); la figura è quasi incomprensibile, ma ci offre un carattere im- portante non indicato nel testo, cioè la maggiore lunghezza del IV paio di zampe (femore + patella + tibia + metatarso) in confronto del II. Gervais (dns. apt. II, p. 125) lo riferisce nel gen. Phalangium, al quale appartengono specie di tipi assai di- versi e ricorda più avanti (p. 462) il Zacheus mordax di Koch, senza avvedersi della sinonimia, come tutti gli altri autori. Il nome di Brullé ha la priorità ed egli lo desume dal tubercolo oculare spinoso, per altro proprio di molti opilioni. Gen. ACANTHOLOPHUS (C. L. Koch). 19. * A. coronatus, L. Koch. Is. Sira (L. K.). Gen. PLATYLOPHUS (C. L. Koch). 20. * P. grandissimus, C. L. Koch. Grecia (C. L. Koch). Gen. PHALANGIUM (Linné). 21. Ph. luridum, (C. L. Koch). Grecia: Atene (C. L. Koch: Opilio). ARACNIDI 365 Hab. — Italia e is., Palestina, Tunisia. 22. * Ph. pristis (L. Koch) Corfu (L. Koch: Opilio). 23. * Ph. vorax (L. Koch). Sira (L. Koch: Opilio). 24. * Ph. militare (C. L. Koch). Grecia (C. L. Koch: Opitio). Oss. — Fu sempre mantenuto dal C. L. Koch nel gen. Opilio , ma parmi che per la conformazione delle mandibole avrebbe dovuto essere riferito al gen. Cerastoma, ora abolito dal Thorell (Opil. europ. e asiat., in Ann. Mus. civ. Gen. VIN. 1876, p. 456 (7)) siccome fondato su caratteri proprii del solo sesso maschile. Questa specie non è citata nei quadri sinottici del dott. L. Koch (Fam. der Opilion. 1869). 25. * Ph. praefectum (L. Koch). Sira (L. Koch. Opitio). Oss. — Anche questo opilione apparteneva al gen. Cerastoma, vedi L. Koch Fam. d. Opil., p. 157. 26. * Ph. (?) obliquum (C. L. Koch). Grecia (C. L. Koch: Opilio). Oss. — Non è annoverato nei quadri sopracitati del dott. L. Koch. Esso e i due seguenti sono d’ incerta sede nella classifi- cazione nuova del prof. Thorell (op. cit.), avendo un processo o lobo al lato interno della patella o tibia dei palpi, come nei Platylophus, a cui però non si possono riferire per altri ca- ratteri. 27. * Ph. (?) instratum (L. Koch). Sira (L. Koch. Opilio). 28. * Ph. (?) laevigatum (L. Koch). Sira (L. Koch: Opitio). Fam. NEMASTOMIDAE. Gen. NEMASTOMA, C. L. Koch. 29. * N. humerale, C. L. Koch. Grecia: Nauplia (0. L. Koch). Oss. — Non è citato nei quadri del dott. L. Koch (op. cit., | p. 164-65). 30. * N. superbum, L. Koch. Is. Naxos (L. K.). 31. * N. globuliferum, L. Koch. Is. Sira (L. Koch). 32. * N. spinosulum, L. Koch. Grecia (L. K.). 366 P. PAVESI 33. N. aurosum, L. Koch. Grecia (L. K.). Hab. — Italia (1). Gen. DICRANOLASMA, Soer. 34. D. opilionoides (L. Koch). Corfù (L. Koch: Trogulus). Oss. —- Gli autori che si sono meglio occupati di tal gruppo d’aracnidi, cioè Soerensen (Bidrag til Phalang. Morph. og Syst. in Natur. Tidsskr. 1873, p. 517) e Thorell (Opel. ewrop. e asiat. 1876, p. 508 (59)) s’ accordano nel riferirlo a questo genere; tuttavia, considerando che le zampe non sono più lunghe del tronco o lo superano di poco, che il tronco è convesso al di sopra con cefalotorace rotondato all’ innanzi e coperto di papille o setole, esprimo il dubbio che possa essere piuttosto un Anelasma. Gen. TROGULUS, Latr. 35. * T. ligaeiformis, C. L. Koch. Grecia (C. L. K.). (‘) Il prof. Canestrini l’ ha dimenticato nell’ Enumerazione generale degli Opilionidi italiani (Oss. Aracn., in Atti Soc. Ven. Trent. sc. nat., III, fasc. 11 1876 p. 216 (14) ), mentre egli stesso l’ aveva descritto e figurato nella prima memoria (Opil. Ital., in Ann. Mus. civ. Gen. II. 1872, p. 10, tav. II, fig. 3) su esemplari del Monte Rosa e del Gantone Ticino, che il march. G. Doria ed io gli avevamo comunicati. Le 46 sp. elencate dal Canestrini devonsi portare oggidì a 57 per la necessaria aggiunta delle seguenti: Acantholophus longi- setus, Thor. : Firenze (Thor.) — Phalangium Gestroi, Thor.: Sardegna (Thor.) — Ph. nicaeense, Thor. : Nizza (Thor.) — Astrobunus Kochii, Thor. : Liguria (Thor.) — Sclerosoma sicanum (Pavs.): Palermo (Pavs.) — S. sardum, Thor.: Sardegna (Thor.) — Jschyropsalis manicata, L. Koch : Canton Ticino (Pavs.) — Nemastoma aurosum, L. Koch: Cant. Ticino, Monte Rosa (Canestr.) — Di- cranolasma Soerensenii, Thor.: Nizza (Thor.) — D. cristatum, Thor.: Firenze (Thor.) — Trogulus albicerus, Soer.: Gennazzano (Soer.). Oltrecehè bisogna ag- giungere molte località nuove per diverse specie e cambiare i nomi di Opilio parietinus e Leiobunum haemisphaericum in quelli di Phalangium Cane- strinii Thor. e Liobunum limbatum L: Koch, poichè il Thore!l ha dimostrato (op. cit. p. 485 (36), 493 (44) ) che le determinazioni del Canestrini si riferiscono ad altre specie. Il Trogulus coreiformis C. L. Koch, da me indicato pel Canton Ticino (Mater. per una fauna del C. Ticino, in Atti Soc. ital. Sc. nat. XVI. 1873, p. 28 (5) ) e non citato dal chiar. collega di Padova, è forse un’ altra specie, che non posso rideterminare non avendo gli esemplari sott’ occhio. ARACNIDI 367 Ord. ARANEAE. Fam. EPEIRIDAE. Gen. ARGIOPE, Sav. Aud. 36. A. lodata (Pall.). Morea (Brullé: Zpeira sericea ; Pavs.), Is. Santorino! Is. Cerigo! Hab. — Italia ed is., Istria, Dalmazia, Turchia, Russia mer., Asia minore, Palestina, Egitto, Tunisia. 37. A. Briinnichii (Scop.). Messenia e Arcadia (Brullé: Epeira fasciata); Grecia (Walck.: E. fasciata; C. L. Koch: Nephila transalpina; Canestr. e Pavs.: Nephila fasciata ; Pavs.). Hab. — Italia ed is., Istria, Dalmazia, Turchia, Russia me- rid., Candia, Egitto. i 38. * A. impudica, L. Koch. Is. Tinos (L. Koch: Argyopes). Gen. EPEIRA (Walck.). N.B. — L’ E. grossa C. L. Koch, indicata anche di Grecia dal signor Simon (Hist. nat. Araign. 1864, p. 495) non può ammettersi per ora in questo Catalogo; sì .trova tuttavia in alcuni paesi confinanti colla regione ellenica. 39. E. circe, Sav. Aud. Grecia (C. L. Koch: E. Schresbersi + pectoralis; Pavesi: E. Schreiberst e circe), Is. Santorino! Hab. — Italia, Dalmazia, Turchia, Russia merid., Palestina, Egitto, Tunisia. 40. E. cornuta (Clerck). Grecia (C. L. Koch: E. arundi- nacea; Pavs.). Hab. — Italia, Turchia, Russia merid., Palestina, Tunisia. 41. E. variegata (Brullé) non Risso. Le-Magne, dint. di Scardamula (Br.: Theridium), Nauplia (C. L. Koch: Atea subfusca); Grecia (Simon' 1864: E. sg. Altea subfusca). Hab. — Italia e is., Dalmazia, Turchia. i Oss. — Il Theridion variegatum Brullé (Expéd. scient. de Mo- fee, lik. (I°"2, 1882, p. 52, tav. XXVIII, fig. 8), descritto 368 P. PAVESI assai brevemente e figurato male, non appartiene affatto ai te- rididi, ma è un’ “pera. Ciò risulta subito dall’ ispezione della figura degli occhi (8.8) essendo i laterali molto distanti dai mediani, obliqui e quasi contigui, ed il quadrilatero mediano un pochino più largo all’ avanti; il clipeo assai basso, le zampe del I paio più lunghe delle altre. Anche la descrizione del ce- falotorace , troncato dritto, più stretto nel terzo anteriore, cogli occhi salienti, cuoriforme in complesso, corrisponde a quello di un’ “petra. Quanto dicesi poi del colore del corpo parmi che non si possa riferire ad altro che alla femmina dell’ £. dalmatica Dol. Per verità le descrizioni di questa specie di Doleschall (Syst. Verz. Oesterr. Spinn., in Sitzungsber. math. naturw. Wien, IX. 1852, p- 648), di Thorell (Rem. Syn., p. 549) e di Simon (Arachn. de France, I, p. 69) non sono conformi. Così questi ultimi non parlano della macchia gialla cuoriforme del dorso dell’ addome, indicata dal Doleschall (ancie Brullé direbbe l addome bruno un po’ giallastro in mezzo); Thorell dà più grossi gli occhi me- diani posteriori e Simon gli anteriori; Simon assegna all’ £. #- libata Sim. (Aran. nouv. ou peu conn. du midi de l Europe, Ig p. 44, in Mém. Soc. roy. sc. Liége. 1870), messa in sinonimia della dalmatica dallo stesso autore, un cefalotorace fornito di peli bianchi (come nella specie di Brullé), mentre poi alla dal- matica un cefalotorace quasi glabro, ecc. La descrizione del Th. variegatum di Brullé non è meno confacente all’ £. dalmatica di quella del Doleschall e forse più chiara; potrebbesi anche du- bitare che fosse fatta su l £. agalena Walck. o triguttata Fabr. oppure sulla Stwrmi Hahn, ma le dimensioni molto mag- giori (10 mill.) allontanano il sospetto e depongono sempre più per l'identità colla dalmatica. Quando poi si ritenga sinonima di quest’ ultima |’ Atea subfusca C. L. Koch (Die Arachn., XI. 1845, p. 140, tav. CCCXCI, fig. 939), come ammette Simon (Arachn. de France, I, p. 68), che fu presa pure in Morea, la mia in- terpretazione acquista maggior valore. Il nome imposto da Brullé e derivato dagli anelli bruni all’ apice dei principali articoli delle zampe, proprii del resto di quasi tutte le Epeire, ha la priorità e dev’ essere mantenuto, se non vi è altra specie omonima del ARACNIDI 369 medesimo genere anteriormente descritta; l’ 2. variegata Risso (Hist. nat. des princ. prod. de l’ Eur. mér., V. 1826, p. 170) è già passata in sinonimia della Meta segmentata (Clerck) e non oppone più alcun ostacolo. 42. E. adianta, Walck. Grecia (C. L. Koch: Miranda pictilis; Walck., Canestr. e Pavs., Zimm., Pavs.). Hab. — Italia e is., Russia merid., Crimea. 43. E. Armida, Sav. Aud. Grecia (Walck.). Hot: — Italia, e is., Palestina, Tunisia. 44. * E, impedita, L. Koch. Corfù (L. Koch, Sim.). Gen. CYRTOPHORA (Sim.). N.B. — Oltre le specie sottocitate, Canestrini ed io ab- biamo indicato di Grecia la C. cétricola (Forsk.) (Aran. Ital., in Atti Soc. ital. sc. nat. XI. 1868, p. 841 (104): Epezra opuntiae), ma nessun autore le dà anche questa patria; è tuttavia proba- bile che vi si trovi perchè vive in parecchi paesi finitimi, Italia ed is., Palestina, Egitto, ecc. 45. C. insulana (O. G. Costa). Is. Tinos (Ausserer: C. tritu- berculata). Hab. — Is. Rodi, Italia ed is., Tunisia. 46. * C. argentea, Auss. Corfu (Auss.). Oss. — Dubito che sia il giovane del maschio dell’ cnswlana. Gen. SINGA, C. L. Koch. N.B. — Oltre le specie seguenti, Simon (Mist. nat. Araign. 1864, Cat. synon. Araign. d’ Europe, p. 489) assegna alla Grecia la S. nigrifrons C. L. Koch (= S. Herù Hahn, var. nigrifrons C. L. K.), il che non è accertato, sebbene sia pro- babile, perchè vive anche in Italia, Russia mer., Palestina, ecc. Simon non poteva allora fondarsi che sulle indicazioni di C. L. Koch, il quale la descrisse invece di Erlangen. 47. §. semiatra, L. Koch. Corfù (L. Koch). Hab. — Italia, Russia mer., Palestina ?, Egitto? Ann. del Mus. Civ. di St. Nat. Vol. XI. (28 Gennaio 1878). 24 370 P. PAVESI Oss. — Lo stesso dott. L. Koch (in Ausserer, Newe Radspinn., p. 827) e Thorell (Rem. Syn., p. 458) dubitano che la S. se- miatra sia identica con la ducina Say. Aud., ed Hermann (Un- gar. Spinn., I, p. 98) mostra di ammettere ciò senz’ altro; pare però che la /ucina sia ben diversa e quindi adotto il nome di semiatra, anche ad imitazione di Simon (Arachn. de Fr. I. 1874, p. 122-23) e Thorell (Siidruss. Spinn. 1875, p. 19). 48. §. albovittata, Westr. Is. greche, Corfù (Auss.: Singa gr. Hypsosinga). Hab. — Italia ed is., ecc. Fam. THERIDIDAE. N.B. — Fra i terididi Simon annoverò di Grecia (Hist. nat. Araign. 1864, p. 232, 468) il Bolyphantes stramineus C. L. Koch (= Linyphia luteola Blackw. var.?) ed il Phrurolithus pallipes C. L. K. (= Asagena phalerata (Panz.)?); non abbiamo argo- menti per appoggiare quell’ asserzione. Gen. EPISINUS, Walck. 49. E. truncatus, Walck. Morea (Brullé). Hab. — Italia e is., Russia mer. Gen. THERIDIUM, Walck. N.B. Simon (Catal. syn. Araign. Eur. 1864, p. 464) indicò di Grecia anche il Th. (Steatodum) reticulatum C. L. Koch (non Hahn), ma è di Boemia. 50. Th. sisyphium (Clerck) Nauplia (C. L. Koch: Th. auli- cum = nervosum var. C. sec. Walckenaer, Ins. apt. II, p. 302); Grecia (Walck.: Th. nervosum, Pavs.). Hab. — Italia e is., Russia merid. 51. * Th. tenellum, C. L. Koch. Nauplia (C. L. K.). 52. * Th. margaritatum, L. Koch. Is. Tinos (L. Koch). ARACNIDI SS Gen. STEATODA, Sund. 53. S. triangulosa, (Walck.). Morea (C. L. Koch: Theridium venustissimum,; Walck.: Theridion triangulifer); Grecia (Ca- nestr. e Pavs.: Th. triangulifer; L. Koch. Th. triangulosum ; Pavs.). Hab. — Italia e is., Turchia, Russia merid., Egitto, Tunisia. Gen. LITHYPHANTES, Thor. 54. L. Paykullianus (Walck.). Nauplia (C. L. Koch: Phru- rolithus hamatus + Phr. lunatus); Grecia (Walck.: Theridion Paykullianum ; Simon 1864: Theridio sg. Phrurolithum lunatum + amatum, Phr. hamatum, Canestr. e Pavs.: Theridium Pay- kullianum ; Simon 1873: Lithyphantes dispar; Pavs.: Lith. ha- matus + L. dispar, L. Paykullianus). Hab. — Italia e is., Turchia, Siria, Egitto, Tunisia. 55. L. grossus (C. L: Koch). Morea (C. L. Koch: Theridium ; Walck.: Theridion), Grecia (Simon 1864: Theridio sg. The- ridium). Hab. — Ritrovato soltanto all’ is. Serk nella Manica. Oss. — Walckenaer (Ins. apt. IT, p. 328) trovò che ha molte affinità coi Lathrodecti, ma non potè riferirglielo per la disposi- zione degli occhi; Blackwall (Notes on Spiders, with Descr. of sev. Spec. supposed to be new to Arachn., in Ann. a. Mag. of Nat. Hist., 3.4 serie, XX. 1867, p. 211) lo cita nel gen. The- ridium e ripete che è affine ai Lathrodecti. Nella descrizione degli occhi quest’ ultimo autore scrive che i mediani formano un trapezio più stretto e che i laterali sono contigui; Koch li figurò invece soltanto vicini. Comunque sia trattasi evidentemente di un Lithyphantes. 56. * L. bicolor (Brullé) Laconia (Brullé : Theridion). Oss. — Questa specie di Brullé (ped. se. Morée, IN. I. 2. 1832, p. 51, tav. XXVIII, fig. 6) è I unica dei tre Therd da lui descritti come nuovi che possa mantenersi nella famiglia. SIR P. PAVESI Però non è un Theridium p. d., perchè gli occhi (fig. 6.2) la- terali non sono contigui, quantunque vicini; bensì un Lithy- phantes anche per la poca altezza del clipeo, per la lunghezza delle zampe del I paio maggiore delle altre, per la notevole grossezza (10 mill.) e per il sistema di colorazione a cefaloto- 1ace e zampe nere, eccettuate la base e l'estremità di queste, che sono bruno-rossastre. Il colore dell'addome grigio-chiaro, cosparso di punti e peli neri disordinati, se fu sufficientemente descritto, non è proprio di alcuna specie che io conosca; in par- ticolare le due che vivono anche in Morea, qui sopra citate , son ben diverse. Ho conservato il nome di bicolor perchè non mi pare che faccia doppio uso nei Lithyphantes, mentre nel gen. Theridium \’ adoperarono Hahn, Lucas, ecc. Gen. LATHRODECTUS, Walck. 57. L. 13-guttatus (P. Rossi). Morea (Brullé: Theridion), Nauplia (C. L. Koch: Meta hispida; Walck.: Latrodectus hi- spidus); Grecia (Simon 1864: Latr. hispidus ; Thor.). Hab. — Italia e is., Russia merid., Siria e Palestina, Egitto, Tunisia insulare. 58. L. Schuchii (C. L. Koch). Grecia (C. L. Koch: Meta; Walck. e Simon: Latrodectus ; Thor.). Hab. — Ritrovato soltanto nella Spagna e in Tunisia. Fam. SCYTODIDAE. Gen. PHOLCUS, Walck. 59. Ph. phalangioides (Fuessl.). Grecia (C. L. Koch e C. Koch matt.: Ph. nemastomoides ; Pavs.); Is. Santorino! Is. An- tiparo! Hab. — Italia e is., Russia merid., Asia minore, Candia, Egitto. 60. Ph. rivulatus (Forsk.). Nauplia (C. L. Koch: Ph. im- pressus); Grecia (van Hasselt, Pavs.). Hab. — Italia e is., Is. Scio, Palestina, Egitto, Tunisia. ARACNIDI ale Gen. SCYTODES, Latr. 61. S. thoracica, Latr. Nauplia (C. L. Koch: S. tigrina); Grecia (Simon 1864: S. thoracica var. tigrina; Walck., Pavs., C. Koch. matt.). Hab. — Italia e is., Russia merid., Candia, Palestina, Egitto, Tunisia. Gen. LOXOSCELES, Hein. e Lowe. 62. L. erythrocephala (C. L. Koch). Nauplia (C. L. Koch: Seytodes ; Walck. in Scythodes rufescens), Pikerm1! — Grecia (Simon 1864: Omoszta). Hab. — Italia e is., Egitto. Fam. ENYIDAE. Gen. ENYO, Sav. Aud. ‘ 63. E. graeca, C. L. Koch. Grecia (C. L. Koch, Walck., Sim.). Hab. — Palestina. Oss. — Non è vero che l’autore I’ abbia descritta (Arachn. X (non IV), p. 83, tav. CCCXLVIII, fig. 811) sotto il nome generico di Lucia, siccome scrive Simon (Arachn. de Fr. I, p. 253, nota), bensi col nome di Enyo. Fam. UROCTEIDAE. Gen. UROCTEA, Duf. 64. U. Durandii (Walck.). Morea: primi contraforti del Tai- geto (Brullé: Clotho); Corfu (Cambr.). Hab. — Dalmazia, Egitto. 374 P. PAVESI Gen. OECOBIUS, Lucas. 65. * Oe. jonicus, Cambr. Corfu (Chr., Sim.). Fam. AGALENIDAE. N.B. Simon (Hist. nat. Araign. 1864, p. 202) cita gra- tuitamente di Grecia la Tegenaria (Philoica) linotina C. L. Koch — Agroeca brunnea (Blackw.) ), propria dell’ Europa media e settentrionale. Gen. DYCTYNA, Sund. 66. * D. lugubris, Cambr. Corfu (Cbr.). Gen. TITANOECA, Thor. 67. T. tristis, L. Koch. Grecia (L. Koch, Sim., Pavs.). Hab. — Italia ed isole. ° Gen. AMAUROBIUS, C. L. Koch. 68. A. fenestralis (Stroem). Morea: Messenia (Brullé: Clu- biona atrox). Hab. — Italia, ecc. 69. A. Erberii (Keys.). Is. Sira (L. Koch, Pavs. Herm.). Hab. — Italia e is., is. Lesina, Russia merid. Gen. TEGENARIA (Latr.). N.B. — Simon (Hist. nat. Araign. 1864, p. 202) indica ‘di Grecia anche la 7. alriea C. L. Koch, senz’ argomento plausi- bile. 70. T. parietina (Fourer.). Arcadia (Brullé: Theridion ma- ARACNIDI 375 gillare), Is. Santorino!; Grecia (C. L. Koch, Thor.: T. intricata; Simon 1864: T. Guyonii; Pavs). Hab. — Italia e is., Turchia, Russia merid., Palestina, Egitto. Oss. — Il Theridion maxillare Br. (Expéd. se. de Morée, III. I. 2, p. 52, tav. XXVIII, fig. 9) non è certamente un teridide, ma un agalenide. Per la disposizione degli occhi (fig. 9.2) in serie procurve, |’ anteriore quasi retta, la posteriore coi mediani molto più arretrati dei laterali, che sono poco discosti dai late- rali anteriori, dev’ essere una Tegenaria ; e quanto leggesi nella descrizione conviene abbastanza alla parzetina. L’ esemplare tipico dovette essere una femmina vecchia, lunga 15 mill.; il nome derivossi dalle mandibole robuste, bruno-rossastre, proprie della specie suddetta. S' intende che la descrizione è incompleta e la figura poco comprensibile. 71. T. domestica (Clerck). Morea: (Brullé); Grecia (C. L. Koch, Simon 1864: 7. stabularia). Hab. — Italia e is., Russia merid. 72. T. pagana, C. L. Koch. Nauplia (C. L. Koch); Morea (Simon 1864, Pays.); Is. Antiparo! Hab. — Italia e is., Turchia, Egitto, Tunisia. Gen. AGALENA (Walck.). 73. A. labyrinthica (Clerck). Morea: Nauplia (C. L. Koch, Thor., Sim.: A. orientalis); Isole Cerigo! Milo! Serpho! Antiparo! Hab. — Italia e is., Turchia, Russia merid. Oss. — Thorell (Rem. Syn., p. 160) ha già emesso il dubbio che lA. orientalis C. LL. Koch (Die Arachn., VII. 1841, p. 58, tav. CCLXIX, fig. 634) non sia distinta dalla dabyrinthica; le maggiori dimensioni di questa supposta nuova specie sono pro- prie di tutti gli esemplari greci che io posso esaminare e che non sono diversi dalla specie di Clerck. 74. A. similis, Keys. Pikermi! Hab. — Italia e is., Turchia, Russia merid. 376 P. PAVESI Gen. TEXTRIX, Sund, 75. T. coarctata, Duf. Nauplia (C. L. Koch: T. ferruginea); Grecia (Walck.: Sparassus; Simon 1864: T. ferruginea). Hab. — Italia e is., Egitto, Tunisia. 76. T. vestita, C. L. Koch. Nauplia (C. L. Koch, Pavs.), Pi- kermi! Is. Antiparo!; Grecia (Simon 1864: 7. vestiva). Hab. — Italia e is., Dalmazia, Russia merid., Asia minore, Siria. Fam. DRASSIDAE. N.B. — Simon (Hist. nat. Araign., 1864, p. 460) cita gra- tuitamente di Grecia anche le Clubionae compta e incompta C. L. Koch. Gen, LIOCRANUM, L. Koch. N.B. — Simon (op. cit. p. 163) indica pure di Grecia l A- - sagena (Philoica) notata C. L. Koch (= Liocranum domestieum (Wider) ) senza dubbio per errore. 77. * L. ochraceum, L. Koch. Corfu (L. K.). 78. * L. viride, L. Koch. Is. Tinos (L. K.). Gen. CHIRACANTHIUM, ©. L. Koch. 79. Ch. Mildei, L. Koch. Corfù (Cambr., Pavs.). Hab. — Italia e is., Dalmazia, Palestina, ecc. 80. Ch. pelasgicum, C. L. Koch. Grecia (C. L. Koch: Boly- phantes e Cheiracanthium ; Walck.: Clubiona nutrix var.; Simon 1864: Anyphaena pelasgicum e fra i sinonimi di A. nutriz; L. Koch, Pavs.). Hab. — Italia e is., Palestina, Egitto, Tunisia. Oss. — Né il C. L. Koch (Die Arachn. VI. 1839, p. 12) nè altri autori hanno ricordato che si aveva una diagnosi della er — jQ-—- ARACNIDI Vii specie colla priorità di due anni nell’ Uebers. Arachn. Syst. I. 1837, p. 9 dello stesso Koch, sotto il nome generico di Boly- phantes e che corrisponde perfettamente al maschio. SI. C. tenuissimum, L. Koch. Is. Naxos (L. K.) Hab. — Italia, Dalmazia, Palestina, Egitto, ecc. Gen. MICARIA, Westr. N.B. — Oltre la specie seguente, Simon (Hist. nat. Araign. 1864, p. 113) indica di Grecia la M. fulgens Walck.; ciò non è stato accertato, però è probabile perchè essa vive anche in Tur- chia, Italia ecc. 82. * M. praesignis, L. Koch. Is. Sira. Gen. DRASSUS, Walck. N.B. — Simon (1. c. sopra) cita di Grecia il D. signifer C. L. Koch (=D. silvestris Blackw.?), la Melanophora fusca Walck. (= D. tibialis Hahn) ed il D. troglodytes C. L. Koch; soltanto quest’ ultima specie è probabile per la Grecia, siccome vive forse in tutta Europa e fu già indicata anche d'Italia e is., Dalmazia, Russia merid. ecc. 83. D. lutescens, C. L. Koch. Nauplia (C. L. K.); Grecia (L. Koch, Simon). Hab. — Russia merid., Palestina, Tunisia. 84. D. severus, C. L. Koch. Nauplia (C. L. K.); Grecia (L. Koch, Sim.). Hab. — Italia. Gen. PROSTHESIMA, I. Koch. N.B. — Simon (1. cit. sopra) dà per la Grecia anche le Prosthesimae (Melanophora) petrensis e pedestris ©. L. Koch; la Seconda indicazione è più probabile, perchè la specie vive anche in Dalmazia, Turchia, Palestina, mentre la prima specie è pro- pria del centro e nord Europa. 378 P. PAVESI 85. * P. Argoliensis (C. L. Koch). Grecia (C. L. e L. Koch: Melanophora; Simon 1864: M. Argolinensis). 86. * P. flavimana (C. L. Koch). Grecia (C. L. e L. Koch: Melanophora; Walck.: Drassus Lyonetti ; Simon 1864: Melano- phora Lyonettit). 87. P. bimaculata (C. L. Koch). Grecia (C. L. Koch, Simon 1864: Melanophora; Hermann). Hab. — Ritrovata soltanto in Ungheria. 88. * P. insulana (L. Koch). Is. Tinos (L. Koch: Melano- phora). 89. * P. graeca (L. Koch). Is. Tinos (L. Koch: Melano- phora). 90. * P. cingara, Cambr. Corfù (Chr.). Oss. — Per errore di stampa a pag. 417 Proc. Zool. Soc. London 1874 (Cambridge, On some new sp. of Drassides) fu scritto «Egitto», mentre nel testo (p. 383) T autore da Corfu. Gen. GNAPHOSA (Latr.). N.B. — Simon (Hist. nat. Araign. 1864) indica di Grecia anche le Pythonissae bicolor e tricolor C. L. Koch (= G. bicolor (Hahn) ) e la P. maculata (= G. nocturna (Linn.)), che non possono essere qui catalogate. 91. G. lugubris (C. L. Koch). Nauplia (C.L. K.: Pythonissa; Walck.: Drassus hellenicus); Grecia (Simon 1864, L. Koch: Pythonissa). Hab. — Italia, reg. danubiana, ecc. 92. * G. corcyrea, Cambr. Corfù (Cbr.). 93. G. exornata (C. L. Koch). Nauplia (C. L. K.: Pythonissa); Grecia (Walck.: Drassus; Simon, L. Koch, Canestr. e Pavs.: Pythonissa; Pavs., Herm.). Hab. — Italia e is., Russia merid., Tunisia. 94. G. thressa, Pavs. Pikermi! Hab. — Turchia. 95. G. lentiginosa (C. L. Koch). Grecia (C. L. Koch, Ueber. Arachn. syst. I, 1837 p. 14: Agelena; C. L. Koch, Walck., ARACNIDI 379 Simon: Drassus); Grecia e sue isole (L. Koch: Pythonissa). Hab. — Russia mer., Palestina, Egitto. Fam. DYSDERIDAE. Gen. SEGESTRIA, Latr. 96. S. florentina (P. Rossi). Morea (Brullé); Grecia (0. L. Koch, Lucas, Pavs.); Corfù (Cambr., Pavs.). Hab. — Italia e is., Istria, Candia, Palestina, Basso Egitto. Gen. ARIADNE, Sav. Aud. 97. “ A, jonica, Cambr. Corfù (Chr.). Gen. DYSDERA (Latr.). N.B. — Simon (Cat. syn. in Hist. nat. Araign. 1864, p. 455) indica di Grecia anche la D. lepida C. L. Koch, mentre I] au- tore la dà di Boemia e non è indicata nemmeno di alcun paese limitrofo alla regione di cui si tratta in questo catalogo. So inoltre che una Dysdera fu chiamata hedlenica dal dott. L. Koch, la quale senza dubbio dev essere costituita su esemplari greci e vive anche in Italia, ma, per quanto io sappia, non venne an- cora pubblicata. 98. D. crocota, C. L. Koch. Morea (C. L. Koch, Dobl.); Grecia (Simon 1864: D. crocea o crocata; Walck.: D. cro- cata; Pavs.). Hab. — Italia e is., Turchia, Russia merid., Egitto. 99. D. lata, Reuss. Is. Antiparo! Hab. — Egitto. 100. D. punctata, C. L. Koch. Grecia (C. L. K., Dobl,, Sim., Thor., Pavs.; Walck.: D. Hombergit); Corfù (Dobl., Pavs.: ead. sp.?). Hab. — Italia, Dalmazia. ' 380 P. PAVESI Fam; REEIS TATIDATE. Gen. FILISTATA, Latr. 101. F. testacea, Latr. Grecia (C. L. Koch: Teratodes atta- licus; Walck.: F. bicolor). Hab. — Italia e is., Candia, Palestina, Basso Egitto, Tunisia. Fam. THERAPHOSIDAE. Gen. ATYPUS, Lair. 102. A. piceus (Sulzer)? Grecia (C. Koch matt.: A. Sulzeri). Hab. — Italia ed Europa centrale e sett. Oss. — È impossibile dire a quale delle specie in cui s'è scomposta l'antica appartenga I’ esemplare di Grecia che il dott. C. Koch di Wiesbaden ebbe dal sig. von Bruck (Beitr. 3. Kenntn. Nass. Arachn. 1874, p. 14). Gen. CTENIZA, Latr. 103. C. Sauvagei (P. Rossi). Is. Jonie (Cambr.); Grecia (Simon 1864: Mygalodonta fodiens). Hab. — Italia e is. Oss. — Temo che il Simon I abbia indicata di Grecia (Hist. nat. Araign., p. 453) soltanto perchè le pone gratuitamente si- nonime le migali ariana e graja. 104. C. orientalis, Auss. Is. Corfù e Tinos (Auss.); Pi kermi presso Atene! Hab. — Asia minore. Gen. CYRTOCARENUM, Auss. 105. * ©. arianum (Walck.). Is. Naxos ( Walck.: Mygale; Auss., Cambr.); Is. Tinos (Cambr.). ARACNIDI 381 106. * C. grajum (C. L. Koch). Grecia: Nauplia (C. L. K., Auss., Cambr.). 107. * C. jonicum (Saunders). Is. Jonie (Saund., Cambr.). 108. * C. tigrinum (L. Koch). Is. Sira (L. K., Auss., Cambr.). 109. * C. hellenum, Auss. Corfù (Auss., Dol.). Gen. BRACHYTELE, Auss. 110. B. icterica (C. L. Koch). Grecia (C. L. Koch: Mygale; Simon 1864: M. sg. Eurypelma; Cambr.: B. icterina; Auss.). Hab. — Italia ed Europa mer. Fam. HETEROPODIDAE. Gen. MICROMMATA (Latr.). 111. M. ligurina (C. L. Koch). Grecia: Nauplia (C. L. Koch: Sparassus ; Simon 1864: Sparassa). Hab. — Italia, Dalmazia, Tunisia. Gen. SPARASSUS (Walck.). 112. S. Argelasii, L. Duf. Argolide (Brullé: Micrommata Argelas); Grecia (C. L. Koch: Ocypete tersa; Zimm.). Hab. — Palestina, Egitto. Gen. SELENOPS, Duf. 113. S. radiata, Latr. Laconia: ai piedi del Taigeto (Brullé : S. omalosoma). Hab. — Palestina, Egitto? (Br.). Fam. THOMISIDAE. — N.B. — Simon (Hist. nat. Araign. 1864, p. 524) cita di Grecia anche gli Xystici cuneolus C. L. K. (gen. Monaeses per Thorell, 382 P. PAVESI gen. Tmarus [T. piger Wlk.| per Simon 1875) e depressus C. L. K. (gen. Coriarachne), ad onta che non sieno stati nè furono in seguito scoperti in questa regione. Gen. PHILODROMUS (Walck.). 114. * Ph. torquatus, Cambr. Corfù (Cbr., Sim.). Gen. THANATUS, C. L. Koch. N. B. — Simon (op. cit. 1864, p. 520) cita di Grecia anche il Th. striatus C. L. Koch, che è di Baviera. 115. Th. oblongus (Walck.) var. parallelus C. L. Koch. Morea: Nauplia (C. L. Koch: Th. parallelus; Walck.: Philodromus parallelus); Grecia (Simon 1864: Thanata parallela). Hab. — Italia, Dalmazia (tipo); Russia mer. (tipo e var.). Oss. — Per Simon attualmente è un T%bellus. 116. Th. rufipes, Simon. Is. Cervi (al nord di Cerigo)! Hab. — Asia minore. 117. * Th. gigas (C. L. Koch). Grecia (C. L. K.: Artamus). Oss. — Per quanto mi risulta non fu più citato da altri au- tori. È presumibilmente un Thanatus , piuttostochè un Artanes 0 Philodromus, ma la brevissima diagnosi data dall’ autore (Ueb. Arachn. syst. I. 1837, p. 27) non basta a chiarire la questione. Resta una specie dubbia. Gen. THOMISUS (Walck.). 118. Th. albus (Gmel.). Grecia (C. L. Koch: Th. nobilis, Th. diadema; Zimmerman: Th. abbreviatus; Hermann, Pavs.: Th. onustus; Pavs.). Hab. — Italia e is., Istria, Turchia, Russia mer., Asia min., Palestina, Egitto. Oss. — La sinonimia del Th. nobilis C. L. Koch (Ueb. Arachn. syst. I. 1837, p. 24), quantunque non prodotta dall’ autore nel- l’opera Die Arachn. a proposito del Th. diadema, è certa e ARACNIDI 383 fu ammessa recentemente anche dal Simon (Arachn. de France He 1875, p. 251). Gen. MISUMENA (Latr.). 119. M. vatia (Clerck). Argolide e Arcadia verso la Te- geotide (Brullé: Thomisus spinipes). Hab. — Italia e is., Turchia, Russia mer., Candia. Oss. — Il Thomisus spinipes Brullé (Exp. sc. de. Morée Ill. I. 2, p. 53, tav. XXVIII, fig. 5) va aggiunto ai numerosi sino- nimi della M. vatia, già indicati dagli autori; non c' è alcun cri- terio per distinguerlo dalle var. di questa specie e non ne è che una femmina giovane. Le spine delle zampe anteriori, da cui de- rivossi il nome, sono pure caratteristiche di quest’ ultima. 120. M. villosa (Walck.). Grecia (C. L. Koch: Thomisus hirtus ; Pavs.). Hab. — Italia ed is., Russia mer. Oss. — Per Simon attualmente è un Heriaeus [H. hirsutus (WI]k.)]. 121. M. lateralis (C. L. Koch). Grecia (C. L. K.: Thomisus fig. 277, non Hahn fig. 31; Simon 1864: Thomisa). Hab. — Italia ed is., Russia mer., Palestina, Egitto. Oss. — Per Simon oggidi è tipo del nuovo genere Runcinia. Gen. XYSTICUS (C. L. Koch). N. B. — Simon (Hist. nat. Araign. 1864, p. 427) da per patria la Grecia anche allo X. sabulosus (Hahn), ciò che è pro- babile ma non accertato. 122. X. graecus, C. L. Koch. 7 fig. 1002, non 9. Grecia (0-91. K., Herm.). Hab. — Ungheria, Palestina ?. 123. * X. grammicus, C. L. Koch. Grecia: Nauplia (C. L. K.; Simon 1864: Xystica). 124. * X. bicolor, L. Koch. Is. Sira (L. K.). Oss. — Per le appendici cutanee dell’ addome sembra un’ 0- 384 P. PAVESI eyptila Sim., ma per l eguale distanza reciproca degli occhi della seconda serie è piuttosto un vero Xysticus. 125. X. bufo, Duf. Morea: Nauplia (GC. L. Koch:706 graecus Q non dg). Hab. — Italia e is., Istria, Siria (Sim.). Oss. — Secondo Simon (Arachn. de Fr. II, p. 220) lo X. graecus C. L. Koch 9 (Arachn. IV. 1838, p. 65, tav. CXXVI, fig. 291) non è la femmina dello X. graecus C. L. K. 7 fig. 1002, ma dello X. bufo Duf. Questa specie appartiene al gen. Oxryptla Simon. 126. X. confluens, C. L. Koch. Grecia (C. L. K.; Sim. 1864: Xystica). Hab. — Palestina. Oss. — Per Simon attualmente è un’ Oxyptila assai affine al- V horticola. Fam. LYCOSIDAE. N.B. — Simon (Hist. nat. Araign. 1864, p. 510) dà anche per la Grecia la Trochosa umbraticola C. L. Koch (ora Pirata piscatorius (Clerck) non Koch), ma è specie d’ Europa centrale e settentrionale e nemmeno di altri paesi della regione mediterranea. Gen. LYCOSA (Latr.). N.B. — Simon (op. cit. p. 513) mette gratuitamente Grecia come habitat della Z. riparia C. L. Koch. 127. L. proxima, C. L. Koch. Grecia (C. L. K., Pavs.; Si- mon 1864: L. arenaria). Hab. — Italia e is., Palestina, ecc. 128. * L. invenusta, C. L. Koch. Grecia: Nauplia (C. L. K. Simon 1864: L. sg. Leimonia e Leimonia fulvolineata; Simon 1876: Pardosa). 129. L. atomaria, C. L. Koch. Grecia: Nauplia (C. L. K.; Simon 1864: Z. sg. Leimonia; id. 1876: Pardosa); Pikermi! Hab. — Italia. ARACNIDI 385 Gen. TARENTULA (Sund.). N.B. — Walckenaer e Simon hanno dato alla Grecia anche la 7. andrenivora (Walck.) forse soltanto perchè le fu attribuita sinonima la J. albofasciata (Br.). 130. * T. praegrandis (C. L. Koch). Morea (Brullé: Lycosa narbonnensis; Pavs.: T. narbonnensis); Grecia (C. L. Koch: Ly- cosa (Tarantula); Walck.: Lycosa tarentula hellenica, L. tar. Apu- liae, e L. tar. narbonnensis; Simon 1864: Lycosa sg. Tarentula, 1876: Lycosa). Oss. — Fu riferita come sinonima di parecchie altre (vedi sopra) dagli autori. Ultimamente il Thorell (Descr. Europ. North- Afr. Spid. 1875, p. 161) distingue quella della fig. 180 del Koch (Arachn. Ill. 1836, p. 22), che crede = 7. radiata var. ligu- riensis, da quella della fig. 414 (Koch, ibid. V, p. 114), attri- buita alla narbonnensis; ma Simon (Révis. esp. europ. du groupe de la L. tarentula in Ann. Soc. entom. Fr. 5.8 serie VI. 1876, p. 78) la ritiene, credo a ragione, ben distinta. Senza dubbio il disegno del ventre della narbonnensis dato dal Simon (ibid. tav. III, fig. 1) è diverso da quello della praegrandis dato dal Koch (ibid. fig. 414), non che la colorazione della superficie inferiore delle zampe. È probabile che la L. narbonnensis Luc. (Artie. de Créte in Rev. et Mag. Zool. serie 2.2, V. 1853, p. 518) di Candia sia la stessa specie. Infine non è vero ciò che dice Simon (ist. nat. Araign. 1864, p. 511), sulla fede di Walckenaer (Ins. apt. I. 1837, p. 283), che Brullé l’ indichi sotto il nome di Lycose tarentule. 131. T. radiata (Latr.) var. liguriensis (Walck.). Grecia: Morea (Nauplia) (C. L. Koch: L. hellenica, L. famelica , Walck. e Simon: Lycosa, Tarentula, Trochosa, Arctosa hellenica; Simon 1864: Lycosa, Tarentula famelica e Trochosa ( Aretosa) ligu- riensis e A. cingara; Pavs.); Pikermi! Hab. — Italia e is., Turchia, Russia merid., Egitto, ecc. 132. T. grisea, C. L. Koch. Grecia: Nauplia (C. L. Koch e Simon: Lycosa (Tarantula) ). Ann. del Mus. Civ, di St. Nat. Vol. XI. (29 Gennaio 1878). IS) Ot 386 P. PAVESI Hab. — Siria e Palestina. Oss. — Cambridge (Spid. Palest. a. Syria, p. 315) la da come specie distinta; Koch la riteneva assai affine alla L. famelica (= radiata) ed io dubito che veramente le sia identica. 133. * T. fuscipes (C. L. Koch). Grecia: Nauplia (C. L. Koch, Sim.: Lycosa (Tarantula). 134. * T. (?) lupulina (C. L. Koch). Grecia (C. L. K.). Oss. — Per quanto mi risulta, questa specie di Koch (Ueb. Arachn. syst. I. 1837, p. 22) non venne più citata dall’ autore medesimo nè da altri. Forse è una Tarentula e si dovrà riferire a qualcuna delle specie greche sopra inscritte. 135. T. albofasciata (Brullé). Pianura di Modon (Br.: Ly- cosa), Nauplia (C. L. Koch: Lycosa (Tarantula) sagittata); Grecia (Simon: Lycosa sg. tarentula sagitta, sagittata, numida; Pavs., Herm.). Hab. — Italia e is., Dalmazia, Turchia, Asia minore, Pale- stina. Gen. TROCHOSA (C. L. Koch). N.B. — Assai probabilmente questo genere va abolito e fuso con quello che precede, o per lo meno ristretto a certe forme ben distinte dalle vere Tarentulae, escludendone altre che pas- sano grado grado a quest’ ultime, come sarebbe la mia Taren- tula Sulzeri (Ragni Cant. Ticino, 1873, p. 169), che Thorell (Descr. europ. a. north-afr. Spid. 1875, p. 164) vorrebbe una Trochosa. Simon (Arachn. de Fr. III. 1876, p. 233, nota 1) ne diede già l’ esempio riunendolo al genere Lycosa, che per lui equivale principalmente a Tarentula Thor. e aut. Egli abbandona però il nome Tarentula per una ragione inammissibile, cioè per la vantata anteriorità che ha su Phrynus Oliv. 1802. Ma in questo caso la « legge di priorità » non si può applicare, per- chè la denominazione Tarentula, data da Fabricius nel 1793 ai Phryni, e quindi il nome di Tarantulae imposto all ordine da parecchi autori, sono falsi (Vedi Thorell, On the Class. of Scorpions, in Ann. a. Mag. of Nat. Hist. 4.2 serie, XVII. 1876, ARACNIDI 387 p. 4, nota *). Tarentula deriva da Tarentum e nessuna specie di Phrynus vive, non che a Taranto od in Italia, in tutta Eu- ropa. Parimenti spesso si chiamarono a torto Tarentulae ‘alcune specie di solpughe. Le specie singoriensis Laxm., vultuosa C. L. Koch, allodroma Walck. [= cinerea (Fabr.)] e perita Wk. (=? amylacea C. L. K.| vennero pure indicate come di Grecia dal Simon (Hist. nat. Araign. 1864); è possibile che vi si trovino, poichè vivono in parecchi paesi limitrofi, ma non è sicuro. La vultwosa poi è forse soltanto una varietà della segorzensis, secondo quanto scrive il Thorell (Stidruss. Spinn. 1875, p. 71). 136. T. variana (C. L. Koch). Grecia: Nauplia (C. L. Koch: Arctosa; Simon: Lycosa). Hab. — Italia. Gen. DOLOMEDES (Latr.). 137. D. fimbriatus (Clerck). Grecia (C. L. Koch, Pavs.). Hab. — Italia e is., Russia mer. Gen. OCYALE, Sav. Aud. 138. 0. mirabilis (Clerck). Grecia (C. L. Koch, Sim.: 0. mu- rina). Hab. — Italia e is., Turchia, Russia mer., Tunisia. Fam. OXYOPIDAE. Gen. OXYOPES, Latr. 139. 0. lineatus, Latr. Grecia (C. L. Koch: Sphasus). Hab. — Italia e is., Russia mer., Palestina, Egitto, Tunisia. Oss. — Secondo Simon (Arachn. de Fr. II. 1876, p. 220) lo Sphasus lineatus C. L. Koch sarebbe = O. heterophthalmus Latr., mentre poi questo per Thorell (Rem. Syn., p. 350) è probabil- mente I’ 0. ramosus (Panz.). 388 P. PAVESI 140. 0. transalpinus (Walck.). Grecia (C. L. Koch: Sphasus gentilis; Simon 1864: Oxyopa italica (gentilis K.); Pavs.). Hab. — Italia, Russia merid., Asia minore, Palestina. Oss. — Per Simon (l. cit. sopra) sarebbe l’ 0. 4neatus Latr. 141. * 0. candidus, L. Koch. Corfù (L. K.). Oss. — Simon (l. cit. sopra, p. 222) lo dà di Grecia e lo ri- ferisce con probabilità al gen. Pexcetta, Thor., ma io ritengo che debbasi conservare negli Oxyopes per il modo con cui sono dis- posti gli occhi; difatti il dott. L. Koch (Zur Arachn. Myriap. Fauna Sùd-Europas, in Verh. Z. B. Gesel. Wien XVIII. 1867, p. 866) dice che ciascuna delle serie anteriore e posteriore, è per la posizione degli occhi laterali più alti o più bassi, divisa in due, quindi si hanno 4 serie, non 3 come nelle Peucetiae. Fam. ERESIDAE. Gen. ERESUS, Walck. 142. E. Audouinii, Brullé. Morea: pian. di Modon (Br.: E. Audouin; Walck.: E. cinnaberinus), Nauplia (C. L. Koch: E. puniceus); Grecia (Simon 1864: Erythrophora cinnaberina + Hresa sg. Erythr. pumicea , 1873: E. puniceus; Canestr. e Pavs. 1868 e C. Koch matt.: £. 4-guttatus; van Hass.: E. annulatus). Hab. — Sicilia. Oss. — Walckenaer (Ins. apt. I, p. 395) e con lui altri au- tori riferirono l' E. Audowinii Brullé (Erpéd. Mor. II. I. 2, p: og tav. XXVIII, fig. 10) al eznnabarinus Oliv., che però danno di Grecia; ma questa opinione non è accettabile. Simon (Zresid. in Ann. Soc. entom. Fr. 5.2. serie III. 1873, p. 340, nota 1) lo tiene pure distinto e vuole che richiami |’ Z. dautus Sim.; in- vece Thorell (ftem.*Syn., p. 422), conservandolo distinto, gli identifica I’ £. puniceus C. L. Koch (Arachn. IV. 1838, p. 102, fig. 315). Basandomi sulla descrizione e figure, mi dichiaro del parere dell’ illustre aracnologo d’ Upsala. 143. E. Walckenaerii, Brullé. Laconia: dint. di Sparta (Br.: £. Walckenaer, op. cit. sopra, p. 55, tav. XXVIII, fig. 4), ARACNIDI 389 Nauplia (C. L. Koch: E. luridus); Grecia (Walck., Simon: E. Walekenaerius; C. L. Koch: E. ctenizoides). Hab. — Sicilia. Oss. — Walckenaer (Apt. I., p. 398) e Simon (Hist. nat. Araign. 1864, p. 497) considerano gli eresi clenizoides e luridus come varietà d’ una medesima specie, cioè del Wa/ckenaerius ; Simon più recentemente (/res., p. 356) mentre dà sinonimo di quest'ultimo lE. siewlus Luc., lascia separati e come sp. invisae e forse sinonime fra loro gli altri due. Parmi che la prima riu- nione fosse più attendibile. 144. E. Theisii, Brullé. Morea: Arcadia (Br.: £. Theis e var. E. Petagnae; Walck.: E. impertatis ; C. L. Koch: E. moerens) ; Grecia (C. L. Koch: HE. pruinosus; Simon: E. imperialis e moerens). Hab. — Asia minore, Siria, Egitto. Oss. — Brullé (op. cit., p. 55, tav. XXVIII, fig. 11) vi ri- ferisce anche una var. che crede |’ Z. Petagnae Say. Aud.; Wal- ckenaer attribuisce questo ed il Theisié all’ E. emperialis Dut.; Simon (Zres., p. 356) identifica lE. pruinosus C. L. Koch col moerens C. L. K., ma conserva distinte fra loro le specie fron- talis Latr. (= @mperialis Duf.), Petagnae e moerens, e mette poi fra le invisae Y assai dubbia ed imperfettamente descritta Theisi7. Io credo che questo ereso non sia diverso dal moerens, quindi dal pruinosus, anche per ragioni geografiche; certamente tutte le specie qui sopra indicate sono molto affini, se non identiche, ed in tal caso avrebbe la priorità il nome frontelis pure sopra quello di Tess. Gen. PALPIMANUS, Duf. 145. P. gibbulus, Duf. Grecia (C. L. Koch: P. haematinus , Walck.: Chersis gibbulus); Corfù (Cambr.: P. haematinus). Hab. — Italia e is., Asia minore, Palestina, Egitto, Tunisia. Oss. — Cambridge (Spid. Egypt. 1876, p. 554) ritiene, con- tro Thorell (Rem. Syn. 1873, p. 542) e Simon (Aran. nouv. ow peu conn. II 1873, p. 151) che l haematinus K. sia una specie 390 P. PAVESI distinta dal gzbbudus Duf. e Savignyi Aud., e le riferisce soltanto gli esemplari da lui raccolti a Corfù, non quelli di Palestina e d’ Egitto. Fam. ATTIDAE. Gen. EPIBLEMUM (Hentz). 146. * E. olivaceum (L. Koch). Is. Sira, Tinos, Corfù (L. Koch, Sim.: Callietherus). 147. * E. mandibulare (Sim.). Corfù (Sim. : Callietherus). 148. * E. unicolor (Sim.). Corfù (Sim.: Callietherus). 149. E. infimum (Sim.). Corfù (Sim.: Callietherus). Hab. — Isole italiane, Siria, Palestina. Oss. — Thorell (Descr. ewrop. north-afr. Spid. 1875, p. 180) lo vorrebbe riferire al gen. Heliophanus, ma Simon (Arachn. de Fr. II. 1876, p. 75, nota 1) replica le sue maggiori affinità cogli Epiblemi (Calliethera). Gen. HELIOPHANUS, C. L. Koch. 150. * H. simplex, Sim. Corfù (Sim.). 151. H. Cambridgii, Sim. Corfù (Sim., Pavs.). Hab. — Italia sett., ecc. 152. H. exultans, Sim. Grecia (Sim., Pavs., Leb.). Hab. — Italia e is. Oss. — Non è vero quanto scrive Simon (Arachn. de Fr. II, p. 165) che L. Koch lo descrivesse nel 1867 in Verh. Zool. bot. Ges. Wien. 153. H. equester, L. Koch. Is. Tinos (L. Koch, Sim.); Grecia (Sim.). Hab. — Italia? 154. H. uncinatus, Sim. Grecia (Sim.). Hab. — Ritrovato soltanto nella Svizzera. 155. H. furcillatus, Sim. Corfù (Sim.). Hab. -— Italia e is. ARACNIDI 391 156. H. melinus, L. Koch. Is. Sira e Tinos (L. Koch, Sim.); Grecia (Sim.). Hab. — Dalmazia e Palestina. 157. * H. calcarifer, Sim. Corfù (Sim.). 158. * H. albosignatus, L. Koch. Is. Sira (L. Koch, Sim.); Grecia (Sim.). 159. * H. lacteus, Sim. Grecia (Sim.). Oss. — Ripetasi quanto è detto per |’ H. exultans. Gen. MENEMERUS (Sim.). 160. M. semilimbatus (Hahn). Grecia (C. L. Koch, Simon, Canestr., e Pavs.: Huophrys vigorata; Sim.: M. vigoratus) ; Corfù (Sim. : M. vigoratus); Pikermi presso Atene! Hab. — Italia e is., Palestina, Egitto, Tunisia. Gen. DENDRYPHANTES (C. L. Koch). 161. D. rudis (Sund.). Grecia: Sira (Sim.). Hab. — Italia. 162. D. nitelinus, Sim. Corfù (Sim. 1868: Attus castaneus, id. 1876: D. nidicolens; Pavs.: Marpessa nitelina). Hab. — Italia e is., Dalmazia, Siria. Oss. — Simon ha sempre riferito sinora al suo Attus nitelinus la Marpissa Nardoi Ninni in Canestr. Pavs. (non Canestr.); vedo con meraviglia che adesso (Arachn. de Fr. II, p. 41) la mette fra 1 sinonimi del D. nidicolens. Inoltre vedo che al suo A. phry- gianus (= nidicolens W\k.), non mai dato di Corfù, ultimamente assegna per patria anche questa località (ibid. p. 42). Io sono persuaso che qui gli sia incorso errore, e che alcuni sinonimi del ndicolens e la località Corfù vadino riferiti al nételinus; an- che la indicazione « Siria » doveva darsi pel nételinus (sec. Cam- bridge) e non pel nidicolens, come scrive Simon. 163. D. canescens, C. L. Koch. Grecia: Nauplia (C. L. Koch; Walck. e Sim. 1868: Attus; Sim. 1864: Alta sg. Den- dryphantes). 392 P. PAVESI Hab. — Italia, Palestina. Oss. — Per Simon attualmente è un Philaeus. Gen. EUOPHRYS (C. L. Koch). 164. E. sulphurea (L. Koch). Is. Tinos (L. Koch e Simon Attid.: Attus; Simon, Révis. Att.: A. sulphureo-ciliatus); Grecia (Sim. 1876). Hab. — Isole italiane. 165. E. gambosa, Sim. Grecia (Sim. 1868: Attus). Hab. — Is. italiane, Palestina, Tunisia. 166. E. difficilis, Sim. Grecia (Sim. 1868: Attus). 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