ESTE | A = wr ° “= f. Li N 4 Pa 4 he \ 4 Da : Ù Leo, fd - bel i a Na LA sa = 4 DI . to ® » I 4A ì VE "= I LAT I ° af DA st TAI ee" #9, pai E. è «ae dh so H w i PA n & # È; la PA Da “e » E Age 113-116 hott. * fg EM AL AIZINA Li (iti teri pME A 7 i L (SE 0 PAESE ALSO IA DE VADA ! PA ei 7% SR De SG Pa ai . => "7 A AV Spi SOI val 7 ee ATA Asia sue sil e — —._.. i siva 6 LC : LA e er PRERn iETE, 3 Ca ida. SSR “y 77% E Ta ra MESI coteri I 4 “Sia CeD ge: EV DIO, P/A ge Cesar dre pa ovina obi i da e n uc RAR ES A > Dit furirmadi it gl rire icon, À Aligi st A 000) ci adolort 14 s& $) UA, ) ili O n Vizio Poma Peo cdi nimeniaiai ininndo. | dint pani gia hi de CASE boo; L ip Saia, (SA pae Horiia ra Susie i U su uuazioti.; ti, o PIT ‘dad 2 I 5 Da xi si n AA Quapro approssimativo del reparto del poter? dei capitali, dei terreni, e dell’ indi rano la popolazione dell’ Inghilterra, trai nove milioni d’ individui che form CI, cat I Popolazione totale 9,000,000 Divisione del potere . Estranei al potere . In possesso del potere diretto o indiretto 1. La dignità reale . . - - - a esi 2. Il patriziato E CA MM 3,000 3. L’ aristocrazia plebea RATA ZIO 996,999 an St 1a f. Clientela unita a questi poteri - - 1,000,000 1. Proletarj industriosi 0 contadini . . . 7,000,000 _ — Sii TOTALE . + 2,000,000 TOTALE . . 7,000,000 x Sta SE “ Divisione dei capitali . In possesso dei capitali. Senza capitali, 1. Il patriziato . APERTE e 3,000 1. La dignità reale. >. + eta fai ei E a. L’aristocrazia plebea + + - - + « * 997,900 2. I proletarji -. -. (Sf ie 7,000,000 | 3. La clientela unita al potere . +. +. + +. 999,999 ——_—__ TOTALE . 1,000,000 TOTALE . +. 8,000,000 Divisione dei terreni, In possesso de’ terreni e de’ loro prodotti. Privi di terreni e de’ loro prodotti. ‘ 1. Proprietar) o Affittuarj >. . «+. > 500,000 1. Proprietarj de’ capitali mobili . . +. +» 500,000 > I proletar) , PIP E . La clientela unita al potere . . . . + 1,009,000 TOTALE . . . 500,000 ue TorALE . + $,500,000 E Divisione del genere d’ occupazione . Occupati ai terreni i p Occupati alla Politica, al commercio, e alle fabbriche. 1. Proprietarj o affittuarj 500,00 123) ] i Selo, TIROGREOIO 3000 i. La dignità S 2, P g P ignità reale nin nio Sa RT A EEE . seri giornalieri . . . +. + + + 4,0005000 2. La clientela unita al potere fr. 3. I capi degli stabilimenti di commercio e d’in- dustria 00... IE Be 4. I proletarj del commercio e dell'industria . 3,000,000 TOTALE . . 4,500,000 TOTALE . . 500,000 _——_—_——€€€+€—zz=z citi , Divisione degl’ interessi. Interessati a cor aservare + Interessati ad acquistare. 1. La dignità reale . . .° AE I 1. I proletarj contadini .- . . . < . + 43000999 SRL patrinta toe te IS - " , > è 3 00 3. I proprietarj e affittuarj . . . . . - fo7.008 2. l proletar) industriosi . . . . . + $,099;0900 4. I capi degli stabilimenti di commercio, € d dana E e Re 0000 Ò. La clientela wnita al potere . . . + - 999999 TOTALE . . 2,000,000 gpu TOTALE . . 7,000,000 __——ÈÉ€—nz/ ANTOLOGIA ( GENNAJO, FEBBRAJO, MARZO ) 1821 TOMO PRIMO FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX TIPOGRAFIA | DEI FRATELLI JACOPO E LUIGI CIARDETTI MDCCCXXI. RO pr po ob A, "at, Sa M e DI Nuts Adi nali siatiroogvtt rirtinaio rotg.i conti i iam tua. da O, 9) 1 è: 4 Fal a. paco ‘ ved DS Li ‘ L dar w op # i tai ieledo Le 4; epr aeenoto Amen SU ri PROEMIO- E inchè Je scienze stettero nell’ Egitto formando il patrimonio di una classe privilegiata, l’ avidità d’ im- pero sulla credenza dei mortali serviva sola di sprone a coltivarle; la gelosia del dominio ne impediva la co- municazione al di là del bisogno di perpetuarle nel corpo che possedevale ; e il possesso medesimo non con- trastato toglieva ogn’ incentivo a qualunque loro incre- mento che fosse al di là dell’ oggetto cui erano destina- te, a quello cioè d’incatenare le menii degli uomini alla venerazione delle cause nascoste di effetti maravi- gliosi . Ma quando i primi greci guidati da tendenza, che potrebbe chiamarsi natia , a cercare ovunque il sa- pere, poterono disotterrarlo da quegli antri profondi che lo tenevano sepolto, una luce inaspettata infuse nella umana specie un nuovo vigore; la pubblicità dell’ inse- gnamento inspirò in tutti i cuori ben fatti il desio d’im- parare ; l’ intelletto acquistò azione e movimento : al- lora veramente può dirsi rapito al cielo il fuoco sacro per arricchirne la terra . Se mancava in quei primi tempi il soccorso dei li- bri, la viva voce de’ sapienti trasfondeva però con ener- gica forza l'istruzione nello spirito degli ascoltanti . E quantunque la riverenza di quei sommi maestri, le- gando religiosamente i discepoli alla loro dottrinà ,'ren- desse stazionario in ogni scuola il corso dello spirito umano; quantunque l’ impazienza di sapere i segreti tutti della natura, precedendo per una parte il ritrova- mento dei mezzi di osservare, e disdegnando per l’altra 4 il camminar lento dell’ esperienza, producesse non altro che sistemi speculativi ed ipotesi ; pur tuttavolta, la fa- cilità che trovavan gl’ingegni di applicarsi allo studio delle cose sublimi, il sentimento della propria gran- dezza che inspira alla mente la concezione medesima di un sistema, la facoltà in ogni ingegno elevato di farsi capo di nuova scuola, tutto questo inalzava gli animi, . e litrasportava come per via d’incanto in un sentiero, in fondo del quale altri più fortunati doveano arrivare un giorno a trovare la verità. Le opere dei greci scrittori conservarono il tesoro di sì alti concetti. I romani che adottarono la filosofia greca come oggetto di lusso, e la coltivarono senz’ avan- ‘ zarla, presentaronla non pertanto al culto degli uomini abbellita dalle muse latine. L’esterminio generale dei libri per l’ invasione dei settentrionali nell'impero d’occidente vi portò secoli d’ignoranza e di barbarie : gli uomini non sospettarono per lungo tempo che vi fossero cose da imparare e da scoprire . Allorchè qualche codice pote trovarsi, o sopravvis- suto alle rovine e agl’incendj o venuto d° Arabia, se. - apparve un barlume in mezzo a tenebre così folte , la scarsità dei libri sostituì all’ignoranza il falso sapere; le informi compilazioni di frammenti diventarono opere classiche; e la superstizione per le cose scritte schiacciò la ragione sotto il peso dell'autorità, e pareg- giò gli scritti d’Aristotile ai libri santi. Ritrovate le opere antiche, e mercè delle cure inde- fesse di animi valorosi, e in ricompensa dell’ ospizio ac- cordato ai dotti di Grecia, che fuggirono la dominazione dei tartari, moltiplicate poi e rese comuni per l’inven- zione della stampa, si accorsero gli uomini che ogni D ‘opinione era stata e poteva essere combattuta ; la ve- nerazione si divise fra più maestri; ogni antica scuola risorse ed ebbe seguaci, campioni e propugnatori; il ‘contrasto di tutte impegnò la critica per la necessità della scelta; l'esame chiamò in soccorso il ragionamen- ‘t05‘e finalmente il genio si scosse, e apertasi da sè stesso la: strada della ragione e dell’esperienza , portentose sco- perte fondarono l’ era della vera filosofia. Una verità diventò scala ad un altra ; non più letti ‘gli scritti per seguir da ciechi la dotti insegnata, lo furono solamente per sottoporla all'esame, e quindi ‘abbandonarla discussa 0 condurla alla perfezione. Così, per esempio, l'opinione di Pitagora sulla di- sposizione del mondo; rinnovata dal Copernico, fu di- ‘mostrata dal Galileo; la teorica d’Aristotile sulla gene- razione delle idee, distrutta dal Cartesio, fu ristabilita dal'Locke. (1/1 nuovo atteggiamento delle discipline tutte diè «vita ad'un nuovo bisogno, a quello cioè di conoscere ‘in‘tempo ciò che'altri pensasse 0’ scrivesse sopra qua- ‘lunque ‘ramo: di cognizioni. Gli ‘avanzamenti infatti dello ‘spirito ‘‘umano non si fecero più per individui , ‘ma per ‘masse. Ogni stàdioso ponendo la sua siifigii mell’ erario ‘comune | ne risultò una ricchezza generale a cui tutti ebber diritto. Ogni scoperta Bivda ne la va- dice di. scoperte nuove, ed i progressi dell'umano sa- pere furono d'allora in poi misurati dall’ Istoria; la quale rimira ora in una lontananza immensa il punto della partenza. Guarda dove fummo e dove siamo, dicea Parmenione per indicare il corso delle vittorie ‘dò Alessandro . i ‘.Sorse quindi; un commercio intellettuale, il mo- svimento del quale animò ogni specie d’industria lei- 6 teraria. Chi si dedicò a conservar le scoperte del genio creatore, chi a disseminarle fra gli uomini o. traspor- tarle dovunquè , chi finalmente ad abbreviare il cam- mino degli studiosi semplificando i metodi d’impa- rare. I dizionarj delle scienze e delle arti, i giornali, le opere elementari, i soccorsi in somma d’ ogni ma- niera furono immaginati, eseguiti e pen beni P La moltiplicazione delle lingue che hanno meri- tato il nome di letterate, frutto ancor essa della sparsa cultura, li rese. più necessarj e più pregevoli. i Era stato già palesato da un’ ingegno sublime il voto d’ un linguaggio universale consecrato alle scien- ze. Per effettuarlo più presto altri adottarono la lingua latina come lingua dei dotti, ed organo an di comunicazione tra loro. st Sei Benediciamo il miglior consiglio che abolì gene- ralmente quest’ uso , il quale formando degli scienziati una classe a parte anche nelle società moderne; e di- sgiungendo le scienze esatte e. morali, dal consorzio della bella letteratura, cui sole convengono le lingue vive, avrebbe trattenuto considerabilmente quello! svi- luppo universale che, reso più aperto l’adito del; sa- pere, e vestite di grazie le verità le più gravi, ha fatto penetrar l’ istruzione fra tutte le condizioni, ha di- strutti tanti errori, ha mansuefatti i costumi, ha mi- gliorata infine la specie umana . | G. ————— —_————__Ò__Òym_bd09ò L'Inghilterra, la Germania e la Francia sono.i tre paesi europei che più evidentemente ci manifesta- no i buoni effetti prodotti dalla rapida circolazione 7 delle opere periodiche consecrate alle scienze, alle let- tere ed alle arti ; e in questi ( in Germania soprattutto) i lumi sono più che altrove generalmente diffusi nelle classi che tengono un certo grado nella società. Oltre il novero grande di traduzioni e di giornali che presso loro ROmparisconp in luce, i tedeschi per la massima parte hanno su’ vicini loro il vantaggio di possedere varie lingue; e quindi sono in grado di leggere le opere nell’ ra RO ainsi in cui Psoet si scritte . L'Italia, a pro della quale, sono rivolte le nostre cure, non dala DES anco tutti questi vantaggi; e se possiede See preziose opere periodiche, son desse in picciol numero , e ben di rado fanno escursioni snl do- minio della letteratura straniera. Quindi manca un importante sussidio agli amanti delle scienze e delle lettere, e sopratutto a coloro ne’ quali giova eccitare e promuovere il gusto per un’ utile ed amena lettura . Nostro intendimento adunque è di supplire a questa mancanza mediante l’ Antologia. Dopo aver col prospetto del 10 settembre manife- stato le speciali circostanze che favoriscono la nostra intrapresa, e nelle quali confidiamo per meritare i suffragi del pubblico , crediamo adesso conveniente l’indicare i particolari del piano che intendiamo se- guire. Il merito della novità sarà per noi una legge di attingere quanto potremo materiali per la nostra rac- colta da’libri inglesi e tedeschi, come quelli che sono meno comuni fra noi. Coloro che conoscono i pregi dell’ Edinburgh Review, del Quarterly Review, dell’ Yermes di Lipsia, e di tanti altri scritti perio- dici inglesi e tedeschi, non meno che tutti gli altri che avranno occasione dî conoscerli per mezzo della 8 nostra raccolta, gradiranno certamente se da essi estrar- remo non pochi articoli. Ma dall’ altro lato bisogna convenire che i francesi sanno forse meglio di altri or- dinar un libro, far l’analisi d’ un opera, sottoporre un autore ad una critica giudiziosa , severa ed urbana al tempo stesso. Quindi è che per questo titolo gli scritti pubblicati ne’ giornali francesi avendo una specie di superiorità, non crediamo di dovere astenerci dal tra- sportar dal francese qualche articolo forse già noto ad alcuno de’ nostri lettori; i quali non si dorranno di leggerlo traslatato in nostra lingua. Così la Rivista En- ciclopedica di Parigi sarà un di quei libri dai quali attingeremo più spesso, non solo pe’ copiosi esempi di chiarezza, di eleganza e di metodo, ma eziandio per la bontà del piano adottato dagli editori e dello spiri- to onde sono animati . Meriteremmo taccia di presumer troppo, di noi stéssi se nostro proposito fosse di fare a pro de’ lettori ita- liani ciò che gli editori ed i compilatori di quella rac- colta hanno annunziato voler fare in vantaggio de’ due emisferi. Ma limitandoci alla qualità di semplici tra- duttori, senza arrogarci altra libertà che quella di ag- giungere qualche nota o qualche transizione, certi di non esser rimproverati di presunzione possiam dire, che nello scegliere le materie per la nostra Antologia terremo sempre per norma gli stessi principi da iran sono diretti gli editori della Rivista parigina; e che per le stesse loro ragioni escluderemo gli articoli che trattano di una scienza in forma puramente didattica per uso soltanto di chi la professa, e che devono aver luogo in raccolte spezialmente consecrate a ciascun ra- mo delle diverse scienze. Im conseguenza intendiamo di preferir quelli scritti che trattano le scienze in 2072 9 modo più. generale ; per indicare agli uomini che vorranno ravvicinarle e paragonarle fra loro in che consistano i. progressi reali dello spirito umano in tutte le sfere del suo dominio. Ed affinchè quelli fra i nostri lettori, che non ce- noscono, questo prezioso deposito di umane cognizioni, possano dare il giusto valore a queste ultime parole , al principio. del seguente fascicolo, daremo l’Introduzio- ne colla quale siannunziano al pubblico gli editori della Livista Enciclopedica. L'Antologia sarà divisa in tre Parti principali. La prima Parte conterrà. Aralisi ed. Estratti di opere, Opuscoli, Lettere; ec. Questi diversi articoli verranno inseriti senza se- guire, verun ordine metodico : ciascuno di essi bensi sarà intitolato secondo quel ramo di umane cognizioni cui apparterrà ; riserbandoci a disporre; metodicamenie le materie in una tavola, generale che daremo infine di. ciascun volume; Seconda Parte. Ragguaglio bibliografico. Sotto questo titolo daremo avviso delle opere nuove delle quali avremo cognizione, e che supporremo più proprie a interessare i nostri lettori 3 riserbando | per la prima parte quelli articoli .che ne parleranno più estesamente. Si travranno dai diversi giornali posti a nostra disposizione le brevi notizie che accom pagne- ranno,i titoli delle opere, delle quali. non omettieremo quando ci sarà possibile d’ indicare il prezzo .il, Terza, Parte. Îtagguagli setentifici e letterar;. À misura che sugli stessi gi@mrali troveremo nuo- ve relative alle. lettere, alle .sscienze e all’ arti, ci af& fretteremo ‘a parteciparle ai mostri lettori; I primi passi son sempre 1 più difficili e i men 10 sicuri: Confidiamo quindi nell’ indulgenza del pub- blico, non tanto per la scelta quanto per le traduzioni degli articoli. Crediamo esser questa una impresa su- scettibile di acquistare ogni giorno qualche migliora- mento; e ciò avverrà quando il Sig. Vieusseux, ani- mato da numerose soscrizioni, aumenterà le ricchezze letterarie del suo gabinetto . Abbiamo posta cura di riunire in questo primo fascicolo alcuni articoli di un interesse più generale , il complesso dei quali servirà come d’ introduzione ad ogni maniera di scienza e ‘di letteratura che troverà luogo nell’Antologia;ed abbiamo riserbati pei fascicoli seguen- ti molti e molti altri scritti di un più speciale interesse. Sebbene abbiamo promesso al pubblico traduzioni di articoli tratti da opere straniere, non per questo escluderemo dalla nostra raccolta quelli opuscoli e quel- le lettere inedite che ci venisser trasmesse da qualche letterato o scienziato forestiero . Un viaggiatore che percorresse l’ Italia potrebbe lasciarci in dono una parte del suo diario, e parteciparci in forma di lettera una serie di osservazioni; delle quali cose ci faremo un pregio di mettere a parte’ i nostri lettori. ‘Perciò caldamente preghiamo quei letterati o viaggiatori ai quali pervenisse questo primo fascicolo, a voler con- tribuive colla loro liberalità al felice successo di questo nostro intraprendimento . Di tanto preghiamo ancora i letterati italiani: se alcuno di loro per sollievo da’ suoi studj più gravi si fosse occupato, per passatempo , a tradur qualche cosa ch’ ei giudicasse merttar luogo nell’Antologia, ci fa- rebbe un grato dono trasmettendoci la sua traduzione; ed anco i nostri lettori entreranno a parte della nostra cironoscenza . II Finalmente, sebbene ci siamo proposti di non ammettere nell’ Antologia gli scritti originali. italia- ni, non ostante se alcuno de’ nostri compatriotti avvi- sasse dover combattere qualche asserto d’ autore stra- niero , o fargli qualche risposta, potrà rimettere a noi le sue osservazioni, colla certezza che, senza giusti mo- tivi, non sarebbero da noi rigettate . In quella specie di comunanza di patrimonio scientifico e letterario, che ogni libro filosofico deve ad- operare perchè sia consolidata, non oblieremo giam- mai d’ essere italiani; e se premurosamente cerchere- mo i severi giudici di critici forestieri, lo faremo collo scopo e col desiderio di presentare una occasione, o di trarne profitto, o di contribuire ad annullare le reli- quie d'una prevenzione che confidiamo veder dissiparsi ben presto in faccia a’ lumi del secolo . P. scri fo je latane andino. die "PROT crolli, - daga Ure 3 Merino ue x dra. di VISTA: LSHA alati pers cai Padins vasti. lane a Miani _ A queto 3 ARI degna doit VAR Lisi) VA de Gb: Sdersta di Leb i UE e berto: > rate ciao ati pes S i er RR Zia Maine (ya ques. dotte, meta sd odio FIRdota PRIA pit tuta: sa fr MIAO Rae wilde CAR ubi IRA Da) Rit: ETTI Ep Lungo Pil a 1 fl» Foa votes ata Mara vi E : PR Iposto pu dda MIE TE NOTO ai ipa SL Ao MBAR i; PT pra Mi 19) PARRA: Fit so NEI pi: Mt ui Ko RT Ra: Co riti 108 rap ipa Ae alii i LA Aeg Sri È A RI ao RA AO ia aeerizi ANTOLOGIA N. I. Gennajo 1821. ___ Crediamo d’interpretare il gradimento dei lettori, porgendo loro quì tradotto pel primo un bel discorso del Sig. Cuvier, quan- tunque non recentissimo . Al che ci mosse pur anco la fama dell'Autore e la sana e, profonda dottrina di cui è sparsa in complesso questa sua orazione. Discorso, recitato dal Sig. Cuvier, nell’ atto di occupare nell’ Accademia Francese il posto del de- funto Sig. De RoqueELAURE . ’ L onore , che mi compartite, o signori, fà nuova- mente nascere in me certe emozioni, che io già da gran tempo era dalla vostra indulgenza ammaestrato a superare: e il giorno, in cui mi è da voi praticato il massimo atto di bontà, sarà per avventura quello in cui vi sarò comparso davanti con miner fidanza in me stesso. Nè, a calmare la mia inquietudine, mi giova il raffigurare questo recinto , nel quale favellai tante vol- te in nome di una dotta società ; e il vedermi fra i membri di quel corpo, illustre, i cui suffragi m' in- dicarono ai vostri; e neppure il ricordare l’ incoraggia- mento, avuto nelle solenni occasioni di ragguagliarvi delle scoperte de’ miei colleghi: perocchè una secreta voce mi dice, non essere sì fatti contrassegni del vo- 14 stro favore stati riflettuti sull’ interprete di quegli uo- mini insigni, se non per l'interesse, che ne risveglia- rono i lavori. Ma non dovrei bastantemente recarmi a : fortuna, che quel medesimo interesse mi seguitasse oggi in mezzo a voi? E poichè fui da esso introdotto, non potrò 10 sperare che sia per sostenermi? Io mi abbandono ansiosamente al solo pensiere che può ispirarmi una qualche fiducia . M' insegna la vostra istoria , che sin dall’ origine della vostra istitu- zione ammetteste sempre ne’ vostri ordini alcuni di quegli uomini consacrati all investigazion delle scien- ze, i quali erano i mezzi chie ad esse vi univano, e in certa maniera i loro rappresentanti presso questo supremo tribunale dell’ idioma e del gusto. Talmen- techè avreste portato sentenza, che se conveniva mai in alcun’ epoca di rannodare sì fatte relazioni onore- voli, il tempo era quello in cui le scienze dilatan tuttodi l’ impero, e sembra che il linguaggio ne tra- passi pressochè tuttoquanto nel comunale, di cui tocca a voi il raccogliere le dovizie e verificare le leggi. i Se tali furono i motivi della vostra scelta, non mi starò dal dirlo, o signori, accetto con vivo giub- bilo i doveri a quella annessi. Appassionato per le scienze; e in un per le lettere, e persuaso che la seambievol concordia sia stata sempre una sorgente della loro gloria, 10 non avea mai, ne’ sogni, susci- tati nella mia gioventù dal trasporto per esse, osato di sperare una felicità, che pareggiasse quella di es- ser destinato un giorno a restringerne i legami . Tuttavolta non crediate già ch'io mi porti col desiderio fuor de’ confini stabiliti dalla ragione: poi- chè non ignoro , essere ugualmente pericoloso per le 15 lettere e per le scienze il confonderne gli oggetti e applicare alle une le norme, che solamente alle altre convengono. E come sarebbe un portar nel campo della letteratura l’ aridità e la morte, ove si lascias- sero sottomettere al giogo delle dottrine astruse le arti dell’ immaginazione ; per egual modo si farebbero retroceder le scienze verso il lor nascimento, qualora si affidasse ad una fantasia, scevra da regole, il pen- siero di svelar la natura. Dirò di più, che quando gli sforzi dell’ eloquenza e della poesia sono rivolti alla natura materiale, parmi ‘che sì fatte arti incantatrici si scostino dal più nobile oggetto di esse, il qual con- siste soprattutto nello studiare e dipinger 1 uomo, il re della natura. Oggetto di esse è quel di commuo- verlo e di colpirne l’ immaginativa, per aggiungere alla sua ragione la forza del sentimento, e sublimarne in tal modo l’anima, a fin di renderlo degno dell’ alto grado che occupa nell’ ordine della creazione . Ma il vero si è ( e sarebbe cosa facile ugualmen- techè interessante lo svilupparlo ), esser le scienze e le lettere derivate da un principio comune; aver esse do- vuto lungamente i respettivi progressi a cognizioni di egual genere ; essere state le varie forme , ch elle pre- ser di poi, gli effetti del vicendevol predominio ; ed essersi in ogni tempo prestati tra loro alcuni ajuti, de’ quali non si può non veder |’ importanza . Sarebbe opera degna di letterati filosofi e d’ in- gegni critici, come quelli che si trovan fra voi, il te- ner. dietro, nelle minute particolarità , all’ azione reci- proca, e al concatenamento continuo delle scienze colle lettere , e dell’ arte d’ interrogar la natura, con quella di persuadere e d’allettar gli uomini. Su di che non posso che abbozzarne una debol parte , colla { Ì 16 speranza di essere asa; se quella prescelgo. che ineno mi allontana da’ miei ‘atidi ordinarj. Sarebbe dunque mio intendimento di dar a co» noscere le prime impressioni delle bellezze della nà- tura, come quella , che comparte ‘alla poesia le imma- gini più ridenti. E siccome un più assiduo studio delle lesbi ond’ ella è regolata, fà nascere la filosofia; e la contemplazione della grandezza e magnificenza dell’ i- stessa natura solleva. i pari 1’ oratore e il poeta al più nobili pensamenti, e. gli dà i più magnanimi im- pulsi; così nella successiva preponderanza di questi tre ordini di relazioni, far vorrei notar sovrattutto il ca- rattere distintivo di tre grandi periodi, o età principali, che parmi di scorgere nello sviluppamento della let- teratura di ciascun popolo. La prima di queste età potrebbe appellarsi l'età. dell’inspirazione; stantechè risale fino all’ epoca, in cui l’uomo, abbandonato ancora alla sola matura, dipen- de sol da sè stesso, così per la sussistenza e sicurezza, come per i piaceri e le pene della vita: nel quale stato lo interessa ogni essere, e ne impegna l’ attenzione ogni fenomeno. L’ uomo è allora scosso e penetrato dalle impressioni che riceve: ogni sensazione risveglia in lui un affetto; questo si riflette in un'immagine; una catena armonica ne congiunge i sentimenti colle rimembran- ze; e se a qualche più avventurato ingegno è concesso di afferrare una tal catena , ottiene sopra i suoi simili un potere inaspettato; parla esso il linguaggio de’ numi ; le nazioni, rapite, lo proclamano loro institutore e legisla- tore e pontefice; e i suoi canti, trasmessi di bocca in bocca, diventano per molti secoli la morale, la politica e Ja scienza de’ popoli. Sennonchè mi avveggo non esser senza rischio il mio usar così presto il venerando nome N 17 di scienza. Ancora non vi è scienza, 0 piuttosto non con- siste in altro, fuorchè nella dipintura degli esseri natu- rali: ma nelle opere de’ primi poeti, una taldipintura si manifesta per ogni parte con tanta verità e franchezza, che appena la più severa scienza potrebbe andarle oggi del paro. L’istessa facil disposizione a esser commossi e la sovrabbondanza di vitalità, ond’ erano quegli uo- mini straordinarj collocati in situazioni toccanti, le qua- li somministravan loro il linguaggio della passione e que’ modi arditi e tratti gagliardi , che colpiscono il cuo- re, conferivano anche per essi e vita e calore alla sì bel- la e sì grande natura che li circondava. Ne delinea Omero quadri splendidi e fedeli così facilmente e forte- mente come crea o fa movere i vasti colossi d’ Ajace o di Diomede, o ne fa pianger con Ettore, che abbraccia forse per l’ultima volta il giovinetto Astianatte. Mediante la qual facoltà, chiama parimente a sè, quando gli aggra- da, ogni essere della natura, e lo guida e lo ponedavanti a noi: e se per un istante la parola non può.in lui adeguar il pensiero , non manca di qualche imagine pronta, che riesce più ancor espressiva d’ogni parola. È Omero na- turalista, perchè gran poeta: è osservatore ed esatto, perchè sente: e perchè vivamente colpito, chiaramente descrive. Dimodochè tutto in lui si concentra in una facoltà sola; e non è desso se non la musa di sè mede- simo. La qual facoltà pressochè magica dipende in ogni tempo dalle istesse norme. E qualora il poeta non si abbandoni totalmente a sì fatta impressione della natu- ra esterna, i suoi quadri, somiglianti a languide contro- stampe , non offriranno se non se tratti indecisi e tinte confuse: dovecchè, se accompagna immediatamente la natura colle sue particolarità , e dipinge ciò che vide, e T. I Gennajo 2 18 «come lo vide, viene realmente a riprodurla per noi. Incantatore onnipotente, egli si fa gioco della nostra immaginazione ; e trasportandoci a sua voglia per mez- zo allo spazio, esce, quando a lui piaccia, fuor de’ con- fini del mondo. Accumulando l’ Alighieri quanto la natura ha di più terribile, e mettendo uno su l’altro i vulcani, le rupi ei ghiacci, ne inabisserà nell’ inferno : e rischiarando Milton con una luce pura quanto ha di | più dolce e ridente la natura medesima, formerà un paradiso . Avventurati i popoli, i cui sentimenti sono ancor risvegliati da somiglianti pitture ! La verità e l'illusione si danno egualmente la mano per guidarle: sono essi come amabili fanciulletti cullati dalle muse, ei quali tra i prestigi degl’ incantesimi imparano dal sacro lab- bro del poeta a venerar la giustizia, a sparger lacrime sulla sventura , e a rispettare il coraggio. Ma queste soavi impressioni non son più il retag- gio di nazioni adulté: e solo andrà talvolta il poeta sulle vestigia del cantore di Atala e di Virginia a rintrac- ciar in regioni lontane una nuova natura; e come Omero a'suoi vecchi Trojani, ci ridonerà un momento di gio- ventù col mostrarci Elena: momento però fugacissimo; attesochè nè ci riposammo sotto quelle palme, nè la nostra infanzia fu rinfrescata da que’ banani. Non es- sendo perciò esistiti i legami, pieno esser non può l’ef- . fetto di quell’attrattiva . Per sì fatta maniera, ai giuochi e agl’ incantesimi succede , per le lettere non men che per gli uomini, un età più grave; allorchè questi, non abbastanza paghi del solo piacer di sentire, provan dentro sè stessi l’im- pulso di una facoltà, che genera in loro il bisogno di conoscere: e mentre l'immaginazione e gli stud posi- N 19 tivi si dividon così il dominio; incomincian le scienze a meritare un tal nome, ed entrano in una carriera in- dependente . E qui dovrei farvene , o signori, la dimostrazione dietro alcuni tentativi per ben giudicar de’ fenomeni , e scoprirne le relazioni e le cause, per necessità ricondotte a interrogarsi a vicenda intorno al proprio lor mecca- nismo e_ alle basi della loro certezza. Ma non essendo mio intendimento di stancare la vostra attenzione con isterili particolarità, mi basti di farvi notare, in tal ri- torno sopra sè stesse, l’origine degli studj inirinsechi , i quali diventan poi per le lettere una sorgente di ric- chezze affatto sconosciute. Non potea 1’ uomo occuparsi lungamente de’ mezzi della propria intelligenza , senza. esser condotto a scandagliare i recessi del cuor suo. Nel qual tortuoso laberinto scoprendosi però tuttodì misteri sempre nuovi, nuovi esser dovranno del pari gli sforzi per esprimerli: lavoro che per lo scrittore di mente elevata, non ammette intervalli . Sotto la penna, i termini aver debbono tra loro le tinte e cormessioni esistenti nelle idee: la lingua , già semplice e rotta come la natura , diverrà delicata come il sentimento , e profonda al par del pensiero; e senz aumentare il numero delle parole, converrà ch’ elle spieghino i più moltiplicati rapporti con signi- ficanze differenti e digressioni ingegnose . Talmeniechè quanto nel nostro intendimento havvi di più astratto, e di più immateriale, farà in ultimo scaturire . ima- gini da questa pittoresca nomenclatura, conceputa già solamente per la natura materiale; e, come giusta il si- stema di alcuni filosofi antichi, altro non era il mondo visibile fuorchè la rappresentazione dell’intelligenza divina, per egual maniera diverrà il linguaggio una 20 viva ed animata rappresentazione di tutto il profondo del. nostro mondo morale . Questo esser dee stato il cominciamento dell’ età delle lettere , la quale io vorrei chiamare l'età della ri- flessione, come quella, cui diedero nascimento i primi sforzi di una scienza investigata più addentro. Per es- sere invogliati a conoscere i mezzi del raziocinio e le sue abberrazioni, dovean gli uomini tentar da prima i semplici rapporti delle estensioni e delle forze, e giun- ger per questa via allo studio delle passioni, a tutta in- somma la scienza di loro stessi. Conveniva pertanto, che la filosofia naturale appianasse il cammino alla filo- sofia morale, e Socrate avesse Anassagora per maestro . Ma vane-sarebbero state le meditazioni de’ dotti e inutile qualunque ricchezza acquistata dal linguaggio, nè mai si sarebbe per la posterità potuto determi- nare alcun ragionamento ben ordinato , nè particolarità veruna, ove il linguaggio stesso avesse dovuto rite- nere gl’inciampi del ritmo, e fosser le idee rimase inceppate nella misura del verso , o sotto il velo della poetica allegoria . E avendo le scienze e la filosofia egualmente bisogno di una forma più acconcia a in- vestigazioni tranquille, trovaron la prosa, e la diedero alle lettere . Gli annali di ‘qualsivoglia letteratura ne inse- gnano, essere l’arte di scrivere in prosa posteriore di assaia quella de’versi; ma è contemporanea delle alte speculazioni scientifiche. Anzi ella è alle medesime: aderente per modo, che de’ suoi progressi maggiormente notabili andò quasi dappertutto debitrice a coloro che nelle scienze avean veduto più avanti. La prosa si mostra per la prima volta semplice e naturale in Ero- doto , cioè varj secoli dopo d’ Omero; ma quasi subito 2I dopo che Talete ebbe trasportato le scienze dall'Egitto in Jonia. Platone insegna ai Greci a scriverla sempre nobile e armoniosa ; il nome di lui richiama al pensiero quel che le scienze e la filosofia hanno di più elevato . Nè si creda già che sì fatto nuovo linguaggio fosse una degradazione di quel degli Dei : chè anzi era il più bel dono che questi fàr potessero agli uomini; stante- chè li destinavano ad avvicinarsi a loro collo sviluppa- mento della propria intelligenza. E si può affermare, che senza la prosa non avremmo nè istoria, nè filosofia ; e simiglianti a que’ popoli delle rive del Gange cui l’istessa caùsa fa girar nel cerchio di un'infanzia per- petua, noi cercheremmo forse tuttavia le umane dottrine ne’ registri di una mitologia selvaggia ; e le nostre leggi . e le regole delle nostre arti sarebbero state invariabili per noi; attesochè tutto sarebbe stato sacro. ‘ Per lo contrario, sciolta che fu una volia l’arte di scrivere dall’imbarazzo del metro, non trovò re- pugnante alcuna materia: e senza scemar di calore, e ‘defraudar l'immaginazione e gli affetti, abbracciar può, se occorre, le più fugaci vedute , e portar lume sulle più oscure questioni. Gessi dunque ogni inquietudine in- torno alla durata de’ concepimenti dell’ ingegno; dap- poichè scoperto è lo strumento che le riferirà e inciderà tutte per sempre : La poesia è ora per trarre a vicenda profitto del fecondante influsso della nuova età ; e colla scorta della ‘ filosofia, dilata il proprio impero e moltiplica le sue messi. Dovunque penetri lo spirito delle ricerche, non ‘tarda l’ immaginazione a seguitarlo; e ciascun ordine di nuovi concetti dà origine a un nuovo genere di poe- sia. L’ode e Vinno sacro si sublimano a quello che i saggi hanno ideato di più grande intorno alla cagione 22 suprema :‘e la satira o (se così si vuole appellare ) il poema morale, fa;oggetto del suo studio l’uomo, e lo disvela agli .ecchi suoi proprj. Il poema drammatico va a cercar nelle latebre del cuore le molle che traspor- ian la vita sulla scena: e quando l’ antica e maestosa poesia dell’ istessa epopea ricomparisce in’ quella se- conda età, wi si mostra illuminata dalla ragione supe- riore , che regnar deve oggimai su tutta la letteratura. Forse men creatrice, ella deriva bensì dall’ età prece- dente i suoi eroi e i suoi Dei; ma sola dà loro ca- ratteri sviluppati; e collocandoli in morali finzioni, li fa agire e parlare come si addice alla celeste loro origine. Quelle anime; che nell’ Odissea si affannano a guisa d’ uccelli di rapina per pascersi di negro sangue, altro non risvegliano, fuorchè uno steril'terrore.: do- vecchè nell’ Eneide , il cuore si purifica alla vista.di quegli alti spiriti, che in un delizioso soggiorno pas- sano il tempo in sublimi colloquj e nella rimembranza delle loro virtù. Potè Omero formare ì proprj eroi, superbi, avk di, animati dalla vendetta , o dalla furia di atroci conflitti, quando alcuna inclinazione naturale, non ne ammolliva la tempra. Le loro passioni appartengono.al secolo istesso che quelle de’ suoi Dei. Ma si può con certezza asserire che gli opposti affetti \che .squarciano il cuore della reginà di Cartagine, non potean nè con- cepirsi, nè esprimersi con tinte sì variate e sì vere, se non da un poeta educato alle scienze! ed alla filosofia © . e in fatto il cantor di Didone, fu altresì quello delle. Georgiche . i i Di Fin quì ho addotto o signori, gli esempi della letteratura antica, ove l'ordine de’ progressi, è più pa- tente; stantechè dipende affatto dal naturale sviluppa: . DA 23 mento de’ popoli, e non ne è turbata la successione da alcuna prestanza o impulso estraneo . '* Ma la gradazione non fu sempre uguale presso 1. moderni; perciocchè la nostra letteratura essendo nata da quella degli antichi, e avendo i differenti suoi rami cominciato a fiorire secondochè portò la fortuna o il gùsto de’ nostri scrittori, mostra essa alcuni palesi effet- ti delle medesime leggi, e un affatto simil predominio dello spirito delle scienze . Nel suo vecchio linguaggio avea ‘già Marot fatto vedere qual grazia e naturalezza assumer può la nostra | poesia: e i versi di Corneille, comecchè troppo spesso scorretti’, avean colla forza e sublimità de’ pensamenti agguagliato quanto han di più grande gli antichi, men- trechè mancava tuttavia, per così dire, la vera prosa francese. La scoperse tra varj tentativi .l’autor delle Provinciali: ma questi avea nell'infanzia scoperté -non meno la geometria e arricchitala poscia, insiem coltà fisica, di verità più importanti. Parmi quindi , che quel carattere , così particolare alla nostra prosa , e quell’ an- damento così logico, per cui si disse, che in quanto non è chiaro è ben ragionato; vi ha sempre qualcosa che non è francese, farebbero ( quand’anche s’ignorasse d’al- tronde) riconoscer qual fosse lo spirito dello scrittore , che contribuì maggiormente a. determinarla. Il qual linguaggio si-giusto, sì ben condotto, e ad un tempo così fino ed elegante , respira lo spirito geometrico per modo , che le qualità d’un gran geometra in altri ter- mini non si esprimono: e chi le udisse attribuire all’ il- lustre ‘dotto, che mi ha tra ‘voi preceduto, rimarrebbe incerto a qual delle due prerogative si volesse alludere. Ma non si opera nell’ idioma di una nazione un cambiamento sì forte , senza che sien più o menò VA ©), / soggette alla sua legge le arti che lo adoprano . La poesia sì piegherà prima o poi a una parte di sì fatte regole severe, e consentirà a dare un po’ di libertà in cambio di una maggior precisione e chiarezza, ed anche di una maggior energia: stantechè , tanto nella poesia , quanto nella prosa, non vi avrà mai forza vera, ove manchi la chiarezza e la precisione. Laonde non iemerò d’ aggiungere ( e se quest’ asserzione desse luogo a qualche sorpresa, ne farei giudici voi stessi a mente posata ), essere il muovo carattere di corre- zione e di eleganza, che si manifesta subito ne’ versi de’ nostri due poeti classici, venuti dieci anni dopo le Provinciali, un immediato effetto dell’ ammirazio- ne, che aveano per Pascal, e de’ loro vincoli cogli amici , di lui. Della ‘qual ammirazione fece testimonianza l’ istesso Boileau, allorchè lungamente stimolato a di- chiarare qual fosse il libro francese meglio scritto , Le Provinciali, rispose. E se mi permettete, o signori, di portar la fiducia sino all’ estremo, ardirò pur di confessare, che quando leggo i così dolci e puri e ar- imoniosi versi di Racine, dove con sì stupenda copia e profondità, esprime i più reconditi sentimenti degli uomini, ni trovo doppiamente costretto a risovvenirmi, aver egli passata la gioventù a Porto-Reale; e pel suo venusto linguaggio e maturo conoscimento del cuore umano , ravviso, mio malgrado, il secreto predominio dell’ autore delle Provinciali e de’ Pensieri . Cotesto Pascal, che nutriva un sì bizzarro disprez- zo pe versi, non sarebbe stato adunque affatto alieno da ciò che l’arte de’ versi produsse per avventura di più bello. Ma tale si è la scambievole azion degl’ in- gegni, ch’ ella si esercita senza loro saputa, e talvolta contro l’istessa lor volontà; dimodochè l’idea che na- 25 sce nell’ uno è la scintilla che sì aggizerà forse assai lungo tempo avanti d’ incontrare in un’altra l’alimen- to di una lucida fiamma. Si avvicina intanto la terza età, la quale, ben- chè non sia quella della vecchiezza, non ha tuttavolta più il vigor della prima. Le dolci finzioni non fanno più colpo sul già disingannato intelletto: 1 grandi af- fetti hanno a vicenda animata la scena; e mentre inco- mincia ad esaurirsi l’istesso inesauribil ridicolo , riesce difficile il prender posto a lato degl’ insigni maestri. Di puove strade hanno allora bisogno gl’impazienti inge- gni: e mirando essi ad un punto a cui possano arri- vare, riconducon le lettere alla natura esterna, non già come in addietro, a fin di ritrarne imagini, ma per dipingerne a gran'tratti il mirabil complesso : av- venturoso compenso, che schiude ancora un vasto ed ubertoso campo alle arti dell’ immaginazione . Lasciam che in quello s’° inoltrino : ma non. avvenga mai, ch’ elle manchino al proprio istituto , e nella nuova carriera perdan l’ uomo di vista . Chè se nell’ epoca antecedente lo secondavano nello studio di sè medesimo , aprono adesso davanti a lui universo, e lo trasportano nell’ immensità, dove inalzandosi a quegli alti pensieri, che invincibilmente traggono a sè, posson guidarlo a conoscere la sua origine, la sua natura e i suoi immortali destini. Si ometta d’ indagare i. tentativi degli antichi scrittori; allorchè la loro letteratura fu giunta alla terza età, ch'io chiamerei quasi |’ età della descrizione . Perciocchè qual forza aver potea mai l'ingegno d’ Ap- piano e la malinconica indole di Plinio, per dipingere una natura della quale avean appena le scienze solle- vato il velo? Lo esaltarne degnamente i miracoli, era 26 ) riservato al secolo delle scienze perfezionate: ond’ è che quella terza età ne verrà aperta da Buffon e Delille. Gli avea già preceduti Voltaire . Quando'‘i cieli cantò da Newton domi (+). Sennonchè avanzarono essi di gran lunga ogni rivale . Vivace d’estro e d’ingegno; comparti Delille alla poesia francese colori sconosciuti: risplende ne’ suoi versi lo spicco de” fiori e delle pietre preziose ; e il lor movimento imita quello delle più leggere creature. Volubile e grande , impresse Buffon alla sua prosa la pompa e la maestà che apparisce nell’ andamento dell’ universo . Fortunato il primo, ove da un punto di vista più ‘ele- vato avesse abbracciata la natura in quanto ha di più grande! e fortunato il secondo, qualora si fosse degnato di raccoglierne le minute particolarità con più posa-. tezza! e nondimeno ammirabili entrambi per opere tali, che non avean avuto alcun modello nè nell’ an- tichità, né tra i popoli d’ oggidi! Le quali opere , o signori, nacquero in certa ma- niera nel vostro seno, e si pongono tra i più bei pro- dotti di quell’ unione , della quale or cerco d’ abbozzar l’istoria. Nè saranno le sole: perciocchè quanti argo- menti degni de’ comuni sforzi delle lettiere e delle scienze non rimangono ancor da tentarsi! Qual am- mirando spettacolo, e quanto pieno di ammaestra- menti ! Infiniti mondi che riempion lo spazio colle loro armonie; innumerevoli forme , tutte incantatrici, sotto le quali si diversifica la vita; e una smisurata moltitudine di molle che nella minima di sì fatte vite esercitano ciascuna l’ azion respettiva, sempre neces- saria! Ogni mezzo che la nostra vita ottiene per tentar (*) Quand il chanta les cieux que Nevvtons’ est soumis. 37 vie lontane, centuplica l’ estensione; e. ciascun altro ch’ ella ne acquisti per discerner da presso, centuplica la diversità . Tanto il grande che il piccolo sono senza confini; anzi, che dico io mai? non v' ha confine neppure nella successione. Ogni ricerca nelle viscere della terra ne moltiplica a dismisura i passati rivolgimenti: la vita copre quivi. antiche rovine : posan queste sopr’ altre ancor più antiche; ed apparisce, che le così ricche e variate forme del mondo furon precedute da un’in- finità d’altre forme, che avevano esse pure e varietà e ricchezze . Non mi sono io ingannato? I tra tante grandezze non parrà egli 1’ uomo ben piccolo ? Rapite le lettere, da queste magnificenze non saranno forse per dimen- ticarlo? No; elle nol possono: perciocchè di tutte sì fatte maraviglie è l’uomo la più stupenda. La scienza fece lui dominatore di quest’ universo : e già stanno per uscir fuori quegli esseri de’ quali il viaggiatore va tuttavia in traccia; e pronta è la classe e la fa- miglia, ‘alle quali esser debbono annessi. La scienza ha già deseritte le leggi del moto de’ mondi, non an- cor additati dal telescopio ,\a cui nulla potrà sottrarsi . Alla quale altezza fu 1’ uomo portato dalla scienza ; e dà debbono seguitarlo 1’ eloquenza e. la poesia, e insignorirsi di lui con tutta la possa ch’ elle ritrag- gono da quelle sublimi contemplazioni . Così, quand’ anco la poesia e l’ eloquenza fosser giunte all’ apice della per fezione, le scienze e le lettere si collegherebbon tuttavia fra ‘n per far l’uomo argomen- to delle più elevate meditazioni. Nacquero elle insieme, e spesso insieme procedettero: nè si separeranno anche giunte al fine della carriera che resta loro a percorrere. 28 Con che vo’dire, o signori, che voi non le disgiun- gerete nel compartir le corone, che in forza di una prerogativa unica, avete il diritto di assegnare a qual- sivoglia genere d’ingegno; e da somigliante scelta d’il- luminati intelletti non escluderete quelli che coltivano le più elevate facoltà del proprio spirito, e continue- ranno essi perciò a trovar luogo tra i filosofi, gli uomini di stato, i ministri dell’ altare , e le persone stesse del mondo, la cui nobil colleganza costituì sempre una parte essenziale dell’ accademia francese . - Il ricordare i varj titoli, che danno il dritto di prender posto tra voi, è un ricordare altresì, 0 signori; il venerabile accademico , al quale succedo. Il signor Roquelaure ne possedea da sè solo un gran numero, e tutti in grado eminente. Integro e illuminato magistrato in consiglio ; religioso e tollerante prelato nella chiesa; in parecchie occasioni commovente e nobile orator nel- la cattedra, egli si mostrò sempre amabile e benvo- gliente nel mondo; culto e di gusto esquisito nell’ acca- demia : e ciò che dovrà per avventura anteporsi a così fatti vantaggi , fu esso un saggio fortunato. Formato di buon’ora alle lettere dallo studio degli antichi, apprese da loro stessi quella dolce filosofia, che rende l’ uomo. superiore agli avvenimenti. Fino agli ultimi suoi giorni aveva esso conservato a mente e recitava spesso i più bei versi d’ Orazio : ma sapea soprattutto porne in. pra- tica i dettami : tantochè applicar si potrebbe a lui quel che appunto dice il suo poeta; cioè, ch’ ei vide quasi la rovina del mondo senza esserne scosso. L'esempio di un uomo di tal sorta prova me- glio d’ogni altro, come per coloro che aman le lettere sien elle una consolazione sicura. Dopo d’ aver egli as: saporato ogni grandezza , venne a rintracciare in mezzo 29 a voi gli estremi piaceri di una lunga vita. E voi stessi il vedeste , o signori, in età di novantasett’ anni inter- venire il primo alle vostre sedute ; e raccogliendo quivi con ansietà que’ tratti che il suo languido orecchio po- teva ancor raccogliere ne’vostri lavori, trovare una dolce compiacenza nel confrontarne le bellezze co’ molti pas- sì, che si era impressi nella memoria negli anni suoi giovanili . Quanto dovea mai esservi prezioso un somigliante collega ! Sembrava esso per voi una tradizione vivente : stantechè rappresentava tutti i vostri annali. Aveva in, gioventù vissuto coi contemperanei dell’ autore del Cin- na;si era assiso in età matura accanto all’autor della Me- . Pope, e avea dato nella vecchiezza il suo voto a giovani scrittori, che sosterranno ancor lungamente l’onore della nostra letteratura . Affezionato , com’ era alla patria ed a voi, non dobbiam noi credere, che. portando egli lo sguardo su quel periodo sì memorabile nell’ istoria di Francia e delle lettere, considerasse talvolta il predominio de’vo- stri predecessori su lo spirito e la sorte della nazio- ne? Quanto dovette esso parergli potente! e quanto al- tresì avventurato , s’ ei ne giudicava coll’ equità sua na- turale ! L’ accademia francese, istituita meno ancora per ingentilire il linguaggio , che per addolcire certe costu- manze, incrudelite da un mezzo secolo di discordia, mostrò l’arte di abbellire i dettami del sapere . Alcuni amabili scrittori, da essa formati; gl’ introdussero in tutte le classi: un dolce lume dissipò i fantasmi su- scitati per varj secoli dall’ ignoranza per contristare il mondo ; e i principi e i popoli vennero in chiaro de’lo- ro veri vantaggi. Per tal maniera, mentre que’ dettami 30 divennero la norma del comando, la ragion. generale preparò l’ obbedienza, e assicurò il riposo . Nè senza di- segno la discordia, ricomparsa a dì nostri sotto nuovi colori per insanguinare un’ altra volta la Francia , fece tanti sforzi a fin di distruggere la nostra società: ma la sua precauzione fu vana; attesochè i vostri sustituti erano immortali . E per procacciar durata al suo regno, avrebbe la discordia dovuto parimente distruggere il Telemaco, il Discorso intorno ail’ istoria universale, il Secolo di Luigi XIV, e lo Spirito delle leggi. Se qualche persona imparziale nutrir potesse al- cun dubbio sull’ accennato effetto de’ lumi. venuti dalle lettere, addur non vorrei altra prova, fuorchè quella della sorprendente differenza, che, dopo sven- ture troppo uniformi, apparisce tra 1’ epoca della "vostra istituzione e quella in cui foste restituiti al- l’antico lustro. Nella prima, il vostro fondatore ,. rias- sumendo il disegno di un insigne monarca, si mostra come isolato in mezzo a’ suoi contemporanei; pa- rendo forse che nessun di loro fosse degno d’ udirlo. Combatte nondimeno controdi essi obbligato di quando in quando ad una certa violenza verso il. proprio si- gnore, per maggiormente fortificarlo; e verso la na- zione, a fin di liberarla dagli oppressori; perciocchè negl’indefessi suoi sforzi non si reputava che troppo spesso ridotto alla necessità di signoreggiar le leggi al- l'oggetto di rintegrarne l'impero . Un monarca, illuminato da tutte le cognizioni del secolo, tende a stabilire la propria grandezza sulla. li- bertà pubblica. Ricondotte dalla clemenza, tornano irionfanti la ragione e la giustizia. Un gran popolo, chein mezzo a’ suoi errori cercò queste sole, le riconosce, e le saluta con generali applausi: e già l’augusto tempio i SI delle leggi si prepara a riceverle . All’ ombra del nome sempre grande di Richelieu, la generosità e la lealtà ne consolidan le basi; e l’amore e la confidenza de’ Fran- cesi ne adornan le logge, e vi collocano le riverite im- magini di Luigi e d’Enrico; d’Enrico, il qual travide sì fatto tempio in un remoto avvenire; e di Luigi, che più di lui fortunato, lo vedrà sorger alto senza ostacoli e presentare ai secoli la sua mole, che non può venir meno. L. Per l’analogia dell’ argomento, pensiamo cosa utile e gradita lo aggiungere le seguenti RIFLESSIONI del Sig. CUVIER intorno all’ attuale andamento e alle relazioni delle scienze colla società . A ipepoca nella quale l’accademia delle scienze ricevette da Luigi XIV quella forma che l’ augusto successore di quel monarca cirende oggi, in una so- lennità simile a quella per cui siamo raccolti , l’ inge- gnoso istorico di questa società non osò che con una sorte di ritegno d’ esprimere l’idea, che le ricerche dei suoi confratelli potrebbero non esser tutte così inutili come si credeva al tempo loro. Oggi si può usare un linguaggio meno timido, o piuttosto è quasi superfluo l’ usarlo. I successi che lo studio della natura, dei suoi mez- zi e delle sue leggi ha ottenuti recentemente, hanno 32 ispirato un interesse generale, e si sono acquisiate idee più estese del potere delle scienze e de’ loro vantaggi. Si sono vedute, se: non creare la società , almeno nascere e dilatarsi con essa, procurarle successiva- mente tutti i suoi godimenti, qualche volta traslocarne da cima a fondo gli elementi; e da ciò che esse han fatto non è stato difficile il concludere ciò che potreb- bero fare ancora . L’uomo gettato debole e nudo alla superficie del globo sembrava creato per una distruzione inevitabile : i mali lo assalivano da ogni parte, i rimedj gli rima- nevano occulti; ma egli avea ricevuto il genio per iscoprirli . i I primi selvaggi colsero nelle foreste alcuni frutti nutritivi, aleune radici salutari, e soccorsero così ai più urgenti loro bisogni; i primi pastori si accorsero che gli astri seguono un cammino regolato , e se ne servi- rono per dirigere i loro viaggi a traverso le pianure del deserto: . tale fu 1’ orgine delle scienze matemati- che , e quella delle scienze fisiche. Acquistata una volta la sicurezza di poter combat- tere la natura colla natura medesima, il genio non prese più riposo ; egli andò esplorandola senza inter- missione ; egli fece sopra di essa continue e nuove con- quiste , tutte distinte da qualche miglioramento nello stato dei popoli . Fin d’ allora succedendosi senza interruzione spi- riti meditativi, depositarii fedeli delle dottrine acqui- state, intenti costantemente a connetterle , a vivificave le une per le altre, ci hanno condotti in meno di qua- ranta secoli, dai primi saggi di quei rozzi osservatori ai profondi calcoli dei Newton e dei Laplace, ai dotti sistemi dei Linnei e dei Jussieu. Questa preziosa ere- Edi dità sempre accresciuta , portata dalla Caldea in Egitto, dall'Egitto nella Grecia; nascosa per secoli di sciagure e di tenebrè, ricuperata in epoche più felici, sparsa ine- gualmente fra i popoli dell’Europa, è stata dovunque seguitata dalla ricchezza e dal potere: le nazioni che hanno raccolta sono divenute le padrone del mondo: quelle che l'hanno trascurata sono cadute nella debo- lezza e nell’’oscurità . Egli è vero che per lungo tempo quelli stessi che ebbero la fortuna di rivelare alcune verità importanti, non scorsero nel loro totale le grandi relazioni che le uniscono tutte, nè le conseguenze infinite che possono derivare da ciascuna . Non sarebbe stato naturale che quei marinari fe- nicii, che videro l’arena dei lidi della Betica trasfor- . marsì al fuoco in un vetro trasparente, presentissero tosto che questa nuova materia potrebbe prolungare ai vecchi i godimenti della vista: che essa aiuterebbe l’astronomo a penetrare nelle profondità dei cieli , ed a numerare le stelle della via lattea ; che essa scopri- rebbe al naturalista un piccol mondo tanto popolato e tanto ricco di maraviglie, quanto quello che sembrava essere stato offerto solo. ai suoi sensi ed al suo studio ; che finalmente il suo uso più semplice e più immediato procurerebbe un giorno, a quei che abitano lungo le ri- ve del mar baltico, la possibilità di costruirsi palazzi più magnifici di quelli di Tiro e di Memfi, e di colti- vare, quasi sotto i ghiacci del cerchio flare; i frutti più ueliini della zona torrida. Allorchè un buon religioso nel fondo d’un chio- «stro d° Alemagna infiammò per la-printa volta una mescolanza di zolfo e di salnitro, qual mortale avreb- be potuto predirsi tutto ciò che era per. nascere Tom. I. Gennajo 3 34 dalla sua esperienza | ? Cangiare l’arte. della guerra. sottrarre il coraggio alla superiorità della forza fisica; ristabilire in Occidente l’ autorità dei re; impedire che i paesi inciviliti potessero mai più esser preda delle nazioni barbare; diventare finalmente una delle grandi cause della propagazione dei lumi ; forzando ad istruirsi i popoli conquistatori, che fino allora erano stati quasi dovunque i flagelli dell’ istruzione : tale era il destino d’una fra le più semplici composizioni del- la chimica. i ‘ Queste conseguenze colpiscono ora gli occhi di tutti; ma la vista più penetrante non avrebbe potu- to scorgerle in quei primi tempi, nei quali ciascu- no sì limitava a seguire il sentiero che il caso gli aveva aperto: i primi osservatori divenivano i bene- fattori dei loro simili quasi senza saperlo. Il vantaggio principale ed immenso dell’anda- mento attuale delle scienze consiste nella cessazione di quest’ isolamento. Le diverse vie si sono incontrate; quelli che le scorrevano sì sono creato un linguaggio comune; le dottrine loro particolari, a forza d’ estendersi, sono* arrivate a congiungersi; e prestandosi un appoggio scambievole, avanzandosi sopra una gran linea, ab- bracciano le esistenze in tutta la loro generalità. Così inalzandosi al di sopra di tutto, la scien- za ha raggiunto tutto con i suoi sguardi: tutte le arti se le sono assoggettate; l'industria l’ha ricono- sciuta per sua regolatrice; essa ha servito e protetto l’uomo in tutti i suoi stati, e si è collegata nella maniera più intima e più sensibile a tutte le rela- zioni sociali. Già prima che essa fosse giunta a così grande 35 generalità non era ‘stato difficile accorgersi che le sue osservazioni, più umili e più indifferenti in apparen- za, potevano far. nascere cambiamenti altrettanto im- portanti quanto inaspettati negli usi, nel commercio e nella fortuna pubblica . i Un botanico di cui si sà ‘appena il nome, portò il tabacco dal nuovo rondo in Europa, verso il tempo della lega : in oggi questa pianta dà alla sola Francia la materia d’ un'imposizione di cinquanta milhoni ; gli altri paesi d’ Europa ne ricavano risorse proporzio- nate; essa è divenuta fino nel fondo della Turchia e della Persia un grande articolo di commercio e d’agri- coltura . Un'altro botanico, all’epoca della reggenza, inviò alla Martinicea una pianta di caffè, di quello stesso arbusto d’ Arabia, che non aveva cominciato ad esser conosciuto in Europa che nei primi anni di Luigi XIV. Quest’ unica pianta ha date tutte quelle delle nostre isole; ella ha arricchito i coloni . L’ uso di questo seme è divenuto comune, e certamente è ‘stato più efficace che tutta l° eloquenza dei moralisti per ‘distruggere l'abuso del vino nelle classi superiori della società . Chi potrebbe assicurare che anche al dì ‘d’oggi i nostri giardini di botanica non nascondano qualche ‘erba disprezzata , destinata a produrre nei nostri costu- mi o mella nostra economia politica rivoluzioni egual- mente grandi ? E ciò, che pone in ‘una ‘categoria ben distinta le rivoluzioni occasionate dalle scienze, si è che esse sono sempre felici. Esse combattono le altre rivoluzioni . L'opposizione loro è simile a quella dei due principii, alla guerra d’Orosmade contro Arimano . Quando un’ indolenza funesta abbandonava le no- €9 stre foreste alla, distruzione,, la. fisica migliorava la costruzione dei nostri camini. Quando la gelosia dei popoli ci privava dei prodotti stranieri , la chimica li faceva scaturire, dal nostro suolo. Sembra: che le nazioni dell’ Europa non abbiano mai lavorato. con maggiore ardore, che da venti anni in quà, per an- nientare i loro, mezzi di sussistere. Quante carestie non ‘avrebbero prodotte in altri tempi le devastazio- ni delle quali siamo stati testimoni? «La botanica vi aveva provvisto: ella era andata a cercare al di là de’ mari alcune muove piante nutritive ; ella aveva profittato d'ogni annata: infelice per raccomandarne la propagazione , ed era giunta a rendere impossibile ogni carestia . Vi è di più: al vedere come le invenzioni feli- cl arrivano precisamente quando i mali dell’ umanità Je invocano , si direbbe che la Provvidenza tiene in riserva le scoperte benefiche delle scienze per contrab- bilanciare le scoperte. disastrose dell’ambizione. L’in- nesto del vaiolo si sparse poco, dopo il flagello delle . armate permanenti ; ed all’ epoca del. flagello più fu- nesto della coscrizione, parve che i miracoli sì poco aspettati della vaccina volessero consolare la terra. Benefizi così grandi e così numerosi, noi lo ri- .petitamo con. piacere, hanno anche trovati giusti ap- prezzatori; essi Sono stati acclamati vivamente; ed in riguardo a ciò le scienze e quelli che le coltivano non hanno che da lodarsi dei nostri contemporanei . Ma gli uomini che rendono ad esse giustizia non sì formano tutti idee egualmente esatte delle cause dei loro. progressi, e dei mezzi d’ incoraggiarle . Alcuni, confondendo i tempi, si figurano che si potrebbe tuttora limitarsi alla parte immediatamente 37 utile del loro studio; altri nom vedendo nelle subli- mi lorò' teoriche: se non sterili giuochi di spirito, temo- no che le scienze raffreddando | imaginazione non ristringano ‘l’intelligenza , «e vorrebbero relegarle fra quegli uomini peri quali la professione loro ne fà un bisogno diretto. Già il fatto solo proverebbe che ‘se la scienza è stata nel suo principio debitrice ‘di qualche cosa al caso; ese ‘alcuni uomini volgari le -hanno, fatti fare progressi utili, ella non può d’ora in poi spar- gere nuovi benefizi se non per le meditazioni degli spiriti superiori: tutte le grandi scoperte pratiche dei nostri ultimi tempi hanno: precisamente questo ca- rattere , di avere avuta la. loro sorgente nella gene- ralità e nel rigore che hanno acquistato le ricerche scientifiche; e quegli. studi profondi,e difficili che alcuni spiriti orgogliosi sdegnavano come inutili 3 S0- no appunto; ciò che. ha prodotto. l’ utilità più sor- preudente... (Un ragionamento molto semplice spiega ciò che l’esperienza dimostra . «+ Gli uomini avevano appreso. di. buon’ ora ciò che un’ osservazione superficiale poteva , indicare, ciò di che prove facili potevano istruirli;, e. n'erano ri- . sultate le arti volgari;i main questo, primo ; esame dei mezzi della natura, si era dovuto trascurare quel- li, il prodotto dei quali non poteva prender valo- re se non.in quanto se ne moltiplicassero gli usi, o quelli che erano accompagnati [da difficoltà insor- montabili per la scienza. Non potevano dunque es-. sere aperte nuove strade se : non ;da concetti profon- di; ma questi dovevano anche. vedere ad ogni pas- so aprirsi avanti un più vasto! orizzonte. Ogni muo- 38 vo ‘uso. d’una cosa. chiama e : moltiplica! gli «usi, d’un’iufinità d’ altre. cose; ed. ogni. nuova, proprietà che si scopra, aiuta. ‘a. vincere, gli ostacoli che.ina-, pedivano l’impiego d’una moltitudine d° altre, proprie-, tà: ella è. questa ùna progressione, crescente, all’in-, finito, in cui i nuovi termini son sempre multipli dei precedenti, e nella quale le. combinazioni, onde i termini’ che debbono seguitare giungano. pronta+ mente, crescono nella ‘proporzione stessa dioguesti termini. G'U ; i sari Ecco perchè la scienza e l' ladlodioi che: ne de- riva hanno, fra tutti gli altri figli del genio dell’ momo, ‘questo ‘particolar privilegio , che il. loro.volo non solamente non può. interrompersi,, ;,ma, si acce- lera di continuo. Mentre la! natura intima del .cuo- re umano, riconducendolo: eternamente nello stretto cerchio ‘degli stessi sentimenti e delle stesse. passio- ni, dà all’arte di condurre gli! uomini; come a. quel- la di dilettarli, confini che esse non possono oltre passare; la’ scienza all’ opposto ‘vede ad. una distan- za e da un'altezza ogni giorno maggiore; il campo di quella’ natura esterna, che è il suo impero , si estende per ‘essa’ a misura che: vi esercita un piùal- to dominio ; ed ‘in tutta questa immensità è và» lei impossibile scorger ‘confini ai; suoi. successi. ed. alle sue. speranze . sia Glì esempi atti a render sensibile questo ragio- namento si presentano ‘in folla a' chiunque abbia se- guitata la ‘storia delle. moderne. scoperte! so Obbligato a fare ‘una scelta fra! tanti sforzi. di genio, io mi determino per quelli che è più facile fare intendere ‘in poche parole: ma benchè io: noù possa inchrarli tutti alta pubblica riconoscenza } sono — —— d9 pùr tutti compresi in ciò che io debbo dire, per- chè il mi fine non è tanto quello di far fa: ciascuna scoperta in particolare, quanto il far ante co- nosceré lo spirito che le. ha tutte ispirate . Noi: cominceremo da quella geometria trascen- dente, che l’altezza delle sue astrazioni sembra allon- tanare più d’ogni altra cosa (da tutto ciò che vi è di terrestre e di pratico nelle ‘arti. Il (corso degli astri fino dai primi secoli ha di- retto rozzamente i viaggi dei. navigatori; più recen- temente la bussola ha permesso loro di perder di vi- sta le spiaggie: mavin oggi il pilote-segue la sua via sull’ oceano con la stessa sicurezza che se gli fosse stata segnata dagl’ingegneri; le tavole astronomiche gli fanno sapere ad ogni istante su qual punto del globo egli si trova, e con tal rigore che egli mon può ingannarsi intorno-alla sua posizione d’un’inter- vallo eguale a. quello a cui la sua vista si estende. Così mentre gli antichi non ‘vollero credere -che i vascelli di Faraone Nechao avessero fatto il giro del- l Affriea, la Russia ‘spedisce squadre da uno dei suoi porti all’ altro , facendo il. ‘giro di tre parti del mondo, senza che alcuno vi faccia attenzione . Gl’ inglesi possiedono una florida colonia agli antipo- di dell’ Europa, e vi vanno con una: facilità incom- parabilmente maggiore di quella com cui i fenici an- davano a Cartagine o a Cadice. I primi coloni han- no ivi recentemente valicata una catena di monta- gne, che nascondeva loro immense contrade d’ una prodigiosa: fertilità. Nel corso d’ alcune generazioni questo paese sarà coperto d’un popolo d'origine eu- ropea, dedito allo studio della matura, penetrato di rispetto per il suo autore, ed osservante le leggi dell’ $o umanità. Ma tutto questo è stato reso'possibile dalla precisione dell’astronomia; e questa precisione l'han data ad essa le formule dei nostri geometri. I Gook, i Bougainville, i Vancouver non avrebbero potuto af- frontare ‘i ghiacci ‘del polo nè gli scogli del mare indiano; nè uomini ‘inciviliti abiterebbero la muova Olanda, se gli Euleri, i Lagrange, i Laplace non aves- sero in fondo ai. loro gabinetti sciolti alcuni proble- mi molto astrusi di calcolo integrale; se i Meyer, i Delambre i Burkardt, i Burg non ne ne avessero de- dotte con una pazienza ammirabile quelle lunghe se- rie di cifre numeriche le quali sembrano in oggi « co- mandare al cielo: stesso... ya La fisica non ha seguitato se non Pa lungi l’e- sempio della geometria, ma.a misura che ella vi. si è avvicinata, ha generato un maggior numero d’ap- plicazioni giornaliere e popolari. Se il Rumford ha di- minuito di metà la spesa delle arti che impiegano .il fuoco; se«è giuntoa nutrire il povero colla spesa: di.18 denari per. pasto,.si deve allo studio delicato. fatto da luî delle leggi che segue la comunicazione del calore: se la filtrazione a traverso dei. carboni. assicura adesso dovunque la salubrità delle, acque , si deve. all’esa+ _me diligente che alcuni chimici olandesi hanno fatto delle leggi secondo le quali si fà l’ assorbimento delle sostanze aeriformi: ) se {la popolazione di Parigi non è stata decimata nel 1814: dalla febbre pestilenzia- le, che la guerra aveva ricondotta nei suoi spedali, sì deve alla scoperta che trenta anni prima. aveva fatta lo svedese Scheele d’un’ agente che imprigiona i contagii e ne distrugge ben presto il germe. Soprattutto non vi è cosa che uguagli le maraviglie della macchina a vapore. Dopo che la teorica profonda 4i cimatematica- dell’azione del:calore ‘ne-ha fatto fiale ‘mani del Sig. Watt il motore più potente insieme e più nvisurato, non vi è cosa di cui ella non sia capace: si po- trrebbe dire che'in essa si trovano la geometria e la mec- canica vivificate. Essa fila, essa tesse;/e più egualmente di qualunque artefice, perchè non ha nè distrazione nè fatica . In tre colpi essa fà le scarpe ; un primo cilindro fornito d'uno strumento opportuno taglia la parte in- feriore e la superiore , un’ altro vi fà i fori, nei quali un terzo ficca i piccoli chiodi preparati , che subito ri- badisce, e la scarpa è fatta . Essa ricava dal tino fogli di carta che potrebbero prolungarsi più leghe , se fosse necessario. Essa stampa perfino. Quale ammirazione non (proverebbe il Guttemberg:, quel felice inventore dei caratteri mobili, se vedesse uscire a migliaia in una notte di mezzo a due cilindri , senza interruzione e quasi senza che v intervenga la mano , quelle lunghe pagine ‘dî giornali, che corrono in seguito fino nel cen- tro delle foreste d'America, a portare le lezioni ‘della esperienza! ‘morale, e la luce delle arti! Una macchina a‘ vapore disposta. ‘sopra un carro le rote del quale sin: castrano vin ‘una stradapreparata si trae dietro una fila d’altri carri: si caricano questi , si accende il fuoco per mettere in azione la macchina', edi carri vanno da sè stessi ed in granifretta ‘avfarsi scaricare call’altra estremità della strada: Il viaggiatore che li vede così da lungi traversare la cari pagiia; crede appena agli oc- chi suoi: Ma vi è egli cosa più sorprendente , e da cui possano un giorno nascere conseguenze più feconde che quella di ‘cui siamo stati tutti testimoni ? Un vascello ha' valicati i mari senza ‘vele , senza remi, senza’ ma- rinarì.'Un’uomo per alimentare il focolare ) un'altro | per regolare il timone'sono‘il suo solo equipaggio . Egli 42 è spinto da una forza interna come un’ essere animato; come un’ uccello di mare ,.che voga sui flutti: tale, è l’ espressione del capitano . Ognuno vede quanto questa invenzione semplificherà la navigazione»dei nostri fiu+ mi, e qual guadagno l'agricoltura; farà d’ uomini e di cavalli che! ritorneranno verso. i campi ; ma quello che è egualmente permesso: di.scorgere in lontananza , e che sarà forse anche più importante, si è il cambiamento che ne risulterà nella guerra marittima e nella potenza delle nazioni. Egli è estremamente probabile che sarà anche questa una delle esperienze da poter’ riporsi nel numero di quelle ‘che. hanno cangiata la faccia. del mondo. Era similmente in apparenza una scoperta pura- mente teoretica quella dell’esistenza della materia, zuc- cherina in vegetabili diversi dalla canna; e il Margraaf suo autore era lontano: da aspettarsi che essa potrebbe un giorno minare nelle sue basi il momopolio coloniale, e togliere ogni pretesto all’ indegno traflico, degli schia- vi. Frattanto è prababilissimo chie essa produrrà questo effetto, e che lo produrrà in pochi anni. Si è riso, in principio delle fabbricazioni, di zucchero indigeno, per- chè comparivano unicameute connesse ad. una politica giustamente odiosa. I fabbricanti hanno: lasciato ride- re, ma profittando dei lumi della; scienza hanno per- fezionati i loro processi, hannbd venduto molto del. loro zucchero senza dircelo;;e se, come pare che tutto lo annunzi , i loro profitti sono. assicurati , ogni volta ‘che la fabbricazione dello zucchero e la coltura della pianta che lo produce siano riunite sullo stesso punto , l’ industria loro darà ben presto il valore di cinquanta millioni di prodotti nuovi; fornirà in ogni inverno occupazione a quarantamila, persone; i soli, avanzi in- 43 grasseranno quarantamila bovi, il tutto senza diminuire d’un’atomo ciò che il nostro suolo produceva per l’ a- vanti . -.. E tutto quest’ enorme accrescimento di ricchez- za; questi grandi cambiamenti nel commercio, nella navigazione, nelle relazioni degli stati, non dipende- ranno se non ,dall’idea che ebbe cinquanta anni ad- dietro un chimico di Berlino, d’analizzare per mez, zo dell’alcoole i sughi della barbabietola. 1. Ma questa scoperta, che può un giorno divenire così feconda, non è che un problema particolarissimo appartenente ad una dottrina molto più elevata, e già molto più produttiva: io intendo di parlare della teo- ricadegli elementi delle sostanze organiche, e della facilità delle loro trasformazioni, che è stata partico- larmente dichiarata dal Lavoisier. F Siccome i principii immediati dei corpi organiz- zati sono, e poco diversi fra loro, e nel tempo stesso identici di natura in ciascuna delle specie nelle qua- li si trovano, quando una di queste specie manca, un’altra vi supplisce, e se occorre, si crea il prin- cipio di cui si ha bisogno con indurre una leggiera variazione nelle proporzioni degli elementi d’un’altro principio. In questa nuova magia, il chimico non ha qua- sì a far altro che volere; tutto può cambiarsi in tut- to; tutto può estrarsi da tutto. Si fà l’aceto col legno, un grasso analogo a quel- lo di balena colla carne dei cavalli, un sapone col- la carne dei pesci, l’ammoniaca coi ritagli dei pannila- ni; il sale d’acetosella col zucchero , lo zucchero coll’ amido; si estrae dalle vecchie ossa un corno artificiale che si estende, a cui si dà la forma che si vuole, a che 44 sì assottiglia in una carta atta a copiare i disegni, tra- sparente come il vetro; un poco d’ acido solforico spo- glia l’olio più impuro d’ogni odore e lo rende bian- co come l’acqua ; già da più anni le lucerne a. cor- rente d’aria illuminano le più piccole abitazioni con. una spesa ‘dieci volte minore che ‘per avanti. Ma la chimica ha'veduto che si poteva fare anche meglio; ella ha ricavata l’aria infiammabile dal carbon fossi= le, ed illurhina i locali delle fabbriche e delle mani-. fatture e Je case intiere; colla stessa materia che ser- viva solo à scaldarle. La sorgente è nella parte infe- ‘riore e sétterranea , e si ha in ogni stanza un getto. di luce, come si avrebbe un getto d’acqua di. fonta- na. Ella è questa, come molte altre, un'invenzione: francese trascurata da noi ed accolta dagli stranieri. Se le strade di Londra non sono ancora tutte illumi& nate così, egli è per il timore di nuocere alla navi- gazione, ficendlo abbassar troppo il prezzo dell’ olio di balena. ti Si deve poter parlare di cifre all'accademia del- le scienze; esse sono quasi la sua lingua naturale. Si ricerchi dunque cosa hanno prodotto alla Francia da venti anni le invenzioni pratiche derivate dalle sco- perte dei Sigg. Berthollet, Chaptal, Vauquelin, Thenard ec. nella sola chimica minerale, in questo ramo as- sai limitato delle scienze fisiche; l'estrazione della so- da, la fabbricazione dell’ alume, del sale ammoniaco, degli ossidi di piombo, degli acidi minerali, tutte sostanze che sì traevano dagli stranieri ; la purifiea- zione del ferro, la cementazione dell'acciaio, e final- mente il perfezionamento delle arti che impiegano que- ste materie prime; egli è evidente che bisognerà cal. colare per centinaia di milioni. 45 Ebbene ! nè questi tesori nè questi godimenti ‘mè alcuna delle invenzioni che ce li procurano sareb- bero nate senza la scienza ; quelle invenzioni non sono che applicazioni facili di verità d’un! ordine superiore, di «verità che non sono state cercate a questo fine , che gli autori loro non hanno investigate se non per Va stes- se, e trasportati unicamente dal desio di sa pere . Quel- li che le mettono in pratica non ne avrebbero scoperti i germi, ed al contrario quelli che hanno trovati questi germi, non avrebbero po!uto dedicarsi alle diligenze necessarie per ricavarne profitto. As sorti nell'alta regio- ne in cui le contemplazioni loro li trasporta no, appena si accorgono di questo moto'e di queste creazioni nate da alcune delle loro parole. Quelle fabbriche che sorgo- no; quelle colonie che si popolano, quei vascelli che solcano i mari, quell’abbondanza, quel'lusso, quel mo- to e quello strepito che ne risulta, tutto viene da essi; eppur tutto sembra esser loro estraneo. Appena una dot- trina è divenuta pratica; l’ abbandonano al. volgo: essa non li riguarda più. Per non lasciare inaridire una sorgente così nobile e così feconda , perchè questo sublime linguaggio della meditazione potesse sempre essere inteso , la munificenza dei nostri re aveva chiamata ia scienza nei loro palazzi, ed avevano essi accordato a quelli che la coltivano favori certamente molto onorevoli, ma pure assal inferiori a quelli, che in ogni altra carriera la fortuna più avversa non avrebbe negati a lavori così ostinati. Se non si è creduto. di far troppo onore alla loro filosofia, giudicando che fosse per essi cosa su- perflua, si. dovrà almeno convenire che per parte dello stato non era un impiego sterile dei suoi fondi, 46 e si reputerà cosa da desiderarsi che si facciano per lui molte speculazioni di finanza così felici. Anzichè questo ramo di spesa pubblica fosse in opposizione coll’interesse dei proprietarii, i lavori che esso ha fatti nascere hanno da cinquanta anni raddop- piata la rendita delle proprietà , sia col creare arti nuove che hanno richiesto un’ immensità di materie prime, sia col distribuire nelle campagne quella va- rietà di coltivazioni, la quale ha permesso che ogni terreno ricevesse quella che più gli conviene; ed ha im- pedito chele intemperie non distruggessero tutte le rac. colte insieme. L'abolizione dei maggesi, che, per quanto sia incompleta, già pone in istato produttivo diecimila chilometri quadrati di terreno di più che in addietro ( lo che in altri termini significa che essa equivale per la Francia all’acquisto d’una grande provincia ) è dovu- ta a quegli uomini i quali si sono accorti che il terreno spossato per una pianta non lo è per un’altra, e che l’av- vicendamento delle colture, dipendendo dalla diversa maniera in cui le piante sì nutriscono, è vantaggioso în tutti i terreni ed in tutti i climi. Ora questo ritro- vato non si deve ai lavoratori, ma ai botanici . I poveri abitatori delle Zardes vedevano da più secok te colline sabbiose del golfo di Guascogna avan- zarsi irresistibilmente verso l’interno del paese ; sotter- rare le loro case e le loro chiese ; inondare i loro ter- reni colti per mezzo delle paludi che spingevano avanti a sè: essi le vedevano e le lasciavano fare. Il Daubenton e il Bremontier dissero loro: arrestatele: e fino da quel momento, dovunque si sono seguitati i suggerimenti di questi dotti esse sono immobili. Si avranno quando si voglia più centinaja di leghe quadrate pienamente pro- 47 duttive in quell’arena che sembrava destinata a restar sempre un vano trastullo dei venti . i È da credere che i nostri contribuenti in veced’ave- re da lamentarsi sarebbero più ricchi e più felici, se si fosse impiegata a simili conquiste solo la diecimillesima parte di ciò che si è esatto da essi per devastare la metà dell'Europa, per farci in essa aborrire, e per per- derla. È anche da dirsi che il poco che è stato fatto spiega come la proprietà e l'industria hanno potuto sopportare senza perire tante molestie ed estorsioni. Quanto più il governo le opprimeva , tanto più sem- brava che la scienza raddoppiasse i suoi sforzi per, soc- correrle. Però finchè non vedremo rallentarsi l’impulso da lei ricevuto non avremo da disperare della fortuna dello stato. Basterà un poco di tranquillità d’animo, agli uni per meditare e per scoprire, agli altri per istru- irsi e per mettere in pratica; e ben presto nuovi prodigi mostreranno quanto può la scienza per riparare ai nostri mali. Sventuratamente non è dato alla scienza stessa il procurarsi questa condizione sì necessaria ai suoi pro- gressi. Ella insegue le comete a traverso dello spazio , ma non ha potere sul cuore umano: ella si ride dei flut- ti del mare, ma non ha segreti per calmar l’inquietu- dine dell’ ambizioso. Per altro s' ingannerebbe d’ assai chi la credesse affatto indifferente al riposo dei popoli. In mezzo a quella universale opposizione dei pove- ri e dei ricchi, a quella gelosia dei particolari, causa principale delle turbolenze degli stati , a quella gelosia delle nazioni sorgente quasi unica delle loro guerre, la industria e la scienza che la produce sono i mediatori na- 48 turali. Esse rendono uguali le nazioni sormontando gli ostacoli dei climi, ravvicinano le condizioni rendendo i godimenti più facili a procurarsi; formano la sola leg- ge agraria efficace , perchè è la sola che si accordi colla giustizia naturale, e perchè in grazia d’ un avvantaggiò unico quelli stessi, che una tal legge tende a far discen- dere, trovano una felicità reale ‘ad accelerarne 1’ esecu- zione. Perciò, di quanto interesse sarebbe il quadro che una penna eloquente potesse delineare degl’influssi del- la scienza sulla civiltà! Risalendo a secoli remoti, o trasportandosi in pae-. si barbari, ella ci mostrerebbe il preteso ‘uomo della natura che domina da tiranno la sua propria famiglia, che tratta il suo simile quando lo incontra con una crudeltà uguale a quella degli animali dei. boschi. A poco a poco le prime osservazioni d’una fisica nascente addolciscono quest’ essere. feroce con suggerirgli i mezzi di ricavare qualche vantaggio da un nemico vinto. Lo schiavo a vicenda cerca nell’ osservazione un sollievo ai suoi affanni, e ben presto si ravvicina al suo padrone presentando alla sua ammirazione le opere di Dio, o le scoperte del genio. La forza, quella magistratura pri- mitiva dei popoli rozzi, si disarma da sè stessa quando la scienza perfezionando le arti dà ai tributi d’un la- voro pacifico più valore che alle vessazioni arbitrarie , La propriètà si affranca, la classe industriosa risorge : monarchi abili ne fanno loro appoggio per rovesciare poteri anarchici; la vera magistratura, quella che fà regnare le leggi eterne della giustizia, costringe tutti gli ordini alla soggezione: allora abbandonata ‘al suo naturale andamento, la fortuna si ripartisce fra le fa- miglie, secondo la parte onde ciascuna di esse contri” 49 buisce al ben essere delle altre; e, divenuta così la mi- sura de’ loro servigi come della loro importanza, induce naturalmente quella stabilità verso cui tende la società. Dolce ma infallibile prospettiva, epoca felice che gli errori dei governi e le imiprudenze dei popoli posso- no sicuramente allontanare, ma di cui non impediran- no l’arrivo; in cui la scienza, la ricchezza e l’ industria non avendo ormai altro a fare che aiutarsi scambievol- mente ed accrescersi le une per le altre, porteranno la felicità degli uomini al punto a cui le è concesso di giungere sulla terra! Se deve esser permesso invocarvi, non lo sarà egli in un giorno sì memorabile: quando un principe, di cui i lumi rendono l’approvazione anche più preziosa che i benefizi, consacra col sigillo della sua autorità 1 legami recentemonte stretti hg: tutti 1 ra- mi delle umane cognizioni; quando permettendoci di unire ad un nome che nob era stato: portato senza qual- che gloria quelli che per l’avantiun secolodi travagliavea resi illuetri, prende in qualche modo l'impegno di pro- teggere col suo scettro reale, senza distinzione di tem- pi, tutto ciò che è stato fatto di grande e di bello? E noi pure nella nostra rispettosa riconoscenza avevamo nuovi impegni da prendere. Io li ho espressi nell'esposizione che ho fatta. La scienza richiede che dai dovsri che essa ha compiuti in epoche di sventura, sì misuri l'estensione di quelli che ella s'impone per i tempi di pr otezione e di pace . Tom. I. Gennajo 4 50 FILOSOFIA ELOGI ACCADEMICI Raccolta di elogi storici, letti nelle sedute pubbliche dell’ Istituto reale di Francia dal signor Barone Cuvier, uno de’ quaranta dell’ Accademia francese , segretario perpetuo di quella delle scienze ec. ec. Parigi presso Terraut 1819. vol. 2 in 8.° al prezzo di 10 franchi. i Revue Encyclopedique,-Juin. 1820. Li filosofia è la manifestazione di quello ch’ è. Ogni filolosofia è quindi obbligata ad esprimere tutto quello e soltanto quello che veramente è per non essere ac- cusata o d’ omissioni o d’ipotesi. Ogni filosofia che omette è incompleta , ogni filosofia che suppone è chi- merica. Mon omettere nulla, non supporre nulla : ecco le due regole fondamentali d’ogni filosofia . Quella degli antichi peccò contro queste due regole. Essa sovente omise, ed essa suppose ancor più che non omi- se: perchè da un lato il suo metodo non le sommini- strava tutte le realtà, e perchè dall’ altro essa sostituì quasi sempre al metodo l'immaginazione . Io chiamo metodo in filosofia 1’ arte di scoprire le verità incognite, e l’ arte di dimostrare le verità conosciute. Or dunque di queste due arti il metodo componendosi, esso serve ad un tempo per iscoprire , e per dimostrare. L’arte di scoprire non fu (a un di presso ) tra gli antichi che l’arte d’ osservare: e l’ osservazione sola non coglie tutte le circostanze da’ fenomeni. L'arte DI di dimostrare fu presso gli antichi medesimi poco più che l’arte di supplire all'osservazione col raziocinio: e il raziocino non supplisce all'osservazione che colle congetture. Quindi il metodo degli antichi gli portò necessariamente or ad omettere, or a supporre . La loro filosofia fu dunque a vicenda incompleta e ipotetica . Gli antichi sono stati sovente accusati di non aver abbastanza osservato: ma questo ‘rimprovero è tanto ingiusto, quanto è omai vecchio. I libri d’ Ippocrate, e d’ Aristotile sonò anche ai di nostri. modelli inimi- tabili del modo d’osservare. Gli antichi non giunsero nelle scienze fin dove il ‘loro genio sembrava dover giungere, non già perchè non fossero osservatori, ma perchè furono meramente osservatori . Le circostanze produttrici d’ un fenomeno sone quasi sempre talmente intralciate, che si rende im- possibile, a chi osserva soltanto, di svilupparle tutte, e sopratutto subordinare convenientemente Je une all’al- tre. Le lagune che lascia l° osservazione conducono all’ esperienza e la rendono indispensabile . L’ espe, rienza dalla parte sua estende |’ osservazioni, e le continua: in somma, una circostanza era evidente, l'osservazione la trova : essa era nascosa , l’esperienza la scopre. Mancava agli antichi l’ arte di fare dell’esperien- ze, o se si vuole, il metodo ‘esperimentale. Un fe- nomeno complicato è davanti agli occhi d'un puro osservatore un’ ammasso confuso di avvenimenti. Il metodo scorge attraverso a questa confusione apparente un ordine, e dei legami indissolubili. Esso metodo de- compone questo fenomeno, lo rende semplice, lo rifà sotto certe date condizioni , ora esclude alcune circostan- ze, or ne aggiunge dell’altre, e quindi le determina tutte. . Il novero esatto, l’ estimazione rigorosa di tutte le ci\costance d’ un oriali: ecco lo scopo finale del metodo ‘d’ esperimentare . È proprietà dei fatti. com- posti in questa guisa , edecomposti a vicenda, manife- stare effettivamente le loro relazioni, la loro scam- ' bievole dipendenza, vale a dire, le Lelli leggi, ela loro teorica . Le leggi d’ un’ fenomeno non sono dunque. che le relazioni necessarie onde fra Joro si legano le con- dizioni della sua esistenza: e la teorica è la dipenden- za reciproca di queste condizioni. Ma queste relazioni, questa dipendenza suppongono tutti i fatti già, cono- sciuii e già valutati: l osservazione sola non basta nè per conoscere, nè per valutare tutti i fatti. Quindi essa non può dare nè le loro leggi, nè la loro teorica. Chi dice metodo, dice arte. Esperimenti ammuc- chiati senza scopo, senza ordine, tanto formano il me- todo, quanto dei fatti messi là a caso stabiliscono una teorica . Il carattere del metodo è d’ operare razionat- mente: il metodo esperimentale è dunque per essenza un metodo ragionato: il metodo esperimentale non è dunque in conclusione che il metodo analitico . li Condillac ha definito essere l’azzalisi un metodo di decomposizione e ricomposizione. Or questa defi nizione non è esatta ; la decomposizione e la ricompo- sizione non sono il metodai, ma modi di procedere del metodo . L’ essenza del ima: è posta nel riguardare a quello che nelle cose è waico: anzi il metodo consi- ste propiamente nell’ isolare i fatti elementari. Con questo artificio mirabile lo spirito distriga i fenomeni più inviluppati ; ne affronta separatamente coll’ esame ogni circostanza, e determina così tutte le condizioni del- dA loro esistenza , 0 gli decomponga, o gli ricomponga. 55 L'origine di questa filosofia risale a un di presso , come ognun sa, al principio del secolo diciasettesimo . Tre uomini concorsero principalmente a farla nascere: Bacone, Galileo, Cartesio. Il Bacone a dir vero non fe- ce che indicare, e in una maniera assai vaga, la strada che conveniva prendere. Cartesio fece poco più che darci i suoi errori per quelli degli antichi: Galileo solo è il vero fondatore della filosofia esperimentale. Il Newton fu il continuatore di Galileo : ma la loro filosofia non penetrò da principio facilmente in Francia. ‘Il Cartesio vi avea sedotto le menti coll’ardire dei suoi sistemi, e 11 Malebranche prolungava questa seduzione colle grazie del suo stile. Finalmente il Condillac tra- spiantò tra noi sotto il nome di metodo analitico il “metodo del Newton e di Galileo . Il Lavoisier lo prese dal Condillac ; e dopo s’ insinuò rapidamente in tutte le scienze. Non è nostro scopo in niun conto l esporre di nuovo i resultati di questo metodo , perchè ad essi un degno istorico non è mancato. Io non mi propongo di rammentare le particolari scoperte, ma di far cono- scere in parte lo spirito di quella filosofia che tutti questi ritrovati ispirò: or questo spirito abbiamo ten- tato di figurare , perchè egli è il principio attivo di ogni filosofia positiva, cioè d’ogni filosofia che sa zz0n omettere nulla , e non suppor nulla . La creazione dell’accademie fu uno dei risultati più immediati, e più notabili della filosofia di Galileo. Infatti poichè fu compresa tutta V influenza possibile dell’ arte d’esperimentare si formarono delle società di dotti per darsi a quest'arte: e fu di queste società prin- cipal cura moltiplicare l’ esperienze, ripeterle, variarle in mille modi. Queste esperienze ceriamente non erano 54 da principio che materiali isolati: ma con questi ma- teriali rimessi dopo insieme, abbiamo successivamente formate tutte le teoriche, o piuttosto elleno si sono formate da sè stesse . Nonostante molti di questi materiali sarebbero stati perduti per la posterità se mani capaci e benefiche non ne avessero fatto tesoro nei loro scritti. Le società dei dotti invitarono alcuni fra i loro membri a pren- dersi particolarmente questa cura. A certe epoche de- terminate l’ istorico dell’accademia dovea rammemo- rarne le fatiche: la lode, o per dir meglio la ricono-' scenza si unì naturalmente a questi racconti: quindi gli elogj accademici. L’istoria dei modi di procedere del genio era propriamente l’ istoria dello spirito umano, e il Fonte- nelle si mostrò degno di scriverla. Egli creò nella let- teratura francese un genere d’ eloquenza che prima di lui era dappertutto sconosciuto, e i suoi e/ogj rimar- ranno mai sempre come uno dei più bei mionumenti che-inalzati si siano alle scienze. Fu particolar dote del Fontenelle il prendere tutti i tuoni, ed essere eccellente in tutti: vivo, ingegnoso, profondo e sempre occupato d’ argomenti astratti, ele- vati, e sempre d’essi maggiore. Dopo lui il d’ Alembert, e it Condorcet si mostrarono di nuovo, e con isplendore, in una carriera resa fin d’allora si difficile a percorrer- si. Ma queste diflicoltà mentre sempre irritano il ge- nio, accrescono cogli ostacoli la forza: forse a queste dif- ficoltà noi dobbiamo nuovi perfetti lavori, e un classico di più. Quantungne gli elogj del Cuvier siano qui riuniti per la prima volta, possono non pertanto consi- derarsi come pubblicati. Letti nelle sedute pubbliche 55 dell’ Istituto sono ormai tanto celebri che non vi ha persona cui il nome del sig. Cuvier non rammenti con tante alire glorie pur quella d’istorico delle scienze. Le scienze dette fisiche o naturali dovrebbero indubitatamente comprendere l’ esistenze in tutta fa loro generalità, e in tutte le loro modificazioni. Non ostante una vecchia abitudine isola ancora parecchie di queste modificazioni sotto il nome di scienze me- tafisiche. Ma a forza di stendersi, le scienze fisiche e metafisiche sono giunte a toccarsì, e d’or innanzi la loro unione è inevitabile . Tutto con delle relazioni necessarie si collega nella natura, e questa immutabile connessione costituisce le sue leggi; e la sua armonia. Tutto dovrebbe dunque collegarsi ancor nelle scienze, perchè esse in sostanza mon sono che la copia della natura. Un fatto non si spiega che paragonandolo con altri; cioè trovando le sue relazioni. La scienza consiste nell’esprimere queste re- lazioni; e dove queste non si manifestano non avvi scienza . Lo scopo finale di questa è lo scoprimento delle re- lazioni che i fatti hanno realmente fra loro: e in fatti tutte le 6cienze ai dì nostri tendono a scoprire queste relazioni. Non avvi chi più del sig. Cuvier abbia con- tribuito a rivolgere tutti verso questo scopo, e coll’au- torità del suo nome, e colle conseguenze quasi maravi- gliose , ch'egli mercè di questo metodo ha saputo trarre dai fatti. Ei col suo ingegno e con felici congetture ha supplito resti informi e mutilati del regno animale, ed è giunto, come ognun sa, a crear quasi di nuovo molte specie d’animali del tutto aì di nostri perduti. E in questa sorte di nuova creazione, un solo osso, una sola faccetta d’osso bastarono sovente al Cuvier per de- 56 i terminare l’intiero animale. In fatti, poichè le diverse ‘parti d’un animale non formano insieme che un tutto, egli è certo che dalla conformazione d’una d’esse parti, altre analoghe ne derivano nell’ intiero complesso : il perchè possiamo , strettamente parlando , da quello che resta, argomentar quello che manca . Così la cognizione delle parti di che gli animali sono composti , 0 la loro anatomia comparata è il fon- damento assoluto d’ognì fisiologia, e d’ ogni zoologia razionale. Le fanziohi non sono che il risultamento de- gli organi, e gli animali non sono che complessi orga- nici : quindi per conoscere gli animali e le loro funzioni è necessario studiar gli organi loro . L’ arte di paragonare fra loro questi organi, e mercè di essi le loro funzioni, e per via delle funzioni mede- sime gli animali, forma dunque ad un tempo l’anato- mia ; la fisiologia e la zoologia . È pregio del sig. Cuvier l’aver il primo congiunto nelle sue opere queste tre scienze, come esse lo sono nella natura: ma egli non si appagò della gloria d’aver fatto questo paragone così filosofico e così fecondo. Chiamato dal suo ufficio a far la storia dei progressi di tutte le scienze naturali , egli ha dimostrato successivamente le grandi relazioni onde tutte fra loro si collegano. Infatti le scienze na- turali non formano che una sola scienza, i cui diffe- renti rami hanno connessione or più or meno intime, e or più or meno direttamente s’ aiutano. Regna negli elogj del sig. Cuvier così gran pensamento: or. questi tutto signoreggiando, non v’ ha conseguenza della quale esso non assegni gli elementi, non elemento del quale occulte gli rimangano le conseguenze. To tenterei invano di dar l’analisi di questi elo- g]}- Figurati l’epoca più gloriosa dello spirito umano 57 messati davanti agli occhi con tutta l’ efficacia del ra- ziocinio, e con tutte le grazie dell’ eloquenza. Una società novella nasce con delle muove scienze, o per meglio dire da nuove scienze . Il sig. Cuvier dipinge il genio di questa epoca nascente : ne mostra le cagioni. e gli effetti: fra questi, e fra i più splendidi, non du- bitiamo d’ annoverare i suoi e/ogj. Precede. alla rac- colta di questi elogj un discorso sulle relazioni delle scienze colla società: e questo discorso è un modello d'ingegno, e di stile; nè l’ autore mostrò mai in altri scritti tanta novità di concetti , e così splendido inge- gno. Allo stile soave. e profondo, tu lo diresti un ‘Fontenelle : ma un Fontenelle col doro dell'inventiva i Quanto alle relazioni che uniscono le scienze alla società, queste saltano agli occhi di tutti. Le scienze e la società inviluppandosi in mille modi, divengono a vicenda causa ed effetto dei loro scambievoli progressi. Ma alla fine la società deriva dalle. scienze , e non co- me generalmente si dice, le scienze dalla societa . La società è dapertutto fondata sulla scienza , vale a dire, su quello che si sa: vuoi tu mutare affatto una società, muta la scienza. Il progresso della società è una conseguenza invincibile di quello delle scienze; e con esso loro la società necessariamente si perfeziona . E orribil cosa in una determinata epoca della so- cietà il farla soggetta ad alcuni politici reggimenti, come è assurdo il pretendere che la scienza d'una da- ta età soggiaccia a certe filosofie. La stagione degli uni e dell’altre è ‘passata: sorge un muovo ordine di leggi e d’idce, e ancor per esso suonerà la sua ora. Le forme dello spirito umano variano e si modificano all'infinito: lo spirito umano solo è immutabile ed eterno . FLOURENS. 58 SCIENZE NATURALI SOCIETA SCIENTIFICHE Discorso detto dal sig. professor Pieter per l’ aper- ‘ tura della sessione tenuta a Ginevra dalla società elvetica delle scienze naturali, il dì 25 luglio 1820. 3 Un viaggiatore, che non conoscesse la Svizzera, che il caso avesse condotto in questo recinto resterebbe cer- tamente colpito dal carattere che mostra questa no- stra adunanza, e chiederebbe a sè stesso quale esser ne potesse l’ obietto. Forse è minacciata Ginevra, e si accorre qui, come in molte altre memorabili circo- \ stanze, per darle mano a difendersi? No; l’ Europa è, e vuole essere in pace. Forse intestine fazioni agitano e dividono la città , e qua si viene come altre volte a restituirle, mediante buoni offici, l’interna tranquillità? No; l’ interna tranquillità le è restituita ed assicurata per lungo corso di anni, ed oggi l’attività degli spiriti tutti ha per sola meta le instituzioni che possono con - solidarla. Sarebbe questo forse un congresso politico, una dieta che aduna in questo luogo un numero eletto di deputati per sapere e per amor patrio sì ragguar- devoli? Neppure ; la politica è affatto estranea a’ motivi che li ha richiamati a Ginevra. Non comprendete il mistero? io vel paleserò . Due forze morali, due attrazioni muovono questi viaggiatori da una estremita all’ altra dell’Elvezia . La prima è l'amor di una scienza che tutti coltivano, la più bella d’ogni altra, la scienza della natura. L'altra forza innata nell’ uomo, produttrice della civiltà, e che 9 dalla civiltà ben diretta prende maggiore energia, è lo spirito di società . Contemplate adunque in questa ra- dunanza l’ effetto di questi due principj d’ azione: esso è notabile, e son degne di qualche meditazione le cause che l’ han prodotto . Fra tutte le umane discipline niun altra ve ne ha che offra così potenti attrattive, ed abbia un sog- getto tanto esteso, quanto lo studio dell’ istoria natu- rale in tutte le sue diramazioni. Essa occupa a un tempo i sensi, lo spirito e il cuore tosto che l’uomo risale alla causa onnipotente delle maraviglie delle quali fà mostra a chi sa vedere: essa è essenzialmente azziva, locomotiva : pone in uso tutte le facoltà umane nell’età della forza e dell’attività; prepara per l'età del riposo indefiniti godimenti nel disporre e studiare le raccolie fatte percorrendo le diverse regioni, ciascuno oggeito delle quali o rammenta una cognizione acquistata, 0 richiama una piacevole reminiscenza . Queste raccolte, che tutte rappresentano in minia- tura, e in un ordine più 0 meno regolare, alcune linee del gran quadro della natura, offrono al naturalista viaggiatore un soggetto di studiosa curiosità, e d’inte- resse vivissimo. In fatti qual più dilettevole sfastiatista per un'semplice curioso, qual più seducente incanto per i veraci amanti della scienza, che quello di potere osservare in poche ore i saggi de’ prodotti naturali rac- colti da tutti gli angoli della terra, il riunire e l’ordi- nare i quali è stata l'occupazione di tutta la vita di un uomo ? Ne i soli oggetti inanimati , le sole cose dotate so- no d’una sì possente attrattiva. Gli uomini ancora esercitano energicamente questo potere. La speranza di far personalmente nuove amicizie con uomini celebri 60 nelle scienze, l’opere de’ quali abbiamo studiate; il contento di riveder coloro che già conoscemmo, la sod- disfazione di attinger nuovi lumi in colloqui scentifici, tutto ciò si presenta in folla al pensiero in una assem- blea quale è la nostra. La varietà de’ linguaggi che si parlano nella Svizzera oppone, è vero, un ostacolo all’ estensione e all’intimità delle comunicazioni: ma quando gli uomini animati sono da un sentimento co- "mune, con un poca di pazienza, e con indulgenza scambievole giungono finalmente ad intendersi. Alla mia lettera circolare di convocazione ho ricevute ri- sposte scritte in francese, in tedesco, in italiano e in latino, e tutte spiravano benevolenza e fraternità . Per i veri amatori delle scienze naturali una pietra, un’ uccello, un’ insetto sono come altrettanti talismani, che tosto fissano fra di loro un amichevol commercio quasi indipendente da ogni maniera di favelle , E quando anco questi beni fossero meno imme- diati di quel che sono in realtà, basterebbe a con- gregarci lo spirito di società, quell’ elemento fonda- mentale della costituzione morale dell’ uomo. Per quan- to esso sia una specie d'istinto, non cessa però di es- sere ancora un calcolo giustissimo. L'individuo isolato ‘ è un punto impercettibile nella massa sociale; non ha misura comune con lei, non influenza, non difesa, ed è passivo come la pietra e l’ erba che si calpe- sta. Ma tostochè appartiene ad alcuno de’ rami del gran fascio sociale, questa aggregazione crea per lui una sfera di attività e di potenza. Le sue idee ger- mogliano, fermentano e producono. Fà tesoro de’ pen- samenti altrui, e da questa azione e reazione, dal commercio che ne è la conseguenza, ne resulta un vantaggio unico fra tutte le alire maniere di com- 61 mercio; poichè in questo con picciol capitale si fà guadagni immensi, colla sola sua parte l’ uom s' ar- ricchisce di tutte quelle degli associati, vi si presenta co deboli suoi mezzi individuali , ed acquista quelli di tutta l’ associazione. Esiste nel cuor dell’ uomo il sentimento confu- so di tutti questi vantaggi, del pari che il germe delle istituzioni, le quali li mandano ad effetto; aspet- ta solo la circostanza decisiva per isvilupparsi e frut- tificare; e nella stessa. guisa che poca favilla gran fiamma seconda, così una idea felice, un solo voto può far nascere una. associazione, la potenza e i be- nefici della quale saranno incalcolabili. *.;, Chi potrebbe, (diceva non ha guari un rispet- tabil ginevrino in un opera che palesa del pari il suo, sapere in istoria naturale e il suo carattere mo- rale ) chi potrebbe valutar tutto il bene che un sol ,, uomo può fare e per suo e per mezzo ‘altrui, in » una lunga serie. di generazioni, allorchè si abban- 3, dona a quell’impulso di cuore che lo. sprona ad 33 Un Opera virtuosa, ad un coraggioso sacrifizio per la 3» felicità de’ suoi simili? E non è questo forse il pri- » mo seme di tutte le istituzioni ? ZL” obolo donato ;», dalla vedova del Vangelo, si è moltiplicato in di- 3» ciotto secoli mercè delle elemosine delle quali es- 33 Sa ispirò il pensiero. Benediciamo dunque i bene- », fattori dell’ umanità ,,. E benediciamo pure la memoria di colui (1) cui dobbiamo l'istituto che in questo giorno ci ha con- gregati. Cinque anni sono egli ne formò il felice concetto: pel 6 ottobre 1815 invitò nel romantico {1) M. Gosse di Ginevra. 62 romitorio di Mournex, ch'esser dovea la sua tomba, alcuni amici degli studi maturali e cittadini di que- sta Elvezia, cui di recente il nostro paese ha avu- ta la sorte di essere associato come cantone. Ivi con una allocuzione piena di fuoco e di fantasia pro- pose i fondamenti di uma società elvetica delle scien- ze naturali, ne segnò il piano, ne indicò i vantag= gi; e dall’entusiasmo, da' cui era posseduto e che noi pure animò, prendendo vigor nuovo le sue forze languenti, ad alta voce e con tuono quasi profetico fondò la nostra società, e sulla cuna di lei implorò le benedizioni del Creatore di quella natura , al culto della quale eravam noi tutti dedicati, e ‘alla quale il bell’anfiteatro delle alpi offriva in quell'occasione uno dei più magnifici templi. La rimembranza di quel bel- lo e memorabil giorno non ha bisogno di essere rav- vivata per coloro che ne furono testimoni; ma dob- biamo ad una dama ginevrina il felice pensiero di rappresentarne la scena da lei disegnata dal vero. Il signor Almeras nostro abilissimo disegnatore l’ha tra- sportata sulla pietra litografica; ed ella ne ha otte- nute tante copie, quante bastassero a regalarne ciascun membro di questa adunanza. Son certo di preveni- re il voto di tutti, rendendo grazie per loro a lei e al sig. Almeras per questo amabile non meno che generoso pensiero. Fu benisnamente accolta dall’ alto la preghie- ra dell’uomo dabbene, del nostro rispettabil fonda- tore. Perchè non può egli essere spettatore della nu- merosa assemblea che nell'intervallo di un solo lu- stro, di un debole arboscello ch’ ella era in origine, è divenuta una pianta vigorosa che porta già fiori ha * frutti? Perchè non può egli vederci il suo unico di- 63 letto figlio, reduce da un peregrinaggio di più anni, ‘ fatto col solo scopo di addottrinarsi nelle scienze me- diche e nelle principali lingue europee? Perchè non può egli ammirarlo fra noi ricco di scienza, caldo di zelo adempiere il ministero di segretario aggiunto del- la società; ministero che a mia richiesta si è degna- to addossarsi, e pel quale egli era tosto come dise- gnato, e perchè dotto nella lingua tedesca, e perchè figlio del nostro fondatore. La società nel suo principio annoverava soli 35 membri appartenenti a tre soli cantoni. Oggi ne con- ta 300, ed ogni cantone vi ha il suo .rappresentan- te. A dir vero il contingente non è uguale, perchè sei sui ventidue cantoni danno i 4/s dei membri: e questi sono i cantoni di Yad, di Zurigo, di Berna, di Ginevra, di S. Gallo e di Argovia. Io li ho ram- mentati nell’ ordine de’ numeri che presenta il ruolo, poichè 58 appartengdno al cantone di /aud, e 29 a quello d’ Argovia: Questo catalogo steso e pubblicato per le cure del comitato di S. Gallo, cui per altre ragioni rendiamo le meritate grazie, sarà distribuito a ciascun membro presente, e inviato agli assenti. Oh quanto è onorevo- le per la società il leggervi i nomi di 55 associati fo- restieri di tutte le grandi nazioni europee, i quali han trovato pregiabile questo titolo : e fra questi nomi i Cuvier, gli Humbolt, i Berzeli, gli Hauy, i Gmelin, gli Haussman, i Viviani, i Configliacchi brillano di viva luce suli nostro elvetico cielo come stelle di pri- ma grandezza. Una di tali stelle, non ha molto , cessò di brillare; e non per noi soli ma per l'Europa intiera è deplorabile la perdita di sir Giuseppe Banks. Io nulla di lui dir 64 i potrei, che detto non abbiano i giornali tutti, (e ‘che non sia notorio a’ naturalisti d’ogni paese. Le circostanze che han formato ed. attorniato quest'uomo singolare 5 quelle che per un mezzo secolo in tempi difficilissimi lo han posto in grado di rendere i più segnala i servigi alle scienze e all'umanità, tali circostanze, io ripeto, più non si presenteranno a’dì nostri, e forse per molti secoli avvenire . | Ma questa perdita era stata preceduta da ‘alira più sensibile per noi, da quella cioè del nostro confratello, professor Jurine. Io non avrei nulla da aggiungere a ciò che la sua:celebrità europea vi ha già da molto tempo ripetuto. Pure ad un compatriotto, ad un collega , al un amico fin dell’infanzia deve concedersi di spargere qualche fiore sulla tomba appena chiusa d’un amico. Aveva il Jurine terminato appena il corso di quella letteraria istruzione che tutti riceviamo ne’ pubblici stabilimenti, quando dalle sventure paterne costretto a procacciarsi una sussistenza, e seutendo in sè svilup- parsi quel trasporto per le scienze mediche, Je quali successivamente gli procurarono una delle sue riputa- zioni, abbandonò Ginevra e recossi alla più vicina delle grandi scuole di Europa, a quella Parigi , per attingervi le cognizioni teoretiche e pratiche essenziali alla pro- fessione che intendeva abbracciare. Tornò in patria de- corato del grado dottorale, e caldo del nobil desiderio di farsi vantaggiosamente conoscere . Ricco delle co- piose istruzioni ricevute di fresco; incominciò un eorso di lezioni anatomiche frequentate dagli studiosi e dagli amici, fra iquali ebbi la sorte d'essere io pure, e il piacere | di ammirare la chiarezza nell’insegnare , e l’ estensione delle acquistate cognizioni. Ilsuo credito didattico contri» buia farglirapidamente un nome nell’ esercizio dell’ ar- G5 te sua: lusinghieri successi, operazioni difficili felicemente eseguite , sebben giovine ancora, lo posero a livello del vecchio Cabanis cui successe, senza che a mal grado la fama di quello altri si aecorgesse d’ un vuoto . Il Jurine procedeva a gran passi per la strada della celebrità e della fortuna; ma ciò non gli bastava - Un. amore innato per lo studio della matura erasi in lui sviluppato contemporaneo ai suoi progressi nell’ arte medica. Coltivò questo amore solo nè pochi ozi che gli concedeva un esercizio necessario alla propria sussisten- za; ma dacchè non fu più inquieto sul suo avvenire, divise il suo tempo fra l’arte che gli diede onde vive- re, e il suo studio favorito, quale era la storia naturale in tutte le sue diverse diramazioni. Appoco appoco lo studio suo diletto prese il predominio su quello di un’ arte, il cui esercizio è laborioso e talvolta sventurato . Finalmente in qualità di chirurgo si limitò a far con- sulti, ma come naturalista acquistò una sempre più crescente celebrità, e i più giusti titoli alla ammira- zione e alla gratitudine degli amici delle scienze na- turali . La sua carriera in questi due stati fu segnata da Iuminosi successi, ed onorata da più d’una corona ch'ei meritò ne’ coneorsi aperti dalle società dotte di diversi paesi. Uno di questi primi trionfi precedè all’epoca de’ Priestley e de’ Lavoisier sopra i gas, alcuni dei quali egli antivedde. Il suo scritto sull’angina di petto (angina pectoris ) ottenne il premio proposto dalla società di medicina di Parigi ; e il governo fran- cese gli aggiudicò la metà del premio straordinario di 12000 franchi, destinato all’opera migliore su quella infiammazione della laringe, denominata il crtp. Quello fra i diversi rami di storia naturale, al T. I Gennajo 3 66 quale di preferenza si dedicava a vicenda, sembra che fosse l’entomologia. Nel 1807 diede al pubblico un bel lavoro sugl’insetti i meropteri e su’ dipteri, corredato di disegni eseguiti da una figlia a lui cara, che poco dopo morte gli tolse. L'epigrafe di questo libro, tratta dal nostro illustre Carlo Bonnet, aggiunge un tocco di più al carattere, del quale bramerei dare una completa idea. ,, Si scorge ovunque ( dice il Bonnet parlando , dell'insetto ) il sigillo di quell’ adorabile intelli- ,» genza che formò colla mano istessa l’uomo e la 3; MOSCA . ,, Il Jurine ha comprese tutte le sue principali os-, servazioni e scoperte nelle molte scritture inviate a diverse società scientifiche delle quali faceva parte, e fra queste mi sia permesso di nominare la società gi- nevrina di fisica e di storia naturale, e quella dei naturalisti della città nostra, divenute ambedue parti integranti della gran società elvetica. Frutto degli studj del nostro confratello sono due opere postume di grande importanza, una sul curioso insetto aquatico detto monocu/lo, l’altra su’ pesci del nostro lago , entrambe accompagnate da disegni di una finitezza ammirabile, le quali impazientemente desi- derate, speriamo che non indugeranno a comparire alla luce . Ma fin qui ho passato sotto silenzio il più bel monumento di talento e di perseveranza dal nostro collega inalzato alla scienza, da lui con tanta gloria coltivata. È questo il suo gabinetto, una delle più do- viziose raccolte di tal genere che esistano in Europa, e forse la prima per l'ordine ammirabile onde è distri- buita in tutte le sue parti. Essa è uno degli oggetti più degni della curiosità di quei nostri confratelli che \ 03 mi onorano di loro udienza, ai quali godo di annun- ziare che mercè della cortesia d’uno dei nostri asso- ciati, il dottor Berger amico ed alunno di colui che perdemmo, questa preziosa raccolta potrà vedersi in quelle ore che si compiaceranno indicare. L’instancabil Jurine se ne occupava tuttavia, e dava l'ultima mano alle opere sopra indicate, quando lo assali quella stessa angina da lui tanto accuratamente studiata e descritta, e che in sequela di certi sintomi era per lui come la spada di Damocle. Conobbe mor- tale la sua infermità; procurò di consolare due amici fedeli, i quali colla loro assistenza salvato lo avrebbero se all’arte restato fosse qualche potere. L'ultimo suo desiderio fu, che non se gli facesse verun pubblico elo- gio. Mio dovere è stato di rispettare questo suo desi- derio; e quindi mi son limitato a rammentar soli faitì, la sola esatta verità. Se poi ella parla a’ vostri spiriti e a’ vostri cuori, ella sola potrà dall’ombra del nostro amico meritarsi il rimprovero di avergli tessuto un panegirico. L’ unico figlio del sig. Jurine, erede del tesoro indicatovi , non è in istato di goderne, trattenuto in Parigi dalle cure che esige il vasto stabilimento dei bagni di Tivoli, de’ quali è il principal proprietario . Ma il suo nipote e nostro collega, giovine in cui di buon ora già si manifesta il gusto per l’ istoria natu- rale, il suo mipote è a Ginevra. Se, come è possibile, siede presente a questa adunanza, speriamo ch’ ei formi il tacito voto, che se mai giungerà a posseder questa raccolta, la conserverà in ossequio della memoria del- l’avo, la conserverà a vantaggio della sua patria ; perchè sarebbe a scapito dell'interesse, e dirò quasi dell’ onor di ‘Ginevra come città classica, che un sì 68 completo e prezioso mezzo d’ istruzione uscisse dalle sue mura. La società elvetica a sofferta in quest’ anno un'altra perdita nel sig. Fisch d’ Herisau nel canto- ne di Appenzell. Sarà incarico d’ uno de nostri soci, che il conobbe personalmente, di reclamare i suoi di- ritti alla memoria e al rammarico de’ suoi colleghi. Ma troppo ho parlato delle perdite nostre ; è tem- po di parlare de’ nostri acquisti. I membri onorari scelti nell'ultima nostra seduta han tutti con gradimento e con riconoscenza accettato il titolo che avete loro conferito. Essi sono i seguenti disposti in ordine alfabetico. I Signori Arfwedson chimico a Stocolma, alunno di Berzelius. Balbis professore di botanica a Lione . Berzelius professore a Stocolma. i Breislak dotto mineralogista e geologo a Milano. Configliacchi professore di fisica a Pavia. Daudebard di Ferussac celebre conchigliologista . Gmelin professore a Carlsruhe. Ladomus professore nella stessa università . Lindenau (il barone di ) astronomo di Gotha. Muther medico a Cobourg. Naumann padre, e figlio. Nees d’ Esenback presidente dell’ accademia Leo- poldina di Bonn. Petersen ( il maggiore ) che abbiamo la sorte di veder qui presente. Sommering membro dell’accademia di Monaco. Sprengel professore di botanica a Halla. Viviani professore di botanica a Genova. Zach ( il barone di ) astronomo a Genova. 69 La società ha inoltre ricevuti in dono alcuni li- bri, pei quali, e per quelli che successivamente po- ‘tesse ricevere, il comitato centrale proporrà in questa stessa seduta un progetto. Intanto ho pregato il nostro dotto collega il sig. professore de Candolle a render grazie per nostra parte all’ autore della Flora d’ Es- sequibo . i Fino dal decorso marzo il sig. presidente sindaco di Ginevra mi fece l’ onore di scrivermi che sull’esem- pio de’ governi di quei cantoni, ove finora si era adu- nata la società, il consiglio di stato aveva destinati 4oo franchi di Svizzera per animarla ne’ suoi lavori . Nè questo è il solo contrassegno d’ interesse che le ha dato : i nostri sinceri ringraziamenti non posson giun- gere a lui più direttamente ‘e più officialmente che mercè delle espressioni ch'egli ascolta e che leggerebbe ne’ nostri cuori . Nè questi soli sono gli acquisti che ha fatti la società . Mi resta a indicarne altri tre; nè la società, nè coloro che a lei li procurano s° immagineranno di quali io intendo parlare. { Da due anni fino a questo giorno si son formati a Ginevra, e rapidamente estesi e consolidati, tre sta- bilimenti figli dell’ amor per la patria e per la scienza. Il primo è una società di lettura che possiede una bi- blioteca di circa 6000 volumi. Gli altri sono un giar- dino botanico ed un museo d’ istoria naturale e di ‘antichità. Questi due ultimi sono divenuti una pro- ‘ prietà nazionale, ma non han per questo cangiato ca- rattere; poichè Ginevra non è altro che una gran fa- miglia . Nè questa gran famiglia mi smentirà se volgen- domi in suo nome a questi cari confederati io gl’invi- 70 to, ogni volta che, 0 interessi. loro particolari 0 sem-- plice curiosità li conduca a Ginevra , a entrare a parte de godimenti che a noi procacciano questi stabilimen- ti, come se ne fossero comproprietarj, o almeno wesu- fruttuarj; a entrare in corrispondenza per cambio di oggetti da giardino a giardino, da museo a museo; e a ristringere sempre più, mediante queste fraterne e liberali comunicazioni, tali relazioni utili e piacevoli a tutti, e l'influenza delle quali sulla pubblica e par- ibalaro felicità comincia già a farsi sentire , e può di- venire incalcolabile. SCIENZE MORALI e POLITICHE ECONOMIA, FINANZE. Lettere di S. James. LeTTERA I. S. Jame® 15 Ottobre 1819. I capitali da voi impiegati in Inghilterra vi tengono in qualche inquietudine ; e temendo che non restino inghiottiti da una rivoluzione , mi chiedete sopra di ciò il mio parere. Io vi risponderò colla semplice nar- razione dei fatti, e voi giudicherete della loro impor- tanza . So benissimo che voi temete vicina una rivolu- zione simile a quella di Francia, ma lo stato dell’ In- ghilterra non è simile a quello in cui era la Franeia nel 1789: poichè tutto il terzo stato d’ accordo volle allora in essa distruggere le politiche istituzioni, per ri- comporle in altra forma . sI Nel 1688 accadde in Inghilterra questa mutazione, in cui i patrizi, il popolo ed il monarca fecero un patto conforme allo stato presente della società : su questi statuti fondasi la moderna civiltà ; e da tanti anni in poi si travaglia V Europa per imitarli . Il contratto so- ciale dell’ Inghilterra dà la medesima sicurtà all’ in- tera nazione, che avendo già tutto ottenuto, non ha più nulla da desiderare da questo contratto. Ii po- polo , il patriziato e la corona banno ognuno in parti- colare ricevuto da questo uno dei tre poteri politici dello stato, dai quiali son difesi i loro interessi , onde per sanzionare le leggi è necessaria la loro cooperazio- ne. Nell’ equilibrio di questi tre poteri stà la conser- vazione dello stato: e poichè ognuno di essi doveva rappresentare interessi differenti , la costituzione aveva supposto, che vi avrebbe gara tra loro, perlochè si era studiata ad equilibrarne in maniera l’ autorità , che niuno all’ altro preponderasse . I frangenti nei quali si è trovata l'Inghilterra hanno rendute vane queste cautele ; poichè tra questi tre poteri in vece di una gara si è formata una lega , il principio di cui è stata la paura de’ partigiani di Gia- como, paura ch’ è durata dal 1688 fino al 1746. Il re, il popolo ed i patrizi hanno avuto frattanto una egual necessità di star fra loro d’ accordo per consolidar ciò, che serviva di titolo alla corona, e di schermo alla co- stituzione . Nè ebbe fine questo motivo, se non quando il pretendente si accordò a ricevere una pensione in vece della sua corona ; ma d'allora in poi l'Inghilterra non ha avuto sovrani atti a corrompere la moltitudine, e di un carattere elevato da spegnere ‘ogni poter popolare. Questo potere dal canto suo non ha usurpata l’autorità monarchica , perch’egli avea col tempo acquistato in- 72 teressi troppo grandi per avventutarsi a perdergli nelle popolari contese. Il patriziato ha sostenuto religiosa mente il suo grado, essendo questa la sola parte che possan tenere i patrizi posti ira un popolo e un trono, poichè non possono essi nè alla popolare influenza nè alla monarchica partecipare. L'accordo delle tre forze politiche che reggono l'Inghilterra ha finito col rendere alla corona sotto altra forma un’ autorità meno arbitraria si, ma più completa di quella, che per ottant'anni sì è contrastata agli Stuardi. I voleri del principe infatti non soffrono altra dilazione che quella del tempo necessario a farli convalidare dagli altri due poteri; formalità che nulla costa, poichè fra questi socii non può esservi altra di- sputa, che sull’utile maggiore o minore, che la co- munità loro dalla proposta misura può trarre. Sembra che questa lega del poter popolare colla corona e col patriziato sia contro natura, e nasce, come vi ho ad- ditato o signore, dai grandi interessi, che una parte della plebe si è trovata in istato di acquistare, e questi interessi sono stati la conseguenza della gran prospe- rità dell’ Inghilterra , la quale è stata originata dall’ a- vanzamento di essa nella civilizzazione, di cui ell’ è stata per un secolo l’ esemplare e la regolatrice , come già furono all’età loro l'Egitto , la Grecia e l’Italia . La pubblica prosperità è un effetto necessario di tale avanzamento, perchè tutte le altre nazioni son costrette a pagare alle più incivilite il tributo, che gli scolari debbono ai loro maestri. La prosperità ac- cpm le ricchezze le quali non si i, come 1 liquidi, ma tendono al contrario a rammassarsi di continuo negli stessi scrigni, in virtù di una legge che può dimostrarsi al pari di quella de’ fluidi. In que- 73 sta guisa una parte della nazione si è impadronita di tutta la ricchezza -pubblica, mentre l’altra n'è ri- masta interamente spogliata . I plebei perciò sono stati in due classi, per indole e per contrarietà dei loro in- teressi, divisi: poichè una dà mentre l’altra riceve, una vende. mentre l’altra compra. Così si è formata nel seno della nazione una democrazia scelta, che abbraccia tutti i plebei che posseggono un capitale, vale a dire interessi da conservare: il rimanente, tutta quella parte contien di popolo che vive di mercede , e gl’ interessi del quale solo nell’acquistar son riposti. La conserva- zione dunque è il motore della democrazia scelta , e questo principio è bastato per imprimerle un carattere aristocratico . Dimodochè questa classe della nazione partecipa alle due nature politiche opposte; ell’è ari- stocratica per 1 suoi interessi, e democratica pei diritti .ch’ ell’usa, e per la regola che dalla costituzione ell’ ha ricevuto; quindi ella può esser divisa per le sue opi- nioni, ma d’accordo per i suoi interessi. Con questi ella porge allo stato un pegno immenso di sicurezza, e con il conflitto delle sue opinioni il genere umano sovra- namente ammaestra. Questo corpo potente per il suo carattere aristocratico ha potuto agevolmente trovarsi d’ accordo con gli altri due poteri, poich’eglino nulla aveano a temere, e tutto a sperare dalla loro lega per la difesa de’ lor diversi interessi. Nel tempo stesso egli ha potuto proteggere le garanzie del popolo, perchè ne partecipava come democratico. Formandosi questa lega per l’ effetto naturale degli interessi, che la domestica economia dello stato aveva accordato alla democrazia scelta, in questa corpora- zione ell’ ha concentrato quel potere politico, che la co- stituzione aveva dato al popolo intero. Finchè la pub- 74 blica prosperità ha offerto a questo popolo un’ abbon- dante quantità di salarj, appena si è accorta della se- parazione che v'era tra lui e l'aristocrazia plebea : poichè questa divisione non era fondata sopra diritti, ma sopra fatti dalla forza delle cose derivati. Nè aveva egli meglio notata la concatenazione del poter popo- lare in quest’ aristocrazia: poichè in niuna guisa ne aveva risentito il minimo danno. Va or declinando la prosperità dell’ Inghilterra per cagioni irreparabili, non altrimenti che quelle che aveva prodotta la sua prosperità. La moltitudine dei proletarj ne soffre, ed eglino incolpan di ciò quel potere, che la costituzione aveva proposto alla difesa de’ popolari interessi. Questo potere è realmente ora fuori delle mani del popolo, ed ei chiede che gli sia reso con un nuovo sistema elet- torale. Ma sia pur ora restituito alla moltitudine questo potere, nulla varrebbe a pro di quella, fuorchè a di- strugger l’ ordine e le leggi; io lo ripeto , queste leggi non hanno più nulla da darle, poich’ ella tutto ne ha già ricevuto. LETTERA JI. 18 Ottobre Anco nel rimanente dell’ Europa vi sono certa- mente proprietari e proletarj, ma la loro divisione non € così vistosamente manifesta come in Inghilterra nel- la scala della popolazione. I proletatj son dappertutto sparsi tra il popolo, di cui non formano che la parte minore. La proprietà fondiaria e mobiliare presso que- sti popoli è divisa tra un infinito numero di famiglie ; ed ambedue queste proprietà in tal guisa il più ricco ed il più povero in infiniti gradi dividouo ; dimaniera- 75 ehè si trovano in un punto a contatto gl’ interessi di tutta la popolazione. È cosa malagevole assai il di- scernere in questa scala il punto d’ intersecamento tra gl’ interessi che chieggono di conservare, e quelli che ‘vogliono acquistare. La sola cagione che in Inghilterra ha portata ‘la divisione degl’ interessi fino agli estremi cui ell’ è giunta , è la lunga prosperità. Nel precedere all'Europa nell’incivilimento che si prepara a tener luogo di tutti ì sociali sistemi, che per lo innanzi furono in voga, ‘YInghilterra ha per un secolo goduto una vera premi- menza su gli altri popoli; poichè ivi tutto si faceva più presto e meglio che altrove ; dimodochè ella si è gio- vata della sua precedenza in ogni genere d’ industria, compresavi anco quella dei pensieri. Questa precedenza le ha fruttato il monopolio ‘del commercio e dell’industria sulla maggior parte del globo; e questo monopolio ha prodotto ad un tempo me- ‘desimo una gran richiesta d’ opera, ed un gran cumu- lo di guadagni. 1 capitali realizzati con questi guada- gni sì sono impiegati in terreni, perchè dovunque la terra è il possesso più sicuro e più nobile. I più piccoli proprietari sono stati quindi dai più ricchi spogliati; questi hanno perseverantemente dilatati i loro pos- sessi, cosicchè la superficie dell’ Inghilterra oggi trovasi divisa tra un piccol numero di grandi pro- prietari. Questi avrebber potuto dare in affitto, come quei d’Italia, i loro terreni divisi in piccole parti , a molte famiglie, e così agl’ interessi della proprietà le avrebbero attaccate; ma l' industria da un lato richie- deva queste braccia, dall’ altro è sembrata loro più agevol cosa il dare a’ ricchi affittuari in grandi tenute 3 propri beni. Quindi le coltivazioni a colonia con 76 piccoli proprietari, e gli affitti di piccole porzioni sone stati dall'Inghilterra sbanditi. Le grandi coltivazioni han permesso di applicare alla cultura di quelle, tanto una buona parie di opera, quanto l’uso delle macchine rusticali a perfezione condotte. Questi due mezzi a vi- cenda hanno fatto diminuire il numero delle braccia impiegate a lavorare i terreni ; il di più si è dato ad al- tri generi di lavori, e le officine dell’industria, col rac- cogliere questo di più, maravigliosamente hanno i suoi lavori potuto accrescere. La distribuzione medesima del lavoro e l’uso delle macchine hanno del pari mes- so in mano il monopolio della industria ai soli capi di officina abbastanza ricchi, onde procacciarsi questi grandi apparati . Il possesso dei capitali sì di fondi che di mobili si è in questa guisa concentrato, per opera del mono- polio dei terreni e dell’industria, nelle mani del nono soltanto della popolazione : il rimanente di questa è stato necessariamente respinto nella classe dei proleta- rj; perchè i loro piccoli capitali son rimasti assorbiti per mancanza d’ impiego; mentre che la richiesta sempre crescente dell’opera ha continuamente con- tribuito ad accrescere le mercedi. Questa economia in capo ad un secolo ha finito col dividere in due classi la popolazione dell’Inghilterra; una cioè di proprietari tanto di beni di suolo che d’ industria, l’altra di pro- letarj tanto contadini che artigiani, gl’ interessi delle quali stanno in opposizione diretta . Tale, o signore, è il solo pericolo dell’ Inghilterra: è il numero dei proletarj, che la domestica economia dello stato ha riumiti, per la comunione della loro po- sizione, contro un’ ordine sociale a cui non danno alcun pegno, e che nulla ha da prometter loro. Non | 77 nelle sue istituzioni, ma bensì nell'economia stà il pericolo dell’ Inghilterra : non bisogna cambiare i prin- cip), ma conviene dare ai fatti un’ altra direzione per isciorre la lega formidabile dei proletarj; poichè questa non minaccia le istituzioni, se non per distruggere l'ordine sociale; non delle istituzioni, ma delle condizioni in cui da quest'ordine ell’è stata messa, aven- do solo da dolersi. È cosa di rilievo che da voi si co- noscano le proporzioni che passano tra i due corpi di proprietari e di proletarj, che quai nemici ora sì tro- vano a fronte : poichè la sorte dell’ Inghilterra dall’esi- to delle lor dissensioni verrà decisa. Credono gli economisti, che la popolazione della sola Inghilterra sia ora di nove milioni di abitanti , ed io non ho ragione alcuna da mettere in dubbio questo dato, che all’ incontro molti calcoli si accordano a farmi tenere . per esatto. Gli economisti medesimi stimano che la metà della popolazione viva della ren- dita o del lavoro delle terre, e l’ altra metà degli utili o dell’opera dell’industria. La tassa del dieci per cento su’ beni stabili ha dimostrato che in ognuna di queste due frazioni il numero dei proprietarj oltre ad un nono ammontar non poteva, a cui bisogna aggiun- gere un altro nono, che abbraccia la clientela politica domestica , di cui l’essere addirittura dipende dai pro- prietari o dallo stato. Il rimanente dei sette noni ‘forma il ramo dei proletarj così rustici che indestrio- si. Il quadro annesso mostra i resultati di questa clas- ‘sazione nazionale sotto la vistosa forma che gli dan- no le cifre. Da questa dinumerazione, o signore, dovete con- chiudere : 1.° Che tutti i prodotti. agrarj dell’ Inghil- terra, cioè l’ alimento della nazione, o a titolo di pro- 78 prietari di suolo e a titolo di aflittuarj, è nelle sole mani di un diciottesimo di questa nazione. Per favo- reggiare questa frazione di popolo è stato fatto il de- creto che vieta la importazione. 2. Che un altro di- ciottesimo con i suoi capitali e col suo senno dà mo- to e vita a tutte le officine d’ industria e di commer- cio. 3. Che questi due diciottesimi 0 sia un nono del. la nazione egli solo possiede tutto il capitale ammassa- ‘ to dall’ Inghilterra, del pari che tutti i suoi prodotti alimentarj , industriali e commerciabili. 4. Che questo nono ne tiene un’ altro, formato d’ impiegati, soldati, marinai e servitori d’ogni sorta a sè sottoposto. 5. Che questi due noni alla democrazia scelta da me desi- gnata appartengono, e le forze ne costituiscono ; men- trechè i sette noni, che rimangono formano la demo- crazia plebea , il cui sussurrare forse non senza ragion ci spaventa. ( sarà continuato ) GEOGRAFIA VIAGGI rc. Descrizione della badia di Vallombrosa, e di quella porzione di montagne dell’ Appennino, «4: + +. Vallombrosa, Così fu nominata una badìa Ricca e bella, nè men re ligiosa E cortese a chiunque vi venia. | Ariosto G. XXI. Lettres sur Italie par Castellan. LETTERA LXX. biso maggior parte delle persone che ‘viaggiano per l'Italia, proponendosi per principale scopo la ricerca 79 degli antichi monumenti, o degli aggetti d’ arte che adornano le primarie città della penisola, non hanno nè ozio, nè desiderio di deviare dalle strade maestre per visitare luoghi o poco noti, o che hanno apparenza di non dover porgere una sufficiente. ricompensa alla loro curiosità. Si debbono riporre in questo novero i conventi sparsi sull’ Appennino, conosciuti poco più che dai pellegrini, dai naturalisti e dai pittori di pae- se. La selvaggia natura del luogo ov’ è situato il mona- stero di Vallombrosa presenterà non pertanto a questi ultimi il più forte contrapposto colle ridenti vedute delle altre parti della Toscana, ed offrirà all’ osserva- tore ed al filosofo motale alcune notizie di non lieve interesse. I monti dell’ Appennino, tuttochè meno alti del. l’ Alpi, sono però ricoperti di neve quasi tutto l’anno; e sono asilo di perpetua frescura le selve, che adom- brano le loro cime. Quindi è che nell’ estate solianto ‘sì possono trascorrere con qualche diletto. Sul finire adunque di tale stagione , e colla speranza di trovarvi nuovi argomenti di studio, combinai questo viaggio con un abile artista francese, uno fra quei che so- stengono in credito la nostra scuola, e cui l’ accade- mia di Firenze si gloria di possedere , mentre la Fran- cia a ragione per sè desidera rivendicarlo. Ci procu- rammo delle commendatizie per il ‘superiore di Val- lombrosa, e un permesso necessario per prolungare ivi la nostra stazione oltre il termine stabilito per i pelle- grini e per i viaggiatori ordinari ; d'altronde conosce- vamo in particolare uno di quei religiosi caldo amico dell’ arti e degli artisti. Partimmo da Firenze, e seguitammo le sponde dell’ Arno, risalendo il corso del fiume per parecchie So miglia. Questa strada aperta nel fecondo Valdarno è ombrata dai pioppi e dai gattici, sul tronco dei quali si appoggiano le viti, che intrecciano i loro pampini da un albero all’altro , e gli riuniscono per mezzo di ghirlande cariche di grappoli. Sul fianco delle monta- gne sono fabbricate le ville e le case coloniche, edifizi di elegante e variata architettura , che abbelliscono la scena del paese. In queste ridenti campagne vengono i fiorentini a godere i diletti della bella stagione , il fresco dei boschetti perpetuato da mille scaturigini di acque , e l’aria resa olezzante dagli effluvj degli aranci, dei limoni, dei gelsomini e da tutta la famiglia dei fiori, che appassionatamente essi amano, e da’ quali già trassero l’ attributo ed il nome della loro città (1). Noi segitavamo sempre il sinuoso corso del fiume, che si fà ognora più rapido, come più ci appressiamo alle montagne ov'ei nasce. Il paese è qui più rusticale, ma non meno dilettevole , ed è inoltre popolatissimo ; così che noi riscontravamo delle schiere di contadini che andavano alle chiese e agli oratorj disseminati in gran copia per la campagna . Nei giorni festivi ti sembra d’ essere trasportato in un paese delle fate , o sulle cave del Lignone, e di rav- visarvi le pastorelle di d’ Ursé e di Scuderi poichè le leggi sumtuarie di Leopoldo non si osservano che nelle città, e si può dire che il lusso siasi rifugiato nei campi, tanta è l’ eleganza con cui vanno vestite le contadine. Ogni ragazza che va a marito deve avere (1) Verso il 1050 Firenze mutò il nome di FZuerzia in quello di Fiorenza, e circa quel tempo prese per suo stemma il giglio prima bianco e poi rosso. Ved. Adrian. Theat. Urb. e Dante Par. C. xvI, 31 nel suo corredo tre abiti completi di seta di diverso co- lore, ei loro guarnelli azzurri e incarnati fanno risaltare un bel piede ornato sopra da un fiocco : le maniche dei corsè sono attaccate alla vita per mezzo di nastri , e su ri capelli spartiti in trecce posa un cappellino di paglia gialla. 0 nera contornato di nastri, e ornato d’un maz- zetto di fiori. i Diradavansi le ville e le case quanto più c’ inoltra- | vamo nel seno delle montagne, e vicino al convento più non doveamo veder donne , alle quali è vietato ac- costarsene per tre miglia, eccettuato il di della festa del santo: fondatore , il giovedì e il venerdì santo, e il giorno dell’Assunzione, nel quale si dispensano 400 lire di doti alle povere fanciulle . | Avevamo lasciato le nosire cavalcature in un pic- colo villaggio situato a piè de monti, che formano in certo modo l’imbasamento degli Apennini , e che riesce difficile di salire a cavallo. Con questo partito ci pro- curavamo inoltre maggior libertà per, osservare como- damente gli effetti pittoreschi di quelle montagne. Per un sentiero scabroso , che seconda le; sinuosità del ter- reno, ci conducemmo alla prima cima , ove trovammo una selva di. castagni quasi. tutti di basso fusto , e produttivi di molti fruiti.. Le castagne, per essere in grado di serbarsi e di macinarsi , si seccano poche alla volta nei seccatoi (1) . Così chiamano certe capanne quadre costruite apposta nei castagneti , le quali verso la metà dell’ altezza delle. loro pareti hanno uno steccato di pertiche fissate nel muro orizzontalmente , parallele ie une alle altre, e a. piccola distanza fra loro; di modo che esse formano i. (1) Ved. Viaggi in Tosc. del D. Targioni Tozzetti. IT. I. Gennajo 6 82 i me un tavolato rado, e a cui il tetto stesso della ca- panna , coperto di lastre di pietra , serve di volta. Le castagne fresche si. mettono in questo vuoto e su que- sta specie di palco, di dove si levano dopo che hanno, ricevuto il calore del fuoco acceso nel piawo di sotto,: e si è così evaporata la loro umidità. Il meccanismo dei seccatoi per sè così semplice potrebbe servir di mo- dello, onde costruire con poca spesa stufe atte a’ sec- care e a conservare altri prodotti della ‘terra . Dopo che ‘varcammo' il. vertice di diverse mon-| tagne, si spiegò al nostro sguardo l’immensa selva d’abeti che circonda il convento, e che forma come un ‘si- pario di color verde nereggiante , che involge la: vet- ta di questa parte dell’Apennino. Fino a questo. se- gno avevamo provato gli ardori del sole d’Italia ; ma la nostra guida ci consigliò di fermarci quivi all’m- gresso della selva, di cui già sentivamo il freddo e la pericolosa influenza. E in fatti avanzandosi addentro sotto quegli alberi immensi e centenarj, un freddo im- provviso ti assale, il clima interamente si cambia, e ti credi già trasportato nell’umide e solitarie valli della” Svizzera. Gli abeti paiono tutti della stessa età , e sendo diritti e a uguali distanze fra loro, formano come una immensa verdura ove la vista si perde. La moltitudine! dei pedali degli alberi ti vela d’ intorno ogni chiarore, e i fronzuti rami più ristringendosi come più vanno in alto, fanno sul tuo capo una volta impermeabile ai raggi solari. Niuna orma di vegetazione sul suolo, il quale col successivo accumularsi delle foglie e de’ ramicelli ehe cadono, forma un letto assai duro, sul quale non restano segnate neppure le vestigia dei tuoi piedi . Ogni vegetabile muore sotto Vl ombra dell’ abete, il quale può noverarsi tra le piante parasite che, a 85 danno di quelle che sono vicine , assorbiscono il nutri- mento del terreno. Ma la sua voracità non è causa nè di:spesa al coltivatore, nè di danno al padrone, poichè l’abete distrugge principalmente le piante nocive, per alimentarsi della loro sostanza (1). Quest’ albero affezionato al suolo che lo ha eduto nascere, ama di vegetare nel luogo stesso ov è morto l’antico suo padre ; e in ciò differisce dalla maggior par- te degli altri alberi, i quali dopo avere assorbito la s0- ‘stanza del suolo ove hanno vita, lasciano ai figli l'eredità d'un terreno isterilito e non atto a porger loro alimento. Effettivamente l’abeto sorge rigoglioso presso al vecchio stipite da cui è nato, e le cui radici trasformate in terric- cio gli servono di nutrimento vitale, mentre il moro e il ciriegio, che crescono allato a un vecchio albero della medesima specie, si veggono deperire (2) . Nell’ appressarsi all’uscita della fredda fo resta no ne sentimmo l'influsso temperato dai raggi del sole’ . che battevano sopra un largo prato, di cui, a traverso “i tronchi degli abeti , già scorgevamo 1’ aperta verdura, che estendevasi sino al monastero i La maestosa mossa di quell’ edificio spiegandosi allo sguardo fà contrasto colle forme rozze e selvagge ‘che lo circondano, e dà alle sue lunghe linee l’ aspetto “d’ una città . Sora in mezzo una torre quadrata con un orivolo che rompe il silenzio ; e che solo ci fece av- vertiti che il luogo è ‘abitato ; poichè dopo 1’ ingresso nella selva non avevamo riscontrato persona alcuna . Non udivamo altro rumore che quello del vento , che facea dibattere insieme i rami delle alte piante; e credo (1) A riserva dei funghi. (2) Ved. Dissert. sirà coltiv. degli abeti di d. Luigi For- maini ab. di Vallombrosa. 84 che niun’ altra ereaiura vivente sotto quell’ ombre esi. stesse, salvo che una moltitudine di scojattoli , che facevano cadere i maturi frutti degli abeti per cibarsi della mandorla che essi contengono. Quando fummo giunti al convento trovammo la piazza e' gl’immensi cortili affatto vuoti e solitari ; e dopo avere lunga pezza sonato ad un cancello , finalmente comparve gente per riconoscerci , e fummo introdotti nella sala destinata ai forestieri. Erano in quel momento i religiosi in chiesa: ma il padre P....che ci aspettava corse subito a ricever- ci, e ci messe in possesso di due eleganti>cellette, ove nulla mancava di ciò che può essere utile e dilette- vole a’ viaggiatori. Il dì seguente ei ci svegliò di buon mattino per andare a render grazie a Dio del nostro prospero viag- gio. Quei buoni religiosi , alcuni dei quali non sono usciti del monastero da parecchi anni, riguardano come un lungo viaggio una passeggiata di diciotto miglia ; e perciò ci domandarono le nuove del mondo, al quale pajono avere interamente renunziato . Il padre P. .. . ci fece gli onori del convento con urbanissime maniere , e si fece a noi guida e cicerone nelle nostre passeggiate pittoriche. Ma prima di per- correre 1 luoghi, sarà bene descrivere brevemente la topografia, e dare al lettore alcune notizie istoriche sulla’badia di Vallombrosa (1). Questa valle, signoreggiata dalla parte di setten- trione e di mezzogiorno da dirupate montagne, è aperta soltanto a ponente. I monti si riuniscono verso levante, e non lasciano in mezzo che una sola apertura (1) Ved. Historia di S. Gio. Gualberto di Diego Franchi, e l’ Histoire des Ordres Monastiques . 85 da cui sen fugge un ruscello che nasce non lontano, e che poco dopo ingrossato da parecchie sorgenti forma il fiume Vicano. I monti sono coperti tutti di boschi fino alla vetta ; onde questo luogo alpestre , che avanti chia- mavasi 4cqua bella , prese a miglior titolo il nome di Vallombrosa . Di fatti le dense e brune foglie dei faggi e degli abeti, la scoscesa dei balzi che impediscono al sole d’ illuminare il fondo della valle se non lungo tempo dopo il suo nascere, le nubi e le nebbie che so- vente la ingombrano, danno a questa un aspetto di cupa e malinconica solitudine , adattatissima al racco- glimento e alla meditazione religiosa . Nel 1060 S. Giov. Gualberto elesse questo ritiro per vivervi lontano dal mondo. Lo stesso motivo già vi avea condotto altri cenobi- ti. Gualberto costruì il suo romitorio in un luogo se- parato ; ma in breve la fama della sua santità venen- dogli dietro, lo fece seguitare da parecchi discepoli. Quindi obbligato a lasciare la prima stazione , segnò la pianta del monastero, che per molto tempo consistè solo ‘in alcune piccole celle isolate e disposte intorno alla cappella (1). Qualche tempo dopo Itta abbadessa di s. Ellero o s. Ilario, alla quale apparteneva il locale ove quei solitarj si erano stabiliti , mandò ad essi qual- che soccorso , e finalmente diè loro il luogo stesso no- minato 4cgua bella, con una vasta estensione di terre- no per ingrandire la fabbrica del monastero, unendo al dono e prati e vigne e boschi, senza esigere reiribu- zione veruna, salvo una libbra di cera e una d’ olio (1) Nella Storia di S. Gio. Gualberto del Franchi vi è una | graziosa stampa di Lubella, che porge l’ aspetto pen del | eonvento nella sua origine . 86 per la sua chiesa, riserbandosi per altro il diritto di nominare il superiore (1). A dispetto della sua resistenza Giovan Gualberto fu obbligato ad accettare quella carica;, ch'ei sostenne con santo zelo, facendo osservare la regola di s. Be- nedeito nel suo nuovo chiostro. Vestì di panno bigio i suoi religiosi, che furono chiamati i monaci bigi néi primi quattro secoli del loro stabilimento, e solo nel 1500 presero il color bruno, che portano ancora. Le donazioni che si facevano al convento avendo- lo di mano in mano arricchito , Gualberto ricevè dei laici e dei conversi per attendere alle faccende tempo- rali; e questi non differivano dai monaci fuorchè per l’abito più corto, e per un berretto di pelle d’ agnello, ed erano addetti alle operazioni e lavori di fuori . Fi- nalmente Gualberto fondò diversi altri monasteri sotto la medesima regola, ch’ ei faceva osservare col mas- simo rigore , dando egli stesso l'esempio delle priva-» zioni d’ ogni genere e delle macerazioni, le quali tra- vagliarono il suc corpo, e affrettarono la sua morte ac- caduta nel 1073. Papa Celestino IMI. lo canonizzò. nel 1193. Quest’ ordine ha dato molti altri santi , vescovi, cardinali , prelati e scrittori. Dopo lo stabilimento del convento questa parte d’ Apennino prima diabitata ha mutato aspetto; pe- rocchè i lavori che i monaci hanno. fatto eseguire per appianare il terreno, per incanalare e distribuire le acque; hanno messo a coltivazione una vasta estensione (1) Questo diritto durò lungo tempo. Se ne trova fatta inenzione ancora nell’anno 1228; ma il pontefice Alessandro IV. avendo trasferito nel 1255 quelle monache in altro monastero, e causa della loro rilassatezza, diede il convento di s. Ellero ai frati di Vallombrosa con tutte le terre e signorie dipendenti. 57 di suolo. Il monastero possiede molte fattorie e stabi- limenti d’agricoltura , e diverse case in una situazione ameno. elevata , e in conseguenza di clima più dolce, dove si trasportano i malati, e dove i religiosi, che di- .rigono i lavori e attendono alle raccolte, vanno a pas- sare una parte della buona stagione. Essi raccolgono diverse specie di grani, di ca- stagne e di buon vino; anche il frutto dei pini, nu- trimento frugale dei primi anacoreti, si raccatta e si -dispensa alle tavole migliori. E così avviene delle pa- tate, la propagazione delle quali si deve a quei reli- giosi, che estraggono pure dai frutti del faggio l’olio di faggiola, buon succedaneo a quello d’ ulivo . Nel mettere però a cultura le terre essi hanno avito il senuo di conservare i boschi che vestono le alture , ed ove prendono origine parecchi ruscelli. Questi boschi composti d’ abeti, di pini, di faggi e di cerri sono sottoposti a tagliate regolari, e si ri- piantano a misura che si abbattono. Le tagliate son fatte con intelligenza, e gli alberi così recisi si fanno scendere giù pel fianco della montagna per vie ripide in linea retta, le quali vanno a far capo in qualche fiumicello che gli porta nell’ Arno, ove riuni*i in foderi sono trasportati per acqua a Livorno, e quivi si adope- rano alla costruzione delle navi e delle case. I rami tagliati da questi alberi si mettono sopra traini tirati dai bovi, e si portano al monastero, o si dispensano ai poveri del vicinato. Se i toscani si fossero sempre occupati con pre- mura del mantenimento dei boschi, le cime delle montagne toscane non presenterebbero adesso l’aspet- to di aridità in cui si veggono. Dio non creò queste parti del globo per dannarle 88 a una perpetua sterilità; anzi dette ad ognuna la sua specie di fecondità; destinando le valli e le colline alla cultura degli olivi e delle viti, intanto che sorgono in costa le ‘querci ; sulle alture i castagni, e signoreg- giano le più elevate regioni, le foreste di abeti e di, faggi; poichè l’abete poco gti di primeggiare sul-. l’estreme vette:cede ‘quelle. al faggio di lui più robu- sto, contento dell’onor secondo . Tale specie di umiltà ( se è lecito dir così ) non è altro però che apparente, perchè il faggio diviene realmeute tributario dell’abe- te, porgendogli col ‘cadere delle sue foglie un nutri- mento ; che lo scolo dell’ acque porta a’ suoi piedi: ed è questo il motivo per cui le abetaje vicine alle sel- ve di faggi riescono pel solito più belle e più vigorose. La specie d’ abeti che grandeggia superbo nei bo- schi di Vallombrosa. è quella che da Linneo chiamasi» pinus abies, ed è un albero dirittissimo che alzasi fino a 120 e talora fino a 150 piedi; cosicchè rendesi oltre- modo atto alla marina, e specialmente alla costruzione degli alberi maestri, e delle grandi antenne. Ma perchè l’abete cresce spontaneo, o per mezzo di. germogli molto addossati, si avrebbero di rado alberi capaci per. la marina® se non se ne svellesse nna certa parte; e perciò se ne lascia pel solito sussistere un-solo in una area di sette o otto piedi di raggio, Del rimanente gli. abeti di Vallombrosa sono da più secoli piantati con simetria, e quando son giunti al loro incremento por- gono l'aspetto di una meravigliosa magnificenza. Gli antichi abati vallombrosani si occupavano con : la maggior cura della ripiantazione delle, foreste , onde si trova registrata con precisione la data delle sg che di mano in mano sono state fatte: ma nessuno d loro ha potuto essere testimone del taglio della piantatai 69 fatta da lui, abbisognandovi per. tale effetto uno spazio di ottanta o novanta anni. Quando si taglia una abetaja è necessario osserva- re un regolare andamento , e non lasciare veruna aper- tura capace di dare adito ai venti, e specialmente a quelli di settentrione, cominciando il taglio dal lato di mezzogiorno . L’aver.dimenticato una tale precau- zione si rese funesto nell’ anno 1773. Erasi cominciata a tagliare da quel lato una abetaja, quando un turbine impetuoso che si destò improvviso distrusse in un mo- mento gli alberi tutti, rovesciandoli e spezzandoli , e rendendo inutile a valersene il loro legname. L’ amministrazione di questa ricca badìa occupa nella buona. stagione i poveri abitanti del vicinato al taglio degli alberi e al loro trasporto; e quando la neve ha ricoperto le montagne, le famiglie indigenti rice- vono ancora dai religiosi giornalieri soccorsi , che met- tono in salvo la loro esistenza . | In questa ultima stagione, che rende come isolati i monaci dal resto del mondo, essi trovansi tuttavia legati con gli indigenti per mezzo d’una catena di beneficen- ze. Il viaggiatore smarrito, il pellegrino e il mendi- cante hanno in quei chiostri un ricovero per tre giorni, e i poveri quando ripartono ricevono viveri, vestiario e soccorsi pecuniari per proseguire il loro cammino. In un'epoca ancor più terribile, in mezzo ai tur- bini d’una rivoluzione, che minacciava , dopo aver de- solato la Francia, di involvere nella sua ruina gli stati vicini, nel tempo che la guerra incendiava le più bel- le contrade d’Europa ; la sola Toscana godeva le dol- eezze d’ una pace tranquilla dovuta più alla sna forza d’inerzia che al suo potere, e di cui le lasciava gu- stare i frutti l’ essere temuta meno. che invidiata . 90 La Toscana governata da un sovrano, padre dei suoi sudditi , era divenuta il refugio di molte ‘vittime della tirannide repubblicana; e diversi infelici sacer- doti francesi ,. proscritti per lo zelo dell’altare, rice- vettero asìlo nei monasteri dell’ Apennino, ove godet- tero d’ una tranquillità per cui rendevano incessanti grazie alla carità cristiana che gli accoglieva ; e alla mano divina che, lungi dall’ abitato e in fondo alle selve , gli avea soin in un porto di sicurezza e di soccorso, additando a que’ miseri questo luogo: come l unico ove doveano colla pratica d’una religione con- solatrice ritrovare rassegnazione , pazienza, e cer ta spe- ranza d’ un migliore avvenire. Diversi sacerdoti, rotti dagli anni e dall’ infortu- nio, dopo aver lungamente strascinato la loro myisera- bile esistenza di solitudine in solitudine ,' furono ac- colti dai venerandi monaci di Vallombrosa . Ma al solo nome di forestieri, e di francesi principalmente , ri- chiamavano al pensiero le sofferte persecuzioni , evita- vano di riscontrarci, e tremando al nostro aspetto ri- fuggivano nel segreto delle lor celle , o si rifugiavano a piè degli altari. Non pertanto informati che noi eravamo sempli- cemente artisti occupati di studj pittorici, che pensa- vamo come loro, e che praticavamo come loro lo stes- so culto e gli stessi esercizj di pietà , ci mostrarono benevolenza, anzi interesse, e per veri compatriotti ci riconobbero . Oh come è dolce di ritrovare in estranio’ paese i sentimenti, 1 costumi e la favella della patria! Con quale impeto di gioja un francese si sente attrarre ver- so un francese! Ei diviene un oggetto d’ interesse , di fiducia , e spesso ancor d’ amicizia. /, 91 Noi fummo condotti nella cella d’wio di questi infelici emigrati che , dai lunghi patimenti sofferti in- nanzi tempo invecchiato, non poteva uscir che di rado dalla sua stanza. Entrammo con rispetto nell’ asìlo sacro alla penitenza, che era divenuto anche l'asilo della-paee e della contentezza. Il pio cenobita c’inchiese della sua misera patria che egli amava ancora , e con affettuoso sentimento ci ascoltava deplorare le disgrazie che avevano già fune- stato la nostra giovanezza, e descrivere le scene di san- gue, accadute sotto i nostri ccchi.,, Ah! credetemi ( esclamò quel pio rifugiato interrompendo il nostro racconto ); in quei tempi luttuosi in cui la Francia non parea popolata se non che di carnefici e di vitti- me, pur vedeasi talvolta risplendere un qualche esem- pio di virtù, di affezione, e anche di magnanimo sa- crifizio. Eccovene un modello luminoso in questo ser-. vo fedele, anzi in questo amico che ha preso cura della mia vecchiezza, è cui io debbo la libertà, la vi- ta, eil riposo de’ miei ultimi giorni . ,, Noi avevamo realmente osservato un uomo vestito da contadino, che si era mostrato sollecito intorno al vecchio per procurargli ciò che gli abbisognava , e dopo ‘cì avea lasciati 3» To era parroco d’un villaggio situato nelle mon- tasne di V.... La rivoluzione vi fece scoppiare l’ odio lungamente compresso de’ protestanti contro i cattolici. Amareggiato nel cuore, minacciato, perseguitato fino sulla cattedra della verità tentai inutilmente di oppor- mi all’impeto delle passioni senza freno; e veggendo che tosto 0 tardi sarei stato forzato ad abbandonare il mio gregge, pensai di prevenire una crudele proscrizione, di confidare il mio segreto all’ onesto Esteve, a cui 92 aveva avuto la sorte di poter rendere qualche piccolo ser- vigio. L'uomo onorato mi porse la mano per ajutarmi a convertire in danaro i fondi del mio patrimonio, e cambiando tal somma in oro la seppelli nel giardino della parrocchia; e per riconoscere il luogo vi piantò un rosajo bianco d’una specie singolare, che unico esi- steva fra tutte le mie piante di fiori ,; . 33 Condotta appena al suo termine questa operazione bisognò precipitare la fuga. Esteve non volle lasciarmi. finchè non mi vedesse in sicuro . Dopo lunghe fatiche, dopo inauditi pericoli camminando soltanto di notte e attraversando le cime delle più ardue montagne, con, lunghi e incerti ravvolgimenti giungemmo a varcare le frontiere dalla parte della Svizzera. Il mio fedel con- dottiero dovea lasciarmi in quel luogo, ritornare al vil- laggio, e mandarmi per mezzo sicuro a poco a poco il danaro sepolto. Ma scampato appena dai pericoli del viaggio incorsi in un altro più grave; poichè assalito da una crudel malattia che durò più mesi, non mi sot- trassi al morbo se non che per le cure della Provvi- denza e dell’ amico che già mi avea salvato la vita. Ricuperai la salute: ma esaurito ogni mezzo di sussi- stenza , il solo lavoro del mio generoso compagno d’ in- fortunio sosteneva la mia esistenza ,, . », Le leggi sull’emigrazione erano divenute intanto più feroci. Esteve al par di me ne era la vittima; e non potea rimpatriare senza esporsi ai più gravi pericoli. Deciso nondimeno a tutto intraprendere per assicurare il mio riposo e la mia vita potè arrivare a lasciarmi al.. cun mezzo da sussistere nella sua assenza ; e, ad onta delle mie rimostranze e delle mie inquietudini , parte determinato per quella impresa piena di pericolo ,, . 3» Nè potendo nella sua patria liberamente manf-ei | 93 starsi, vesti le divise della povertà mendicando la vita . Così attraversò la Francia: e giunto al villaggio penò a riconoscere l’ antica mia abitazione ; perocchè essa era stata comprata da un ricco possidente, che aveva tutto cambiato ,, . 3 1l giardino sopra tutto avea mutato sembianza ; dacchè nel luogo ow era l'orto, ed ove il buono Este- ve con mano laboriosa e industre faceva crescer gli erbaggi e i legumi che servivano alla mia mensa e all’ alimento dei poveri, vedeasi una vasta verzura resa piana per mezzo del cilindro. Il pomario avea ceduto a un laberinto formato d’ alberi esotici ricchi di fiori ma infecondi , e al pergolato coperto già di mosca- dello era succeduto un chiosco. L'antico asìlo dei morti che il nuovo possessore aveva aggiunto alle terre della cura erasi convertito in una prateria, e le sacre lapidi che facevan coperchio alle venerate ceneri degli estinti avean servito di materiali per costruire una sala da ballo ,,. 3) Esteve mandò un sospiro all’aspetto di questi luo- ghi così trasformati, ed ebbe per fermo che il modesto tesoro del suo padrone fosse stato dissotterrato, ed avesse servito al pagamento di spese sì folli e sì criminose. Ei non avea potuto gettare se non uno sguardo alla sfuggita su quel possesso; non avea più parenti nel vil- laggio per confidarsi, e non ardiva di farlo con qual- che supposto amico che avrebbe potuto tradire il se- greto. ,, . »» Perciò si dispone a penetrar solo e di notte dentro al giardino. Il muro rivestito da un’ellera annosa gliene agevola il mezzo; ma un vigile custode lo sente .avvi- cinarsi , ed empie l’aria di alti latrati. Oh sorte! que- sto cane, che fu da luì stesso allevato, riconosce l’antico 94 i padrone, viene mansueto a’ suoi piedi, e si getta per terra per essere accarezzato ,, . », La notte era buja , e parea che secondasse l’ar- dita impresa d’ Esteve. Ma indarno ei cercava tra i ce- spugli dei lilla, de’ mirti, deilauri rosa, e tra. folti steli de’ rosa} quello unico che ricopriva. il deposito . L'animale intelligente parea che peneirasse nell’ idea del suo passato padrone, e cercasse egli pure ciò -che sembrava che si fosse voluto occultare a ogni sguardo, Per un felice accidente la luna apre le nuvole, e i:sùoi raggi passando a traverso le fronde rifulgono.più chiari in quel luogo , ove ad Esteve par di veder un arbusto carico di rose biancheggianti. Volge l’ occhio d’ intor- no alla bella pianta , e niun' altra ne scorge della me- desima specie; talche più non dubita della sua buona ventura. Inoltre il cane si è fermato in quel posto, e abbassandosi ne scalza il terreno, nè vuole abbando- narlo . Esteve afferra animoso una zappa; scava a pie del rosajo, e già sente la resistenza della preziosa cas- setta ....quando un subito rumore richiama la sua at- tenzione. Egli ode diverse voci: ah certamente egli (è scoperto ..... S° arresta dubbioso : deve egli contimuare l’opera sì bene avanzata? Ma. sarà veduto, arrestato ; riconosciuto, e tradotto. davanti a giudici prevenuti, e per sè stessi capaci d’.ogni delitto. Ei passerà per un ribelle che abuso d’ un: segreto sacrosanto, e tradisce le leggi della gratitudine: e già si vede strascinare al patibolo coll’ orribil taccia di ladro e di traditore .. Gli sì arricciano i capelli, un sudor freddagli bagna le tempie... i » Ma ciò che egli avea creduto essere indagini , al- tro non era se non che il riso d’ una rumorosa letizia»: il padrone e i convitati tornavano dalla sala del ballo. 95 e passeggiavano scherzando per il giardino. Esteve. ri- man lungo tempo chino ed immobile sotto. le frondi : finalmente pare «che la: Provvidenza prenda pietà di lui. La natura si cuopre vd’un velo: ‘sparisce l’ astro illuminatore della notte: i venti spingono innanzi una nuvola procellosa 1 la pioggia cade a torrenti, e la lieta brigata sciogliendosi in‘ fretta, si ripara alle sue stanze . ln. un momento tutto ritorna in calma e in silenzio: più non vedesi splendere per la casa alcun lume: ogni persona pare immersa in un ‘sonno profon- do, e la speranza ‘rinasce ad Esteve nel cuore ;; . »; Virtù, sostienlo nella difficile impresa ; ‘e ricom- pensa il suo nohile sacrifizio ! Ma 1’ angelo della mise- ricordia, che lo ha preso sotto ‘la sua custodia, gli aleggia d’intorno, e l’ incoraggia je gl ispira fiducia, e gli raddoppia vigore. Esteve seguita a scavare, e li- bera alfine la cassetta ‘che chiude la fortuna del suo padrone, e la speranza d’uno stato indipendente per ambedue. Egli rincalza il rosajo che gli è divenuto sì caro, ripiana il terreno, e distrugge ogni orma del suo lavoro ; e in compagnia del fido animale che non vuole più lasciarlo , ripassa il muro, e frettoloso ‘diri- gesìi verso 1 monti, che pliimervdoto d’asìlo ;,. 33 Jo non mi estenderò ‘sulle fatiche e su i pericoli che il buono Esteve:incontrò per ‘uscire nuovamente di Francia ; lottando con la.miseria” mentre egli aveva un tesoro; rischiando d’essere arrestato come un mal- fattore , mentre era un modello di affezione e di fedel- tà. Egli arrivò finalmente presso di me nel punto stesso in cui un ospite inesorabile era per cacciarmi dal mio tristo refugio, perch’ io non dava’ assicurazione baste- vole per le anticipazioni a me fatte ,,. >» Mi affrettai di lasciare quella casa inospitale, ed 96 entrai nell’ Italia, e mi dirigeva verso Roma, allorchè; seppi che varj sacerdoti francesi di me più infelici: erano stati accolti a. Vallombrosa, e venni; a rinnirmi con loro . La mia modica fortnna miracolosamente sal- vata bastò per, assicurare la loro esistenza e la mia, e comprai un piccolo effetto per il mio fedele compagno. Egli vi si è stabilito, non lungi dal monastero ; ed ha sposato una contadina delle vicinanze: la sua famiglia va: prosperando, ed egli nulla per sè riserbando fuor- chè il necessario, consacra alla beneficenza la metà delle rendite delle sue terre, che mediante la sua in- dustria son raddoppiate di valore. Per colmo di tutto egli dà agli abitanti del vicinato l’ esempio d’ ogni virtù, e della felicità che naturalmente ne deriva, & ne è la debita ricompensa ,, . ( sarà continuato. avrai ire Notizie intorno all’ Isola di Ceilan . Ù sr quelli, che hanno navigato per 1’ Oceano delle Indie, magnificano 1’ isola di Cirgala, che volgarmente chiamiamo. Selar o Ceilan j non solo come un luogo opportuno a signoreggiare il, commercio marittimo in quella parte dell'Asia, ma' eziandio come uya contrada fertile € di aria temperata, benchè vicina all’ equato- re. Grandi e continue montagne sorgono in mezzo dell’ isola, tutte coperte di aromatiche selve. Dentro i cespugli fanno le api il miele; sopra gli alberi annida- no vaghissimi uccelli: e sotto l'ombra densa cammina- no elefanti e belve utilissime all'uomo. Quindi entro la terra si formano rubini e zaffiri :: e discorrendo nella pianura infino al mare, trovasi quella abbondevole di 97 fiori, questo di perle. Nè rade sono le antiche rovine di palazzi e di templi, meritevoli di essere dall’anti- quario considerate. E nemmeno quivi non manca uno scopo ed una meta a’ devoti pellegrini; imperciocchè vi è l’altissimo e celebre monte di Salmala, sulla cui vetta si scorge un masso, e sopra il masso l’impronta d'un piede, che i cristiani attribuiscono a S. Tommaso, i mus- sulmani ad Adamo. Onde non è maraviglia che in quell’isola andasse la frequenza degli europei, subitochè poterono ancorar lor navi nell’ Oceano indiano. E primi vi giunsero nel 1517 i navigatori del Portogallo, cui fu data occasione di entrare nell’ isola, perchè sei Re la governavano, tra loro discordi e guerreggianti. Poi vi approdarono gli olandesi , e con facilità scacciarono i mercanti di Lisbo- na, imperocchè avevano questi abusata, ogni, amici- zia, e tratto contro sè medesimi l’ odio e lo sdegno di tutta quella popolazione. Ma come sempre addiviene che \gli uomini, quando possono, l’ uno coll’ altro si perseguitano, intentissimi al proprio guadagno; così an- che gli olandesi vollero di amici diventar padroni, ed occupare tutta l’ isola. Al che si conseguitarono due grandi sventure : fu impedito alla civiltà d’ Europa il diffondersi nell’ animo a’ selvaggi: e furono attirati in quel paese altri forestieri , tutti volonterosi di conqui- stare coll’ armi, non di godersi pacificamente que’ be- mi, che la fortuna troppo liberale ad essi concedeva . Sicchè 1 nativi abitatori non hanno avuto mai nè pace, nè tregua; e gli occupatori sono stati sempre in guerra: battuti e vinti spesse volte i primi ; ammazzati soven-. te i secondi, nelle repentine sedizioni, Siccome accadde negli ultimi anni del secolo decimottavo, mentre gl’ in- glesi presup ponevano aver soggiogato il bellicoso popolo T. I. Gennajo 7 98 di Candi, furono da questo in un giorno uccisi. Dopo il quale avvenimento essendosi viepiù accresciuta la stam- bievole nimicizia j e facendo perciò gl’ inglesi più fre- quenti scorrerie, hanno potuto visitare le parti interiori dell’ isola, poco infino ad ora conosciute. Non sarà dunque inutile la traduzione della se- guente lettera , scritta da G. Finlayson al Dr. Sommer- ville , ed inserita nel giornale tedesco, Morgenblatt, N. 5 del mese di gennaio 1820. L’ isola di Ceilan è stata per lungo tempo signo- reggiata da tiranni, che impedivano ogni correlazione di suddito con suddito, non che de’ paesi marittimi colle interiori contrade. E questo impedimento hanno i candiesi più che gli altri sofferto, perchè non si la- Sciarono sì presto vincere agli europei. Onde per la sospettosa politica de’ regnanti che condannava ogni uomo a vivere tutta la vita sua nel luogo ove era nato, senza poter mai ardirsi di oltrepassarne î confini ; e per la lunga abitudine di questo severo ‘ordinamento ; non hanno i candiesi principiato a cambiare il modo del vivere. nemmeno ora che il governo inglese ha rotto quel durissimo freno. Pare che manchi in loro qualunque desiderio d’istruirsi ; e certamente non’'sono capaci di adoperare e di sentire, se non in quanto è necessario all’utile ed al mantenimento della loro per- sona, fi accoglieranno con molta cortesia; ma questo è pure artificio, non schiettezzi' di cuore, non bene- volenza : e poichè riguardano sempre a loro medesimi, così ne’ colloquii sono ‘altieri , concisi e cupi. Falchè pur quando si dimostrano godere dell’ altrui compa- gnia, non è la loro conversazione’ che ‘un tessuto di parole maliziose e accorte, per nascondere i loto fatti e pensieri. | 99 L’ arte di sapere umiliarsi è sommamente congiun- ta colla tirannide: sicchè .i candiesi; ,umilissimi servi a’ loro superiori; sono altresì crudeli e superbi dispoti verso quelli che sotto loro debbono stare. Nè vi è nem- meno quella salutare distinzione che i filosofi richiedo- no; cioè di averei Magnati.riguardo. agli uomini inge- gnosi e sapienti , comecchè. nati, in. bassissima condi- zione: imperocchè siffatta gente colà non trovasi; e tanta è la ignoranza: de’ candiesi* che non la maggio- re. Non leggere , non scrivere, molti:de’ capi non che gl’ inferiori non sanno. Ed anche la :mumerosa genla de? lor sacerdoti non sa che poco intendere ne’ -Jibri ove sono espressi i comandamenti di Budda, loro deità pagana. Che se alcùno; di essi ebbe animo ad uscive dalle tenebre per. desio d’ illuminare la mente con filo sofiche dottrine, fu questo esemplo rarissimo: ei più di essi hanno seguitato(e seguitano l' astrologia, perchè la loro presupposta. cognizione dell'avvenire è a caro prezzo e volentieri guiderdonata da quel popolo rozzo e superstizioso, . Mediante la traduzione di qualche opera medica dall’antichissimo idioma Sarscritto, conoscono i can- diesi le qualità dell’ oppio e dell’ arsenico; ma del. re- sto ignorano quasi la cura delle malattie, e nulla sanno di chirurgia. Talchè in molti casi riconoscono la loro guarigione dall’astinenza, che essendo malati osser- vano, e!dall'ordinavia frugalità. delle loro vivande . Per'accidente , è vero; sono giunti a scoprire un salu- bre umore in qualche pianta medicinale, di cui l'isola è piena: Ma i sospettosi Monarehi hauno pure impedito che questa cognizione si. diffonda, costringendola del tutto infra la plebe, per timore che alcun personaggio ragguardevole si acquistasse con ciò troppa autorità sul 100 volgo. Ed anzi per ovviare qualunque sospetto, i Re mantengono un certo numero di medici a loro proprie spese ; de’ quali si può ciascuno liberamente servire. Egoismo e diffidenza sono le qualità principali di ogni candiese, comunque sia pobile o plebeo. Quando egli fabbrica la sua capanna, Hog il luogo più lonta- no dalle abitazioni degli uomini. E se per comune sicurtà più famiglie deggiono in vicinità dimorare, fer- mansi nondimeno in luoghi s1 spartiti che non possono aver tra loro facile conversazione. In tutte le cose è il ‘ candiese un tiranno . Egli si gode la mensa sua in so- litudine, senza farne partecipi nè i vicini, né gli ami- cì, e neppure sua moglie. i Bastino però le cose fin qui dette intorno .a’ can- diesi, de’ quali mi premeva alquanto ragionare, perchè hanno lungamente conservata la loro indipendenza per rispetto alle altre nazioni: il che faceva presupporre qualche particolarità nelle loro consuetudini. Ma del rimanente il mio discorso debbe riguardare ad un al- tro popolo, che abita l’interiore e montagnosa parte dell’ isola, e che appena è di nome conosciuto nell’Eu- ropa. ‘To voglio intendere de’ Yadassi: gente in tutto dissimile a’ candiesi, fuorchè nella ferocia e nella bar- barie: gente usata a vivere senza re, senza capi, senza governo o leggi: e le cui passioni raffrena sola la paura dell’ altrui vendetta. Essi abitano le interiori montagne da sì lungo in- tervallo di tempo, che io non ho potuto trovare alcun vestigio della loro prima derivazione: talchè si può senza fallo congetturare che sieno questi gli originarii abitatori dell’ isola di Geilan . Cacciati via dalle marit- time sponde per opera di nuova gente quivi soprav- venuta, possedono ora le selve, le rupi e le inacces- IOI sibili gole delle montagne, per entro cui non può alcun nemico inseguirli. Onde i loro usi e costumi ci erano fino al presente ignoti ; e se qualche viaggiatore aveva potuto accostarsi a’ loro confini, narrava cose maravi- gliose ed incredibili. Ma poichè la recente sedizione principiò da quelle contrade , gl’ inglesi vi hanno fatto sì spesse e rapide scorrerie, che sono entrati più volte eziandio nel territorio de’ vadassi : ed iò , come chi- rurgo, seguitava l’ esercito della patria mia. Sicchè la presente narrazione derivasi da ciò che io medesimo ho visto , 0 da’ colloquii avuti co’ più intelligenti vadassi, e co’ candiesi loro vicini . I vadassi abitano in un bosco folto e quasi inac- . cessibile , che da Candi sorge per poi discendere nella marina tra mezzodì e levante: ossia principia dal vil- laggio di Bintenna , e sì dirada presso Banticolda nelle orientali sponde , per un intervallo di cinquanta miglia inglesi dove non apparisce la più piccola zolla di col- tivate campagne. Ma è la selva piena di alberi mae- stosi, cui sul tronco serpeggiano moltissime piante pa- rasite e varie; le quali movendo con tanto vigore, come la natura a’ vegetabili concede nel meridionale tepore, salgono e s'intrecciano per le alte cime, e pendono a guisa di festoni e ghirlande . E sotto queste ombre ne’ covi degli orsi, degli elefanti, de’ bufali, degl’ iac- cali, delle pantere, delle scimmie , e di molte altre belve, si sono i vadassi riparati contro l’ oppressione degli uomini. Nè tutti a un modo vivono vita selvag- gia : essendo meno rozzi quelli, che abitano in sui confini, perchè hanno da’ candiesi imparato a coltivare il grano d’ India, il coracano (1), ed altre piante. Fe- (1) Cynosorus coracanus. 102 ] roci in tutto e barbari son quei che dentro del bosco dimorano , bagnati dal rapido e largo fiume di Mavali- ganga . E quivi è l'esempio vero della vita naturale , a cui molti fantastitando assegnano felicità e ‘virtù : quivi ognuno conoscerebbe il proprio errore) se mai reputasse inutile incarico Vl obbligare gli uomini ‘a vi- vere con legami e con leggi . I vadassi dunque del bosco sono Hari della persona come i candiesi, ma hanno fattezze più re- golari in tutte le membra. Il che di vero è qualità comune a’ selvaggi, stantechè i figli difformi e deboli anzi l’età virile periscono. Quindi però non ti potresti immaginare più laida e sozza figura, che quella del radasso! nera chioma attaccata sulla fronte : barba intonsa: niuna veste, fuorchè un grembiale di quat- tro pollici largo, e pendente fino a’ ginocchi; il quale portano altresì le femmine, ma un poco più grande , e senz’ altra copertura : benchè non dirado incontransi uomini e donne del tutto ignude. Essi non hanno ca- panne, nè ferma sede; ma di luogo in luogo discor- rono; procacciando le vettovaglie : che se ne trovano in copia, ivi sì fanno un ricovero di rami e di scorze mi- ste con terra: e di nuovo si partono, consumati i vive- ri; dormendo allora sovente in sulla cima degli alberi. Nè già non sono temperate le notti per rispetto al gior- no, poichè ‘il termometro spesse volte scende a cin: quantacinque gradi: la quale frescura non possono quel- le genti comportare senza lor danno, essendo ignude è troppo più infievolite da’ calori diurni e meridionali. Le masserizie loro consistono di due o tre brocche di terra, d'una zucca vota a guisa di'fitisco, è d’ un paniere pieno di foglie, tra le quali serbano il miele. Ciuque o sei freccie , un arco; un coltello; .ed una VA 0: tato piccola accetta. portano per arme. E nella massi- ma parte traggono il cibo dalla caccia, benchè man- gino di alcune erbe che il suolo spontaneamente produ- ce; dando l’incarico alle donne loro, come suol fare ogni selvaggio, di raccogliere da quelle piante o le ra- dici, o i frutti. Nè mai vi è penuria di siffatte cose (1); ed ancora la palma vegeta in mezzo que’ boschi, ben- chè sola la specie che sago-palma appellano. Ma i vadassi non sanno l’arte di tirare fuori del tronco il nutritivo e copioso umore. Essi adoperano soltanto il seme , di cui abbondano le femminee palme; ed espo- nendolo al sole, e dipoi frangendolo, fanno del noccio- lo suo focaccie. Gli uomini pertanto, che passano il più del tem- po cacciando le fiere, sono abilissimi a maneggiare l’ar- co, il quale mai non abbandonano. Ed è questo lungo di seia sette piedi, molto elastico e forte ; intagliato nel cabtar (2), acciocchè ottimo sia; e colla corda di stri- scie di cuoio , ovvero di fibre vegetabili, luna coll’ al- tra intrecciate. Sicchè il vadasso armato di tale arco e delle freccie, si ardisce di combattere le più formi- dabili belve; sapendo trovare e scegliere la preda sua, e adoperando con sì gran destrezza e con tanto animo che spesso atterra l'elefante con un sol dardo. Non però si ciba della carne di questo animale: o lo ammazza per trarne i denti, obligato a pagar di essi un tributo al Re di Candi: ovvero lo assale ed uccide per propria difesa, quando in lui s'imbatte, cercando altre fiere - (1) Vi si trovano le seguenti piante; arum macrorhizon, arum tribulatum, arum dracontium, dioscorea bulbifera, tri- phylla et alata nelumbo indica. (2) Questo legno è lo. stesso che la rois africana della Flo- ra zeilanica, ’ 104 Quindi non trovansi per quelle contrade animali do- mestici, fuorchè il bufalo ed il cane, Il primo serve come di zimbello, andando innanzi a’ cacciatori, affin- chè le belve si accostino per divorarlo, e sieno in iscam- bio esse medesime trafitte. Il secondo è oltremodo in pregio mediante la sua sagacità ed il fino odorato: e due o tre cani son sempre di compagnia al vadasso, il quale dà opera continua a bene ammaestrarli: che se celeri non sono, quanto è il capriolo, suppliscono col- l’artificio al difetto loro della prestezza . O perchè mansuefatto l’abbiano, o perchè tanto sia utile, i vadassi disdegnano la carne del bufalo. E loro di alimento il capriolo, V'alce, il cignale, più spe- cie di topi, il gudna, e la scimmia. Conservano siffatte carni, come si suole nell’ America meridionale; taglian- dole cioè in minutissime fette, e lasciandole seccare al sole, per mangiarle poi crude, ma tuffate nel miele che è il primo cibo de’ vadassi. Quando però la carne è fresca, o la mangiano cotta nell’ acqua, o arrostita su’ carboni. E moltissimo bramano il sale : tantochè non potendo procacciarlo sempre, ardono le foglie di certe piante per ritrarne un sale alcalino . E gli abitatori di Valassi nel regno di Candi bruciano le foglie del cocco. Il più gran diletto de’ vadassi è nel dormire. La sola fame o il vicino pericolo possono farli uscire dal covo. Sicchè miun’ altra cosa fanno che mangiare e dormire nella notte e nel giorno, allorchè la caccia è stata copiosissima. Ma questo rare volte occorre : im- perocchè quantunque sieno i vadassi circondati da piante e da belve numerose, nondimeno è uopo di gran- de agilità, di sommo coraggio e di massima fermez- Za, per mettere insieme una quantità sufficiente di vi- veri. Essi debbono consumare la vita, percorrendo una 105 selva implicata e spesso infetta di morbi pestilenziali : presi ora dal freddo, ora dal caldo, or dalla fame. Anzi sono quelli infelici alcuna volta costretti di mischiare col rimanente del loro miele la polvere di legno impu- tridito, per diminuire alquanto gli stimoli del pungen- tissimo digiuno. E pure dispregiano i dolei frutti, le va- rie vivande e le comode abitazioni de’ loro meno bar- bari vicini : ad ogni cosa anteponendo la libertà ed il poter non impediti discorrere per tutto il bosco. Nè 1 buoni trattamenti, nè alcuna promessa, non ha potuto finora indurli a partirsi dalla natia foresta. Chiusi dunque i vadassi nelle patrie selve, non conoscono alcuna delle arti fabbrili ; e debbono per con- seguente ricorrere a’ cingalesi magnani per avere gli ‘appuntati ferri, con che armano le freccie. Ma questo commercio è altresì breve e sollecito. Imperocchè fer- mano il prezzo, indicano la forma e grandezza dell’ar- me, pagano con cera, miele o salvaggiume, e ritor- nano subito alle loro spelonche. Nè tutti vanno al co- spetto del fabbro. O per diffidenza, o perchè timidi sieno, lasciano alcuni le cose’ che vogliono scambiare in qualche distanza dell’ officina; ed ivi dopo alquanto tempo ritrovano le punte de’ dardi, sicurissimi da ogni inganno, stantechè niuno vorrebbe esporsi alla vendetta irreparabile de’ vadassi. A questi piace pur sommamen- te il tabacco e il betel, senza però attendere a siffatta cultura : onde in iscambio del betel masticano le scor- ze di diversi alberi, e le foglie di piante aromatiche ; usando in luogo della noce-areca la gmelia asiatica, e va- rie specie di cassia , come altresì le foglie d’una certa melochia: e fanno il cunam, ossia la calce, di conchiglie di fiume. Quindi sono loro ignote le bevande fermen- tate e spiritose ;colla sola acqua estinguendo la sete. 106 Contro però siffatte consuetudini, i vadassi sono ospitali; e colle braccia aperte àgli amplessi ricevono qualunque abitatore di Candi, che venga ne’ boschi loro fuggendo l'oppressione delle leggi e la tirannia de’ suoi superiori. Ma nondimeno alla prima sono sem- pre sospettosi: e guai al forestiero se giunga armato! E quando sì avvicina alla capanna d’un vadasso men- tre questi è assente, egli è pure avvertito dalla moglie che si fermi cento passi almeno discosto, finchè il ma- rito non torni. Il quale però si tosto arriva, che in- vita lo straniero a partecipare della sua mensa: al che non può conseguitare un rifiuto, stantechè sarebbe riguardato come non perdonabile offesa. Quindi sogliono i forestieri accomiatarsi con far dono di betel all’ospite loro, che subito lo accetta e divide colla sua famiglia: ma sieno bene attenti a non offerire questo regalo al- la moglie, perché tale errore potrebbe costare ad essi la vita. ; Nell’ universale si ammogliano i vadassi con una donna sola; ma due alcuni ne sposano, e non è la po- ligamia proibita: ignorando bensì l’uso comune de’ candiesi, appresso i quali una donna maritasi con più - fratelli a un tempo. E brevemente si conchiude il ma- trimonio. Domanda il vadasso la figlia al padre, sen- za far essa partecipe del suo desiderio, e senza nem- meno presupporre che il di lei consentimento sia ne- cessario. Ed il padre, che per lo più concede la figlia a chi primo la chiede, non essendovi alcuna distinzio- ne da uomo a uomo, in tal guisa risponde: ,, prendi la sposa; nelle mie colline abbonda la caccia; i miei boschi sono pieni di miele; siate operosi, e diverrete felici ,,. Dopo le quali parole è compiuto lo sposalizio senza fare altri atti o discorsi. E l’uomo può eleggere 107 a moglie sua quella donna che vuole, eccettuata la madre e le sorelle: e molti si sposano colle proprie fi- glie. Segue la donna il marito alla caccia, ancorijuan- do è gravida. Che se in quel tempo nasce un figliuo- lo, è subito stabilito il suo destino, imperocchè 1’ edu- cazione pertiene a’ vecchi: onde lo involgono nelle tenere fibre d’ un vitello, e dopo due ore continuano il cammino. Ma spesso pure lasciano que’ pargoletti in preda della fame o delle feroci belve. Da questa narrazione pertanto è facile inferire che le donne e i fanciulli son quivi schiavi d’un' tiranno vile e spietato, che ad arbitrio gli uccide; non essen- dovi alcun giudice che sopravveda le azioni pubbliche e le private, nè alcuna moralità che le ratfreni o mo- deri. Nondimeno i vadassi sono della giustizia osser- vanti in ciò che riguarda alle ragioni loro verso gli altri abitatori della selva: imperocchè avendo per nor- ma che il terreno appartiene a chi vi dimora, essi mai non passano oltre i propri confini, e mai non gli lascia- no ad altrui sorpassare, nè anche quando seguono con grande impeto la caccia. E di fatto il rompere i confini è sempre occasione di mortali, disfide. È. perciò mai . non diradano il bosco, giudicando sè medesimi tanto î- più sicuri, quanto più la foresta sia impenetrabile. Il loro dialetto ha un suono duro e dispiacevole . Tdioma scritto non conoscono. E le notizie di lontano trasmettono con inviar una corda più 0 meno no- tlosa, ovvero un pezzo di legno con certi intagli , siccome hanno prima convenuto. Numerare non sanno che da, uno a dieci: e indicano le quantità maggiori ‘col vocabolo m0/t0. Similmente non hanno alcun no- me che le persone distingua; conoscendosi l’un l’altro per mezzo di aggettivi, come per esempio,’ 20726 | 108 piccolo, l’uomo nero ec. Quindi l’ intelligenza loro per rispetto alla religione si concorda colla loro rozzez- za. Niuna cognizione intorno all’ onnipotenza del Grea- tore: niuna speranza al di là della tomba! Ma se presi vengono da qualche male, tosto si rivolgono a_ pla- care lo sdegno del'malefico Genio, cui attribuiscono le loro sventure. Ed ognuno fà i sacrifici in. quel modo che più gli sembra idoneo, senza l’ intervento d’ alcun sacerdote; porgendo salvaggiumi o miele o betel o farina di riso involta dentro a mondissima foglia, o collocata sopra di una pietra, o messa in un cespuglio, siccome un’ offerta all’ Zaccon di Ved- da , ossia al demone de’ vadassi: il quale è dapprima invitato a godersi di quell’ odore; e poi lo supplicano affinchè adempia le loro preghiere . Dopo di che in- dugiano alquanto per dare all’ Taccon il tempo, di prendere la parte sua nel grato odore dell’ offerta, ma essi stessi la mangiano . In certi casi ricorrono pure al ballo per mitigare ilo sdegno del malefico Genio. Posano il malato a terra, e intorno a lui più persone saltano e ballano al suono del tom-tom, che è una specie di tamburo fatto di zucca con pelle di guana sopra distesa. Ed essendo questo il solo strumento de’ vadassi, vi si accompa- gnano le grida degli spettatori . Mediante il quale stre- pito ed i vivaci e rapidi rivolgimenti de’ ballerini , sentonsi questi alfine così come rapire in entusiasmo. Ed allora quei, che più degli altri è inanimito, di- chiara sè medesimo preoccupato dal demone : sicchè gli spettatori volgendosi a questo nuovo oracolo, do- mandano qual sia la sorte dell’ ammalato ; ed egli ar- ditamente la predice . Tutte le malattie derivano, se- condo la loro opinione, da un maligno Genio che pe- 109 netra nel.corpo umano: che se lo scongiurare non basta a cacciarnelo via, debbe il malato morire; passando su- bito quell’ importuno spirito nell'anima ad un altro . In onore de’ morti sogliono i» parenti fare alcuna canzone, per aver da essi aiuto nella caccia e nell’ amo- re; soli affetti che il vadasso commuovano. Ed uno de’ loro. più favoriti canti descrive la prodezza d’un giovane , che fu da un elefante ucciso mentre ritornava da Valassi, dove era stato a scambiare salvaggiume e miele in ferrei dardi. Un'altra canzone racconta la tragica storia d’ un vadasso, e delle due sue mogli. En- tro a folto cespuglio aveva egli scoperto un copioso bugno di miele, a cui però non poteva senza grave pe- riglio accostarsi , dovendo scendere lungo una rupe erta ed. imminente a profondissima valle. Mal’ animoso giovane sprezzando l’indugio non che il pericolo, to- sto si mosse verso il desiderato ramo, da cui pen- deva il miele; intantochè le donne sue guardavano giù timidamente alla temeraria impresa. E sarebbe egli pervenuto, anzi era gia per cogliere quelle fragranti foglie, se non lo impediva un’ altro vadasso; che agile e cheto aveva le orme sue stesse calcato. Questi invi- diava al primo. i, dolci e cari amplessi di quelle due donne; e credeva: di poter far esse sue spose, purchè ne uccidesse il marito. Onde avvicinandosi al cespuglio del miele , ne tagliò i rami colla scure: e l’altro giovane sventurato che ivi attenevasi, precipitò nell’ abisso, tutto lacero, sfigur: ato \e morto; Le donne però , che vi- dero il diabàtox e della cagione s’ accorsero , assalirono quell'infame sadici con rampogne e vituperii ; giu- randogli che mai nòn avrebbe goduto i frutti del suo delitto, e ‘nel medesimo ‘tempo gettandosi amendue giù per la rupe , dietro all’amato consorte. SF, II ENT FIA e gni SPE Sa Ki PEAS 110 { È Li i; sal I vadassi sono sempre serii e malinconici, anche: se ballano e cantano. La loro massima virtù consiste nella cura che. hanno de’ parenti loro ammalati. Ven- dono però i figli senz’ alcun riguardo: e nella provincia di Valassi pagavansi trenta risdalleri per una donna, e quindici per un uomo, sotto il governo dell’ultime monarca, À. B. LE III, .RAT.UR A DRAMMATICA Maria Stuarda Tragedia del Sig. Pierro LeBRUN. Maria StuardaTraduzione di FeverIGo Semier pub- blicata da LaArovenr. Maria Stuarda di ScunLer tradotta da Hesse. Revue-Encyclopedique., avril 1820. uando per la conquista di Costantinopoli fatta dai Turchi, i dotti della Grecia furono costretti di cercare un refugio ibei. diversi stati dell’ Europa; 1’ incivili- mento, aveva ‘cominciato: a \perfezionarsi } e le lettere andavano di pari passo con esso, le quali essendosi for- mate sulla norma»delle istituzioni del medio-evo; sen- za che altra circostanza vi cooperasse, andavano per- fettamente .d’accordo colle istituzioni sociali, di cui erano in certo modo il.riverbero. Grossolane e rozze in principio, sì saranno a mano;a mano ringentilite; a norma di quello ; che accadeva del vivere civile. Il teatro francese, nascendo, aveva avuto gli stessi primordj del greco. Essendo stati gli stessi i pensa- x III | menti in queste due epoche, istesse furono le produ- zioni delle loro arti. Cosa erano infatti i primi com- ponimenti teatrali greci? cosa era la tragedia avanti d’ Eschilo, e a tempi d’Eschilo? soltanto un rito reli- gioso.. I nostri misteri francesi indicavano l’istessa fonte, per quanto i nostri autori non avessero lo stesso ingegno dei greci. Dopo qualche anno per una natu- rale successione di cose, le ceremonie religiose avreb- bero dato luogo a quelle della nazione , l’ebbrezza per gli eroi sarebbe sottentrata alla venerazione pei santi. I nostri poeti avrebbero imparato a sentire più altamen- te di loro, e dei loro cittadini, essendo avvezzi a cer- care intorno ad essi grandi uomini, e grandi avveni- menti; e questa stima sarebbe stata trasfusa nei lo- ro lettori, ‘e spettatori, per corroborare ad un tem- po la tendenza della nazione, e il. pubblico costu- me . Queste tracce avrebbero segnate le lettere , se state fossero abbandonate all’ indole loro naturale. Ma il su- bitaneo apparire dei grandi modelli della Grecia, e l'ammirazione , che risvegliarono in un popolo pieno di sentimento , e d’ardore, qual'è il francese, trasci. | narono un precoce sviluppo nelle letterarie discipline. ÎI nostri scrittori paragonando i loro informi abbozzi È colle sublimi dipinture offerte iper la: prima volta ai - loro sguardi , come il villano quando rozzo, e selvatico entra nelle reggie, cominciarono a prender vergogna di loro stessi, bd miseri sforzi da loro fatti. 1 rifug- | giti di Costantinopoli; che. con soverchio orgoglio *# vano nome di barbari a’ loro nuovi ospiti, fecero sì, che i francesi desistettero dal fur cose di proprio . Si | vergognavano onninamente di esser francesi, e tutti pensavano a farsi greci. La tragedia più che altro com- I ‘ponimento risentì di questa pretesa perfezione. Avendo | i 112 gli antichi poeti scelto ‘soggetti religiosi, quelli della nuova scuola si credettero in obbligo di non trattarne. veruno. Non essendo adatti a trovare una maniera mi- gliore dell’ antica, credettero esser cosa più agevole di attenersi.con servilità alle forme impresse dai maestri, che avevano presi a norma. Tradussero sulle scene fran- cesi la tragedia greca , come era stata loro offerta, sen- za ponderar prima, se sì trovavano nelle stesse circostan- ze dei greci, se avevano le istesse consuetudini d’ ani- mo, e di governo, le istesse inclinazioni, e la’ istessa maniera di sentire,e di trasfondere in altri quel che sentivano. Oltre all’avere introdotti i cori alla. greca, perchè tutto fosse servile, costrinsero la lingua fran- cese, a suo malgrado, a sottomettersi al. giogo della greca, e ci regalarono versi giambici, e dattilici, solo perchè prima di noi ne avevano avuti i greci. Quelli, che vennero dopo, scandalizzati da questo strano impasto , cercarono di mettere un qualche ordi- ne a questa confusione di cose. Si accorsero che rap- presentando fatti istorici di tempi sconosciuti, era duo- po in qualche guisa far consapevole lo spettatore dei tempi anteriori, e degli antefatti; e tutto ciò operava- si, senza ardite di discostàrsi dai maestri, che erano in voga. ‘Da ciò ne nacque il bisogno delle lunghe esposi- zioni, e dei confidenti . I greci non si servivano di al- cenno di questi due mezzi ,' nè erano costretti a farlo . Ogni spettatore, dacchè uno dei personaggi aveva detto ,, io sono Agamennone ,, io sono Oreste ,, sapeva su- bito di quel che si trattava. Era inutile fargli una lun- ga dicerìa degli antefatti, e descrivergli i costumi dei tempi, giacchè gli uomini, e gli avvenimenti erano a lui tanto vicini, che era impossibile ingannarlo sulle verità della imitazione. Avevano dunque qualche ragio- | stito 1 nomi dil Tito, e di Berenice. I 113 ne i francesi a far delle lunghe esposizioni, e a intro- durre nojosi confidenti colle loro monotone narrative, Era indispensabile di trasportare il lettore ‘nei tempi scorsi, farlo di'una stessa città di tutti gli eroi richia- ‘mati dalle ombre a’ suoi sguardi, e farlo travedlere a segno di credersi romano in Roma » tebano in Tebe. | Ecco qual erà, senza dubbio, il loro scopo. Ma per giungere a tanto, non potevano fare a meno ‘di stu- diare profondamente 1’ istoria: e i poeti non sono sem- pre grandi eruditi. Quanti uomini vi sono capaci , al pari dell’antico Corneille di far nascere , come al bat- tere di una verga magica, tante illusioni ; e coll’al- tezza inaspettata dei concetti s SCUOprirne una nuova natura , trasportarne in quell’ antica Roma , ove alber- ‘gava coll’ animo . Quanti uomini capaci, come Racine Ù di schiuderne il tempio del Dio degli ebrei, di rivelarne l'ambizione intollerante de’ suoi leviti , e di spargere, come di volo, immensa luce nell’istoria di un popolo ‘intero ? Fu creduta cosa più semplice contentarsi ‘di nomi greci e romani, e rappresentare 1 costumi di propria fantasia, 0 prender quelli, che si sottopone- Vano ai loro sguardi; siccome l'avevano fatto i roman- | isti, anche i poeti si servirono di questo dritto. Così per rappresentare i fatti di Luigi XIV presero in pre- fatti della prin- R ‘cipessa di Cleves furono adombrati sotto quelli di ‘Germanico .' — Ancorchè i poeti fosserò stati forniti di tutto il Sapere necessario, rimarrebbe anche a discutersi, se il metodo che hanno usato è il più adatto ad otte- | înere l'intento; se là monotomia di un racconto, sebbene maestrevolmente scritto, mentre l’azione non era mes- Sa ‘in movimento, annojava invece d'attirare; se que- T. I Gennaje 8 114 sta esposizione epica segregava realmente l’autore dai tempi e dai luoghi in cui viveva, per farlo, vivere con personaggi e di tempi e di luoghi da’ suoi diversi. È chiaro, che nonostante tutto il rispetto dei letterati per la greca tragedia, dandole un’ atteggiamento moderno , era d’uopo far delle mutazioni necessarie alla pittura dei costumi stranieri posti allo sguardo del popolo fran- cese. Ma si vuole, che queste mutazioni debbano essere atteggiate all’ antica. I critici inglesi e tedeschi pre- tendono. che i francesi s'ingannino, che le novità da loro introdotte guastino le greche fattezze, e che essen- do astretti a variarle, era mestieri ricorrere alle ragioni e all’ animo con cui gli antichi tragici erano stati spinti a formare in quella guisa le loro produzioni ; Dicevano di più, che dovendo stabilire nuovi confronti, bisognava determinarsi a preferire il concetto alla let- tera, la sostanza alle forme . Riguardando la cosa per questo solo lato, non si può negare, che le tragedie di Shakespeare e. di Schiller vadano con modi affatto diversi dai nostri all’ animo dello spettatore . Il Coriolano, il Giulio Ce- sare, il Romeo e Giulietta del tragico inglese fin dalle prime scene s impossessano dello spettatore. Egli è di già a Roma e a Verona, di una stessa natura, dei per- sonaggi . Il velo che lo separava dal passato è caduto. Non è più padrone di sè; è in preda al poeta, che a sua voglia lo rende abitatore di un universo da: lui creato. Schiller. va debitore di tanto a un retto criterio, corroborato dall’ osservare , fatto più vasto dallo studio dell’ istoria , e più puro da quello della filosofia; men- tre Shakespeare avea ciò scoperto innanzi senza altra guida , che il nudo ingegno. Guglielmo Tell, Wal- lenstein e Maria Stuarda , sono le, tragedie , ove To) 119 ‘è. stato più attaccato alle verità, eterne, e alle locali. Ad uno spettatore francese di queste tre tragedie debbe sembrare ,. senza dubbio , il Guglielmo Tell quella in cui meno régni di ordine e meno siano state osservate le regole ; eppure, Schiller non;esce mai dal soggetto; rappresentando gl’ ingenui (contadini Sviz- zeri costretti dalla violenza devastatrice di una inde- fessa tirannide a seguir solo i dettami della dispera- zione per ricovrare la loro libertà . Ha voluto dipingere gli estremi dell’ oppressione , che irrita una resistenza unanime; e vi è meravigliosamente riescito . La detta tragedia recitata in Svizzera, e forse anche in altre terre, debbe mettere il terrore nelle vene dei Gesslers. La prefazione messa, dal sig. Benjamino Constant in fronte della. sua imitazione di Wallenstein ci scioglie dall’ obbligo del far motto di quella tragedia. Consi- gliamo il lettore a consultare quest’aurea dissertazione, quantunque letterati di una diversa scuola abbiano cre- duto rintracciarvi alcuni errori. La tragedia di Maria Stuarda dimostra anch'essa in modo speciale quanto l’autore sia stato ligio all’istoria. Shiller ha tutto posto in opera, perchè lo spettatore sia a parte dell’ epoca, a cui si annoda la, catastrofe. Tutto è in essa mirabil- mente vero; per fino la descrizione del torneamento dato da Elisabetta all’ ambasciatore di Francia , che era | Stato inviato a chiedere la sua mano pel duca d’Anjou. 1 paragone non difficile a formarsi fra la Maria Stuarda di Schiller, e la imitazione, che il sig. Lebrun ultimamente ne ha fatta con tanta riescita , potrà far #7 distinguere con più facilità le sfumature, che passano « fra i due teatri. Diamo principio dalla tragedia te- — desca. Elisabetta figlia di Arrigo VIII, e di Anna Be 116 lena fin dalla.cuna avea portato seco il. marchio: d’il+ legittima, per la condanna della sua madre. Nondi- meno il suo regno. glorioso ; il. sostegno dato alla religione riformata, e l’ universal’ consenso del popolo inglese ; l'aveano fatta legittima ‘agli sguardi di tutti, ma non a’suoi. La regina di Scozia viveva; aveva dritto al trono; essa, e suo figlio Giacomo VI di Scozia erano i successori di Giacomo I d’ Inghilterra. Biisa- betta aveva visto, fino nella ‘sua ‘corte, alcumi potenti parteggiar per la sua rivale Invano era Maria custo- dita in catene colla più grande severità . Le sue disav- venture e la sua bellezza le partorivano difensori fin dal profondo del suo carcere . La gelosia femminile si accoppiava alla politica regale per aumentare l’astio d’ Elisabetta . Si era trovata mon rade volte a vedere i suoi drudi posporre il regio favore al periglioso sforzo di ottenere l’affetto della prigioniera . Gonosceva, che la sola morte della rivale avrebbe dato pace al. suo animo. . È furia inesorabile , che il corso De’ miei giorni funesta, e li tormenta; Che divisa da me volle il destino . Per quella via, che apersemi la speme , Questa mi s'attraversa idra d’ inferno. Mi rapisce l'amante , e in un lo sposo: Ogni sventura mia Starda ha nome. I suoi cortigiani, quale per verità , quale per su- perstizione , quale credendo che si congiurasse in fa- vor di Maria , sollecitavano Elisabetta a farla‘ morire ; ma Maria era regina, tutti i principi cattolici 5° intro- > mettevano per essa, e una sentenza solenne di morte avrebbe potuto cagionare ammutinamenti. Elisabetta pertanto lasciava sospesa la scure sul capo di Maria, 137 aspettando, che una muova’ trama apparente la discol- passe, 0. che cuna mano compra percotesse fra le om- bre la prigioniera, e salvasse lei dalla fama di crudele. Ma niuna trama si ordiva ‘per salvar Maria; e il ca- stellano di Maria, il:cavalier, Paulet, era uomo in- tegro, e incapace di lasciarsi corrompere. Mortimer ni- pote di tal giovine animosp e ardente sembrava adat- tato a eseguire il colpo. Divenne familiare d’Elisabet- ta col rivelarle isegreti. commessi alla sua fede dagli esuli scozzesi, dis: maniera che gli vienerafidato il ca- rico di consumare all’oscurò il delitto, che essa non ardiva con pubblico apparecchio. Nondimeno, cessan- do d’aderire alle mire:d’ Elisabetta, e di parteggiare per lei, Mòrtimer si.era arreso all’ irresistibil’ potere degli occhi di Maria; era penetrato in terra ferma, avea conversato coi parenti e seguaci di Maria, an- dava con essi d’ accordo, sivera fatto cattolico. Maria Stuarda venuta.in’ chiaro della intera devozione per lei di Mortimer , gli proibiscei-di. non operare per la sua liberazione, senza intendersela col conte di Lei- cester antante alla. scoperta di Elisabetta} ma segre- tamente amante corrisposto di Maria. Il primo collo- quio fra Mortimer e. Leicester, Schiller. lo puanbggia da poeta conoscitore. delle: Corti . LEICESTER Tuo zio, che. volge vin. suo pensier? _ MORTIMER MB L’ignoro . L'improvviso favor, di cur:m? onora Elisabetta n voglie. Leicester ( guardandolo fiso ) Sembrati esser degno i Tu di ‘fiducia ? gi ici 118 wii MORTIMER (‘come sopra ) Ate l’'istesso io ‘chiedo... ‘LEICESTER ni Hai nulla da’ svelar ? MORTIMER Tu pria m'affida, 3 Se’ osar tanto poss’ io . LEICESTER! Chi ‘mi fà ablibii fo Di i Non dee la diffidenza mia SRNRVUISVARI E Irritarti. Due volti hai nella reggia; 0» | Uno è finto, qual fia d’ambi il sinicero? (00 MORTIMER Tu pure abiti in corte, ed hai due volti tercesterRi (til (bo nio Chi fia sf a svelarsi ? he 099 MORTIMER Sarà quei. | De di, men vert tto 3 i ‘© (LEICESTER ' sabade [| +Ebben sei tu» quel Sicilie MORTIMER Tu; se m’accusi, hai tanti onori ‘ini corte, | © So: Tanto poter, che opprimermi tu puoi . Io nulla posso in faccia a tanto lustro, A favor tanto, onde tu vai ricolmo . LEICESTER T'inganni. È ver ch'io son possente in tutto, In questo nò ; svelando a te l’ arcano» ; Minor di tutti io qui divengo ; ogni uomo Il più vil può condurmi alla-ruina. L ) MORTIMER Se potente , qual sei, discendi a tanto, 119 Aver deggiò di me più gran concetto, ‘Ed un’esempio generoso offrirti. LFICESTER Dammi un’ esempio di fiducia , ed io. L’imiterò . MORTIMER (capardo fuori con molta fretta una lettera) Prendi, signor, ti manda Questo foglio Maria . - LEICESTER ( sopraffatto ) Sommesso parla . i conosce bene il disprezzo, con cui l'ardente, e impetuoso Mortimer debbe riguardare un cortigiano , ‘ che sagrifica il suo amore all’ambizione . Si è parago- nato a lui, e ha conosciuto essergli maggiore: si è ac- corto, che egli solo può salvare Maria; ma avanti di far ciò, pensa solo ad appagare le furiose sue brame . La sventurata regina appena può sottrarsi dalle mani di questo forsennato amante . Frattanto Leicester dalla parte sua non si resta. Impiega tutti i mezzi, che può suggerire l’adulazione, perchè Elisabetta si risolva a veder, per la prima volia ; la sua rivale. La caccia sarà di pretesto al viaggio. Un’ incontro combinato servirà di velo all’abboccamento . S'apre la porta della carcere , e i boschetti del parco di Fotheringha$ na- scondono le mura di quella prigione più vasta. In rimirare la natura, che sorride in tutta la sua gio- vinezza e nitore, il cor di Maria palpita di piacere, e di speranza } la sua mente si solleva, si sente co- me inebbriata dai profumi, e dai dolci raggi del sole, e prorompe in concenti lirici. La poesia tedesca , il cui ritmo è più vario del nostro, ha dato mezzi a Schiller di tratteggiare in tutto il loro disordine i primi moti dell’animo di una donna stata molto tempo rac- chiusa, che dall’ aria pestifera di una prigione, sì getta 120 in quella di un giardino fiorito pieno della più soave fragranza . Il rimanente della tragedia è in versì en- decasillabi sciolti. Questo solo squarcio è in rima, e in nuovo ritmo. Simili mutazioni di, misura sì tro- vano spesse volte nelle tragedie greche . Là vi si scorgono Montagne altissime , Di grigie nebbie Avvolte il vertice ; i Ivi cominciano 4; «Del caledonio Mio regno i limiti ; E questi nuvoli,, Che vanno intorno. Rapidi.a vol, E si rivolgono Al mezzogiorno , Cercan l’ oceano E si disperdono , Dal franco suol . Nubi enti; che il cielo solcate Ah! potessi con voi navigar . Deh! la terra per me salutate ;Ove appresi la luce a Spirar, Son fra’ ceppi; voi sole mi, siete . Messaggiere nel libero ciel; i | E vi è dato, che voi non gemeie,, Sotto il giogo di donna crudel.. Ma vedo un. pescator , che il lido pori avi Potrei, salvarmi nel suo, piccol legno; suli Ei, mi trarrebbe in qualche amica. terra; Ricovraudo per lui la vila,, e il regno. Il vitto a procacciar s’.aggira, ed erra | 121 Tendendo ai ‘pesci l’ingannevol segno. Più: d’ uopo non avrà di tentar l'onda, ‘Se salva: mì conduce all’ altra: sponda. Elisabetta 5° incammina all’istesso: luogo guidata da Leicester; ene nasce quella scena ridondante di tanti) pregj, e scritta con tanta naturalezza , e che i francesi. st. ben iconoscono dopo le lodi, onde è stata ricolma dalla Staél:. Questa scena. fà un’ effetto. ter- ribile. Tutti gli. spettatori. vorrebbero., come. Leice- ster:, impedire a. Maria; che parlasse; tutti si accor- gono; che da quell’ istante la sua morte'è fissà. Bra!già gran'tempo, che Elisabetta vi si;erà lrisoluta fra sè; quest’ ultimo colloquio non fa che accelerarla:; e se Eli- sabetta non ne sottoscrive ‘sull’ istante il decreto, dal trattiene la riflessione, che una:disputa privata\non può servirle di scusa da farne una pubblica:mostra . La trama di un ‘perverso, che per la strada. che conduce a. Londra tenta con un pugnale cattolico di assassinare una regina protestante, è foriera. di morte pet Maria. Da quel momento Elisabetta; può fat velo allasua, giustizia . Il reo è francese, e l'ambasciatore . di Francia, non che possa intercedere in suò favore, è hi creduto egli stesso avviluppato nella congiura . Il solo — scampo, che oramai: avanza a Maria è l’ardito Morti- | mer;:è determinato con alcuni suoi fidi a tutto ténta- " re. La porterà via dalla fortezza, dopo avere uccisi | tuttili suoi custodi; ‘la prossima notte. presterà le sue i È. ombre al: ‘sanguinoso disegno. Maria sarebbe stata sal- va, se lamore , da cui avea sempre colto mal frutto » non le avesse fatto collocare gli ‘ultimi suoi affetti nel codardo Leicester, Essendo ‘caduto in sospetto , il solo | mezzo che gli resta per salvarsi è d’ impadronirsi per | ordine suo di Mortimer, di accusarlo reo ad Elisabetta 122 ì ta, e di sacrificare, come dice Maria stessa; il core d’ innamorato, alicuore d’ ambizioso. Mortimer in for- za altrui s' immerge un pugnale nel. seno . Elisabetta sottoscrive la sentenza fatale, e Leicester per purgare il sospetto , che cade in lui, è incaricato di far sì, che la sentenza abbia il suo bai pino ntei Maria drei da quello, che amava, abbandonata da tutti, si sottomet- te con rassegnazione alla morte . Sciolta: da tutti gli affetti terreni, solo ha d’uopo, che venga a sostener- la la religione. Ne riceve i soccorsi in un modo ina- spettato da uno de’suoi antichi sudditi, che il ponte- fice le ha mandato per consolarla negli estremi istanti del suo vivere. Per la confessione delle sue colpe fat- tasi monda., e corroborata dalla riconciliazione con Dio , Maria muore con animo; sereno, lasciando in pre- da a’ loro rimorsi Leicester ed Elisabetta. | Sono state fatte due ‘traduzioni in prosa della tragedia di Schiller , quella del sig. Hesse è stata eseguita con ispontaneità, e con molta fedeltà al testo . Ma il traduttore, non so per quali ragioni, si è!fatto lecito di diminuire in qualche Hit pareggi che si trovava nell’ originale. ti) Il sig. Latouche , autore della seconda Ibi poco fa venuta alla luce, ha fatto tutto:l'opposto di'chi lo ha preceduto. Pieno del principio , che un traduttore per riportar lode debba conservare tutte: le forme del testo; lasciandole trasparire dal velo della traduzione, gli ‘è Gpedoteore serbando sempre le caratteristiche fran-, - cesi , di usare l’ istesso ‘colorito dell’autore. Togliendo - di mezzo alcuni piccoli ‘errori di facile correzione , la sua traduzione può essere di norma a quella, che il pub-. | blico francese aspetta degli altri componimenti dram- | matici di Schiller; e degli autori teatrali tedeschi; che. 123 a} presente hanno nome-; come Grill Panger, Oellen- schlaeger, Muller e Werner. 11 Lo spettatore francese impaziente, non avrebbe potuto soffrire la maggior parte di quelle particolarità istoriche ,-di cui non avrebbe conosciuto lo scopo. Più presto degli spettatori di altre nazioni , intendendo alla prima:} e prendendo , per così dire, le cose per aria, pretende ; che .ll’azione progredisca, nè'si degna di aspettare/il poeta., che lo vuol far trattenere pei consi- derar meglio il luogo, ove si trova. Il sig. Lebrun era al fatto!di questa impazienza francese , dimodochè tra- spiantando sul nostro teatro la tragedia di Schiller, ha solo conservato quello di cui non poteva fare a meno, perchè l’azione si avanzasse , e ha lasciato il rimanen- te. Ci voleva un ingegno ,non comune per far; divenire cittadina delle nostre,scene la Stuarda tedesca, ancor- che chi l'aveva imitata vi avesse fatto dei tagli consi- derabili. Gli spettatori debbono dunque esser grati al sig. [Lebrun > perchè ha ardito andare incontro ai, loro pregiudiz}.. Ealix è uno di quei pochi poeti, che ai no- stri dì lo possa. fare impunemente. Giudizioso. nel. concepire, ha un talto squisito, conosce. sottilmente quello, che è conveniente al tea- trio, ea tutto questo accoppia uno stile lindo, sponta- neo; je quasi sempre elegante. Per trascinar seco lo spettatore; faceva d’ uopo assolutamente una; verseg- giatura. scorrevole e chiara, in cui non fossero intoppi, — anche;per.l’ oggetto di destar gli applausi per un qual- che, iquarcia fatto artificiosamente per risplendere; e | questa è infatti la caratteristica del verseggiare del sig. . Lebrun. Visi rinvengono), è vero, di tratto in tratto ® alcune negligenze , che però sfuggono alla recita . Il sig, Lebrun prendendo a trattare questo argo- 124 | mento veniva coi fatti a togliersi la gloria di icreatoré Ha però il non pieciol merito, tutto suò , di avere ar chitettato:la: tragedia in gwisa:; che» produca sui fran- cesì l’ effetto, che la Stuarda di Schiller aveva prodotte nei tedeschi. Non si può negare } che l’azione. sià meno vasta di quella dell’autore tedesco; non ha tratteggiato la'luminosa pittura dei tempi, in cui accadde la.cata; strofe; nè impiegate ‘le grandi molle; che tengono compresso e fanno scattare l’ animo di, Elisabetta Tutto si riduce a una nimicizia .di regina :com:regina, e di donna «con donna: Ma quantunque: la tragedia istruisca meno lospettatore, ei non cessa di esserne egual mente attirato / Se il sig. Lebrun da'una parte ha pén- nelleggiato con colorì mero vivaci il-carattere di :Mor} timer; dall’ altra parte ha dato più'rilievo a quello di Leicester, e’ ha tenuto più’ sospesa 1’ attenzione, per mezzo del comando chie ‘Leicester dà ‘a Seymòur di fare scappare’ Mortimer!. Se-ha lasciato il generoso sica» rattere di Talbot, Pha tiisfuso-in quello di Melvil. Sù me il tuo soffio creator discese: pe 3 Qin sche non era, a me .davatiti apparve; , Pria tua voce conobbi, indi ‘me stesso; » Dell’esser mi slanciai sino alle porte. » Ecco; che , al nascer, ti saluta il nulla ! 33 Ma chei son 10? un atomo pensante. ; Ghi misurar; tra noi può la distanza ? , A me. che un viver breve in ;te;respiro,, ,» E a sennò tuo, non consapevol, fatto; ,!!/ » Signor, che devi, quandoancor non nacqui? ») Nulla. pria, mulla poi. Laude all'Eterno! , Tutto a sè dee chi da sè trasse il tutto . » Dell’opra di tua man godi, o gran Fabbro: » I tuoi dettami ad eseguir son pronto. » Opra, disponi, impera : a me nel tempo , E nello spazio, per tua gloria. il giorno , Segna ed il loco. Al par degli aurei globi, »» Che con amor ne’ voti eterei campi »» Seguitan l'ombra tua, che li governa, Di Sega lamento , senza far dimando, »» Tacito l’ esser mio per sè medesmo x» Ivi a ordinarsi è presto . O nella luce »» Natante, o fra le tènebre smarrito, 3) Andrò dove tua destra a me fia guida : 3» Oi mondi a illuminar da te prescelto, »» Le fiamme ripercota onde m° avvivi; », E attorno cinto di raggianti Servi, so Sul ciel mi slanci in corso, e con un passo », Ne misuri .l’ abisso: 0, da de: vista »» Lunge, ignoto vivente, in sui confini » Del.nulla ; posto di tua man, non sia 113 Ghe un atomo obbliato 0 poca polve 1, Gioco del vento , io di mia sorte altero , © ,) Perchè fattura tua, l’ omaggio istesso A te dovunque porgerò : mia legge »» Con. amor pare seguitando, all’orlo 3» Ancor, del nulla esalterò tuo nome. »» Troppo tu in alto miri, 0 tro po al basso, » Semplice figlio della, terra! Arcana ali ite ia si în ,, È tua sorte e tuo fin . Simile al globo " i »» Della notte son io, che per gli oscuri Ù » Spazj, dove tua man ne guida il corso, 3» Splendori eterni da una parte manda, 2 E in, mortal tenebria dall’ altra è immerso. 136 », È il fatal punto l'uom, dove raccolto 3» Il gemino infinito ha il sommo Autore. 33 Manco forse infelice , in altro grado ; Stato sarei ..... Quel ch’esser debbo io sono. 3, Ancor nascosa, io tua ragion suprema » Adoro. Laude a Te, che di tua mano » Me festi; e buona è di tua mano ogni opra! 3 Dal pondo oppresso della mia catena‘, ») Pur sento, che del nulla a Ja' vorago » La sventura mi trae. Dond’io ne venga sh Ignaro, e dove il DE (mi porti incerto, + ” Aspro cammino trà la notte premo?’ » E indarno i giovanili anni rimembro', » Scorsi dell’ acqua del torrente al paro » In sua torbida vena. Insin' dal primo » Nascer l’avversitade ebbi compagna | ’» Gome per gioco mi afferro tua destra: » Della ‘miseria il pan mangiai trail ‘pianto: , Dell’ira tua mi dota l’acquè. » Gridai: tu sordo fosti: AfHitto, al suolo », Mi volsi: in ciel di ‘tua girati il ‘giorno », Gercai: venne, o Signor; ‘mia ‘per mia pena . » Sia laude a Tel Rea l'innocenza istessa », È agli occhi tuoi: Per ine quiaggiuso almanco 3° Un esser rimanea: de’ nostri giorni ; »» Misto tua man ‘medesma avea lo’ stame: Sua l'vita eta ‘mil vita, ed'altina y alma . ,) Gome dal ramo verde PIANOI il vidi! 33 Innanzi tempo dal mio sen divelto ,> Ame tremendo più, quantò più lento » ll'imortal colpo fu .' Ne prio » Suoi tratti, dove il mio destin Téggea;/| »» Insiem Vidi io'tnorte ‘ed'amore in guerra. i 137 La fiamma della vita entro sue luci Vidi, è per man del fato a poco a poco Vinta, al soffio d’amor vivace farsi. Un altro giorno, 0 Sol! Così ogni giorno Dicea. Simile al reo, che d’ ombre avvolto, E sceso vivo nelle tetre case, In sulla face, suo funereo lume, Chino, languir la mira, al fuggitivo Spirto indugiar così voleva il corso; E lo cercava ancor nel guardo estremo. Volò a Te in grembo, 0 Nume, un tal suspiro , E seco fuor del mondo andò mia speme. Quelle blasfeme voci a mn disperato Furor perdona. Osai':.. Ma già mi pento. Laude al superno Sire! Ei l’acque feò Per gir vaganti; per volare i venti; 3 1 Soli per bruciar'; 1 nom: per lelpene.1! » Quanto adempiei dell esser ‘mio la legge! ‘*- 3, Ubbidisce insensibil; ‘senza lume: ,» Di conoscenza, la Natura . Io solo; | ,, Te discoprerdo' ( e'‘che ti scopra è forza ), Con vero mor le voglie mio consacro: Ti ubbidisco sol io, che insieme: ifitendo, E di questo ubbidit' solo ‘mi piaccio. » In ogni tempo e' loco adempier godo O Mia legge natural, del Nume il cenno. Nel mio destin tuo saper sommo adoro , Ed amo il tuo” ‘voler sin fra i tormenti. Percoti ‘dunque; e mi distruggi. Un grido Solo.tu udrai: Laude a te sia per denti pedi » Così mia voce agli alti regni ascese . ù AI ciel: gloria cantai: fe? il cielo il resto. Taci, o nria lira. E tu; che hai de’ pietosi ». 23 >>.) 23 2) 2) 23 23 23 2) 2) 23 2) 2) 29 23 138 Mortali in mano il palpitante core , A trarne, o Byron, vieni ampli concenti . L’ingegno Iddio formò pel vero. Un grido Gitta, o cantore dell'inferno, al cielo. Alla perduta gente il cielo istesso Tue note invidierà. Forse, a tal voce, Dell’alma tua fra le tenèbre} un raggio Discenderà della vivente fiamma: Tocco forse il tuo cor da santi affetti; AI suon si placherà de’ proprj carmi: Etereo lampo sgombrerà tua notte ; E fia.che il tuo chiaror su noi si spanda. Ah! se avvien mai che Vammollito plettro Dai pianti, 1° inno del dolor sospiri Fra tue dita; 0 dal sen dell’ ombre eterne Tu scota, qual caduto Angiolo, i vanni; E un luminoso vol, disciolto al giorno , Fra «i cori de’ Beati ancor ti assida, L’eco non mai delle superne sfere, 3 Nè l’arpe d’oro, che Dio stesso ascolta , Nè le squadre serafiche , rapito Avranno, il ciel con più divin concento . Fa cor, del cielo, decaduto figlio : L'altera origin tua tu;in, fronte mostri .; Ognuno in tue pupille un ecclissato Raggio discopre del fulgor de’ cieli. Te medesmo ravvisa, o. re de’ canti. Ai figli della notte il dubbio, lascia E la bestemmia. Il falso incenso; sdegna; Che a. te s’ offre quaggiuso : esser non puote Dove non è virtù gloria; verace . ‘ Allo splendor di, pria torna e al tuo grado; Tra i lieti figli della gloria torna, .. E della luce, che a cantar formati, A credere ed amar, con soffio eletto Animar volle il Regnator del mondo. L Ci parve degna della curiosità del Pubblico ‘italiano la versione del premesso Carme di uno de’ più rinomati Poeti francesi d’oggidì: perchè , quantunque lo zelo apparisca quivi portato forse oltra i confini permessi all’ istesso entusiasmo, il componimento offre tuttavolta in generale un merito non comune, e fa conoscere come sì giudichi da taluni intorno alla parte morale delle opere del più imaginoso e robusto fra i pocti britannici viventi . 139 si COR RAGGUAGLI BIBLIOGRAFICI. LIBRI FRANCESI. r. Eramen critique ec. Esame critico e compimento dei Dizio= nari storici i più noti, dopo quello del Moreri fino alla Biografia universale inclusive. Tomo I.(A. T.), che contiene circa a 240 ar- ticoli nuovi, 50 rifatti, e 560 corretti o accresciuti; dal si. Barbier bibliotecario del re e del suo consiglio di stato; 1 vol. in 8.° di 500 pag. A Parigi presso Rey e Gravier, e presso Baudouin e fratelli. Il secondo ed ultimo volume verrà alla luce dentro i tre mesi dopo la pubblicazione dell'ultima dispensa della Biografia universale . Non è più da mettersi in disputa l’utilità delle biografie. Quel- li uomini che furono la scorta, l'ammirazione o lamore dei loro secoli , coloro le fatiche ed il genio dei quali accertarono i progres- si delle scienze , delle lettere e dell’ arti; quelli pure che si son fatti notabili, pei loro eccessi e pei loro delitti, ignoti alla posterità non debbono rimanere ; poichè nella storia’ della loro vita ella rav- visa gli esempi da seguirsi, come anco quelli che | imitare perico- losa cosa sarebbe e colpevole. Questa storia particolare serve a for- mar la storia generale ; ed in questo modo valutar si possono quel- le diverse circostanze che hanno diretto gli uomini , e sulle azioni o sulle opere loro hanno influito. Sotto il lor vero aspetto conside- rate, le Biografie dunque sono grandemente utili. Se si tratta del passato , sono quadri staccati dalla storia, che aiutano le ricerche di coloro che vogliono esser informati degli uomini grandi, de’ qua- li ell’ ha parlato. Se si tratta del presente, son materiali di cui ella un giorno dee valersi. "Puttavia non bisogna senza criterio e alla rinfusa esser prodighi delle glorie del futuro; poichè tali non sono le lodi date a tutti. Vi son moltissime biografie dedicate ad uomi- ni, il nome dei quali non uscì mai dal cerchio dei loro affetti e delle loro abitudini, e che come per incantesimo si son poi voluti render famosi. Ogni provincia ha voluto avere la storia de’suoi poe- ti, de’ suoi oratori, de’ suoi uomini dotti ee. Dimodochè noi ve- diamo nell’ ultima opera del sig. Barbier; che un canonico per nome Ansart avea scoperto colle sue letture trecento autori del paese, dei quali erano stati dimenticati perfino i nomi, e da cui dovea venirne un opera composta di 8 grossi volumi in 8.8 Una tal fecondità avrebbe sicuramente incontrati i suoi pericoli. Una biografia, per esser ben fatta, dee offrire assai partico= i r/r ‘ lari perchè il lettore possa farsi una giusta idea degli uomini ai quali ell’ è dedicata; ma non debbe degenerare in abuso questa facoltà accordata al biografo. Troppo spesso è accaduto ; che là dove non si cercavan che fatti e compendj, si son trovate eterne dispute, e ridicole declamazioni : mentre nulla debbe con più cu- ra evitarsi nell’ opere soprattutto di questa fatta, Si è notato an- cora con egual ragione, che gli autori di queste opere ne’ loro giudizi spesso recavano una noiosa parzialità, ma dee col Mep esser tolta di mezzo: questa difficoltà che di tutte è la maggiore Si conoscerà senza dubbio, che torna meglio esser giusto che par- ziale; poichè i i lettori ragionevoli Soelodo essere istruiti, e la- scian presto i libri scritti per | adicnz delle passioni e dei pre- giudizi . Erasi creduto che questa difficoltà potesse evitarsi, e si 3 Hara fate scrivere la storia di un uomo dotto da un letterato ; allora maggiore emulazione, e perciò maggior invidia , maggior parzialità : Certamente se si tratta di una Libilge notizia biogra- fica in cui altro non cerchisi che i fatti, le notizie speciali son me- no necessarie ; ma non è più così quando yoi dovete dare un giu- | dizio. La prima condizione da esigersi da un momo, che vuol parlare di scienze , è quella ch’ ei non sia a quelle straniero . Per' tenere in pregio le opere della immaginazione , bisogng averne in sè stesso; e quegli che la natura ha fatto nascer senza, non saprà mai dar lode.a quei capi d’ opera del genio. Ciò spiega abbastan- za, il perchè molte biografie ci compariscano imperfette e de- ‘boli ; poichè altro non sono che sterili raccolte, in cui il lettore nulla v' ha da imparare. Debbe altrimenti accadere quando i giu- dici sanno bene le materie ch’ essi trattano; eglino almeno posso no spiegare il motivo di un giudizio, laddove gli altri son ridotti a non far altro che supposizioni o congetture. E’ dunque un bel | pensiero quello col quale la compilazione di una nuova Biografia | universale è stata affidata ad uomini, che i loro studi , i loro la- Ù vori , i loro snccessi chiamavano naturalmente a giudicar coloro, | chenella carriera da loro stessi percorsa gli avevano preceduti. I nomi de’ collaboratori a questa grand’ opera hanno dovuto | inspirare molta fiducia; e si può dire che generalmente ell’ è | Stata giustificata; ma non pertànto è avvenuto che parecchi ar- | ticoli biografici hanno racchiuso fatti inesatti , ed errori più 0 menò gravi. Per iscoprirli era d’uopo darsi a fare immense | ricerche » ed inoltre far non si dovevano che con una specie di diffidenza, poichè creder potevasi esser difficil cosa il trovare 12 errati coloro, che scrivendo la vita di un uomo celebre tutti i documenti atti a chiarirli avevan senz’alcun dubbio avuti sot- t'occhio. Non poteva dunque farsi un esame critico della Bio- grafia universale, che da un uomo il quale fin da lungo tem- po racco ti avea materiali ignoti agli altri fuorchè a lui; e niu- no sicuramente era più atto ad un simil lavoro del sig. Bar- bier, il di cui nome è così vantaggiosamente noto nella biblio- grafia, e le di cui opere, necessarie in ogni buona libreria, sono con tanto frutto giornalmente consultate. Si trova al principio dell’ esame critico del sig. Barbier una dissertazione molta istruttivà sopra i disicahae storici sì — antichi che nuovi. Ell’ era già stata letta con molto interessa mento nel primo numero della Revue Encyclopedique, ma qui ella stà per l’appunto al suo luogo , e sarebbe increscevole che non vi fosse. Si veggono in questa Mnttidtiione i varii tenta- tivi fatti dopo il Afp del Moreri, che il Voltaire ingegno- samente paragonava ad una città nuova edificata sopra un pia- no antico. Infatti le ultime edizioni somiglian così poco le pri- me, che tolto il nome del primo autore nulla hanno più di comune tra loro; e del rimanente tutte lasciano qualche cosa da desiderare. Il Bayle volle correggere gli abbagli del Moreriì , e quella critica sotto la sua penna divenne un’ opera di primo ordine , sebbene sessant’ anni dopo da un canonico di Digione, l'abate Joly, ella pur sia stata assennatamente criticata. La brama di adattare alla capacità di ognuno queste grandi opere, ha prodotto i' dizionari storici pubblicati in Germania, in Fran- cia, in Italia e in Inghilterra. Il sig. Barbier cita tutti quelli che meritano una particolar menzione. Quello dell’abate 1’ Ad- vocat gli pare imperfettissimo. E cosa certa che l’autore po- teva far meglio; ma nel comporre 1’ opera sua non impiegò tutto il tempo che sarebbe abbisognato. Circa al dizionario del- I’ abate Chaudon, e del sig. Delandine il sig. Barbier ne fà osservare il merito, e dalle accuse arie del Feller lo difende. Ciò non ostante i dizionari storici che v’ erano al prin- cipin del secolo non appagavan del tutto gli womini istruiti , Chardon de la Rochette e labate di Saint-Leger avevano avu- to il progetto di pubblicarne uno nuovo. Il loro eccellente spi- rito, la loro erudizione, non avrebbero potuto a meno di ac-> crescere il ;yregio al loro lavoro; ed è da dolersi,. che nom x abbiano effettuato questo progetto.. _ é x 143 Fu intrapresa la Biografia universale , ed è sicuramente la miglior opera di tal sorta, che noi possegghiamo. E’ cosa degna di notarsi, che mentre, fu cominciata è, voleva l'editore che in diciotto mesi ella fosse finita. La prima dispensa è venuta alla luce nel 1811; ne sono stati pubblicati ventiquattro volumi; e l’opera è già arrivata alle lettere Lon. Il sig. Barbier a cui ne era stata proposta la direzione , chiedeva due anni per preparare tutti i fascicoli; questo termine fu trovato troppo lungo, ed in tal guisa si rimase privi d’una cooperazione che sarebbe stata così vantaggiosa. Quest'opera è quella che con più fiducia sarà d’ora in poi consultata, e che avrà una maggiore autorità. Il suo merito istesso non fà brr meglio conoscere la necessità di correggere quel- li errori che vi sono scorsi; ed il sig. Barbier fà un vero favore alla repubblica letteraria coll’emendare quei difetti, che le sue lunghe e laboriose ricerche gli hanno fatto ravvisare e corregge- re. Le sue osservazioni si applicano non solo alla Biografia uni- versale, ma anco ai differenti dizionari, de’ dei egli ha parla to nella sua introduzione, ond’ elleno rendonsi più g ALI im- portanti . Si e hero in fatti fra gli uni e E altre fare dei ‘paragoni, e dei confronti, i quali gioveranno a determinare il lettore , ed a regolare la sua scelta. Circa alle osservazioni sugli articoli del dizionario del Moreri, il sig. Barbier ci fà sapere es- serne egli debitore all abate di Masbaret gia curato di S. Leo- i nardo , morto nel 1782; le di cui osservazioni manoscritte forma- no 6 grossi velumi in 4.2, e nelle quali vi ha speso trent’ an- ni. Benissimo si conosce che non si può fare analisi alcuna del- l’opera del sig. Barbier: basta l'avvertirlo, affinchè si faccia in- tendere di qual rilievo essa sia. L'autore inoltre da lungo tem- po si è acquistato fama ; e le mie lodi nulla aggiungerebbero ai titoli, che son troppo generalmente apprezzati, onde il qui ram- mentarli rendasi necessario. ( Revue Encyclopedique. ) ) { 2. Biographie. Biografia. E venuta alla luce la 13 dispen- sa della Biografia universale (i tomi 25 e 26 ). Parigi presso ._L.C. Michaud, via di Clèry N.° 15. Il prezzo d’ogni Misena | in carta quadrata fine è di 14. franchi. E stato tirato un solo esem- d plare i in pelle velina con fig., prezzo 600 franchi il volume. Ognu- na delle 13 dispense pubbliduta ha l' istesso prezzo : esse iennà | 26 volumi in 8.%, e la decimaquarta composta dei tomi XXVII e XXVII sarà pubblicata nel dicembre 1820; le altre si succede- .L 144 ranno con sollecitudine . Tutta 1’ opera sarà composta di diciotto dispense o sia di trentasei volumi. Si può unire ad ogni volume un quaderno di circa a venti ritratti ; il prezzo del quale è di franchi in carta ordinaria, e 6 franchi in carta velina. Noi non possiamo far meglio conoscer quest’opera, che riportando | avvi- so degli editori a questa dispensa. 33 Arrivati a due terzi della no- 2? stra impresa, e da ogni sorta d’ incoraggiamento favoriti, abbia- me veduto la fledsa universale, tradotta o imitata nella maggior parte delle lingue europee, e già citata come un'autorità nelle dispute letterarie ; tutti sanno finalmente, che questa grand’opera è fin da ora considerata come un soccorso e una 5 scorta necessaria in ‘tutte le librerie. Noi frattanto non pos- siamo dissimulare a noì medesimi che l'invidia o lo spirito. di partito le hanno fatto de’ nemici, e dei calunniatori; ma i lettori di buona fede, ed i migliori estimatori di questa sorte di scritti, son’ obbligati a confessare che questa è l’ope- ra migliore e la più completa che vi sia in questo genere, e che nella storia del secolo decimonono sarà del pari riputata come nel decimottavo lo fu L' Enciclopedia (1). Da molti asso- ciati nondimeno ci vengon date due dccuse, e ques assai gravi: non possiamo noi pure non andar d’ E almeno per certe correlazioni noi non ce le siamo meritate. La prima è fondata sul ritardo delle nostre dispense; la se- conda sul numero de’ volumi, che taluni credono che sieno troppi. Circa al ritardo, abbiamo già detto e provato che que- sta intrapresa vi ha molto lariana: e che lo ha imperio- samente richiesto la perfezione di questa grand’ opera; men- tre non si può revocare in dubbio, che dessa non ci arrechi una giunta di pesi e di fatiche, da cui ci sarebbe stata cosa più comoda assai l’ esser liberi, se noi valutiamo un qualche cosa le nostre sollecitudini; ed intorno al numero dei volumi, ci costringe ad aumento di spese, il quale certamente ci sareb- be tornato più conto sfuggire, se noi non avessimo altra mira, che quella di compire e di vendere il nostro libro. E° noto che fino dal bel principio il nostro disegno fu quello di erigere un utile e durevole monumento, ed abbiamo bastantemente avvertito, che da tutt’altro desiderio eravamo animati, che (1) Introduzione all’ esame critico dei Dizionari storici, del sìig. Barbier. Parigi, 1820. nb y da quello di [fare una ispeculazione di commercio. Del rima- ;; nente orai noi; possiam! con certezza asserirena’ nostri! assvoiati, pinclie(ison.] sormontati: i. maggiori ostacoli , ;e;che,mom}proyeran- smo: più ji medesimi ritardi. In questa!, operazione, non awviene Jpfcome nella maggior. parte delle cose umane, nelle quali: la par 33 tei più lunga e più (difficile è. la! fine, Noi, abbiamo attinto a so tante sorgenti; moi \abbiamb:raccolto, ;unay.gosì -grarquantità yy idi materiali ; finalmente) ci iè lecito! il dirlo,;quésta sorta; di la- sogiord ci. è diventato così piano;cheagevolmente e senza chéinessu- » n'ostacolo possutrattenerlo; il, poco clie riman-da! fare debib' es- 3 ser-compito! Erano seiùza dubbio poco favorevoli le circostanze, mele qualisabbiam nioidovuto proseguire lainostra carriera; ma 3» frattanto non hanno esse potuto per un solo momento |.distrarci yi dal mostro! lavoro,; nè ici hanno tolto. aleuno de’. nostri; com pi yy latori; e se si eccettuan.quelli che da morte. ci ha! rapiti lbs 3» presa.sì continua ora da quelli.stessi che. nell’ anno 1810.la co- 33 \minciarono, Quest’ ultima osservazione esser dovrebbe la nostra) #150la,risposta,a quei, che, ci (accusano. difax.di questo libro und »rpera da ixurne partito. In, Francia quasi, non si pensava,hisogna silly, alle dissensioni: politiche, quando piùdi dieci anni fa, cos 3, minciammo questa impresa. Neppur ci venne iù; pensiero di, coni » siderarla ; sotto, questa relazione ;) «quando| cercammo; (di) farvi »1000perareitutto] giò, che, di; più;|cospicuo avevano lé.lett:re; de mi Scienee €] lesarti,,Ognun'sa,che.ini questo giungemmoi iài più 33 feliei.Iresultatij ie. dobbiamo, ad; onore. dei. molti autori! della »i Biografia universale, dichiarare, che niuno di essiseidomaridòal= sg lora qual, fosse la profession, di fede. o i, principii politici; de’ suoi 3 colleghi. Ognan di essi.occupato soltanto del,suo lavoro, e sapen- mi do dirdoverlo, sottoscrivere, e,starne mallevadore, d'altro non sì »curò,che..di, renderlo o perfetto. quanto .era possibili Tutti, con uno scrapolo ed, una diligenza;che non, si;può contrastare, dopo si quel tempp hanno,adempito line varico ;, tutti, col.medesimo zelo 2, (ancora. vi lavog;ano; e veramente. per quanto idiverse esser, possano 3 le loro, politiche, 9Qpinioni,; si converrà che;la maggior parte non mha nemmen,l’ occasione di manifestarle lin, articoli. per lo più A «consacratiad altri oggetti, che, alla. politica, Quest'ultima parte, e soprattutto la moderna politica , fortunatamente ha poco luogo yin quest'opera; ella non ne, formia,;la:centesima parle; ma de 39 circostanze il’ han, resa la} più difficile, moi abbiamitidheono4 33 sciuto. ed, avremmo voluto poter sopprierla affatto) ma disili- T. I. Gennajo 19 » 146 3 cevole' assai sarebbe stata questa omissione ed avrebbe affate 3 to cambiato il nostro progetto. Quelli pure che'‘ci tacciano:su 33 di questo,.mon avrebber lasciato divrimproverarcelo. Deli 33 manente non: siamo del sentimento degli accusatori interes 3; sati, i quali pretendono che non si debba scriver la storia de’ ;» nostri. tempi: crediamo al contrario; che gli avvenimenti? si 3» dovrebber sempre raccontare alla presenza:dei testimoni e de- » gli attori, e iche questa è la via piwcertadi fare che verità in- » dubitate arrivino alla posterità. Coloro che «ci accusano di esser » guidati dallo' spirito di' ‘parte’ sì occupino piuttosto a smentire i »» fatti da noi riferiti; e ad accennare gli errori che potremmo 3) commettere; che siamo:pronti a ;correggerli allorquando; ci sida-. » ranno delle prove sicure; tutte ‘le nostre ricerche son rivolte a. » scoprire ed a far conoscere la verità; ed è ' questo il nòstro'i uni- 5:00 scopo; ed: il snls spirito che ci anima ,,. Lu& 0 7 MIOMIM 3. Introductionua: la Chronologie etc. rialbeleeciatà niÙ Cronologia; del sig. Guillaume ‘professore al Collegio reale di Bourbon, autore di ‘un Elogio del Duca d’ Enghien. Un vol. in 12, prezzo 2 fr. e So cent. ‘e 3' fr. per'la posta; A' Parigi presso: Amyot via della ‘Pace n. 6, Leggi Lavilte baluardo! delle Cappuccine?n. ro. i a Ottima: cosa ell’'è per la società l’esservi uomini; che dpi novelli 'Archimedi, pieni di calma ;in mezzo-tille turbolenze evai tumulti, d’altro'non s’occupino che: d’ ingrandire: e di perfezio. nare le scienze;'o almeno di agevolarne il sentietola‘eoloro che: avrebber meno inclinazione per quelle. Tutte ‘senza’ dubbio son’ utili, ma havvene alcune , lo studio delle * ‘quali #-mrolti. sembra } ‘se non ‘superfino , alieno assai indifferente «da non meritar la ‘loro attenzione. La Cronologia è ‘senza’ ‘dubbio una delle ‘più ‘difficili, ‘e che pér così ‘dire ‘altro non è che ‘un va- sto campo” coperto’ di ‘rovi e di spine ; 5! dimodochéè | fà ‘4’ uopo armarsi di coraggio ‘per înoltrarsi in un'sentiero diviso in tanti rami, e dove altro ‘che ‘scorte assai pocò fide non trovansi, colle’ quali pure si teme ‘aricor di smarrirsi . La Croriologià pure ha i suoi dottori, che ne hanno ampiamente scritto ; male ‘loro ope- re ; nelle ijuali essi non pro paligoiia bABU difendonò' Fhe sisfe- mi, non sono adattate che pe’ veri dotti; è rion son lette 'che da un piccol numero di ‘letterati . Per dar pregio a Questa ‘scienza e renderla utile a ‘coloro; che vogliono studiar l’istoria , sono stati: fatti de'trattati atti a insegnare i principj di una scienza , di wu Y-Leg 147 ‘cui è così rilevante l’ acquisto . Alcuni di questi trattati in vero son pieni de’ migliori principj, ma ci è sembrato per altro che potessero con. più ordine essere. seritti,; sebbene a prima vista non ne apparisca capace questa: materia. Abbiamo notato che ogni cronologo isi forina un piano: del suo particolar lavoro: gli ele- menti son pur gl’ istessi, ma sono differentemente accozzati, dif- ferentemente adoprati. Il sìg: Guillaume non ha servilmente seguite le tracce di alcun suo predecessore ; egli ha preso un andamento più re- golares ed il suo lavoro ‘nel. piario ed in quasi tutte le sue parti è da quello degli altri differente. Si crede pure, che di una tal opera non possa farsene 1’ analisi; dimanierachè per darne ai nostri lettori una giusta idea:, noi venghiamo a metterne loro il quadro sott'occhio. L’ autore ha diviso la sua /ntroduzione alla Cronologia in i AI parti principali. Nella prima, dopo aver definito quel che s’ intende per Cronologia , dimostrato qual ne sia lo scopo , e su di che ell’è fondata. egli. mostra le dif- ferenti maniere adottate da parecchi popoli antichi e modern di dividere il tempo in ore, in giorni, in settimane , in anni; parole che formano altrettanti articoli separati, a cui vien.die- tro la narrazione storica del .cominciamento dell’ anno in di- versi paesi; e della istituzione del calendario. gregoriano . La seconda parte ‘contiene ciò ‘che si chiama Cicli, come ciclo solare ; ‘ciclo lunare, ciclo: :pasquale , ciclo dell’ epatte, lu- stro, giubbileo ec. Quindi l’autore fa l’ enumerazione de’ più importanti ‘periodi. La terza tratta prima dell’ era, e presenta successivamente una serie dell’ ere principali in numero di ven- ticinque , e di più i rapporti tra di loro de’ principali cicli, ere e perioti: La parola epoca’ conduce |’ Autore a parlare delle due più importanti dopo quella della creazione del mondo, rvale a dire la rovina di Troia, e la fondazione di Roma. Dà la maniera di contare e datare gli anni presso molti popoli antichi e mo- derni, ‘e stabiliscedei particolari sopra i marmi di Arundel, so- pra i fasti capitolini ec. La' parola cronica necessariamente porta seco quella di cronogràmma metodo particolare ‘e poco noto, adoprato nella maniera di datare. Altri particolari vi sono di non minor rilievo snll’ età , sul rascimento } e sull’ antichità del mon- ‘do, co’ quali riman cotti pit questa parte. Salvi i problemi per uso del calendario , è nuovo tutto quello che compone la quarta ed ultima parte; e non trovasi in nessun’ altra opera di questa 148 - fatta. Giudiziosissime /senza ‘dubbio si stinieranno le Ri/Tessioni ‘sulla necessità e'sull’uso del calendario, che offrono j per così ‘ dire, una divisione morale del tempo. S° impara da'«paelle quante cose: possono ‘esser lo scopo di un ‘calendario; generale 0; particola- re. Non'sarà letta con minore! ividità Ja» storia: ‘degl’ Zstrumenti atti a misurare il tempo ; in'essal’'autore mette in' chiaro 1’ ori- gine ed i progressi di ciò , che chiamar potrebbesi la'Gnomonplo- ‘gia; 0 la Cronometria; e noi distinguiamo questo ‘articolo come: ‘ uno dei più curiosi del libro ; ‘poichè quivi si vede rammentare kOrotogio solare d’Achaz} la Statua vocale di Mennone ec.; ma quello che più interessa un'francese è tutto ciò che è stato riferi- to sopra due monumenti veramente nazionali, cioè la meridiana fatta nella chiesa di s.Sulpizio di Parigi, e la'\colgrina del- l Hotel Soissons )) déita del Medici accanto ‘al imercato delle farine: Presa occasione da quest’ ultimo: monumento ’ autore ha stimato bene di dovere in certo modo strappare all’ oblio un’ epi- | stola del' celebre Gresset, il quale in questo componimento dimo- stra'un amor:così ardente ; è così nobile per le arti non-solo; ma anco per la sua patria : ti essa. pure per le circostanze è ; posta assai acconciamente: . |! pri i Prima. d’imparare una scienza è mestieri sapone. la lingua ; e la maggior parte dei termini tecnici in uso nella eronologia sono in vero sparsi e spiegati nel corso del trattato; ma torna assai me- glio per i giovani studenti soprattutto l’averli tutti per ordine al- fabhetico raccolti. sotto degli ‘occhi. Inoltre essendo più corta e più semplice la' definizione , più agevolmente se la imprimeran- no nella memoria, e meno l’aggraveranno. L’ autore finalmente ha voluto render completa la sua: opera \terminandola con una serie di problemi per uso del calendario; ed.ei non gli ha dati ché co- me modelli, o esempi da seguirsi. perle altre operazioni del me- desimo genere. Questo è il piano esatto, della Zritroduzione alla -Cronologia ; €d.è questa la prima opera; che fino ad ora conten- «ga la maggior dottrina sopra. gli elementi di questa scienza, Tro- vasi in questa un ordine, un metodo,, una chiarezza atta;a di- sporre.i)lettori a fatpre di una materia. così sterile e cotanto in- crescevole., Non [w.è quasi libro che in qualche parte non sia debolè i disiorachà noi. avremmo desiderato maggiori. notizie sull’ anno dei | caldei e dei, babilonesi:; un, pò più d’ estensione e dl accuratezza; sull’ anno degli antichi persiani, e su quello dei persiani moderni; /duve, l’autore; non determina tra questi due | eno” © BREST Me N 119 popoli molta differenza. Ciò che spetta all’ anno dei germani e ‘dei ‘sassoni poteva essere più: copioso: ed era d’ uopo “sull anno arabico é turco addarre de’ particolari che più ci appagassero. Ciò iunon ostante moi ci facciano im dovere dii raccomandare questa ‘operetta agli. scolari; i quali: vi troverannò le principali notizie + sulla cronologia ; ai professori, perchè la lettura di questa gli rin- \ frescherà la memoria; ed alle persone di mondo ancora ; le quali essendo inabili a fare.un ‘assiduo studio , in quella attingeranno delle cognizioni del tutto messe «in chiaro , delle quali al.bisogno di buon grado, potranno far uso. Il libro finalmente di cui si tratta ‘sarà per gli uni e per gli altri il taccuino della ‘cronologia. Nè un mediocre vantaggio troverinno nelle note con avvedutezza distri- | buite, all’ dtgzienta perfettamente adattate, e le quali ci.è pa- ruto gle racchiudano utili non solamente; ma ancora dilettevoli investigazioni. 4. Repertoire portatif sl l’histoîre.eto. Repertorio. portatile . della storia € della letteratura della nazione spagnuola e della portoghese ; del cavalie Alvaro Agostino di Liagno spagnolo, ora bibliotecario di S.M. il Re di Prussia, e di S. A. R. il prin- cipe Enrico fratello del. re. Berlino, 1820; 1. vol. in 8.9; tomo i, 2 fascicolo. Presso Nanck. Allorchè noi annunziammo nel. mese. d’ agosto 1819 la pub- blicazione del primo fascicelo di quest’ opera ( tomo III , p. 406 ldella Rivista Enciclopedica ),, noi affermammo che l’autore ave- va scorsa la storia civile della Spagna e del Portogallo , fino ai tempi dell’ imperator Carlo V; con molta. diligenza nel riprovare peli abusi introdottisi nella ecclesiastica disciplina , e nello stabilire eccellenti principj di filosofia e .di politica dai fatti naturalmente dedotti, o a proposito alle cirdosianze applicati . Altrettanto dob- : biamo dire del secondo fascicolo; nel quale il lettore. troverà la storia di Spagna sotto Carlo V, e quella del Portogallo sotto Gio- vanni IILed i suoi successori, trattate in una ‘ansi del pari filo- n sofica diquella del celebre Robertson, del quale il sig. di Liagno , | circa all’esattezza dei. fatti.edialla imparzialità dei giudizi, supe- uriore anco si mostra, Quando il sig. Liagno par la. della conquista ‘ del Perù, lo fà come se non la nato in Ispagna : ila reli- ‘gione e l’ ‘umanità vengono, calpestate ogni volta che si vuole mi- | tigare i rimproveri che meritano gli spagnoli in America . Ma la religione e; l’umanità hanno elleno arrestato lo spirito di partito? -{ pag. 344, nelle note.) il sig. di “«Liagno considerando ch’ egli 190 scrive per quelli i quali bramano di sapere la storia spagnuola , ma che nati non sono in Ispagna, ha arricchita l’opera sua ‘di note critiche, biografiche e letterarie molto pregevoli; è nelle quali egli sempre si mostra dotto; filosofo cristiano, amico dei popoli , del sapere e’ di una saggia libertà. Si crederebbe ora che un forestiere di questo carattere. fosse potuto. divenire il bersaglio della persecuzione di alcuni letterati prussiani ? Questo è vero pur troppo. Ma pochi uomini vili e schiavi son quelli, che temuto non hanno d’ infamarsi nel calunniare un illustre ‘straniero, al quale, in un'accesso di delirio, danno la taccia di esser nato plebeo; a lui, che uscito da ‘una delle più nobili famiglie della provineia d’ Estremadura, così poco inoltre prevalesi di questa circostanza accidentale, e affatto aliena. dal suo merito% personale , ch’ egli apparisce cas riponga ogni sua felicità nell’acquistar ragioni assai più sacre alla stima, ed alla pubblica riconoscenza . I. A. LLORENTE. 5. Essai de Bibliographie russe ec. Saggio di Bibliografia Russa, 0 Dizionario completo delle opere, tanto originali che tradotte stampate in lingua schiavona, e in lingua russa ; dal- la introduzione della stampa fino al 1813; di V. Sopikof; 5 vo 1 Pietroburgo, 1813 — 1817, 25 rubl. Quest'opera pregievole scritta in lingua russa, e frutto di - lunghe e faticose ricerche , offrir debbe il maggiore interesse agli storici non meno che ai letterati, gelosi di accertar con prove convincenti le ragioni di gloria di una nazione, che ha fatto nel- la civiltà così grandi e rapidi avanzamenti. Sarebbe da deside- rarsi che se ne facesse una traduzione. 6. Truité de Legislation civile et penale ec. Trattati di le- gislazione civile e penale , opera estratta da’ manoscritti del sig. GEREMIA BENTHAM giureconsulto inglese da E. DUMONT mem- bro del consiglio rappresentativo di Ginevra. Seconda edizione rivista, corretta e accresciuta. Parigi 1820 3. vol. in 88; presso Bossange padre e figlio: Londra presso Martin Bossange e comp» al prezzo di 18 ficmilit: I giureconsulti e i pubblicisti loto de’ progressi della civiltà e della umana perfeztibilità desideravano ardentemente una secon- da edizione di questa bell’'opera. Si sa che il sig.‘ Bentham fra tutti i giureconsulti inglesi è senza dubbio quello che oggi più de- 151 gnamente 'sostiene nella patria dei Blakstone e degli Hume la gloria che si è acquistata in una delle scienze le più importanti. E’ noto parimente che per un eccesso di modestia, o per un nobil desiderio di accostarsi alla perfezione, sarebbe il pub- blico tuttavia privo del frutto delle sue meditazioni , se il: suo onorevole amico ; il sig. Dumont non ne avesse fatto al pubblico stesso un dono generoso. Al medesimo siam debitori delle suc- | cessive pubblicazioni della Teorica delle ricompense, del Manua- le di economia politica; della Tattica delle assemblee deliberanti, de’ Sofismi politici; e di altre opere meno considerabili, ma tnt- te del pari éssenzialmente utili. Quindi naturalmeute la pub- blica gratitudine sarà divisa fra il sig. Bentham ed il suo amico. Confidiamo che i tesori del primo non saranno esauriti, come non sarà raffreddato lo' zelo filantropico del secondo, e' che la repubblica‘de’ dotti potrà aspettarsi da ambedue nuove filosofi- che ricchezze. Ci' siamo affrettati con vero piacere di ‘annunziare a’ nostri lettori quest’ opera eminentemente morale e politica , ed anco prima’di darne un’ accurata ‘amalisi. nella rivista (Eris ciclopedica;! ILL 7. Morgagni. Recherches anatomiques ec. Ricerche anatomi- che sùlle'cause e le sedi delle malaitie. Versione francese fatta | sulleedizioni latine dì Padova e d’ Fverdun de’ Signori DesoR- | MEAUX professore. delle facoltà di medicina di Parigi, e DE- | STOUET dottore della stessa facoltà, con'una notizia sulla vita e sulle ‘opere dell'autore del sig. Tissot. sette in otto volumi: in 8. | di circa 600! ‘pagine l’ uno; reni] pet Caille: Ravier al prezzo i di 7 franchi il volume]. | d TLa'versione dell’opera del celebre Morgagni de Caussis et n sedibus morborum ; che‘abbiamo il piacere d’armunziare è un’in- | trapresa del pari onorifica e per la medicina francese e per l’ita- | liama , inquanto che distinti cultori di quella consacrano le ‘dotte loro fatiche alla diffusione ‘d’un’ opera, dalla quale ripete questa a buon dritto una parte non' piccola della ‘sua ‘celebrità. E bere av- | wisatono'mnella' scelta quei sapienti; che per la stimavaltanbente sen- . tita de’mériti sommi del'patologista ‘italiano’; giudicarono non ésserci libro si meritevole per ogni titolo di una ‘traduzione, quan- to questo del Morgagni nel quale con-na rara associazione si rîuniscono il ‘più fino ‘criterio ,°la più filosofica imparzialità, e la più paziente è più scrupolosa ‘investigazione . Ù Noi però non sapremmo convenire iche la versione di que- 102 i st'operà sirenda più necessaria agli studiosi pet! una mon fact le elocuzione ; per la quale’ diventaviestremamente labdriosa e difficile l'intelligenza di. questo. scrittore p iltriquale: è anzi ri: guardatovin!Italia, come uno ide’ più fluidi e (più pùrgati scrittori della linguaidel: Lazio, Sospettiamo quindi esser questo, più pro babilmente vin ingegnoso pretesto dell’. LINEE ai che. ” sentimento | degli, egregi traduttori. (| |. mngonmi dir Comunque sia, noi sappiamo. loro; buon; giadisildi aver fusa mano. a si\utile lavoro colla fiducia..che accosfumandosi. sempre più! la studiosa, gioventù alla maniera d’indagare\edi.ragionare. del Morgagni, immensi vantaggi sarà per risentirne lo studio del- la teoretica, (e, l'esercizio della pratica médicinavbitit on #0 8. Histoire naturelle de mammiferes eci Storia naturale dei niambgiferi ; configure. colorite disegnate! dal vero} dei. signori Geofitòoy S. Hilaire è F. Cuvierz pubblicato dal. conte:Listéyrie: Il prezzo:.d’iogni distribuzione) è dif; 18 — Parigi gig: +. gl Mistoîne. generale des mollusques, ec. Storia. generale de molluschi terrestri e ifluviatili;: del; harone de, FerussiceLa-distri- buzione in 4.2 fr. 15 — in foglio fr. 3o _ Parigi 1820. presso Treuitele;Wiurtz. pestictio 10. /fistoire naturelle aa depidapteres ec. Storia.natutàle dét lepidoptèri, 0 farfalle ‘diurtie \ delle vicinanze di. Parigi; desctits. îe ‘dal sig. Genonville + Grevot. Parigi. 1820... ona zUAam 11. 7Zistoire naturelle des brangers vec: Storia naturalevde gli agrumi, di ‘A. Risso e Priteaù — Nizza: 1820; ‘è Parigi, pres. so Audòt + prezzo! fr.1d —inicarta! ordinaria; per. distribuzione £ 12. Essai d’un expose ec. Saggio di ina ragguaglio geogno+ stico - botanico della flora dellmondo primitivo; del conte di: Stam- berg — tradotto dal conte di Brayj.con.!13, tavole \colorite\+ Barigi 1820. .Rreuttel. ; Wurt fr. Ah gonirono init oh 'endageri (13) Zistoire,. dela medecine iec, Storia, della medipiria/dalla sua origine ‘al secolo :19. di; Gurtio' | Sprengel , traduzione:divAy Jordan ig: vol. Parigi. Bechet jeune,, fr..17»:50 — il vol. uvnt 14. dastructigns sur la santé es Istruzioni sulla | salute delle donnesincinte, e sui, mezzi di conservarla, coll’aggivimta dell’ usò | di. un nuoyo lmedicamento proprio ad; accelerare e facilitare»il parto 3, del sig. Bourdet. Parigi; presso Vrautore fi..le. Sosa i 15, Tnaité des maladies des enfans ec. Trattato delle malata tie dei fanciulli sino alla loro pr di-J. Gapurons 1. vol. 8.8 Parigi. Croullebois: fr. 7... TI ip iof 153 LU 015. De la conservation de enfans ec. Della conservazione de’ bambini nel tempo della gravidanza della madre , e della loro educazione fisica fino all’ età di 5 in 8 anni — opera premiata” dal Giurì fissato dal sis. Sancerot -- opuscolo -- Parigi 1820 — Guillaume. 75. cent. { RAGGUAGLI SCIENTIFICI E LETTERARI. Scoperta di un nuovo continente antartico. Sino dall’epoca della scoperta dell’ America che fece cono- scere con maggiore esattezza la figura del nostro globo, preval- se l’opinione dell’esistenza di un continente antartico. La quantità grande di ghiacci galleggianti trovati nelle alte latitudini meridionali manifestavano con certa evidenza che trae- vano: la loro origine dalle acque dei fiumi o dallo straripamen- to di laghi situati ad una lontananza riguardevole : d'altronde l’ estensione immensa dell’ oceano meridionale, supponendo non esistere quel nuovo continente, poteva far credere che il bel- lo ordinamento della terra e delle acque , il quale ammirasi al settentrione , fosse stato interrotto verso il mezzo giorno. Si fatte considerazioni spinsero molti viaggiatori alla ricer-' ca di quella terra incognita e particolarmente contribuirono a'determinare l’ultimo viaggio del capitano Cook. Ma non è egli cosa sorprendente che quella terra sia sfuggita all’indagini ed alle corse dei naviganti di tutte le nazioni, che si sia, per così di- re sottratta alla perseveranza laboriosa dell’istesso Cook, e che fra tanti sommi uomini di mare iî quali, ossia a bordo di va- scelli destinati alla pesca della balena, ossia con altro scopo han- no per ben due secoli navigato nel mare che bagna quel con- tinente, neppure uno ve ne sìa che abbia riconosciuto la sua |. esistenza? Tale è però il fatto. E deve far meraviglia che l’o- nore di questa scoperta fosse riserbato al padrone d’un piccolo bastimento mercantile , cinquant’ anni dopo che il risultato infrutti- fero dei tentativi di Cook sembrava avere decisa la questione. Quell’illustre viaggiatore aveva da prima esplorato l’ocea- - no meridonale tra il meridiano del capo di Buona Speranzza e la nuova Zelanda; e per conseguenza sino alla costà della terra recentemente ‘scoperta. Si Due. passi estratti dal viaggio di Cook fanno conoscere gl’in- 154 dizi osservati da questo famoso navigatore dell’esistenza d’un continente antartico, ed i motivi per i quali si determinasse a ri- metterne ad altro tempo l’investigazione. Fintanto che una relazione più circostanziata di questa im- portante scoperta venga comunicata, relazione senza dubbio ri- tardata per mire politiche, intendiamo dare alcun particolare ri- scontro atto ad impedire i cattivi effetti dei rapporti poco esatti e contradittori già pubblicati in varie opere inglesi, e che potreh- bero in seguito nuocere alla verità dei fatti. E sarebbe altresì da temere che un competitore il quale avesse capito i vantaggi tutti di questa scoperta , non rapisse all’ uomo ignoto il gui- derdone da lui giustamente meritato per la nuova sorgente d! ricchezze di cui gli sarebbe debitore la patria sua. J. Smith; comandante la nave il William di Blyth in Nor- thumberland, il quale trafficava l’anno passato tra ’1 Rio della Plata ed il Chili, sforzandosi di montare più facilmente il capo Horn s'inoltrò verso una latitudine più alta di quella che non usa in simili viaggi; e a gradi 60, 36 di latitudine, e 60 di longitudi- ne occidentale, egli scoprì una terra; ma giacchè le circostan- ze non gli permettevano di farne un intero esame, lo differì sino al suo ritorno di Buenosayres per fare allora le convenevoli. 0s- servazioni . Non tardò molto ad esser conosciuto a Buenosayres . questo fatto che fece nascere nuove speculazioni; gli americani, i quali: frequentavano quel porto, si diressero con premura al capitano Smith per ottenere le informazioni necessarie per la diramazione del loro commercio; ma egli era troppo inglese per cooperare alle loro speculazioni milano loro il suo segreto: e tornando dal suo viaggio a Valparaiso nel mese di febbrajo ultimo scorso egli consacrò a farne una più esatta ricognizione il tempo tut- to che gli veniva concesso dal principale suo scopo ,. il quale era la sicurezza e l'esito felice del suo viaggio commerciale. Egli corse nella direzione dell’ Quest per ben 2 a 300 mi- glia lungo le eoste di un continente, o di una vasta radunanza d’ isole, le quali formano larghi golfi abbondanti di balene sper- macetiche , di vitelli marini ec. Egli fece numerosi scandagli, po- siturey vedute e carte delle coste, e fece infino tutto quello che avrebbe potuto fare-un navigante esperimentato. Egli approdò, sbarcò, prese possesso del paese in nome del suo sovrano: colle solite formalità, e gli diede il nome di Shettland meridionale . 155 Trovò che Varia vi era temperata, le coste montuose e proba- bilmente senza abitanti; ma non sproviste di vegetabili; imper- eiocchè egli osservò.in molti luoghi abeti e pini. In generale pre- senta il paese l'aspetto della Norvegia. Il capitano Smith dopo di avere raccolto tutte quelle par- ticolarità che gli permettevano le circostanze di osservare, pro- seguì il suc viaggio dirigendosi a tramontana ; giunto a Valpa- raiso egli comunicò le sue scoperte al capitano Sheriff coman- dante il vascello di S. M. l’Andromaca da poco ivi giunto. Que- st uffiziale conobbe l’importanza della cosa e spedì senza perder tempo il William con uffiziali dell’Andromaca. L’ultime lettere venute dalla stazione del Chili fanno sperare un esito felice di | quella spedizione -—- Se non c’inganniamo , una relazione molte circostanziata ne deve esser già stata mandata al governo. Altra scoperta geografica Il maggiore Graaner svedese che erasi imbarcato per il Chi- li, dicesi, che abbia scoperto nel mar del Sud un gruppo d’isole delle quali nissum viaggiatore aveva per anco parlato, e che la più grande di queste, abbia ricevuto il nome di Oscar. VIAGGIO DEL CAP. PARRY VERSO IL POLO NoRp. Quantunque sia opinione comune degli uomini, che niua | vantaggio arrecherebbe alla politica ed al commercio lo scoprire | un passo per mare dall’ Atlantico all’ Oceano pacifico sotto il cir- colo polare; neppur quando fosse tale scoperta del tutto assicu- rata: nondimeno c’interessiamo noi cotanto ‘ad ogni impresa, la quale difficile nel cominciamento e prospera nel fine riesca gio- vevol: alle speculazioni scientifiche , o anche alla sola cognizione del globo; che tutti in Europa abbiamò con impazienza e solle- citudine aspettato per più d’un anno le notizie del Cap. Parry comandante della spedizione fatta nel 1819 da’ porti d’ Inghilter- ra; per ordine ed a spese di quel governo, dietro le orme del cap. Ross. Onde si è finalmente e con gran piacere saputo che quell’intrepido navigatore è adesso tornato dal suo viaggio, ricon- Mucendo sani e salvi nel porto gli uomini e le navi alla cura sua raccomandati. Per la qual cosa mentre attendiamo le particolari relazioni di sì memorabile avvenimento che ora in Inghilterra si 156. ) | stampano, ci affrettiamo di far ‘conoscere ai nostri leggitori quel=; le generale notizie che abbiamo ritratte da varii giornali. E que, ste significano : che il cap. Parry si è inoltrato, verso occidente per un intervallo di 30 *gradi finora ignoto a’ navigatori. E ben- chè non abbia egli potuto avvicinarsi se non di 380 leghe o cir- ca alle spiaggie ici fas dell’ America , ove Badr dovuto giungere per soddisfare all’universale aspettativa: ha però po- tuto con inolta verisimiglianza dedurre che vi è un passo, 0 per dir meglio, che vi è di fatio un mare fra l° America settentrio- nale e le ultime terre artiche; il quale se libero. fosse, conce- derebbe il transito dall’ atlantico al mar pacifico, Ma essendo ri- pieno d’ isole, e impedito da’ ghiacci, non potrà essere forse mai navigato del tutto con buon successo. , preti poi alle; considerazioni importantissime, che il cap. Parry avea fatte per rispetto alla geografia e alle scienze ed arte della navigazione; ecco come si esprime il sig Moreau de Jones in una memoria letta recentemente all’ accademia delle scienze in Parigi. i PE Quiiane sia l’esito dei futuri in di questo in- trepido uffiziale ( parlando del cap. Parry ) egli si è già meri, tato un nome celebre mediante le sue: geografiche cognizioni in tal viaggio mostrate. Ed in fatti dalla sola di lui scoperta del passo di Lancastro, per mezzo, cui egli, ha navigato in quella parte dell’ Oceano artico, ove niuno bastimento era fin adesso penetrato: da questa scoperta, dico, resulta : 1. Che il continente ‘americano non ha verso il mil bo- reale quell’estensione che finora si era presupposta. 2. Che le sue spiaggie seltentrienali beuchè sino ad ora inaccessibili giacciono sotto paralleli meno. elevati di quelli dell’ Asia, e non altrepassano che di pochi Gr 3 le latitudini settentrionali dell’ Europa. 3. Che il mare di Baffin non è un golfo come da mol- to tempo eredevasi;:' ma bensì è una parte dell’ oceano artico, con cui si congiunge. per mezzo dello stretto di Lanrcastro, con- tinuandosi pure fino al mare di Behring, per mezzo dello stretto eonosciuto sotto. il medesimo nome. * 4. Che la. Groenlandia non pertiene come si credeva alle contrade. artiche dell’ America settentrionale; ma è un isola im- mensa, 0, piuttosto ;un continente che può considerarsi come la sesta parte della terra; poichè non ha meno di mille a, 1200 - 157 leghe di spazio dalla. sua estremità verso 1 Europa sino alla nuo- wa Siberia che dovrebbe essere l’ultimo suo limite sotto il me- ridiano opposto . 5. Che se così è, come verisimilmente può credersi, a te- nore di varie testimonianze dirette o indirette; una terra ge- lata, e non come si supponeva l’oceano boreale , occupa lo spa- zio compreso tra il grado ottantesimo di latit. ed il polo artico. 6. Ed infine che; combinando i dati somministrati dall’ ul- tima spedizione polare coni lumi procurati dalie ultime sco- perte dei mostoviti, si hanno motivi per credere che questo continente artico fu nell’origine sua alle medesime cause geo- logiche sottoposto che le altre grandi divisioni del globo, ica ha una figura simile alla loro; che al pari degli altri cinque continenti la sua maggior larghezza è dalla parte boreale; che come essi finisce per un vasto prolungamento di cui il capo Fu- revvell è | estremità ; che i mari che lo cingono. sono qu pure rinserrati da stretti, e che parimente sono sparsi di isole e di arcipelaghi vulcanici, i quali dall’istessa fisica forza fu- rono progettati in mezzo ai ghiacci polari come sotto l’equator , E’ cosa manifesta che i nomi di daja di Baffin e d’ ingres- so di Lancastro devono mutarsi, e che bisogna sostituirvi quel- li di mar di Baffin e di stretto di Lancastro; e forse anco biso- gnerebbe non conservare i nomi di Groenlandia e di nuova Sibe- ria, sè non per indicare le parti diverse del continente artico, la cui unione richiede una nuova e collettiva denominazione, ana- loga a quella di Australusia recentemente adottata per le parti tutte della ruova Olanda. Con questo mezzo si potrebbe evitare le lungaggini e le ambiguità prodotte dalla mancanza di una uni- versale denominazione, particolarmente quando vogliamo occu- parci del soggetto tanto interessante quanto difficile delle cor- renti dell’ oceano boreale. Pocò importa d'altronde quale sarà questa denominazione, purchè sia breve, sonora e significante , e che possa venire. adottata in tutte le lingue europee. In conse- guenza chiameremmo volentieri Boreasia il continente ar- tico, se non credessimo che ispetti il diritto di nominarlo al solo navigatore che mell’esplorare quei paesi, ha mostrato tanto co- raggio e tànta perseveranza ,, . . Queste parole del dotto sig. Moreau non possono che ecci- tare maggiormente la, nostra curiosità , ed aumentare la nostra impazienza di ricevere la già. indicata e. particolare relazione 138 del sopraddetto viaggio: e subito che ei perverrà, non indugere» mo di darne lunghi estratti ai nostri leggitori. Lodiamo intanto ed ammiriamo gli uomini che con grande ardore si espongono a grandi pericoli per ‘’l’utilità delle scienze; e nel medesimo tem- po consoliamoci pure che senza tanti rischi, e senza veleggiare fino alle estreme regioni del globo, l’uomo acceso d'amore per le scienze può adoprarsi in utili e belle imprese, e che forse non sarebbe necessario ; abbandonare gli appennini o le sponde del mar Tirreno per fare scoperte giovevoli ed importantissime alle scienze naturali ed al genere umano. Perfezionamento del Torchio da stampatori . La stampa è certamente uno de’ pochi espedienti mecca- nici che superano in merito l’ azione immediata della mano dell’uomo: una bella pagina stampata in bei caratteri, appaga più l’ occhio e si legge più comodamente di qualunque ben disegnato scritto a penna. Potremo dunque a ragione conside- rare utilissimo ogni perfezionamento che venga fatto al torchio da stampatori. | Questo ingegnoso ordigno meccanico fin da principio fu immaginato ed eseguito in modo che ha servito ottitamente all’uso per più di tre secoli; e tutto ciò che è stato propo- sto di nuovo non ha meritata grande attenzione. I nostri ma- gazzini di macchine contengono un gran numero di progetti non mandati ad esecuzione, e quasi tutti proposti da pochi anni n qua. Gl’inglesi hanno applicato al movimento del torchio l’azio- ne delle loro macchine a vapore , e con tal mezzo già da qual- che anno si stampano a Londra parecchi giornali, senza che veruno stampator francese abbia avuta la tentazione di approfit- tarsi di questa invenzione forestiera . Il torchio 4 vapore è molto costoso, e richiede per la sua esecuzione una somma considera- bile. Era riserbato ad un artista francese il trovar qualche co- sa di nuovo che fosse più secondo il nostro gusto. i Il sig. Durand ha dunque immaginato ed ‘eseguito in tut= te le sue parti un torchio che non costa più degli antichi, ma che è di un uso incomparabilmente più comodo e più economico. In' questa ingegnosa macchina* la pressione della vite viene eseguita da un rullo che da per sè passeggia sul 159. timpano, che è lo stesso che ne’ torchi comuni: e cou un altro rullo, di cui ignoriamo la- composizione, si distribuisce l'inchiostro sulla forma. Tutto insieme occupa questo torchio minore spazio degli antichi, e non ha l’ inconveniente di scuotere il ‘pavimento . Tutta la forza si limita a far girare un manubrio ‘simile .a quello che fa camminare il carro avanti e ‘indietro ; e un solo uomo ed anco un ragazzo può fare tutto il lavoro . Egli stesso pone la carta sul timpano e la leva, e eosì supplisce al faticoso lavoro di due uomini robusti. La stampa si fà un poco più presto che ne’ torchi usuali; e l'impressione, che' noi abbia- mo esaminata , riesce nitida egualmente. Lo stesso giudizio ne han dato molti fra i più abili stampatori, alcuni de’ quali so- «no entrati in trattativa col sig. Durand per avere un numero di questi torchi. E° innegabile che questo giovine artista non abbia un eminente. talento per la meccanica, e che il suo pri- mo saggio non sia per indurre grandi novità in uno de’ più importanti rami d’ industria. Carta topografica mulitare delle Alpi. Essa comprende la Savoia , il Piemonte , la contea di Nizza , il milanese, il ducato di Genova, il vallese , e parte degli stati limitrofi ; in 12 fogli e con un quadro per riunirli; di J. B. S. Raymond capitano del corpo reale degl’ ingegneri geografi mi- litari, cavaliere della Legion d’ onore, corrispondente della so- cietà reale di Arras. Prezzo 80 fr. A Parigi presso l’ autore al eonvento di Saint Benoit, passo Sorbonne, n. 28. Il sig. capitano Raymond ha avuto l'onore di presentare la sua carta al re ed ai principi della famiglia reale. Sua Maestà ed i principi hanno voluto associarsi a quest’ opera. Le loro eccellenze i minìstri della guerra, dell’ interno e della marina, ed il sig. direttor generale dei ponti e strade e delle miniere si sono egualmente associati. Una carta di tale importanza ri- chiede un serio esame per ravvisarne tutto il merito. In una notizia che va unita a questa bell’opera, l’autore accenna i ma- teriali, ch’ egli ha adoprati per fissare l'esattezza. Vi si scor= ge, che quasi tutti gli elementi astronomici e topografici, senza dei quali non si potrebbero ottenere buoni resultati , sono stati In suo potere; la sua carta dimostra, ch’ egli ha saputo met- tergli in ordine eon grandissima precisione , ed abilità. Sic- 160 come è da desiderarsi, che «dopo una cotanto commendabile - operazione , il sig. capitano Raymond prosegua ad arricchire: il patrimonio della geografia, noi reputiamo utile l’ incoraggirlo col tributargli quelle lodi, che per ogni riguardo merita il suo ‘lavoro. Noi ci facciamo un dovere di andar d’ accordo che que- st’ opera,importante per la sua geometrica precisione , e per l’ab- bondanza dei suoi particolari, è una produzione che essenzialmen- te interessa l’antica e moderna storia militare, come pure la sto» ria naturale. Per lungo tempo non si potrà consultare una guida migliore, o sia come un quadro” esatto e fedele della giacitura de’ principali ‘accidenti del terréno, o sia come primo abbozzo eorografico, L. PUISSANT Ufiziale superiore, capo degli studi alla scuola d’ applicazione del corpo reale degl’ ingegneri geografi militari ec. \ Fine del N. I. ; x 101 ANTOLOGIA N. II. Febbrajo 1821. INTRODUZIONE AL PRIMO TOMO DEL GIORNALE INTITOLATO - REVUE ENCYCLOPEDIQUE Li. Raccolta, della quale intendiamo indicare il PIANO, lo sFIRITO e l’occETTO, si può dire che man- casse alla Francia ; ed è destinata a soddisfare ad uno dei bisogni del tempo in cui viviamo. Il suo scopo è di esporre con precisione e con fe- deltà 1 successivi progressi delle\umane cognizioni in quanto han relazione coll’ ordine sociale‘e col suo per- fezionarsi , e che costituiscono la vera civiltà. È nostro desiderio il cercare e consultare , prima intorno a noi, quindi ne’ paesi ove potremo estendere le nostre corrispondenze , le opere più utili e più istruttive, delle quali, a misura che saran pubbli- cate, ci studieremo dar conto con esattezza e con imparzialità . Operando in tal guisa confidiamo di con- tribuire a render più attiva Ja circolazione delle ric- chezze intellettuali e morali, “a far meglio apprezzare i beni che giornalmente ritrae la società dalle scienze e dalle arti, ad eSporte alla pubblica riconoscenza i nomî e le opere de’ più insigni cultori di esse, final- mente ad indicar le migliori sorgenti alle quali cia- T. I. Febbrajo II 162 scuno potrà attingere, a tenore del proprio bisogno e se- condo il genere de’ suoi studi. Potranno quindi nella nostra Raccolta aver luogo tutte le umane cognizioni, tutti gli elementi bili alla felicità degl’ indivi- dui , alla prosperità delle nazioni . Hof Francia, rispetto alla sua posizione geogra- fica , e allo spirito di socialità proprio de’ suoi abitanti , può considerarsi come centro della civiltà europea. La lingua francese, ripurgata e perfezionata da’nostri grandi scrittori, può dirsi divenuta d’uso classico ed universale. Quindi è che sembra conveniente pubblicare in Francia e in nostra lingua una, serie non interrotta di notizie analitiche de’ principali lavori scientifici, letterari!, isto- rici, economici e politici, intrapresi ed eseguiti nelle diverse regioni del globo. La nostra Rivista Enciclopedica, ordinata sul piano, di alcuni accreditati giornali inglesi e tedeschi, occu- perà un posto fino ad ora vacante in, Francia ,, e riem- pirà un vuoto, che non era sfuggito alla perspicacia di molti buoni spiriti. Di fatto esistono fra.noi molti giornali e-raccolte consacrate alle particolari e speciali diramazioni delle scienze : ma destinate ad un ordine particolare di lettori , poichè trattano solo di certi determinati oggetti, non possono presentare il come plesso delle produzioni della mente umana, valutate nelle loro scambievoli relazioni , e divenute più istrut- tive essendo ravvicinate fra loro | Lungi dall’ entrare in competenza con questo ge- nere di scritti, seguendo la traccia che a noi appartiene, potremo contribuire a renderne più. estesa la riputa- zione, e più facile e più generale la circolazione ;i poi- chè a pepe valli pubblicheremo compendi ed estratti di ciò che avranno offerto di più essenziale, ò analisi 163 delle materie in quelli trattate. Così verremo ad ispi- rare il desiderio di consultarli, e ad agevolare le inda- gini alle quali essi daranno occasione . Ci asterremo dal trattar le scienze sotto una for- ma. technica e didattica ad uso di coloro che vogliono studiarle a fondo, ma lo faremo sotto un punto di vista più generale, quasi unicamente morale e filosofico, per NI +! . DIO °_* indicare agli uomini che vorranno ravvicinarle e pa- | ragonarle in che :consistano i progressi dello spirito u- mano in tutte sfere di suo dominio . Questa impresa; che interessa del pari le menti le più colte, e coloro l'istruzione de’ quali è tuttavia su- perficiale. e incompleta, pare che debba essere essen- zialmente vantaggiosa ad ogni età . Il bisogno di solidi studi,e,di sostanziose letture si fa sentire generalmente. Le nostre scuole pubbliche cresciute in numero, e frequentate più che altre volte dagli uditori, mostrano ad. evidenza. Je felici disposi- zioni de’ nostri giovani fABlemporanei, Lo zelo dei dotti pr ofessori intorno a ‘ quali concorrono corrisponde N al loro nobile ardore per le scienze... Ma troppi ostacoli sì oppongono tuttavia ad. una pronta. e facile commu- È gpricazione fra gli uomini capaci di diffondere l’ istru- zione ‘con, li, scritti e i discorsi loro , e quelli che son desiderosi, id’ imparare ; e iobbliatto troppi impedi- menti separano gli, studi letterari, scientifici e i72dw- | strigli delle divala nazioni’, (Td Rivista Enciclopedica, ha du oggetto di pia nar, queste: difficoltà , di toglier di, mezzo quest’ in- | ciampi; ed ecco con, qa mezzi intendiamo di giun- gere al nostro; scopo. Parigi, è è nna, delle capitali ‘eurepee ove esiste una maggior copia, di mezzi per istruirsi; e proporzional- 164 mente un maggior numero d’ uomini addetti alla col- tura delle lettere e delle scienze. Quindi abbiam presso di noi gli elementi necessari per mandare ad esecu- zione il nostro progetto. Da un lato le principali opere francesi ed»estere, depositi de’ progressi che successiva- mente fanno le scienze e le arti; dall’altro scrittori per- spicaci nell'osservare, atti ad apprezzare e indicare que- sti progressì. Altro da far non resta che riunire, dispòr- re in ordine e mettere in azione questi elementi troppa isolati . da Ciascuno che si applichi a studiare un ramo di scienza procura di ‘render conto a sè stesso di tutti i fatti interessanti, fecondi di conseguenze e veramente istruttivi, mercè de’ quali essa estende il suo dominio e l'imperò dell’uomo sulla natura. Procura di conoscere le opere più insigni scritte sulla sua scienza , e trae profitto fin dagli errori e dalle osservazioni meno esatte 0 mal dirette. Invitiamo! adunque tutti i dotti e i letterati a parteciparci, per inserirsi nella nostra Raccolta , le ana- lisi e gli estratti che per bisogno o per piacere, per istru- zione o per loro particolar soddisfazione fossero deter- minati di fare; e in tal guisa diventeranno nostri coo- peratori, senza distrarsi dalle loro meditazioni, 0 dat' loro studi abituali. Mediante la' nostra biblioteca anali- tica stabiliremo fra i cultori delle lettere e delle scienze scambievoli e regolari communicazioni di letture ed in- dagini le quali, sebbene in diverse sfere , saranno ‘inte- se ad un segno comune; e procureremo loro ‘un cam- bio di riflessioni e di osservazioni, che animate dallo stesso spirito intenderanno a favorire i progressi del- l'istruzione. L’uom privato come il moderato ‘degli stati, il dotto e Y erudito‘come chi non lo’ è per pro- fessione, tutti potranto appropriarsi i vantaggi di que- 165 sta corrispondenza letteraria e scientifica ; della quale nel passato secolo godevan soltanto alcuni illuminati re- gnanti, i quali incombenzavano scrittori perspicaci e osservatori di far loro parte di tutto ciò che nel mondo letterario appariva meritevole di eccitare curiosità e attenzione . Fra la copia delle opere d’ ogni maniera che tutto giorno si danno in luce, e che in ogni ramo d’umane cognizioni e in ogni lingua si moltiplicano in una proporzione eccedente il tempo, di cui. possa di- sporre qualunque più indefesso e paziente lettore, per ogni uomo illuminato diventa un bisogno imperioso il saper tosto e con esattezza quanto siasi intrapreso 0 eseguito nella scienza a lui familiare . I libri migliori non presentano per lo più che un piccol numero di idee utili e degne di esser rac- colte e meditate; e ne’ mediocri vi si trovano spesso pensieri nuovi e giudiziosi, fatti non conosciuti, 0 fino allora male osservati . Un’ opera adunque d'analisi e d’esame critico, applicato alle diverse produzioni scientifiche e letterarie, è propria a fortificar l’intellet- to, ad aiutar la memoria, e somministrare una solida e piacevole istruzione. In sequela di tali considerazioni parecchi scrittori, animati dalla brama e dalla speranza di essere utili, han risoluto di accomunare i loro sforzi e i loro lavori per pubblicare mese per mese la Rivista Enciclopedica, di cui abbiamo esposto ‘il piano, e della quale ci resta 1a far conoscere le principali divisioni. Per la disposizione delle opere e de’ fatti de’ quali ! dovremo dar conto ci è sembrato dover cominciare dal disporre il sistema delle cognizioni umane in tre gran- di classi, le quali comprendono alcune particolari sud- divisioni. 166 , La prima classe comprende le sciENZE FISICHE B MATEMATICHE, CIOÈ ; SAT 1. Tutto ciò che riguarda la fisica sperimentale , la chimica, la storia naturale , la mineralogia, la bo- tanica, la zoologia, la medicina e le scienze mediche. 2. Le matematiche in generale , V astronomia, la Ta l’idraulica ec. . L’arti fisico matematiche e le arti mecca- oe e industriali. ' Nostra special cura sarà di considerare queste di-, verse scienze inquanto si riferiscono ai bisogni e agli usi dell’ uomo . i La seconda classe consacrata alle scienze RELI- GIOSE , RAZIONALI, MORALI E, POLITICHE comprenderà i seguenti soggetti : 1. TEOLOGIA NATURALE 'E RELIGIONE. 2. Ideologia , o analisi dell’ intelletto umano : e metafisica applicata ai diversi rami delle scienze . 4. Filosofia morale . 4. Educazione o sviluppo e coltura delle facoltà che costituiscono 1’ uomo . 5. Scienza sociale e legislazione ; dritto pubbli- co ; economia politica, statistica e amministrazione pubblica ; politica generale e speciale ec. . 6. Storia universale antica e moderna, generale e particolare ; cronologia ec. . i 7. Finalmente geografia civile, e viaggi . Avremo occasione di ravvicinare e paragonare ap- poco appoco i diversi sistemi di filosofia, di educazione e d'istruzione, di legislazione, di politica, adottati o applicati presso i diversi popoli. Le scienze morali e politiche saranno specialmente considerate in. ciò che hauno di relazione co’ principi d’ ordine pubblico e di ' 167 eonservazione, che son comuni a tutte le società ben re- golate . La terza classe intitolata LETTERATURA ‘e BELLE ARTI comprenderà : 1.La grammatica e tutte le ramificazioni della filologia e della critica, e la cognizione delle lingue antiche e moderne. VITA 2. La letteratura propriamente detta, e le lettera- ture francese e straniere fra loro comparate; la poesia, t romanzi, i teatri ec. 3. L'archeologia o la scienza delle antichità che nel nostro piano trattata sempre sotto il punto di vista dell’ utilità, somministrerà schiarimenti e sussidi pre- ziosi alla mitologia, all’ istoria, alla cronologia, alla geografia, alla grammatica , alle belle arti. 4. Finalmente le arti del disegno, e tutte le arti liberali , il disegno , la pittura, la scultura, V inci- sione, V architettura, la musica ec. Esibiremo il prospetto successivo del cammino e de’ progressi fatti dalle belle arti, le scoperte e i lavori d’ogni genere che le riguardano, le relazioni che avranno co’ costumi e colle abitudini nazionali de’ di- versi paesi, il confronto co’ modelli esistenti dell’ an- tichità , i sussidi che offrir possono alle lettere e alle scienze , e quelli che dalle medesime posson ricavarne. Per apprezzare giustamente le produzioni del ge- nio , le opere de’ grandi artisti, e le osservazioni cri- tiche oi giudizi degl intendenti ci servirà di norma l’ispirazione dell’ amore del vero e del bello nelle arti, l’influenza morale che è il loro più nobile attributo, e il sentimento della dignità , e' delle potenze umane che fan più sicuramente sentire’. Dopo avere esposta questa classificazione metodica 168, delle scienze , che è quasi la tavola delle materie del nostro Registro universale, destinato all’esame di tutti 1 lavori ne” quali può lo spirito umano occuparsi , indi- cheremo con qual’ ordine saran disposti i diversi arti- coli de’ quali sarà composta ogni distribuzione della Rivista... | La prima parte conterrà gli SCRITTI ORIGINALI, NOTIZIE, LETTERE y MISCELLANEE. La seconda, ANALISI ED ESTRATTI di opere scelte . La terza conterrà un BULLETTINO BIBLIOGRAFICO che servirà di appendice e di compimento alla sezione pre- cedente . i La quarta porterà NOTIZIE SCIENTIFICHE E LETTERA- RIE, e presenterà in certo modo il quadro progressivo del- la civiltà comparata . Ecco il piano da noi adottato; nella fiducia che possano conciliargli l approvazione del pubblico l’uni- versalità e l'utilità degli oggetti che abbraccia . Confidiamo pure che per la scelta de’ cooperatori nazionali ed esteri associati già alla nostra impresa po- trà essa divenire un mezzo di corrispondenza aperta ai letterati e ai dotti d’ogni paese. Accoglieremo con gratitudine gli scritti e le notizie di un generale inte- resse, che si compiaceranno rimetterci . Le qualità che ricerchiamo ne’ nostri cooperatori e ne’ nostri corrispondenti sono, l’ amor della verità , la saviezza e la liberalità nelle idee, una maniera filo- sofica di esaminare i lavori altrui; cognizioni positive nelle materie trattate j talento di scrivere con chia- rezza e con precisione . Porremo fine a questa introduzione riepilogando l’ esposizione de’ principi che servir debbono a noi di regola . 169 È nostro intendimento compendiare ne’ nostri estratti analitici il sostanziale de’ libri migliori che verran pubblicati ; evitare tutto ciò che potesse indi- care spirito esclusivo di sistema o di partito; prendere in esame i fatti, le opinioni, le dottrine, gli autori e le opere loro , senza pronunziare un giudizio , agevo- lando al lettore il modo onde pronunziarlo; fargli co- noscere le sorgenti alle quali può attingere per propria istruzione , e procurargli il mezzo onde risparmi tempo nelle sue ricerche e ne’ suoi studi, e legga più e meglio e con maggior frutto ; e rendere infine più accessibili le scienze , più agevoli e più generali le comunicazioni fra gli uomini consacrati alla coltura delle lettere e delle scienze. Tale sarà costantemente lo spirito e ‘lo scopo d’ un intraprendimento incominciato sotto i fau- sti auspici della pace europea, la quale concede che le ricerche, gli studi, la industria, e l’attività delle na- zioni rivolgansi a nobili ed utili oggetti di conservazione e di miglioramento . M. A. IULLIEN n" __r_ SCIENZE MORALI E POLITICHE INSEGNAMENTO RECIPROCO Discorso recitato dal duca di Doudeauville , pre- sidente onorario della Società formata a Parigi per il miglioramento dell’ istruzione elementare . Journal d’Education. Mars, 1820. I nostri statuti mi concedon l’ onore di presedere a quest’ adunanza generale, una di quelle nelle quali si esaminano da voi annualmente i ragguagli, i conti e 170 quei particolari che meglio posson far conoscere i sa- lutari effetti de’ vostri, provvedimenti, e le ‘felici con- seguenze dei vostri sforzi. Ad oggetto di render que- st’ esame più frequente per voi, di somministrare agli istitutori delle scuole lontane il mezzo di tener dietro alle vostre operazioni , e di soddisfare sì in Francia che nel resto d'Europa alla plausibil curiosità dei soscrittori e corrispondenti della società , fu deliberato che un bullettino mensuale di quattro pagine ordinarie sì di- stribuisse gratuitamente: alla quale spesa’ utilissima fù in altra maniera provveduto . Quest’ adunanza dee chiudersi con la distribuzio- ne delle medaglie d’ oro o d’argento da voi accordate per incoraggiare lo zelo, e per ricompensare la condotta degli istitutori, i quali hanno saputo distinguersi fra gli altri. Non voglio io anticiparvi o diminuirvi la sodisfa- zione che proverete ascoltando i discorsi che da altri verran recitati: mi asterrò per questo dal diffondermi sopra temi che in quelli saranno trattati, e vi diman- derò in quella vece licenza di richiamare la vostra at- tenzione sopra alcune più generali riflessioni . Queste riflessioni, inutili per eoloro i quali come vol, 0 signori, son persuasi dei vantaggi del nostro metodo, non saranno tali per quelli che ne dubitano, che ne giudicano senza cognizione , e che lo condan- nano senza studio. Saranno colpiti i nostri nemici dalle verità che io metterò avanti a’ loro occhi ? È, scrittore senza passione, potrò io farmi intendere da un lettore imparziale? Certamente la buona fede nelle dispute guadagna la buona fede, come il cuore parla eloquen- temente al cuore in ciò che ‘interessa gli affetti . L'istruzione elementare ‘ può dirsi ricomparsa ia IMI Francia da quattro o anche da sei anni in poi, pdichie ciò risale all’epoca del ministero di Montesquiou. Come dovea prevedersi, ha ‘fatti succesivamente grandi pro- gressi, e sì è sparsa în tutti i dipartimenti, ad onta dei molti ostacoli che vi si.opposero . 1 quali ostacoli son nella' maggior parte derivati dalle poco favorevoli idee, e dalle prevenzioni mal fondate , concepite in diverse circostanze da persone stimabili sì, ma che avevano di tal soggetto solamente una nozione falsa e confusa : bisogna per questo convincerle con le nostre ragioni, e più con i nostri successi . | Bisogna illuminarle , sicuri di condurle ad ap- prezzar questo metodo quando bene lo conosceranno ; è si persuaderanno che era stato mostrato loro sfigurato e snaturato per allontanarnele . ‘Sì è fatto: loro credere ché il nostro metodo d’in- segnamento sia affatto nuovo; e questo titolo serve a molti di ragione per riprovarlo : di più che è nato in un paese del quale si dee temere ; e un tentativo di tal genere non senza motivo li ha spaventati . Per rassicurarli diremo noi che questo metodo fu ‘immaginato in Francia ad un epoca assai lontana , che il virtuoso autore ne fù largamente ricompensato sotto il regno di Luigi XVI, e che è solamente ricomparso ora con maggiore utilità. E faremo loro conoscere che questo sperimento è stato ripetuto in grande negli ul- timi venti anni in THgtAlichri, che è riescito a perfe- zione , e che non si può dubitar più dei suoi vantaggi. È stato detto che il nostro metodo è quello > Lancaster, e che il Lancaster era uomo affatto irreligioso. E noi replicheremo ‘clie il metodo’ del Lancaster} destinato a un paese ripieno di sette differenti, non sloveva parlare di veruna religione per non ‘urtarne ve- Li runa : ma che il nostro ; differentissimo da quello del quale impropriamente, e forse maliziosamente ; gli è stato applicato il nome, è al contrario religiosissimo , e al più religioso di tutti quelli ai quali è è stato sostitui- to : che i regolamenti sono approvati e dettati in gran parte dai più rispettabili capi del clero; che i maestri non sono ammessi ad imparare il avi e se non mu- niti di un certificato del paroco respettivo ; che gli esercizj di lettura sono tutti estratti dall’ antico e dal nuovo testamento ; che le pratiche religiose sono rego- larmente osservate nelle scuole; che | istitutore con- duce regolarmente i suoi alunni ai divini uffizj; che questi a alunni medesimi si distinguono spesso negli esa- mi parrocchiali per la loro istruzione religiosa ; che noi abbiam premura di raccomandarli ai rispettabili pastori, i quali non isdegnano di occuparsene, persuasi che i] prendersi cura dell’infanzia, e il vigilare sull’ educazione sia uno dei più sacri doveri del loro ministero , una del. le occupazioni più degne della loro carità . Pretendesi che i fanciulli educati col nostro sistema sieno più disobbedienti ; più insubordinati degli altri - Risponderemo noi che sarebbe cosa veramente strana il veder dall'ordine il più esatto nascere il disordine, dalla sommissione la più perfetta l insubordinazione : e fondandoci particolarmente su’fatti proveremo, che que- sto genere d'insegnamento ha prodotti, ove egli è stabili- to , effetti sì opposti, che i maestri di bottega prescelgo- no i loro operaj fra quelli con le sue discipline educati, perchè ritrovano in essi più regolarità, più subordina- zione , e potrebbe aggiungersi più moralità , poichè l’una e conseguenza dell’ altre, e tutte le virtù son sorelle, Con altri fatti confuteremo altre obiezioni prive di ve- rità, e alcune declamazioni destitute di fondamento 173 Dicesi che il clero cattolico ha ovunque rigettato questo metodo, e noi dimostreremo che attualmente in Ame- rica, in Inghilterra , e anche in Germania , in Svizze- ra, in Ispagna, in Italia il'clero se ne occupa, ne è contento, e ne riconosce i vantaggi per là parte della religione . Siamo accusati infine con un accanimento pari al- la falsità, voler noi distruggere le scuole dei religiosi. Noi risponderemo con delle pruove a questa ca- | lunnia ancora: noi di quelle parliamo vantaggiosamente in tutti i nostri scritti ; le difendiamo in tutti i nostri discorsi, le sostenghiamo nelle nostre operazioni; è se è permesso citar me medesimo in testimone, perchè io sono stato dei primi a occuparmi dell’insegnamento elementare, io feci dodici o quindici anni fa, in un’e- poca beni poco favorevole, un rapporto vantaggioso del- le loro scuole onde ottenerne il ristabilimento. E quale è fimalmente il risultato delle nostre ostinate persecu- zioni? Con nostra estrema sodisfazione le scuole dei re- ligiosi son raddoppiate dappoi che son aperte le nostre. Avremmo noi desiderato che eglino adottassero il nostro metodo d'istruzione, perchè lo crediamo buono; ma poichè vogliamo il bene; nè abbiamo la smania del- l’intolleranza, lasciamo che essi conservinò il loro, interidiamo corime tibi perchè lo abbandonino. 4: il nostro merita la preferenza , ‘eglino lo adottéeranno alla fine , e risulterà intanto da festa differenza di sistemi un’emulazione utile ai maestri , agli alunni , e‘in con- seguenza un’educazione più accurata . Voi, i quali siette meno partigiani esclusivi di un metodo qualunque, che amici illuminati della gioven- tù e dell'infanzia ; i quali proteggete un sistema d’istru- ‘zione , la cui bontà è dimostrata dall'esperienza di tanti 174 | anni; i quali incoraggiate con ogni sforzo tutto ciò di cui l'utilità è manifesta ; i quali non opponendovi al male, favorite potentemente ciò che è buono, soste- nete senza passione, e senza spirito di partito tutti i mezzi utili, di insegnare, qualunque ne sia la, for- ma, gl istrumenti, e le abitudini; voi, dico, invi- terete tutti. gli, uomini, animati da uguali sentimen- ti, ad unirsi con voi, per formare dei buoni maestri, per impedire gli abusi che essi indicano, per evitare i pericoli che essi temono, e per propagare general- mente i buoni principi che essi desiderano. Un’ istruzione saggia, morale e religiosa, sì ne- cessaria particolarmente dopo trent'anni di rivoluzione, è sì indispensabile per assicurare il riposo della Fran- cia, la pace delle famiglie, la felicità delle presenti con quella delle future generazioni, è l'oggetto dei no- stri voti, è lo scopo dei nostri sforzi. Se noi vi riusciremo. sicuri delle, nostre intenzioni, e fatti forti dalla nostra coscienza, crederemo , a dispetto di tutti i timori. mal fondati e degl’ingiusti rimproveri, di avere, onorevol- mente adempiuto il nostro impegno, e di aver merita- to della patria. Per me, o signori, il quale desidero vivamente il bene di qualunque siasi natura, e credo che niun ostacolo debba trattenere dal tentar di promuo- verlo, mi;stimo felice e mi glorio di esser nel numero di quelli uomini stimabili i quali con ardore, con saviez., za, con disinteresse. e. con vocazione vi prendono il più viyo interesse . 3 {4} 175! SCIENZE MORALI E POLITICHE | ECONONIA, FINANZE. ( Continuazione delle: Lettere di S. James ) LeTTERA III. S. James, 22 Ottobre 1819. I quattro milioni di proletarj.che 1’ Inghilterra colti- vano, fanno produrre. a quel suolo il nutrimento ne- cessario per, i nove, milioni che l’ abitano : a poco ammoniando le importazioni delle derrate, ne viene che ogni coltivatore alimenta colla suafatica; un PI più di due, persone. Ma l’artigiano in compenso può prov- vedere ventidue|persone di ciò ; che gli usi nostri ren- dono necessario, al consumo. Questa proporzione dee prendersi, come voi vedete, nel senso il più generale, intendendo di ogni sorta di cultura ed’ industria. I tre milioni d’ artigiani; che Y industria inglese teneva poc'anzi occupati; hanno in tal guisa provve- ‘duto.al consumo di sessantasei milioni d’individui . L'Inghilterra dunque non avendo che una popolazione di nove milioni, che si può fare ascendere fino a dieci col comprendervi le sue;colonie, convien vcredere che l'estero le abbia! dato, cinquantasei milioni di consu- matori .. Io. mon comprendo neppure sotto il nome di stranieri nè l'Irlanda, nè la Scozia; poichè questi paesi avevano.industria;bastevole a provvedere a'sè stessi. Questi. cinquantasei milioni, di consumatori hamio al certo; esistito, poichè, sussistono tuttavia la officine in- earicate di 3 SILELSA, Si può infatti. credere ; che le. Ni A 176, due Americhe ne abbiaho dati quindici milioni, la Spa- gna ed il Portogallo dieci, cinque il Levante, cinque l'Italia , otto il Pitti nl e l’ Europa pendii i tredici milioni, che compiscono questa lista singolare. L'ultima guerra non avea distrutto questo vasto monopolio, e lo aveva soltanto concentrato altrove ; im- perocchè s° ell’aveva da questo monopolio liberato le provincie dai francesi occupate; gli aveva in vece ab- bandonato senza competitori quella parte della terra da loro non occupata. Ma nel corso di questa guerra , quella parte dell’ Europa, dove i prodotti dell’ Inghil- terra non son più pervenuti , è stata costretta ad imi- tare la sua industria , onde poterne far di meno. Que- sti tentativi, incerti in principio, son finalmente riu- sciti; e la pace, col presentare tutti questi diversi pro- dotti ha fatto divenir Y industria della Francia emula di quella dell’ Inghilterra. Le gare nell’industria' nè- cessariamente 1 consumatori ‘costringono a fare una’ scelta , e oggi non si dubita più che questa scelta abbia onninamente favoritii prodotti della Francia; eccettuata l’arte di lavorare i cotoni. Per l'Inghilterra dunque il resultato della pace stipulata a Waterloo;è è stato di farle perdere almenoil quarto dei suoi consumatori estranei, e di angustiàrla circa al conservarsi il rimanente: imperocchè il ‘’imo- nopolio del commercio marittimo si può fondar' colla forza, bastando! per assicurarsene il distruggere i ba- stimenti degli altri: ma niuna umana forza può co- stringere i consumatori a dare la preferenza ad alcuno. Si è sianieto chiudere in Inghilterra ‘un numero corri* spondente di officine , e seicentomila ‘artigiani debbono esservi rimasti senza lavoro. Nè questi provano tarito leifetto di wna tal:mancanza, come quello dei numeri sti da me supposto : perchè in economia gli effetti non ‘son mai eguali alle loro cause, poichè alcune circo- stanze impensate confondono ” azione della causa prima , e talora vengono a compensarla . © Ma una qualurique mancanza di richiesta d’opera fà invilir le mercedìi per motivo della ‘concorrenza , ‘ed ogni calo di tal sorta ‘per l'Inghilterra è funesto: poichè se il meschino colono di Francia'o d'Italia può aspettare il lavoro, perch’ egli‘ ha assicurata la sua Sussistenza ' coi prodotti immediati dal suo terrerio; il proletario non può soffrire alcun riposo, poichè per cibarsi altro nòn ha che il mercato dove -si compra tutto a danaro contante. Bisogna dunque ch'egli pe- risca di fame, lo che ritragga questo danaro dal lavoro, dalla siapngisile o dalla Viola: Ora ‘Voi temete, di veder prendere quest’ultimo partito agli artigiani che'son privi di lavoro; e questò timore seriza dubbio ‘è fondato , e son' già più di quat- tr anni, che io ne ho predetto IV avvenimento; ma credo che basti il ‘conoscere un tal pericolo per istor- narlo. Non bisogna al certo fidarsi alle gazzette officiali per isperare come loro, che l'industria sia di nuovo per rifiorire. Convien rammentarsi al contrario , che in Inghilterra vi son’ ora seicentomila operai di più, che son di più, perchè l'indastria che gli nutrisce è morta per le stesse cagioni, che distrissoro la prospe- rità dei veneziani ) dei toscani’ e'degli olandesi, per Je leggi cioè della concorrenza ; sleggi ‘inevitabili, poi- chè dalla nostra propria natura hanno origine . "Lo strariiero respinge nell’ begbitterrà tutta 1’ in- dustria inglese, ed essa alternativamente . si ripiega verso i capitali ammassati, i quali sembra che. le of- frano un ‘ampio. resarcimento. Quest’ azione perturbi= T. I Febbrajo 12 178 trice agita l’ordine sociale nel momento in cui quest’or- dine ha spinto all'estremo le conseguenze tutte, che la. vicinanza di un’ immensa ricchezza e di una mostruo- sa povertà seco trascina . Io vo d’accordo , che si possa essere impauriti di un simile stato, e credo , che fuori d’ Inghilterra sarebbe irrimediabile; ma sono immense quelle forze, che debbono rendere inefficace questa reazione, poichè son quelle delle quali dispone la: lega del patriziato , del trono e della democrazia scelta, son quelle cioè del potere,,e di tutte le ricchezze dello stato. Ardua cosa ell’ è il rimuovere dal suo posto una tal potenza, non solamente perch’ ell’ è atta a resistere a lungo, ma soprattutto perch’ ell’ ha mezzi grandi abbastanza per estirpare la causa del pericolo, e per prevenirne lo scoppio. Del principio della mossa ostile che agita il popolo inglese vi ho chiarito ; passo ora ad esaminar con voi la posizione del ‘governo , onde della difesa, come pur dell’ attacco, io vi. faccia conoscere i mezzi . LETTERA Iv. Del 28 Ottobre L’ aristocrazia plebea, che ‘ho designata col no- me di democrazia scelta, perch’ ell’è infatti l’una;e l’altra, non si è del potere, nè delle ricchezze dell’ Im- ghilterra impadronita prEonerao di una congiura e di trame. Il popolo non è stato dagl interessi della po- litica e della proprietà con atti violenti, escluso. Que- sta divisione si è prodotta dalla naturale. inclinazione delle cose , e, senza che alcuno possa esserne respon; sabile. Nè dello stato, in cui il popolo inglese;ora si trova, -puossi incolpare il governo; poichè questo sta- = gni n) to altro non è, che la necessaria conseguenza del de- cadimento della sua prosperità, la quale mercè degl’i- stituti, e del sistema del governo ha durato oltre un secolo; e la storia dimostra che questo termine è di già troppo lungo. Dirò di più, che 1 poteri politici dell Inghilterra non hanno commesso alcuno di quelli errori, che sono la rovina degli stati, perchè l'aristocrazia formata dalla lega di questi, poteri ha sempre rispettato la costitu- zione e le sne massimÉ i; giovandosi dei comodi del suo! stato senza mostrarsi nemica 0 superba in faccia al, ‘popolo sgli ha lasciate intatte le sue garanzie, e fin qui non ha chiesto agli statuti alcun privilegio, seb- bene non avesser potuto negarglielo essendo a quello soggetti. Questo rispetto per le sociali garanzie è nato da quel fortunato accordo, che ha conservato alla ple- bea aristocrazia un carattere democratico. In tutto il sistema amministrativo dell’ Inghilterra ‘o mon’ posso citare che un solo errore, ed è quello di aver finito col render questo sistema dipendente dal pubblico colla dilapidazione delle finanze. Il go- verno si‘è messo in procinto non solo di angustiar la nazione coll’eccessive gravezze, ma di aver anco in tempo di ‘pace un continuo bisogno di credito affin- chè potesse coprir le mancanze dtintali del suo stato. Di ‘poco momento era questo errore , quando la cre- ‘»scente | prosperità dello stato continuamente recava muovi ‘capitali al tesoro; egli era leggiero allorchè il poter: popolare, a cui la costituzione avea dato 1’ in- | arico' di accordare i sussidj, godeva di una fiducia del popolo tanto grande ‘da sostenerne egli solo la re- sponsabilità + Ma ‘questo ‘potere ha perduta quella fi- ‘duciain collegarsi col governo; e questa responsabilità f 180 non siregge più che sopra al suo carattere aristocra- tico, e questo carattere non ha forza bastevole a so- stenere un tal peso. Jl governo ha errato nel non essersi‘a tempo ac- corto dell’ epoca di questa trasformazione del. potere popolare in potere aristocratico; e si è ostinato a con- siderar questo potere ora.come una molla popolare , ed ora come un elemento aristocratico, secondo che della sua protezione 0 della sua compiacenza egli a- veva bisogno. Ma è vecchio questo ripiego ,'e per va- lersene il caso è troppo grave; onde convien confes- sare ingenuamente , che il poter! popolare altro più non rappresenta fuorchè interessi aristocratici. Questa osservazione fatta una. volta sul, sistema politico del- VU Inghilterra; gli servirà di norma; e il governo sa- prà ciò ch’ei può chiedere, e quel che da un tal mo- tore politico aspettarsi egli possa ; nè più della sua popolarità, ma della sua forza farà capitale; e per renderla intera ei comprenderà, che; prima di. tutto è necessario farla indipendente dagli avvenimenti e dal credito. Ora questa forza rimarrà inoperosa. fintanto- chè non sarà giunto a tenere in iui il suo sta- to senza l’altrui soccorso. Le aristocrazie debbon esser econome e prudenti; 5 poichè tutto il loro sapere stà nell’allontanare. gli.ar- gomenti idi contesa ; ed è di mestieri che intorno ad esse tutto sia tranquillo. Io so benissimo; che quel- la che regge l'Inghilterra ha un \troppe»ampio fon- damento, per attenersi alla politica dei, veneziani e dei bernesi: ma ella dee, sapere che .i, suoi, interessi sono della. medesima indole , e che.in, ciò che, loro. spetta ella non può! che guadagnare seguendo Vv esem=. dio di quelli; ma in quel che dipende dal, maneggio ! 181 delle sue opinioni e della sua politica ella può ance allontanarsene . LETTERA vV. del 5 Novembre. In Inghilterra oggi non vi sono che due cor- porazioni ben distinte, perchè non vi sono che due comunità assai divise d’ interessi, quella cioè dei pro- prietari, e quella dei proletarj. La politica non può più far conto della scissura delle. opinioni, perchè queste si oscurano a fronte degl’ interessi. I Torys dun- que vorrebbero invano mettersi sotto la protezione degli Wighs, che fin da gran tempo altro non son più in Inghilterra che i canonici della democrazia ; Ja loro popolarità è venuta meno per la loro opulenza, ed il suo gradito odore si dissiperà appena , che qualche malnato oratore domanderà che si proceda alla divisione de’ beni. Il governo dunque non speri di trovare in loro de’ mediatori fra il popolo e lui , poichè l’ opposizione | mon aveva forza se non che parlando a nome di questo | popolo; etostoch’egli le nega il suo assenso, ella non è più nulla. Gli Wighs non possono rappresentare veruna par- | te nella crisi politica che si prepara, perchè il-loro carat- tere è quello di difendere dei principii, e qui non si trat- ta che d’interessi. È dunque necessario chi’ eglino si dividano per abbracciare uno dei due partiti, alia già sì stanno a fronte , a seconda della preferenza che ognun di loro accorderà alle sue opinioni o ai suoi interessi ; poichè il loro partito più non esiste per es- sersi oltrepassata la linea, nella quale si-erano posti. ‘Sarebbe peraltro desiderabile, che non fosse sciol- pi 182 ta l'opposizione, perchè essa in sè sola conserva il ca- ‘ rattere democratico dell’ aristocrazia plebea, e tutto il merito di questo corpo è riposto nel riunire in sè queste due nature; ma ben ardua cosa ella è lo spe- rarlo. L’impulso delle cose non lascia scegliere che tra due partiti; e nelle politiche crisi non se n'è giam- mai potuto creare un terzo, perchè in ogni circostan- za decisiva egli è nuovamente costretto a sepairarsi, non potendo Fo voto che per un sì o per un nò. Accertatevi dunque ‘che le politiche contese del- l'Inghilterra accaderanno tra i due corpi dei proprie- tari da una parte, e dei proletarj dall’ altra. Vi saran- no senz'alcun ‘dubbio dell’ eccezioni, e dei disertori , ma in troppo scarso numero per valutargli ; oltre ciò queste contese saranno poco intrigate: e sarà facile a svelarsi la loro orditura, poichè altra origine non avran- no fuori che sentimenti più volgari della umana na- tura, cioè i più immediati interessi. Qualunque siasi l’esito di questa contesa, farà perder qualche cosa al- V Inghilterra, imperocchè l'aristocrazia non trionferà che a scapito della sua dignità, e la democrazia'a dan- no della sua moralità. LETTERA VI. del 12 Novembre Tra le vicende di Roma e quelle dell’ Inghilterra appariscono disparità vistose., ma vi sì riscontra, ancora una gran somiglianza. Non è l' istessa , è vero, l’indole politica della loro aristocrazia; quella di Roma era a tenor delle leggi, quella dell’ Inghilterra non esi- ste che col. fatto. Ella abbraccia tutti coloro che tra la. nazione acquistarono possessioni, mentrechè per essere. 5 183 patrizi di Roma la sola nascita ne dava il titolo. Di- modochè questo patriziato era fuori della nazione, poi- chè stava a quella superiore; mentre al contrario Y ari- stocrazia plebea dell'Inghilterra stà nella nazione, poi- chè tutti vi possono arrivare. Ma questi due corpi per i loro interessi e per la loro posizione hanno tra di loro una grande analogia; poichè ambedue hanno do- vuto sostenere una ‘lotta contro una plebe povera, ma che del proprio nome e della parte ch’ ella rappre- senta va superba; ed il popolo inglese è sul monte sa- cro come quello di Roma, e bisogna ancora farnelo scendere . i I patrizi di Roma occuparono quel popolo a con- quistare il mondo; l’arte sua fu la guerra, bene av- venturata finchè trovò pascolo, ma allorchè avvici- nossi ai confini del mondo conosciuto l’armi impe- tuosamente contro sè stessa rivolse. Il popolo inglese ha fatto il monopolio dell’ approvvisionamento del mondo tutto, il qual monopolio ha oltrepassato i li- miti del bisogno, e la molla perciò reagisce soprà di lui con tanta forza. Roma nel suo decadimento le proprie armi converse contro sè stessa , e tre secoli «di scelleraggini alla sua rovina la spinsero. Ma l’ età nostra dalla esperienza politica è troppo istrutta per lasciar andare a fuoco e fiamma uno stato, qual è l’ Inghilterra, per intestine discordie . ‘L’ aristocrazia ha davanti agli occhi tutto l’appa- rato degli espedienti da prendersi, e dei quali può far uso la sua politica. Voi mi domanderete in che consi- stano questi espedienti? Mi obietterete che quest’ ari- stocrazia si rivolge ad un popolo che ha omai dalle ri- voluzioni ottenuto tutto quello ch’elleno ai popoli fanno sperare , e quello che di rado gli danno ; ad un popolo, 154 che all’ordine sociale non ha più nulla da chiedere? quando pur non fosse la propria rovina? La questione si ristrigne e convien determinarla . Il popolo inglese chiede all’ aristocrazia plebea che gli renda il poter popolare, «di cui coll’andar del tempo ella si è impadronita . Questa domanda è necessaria- mente il preludio di un cambiamento d’ istituzione ; il di cui resultato, debb’ essere una|dissoluzione dell’ or- dine sociale ; poichè il nuovo poter popolare, non ver- rebbe istituito sennonchè per usurpar gli altri due . L'aristocrazia debb’ella a questo desiderio aderi-' re? Debb'ella opporvisi comprimendo colla forza il por polo che chiede la sua renunzia ? 0, dee romper la lega del popolo col dischiudere nuovi campi alla sua attivi- tà, ai suoi interessi ed alla sua immaginazione? Prima di rispondere a. simili domande, permettetemi, che 10 esamini il grado d'importanza che alla pretensione del popolo conviene accordare. Io porrò le sue forze a fronte di quelle contrarie per valutarne ia lotta ed i resulta- ti; e questo esame renderà assai più evidente la dichiara- zione degli espedienti politici dell’ aristocrazia. I proletarj ascendono a sette milioni ; due soli ne formano i proprietari; e se questi due corpi dovessero in una pianura incontrarsi, non sarebbe incerto l’ esito della mischia; ma per vie intricate assai. più si com- piono le rivoluzioni. Quei sette milioni di, proletarj non son riuniti nella lega offensiva ai membri della quale si è dato il nome di radicali. Non tutti provano quel grado di miseria che inasprisce il popolo; non tutti, e molto vi manca; hanno quel coraggio, che fà ‘ affrontare i pericoli di un. attacco contro l'ordine pub- blico; e parecchi di loro rispettano ancora, la morale elelle società. Innanzi a costoro stà la numerosa setta para e erult n TEA e e EA GT SO le sr Ted | \ 135 dei metodisti, i quali come discepoli di S. Paolo let- teralmente mettono in pratica quel passo, col quale c’in- giunge di star soggetti alle potestà. Si può dunque prevedere che una quantita di proletarj i men bisogno- si, i più morali ed i più codardi, unita ai metodisti sarà ben lungi dal radunarsi per l’ assalto, da cui 1’ or- dine sociale è minacciato. Io non credo di valutare troppo questa parte di proletarj facendola ascendere alla metà della loro totalità. I radicali dunque si ridurreb- bero a tre milioni e mezzo. , I proprietari son per lottare con questo numero; e senza dubbio ve ne sono abbastanza per turbar lo stato; ve n'è egli abbastanza per distruggerlo? Se que- sta moltitudime fosse mossa da un solo capo e sopra un piano medesimo, ell’avrebbe una forza indomabile, ma ancora non v'è questa unità, e nel prevenirla stà il segreto del governo. Affinchè venga fuori un capo bi- sogna che la moltitudine sia colpita da un fatto , che muova ad ira, come lo fu a Genova nell’anno 1743 ,0 da un fine chiaramente manifesto, che dimostri un utile immenso e sicuro. Ora la riforma parlamentaria che gli si offre per iscopo non è abbastanza evidente da ‘infiammare il popolo d’ira; imperocchè questo parla- mento riformato nulla potrebbe a pro suo , fuorchè an- nullar Je leggi, per lasciare in balia del partito vitto- rioso il bottino dell’Inghilterra. So benissimo, che voi temete che questa proposta sì faccia; ma ella non è probabile, perehè lo spoglia- mento non è mai il preludio ma sempre la conseguenza delle guerre civili: Un certo pudore trovasi anco negli atti i più ardimentosi edi più vituperevoli, il quale ha sempre costretto i capi del popolo a colorire con la giu- stizia i motivi, ch’eglino mostravano ai popoli per 186 muoverli a sedizione. L’ingiustizia vien più tardi, quando la guerra e le sue rappresaglie hanno irritato il furore dei partiti. Può darsi non pertanto, che in In- ghilterra si trovi un uomo audace abbastanza da of- frire al popolo lo spogliamento dei ricchi: è possibil cosa che questo popolo ne rimanga inebriato, ed ecco che allora tra l’ ordine sociale e la moltitudine più non sarebbevi altro arbitro che la forza . Se sì giungesse a tal segno, l'Inghilterra sarebbe divisa in due armate, una di due milioni , e l’altra di tre e mezzo. L'esempio della Francia in tal caso parrebbe che dovesse assicurare una buona riuscita al partito po- polare , e voi siete pieno di questa paura ; ma fuor di proposito si cita l’ esempio della Francia, perchè non v'è conformità alcuna tra la speranza e la forza del partito , che hanno condotto.a fine e che preparano la rivoluzione in questi due paesi. Io era in Francia nel 1789, e me ne stava a Versailles il di 13 di luglio , che fu la vigilia della presa della Bastiglia. Nessuno aveva. misurata la grandezza del pericolo, poichè nessun so- spettava neppure in che cosa questo pericolo consister potesse ; in Inghilterra al contrario le mosse ed il ter- mine ne sono già state calcolate . Il governo franeese era di tal natura, che niù- na connessione, avea coll’indole de’ popolari tumulti ; queste due diverse nature adunque, non avendo ar- mi eguali, nè scoprirsi nè combattersi potevano. ll go- verno di Francia nofì poteva nella sua causa prevaler- si che di un solo agente, cioè de’ suoi reggimenti ; e rimase privo di tutto dopo la loro sconfitta . Ma l’ aristocrazia inglese altro non è che una democrazia scelta , e come tale si governa ; partecipa della natura popolare, e può conoscerla a fondo, e con pari armi 184 combatterla. Le sorti dell’esito in questa lotta all’ a- ristocrazia tutte sarebbero favorevoli, lo che vi dee ri- confortare; poichè le forze popolari sarebbero sparse per l'isola, senz’alcuna disciplina, senza nulla posse- dere, onde sarebbe lor di mestieri il far l'assedio dello stato. | | L’aristocrazia all’ incontro allestirebbe le sue for- ze per mandarle nei luoghi minacciati; perchè que- ste sarebbero atte a muoversi facilmente, dimaniera- chè dovunque in maggior copia successivamente si tro- verebbero. Ella sosterrebbe 1’ assedio dello stato, ed in breve tempo gli assedianti metterebbe in rotta; im- perocchè la più leggera disamina ci chiarisce , che le forze, le quali può tenere apparecchiate la lega dei tre. poteri eccedono di gran lunga quelle dei suoi ne- mici, di ogni avere dello stato essendo composte. Ma una grande sventura son queste vittorie, e per non riportarle bisogna sfuggir la zuffa: quando si consideri che quest’ apprensione minacci uno stato, che ha già conseguito il più perfetto tra i politici statuti, la ne- cessità di prevenire queste catastrofi viemaggiormente sì storge. La via più spedita e sicura di riuscirvi sì è quella di sbigottire immnanzi il partito degli aggres- sori, con additargli le rovine alle quali va incontro, LETTERA VII. del 22 Novembre, Io vi ho dichiarato lo stato scambievole dei due partiti, che si contrastano | Inghilterra; vi ho addi- tati quei fatti che hanno dato cominciamento al loro rancore ,. hò enumerate le forze materiali e politiche, slelle quali ognun di loro poteva disporre, ho accen- 188 nate le conseguenze che la loro mischia poteva far nascere; ed ora torno ad esaminare le questioni da me proposte, perchè da questa disamina sorgeranno gli espedienti, che la politica del governo è per met- tere in pratica affine di prevenir questa mischia. L’ a- ristocrazia plebea debb'ella rendere al popolo il poter popolare dalle circostanze affidatogli? Debb? ella con le forze frenare il popolo, che vuol rapirglielo ? Deb- be ella romper la lega del popolo schiudendo muovi campi alla sua attività, ai suoi interessi. ed alla sua immaginazione ?., In questa lettera risponderò soltanto alla prima questione ? La risposta è dura ed io titubo a darla. È cosa inutile il render ora ai proletarj quel potere, che rappresentar doveva i loro interessi, perchè non ne hanno più alcuno: tutto quello ch’ essi posseggo- no, vale a dire le loro persone, le loro opere e le mercedi loro, è protetto dalle leggi, e intorno a que- sto nulla di più far potrebbero i loro deputati 1 qua- li non potrebbero nè render loro il lavoro del qua- le mancano ; pcichè nulla possono sull’ Europa che ne ricusa i prodotti, nè farli tornare in possesso’ di quei beni da loro alienati senza distruggere ciò che costituisce l’umana società. Il rendere al popolo il po- ter popolare o sarebbe inefficace per lui, 0 cagione- rebbe la total rovina dell'Inghilterra ; debbe perciò rigettarsi un tale espediente e come inutile e come pericoloso. i Ma v ha un’altra mira colla quale una riforma parlamentaria potrebbe diventar utile allo stato. L’ari-' stocrazia inglese è numerosa abbastanza per rappre- sentar da sè sola una nazione ch’è scelta, ma demo- eratica , e la forza del suo motore politico dipende dal 109 riunire questa corporazione il doppio carattere dell’ari- stocrazia e della democrazia . Il corpo: che nello stato la rappresenta non può dunque correre alcun rischio per la sua stabilità, perchè non rappresenta che interessi aristocratici , cioè interessi che non richieggono che la loro conservazione. Ma essendo egli democraticamente istituito , con la forza e con lo spirito . democratico di- fende quest’ interessi. Havvi dunque per il governo un vero vantaggio nel lasciar libero il campo al carattere democratico del poter popolare: poichè questo potere è unito, mercè de’ suoî interessi acquistati, in guisa che non può più correre alcun pericolo . La loro lega è in- dissolubile ;\e quindi è cosa dicevole per. ambedue il dare ‘a civado potere il maggiore impulso possibile , poichè questo impulso sarà il val schermo; L'Inghilterra. non dee dimenticarsi, che tutte queste parole , cioe. maggiorità e minorità, Wighs e Torys, ministero e opposizione , non hanno più signifi- cato ‘alcuno ; perchè nello stato accade qualche cosa idi maggior rilievo, qualche cosa che fà temere di voler inghiottire ad un tratto medesimo la maggiorità e la minorità,. i Torys e si Wighs, il: ministero e Vv opposizione . È d’ uopo afferrar tutti i i dubbj e rn tutte le forze , affinchè se ne possa conoscere il valore ; ‘avendo Biacit luogo tutto quel ch’ esisteva per lo Ulzio: ‘perchè coll’andar del tempo ‘ogni cosa ha fatto pro- ‘gressi. Il parlamento presente non condannerebbe più ‘gli Stuardi, perchè egli lia altri interessi ed altre cause «che lormuovono ; e si può quindi senza timore dargli «un. carattere più nazionale con. purgarlo dei deputati fittizj, de’ quali è ingombrato. Questo ingombro mi- nisteriale:non è più buonova nulla per il: governo, ‘il 190 quale ai guasti deputati dei borghi surrogherebbe un egual numero di deputati ; nè vi perderebbe la. mag- giorità , poichè i radicali gliene stanno mallevadori . Con questo soccorso verrebbe a corroborarsi la lega dei ire poteri; poichè la gara medesima sarebbegli utile, non potendo più avere altro scopo che la comun sàl- wezza del trono, del patriziato e dei proprietari . LETTERA VIIL Del 1 Dicembre, Prendo in questa lettera, ad esaminare la seconda questione, cioè : l’ aristocrazia debb' ella reprimere:con la forza il popolo che vuol distruggerla ? Lo non. cono- sco, che una sola specie di compressione di. cui si possa far conto; quella cioè degli spartani sopra gli iloti, e quella de’ bianchi su’ negri, vale a dire la com- pressione di un popolo armato sopra un popolo di sarmato, di un popolo libero sopra un popolo schiavo; perchè allora le forze fisiche guarantiscono le forze morali, e la popolazione armata, quando ell’ hasim- postate le sue sentinelle, può dormir con tutta la sua pace : ogni altro genere di compressione ami pate im- potente . Ù ega101 Io non credo che l'aristocrazia inglese possa .com- primere il popolo nel modo da me accennato, perchè i costumi e le forze glielo impediscono; ed ogni altra compressione lo moverebbe all’ira senza raftrenarlo je perciò mi pare che l’ aristocrazia debba limitarsi adres- ser forte per non esser compressa; cioè ella dee con- tenersi in modo da assicurare la sua legittima difesa, ehe si ottiene coll’ eseguir le leggi. che la guarantiscono, I9f e con l’ apparecchiare una forza atta ad assicurar que- sta esecuzione. Fin da gran tempo sono’ state fatte quelle leggi che fondarono, ed assicurano I’ ordine sociale che in Inghilterra presentemente. sussiste ; son «esse dunque state bastevoli a stabilire quel ch’ egli è, ed a mante- nerlo, ed hannoa ciascuno assegnato il posto e i di- ritti de’ quali dee far uso. In forza di queste leggi esiste l’ aristocrazia ) ed è dunque legittima la sua di- fesa, finchè si ristringe ad assicurar la esecuzione di quelle. Ma se quest’ aristocrazia usa jl. potere legislati- vo, del quale è investita, per fare a pro suo nuove leggi o per prendersi un privilegio’, o per giovarsi delle ‘eircostanze , la sua difesa non è più legittima, poichè sfi- gura il patto sociale e fà uso delle forze ch’ egli ha messe in sua balia per protegger nuovi diritti è nuovi istituti. Leggi tali fatte nel pericolo sarebbero impolitiche, poichè fornirebbero al popolo il pretesto che gli manca per accusare i suoi statuti. Sarebbe al contrario una bell’attitudine quella dell’ aristocrazia di rimanere im- passibile sotto lo schermo ‘delle leggi; e per essere a quelle stata ‘fedele, potrebbe allora invocarle in suo fa- vore , e con un severo del pari che terribile apparato ri- chiederne la esecuzione. È certo, che da lungo tempo esistono le leggi bastevoli a mantenere 1’ ordine. sociale, perchè appunto quest’ ordine ha avuto effetto e perchè in'‘ogni paese questa specie di leggi è sempre a farsi la:prima. I governi non'vanno maiin rovina per colpa di queste lessi, ma bensì per difetto. della forza poli- tica necessaria a farle eseguire. Ora questa forza in In- ghilterra non manca, che anzi al contrario vi soprab- bonda, e l’ aristocrazia, per esser la più forte, altro non ha da far che mostrarla . 192 Il governo fin quì ha fatto il rovescio di quanto vi ho esposto; egli ha chiesto leggi d’ eccezione; e ron ha mostrato le proprie forze; e questo è un fallo leggero perchè si può correggere . Le leggi di. circo- stanze; delle quali fin qui egli ha fatto la domanda; che equivale ad un conseguimento, non sfigurano la costituzione in un modo indelebile ; e se il male si ar- resta a questo punto si potrà porvi riparo..Ma si'è scordato il governo di attorniarsi di quelle forze che la legge mette nelle sue mani, mentre per adoprarle ei non ha tempo da perdere. Egli in fatti si è limitato a mettere in piedi dieci o dodicimila fanti, in vece di dugentomila volontavi, che stanno al suo comando . Ora «le milizie armandosi per la loro propria causa possono illustrare la vittoria c 0 la rotta nella zuffa che si va pre- parando . Il governo inglese ha due milioni di persone col- legate nella sua causa; e questa popolazione può age- volmente mettere in arme duegentomila volontari ;poi- chè questo numero'è appunto il dieci.per cento di essa. L’armata di linea gli servirà come ausiliaria, e questa forza nazionale imprimerà un gran carattere in quel partito che la spiegherà ; poichè non. sarà. materiale soltanto, ma bensì morale e politica ad un tempo mé» desimo. Non può andare in lungo la nuova formazione delle milizie nazionali; poichè se non la promoveril governo si allestirà da sè stessa, essendovi alcune cose che il senno produce senz’aver bisogno di veruno estraneo soccorso . ( sarà continuato. ) | Seaton Adettieeciteà snit ap Mi 4 F mins >) BELLE ARTI Dal giornale tedesco Uuiotmave: Al Signor ‘Pascora ScHoRN, compilatore del giornala tedesco intitolato KvnsrELATT. Firenze a dì. >. di Dicembre 1820. 2 L ‘esempio, che lello ha dallo i in Germania: mes diante la compilazione d’un giornale proprio del tutto alle belle arti; è «sommamente lodevole e degno d'essere imitato. Anzi io reputo siffatte opere neces» sarie. ,. perchè fanno conoscere. opportunamente al pubblico i lavori degli artisti, e trasmettono a’ posteri senza fallacia la presente storia delle belle arti. Onde tutti 1 leggitori debbono essere: a’ lei. gratissimi.; e noi in particolare le rendiamo grazie infinite , »stans techè possiamo adoperare, il suo. medesimo giornale in utilità degli ‘abitatori d’ Italia. Infatti appena ab- biamo saputo che il signor Pietro Vieusseux propos, nevasi di compilare anch'egli un giornale sotto. nome d’ Antologia, con che debbesi intendere una buona e.‘scelta raccolta di’ stranieri ‘discorsi trasportati nel nostro‘idioma: appena, dico ; abbiamo'ciò saputo; che, gli si è volentieri porto. soccorso ida molti letterati; ed in quanto ‘è a. me, ho subito preso per partito di tradurre le principali cose del suo tedesco giornale. Sic- chè d'ora innanzi avremo pure in Firenze un ragguaglio pronto: e sicuro ‘de’ più utili ragionamenti; chie si- fa- ranno oltramonti, e che ella avrà compilati o intorno alle belle arti, o intorno agli artisti. pe \ T. I Febbrajo |. 13 194 Ciò però non basta a compiere il desiderio de’ miei ‘concittadini, i quali richiedono che sieno altresì divul- gate con idonea ed onesta censura le opere de’ toscani artisti: non solo per dimostrare quello che essi ado- perano, ma eziandio per infiammarli corì giuste lodi a seguire la via che percorrono se'è buona; ed a raffrenarli con dolci avvertimenti e “coll esempio altrui, se mai tralignassero dalle qualità, giudicate ottime ; della scuola fiorentina. Ma questo uflizio non è sì facile, che alcuno possa bene adempirlo, se non è a un tempo e letterato ed artista. Impérciocchè avendo una sola di queste parti, potremmo nuocere agli artisti, male giudicando; o annoiare il lettore e difficultare l'intelligenza, male ordinando il discorso. Nè vale oppormi che il Vasari ‘ed il Cellini ottima- mente scrissero delle arti, benchè letterati non fos- sero; stantechè nacquero in que’ felici tempi, quando 1 modi del dire fondavansi al tutto nella semplice di della materna loquela: oltredichè non ignora- vano quella che chiamasi letteratura delle belle “arti; poichè l’uno e l’altro mon si ristrinsero al narrare ciò che essi operavano, ma ne diedero giudizio e ragioné , significando le maniere degli antichi, e paragonandole a quelle de’ moderni; onde ne conseguitarono utilissimi precetti da loro a noi trasmessi. Quindi non vale nè anche l'esempio del Lanzi, il quale essendo uoino let- terato, ed avendo cognizione sì, ma non esercizioidelle belle arti, compilò nondimeno una buona istoria della italiana pittura, poichè sappiamo che egli sovente rimet- tevasi agli artisti, i quali interrogava, e le cui opinioni con docile animo seguiva. Laonde non volendo i nostri artisti descrivere le opere loro, 0 per troppa modestia, o perchè non hanno ozio; e ripugnando i letterati ad 193 assumere un incarico, preponderante alle. forze loro: il desiderio de’ miei concittadini non sarebbe stato com- piuto, se ella, signore Schorn, non partecipava. nella medesima, brama, a fine di Pubiblicare le cose nostre nel suo giornale. fi + © Vedendo: io pertanto che, niuno Lilli alle sue premurose istanze; 10:che non sono nè letterato, nè artista; mi dispongo a secondare la di lei impresa e le voglie comuni. Che se il mostrare tanta presunzione mi apporterà!gran biasimo; sfuggirò almeno la vergo- gna di non aver servito alla patria. E questa sia la mia scusa: il modo mio d’operare sarà il seguente. Con'ami- chevole colloquio indagherò» l'animo saga artisti, per trarne iloro: veri concetti. Poi guarderò alle opere, e saranno ragionate e descritte con tale ordine e urbanità; quanto le facoltà mie concedono. Nè credo che'a lei sia per dispiacere, allorchè: imbattendomi in qualche! discorso relativo alle cose nostre ed inserito nel. :;suo: giornale, io vi faccia opportune considerazioni, 0 per lbrlifcare; o per oppugnare gli argomenti ivi dinotati. | Imperciocchè mi sembra che da vera'utilità de’giornali | consista: appunto nel dare occasione. a. ben disaminare i pensieri‘; raffermandoli o rimuovendoli. secondachè i; più degli scrittori vi consentono 0 si discordano. Ed inoltre , dappoichè ella avrà pubblicate in:Germania le notizie, di cui ci fà cortese domanda; insieme con quel discorso che le piacerà d’aggiungervi, io le tradurrò di nuovo per collocarle nell’ Antologia: talchè' nulla più non mancherà a questa opera; del Signor. Vieusseux , per rispetto alle belle arti; massime perchè egli ;non: "trascura nemmeno le altre sorgenti; da cui possa trarre quel bene che si desidera nelle spiagge dell’Arno. Non- dimeno abbiamo obbligo principalmente con lei; ché ha promosso tanto utile istituzione. ANTONIO BENCI, 196 Gallerie di quadri e' distatue in Germania.» Itre le antiche: Gallerie diVienna, di Dresda; di Casselia, di Brusvigo e di Sleisemia; edvoltre quel la di Stutgardia , che pertienesa/fratelli0'Boisserée e Bertram, ed in cui sono le migliori opere degli. antichi artisti d’Alemagna; tre nuove Gallerie sirsono; aperte. in Germania da brevissimo tempo, ; iii siluov è) “La prima è quella di: Darmestadia;; poco innanzi piccola 3 ed. ora sommamente accresciubtaya 0 La seconda è istituita ‘al presente in) Monaco dal Princibé ereditario: di Baviera: .. oispotl. ‘E;la terza è nata:in Berlino dopo Je ultiznè guer-. re. Imperocchè i francesi avevano tolte.via dalla» Reg=. gia prussiana molte cose preziose;.cheil Re presente, ha ricuperate. E queste non più disperse nel suò palaze., zo, ma tutte insieme ha voluto: egli riunire; aggiuns, gendovi i quadri e le statue comprate dalla famiglia. Giustiniani. Delle quali. cose sbiisziba noi fatto bla sì er indicare agli ‘artisti ove sieno ii Germania le opere, utili allo studio!; e sì perchè gl’italiani sappiano in che luogo hanno mandato le belle pitture degli avi nostri; privandone la patria. Infatti non solo per. l’addietro, ma oggi ancora; molti quadri nostri. ‘vendonsi, in Ale- magna: e due se ne trovano in Monaco, l’uno d’ Italia, l’altro credo di Spagna, nel seguente boilo descritti. Il primo, alto sei. piedi, e largo quattro piedi e mezzo; è di Francesco Francia. Vedesi una bella cam pagna, in mezzo della quale è Maria Vergine. con veste semplice ed azzurra, e conbiondi capelli avvolti e pen». denti in ricci. "Tiene essa ile mabi incrociate sul petto: A 197 ‘e tutta presa da amore e da devozione piega alquanto la testa e i ginocchi davanti al santo bambino ; che gia- ‘cendo sopra rosso tappeto tra l'erba e i fiori, in quell’ i- stante si sveglia. Ed appoggia questi il capo ad un guan- ‘ciale: ma gli occhi ‘pieni di celeste chiarezza guardano verso la madre, e pare le voglia raccontare cose divine , stantechè posando una mano sopra un arancio , eleva ‘L'altra al Gelo. Amendue sono chiusi e riparati da un can- cello di legno, intorno al quale fioriscono le rose, e sopra cui stanno due uccelletti senza timore. Lungi quindi il molle prato si distende , con un albero solo che è alto ma poco fronzuto. E quivi due uomini pascolano i loro cavalli; e più lungi sulla montagna è un villaggio con molte torri. Nella parte po anteriore del quadro , tra’ fiori € l'erbe, a’ piedi della Madonna , è scritto con lettere d’ oro FRANCIA AURI FEX Bonon. Il secondo quadro, con figure di naturale gran- dezza , è di Claudio Coello. Pietro ‘d’ Alcantara guida | un frate laico nel passaggio d’ un fiume. Hanno ‘amen> due grigio mantello. Precede il Santo con una stella sopra del capo. Egli tiene unì bastone leggermente nella sinistra mano , e colla destra accenna la sponda , guar- dando con devota fiducia il laico , che al di lui mantello s' afferra , e sopra il bastone irtelie S' appoggia per paura di sommergere. Ma acqua stessa gli porta, e non hanno Mssgno della barca che è suldavanti appresso la riva. E le nere nubi , che discorrono per l’aria , tur- bano la luce del giorno ; ma le due figure diventano per- 198 ciò più maestose, e dal ‘volto di san Pietrò si spande -placidissima er tituillità per tutto il quadro. Oltre questi ed altri quadri sono in Monaco le sta- tue ed i frammenti trovati nell’isola d’ Egina; il. cele- bre figlio della. Niobe comprato in Vienna; il famoso Fauno, la Musa colossale di Agelada, il Giasone che si lega i sandali , e l’ Eroe colossale , del palazzo Barberi- «ni; la celebre Medusa, la mirabile statua d’Alessandro, e le ottime Erme di Senocrate ; di Senofonte , di Mil- ziade , e di Socrate , del palato Bondanini; la Pallade colo ner della valle: Albani ; la bella Venere del palaz- zo Braschi ; le note Vaccarelle; e due vasi di opera del tutto greca ati in Rodi ed in Atene. Sicchè la Galleria di Monaco principiando ad es- sere così ragguardevole , è uopo descriverne eziandio l'edificio ; il quale si fabbrica tutto di nuovo , ed è in parte compiuto , a spese del Principe ereltagilo di Ba- viera , e co’ disegni del signor Klenze. Il Principe ha voluto chiamare GHiptoteca (1) que- sto nuovo tempio dedicato alle belle arti. E lo ha fatto inalzare in una libera piazza, quadrato al di fuori, e con un cortile interiore della medesima figura. Ha l'edificio un sol piano di mezzana altezza e di ordine ionico. Vi si entra per due porte, l’ una all’ al- tra opposte: ed ha la prima un prostilo di otto colonne ioniche ; e la seconda di quattro: essendo i prostili , i timpani, ed eziandio gli altri due lati esteriori e chiusi della fabbrica, adorni di nicchie con statue di bronzo collocate simmetricamente. Nuovo è altresì l'ordinamento delle stia im- perocchè l’ Architetto ha disegnato di porre le statue (1) cioè Galleria di sculture. 199 secondo i tempi; in cui si presuppongono scolpite. Il che meglio intenderemo facendo il giro della Gti- ptoteca . Entrando dunkyutl per la porta principale , e ‘dal vestibulo volgendo a sinistra, vediamo subito la prima stanza , che riceve il lume da un’ alta e semicircolare finestra , ed in cui son posti i monumenti egiziani. Quindi si passa al primo angolo dell’edificio, ov'è una sala rotonda simile al Panteon, illuminata anch’ es- sa da un’ apertura nel mezzo della volta. E qui debbo- no stare le più antiche opere della Grecia ; nelle quali si vede il principio dell’arte: quando non eran trovati ancora i mezzi idonei a ben' lavorare il marmo, e man- cando alle statue l’ espressione della vita . Da questa rotonda sala fino al secondo angolo del- l’ edificio sono quattro stanze , tutte a volta, e simil- mente illuminate come quella che si è vista accanto al vestibulo. La prima comprende sole le statue ritrovate nell’ isola d’ Egina , in cui si vede progredita l’ arte di lavorare il marmo, con diligente imitazione della bella natura, ma tuttavia senz'anima e senza spirito; essen- do le membra svelte e robuste, ed il volto privo di leggiadria . La seconda stanza rimembra quegli artisti, che precederono Fidia, o gli furono maestri. E qui vedi al- quanto della prima rozzezza nel lavorare il marmo: ima i volti suno inanimati , e l’arte assume il bello i- deale, sforzandosi di giungere alla sua perfezione. E la Musa colossale , che prima adornava il palazzo Barbe- rini in Roma, e che fu dal Winckelmann reputata. o- pera di Agelada , mostra qui adesso il più alto grado a cui salirono i sopradetti artisti, e serve come di pas-. saggio alla terza stanza. ‘500 . . Im questa finalmente, sì, trova, la ; Leucotea della villa Albani, ed il Fauno del..palazzo Barberini. Le quali statue insieme colle altre indicano la vera, perfe- zione della scultura : ben lavorato il. marmo, ben ordi- nate le proporzioni, ed assunta ormai quella espressiva bellezza che i:greci seppero prendere nelle più ..belle idee della natura . .. i at Quindi non è più luogo ad altre divisioni; e perciò la quarta stanza, che è nell’angolo, pertiene .a' me- desimi tempi del ‘bello stile; ed ha. la Medusa Bondani- ni, la Venere Braschi, ed il figlio della Niobe . Dopo ciò vengono: due sale, divise dal vestibulo della seconda facciata dell’ edifizio. Ed amendue son destinate-al Cornelius , affinchè le dipinga a fresco. Tantochè non poteva egli ricevere nè più onore dal suo Principe , nè più favore dalla fortuna; essendo le pit- ture sue tenute per idonei ornamenti. di due ampie stanze, ciascuna delle quali introduce a sale più piccos le ma piene di greche statue. Imperocchè seguitando il principiato cammino , troviamo: nel terzo angolo del- Y edificio le statue e i busti degli.\eroi e de’ personaggi illustri, come per esempio il Giasone del palazzo Bra- schi, e l’Alessandro del palazzo Bondanini. Perla qual cosa ha ben disegnato il Cornelius di mostrare. la sua valenzia , dipingendo nella prima ‘stanza la mitologia de’ gentili, cioè i regni di Giove , di Nettuno , e di Pluto , e nella seconda stanza i fatti e le tradizioni de- gli eroi. — vH Nel terzo lato dell’ edificio è la sopradetta stanza ; una lunga sala; e poi una rotonda simile del tutto a quella già indicata. La lunga sala pertiene a’ tempi del- la scultura greca in Roma; e comprende in particolare i ritratti, statue o teste, de’ romani personaggi. E. la ‘eo PR ST I O e. n a n tn. È 201 rotonda contiene i bronzi antichi, e le statue: di mar- amo.con vario colore. Le quali specie di. marmi si con giungono bene co’ bronzi , perchè amendue richiedono un Pr più luminoso che:non i marmi bianchi. s. »La:seguente ed ultima stanza, tra la rotonda ed . puinicipale vestibulo , è assegnata cr opere moder- ne, RA PE ac dell’ arte, OE ; “Notizie date da I. c. Serna intorno alla wa ui Fe- + derigo Kaiser, incisore e membro dell’ Accademia - di Vienna, il quale amogle in Ulma a dì. 38 di Febbraio 1779, e morì in PSA, a dì 3.di Feb- * braio 1819. BED Non tutti gli uomini ricevono dalla natura ani- îmo ‘ed ingegno , per acquistarsi fama e riputazione. Ma molti altresì nascono ottimamente disposti; e la fortuna impedisce il loro cammino. Nè sola la forluna, ‘che pure gli uomini stessi interpongonsi l’ umo a’ pro- gressi dell’ altro. Talchè se dovessi misurare gli elogii, io non saprei chi più li meritasse, o quei che ha com- piuto il viaggio, o quei che è stato sempre in sulla via, senza poter grungere alla meta per colpa altrui. E tale fu appunto Federigo Kaiser , il quale ‘era nato a dive- nir sommo incisore , ed ebbe la fortuna nemica in tatti gli accidenti. Onde concediamogli almeno la nostra benevolenza, mentre udiremo n racconto n sue sventure. (DIE “a Una tavola coperta di Lavena "DPE cui Federigo “divertivasi a far disegni, sasa a’genitori ed doh amici la sua Liclinaziogi verso le ir arti. Ed era questa in lui sì naturale , che. andando a scuola prefe- 202 riva il disegnar colla»penna allo studio de’ libri Tan- tochè l’aver acquistato facilità e leggiadria nello. seri vere, non fu effetto de'primi suoi studi, ma della buo» na lettura che fece dipoi, e delle. frequenti conversa- zioni con uomini dotti e spiritosi: quantunque per la prima sua negligenza gli mancò sempre la purgatezza dello stile. Noi però dobbiamo guardare a lùi; siccome artista, e non come scrittore; poichè non ha lasciato altro in questo genere , fuorchè lettere familiari a’pa» renti ed agli amici. Ed il suo principio. nell’ arte fu all’età di tredici anni dopo la morte del padre. Inco- raggito allora dagli amici , e protetto da qualche mece- nate, andò in Basilea per imparare l’ arte d’ incidere sotto Cristiano Mechel (1). i Questi godevasi d'una fama superiore ‘alla sua intelligenza e cognizione dell’ arte. Ed inoltre appariva sì leale e buono, che tutti in lui si confidavano senza sospetto. Onde la madre di Federigo partecipando in sì buona opinione , vinse tutti gli ostacoli opposti dalla sua povertà, e mandò il figlio appresso Cristiano. Ma le speranze in costui riposte, adempite non furono. E non vogliamo inferire che fosse sua la colpa; poichè non si potrebbe dare un retto giudizio se non interro- gando molti de’suoi scolari, per udire come erano istruiti x e trattati. Solamente è certo, che Federigo imparò a fare pessime incisioni con pessima maniera, e poi fu adoperato nelle comunissime stampe che si vendono al (1) Tra’ suoi protettori debbe connumerarsi ancora il Barone di Palma, benchè fosse morto l’anno innanzi in Chirchemia . E moltissimi altri, che studiarono nelle belle arti o nelle lettere o nelle scienze , benedicono tuttavia in Virtemberga questo loro be- nefattore ; il quale era ad essi largo delle sue ricchezze , e nascon- deva il dono con modestissimo contegno. 203 popolo ne’ mercati. Che se nell’officiza del Mechel (e questo nome le si conviene, non quello di scuola ) non ‘ fosse allora stato l’egregio Haldenwang; Federigo avreb» be perduto l’ opera, il tempo e l’arte. Egli doveva rimanere in Basilea otto anni, pagando moltissimo al suo maestro; ma consigliato forse dall’Haldenwang, ritornò alla patria dopo quattro anni; lasciando il Me- chel, come lo avevano prima di lui lasciato, e come dipoi:lo lasciarono molti suoi compagni. Se la sua famiglia avesse potuto mantenerlo, sareb- be andato Federigo in Stutgardia nella scuola del ce- lebre Muller. Ma non avendo i necessarii mezzi, fa costretto di scegliere un luogo ove potesse a un tempo istruirsi, e guadagnare la.vita. Sicchè andò in Vimaria nell’ ufficio o studio del Bertuch ; ove procacciandosi un vitto frugale, potè pure intendere alla scuola di disegno, che il Meyer ed il Kraus sopravvedevano.:E quivi ebbe «salutari consigli dal Bettiger, e fu acceso d’amore alle belle arti per opera del Goethe: imperciocchè la città era piccola, ma piena di gusto e di spirito. Onde colla sua diligenza adempi Federigo molte cose in Vimaria: molte tavole anatomiche nell’ opera del Loder, molte figure ne’ libri del Bertouch, più contorni id Sabina del Bettiger, e vignette e rami in molte altre composi- zioni; disegnandole talvolta da sè medesimo. Anzi ebbe «una volta animo di concorrere al premio, che l’acca- demia istituita e preseduta dal Goethe concedeva agli artisti; e disegnò un Polifemo, di cui fu solito poi mot- teggiare, rivolgendo lo scherzo contro sè medesimo. Ma benchè avesse in Vimaria aiuto e consiglio, onde fece qualche progresso , e ottenne la medaglia d’ar- gento che era premio agli abili ed a’ diligenti: nondi- meno accorgevasi quanto fosse tuttavia inferiore a'buoni n 2O% 4 ‘artisti. Sicchè avendò colla sua parsimonia fatto risparmii e cumulando ciò con quel denaro che la madre sua potè somministrargli, andò a Parigi Pas attendere solo allo istudio. io -- In questa città ebbe egli tutti i mezzi na imparare il disegno, non solo nell’accademia pubblica intitolata allora imperiale, come pure in un altra privata. Ed il suo primo lavoro fu il disegno d'un busto. Ma portandolo al maestro per aver il suo consiglio, questi gli rispose: vedo bene che non è la testa d’un cavallo. Il qual motteggio fu ben compreso da Federigo, e produsse ottimo effetto. Imperciocchè egli adoperò con tanta sollecitudine; che nel 18r1 ebbe anche in Parigi il premio della siede d’argentò: e ciò, che gli diede maggior soddisfazione, fu la testimonianza di Bervick, il quale affermava che egli sarebbe stato un egregio disegnatore, se lo avessero meglio istruito nelle prime sue scuole. Sotto la disciplina di questo grande artista incise Federigo più teste anti- che, le quali è uopo riguardare come le sue ‘migliori incisioni: ed aveva pure alquanto prima compiuta la stampa di Me/pomene incoronata da Calliope per la galleria di Firenze. Imoltre disegnò per sè medesimo varie pitture de’ grandi e antichi maestri, come per esempio Za bella giardiniera, il S. Giovanni , e la' Madonna del velo di Raffaello : l’ultima delle quali copiò con somma dili» genza, e voleva moltiplicarla per mezzo del bulino. E:co- ‘minciò altresì questo rame, ma gli fu di nuovo impedita. l’opera , sopravvenendogli il solito bisogno di guada- gnarsi il pane. Onde il suo destino fa veramente male augurato , e .nocque pure all’arte : poichè non è vana congettura il credere, che se egli avesse compiuto il sopradetto rame, avrebbe procurato agli altri una bella stampa, ed a sè medesimo un nome illustre. 205, «Ma, Ja fame. opponendosi alla fama; ed essendo F edleni igo amantissimo della,sua famiglia, sbbidi a’con» sigli, Lui fratello che lo chiamava in Napoli. Giunse qui- vinel 1811, e fu accolto amorosamente dal fratello, ma nel tempo stesso ebbe a combattere le sue e le fraterne sventure. Tutti que’ vantaggi che aveva, goduti in Pa rigi;, non poteva allora in nessun’altro luogo trovare: copia numerosa di pitture tolte a tutfe le nazioni, faci- lità di studiare, frequenza di. artisti, e conversazione d’uomini intelligenti: avendo. pur trovato in quella città. molti suoi compatriotti d’ Alemagna, l’architetto. Fischer, il celebre Muller, e. Geissler, ed. Ulmer, Dannecker.. Sicchè non è maraviglia , che molte di queste cose mancassero in Napoli, dappoichè manca». vano ovunque. Onde il Kaiser lasciò gli accademici studit;. e dava lezioni di disegno a’ forestieri ,, o incideva e coloriva più vedute di Napoli e delle vicine campagne, o ritraeva secondo l’uso del, Pinelli 1 modi e le costumanze del popolo napolitano. Egli intagliò pure ad acqua forte quindici rami, che il famoso € rispettabile paesista Cristofano Kniep aveva disegnati a penna, per ammaestrare i giovani nelle pitture di paese: e fu grave danno .l’essere stata. sì, bella opera interrotta , per causa delle politiche. vicende che ogni commercio impedivano da Napoliin Germania. Pe'quali accidenti ebbe altresì Federigo molte inquietudini e gravezze. Ma confortavasi discorrendo per le amene colline soprapposte a Napoli, quando non attendeva al lavoro; ed in questo tempo giovò eziandìo al signor Millin, letterato francese, incidendo molti rami ne’di lui scritti viaggi. | Quindi fu dopo cinque anni invitato dal fratello e dal Schlotterbeck , che ora pure è morto, a trasferirsi 206. in Vienna. Nella quale città fece ‘moltissime opere, ed era lodato anche da’ più severi critici, mediante la purità e nettezza del suo bulino: oltrechè le sue figure erano ben composte, avendo egli studiato l’amatomia in Parigi sotto l’ insegnamento di Salvage. Nè sono state le lodi sue rifiutate dopo la morte, perchè i suoi rami sono sempre richiesti in Parigi ed in Viennà. ‘ Quando' Federigo venne al mondo, non ebbe dalla natura ‘altri doni che un corpo debole; piccolo e difforme. E questi mali furono poi accresciuti dalla medesima natura, che mosse a lui nell'animo un'genio» contrario alle sue fisiche forze. Poichè adoperando nella incisione , gli era il respiro di continuo ristretto nella cavità del seno: onde la debolezza diventò \ma- lattia. Nè gli giovò un viaggio fatto ad Ulma per rivedere Famata sorella, e piangere sulla tomba della madre; stantechè ritornando a Vienna, poco dipoi morì. Ma non fu mai udito lamentarsi, nè ebbe le angoscie della morte. Suo fratello credeva che egli dormisse; quando era già. perito. a Chiunque conosceva Federigo ‘Kaiser, lo amava: Sempre lieto e compagnevole, di buona indole: e di schietti costumi, aveva egli animo capace di fermare le amicizie, e di sentire e seguitare tutto ciò che. fosse ottimo e bello. Onde i suoi amici ne hanno con ragione serbata la memoria; I. A. Kleim disegnando; e Joh, Passini incidendo il di lui ritratto. 4 i 207 Notizie scritte in Roma dal signore quawDT, a dì 15 ‘ di Gennaio 1820; intorno al ritratto originale della Fornarina di RAFFAELLO. U, quadro notissimo e celebre, ma sì mal ri- dotto che niuno goderne poteva, ha non è gran tempo ricuperata la sua prima bellezza per opera dell’egregio artista Pietro Palmaroli. Giò è la Fornarina di Raffaello nel palazzo Barberini. Essa vedevasi ricopiata in quasi tutte le gallerie di Roma, ma era coperta di vernice sì laida e bruna, che non pareva superar le sue stesse | Copie se non per rispetto al disegno. Onde invogliandosi il Principe Barberini a fare una ben congiunta galleria di tutti i quadri sparsi nel suo palazzo , gli venne pur desiderio di vedergli restaurati: sicchè tra le altre pit- ture diede anche la Fornarina a Pietro Palmaroli. E questi è così ben riuscito in quella difficile opera , che il quadro è ora più bello di quanto potevamo immagi- nare. Talchè non è opinione esagerata , allorche si af- ferma: aver questo un più bel colorito che non gli altri quadri dello stesso Raffaello ; ed.anche i. migliori di Tiziano. Ma non solo è migliorato in questa parte della dipintura, che ne son pur visibili adesso le belle forme, ed i chiari lineamenti. Ora si vede congiunta la vivacità del colore colla morbidezza delle membra; e da’grandi occhi fuori del volto traluce il calor vitale, che si dif- fonde nelle altre parti, tutte grandiose. Tanto è espres- siva, tanto è ben composta la bella immagine, che fà in chi la riguarda lo stesso effetto, come il levar del sole. E giù dalle spalle fin sotto al petto le cade una sottilissima veste , pari alle nuvole che portan la rugiada ; sicchè la Fornarina resta quasi ignuda con 208 voluttà inesprimibile, Forse! Raffaello ‘sorprese la don na sua in simile attitudine }; poichè vediamo lei solle- cita di stringere e sostenere. la cadente veste con a- mendue le mani. Ed infatti apparisce la figura sì vi- va e vera, che solo dalla natura si può ritrarre: e con tanto animo, spirito: e franchezza è dipinta È che al certo nacque nell’. animo £. Raffaello . quando. si sentì prendere. ed. ispirare dall’ Amore. Nè il.sona- tore di violino. che è nella galleria Sciarra, nè l'al: tro suo quadro della galleria di Firenze che pur dicesi la Fornarina ; quantunque sieno opere belle e perfet+ te, nondimeno:non superano il desctitto quadro nella vivacità; nel colorito ,. e nella maestrevole celerità ‘con cui è dipinto; la quale prestezza non era'in lui negligen- za; ma.proveniva dalla sicurtà acquistata nell’ arte, Quella donna, il cui. ritratto chiamasi Fornarina ib, Firenze, è l'immagine d’ una vita dolce ; molle e. fe+ lice: ma. questa rappresenta la natura vigorosa , gio- conda,.e lieta di vivere; ed è in somma la Fornarina di Raffaello. Ed ora veggendola noi nella sua prima bellezza ; mon: siamo più maravigliati che gli scolari di Raffaello spesse volte la copiassero. Tutti quelli dunque, che ‘all’ avvenire goderanno di sì bel quadro, sieno grati al sig: ibiza che: lo ha sl ben restau rato . I Cartoni di Raffaello in Hampton-Court.i. î die stampe di questi cartoni di Raffaello , ta Tommaso Holloway principiò nel 1800 , saranno in breve compiute . i Noi riceviamo questa notizia mediante la Storia 209 di Pyne delle regie residenze , in cui si racconta come fosse edificata la Galleria di Amtoncorte per opera di Cristofano Wren, e come vi fossero portati , copiati ed incisi i cartoni di Raffaello. Onde benchè si abbia di ciò notizia per mezzo di altre opere tedesche (1), non sarà credo inutile indicare come ne parli il Pyne; avendo Raffaello mostrato in que’ cartoni, quanto fosse l’ingegno suo regolare e sublime. 1 cartoni sono i seguenti: I. La morte d’Anania, atti degli apostoli V, I-II. II. Il mago Clima divenuto ceco , atti degli apo- stoli XIII, 6--10. DE III. Pietro e Paolo che guariscono uno stroppiato, atti degli apostoli III, 1--g. IV. La pesca miracolosa , evangelio di S. Luca VW, U-II. I V. Paolo e Barnaba in Listra, atti degli apostoli XIV, 11-18. VI. Paolo predicando in Atene, atti degli apo- stoli XVII, 15--34. i : I VII Cristo dando a Pietro l'ufficio dellechiavi , evangelio di S. Giovanni XIX, 15-19. ) Furono questi dipinti da Raffaello a tempera e | sopra carta, non lungo tempo innanzi la sua morte; e | servirono a disegno di que’ tappeti (2) che Leone X fece Mai) Si parla di questi cartoni di Raffaello nella Biografia di Raffaello che è un’ appendice alla settima sezione della seconda parte del Lessico generale delle belle arti , compilato dal Assi : nella storia del disegno del Fiorillo: nella terza parte de’ romani studii del. Fernovv : nel prospetto del basso Reno del Forster: e nell’ Inghilterra, Vallia, e Scozia del Goede. (2) Questi tappeti erano ventuno, e fino dall’ anno 1797 fu- Tono ogni anno esposti al pubblico ne’ portici del Vaticano durante I. I. Febbrajo 14 210 tessere in Fiandra nella città d’ Arrasse. Il Pyne con- gettura che dopo la morte di Raffaello e di Leone X non fosse dato il convenuto. stipendio a’tessitori fiam- minghi; per la qual cosa avranno essi ritenuto in pegno i suddetti cartoni. Quindi è verisimile, che i figli di Giacomo I, En- rico che ‘mori di anni diciannove, e Carlo che. fu poi Re d'Inghilterra, amendue protettori de’ letterati e degli artisti, e desiderosi sempre di raccogliere i qua- da , le statue ed ogni opera di belle arti: è verisimile, dico , che essi. comprassero i cartoni sopra mentovati per mezzo ‘del Rubens. E forse vi cooperò il Duca di Buckingham, amico e protettore del Rubens, e cono- scitore egli medesimo delle-belle arti. La compra de’cartoni si congettura fatta poco dopo il tempo, che Giacomo I. istituì una fabbrica di tap- peti in Morlachia per mezzo di Francesco Crane. E Francesco Gleyn che fu in essa collocato. per disegnar grottesche a’ tessitori, ebbe sotto il governo di Carlo I. l'ordine di sopravyvedere alle copie che allora si fecero di cinque de’ suddetti cartoni: le quali copie furono imolto celebrate. Sorsero poi le guerre civili , ed essendo tutte le cose di Giacomo I. e di Carlo I. disperse, anche i famosi cartoni sparirono. Solo dipoi, quando Guglielmo II. ascese al trono, furono quelli ritrovati in una camera del palazzo di 4 hitehall, dove negletti giacevano fin da’ tempi di Cromwell. Tape sappiamo che la festa del Corpus Domini. Quindi furono portati in Francia al | tempo della Repabblica. Ma essendo poi stati restituiti, si veg-. i gono ora collocati a guisa di quadri nelle stanze dello stesso | Vaticano. POL REN Dare PENTA IO, SG dr art Pr bei Pesg d S% 4 i ) 2II questo usurpatore gli fece comprare per trecento lire sterline nella vendita delle cose pertinenti a Garlo I ‘Ed erano entro cassette di sottilissime tavole, alcuni vdivisi in quattro, ed altri in cinque pezzi, secondo che i tessitori gli avevano adoperati per loro modello. La gloria di averli tratti dall’obblio si conviene per ‘avventura a Cristofano Wren, celebre fondatore della Chiesa di S. Paolo, e architetto di Guglielmo HI. Fu esso almeno che ampliò l'edificio di Amtoncorte ,. 0 che per meglio. dire istituì questa nuova Galleria ad espresso fine di collocarvi i ritrovati cartoni. . Nondimeno stettero essi ne’ recenti tempi e per più anni in Vinsore: ma sono stati alfine rimessi nella Galleria di Amtoncorte. Ed il Re fu tanto sollecito. di questo trasporto, che gli volle veder da, sè medesimo incassaré, per timore che guastati non fossero. Di che il Pyne parlando, soggiunge: niuno di que’ cartoni es- «sere stato tagliato per adornare le camereregie , siccome alcuni presupposero con erroneo giudizio. Le copie migliori de’ suddetti cartoni furono fatte da Giacomo Thori nhill, che morì nel 1754. Ei gli copiò di grandezza naturale , e poi gli ricopiò colla proporzione d’un quarto. Si conservano queste copie nel palazzo Sommerset Molti altri poi gl hanno ricopiati ; e Simone Grib- . belin francese gli disegnò e gl’ incise per la prima volta nel 1707. Ma i suoi rami, quantunque buoni a | erano piccoli e non giovavano allo studio. Quindi Andran, egregio incisore, si dispose a in- i. | tagliarli di nuovo Re rame; ma fu preso dalla morte — quando ne aveva incisi tre SA; la morte d’ Anania , | Paolo.e. Barnaba , ‘e Pietro (ai riceve le chiavi. Sicchè 1’ brogli tutti incisi con libero e maestrevole 212 stile ed in grandi proporzioni, benchè non tutti egual- mente corretti nell’ indole e nell’espressione delle figure, fu una gloria riserbata al celebre Niccola Dorigny . Ei stava in Roma nel 1711. Alcuni inglesi videro il suo bel rame della Trasfigurazione di Raffaello, e lo invita- rono ad andar con toto in Londra per bibita 1 suddetti cartoni. Ed egli accettando l'invito , ed essen- do protetto dalla regina Anna, assunse e compì l’ opera nel 1719. i Anche il Fitler incise i sette cartoni in piccoli rami. Ed ora finalmente li vedremo intagliati per opera di Holloway . In Inghilterra son pure altri cartoni di Raffaello. La visione di Ezechiele ed una sacra famiglia in Bro- ugtonia, nel palazzo dove altra volta dimorava il Duca di Montagu; una sacra famiglia nella villa del morto Duca di Beaufort; ed il mezzo, o la principale parte d’un cartone, che rappresenta la strage degl’ innocenti ; ap- presso Prince Hoare esq.; ed alcuni frammenti della medesima composizione appresso il ritrattista Lonsdale. A. B. GEOGRAFIA VIAGGI ro. Visa di SamveLe Kiecner, dal 1585 al 1589; inse- riti nel giornale tedesco Morgenblatt, N° 109, del mese di maggio 1820, e seguenti. —_— Mi — — Tutte le cose variano coll’ andare del tempo, ma più variabili sono le usanze e i modi‘del vivere, perchè 213 dipendono dalla volontà dell’ uomo: il quale ancorchè sia in ottima condizione , presto ne infastidisce ; e non osando sovvertire i fondamenti della sua fortuna cerca almeno di goderla con tutte quelle varietà che può ri- trovare o coll’ ingegno suo , o coll’ esempio d’ altrui. Quindi è utilissima la storia de’popoli antichi e moderni, stantechè ci ritrae le loro consuetudini, da poterle a noi medesimi applicare. Ma ciò non basta; imperocchè la storia guarda solamente all’universalità n costume, e rade volte entra ne’ particolari. Che se vogliamo co- noscere ancor questi, è uopo attendere alle tradizioni del volgo ed a’ racconti de’ viaggiatori, i quali invero somigliano all’ uomo giunto all’età senile, che riposa narrando volentieri e minutamente le obliate consue- ‘tudini. Giova dunque riferire alcuna parte del manoscritto lasciato agli eredi suoi da Samuele Kiechel, il quale na- cque in Ulma, e fu ammaestrato nella mercatura. Ma essendo ricco , ted invogliandosi a conoscere da sè mede- simo l'Europa » SÌ mise e stette in viaggio dal 1585 al 1589 . Egli navigò dapprima verso l’ Inghilterra, e giunto a Riccomondo vide la famosa Elisabetta. Chiunque di- | nanzi a lei passasse , uomini e donne inginocchiavansi e gridavano con mani alzate : Dio salvi la regina. Ed anche i Duchi e Pari del Regno con un piede a terra ‘inginocchiavansi, quando con lei parlavano : essendo ella circondata di lanzi, che vestivano di panno rosso , ed | avevano sopra il petto e da tergo rosoni ricamati d’oro; uomini maestosi , forti e sì grandi:che non era facile a vederne di consimile statura. Nè i regii palazzi manca- «vano di magnificenza e di lusso; ma quello solo era | pieno di belle e preziose supellettili , dove la Regina di 214 mano in mano abitava: che se ella partiva, ne levavano anche i parati , lasciando sole le mura . Quindi trovò nella città di Londra alcune case par- ticolari, in cui erano tre scalinate , l'una sopra l’ altra disposte . Colle quali parole lucani egli descrivere i teatri. E poichè non ne fece mai più menzione in tutto il suo viaggio , così è da congetturare : o che negli altri” paesi non fosse ancora un luogo destinato del tutto a re- citar le commedie, o che al nostro viaggiatore desse ma- raviglia il vedere i teatri di Londra in quel modo edi- ficati. Soggiunge poi, che virecitavano quasi tutti i gior- ni della settimana , benchè fossero proibite le comme- die nel venerdì e nel sabato: e che ogni sera guadagna- vano cinquanta o sessanta talleri ,, massime quando lo spettacolo era nuovo , perchè:facevano pagare il doppio . Intorno alla qual cosa noteremo , “che un grande amore alle mimiche rappresentazioni, ouna certa specie di com- medie , o i comici stessi, trasferironsi dall’ Inghilterra in Germania verso la fine del secolo decimosesto . Il che si deduce dalle vite degl’ istrioni inglesi compilate dal celebre Giovanni Valentino Andrea , e dalla cronica di Memminga scritta dal Schorer, ove si legge che in Sa/z- stadel pure avevano inglesi recitato. Il qual nome, an- corchè potessero darlo in genere a tuttii comici, dee nondimeno aver avuto origine da qualche sagradie che avrà recitato in Germania. Forse Samuele vide eziandio Schakspeare vettore in Londra ; cominciando questi allora a montare sulle sce- ne , per essere dipoi sommo maestro nell’ arte tragica. Ma TI di ciò non parla ; e movendo il tiscali dal palco scenico a quello del carnefice , racconta: non es- sere in Inghilterra alcun uomo deputato a far da boia: adempirsi guest” ufficio da’ macellari , niuno de’ quali 215 poteva ricusare quando ciò gli era ordinato : sedere il colpevole sopra una carretta colla. fune legata al collo. i ed alla forca : rimanere impiccato, levando via la car- È retta : e gli amici ed i conoscenti tirarlo allora per le È gambe, affinchè più presto morisse. Col quale racconto non termina per buona fortuna 3 il discorso dell’ Inghilterra : che anzi rallegra sè mede- | simoe noi, lodando le donne inglesi , belle di natura, | vaghe, giulive e leggiadre , senza imbellettarsi il volto, «o trasmutar la HP9n2:,. come facevano in Italia ed in altri. paesi. Ma però le biasima di poca eleganza nel ve- ‘stire (come le biasimiamo noi tuttora ), portando dr appi e panni magnifici, ma gravi e pesanti ; ed alcune indos- “sandosi pure tre vesti luna sopra dell’ altra. E item, egli dice nel suo linguaggio che somiglia a quello de’ notari: se alcun forestiero o nativo del paese entri in 0 una casa, perchè vi sia invitato a pranzo, o solo per vi | sita o per affari; allorquando la padrona, mar itata o fan- ciulla , ben venuto gli ha detto , ei può abbracciarla e ii. Che se mancasse a ada consuetudine , che è eziandio ne’ Paesi-bassi, lo accuserebbero di dappo- | caggine e rozzezza. ( Partitosi poi dall’ Inghilterra, ed approdando alle i rive olandesi , non vide intorno ad Anversa che “spopo- | lati villaggi e campagne al tutto deserte . I più degli di: agricoltori. discorrevano per la contrada armati , senza È pietà e mercede verso gli stranieri , da cui erano stati sì | lungamente appresi . Ed ogni Bale era inospitale » si LU Ki Dei di mentite . Imperocchè. allora io, si ribellavano a’ (I Re di. Spagna quelle sventurate provincie, coll’ animo I | risoluto di non mai più sottostare, e con forze piccole Loi sì >» ma formidabili per la loro unione e fermezza. Onde 216 Samuele accorgendosi. che la discordia non poten pre- sto comporsi , lasciò que’ luoghi dove non era nè sicurtà nè letizia , e passò nel Brabante) ‘Quivi loda le-donne siccome più eleganti nel vestire, ed usate a più dolce fa- vella , che non in Frisia, in Olanda, ein Zelandia: sog- giungendo pure che in dleversa gli uomini e le donne comnemente parlavano il francese, l'italiano, lo spagno- lo, e l olandese linguaggio . Dal Brabante ritornò Kiechel in Alemagna ; e dopo breve indugio movendosi verso la Scandinavia , giunse a Stragnasso mentre vi era la solita ed annua fiera. Ma le sue più importanti notizie riguardano a’ cavalli ivi’ posti in vendita ; dicendo essere forti e durevoli , perchè mon messi mai sotto la sella fin all’ età di cinque anni; e perchè adoperati soltanto nell’inverno a tirare la ve non potendosi cavalcare per que’ luoghi pieni d’acqua e di fango durante l’ estate . Giunto però a Stocolmia , di più cose discorre : far- si in quella città gli stivali di pelle di renna della Lap- ponia , e tanto più atti a riscaldare quanto più grande è il freddo, benchè non buoni contro I’ umido e la piog- gia : PA icarsi tuttavia le case senza comodità e senza ornamenti , dividendo appena l’ abitazione degli uomini da quella delle donne: esservi una gran barca da guer- ra, chiamata rack, e destinata contro i danesi, nella. quale avevano fuso alquanto bronzo tra le tavole interio- ri e l'esteriore parete , affinchè resistesse all’ urto delle artiglierie: e nel tempo de’ banchetti dovere ognuno porgere la mano a quello , cui dava il bicchiere ; e por- gerla a tutti i convitati se usciva dalla stanza o vi ritor- nava: il quale uso era eziandio nelle città marittime, in Danimarca , in Svezia, in Livonia, ed in Lituania. Del rimanente paragona la Svezia per rispetto al 217 popolo ed alle campagne colla Svizzera : le campagne montuose , abbondevoli d’ acqua , e fortificate dalla na- tura : il popolo industrioso , robusto, sano, rozzo, di lunghissima vita, grossolanamente vestendosi all’ antica Îmoda de’ franchi, parlando aspra favella, mantenendo molti animali , e facendo immense forme di cacio : tal- chè Samuele opima aver avuto gli svizzeri origine dalla Scandinavia, come narrano per tradizione le croniche svedesi . A ‘ Kiechel andò avanti nella Svezia fino alla città di Upsala . E tornando indietro passò la notte appresso un contadino , che secondo il solito, non aveva letti da dormire, ma possedeva un gran cucchiaio d’ argento . Trovò anzi che i principali contadini avevano cinquanta e più di questi ‘cucchiai grossolanamente lavorati e tenuti come un tesoro . E posciachè andando in Svezia, eragli stata più volte impedita la via dal fioccar della neve; così nel suo ritorno, che fu di marzo e d’ aprile , incontrò molti ‘ ostacoli per causa del dighiacciare. E più volte si espo- se a perder la vita, tentando di passare colla slitta il Baltico mon bene congelato . Sicchè dovendo aspettare più favorevole stagione, si accompagnò con alcuni ami- ci che andavano alla città di Colmaria. Ivi ebbe op- | portunità di vedere a mensa tutta la regale famiglia. In capo della tavola stava il Re con barba bionda e | bellissima, pendente fin sopra il petto . Alla destra se- deva Sigismondo suo figlio , e-poi coll’ ordine seguente la figlia del Re, ed il marito della sorella del Re Ma- gno colla sua moglie e col figlio, che era un bel giova- «metto di dodici a tredici anni. Quindi alla sinistra del monarca erano la regina e le due sorelle sue non ma- ritate , tutte e tre bellissime: tantochè la prima di essa 218 era pervenuta al talamo regio per via della sua gran bellezza , essendo figlia d’un cavalier provinciale . Nelle campagne di Smalandia e di Blechingia era- no le case dun sol piano, fatte con legno non piallato, e coperte con tronchi d’ alberi. Ogn’ intervallo tra que- sti alberi o travi era al di dentro delle stanze turato con. terra argillosa, o con sterco di vacca. È il tetto era coperto con quella stessa erba , di cui pascevano le pecore e le capre nell'estate, e con cui pur facevano i pavimenti delle stanze. Queste ricevevano la luce da una finestra di vetro o di pergamena, fatta presso al tetto, lunga e larga due braccia. E la porta era così bassa, che bisognava molto piegarsi a fine di entrare nella stanza; mentre la soglia era sì alta per impedire l uscita a’ piccoli animali domestici, che pareva di do- ver salire in una bottega, accavalciando lo sportello . La stanza conteneva una tavola lunga , quanto essa era larga; e nell’inverno serviva da cucina , da camera e da dispensa. La stufa era nel tempo stesso adoperata come se fosse un forno. Tre ore prima dell’ alba vi accendevano il fuoco , e per tutto il giorno lo mante- nevano sì ardente, bhe le donne, i fanciulli , ed i ser- vi stavano in camicia, mentre gli animali morivano spesso di freddo nelle vicine stalle. Presso la tavola era un letto pieno di foglie, in cui dormiva il contadino colla moglie: presso la stufa giacevano i figli adulti : ed i Wii fasciati di panno riposavano dentro una culla di scorze d’ albero, la quale pendeva da una fu- ne attaccata alle travi, e discosto due braccia da terra. Quindi sopra una panca coperta di foglie sì sdr: ralavano. i famigli : e se venivano ospiti forestieri, dovevano sta- re in terra, quando non fosse loro assegnata la tavola co- me paria letto. Delrimanente, i Dali , gli agnelli, i i 219 capretti, ed i porcelli, tutti nella medesima stanza al- loggiavano; facendo gli ultimi il covo loro nel mezzo. Sicchè ognuno può figurarsi che odore vi fosse; non uscendone mai gli animali, e non rinnovandosi l’aria che nell’aprire e chiudere la porta. Nè si domandi che gu- sto avessero le vivande, perchè toglievano affatto la volontà di mangiare. Tutti que’ contadini domandavano volentieri noci moscate, garofani, e zenzero; ma nulla appresso loro trovavasi per qualunque prezzo. Il loro bic- chiere consisteva d’una tazza o catinella di legno sì gros- solana e grande, che bisognava alzarla con amendue le mani . E le donne portavano addosso una camicia per ben tre mesi: onde è inutile dire quali fossero i loro costumi e la loro bellezza. Nella Scania però , dove la terra è fertile , gli uo- mini erano belli ed usati a migliori costumi. Venuta finalmente la buona stagione, Kiechel passò il Baltico, e andò in Pollonia. E nella città di Grodno vi- de il Re, che era ben fatto, robusto e grande della perso- na, cavalcare con regio fasto e con seguito di molti cava- lieri inverso la chiesa . Precedeva lo Scoto ; il quale era allora il celebre //iliby nativo di Scozia, che a- veva in tutti i paesi viaggiato: e pare che il suddetto nome si desse a’ maghi, agli astrologi , ed a’ fattucchie- W ri ; perchè l’astrologo dell’ Imperatore Federigo IL. chia- «mavasi appunto Michele Scoto. Ma è curioso quello che dipoi narrasi da Kiechel: cioè che nel dì seguente tutta l'abitazione dello Scoto fu presa da un sì forte incen- . dio, che niuno poteva accostarvisi per via .del caldo e del fumo. Eppure lo Scoto vi entrò passando s0poa del tetto , e soffogò e spense subito il fuoco senz’ acqua e senz’ aiuto alcuno. Il ‘che , soggiunge Samuele che | era presente, fu invero maraviglioso : ed anche a noi 220 avrecherebbe maraviglia , se non avessimo più e più volte visto ardere le scene con finto incendio ne’ teatri. Samuele si partì da Grodno in un calesse guidato da un tartaro. Con questi legni piccoli e stretti, a cui attaccano un solo cavallo, ed in cui va un sol uomo, si possono fare da otto fino a dieci miglia al giorno. Quello di Kiechel era lungo sette piedi, tantochè un’uo- mo vi si poteva stendere e sdraiare; ed aveva quattro rote ; fatte ciascuna di forte e pieghevole salcio :. ma non erano già queste rote, come le nostre, collocate in> sieme in un asse. Nè vi era ferro, nè chiodi, nè corde, nè cuoio; essendo il calesse fatto tutto di legname, e gli arnesi del cavallo di scorze d’ albero intrecciate l’una coll’ altra . } La Lituania ha molti alberi pieghevoli ; talchè gli abitatori montando sopra uno di essi, fannosi co” rami e colla scorza le scarpe, e gli arnesi. Le campagne abbondano di volatili salvatici e do» mestici, di capretti, di vitelli, e di animali da caccia ; le quali cose perciò hanno vilissimo prezzo. Solo il pesce scarseggia, massime in Vilna. E per rispelto. alle arti vi erano molte fabbriche di tedeschi, nativi i più di Slesia; i quali camosciavano gran quantità: di pelli d’alce e di capra: e poichè godevano di: sommi privilegi, così non insegnavano l’arte a verun pollacco, In tutto quel paese era libertà di religione. E da Vilna a Riga, distanza di quaranta a quarantadue miglia te- desche, non furono da Kiechel pagati se non quattro fiorini, col «patto pure che il tartaro si facesse da sè me- desio le spese sue e quelle del cavallo. In Riga fu Samuele testimone delle popolari. dedi zioni contro i Gesuiti. Questi erano da poco tempo in quella città, ed avevano già mosso tumulti , volendo | 3 221 riformare il calendario. Nè tale discordia era ancora composta , quando essi fecero con alcuni borgomastri un segreto trattato per acquistare al loro convento la chiesa metropolitana, pagando benisì trentaseimila tal- leri. Ma ciò fu per caso scoperto , ed il popolo si levò subito a furore contro chiunque ne fosse stato partecipe. Tantochè alcuni borgomastri caddero in poter della ple- be, non avendo avuto il tempo di fuggire: ed il Reg- gente delle pubbliche scuole, consapevole anch'esso del trattato , si riparò dentro un forno; ma essendogli nel salire caduta una pianella, fu da questa palesato a’ suoi persecutori , che il trassero pertanto fuori del na- scondiglio , e lo strascinarono al mercato, dove l’ avreb- bero co’ tormenti fatto morire, se non prometteva al popolo di manifestare ogni cosa. Quindi rimasero tutti l'uno verso l’altro ‘diffidenti: impedito sì il trattato, ma non spenti i fautori di esso, i quali avendo vo- glia e non animo da farlo adempire , e perciò tempo- reggiando, venivano chiamati vo/pori da:chi altrimenti pensava. E pare che le persone de’ Gesuiti fossero ri- spettate, poichè non si poteva loro attribuire a bia- simo il volersi procacciare autorità e possanza, come tutti gli uomini fanno quando gli altri consentono . E pare ‘altresi che il Re di Pollonia non approvasse la ‘sedizione, perchè ‘proteggeva i Gesuiti. Onde il popolo era tutto intento alla guardia della città, e niuno osa- va privarsi delle sue provvisioni di grano e di biade, quando Kiechel si parti da Riga. | ‘© Seguitando egli di vi laggiare per Estonia e Livonia, ‘ammirò in queste provincie la raccolta del lino; che ‘era ‘anche più bello che non in Lituania. Ma paiele i moscoviti avevano quivi guerreggiato , molti villaggi erano totalmente arsi e distrutti. Ed il compaguo di 222 Samuele affermava, che tre anni prima d’ allora aveva veduto tre e quattro donne attaccate all’aratro;, essen- do stati presi da’ soldati tutti gli animali non che-le vacche e i bovi. Tantochè in Dorpato pure, che in- nanzi era popolata e ragguardevole città , vedevarisi po- chi abitatori, e pochissime case intiere . In Plescovia non potevano altre nazioni mer- canteggiare fuorchè .l’ inglese e la tedesca. E poichè . in questa città ( che era allora in su’ confini del regno, appartenendo la Livonia agli svedesi ) erano i forestieri severamente interrogati; così Kiechel si annunziò col ‘titolo di mercante . Che se avesse detto la verità, cioè che viaggiava per suo piacere, l'avrebbero preso per una spia. Jmperciocchè quel popolo era rozzo e stu- pido ; e non allontanandosi mai molto dal suo paese mon credeva che gli altri venissero quivi per solo , desi- derio di vedere e conoscere la loro contrada e i loro co- stumi: onde non voleva ad essi questa facoltà concedere. Plescovia era la città più grande della Russia. do- po Mosca , ed anzi superava questa in grandezza , ma mon aveva buone fortificazioni; perchè un muro ed. un fosso la circondavano di verso terra, e dall’ altra parte solo il fiume di Velica era suo legga: Nondimeno Stefano Re di. Pollonia 1’ assediò icon sessantamila uo- mini senza poterla occupare, Il popolo fa più resistenza ‘nelle città e nelle fortezze che non in un campo di battaglia . Gli abitatori di Plasalinia erano ‘operosi b conten tavansi di poco, bevevano e mangiavano male, e reg- gevano alla fame ed alla sete più che le altre nazioni. Le chiese e le mura della città/erano fabbricate di pie- tra; ma le case tutte di legname, coperte con tavole, e male lavorate: essendo così faite quelle pure de’,no- # 223 bili e de’ ricchi, siccome pure il palazzo del Grau- duca di Mosca ; stantechè psesupponevano essere mal ‘sane e dannose le case di pietra. Non più di trenta risdalleri costava una casa, anche a’ più ricchi: bensì non la potevano salvare affatto nel caso che vi s° ap- prendesse il fuoco. | A niun forestiero e nemmeno a’ tedeschi non era lecito entrare nella città, neppur quando vi avessero | casa e bottega . Le loro abitazioni erano al di là del fiume , ed essi non potevano passeggiare e mercanteg- giare che sopra il ponte. Se alcuno però voleva an- dare a Mosca, gli concedevano allora l’ ingresso nella ‘città, perchè potesse prendere la licenza del governa- | tore, necessaria per fare il viaggio.: Ma Kiechel non 7 valle mettersi in quella via per causa dell’ inverno vicino ‘e della mancanza di denaro: oltrechè opinava, aver Visto ormai'assai terre deserte, e non esser utile un | muovo e lungo viaggio, di cencinquanta miglia tedesche È per vedere le sole due città di Neogarte e di Mosca . 1 " I ricchi usavano in Plescovia di farsi seppellire nelle chiese; ma la plebe che non poteva far questa spesa, aveva un cimiterio lungi un quarto d’ ora dalla città, in cui era cavata una fossa capace di qualche migliaia di cadaveri , e coperta solo di legname per ripararla ‘dalla pioggia. E quando essa era piena; la coprivano con ‘terra, e ne rompevano il tetto , cavandone un’ altra si- | mile accanto. Sicchè tutto qua luogo fortemente puz- zava. E Kiechel vide pure un ragazzo seduto nella bara ‘appresso un cadavere , mentre questo era portato al ci- | ©miterio ne’ giorni canicolari . (_.7 Il popolo era duro, grossolano , e senza educa- 8 zione ; non levandosi mai il cappello dinanzi a verun | personaggio. Vestiva però con pulizia, indossandosi lun- 224 ghe toghe di buon panno, all’ usanza quasi degli ar- meni. Talchè non v'era gran differenza dalle vesti de- gli uomini a quelle delle donne, siccome è in Turchia.' Maschi e femmine portavano stivali guarniti di ferro. Ogni donna andava per, le strade così coperta, che non le si vedevano altro che gli occhi ; essendo vergogna e vitupero il seguire un uso a quello contrario. E nelle case eziandio erano le camere delle donne separate da. quelle degli uomini. Ninna pera o mela vegetava intorno a Plesconia Ma vi piantavano e mangiavano molti cetrioli , con- sumandone sei ed anche otto in un sol pasto , perchè rinfrescano il sangue. Usavano altresì di bere fortis- sima acquavite , senza la quale avrebbero disprezzato il più ottimo pranzo . Le loro mercanzie consistevano di pelliccie di martora, di zibellino , di lince, di lupo e di volpe; di cera, lino, canapa, sego, e di pelli di bove , di capra, e d’alce. Colle quali cose i tedeschi scambiavano i loro panni, le Joro vesti di seta, e mol- te altre mercerie. E questo commercio era stato da poco tempo introdotto in Plescovia, facendosi prima in Narva. Pertanto Kiechel volle viaggiare eziandio verso questo ultimo luogo, e si accompagnò con un ufliciale svedese che andava a Revala. Ma giunto a mezza strada non potè proseguire, perchè | af ebbe si un ca- vallo, ma ad esso non glielo vollero dare, qualun- que prezzo offerisse. Onde accettò l'invito d’ un nobile di Livonia, che si trasferiva nel suo castello lungi tre miglia. Quivi era un letto solo, che occupava un pa- rente di quella famiglia. Ma subito che arrivò il pa- drone , gli fu ceduto il letto; ed il parente suo, e Kie-' chel dormirono sulla paglia. Per la solita cagione della ‘995 Suierta , tiittà'la campagna era desolata‘ ela Nobiltà im- poverita: nè osavano dicoltivarnuovamente, perchè sem- pre temevano assalti da” Moscoviti . Inoltre pochi giorni anzi l’arrivo di Kiechel erano state ini ua notte portate ‘via dal lupo sette pecore chie giacevana dentro il cortile ‘del castello. Ma il padrone credeva che gli fossero state rubbate , essendo il paese pieno di ladri: ovvero che glie- le avesse rapite un mago o una strega, delle quali era pure una gran moltitudine in quelle contrade secondo la sua opinione . Al che Kiechel soggiunge, che vi erano infatti molte persone , le quali facevano scorrerie soito la forma di lupo; e che perciò veri Zupi chiamavansi . Ma per conoscere quanto fosse ignota l’arte di asse- diar le fortezze , odasi il seguente racconto . La città di | Revala non aveva altro presidio che di cinquecento citta- dini senz’ alcuna gente straniera ; imperocchè i venti contrari avevano impedito il soccorso di munizioni e di soldati, che la città di Lubecca mandavale colle bar- che sue . Eppure il'Granduca Basilio non potè impadro- nirsene, benchè l’assediasse con cinquantamila soldati. Ei le fece intimare che s’ arrendesse : e prometteva di conservarle tutti gli antichi privilegii, quando subito ub- bidisse: e minacciava all'incontro di esterminarla ; se ri- cusasse ‘l'offerta. Ma i cittadini mandarono per. rispo- ‘sta una lettera che non conteneva alcuna parola; essen- “ovi sola la sopraccarta. E mentre il Granduca la dissi- gillava in mezzo de’ suoi Capitani, furono dalla Città spa- Tati i cannoni , e rotte le opere del nemico, ferendo altresì ed animazzando gran numero di soldati . Dopo la quale ingiuria diede Basilio più violenti assalti, e fece maggiori minaccie ; ma dovè alla fine ritirarsi senz’ alcun successo . E sì aveva tra le sue artiglierie un'cannone così grande 3 ‘che cinquecento uomini erano destinati a tirarlo . Il che T.-A Febbrajo 1 ‘226 dee pur farci congetturare , «che non sapevano far ‘uso nemmeno delle artiglierie iù Di Di quivi andò Kiechel per, acqua insino a Danzi- ca, e poi per terra si trasferì in Breslavia, dove trovò case di pietra, amene campa; ne, e due arsenali conce- duti dall’ Imperatore a questa città che era in su’ con- fini della Pollonia;. ‘Quindi passò perla Moravia , e giunse a Vienna, dove si marayigliò vedendo, nell’ ar- senale due galere destinate contro de turco , e sì grandi che mai non ne aveva vedute di simili navigare ne’ fiumi. Il Prater non era ancora terminato . Due o tre cantine. erano in più luoghi l’ una sopra dell’ altra. E pareva a Kiechel incommoda e strana consuetudine quella di cor- rere su e giù per le case, come per le strade pubbliche. Tl qual uso proveniva forse dalla frequenza del popolo e degli affari. Passando poi per la Stiria e la Carintia si trasferì a Venezia . Ed in questa città fu obbligato a mettersi nella comitiva d’ una Duchessa di Piemonte per, entrare nel palazzo ducale, ed a fingersi servo d’un altro signore per vedere, il tesoro della repubblica . 'Talchè eclecni il suo desiderio, gode di raccontare tuttociò che egli vide : ma la maggior parte della sua narrazione è inutile agl’ita- liani, di riguarda a cose troppo note, oche non Pra cambiato. Onde noi secondo il solito ripeteremo quelle sole parole, ;con cui egli ci rammenta le disusate consue- tudini. E tra queste scorgiamo che i veneziani attende- vano poco all’ arte di cuocere il pane; imperocchè Sa- muele trovò nell’arsenale ottanta tedeschi., i quali for- nivano le navi di biscotto . LL “quale uso;pare che fosse eziandio in Roma, dove i più dé fornai venivano d’Ale- magna . All’ que sapevano i veneziani fare il cri- stallo; e-fin d’allora lo lavoravano ottimamente in Mura- 227 . no. E sopra il lungo argine, che ripara la terra dal,mare , ed'in cui era l'antica fortezza, coltivavano zucche, ce- irioli, cocomeri e poponi . I nobili ed i consiglieri vestivano di nero ; e di nero panno coprivano anche le gondole , per ovviare alle gran- di spese di più splendido lusso . Le Donne uscivano di rado: e quelle di nobile stirpe solevano andare alla messa ed al vespro ne? soli giorni festivi e solenni. Ma, dice Kie- chel; erano persone molto lunghe ed alte , più alte che gli uomini, perchè alcune di loro portavano scarpe altis- sime ; tantochè dovevano camminando appoggiarsi ad una serva o ad una vecchia femmina. Le maritate ave- vano il viso sempre scoperto, ed il seno più che metà ignudo. Avvolgevano sopra la fronte i capelli, ripiegan- doli in sù a guisa di due corni. E maritate o fanciulle davano grandissima opera ad imbianchire i capelli: tal- chè per desiderio di diventar canute, esponevansi ogni mattina d’ estate al sole, durante più anni. Le dame portavano al collo un vezzo di perle, che appresso alcune valeva! più di mille fiorini ; ma le catene d’oro non si usavanò in Venezia . Le fanciulle andavano sempre co- perte x ancora in ‘chiesa : portavano cioè un sottile , bianco è'pulito velo, simile al crespo , che scendeva lor davanti finò ‘alla cîntola , ed'attraverso il quale potevano benissimo vedere'@ essere vedute. Le mevetrici non po- tevano andare in chiesa se non coperte di panno nero. Da Venezia si condusse Kiechel in Roma. Era Pa- pa Sisto V.; e faceva allora scavare gli obelischi , e ripa- tare l'antico acquedotto; supplendo a sì gravi spese con vendere alle case particolari ed a’ giardini l’acqua ch’ egli aveva raccolta nel palazzo di Diocleziano . Dipoi andò Samuele a Pozzuolo , e vide le anti- chità di Baia. Scese in quell’edificio che ha nome di 228 cento camerelle , tutte egniali e con 1 porte basse, come . sono al presente : ma egli non dubita d’ affermare ‘che fossero carceri destinate da Nerone contro i cristiani; benchè abbiano piuttosto l’ apparenza di cantine per ri- porvi il vino. Discorre poi d’ un bagno, in cui entrò per angustissimo sentiero, e nel quale ebbe a morire di trop- po eccessivo calore : ed io credo ciò fosse quel luogo, dove si presuppone essere stati 1 bagnio Ze stufe di Ne- rone; la cui sorgente, soggiunge Lie, era sì calda che edo I ‘mano senti dolore per molti giorni: ed anche ora produrrebbe il medesimo effetto , poichè met- tendovi un ovo, ne è subito cotto . La grotta del cane, la solfatara , la grotta di Poz- zuolo , e la tomba di Virgilio , sono pure da Kiechel de- scritte. Ma poca differenza è dalla sua narrazione allo stato presente di quelle antichità. Sicchè ci fermeremo nella grotta della sibilla , che allora, come. adesso dal volgo, si credeva essere situata lun go il lago d’ A.verno; ove è un cuniculo scavato nel tufo. A questo dunque, e non alla vera grotta sibillina , che alquanto più lungi è nell’antica città di Cuma, il mostro viaggiatore allu- de ; e narra che bisognava entrarvi per un, piccol foro, strisciando quasi sul suolo: dopo di che \arrivavasi ad ampio cuniculo, per passare di nuovo in'uno più stretto e basso, finchè non si vedessero (due ,stanze,; l’ una indicata come bagno , l’altra come soggiorno della. si- billa. Ed. in questo modo è tuttavia l’ interiore parte di quel cuniculo: ma niuno congettura che da quelle due stanze si partissero gli Oracoli, sembrando anzi fatte per commodità di scolare le acque: oltrechè tutte le colline intorno a Napoli sono piene di siffatti cuniculi, e questi ogni dì s’ accrescono per trarne il tufo idoneo a fabricar le case e gli altri edifizii . 229 Ma passata ‘oramai la grotta di Pozzuolo , giunge Kiechel in'Napoli. E finalmente udiamo dalla bocca sua lieti e piacevoli racconti . Era il tempo di Carnovale': ognuno divertivasi in quella Città sì florida: e nell’ ulti- mo! giorno innanzi la quaresima gittavasi per le vie dalle finestre aranci ‘ed ova , prima votate ; ‘e poi ripiene ‘d’- acque odorose | Nè mancavano lauti pranzi e feste nu-: ziali, poichè allora appunto sposavasi il figlio del Gover- matore, Duca di Terranova , con Geronima figlia del morto Vice-Re di Sicilia, Marco Antonio Colonna ; Il quale sposalizio fu celebrato in una sala amplissima del palazzo Colonna ; ove Samuele vide i convitati a mensa. Solo il Vice-Re sedeva in capo della tavola: e poi erano assise cento trentacinque donne, tutte belle, maestose, e sot di gioie preziose, di cele edi Dior ve- i. Ogni fivantbi fu posta in tavola a un tempo: bic- lai non se ne ‘vedevano , talchè era uopo chiederli per bere: e venendo alle frutta ed alle confetture , poi- chè erano già messe in ordine sotto la prima tavola, così levarono questa del tutto; e quelle comparvero. Nel giar- dino rappresentarono commedie, mascherate e farse . Non so però indurmi a credere ciò che egli dice intorno alla quaresima . Secondo la sua narrazione era il digiuno rigoroso in: Napoli più che altrove, perchè la città è sul mare , e il mare ha pochissimi pesci . La qual cosa è Vixdrigiidile: o bisogna almeno presigiposke che fosse impedita la pesca . > Quindi è pure strano. il suo racconto per rispetto a Troppia, col qual nome intendeva egli forse di significa- re un villaggio vicino alla. città e situato alle falde del monte di Somma, che ora chiamasi Zrocchia . Ivi abi- tava un facitor.di nasi. A chi ne aveva bisogno, faceva questo chirurgo una ferita nel braccio, e mutilando poi 230 il.resto del naso finchè non ne vedesse uscire sangueisano e fresco, lo legava strettamente sull’ apertura fatta nel braccio. Talchè restando il naso in quella situazione per venti e più giorni, traeva muova carne dal braccio, e ricomponevasi. Al che Samuele ,, che era uomo di buo na natura, aggiunge: Dio guardi ciascuno dal perdere il, naso ! E noi soggiungeremo , che quaranta anni prima, del viag gio di Kiechel aveva il' signor Tagliacozzi.in Bo- logna insegnato quell’ arte: che ne’ tempi moderni il si-; gnor Carpue in Inghilterra; il signor Grefe in Berlino, un chirurgo di Ménizet; ed init hanno voluto risarcire i nasì colla pelle del braccio ed ancor, della fronte: che in India stessa conoscono siffatto modo di. curare le ma- lattie del naso: ma che non pertanto non è cosa facile il. ricomporre un naso del tutto. Migliore al certo è la congettura del nostro Kiechel per rispetto alle artiglierie da lui vedute nel castello di. Santelmo. Questo aveva presidio spagnolo ; e sopra qualche cannone era l'insegna dell’ Elettore di Sassonia . Onde Samuele fu di parere che Carlo V. se ne fosse im- padronito nella guerra sua contro la lega di Smalcalda .. E così mediante la guerra si travasano le cose d'un po- polo in mano d’un altro senza buoni auspicii . L’ampia e preziosa galleria de’ quadri, de’ bronzi , de’ marmi, delle medaglie, de’ vasi, e di tante e tante mirabili antichità che ora si vedono in Napoli, a' tempi di Kiechel non esisteva. Onde egli ragiona solamente di qualche figura strana, come'‘per esempio d’ un agnello a due teste, d’un basilisco , e d’altri animali rarissimi, con che si ornavano le spezierie. E trovò pure in una ca- sa antiche medaglie, e statue di pietra, di metallo e di legno: ma non dice affatto se erano buone o cattive, e neppure che cosa significassero . 231 Quindi è altresì più breve il suo ragguaglio intorno alla Sicilia; ed alle ‘altre' isole fino a Costantinopoli . 1 Messina gli parve ‘ùna città antica e mal fabbrica: ta.Bensì ne loda /il'portò;in'cui erano molte galere, fregate, e feluche ‘cariche ‘di ‘seta, la quale proveniva dalla Siéilia:stessa ‘e dalle'Calabrie. In‘Siculi celebravasi la'festa di S. Guglielmo quivi seppellito : e' le finestre e le porte erano illuminate: e le strade furono tutta la notte piene di'‘chi andava» e veniva a’piedi, a‘cavallo e sull’asino, vestito ciascuno di bianca e lunga camicia , cioè di'cappa. Talchè sem- bra vanoa'Kiechel ritornate le feste del Carnovale. In Malta era poco grano e pochissimo vino; ma molto cotone. Ed a’cavalieri non rimaneva ozio nè spasso, perchè adoperavano il più del tempo appresso le loro amanti. Nel. Zante. era la campagna amena,, fertile e ab- bondante di vino, d’aranci, di limoni e di granati, ma scossa eziandio Pa frequenti terremoti. La lingua na- turale di quegli abitatori è il greco volgare. In Cerigo era opinione eta popolo, che ivi fosse la bella Elena sepolta. E giunto infine nella città di dsl. ben- chè vi si fermasse per un mese e mezzo, non potè mai vedere il sultano Murrado II; il quale temeva tanto le insidie del figliuolo suo primogenito, che non osava di uscire dal suo palazzo. Nondimeno ebbe Kiechel. facoltà» di vedér le moschee; imperciocchè i cristiani vi pote- vano entrare, facendo un regalo a’ custodi: ‘il che non st ottiene affatto negli altri paesi de’turchi, fuori di Costantinopoli. L’antico palazzo de’ Patriarchi era già da molto tempo quasi distrutto. Ondè il Sultano l'aveva fatto 232. spianare , per edificarvi una moschea in sonore di sè stes- so: e già i fondamenti erano. compiuti .. Ma i quattro superiori Bassà ricordarono a Murrado, che. egli. non po- teva seguire l’incominciata impresa; poichè. le leggi non; concedevano siffatto onore se non. a. quel, Sultano. che) avesse egli medesimo capitanato l’esercito, e; preso e, tolto. a’ nemici tanto territorio o denaro, che bastasse a mantenere i necessarii sacerdoti. Il prin incitamento , a procacciarsi nome e riputazione:sarebbe utile e buono, se riguardasse soltanto alla difesa della patria, e non, na danno, delle altre nazioni... lì Tu A Bf; >< SCIENZE MORALI E POLITICHE Lag gguaglio sullo stato attuale della ‘Grecia. } D Revue Exisyotopediqui] Mars 1820. © duca nazione, salita al più eminente grado di civiltà., quindi per le vicende inevitabili del tempo ca- duta in preda dell’ ignoranza ;. e di tutte; le calamità, che l’accompagnano, allorchè ella aspiri. alla sua prima grandezza , risvegliar dee nell’amico dell’uomo il più; caldo interesse, La Grecia dopo aver dato ai popoli tutti sì nelle prospere, che nelle avverse circostanze ammae-, stramenti i più, saggi, offre ancora ai di. nostri uno, spettacolo non indegno di chiamare a sè lo sguardo. del vero filosofo . Volgasi attento l’istruito osservatore alla Grecia, , ed ammiri al primo volger.d’ occhi con quanto corag-, 235 gio quasi pel'giro di quattro seeoli ella ha sofferto sotte un barbaro dispotismo, e soffre tuttora qualunque di-. sgrazia ;' senza tradire ciò ch’essa riguarda pet naziona- lej «ad onta che'i tiranni di lei. tatto promettano a quegli, che dell'amore di sua nazione spogliandosi ai soli lor sistemi si attenga ,.e riserbino i più vili tratta- menti i più terribili danni all’altro; che i loro inviti rifugge; le lor minaccie disprezza. Sì; la Grecia sotto quel giogo ferreo ha saputo mantenere inviolabile il suo carattere nazionale; ‘intenta sempre alla custodia di quest’unico: bene: che le rimane, condanna il figlio che l’abbandona. Quindi è che oggi la lingua ji costumi, le usanze in lei differiscon di poco da quelli, che i tur- chi trovarono occupandola . Godeva altra nazione prossima alla Grecia dei van- taggi del medesimo clima; eppure ella vide assai più sensibili. ed improvvisi cangiamenti nel suo interno in quanto:a ciò che riguarda in generale ai costumi, alla lingua e ‘allo spirito nazionale; trovansi fino molte altre nazioni, che non arrossirono dimenticare il loro nome per ricevere quello del nemico, di cui erano con- quista. Ma un greco? Non avvi per lui‘ingiuria più gra- . ve che l’appellarlo col nome: de’ suoi ‘conquistatori: e se i di lui costumi, i suoi usi una qualche alterazione soffrirono, lo che nel corso di trecento. settanta ‘anni era impossibile di evitare, ben minore fu almeno sovra essi l'influenza de’suoi tiranni ; di quella cui soggiacque- ro tutte le altre nazioni d’ Europa. Convien per altro distinguere. Parlando dei greci, alcuni viaggiatori intendono soltanto degli abitanti di tre | oquattro grandi città che' hanno percorse; ma io favello dell’intera popolazione, che in picciol numero è rimasta nelle città e nelle capitali, e Valtro maggiore ha quelle 234 abbandonato, generoso sdegnando di accomunare co’suoi. despoti l'abitazione ; ‘e schiyando. così la tirannide, Ii inn; giustizia, $i cuoprano di vergogna «que “pochi che,dege-. nerarono dai veriicittadini, e si mordan de labbra, quanei do meritamente sprezzati da que’ virtuosi sì Mn 17, essi;chiamati Greco-bastardi. ji 2«al ilo: To non: seguo già il parere del sig. Guis, che. dopo: i felici, tempi di Pericle e di Temistocle quasi tutto; ravvisa.bella Grecia intatto. e senza cangiamento. Ma, con ragione non scendo a credere alle relazioni del sig. "Fhorntonì ; che:recatosi direttamente a Cosiantmopoli;; cli là se me, partì per solo imbarcarsi alla volta di Londia.! Nè giustolè pureil rapporto del sig. Bartholdy, il quale. come egli stesso asserisce, non impiegò che soli due mesi, e mezzo. per fare il viaggio dell’ Arcipelago; tempo sì breve, che appena permette di conoscerne le isole prime cipali. A nulla giova quel tuono magistrale ‘e. positivoz» di cui egli fà uso, onde persuadere «di. ciò. che inel: suo; viaggio riferisce. E sebbene al primo dei nominati. viag- giatori io,non creda , nulladimeno è forza riflettere, che più degli.altri due avea motivo di parlare con:sicurezza; avendo egli nella Grecia fatto assai lunga dimora. Dall'al- tra parte'i signori De Choiseul-Goufher, Williams-Etony e quasi tutti coloro che mostrarono il lor favore verso» quella nazione , lungo tempo non solo vi occuparono, ma non mancavano pure dei mezzi per riuscire nella loro. intrapresa «con fortunato successo. Chi al contrario palesò differente opinione, parve il facesse privo. di osserva- zioni assai necessarie. Avvi chi accusò recentemente i greci di ghiottoneria , perchè forse cortesemente ricevuto da quegli ospiti ;.vide comparir,nella mensa ogni sorta di frutte , di che il paese abbonda, e che sotto. il freddo clima; dove quell’ingrato viaggiatore vantava la sua 235 patria, appena a caro, prezzò, potevano, gustarsi. Non sapea costui; o se il seppe volle mostrar dilobliarlo; es-, servi stato chi diresse il corso alle greche contrade. solo per bere la famosa acqua d’Eurota, ossivvero per cibarsi dei fichi di Atene, o per addolcirsi la gola del miele d’Imetto» Il moderno parlare dei greci fu uno da principali motivi, perchè alcuno li schernisse; chiamando bar- baro il loro linguaggio , e più deridendoli , a proporzione , che meno conoscea quella, lingua. Prova ne .sia che tanti altri .in ciò versatissimi non hanno risparmiato alla Grecia gli elogi. Questo però non rechi ubsipore: 1 sedicenti scien- ziati, i pedanti orgogliosi vi furon sempre; e per disgra- zia del secolo XIX una tal peste si è d’assai dilatata; e talora qualche timido sotto i loro artigli apparentemente terribili vittima rimane. Coloro privi dilumi, ignari delle lingue, ma ricchi per bizzarra fortuna, non sanno che per. viaggiare con frutto, e molto più per far le critiche delle nazioni; è necessario intendere a perfezione le loro favelle. E questo è poco. Fuvvi chi stolto giudicò della lingua dei greci. dal dialetto, che parlasi in uno;0 più paesi da lui visitati. La lingua greca non solo pura si mantenne, allorchè la latina andava a perdersi, ma oggi ancora ad onta delle rivoluzioni: sofferte per volere:d’ ingrato | destino, si è conservata nel suo primo essere ; 0 sì poco ha cangiato, che molti ellenisti, senza. lo suda del greco antico, lo intendono a: perfezione. Tanto è nota- bile la simiglianza di lei colla:sua madre-lingua ! Pensòalcunletterato che'in oggi i greci i parlassero un nuovo dialetto. La sua Opinione però: non. è. esatta ,. ed è facile il comprendere che egli cadde in tal’ er- rore, perchè la piccola differenza che passa fra la mo- 236. derna e l'antica lingua: dei greci quasi non: permette di credere che quella sia sala di Mafia; ma. che.sia. la stessa. Quella lingua fodienii acquistò. dalla sua gna 1-4 {si conceda pur di chiamarla così ) un ricco patrimonio, di flessibilità , che facile le rende il riunire più, voci in, una, il trarne derivazioni felici, il comporre dei termini maloni Non è dolce, è vero, al pari della italiana ; ella è però men/dura delléi altre lingue moderne; rioni cal meritamente ‘gode di essere a qpelle preferita nell’ar- monia : È nella costruzione dei periodi: facile, variante, e assai più bella sarebbe, se avesse in sè una maniera, più» determinata ; e scrittori celebri che la innalzassero al grado di perfezione: Puossi per altro con franchezza. asserire che il primo degli accennati due difetti fra tutte le lingue che oggi si parlano, se si eccettua la francese, più o meno s'incontra. La stessa lingua ita- liana ; la prima coltivata dopo che le lettere, ebbero vita, non ha per ‘anche delle regole certe. sul. colloca- mento, e sulla scelta delle parole nella prosa. 1 soli francesi: hanno nel loro parlare dei principj costanti, invariabili: e quando alcuni stranieri ardiscono d’im- putar ciò ad. essi. come un’inconveniente,, confermano in tal modo che la lingua francese è a questo riguardo superiore a tutte le altre lingue viventi. I greci dopo aver saputo conservare in mezzo a’suoi feroci despoti la loro unità sì nei costumi, che negli usi e nella lingua, non cessaroù giammai di tendere. a quella libertà , che la natura ha impresso nel cuore del- l’uomo qual cosa necessaria alla sua felicita. I. maniotti e gli sfaciotti;. sebben circondati da tanti nemici fidati alle loro montagne , conservano da lungo tempo la indi- pendenza; e sì eroico esempio in mezzo a guerre conti» ge 237 nue, pel corso di un secolo e più seguirono gli abi- tanti di Sanli,'e con tanto valore, e con tanti sforzi vi riuscirono, che quasi ci sembrano le alte opere loro fa- volose. E se 1’ Imghilterra im ciò contraria aisuoi principj liberali non avesse ceduta l'isola di s. Mauro al.suo al- leato Ali-Pacha, i parganiotti in poche glebe ristretti la loro libertà non sosterrebbero ancora?, Veggansi, e si ammirino , le intiere colonie greche abbandonar sovente le loro belle pianure , e ritirarsi fra spelonche inaccessi- bili, da cui sboccano talora per fare contro i nemici delle scorrerie di giusta vendetta . Nè fu solo il britanno che rise del sagrifizio dei greci. La Russia nel :1770 fingendo di secondare gli abitatori del Peloponneso; essi concordi a riconquistare la prisca indipendenza; con più ordine e ad un grido genérale si ammutinarono, ma traditi nel.punto che at- tendeano soccorsi; dovettero soccombere soito il nume- ro de’ soldati, chel Asia:e l'Europa al! turco soggette fecero! sulla Grecia piombare. Più periglioso: fu. ancora il loro movimento nel»1808.;La! Tessaglia, e .le pro- vincie limitrofe; oltre modo oppresse dalle crudeli ves- sazioni d’ Ali-Pacha; conto! di esso si sollevarono. Co- stui che quasi l’ antica Grecia intiera dominava, videsi stretto nella sola provincia dell’ Epiro . Il turco .mal- trattato non meno dei greci da quel. Pacha d’ Albania ne restò sodisfatto ,, non senza però: stupire a tale im- provvisa rivoluzione. Dal mezzogiorno della Macedonia fino alle attiche. frontiere, per così dire, que’popoli furo- no per venti giorni sottoposti al greci... Chi il \cre- derebbe? All’infelice tutto riesce fatale! L’inondazione ‘del fiume Penéo, cagionata dalle continue dirotte piog- gie cadute nella primavera di quell’anno, impedì alle truppe non poche dei sollevati di restituirsi, conforme 238 al concertato; al quartier generale; ed'uno allora dei capi dell’impresa, sia per timore sia pervaltra causa; la- sciò libero il passaggio fra 1’ Epiro. e la Tessaglia; che a lui ‘era stato affidato : ed: ecco il figlio di Ali-Pacha di notte tempo; ‘valicate le montagne di Pindo, alla testa del fiore dei soldati ‘albanesi ,‘incontrarsi in trecento ico- ‘’raggiosi ‘sreci; che sebbene tutti poi spenti l’un sopra l’ altro ‘intorno al corpo del loro generale , fecero in quella ostinata battaglia cadere metà della numerosa ‘armata ‘nemica. È RRNITTI SINATI Passo sotto silenzio altri tentativi dei greci; molto più che essi ormai più nè agl' inutili sforzi nè al valore sprovvisto di mezzi affidano le loro speranze , e dai lumi: solamente , e dalle scienze si ripromettono mi- ‘gliorata la loro PARBOIA, Da un mezzo secolo in poi) ed oggi anche più vivo sentono questo bisogno, ‘e già ‘per trovarne sollievo dalle: loro terre native si recano ‘mei nostri continenti, dedicandosi col. massimo calore ‘agli studiiv Parigi non ne contava un tempo. più di ‘otto ne suoi licei; e da cinque'anni a quest’ epoca hav- ‘vene ‘ più di sessanta Trovasene un numero ;conside- rrabile nelle università dell’ ‘Alemagna e dell’Italia;.«ed in special modo in quella di Pisa in Toscana, dove;più ‘che'altrove li richiama la presenza: dell’arcivescovo Igna- ‘210; prelato che merita dalla chiesa, e dalla Grecia ;sua ‘patria, per la purità de’ suoi principj religiosi e politici da lui spesse volte praticati; rispetto e venerazione . Preferiscono i greci d’ordinario Parigi onde perfe zionare'i loro studj, non già perchè altrove ciò far non potessero; ma perchè forse in quella gran capitale più favore'incontrano ; talchè appunto essi.stimano più delle altre la mazione francese per i suoi sentimenti di fi- ‘lantropia , sentimenti che il sig. (Coray ; ricevuto colà 239 cor gentili maniere, si studiò di risvegliare«nell’ animo . de'suoi compatriotti, infondendo nelle loro.menti.l’amo- re alle lettere, alle scienze ‘e alla civiltà, primi fon- damenti della prosperità dei popoli. Nè guari andò che i. giovani suoi concittadini mudriti hellad lettura: degli antichi sommi scrittori lorò nazionali, seppero appro- fittarsene sempre più raffinandosi nella ‘società; ed il sig. Coray ebbe il piacere. di veder coronati i suoi voti da un lieto successo. E° questi quel rispettabile vec- chio, da cui i greci riconoscono ‘il. principio del loro Sinai è questi quel vecchio apprezzato dai saggi d’ Europa, non solo per Ja sua dottrina, ma per l'attac- camento alla sua patria, costante per anni venticinque , nei quali non cessò di scrivere tutto quello che a lei vantaggioso era ; è questi quel vecchio ; cui sublime scalpello prepara in Roma una statua, monumento pe- renne delle sue virtuose operazioni. Ottenne il sig. Co- ray in Francia, seconda sua patria; la più sincera ac- coglienza ; ottenne dall’ instituto 1’ onore del prenrio decennale per i suoi lavori sovra Ippocrate ; ‘ottenne di essere dal governo francese eletto a concorrere al mo- numento , che voleasi erigere all’ antica geografia'; ot- tenne ..;...e che 4 Pt Nulla potè fargli ‘dimenti- care la sua’ nazione ; [che vedea gemere sotto la grave soma delle sciagure: e nel tempo in cui sapea mostrarsi grato a chi lo leumofineiici perchè questi in uno stato floridissimo , alla sua Grebia consacrava per lo più i suoi grandi fan: 3 le sue preziose, vigilie. Lo stato. mora- le e politico, l'educazione, la letteratura nazionale , il modo di trar vantaggio dallo studio' delle -lettere e spe- _zialmente dalle greche, e i mezzi di far rinascere la let- teratura. e la politica; tutto fu da lui preveduto e com- preso nelle sue opere, di cui la più bella e migliore 240 è quella che:si conosce sotto il madesto: vasto di Migio sioni CSIEIPIOTNICE = I greci nel tributare la loro riconoscenza alla Fran- cia per avere in lei trovate e prime: basi del ‘loro ri nalzamento , basi che'furono gettate dal Sig. Coray'; non credono, già di avvilirsi; lo che prova distinguersi il francese nella filantropia ;(e ‘nulla potere i greci soli intraprendere per sollevarsi dallo stato di decadenza in cui sono. Al.che si aggiunge, e qui si renda omaggio alla verità ; che il governo francese ha sempre verso 1 greci con lealtà proceduto, superiore in ciò ad altri ga- binetti, che fecero tutti gli ‘sforzi presso la. corte di Costantinopoli, onde spargereed. accrescere a dismisura l'odio alla Grecia. Uno fra questi consigliò alla Porta di privare i greci dei possessi tutti, e di ridurli semplici co- loni;:di proibir loro l’ esercizio di qualunque arte, e di distruggere affatto ,.e sù questo particolarmente shinsi- steva, la loro marina e il loro commercio. Per-buona sorte questo maligno consiglio fu riguardato assolutamente impraticabile. Vedea Na Porta che avrebbe dimimuite d’assai le sue finanze, annientando l'industria ‘ed il commercio,de’ suoi stili , dei quali l’ attività: inde- fessa i tesori.di lei arricchisce; oltre di che paventava di ridurre alla disperazione qui popolo , che per quat- tro secoli , in mezzo alle calamità ; mon era stato:pos- - sibile di abbattere, e di.cui una gran parte continua pur sempre a sostenersi ostilmente libera nelle mon- tagne e nelle spelonche , con tanto pregiudizio di chi la governa < Distruggere la marina dei greci? .. . 0. Insa- no consiglio !. E chi dirige la' flotta turca, se ‘non dei .greci? Alcuno dei nominati viaggiatori egoisti. consigliò pure lo stesso a molti Pacha delle provincie greche. Essi 241 erò non vi attesero , rigettando tali consigli quai sordidi | avvisi di cristiani, da essi per raz3@ di cani infedeli riputati. Now vi fu che il solo Ali-Pacha} uomo per le sue crudeltà: famoso , mastro nell’arte di tiranno;! che traesse partito da questo machiavellismo. E quantunque non in tutto abbracciasse il sistema propostogli modifi- candòne in parte il rigore secondo l'esperienza, pure non riuscì ne suoi imiqui progetti. L'Europa tutta ebbe dalla Grecia lumi} scienze e politica; ebbe la sua, feli- cità, essendosi nella Francia, nell’ Italia, nelle Spagne “stabilite da prima; volta le ‘sue colunie ; vin: seguito delle conquiste dell’eroe macedone sul restoi del mondo, co- nosciuto ;'ed'essendosi la seconda voltaii:di lei. sapieuti rifugiati in questi luoghi dopo la presa di Costantinopo- li. Eppure! Ecco la riconoscenza che verso. greci dimo- strano questi ingrati. europei; ecco la ricompensa che danno‘a quegl illustri antichi maestri! — A che frena» té;»0 ‘genti ‘greche, le vostre. vendette contro costoro, che temerari si recano ad ammirare: i bei monumenti, | che.ancora'esistono fia voi. Si vergognino,; si asconda- | | | | 11 ve no; ie scenda suloro l’ universale disprezzo de’ buoni. Non' deggio ommettere nelifine di'questo mio: rag- guaglio di encomiare la liberalità, con la quale i ricchi della Grecia 'coneorroito a favorire nella loro patria il ri- sorgimento delle scienze, e delle lettere, somministran- do i mezzi necessari alla erezione degli stabilimenti, da cui si partono e si spargono i lumi; senza parlare delle scuole di Sidonia , di Costantinopoli , di Smirne, di Scio, ec. già da qualche anno fondate coll’oro di alcuni parti colari. Veggonsi tanti giovani di acuto ingegno partiti ultimamente dall’ isole ioniche per visitare le università dell’ Europa a spese della repubblica, per quindi rim- patriare, onde degnamente cuoprire le cattedre di profes- T. 1. Febbrajo 16 242 sore nelle loro nascenti università. Ne siano testimoni la università di Gottinga, quelle d’Inghilterra, di Fran- cia; d’ Italia; testimione ne sia Lord:Guilford, soprin+ tendente agli studj dei greci; che destinò ‘a que’ giovani i luoghi, donde attingere le necessarie istruzioni. Esem: pio in fine di liberalità è il cantone di Zagori in Epiro, dove da\qualche: mese ; per formare una scuola solè sei persone hanno coff ‘spontaneamente la vilpotailida somma di dugento mila piastre ; nè differiscono da que- sto generoso sentimerito gli abitanti. delle altre città, che più o meno; a tenore delle loro forze, promettono e sòm- ‘ministrano per tale, scopo considerabili somme..i uu i 0 E seri tanti;loro sforzi non hanno condotto; greci ad'‘eguagliare ilpaesi da lungo tempo giunti alla civiltà, mondimeno essi palesano anche sotto'il più crudo dispo- tismo una emulazione ; ed uno zelo quasi straordinariòg e già non v'è chi possa impugnare aver'eglino abbastan- za finora ottenuto: superando il maggiore degli ostacoli, quello di scuotere gli;assonnati, edi. spingerli al seto ‘tiero della gloria . Il predire ciò che avverrà di questa nazione! è impossibile all'uomo; ma l’amico dell’uomo ‘godrà nel mi are! i forbunati sintomi che ‘presenta la Gre- ‘cia una volta sì bella sì celebre; e-che sino;ai dì nostri “inutilmente ha adoperato, per avere: un liberatore) ;.11,) a ANIA lat : rasoi \ ìi ;jjsl lio! NI ) O [9 fO@ isfibl'i octostaga ‘ie 9 ofiofti: ia no nisi i | 253 ‘SCIENZE MORALI e POLITICHE STORIA ALI HISSAS DI TEPELENI Bassà di Jannina . Prospetto storico e politico del sig. MaLtE Brux . 4 die uando le: nazioni e gl’imperi s' incamminano alla loro dissoluzione, non è cosa rara it vedere, che in mezzo alla più debole e corotta generazione s’ innalza- ronò alcuni uomini isolati , i quali essendo dotati di gran- di talenti; animati da grandi passioni, ma dominati dai vizj del loro popolo e' secòlo ,' non fanno altro con le loro imprese ‘ambiziose , che affrettare la distruzione dell’edifizio politico} di cui sembra che dovrebbero es- sere il sostegno . Questi ‘uomini straordinar] diventano doppiatente pericolosi, allorquando nascono in un'im- pero composto di più nazioni, diverse di carattere e di origine , disposte alla ribellione: e-alla guerra civile, Se una di queste nazioni , meno degenerate , che'abbia ancor conservato lo pisa di sddacib , Sabbatte ad at- taccarsi ad: un capo di un simile gran:carattere, guai allo stàto invecchiato ! Egli è più presso a dissoluzione , ‘che alla rigenerazione. | Sembra che' gli Arnauti, 0 Atbanesi sieno quel ‘popolo destinato ad affrettare ‘la dissoluzione dell’im- pero ottomano, di cui sono i più intrepidi ed intelli- genti soldati mercenarj. Niun ostacolo arresta i loro passi. Si arrampicano sulle rupi, passano a nuoto i fiu- mi; ma neppur alcun freno modera i lor desiderj avidi, le loro feroci inclinazioni. Questa nazion bellicosa ha dato già alla Turchia i tre più grandi uomini , che abbiano fi 244 gurato ne’ di lei fasti moderni; Mohammed Alì, che re- gna con tanto lustro in Egitto ; ma non passa per uno dei sudditi più ubbidienti; Mustafà Bairactar, il quale è perito su i gradini medesimi di quel trono imperiale, di cui aveva poco prima disposto; ed il nostro Alì His- sas, forse il più grande di tutti e tre per i suoi talenti, e che nel momento in cui scriviamo sembra destinato a cadere dall’ auge della felicità nell’ abisso dell’ infor- tunio. Oppresso da nemici numerosi, o spossato dall’ età forse soccomberà, ma qualche arnauto esaltato da tanti esempi famosi sederà un giorno sul trono degli otto- mani, seppure l Europa cristiana non vi si opponga . Per giudicare del carattere di Alì, dobbiam ricor- darci, che gli arnauti vivono in una specie di barbarie simile a quella dei tempi feudali I signori, o capi delle tribù, formano un aristocrazia debolmente soggetta alla Porta; e lasciano dal canto loro al popolo una specie di libertà, o piuttosto anarchia, la quale nei momenti di cal ma può far rammentar la democrazia delle antiche gre- che comunità. L’ attaccamento degli arnauti per i loro capi, per le loro tribù, per il loro partito presenta il ca- rattere del patriottismo, e dell’ eroismo cavalleresco : muoiono essi con gioia per colui, il quale, secondo la loro espressione, ha mangiato seco loro il suo pane. Ma, fra tribù e tribù si facevan guerre eterne prima che Alì ponesse loro sul collo il suo.giogo di ferro : gli uomini di un villaggio appostavano quelli dell’ altro per trucidarli ; non osavano arare , nè seminare, nè mietere se nòn ars mati e riuniti in considerevol numero.I.turchi non vo» gliono riconoscerli per musulmani, nè i greci per. crix stiani; nulladimeno essi hanno chi chiese , chi moschee; ma nel fondo non hanno altro Dio che il loro interesse, nè altra legge che le loro scimitarre: il titolo di Alefte 245 o assassino non fà alcun disonore, neppur quando mena al patibolo. Le ricchezze de’ grandi consistono princi- palmente nelle lor greggie immense custodite da pastori armati. Così i discendenti degli antichi illirici ed epi- roti, dei soldati di Alessandro , di Pirro , di Scanderbeg vivevano poco fa in questo stato veramente omerico ed ossianico, in grembo alle loro valli pittoresche , sotto un clima tanto dolce , quanto quello d’ Italia . Nella piccola città di 7'epeleni , situata sulla riva si- nistra dell’ 4owso Z'oioussa, non lungi dal luogo in cui questo fiume scende giù dalle gole di Klissura, nacque Alì . verso l’anno 1750; ma l’anno della sua nascita non è esattamente noto , ed Alì medesimo non vuol dare spie- gazioni su ciò, poichè ha sempre affettato di comparire più giovine di quello , che è veramente . I bei di quella città la tenevano in certo modo co- me in feudo dal Bassà di Berat. La famiglia di Alì, di- stinta col cognome di MHissas, aveva fatta da più secoli in essa la sua residenza . Questa famiglia, secondo alcuni, sarebbe nel numero di quelle), che per salvare le loro proprietà cambiarono religione nell’ epoca , in cui l' AI- bania fu ridotta sotto il giogo ottomano ; nulladimeno fa attualmente parte della tribù dei Zoczidi, i quali di- cono di essere musulmani antichi. Comunque ciò siasi , uno de suoi membri, dopo essersi distinto nel mestiere onorato di X/efte o Klepte, arrivò a farsi capo del domi- nio di Tepeleni, ed a rendere la sua autorità ereditaria . L’avo di Alì, di cui questi porta il nome, passò per il guer- riero più bravo del suo secolo ; e perì nel famoso assedio di Corfù, in quel punto stesso , in cui ne aveva scalate le mura con la spada alla mano, ed animava le sue trup- pe a seguire il proprio esempio . La di lui spada era stata per molto tempo conservata , come una reliquia, nell’ar- 2 46 senale di Corfù, e ne disparve quando i francesi occu- paron quell’ dala; Assicurasi, che Alì promesse inutil- mente una somma considerabile a chi 1’ avesse a lui ri- portata, Il padre del nostro eroe, detto //i/è Bey, era un uomo placido, affabile, generoso, ed inclinatissimo per i greci, i quali con la loro influenza nel fazar (1) sep- pero ottenere per lui; il pascialik di Delrino; ma aven- dolo i suoi nemici fatto destituire, in appresso ei si ritirò nel suo domimo di Tepeleni. I bei, gli agà dei contor- ni, abusando della di lui disgrazia , ebbero la viltà di as-. salirlo e spossarlo.. Que’ capi di piccoli distretti nume-, rosi allora nell’ Albania facevansi continuamente la guer- ra fra di loro, talora per derubare ; talora per prendere delle vendette, talora per distendere il loro dominio . Whilì Bey mori di dispiacere vedendosi incapace di re- sistere ai suoi nemici, e lasciò due mogli, una Nene» e due figli maschi. Kali madre di Ali e della di lui sorella Schai- nizza era una donna di capacità straordinaria , di corag- gio intrepido, di fortezza d'animo a tutta prova, ma di caratiere indomito e feroce. Rassomigliava ad Olimpia madre di Alessandro Magno, nata com’ essa in Epiro + Prima di tutto, per disfarsi della sua rivale l’avvelenò; ed avendo sacrificato nel modo stesso il di lei figlio, riunì tutti i.diritti di successione in Ali, che aveva allora quat- tordici anni. Poscia superata la debolezza del suo sesso , marciò alla testa della sua piccola e fedel truppa, con il fucile in spalla , contro tuttii suoi nemici, adempien- do insieme le parti di capitano e di soldato . In quasi tutte le sue scorrerie si fece accompagnare da Alì, m volle da lui una ubbidienza rigorosissima . Persuasa, che (1) Quartiere di Costantinopoli , dove abita la nobiltà greca . ——————____—___—_—_—_—_—_.—r—r——r———_—m2tpÀpAkPrrTTrrrrrr rr e e. cm 247 la sicurezza ;.ed anche l’esistenza di suo figlio, dipen- deva principalmente dalla di lui educazione militare, lo avvezzò per tempo'ai pericoli ed'all’attività deniiiiza di un guerriero errante; è fortificò il dilui corpo naturalmenti te vigoroso con privazioni e fatiche. Per accendere meglio il di lui coraggio, gli fece narrare dagli antichi amici della famiglia la storia e leli imprese degliavi: essi la aiutarono a regolare l’ impeto dell’ adolescenza con la loro esperien- zà}'ad istruirlo negli esercizi di un palikar o guerriero alllito e ad insegnarli l’arte di conoscere e dirigere gli uomini. TE RR I progressi di All adempirono i i voti più fervidi della di lui madre ; e questa prima ‘educazione spiega facil- mente molte particolarità , le quali lo distinsero in età più matura. Ei si applicò principalmente in guadagnare l’affetto delle persone della sua tribù, con attaccarsi ad essi, con prender parte ai loro pericoli in tem po di guer- ra, ai loro divertimenti in tempo di pace ; accomodando le ibro dispute, adulando i loro pregiudizj, adottando le loro consuetudini ed usanze. Scorrendo il paese a piedi e munito del suo: fucile , studiò i segreti ritiri delle mon- tagne, ed acquistò una cognizione esatta di tutte le si- tuazioni , le quali potevano agevolare la marcia o la ri- tirata di un corpo di esercito . 1 vincoli continuati di amicizia con i suoi compagni: di ‘guerra, di cui impa- rava a memoria i nomi e le avventure, gli servirono per mutrire e fortificare la sua memoria eccellente da per sè stessa. Quindi allorchè in appresso qualche vecchio as- sassino o &/epte era arrestato e condotto alla di lui pre- senza , si è veduto spesso che faceva restar meravigliato il colpevole col racconto circostanziato de’ suoi misfatti , e similmente riferiva tutte le azioni meritevoli di coloro. che voleva ricompensare. Non indugio a diventare il più 248: abil cavaliere, il più bravo mel correre , il più destro a’ tirare. Intanto la, madre di Alì, la quale resisteva con va- rio evento agli attacchi: de’ nemici collegatisi contro. di lei, fu per un sol colpo del destino immersa nell’ eci.esso dell’ ignominia . Gli abitanti di Gardiki, città, alquanto, considerabile situata non lungi da Argiro-Castro in mez zo alle aspre montag ne di Liakuria, presero a fare;segre-, tamente una spedizione notturna contro Tepeleni , esriu. scirono in fatti mel fav prigioniera la madre. e la figlia. Alì era allora per fortuna lontano da casa, chi, dice a fare una scorreria notturna , chi ad assistere a certe noz- ze. Le donne condotte a Gardiki soffrirono un tratta- mento capace di far disonore ai barbari più feroci; poi chè il giorno le tenevano strettamente rinchiuse , e la notte le abbandonavano alla brutalità de’ sali abi- tanti l’ un dopo l’altro. Dopo ch’ esse ebbero languito un mese in quella spaventevole situazione , la loro infelicità destò compassione in un bei della famiglia Dosti; a cui toccava di riceverle in casa sua. Quest’ uom generoso, ac- compagnato da alcuni servi fedeli le condusse con peri- colo della sua vita fuori della città, e le ricondusse salve a Tepeleni, dove Alì disponevasi in quel momento .me- - desimo a tentar la loro liberazione con un corpo di trup- pe da lui ragunate. I gardikioti informati della fuga delle prigioniere si misero ad inseguirle , nè avendo potute raggiungerle , incendiarono L'abitazione del lore salvatore. (1) (1) Tale é il racconto del sig. Wughes; secondo il sig. Pouyue- ville, i prigionieri, fra i quali era Alì stesso, furonoriscattati da w greco con una somma di denaro . 249. Questa macchia fatta alla casa di Alì sembrava che non potesse lavarsi se non col sangue. La rabbia vendi- cativa, di cui i vili misfatti de’ gardikioti riempirono l’anima di Alì, è stata forse .l’ origine di;tutte le azioni sanguinarie, che hanno macchiata la di lui vita. L’auto- rità di sua madre , e le preghiere di sua sorella furono messe in opera per quarant'anni onde mantenere costan- temente il fuoco della vendetta nel cuor di Alì. La ma- dre fin nel punto della morte scongiurollo a non pren- dere alcun riposo, finchè non avesse sterminata quella razza maledetta; e la sorella terminava tutte le conver- sazioni che aveva con lui, protestandosi, che non mor- rebbe contenta « finchè non avesse riempiuti i sofà del « suo appartamento con i capelli delle donne gardikiote ». Passati quarant’ anni la vendetta di queste donne è stata puntualmente eseguita per ordine e per mano stes- sa di Alì. Era allora nell’ apice della sua fortuna, aveva il ti- tolo di Visir, ed occupava il posto eminente di luogote- nente del sultano per la Romelia ( ARoumily Valicy ). Un corpo numeroso di truppe bloccò la città di Gar- diki; la penuria costrinse gli abitanti a rendersi: Ali fece separare tutti quelli, i quali avevano preso parte agli oltraggi fatti a sua madre e a sua sorella, ed insie- me i lor discendenti maschi e femmine. Ne furono tro- vati da mille quattrocento, a mille cinquecento del- l'uno e dell’altro sesso, i quali furono condotti in una corte quadrata, dove furono legati, gli uomini da un la- to, e le donne dall’altro. Alì entra il primo, e con un colpo di pistola brucia il cervello al primo dei prigio- mieri: tutto il di lui seguito ne imita l'esempio: la stra- ge è compiuta alla presenza delle donne, che alzano fino al cielo le loro lamentevoli grida. Non rimanendo più 290 uomini da sagrificare } tagliansi alle donne i capelli), e si vendono come ‘schiave quelle infelici. Quindi esce Alè da'quel:luogo orribile, nechiude le porte, e vi’ fà seri-. ver soprà ; 5 Nom:si apriranno, che per dare il supplizio. 35 0al colpevoli .ifugg tivi, che si potranno arrestare ,,. La ' città rearè fimalmente arsa e spianata. da cima a fondo,; e Schainizza riposa il suo ‘capo sulle chiome delle figlie di Gardiki/ Questa sorella di Alì aveva ereditate le qua- lità virili di sua madre. Se fosse stata uomo', disse il vecchio governatore di Tepeleni al sig. Hughes, avreb- be disputato a: suo fratello ogni palmo di terreno. Essa è dura; crudele, ed assolutamente inaccessibile alla pie- tà. Quando'un giorno i fidi di Al ebbero rapita una bella giovinetta della città di Kalarites, per rinchiuderla nel serraglio di lui, le donne del paese inviarono una de- putazione a Scehairizza, per supplicarla in nome del lor sesso d’intercedere presso suo fratello, affinchè si. de=. gnasse di rendere, la giovine ai desolati di lei. genitori ; ma essa rispose aspramente : ,, ritiratevi: ella non avreb.) ; be sposato che un contadino, ed ora vivrà da regi- 5 Da RI ji Ritor niamo “all lolpiit di Alì. (1) Il sig. Pouqueville diversifica dal sig. Hughes in molti particolari. Conforme a ciò ch'ei dice, Alì avendo da principio annunziato , che farebbe grazia ai gardikioti, rendevasi a quella città con l’apparenza di un vincitor clemente; ma essendosi fer- mato al castello di Schainizza sua sorella, la quale priva del suo ultimo figlio viveva nel più tristo lutto, gli fu da quella don- na altiera, accusata d'incestuosa amicizia con suo fratello , ri- chiamato alla memoria il giuramento , che aveva fatto sugli avanzi esanimi della lor madre Ramkò, di vendicare il di lei obbrobrio nel sangue dei ‘gardikioti. Acceso da tal rimembran- za, partissene. Alì per la sua crudele esecuzione. Secondo il sig. Pouqueville, i soldati turchi e cristiani ricusarono di fare l’ut- 251 Poco tempo dopo! l'avventura della madre e della sorella , Alì desiderava di far prova di sè medesimo con- tro i nemici, alla testa delle sue trnppe . Pieno di fuo- co, e stanco dell'impero, che la madre esercitava sopra di lui, tanto insistè, che essa finalmente gli, permesse , sebben con rincrescimento, di tentar la sorte. Essendo stato fortunato nel principio, non indugiò tuttavia ad esser mancante di truppe sufficienti, e di denaro per proseguire ne’suoi felici eventi , e finalmente toccò qual- che disfatta. Essendo stato stretto da vicino dai nemi- ci, fu costretto di andar vagando per le montagne, e na- scondersi poscia in casa di più amici, i quali lo salva- rono; e trovossi ridotto all’ estremità di vendere la sua scimitarra per oltener da mangiare. «Ritornato a Tepeleni, fu accolto da sua madre con amari rimproveri; dicesi pure ch'essa lo minacciasse di vestirlo da donna e di chiuderlo nell’ harem. Decisa alfine dalle suppliche premurose di Alì a dargli il per- messo di fare uno sforzo novello, ella gli disse con ma- fizio di carnefice, ed i domestici di Alì eseguirono i di lui or- dini. Non vi erano che 640 vittime nella corte quadrata, secon- do il sig. Pouqueville; ma il loro numero fu di 739 secondo il sig. Hughes; e forse egli ci comprende quelli che il Bassà, do- po il viaggiator francese immolò sul sepolcro stesso di sua ma- dre. Le donne, secondo il sig. Pouqueville non erano presenti alla strage, ma furono consegnate a Schainizza, la ‘quale dopo averle fatte disonorare alla sua presenza, fece tagliar loro i ca- pelli, e ‘salita sopra di quelle spoglie, come sopra di un tro- feo, diede, I’ ordine di scacciarle coi loro figli in mezzo a delle selve, dove niuno sotto pena di morte doveva soccorrerle; ma Alì nulladim eno moderò le misure prese da sua sorella, e le fece distribuire come schiave in cantoni lontani. Si narrano an- cora altri particolari di questo fatto, uno de’ più orribili indubi- tatamente della storia moderna. 334 niera veramente spartana ;, che desiderava di vederlo » ritornare sulle spalle delle sue truppe, 0 vincitore, o morto ,,. La sua spedizione fu ‘ancora infelice, e cali una, battaglia .1»‘Ritiratomi nelle ruine di un monastero, » disse egli stesso al general Vaudoncourt io rifletteva » sulla mia disperata situazione: non vedeva alcun » mezzo di sostenermi contro la potenza preponderante » de’ miei nemici: frugava macchinalmente in terra » col mio bastone, allorquando sento improvvisamente, » risuonar qualche cosa , la quale resiste alla punta del » bastone medesimo . Continuo a frugare , e trovo una » cassetta ripiena d’oro; la quale era stata ivi indubi- » tatamente nascosta in tempo di qualche guerra civi» » le. Con questo tesoro feci leva di due mila uomini, » e rientrai trionfante a Tepeleni. » Il sig. Pouqueville cancella dalla vita di Alì que- sto tratto singolare; nulladimeno il sig. Hughes confer- ma il racconto del sig. Vaudoncourt, e la cosa in sè stessa non sembra ‘inverisimile ; ma è incerto se si deb- ba, con M. Hughes, far risalire fino. a quest’ epoca il sich imonio di Alì. iiailidenie può stabilirsi 11 meno- mo ordine cronologico nell’ istoria oscura di una serie di assassinj ; ma debbesi probabilmente collocare dopo la scoperta del tesoro un tratto, che onora i talenti e il coraggio di All, e che noi racconteremo , secondo la narrativa ch’ ei ne fece al sig. Hughes. Con i mezzi da lui trovati o ragunati risolse di ri- cuperare i beni tutti di suo padre , facendo un ultimo sforzo contro i suoi nemici; assoldò nuove truppe, ed aprì la campagna con un corpo di armata considerabi- 23 le. La sua madre e la giovine sua sposa lo accom.. pagnavano. I beì alleati di Argiro-Castro , di Gardiki, 253 di Kaminizza, di Gorizza ,. di, Ziormovo,. ed alcuni altri gli piombarono addosso. cony forze superiori , lo disfecero completamente , e lo costrinsero a ricoverarsi tra le montagne di Merzika , le cui gole scoscese gua- rantirono gli avanzi della sua armata da una imme- diata distruzione ./In quel momento difficile , in cui la ‘stella della casa d’ Hissas sembrava vicina a dile- guarsi per sempre, Ali immaginò un mezzo, di sal- vezza , che dimostra quali, risorse il suo genio. pro- fondo sia capace di suggerirgli. Abitava insieme! con sua madre, e con'la sposa, in casa di un fedele ami- co; Poco distante accampava una divisione, considera- bile de’ suoi nemici; ma egli sapeva ;;che.i capi di Argiro-Castro; di Gardiki, i più. ‘potenti. fra’ suoi av- versarj, eransi restituiti alle lor residenze. In conse- guenza di ciò egli prese le sue determinazioni. Si alzò verso mezza notte, e diede alla moglie :l’or- dine preciso di non aprire punto la porta della, camera dove dormivano ; e di rispondere a sua, madre,, la quale veniva ad informarsi di suo figlio ; che dormiva, ed aveva domandato di non esser turbato! dal suo ri- poso .: Quindi solo ‘e senza guida, sì pose in camino; guadagnò il campo dei confederati ; e si presentò sulla punta del giorno a coloro , che ‘avevan» giurata, la sua rovina. Attoniti per il di lui arrivo, gli domandarono il motivo.di questo passo; ed il giovine duce rispose loro con. tuono modesto ma franco in questi termini. > «© La'sortee la vita d’ Alì sono in vostre mani j LE onore € l’ esistenza della sua famiglia dipendono dalla | decisione che prenderete. Eccomi qui; spinto dalla disperazione : ho combattuto finchè le mie risorse non erano esaurite; ora mi metto in poter vostro: voi »giu- dicherete se è più convenevole il rovinarmi; 0-1 assi- 254 stermi contro i mie» nemici. Ma non v' illudete col credere che la mia'miòrte vi sarà vantaggiosa. I miei nemici sono in sostanza i ‘vostri; nè desiderano essi la mia distruzione } che per potere più facilmente ri durvi sotto il lor giogo. L'hei di Argiro-Castro e di Gar- diki , già troppo formidabili , profitteranno della. mia caduta per rendersi padroni di tutto il paese. T'epeleni } forte ‘per la sua posizione ; ‘resa più forte dall’ arte; ed occupata da’ miei fedeli arnauti;, potrebbe , se fossi: se- condato , opporre ‘un'ostacolo insuperabile alle lor mire sinibiaode Distruggetemi dunque ; se vi piace; ma siate persuasi, che la mia rovina non sarebbe che il ‘pre ludio della vostra. . AR sapeva genre di non correrè alcun rischio dandosiin questo modo in potere de'suoi nemici. Chiunque: implora: spontaneamente il soccorso idi. un principe ‘albanese, può essere certo..non solamente di trova? protezione , ma ancora di ottenere una; sicureZs za pe la sua partenza , che non è neppure negatà ad,un reo! Gli alti sentimenti anhunziati da questa determi- nazione di Alì, la sua maniera franca ed aperta ;la sua riputazione di bravura ;.il nome di»sua famiglia ,. esla gelosia che seppe destramente suscitare nell’ animo, ‘dei ber, fecero: nascere in essi il desiderio di salvarlo ;; ed paichte di'far causa comune con lni. rive ‘Intanto. la:sua madre; venata alla camera d Al, ricevè dalla di lui moglie la risposta! prescritta! .d'ornò dopo ‘un'ora; ed:ebbe sempre la)rispòsta medesima. Fi- - sdisbeste idopr essere stata rimardata ‘indietro per la terza volta, concepì qualche inquietudine , e fece \sfors, zare la-porta. Alì non v'era : avendo saputo vil modo } con cui si era allontanato , si strappò i capelli; si, preci», pitò disperata fuori di casa, prendendo la viaper cui LI —-r—_—_— 255 il'figlio erd andato e fece risuonar co’ suoi gridi 1 eco delle montagne. Essa «lo ‘scontrò , meritre a lei “volea presentarsi’, come capo delle truppe , ch’ erano andate arriunirsi vai ‘suoi vessilli , il cuissoccorso lo pose in stato di tener testa con vigore a? nemici , e di stabilire la for- tuna.della sua casa. sopra ‘solidi fondarnenti. Da que- st’ epoca decisiva incomincia la. sua gloria . Qual capo di partigiani, egli era il! primo Alepte dell’ rio ed uno de’ beì più ricchi di Tepeleni..: Nulladimeno Alì risolse di: ‘prendere da sè stesso le direzione degli affari, e di rinchiudere sua' madre negli appartamenti dell’ PT La morte di-questa donna ac* caduta subito! dopo è stataitalòra attribuita alla‘ politica gelosa di Alì;ned èistato ancor detto, ch’ ‘egli avesse. Lo> sto fatto assassinare un fratello, e poi attribuire questo delitto a sua madre;, onde avere un. pretesto! per rinser- rarla; facerido vista di cedere al grido della vendetta pubblica. Queste, accuse meritano poca: fede Se! si esa» mina il suo carattere |, se.si enumerano ile suetazioni ; parrebbe infatti; ehe niùn timordi:rimotso ; nissùn ri- spetto umano , nissun. teriero affetto fosse capace! di mi tigare la sua crudele disposizione. Nulladimeno , qualun+ que sia la suaivita, qualunque i delitti j di cui sivè rico perto; bisogna confessare, che mai Alì nonha:còommes- so; come tanti mostri) dell’ Oriente; ‘delle vatrocità uni camente: per proprio piacere. Allor quando i suoi cinte nessi, sono in pericolo. ; e lasua sicurezza: trovasi: minac? Ciata in un ‘modo; qualunque, quelli sopra cui cadono ì di lui sospetti,;0 il colpevole:cli’ egli haiscopettò , hanno senza dubbio a temer;di tutto ; macdblla potrebbe in- durlo a macchiarsi di, un parricidio, fEglijha commesso innumerabili orrori, delitti i più meri: ma la sua natu- rale; ferocia sembra sogpèsa ; tosto che quellii, quali la 256 natura comanda che si amino ; avvicinansi a lui; ed'egli dimostra l'attaccamento più vivo e sincero per i suoi fi- gli, come pure pe’ suoi nipoti. E più probabile che Alì non sia reo di parricidiò, perchè il sig. Hughes have» rificata.la falsità di un altra simile imputazione moltis- simo accreditata .. Veniva accusato di aver ucciso con un colpo di pistola ;;in una. camera del suo palazzo di Lita rizza, il suo nipote favorito. « lo posso atfermare il con> « trario , dice il sig. Hughes. Mentre io ui premo udien> «) za, un giorno mi Fequidii per lo spazio di un’ ora in « a camera meilesima «col primo medico di ‘Ali; «Quell'uomo rispettabile ; nelle cui braccia spiròd'il gio> «.vine; bei, mi raccontò le circostanze della di lui mor» «. te, causata da' una febbre .Il visir amava talmente « quel parente ; che diflicilmente ‘poterono detetmi- « narlo..ad padiaii il letto .; e fu tanto incon « solabile della di lui perdita ; che dopo ‘quell’ istante « non hà più postoxil piede in quella camera . Gli! stessi « fatti mi sono stati confermati da’diverse persone « Alì diventato! gran: capo di ‘assassini’ inquietò "tale mente le contrade montuose di) Zagori , e ‘di ‘Kiolotia;; che Kourt bassà' di Berat:; tuttochè parente di sua ‘ma? dre, fu costretto di marciare contro di lui: egli disperse le sue iruppe, :e lo fece prigione: La gioventù e la-bely lezza del. giovine prigioniero si cattivarono il vincitore; il quale lo ritenne alla sua. core; e V onorò della‘sua confidenza. La figlia stessa deli bassà } se‘si può" pr estar fede allle: voci Et «correvano } non fu) insensibile alle ‘ale trattive del gioviné palikar . In una guerra ; che scop- più ben tosto fra :Kourt ed il'bassà di Scutari, il più po- tente fra i capi albanesi , Alì si'rese ‘illustre per tanti bei fatti d’arme, e seppe in tal modo cattivarsi l’animo delle truppe; dle V'hasnadar-(‘il'tesoriere )‘di Kouît;' TÀ 257 ‘momo (di politica profonda, e di grande sperienza, con- sigliò ardentemente il suo padrone 0 di ammazzarlo ;- 0 di attaccarselo interamente: con-l’unirlo a sua figlia . Il primo di questi due partiti ripugnava alle idee che il bassà aveva dell’onore , egualmente che al di Lui gene- _roso carattere: ei rigettò la seconda proposizione, per- chè ricevendovi un povero avventuriere, avrebbe fatto | disonore ad? una ‘famiglia , il cui albero genealogico presentava almeno dieci visir; e risale secondo alcuni fino al famoso Scanderberg. Si attenne dunque ad un termine di mezzo; e rimandò Ali alla di' lui patria, ricolmandolo di regali. La figlia di Kourt :invaghita di Alì, di cui ammirava la: bravura, fù maritata contro sua voglia con il beì Ibraim, la cui famiglia era illustre quan- to la sua; il quale Ibraim: succedette poscia al pascialick di Berat o dell'Albania media. Dall’epoca di questa riva- lità incomincia l'odio implacabile di Alì contro kbraim, il quale fu sorgente di molti delitti, e sembra che ab- bia molto contribuito alla profonda malinconia onde | Spesso Alì risente gli assalti . Un uomo del carattere di Ali non poteva rimane- re ozioso per molto tempo. Riprendendo l'antico gene- re di vita’, seguitò a fare il A/epte nelle montagne del- I Epiro, nè indugiò molto tempo a cadere nelle mani del bassà di Giannina. I bei del bassà, come pure il bassà di Delwino, ed alcuni altri governatori dei con- torni insistettero assai presso di lui, affinchè facesse - subire al giovine assassino la pena dovuta ai misfatti commessi; e poco mancò che Ali non perdesse la vita nella città medesima , la quale doveva un giorno essere la capitale del suo impero. Il bassà, rimasto incerto per molto tempo, riflettendo allo stato di discordia , in «cui il suo territorio e l’ Epiro in ani si ritrovava, T. 1. Febbrajo i 17 258 giudicò più convenevol cosa il far grazia al; suo! prigio- nierò, e somministrargli ancora un aumento di, mezzi ‘ per farsene un alleato contro degli altri possenti, capi. Alì assoldò subito una forte banda di vagabondi, i quali commisero tanti eccessi in diverse parti dell'Epiro ; del- la Tessaglia e della Macedonia, e resero. le communiz. cazioni così poco sicure , chela Porta trovossi in neces; sità di ordinare al derwend-pachà (o sia comandante delle strade maestre ), che attaccasse, e idiatrmggasna quelli assassini . Accadde , che quello stesso Kourt hassà, sotto di cui Alì aveva auidlefeniinicati servito, era allora der- wend-pachà. Questi marciò con forze considerabili contro gli assassini; ma il coraggio intrepido di quelli arnauti, la cognizione perfetta che avevano dei passi stretti a traverso delle montagne , e principalmente l’abilità del lor capo superarono gli sforzi del visir, il quale risolse finalmente di entrare in abboccamento, onde giungere per via di negoziazione a quel resultato, cui non poteva arrivare con la forza delle armi. Ali, insinuan- _ te, quanto bravo, seppe gùadagnar di nuovo le buone grazie’di Kourt, il quale essendo sul punto di azzuffarsi con altri ribelli in apparenza più formidabili, laseiossi persuadere non solamente a procurargli il perdono dal gran signore, ma ancora ad accettare i servigj di lui nella guerra ubie stava preparandosi. Ali contribuì mbl- to al buon esito della campagna. I 1 suo pr otettore, trop- po riconoscente , fece a Costantinopoli un rapporto ;van- taggiosissimo sopra la di lui condotta, ed oltre a ciò gli assegnò alla sua corte un alto posto militare; cui Alì tuttavia non conservò per lungo tempo. Perciocchè impegnatosi in un intrigo amoroso con la figlia di Kourt, . mancò poco, che non' fosse sospeso da Ibraim sul fat- x x 259 ‘to; nè salvo la sua ‘vita che fuggendo precipizio . Si pose allora ‘al servizio del. bassà di Né egroponte , ed accumulò tanti beni, che ritornato a Tepeleni pose esercitare in grande-il mestiere di appropriarsi gli averi altrui. Ora lo: vediamo abbandonare le strade maestre, dove per dieci anni aveva brillato; la sua vita di kle- pie è terminata; ed incomincia in età di ventiquattro anni quella di bei, conquistatore , ed insieme fabbrica- tore d’intrighi ,;come tutti coloro: dello stesso paese; ma con un talento così superiore, che non si può. fare a meno talvolta di ammirare in lui il vero principe di Machiavello ; di cui nondimeno non aveva studiato il libro, ( sarà continuato ) >< FILOSOFIA x ELOGI ACCADEMICI Î Notizia sopra il sig. pe Vornty. Revue Encyclopédique; Juillet 1820. uasiì tutti 1 giornali scientifici e letterari, fran- ì cesì ed esteri han già cominciato a tributare 0 successi. ® vamente de pelit cielo un omaggio alla, memoria. del . celebre dotto di cui deploriamo la perdita. Il sig. de Vol- | ney sì era distinto al tempo stesso nella glologia e nella — letteratura, nella filosofia e nella storia per. una vivace immaginazione , per una straordinaria perspicacia d’ in- gegno guidata di una retta ragione, per le ‘sue estese | dndagini, per la sua profonda erudizione. Erano, a lui familiari le lingue orientali e le europee, le belle let- Pi 260 tere e le scienze esatte; come filosofo osservatore aveva percorsi diversi paesi; come professore d'’istoria ‘alla scuola normale aveva presentati vari suoi pensieri ori» ginali sul modo di raccorre, di valutare, di classare gli storici avvenimenti; e la sua vita, che dir si po- trebbe nomadà ed enciclopedica, gli aveva fatto percor- rere e le principali regioni del mondo abitato, e i diffe- renti rami delle umane-cognizioni, da lui riguardate co- me le provincie di un vasto e medesimo impero. Final- mente nella sua carriera legislativa e politica, dal 1789 all'assemblea costituzionale, al 1820 alla camera de’pari, aveva sempre mostrato il nobile e costante carattere di vero cittadino, conoscitore di ciò che è utile alla pa- tria, incapace di tradir giammai i suoi interessi . I compilatori della Rivista Enciclopedica debbono uno speciale omaggio di gratitudine e di stima alla me- moria di quest'uomo rispettabile , onore dell’umanità : perchè fin da quando la nostra intrapresa, tutt’ ora mascente, non aveva pe anco inspirata fiducia bastante a favor nostro in uomini di estesa reputazione lettera- ria, spontaneo ei volle cooperare ai nostri lavori. Egli comprese di volo, e come per ispirazione; lo scopo filo- sofico di una raccolta destinata a presentare appoco appoco gli annali dell’incivilimento comparato, e a render così alla scienza sociale, considerata nel senso più sublime, servigi simili a quelli che uno dei nostri _ scienziati più celebri ha resi alle scienze fisiche co’suoi importanti lavori sull’ anatomia comparata. Quindi lo spirito filosofico e l’animo elevato del sig. de Volney gli avevano fatto Sentire il bisogno di applicare tutte le sue ricerche ad oggetti, i quali, agevolando i mezzi di comunicazione fra gl’individui e i popoli, potessero giovare a ravvicinarli , e a stabilir fra loro il confronte & | I | 261 e l'emulazione, onde vicendevolmente cooperare alla loro perfezione. Nulla può l’uomo isolato, avvilito dal sen- timento della propria debolezza; ma gli uomini riuniti e concordi centuplicano il: loro potere e i loro mezzi di azione sulla natura. I prodigi operati dall'insegna- mento reciproco ne’ rapidi successi dell’infanzia ci mo- strano quali prodigi d'altro genere partorir potrebbe a prò delle civiltà la istruzione scambievole delle umane: società, ravvicinate e paragonate in modo, da potere per mezzo d’intime relazioni, aventi per iscopo l’utilità, esercitare fra loro una più energica e Lie generale in- fluenza . 339 . Noi non potremmo far meglio conoscere i pata del sig. de Volney, che riportando per esteso il discorso | detto nella camera de’ pari, consacrato ad esprimere il cordoglio per tanta perdita; avendoci dato facoltà 'd’in- serirlo nella nostra raccolta il nobile pari che ne è l’au- tore. 4, Discorso detto alla camera de’ pari nell’ adunanza de’ 14 Giugno 1820, dal Sig. Conte’ Dar, in oc- casione della morte del sig. de Volney. (1) Io vengo a rendere un omaggio alla memoria di Li ‘ (1) Il sig. de Volney istituendo suo esecutor testamentario il conte di Daru gli aveva fatto un legato della sua ricca ‘Biblioteca, in contrassegno d’una amicizia cia non poteva sciogliersi se nom colla: morte, Si dice che il rispettabile legatario pregasse la vedova \ de Volney di permettergli di accettare una sola opera; nella quale | si trovavano alcune note autografe del suo illustre amico; ma in | vece d’ una sola, la vedova contessa de Volney ha voluto che ne | gradisse una ventina almeno ; e delle più preziose. 262 1 un collega che a buon dritto ci rammarichiamo alta mente di aver perduto , coronato di gloria nella sua car- riera; letteraria, del pari che nella sua vita politica. Loggati Francesco Chassebeuf de Volnéy nacque a Traon nel 1757 in.quella mediocre condizione, più. delle altre felice ; perchè se le manca il retaggio tle’trop; po perigliosi Past della fortuna , può con ragionevole. ambizione aspirare ai sociali ed intellettuali, vantaggi. + «Fino dalle sua prima gioventù ei si dedicò alla ri-. cerca della verità, senza sgomentarsi. per la gravità di quei studi ; i soli che. possono iniziar l’uomò nel culto, di quella. Giunto appena all’età di venti anni, ma già istruito nelle lingue antiche, nelle scienze naturali e nella storia, già ammesso fra quelli uomini’ clie occu: pavano:un posto distinto nella repubblica, letteraria}, ‘ sottopose alla decisione d’una illustre accademia la ‘s0-, luzione d’ uno ‘de’ più diflicili problemi, lasciati. a’ noi dalla storia dell’antichità. Ma questo primo saggio Mon ottenne favore dai dotti che ne Turono i giudici , e l’au- tore.si appellò da questo giudizio ai propri sforzi e al proprio coraggio. Poco dopo essendogli venuta. una ra I Tea suo maggiore imbarazzo ( sono le sue espressioni ) era il sapere come spenderla. Finalmente si determinò d’im-. piegarla nell’ acquistar nuove cognizioni, ‘intrapren> dendo ‘un gran viaggio; e si decise a percorrere | Egit- to. e. la Siria..Ma. per visitar con frutto queste regioni gli. era! indispensabile possederne il, Jinguaggio. ‘Questa, . neeessità non disanimò punto ‘il: giovine viaggiatore ; e' phaiitosto ehe studiar l arabo in Europa andò a rin- chiudersi in un monastero di Cofti, finchè non giunse a: por lar quell’idioma comune a tanti popoli dell’Orien- | e. Questa risoluzione già di buon’ora annunziava in lui ri Ri ti 263 un animo energico, capace d'’ affrontare intrepido qua lunque ‘cimento. 1 Questo: viaggiatore sull'esempio di molti altri av Ga | be potuto. marrarci le fatiche‘e 1 pericoli superati col suo coraggio; ma egli seppe esser ea alla debolezza comune ‘ai Viaggiatori, di parlare cioè: delle loro per- sonali avventure ; quanto delle' loro osservazioni. Egli è originale nelle sue. narrazioni ; nè vi dice per de ve. passò ; ‘quel che gli avvenne} quali impressioni pro- vò; anzi evita quanto gli è possibile ‘di mostrare im | iscena? sè stesso. Credereste ascoltare un abitatore di quei Hioghi, de’ quali; dopo averli diligentemente; e lunga» menté osservati; descrive le condizioni fisiche Dippliti> che‘e mbrali:e il credereste più fermamente , italindo in un’ Vecchio ar abo poteste ‘supporre: il possedimento di tutte le cognizioni edi tutta la filosofia europea; che riunite si trovano in‘um’ viaggiatore dell’età. di venti: cinque anni. L 9d0,04 bf i * Sebbene'ei tutte le arti possegga onde voragine a legg sér con piacere ciò Ch’ egli racconta! ; non ‘Vi si tro- van però quelle ricercate ‘ed‘‘enfatiche descrizioni che lascian' ‘trasparire l’età giovanile d’un autore ;e per quanto '& ‘sia’ dotato «d’ una fervida: e vivace immagi- nazione; non si'abbandona però giammai a troppo anditi sistemi per ‘ispiegare i fenomeni fisici e morali ‘che ‘gli occorre descrivere .' ‘Egli è un saggio che osserva col occhio! d'uno scienziato; è in virtù' di questa duplice qualità è è sempre ‘caùto ne’ suoi giudizi, € non arrossisce talvolta di confessare che i ignora! le cause degli vaio mio ‘eî'espone |» Cub Li) j i ‘’Quindi’le sue ‘narrazioni Han tutte le prevogati: ve ‘per persmradere; quali sono T'esattezza e la lealtà: ve quando ;‘dieci'amni ) dopo una grande iniapresa militare ode 264 trasse quarantamila viaggiatori im quell’antica regione ch'egli aveva percorsa senza compagnia, senza armi, senza ‘assistenza ; tutti ravvisarono una scorta sicura, un osservatore illuminato nello scrittore che sembrava aver< li preceduti! soltanto per appianare e additar loro le dif ficoltà del.cammino . Una voce unanime alzossi-perrat= testare dell’esattezza de’ suoi racconti; della , giustezza delle sue osservazioni je il viaggio, dell’ Egitto e della Siria per suffragio ‘di tutti acquistò un dritto alla fidu- cia ed alla gratitudine universale 2.1, ivo inno ilo Prima che: quest'opera subisse un sì fatto), speri mento , aveva già ottenuto; presso i, dotti tanto! prospeni e ind: successi; ché era per fin penetrata, nelle Rus- sie; L’imperatrice allora regnante (nel 1789;) trasmes, sein. dono .all’autore. una medaglia! che..egli,rispetto- so gradì come un contrassegno di stima pe suoi, talen= ti, e chegrato ricevette. come un attestato di approva» zione per le sue massime. Ma tosto che Il’ imperatrice si dichiarò nemica della Francia; le; rimando quell’ ono- rifico dono y dicendo: se.l’ottenni dalla, sua stima, la restituisco per corservarmela:;; 1 ofloup 61 La rivoluzione del; 1789; che; attrasse sulla Usai le minaccie di Caterina; richiamò, il sig., de Volney sul teatro politico. Eletto deputato, all’assepablea degli stati i generali, le prime parole-che ci pronunziò furono per la pubblicità delle deliberazioni. Ei fu quello che propose di porre in piede la guardia nazionale de’, comuni! e def dipartimenti . Mentre nel. 1790. si, vendevano. i\beni de- mantiali ei pubblicò un, opuscolo , nel quale pose; il, se guente pr incipio: la potenza di uno stato. è sempre in ragione della sua popolazione; la popolazione e in ragio- ne dell’abbondanza ; l'abbondanza in ragione dell’ atti vità nel coltivare; e questa in ragione dell'interesse per- I / o 205 sonale e diretto , cioè dello spirito di proprietà . Dal che ne segue che quanto più l’ agricoltore si avvicina al- le condizione passiva di mercenario , tanto meno è in- dustrioso ed-attivo:\e all’opposto quanto più si avvicina .alla qualità di possidente libero ed assoluto, tanto più diventa attivo, tanto, più vanno “pitti le produ- zioni del Sila. ela ricchezza generale dello stato. Quindi egli deduce la conseguenza che una nazione di tanto più potente Murano è maggiore .il numero dei possidenti; cioè quanto più granate è la divisione delle proprietà E ‘Tratto in Cursiba da quello Spigno dig osservazione, proprio solo di coloro che possegono estese e. moltiplici cognizioni; tosto conobbe quanto faceva di mestieri onde perfezionare l'agricoltura di quel paese. Ma sapendo per prova che popoli schiavi.di antiche abitudini non si per- suadono con argomenti, ma si convincono soltanto coll’ esempio; comprò una':considerabil tenuta, e in quella fe- cè tutti gli sperimenti possibili sopra i diversi generi di coltura, ch’ei reputò poter prosperare in quel suolo e sotto quel clima. In breve:le piantagioni della canna da zuc- cheèro del cotone, dell’indaco; del caffè coronarono lu- minosamente i suoi ‘tentativi. Tali | prosperi successi ri- chiamarono l’attenzione del governo; il qualelo dichiarò direttore dell’ agricoltura e delcommercio in quell’ iso- la; ove: per difetto d'istruzione qualunque nuova costu- manza è\con somma difficoltà ricevuta. Non è facile il.valutare.i. vantaggi che aspettar si doveano da questo pacifico incarico; pure :.si può con ‘certezza ‘asserire che non:mancavano nè i lumi, nè lo zelo; nè il coraggio: della perseveranza a quell'uomo cui era affidato, poichè ne aveaigià dato saggio «Ma egli in- terruppe spontaneo il corso delle sue operazioni; ceden. n do' a un dovere degl pari rispettabile. Quando i. suoi tony cittadini del distretto di Angers lo;elesser deputato all’as+, semblea:costituente, rinunziò l’impiego dal governo con-; feritogli ; professando la massima; chenon si puòdesseré, rappresentante della nazione e altempo , stesso schiago.,. salariato degli amministratori di quella. vc rivovib ,Se però ara oggetto di essere indipendente nelle:sue» funzioni legislative aveva rinunziato l’impiegò che occu- pava ‘in ‘Corsica prima della sua elezione; non aveva già rinunziato a far del bene a quel paese. Infatti dopo»la seduta dell'assemblea costituente ei tornò a passaryi una; parte del:1792e 1793 pseguendo, 1° impulso, di Queste. suo: generoso desiderio, e.l’invito de’ più autoreyoliabix lanti di quell’ isola; i dim invocavano, ol’ aiuto delle, n i cognizioni. » ils TORE SCE TTTOTTO Al suo ritorno pubblicò una iscrittural dliatitolale Sosta mario dello stato attuale della Corsica. Fu questa una, gran prova; di coraggio; poichè mnon:espose, già lo stato fi» sico, mala situazione politica di una popolazione diviso in vari partiti, e) lacerata»da inveterati rancori . LI sig.;de, Volney palesò senza riguardo gli abusi,,sollecitò.la Frans” cia a favore de’ corsi senza adulatlij,ed. espose senza te» ma gli erroriei vizi lorò. Così operando il filosofo otten= né il premio ‘che Aspettar. si doveva .della sua sincerità ; poichè dai:corsi*venne aecusato: di) eresia... Per provare ch’ei non meritavaquesta ingiuriosa qualificazione diedé alla luce poco dopo un; opuscolo intitolato: Laleggeras turale ossia: Principi fisici;della mordle... > Ma una ‘accusa assai perigliosa’ fu ben, tosto» direttà contro di lui; e confessar bisogna ch%ei se L'era. meritata» Questo: filosofo, questo degno cittadino che nella priyna - delle nostre. assemblee latina aveva co’ suol suffragi | e coi suoi talenti favorita l’istituzione di un ordine: di Ti x I 26% cose, ch'ei:credeva proprio alla felicità della sua patria , fu incolpato di non amar sinceramente quella libertà per la quale egli aveva combattuto ;cioè fu addebitato di di- sapprovar la licenza: ed una prigionia di dieci mesi pose a nuovo cimento il suo cor aggio ; ‘L'epoca in cui recuperò la sua libertà fu quella stessa nella quale l'orrore ispirato da tanti colpevoli ec cessi ricondusse:gli animi verso quei generosi sentimenti ‘che’ per, nostra ventura sono uno de’ primi bisogni degli. ‘uomini inciviliti. Dopo tanti delitti e tante sventure egli. no chiesero alle lettere qualche conforto; e allora dal por sto mano a ordinare la pubblica azorabnchry Principal- palmente importava conoscere con certezza il corredo delle cognizioni onde eran forniti coloro ai quali l’istru- zione doveva: affidarsi. Ma/siccome vari esser potevano i sistemi; quindi: faceva dî.mestieri stabilire-1. migliori @ l'unità nelle dottrine . Non bastava soltanto. 1’ esami- nare i-maestri;! ma: èra d’uopo formarli ‘e crearne de” nuovi: ea-tale oggetto nel.1784 fu instituita una scuola. in cai la' celebrità de’ professori prometteva un tesoro di nuove sapere anco ‘agli uomini i più istruiti. Nè questo era ui €ominciareva edificar dalla sommità; come disse; taluno ima un formar.gli architetti per diriger tutte le arti ‘che ‘adoperar doveario nel costruir l’edifizio. Quanto 1 più era difficile Y adempimento di tal proposto; tanto più ‘ si rendeva importante la scelta de’ professori . Nè ciò sgo- mentava la Francia che allora accusavasi sornmersa nella barbarie; perchè annoverava fra isnoi figli maltirari ed eccellenti ingegni che già. godeyano la stima; universale dell’ Europa: cosicchè può cip che:mercè de’ loro;studi la nostra gloria letteraria si è è mantenuta, in lustro anco colle conquiste. Questi momi furono indicati! dalla; pub- 268 blica opinione; e il nome del sig. de Volney trovossi as. sociato a quello degli uomini più celebri nelle lettere e nélle scienze, gran parte de’ quali abbiamo veduti, vediamo con compiacenza seder degnamente in mr luogo. Non ostante quelli istituto non appagò le concepite speranze , perchè i duemila alunni accorsi dalle diverse. parti della Francia non eran tutti preparati ugualmente, a ricevere quelle sublimi lezioni ; e:perchè non era stato. abbastanza esaminato fino a ipuali punto. la teorica dell’. insegnamento andar possa disgiunta cilBiinvegnatitni ; medesimo. . Le lezioni d’istoria del sig. de Volney, frequentate: da numero so concorso di ‘uditori, diedero nuovi diritti alla sua celebrità letteraria Astretto ad interromperne il corso perla soppressione della scuola normale, sperava; godere tranquillamente il frutto della stima che le sue nuove funzioni avevano aggiunta al suo nome...Ma rat- tristrato dallo Spettacolo che gli oftriva la ‘sua, patria, senti rinascere in sè quella prima passione, che nella sua gioventù gli fece percorrere: 1’ Aftrica e l'Asia. L’Ame- rica già incivilita da meno di un secolo; e libera da po- chi anni, divenne lo scopo de’ suoi pensieri. Là tutto era nuovo, il popolo , il governo; il'suolo istesso ; (ed. erano questi altrettanti oggetti degni delle sue osservazioni , Ma nell’ accingersi a questo viaggio era agitato da! affetti ben diversi da quelli, che prima ‘accompagnato. lo: ave- vano in ‘Turchia . Allora , nelle età sua giovanile , erasi ‘con gioia partito da un paese , ove regnavano il’ abbon- danza e la ‘pace, per wWiaggiare fra barbare nazioni : ora, in età matura ‘ma ratiristato dallo spettacolo e dalla spe- rienza dell’ingiustizia e della persecuzione , era solito a 269 - dire, che con squltelui diffidonza si recava fra un popolo libero ad implorare nn asilo per un amico sincero di quella libertà profanata . 3 uox® Questo viaggiatore, valicati i marì per cercar la sua tranquillità , si trovò esposto ad una aggressione d’ un celebre filosofo qual era il dottor Priestley. Sebbene il soggetto della disputa sì riducesse all’ esame di alcune opinioni speculative, che lo scrittor francese aveva espo- ste nella sua opera intitolata Ze Rovine, quel fisico lo assalì con tutta quella violenza che nelle aggiunge alla validità degli argomenti, con tutta quella villania di espressioni, che disconviene ad uno scienziato . Ma il sig. de Volney, trattato in quella. diatrita, d’ ignorate e di ottentotto, nella sua difesa seppe trar vantaggio dai torti del suo avversario: scrisse la sua risposta in lingua in- glese; e i compatriotti del dottor Priestley dalla delica- tezza e dall’urbanità di quella soltanto rigonobbéro che ne era autore un francese . Mentre il sig. de Volney tuttavia dimorava in America erasi formato in Francia quel corpo letterario, che sotto il nome d’ Istituto in brevissimo tempo prese posto distinto fra le dotte società europee . Il nostro illu- stre viaggiatore vi fu ascritto fin di principio ; e quindi acquistò nuovi titoli agli onori accademici che gli erano stati decretati nella sua assenza, allorchè rese pubbliche le sue osservazioni sopra gli Stati Uniti. \--. Questi titoli crebbero di numero per le opere isto- riche e filosofiche del nostro accademico: l'esame e la giustificazione della cronologia di Erodoto, le numerose e profonde indagini sull’isioria de’ popoli antichi occupa- | rono lungo tempo quest’ uomo, che aveva esaminati i loro monumenti e le reliquie delle sue gr andezze nelle regioni stesse da quelli abitate . L’ esperienza dell’ utilità 279 delle lingue orientali aveva in lui Acstaiton un vivo desiderio di propagarne la cognizione; e per giungere a questa me- ti conosciuta avea.la necessità di renderne meno diffi» cile lo studio e l'acquisto. Il perchè ei formò il progetto di applicare allo studio degl’idiomi asiatici una parte di quelle nozioni siiimsiatiaticali che abbiamo sopra le lingue, europee. Potrà giudicare della possibilità di ioviidarlo ad effetto chi conosee la dissomiglianza o la conformità che possa fra questi idiomi; ma possiamo asserire che egli ri- cevè il voto il meno equivoco, e il più nobile incoraggia- mento per l’ esecuzione, allorche fu escritto a quella dot-. ta e ormai celebre società, dal commercio A formata nella penisola dell’ India. - Il sig. de Volney ha dichiarato il suo sistema in tre opere le quali dimostrano, che «il progetto di ravvicinare nazioni disgiunte per immensità di distanza, per diver= sita di linguaggio non ha cessato di occuparlo da venti- cinque anni in poi. Ma temendo che questi suoi tenta- tivi, de’ quali egli aveva già cominciato a sperimentare l'utilità, potessero alla sua morte rimanere interrotti , colla stessa gelida mano, colla quale corregeva l’ultimo suo lavoro, destinò nel suo testamento un premio per chi sì accingesse a continuare quest'opera. In tal guisa anco al di là del termine di una vita interamente consacrata alle lettere, egli volle procurare la continuazione de? gloriosi servigi che a quelle àveva resi vivendo. Non è questo il luogo, nè a me appartiene pronun- ciare giudizio sul merito degli scritti del sig. de Volney: Il suo nome registrato nel ruolo de’ senatori, e quindi in quello della camera de’ pari; aspetta altronde questo giudizio . L'insigne filosofo che aveva percorse le quattro parti del mondo, sottilmente osservandovi lo stato ‘sociale } i i 274 oltre la sua gloria letteraria possedeva altri titoli per es- sere ammesso in questo luogo. La sua vita pubblica, la sua presenza all’ assemblea costituente, la libertà de’ suoi sentimenti, la saviezza e la fermezza delle sue massime, gli avevano meritata la stima di quelli uomini integer rimi; co’ quali piace trovarsi nelle discussioni politiche. Niuno più di lui pretender:poteva chela sua opinio- ne prevalesse ; e niuno più di lui prescriveva tolleranza rispetto alle altrui opinioni. ‘Tanto nelle assemblee di stato, quanto nelle adunanze accademiche , nelle quali sì gran. copia spargeva di lumi e di dottrinà, dava il suo . voto a norma della propria coscienza, sempre ferma e irremovibile; ma da saggio ei dimenticava la superiorità de’ propri meriti fino ad ascoltar le altrui opposizioni , a contradirlé con moderazione, ‘e talvolta a restar dub- bioso.. L'estensione ela moltiplicità delle sue cognizio- ni, la forza del suo raziocinio, la gravità de’ suoi ‘co- stumi, la nobile semplicità dell suo carattere gli avevano acquistate illustri amicizie nell’uno e nell’ altro emi- sfero — Ed oggi, dappoi che tanto sapere in una tomba si estinse , sopra la quale una desolata consorte rammen- ta piangendo le virtù e le pregiabili qualità d’un com- pagno che seco visse felice; possiamo a buon diritto di- - re che egli fu del piccol numero uno di quelli ai quali i, concesso soprav vivere oltre il ni vaga M.. DE CHATEAUBRIAND Lettres Normandes Paris 1820 S. non si dovesse giudicare se non che del me- rito letterario di certi scrittori, io nvasterrei dall’esami- 272 nare il carattere della maggior parte di loro; e quan tunque la vera eloquenza non possa andar dis giunta dal talento e dalla virtù, non m’impegnerei in una ricer- Pal che potrebbe esser tacciata d’odio, o d'amore di pare te. Quindi io non starò ed esaminare, se il carattere po- litico del sig. de Chateaubriand è tale da inspitare una : grande fiducia; se il sistema di opinioni da esso adotta- te non è altro che il prodotto d’un calcolo; se la sua condotta ondeggiante e diversa dopo la rivoluzione non ci dà il diritto di negargli il merito d’un intima persua- sione, quando ei si fa l’apostolo dei tempi antichi, e di una fede sincera, quando perora la causa della religio- ne e della morale. Lungi da me tali questioni, è fino ad una più completa informazione dichiaro il sig. de Cha- teaubriand realista e religioso di buona fede . Io mi con- tento adesso di promuovere alcuni dubbi sulla pueseni del suo talento e sul merito delle sue opere . È « Quanto ‘a Francesco Augusto di Chateau Laces » (diceva Chenier.) a riserva; ridi alcune espressioni da » esso udite sulle rive del Meschacebé, egli ha inge- » ‘gno, talento, immaginazione ». E questoèa parer mio il giudizio più vero che sia stato proferito sull’au- tore d’ Atala. Egli è un uomo di talento che si fa le- cito di far uso di strane espressioni è uno scrittore che sdegna esser classico, ed ha in ciò torto maggionay per- chè in tal genere potuto RABIONE rivaleggiare co’ nostri buoni autori. Il più infimo letterato conosce questa verità, che le lingue cioè hanno al pari de’ popoli un’indole dini ersa. Una vuole esattezza, un’altra non si offende d'un certo disordine. Questa sparge in copia le imagini e le figure; quella esprime i pensieri con semplicità; unidioma con- cede di creare a chi l’adopra vocaboli nuovi, e di com- . | ; 273 porre nuove espressioni per mezzo della riunione di va- tie espressioni ‘antiche. Il Greco, il'Tedesco, e talvol- ta l'Inglese non sdegnano tali licenze. Ma all'opposto in Francia il primo merito è l'ordine e la chiarezza. L’i immaginazione temperata dei. francesi ‘esige sopra . tito cose semplici e conformi alla sana ragione. ‘ Stabilito una volta che ciascuna lingua ha la sua indole particolare , nasce da questo fatto la conseguen- za ; che lo scrittore deve rispettare tale indole nelle sue maggiori libertà, ed anche nell’imitare le lingue anti- che deve tammentarsi d’ esser francese: Per essersi al- lontanati da questo principio , per aver voluto parlare greco e latino in francese, i nostri primi poeti ancorchè dotati di molto.ingegno nòn ottennero se non che un momentaneo successo, e la loro fama divenne ridicola agli occhi della posterità . Così Ronsardo non ebbe che una gloria di cinquant’ anni, per quanto grande fosse il suo ingegno. Egli imitava il greco e il latino con sì scar- sa economia, che'lecito gli pareva il precetto Oraziano di crear vocaboli; licenza che il gran Cornelio medesi- mo non potè prendersi con onore. Ma quando Ronsardo scriveva, la lingua latina avea ‘invaso la letteratura, 1 collegi non intendevano altro idioma, i letterati scri- veano e»prosa e versi soltanto in latino. De Thoui istes- so stendeva la storia in detta lingua. Ronsardo potè dunque ingannarsi; ma dopo due sui di gloria , dopo che Racine; Pascal, Massillon,. ‘Labruyére, Voltaire, Rousseau ie ‘Buffon bali fissato la lingua asseguandole confini inviolabili , quale scusa. può. avere un autore che tenta di renderla ebraica, orientale, o che si sforza di farle adottare le figure dell’idioma dei Natches,. degli abitanti dell'Ohio, e del Mississipi ? Dopo che la leo latina, sotto la penna di. Cice- T. 1. Febbrajo 18 274 rone , di Virgilio, di Tito,Livio e di Sallustio fu giunta alla perfezione di cui era capace, Seneca non sperando più di levarsi in grido col camminare per, le. vie usate; credè che mettendo a tortura le. sue, espressioni, ,smi+ nuzzando lo stile, avrebbe, dato nuova giovinezza alla lingua e.si sarebbe posto a lato dei grandi, maestri. Do+ po venne Claudiano con le sue ampolle, Stazio. con le imagini esagerate, quindi gli scrittori della Chiesa , che rincararono su i loro predecessori, e fecero passare nel loro latino gli aberramenti d'una immaginazione orien- tale; s. Agostino e Tertulliano Lai il , e «cessò. la tisi latina . Burlavasi il Voltaire cli quegli scrittori pi Gti cn poeticamente di fisica: e che avrebbe ‘detto, sè avesse ‘veduto trattar la morale per mezzo d’immagini, ‘e. la politica per mezzo di comparazioni ? Che: avrebbe detto del re degli spaventi del celibatario dei mondi del segreto melanconico che la luna si. compiace dt rac- contare alle grandi querce , della vergine degli ulti- mi amori, del genio dell’ aria che scuote la sua. chio- ma azzurra.in.un cielo grigio di perla ; e di mille al- tre frasi non meno ridicole? Non! sarebbe ‘forse stato preso il Voltaire dal riso inestinguibile degli. Dei alla spetto di Vulcano zoppo: e deforme? Poche maschie bel- lezze; poche vigorose espressioni avrebbero, forse al suo sguardo ricomprato tali difetti, e frasi cotanto. bizzarre? È fama che il sig. de Chat utirizaAi ritornatò dal- la emigrazione andasse: a far visita, ‘Ad uno dei suoi vec- chi amici , il fu G ... distinto scrittore, ed uomo che ha sempre avuto e i sicuri. du: patriottismo. cIrrod ,: Che partito siete voi per prendere? disse questi al »» sig. de Chateaubriand ; ho letto il vostro Saggio sulle > Nazioni, vi; sono delle cose arrischiate ma 1’ inten- ìì ; x 279 3; zione è buona: volete continuare per l’istesso sentiero, sta) adottando la.scuola dei classici; ;e difendendo la, liber- 39 tà? » Mi sentirei. inclinato,;! rispose; il/giovine scritto- reza 10n dipartirmi dalle regole letterarie che forma- rono, Racine,e, Pascal, ma l’arringo è corso ,.il,posto è preso, e bisogna aprirsi altra via. Riguardo alla politica, xi sono molti ingegni che difendono, i princip) della rivo- luzione, ed io mi troverei esposto ad una,concorrenza per ricolosa: Ma non. vi è alcuno -che:prendà a. difendere le ‘opinioni contrarie; e in conseguenza ay tò Vantaggio mag- giore ‘sposando questa; causa: Quindi;sarò realista, e ra: gioso -..77 Sarete bizzarro nella letteratura; e falso. nella politica ; rispose i] sig.:(G..i. + Dopo ciò si lasciarono, e il siga de Chateaubriand fu di parola!.' f niogiPosta la: verità! di questo! sbeddato, sì ha la Diiate Pea condotta del: sig»de Chateaubriand, e da spiegazio» ne:delle.sue ‘opere ;;»e sarebbe necessario: di, metterla in fronte all’ edizione iceompleta::délle, medesime: per; por- puo ‘nel; tempo!stesso il veleno e l’iantidoto Egli.è centò | però:che.l sig. de Chateaubriand:in!yecédi successi vera» mepte:legittimi mon ha ottenuto, se non:che; una gloria incerta. Egli.si! è per così dite , collocato sugli estremi corifini della! letteratura ‘francese j'e:me ha: segnato. il | limite della decadenza} così chevse'la sua: scuola trionfa ‘questa decadenza) è sicura . Anzi:il:peritolo: è talmente cinmnminente; che anche. diversi partigiani del.;sig.«Cha- teaubritand si. sono crediti in:obbligodi farlo avvertire. Nel Giornale des:Debats si è itedutovib Sig Hoffman provare y assai meglio di quello:che:nodpotremmo!:fare;, ‘quanto: male il isig. Chateaubriadd ha fatto alla debtera- tura, quanto«sono fallaci. le sueibellezze; quantorla' sua scuola può diventare ! funesta. | Nomsi) può negare che egli non'abbia fatto strepito;.solita condizione delle cose 276 straordinarie; ma esse passono in pochi giorni. Quanti gran' riomi non ‘abbiam veduti ecclissarsi;; dg gran ‘di ini ‘no abbiam veduto distreiggerdi pe ili ih ‘Ho parlato' dell’ autore dei Martiri ‘nella ‘sola relài zioneAlle forme del suo stile ; ora si trattadi dirneunà parola come mòralista, e come pubblicista. | 0.00 ‘ Continuamente egli ‘parla di religione e di monar- chia , insigni vocaboli che cadono spessissimo dalla sua penna. Ciò va bene y}ma ‘che direte ‘voi'se io vir provo, che i suoi scritti sono zeppi di pensieri ‘opposti ‘alla ’mo- rale , e che ‘in nome della religione ‘egli precipita’ di s0- Vene in un vero paganesimo? Comincierò dal rammen> tarvi, se me lò concedete; la dissertazione sul mumero tre, che egli ha messo ‘alla fine del igezio del cristianesimo. Chi poteva'aspettatsi di:trovare nelle note àd: un’opera, che ha fama di religiosa; una dissertazione ‘che:itendé. a stabilire il carattere sacro del numero tre? Giò» quanto ‘alla religione. Quantoralla» ‘morale; ilsig.«de Ghateaubriand da rispetta egli.sempre? Chiamasi rispettarla il presentar di continuo la debolezza :dell’amore } come una! perfe- zione di' più nun cavaliere fin ? ‘5 Non ‘sarebbe gentilezza, dice il sig. de Chateaubriand; biasimare ile de: | bolezze amorose: nella patria id’ Agnese, e di;Enrico:IVo3 :A me pare che'sarébbe-anche peggioldi,considerarle ca- me virtù. Si è egli dimenticato il sig. dé Chatéaubriand,che Ja'continenza è una condizione necessari per umdevoto; e il panegerista idella! morale. doveva mai ;avvwilirsi. al segno di far l'elogio idell’incontinenza; é.l’apologia dell’ adulterio? Gli scrittori»monarchici trattano Enrico IV. da loro nemico, quando nel novero .delle sue eminenti qualità e de’ suoi'titoli all’ amore del.popolo: vi ipseri- scono le prodezze poco gloriose dell’amante diGabbriella d’ Estréés. Se Enrico IV. non avesse avuto altre virtù, 27 da lungo tempo si sarebbero dimenticate le felici con-. , quiste d’ un piccolo principe Bearnese, nè la. posterità collocato lo' avrebbe fra i grandi Monarchi. l (Il moralista Rousseau è rimproverato per aver fatto la Nuova Eloisa: e che dirassi del moralista Chateaubriand, che in nome della virtù e della ‘monarchia ;ci narra V'i- storia d’ un fratello incestuoso, che guarda con occhio di concupiscenza la propria sorella‘ e si. diletta di farci una pittura de’ violenti amori d’ Eudoro è della druides- sa Velleda? Tali erotici quadri erano da lasciarsi agli scrittori che parlano meno di morale e di religione. Cor- nelio non ardiva confessare di avere avuto parte nella Psiche; la'Fontaine si puniva col cilizio per'aver scritto le sue ltovdlles S. Agostino spargeva lacrime d’amarezza sugli illeciti piaceri goduti nella sua gioventù. E° questa i una triplice satira della morale del sig. de Chateaubriand. Debbo ora esaminarlo come scrittore politico? Ho già osservato che era poco conveniente lo scrivere la po- - litica nello!stile dei salmi di David, e parlar degli amori di Rodrigo e di Chimene a proposito della rivoluzione di | Spagna. Ma questi rimproveri sono eglino i soli che pos- sano farsi su ciò al sig. Chateaubriand? Si distingue egli forse per una logica severa, e per l’esatta e rigorosa de- | duzione delle conseguenze? Quando egli pretende appog- giare i suoi argomenti alla religione e alla morale, questi grandi vocaboli non sono eglino d’ordinario per lui piut- tosto un oggetto di declamazioni, che di ; giusti raziocinj, e di lucido svolgimento di principj? Non ha egli troppa ‘somiglianza con i politici scrittori, che cominciano dal | porre come vera una proposizione dubbiosa, e quindi su tale proposizione argomentano come se la medesima fos- se un assioma? Non parte egli sempre da principj falsi, come i seguenti: i liberali non vogliono dinastia reale ; ; 278 non vi è più religione in Francia; non eravi ostacolo ve-. runo alla rivoluzione; i suoi eccessi sono stati commessi a pura perdita, ed alti dello stesso genere? I sofisti nòn hanno altro mododi procedere; ma sela maggiore è sempre falsa nei lore ragionamenti ; tuttavia ne seguono essi lo- gicamente.la serie; ma il sig. de Chateaubriand non: cono- sce quasi punto la connessione delle idee; nè le loro de- duzioni. Di questo scrittore PRETI può dirsi quel ehe Rousseau dice simultaneamente di Hobbes e di Gro- zio: ,, Hobbes s'appoggia su i sofismi, e Groziò sui O nel. resto è comunanza tra loro ;;; Sono pochi gli'scritti del sig: de Chateaubriand, nei quali egli ‘abbia sviscerato le più importanti questioni della politica: Difficilmente si nen comprendere cheque» sto scrittore abbia familiarità ‘c0’ diversi pubblicisti mo- derni; ; poichè cita Omero più spesso di : Ln e la Bibbia più spesso di Puiffendorf. 670 Ou In generale le sue ‘teorie'altro non sono che'il parto” d’una fantastica imaginazione. La sua monarchia ela sua religione sono simiglianti agli Dei che gli antichi giornal+ imente invocavano senza ‘conoscergli. Sono esse come ie parole d’ordine, e le forimule di giuramento, che' ogni soldato sa a mente, ma nor ne intende il significato. E° questa la mia opinione in riguardo al sig. de Gha- teaubriand. Trattaridosi d'un personag sio costituito in dignità, e per altra parte d’un ingegho distinto, hiò giu- dicato dovermi attenere alle forme più serie ec. 7A LETTERATURA POESIA Davip. Poema del Conte CortLOoGON. P 9 autore di questo poema ha attinto l’ argomento dalle sacre pagine, vere fonti di eloquenza , e dei su- blimi voli della poesia. Al solo nome del Protagonista si ravvisa uno di quei personag gi veramente. adattati all’epopea, nei quali campeggia il grande , il divino, e il vero mirabile ; onde sebbene l’autore si fosse limita- to a farla da nudo istorico, non gli sarebbe mai ac- . caduto di tessere una favola insulsa. Un avvenimento tolto dalla Bibbia verseggiato in modo degno del sog- getto, ancorchè non riescisse un buon poema, rimar- rebbe nondimeno un bellissimo lavoro. Questo è l’ utile e il danno ad un tempo, che n°’ è ridondato al sig. Coetlogon , nell’ avere scelto questo argomento; sem- brandoci che si sia ben servito del primo, senza aver sempre saputo scansare il secondo. Si scorge a prima vista, che uomo religioso , com'è ,\per riverenza al sa- cro testo, non ha voluto slanciarsi, come poeta ; e ha inceppato la sua fantasia , restringendola dentro i limiti di una timidezza portata allo scrupolo , da cui non sa» rebbe stato frenato, com’ è da credersi, in qualunque altra ‘circostanza . Ma cosa poteva fecale di poetico in simil caso, e cosa trovar di meglio della. Istoria di David, come è stata a noi tramandata dai sacri volu- mi? Fra tutti gli uomini straordinarj contrassegnati dal dito di Dio, per farli istrumenti dalle sue grandi mire sugli uomini, nessuno ebbe. un sigillo più divino , e più poetica impronta ,.se pure è permesso l' esprimersi intalmodo. Le lunghe prove, a cuila sua vocazione met- de 280 te a mano amano il suo coraggio, la sua generosità, e la sua stessa debolezza , concorronoariunireinluituttii re- quusii, che formano TIR epico in grado sommo; il cui maggior difetto sarebbe il non avere alcuna triatcllia, Il pietoso Enea non potrà mai commovere. , non desi- stendo mai dalla. sua pietà sempre fredda, ed uniforme, che invece gli è di pretesto per adombrare una infedeltà la più vile, che mai fosse; ma Achille muove il nostro animo , e lo trae seco , perchè è violento , impetuoso ; incassablilei; ha insomma i vizj, e le virtù delle anime grandi . Valoroso guerriero nel campo, re grande nel trono e sempre l’uomo secondo la mente di Dio, anche fra le debolezze , di cui si lava con si pronto, e verace peutimento ; ecco il ritratto del figlio di Gesse, il ve- nerato tronco di quel ceppo cantato dai profeti, da cui deve germogliare il salvatore del mondo , il divino fon- datore della nostra religione ; ecco )' eroe della muova epopea . Dico 740va ; sebbene questo argomento ma- gnifico , e bello avesse destato la musa feconda del me- ‘schino Coras, che ha fattoi poemi di Giosuè, di Sansone ; e di David, e la Virtù coronata , ma essen- do compresi nell’ anatema , con cui l’ inlaia Boi. leau avea percosso il fianai dello stesso poeta , seguita- no ancora a seccare nella polvere; dalla quale nessuno si e dato cura di sottrarli, dopo un secolo, e più. Si può dire veramente .in letteratura, e più che mai in poesia » Chi è morto, è morto » .. Il terribile Boileau, alla cui sferza satirica niente sfuggiva , che fosse sta- to difettoso, o ridicolo, fa menzione anche di un altro David , il quale benchè dato alle stampe, non era venuto al. giorno, cioè stava miseramente rac- chiuso nel magazzino del librajo. Desideriamo incon- dh 281 tro. migliore al poema (dal Sig. Coètlogon, e: gli augu- riàmo un ‘destino diverso da quello de’ suoi anteces-, sori. Forse non passeggeremo sempre fra le rovine scor- rendo i campi finora. sì poco fruttiferi dell’ epopea francese. La necessaria, unione della. ragione, e del- la fantasia fra.i popoli» moderni, è quello, che. più di altra cosa non si.trova in chi con.troppa superficia- lità: si è dato ad. opere sì faticose. Quelli che hanno cercato di essere soltanto. savj , sono riusciti freddi, e mon hanno infiammato .il lettore , che non si è la- sciato trasportare «in un mondo da loro creato, ove vo-. levano pure trascinarlo con essi... Perciò senza il Mac- chinismo non vi è scampo per un poema epico; ma di. dove toglierlo ai mostri tempi? Come adattarlo al ri- gore dei presenti usi, senza farlo scaturire di sua na-. tura. dal soggetto levato da’ tempi, in cuii pregiùdizj e la superstizione autenticavano alcuni -prestigj;, che altamente consolidati dall’ uso, divennero coll’ andar del tempo una parte del credere, e formarono l’ani- mo di una nazione ? ‘Tal era tra i figli d’ Isdraello il potere della magia, che non. potè esser mai bandita dai precetti severi del Levitico , e dalle pene solenni, in un popolo , che si credeva oppresso, perchè doveva star sottoposto alle leggi; e che non contento del, pre- sente; e inquieto del futuro , cercava nei sogni del suo fanatismo un rimedio, o almeno un futuro alleviamen- to ai.mali, che sidava a credere maggiori di quello, che realmente si fossero. Una maga dunque è ben collo- cata in un poema , che appartiene a quest'epoca, come la Sibilla di Cuma nell’ Eneide di Virgilio, In questo caso il macchinismo è istoria , e il poeta racconta, e non crea ..Anche i caratteri, parte sì integrale del poema epico, dispensavano. il poeta dall’ obbligo . d’ inven- di va 282 tare, essendo stati dipinti dall’istoria. David, Saùl; Mi- col, e gli altri personaggi, che: nell’ azione fanno: la ssconda figura, sono tratteggiati ‘nella; Bibbia :con. co- lori sì veri, sì energici, e con'tanta maestria sì op- posti fra loro , che il merito , ela gloria del pittore sta ‘solo nel mostrarsi fedele ‘all originale. A questi diversi vantaggi del:soggetto , considerato per Ja parte poetica,.si aggiungono la maestà degli avve- nimenti, e il valore delle loro conseguenze morali per Yincivilimento dell'universo; benefizio che dobbiamo solo all’introduzione del ehivtbeesinò Perciò 1: destini del genere umano erano tutti riposti in mano di David, e dipendevano dalla sua maggiore , 0 minore fedeltà alle promesse ricevute; all’impegno , col quale in certa guisa si era legato con Dio. Qual ‘epopea vi fu mai congiunta a fini più grandi, e più nobili? Ma qual incarico;era quello del poeta; che si dava a maneggiarla? Sarebbe stato un gran fare, il non soggiacere ‘affatto sotto un simile peso. Che si dirà dunque di chi 1’ ha saputo in qualche maniera sostenere? Formeranno sempre un meritoincon- trastabile al‘sig. Coètlogon i tanti lettori, che fuor di dubbio si acquisterà fra i leali seguaci della religione e quelli delle lettere, mossi da un doppio fine a far sì, che abbia felice incontro un lavoro, che può ridestar sempre più in essi il fervor religioso, e l’amore per la poesia . Ne ri feriremo qui alcuni squarci. L'ombra di Samuele apparisce a Saul, e prorompe in queste terribili parole: O tu'chi sei, che disturbare! ardisci Le leggi di natura, e un empia maga Scongiurar, che favelli, e t'apra al guardo Il fatal velo, che il futuro asconde? Che d’uopo hai di costei? Nè il cor ti dice Che di te stanco ti abbandona Iddio ? 283 La tua corona nellà frontè passa Dell’ avversario tuo caro al Signore? Son noverati i tuoi delitti ; hai pieni Del viver gli anni. Le. tue molte schiere Tu stesso ; il figlio tuo, siete di Dio © Abbandonati alla terribil destra , Che or tua baldan2a atterra. All indomani Tutti con me sarete entro la tomba. Disse, la morte alla sua preda intenta L’afferra, e il tragge ai regni atri d’Inferno. E’ nota l’amicizia di David per Gionata, per questo figlio virtuoso di un padre sì reo al cospetto di Dio, e de’ suoi popoli; ognun sa di qual doloroso lamento ono- rò la morte di questo principe giovinetto; gloriosamente caduto estinto nei campi di Gelboè. E° questa una delle norme, e forse la migliore della elegia eroica. Il sig. Coèt- lagon non ha trascurato di abbellirne un poema, in cui vi doveva aver luogo di sua natura . Son questi i com- passionevoli detti, che la sua musa suggerisce a quella del re profeta. Così esclama David. Gionata amato prence, e mio fratello! O solo amico in sì funesta etade! Tu mori! ed io ti perdo! ah! l’ira mia j Tema chiunque ti condusse a morte. Giuro, che questa man vendicatrice Verserà sangue a fiumi... O furor vano! O Gionata diletto! o inutil duolo ! Amico mio, non ti vedrò più mai? Come, in mezzo ‘al cammin della sua gloria Morder potea la sanguinosa polve? Come perì l’onor di questo suolo? Chi ha potuto ferir Gioriata mio? ‘ 284» RE L’Ecirro. Ditirambo del sig. GruseppE Acovs, 49 vine egiziano ‘stabilito in Marsiglia, ‘Salut aux plus anciéas monumens, Qui soient sortis de la main des hommes? ij SAvary. Lettres sur l’Egypte. Revue Encyclopédique; Octobre 1820. Da greco suolo e l’arti spente, e. i numi den Non ‘vidi io forse di Lutezia i figli Portar a muova vita, a nuovi ‘lumi? E all’armonico genio che gl’ inspira Fidi, d’oblio ritor dai neri artigli’ I sacri avanzi 'dell’aonia’ lira? \ Per queste piaggie Dell’ alme suore Le dive ‘ascoltansi Voci canore. E il prato echeggia, E il colle aprico: » I bei di sorsero Del tempo antico.» Ed io figlio del Nilo, che a stento Reggo al fuoco dell’africo sole, Che bollir ogni vena mi sento, Muto starmi qui sempre dovrò? Sulla Senna un dì spinto dal fato, Seguirò di chi inerzia sol cole: La vil traccia, e, qual’ospite ingrato Giorni vili, ed oscuri trarrò? 285 No, non fia; d’ una sorte ‘più nobile Affrontare i perigli saprò. . O Patria mia, che tanti regni ‘e tanti Nel mar del nulla maufragar. vedesti, Sola ferma ‘ai destini, o tu che ai santi Numi, ai saggi , agli eroi superba desti E vita, -e cuna,‘onde famosa vanti Glorie, e id e il mondo intero arresti; O sommo Egitto al nome tuo già il core Invaso ho tutto di febéo furore. Nel mio pensiero immagini sublimi Tu al vivo imprimi — dell’ etadi scorse. Muovon dall’orse, — e dall’ empiree sfere Mille e mille ombre altere . . ..— Ecco le veggio Posar lor seggio — di tue torri in vetta. — Ort non più- stretta — da confin ‘mortale Scuote l’ale — quest’anima; ed il volo Libera drizza oltre ‘le vie ‘del polo. Ah se è ver che degno figlio, Madre ‘avgusta, a te pur sono, In me splenda il largo dono Dell’ antico' tuo valor. Di ‘corona'oggi le tempia Cingi, e regna entro il mio seno; E ciaseun’ti ‘renda almeno Ne miei carmi il’ primo onor: Debbon’arti, e vittà; debbon la gloria Roma alla Urechis e l'Universo a Roma; Ma senza te virtudi, ed. arti, e gloria Avrian la Grecia, l'Universo, e Roma? Nulla era Atene; pe’ deserti suoi Dormian le genti ignote... — A un sol tuo cenno Cecrope appar dall’onde, ei numi tuoi, | 286 L’auree tue leggi in un le reca e il serino. Allor fu Atene, allor fu Roma; allora Venianò; grati all’aluma tua mercede, |. | I regni esperj,;e i regni, dell'aurora... |. Proni «d’Egitto a riverir la ‘sede... E tu sul carro assiso,, |. Qual si conviene a un, Dio, Con: placido sorriso ,. | Scorgendo il lor desio: Ne rinfrancavi/.il cor. Sotto le rote stridule «Miravasi: frattanto: Di, mille regi infranto Lo scettro; nè una! lagrima Moveasi di dolor. I Ma'/.oimè! — Cadesti Egitto ... sicdnigra % sorte ! E che ,pùò !morte, 15 ie; Be i Sopra chi illustre «è nella tomba alessio Là fra la spessa Ardente sabbia. oh, quanti. mai. ne | furo Preda del, duro n Ferro mortal! — Costor. già, più non sono; Ben vivi tu, sebben perduto, il trono. I congiurati secoli dITaSÌ Sfogano indarno, contro. te la,,rabbia .7 Oh strana, meraviglia; Che la falce del tempo,a, cele» abbia E che. si franga!. Eppur sulle vecchie, ossa. D’alzarsi. ancora into; | Rimane al tuo cadavere la per: Al par di te periro Ins Numerose città, possenti regni, Nè restam segni ; 287 Della memoria lor; vaste si apriro Sotto i lor piedi sibili caverne E vi precipitar; Ma invan te .l’ombre eterne Si sforzano ingojar.;. Dalle ruine . absro [osp Il venerando. crine' ! hi lo Scuotendo ancor: non i qui ini mia | ‘oscure Parli all’ età Lodi loa « Ah se in oggi cosìbrilla 0g Quasi: ultima favilla (i. Della | prisca tua virtù gi (00 Più Quando! ji pienbramici rai 00». | Ne spandevi ;ochi puòomai! +. U Tutta amoi.ridir qual fw? o Ne’ tempj tudir venianoni re stranieri uo: amori Ai grandi, ai santi sagrifici ‘intenti; (60.1 Re tu non vedi or più, più tu /nom»sentii] Voci festose, ma sol’urli fieri ioni 7 Liete suonar d’elisia melodia ;:5%; ;0 Di tue città s'udian le amene isponide ; Ed ora?... Ahi vista!.—.Il fango sol confonde Ogni prato, ogni colle, ;ed ogni via; T Pur troppo, allor che né’ tuoi, di» beati I veggenti scolpian magici ‘emblemi, Erano i tuoi futuri.;danni. estremi Allo stile profetico didati!.. (1 Sboccando il: Tartaro dalla. sua .tana,; Fin con sacrileghe mani, profana Le tue reliquie! d’antichità; Tuoi muri valica; ride insolente Delle menfitiche ceneri spente; E del tuo eccidio ghignando va. ì r 288 Patria infelice! —Di' rossor, d’ orrore Ti copri ib volto? — Sopra il vasto piano Getti dal Nilo un'onda dì furore ? Ahi! che facesti? Oh: Dio... Furore insano! ... La richiama al suo letto, ... ella si asconda , Schiava è quell’onda. ogigi Patria infelice! Ah piangì-i figli ‘estinti; | Essi:ti fean gloriosa; :...: essi; rammenta, Dalla crudel’ Atropo sol. fur vinti. La porpora dei né, mira; diventa Sul dorso tuo tristo, fanèbre ammeanto . — Vivi nel pianto. (n! Patria infelice! ‘Quelle tue piglio! Che fra l'orgoglio aricora' e fra’l1 disdegno Legaro il‘cor ‘di mille amanti «e mille, Smorte sonfatte .(- Con feroce sdegnò Levasi contro: te» per ogui lido Di morte ‘il ‘grido. 7 Tu mormeri invano» : Di tanti nemici; Del fato inumano Lo schierzo-sei tu. | Ti'mancan gli ceroi} |’ "Ti restan le ingiurie ; 1! . Nium v'è che le vendichi , Sdegnosa non' puoi dn Risorger miai ‘più. È questa la ‘promessa , è cin ‘0 Dei gi D’ Osiride 1 impero ?: 109 1 Stabil promessa invero! Non produce! l Egitto, 10». Da barbare ferite il ‘sen Rici , Che figli rei 999 239 Diva Ombra di: Sesostri sil ferreo Sono C Che si fe donno Di tua forza vital, ‘scuoti 110 ‘inicalza. Oggi t'innalza ‘’ Dal polveroso avello ; e fino al cielo © Ti libra, e il velo Togli' al tuo guardo. — Le città, i deserti Vedi coperti Dall’ odrisia coorte, Ch’ avida impose al Nilo aspre ritorte. Tu degli empj di Giove gli strali, Dei: mortali terror, sulla testa Vibra, e veggansi al suol traboccar. E sull’alte piramidi altero All intiero Universo ti appresta ; In tua possa le leggi a dettar. Ahi me lasso! che parlo? Ove i miei voti è Ebbro rivolgo io mai? —. Gli eroi discesi Nella notte profonda e quando resi Furo al pregar de’ cittadin devoti? Superbo, avaro l’Erebo li afferra, Sordo sempre alle grida della terra. FiLippo CicoGnaAnI. VI: I Febbraîe 19 290 RAGGUAGLI BIBLIOGRAFICI LIBRI FRANCESI 16. Voyages dans. la Grande-Bretagne ec. Viaggi nella Gran-Bretagna intrapresi relativamente al servizio della guerra e della marina, e dei ponti e argini nel 1816, 1817, 1818, 1819 da CARLO DuPrin membro dell’ istituto e della legion d'onore, officiale superiore del corpo del genio marittimo; ec. Parigi in 4.° presso Bachelliers. ; E’ cosa degna d’ osservazione che la Francia > giunta da quasi due secoli all’ apice della civiltà e d’ ogni cognizione , sia rima- sta spettatrice indolente e quasi non curante della prosperità dell’ mghilterra. Paga di una preminenza letteraria, che l'Europa debolmente impugnavale, parea che la gloria del ben dire bastar dovesse del pari all’ orgoglio e ai bisogni della nazione. Nè è da farsi maraviglia che l'orgoglio della nazione interamente si rifu- giasse in seno delle lettere, unica distinzione in faecia alla quale abbassavasi l’inflessibile resistenza de’ privilegi. Riguardo ai suoi bisogni essi erano compressi non ineno delle sue facoltà. La ric- chezza d’un suolo mal coltivato e i prodotti d’una industria sen- za vigore erano pur sempre bastanti per sovvenire alla miserabile sussistenza del popolo, e alla fastosa prodigalità di pochi favoriti dalla fortuna. Perchè dunque andare in cerca di là dai mari di nuovi lumi sopra il governo, sulle istituzioni , sulla cultura, sulle arti? Perchè trapiantare sul nostro suolo germi destinati a pe- rire prima di nascere’, come quelli che non poteano essere fe- condati fuorchè dalla libertà, che altri non volea, ed altri non potea conseguire ? Quindi sotto l’ antico regime nulla eravi in Francia di più raro o di più scoraggiato dell’introduzione delle idee inglesi sull’ economia pubblica o privata , che il governo trattava, per così dire, d’opposizione. Intanto i nostri vicini niu- na cosa maggiormente desideravano, quanto di secondare questa repugnanza tanto vantaggiosa alla loro gelosia nazionale ; e men- tre che le loro mani operose appropriavansi segretamente il frutto delle nostre scoperte neglette, essi opponevano non solo le più grandi difficoltà a qualsivoglia conquista del nostro commercio su i segreii delle loro arti e della loro industria, ma eziandio ( come la rivoluzione lo ha fatto vedere) le più forti resistenze a Ù 291 qualsivoglia tendenza delle nostre leggi e de’ nostri costumi verso l’adozione delle loro franchigie . L’opera della pace di Amiens poteva esser quella d’ un in- tima cominutazione di pensieri e di esperienze frai due popoli; ma questa pace non fu se nonche una pausa sotto gli allori di guerra; l intelligenza d’un popolo con l’ altro non ebbe campo di sta- bilirsi; ‘e se il capo del governo francese la desiderava per le relaziouvi commerciali, la temea per le relazioni politiche Ed infatti una ‘piena cognizione della costituzione inglese mal ci avreb- -be preparati al godimento delle costituzioni dell’ Impero . thai tutti gli ostacoli son divenuti facilità ..;Da una ‘parte le relaziàni ba pabiahe esistenti fra i due ,governi impe+ gnano il ‘nostro ai procurare con mezzi prossimamente simili a quelli del governy inglese, effetti poco diversi; dall’ altra un sentimento più generoso e meglio inteso dai, veri interessi na- «zionali fa coder a’ due fagli che la loro scambievole feli- ‘cità andrà aumentondosi ‘con tutti gli aiuti d’ una reciproca he- nevolenza. Avvi dunque un doppio ravvicinamento fra l’Inghil- terra e noi, l'uno di governo a governo, l’altro di popoio a popolo; e mentie che i pubblici personaggi spediti a Londra dai nostri ministri riportano nel consiglio; secondo lo spirito delle, ‘istruzioni avute , l’accorta scienza della elaborazione delle leggi e le segrete pratiche dell’ amministrazione, il commercio, le ma- .nifatture e le arti delle due nazioni si arricchiscono a gara con le abituali comunicazioni dei viaggiatori particolari . Le operazioni degli uni e degli altri possono senza dubbio ‘presentare materiali o utili meditazioni al pubblicista, al filosot), allo speculatore; ma se vi fosse un cittadinò il quale senza pub- «blica missione e senza personale interesse, acceso unicamente dal- l'amor della gloria e della patria, avesse fatto a sue spese varii ‘viaggi in Inghilterra per cercarvi tutto ciò che in) Francia può ‘diventar proficuo allo stato o agl’individui; se dopo aver messo ‘in ordine il prodotto delle sue fatiche o delle sue vigitie, lo pub- \blicasse con tutte qnelle sicurtà che porgono un carattere ono» ‘rato; e illustri talenti manifestati in cariche rilevanti, per mezzo di scritti d’ importanza , e di luminose ricompense lciterarie, egli x LI . . . . . ” ‘è facile giudicare con qual forza d’ autorità comparirebbe un'Ope ra di tal fatta, equali vantaggiose prevenzioni di zelo e di lumi, ‘di coraggio e d’ imparzialità accompagnerebbero la sia pulini- cazione. Tali sono i felici pregiudizj che sorgono in favore del ii D9R < bro che annunziamo;-tale è la reputazione logie gie sr 10 1 dovuta ai viaggi del Sig. Carlo Dupin .. tI Pia dal 1815 ( ei ‘dice ) vedendo,i nostri lavoranti militari della matina licenziati come il resto delle forze di terra ‘e di mare, î nòstri arsenali deserti , i nostri lavori quasi: intieramente sospesi , per la pubblica miseria , pensai che fosse questo il 'mo- mento di mettere a profitto 1’ ozio forzato dei nostri porti, onde visitare gli esteri stabilimenti, e misurare sulla faccia dei luoghi stessi il sapere e l’ energia de’ nostri rivali. Dopo:dieci mesi ‘d’ i- stanze e di rifiuti, d’ obiezioni ed’ indugi, ( ottenni il semplice per- messo ch’ io domandava , e'mi diedi a pettatrata l’ Inghilterra. Quel paese presentava Mot lo spettacolo più sorprendente che potesse offrirsi alle osservazioni d’ un Ufiziale ; it quale:da'quindici anni occupato di lavori e d’operazioni i nitriti y aveva ‘avuto sempre sott’ occhio i progetti ; il potere, e le glorie della Gran Brettagna . .... La miseria e la carestia si diffondevanò tacita- mente tra le infime classi del popolo vittorioso, il guasto'inoltravasi a poco a‘poco tra le classi più alte ... . allora io vidi cominciare; ed accompagnai cogli occhi, un disarmamento immensamente esteso. Vidi ridurre di numero e di forze i reggimenti levati e reelutati con tante spese e con tanti sudori dal 1793 fino àl 1813. Vidi i vascelli, disalberati dalle mani stesse che gli avevano armati, tor- nare a mettersi in fondo alle darsene accanto a. prigioni ondeg- giatiti , e divenire com’ esse deserti e muti. Vidi finalmente ‘il la- vorìo degli arsenali scendere a gradi da un’ attività senza esempio alla ritenta attività d’una pace, che da ciuque anni conta per fe- deli suoi conservatori la miseria de’ cittadini , e la rovina del pub- blico erario ;,. Il sig. Dupin spiega con quale spirito egli ha osservato 1’ In- ghilterra . ,, L’ oggetto minore era di porgere il quadro delle for- ze fisiche e dei mezzi d’ industria dell’ Impero Brittanico. Io ave- va ardentemente a cuore di arricchirmi delle cognizioni , le quali costituisconoril sapere dell’ Ingegnere . Per altro sentiva che que- ste cognizioni di fatto, importanti per vero dire allorchè gli Stati ricorrono all’ armi per diffinire le loro contese , non insegnano cosa alcuna di ciò che dà valore al numero, e forza al materiale. Ma il carattere delle istituzioni, la loro armonia o dissonanza dalle leggi, e dai costumi, lo spirito del governo nell’ apparecchio e nell’ uso della forza pubblica , ciò mi è sembrato degno principal- mente d’una lunga e profonda meditazione ;, . 293 » Il dotto; viaggiatore divide la: sua opera in;tre parti; forza militare, forza navale , forza sociale ; e ciascuna di queste parti si suddivide in, due yolumi ; il primo talco alle dottrine, il se- condo alle applicazioni , Quindi i. due, volumi .che ora compari- scono,alla luce ci danno, il primo.la costituzione, e il secondo. gli studi e i lavori dell'esercito ; i, due che succederanno saranno: con- saerati, alla costituzione e..ai lavori della marina, e i due ultimi volumi avranno per oggetto i lavori.civiliconsiderati sotto i mede- simi punti di vista., Spetta singolarmente ai ivacità sa shili ufiziali franceni,. sla stri. non, meno, nella guerra che nella pace, a meditare quel che è, stato scritto, dal,, signor Dupin ROBE la formazione dei corpi, che risenenigne l’amministrazione c dela guerra, nominatamente sulle pensioni di ritiro , mezze paghe., esercizi ec. I militari del genio o dell’ artiglieria leggeranno con particolare avidità ciò” che -appartiene ila fortificazioni di Douyres e; di Chatam, e agli stabilimenti di Portsmouth, ai parchi d’artiglieria di Portsmouth, stesso e di Chatam, e specialmente ailavori dell’arsenale di Wol- Wich. Altre materie di più generale interesse da sè stesse si raccomandano all’ attenzione dello diverse, classi di lettori. Qual cittadino francese, 3 «so a riflettere sulla legislazione del proprio paese, e. convinto :dell’ importanza, d’ una buona organizzazione militare ; potrebbe. non esser bramoso, di nz nell’ opera del sig. Dupin tutto ciò che tratta dell’ autorita reale e legisla- tiva d’ Inghilterra. nelle loro.:relazioni :con l’ esercito, e tutto ciò che costituisce la forza morale del,.soldato inglese, cioè la disciplina, l. intelligenza, ilear attere, le pratiche religiose, le ricompense e le. pene ? Seorrerò rapidamente alcuno ta tali im- portanti soggetti , per, dare un’ idea dell’ ingegno distinto dell’au- | tore; e nella sua)qualità d’osservatore,, ‘ein Saglia di scrittore. gio Il, monarca in Inghilterra è, come in Francia, il capo supremo, dell’ esercito; ma. se sali ordini del: principe violassero le leggi fondamentali dello stato , 1° obbedienza .,, Secondo, le leggi inglesi, sarebbe dichiarata ribellione, alla patria, gli ordini superiori che ì. delinquenti allegassero, non potrebbero sottrargli alla vendetta della legge. ao In tal, maniera (dice il sig. Dupin) la giustizia per- guote prima di tutto lo prg isalinto del da e dell’op- pressione :: la di lei vendetta non risale fuorchè per mezzo di successive percosse ai, colpevoli. di mano .in; mano più alti. Ed \ 294 ecco'come gli Inglesi ‘nel diventare un popolo conquistatore non hanno cessato d’ cuore un popolo libero ,,. Poi, facendò ‘allusione alle costituzioni e ai lacriatitizinbani* déll’ Ipero, e sitigolarmente alle interpretazioni dell'antico ‘con’ siglio! di stato, Pautore aggiunge: ,, Negli stati nei quali, appéogo* giandosi” sopra pretese bisi 'Costitukionaliv la legislazione sî "è proposta di stabilire vn'dispotistmo permanente; ha fissatò questo principio, cide, ché ‘nîuna ‘accusa legale possa intefitarsi contro un atto per sè stesso, > @siratrio, ma ordinato regolarmentè ‘dai s@tperiori peptidi isilu ilic bi 5349 Lo che richiama ; i osservazione, conferinatà pur troppo dalla nostra funesta esperienza , che non può esservi mai reclamo? tanto efficace per ‘vincere una simile concatenazione d’ostacoli; né” ‘opposizione tanto ‘ forte per coriténere dentro i limiti. della’ legge l’arbitrio dell’ Aftiministrazione RI. Cla ‘forza’ militare in questa guisa protetti." ! n ; 3 li È ‘hoto il fattò che una sentinella inglese avendo fatto fuoco addosso ad un ‘cittadino, che' avea! tentato Sa oltrepassare la linea alla sua guardia affidata , il soldato fu' condimbato à morte, abben- che la consegna lo’ a'vésse ‘autorizzato a'tirare. La legislazione fra noi è molto diversa, come lo' ‘prova! Y assoluzione Che otten- nero, in virtù. della Igo del 5 brumaire ‘alcuni’ ‘soldati’ chè aveano sparato i facili Papa var] prigionieri a' traverso le ini ferriate della ‘loro prigione . ‘La sola conseguenza ‘che io ‘voglio dedurre da questo paralello si è, che la 1etide! ‘del’ 5 ‘brumaire non è stàta fatta secondo lo ‘spirito della rt costituzionale, e che ambedue non possonò Sussistere insieme. Le ‘violenzè ‘mili. tari, sotto un governo costituito" troppo gravemente' compro- mettono la pubblica tranquillità) ‘perchè non debbano esser pre- venute o represse con tutta la severa prudenza del legislatore. Il sig. Dupin, dopo aver detto che gli ordini” del re d’In ghitterra, qualunque siano, non diventato esecutorj, se non sono controfirmati da un miristro responsabile ; rammenta Che uno dei motivi d’actusa contro il generale Chatami, ‘còomandatite la spedizione di Walcheren, era ‘d’averé scritto ‘segretamente un ragguàglio' ‘della ‘sua Spedizione al ‘re solo }' ‘che ‘lo ‘aveva scelto contro il parere del'‘$uò consiglio; Infatti; osserva lau store, si "comprende! come non dovendo ‘ da ‘genérale supremio » ricevere ordini’ò istruzioni 'se'‘non ché per il canale dei mit 3 Nistri', questa ‘misitrà ‘diverrebbe’ illusoria , se potesse stabi- 295 »o lirsi un carteggio ofliciale e segreto fra * civ id il ge- » nerale. ,, Nè meno importante è il capitolo , che tratta delle relazioni dell’esercito col parlamento. Le disposizioni’ \del celebre mutiny act, 0 legge marziale, non possono' essere troppo da. noi\.medi- tate , in ispecie quella che viéta ad ogni &fiziale militare \sotto pena di cinquecento franchi ‘di multa, d' entrare forzatamente in qualsivoglia domicilio senza l'ordine: scritto ‘d'un giudice di pace , ilquale non può rilasciar quest’ ‘ordine fuorchè ‘incerti casì espressamente! indicati. ,, Ed ‘ecco ‘con quali! misure ; dice il sig. Dupin, il legislatore ha! potuto ‘riporre mel: numero degli assiomi della libertà britannica questa! bella sentenzark.la ioivlaee d’un inglese è la sua casa,,. Un più bell’ assioma ancora. delle nostre Eratichagte sarebbe questo r iLa Sorta d'un francese è è la costituzione. ENI i ‘Il sig. Dupin è d’opinione che s gl inglesi siano i militari più aitivi di tutta l’ Europa dopo'i francesi} quali si sono, mostrati per lo spazio di ventiquattro anni di nostre; armate. ;y E la sono, egli dice, in ‘una maniera loro particolare. La loro attività non ha quell’ impeto prodigioso:!di(cui tante, volte noi abbiamo dato memorabili esempi, ma essaijpenò. non ha intermittenza veruna, e sì niostia: ‘sempre la istessa,:Lo!/che;in capo a un dato tempo produce una*somma \di\éffetti più : considerabile di quello che si fosse potuto prevedere ;,\\Ed.aggiunge: }; Il soldato bret- tone ha generalmentè minore ingegno! !naturale. ed acume, del soldato francese, ma l’immobilità della sua immaginazione, rende le sue azioni più. misurate. Meno distratto! dalla vista degli og- getti esterni, dalla rimembranza del, passato , dalle speranze 0 dai timori dell’avvenire., egli.è sempre tutto quanto sul momento presente; più attento al comando attuale compensa in tal guisa l’ inferiorità della sua intelligenza. Incapace di, giudicareli grandi movimenti ché si eseguiscono., e specialmente. quelli che sono per eseguirsi pro. 0 contro-di lui, il pericolo futuro non si im- pronta nella sua mente. E; questa è lajragione perchè il morale dell’ esercito ‘britannico è quasi), impòssibile.a distruggersi per la cattiva fortuna ;,. Ma ì buoni effetti, di questa, qualità sono spesso resi vani nel soldato inglese, dagli..eccessi, dell’ incontinenza, e dell’ ebrieià. 3:Quando egli, arriva in, an luogo, ove trovisi vino o liquori spiritosi, niuna cosa lo può frenare ;. nè il nobile, desi- derio di correre alla vittoria, né il timore d’essere investito dal 296 nemico ssoprayveniente. Egli beve fino ‘alla morte, se la natura. non arresta a tempo la sua sete insaziabile, sospendendo ogni sua. facoltii»;;.0/085 alistioito Fra diversi! squarci; dell opera Ù quello che concerne le ris, compenise: d’onore»è pensato con maggior forza, e scritto con miaiggiore. viy acità; Le riflessioni sulla differenza delle distinzioni, militariifra gli antichi, e_i;moderni ; e sulla diversità. dei loro. effetti partono da un;filosofo! Siino, e da un; onesto cittadino. } Qui giova arrestarmi »e perchè: senza accorgermene sarei por- tatò a citate: la più gran parte dell’opera, la quale ,, quando sarà condotta «a termine, diventerà un oggetto di studio per tutti i nostri pubblicistii;;ed,amministratori. Quindi il sig; Garlo Dupin sostiene con dignità lo splendore d’ un nome , che il suo fratello rende: ogni: dì più famoso); e per quanto sia grande l'onore della toga, non è possibile che, nella sua famiglia si dica: cedant arma togae È { | LETTRES:NORMANDES. 17 irta di Legislazione e di Giurisprudenza, , - Questa è. unamuova! opéra periodica, incominciata a Ginevra. Se ne promettono sei. fascicoli: per anno; due dei quali formeranno un volume di circa!:26 fogli dio ‘stampa: | Il primo fascieoloicontiene: «1 ? 1. Prima parte d’uho seritto dotto: e profondo dell prelieri Pellegrino Rossi sullo ‘studiò del dritto nei:suoi rapporti colla sivittà! é collo stato attuale della scienza; dove: si comparano le due: seriole | Sivaliy quella gioò: idella Scie istonica; € dell’ analitica. crmni ave è! Ì ‘2. L’ estratto dell’ Istoria del' Gius Bonini nel. medio evo; di Mons.Sarigry ; fatto da M. Meynier.»: 3. Memoria del Sismondi'in esame della questione: Ilyiotere di ©onsumare ‘si tacerese” mi sempre: nella società insieme nei ‘potere «di produrre ? ‘© 4 Prima parte di ‘un agticolo di Hbsgoto {indebito dal Pes 1a sto da Mi ‘Trembley:; ‘sull’ origine , sviluppo; e sntitenine gusti. delle!teorie politiche nell’ Europa moderna.» Le ‘materie | scelte; ‘eil'modo con cui son: tiaditanicie ci ditinio il migliore ‘augurio ‘in’ favore ‘di questo Giornale; e do rendono talento ‘i tutti 6oloro che veglia veramente istruirsi im ‘quel ramo ‘di cognizioni che'ha da più diretta influenza ra ben es+ sere della umanà sovietà! 0g ni FASE ALY 297 18 Compte de l'erdmen public'ec. Conto dell'esame pubblico del Liceo nazionale, renduto dal sig.Colombel segretario particolare del Presidente d’ Haiti. Porto: al Principe Isola di Si Domingo Gennajo 1820. Libretto di 20 pagine. T lumi che dal dispotismo ‘sonsoffogati, ovunque regnilaliber- ta'si diffondono; ed ‘un esempio muovo non solo; ma ancora inte- ressante ce ne dà la repubblica d’Haiti. Alcuni selvaggi dell’Africa, ridotti ‘schiavi in un altro mondo; spezzano'le loro catene, e di subito l'aspetto presentano di un popolo incivilito, che le arti e le scienze invita al suo seno; e dove tutto in un colla libertà va prosperando. La gioventù, speranza della patria, vi trova una cotanto ampia, cotanto» variata; cotanto diffusa istruzione come ne’ nostri licei di. Parigi ;;e dove sono abbracciati ed applicati con esito i ‘migliori metodi. Ivi pure l'educazione riceve un’ impulso più generoso , perchè da quelle forme pedantesche , che dominan soprattutto nelle scuole di diritto e di medicina non è ingombrata. E di ‘mestieri che gli. abitatori di Haiti prendano da noi quanto d’utile edi buono nell’ istruzione abbiamo ; ma che si astengano ; helle! scuole di diritto e di medicina , che a fondare non molto indugieranno, dal copiar quelle rancide e antiquate formule, che sovente altro non sono ché: vani giochi di spirito, indegni della maschiave gagliarda educazione; chè sola ad womini liberi è con- venevole.:- un Bosnia Lo sti; MEÉTRAL. do 19 Traité d’education publique et privee dansune monarchie costitutionelle; ec. Trattato di educazione pubblica è privata in una monarchia costituzionale ; 0 principi di filosofia, di scienze, di letteratura, di legislazione applicati allo. sviluppo delle fa- coltà dell’uomo; al miglioramento dei costumi, e alla perfezione dell’ ordine sociale ; opera destinita principalmente per i legisla- torîj per i padri, e le madri di famiglia , pens gl’ istitutori.e le istitutrici , per i professori, pergli alli già istruiti, per i giovani che vogliono 'intéritarsi! né loro primi :studij., o alibrinoniti una professione ; di 7. Suzanne: professoresdì matematica nel. collegio reale di Carlo Magno , membro di più accademie. Parigi 1820. 2. vol. in: 8. ‘con’ più tavole. : presso Andrè libraio, quai.degli Ago- stiniani ni 59. Prezzo 12: fr. e 15. franco di porto.» iii ‘ao Precis historique et critique, ec. Compendio storied/ critico della costituzione della. monarchia danese, di M. P. A. Heiberg. Parigi 1820 .1.‘Vol. in 8. di 110 pag. 298 Questo compendio pubblicato prima nel giornal. generale di legislazione e di giurisprudenza , viene ora alla luce da sè solo; Il terzo stato ed il clero per odio contro i nobili ed i loro privilegj esclusivi proposero, nel 1660 il di 8 ‘ottobre , di rendere il trono, ereditario, ed i nobili furono costretti ad. sulbiiabzieri, Il re Fe- derigo III. accettandolo promise ciò, che non'gli veniva doman- dato , vale a dire di stabilire una novella forma di amministra-, zione, e generalmente di governare da sè stesso. Ma questa rispo= sta non provocata non era una legge. Vi furono dissensioni, fra gli ordini sulla nuova costituzione da stabilirsi. La cittadinanza‘ed il clero volevano che vi fosse inserito ciò che vi era di buono nelle antiche costituzioni, e specialmente/a convocazione annuale degli stati in un giorno fisso. Il re tergiversò ; e le cose’ furotio; ridotte; ad un punto tale , che gli ordini accordarono di-non riservarsi altro» diritto, se non di proporre ciò che volean conservare, rimettendosi ‘ al re per la decisione. \ ARI Da questo momento il re si riguardò come, dittatore , e. per mezzo di persone fedeli fece sottoscrivere di casa in! casa ; come spontaneo, un atto di sottomissione al potere. reale preset ied ‘illimitato , il quale portava che Ze ultime volontà del re sarebbero per sempre la legge fondamentale dellà monarchia. ili stavo» Allora Federigo HI. lasciò al tempo la cura di far maturare il potere arbitrario puro che voleva ; e non sottoscrisse che il di 14 novembre 1665 l’ editto famoso ,) che chiamasi in Danimarca legge reale o costituzione reale. Non fu essa nota in priftipio, che ad un piccol numero di schiavi ambiziosi: Era tenuta segretare nascosta accuratamente fra le gioie della corona, né fu.tratta di.là che dopo la morte di Federigo III. perchè fosse letta. all’incoro- nazione di Cristiano V. suo figlio, e fu posta quindi di nuovo nella cassetta reale. Finalmente fu stampata.e pubblicata per la prima volta nel 1709, quando dopo scorso. mezzo secolo la nazione, fu riputata avvezza al più completo dispotismo. Trovasi quest’ alto tutto intero alla fine del volume; glo noi annunziamo. Il sig. Heiberg vi ha unita l'ordinanza di Cristiano VII del 27 settembre 1799; che’ limita la libertà della stampa. Le riflessioni dell’ autore e gli aneddoti da lui raccolti intorno a que- sti due atti sono per ogni riguardo piccanti assai ed istruttivi: Bi» sogna leggerli nell’ opera stessa , la quale merita un posto distinto neile billioteche di chi coltiva l’ istoria o il diritto pubblico, ; |P LANJUINAIS 299 ‘ar Desaccidenis qui exigent, ec. Degli accidenti che richie- dono un pronto soccorso. Di Ji Herean. Opucolo in 8.° Presso l’autore in via di Seine' subborgo Saint-Germain. 2% Des hemorroides, cow Traité ec. Delle morroidi j o Trat- tato analitico di tutte le affezioni emorroidali, di A. J. de Montegre dottore di medicina della facoltà di Parigi; nuova edizione , presso Colas. 5. franchi. 23 Traité sur le cancer de la matrice ec. Trattato sul cancro della matrice e sulle malattie delle vie ‘uterine, di E. G. Patrix dottore di medicina, professore particolare di \terapeu- tica edi materia meilica‘; membro della società medica d’emula- zione ec. 1. volume ifi’8.° Presso l’autore, in via de PObservance, n° 8; è presso Maradin. 6. franchi e 5o'centesimi. 1% 1 “I ‘34 Cours complet des maladies des yeux ec. C6rsò completo delle malattie’ degli occhi; seguito dà un tratteco compendioso d’ ° Igiene oculare , come parte integrante di questo corso; di De. Bibo, (del Puy du Déme) dottore di medicina edichirurgia oculare; membro della società medica di Parigi eé. 1. volume in 8.° Presso l’autore, in via del’ cd prior n.° 20;6e ES nr gp . Marvis , e Gueffier. 0» * i «25 7listoire natrrelle ec. srosila naturale» de’ bualterioenti È degli alimenti , e dei séleni estratti dai tre Pagni i della natura ec. di J.J. Vi irey. \" Noî partiamo di’ quest’ opera per accennare’il fine , che l’au- tore nello scriverla si è prefisso. Egli ha creduto di dotiele , egli ‘dice , riunire in’essa tutte le più esatte e più precise nozioni , Ge siansi potute raccogliere sulle diverse sostanze medicinali , ali- mientarie , e venefiche: egli avea ‘già tentato'/nella prima edizione del'suo Trattato' di Farmacia di presentare um” abbozzo dei tre regni sul piano dei metodi i più naturali: egli lia nella sua nuova opera ‘perfezionato questo lavoro col dargli tutte quelle spiega- zioni, che richiede il florido stato in'cuil'orà' sono le scienze na- turali. Senza tfattenersî” sulle /minute descrizioni di ogni pianta , egli ha usata una particolar diligenza per distinguere bsilttaionte i specie, e per fedelmente spiegare le loro proprie qualità. Si vede in fatti che la negligenza | in questa’ materia produce continua- mente i più ‘pericolosi ‘equivoci ; ‘è fa sovente ‘porgere un veleno in vece di un prezioso medicamento. Inoltre, ei segue'a dire , è di una grande importanza la divisione delle specie ; puichiò le ipunalità di alcune piante, quantunque si assomiglino, possono essere 300 molto diverse. Chi non vedè , che per difetto di poter ben distin- ere una sorta ld’.ipecacuana.; 0 di cliina.;.0 di scamonea , il me= > > PI Vari dà dico , il farmacista , il droghiere . debbono involontariamente com-; mettere. dei gravi, errori, e tali anco da metere ‘in’ pericolo l’ esistenza degli uomini ? sw ] LIBRI INGLESI 26 The Inquisition unmasked ; ec. L’inquisizione smasche= rato, ossia; Ragguaglio. istorico e filosofico relativo a. questo, Tribunale, corredato di documenti autentici comprovanti la, ne- cessità ai sopprimerlo. Pubblicato all’ epoca:in cui il congresso, nazionale di Spagna. si radunò. per deliberare su tale importante, articolo. Di-D. Antonio Puighlaneh, tradotto dallo spagnolo in in» glesè sul ms. dell'autore da W. Walton. Londra 1820. sur Quest? opera non è tanto completa. quanto promette il titolo, n pure contiene molte particolarità su: quel, tribunale, Il prospetto; dello stato generale della nazione spagnola all’invasione di francesi è beniisiolà fatto; Je bene dichiarate, sono le cagioni , che, spiegò questa nobile popolazione nel difendere la propria indipendenza. Ùi Le cose chie'concernono all’inquisizione. non. sono tante nè così autentiche quanto quelle che' si trovano mell’opera del Sig. Lloren- te; ma in questa l’ interesse e maggiore, poichè l’ istoria della nazione! è fngifienteraeato unita insieme a, » greta del nupremo tribunale. 27. An, Account. of Timbuctoo and Liana ec; Relazione di Tombuttù, e di Housa nell’interno dell’ Affrica di El, \Hage. Abd Salam Shabeengi3 pubblicata: da J. G. Jackson, con note e con ‘ più lettere sopra.i paesi; barbareschi. Londra: 1820. 1, vol. in;8.° prezzo 15. franchi; L’ autore: nativo di Moresco, ha Fre per molla Pac in quei due paesi nell’ interno: dell’ Affrica, di cui dà qui;una: de- serizione assai (curiosa. L’editore ,,,professore di lingua araba ,, ed autore di un’ opera, che tratta quasi, il medesimo soggetto; ha unite alla; traduzione di questa delle note critiche e delle spiega- zioni ; come pure, delle. lettere , le quali descrivono; molti viaggi fatti nella Barberia . orientale E: occidentale ; dov’ egli ha fatto soggiorno’ per, più di sedici anni; prima come agente diplomatico., poi come negoziante. 28, Huuchinson', medical jurisprudence , ec. Giurisprudenza 3o1 medica, ossia dissertazione sul l'ivsfanticichio; nei suoî rapporti con ta fisiologia e la giurisprudenza, di VW. Hutchinson 99 pag. in 8. legata in rustico Londra 1820. prezzo 6 fr. Go. cent. Quantunque sia difficile il provare gl’ indizi dell’ infanticidio , tuttavia sarebbe da desiderarsi che le persone. destinate a giudi- carne avessero una guida sicura; che potesse garantirle dagli errori ai quali sono esposte. Con l’ idea di somministrar materiali per la eomposizione di un @pera simile , il sig. Hutchinson ha raccolto un fumero considerabile di fatti cavati dalla sua propria esperienza , è dai rapporti uffiziali di altrimedici inglesi, e forestieri. La sua rac- coltà è un modello di chiarezza , ordine e precisione. 29 Mills history of the Crusades, ec. Storia delle crociate per conquistare di nuovo la Terra Santa, di Carlo Mills. Londra ‘1820. vol. ‘20 in 8.0 { Noh vi è un'solo autore inglese, che abibiali preso esclusiva- sente per'soggetto di un opera istorica la'Terra Santa , eccettuato Fuller; istorico altronde poco corretto ;.e pieno di pregiudizj. Gibbon non ha fatto che delinearne alcuni avvenimenti, mentre l’ opera che noi annunziamo abbraccia tutta la guerra, inco- minciando dall’esporre lo stato politico di Gerusalemme all’ epo- ca della prima crociata. I critici inglesi apprezzano molto il talento del sig. Mills come. istorito.; e soltanto! gli rimproverano un imi- tazione troppo servile dello stile di Gibbon. Il medesimo sig. Mills darà fra poco alle stampe un altra sua opera , cioè ,, / dida in Europa sotto il pont ificato di Leone X. il piano della: quale è come quello dei viaggi del giovinè Anacarsi. 30 Narrative of a Journey, ec. Ragguaglio di un viaggio fatto in Persia ‘al seguito dell’ imperiale ambasciata russa nell’ anno 1817 ; di ‘Ilotitz von Kotzebue , capitano di stato mag- giore nell’armata russa, cavaliere dell’ ordine di S.. Wladimir di Russia ec. tradotto dal tedesco) Londra 1819 Longman e comp. ‘t. vol. in 8.° ornato di incisioni 328. pag. Prezzo fr. 14. 4o. cent. L’ autore di quest’ opera, figlio dell’ infelice Kotzebue , im- piegato al servizio della Russia, era stato addetto in qualità di matematico all’ ambasciata russa inviata ultimamiente dall’ impe- rador Alessandro alla corte di Persia. Dopo il suo ritorno da que- sta. missione pubblicò il giornale del suo viaggio: la qual forma non gli permise di sviluppare molto il suo soggetto ; nondimeno vi si trovano delle osservazioni interessanti. L’ ambasciatà ‘russa giunse a Tauris il 19 maggio, e Mirza Abbas la riceyetie, Questo 302 principe s’ affatica con molta premura nell’introdurre 1’ incivili- mento europeo in Persia. Già è arrivato a stabilire una regolar disciplina nell’ esercito persiano: devesi a lui la formazione; di. un corpo di artiglieria; e finalmente aiutato da alcuni abili uffiziali inglesi ha fatto molte riforme in poco tempo. ;, Bisognerebbe cono- scere l’ ostinazione inflessibile dei Persiani, e lo spavento ,,, che loro ispira qualunque i innovazione , per farsi un idea degli ostacoli incontrati dal principe nell adempimento de’ suoi progetti. Il re approva i di lui disegni , e lo sostiene con tutto il suo potere: lo ha nominato erede del trono per la stima che ha del suo senno, per la dolcezza del suo carattere, e principalmente perchè sua madre è della famiglia di Kadjor , dalla quale discende lo Schach, mede- simo. Il fratello maggiore , il quale governa più province al mezzo- dì del regno, è geloso di questa scelta, e fa tutti i suoi sforzi.per mettere il fratello minore in disgrazia delle principali famiglie per- siane. Egli rappresenta le di lui misure come ingiuriose all’ onor nazionale , distruttive degli usi, e dei costumi, e fosse anco della religione della stato ,,. Rincresce , che l’ autore non abbia unito a questo viaggio una carta dettagliata delle provincie dell’ impero russo vicine al Cau- caso : ei nomina molte città, montagne , e fiumi, che non si tro- vano sulle carte geografiche dell’ Asia. Lo stile del Ragguaglio è facile e naturale; ma non vi si osservano nè la impressione del genio, nè le rimembranze di uno spirito fortificato da una solida istruzione. 31 Travels in various countries of Europe, Asia, and Africa ec. Viaggi in varia contrade di Europa, Asia, ed Affrica; di Edoardo Daniele Clarke. Londra 1819. Cadell e Davies. La Scandinavia , terza parte della sezione I. vol. 1. in 4.° pag. 763. Il dottor Clarke visitò la Scandinavia nell’ estate del 1799; accompagnato dal reverendo W. Otter, e da M. J. Martin Cripps. Il di lui merito , come viaggiatore, è noto in Inghilterra da molto tempo. Deesi a lui la relazione di più viaggi, in cui si notano delle osservazioni molto ingegnose unite a molta dottrina. Le di lui de- scrizioni sono piene di verità , e originalità. Se egli trasporta il suo lettore nei campi classici della Grecia, o nei deserti gelati della Lapponia ; se gli fa percorrere i siti island ie pt cin «lella Svezia e della Norvegia , o le immense pianure della Russia rico- perte di orde ancor barbare, convien accompagnarlo dovunijue con inolto interesse. 303 Nulladimeno gli si potrebbe opporre, che unisce troppa eru- dizione ai suoi racconti , nè l’ adopera sempre a proposito Le sue notizie , quantunque estese , son di rado profonde, ed è quasi igno- rante in tutti i soggetti, che non son classici. Pare che non cono- sca che imperfettamente l’ antichità e letteratura teutonica ; e le citazioni , che si è avventurato di fare, provano quanto poco fosse versato in quella scienza. Queste osservazioni si applicano princi- pabnente a questo volume del dottor Clarke ; ma anche nel criti- carlo, sarebbe ingiustizia il non distinguere questa produzione, come una delle più interessanti, che sieno state pubblicate in lingua inglese sulla Scandinavia. Le osservazioni sul carattere, e su i costumi del popolo sono giudiziosissime. L’ opera è arricchita di un numero grande di stampe che rappresentano siti pittoreschi , de’quali le descrizioni più belle non potrebbero dare che un idea imperfettissima. Uno dei rimproveri più grandi, che abbiamo a fare all’ autore, è quello di non sapere le lingue dei popoli scan- dinavi. In conseguenza di questa ignoranza egli è caduto in molti errori ‘parlando della letteratura danese. ,, I danesi, dic’ egli , paragonati al rimanente dell’ Europa , sono indietro nelle scienze : se scorriamo il catalogo dei loro istorici, ne troviamo il numero limitatissimo ; ma fosse questo vuoto è dovuto alla rarità dei fatti degli annali di Danimarca. I lunghi commentarj di Saxoneil gram- inatico non contengono cosa alcuna notabile. I due scrittori meri- tevoli di esser citati sono Meursio, e Pontano, imperocchè la Danimarca non ha avuto istorici , i cui scritti sien degni di fede prima del secolo decimosesto ;.. Questa opinione ‘è appunto tale, quale dovevasi aspettare da un uomo, il quale pronunzia sulla let- teratura di un paese , senza avere la minima idea della lingua, che vi sì parla. I dotti della Danimarca , come tutti gli altri dotti d’Eu- | ropa, scrissero in una certa epoca in latino, e pare che il dottor Clarke ne abbia concluso ; che tutta la letteratura danese sia limi- tata a quelle prime opere. S° inganna parimente riguardo a Meursio ‘e Pontano: questi due autori non erano danesi , ma olandesi, | scrissero su gli affari politici di Danimarca , e non si possono anno- verare fra gli istorici danesi, più che Grosio fra:gli svedesi, perchè | ‘ha scritto una storia di Svezia, e Robertson fra gli americani, perchè ha:scritto la storia di America. Meursio era nato a Loosduyne in Olanda, l’anno 1579; fu allevato all’ Aia ed a Leida; e diventò Birecettore dei figli dell’ infelice Barneveldt, cui accompagnò in Varie parti d’ Europa. Nel suo ritorno ; l’ anno 1610 fu nominato 304 professore di lingua. greca ed istoria nell’ università di Leida. I padre e la madre di Pontano erano parimente olandesi. Egli. fece i suoi studj ; ed ottenne i gradi come. dottore in medicina a Basilea nel 1601, e fu poi nominato professor di fisica e di matematica a Hardeviek nella Gheldria. Mori a Hardwick nel 1639. La sua istoria Danese è una traduzione quasi letterale di /Zuitfe/d’s Danmarkis Rigis Kronicke. Se il dottor Clarke sapesse la lingua tedesca, la quale disgraziatamente sembra che gli sia ignota ‘quanto la danese , sinti potuto cavare notizie utili pt danese letteratura dagli scritti dei primari autori di Germania. Federigo Schlegel , il cuì voto per verità è sospetto in tutto ciò che si ricongiunge con la gloria del suo paese e della Danimarca, gli avrebbe insegnato, che ,, verso la fine del secolo decimo ottavo , in tempo che. la poesia sembravava che fosse caduta in dimenticanza , nissuna na- zione aveva prodotti poeti più distinti della nazion Pif. n Avreh- be saputo da Goethe ; che Ochlenschlager danese è il più origi- - male di tutti gli autori tragici dei nostri giorni, senza eccettuar neppure quelli del proprio paese. I critici tedeschi , i quali sono ordinariamente versatissimi nella letteratura del settentrione, gli . avrebbero fatto conoscere un poeta comico, chiamato Holberg, che i danesi possedevano più di un secolo fa; il quale sebbene ceda la palma a Moliere ed a Shakespeare , è tuttavia superiore agli altri autori moderni. Finalmente Arndt gli avrebbe insegnato, che durante la lunga letargia degli svedesi, i danesi loro vicimi non avevano cessato dal coltivare con molta riuscita i diversi rami della letteratura. i Noi correggeremo un altro errore del dottor Clarke: dic’egli della biblioteca reale di Coppenaghen ,, che contiene circa cento- mila volumi di libri stampati; e da due a tre mila manuscritti ,,. Soggiunge in queste parole. ,, Secondo la relazione del viaggio di due francesi , questa collezione ascende a 139,000 volumi e 3000 manuscritti. E stata aumentata notabilmente da qualche tempo; il sig. Coxe porta il numero dei volumi a 100,000 , e dei. manu- scritti a 7000, senza comprendervi la biblioteca particolare del re, che contiene 2000 volumi ,,. Se il dottor Clarke avesse letti si catafoglii di questa biblioteca in lingua danese, avrebbe veduto.che è composia di tre o quattrocento sail volumi di opere ‘stampate , e di un prodigioso numero di manuscritti interessanti. Allor quan- tio fu venduta la bella biblioteca del conte Thot che ascendeva a “x 305 116,395 volumi; oltre gli opuscoli; i manoscritti e'gl'ineumabula, la biblioteca-realé fece acquisto di 50;0n0 ‘volumi ; ed il conte le la- sciò per legato nel suo testamento 4154 manoscritti ,) come pure una preziosa collezione di 6159) volumi stampati prima del! 1530. Nel 1589 il ‘governo comprò la biblioteca'di Luxdorph ricca di classici e manoscritti; e la riunì alla biblioteca reale . Questa si arricchì anche molto per le: cessioni importanti; chele furono: fat- te nelle vendite delle biblioteche d’Oeder, di Holmskiald, di Rott- boll; di Ancher, di Gerner, di Stampe ; di Martfeld, di Nielsen ec. negli anni 1789, 1790; 1791; 1793, 1794; e 1798. Nel 1796 ottenne la biblioteca immensa dell’istorico Suhm. Questo lettera to aveva fatta nel corso di cinquant'anni una collezione di 100,000 volumi yi quali ei metteva a disposizione del pubblico. Poco prima della sua morte ne fece dono alla biblioteca reale, ed era meno considerabile , ma più scelta e stimata di quella di Thot. Nel 1787 printa di questi numerosi acquisti 3 la biblioteca reale: possedeva già un numero di libri e manoscritti maggiore di quello, che le accorda il dottor Clarke'nel 1799. Dopo aver fatta la parte della critica, noi torniamo con piacere agli elogj, che quest'opera si samvitti. Vi si trovano dettagli curiosi ed istruttivi su’ lapponi e su gli svedesi, i qualì abitando lo stesso paese ; cioè la Lapponia, presentano nondimeno un meraviglioso contrasto ‘sulla diversità della loro organizzazione . Il dottor Clarke sà animare i suoi rac- conti, e dar loro una gran leggiadria, ma sarebbe da desiderare, ( che trattasse più a fondo alcuno dei soggetti, che si propone, poi- chè i suoi Metti, ed egli stesso, ne trarrebbon vantaggio. RAGGUAGLI SCIENTIFICI E LETTERARI . Spedizione al Nord Quest. ET sig. Parry tenente della marina ireale d'Inghilterra lasciò que- sto paese il dì. rr maggio 1819 ‘con i ‘bastimenti detti 1’ /7ecZz ediil Griper 5 per andare in ‘cerca’ del passaggio del Nord Quest. Il di 14 giugno giunse al capo Farewell, punta meridionale della Groerlandia. Il dì 26.i bastimentifurono circondati e rin- chiusi fra i ghiacci per quattro giorni) e finalmente si trova- ron costretti a tornare indietro.,, dopo ‘aver ‘tentato. invano di andar più innanzi. Arrivati al 74.° settentrionale, risolsero di aprirsi a. forza un passaggio! a traverso ùn argine di ghiaccio, che era largo:$0 miglia. Questo. sforzo riuseì bebe: essi arri- varono il 31 di luglio alla haia divPossessione , ed il. 1 di ago- T. I Febbrajo 20 306 i sto entrarono nell’ ingresso di Lancastro; che trovarono ‘apetto; talmente che; penetrarono. senza ostacolo in un. mare. interno Lo stretto di: Lancastro , il quale finora ; era. stato considerato soltanto. come un ;,gran:.bragcio di mare senza uscita, sè detto l’ingresso di Lancastro,, ha; 150 miglia di lunghezza dall’ orien> te all’ oscidente; e 30 idi larghezza. Nessun isola mè promonto, rio ne asconde l'uscita all’ accidente; di modo che npn si, può spiegare l’ errore commesso nel 1818. dal capitano Ross, se non se supponendo , che la di lui parté più interria fosse. allora | ri+ piena di/ghiucci. Questa ha avuto il nome di stretto.dî Barrow dal nome del dotto segretario dell’ ammiragliato . Il sig. Parry si avanzò fra due terre, e senza molti osta+ coli per parte dei ghiacci, fino al 89.° di longitudine all’occidente di Greenwich (91.° 20% di Parigi), ed al g0.° occidentale scor prì due grandi isole ,..le quali chiamò zsole del. principe’, Leo- poldo. In quel luogo il suo cammino verso occidente fu inter- rotto da una forte barriera di ghiacci, che! si estendeva da queste isole fino ialla. costa settentrionale dello stretto. Costret- to a cambiar strada, entrò in un gran braccio, di mare, largo quattordici 0 quindici leghe; il. quale distendevasi verso il. mez- zo giorno. Essendo il mezzo e la costa occidentale rinserrati dai ghiacci, ne seguitò la costa orientale fino al 71.° settentrior nale, dove fu arrestato dall’ impedimento medesimo. Questo RICA di mere fa chiamato Prince Regent’s inlet (passo. del principe reggente ). Si può supporre, o :che si. distenda fino alla baia d’ Hudson, ,0 lungo la costa dell’ America settentrionale. In questo Luigi di mare, presso a poco a 90° di longi- tudine all’ occidente di Greenwich (92° 20' di Parigi) la variazione dell’ago magnetico venne riconosciuta. di 126.° all’ occidente. Il sig. Parry riprendendo;la strada' per lo stretto! diiBàr- roW:, trovò rotto l’argine de’ ghiacci, e si. avaazò: verso. occis dente. Al. 92.° grado di longitudine occidentale ;:;la ‘terra } verso il settentrione, che era. stata fin allora non interrotta dall’in. gresso di Lancastro in poi, presentava una grande apertura. Con- tinuando il cammino da quel lato, si;vedeva terra all’occiden- te. Il sig. Parry scopri l'isola di Lonthet e nove altre all’ in- gresso del mar polare; che si estendeva a mezzogiorno è ad occidente. Si trovò dal lato del settentrione una serie ' d? isole considerabili, le tre più grandi delle quali portano i ‘nomi di. Cornwallis, di ByamrMartin, e di Melville. 307 :, Il sig. Parry, vide; costantemente, dei ghiacci, al mezzogiorr no, eli riscontrava continuamente; di modo che fu. costretto a, tenere, una rdirezione. tortuosa SSA dal 173%, al 75° para- lello. Avanzatosi 150, miglia lurigi.. dal passo del Principe ;Beg gente, osseryò .il sig. Parry che lago ‘magnetico , soffriva una variazione maggiore, di , 128.° gradi all’oriente: La: bussola, era stata, inutile. finchè si rimase in mare, dal dì 7 di agosto in poi: ma quando si,andò a terra, l'ago indicò una Han Haen e la;sua maggiore, inclinazione: fu più di 88 gradi.; Perciò i va- scelli, dovevano ‘aver, girato intorno al polo magnetico,;};€ la si- tuazione di questo polo, che si era tentato finora d’ indovinare per mezzo, del..calcolo , trovossi presso a poco per; mezzo di una osservazione diretta. Esso deve ritrovarsi presso a poco fra le lon- gitudini di gove di 100 gradi occidentali, e al di sotto del 70.° paral. Il giorno 8 di settembre il sig. Parry era, giunto a; LI2 gradi all’occidente . I bastimenti furono circondati da’ ghiacci per qualche giorno. L'inverno avvicinavasi. rapidamente: i ghiacci crescevano |a. vista, d'occhio : la lor grossezza, era di quaranta piedi: colpi. violenti divento del Nord Quest li tenevano: in cone tinua e pericolosissima. agitazione .. ta} (Queste circostanze rendevano la navigazione rita, e la situazione dei;hastimenti diventava critica. Nulladimeno il ; sig, Parryicimentossi con tutte queste difficoltà fino al 22. Allora fu evidente, che noniera possibile di navigare più lungi per quell’anno e che la prudenza preseriveva di cercare un, porto, sicuro per pasr sarvi l'inverno. Ei, ritornò dunque all’ occidente, e ne ritrovò; uno situato nella. parte dell’ isola di, Melville posta al sud est;;.nè i va- scelli poterono entrarvi; che spezzando ghiacci grossi. dne 0 tze ‘piedi, per lo.spazio di più di due miglia. Golà diedero fondo, il dì 26 settembre,\in cinque braccia d’acqua, meno di seicento piedi lungi dalla spiaggia. il La notte incominciò il dì ri bali quando il «sole fu arrivato alla. massima sua declinazione (australe; osservavasi sul mezzodì al sud .dell’ orizonte uu crepuscolo ; il: quale dava: luce bastante per leggere senza difficoltà in un libro. Il giorno rassomi- gliava ad una bella sera d’inverno de’ nostri climi. Scintillavano le/stelle con lince fol goreggiante, e. la luna risplendeva in maniefa ignota ai. paesi più meridionali e temperati. Le aurore;boreali eran frequenti, generalmente ;di color giallo, talvolta verde, poche! fiate rosso, ed apparivano ‘ordinariamente al sud ovest. Osservossi;.che 308 non furono mai così } brillanti ‘come in Inghilterra; nòn vdivasi il torò Strepito , ‘e? dgo friagnetico non'‘parve eds dilla loro presenza! Il'sole apparve di nuovo il di 3° febbraio ‘dopo un'assen ‘za di ottanitatrà giotni. L’ epoca” ‘del suo ritorio eta stata calcolata, ‘éd’atténdevasi con'uni impazienza’, la quale:non può” ‘provarsi, se ion Ud quelli, ‘che’ sonò stati per tanto tempo” privi della'sua lucé. "A lcufif aria collocati sulla cima dell'albero! maestro adocchià» vano'il* momento , in'cùi apparirebbe di nuovo; e lo! annunziarono ‘con grida di'allegrezza; alle quali risposero i I6ro campagni. Mo- strossi’ il: sole in prima per alcuni minuti ‘sopra ‘dell’ orizzonte } ‘e ciasciti giorno restovvi gradualmente più lungo tempo; fi utriienità nel es” di giùgno fu costantemente visibile facendo pigra il giro alell’orizzonte, e dando un continuo giorno. La grossezza dle’ ghiacci del porto ‘era cresciuta nell’ inverno fino a setti piedi: Nel mese di aprile si manifestarono! dei sintomi parziali di scioglimento. Alla' fine di maggio si videro stagni e ruscelli, e pocò tempo dopo cominciò unò scioglimento regolare. TI capitano Parry si pose alla testa di un diaechuraento di uffiziali e marinai, ‘attraversò lisolà Melville, ed arrivò almare sulla spiaggia opposta. Si stette tre settimane per fare questa ricognizione, Una baja al setten. fu detta dell’Z/ecla e del Griper; unaltro'golfo'all’oc- dente ricevette il'nome di Ziddon's gulf. (golfo di Hidden} dal capitano del Grissér venne supposto, che l'isola Melville abbia r50 miglia di lunghezza sopra trenta o quaranta di larghezza; ‘e’ fu congetturato parimente , che tutto il mare al settentrione del continente! dell'America sia tagliato da canali, e-formi varie isole. ! Nulladimeno la Veik'td Bione era avaatiat attivissima ; si tro- vò dell’acetosa in abbondanza sufficiente ad allontanare tutti i sintomi di scorbuto, che avevano ‘incominciato ‘a manifestarsi. Il ghiaccio del porto, chiamato con ragione Winter?s ‘harbour (porto Pia erno), principiava a sg molto rapidamente, ed era intieràmente sparito alla fine di luglio; ciò non ostante i vascelli ‘erano sempre bloccati dal pthiduto esterno. Finalmente il dì 30 incominciò a rompersi al di fuori, il 31 a muoversi pian piano; e tolse gli equipaggi ‘dall’ ibi della prigione d’inverno, in cui erano stati finchidsi ‘trecento dieci Desa Il dì 6 agosto .il sig. Parry arrivò all'estremità occidentale dell’ isola di Melville; Bitcata a 113°, 47’ all’ occidente , ed a 74.° 28 al settentrione, è si ebbe cognizione di una terra novella giu- dicata distante venti leghe al sud'ovest; così che può dirsi essere 309 stata veduta ;terra fimo,a 118 gradi occiden. {Tutti gli sforzi per apriyarvi furonò però: inutili: essa porta il nomedi, TL'erra di Banks, aio; d' yaseelli.costretti,a rinunziare: a questo tentativo ritornarono all, oriente je ripresero la via della lor patria ; doye giunsong, il 6 del, passato novembre.? hibiA dra Azar 1; E difficile a credersi che sit possa navigare all gcsidente del golfo; Liddon ; ma indubitatamente la, prossima, spedizione, che sarà inviata in; quel tratto di mare, gauraiatià più aliemtamzente il passo del principe! reggente, > pito/La distanza chie. divide il. Porto d’ inverno sd ria pr nune (miniera iframe) di Hearne può. valutarsi 280, miglia,.Lo spazio; precorso ;dalla spedizione ,, dopo.l’ apertura dell’ ingresso di Lancastro;;,è.stato.presso, a poco:di,590 miglia. Dal punto in qui,il capitano, Parry ha svernato, fino.al capo ghiacciato, termine della, mayigazione, del capitano Gook ; lungo, la costa settentrionale di America, ‘tentando di avanzarsi allicsimiso si contano 800: miglia geografiche. Essendo il capitano Otto Kotzebue penetrato da quel lato medesimo. in un:;braccio di mare fino a, 155, gradi di longitu- dine all} occidente di Greenevich ; ed avendolo, accertato; gl indi», geni, che, vi era più lungi uno stretto di dieci;giornate, di naviga- zione) a remi ; il quale, conduce ad un. gran mare; sembra cosa probabile , che. questo; stretto unisca ih mare yin cui è penetrato, il capitano Parry, Si, può credere dunque, che, esista un, [pa880 del > nord, oyest j ma | è;cosa, dubbiosa se offra verun, vantaggio per la nayigazione ‘ordinaria;; poichè il capitano Parry,) in due estati consecutive, non,ha trovato, il mare aperto che. per trenta giorni, | Ciò,non ‘ostante le navi delle balene, alle quali. riusgisse di entrare. in. questo mar novello,, potrebbero Aver speranza ( di ritrovarvi una ricca pesca ;'e già quelli che hanno arrischiato, nell’ anno pas ato dijentrare, sila stretto, di Lancastro., ritornaron con carichi forti. n (Gli equipaggi hanno passato V'invetna a ‘bordo. dei bastimenti; ì ponti, erano stati ricoperti, con;capanne, come quelle che si. ve- dono sul di dietro delle navi olandesi. Il rigore debfreddg fu eccesr; siyo.; Alcuni, serittori, avevano salicoato sd che Ja temperatura, media. dell’ anno, al polo; ;settentrionale doveva, essere da10 ax12; gradi;al di sopra del zero, di Fahrenheit, (9. 0:10. gradi al di, sotto del zere di Reaumur ): Il sig. Parry al contrario ha trovato che anche nella latitudine sotto cui ha passato l’ inverno, la tempera tura. annuale media era ch 3, gradi: al. di sotto del zero ( 15; gradi al, di sotto zero di Reaumur), «Questo freddo, ‘eccessivo fece sofirire, Sio digli éijhipaggi Srandi. putimenti yi quali negli allinii nove! mesi sono stati AIOO Sa accresciati dalla ‘diminuzione; della' razione di pane : essi'‘hariné dovuto soffrire nei ‘mesi d’ inverno! la privazione di ‘altri oggetti di prima necessità 1 così i bisogni della fime!bi univano alle pene causate dal freddo , e le facevano più puniseriti? Îl termometro hel Febbraio si°è abbadato fino a 54 gradi ‘sotto il zero di Fabrènl: cioè ifra’39;è 40 gradi al di sotto del persi di Read ‘Nulladimeriò! questo freddo straordinario è stato’ cagione ‘di pochi inconvénienti, finchè rimanevasi a bordo riparati»dalleca- panne. Una coperta assai ‘leggiera sullè ‘orecchie; \conifazagletto gròsso’ al' collo’ bastavano per difendersi dal freddo più ‘rigorò80)) Quando l’arià era quieta ; ma quando! l'atmosfera ‘era afitata di colpi di ventò ,: ‘allora il freddo divéniva reabtiente ‘terribile c@ insòffribile), e VHaisthedand era! costretto a cercire ‘un riparo Sotto il ponte. Non è ‘accaduta quisi Altrà ‘ disgrazia } Db che ‘aqui vci it mharinàio , al quale si ghifcciaron'le'dità; per La: restato Ani dd Hatigamente allà tate a'tenere il suo fucile! Obmor.i oli imzose ‘“ tempò passa vasi più piacevolmente ‘ché IRTTTA L'eser! cizio ‘continno > Che î marinai facevano ‘per Attendere alle» 16rò varie occupazioni; li ha ‘tenuti ‘in un'attività) Re! ha contri Buitò a conservarli’ i sanità: E” moîtò vi sol'tidimo di dina malatitit da lui contratta prima'della partenza dall* ?Thghitterta. «tidsdorg ì Fu altresì rzippresentata una commedia! ia' bordo! ‘Al sig. 'Paitry compose uni melodramma ; il cui soggetto’ era Yésito probdbile delta spedizione, €d il‘suòo ritorno in Inghilterta dopo ‘di ‘esset passità per lo stretto di Beliring. Le rappresontinse eridriò: ‘eseguite dagli uffiziali’; ‘i' quali MEIER per spettatori i maifinidi , ché hon'solo dpplaudivario, ‘ia PICEVARO ancora coriggio: «con grida ps attori; de quer eraltio Gunteniti!! 09 IMODp sia 9 S0R9g GIPIT “il distaccdi metito;, zazione del ministro dell’ interno;;re nes ha.ripostate più;di trenta casse di minerali ;. ed laltii oggetti; preziosiz Iodandosi»,dell’'acco- glienza 3 che ha ‘ricevuto [da per duttozicsonsit. ib otisita, ollsb ) 11 sigi Zeschendult, de >Autour:ha; maridato. da;; Pondicherì al museo d’ istoria naturale un elefante giovine, e;vivo,,un antelo- pe, unal propagine! discocco, wnigrande, scoiattolo, pero; ad auche vina gran cassa.}.che ccontiehe; un. erbolaio }--®dei;semi;mo ale Il sig. Plee' riaturalistu «dels gbvemiolern «alla ‘Guadalupa, nel 17 marzo prossimo. passato, e ssiodisponeva, a spassare alla, Mars tinicca per imbarcarsipas Ponto: Ricco: iupg ose li oftssup iWilg9 Il sig. Augusto! Li; Hildire-ha:anniinziato con lettera;di.nò- -vembre: prossimo ‘passato: , sche. aveva. terminata la: penpsa;spedi, zione da lui intraptesa nell’‘America meridionale sinobisso ile cu -00 1'Hosigo Milbert disegnatore evnaturalista;;.ib quale pertimoti- vo di una »grave malattia! non aveva‘ potùtò agcompàgnare? il. ca» pitano Baudin nelle.terre australi), è prestatemente mellìAmerica ‘settentrionale }. come) corrispondente: del museo»d'istorià natura» le. «In cirea tre ‘anni vha fatte quindici spedizioni. di.oggettò pre ri, ed'altri/amimali vivi;'chemon si; avevano in Franiia.ijaspiv ‘1: Seconido il parere, déi professori” delgiardibo. del re sil\mi- mistro della marinarha nominato ili siga denfazoigizy per ddare al Senegal in qualità di agricoltore botanico. n ‘313 ° CLITOGRAFIA Rapporto fatto alla società di incoraggiamento per l’indu- ‘stria nazionale, nella seduta de 28 giuguio 1820 dal sig. Conte ‘LASTEYRIE, 4 nome di una commissione speciale per rv esame sp. P -del Delrona RARI del sig. SENEFELDER . La società di incorraggiamento, sempre intenta a dare una maggior latitudine alle arti, aveva proposto un premio per chi trovasse un mezzo artificiale da sostituirsi alle pietre, delle quali si fa uso in litografia. Questo premio mon essendo stato ot- tenuto nel primo anno, in sequela di alcune osservazioni che le furono fatte da uno dei suoi membri, la società credè uppor- tuno il ritirarlo . Il sig. Senefelder, il quale da che ha inventato la litogra- fia non tralascia di occuparsi al di lei perfezionamento , ha fah- bricato un cartone che può in molte circostanze sostituirsi alla pietra, e che in alcuni casi puo esserle anco preferibile (1). Questo cartone da una o due delle sue faccie è ricoperto di una materia argillo-calcarea che ha la proprietà di prendere l’ inchiostro o il Zapis, di subire l' ordinaria preparazione , di ricevere l’ inchiostro da stampa, e di dare delle prove nitide, come quelle che si ottengono dai disegni segnati sulla pietra . I vostri commissarj vengono adesso a rendervi conto delle prove , che sono state fatte sotto i loro occhi. Essi si sono re- ‘cati alla stamperia del sig. Senefelder, ove hanno veduto tirare su i cartoni litografici alcune prove des seguenti oggetti, le quali sottomettono al vostro esame. 1. Una pagina di musica in piccoli, e grandi caratteri . Le prove sono venute nitidissime, e pure . 2. Un disegno a penna rappresentante una cappella contor- nata di alberi. Questo disegno ha tutta la' nitidezza, e la forza delle comuni incisioni a bulino . 3. Un paese trasportato sul cartone da una stampa litogra- fica. Per l’effetto generale questo paese è venuto bene; si po- trebbe però desiderare maggiore nitidezza in qualche parte. 4. Un cavallo disegnato a /apis. Questa prova è riescita perfettamente, e non lascia che desiderare relativamente alla finezza ed alla purità dei segni. 5. Il ritratto del re, egualmente in /apis. Questa prova * 31 è Bi inferiore alla precedente : essa è un poco sbaratas, e generalmente manca di forza (2'). 6. Un paese a Lapis. E' di un tuono leggiero; e vaporoso, gra- devole a prima vista, ma privo di forza sulle ‘prime linee (2). 7. Due pensieri di teste fatti in presenza dei commis- sari . Se si eccettua una poca di debolezza in qualche con- torno sono bene riesciti . (3’’’) è 8. Due fac simile, uno dei quali firmato dai vostri commissa- rj. Lo scritto non hi tutta la nitidezza che si può sperare in questo genere . | 9g. Una prova di una impressione tipografica, contornata da un filo, trasportata sul cartone. La stampa è sì bella da non trovarvi differenza comparandola ad una prova comune di tipografia (3). 10. Una stampa ottenuta per mezzo del trasporto sul car- tone di uno scritto fatto coll’ inchiostro comune . Questo saggio è riescito benissimo , sebbene sia da desiderarsi una mag ggiore precisione nelle lettere . r1. Un cartone inciso alla punta ha dato qualche ‘prova soddisfaciente . 12. L’ ultima esperienza fatta sotto gli occhi dei vostri commissarj è una doppia prova di un incisione in rame, tra- sportata sulle due faccie del cartone, e tirata con una sola pressione .. Questa ‘operazione non può farsi communemente ; ciò non ostante le prove sono venute bene . - Dobbiamo farvi avvertiti, che alla nostra presenza non è stato tirato che un piccol numero di prove. Abbiamo però creduto importante il conoscere la quantità delle prove, che si potrebbero ottenere servendosi dei cartoni. Ci siamo dun- que assicurati che quattro tavole, la prima delle quali rappre- senta un cavallo, la seconda un paese, ambidue ‘a ;/apis, la terza della musica, ed un paese a penna, sono state tirate in numero di cinquecento; la quarta è il trasporto | sul cartone di una stampa tipografica , la quale, come si è detto, non la- scia che desiderare : voi sarete persuasi che i trasporti fatti con dei cartoni possono venir belli quanto quelli che si otten-.. gono eolle pietre (4). I cartoni litografici , oltre ‘al discreto prezzo al quale po- . tranno essere rilasciati, e la facilità che presenteranno per eser- citar l’arte nei luoghi sprovvisti di pietre, servono con mag- 315 giore esattezza che la pietra a riprodurre le incisioni , e le stampe tipografiche per mezzo dei trasporti; non avendo le pietre l’ elasticità del cartone, e non prestandosi con egual fa- cilità a sì delicata operazione . Sembra che anco i ritJcchi fatti sul cartone dopo stampato siano molto più solidi e durevoli che i ritocchi sulla pietra, come si può giudicare da un paese, al quale l'artista ha aggiunto’ due figure, e molte altre cose di dettaglio (5). Faremo osservare che un cartone di nove pollici su dodici costa cinquanta centesimi, nel tempo che una’ pietra della stessa ‘grandezza vale dieci franchi (6). Il cartone non può ser- vite che per tirare un solo disegno, mentre una pietra può essere ‘impiegata per ‘cinquanta differenti disegni: ma la pu- litura della pietra costa i cinquanta centesimi. Le prove che sottomettiamo al consiglio non oltrepassano la. dimensione che abbiano accennato; è a’ ’altronde probabile che potranno eseguirsi colla stessa facilità disegni di maggiore’ dimensione: questa è uua: esperienza tuttora da farsi (7). Finalmente le controprove, che tendono a moltiplicare all’in- finito il medesimo soggetto, più facilmente si eseguiscono sul cartone che sulla pietra, il che deriva, .come o, fatto osservare ; dalla elasticità della quale il cartone è dotato: dopo aver tirato delle prove litografiche si trasportano sul car- tone, e più comodamente di quello si farebbe delle pietre, si conservano quindi per servirsene all’ occorrenza . L'ambasciator persiano avendo assistito ad una delle se- dute dei vostri commissarj , è stato invitato a scrivere sul car- tone. Un interprete ha tradotto le parole che egli aveva scritte in ‘arabo: ‘esse erano così concepite . 1:93 Mirza Aboul Hassan! Kham, ambasciatore straordinario » dell’ illustre ‘corte di Persia residente nella maravigliosa città » di Parigi, il 24 maggio, 1820 dell’ era cristiana è venuto per »” vedere la stamperia Pa pirogiA tica » che è. stata inventata in » Francia, e che offre più di ogni altra stamperia! grandi fa- gii cilità. Tutto quello che. fino ud ora ‘ho veduto in Parigi sy sì riguardo al clima, ‘che agli oggetti di belle ‘arti i oee ») tutto ciò che ho edito negli altri paesi del mondo. All’ oggetto di pg en l’uso della litografia il sig. Sene- felder ha inventato una stamperia portabile ; l’ azione della. quale è tanto facile, quanto ingegnosa. Essa contiene un certo niù- x di soddisfazione, decretandogli una medaglia d’oro; e domandano: 316 mero di cartoni, ;con tutto quello che è necessario per la stama pa. I disegnatori possono servirsene per moltiplicare le produzioni delloro genio, i banchieri, i i negozianti per la loro corrispondenza, le loro fatture , i loro avvisi, i loro prezzi correnti ec. Essa può essere ancora molto utile agli, stati maggiori dell’armata. sì in tempo di pace, che.in. tempo di guerra, alle amministrazioni pubbliche , agli agenti diplomatici e Pbana Die s infine ai. coni- positori di musica, del pari che agli amatori di ogni qualunque genere . Dalle diverse esperienze delle quali siamo stati, testimonj resulta, che i cartoni litografici trattati da mani esperte; in un gran ‘numero di casi possono sostituirsi alle pietre, e che patrie prove , ed una più lunga esperienza, porteranno pro- babilmente in questo metodo tutta la perfezione della» qual è suscettibile . I commissarj pensano dunque che il sig. Senefelder,, dando più latitudini all'arte, facilitando i mezzi di esa le ha reso un nuovo servizio, e che avrebbe meritato il premio, che la società aveva offerto, se nell’ anno decorso ella non lo avesse ritirato. Credono che, la. società debba dargli uri contrassegno! che l’ esame di tale, proposizione sia rimessa alla commissione delle medaglie , in conformità dei vostri regolamenti . . Il consiglio approva il rapporto ; e ne ARIAL le conclusioni . Per copia conforme JOMARD: Annotazioni del Sig. Senefelder i) (1) Sopratutto il cartone litografico si trasporta, si conserva, si tinge per la stampa , e si maneggia più facilmente. (2) Sono pregati:di osservare che Vobbligo del litografo è di' fedelmente copiare il disegno tale quale è. Egli non saprebbe, fare la; sua stampa con più ef-. fetto, o finitezza del disegno originale, r (3) Questo saggio di tipografia fa vedere che trasportandu su i cartoni lito- gîafici uno stampato appena Tevato dal CIT essi in qualche guisa potranno‘ servire di tavole stereotipe; i (4)I trasporti riescono meglio su i PASSI che sulle pietre 1. Perchè il cartone è elasticissimo , e soffre per conseguenza'fino alla maggior forza J azione. della pressa. 2. Perchè egli ha maggiore attrazione per i corpi grassi. 3, Percheegli. è più unito e più liscio della pietra, ove la minima cavità, 0 ineguaglianza muoce al trasporto. ‘4. Perchè in molti trasporti è utile scaldar la pietra, cosa pericolo») sissima , e che richiede per lo meno due ore di' tempo, mentre i cartoni sì scale dlano e raffreddano nello spazio di duc minuti. ] PE, 17 (5) I ritocchi possono essere reiterati molte volte. oli (6) Qui sì fa menzione dei cartoni più sottili ; quelli più consistenti , e che sono necessarj per i disegni a lapis > saranno più cari a seconda delle loro di- mensioni. | RULL! Ae (7) Ne abbiamo «fatta 1} Riti con' una composizione di 14 sopra 20 pollici ;;la quale,è stata tirata senza îl minimo inconveniente. | e SCULTURA Osservazioni sulla esposizione per il concorso al gran pre- mio di sculturà distribuito dalla Accademia delle: belle arti di Parigi. Li 28 settembre 1820. L’ ‘esposizione del concorso al gran, premio di, scultura , sì compone di otto statue in tutto rilieyo. In esse osseryasi con, pia- cere che la scuola non solo si sostiene in, tutto il suo vigore, ma che questo concorso la vince su quello del 1819. Il soggetto è uno dei più felici. Caino; che dopo l’ uc- cisione "o ‘Abele , sente dire all’ Eterno : x» IL sangue del tuo fratello , versato dalle tue mani, grida. al mio cospetto ; tu, sel, maledetto sulla terra imbevuta del medesimo ,;. ta co immaginazione, dei gioyani artisti, in questo; soggetto drammatico poteva inalzarsi; alle forme le più .nobili, e le, più robuste, non, essendovi cosa, troppo grandiosa.ove trattasi di uno dei figli d’ Adamo: perfino espressione, Racer virile ,, sentita , ed anco sublime. 113 Per il costume generalmente stalibio del concarso dei..gran premj Caino si è ATE: rappresentare nudo, 0, seminudo ò La prima statua ‘è bene immaginata, ben messa in azione . Caino che si allontana dalla sua vittima , tenendo ancora nella destra la. clava instrumento, del suo delitto » La, voce del Si gnore, lo arresta : lo. splendore, della luce;: celeste. lojabbaglia», Il grido che lo accusa gli. fa. piegare la cervice ;,.seriza com-., primere la sua audacia . Egli asconde colla. sinistra, la fronte ;/, ma, leggesi negli sguardi, pi il pensiero è. tuttavia delinquente 4; IT Egli è nell’ line di. un uomo., che. si. ferma;\e DI Du: "A mentre frettolosamente. camminava, + I suoi moti sono, { giusti: il contrapposto ardito senza caricatura .\L’ insieme offre un bello; ; sviluppo, morbidezza, ed. accordo... Le forme. sono, robuste , ma, svelte. La testa, nello stile. di un Ercole.,..è di un,bel., carattere; i , dettagli ne sono | iben, fatti, Questa. figura. .ferma; 318. l’occhio dello spettatore , con ‘un ‘aspetto di naturalezza; che accenna buoni studj, e che è per far molto onore al giovine artista. Osservasi con dispiacere una qualche crudezza nell’ anti- braccio, sinistro, e. non tutta la necessaria :grossezza nel deltoide del braccio destro; il «che rrende ‘la’ spalia ‘un pòcò stretta . In generale essa annunzia disposizioni più che felici, ed un gio- vine talento degno dei ‘maggiori incorraggiamenti . Sembra che il secondo ed il terzo concorrente sieno stati sensibili soltanto all'idea del terrore, che dovè provare Caino . Le immagini di Gesner ‘hanno forse contribuito al loro errore. Essi ingnorano che non tutti i contepimenti poetici possono’ rap-' presentarsi dalle arti, e specialmente dalla scultura . Questa mas- sima deve imprimeérsi! nella mente ‘dei giovani artisti, stando la maggior’ difficoltà nella ‘naturalezza dell’ espressione . In queste due figure ‘trovasi tutto al più vivace esecuzione e franchezza, cose stai nella presente esposizione ° Il pensiero della quarta' figara è assai felice; sembra che }'autore @bbia prese di mira queste parole: ,; >” lo non so cosa ne sia stato Voi non mi ‘avete fatto suo guardiano. Caino imperterrito , biécamente' ‘guardando il cielo, niega il suo delitto TI e con ciò terininà di rie tirnk la pena’. TA todta di questa sta- tua è virile: e di stile grandioso . Le forme sono delicate , é' non ostante ivîgorose’ TI torace sembra ùn poco, ‘stretto. La scelta del modetti ot è stata ‘al certo felice‘ Per ottenere una maggiore ‘espressione | molti concorrenti sono-caduti” in’ un’ piccolo difetto . So all’ antibraccio, essi hanno troppo” piegato! là ‘mano } ché si alza, per la qual cosà! la giuntura ‘fà in'bitgolo; che' si avviciha troppo all angolo retto. Là quinta” asta esprime | piuttosto la sorpresa, “ce l or-' goglio } oil’ pentimento . La ‘testà è quella ‘di un vecchio fauno’ colpito ‘datl’aspetto di uma meteora. ‘Il carattere delle ‘forme, corrisponde: all idea , ‘chie l'artista ‘&rdsi formato della persona di Cainò 1 ‘nel! quale Non ha veduto che un ùòmo agreste, un abitante dei boschi "Egr non se lo'è figuràto quale doveva es- sere ‘una’ delle' opere ‘più perfette della ‘imiîno’ del Creatore . Le" anche’ soné ii poco dure, ed i muscoli male intesi : in fine Varo. tistà now si/® inalzatò all altezza del soggetto. la In una ésposizione di questo genere , con piacere rendiamo conto 'a' ridi stessi dei'‘varj dffetti', che hanno inspirato gli ‘arti- stîequando;i' concorrenti hantio della inimaginativa ('talento' del 319 quale i nostri giovani artisti abbondano ) questa varietà ha un mon so che di piccante che eccita la curiosità , ed instruisce lo spettatore . In questo caso, il soggetto presentava successive si- tuazioni di affetti, e non yi. è. alcuna immagine propria del me- desimo , che da qualcuno degli emuli, non, sia stata resa . ‘ Il sesto ha voluto mostrar Caino atterito dalla voce dell’ Ente; supremo ., Con un ginocchio quasi piegato fino a,terra , con un braccio alzato , l'omicida, fissa spaventato i suoi, sguardi nella luce celeste ;, Egli: già prova tutto l’ orrore della sua pena. Più, e diversi hanno rimproverato a. questa figura, il difetto di .richiamar troppo alla mente la bella statua dell’ Ajace del sig: Dupaty . Questa critica è troppo rigorosa, e non del tutto giusta. Il pensiero, e l'attitudine sono diversi. D'altronde quan- do anche vi fosse qualche somiglianza, non si sa forse quanta differenza porti nella disposizione delle ossa, e in tutto il siste- ma muscolare il più piccolo cangiamento di attitudine ? Si può imitare lo stile di una statua, ed in ciò non vi è alcun male, quando lo. stile è buono; ma in quanto all’ azione , ed alla in- flessione del corpo , non puo esservi imitazione ,, se mon che trattandosi di una copia esatta. Si rimprovererà più giustamente a questa figura della durezza ,, e della rotondità nelle forme . Il settimo colpisce lo spettatore con l’aggiustatezza del mo- to, e con la precisrone dei contorni. Il pensiero è presso a poco lo stesso del precedente . Caino spaventato , confuso dalla voce del Signore che lo condanna , si inchina , e si appoggia colla, destra al tronco di un albero, leggermente piegando il ginocchio destro , e per un effetto del timore contraendo le anche. Nell’ insieme , e nei dettagli di questa statua la naturalezza , ela verità della imitazione sono portate al più alto grado. Esse scuo- prono una forte sensibilità nel giovine artista, ed annunziano ec- cellenti studj anatomici. Sembra per altro che il carattere delle forme non sia conveniente al soggetto: esse mancano di ele- ganza, e di dignità. E’ uu bel pregio essere ‘naturali, ma biso- gna essere anco dignitosi. Ciò non ostante la testa ha dell’ ani- ma; le giunture sono giuste; l’azione è naturale. In questa figu- ra vi è il germe il più essenziale del talento , la precisione dell’ occhio , e la forza dell’ espressione . L’autore dell’ ottava ha presentato il suo soggetto con mag- gior sublimità. Caino non solo è stato arrestato dalla vece tre- menda che ha tuonato sul di lui capo, ed atterrito dallo splen- 320. ne | l dore della sùperna luce ; ma’sebilira che alibia ‘inoltre’ $ èntito pronunciare la sua condanna . ‘Tmmersò ‘ina profondo dolore, al quale è unita l’espressione della fèrocià , ‘ei proferisce ' queste parole della Genesi : ,, IZ mio delitto è troppo grande, perchè possiate perdonarmelo : io' fuggirò il vostro cospetto, e mi ascon- derò al mondo intiero ,,. La ‘sua testa si curva, mentre con attitudine fiera indirizza a Dio tale sinistra espressione del suo pentimento . Questa è certamente la idea più : patetica; ‘che sia venuta in mente ai concorrenti . Il carattere della testa svela il delitto ; essa è regolare, e maschile. I contorni offrono da per tutto l’ idea di una buona scelta di modello: Il disegno è di buono stile. Lo stile eroico, ed il carattere del soggetto sono stati dall’ artista mirabilmente collegati. L'esecuzione è accurata, le ma- ni ed i piedi sono modellati con spirito , e tutti gli accessorj situati con gusto . Qualche indecisione, e qualcosa di’ angolare nelle braccia potrebbe dar nell’ occhio , come pure alcuni derta- gli troppo sentiti nei muscoli del torso. Questa statua nell’ in- sieme , che colpisce meno della prima e della settima rapporto alla verità, amnunzia però uno spirito riflessivo , delle idee ele- vate, ed un sentimento del grande; cose tutte , che non possono fare a meno, di non condurre l’ artista ad eseguire delle opere eccellenti . | NB. La figura premiata era situata la prima all’ ingresso della sala, e quella dell’ accesso la settima . Fine del N. II. AVVERTIMENTO I desiderio palesato da molti, e le gentili offerte d'Aieagio illuminate Persone zelanti della gloria patria, ci hanno persuasi a modificare la massima, adottata in sul nascere dell’ AntoLoGIA, di non comporla, cioè, se non colla versione di cose, tratte dalle migliori opere periodiche o da opuscoli d’ Oltramonte; e a dar luogo anche a quegli articoli originali, che paressero meritevoli della curiosità de’ Lettori. i Incominciamo pertanto colla seguente scrittura ano- «nima , pervenutaci da una città di questo Granducato. La quale licia tosto con lieto animo, così per la na- tura del subietto, che, relativamente ai Poni) ha l’a- | ria di essere affatto teipionale , come per la suppone de' fatti irrefragabili, messi in campo dall’Autore , ‘nel prender parte ad una controversia; tanto a’ dì nostri agi- tata in Italia. Ch pa “lesa stadi scio fi ud d RI peer eni. rit Pa; MITO VT x Mi sr sì »° A dl Pod ’ Vo, Re Ù 7: ' Ma e ME lidioltogigrie? ari ara colagixao oli i ne gigi beso: coi ini ANTOLOGIA _N I Marzo 1821. APPENDICE CRITICA all’ opera del Sig. c. GiuLio PeRTICARI, la quale forma il vol. 1r. della PRO- POSTA DI ALCUNE CORREZIONI } ED AGGIUNTE 4/ /'ocabo- ina della Crusca. , 9 il », Le belle parole , senza i bei pensieri ; sono crepunde da » fanciulli ,,. È PERTICARI, vol. I. della Proposta ec. a p. 213. D. poco in qua si è rinnovata in Italia la que- stione; se toscano debba dirsi.il nostro volgare illustre, anzichè italiano, e se quindi ebbe ragione o torto chi lo chiamò finora toscano. Più carte si diedero in luce su così fatto argomen- to con uno zelo che non di rado si accostò alla rabbia : e molto si disputò, come se trattato si fosse di grave ma terja politica o religiosa, o del diritto di qualche nazio- ne di prima sfera. Ma benchè talurio abbia perfino sco- | pertamente stampato, che, dopo le ultime scritture del | sig. C. Perticari, le quali costituiscono appunto l’an- 3240 munziato volume, ron alzerà omai più le 'grida uome che abbia intero il giudizio; nondimanco ognun vede che la cosa rimaner dovea nella condizione di prima: stantechè quando il punto di una controversia non di- pende dall’opinione, ma dal fatto, nè tutto il prestigio. del ragionare pro o contra, nè il massimo favore delle circostanze, e, diremo ancora, degli uomini, è baste- vole a far avanzare o retroceder di un passo la causa. La qual persuasione fece sì, che i Toscani, contenti del- l’eloquentissimo codice dell’ evidenza, non prendessero in generale gran parte al conflitto . «Ma ove pur la ragione stata fosse affatto dalla parte del sig. C. Perticari e de’suoi commilitoni, qual conse guenza ne sarebbe mai derivata? che si sarebbe dovuto appellar italiano quello che avanti si chiamava tosca- rio (1). E un tal resultato, diciam noi, meritava egli un sì strano romore? Qual guadagno ha. potuto o potea mai venirne alla lingua? E a che tanta farraggine di ri- (1) E, tra gli altri, dal Tasso nella sua maggior Opera; 33 Gildippe, ed Odoardo, i casi vostri 3, Duri ed acerbi, e i fatti onesti e degni » ( Se tanto lice a’ miei TOSCANI inchiostri ) » Consacrerò fra pellegrini ingegni ,; . Gerus. lib. C. XX. st. XLIV. E il Hakcasio, nella Vita di Dante, va ancora più oltre : », E scriverò in stile assai humile e leggero perocchè più ,; alto non mel presta l’ingegno, e nel nostro FIORENTINO 33 IDIOMA. ,, E più avanti, parlando di Dante: ,, Compose anco- >», ra un comento in. prosa in FIORENTINO IDIOMA ,‘sopra tre 3) delle sue canzoni ,,. E nel Decamergneé, PES IV. Nov. III. 0 che assai 3» manifesto può apparire a chi le presenti Novelle ‘riguarda , »» le quali non solamente in FIORENTINO VOLGARE ed in prosa 325 cerche, le quali saranno e sottili e bellissime , ma che, straniere al fondo della presente disputa, possono tutt’al più dimostrare quello che fu, mentre si dovea cercare e si volea pur sapere quello che è? Perciocchè portiam opinione, che sia gettato qualsivoglia ragionamento, ri- volto a distruggere una pratica, la qual ripeta l'origine dalla natura. E conceduto ancora, che si arrivasse a provare, essere siciliano e non toscano il miglior lin- guaggio, che scriver si possa in Italia, ne seguirebb’egli dunque, che il dialetto de’ Toscani andar dovesse con- fuso cogli altri della Penisola; o che non fosse quello che comprende quasi tutto il volgare illustre? E su qual dialetto si formò dunque l’ italiana grammatica? Come appellar italiani i dialetti d’Italia , se tutti sono fra loro diversi? {taliano si può bensì chiamare il toscano , per- ciocchè gl’ Italiani questo comuremente usano, ed è il solo che generalmente sì conosca dagli stranieri, In egual modo i grammatici greci notarono l’istessa voce ‘per attica e per comune, in riguardo a due circostanze: cioè, dalla nascita, attica; dall'uso di tutti , comune. Ed oltracciò, donde nasce che tutta la gente culta d’Ita- lia, fuor di Toscana, si studia d’imitare il toscano dialetto »» scritte per. me sono, e Senza titolo , ma ancora in istilo umi» ‘» lissimo, e rimesso quanto il più si. possono ;,. i Ma non basta. Il medesimo Alighieri, alle cui dottrine si stu» diano ‘di appoggiarsi gli avversarj ,. chiama or Toscana or Fioe . rentina la lingua della Divina Commedia : » Ed un, che intese la parola ToSscA ;,. do | Inf. c. 23. t. 26. Io non so chi:tu sia, nè per qual modo Venuto se’ quaggiù, ma FIORENTINO Mi sembri veramente, quand’ io t” odo . Ivi, c. 33 6. 4. 356 quando mita a favellat sentilmente (3)? E perchè mai un Toscano è inteso in ciascun lato d’Italia ; dovechè gli abitatori della Lombardia ; del Piemonte; di Genova, a di Bologna, esprimendosi ‘nel nativo dialetto, non ‘lo sono; non direm già solamente ‘in Toscana; ma neppur sempre tra loro (3)? Vi ebbe, a cagion d'essrapio) qualche x O ! i) « SCSI roeliab (a) Così facevano. i Greci, fuori dell’ Attica (e ognun ve- de quanto i moderni dialetti d Italia sien lontani ‘dal toscanò in proporzione di quello che lo era il linguaggio delle diverse provincie della‘ Grecîa rispetto all’ Attica:), iquali eran tantò più pregiati, quanto più atticàamente scrivevano.:.e, così i La- tini rispetto al romano sermone. Theophrastus 3 Aristoteles , et quamplurimi ex Graecis, qui etsì non * Athenis nati, atticè tamen scripsisse, noscunfur: ex Latinis autem Pla: Cai” tullus , Propertius, Naso, Virgilius, Térentius, Livius, Cicero et ipse ‘decidet ‘esa summo gloride culmine, iniquo per tot.sae- cula.:clarus perdnni. hominum, fama, refidlsit. Nemo enim, ho- rum Romae ‘natus. est, quamvis quilibet eorum’ ‘sit romanè optimèque loquutus . Così scrive il Gravina. E qui, coll” autorità — dell’ istesso autore , ne sia lecito di osservare quanto andasse lun-' gi dal vero colui “che sì stranamente confùse i dialetti d’Italia con quelli dell’aritica Grecia: Won vident illius assertores; hominés aliogui doctissimi, qualis error iis objiciatur, quandò ad simi- litudinem Graecorum volunt inter nos inferre communem omnibus linguam? Occulto sane labuntur errore: nec sentiunt ideo pud Graecos communem floruisse linguam , quia illarum Regionum quaelibet suam. habebat ornamentis pin et numeris i ex qua- rum commistione una quaedam ex omnibus conflata prodibat . Misce vero nosirarum Régionum linguas; qualia , credis, rum» pent monstra , quis horror quis strépitus non disserentium homi= num, sed delirantium, atque furentium ? DIALOGO, a Paolo Fal- coneri, inserito, nel Giorn. Arc. n, 1. p.. 41, 43, 44. (3) Giàcchè il nostro autore ha creduto di corrohorare qua e là le sne sentenze coll’ autorità dell’ Alighieri , stimiam op- portuno di trascriver qui le istesse ‘Babol di quest’ ultimo, scritte a M. Guido da Polenta, signor di Ravenna nel 30. . 327 | Milanese 6 Veneziano, che voltò nel proprio dialetto la Gerusalemme liberata) o altri classici componimenti : mia vi fu mai verun T'odcdbiò il qual trasportasse nel suo qualche scrittura italianamente’scritta!? Si può traspor- tare nel linguaggio della Crezia-(si dirà forse), col quale furon orditi gli Scherzi comici del sig. G. B. Z. Ma, per quanto sia giovato agli oppositori di siliconico di quel brutto esempio, è egli quello in generale il dialetto del popol toscano, 0, per meglio dire;'de? Fiorentini’, | e dell’ istesso ‘autore liga tali POETA (4)? Omettentio Marzo 1313 da Vanoi, al cui senato 5° “inviò da lui con una legazione : » Ma, onmè, che non altrimenti giunsi nuovo e », incognito pellegrino, che se testè fossi giunto dall’ estremma » ed occidentale Tile; anzi pareva io press meglio qui ritro- » vato intrerprete allo straniero idioma sio fossi venuto da i 33 fàvolosi antipodi; chè non fui ascoltato .colla; facondia. ro- 3», mana. in, bocca: perchè non sì tosto pronunziai; parte dell’ esor- », dio, ch'io m’ avea fatto, e rallegrarmi in nome vostro della ,, novella elezione, Lux orta est NC , et rectis corde lae- » titia, che mi fu mandato' a dire, ch’io cercassi d’ alcun ,} interprete , 0 ‘che mutassi: favella : (Così, mézzo fra stordito 372 sdegnato,, nè so qual più, comineiai alcune poche cose a 7 «dire IN. QUELLA. LINGUA, CHE PORTAI MECO DALLE FASCE : la » quale fu loro, poco. più Dire e domestica, che la latina. sì » fosse ,;.» Prose di Dante Alighieri e'di Messer Gio. Boccaccì, Firenze, MDCCXXHI. p. 215 e 216. Ora domandiam;noi: La lingua, che. Dante PORTÒ SECO DALLE FASCE, era ella il volgare il» : lustre? E se avesse parlato col dialetto di, Genova e di To- rino ,, sarebb’ egli stato inteso? E dove appresero la loro lin- gua il Passavanti e.’l1 Cavalca? Il primo de’ quali, nello Spec- chio, di vera penitenza, ci fa sapere ,.d’ aver egli quivi, a ri- chiesta. eda’ prieghi de suoi devoti, preso a ul in iscrit- tura le dottrine sd lui predicate in Firenze dal pergamo : argo- mento evidente, che il popolo, nel decimoterzo. secolo , inten= deva benissimo quell’ aurea ed illustre sua. dicitura . (4). Convien dire, per la verità, che non tutta la gente fuor di Toscana trascorre a confondere il parlar della Crezia 328 per, brevità, che , somigliante parlare , malamente raccolto qua e là, non; è in molte. parti neppur quello, dell’infima asa de’ Fiorentini ( perciocchè, all'oggetto di accrescerne la, stravaganza ela caricatura; il sig. Z..ha, compreso, in.un breve dialogo quanto appena si sar ebbe: detto in una settimana di dati se pur sì sarebbe detto ), verrebbe provato con ciò, tutt'al più, che il toscano sermone; gentilmente parlato da lle, persone di, una certa cultura, dalle quali è formato il centro della popolazione, i incomincia a declinare dentro .l'istessa.Fi-, renze, e va via via peggiorando a misura che si dilata: nel che ‘seguiterebbe soltanto le ‘ordinarie leggi. ‘della’ natura. E. perchè dunque assottigliar tanto. Vi ingegno per an- dar contro alla natura medesima? Fu questa;che;siccome.. le' piacque di: stabilite mel centro ‘della Francia, della.. Germaidia e della Spagnia la sede’ della tbiglior loquela:: francese , alemanna e spagnuola,, ‘volle ancora por quella" del miglior dialetto” italiano in Toscana, centro dell’Ita- lia: e così avea: fatto)del greco nell: Attich, e del latino... in Roma «È ella questa una prerogativa ‘che debba ri-: svegliare invidia (5)? Prerogativa eguale, nè più, nè me: no, hanno i Milanesi ; che parlano ‘il milanese ; e così con quello de’ Fiorentini, ' ‘come stranamente fece ‘il sig. Contè.' Ecco i in qual modo sì esprime nel quaderno XLV. a p.70. del Rac-' coglitore di Milano il gentile e dottissimo! sig. Filippo Cocchi : »» Ma qui forse il valente sig. Perticari, appog sgiando le’sue spalle agli Scherzi comici del sig. Zannoni , vorrà pur ‘sostenere, che grandissima vi corra la differenza. Con buona pace però ‘dell uno e dell’altro; la lingua degli Scherzi comici non è' “i parlata nè dal popolo di Foe nè da quello di alcun’ al- s tra parte della Toscana, se pure ‘non abbianio falsati gli »» orecchi da qualche malìa ,,. (5) Dal seguente diagramma veggario i nostri lettori il per- chè sembri a noi, che, sull” esempio delle lingue antiche, fiorenti- 2). 2) 2? | 329 degli altri..Chi nascé ricco; è chi povero. Ognuno pro- «cura di star meglio che può: e in quella guisa che me- rita lode quel povero che sa onestamente arricchire , de- gnissimo dî commendazione (proporzionatamente mag- gior di quella che dar si potrebbe a un Toscano ) sarà quel Lombardo, Veneziano 0 Piemontese , che scriverà ottimamente la lingua comune; perchè un tal pregio gli sarà costato una fatica, più grande. Ma sarà egli da imputarsi a colpa de’ Toscani, se la posterità non tien conto di circostanze sì fatte, 5 e se l’arte può manco del- la natura ?»; n: Elqui ne sia lecito di edsentare; che se-la proprietà de’ termini e dell'espressione è una dell’ essenzialissime doti del favellare; difficilmente, e, in particolar mo- . do nel discorso comunale ,;uno scrittor non toscano riu- scirà eccellente in cotesta parle; per l’istessa ragion semplicissima , che un Toscano non arriverebbe forse mai ‘a scriver .con ‘proprietà nel. dialetto de’ Veneziani o de’ Lombardi, malgrado lo studio. Perciocchè, se è vero. che la foggia più naturale sia non men la più pro- pria, «come: crede mai che. possa confondersi al tutto col natùrale un sermone; i cui materiali si apprendano sui dizionarj é sui libri, scritti in un linguaggio che non sia il nativo? Anderebb’ egli molto lungi ‘dal vero chi asserisse, che chi scrive la lingua dei dizionarj , e del la. grammatica , scrive, direm quasi, in una lingua . morta ? Scrisse .in ‘una lingua viva e tutta propria, il Celli, senz’averla appresa. da altri che dalla nutri- ce. ora, qual mai de’ non Toscani , non ornato di. no debba chiamarsi il buon linguaggio italiano : Lingua greca, Lingua italica, Lingua italiana, attica, latina, toscana, ateniese . romana + fiorentina . c 330 \ lettere, scriver potrebbe il buon ici come quel: hjsò zarro e vivacissimo ingegno? Lau ). Alle quali ragioni non sapremmo per S cnit da mai si potesse opporre, trattandosi appunto di cose di fatto, e dedotte dalla natura e dall’ esperienza ; nelle ‘cui norme è assai più da fidare che non nell’in- dustria delle argomentazioni, le quali possono esser va-. Fie come qualunque opinione individuale. Ma qual mai fu l'origine di una tal disputa? Chi la mise in ca mpo? Qual interesse vi era, per gettar tant’o- pera e tante parole per un intento, che non. po- teva riuscire a nulla? Donde l’animosità, che da non picciol tempo si è palesata contra i Toscani e viviee mora ti, e perfino contro il loro dialetto, che non dà noja @ nessuno.? E perchè mai tanta furia contro l'Accademia della Crusca? Perchè (vi ha chi risponde) si arroga il dirit- to legislativo del bello scrivere in Italia. Ma (soggiungiam noi ) è egli vero questo (6)? Manda essa a far eseguire i (6) Risponda per noi il Muratori còn le seguenti parole; che sembrano scritte pel caso ‘presente: ,, Nel che merita assaissimo 7» d’ esser commendata. la diligenza degli Accademici, della: Cru “508, per opera de’ quali abbiamo un sì ricco vocabolario, 35 che può servir di scorta a chiunque brama di leggiadramente »» Scrivere. e parlare in italiano. Ed io non so punto. appro- >» vare la ritrosia d’ alcuni, ché non solamente sdegnano' di aes » cordarsi colle leggi di quella dotta e famosa Aecademia, mia » per poco l’ accusano eziandio di alterigia , quasi col suo vo+ 3 0abolario ell’ abbia inteso di farsi per forza l’ arbitra dell’iita sì liana favella , e voglia porre in credito ora il rancidume di »» alcuni vecchi autori, ora certe voci e locuzioni, proprie ‘del »» solo popolo di Firenze. Ma poco giuste nel vero son le que- »» rele di costoro. Se nel vocabolario della Crusca son raccolte » non poche parole disusate, rozze, e barbare, che si scontrano ” per le scritture de’ vecchi autori, ciò necessariamente’do- » vea farsi per ispiegarle, e mon già per consigliarne l’ uso, 331 suoi decreti per mezzo delle bajonette? O sono forse i suoi canoni di genere così fatto da turbar la coscienza * » come CHIARAMENTE PROTESTA L’ ACCADEMIA MEDESIMA. Così » me’ vocabolarj latini si rapportano i rancidumi d' Ennio, di », Platito e d’ altri antichi, accioechè se n’ intenda il senso ne” » libri già fatti, non perchè, in iscrivendo latino, queste s’ ado+ » perino . Parimente son ; seguitate tavolta mel vocabolario (*} suddetto alcune voci ;e. modi di favellare proprj del solo vol. go di Firenze , perchè .mancano. gli esempi de’ letterati per ispiegar qualche cosa. Nè dee sdegnar taluno , che, ove , manchi ’l’autorità dei dotti; più tosto si proponga l’uso del parlare fiorentino che ‘alcun nina essendo finalmente quel ; (dialetto il più gentile , il. più nobile ; e il men corrotto fra gli altri dialetti d’Italia; e noi DA ESSO RICONOSCIAMO IL MEGLIO DELLA NOSTRA LINGUA. £ non per questo 5 al » tribuisce quell’ Accademia una. piena e sovrana signoria so- » pra la lingua italiana (*). Era' troppo necessario all’ Ita» sg; lia un tal vocabolario; in cui si adunassero e |spiegassero » le voci e locuzioni più belle y;più usate e più pure della » Nostra lingua ;. e per mezzo di cui siî ponesse freno a certi 20) scrittori , che si fan lecito di scrivere e favellare senza veruna 4 sceltà di vocaboli e frasi italiane . E A CHI MEGLIO SI CON- 3» VENIVA IL COMPOR QUEST’ OPERA, CHE A’ Toscani, E SPE. >» ZIALMENTE A’ FIORENTINI? La provincia. e a città de’ » quali, oltre la leggiadria del dialetto, ha la. gloria d’aver » prodotto i migliori padri della lingua. Ragion giaro vuo- » le, che s ami, e stimi, e lodi la diligenza e fatica della dot- 2» » 0) 3) IL vocabolario è tesoro di tutte! le voci antiche è moderne, » di prosa, di verso,, illustri, serie \burlesche.; capricciose. >» E. va maneggiato con, discernimento, e con iscelta. I modi » di favellare , proprj del solo volgo, di Firenze ,ajutano ta- » lora l intelletto degli scrittori. nobili; e in giocoso compo- so nimento' possono utilmente esser impiegati, 0 servire per le » grigini , ed etimologie. i A. M. SALvINI. (**) Niuna Accudemia si può attribuire piena e sovrana signoria sopra una lingua. L’ vso DEL POPOLO, CHE LA rarth, E IL SOVRANO. PADRONE, A. Mr Sanrina. 332 de’ varj popoli della nostra Penisola? E per qual motivo andar in collera cogli Accademici della Crusca, i cui statuti non possono niente più di quel che possano le semplici. opinioni; anzichè con la buona gente, che a lei finora si attenne? E perchè dunque il medesimo sig. C. Perticari si sarà egli fatto scrupolo di usar voci o ma-. niere non registrate nel dizionario da. lor compilato 2. Eglino stimaron bene di far così in casa ‘propria; e ‘così: PAETTTA gli altri in casa loro , se lo credono opportuno:* E chi mai lo contrasta ? pai scisma, che ne potrebbe" nascere , non sarà fortunatamente di ‘tal sorta da cagio» na re spargimento di sangue, 0 da mutar la faccia mo-. rale d’Italia ; bastando ché que’ tali abbian presente di. fare ai buoni scrittori toscani quella giustizia che l’Ac- cademia della Crusca fece a suo tempo ai buoni scrittori di qua e di là degli Apennini. Dopo di ciò, toccherà ai Toscani il dir la loro opinione : stantechè è molto più. agevole il criticare , che il fare. Lungamente aBibilito fatte a noi stessi le premesse: domande , senza trovar mai una risposta idonea. Ma nel progresso de’ dibattimenti abbiamo a grado a gra- do potuto scoprire alcune fila, che ci ta ur accorti. sul vero disegno. | Up a La Proposta del Cav.Monti era dedita già gran pezs' zo avanti che fosse data in luce. E dalla penna di un tanto: scrittore non potendo uscir cosa dappoco , si confermò il plauso quando il suo lavoro fu pubblicato ; ‘ e sì disse. a ragione , ch’ egli avea prestato un grande e nobil ser- vigio alla bellissima nostra favella. Non son tutte gem-' me, è vero ( ed altri lo dimostrò ) , quelle Anzotazio- , tissima Accademia della Grusca, siccome quella, cHE snai ») MENTE È IL MIGLIOR TRIBUNALE DELL’ITALICA FAVELLA 33 +... Della PERF, PoEs. vol. II. lib. UL. p. 107; 108, 109... 333 hi (0): ‘ attesochè sono sparse qua e là d’ abbagli tali, che qualora:, nella compilazione del novello ocio s gli Accademici della Crusca lo adottassero ad occhi chiusi, i posteri avrebbono per avventura bisogno d’un altro buon letterato, il qual facesse intorno a quel codice un operazione ( benchè , per dir vero, men faticosa ) in sull’andar di quella del Cav. Monti. Ma qual è è mai l’ope- ta umana ; che vada esente da ‘imperfezione in qualche lato? Avranno essi per questo i nostri nipoti ragione di gridar contra il Cav. Monti, com'egli gridò contra gli an- ‘tichi facitori del dizionario, tornati già tutti in grembo della madre terra (8)? Fu quella in Europa la prima gran- (7) Vedi spezialmente le LETTERE DI URBANO LAMPREDI sull’ Opera del CAv. VincENZO MONTI ec. Milano , per Giovanni Sil- vestri, 1820. Quest’ opuscolo, scritto con la massima purgatezza e leggiadria di favella e di stile, e scevrò d’adulazione ugual- mentechè da malignità, dà a conoscere quanta sia la dottrina ed insieme l’acutezza d’ ingegno e la sana foggia- di. ragionar dell'autore. E contuttochè, facendo uso di quella celliiiiaza ch’ egli ha praticata verso il Cav. Monti, ci sia forza il dichia- rare, non esser noi, in alcune parti, della sua opinione, dob- biam confessar tuttavolta , che il maggior numero delle sue os- servazioni è tale da non potersi abbattere, e prova ad evidenza quanto per noi si è detto: vale a dire, che le proposte, e i ca- noni di quello scrittore ron son tutte gemme. Nè meno franca è la sua disapprovazione per quel che concerne i modi scabri } usati da lui particolarmente verso 1’ Accademia della Crusca; quan- tunque con rettorico artifizio abbia cercato di renderla qua e là scusabile, per quanto potea. Tantochè non dubitiamo di asserire , esser questa operetta degnissima di esser presa a modello massime in fatto di controversie letterarie: E veramente ne. duole che ne sia capitata sì tardi, da non poterne più seguitare in tutto l’ esempio . ,: (8) Et qu'on ne s’imagine pas d’aprés cesnombreuseset pre- » sque utiles critiques de M. Monti, qu’on ne doive pas con- » server pour le dictionnaire de la Crusca toute l’éstime, qu'on lui n'a accordée jusqu'à ce jour. Si quelque chose prouve combien 334 ‘de opera di tal fatta: E chi non sa, quanto sia men mala- gevole il correggere e il condurre a perfezione ,. che il creare ? Donde tant’ira contro quegl’innocenti , sulle cui tracce ha camminato (forse non volendo ) llisicsag Cav. Monti , giovando liberalmente alla propria favella? Mol- te delle osservazioni , da lui pubblicate ,, sì eran fatte già dagli antichi e dai nuovi Accademici, occupati DA PARECCHI ANNI intorno alle correzioni ed aggiunte : altre non eran fatte; e forse non lo sarebbono state mai. La qual considerazione rende via più accetta ai Toscani la sua bell’ opera, e gli procaccia per avventura più gloria che non gliene sarebbe venuta dalla. parte che avesse potuto avere alla compilazione del nuovo dizio- nario , come individuo dell’illustre Corpo , al quale ap- partiene. Ma perchè prestare un somigliante ajuto con discortesi maniere ? Gli è stato proprio un dare i .con- fetti colla balestra, direbbe un Fiorentino : e ogni perso- na di sentimenti gentili non potrà di certo non disap- provarli: i: DAFRlAccRe la sua bile non fu, nel caso nostro , nè giusta , nè di quella generosa origine , che fa sovente perdonare e talvolta rende bello anche .il troppo. Di che potremmo citare esempi vivi e grandissimi nelle sue stesse poesie , e singolarmente nella Basvilliana : », il l’a acquise justement, c'est, qu'un écrivain aussi exercé, aussi , ardent, aussi infatigable que M. Monti,en appliquant ses cri- » tiques générales à chaque mot du dictiénaire, n’aye trouvé s è blamer.qu'environ deux cent mots, ou acceptions, de la lettre >», A. jusqu'à F exclusivement. On pense bien que les articles 3) qui n’ont. pas été attaqués, sont regardés comme bons par >» l'illustre et ‘isavant critique ,,. RAYNNOUARD, Journ. des Saw. Giugno, 1819. a p. 378. Crediamo inoltre ‘di dover rammentare ai nostri lettori, che il Pougens ha fatto urbanamente altrettanto sul dizionario dell’ Accademia francese , di tanto superiore a quello dell’ Accade- mia della Crusca. 11 \ Ja 335 componimento , che quantunque men. faticoso e ‘meu utile della Proposta, andrà non pertanto fra le mani de’ posteri ancor più di quest’ultima. Nel I. volume della I parte di sì fatto lavoro, piacque al Cav. Montid’ introdurre una scrittura del sig.C, Pertica- ri, intitolata Degli Scrittori del Trecento: scrittura pie- na di buoni Argomenti e di vigore; e illeggiadrita da uno stile nitido ed elegantissimo ( tuttochè non di rado affet- tato ): tale insomina, che si.reputa da noi la più bell’ope- ra di quel nobile Pesarese (9), e infinitamente superiore (9) Questa nostra dichiarazione, benchè dovuta e sincera, esser dee tuttavolta intesa per quel che concerne l’opera in generale, non osando noi di affermare- esser. ella scevra da inesattezze , alterazioni e sentenze assai strane , le quali , no- tate anzi da noi in buon numero, potremmo qui riferire, se il presente articolo non fosse esclusivamente consacrato alla parte II. del II. volume. Per ‘metter nondimeno ‘in guardia que’ tali, che, paghi di leggere e di lodare senza premettere alla lo- de la verificazione de’ fatti , potrebbono trovar ardita quella nostra asserzione, giovi addurre le poche circostanze seguenti: Nel volume I. della Proposta, al cap 4 p. 116, il sig. C. Perticari parla delle scorrezioni de’ codici di nostra lingua, ed emenda alcuni luoghi d’ autori antichi. E per dare un saggio di qualche opera di quegli antichi, quali ogni gior- no's imprimono, e sì ritornano a imprimere, riporta, fra gli altri, i seguenti versi d’una Laude, che si trova do- po la Vita diS. Domitilla ( vedi Vite de’ SS. Padri,, vol. 4. ): e son tolti da un’ edizione, ch’ egli non cita ( e debb'es- sere la Veronese ): de i ». Ora per noi santa bella » Dinanzi al tuo Creatore, 3» Manda a noi una fanciulla » Del foco che s’ arde il colore. i; E dopo aver detto che poco vi voleva a vederne l’ er- fore ( e in questo ha ragione ), si. fa bello della correzione di que’ versi, ch’ei riporta appuntino TALI E.QUALI si leggono 336 alla langa e intricata diceria 3 ‘dalla quale prendemmo | occasione di qui favellare: In quella scrittura noi rico> nélla fiorentina Sfiga delle accennate ite, fatta dal Manni, CITATA DALLA CRUSCA, e chiamata dal Gamba ACCURATISSIMA. Or dunque, perchè i codici antichi’ sono più o meno scor retti ( e bene il sanno tutti coloro, che sono esercitati nel loro studio ), non si dovrannò più nè stampare, nè ristam- pare , qualora non abbiano l’ imprimatur del sig. Conte ? Anco i codici greci e latini son pieni di mende. Si dovevan dunque lasciare Iguorala fra la polvere delle biblioteche ? ‘E sarà opera perduta. di que’ tanti valentuomini, che li diedero la |primà volta in luce, o che gli hanno riprodotti dappoi a miglior le- zione ridotti, e dove tuttogiorno si van facendo nuove critiche ; indagini , e scoperte Rata: agli studiosi ? A p.31è 32 dell’istessa operetta , Il sig. C. Perticari così si esprime :,, Nè da più chiara origine ( dalla lingua romana ) cre- », diamo ‘che altri saprà derivare questo nome di xRomanzo, 3» il quale al certo nacque in quella buja stagione, e dovette » essere da prima trovato per questa gente italiana , la quale » per tanti secoli amò di appellarsi da Roma. Nella quale 3, Opinione ci conferma l’ osservare, che la lingua rustica e » volgare non fu mai detta latina: laddove Ia romana fu spesso 3, di nome confuso colla volgare. Di che bellissimo è il testi- ,, monio di Pier Giovanni Damiano, OssERvATO DAL Mu- RATORI, ov’ egli parla di un tal Francese, che -nEL NONO 3) SECOLO vivea in Roma- il quale bene disputava in lingua 3) latina , e gentilmente parlava nella romana. SCOLASTICE 42- » sputans quasi descripta libri verba percurrit. VULGARITER » loquens, romanae urbanitatis regulam non offendit .(*) Nel qual. loco quello scolasticè significa /atinamente: e quel de- scripta libri verba ferma la nostra sentenza , che i libri non si scrivessero in altra lingua che in quella delle scuole, cioè nella Zatina, 0, come il Damiani dice, nella scolastica . E +) dovendo poscia nominar il volgare, dice /oguens: perchè , », come s'è già dimostrato, il volgare usavasì per parlarlo e »» non già. per iscriverlo. Così queste parole del Damiani git- » tano una bellissima luce in queste tenebre: e ne ricevono (*) Opusc. XLV. cap. VII. 337 nosciamo adunque i primi germi della questione, che infastiditanto il buon Pubblico italiano. Vi fu chi, \cor- » molta chiarezza i nostri argomenti; e si viene a scuoprire » che NEL NOVECENTO la lingua plebea , passata in volgare ro- » manzo, già cominciava ad avere alcune parti di gentilezza, 3 ed ancor qualche legge, come suona quella. espressione : Ro- » manae urbanitatis regulam ;,. Perchè sì fatta allegazione del sig. C. Perticari portasse al suo tenebroso argomento quella bellissima luce , che’ egli as- serisee, due cose dovrebbero esser vere: 1. Che l’interpretazione del testo di Pier Damiani. fosse . quella che gli diede il sig. Conte; e 2. Che quel Francese, di cui parla il Damiani medesimo, vivesse in Roma nel NONO secolo , come il N. A. afferma. Quanto alla prima condizione, riporteremo letteralmente ciò che dice il chiariss. Raynouard, a p. 310 e 311 del Journal des Savans , nel quaderno di Maggio, 1819: Il me semble qu'il n°y a pas deux. manières. d’expliquer ce passage; il paroit ne désigner QUE LA LANGUE LATINE . ScoLastTicÈ disputans, c’est-à-dire; ,, faisant. un discours d’apparat , il parloit avec une telle facilité, avec une !telle élégance, qu’il semblait lire un livre. ,, VULGARITER /o- quens, c’est-a-dire , ,, faisant la conversation, tenant des di- scours familiers, il ne blessait point l’urbanité, la politesse ro- maine : le. caractére d’urbanité, de politesse, peut convenir par-. faitement à la langue latine qu'on parloit à la cour papale dans le XI. siécle; MA1S IL NE POURROIT JAMAIS ÈTRE APPLIQUE A’ LA LANGUE ITALIENNE VULGAIRE ; DONT AUCUN MONUMENT N'ATTESTE L’USAGE A’ CETTE EPOQUE; et s'il est un pays de l’Italie où la langue vulgaire se soit vraisemblablement. établie plus tard qu’ailleurs, l'est sans doute à Rome, parce que la cour a du conserver plus long tems l’usage de parler latin (*). “, (*) Poichè ci cade in acconcio, rettificheremo qui una nota del sig. Raynourd , dove ( a p. 309.) dice : ,, J'avertis que ; par » cette expression ( del 300), les litterateurs italiens entendent » le siecle qui a commence en 1301, et qui a fini en 1400;. Il che non è vero. Pel Trecento (in questo senso) gl’ Italiani intendono lo spazio di tempo che corre dal 1200 @l 1300. . T. 1. Marzo 32 ‘338 tendo sotto il vessillo del più celebrato fia i nostri poeti, mandò note; lettere, dissertazioni ec.; e tutto ven- Rispetto poi alla seconda condizione , che, a parer nostro, basta da sè sola a gettar.a terra sì fatto. ragionamento del sig. C. Perticari,. diremo, che il Francese, di cui scrisse il Damiani, era contemporaneo .di quest’ ultimo: il che avrebbero veduto i lettori, se al sig. Conte fosse piaciuto di produr quel passo per intiero: HODIEQUE certe in romana urbe frater advivit , ortus de summis proceribus Galliarum. E Pier Da- miani nacque a Ravenna nel 1006, e morì. nel 1072, Quando ancora l’interpretazione del nobile Pesarese fosse dunque pre- fetibile a quella del Raynoward., rimarrebbe perciò sempre fer- mo; che quel Francese viveva in Roma; non nel secolo NONO , ma nell’UNDECIMO; allorchè non può più far maraviglia, e nes- suno contrasta, che s’ incominciasse a. parlare il volgare. E ad appoggio di quanto per noi si espone, viene. l’istesso Muratori, citato dal sig. C. Perticarij poichè nel tomo secondo delle Dis- sertazioni sopra le Antichità italiane ( Monaco, MDCCLXV, per Agostino Olzati, a p. 80. ) scrive: ;, Nè alcuno mi dimandi, che » gli dica, se.nel secolo VIII, IX e ‘susseguenti, per esempio, la 35 Stessa lingua volgare fosse tanto in Firenze, che in Siena, che 3; noi troviamo nale secolo XIII; nè se in Napoli, Roma, Venezia e Milano si parlasse anticamente quella lingua o dialetto, che ivi ora si pratica. A me qui MANCANDO MEMORIE, mi con- vien tacere. Di un certo dotto Francese; ABITANTE IN ROMA NEL SECOLO XI, così scriveva San Pier Damiano, ec. Se il sig. C. Perticari avesse scritto IX. e non rono si sa- rebbe potuto credere, che lo stampatore avesse sbagliato, ponendo VI. davanti al X. Ma non solo troviam nono in questo luogo; ma più avanti anche novecento; Da che mai potè dunque: deri- vare un sì concludente anacronismo? A p. 82, Opponendosi alla sentenza del Buommattei, Pasi dice, che alla lingua generale, cioè italiana; è tanto diffi cile dar regola, ch' ei lo stima impossibile; e che, per lo contrario, alla speziale, vale a dire alla toscana, non è tanto difficile dar regola ec., il sig. GC. Perticari adduce. l'esempio de’ Greci, che di molti dialetti formarono una lingua sola, e quel de’. Ros sani, i quali ebbero un solo linguaggio latino. Ma; per com- DI i 33g ne da lui ‘religiosamente inserito in que’ volumi, che spogliati delle materie altrui, si ridurrebbono forse a manco della metà di quello che sono. Ma se quell’opera è un vitupero continuo contra i defànti Accademici della Crusca, non manca per altro qua e là di vicendevoli incensi tra i propugnatori e il cas po supremo. Chi a cagion d’esemipiò si sarebbe aspettato di veder, nel bel primo volume , commendata; i in fatto di lingua , la versione del Corso ve Letteratura dram- matica , dello Schlegel? versione fatta dal tedesco in finte, e dal francese in italiano ;} e che meriterebbe d’ esser fatta dall’ italiano in TA Chiunque aveva intero il giudi zio sé ne fece le maraviglie sino da prima; € vide con pena a che fa trascorrere ùn malinteso sen- timento di amicizia. E diciam malinteso : perciocchè mentrè si cerca di compiacere con una lode chi ne può far senza , gli si presta il brutto servizio di renderlo ridicolo , ed esporlo ad osservazioni , alle quali altra- mente non sì sarebbe pensato. E chi dubitasse di questo nostro giudizio, legga una tal traduzione di traduzione; e ne dica se quello stile è stil da cristiano, se stile può chiamarsi un accozzamento' di modi ùn po tedeschi, un po’ francesi, un po’ italiani ( e di quell’italiamo ; fatto f battere somigliante opinione, è qui da notare. col Raynouard , che nella Grecia e nell'impero romano la lingua divenne gene- rale, 0 universale ; non già per via di un lavoro o perfeziona mento, che de’ dialetti de’ varj. paesi formasse una lingua gene- rale: ma perchè la lingua d° Atere e quella di Metà furonò adottate ne’ diversi tempi e luoghi, che appunto le parlarono. La- oride il Buommatteéi, appoggiato ‘all’ esser l’ idioma toscano ri- conosciuto pel più perfettò degl idiomi italiani, pensa a tutta ra- gione, che sia cosa più facile il perfezionar quello, per farlo adot- tare dai popoli d’Italia, anziché, di tutti.i dialetti, che quivi si parlano, formarne uno comune . 340. delle quisqui glie delitrecento e del cinquecento ); un po’, di tutto insomma: tantochè vi ebbe chi opportunamen-. te assomigliò sì fatta versione ad un mosaico. E chi cre- derebbe , che , per quanto la lingua francese sia comu- ne, egli non è tampoco fedele ? Chi, per esempio, non si maraviglierà in legger tradotto ef l'on admire enco- re ,dans la maniere dont il fait acheter sa vie, ec. con ,, ammiriamo ancora nel modo che egli comPERA LA sua vitA? E il a par une invention merveilleuse, ouvert un jour sur le monde à venir, voltato così: ,, Gon mara- vigliosa invenzione egli ne schiude innanzi UNGIORNO DEL MonDO avvenire ,,? (*) E chi potrebbe contenersi dal ridere in vedere, che mentre dice del Metastasio, che SI PERMETTE varj modi che sentono del francese (*), cade nel più bello de’ gallicismi egli medesimo? De” quali farfalloni potremmo adunar maggior copia, se ci volessimo dar la noja di porre quell’esotica versione a scrutinio. Bastò dunque che il campione se la prendesse cogli Accademici della Crusca; andati all’altro mondo, perchè. \ i seguaci, partecipi del suo sdegno, si scagliassero ( non si sa da che mossi ) contra gli Accademici viventi: dopo di che venne l’umilissima schiera de’ fautori, grandi e piccoli, con barba e senza, i quali esagerando il furor del campione e de’ seguaci, si diedero a gridare a tutta gola contro i Toscani , e perfino contro il loro innocente par-. lare. Ecco il modo con cui si venne alla gran disputa : ‘modo, come ognun vede, il più sano e il più liberale che mai. Un Professore di Pisa, e un Accademico residente, della Crusca ,ambeduedìi svegliatissimoingegno, tenendo (*) Tom. III. p. 121, 122. (**) Tom. IT. p. 250. ! 344 per patrio sì fatto argomento, riposero con moderazione e saviezza: l’uno si occupò della ragion degli èsempi e dell'esperienza; e l’altro esaminò dalle radici la. parte metafisica della controversia; non trascurando. neppure la materiale, che presentava, errori ed alterazioni paten> ti. E perchè da.tali scritture, si può, raccogliere quanto basta | per confutar quello che nelle Annotazioni 0 nelle massime dell’ autore della. Pr qposta e del sig. G. Perti- cari non è nè sostanzialmente, nè apparentemente vero, non ci estenderemo a riprodurlo, ristringendoci ad alcu- ne osservazioni sul volume II. della parte IL il quale, comechè dedicato dal Cav. Monti, è nondimeno vòto di qualunque proposta, e contien solamente un’opera del sig. C. Perticari, il figlio dell’amor, suo, com egli lo chiama. Incomincia quel Itialmae con un’ orazione \intitola- ta ,, Dell’ Amor patrio di Dante ;,: la. quale scrittura attesta in “generale nel sig. C. Perticari dottrina e inge- gno non comuni; o si consideri la purgatezza della fa- vella e la fluidità della locuzione, 0. il bell’ ordine ond’è tessuta. Ma che ha qui che fare l’Amor patrio di Dante colla Proposta? E.supponendo pure che si pren- desse abbaglio nel credere un simil lavoro estraneo alla base dell’ argomento, a che mai /’ Amor patrio di Dante giovar potrebbe alla: questione, quand’anche fosse manifestamente provato ? Forse, come dice il Cav. Monti, @ cacciare in bando.tutti i dialetti particola- ri? E per dimostrare, che l’ Alighieri, da cui si vuol de- rivato un simil consiglio, va seguitato, incomincia dun- que dal far vedere che amava la patria E non avrebbe forse potuto non amar la patria, e dar nondimeno buoni ed utili consigli, massime in fatto di lingua? E le testi- monianze, allegate dal Sig. GC. Perticari; sono elle tutte 342 fondate su i documenti del vero? E i suoi giudizj son eglino tutti incontrastabili ? tutte proprie le espressioni ? La stima ‘grande che facciamo delle scritture del. sig. C. Perticari, e di lui stesso, (la cui moderazione ‘ forma uno strano contrasto co”modi /scabri' dell’ autore della Proposta), non seduce il nostro intelletto al segno! di sottoscriverci ‘alle cose tutte, da esso stampate intor- no a siffatta materia; e noteremo perciò francamente quel che ci parve soggetto ad eccezione. E per agevolare ai lettori Ja maniera di verificar,subito le nostre osserva- zioni, seguiteremo nell'analisi più presto l'ordine delle: pagine, che quello della diversa natura delle osserva- zioni medesime. A p. 6. Dopo aver chiamata gentile V'indignazio- ne di Dante contro la sua città , si esprime così: « Le passioni umane sono simili‘ad un gruppo di « ami, posti l’uno sull’altro, che agitati con impeto or « qua, or là nelle tempeste dell’animo, s’intricano me- « ravigliosamente in molti nodi, nè in quel meschia- « mento è vista così viva, la quale di subito valga a « discernere i simiglianti. Ma se i filosofi vi rechino i « loro ordini; ecco il viluppo distrigasi: 1 nobili affetti « sono separati dai vili, e le ingiuste opere dalle giu- ste mi. VA put Nella qual similitudine ognun vede, che oltre alla stravaganza , proveniente dalla sproporzione tra le pas- sioni umane e un gruppo d’ami, vi ha non poca ine- sattezza anche nell’applicazione. Perciocchè, come mai un gruppo d’ami, cosa tutta materiale, si può intrica- re nelle tempeste-dell’animo ? E come, se l’uno è sul- l’altro, si possono quegli ami intricare? In tal caso s'intricheranno i fili: gli ami, no certo: e allora que- sti non entreranno per nulla nella comparazione. Ma 343 che parla poi di simiglianti , quando non si trova fatto innanzi alcun cenno che quegli ami fossero tra lor dif- ferenti? Ed è egli bello il modo, che i filosofi vi rechi- no i loro ordini? A p:9. « Giugne il poeta nel terzo cerchio, dove « sotto la fredda piova giacciono que’ maledetti , che vi « scontano la colpa della gola. Ivi trova il fiorentino ».Giacco. Gli chiede a che debbano venire i cittadini « della divisa patria. Colui PARITA ch’ei verrebbero « al sangue: perchè: « Superbia, invidia , ed avarizia sono «Le tre faville, ch ao i cuori accesi ». « Nè a questo dire gode già l’animo del poeta ; siccome « si converrebbe a chi essendo esule, anelasse allo ster- « minio de’ suoi ». . Jl sig. C. Perticari, che vuol dar qui una prova del- lAmor patrio di Dante , non si ricorda, che in questa profezia di Ciacco eran comprese non solamente le sven- ture di Firenze, ma quelle ancora dell’Alighieri: talmen- techè viene a far merito al poeta di quella, che, in volgar fiorentino, si chiama carità pelosa. A p. 12. « E questo esilio gli sarà dunque sì fune- « sto ancora dopo la morte, che gli tolga fede in quelle « cose stesse, che a’ non esuli sono credute? » .. Pare a noi, che il ragionamento del sig. C. Perticari sia qui tutto opposto a quello che è naturale: imperocchè appunto perchè Dante era esu/e, e quindi verisimilmen- te vinto dalla passione, non gli si dovea creder quello P che ad uno ron esule si sarebbe creduto . A p. 20. « Nè poteva certamente meditarsi più «santa opera per la comune salute, di quella di ridur- « re al servizio della repubblica un'arte trovata per lo « diletto degli uomini; onde per le dolorose parole ac- 344 a ° «dà dalla dolcezza de’ numeri e delle rime « scendessero i agg gli orecchi ». : E NCAA Noi non siamo da tanto da trovare il nominativo che regga quello scerdessero. Sarebbono forse» le. dolo- rose parole ? In tal caso quel per non c’ entra: per nul- la; anzi guasta il senso: ed oltracciò sarebbe ridicola la spiegazione ch'elle scendono per gli orecchi. A p. 21. « Laonde più che dagli ‘autori. pagani « ritrasse l’imagine e il metodo de'’suoi versi da’salmi; « dalla Cantica, dall’ Apocalisse, e dalle profezie ». Quest’osservazione, comechè non citata dal sig. C. Perticari, si fece dal Gravina nella Ragion poetica, ove così si esprime: « Questa (la lingua) egli trasse non solo « dall’ imitazione . de’ Greci, ma specialmente dagli « Ebrei, e da’ profeti, a cui, siccome simile nella ma- « teria e nella fantasia, così volle ancor nella favella « andar vicino ». A p. 28. « L’Alighieri , amicò del governo dei re, « loda Cesare sovversore della romana repubblica: ‘e « canta che il mondo si fece per lui sereno come il « cielo. Non loda però Tolomeo, che per servire a Ce- « sare tradì Pompeo; anzi del nome di costui intitola « la cisterna dell’Inferno: la Tolomea. E quel GCurio- « ne, che spinse Giulio ad occupare la patria , ei segna « nella nona bolgia colla lingua tagliata dentro la gola. « Imperocchè l'impresa di Cesare fu coraggiosa, alta e « forse necessaria alla corrotta repubblica. Ma l’opera di « Tolomeo fu vile come di sicario , e quella di Curione « fu lusinghiera e bugiarda. E se alla porta del Purgato- « rio il poeta s’ inginocchia davanti a Catone ; che forte « sopra sè stesso, rifiutò vita per libertà: non degna « pur d’una lacrima il feroce Cassio, che uccise il più « gran cittadino di Roma. Quel primo Bruto, che ven- ladina 345 « dicò Lucrezia, e cacciò l’adultero Tarquinio, si sta « fra gli spiriti grandi: ma il secondo Bruto è cacciato « nell’infima laguna ». “—.. Confessiamo ‘che questo discorso c’imbroglia so- prammodo. Tralasciando perciò di discutere intorno al governo che Dante amava 0 non amava, faremo al sig. C. Perticari le domande seguenti: Se l’impresa di Cesare ( quella di abbattere la. li- bertà della patria) fu alta e coraggiosa! ! come poteva.es- sere lusinghiera e bugiarda Vopera di Curione, ond’eb- be l'impulso, mentre si dee credere, che fosse in ambe- due il medesimo intento? E come può non essere, che chi dà un consiglio non partecipi del biasimo o della lode che merita chi lo manda ad effetto? E come si possono, senza contraddizione, commendare ad un tempo e Cesa- re e Catone; l’uno che mise in ceppi la patria, e l’altro che preferì la morte all’imminente servaggio? E in qual modo l’ impresa di Giunio potè esser sanza , e quella di Marco iniqua, mentre avevano entrambi un unico 0g- getto? E se Marco alla libertà della patria immo- lò il padre, non le avea forse Giunio immolati i figli? E se per essere amico del governo dei re, Dante loda Cesare, come mai con questa massima potea lodar Giu- nio, che gli espulse, e venerar Catone, che rifiutò vita per libertà ? Chi non vede che un argomento è qui alle prese coll’ altro? Diversamente dal sig. Perticari la pen- sava l’ Alfieri, allorchè scrisse: « ‘Qual de due Bruti è il primo? ‘@ Giunio più grande io stimo: « Ma pure a Marco invidio « Di Cesare l’ eccidio. A p. 30. « Così accrebbe fede alle parole coll’ in- « genuità: rese la sua invenzione tutta simile al vero, 346 «esi pose come nel tribunale d’un Dio,, segnando pene « agli amici, e premj agl’imimici ». i E chi ha mai udito dire che il giustissimo Iddio soglia gastigar gli amici, € premiare i memici? E può ella esser cosa tutta simile al vero il fare il contrario di quello che u manamente si fa? No: l’istesso sig. C. Per- ticari a p. 49. v. 13. ne dice, che Dante mosTRÒ DI NUL- LA PERDONARE A NEMICI. E così la cosa va bene. . A pi 34. « Nè ancora i governanti cittadini « albo no lavorare i campi ». i Que ste sono parole di Aristotile, della cui autorità il sig. C. Perticari si giova per lenligiagiato il proprio assu nto. Ma come concorda ciò con quanto si trova ‘a p: 41., dove cita Lucano, che loda i Romani perchè esercitavano l'agricoltura? E stando alla prima delle accennate m assime, chi crederà che Cammillo ‘e Cin- cinnato ‘non. sapessero governare ? A p. 50. « Ma egli che stimò sempre tale ( graz- « de, nobile, è bella ) la. patria, sempre l’amò come « tale. Nè depose mai la speranza di ricovrarla; e già « vi rientrò colla spada in mano in quella notte fatale, « in che i Guelfi ne occuparono una porta «. Dopo a ver dichiarato, che l’Alighieri non è da pa- ragonarsi con Coriolano, adduce, che rientrò in Firenze COLLA sPADA IN MANO. — Col ferro in man chiedi i ma- terni amplessi? — direbbe quel grandissimo da Asti. Ma non basta: vi entrò anche co’Guelfi. Dante co’Guel- fi? Udite che cosa dice il Machiavelli: « Furono per- . « tanto confinati i Cerchi coi loro seguaci di parte bian- « ca, tra i quali fu Dante poeta. Sparsonsi costoro con « molti Ghibellini, che si erano accostati con loro per « molti luoghi ». Ed Uguccione della Faggiola è detto 347 dal Machiavelli medesimo capo di ce Ghibellina e Bianca. Ma non è neppur vero che Dante entrasse in Firenze nè con armi, nè senza. Ci ricordiam solamente; che nel- l’anno 1304, secondo che narra Lionardo Aretino , Dan- te s'unl'agli altri fuorusciti, i quali s'impadronivono di una porta di Firenze ‘e vinsero una parte della: terra : ma dovettero poi ritornarsene senza frutto. E donde il sig. C. Perticari trasse mai un tal fatto? Se non è vero per altro, che Dante rie ntrasse più in Firenze dopo l'esilio, è verissimo, ch'egli non fu costante nel suo partito. Ed ecco l’autorità del Boccaccio: —'‘« intanto- « chè li maggiori di Dante, per Guelfi, da’ Ghibellini « furon due volte cacciati di casa loro: ed egli simil- « mente SOTTO TITOLO DI GUELFO tenne i freni della « repubblica in Firenze: della quale cacciato, come « mostrato è, non da’ Ghibellini, ma da’ Guelfi, e veg- « gendo sE' NON POTERE RITORNARE, intanto MUTÒ L’ANI- « mo, che niuno pi Fiero Ghibellino, e a’ Guelfi av- « versario fu come lui (a p. 253. ) ». A p. 53. «. Perchè egli ( Dante ) voleva ricovera- « re la patria, NON TRIONFARLA COLL’ARME DEGLI STRA- « NIERI ”. No? Ecco le AIUTI di Dante medesimo nella sua epistola all’Imperadore Arrigo. « Tu se’ sagrato in re, « acciocchè tu percuota il sing d’Amalec, e al popo- « lo d’ Agag non perdoni ». Lo che suona CITTA de’ fanciulli e delle bestie istesse, giusta il sistema ebraico. E più avanti parlando di Firenze, aggiunge: Questa crudel morte è chiamata: questa è la vipera « volta nel ventre della madre : questa è Mirra scelerata « ed empia, la quale infiamma nel fuoco degli abbrac- « ciamenti del padre ». Il Boccaccio medesimo ( alla 348 cui testimonianza mon sarà per certo. chi opponga ecce+ cezione ) dice nella vita dell’Alighieri , che questi,.« ri& « passate le Alpi con MOLTI NEMICI DE FIORENTINI; € di « loro parte.congiuratosi , con. ambascerie; e con lettere. « s° ingegnaròno di tirare lo mperadore. dall’assedio di « Brescia , e A FIRENZE IL PONESSE (*) 1». Ecco a ‘che!si didiusoe lo;sviscerato amore di Dante, e la, sua gentile irillignazione verso la patria., i by A p: 63. « Scriveremo nostra. opinione; non 2 come « il volgo ha in costume, 0 con atti villani,,,0 .con « fredde e ipocrite parolette; ma con ardire modesto e « soda ragione, e dottrine certe ». E ap. "88, « Ma perchè niuno de’ nostri sè aflaticato! « ancora in questo larghissimo campo, noi ventreremo « timidi, e quasi di na chiedendo grazia a’ leggitori, « perchè ci scusi la ho della via, dove loro parrà « che ella siasi alcuna volta A i Ci faremo lecito di chieder qui al nobile Pesarese come il mopesto ardire si confaccia con quell’ assoluto dichiarar soda la sua ragione , e ceRTE spezialmente le sue dottrine in una delle più “Br * e incerte materie, ual è quella dell’origine e de” progressi della nostra fa- vella: la qual dichiarazione pare anzi a noi più che ar- dita. E dato ancora, che quel primo periodo non disco- prisse in sè stesso contraddizione veruna , gli domande- rem parimente, come s'accordi col successivo, dove, cambiando modi e linguaggio, dice ch’ egli entra timi- do e quasi di furto in campo, e prega i leggitori a scusare la novità della via se l’avesse alcuna volta smarrITA. Noi siam ben lungi dal dire che ipocrite pa- rolette sien queste: ma dove andò la soda ragione pur or (*) Prose di Dante Alighieri, e Messer. Gio. ‘Boccacci) a p. 214, 234. 319 - 249 dichiarata? è dove Soprattutto svanirono quelle dottrine cERTE, ecumeniche ? Nel'qual secondo paragrafo. ‘è da notare agieresi un'evidente mancanza di ‘veritàv Come poteva in fatti il sig.C. Perticari asserire,che nin de’ no- stri s "è affaticato ancora nell’ indagar l'origine della no- stra favella? È forseda credere ch'egli i Tpnoreibse il trattato di Celso Cittadini Satiese , e quanto ne serisse il Fonta- ninìi, il Muratori, ‘il'Lanzi;} e non pochi altri egual- ‘mente dottî che ingenui? 0 Cartesggtangi ‘ forse ‘che: lo: ‘igno» rassero i suoi lettori ? “Ap. 65. ‘« Pare in somma, che la scrittura spa- ‘«' ragonata ‘colla ‘favella }’ sia quasi tale in noi ‘uomi- « ‘ni qual'è è ii parlare degli animali >!) ; Questa sentenza ‘prodotta dal: sig.1C. Perticari; "co- me concorde co’ suol perisamenti, è dello Speroni. Ma con buona pacé dell’ uno e dell’altro, noi la reputiamo unò sproposito insigne ; ‘Farebbe mestieri bruciare Lo- cke, e guanti dopo Hi lui filosofarono intot no alle lingue, per ton S ICGHI Sere ‘che’ questo sciatto è il colmo del- da follia! i i i ) | PA P 66° e‘67. « Se. dunque per ‘principi uni» i versali sì vuòl provare, che in Italia non può esser « iplogl comune nazionale, e’ se la Grecia ebbe « linguag ‘gio. Comune Ineziondle , e l hanno i Tede- < schî, i Fravcesi, ‘gl’ Inglesi; gli Arabi; e ‘cento ale « ‘tri. popoli, come la cosa potrà insieme essere e non « essere ? cioè, comé potrà stare che le ragioni uni « versali mostrino ch? ella ‘non’ può essere J eLche il < fatto provi poi ch'ella sia? » + Tul19x] ‘Qui il sig. C. Perticari intende sicuramente-di ri- ferirsi «alla scrittura di quel Fiorentino; che indagò qual parte ha il popolo nella IPod able di una lin- gua: e a noi pare che non l’abbia ‘inteso. Perchè 350 quel Fiorentino non disse già la. goffaggine , che. una nazione aver non possa un linguaggio comune e nazio, nale: ma bensì che niuna lingua può diventar. dot- ta e nazionale senza. essere stata dapprima usuale. Tutte le nazioni culte hanno una lingua comune e nazionale ,. ma, che al tempo stesso è lingua usuale . Non si vuole intendere, che lo scrittore fa una scelta nella lingua, e non erea una lingua. E pare iche vi sia ,un muro di ferro, che eternamente divida i due parlari, illustre e Sn, A p-.74..« Il grido de’ Ciciliani nacque per ciò: .«. che trovandosi la. corte. de’ NapoLeraNI re a quel « tempo in Cicilia, il volgare, nel quale si scrive- « va, quantunque ITALIANO fosse, e 1rALIANI fossero « altresì per la maggior parte quegli. scrittori ; esso « non di meno si chiamava Ciciliano: CiciLiano scri- « vere era detto a, questa agione lo scrivere. vol» «.garmente ». Tutto il premesso periodo è del Bembo. E il sig. C. Perticari ha segnate in majuscole quelle parole , che convengono, al .suo argomento. Sennonchè, ‘per pro- vare una cosa, è costretto a scuoprire il lato debole d’ un’ altra; Salad quel ragionamento , del Bembo, se il nobile scrivere rrALiANo d’un tempo si chiama; wa Cicuiano ; perchè in Gicilia vi fosse miglior lin- guaggio che in altre parti d’IraLia, ne verrebbe, per conseguenza incontrastabile , che il miglior rraLiano d'oggidì parlandosi in Theeana ; TOSCANO si dovreb- be appellare. A. p.76..« Nè: così scrivea Ì; Guido dalle Golén: « ne ) per, istudio di Toscane grammatiche, e di To- « scanì vocabolarj; perchè di que’ giorni non erano pure in Toscana nè grammatiche, nè vocabolarj ». FL PT —____e 851 E Dante, e Boccaccio, e Petrarca, i ‘quali ‘val gon certamente un po’ più di quel Guido, hanno eglino scritto coll’ajuto delle grammatiche e de’ voca- bolarj Ciciliani ? Neppure a tempo di Dante, dice il Salvini, vi eran regole grammaticali , formate per‘ la lingua volgare. Parlavasi così naturalmente bene. Quan- do si‘ cominciò poi a parlar male; ci fu bisogno della grammatica. A p. 78. « Ma. leggasi almeno ne’ libri del Petrar- «ca: di colui che non si mosse mai a vanaglorià per «le lodi degli uomini, nè ‘a tristizia pe’loro biasimi. « E. vedrassi che del nostro volgare egli afferma le « medesime origini, che qui si accennano: « Ecco i due Guidi, che già furo in prezzo: « Onesto Bolognese, e i SICILIANI CHE GIA\ FUR PRIMI ». Al che noi soggiungeremo, continuando il verso, ED'ORA SON DA SEZZO : circostanza accennata sol di passaggio dal sig. Conte; avvegnachè importantissima per lo scioglimento della presente questione. Perciocchè questa non si promove già tra i Siculi eiToscani, ma sib- ‘bene tra questi e gli altri odierni popoli d’Italia . Altri- “menti, l’argomentare del sig. C. Perticari si ridurreb- ‘be a questo: Perchè i.Siciliani furon già primi, oggi Toscani son gli ultimi, 0 se non lo sono, lo deb- bono essere. La qual conseguenza ognun vede quanto sia, mal dedotta. Ma quel da .sezzo (ove si. ponga mente all'intervallo che passò fra il primo parlare ita- lico \e’l tempo di Dante e del Petrarca ) mostra quanto ‘breve fosse in Italia la durata. della supremazia. dei Siculi (se pure la ebbero mai ) nel bello scrivere. Ora , direm noi, quanto tempo è egli che dura in Italia la supremazia del toscano parlare? più secoli, risponde, 352 rà la gente sincera e istruita: i quali secoli. conten- gono quanto di buono ie di grande si è fatto €, pen- sato fra noi dopo i Romani (10). E che età fu quella;in che si attribuisce ai Siculi la tanto vantata preminenza? età di ferro; ;:quella cioè, in cui la decrepitezza del iro- mano impero. s’innestava: all’ infanzia de’ nuovi e ancora informi ordinamenti civili d’ Italia; e la già corrotta fa- vella del Lazio al nascente sermone della Penisola. Per le quali circostanze, non solamente ,,al tempo degli scrit- tori Siculi, di cui parla il;sig. Conte , non era determi- nato il nuovo linguaggio d’Italia, tutto imbarbarito, e ‘ondeggiante fra i guasti avanzi dell’antico e i confusi elementi suoi preprj; ma neppure la stabil sede; che gli assegnava LA NATURA: e-sì fatta sede fu ‘all’ultimo la Toscana , ove rimarrà belloe vivo.e sonoro; finchè nuo- vi rivolgimenti non lo tramuteranno in un altro .., Per- chè, se si dee credere alla lunga esperienza del passato, invecchiano anche le lingue, e il tempo opera su, lo- ro stesse. (benchè più assai lentamente ) come, sulle nazioni; che le parlano: di. che sono un testimonio la greca e la latina. A p. 79. « E bene-doveva svegliare gli animi de- « gl’Italiani quel F io ; potentissimo Im- « peradore; che cantava nelnuovo nostro linguaggio. « — Esempio leggiadro: che una casa di forti, e valenti { ) x (i 0) ‘At principes scriptorum, et insignes, qui caliginem te- nebricosae illius actatis, et'barbariem, qua oLim Italia obrue- batur)\excusserint e FrorENTIA prodierunt, iidemque chltum; ct rationis ornamenta, ex. Latinorum, et, Graecorum. fontibus ad suamlinguat primi deduxrerunt. E più avanti: Quo altius enim repetas memoriam temporum , ex nulla Italiae regione, PRI- vusquam Fe FrorentINA lucem bene dicendi videbis exoriri. GRA - VINA, Dial. cit. p. 47, 48. o o PIT RED» STEPPER _ _ 355 «re sia tutta intesa ad. illustrare la lingua del suo po- « polo, PAN 24. ‘Per verità, la lingua greca, la più nobile, che si Paci ò si scrivesse mai sulla terra, non chio tutti questi onori. E, secondo il Gravina, si dovrebbe anzi credere ; che tra le circostanze, le quali hanno procura to alla Toscana:il più maestoso e gentile dialetto d’ Ita- lia, mon ssia stata da minore quella dell’ indole del. suo; 2-4 SFUMA ‘allorchè nacque e prese forma l'italiana favella. « Non si può (.così egli dice ) dagli amanti del, « Vero negare, che il toscano” dialetto più. largamente, « che gli altri partecipa della lingua comune ed. illu- «| stre; LA QUALE 6OME SPIRITO UNIVERSALE PER TUTTE LE, {© FAVELLE PARTICOLARI D'ITALIA PENETRA E,DISCORRE. È, « questo avviene alla toscana liagua non tanto dall’ori- € rigin sua, quanto dal. cangiamento delle cose civili , e « DALLA SORTE DELLA FIORENTINA REPUB. « BLICA. Poichè nelle.repubblice popolari, come, fu, « la Fiorentina, LA CORTE ABITAVA, PER .TUT. « TO IL POPOLO, ed in mezzo la plebe medesima si « annidava; ove, siccome nel mare i fiumi, sgorgava, « ogni pubblico affare: di cui non solo. gl ingegni più, « sottili, liquali per natura loro vogliono di ogni cosa « 0 grande o piccola o propria 0 d'altri. essere ugual4 « mente supremi giudici, che curiosi, osservatori; ma « tutti gli altri popoli grossolani ; quando popolarmen= « te si governavano , facendosi amministratori ed arbi» « tri, son costretti a dar opera.al culto e polito parlare « per tirare nelle concioni all’ apinioni loro più dolce- « mente la moltitudine: Perciò. la repubblica ateniese; «cla quale in popolar forma. si, governava, coltivan4s +do.più che gli altri popoli nelle. pubbliche concioni, T. 1. Marzo 23 Gi R 354 « la propria favella, CONSEGUI' TRA I GRECI Ik « PREGIO DELLA LINGUA CORTIGIANA ». Firenze, MDCCLXXI, per Bastianelli, e C. a p. CL e CLI. Ivi. « Federigo poetava nell’età giovanile: prima « di quelle sue fatiche, durate fra’ Tedeschi: da cento « € più anni avanti che Dante scrivesse il suo poema ». Non è vero. Federigo poetaya nel 1220; e Dante, prima del 1302, in cui fu espulso da Firenze, aveva scritto già sette canti dell’ /r:ferzo, come narra il Boc- caccio. La differenza è quindi, come oguun vede, assai - minore di que’ cento E Pn anni. A p. 103. « Venne un cotale di Spagna (così tra- « duce il sig. C. Perticari ), cui per gastigo di sue col- « pe tremavano tutte le membra. Il qual malore, co- « m'e diceva, contrasse, bagnandosi al fiume Ebro. « Laonde non sostenendo per quella sconcezza il viso « de’ suoi Spagnuoli, gli parve di gire pellegrinando , « e andarsene a torno pe’ santuari. Camminata quin- « di la Gallia e l’Italia, entrò fra’ Germani: venne a « Fulda: scese nella grotta occidentale, ove dorme il « martire Bonifazio; ivi stette, ed orò. Lo vede il sa- « cerdote Firmado, monaco venerando . Ed ecco l’in- « fermo s'alza, e più non trema, perchè sanato. Il sa- « cerdote prende a richiederlo : e lo Spagnuolo a rac- « contargli la sua visione ». Ma coloro come s'intese- ro? noi domandiamo: e lo storico segue e risponde : « Che il prete, perchè era italiano, conosceva la lin « gua dell’ infermo, che era spagnuolo ». Il testo dice: £o quod esset Italus notitiam ha- bebat. La frase notitiam habere non vale precisamente conoscere ; ma bensì avere una nozione qualunque d’una cosa. Nullum est animal praeter hominum, qui na 355 araT noTITIAM aliquam Dei. Cic. I. de Leg. cap. 8. — Natura ingenuit sine doctrina noritiAS parvas rerum maximarum. Id. de Fin. 1. 5. c. 21. I quali esempi mettono in chiaro, che dicendosi dallo scrittore di quel- le meschine leggende, che Firmado habebat notitiam hispani sermonis, non volle inferirne in lui una piena conoscenza della lingua spagnuola, ma una certa nozio- ‘ne, come abbiamo noi Italiani, che in un libro spa- gnuolo comprendiamo la maggior parte de’vocaboli (11), Lo stabilire, sull’autorità di questo passo ( e, mio Dio, in quale istorico sì trova ! ), che gl’ Italiani e gli Spa- gnuoli parlavano un'istessa lingua, è tal delirio, che ricorda quelli d’ Arduino. In nessuna parte delle uma- ne cognizioni, dai fatti, che non sono discussi ed ordi- nati dal raziocinio, nasce la scienza . Il che avvien mag- giormente nell’ istoria , a cui la razza mortale deve una gran parte de’suoi errori : perchè il credere costa minor fatica, che il ragionare. Ma supposto ancora , che sì fatte osservazioni fossero prive di fondamento, sarebb' egli (11) Alla premessa osservazione intorno al notitiam habebat tradotto col conosceva, si potrebbe aggiungere anche quel prowf OMNES intelligere possint del cap. 95, dove con un articolo del Concilio di Tursi ( Tours ) intende di provare , che la lingua Ro- mana Rustica era parlata in tutti que’luoghi d'Europa ne’quali non era in uso l alemanna, e che per conseguenza si favellava in Francia come in Italia. Il qual passo è dal sig. G. Perticari tra- dotto così : ,, affinchè OGNI GENTE possano più facilmente inten- dere . ,, Ma quell’ omnes non si riferisce già ad ogni gente ; e nemmeno ad ogni vescovo convenuto a Tursi; bensì a tutti gli abitanti di QUELLE diocesi, come altri giustamente notò. Le qua- li alterazioni, che vengono a mutare affatto il punto controverso, fanno dolere, che, in vece dei testi allegati dal sig. Conte, ab- bia esso avuto motivi di darcene la traduzion sua propria, che per una strana combinazione non è sbagliata maì a svantaggio de’ suoi argomenti, 356 | .provato con ciò, che il volgare più alltico, parlato re- ì gnante Carlo Magno , fosse universale? Esaminiamolo. È Dice l’istorico, che il sacerdote e l’infermo s’inte- ser-tra loro, perchè il primo era italiano. Ma chi ha detto all’istorico che l’infermo parlasse spagnuolo; e che il monaco fosse italiano? Se la patria del sacerdote si deve inferir dal cognome £irmado , non s° ni gerà a conchiudere, che fosse Spagnuolo ancor. esso è in tal caso ecco tutto l'argomento a terra. Ma n ancora , che il monaco fosse italiano, è egli fuor del ve- -risimile che V’infermo ,..il quale, come dice l’istorico , era stato nella Gallia e in IrALIA , avesse imparato l’ ita- Jiano tanto da spiegare la propria circostanza ? Oltre di «ché, per qual motivo escludere che il sacerdote, senza -essere di Spagna, ne intendesse il linguaggio? E perchè ila favella francese è oggidi intesa in ogni regione d'Eu- ropa, sarebbe dunque lecito il conchiudere, “ch ella sia» una lingua universale ? A p. 172. « Strano è pure l’ errore dell’ Aa « co, il quale registrò nel vocabolario la voce infanzia. « Il perchè citando egli un luogo del trattato del ben « vivere, che dice: il senno LE] mondo è follia ed SQ infanzia e forsenneria: volle insegnarci che infan- « zia quivi significasse incominciamento . — Se quindi :« sì spieghi, come il senno del mondo è dig io « ne, ec. ». Pare a noi che il sig. C. Perticari s ‘inganni. Infan- zia, rigorosamente presa, non val già fanciullaggine : n n vi hanno fanciulli che parlano. £rfante suona bambino che non parla. Il perchè disse l’Alighieri: c E come l’animal divenga fante »; cioè pertanto, i sb di essere infante. A p. 177. « Simile alla lingua latina (ll italiana p i di Hi © n SIR e 357 e'che stata quasi agreste. per:quattrocent'anni; si fece: « finalmente illustre e gentile con Pacuvio e con Ennio « ne’ teatri di Roma, e sotto le tende: del vincitot di Cartagine pz isilivià i omo9 , ommstsba>ta ib Che dice mai qui: il: nostro autore? Può egli non ricordarsi che d'Ennio fu detto: Enrizsoirigenio ma- acimus:; arte Rupis? Ov. II. Zrist..E che: Mingilia dice- va:be wirum ex: stercohe Eri colligere E quanto a'Pacuvio, ecco. un.passg di Cicerone che fa a proposito: Allius fuit: laus tdnquam innocentiae (‘parla di. Le- lio) sicilazinè. loquendi : imeciomnium tamen; nam ibloraunvaeguales 3 Caccilium etl Pacuvium malè, lo- Gutos ‘videmus.; ‘sedi omnes tum feresoqui nec extra wrben» harie swiscerant' ; nec cos aliqua: barbaries. do- mestica.infiuscaverat:; | rectè loguebantwuri ix Hacc Cicero : inde collige.(.soggiunge» fil Forcellini ); prae- cipuèin:Pacuvioinald loquendi causam fuisse QUOD BRUNDUSINUS ERAT., NON ROMANUS. Con tutto ciò! Pacuvio iera.un ivalenati uomo pe suoi tempi. Ma non bisoghdesser: nel imumero. di quelli, ripresi. da. Persio: ne seguenti versi ; che pajono scritti; per do stato presen. tè della niostra daliscninia: TEVOI PFICO AREA Pie) hi il\Sunti quos! Pacupites et|verrucosa:moretun:»> uozfntiope aerumnis cor luictificabile fulta. «sl ‘Ai pet 78; Consideratidò adunque la. mostra pro- « nuncia e la siciliana; e ‘ veggendo, che la durezza del- «ele! ini ti tanto: l’oreccliia;;quanto si «siconosce per ile time: del Provenzali jssi :00minciò ; per « addolcireie! mitiganiquell'’ asprezza;: nona; pigliare» le « voci de' forestieri, ma ad aggiungere, le) vocali; nella « fine di tutte le nostre. Onde conoscendosi manifesta- e "méille LL8 soavità e Ha dolcezza’ di tale’ DI onitinizia, co- Ai; iuep e;,10f a di 358. « minciarono anche 1 sovrani a segiuize la regola sontado « detta ». | Leni E più avanti: sost il c3} "Sn « Comprenderemo, come ì gici. ché, tenevano, « gran parte del fiato Greco, anzi del mbiblizio dia- « letto Eolico (12), abbiano potuto compàrtire quella c tanta dolcezza, onde risuona l'Italiano linguaggio». Lasciando da parte che ìlpopolo non suol: mutare la lingua nè avvertitamente, nè per via di considerazioni ch'ei faccia, diremo coll’esimio sig. Cocchi (Race. quadi xLv.p.67,68.), che trovando greca del \pari origine degli! Etruschi, e misti di Dorico e di Folio gli avanzi. dellai loro lingua (*), sosterremmo con egual 'agicine vie «odal bel suolo toscano ‘e non d’altronde:spirò quel dfiato,. che. di tanta dolcezza asperse italiana. favella... E questo, argomento ‘congettùrale riceve maggior autorità del fat- to, che la pronunzia:de’ Siculi abbonda di suoni ‘ottusi, assai più di quella de’ Toscani: il che non dovrebb” es- sere , se i secondi avessero appreso da’ primi «a raddolci+ re il linguaggio |»: perchè , come notò appunto»il Betti nelli ; gli accenti duran più delle ‘lingue. 11mounse os 4° p. 179. « Veramente: questa: huova.e tanta. dol. «-cezza della nostra favella, che conchiude in. vocali « quasi tutte le sue parole, da chi ci sarebb' ella venu- « ta ; se non' venivaci cg prosa: De orientali d’Ita- dolio 2 RE | BEM Se ‘intende di iter alla icilla.; icome ‘sembra, facciamo notare“al sig. C. Perticariy:ch'élla è tutta me- ridionule,, non'orientale; alla più parterd>Italia . A p.1236:' «Cotali testi non richiéggono chiose » (12) O, piuttosto iil dorzco, nel quale appunto scrisse Teocrita. (*) Lanzi, Saggio di Lingua Etrusca. Roma, per Paglia» rini, Tom. 1. p. 43, 131, 186, 234. 359 ( parla della Cronaca Orvietana , di cui ha datò un bra- no ): » e questo è il dire non d' un grande allettera- « to; ma d’un umile cronicista, che in Orvieto serivea nella ‘metà del trecento ,,. ‘Perchè dal Muratori; citato qui dal sig. G. Perticari appiò di pagina, non tolse ancora ciò che segue: MI- NIME! est comparandus cum historicis li nia utrius- que Villani ? Oltre di che si potrebbe aniche, negare che quella Cronaca fosse scritta da un Orvietano: per- chè il nome dell’ autore è ignoto. ; A»p.-261. « E dalla corte Ravignana volgendoci « ‘alla vicina Faenza , la vedremo ornata di poeti, che «si stimarono ‘tra’ migliori di quell’età, E un altro «Ugolino d’ Azzo (a p: 262) pongono il Zilioli ; l’Ubal- «’dini‘ed’ il Quadrio: «cui dicono vivesse prima della «metà del dugento. Dante fra:gli antichi e valenti lo « ‘esalta nel XIV del Purgatorio: e quegli storici lo x fanno autore della più cara e gentile poesia che leg- « ‘gasi di quel tempo ». E qui'il'sig. C. Perticari riporta un dialogo tra il Poeta e iwna Schiera di fanciulle, intitolato Le Ricogli- trici de fiori; il ar dialogo è per verità leggiadrissimo. E soggiunge poi: ‘0 L’Atanagi diè questi versi per una reliquia del- « la purità naturale della lingua toscana: prima « ‘che lo: Zilioli ; il Grescimbeni, il Quadrio e gli altri d! sCUOPrissero €' FERMASSERO ; ch'« ei sono del poeta dei «'Faentini ». Con buona’ pace della Ziliohi. del Grescitobeni; del Quadrio; e del sig. Conte. medesimo , (la sentenza. del l’Atanagi , cioè che que’ yersi sieno di conio toscano, 860 fu; non ha guari,, incontrastabilmente confermata dalla scoperta fattane dal chiariss: sig. Prof, Del F furia, Accar demico residente della; Lisio 3 in .un insigne codice del trecento , pertenente..alla. famiglia|,Giugni ; di, Fix renze , nel quale sono dichiarati di FRANCO !SAC- CHETTI, gentil Novellatore TOSCANO; E al isig,; Del Furia, con una dotta. lezione da inserirsi. negli tti dell’ Accademia medesima, rivendicherà presto, alla ‘Toscana il merito d'aver dato quel. modello | di, gre- ca leggiadria e primo esempio della Ditirambica,, siccomé appunto il nostro autore si) esprime . Così , nel distruggere ‘una prova, che parea dis tanto ‘peso nella causa ‘sostenuta dal. dotto !Pesarese; contra;i;/Toscani,, sì viene ‘ad acquistarne» una ‘egualmente grande a } far ivor' loro. Ma non'éra nemmanco mestieri) di somigliano te scoperta; per' giudicar que’versi di) un ténipb yd’assai ‘posteriore dba ‘metà’ del 1200; \potendo bastare } come siamo d’avviso un lume:di critica. ariche..mezzano) e una certa esper lenza de’ poeti di quell’ età, a. fin di cor nostre ; che i ‘versi‘non: furon: condotti a-tanta pesquisi- tezza ; se' non moltò più tardi:; essendo. in fatti di: ufi Baiohia secolo la ‘differenzache passa:tra il :tempo'di sen Ugolino , e quello del Sacchetti , i cui. modi. ;;;perchî conosca il suo sérivere ; non si possono inon, riconoscere in' quella gentil:poesia i! 1 0) china Gio a E » ‘ E non troviamo ,neppureche Dante: \esalti quel. FP Ugolino d’Azzo,comes.per. dare una: maggior ;forza.al proprio argomento, dichiara il sig. Conte iNel, afnto XIV'del Purgatorio ‘terzi 351; leggiana solamente , a questo proposito,i versi: uao: } pospi: du ‘bocca alGui do'deliducaoo ib ousie è sup odg soi, ignoti ‘! « Non ti maravigliar, . sio piango , Tosco, « Quando rimembro con Guido da Prata Sor pesco Ugolin'd* dr ‘CE \VIVETTE ‘VOsco, ». .. Le quali parole non sì possono; a rigor di termini, qualificare di esaltamento. giacchè abbiam qui ripor- tati sì fatti versi. giovi notare , che quand’anche si riu- scisse ‘a/provare (‘edi \ora;ne pare impossibile ), che una tal: poesia fosse decisamente di Ugolino, non ne sareb- be periciò tolta affatto la gloria alla Toscana ;,stantechè Ugolino; come nota il P. Pornpeo Venturi, nel.comento di!Dante; era degli. Ubaldini} FAMIGLIA TOSCANA; e peròrdice VIVETTE.VOSCO; cioè con voi, Toscani, La:qual, ultima: circostanza; 0 non osservata 0 messa da parte dal sig. Conte, avrebbe da sè sola bastato a miti, gare in esso cià forza ali un tal testimonio. A'p.1269: « Laonde si conoscerà ‘Ja ‘ragione per « cui Angelo Poliziano all’uso de’grandi filosofi, se- “ guendo il vero più che l'affetto, cipagliò la-sua patria «d'una gran pompa e ne fece lidi Bologna: dicendo : « che il Halognes Guinizelli i: GA9) certamente ep il :8) î 3.£ Li tini A (13) È da’notare ; che Guido ‘Guinizelli» di nome di suo maestro “è ‘Fra Guittotie d'Arezzo; ‘ed ecco un suo sonetto : 3, O carò padre meo, di vostra laude | 3» Non bisogna ‘ch’ aledn vomo s° embarchi ; | » Ché «in''vostra ‘mente entrar vizio mon:laade (a), 3) Che fuor di ‘sè ‘vostro saver non id’'archi . 33 A ciascun reo! isì la ‘porta; e laude (@),!) 3) Che sembra»più wia che Venezia marchi » Entr'a'gaudenti ben vostr’ almà gaude!, » Che al me?'parer li. galdj (e) han sovra 1’ archi. » Prendete la icanzon ; la qual. io porgo: A n'Al'saver vostro: dhe! l’aguinchi :(d) e icimi ; ») CHÉ AVOI ’N/cIÒ SOLO, com’ A MASTR'ACCORGO (e); (a) Osa. 1: (b}Ode.: 0) Gaudj. © (d) Aveinchi. (e) Accorro. Salv. cà i 362 i « primo , da cui ta bella forma del nostro idioma « fu dolcemente colorita ». Il nostro autore cita qui il Poliziano come favore= vole alla sua opinione: ma prende abbaglio. In quel. la lettera, il Poliziano chiama sempre roscana la lin- gua: « Venisti a ragionare di quelli, che nella toscana « lingua poeticamente avessono scritto ». -- Nè sia nes- suno, che questa roscanaA lingua come poco ornata e co- piosa disprezzi »: Perchè dunque ometter sempre quellò che contraddice al suo fine, e torcere in proprio van» taggio un’ ‘autorità , che , prodotta pinne. glie è contraria ? Prg 1» Ch° ell’ è congiunta certo è debel (f) vimi (g): 3, Però mirate (hl), di lei ciascun borgo », Per. .vostra correzion lo vizio limi. E giacchè ci cade in acconcio , veggano i nostri lettori e giudichin essi qual differenza passi, in fatto di lingua e di stile, fra questo sonetto del Guinizelli, bolognese , e il seguente di Fra Guittone, che incominciò a scrivere avanti di lui: Qaigio più mi distrugge il mio pensiero Ghe la. durezza altrui produsse al mondo, Tanto ognor , lasso! in. lui più mi sprofondo, E col fuggir della speranza io, spero , E parlo meco, e riconosco in vero, Ghe tnatielierà sotto sì grave pondo : . Ma il mio fermo desìo tant’ è giocondo, Ch’ iò bramo e seguo la cagion ch’ io pero. Ben forse alcun verrà dopo qualch’ anno, Il qual leggendo i miei sospiri in, rima, Si dolerà della mia dura sorte. E chi sa; che colei, che or non m'estima, Visto con il mio mal giunto. il; suo danno, Non debba lagrimar della mia morte! () Debilix (g) Legami, dal latino»vimina {h) Cioè, mirate che. 3603 A p. 292. « Gonciossiachè dalla Cronica Bologne- « del 1348 che è a quella di Pistoja e di Siena; e del- «l'altre pubblicate dal Manni? Nulla, salvochè que- « ‘ste furono'scritte sovrà Arno, e qpaolle fra la Savena « eil'Reno ». ‘Veggasi a questo pildbialto il Muratori; e si legge- rà che quella Cronica Miscellanea fu stesa da un Fra Bartolommeo della Pagliola nel 1394. Vero è, che un tal frate compilò scritture più antiche: ma queste po- téan essere in latino. Anzi è da credere che lo fossero, attesochè si protesta egli medesimo di essersi messo a quella | fatica (cioè di scriver in volgare ) per compia- cere n certo Lionardo suo concittadino. Ap. 298. « Queste cose scrisse Pietro ù Barse- h4* gapè (cioè de ‘Basilica Petri ) nel 1264. È falso. Il Tiraboschi; tom. 4 pi 374 sr che que” miserabili : versi, citati dal sig. C. Perticari sono del 1274. E i Toscani bavevano già Fra Guittone, che fiorì vérso il'1250; e del quale il ‘sig. Conte ha la lonaià di tion parlar quasi main. ‘Ap. 303. «'Nè'‘tra ‘i versi del Toscano ( Cino te dla Pistoja ) e‘ del Bombardò (il Reggiano Gherar- «'dò) è altra differenza da ‘quella ‘che ‘vedemmo tra «le time del'Dante?Fiesolano e della Nina Sicula ». VOI sig. Conte contraddice qui ‘a Dante e. alla ra- gione ; che pongono ‘Ciùò fra i pri mi' poeti del suo secolo? ‘Oltre di che‘il’ paràgone fra poeta e poetà non va ‘fatto con un sonetto vsolo. Ma perchè col nostro aditore’ bisogna giocar d’ autorità ; addurremo } dirsi da Piante iniedesimo ; ‘che quelli, i quali più sottilmente hanno seritto poemi), sono stati i suoi domestici e fami- liari; cioè Cino da Pistoja: Nè crediamo che il sig. Con- te presuma di saperne più-dell’ Alighieri e del Petrar- 364 ca; il quiale in un bel sonetto né. rdeplora. la. perdita: -1.« Piangete, o donne; e con voi, pianga Amore [»f, | -. E chi conosce il Ghieraisib da Reggio; di, cui. il sig, Conte:mena tanto vampo ; se non,è qualche, miserabil pedante? E oda qui cosa che farà a tutti maraviglia; non lo conosceva nemmern I° Alighieri ;, 0 s€-lo,conosce- va j certamente: non lo, reputava quel valoroso poeta, che do reputa. il sig., G. Periicari. Altrimenti non n'avreby beyscritto è FERRARIENSIUM ,, MUTINENSIUM ,, Vel. REGIA Az; NORUM, NULLUM INVENIMUS POETASSE.. Nami propriae garrulitati assuefacti, NULLO MODO POSSA; ad vul gare, dudicum sine quadam acerbitate, SEMI quod multo magis de Parmensibus dicendum. Questo, scrisse Dante: periquel.che, riguarda il dialetto de Fer- raresi, Modanesi e Reggiani. Si vegga ora, come «parlò più avanti di que’di Tn ento , chi, Torinore;d' Alessandria: Dicimus, Tridentum: atque Laurinum, nec. non Al6>, xandriam,, civitates metis Ataliae,.in tantum sedare, propinquiasi quodiFuRA$ NEQUEUNT) ILA BERE, ROQUELAS aa quod , sicut ruRPISSIMUM habent, wlggre, haberent, #4, cherrimunr, propter aliorum. oommistionem, e se verè Latinimnegaremus > quare,sitiatinum illustra vena= MUT; quod,wenamur i un illis, iN19G1I4L MON potest. sE seu tal testinîonio mari | bastasse; leccone um altro,men,lontamo, da-noi:; Nikil;iltis,durius ; nihil inficetivs: nec quo tu. mins, volts Mestire,, atque ornare,;SEnSUs animi dit, Taurinis. eb Lig guribus caeterisque,| ailie, Rsalpiris, abruptius, quid exilius?, Quid. Kengtis involutius,2, Quid confusis Bononiensibus? | Quid: scurrilmes. nd politanis:2 Quid; Appulis\insulsiws ? «Quid. PUSHGAUS Sar mnitibus) Quid ‘horridius Brutiis,, et magna, ron cia? GRAVINA» ddial. cit, pi 43;otsi sb coni) Sois : iagi A pi.304. i .Pure/alcune è ( parla delle. banc. ‘365 Ferrarese Antonio de Beccari )« risplendono' d’ alcuni “« lumi poetici, che sono assai da guardare ». E i primi versi che ne dà per saggio sono i seguenti.: i eg Virtà celeste ‘in tutto tr ivnifichee « Universo Signor; primo monarca; | : NP, + Lx Come la vostra barca « Sì per malizia oggi nel mondo è. PONE © *« Onde procedon le nequizie tante , ZITO Che i i tuoi comandamenti ognun travarca 2! « Onde procede, chie la vostra curia « Golla gran spada dell’ alta Giustizia 5: « Non puni la nequizia, - .« Che regna oggi nel mondo, « Per profondarlo tutto a did a tondo? ‘ Rammentando qui al sig. Conte il Ferrariensium della nota'antecedente, pare a noi, che si fosse potuto rispar- miare questa fatica sul De' Beccari: perchè dopo Dante e Petrarca , per verità sì poteva scrivere assai meglio. E ‘se ill sono lumi vega , noi confessiamo di esser ‘senz’ occhi. A p.315. « E vr sile Gimip Nevio, sta di Cam ‘« pania venuto, fu detto il vero autore dell’illustre lo» « quela, ond’ egli vivo osò intagliare sul suo sepolcro: « che se fosse dato agl’ bre oreati il lagrimare t ‘« mortali, le Muse lagrimerebbero Nevio poeta : ‘a perchè nel dì ch'egli fosse morto, elle obbliereb: « bero il dir latino ». | «Bellissima in vero l'autorità di Nevio per provare ‘ch’ egli fu detto (non si sa da chi ) il vero autore del: d illustre loquela volgare! E una tal prova consiste ne} :produr quello che l’istesso Nevio osò scriver di sè me> ‘desimo sul proprio sepolcro? Ma la cosa più singolare si 366 è, che quello che osò scriver di sè si riferiva al Lati- no: e qui si produge per dimostrar la sua bravura nel- l'italiano! A p. 316. « E tra le doti più chiare dell’ uomo ri- « splende quella della gratitudine ». Noi portiam opinione, che la gratitudine non sia una dote ; ma bensì un sentimento. A p. 335. « E si fece infesto a’ soli plebei, e a quei « letterati, che rimaner si volevano colla plebe, da cui « oggisi grida doversi prender la legge della favella ». E chi ha mai detto , che si debba prender la legge della favella della plebe? Non già quel Fiorentino, a cui si volta il sig. Perticari colla nota a p. 320. Egli ha detto, che il volgare illustre è una scelta delle voci del plebeo; e chiunque ha fior di senno aggiunge poi, che sa- ranno migliori le voci di quel volgare illustre, al quale verran procurate da un plebeo mero corrotto. A p. 344. « E la favella degli Americani per esser « all’arbitrio della sola plebe, non ha potuto fuggire « quella severa sentenza di Dante: ch'ella cioè in poco « tempa sì dovesse mutare. Imperocchè il dizionario « Canadesè che Jacopo Quartiero ; chiarissimo viaggia- « tore, già tempo, ci diede; or non è quasi più d’alcun « USO al bisogno di quel barbaro idioma ». Il primo di questi periodi è tessuto in modo, che induce quasi ad intendere, che Dante parlasse della fa- vella degl’Americani, scoperti almeno cencinquant’anni dopo di lui. Ma lasciando questo da parte , diremo, che il Canadà è troppo indefinita denominazione. Gli Spagnuoli per Canadà intesero gran parte dell'America. E se il sig. Conte leggerà Humboldt , saprà, esser molte le lin- gue che ivi si parlano. Laonde bisognerebbe; ch'egli accennasse con maggior precisione, di qual popolo, e 367 per dir meglio, di qual tribù selvaggia del Canadà la lingua ha subito un cangiamento sì strano. o A p.357. « Che quantunque il pronunciare de’ Lom- « bardi sia vinto da quello de’ Fiorentini, e quello dei « Fiorentini lo sia da quello de’ Sanesi: pure anche « quello de’ Sanesi, secondo il dire del sanese Tolo- « mei, sl FA MIGLIORE IN CHI VIVE IN ROMA »). Questa sentenza del Tolomei farà ridere tutti i suoi concittadini; perchè ne viene per conseguenza indubi-' tata , che l'accento de’ Romani sia il migliore degli ac. centi italiani! I Romani stessi non potranno accettarlo quest’omaggio del sig. Conte Perticari. È troppo fuori « del vero! Infatti colla stesso, a p. 429. cita Ciro de'Si- gnori di Pers, il qual dice così: « Confesso facilmente « che in Italia parlino meglio i Toscani, e in Toscana « 1 FrorENTINI. » Ora a chi credere? A p. 359. « E più ama quella favella, che a lui « meno si accosta, e che più tiene del perfetto e del « grande.—Quindi è, che il popolo, che nulla sa delle « dottrine di Dante, che nulla conosce delle nostre « questioni, che dà quel giudizio solo, che viene dal « vero, s egli ode nell’ {mpresario di Smirne, e nel « Torquato quelle persone fiorent inesche , tosto ride « di loro, come chi imitasse il pig de’ Bolognesi È «e de Napoletani ». La prima parte dell’ argomento del Sig. Pertiéari è a favor de’ Toscani. Perchè, se è vero , com’ ei dice, che il popolo ami più la favella, che a lui meno si ac- costa (espressione inesatta; attesochè, se a qualche po- polo d’Italia si parlasse Siriaco, benchè favella a lui som- mamente lontana, nè l’ amerebbe, ne l’intenderebbe ), il Piemontese , a cagion d’esempio , il Lombardo , e ’} Bolognese, ameranno più di udir dalle scene il dialetto Toscano ( che non è al certo quel della Crezia:); che — qualunque altro d’ Italia , essendo quello il più: lontana dal loro j e ‘ad''un tene il ‘più vicino. al linguaggio illustre. Nè la seconda sentenza. dell sig. Conte è più a lui favorevole. Brighella } Pantalone, Arlecchino; Pul- ‘cinella ‘ec. sono maschere ; che vespisttinchi et rappre, . sentano in'caricatura:un. individuo di varie popolazioni d’ Italia ; e fanno ridere l’ udienza , più per la maniera di vestire e il carattere , che per lo dialetto, 11 quale da sè solo, non basterebbe al sollazzo del volgo. Ill Tartaglia è la maschera , colla quale si usa contraffare. il Fioren, tino. Ma perchè -non si sapeva come renderlo. ridicolo ( attesochè le parole che gli si potean mettere in bocca, per esser naturali, non avrebbono ‘ottenuto un simile intento ) si caricò seco la dose ( il che non si praticò verso degli altri ); e si fece tartagliare , con che. si» portò fuori del naturale: ed'e quindi la maschera’, che” . diverte meno dell’ altre. Imperocchè si potrà bensì .tro+ vare un Veneziano che parli, poco più, poco! meno ; come il Pantalone; e un Bergamasco, come il Brighella:, ma sfidiamo tutta la forza inquisitiva del sig. Conte a trovare in Toscana un solo individuo, che parli come; A Tartaglia (14): E se reciterà senza caricatura quello, (14) Giacchè qui si parla di commedie ; 1’ Autore di. un giudizioso opuscolo francese, stampato ;in Parigi, per Rey e Gratice, nel 1816, e che ha per titolo, Des Opiniohi de Mon sieur Simonde de Sismondi , SUP Alfieri, ia, riguardo a que- sta parte di letteratura, considerazioni così vere ed ati che cre-' diamo ‘esser pregio dell: opera ‘il: riportarle : ) 33 Il ‘est vrai que nous n’entendons parler ici que des co- » médies composées par des auteurs toscans. Car comme l’effet de » ces comédies dépend non seulemnt des situations plaisantes , » mais en grande partie aussi de la finesse du style, les auteurs > non toscans qui ne pouvaient pas connaitre toutes.les ressour- iii lati ici nta 369 | ch’ei trova nell'Zmpresario di Smirne.emel Torquato, non'farà nè rider , nè pianger nessuno. È oltracciò da notare, che il Goldoni, nel personaggio del cavalier del Fiocco ha voluto mordere. gli. ammiratori appassionati 3 ces du dialecte toscan, ne pùrent produire des piéces d’un » effet égal. Cette langue générale italienne, que certains auteurs, » méme de nos jours, s’obstinent à vouloir soutenir seule , en >, rétranchant tout ce qui tient spécialment du. dialecte toscan, sine pourra jamais produire la. véritable comédie . Elle est ra trop circonserite et trop. grave; elle n’a.pas.la vérité et. la » vivacité nécéssaire . Lorsqu'elle iveut plaisanter, elle a. rare- > ment du'seli; on voit quelle n'est pas un instrument propre ;; è cela (*). Pourquoi, en France; a-t-on. la bonne comédie ? », Parce que le dialecte parisien y est devenu la langue univer- ;, selle, et que’, quoique tout! le,monde ne le parle pas, tout 3; le monde»le comprend et ‘eri sent toutes les finesses, Pour- 3 quoi n’a-t-6n pas la bonne comédie. en Italie ? Parce, qu'on >> ya répoussé le dialecte toscan, et qu'on.a voulu le renfermer 3 dans les limites étroites de la moderne Etrurie. Si ce dialecte ») Gtait devenu séncral è. l’Italie, comme de .dialecte parisien , l’est' devema en France, chacun sent 7 ‘avantage qu'auralent eu , les Ttàliens® pour arriverà uno résultat poligiei, Pourquoi les ;; meilleùrs piéees: de? Goldoni; quoique,trés-bien conduites 3; sous’ le: rapport ide l’art, finissent-elles par devenir insipides 3; en pe de | temps?: TETI qu ’elles.,;sont; écrites dans celte » prétendaerlangué/ générale qui manque, de. vivacité. et de .co- 3; loris. Cela ‘est si vrai que, pour trouver un moyen capable 33 d’obvier!à» cet inconvertient;;,0n.;y; a }introduit, des, dialectes » de differenibs parties de..l'Italie},.sur-tout le vénitien.. Plu- 33 sieurs comédies. de, Goldoni, écrites entiérement dans ce der- 4 nier dialecte,: comme par exemple le .Todero Brontolon, sont 3; parfaites . Maision s'est; bien g;ardé de faire usage du dialecte 3) toscan,; ret ce quiil yia: del pire, . «quand, on. vy a introduit, c’ a 3) été pour;s’en moquer!et, pour le rendre ridicule ,,. (*) Notò il Salvini, che la lingua fiorentina in questa:parte somiglia. l attica; piena di fucezie;e di sali,;e acconcia al mot teggiare e al proverbiare. _cn0) T. I Marzo n 24 370 di quegli accademici della Crusca , che censurarono il gran Torquato : ‘ed era naturale che facesse entrare in x » Il nous paraît'‘’donc’ démontré qu'il n'y aura de. véritable » comédie en Italie, que lorsqu'un homme de génie , connais- » sant è fond le dialèete toscan, s'en emparera. et le rendra.clas- 3) sique pour le théatre. Cette opération demanderait en méme 5 temps beaucoup de ‘courage; une résolution ferme, et autant de ménagement; jusqu'à' ce que la réforme fut goutée égale- ment dans' toutes les parties de la péninsule:.aussi loi que les Italiens ‘se contenteront de leur; langue. générale, di- sons’ mieux, tant‘que les Italiens se serviront, d'une. langue batarde , emprimtée de l’étranger, ils ne pourront, jamais, se flatter d’égaler les autres: nations ‘dans l’art. des Térence ‘et >» des Moliére I HD 1 E l'opinione del'Letterato»! francese. non è, prata da quella del Machiavelli ; che; nel Dialogo intorno; alla lingua, parlando appunto della commedia } notò come segne : i ‘’,, Ma ‘péréhè le''cose sono trattate. ridicolosamente, convie- 5, ne' usare termini e motti, che fàcciano questi effetti, i. quali ter- }} minî, se ‘non sono proprj; e patrj, doveèsieno soli ,rintieri e », noti, non muovono, nè ‘possono. riuovere ; donde. nasce ,. che >», unò} che non sia Toscano; non farà mai; questa parte bene , » perchè se'‘vorrà dire i motti ‘della patria sua, farà, una veste », Tattoppata, facendo una composizione mezza .toscana | e mezza » forestiera; e qui si' conoscerebbe che lirigua, egli avesse impa- 33 rata , se ella fosse comune”, ‘0 «propria .. Ma se:non gli vorrà » usare, non ‘sapendo quelli di Toscana; fatà nna .éosa manca, >, e che non arà la perfezione’ sua}ied'avprovariquesto.io voglio, » che tu legga una ‘commedia (*) fatta da uno degli. Arfostî di » Ferrara, e vedrai una” gentil composizione, e (uno stile ordi- » hato; vedrai un nodo ben accomodato ,ermegliò sciolto, ma » la vedrai priva di ‘ite’ sali; 6he ricerca una commedia tale, zi non per altrà cagione che ‘per la detta;'-perchè iomotti. fer- »» raresi mon gli piacevano; èd ifioréntini non: sapeva: talmen- Questa © Và commedia ‘di Messer Lodovico ‘Ariosto, in- titolata I Suppòsiti, fatta da lui PO REIRRRNI in \prosa; c di questa parla qui l'autore del Dialogo 1 i i | 37 quella Papiprocalazione una circostanza, la quale , se non danno, recò tanta pu a quell’insigne tut dell’ita- liano Pafnaso. } » techè gli lasciò stare . Uisonne uno comune; e credo ancora 3 fatto comune, per via di Firenze, dicendo dhe (**) un dottore della berretta langa pagherebbe una sua dama di doppioni ; usonne uno proprio, pel quale si vede, quanto sta male me- scolare il ferrarese col toscano, che dicendo una di non voler parlare, dove fossero orecchie che l’udissono, le fa rispondere, 33 che non parlasse dove fossero i bigonzoni (***); ed un gusto 3; purgato sa quanto nel leggere, e nell’ udire dir Zigonzoni è offeso : è vedesi facilmente. ed in questo ed in molti altri luo- 3 Shi con quanta difficoltà egli mantiene il decoro di quella lin- »» gua ch'egli ha accettata. Pertanto io concludo, che molte » Cose sono quelle, che non si possono scriver bene senza in- 3) tendere le cose proprie e particolari di quella lingua, che è 33 più in prezzo ; e volendogli proprj ; conviene andare alla », fonte, donde quella, lingua ha avuto origine, altrimenti si .fa sì Una composizione , Tai l'una parte non corrisponde all’al= 5, tra. E che l’importanza di questa lingua, nella quale e tu, | Dante, scrivesti, e gli altri che vennon e prima e poi di te, hanno scritto, sia derivata da Firenze, lò dimostra essere voi stati Fiorentini, e nati in una patria che parlava in modo, che si poteva meglio che alcuna accomodare a scrivere in versi, ed in prosa; ache non'si potevano accomodare gli al- tri parlari d’ Italia; perchè ciascuno sa, come. i Provenzali cominciarono a scrivere in versi; di Provenza ne venne quest’ uso in Sicilia, e di Sicilia in Italia, e intra le provincie d’ Ita- ; lia in Toscana, e, di tutta Toscana, in Firenze, non per al- 3; tro che per essere la lingua più atta ; perchè , non per co- t.,; modità di sito, nè per ingegno, nè per alcun’ altra partico- lare occasione meritò Firenze essere la prima a procreare que sti scrittori , se non per la lingua comoda a ‘prendere simile: disciplina ; il che non era nell’ alte città. E ch'e’ sia vero, si vede in questi tempi assai Ferraresi, Napoletani, Vicen= 23% bb) 2) 2) 29 (*) Atto PA Scena I. (**%) IVell’ istesso luogo 372 A p. 361. « Che se per esempio 1 Romagnoli moz- «zano il fine di molte voci, i Fiorentini ne tolgono il « principio, i Lombardi ne schiacciano assai vocali. | Avendo noi veduto il sig. C. Perticari a Firenze, e sapendo, aver egli quivi soggiornato alquanti giorni; e favellato con più Fiorentini, confessiamo, che quella sua asserzione ci cagiona stupore non poco, pensando al mo- do franco onde pone a confronto i Romagnoli co’ Fioren- tini per quel che riguarda i difetti della loro pronunzia, rispettivamente diversi. Tralasciando di far osservare , che di cento voci i Romagnoli mozzerarnzo il fine a ben nove decimi di esse, e che i Fiorentini, segnatamente: nel centro della popolazione , non lo mozzeranzo A nessuna ( poichè basta in ciò la nuda testimonianza di qualunque straniero si trovi attualmente in Toscana , 0 vi sia stato sol di passaggio), ci ristringeremo a citar qui l’ autorità d’un Calabrese , cioè del giureconsulto Gra- vina: « I Lombardi , nati in fredda regione, hanno « pronunzia corta, aspra e tronca. I Toscani e i Romani, « come nati sotto più temperato cielo, serbano INTERA. ,» tini e Veneziani che serivono hene , ed, hanno ingegni aîtis- simi allo scrivere : il che non potevano fare ,. prima che tn, il Petrarca , ed il Boccaccio avesse scritto ; perchè a volere ch’ e’ venissino a questo grado di schifare gli errori della lin- » gua patria, era necessario ch’ e’ fusse prima alcuno, il quale » collo esempio suo insegnasse, com’ egli avessono a dimentica- » re quella loro naturale barbarie, nella quale la patria lingua 2) 29 2) »» si sommergeva. Concludesi pertanto , che, non. è lingua, pg » SÌ possa dicho o comune d’Italia, o curiale, perchè tutte » quelle che si potessero chiamare così, hanno il; fondamento »» loro dagli scrittori fiorentini, e dalla liagua: fiorentina, alla. » quale in ogni difetto, come a vero fonte e fondamento loro, è 3» necessario che ricorrano, e non volendo esser veri pertinaci, 3, hanno a confessarla fiorentina ,,. Firenze, per Gaetano Cambiagi MDCCXXXIII, a p. 128. 373 « la pronunzia secondo la ciusrAa misura ». E seguendo a citare scrittori non Toscani, riporteremo altresì quel che si trova nel Raccoglitore, No XLV , a p. 71. « L’affermativa del sig. Conte Perticari, che la pro- « nunzia certa ed intera non è d’ alcun popolo , deve « tramutarsi in quest’ altra , che la pronunzia certa ed « intera non è di tutti gl’ individui d’un popolo. E così « ‘distinguendo, RIMARRA SEMPRE FERMO CHE LA RETTA « PRONUNZIA DEL VOLGARE ITALICO È PROPRIA DELLA € TOSCANA’ )). A p. Ivi. « Ma siccome le voci in Firenze, quando « sieno emendate secondo i precetti de’ grammatici e « degli antichi favellatori , compongono il parlare e lo « stile ottimo » (sia ringraziato il cielo!) « così po- « tranno comporre il parlare e lo stile ottimo le altre « voci delle altre citià, quando si correggano a una « sola norma » . i Ecco,a parer nostro, il ragionamento del sig. C. Per- ticari: Come la Ciuttazza, o taluno de’ Barunci, rimpa- stati che fossero, potrebbero , la prima contrastare in bellezza con Elena, e il secondo con Paride ; così , per mo’ d’ esempio , la Madonna del Parmigianino, detta dal collo lungo , diverrebbe perfetta, togliendole que- sto difetto. Ora si degni il sig. Conte di raccogliere una pagina di genovese o lombardo come si parla , e poi la riduca al parlare e allo stile ottimo. Non rimarrà forse più nulla; perchè poche o nissune saranno le voci da ritenersi pel volgare illustre. Faccia l’ istesso del tosca- no: e osiam d’ affermare anticipatamente, che di dieci parole, ne eccettuerà forse una sola: e questa sola sareb- be per avventura una delle bore del genovese e del lombardo . L’istesso avverrebbe , ove più ove meno 374 degli altri dialetti d’Italia (15). Poichè dunquela via più corta è quella di salire dal miglior de’volgari all’illustre, perchè tanti giri, e tanto varj ragionamenti? Il sig. C. Perticari ,, ammalgamando i differenti dialetti d’Italia, insegna qui a passare dal cattivo al buono. Perchè non insegnar piuttosto a passar dal buono all’ ottimo, come appunto avviene col mezzo del dialetto toscano? percioc- chè non è da porre in dubbio , che, a parità d’ingegno, un Toscano debba scriver dogalia di qualunque altro in Italia: essendochè i Toscani hanno due vantaggi per la lingua ; la nascita e lo studio :.gli altri Italiani uno; cioè lo studio solamente. E non per diversa ragione, (15) ,, Nè abbiam dimenticato per questo l’ autorità della »» Speroni, che pretendeva usare nelle sue scritture il Padovano illustre nello stesso modo che giurava il Castiglione di attenersi al Lombardo: ma diciam piuttosto, che l’uno e l’altro acquisterà fede in questo, quando alcuno potrà dimostrare, che nella massa de’ vocaboli, che costituiscono i dialetti di Padova e di Lombardia SI TROVINO TUTTE,0 ALMENO LA MASSIMA PARTE DELLE VOCI, impiegate da quei dae scrittori , e che vengano insieme collocate nel comune discorso con artifizio grammatico, eguale a quello usato da loro. Per lo contrario, se poniam mente ad alcuno dei moltissimi scrittori, che professano di usare nelle opere loro il volgar fiorentino, o toscano, troviamo parole e costruzioni simili in tutto a quelle, che forman la lingua del popolo, nè ALTRA differenza vi si rinviene, che quella , che corre naturalmente tra il linguaggio meditato, abbellito, secon do le norme di un gusto esercitato negli stud}, e illinguaggio, che tutti parlano naturalmente senza. alcuna previa meditazione. Questa proposizione sebbene per sè stessa evidente (almeno giusta il nostro .sentire ); acquista poi fede da ciò, che niuno degli ottimi scrittori non toscani, di cui Italia si onora , ‘si avvisò mai di qualificare alla foggia dello Speroni e dell’autore del Cor- tigiano , la lingua usata ne’ proprj scritti, prima che nascessero » Questioni , che agitiamo tuttora ,,. CoccHi, RACCOGLITORE XLV. a p. 69. b}) 375 ‘ehe per quella d’aver avuto nel proprio dialetto quasi tutte, le voci del volgare illustre .,. senza bisogno d’aliro che della scelta, i grandi autori. toscani antichi sono \stati e saranno sempre i più per autorità reverendi, e la sicuta norma del bello scrivere ad ogni altro Ita- liano . Ma si dirà forse, che la proposizione del sig. C. Perticari è odiana dall’autorità e dall’esempio di Dante; che, secondo egli sostiene, formò il suo poema co materiali di tutti i dialetti d’Italia. La dai ultima parte noi non possiamo tener per buona: 1.° perchè è assurdo il sostenere , ch’ egli abbia diatia la Di- vina Commedia colle voci di tutti i dialetti d’ Italia, per averne solamente adottate alcune, nell’istessa guisa che sarebbe assurdo il dire che, per aver egli usate molte voci latine ed altre sue, proprie, si pretendesse, che. lo avesse formato co’ materiali del linguaggio del Lazio, e con vocaboli non esistenti che molli sua testa: 2.° perchè Dante usò la più, parte di que’ vocaboli , direm quasi a forza , cioè in rima; attesochè non voleva (come si suol dire) esser fatto fare dalla rima stessa, ma padroneggiarla. La favella di quell’ opera è in tutto il complesso toscaza, com’ egli. appunto la chiama. Oltre di che il mare non cambia già nome per cagione dei molti fiumi a lui tributarj : ma bensi lo cam- ‘biano i fiumi. Così quelle voci ebbero per suo mezzo cit» itadinanza toscana. “A p. 379. « E come negli individui di Firenze si « trova una lingua comune a’Fiorentini, così in tutte le « individue toscane sì trova una comune lingua tosca- « na, e così negl’individui idiomi italici trovasi la lin- « gua universale d’ Italia » . Se il sig. Conte intende di dir quì, che in ogni NE N di dialetto italiano v'è la radice de’ vocaboli del linguag- gio scritto, ha im parte ragione, e in parte torto. In parte ragione, perchè vi sono vocaboli in-ogni dialetto, i quali o sono uguali o quasi uguali alla lingua. scritta: e in parte torto , "pere vi hanno tali voci, che sono al tutto differenti In siciliano, acagion d'esempio, astutare suona spegnere. Come mai, adlià parola astutare, trovar potrebbe il sig. Conte da formarla voce della lingua scrit- che è spegnere, estinguere? Ma se da beicliala comuni s'induce ugualità di lingua , non si accorge egli, che i Francesi e gli Spagnuoli possono dire d’ aver lingua’ ‘eguale alla nostra? Egli dice più addietro, che il Varchi procede coi poveri obi della logica di que’ tempi. Al che ci facciam lecito di ri posare, ch'egli procede come il nostro intelletto, che; avanti di parlar di lingua, st dovrebbe per avventura esaminare un po’meglio. Egh è certo , che le nostre idee sono prima individuali , poi spenta , e finalmente generali. Quindi il Varchi do- ‘manda con tutta ragione ove sia la lingua individuo ; vale a dire la lingua parlata, dalla quale si è tolta la lingua genere, cioè la lingua scritta. E per liberar sì fatta richiesta da ogni termine che sembri scolastico , dimanderemo al sig. Conte: dove mai si parla la lingua che si ‘scrive (16)? Se come pare , egli risponderà , in nessun luogo , allora noi avremo ragion di soggiungere, che si scrive dunque in una lingua morta. Ove affermi poi , che in tutti gl’ individui idiomi italici si trova la lingua universale d’Italia, replicheremo :. alla ‘prova. Trovi, a cagion d’esempio, nel dialetto milanese voca- (16) Aperi nobis itaque, ubi caput occulerit lingua ista communis, ubi consederit, quanani in regione constiterit ? GRAVINA, Dial. cit- p. 44. sei 377 boli da scrivere un poema epico ( 17°): E qualora si arrischi a farvi de’ cangiamenti , diremo , che non iscrive più in quello : perciocchè nessun. particolare ha diritto di far cambiamenti nella lingua ; e gli ram- ‘ menteremo la sentenza di Lucrezio ; citata da lui me- desimo ; cioè, che niuna lingua prende mai ragione dall’ individuo, ma dall’ universale ; e prima fu par- lata dagl’interi popoli, e poi purgata e scritta dagli studiosi. i A. p. 383. « Qui si ristà il nostro ragionamento: « e ci piace limitare il Greco Timante: che la più « alta parte de’ suoi dipinti copriva d’ un velo » . Se così è, non avremo gran ragione di esser grali al sig. G. Perticari, che non ci ha degnati della più alta parte de’ suoi pensamenti. Ma come poi si accorda quel gelo con la dichiarazione ch’ ei fa a p.371 ; d’aver, cioè, per via di fatti ridotta la quistione in mani- festo lume ? A p. 421. « Perchè siam usi guardare le ingiurie « con alto volto : non udirle : non iscriverle, e nè « manco trascriverle »-. È questa una massima eccellente. Ma come ron udirle se altri le dice ? E se non le ode, come le guarda egli cor alto volto ? (17) Il Gravina, dopo aver enumerate le deformità de’ yarj dialetti d’ Italia, escluso il toscano, conchiude : Undecumque practerveharis , nihil cautius cffugias, QUAM EARUM LINGUARUM USUM, rec est a quo magis'timeas, quam ne iis vocabulis in- quineris, neve in oratione tua VERBUM ALIQUOD EARUM RE- GIONUM ADHAERESCAT. E del toscano avea parlato così: Etru- seus longe praestantior, quidquid est, cum ad exponendunm, tum ad exornandum, atque augendum in. qualibet rezac in omni dicendi genere necessarium , Dial. cit. p. 36, 43. 378 A p. 440. « Gonciossiachè molti de'Toscani mo- « derni già sono nella comune sentenza. E Domenico « Sestini, uomo eruditissimo di greche lettere e latine, | « così parla di. Wuello Crusca ».. Molti Toscani? Non è vero. Anzi nessuno de’ più commendevoli è nella sentenza del sig. Conte. E per dar peso a quello che-il sig. Sestini dice della Crusca, e della lingua italiana, mette avanti, ch'egli è erw- ditissimo di greche lettere e latine ? Ce ne rallegriamo: e lo porremo coi Nevio della p. 315. Ma sì tratta di lingua italiana. E qui .come sta egli ? Noi ci atterremo al Medio ‘del Cav. Monti; riportando quel che disse di lui nel vol. IT. parte I. della Proposta, a p. iv; e vi « NE AVVILIREMO il giudizio di critici sì reve- « rendi (Magalotti, Lami e Salvini) con quello di un fa- « moso antiquario, che Fiorentino,ancor esso, ma DI NES- “ SUNA AUTORITA' IN FATTO DI LINGUA (avendone però « molta in fatto di Archeologia ), nel preambolo ad un « suo viaggio per la Madaciiai ;s pubblicato tre anni sono « in Firenze, trascorse in sli TROPPO OLTRAG- « GIOSE per l'Accademia della Crusca , dimenticando, « che da quell’illustre consesso ne venne un grande ono- « re alla patria e all’italiana letteratura singolarissimo « benefizio. Ma egli è antico costume il viLiPENDERE que- « gli studj che mal si conoscuno, 0 mal si coltivano; ec. » Le quali parole troppo oltraggiose perl Acca- demia della Crusca, il sig. C. Perticari non guardò questa volta cor. alto volto ; stantechè le trascrisse tali e quali. Dopo il sig. Sestini ( e tralasciando di porre sotto gli occhi de’lettori.il periodo allegato dal sig. C. Perticari, intendiamo di dargli una prova di riguardo pel merito sommo, ch'egli ha, nella parte che concerne la Numi- 379 smatica ), viene il sig. Abate Sebastiano Ciampi, che il sig, Conte chiama cavalier Toscano. Ed ecco a che si riducono que’ MoLTI. DAL P: 444. « La quale negligenza ( d’ogni leg gge e « d'ogni urbanità ) potrebbe fare del buon italiano ciò « che ne’ ferrei tempi fu. fatto del buon latino: cioè « ne volumi nostri disgiungere le idee da’segni; l’intel- « letto dalia favella, e il sapere dall’ eloquenza ». Questo è tanto facile, quanto il disgiungere il calo- re dal fuoco; il freddo dal ghiaccio. Le belle frasi, la pu- rità de’ vocaboli, e i fiori delle eleganze possono far com- mendabile lo stile: ma scribendi rectè sapere est prin- cipium et fons. E come potrà credersi fornito di buon giudizio chi conosce tanto poco la filosofia della lingua, derivante dall’eterne leggi dell'intelletto, da pensare che gli scrittori del secolo di ferro disgiungessero le idee dai segni? cosa che non può farsi nemmen dalle bestie, le quali alle lor grida necessariamente uni- scono una qualche idea. E non è manco assurda fra- se quella del disgiunger l’intelletto dalla favella ; giac- chè la favella è una conseguenza necessaria del nostro intelletto ; e converrebbe credere, che negli scrittori del secolo ferreo si fosse operato il portento di Circe. Dalle quali osservazioni, che per verità non son poche , e molte più potrebbono essere (18) , pare a noi, (18) Molte altre note avevamo fatte intorno a questo volume , segnatamente per quel che concerne la parte filosofica della con- troversia. Ma dopo la pubblicazione de’ quaderni I. e II. delle Effemeridi letterarie di Roma, ne’ quali a p. 42, e 226. si dà conto dell’opera del sig. €. Perticari , avendo veduto rilevate quivile più importanti (con che a noi pare, che l’industre ed | acutissimo autore ne abbia con bellissimo ordine ed esquisita dot- | trina trionfalmente combattuto le fondamentali sentenze ), le ab- biamo lasciate da parie. 3 380 che resulti , essere questo libro del sig. Conte Perticari non poco sparso di paradossi ‘e contraddizioni, ‘e man- car poi dal principio sino alla fine di quella spassiona- tezza , che sola conduce alla scoperta del vero. Atteso- chè invite cose abbiam notate , che rilevar poteva egli medesimo , così perchè non manca di dottrina , e la più parte sono state attinte dai medesimi documenti da esso citati ( e che stimò bene di non mostrar che dal lato per lui conveniente ) , come perchè quasi sempre non era mestieri se non di un lume di raziocinio ; ch’ei non può non avere, qualora lo spirito di parte non faccia velo alla sua mente. Ma il suo libro (ne dimanderà qualcuno ) è dunque assolutamente un cattivo libro? E le lodi di cui venne ricolmato, furono elle adu- latorie ed insensate? No: nè ‘il suo libro si può dire generalmente cattivo, nè generalmente mal meritate le lodi. Quanto alla prima parte non troviam altro di cattivo se non la base dell’argomento , che posa. sul fal- so, e un certo prevenuto spirito d’investigazione, il qua- le nuoce alla sua causa più ancora che la falsità della base medesima . Del resto il lavoro è benissimo ordina- to, e in generale la locuzione , benchè sparsa qua e' là di modi ricercati, e poco acconci al ragionamento (19), (19) Dice a modo d’ esempio, soverchiava, per superava, re- cita, per riferisce ; chiama l'Adriatico il grondatojo d’Italia; dice il cachinno delle femminette; andare in busca, per andare in cerca; l’eloquenza si dee sempre adagiare, per adattare; la cernita favella, per la scelta favella; intellette, per intese ; far considera- mento, per far considerazione; girono dietro, per andarono dietro; alla pazza, per all'impazzata; e simili. Nelle quali cose non sareb- be incorso, nel secolo decimonono chi fosse passato a scrivere il volgare illustre, partendosi dal dialetto toscano, o da una bella pratica, e non dalle mal distinte lascivie de’ libri italiani di sei o sette secoli fa. 381 massime in materie gravi, la locuzione , diciam noi, è pura, nitida e nobilissima, e fa fede de’ buoni stud} dell’ autore in fatto di lingua: e i suoi pensamenti, quando non contraddicono alla ragione e all’esperienza. ( più potenti di qualunque codice o scrittura anco pere- grina ) sono esposti con disinvoltura e con tutte Je for- me atte a pers@tadere. Rispetto poi alla seconda parte, che concerne le lodi dispensate a questo libro , diremo, ch' elle furono meritate per que’pregi, di che abbiamo pur or fatto cen- no: ma che pochi avendo per avventura avuto il coraggio o la pazienza che abbiamo avuto noi, entrando nella so- stanza dell’opera e degli.argomenti messi'in campo dal sig. Perticari, si credè all’apparenza di quel certo fervore che spira per una causa ; la quale lusinga i popoli tutti d’Italia (fuorchè 1 Toscani), e si pensò che non potesse aver torto uno scrittore , che prendeva a difendere il massimo de’nostri poeti. Falsa supposizione ! Perciocchè mentre. dichiariamo con tutta la forza e la sincerità dell’ animo , che nè il sig. C. Perticari ;' nè ‘chicches- sia, nè vince nella venerazione e nell’amore verso quel- immenso ingegno dell’ Alighieri , eterna e splendidis- sima gloria d’Italia nostra , e in particolare della T'osca- na, pon possiam dissimulare a noi stessi quel tutt'altro che:nobile spirito di vendetta, che diresse alcune sue | azioni contro la patria ; vendetta , la sola per'àvventura che rendesse in parte men odiosa Firenze, per l’esilio a cui condannò quel grande : stantechè più ancora che per Dante prevale in noi la reverenza pel vero (20). E (20) Nessuno fu più del Boccaccio :amico della fama dell’ Ali- ghieri, pel quale portò il'rispetto fino all’adorazione. Non'pertanto egli scrisse::1;; E di quello; di ch’ io' PIU MI VERGOGNO, in'‘servizio 4 della sua memoria, è che pubblichissima cosa è } in Romagna lui 382 che egli operasse sovente mosso dall’ iracondia, si po- trebbe per noi dimostrare ‘con altre allegazioni , tratte (3 dope VEDO Or ri LL 1I , ogni femminella ; ogni piccol (fanciullo!, ragionando di parte ; e 2 dannante la Ghibellina. l'avrebbe a tanta insania mosso, che. A 3. GITTAR LE PIETRE l'avrebbe condotto ,, non avendo taciuto; e >) in questa animosità si visse fino alla morte g@a ,,. E in altro 3» luogo : ,, Solo in una cosa fu impaziente e animoso , cioè IN 33 OPERA PARTENENTE AULE PARTI ;,. { Boccacero; Vita di Dante, a ‘p- u590 3 253.! E così si esprime Niccolò Machiavelli, nel aliis intorno la lingua: e converrebbe, per non reputarlo suo, non aver la minima pratica del suo stile , e notizia verunà della testimonianza, a questo proposito, di cda de’ Ricci. *,} Mi fermerò sopra di Dante , ‘il quale i in ogni parte mostrò ) d'essere ‘per ingegno, per dottrina e‘per ogiudizio! uomo eccel+ »> lente ; ‘eccettochè dov egli ebbe a parlare della. patria sua, la > a quale fuori d’ogni umanità e filosofico istituto perseguitò. con » ogni specie d’ingiuria,, è non potendo altro fare che infamarla, »» accusò quella Li ogni vizio, dannò gli uomini, biasimò il sito, 18se »; nale de’ costumi , e delle leggi di lei; e questo fece non solo im ,y tina ‘parte dellà sua'‘cantica’, ma in'tutta; è diversamente”, ‘@ im ,y diversi modi ;; tanto, 1’ offese l’ ingiuria dell’ esilio, tanta rante ,, ne desiderava, e. però ne fece tanta quanta! ‘egli potè; e se per >» sorte de’ mali, ch’ egli predisse , le ne fosse accaduto alcuno, Fi- » renze avrebbe più da dolersi d’ aver nutrito quell’ uomo , che 7 È alcun altra’ sua rovina ,, - ! Firenze, per G4 erano Cambiazi, MDCCLXXXIII: a P. 119 E il; Salvini, grande ammiratore dell’ Alighieri ; convenendo nella sentenza del Varchi , il quale stimò il libro De vulgari, Elo- quio non di quel Poeta, e non degno di lui, a motivo, delle incon- gruenze che ci scorgera , aggiunge : »» Il fare una! cosa’, e dirne n altra , è luna” ‘‘obbtfudaizione nd indegna diun atlantumtoi Così avrebbe fatto! ‘Dante, sé quel libro »» è suo. Per tutto aver par lato fosco e fiorentino; e in conseguen= » za approvato, e messo. in opera: questo’ ‘parlare; e di cotii » natio dalla sua nobil patria, e poi in ultimo ridettosi e biasimato 33 quello ;;che con tanta sua lode ‘avea praticato } e ‘rinnegato quel 3 bello stile, che perla sua iconfession propria gli avea fatto ‘onore! 383 dal suo stesso poema, nè certaménte men‘ numerose di quelle, con che il sig. G. Perticari cercò di provarne V Amor patrio, tito non bastassero le ‘troppo evi- denti testimonianze degl’ istorici; che noi, quanto a verità , valutiamo più de’ suoi versi, per tutt'altro am- mirabili: E come non è verisimile che Dante , ‘anco di sè consapevole , scriver volesse delle proprie passioni in modo vile; così è cosa strana e tutta fuor de'limiti ‘del- la prudenza , il giudicar di un ‘uomo sul nudo’ fonda-. mento di quello' che adduce.'Ma il sig. G. Perticari, che nella sua opera ha cercato forse-di conciliarsi «la grati tudine' é/1 suffràgio de’ diversi popoli d’Italia (sempre messi da' parte 1 Toscani ), col tras fuora dagh ‘ar- chivj , e scuoter dalla polvere , e dalle: tignuole daliiamià scritture de’ loro vecchi'( che fl tempo; più giusto del | sig. Conte; aveva condannati all’obblio )} per contrap- porle a quelle de’ Toscani, le quali sono nella memoria ‘e nella reverenza di tutti, nocque per avventura alla sua causa coll’ stessa stravaganza delle prove, che la ‘gente di sano intendîmento non può'‘tener per buone; senza rinullziare per un maliriteso amor patrio alla prerogati- va'del'buon senso, più pregiabile di tutte le belle scrit- ture ‘e di tutti gl’incensi. ‘© Prendendo ‘ora ‘comiatò' da’ nostri ‘lettori; direm * francamente di non reputar tanto pacifica l'indole di taluno fra gli avversarj , da noù sentire ‘sdegno‘e mara- viglia di queste nostre osservazioni: le quali abbiamo | stese con, libero animo , e forse ‘con qualche ‘vivezza di LAI » “0h, B “dirà ARTINSE 'egli avea dell’ amaro contra quel popolo, che, 1,5 Com’ egli dice rgli s° era! fatto; per suo ben far, /menico. Ma non y/etra ‘questa la maniera di/ricattarsi con tanto! svantaggio e vergo- igna sua, mostrando d’aver seguito ‘quello stileych'ei inondovea »- ì «Annot, alla, PERF. POES. T. Il. Pa92 3 9°. 384 espressione bensì ;;ma senza veleno, come senza paura: talmentechè se ci puirab i, odio, non sarà nostra la colpa : parendoci anzi esser quelle di assai lieve tempra e misuralissime, in confronto de’ modi ; arroganti co quali sì rispose al nobil silenzio ; che osservarono, i Toscani ; e di quanto sarebbe rimaso da dire su l’ opere: accenna-. ie , come potrebbe cadere in acconcio di far conoscere un’ altra volta. E crederemo di non aver mal sostenuta la causa del popol. toscano ,, se ,.in vece idi combattere 1 fatti; e le opinioni da noi esposte ,i nostri avversarj ci onoreranno di qualche strapazzo, 0 contumelia . Le quali maniere esser potr anno per altro eflicaci in ‘tutto fuorchè nell’ indurci a ricambiarle. Perciocchè pochi fra la lusinghiera turba, de’ partigiani del cav. Monti e del G. Perticari apprezzano più di noi l'ingegno di am- bedue in quello, in cui fa loro giustizia la sana, parte d’ Italia: ed è da deplorare., che l’ uno noa sia così pa- drone del proprio temperamento , come lo è della sua. penna; e che l’altro non abbia rivolto l’ animo a “studj, più generosi e più evidentemente utili, o; che almeno Te sue indagini sieno, state guaste da quello spirito di, pate ; ch' ei riuscì tanto meno a nascondere Pe quanto più cercò di ammantarlo col bello stile e colle autorita, altrui, senza farsi il minimo, carico di quelle (forse più gravi ) che mandavano;a terra il suo troppo faticoso, e intricato edificio. FERORICI AREA TOO ARRE o i, «D. S. Per togliere il caso di qualunque dubbiézza , a la qual si a promuovere intorno alla validità del codice,.accennato a P: 360, ove si, contiene, il dialogo delle RICOGLITRICI DE'FIORI, colata attribuito a’ Ugo- lino d’Azzo, crediàm opportuno! d’ aggiungere, che. un. tal codice è AUTOGRAFO; vale'a dire dell’istessa ma- no di Franco Sacchetti Fette ai aùtor di que’ versi. wi Og E ; è so a ì 385 LETTERATURA VIAGGI EG | Vraccio in Trazrd' del ‘signor Gricomo Ave; Gatrrre di Ginevra, scritto in inglese, e fatto nel 1816 e nel 1817. ui A Dajend i nostri leg ggitori, che noi solevamo tra- durre le altrwi scritture, si spaventeranno forse in udire il titolo del presente. ‘discorso, quasichè dovessero leggere tutto il viaggio del signor Galiffe. Ma stiano pure d'ani- mo tranquillo, imperocchè a moi più che ad essi preme che non si abusi della loro pazienza. Per la qual cosa, ed anche perchè il‘giudizio de’ viaggiatori. è spesso fallace, ‘ancor quando ci sieno cortesi di lode, siccome il Galiffe ha talora fatto: perciò, dico, non ripeteremo tutte le cose da lui raccontate, benchè le vedesse con tanto piacere dall’alto de’ campanili (1); matradurremo soltanto isuoi pensieri intorno a’ dialetti italici, che egli ragiona con modi concisi e con termini decisivi, da far vergogna a tutti i giornalisti d’Italia che per l'una o per l’altra dia- lettica fazione combattono; e da terminare finalmente la gran lite, e con essa l'afnare alla patria lingua, e lo sde- gno verso le favelle de’ popoli ‘vicini; poichè antepone, come vedremo , a tutti i parlari la conversazione d’ un fabbro, ch’ ei trovò nel borgo di San Donnino, presso Parma, non già presso Volterra. E sì non sudava egli nel- la grammatica ! ma perfezionava l’intelligenza sua ne varii dialetti colla viva voce de’ maestri, servitori di piaz- za,i quali eleggeva in modo che non sapessero affatto la lingua italiana, ma solo la provinciale e respettiva lo- (1) Tomo 1. pag. 124 in principio. i i T. I. Marzo 25 386 quela; pagandoli tre lire al giorno (2). Udiamo dunque volentieri i suoi argomenti e viviamo in pace. Nella pagina 143 del primo tomo, non per difetto. di buon orecchio o di buona pronunzia, ma per errore di stàmpa, leggesi daccio: ma non allude a Baccio ‘Bandinelli, deb- be dire bacio. - « Il dialetto de’ milanesi (3) è tanto simile alla lin- | gua detta italiana, quanto :ad ogni altra fav ella dl’ Euro- pa- Esso è una strana commistione di diversi linguaggi, sopra cui domina; è vero, l’italico: ma la pronunzia ne è così particolare, che lo fa in tutto differire dall’idioma d’Italia. La vocale z è proferita a, modo de’, francesi : anzi alcune parole sono pronunziate e scritte nella me- desima maniera, siccome coezer in iscambio di cuore.» Ed hanno gli abitatori di Milano i suoni nasali come i francesi? hanno alcune desinenze spagnole: talchè il loro favellare è sì aspro,.che io non ho udito il simile; fuor- chè in Germania. — Andando io a Pavia, mi fu, reci- tato da un. ragazzo un lungo dialogo; nel quale si. figu- rava che un milanese ed un veneziano vantassero, amen- due nel proprio dialetto, i pregii delle patrie loro. Ma nè io, nè alcuno di quelli che erano presenti, non dubitam- mo che non fosse il secondo più elegante e grazioso: ben- chè il primo abbia una;certa Apigssione franca e senza artifizio, la quale mirabilmente s° adatta all’ indole del nepni? milanese . | i « In Padova (4) non ebbi opportunità di conoscere ina da me stesso la parlatura de’ contadini: ma presup- pongo essere simile a quella; in cui Beolco ( che è più (2) Tomo 1. pag. 159 in fine, e pag. 160 in principio. !’ (3) Tomo 1. pag. 77. (4) Tomo 1. pag. 112% 387 noto sotto il:nome di, Ruzzante ) scrisse le sue.conme- die ed issuòi dialoghi; e che egli nominò lingua rustica. È molto.simile alla veneziana nella costruzione delle parole, ma:non so se le rassomigli per rispetto alla pro- nunzia. Futti quelli. del basso Sa a cui ebbi occa- .sione.di parlare; mi risposero nell'italiano comune. o. dialetto de’ veneziani (5) è oltremodo piacevole all’ orecchio. Ha un non:so che d’infantile nella pronun- zia, per cui è pieno di grazia ..Il g per esempio. è ;quasi sempre pronunziato 2, come dose, zorno, z0co; in luogo di doge; giorno; gioco: ed. è talvolta scambiato in Ico me venyo; linguayo, în vece di vengo, e linguaggio. I veneziani non proferiscono il c. comei toscani, ma come i francesi e gl’inglesi: e mutano sc,, e 22 in ss, dicendo conosso, lasso, delicatessa, in vece di.conosco,, lascio, delicatezza. Hanno' poi gli stessi suoni nasali, come i francesi ed i milanesi. Levano via da’ par Heipiil: ultima sillaba, scrivendo stà, magnià, non stato, nè mangiato. E ciò facendo ancora nella seconda. persona de’ verbi, e pieno pe in iscambio di voi, danno ‘a certe espres- ‘sioni un’ apparenza tutta francese. Dicono per esempio vi savè, vù perderè, cioè voi sapete, voi perderete . E dicono altresì i disè in luogo di, egli diceva . « Il dialetto de’ bolognesi (6) è orribile ; differisce molto: dal milanese ,/anche;più dal, veneziano , e. rasso- miglia piuttosto ad, una lingua di selvaggi, Udendolo parlare per la prima volta; non si può erederlo italiano, e neppure pertinente a’ dialetti dell’ Italia. Le sillabe finali i in particolare sono aspre e rozze;,:perchè ne tolga- no via l’ultimarvocale ; e tutto il peso d una pesantissima (5) Tom. 1. pag. 157. (6( Tom. 1. pag. 195. 388 pronunzia cade sopra la vocale precedente, e ‘si ferma in essa come se non potesse proseguire . Non dicono palazzo, butazzo, mezzo, ma paldvs, buttàvs} màis, e scrivono palass, butass, mess. Non dicono lavare, parlare, Re, eccetto, vecchia, signori, mentre, srizina, ma laodir , partir , Rà, assàitt , vditcha, sgnàuri, mdintr, srizèina : cdiibicndo così le vocali; e solgéigole spesso in dittonghi, con spalancare sempre la bocca al- Y ultima sitlaba . Oltre a. ciò hanno i suoni nasali della lingua francese come nell’ Italia settentrionale. Talchè non dicono cane, uno, nessuno, ma can, on, n'son: im- perocchè aborriscono le vocali finali, forse per la loro troppa dolcezza , e le tolgono via senza misericordia da ogni vocabolo per rendere la lingua loro quanto possono aspra e rozzà . Nondimeno è nella pronunzia bolognese una cèrta semplicità e grossolana franchezza, che in al- cuna parte ripara a’ difetti sopra mentovati, eche mi fa ricordare d’una tergiversante risposta data da un civilis+ simo gentiluomo nella città di Pietroburgo. Interrogato ‘egli da un tedesco, se giudicasse molto bella la lingua d’ Alemagna, rispose : invero sono i linguaggi cose bel- lissime. E senza dubbio io non sceglierei il bolognese dialetto per favellar con donna vaga e leggiadra: mia ‘pure ebbi sommo piacere in leggere una raccolta di di- lettevoli novelle tradotte in esso da originale napoleta- ‘no. E forse la ‘sua dura ed aspra proferenza si deriva dalla rustica libertà de’ montanari, onde è altresì oppor- tuno a tutte le burlesche composizioni, e le riempie di modi curiosi e ridevoli. « Il dialetto de’ Napoletani (7) (ovvero i dialetti di Napoli, perchè vi è tra loro qualche differenza in ogni (7) Tomo 2. pag. 203. 389 parroechia;.e: forse anche in'ogni famiglia) sondassai più dispiacevoli all’occhio che non all’ orecchio.. Le sue qualità principali sono l’ arbitraria trasposizione delle lettere che compongono un vocabolo, ed il loro fr equente cambiamento dell’ una nell’ altra. La ” per esempio non è mai in quel luogo dove gli altri italiani la pongono; ed è all'incontro ‘dove questi non l’ adoperano. L’a,e lu suppliscono sovente all’o. L’e el’w all i. Il 5 bd il galla v. La ved ilp al b.Ild si cambia in z,ilc in 8 ciù p.in ch, quasi sempre. Ma tutto ciò imbarazza e molesta solo il leggitore; e non fa ‘cattivo effetto negli or ecchi : Chiù, chiatto, chiazza, chiegare, chiovere, suonano quasi lanto pete (8) quanto più, piatto, piazza, piegare, piovere. Crelo, e cravonaro non sono vocaboli meno dispiacevoli a udirsi che clero è carbonaio. E quanno e pecchè sono più facili a proferirsi che quando e perchè. L’ i, che è spesso collocata innanzi ad e tome nell’antica lingua latina secondo la testimonianza di Cicerone, è un abbellimento preso dall’ idioma russo (9), e fa dolci e graziose moltissime pai ‘ole. Mai Napolitani abbondano di abbreviazioni, le quali producono talvolta suoni così aspri, che sembrano appartenere al vocabola* rio de' selv aggi d'America. Sicchè il dialetto di Napoli ha due potenti aiuti, la pigrizia e la mancanza d' orec- chio :la prima. fa toglier via. gran mumero di sillabe, Mesndo; îno n; 'mj in iscambio d’uno, in, im: e la -J2 sisi "6 ) To'fo da traduttore I leggitori si consiglino co” proprii oteèchi . E nemmeno raffermo, chè tutte le sldtcave pronunzie, in Questi e negli'altri dialetti, sieno come'dice il Galiffe . * (9) Noi spiegheréemo questo pensiero del Galiffe, traducendo altresì lè opinioni sue intorno all’origine della linghb! latina, dap- se pi avremo niniato il discorso de dialetti. 390 seconda produce la'più straordinaria ovnfusiorie di ‘sile Re CIAO ; dis Mot: dfo off li ifovs siquib | ) c Mentre i io era nella città di Glenn dotnandat al : 4: 40 ) SL cameriere della locanda com’ ei sì chianiasse. Rabi ero; DI) Lp 3 dis egli. —_ Rabiero! dissi io, che ‘strano, nome! / I ei rispose, è un nome, comune per tutto il regno. — .—Ch ' Rabiero ? — Sì signore,: non avete mai sentito sf dell’ A rcangelo Rabiero ?. 0 Grabici o, se più 4 v piace ? = Noi invero, io so | dell’ Arcangelo Gabriello , i ma. Ne E questi è ben quel che i io dico. Grabiero o) Rabîero' è tutt'uno. —Nè a me fu possibile (1 10) di fargli conoscere la differenza dal mio Gabriello al suo Grabiero o Rabie= ro: nè potè pure u unà volta} pronunziare detto n nome ‘come ; io faceva; nè potè pscomgerei; che. 10 pronunziava in' modo pronto alsuo. |. AIR RSA « Il dialetto de "fior iorentini (1 SI. è musicale è netto; ed ha un accidentale prontezza, ché. molto ‘piace. è a “mio orecchio, benchè non sia ciù che sì chiama buono italia- no. Pecca spesso contro la prosodia, abbreviarido ] le | pe- nultime lunghe, e facendo indurire le ultime sillabe Ù come se vi oo accento: ‘per es. verò, notarè. in ‘luogo di vero e notare( 2).Ilc dinanzi le vocali. a, 0, u è sem- POI di È (10) E lo credo. Chi sà Bome il Gallire proterivà! Alla ‘pagiità 78 del tomo secondo dice: sche i Napolitàni | si dilettano ‘di udire il:popolo recitare, \mai che. non: preme loro se ciò è mon si faccia in lingua italiana, la quale i i più di essi non intendono »-Edin questo labgà soggiunge che benchè i vino gente sembrino nati alla musi- ca; non hamo:injciò nè gusto nè orecchio.; Falchè,non potè fare imparare..1ì aria inglese God save the. King, Dio,salvi i Rejad,un padre e a dae figli;che andavano per la strada;swonando il violi e l’ arpa. Ciò è inyero contro I’ APPIRIONE, dello. Murata | Galiani: ma questi è morto.. |; ;'olemotei otra intoimiero Di none (11) Tom, 2. | pag: ‘dga; ) OSSSOtTYg : loioe (12) Quando” il Galiffe traudì questi suoni in Firenze, veniva 8gi pre pronunziàto come una È durissima: non casa, non poco, ma hisa, ma poho. Dinanzi ad e ;.0 ad i,; è, pro- nunziato' sc: non felice, non capace, ma uluaa ima C4- paste}'anzi hapasce (13). Questi ed.altri pochi partico- lari.sembrano invero poco significanti. per formare un distinto dialetto : ‘ma i fiorentini stravolgono, tanto ; la lingua'loro,‘che al mio primo arrivo ebbi;tanta difficoltà ad intenderli quanta in Napoli verso i napolitani. Io an- dai nella bottega d'un libraio; è chiesi.se vi erano. li- bri scritti nel'dialetto fiorentino. Ma egli mostrò di non capire. Sicchè ripetei la domanda; edei finalmebterispose mezzo sdegnato : i fiorentini parlanola lingua del Boc- caccio e'del Macchiavelli; qui noniv' è dialetto. Nondi-.. merio lo'indassi a poco a poco a confessare, che la lin- gua parlata generalmente in Firenze ene contorni, era alquanto diversa: dal: classico idioma,dell’ Italia; che era essa chiamata lingua rustica; e.che, vi jera, un | poema scritto in questa>lingua; rustica? il quale. subito comprai, e/leggendone la! prefazione; mi accorsi che differiva an- cor: più: che:iò non pensava dall’ idioma italico ., Questo poema è'intitolato il lamento di Cecco da Varlungo,e fu composto da Francesco Baldoviri nel secolo decimo settimo. Ma io non mi ricordo d’aver letto mai cosa più piacevole , eccettuate forse le composizioni scelte di Burn, tanto ne è lo stile semplice e geniale, proprio in- vero de’ pastori. Talchè io lo propongo a tutti i leggi- tori, che amano la semplicità poetica. Ognuno, che ab- bia orecchi e sentimento da dilettarsi in Teocrito ed in dall’ accordare il violino e l’ arpa in Napoli all'aria God save the King. i fe ara dia —. non fiorentino Mi sembri veramente quand’ i’ t’ odo. 392 Burn; gli goderà senza dubbio l'animo, leggendo, nel Baldovini. Vi 'è però quasi là stessa difficoltà ad, inten- derlo, come nella poesia napoletana. La lingua rustica di Firenze ha alcuna specie d' analogia per rispetto, al linguaggio scritto di Napoli, benchè vi sia, gran, dissi miglianza ‘nella pronunzia. La lettera rà. frequente, mente trasposta: brullare, strupo; in luogo di burlare e di stupro. Le vocali eziandio sono: spesso tramutate: sprifondare , comido, dovidere, non sprofonduré} como- do, dividere. Talora sono trasposte due.o tre lettere: gra- limare, regilione, catrigole, invece di lagrimare, reli, gione, Miei Ma tutte queste paritioolamiià di suoni ‘e d’inversioni di sillabe si ritrovano ne’ più antichi. au- tori € poeti, e danno forti argomenti contro Il; universale opinione, che sia ottimo e giusto.l° orecchio degl’italiani _« Giunto io a borgo san Donnino; presso Parma; con- versaî prima di cena con un’ fabbro; ché aveva l’ offici» na presso la locanda (14). Nè mai ho.sentito parlare più dilettevolmente l'italiano come in quel: colloquio» Vi era un oste ancora del vicino villaggio; che. parlava il dialetto di quel paese: la cui pronunzia mi ‘piacque ras sai più di qualunque altra io aveva gio in tanta varietà d’ italiane’ proferenze. @ ‘© ci si .ontdi9a (14) Tom. 2. pag. 10 RR ao ateo Pia 393 ssi del capitolo XX. del viaggio in Italia del sig. , G aLiFFE intorno all'origine ed al linguaggio dell’ i Roma .. Tomo x. pag. 354. e seg» Tl Galiffe riguarda come favole i racconti degli storici in» torno alla nascita ed ‘all’ origine di Remo e di Romolo: e stahi- lisce questi cinque punti. . «0 È primi fondatori della romana potenza, 0 giangessero pri ma ‘ad Alba-longa e di quivi a Roma, siccome dice Livio; ovvero si trasferissero Jabito): in Roma ;; siccome narra Sallustio; erano forestieri, i II Essi furono quindi: temuti e sfuggiti da’ cocaina che ‘non’ vollero affatto stringer con quelli amicizia. Talché do» verono' i-primi toglier le mogli per forza; col ratto delle sabine: la qualcosa indica‘ che essi erano ‘quivi senti senza la com» pagnia «di ‘aleuna: donna . fino TI. Essi incontrarono grandi e numerosi quertii prima di Perbaise le. sedi loro: in Tiobibr. »:doverono fare più guerre, o al- riienò ‘ commettere più «battaglie \co’ loro. vicini: e'furono vit+ toriosi!, perchè avevano forza e. militare ‘pradenza mentre. i nemici erano' pastori senza disciplina e non usi, alle armi . 15; DC IVIEssi parlavano un linguaggio , che i nativi del; paese moî intendevano. > | i sf Vi Essi stabilirono le pubbliche ragioni; ‘con. somma di» suguaglianza ; ponendo i plebei; che. erano, molti; sotto. il’ as- soluto e dispotico governo de’ patrizii che erano pochi ..\, © Quindi senza. ulteriore! dimostrazione de” suddetti, princi- più) opina' che i>fondatori di Roma fossero guerrieri, fuggiti da’ lontane contrade per qualche sventura dellailoro, nazione: che fossero » composti di' due: classi, Principi © Capitani, e lo- ro! ‘Iseguati ; i primi ‘de’ quali:sivnominaronò! ‘dipoi patrizii, ed'i 18c0ndi formarono: l ordine equestre: ve che i nativi del Lùzio; soggiogati da essi, formarono;la plebe!. ©». © Dopo i quali avvenimenti , fermati essendo i.: smalirimobi tra’ [forestieri conquistatori ‘e le ‘sabine : i. figli nati da. que- Sta ‘corigiutizione impararono | a mischiare la limgua materna; che era per prima da essi udita, colla favella de’ padri loro; da cui ‘prendevano soli pochi vocaboli nell’ infanzia, ma )ettà do- vevano dipoi sempre più avvezzarsi, di mano: in mano»che si esercitavano nelle armi. Talchè da questa commistione: si de- 394 rivò V'idioma latino: il qualé: nòn fu ‘mai chiamato italidho, nemmeno quando-Roma divenne’ la Metropoli d’ Italia; il:che mi pare un’ importantissimo argomento .. E le donne avranno dato al nuovo linguaggio il maggior numero de’. vocaboli : ma gli uomini gli avranno ordinati secondo la loro $rammatica , alfa le:-parole atte.a significare le sistituzioni,; politis che e civili, i guerrieri strumenti ,.ed..i ‘terminî;» consueti delle battaglie . Nè. questo IMMENSE si ‘parlò fuori. di Roma, finchè la Spagna ‘ela Provenza popolate non. furono /di,colo- nie italiane! E nemmeno vil: parlaròno: fuori di. Roma }.se non i nativi di Roma; perchè niuna di quelle nazioni, chei presup® poniamo’ aver tra tto: la sua | favella: dall’ idioma ‘del: Lazio, non adottarono! mai dla: grammatica latina, o almeno monde, qualità, sue più importanti; cioè la mancanza’ degli articoli,; i, quali abbondano'in'tutte le lingue dell’ Europa, filorebà nella. russa » si Non è pertanto stilo dA che. la lingua russa!fosse quella che parlavano! SÙ fonda tori di Roma: erciò è raffermato dall’ eti- mologia - “Allorchè i’ romani scrittori tentavano: di spiegare i nomi delle ‘loro ‘prime. istituzioni ; ‘anche «il più sagace indu- cevasi ad «6pinioni (erronee. : Essi dicevano per es.,;; che Romolo ebbe un: piccolo ' imutnero di ‘compagni; tutti |. giovanzo avven= turieri! come! lui e poi deducevano la: parola senatore ((*) da senex, uomo Va tchio! . Dicevano che ì Gonsualia ‘erano; gio, chi ‘in ‘onore0di Nettuno | equestre ;! e. facevano derivare tal parola da Conso pre supposto Dio del. Gonsiglio:!., Così,.ne' Lupercali. Sì fenici una capra ;, ved. anche i un ,cangsise nonilimeno! il'vocabolo: sisderiva! da Zupo » Sicchè;| (da (questi grossi errori d’ etimologia: si.‘può: inferire, che,.la lingua de; primi romani!era diversa al. tutto) da quella: de’ loro:succes» sori,. € perciò a iquesti | ignota : che; per» tale accideute i,ro-. - mani non ‘conobbero. la; lavo: antica, istòrià; istantechè;i, libri scritti ‘in un.linguaggio»sconosciuto furono, negletti,.e perduti : che questo antico linguaggiormonirera, stato /il' greco, nè alcun altro: di. quegl’ idiomi che:gli. uomini dotti, di, Roma sapevano; perchè! sarebbero stati. eccitati dall’ analogia ad importanti ‘ins dagini :‘0ve» che; finalmente! doveva cessere: stato .in.uso appresso i 11D6q sb sli ts ib 9 BO SIT 19] G19 (*)- Come. se. non pitessè provenirè, ti sénior,;che' non, signi, fica uomo. veechio:; ma più veschio $ $ie può indicare ì altresì id. più vecchi tra’ giovani . vdoleT . io Lea O e E PE Lin tati cadranno cina rl LE TOLTI 395 | tin. popolo 5 ‘che: avesse para” ‘6 nima’ correlazione; co? tomani, e che non abitasse pure sì lontano da Roma, che non visayesse potuto ‘mamdare: per ‘barcari odi ilei' fondatori» Le «quali cose verificansi ‘pét rispetto ‘al popolo sdella ISciziay che era il rineno conosciuto da’ rornani veda’ ‘greci: talchè uma delle, tante po+ polazioni scîte ‘può aver” mandato. sc in Italia a fondare quivi la città di Roma: ortbifgti dem 'fPs'ognit 1a A Nestò re, che &il più anti siste della: sRuusit;\Wdice : che ‘gli’ ‘antichi 'seliiavoni? furbno ‘caceiativdella \ Misia: e (della; Panon ia da’ bulgari; e ehe» questi: si »fermalrono ‘nella; Misia nel |“ quarto? 6 nel quinto | ‘secolo dell’ era) cristiana. Mà.Nèstore può” ‘esseri ‘ingarinato } ridendo ‘queste due; narrazioni! o tridià zioni che in qualche punto si. concordanò ye può averle ad una solà ridotte .»vimperdiotchè “mon è inverisirnile: che. gli schiavoni abitassero la: Misia: fin da’ tenipi ‘più vantichi;; che fossero cos, stretti da qualche! pubblico infortunio ad abbandonare) quella contrada; e che i più trasferendosi altrove»per: RAV av di essi. mavigasse per l'Egeo fino pe e Sun latine ‘071 olevpd! Misia cera» tantò''spitirtà a) Troia:;: che ! ‘poteva invero essere’ stata il'rifugio»de? troiani :dopo H'iassedio ve» Prestermi+ mio della loro città? Ilbchewiecorderebbe tutte le principali tradizioni de» due popoli» Maio non wvoglidispstehere che fossè Enea, 0 che ‘fossero troiani; che»renisseror:a: Romaf 'Io»:s04 stengo «solamente, iessess ‘probabile chie ii snai di;Roma par- lasséro)l a diidaa russare £ 79, 05892 fivho :svstinz ologorg li ino ‘ab Avendoril»G aliffe' ‘condotti! questi: sciti }\-0 ‘sori, ‘o bul+ gafivatroiani;) dl russisllhe “iam, sin! Roma ; ocinavverte cthé larchin «Bua» presente: det; russi! è idioma: sprizinizlege ichei ila ;lin> gua) detta schiavand: monè chie umisnorrdialetto!) E poirviéne finalmente alla conclusione, dimostrandò ‘i suoirargomenti per mezzo! dell? etimologia: paragonando i datimi/ vocabolirco?! russi Rel'imbdo seguente: y sn: sido sis cDotogo #04) si. stasi svovs* Senator viene da Znaten, che significa nobile; onrnsulo Populus viene da Po Polo, ovvero :serivendò:colla. pro- nunzia italiana ) da Popolù,:che ssighific@à irtornonati piano ) a campi. E la storia di Valerio. Publicola idiota! :maggior- mente questa etiniologia; Sriecontandoci: che\il'fermare là pro- pria residenza sopra una collina era un accidente idoneo a di- stinguere uni capitano dalla massa còrnunesdella mizione!;? 396 . \Plebs. potè desto da | Plevay che, significa. Migr» @ abi, fi sninoli fa [90 | Rex»ypot& venire. da Rei j) ;che; dinafito io arringogiitià “perciobchè il' primo “Re!non.erarquasi che. un oratore... Ed il verbo! rego:può avere‘avuita lai medesima,origine . iam Civis. può wenire da Civi ; | che, significa Abcoale, ram ziato all’ uso italiano, Cheevy. 'Atincel \ Miles viene Paana da: Mily.,. cioè misi amici 5. perchè. sì appellavano-.wizlités).scli | quelli che, erano, vicini al PAIA? , che'avevano drittodi ‘portare learmi. . . su Ludî$ giochi; è. forse suna derivazione del acabila aio, ludi:} ché ‘significa. Una gran corsi; di popolo .. Gosì luca significa ! popoloso ed affollato .: Listowpo ni itaritàà Ludi s'con'’svalit; cioè duttar ‘ afra abbasso \d’a cu- vallo jera! una assai; propria i etimologia per.interpetrare .i vo- «lliutb ludi: Consùàlià senza io tndneoticitvia il. Dio. Conso;;; cui non appartenevano affatto . questi: Viophisi ciotoli Ne’ /upercali \ ammazzavasi: una capra} ed il sacerdote. toc- cava col coltello. insanguinato la: fronte d’ un ragazzo; il quale doveva ridere odurante! la, cerimonia; Onde è. probabile che. fosse obbligato a' dire sorridendo: lobperécali, cioè: trafiggiila, mia pieve. 4 ilrche.: poi fwvpreso per casò. vocativo del nome lu prgn dato al sacerdote che celebrava :questi,giochi..{. »__se;iT | Ne? Badi ipalilia? si Brueiavario: mucchii di paglia, sopra Dr il popolo: saltava: ed il segno era senza dubbio. Palii.; cioè il fuoco! è cacceso » ‘nè valibisognava. interpetrare, tal ‘yoca- bolo «per: mezzo: della! Dea. Pale. Maio ho anche migliori ;àr= gomenti-pervsostenerèrquesta etimologia; poichè siffatti giochi; sono celebrati, anché?al:! presente: in + Russia:zo ‘nel. coga di, foresta: vanni;;» nel mese» di Giugno (*)» vel Ho arrtamilià ire Dicoito:! gli Anadiguarii (che. de sprimai. ite? de’ romani ‘ aveva la figura d’un porco, ela renale Virna chiamano Sunia, ibipapeo odo sini Ni dle darsi sistiuo'à o Tribut&m xiene da Tirebnt0,:* bb onda : veZostis,nemico; da Hostì attirata sl mittudi bien i Jugumi da hZg0, giogo . St Riddt ammise Fasces, o dp da Siestl cioè, affardella o sm i fagotto. l Mot : Vi SI TY pian! ara (*) Che; bella, Modo se S. Giovanni divenisse. più ‘antico di Romolo . 397 Securis da Sekira , accetta . Spolia , preda, da spolia che significa dadi, campo ali bat- taglia. —. - Se? da Srag rp cioè. pini E strah: significa ti- more) terrore . . i Cruor che indica sangue Uriloadinine pata viene da Crow cioè sangue. E |’ antica ii era sanguis, che fà ritenuta per indicare :/ fluido. fo Morior , cioè io muoro , viene da Mori, cioè fo uccido . Fugo da Vuigonat , mettere in fuga. Vibro da Puibrosat , lanciare.. Rapio da Hrabit., saccheggiare. Labo, cioè io cado, viene da Slaboy, cioè ipod E Slabo significa Mnciiicnie Placo da placat, che significa gridare, piangere . Mollio, cioè io Shots: da Moliu che significa io do- mando, io prego . Immolo, cioè io sacrifico, da Vuimoliu che significa z0 ot- tengo colle mie preghiere . Pugno da Pinaiu, io spingo . Scco da secu, io taglio. © ‘ Vapulo, io son battuto; da Pabili, iuolli mi hanno battuto. Mors, Mortis, da Smert, Smertî, morte. Malum, cattivo, da ‘Malo, troppo piccolo . Trepidare da Trepetat, tremare . Micare, risplendere; e'dimicare combattere; da' Mec” (e si pronunzia Mache ), spada . i Magistratus da Magustrashit, io ispiro timore . Magister da Magusteretch, i0 ne prendo curà . Hramnenses, o Rhamnénses, nome d'una delle tre tribù di Roma, da Hramnoy, pertinente a’ templi,. - Lukeri, o Luceri, nome d'un altra tribù; da Luc; afco: la legione, 0 la compagnia degli arceri . Asylum da ‘astylat; bandire . Moenia, mura della città, da Minuyu, ia ferino, io taglio corto . i Domus da Dom, casa . Pons, ponte; da Ponesti, 10 Arare da rat) arare'» Struo, da Stroù ( che si phenonzia Stroyou ); io fabbricot 398 Pascere da Past, nutrire ‘itiagos mu sh is vbb Affari da ‘Havarity parlate è 0 #0 0 viloya Videre da Videt, vedere . CIR POR ‘Validareda Hvalit, approvare .. 0 RIV) Esse da est ( pronunziato yest, come Cicerone.disse che ‘era pronunziato in ‘latino ),.mangiare.. (i Silio 1 Fist'da: Eatzi® 0 i ito aero £ ‘ Lubet, piace, da lubit, lodare, O) piacere. nti ARR ‘Nox da ‘Nock; notte | sans ch nt Dies da den, giorno... «i! noniut ‘ab usi Somnus da Son, sonno. pw i 4h Sal, da Sol, sale. |. SN IT î ®. Vinum da Vino, vino, ed acquavite.. |. <.;, | Gener, e Generosus, da Gena, moglie . vi Vadum da Vada, acqua... Mare da Mare, mare . Nubes da Nebesa, celo . Mensis da Mesiats; mese + Aether da Vaetr, vento . Boreas da Burac, (*) tempesta. ..; Carnufex da Carnat, tagliar gli orecchi. In questo luogo dice il Galiffe,, che aveva, raccolto più che cinquecento di tali .esempli, conferendoli molti, anni fa al signor Karamzin, quando (questi scriveva la storia della Russia. E giu - dicando che i sopra esposti bastino; ne aggiunge solo i seguenti, per dimostrare massimamente le origini de’ nomi propri degli uomini, e delle divinità di Roma, .. Scribo da iScrebu, io gratto, io incido . Pingo, Pinxi, ‘Pingere; da Pishu, Pisat, scrivere. Recitare: da Citat ‘ gromiiniatoi chitat. all’ uso. d’ Italia ); leggere . Roma da Freddi, "Alndlnidy tuono . Romulus da Hroma-losk, luce del tuono; o lampo % Remus de Hremu, io mugghio, o strepito.come fa il tuono . Tullus da Tull, faretra, eda Luc, arco. Tarpeius da Terpeyou, io soffro . (*) Non pare che questo Burac venga dalle nostre durrasche? Ed il sopra detto vino per acquavite non indica il desiderio delle nostre! vigne ? 399 Flamini da Plameniy, vampeggiante. . .1 Atratinus da Atraten, armato da capo a piè . Sempronius da Sempronitsayou, io trafiggo sette . Mucius da Muciù ( pronunziato all’uso italiano ), io tormenta: Marcius da Marshcius, io fo il viso arcigno,. Cassius da Cossius; io guardo bieco . Spurius da Sporius, io oltgada : Feretrius da Peretria, che riduce in atomi, che annienta . Mars, martis, da Smert, (*) Smerty, morte . Gradivus da Gradivoy, di città . Ceres da Zreya, che matura . Neptunus da Neftonut, che non può essere annegato . La ) Jupiter da '‘Iimpitat; nutrire: o sostener la vita . Coelum da Iselo,.il.tutto . .. Saturnus da Satuornoy, creato . Pluto da Boh Plutof, Dio de’ ladri, de’ miscredenti, e de- gli schiavi . - Pallas da Palach, tenda. Minerva da Mir ne ra; che non rompe la ‘pace .. a Vulcanus da. Volk agnia, il mago del fuoco . Venus da Veno, dote della sposa . Rhea da Hreya, riscaldante . Smintheus da Zminny, d’ un serpente . | Divus, simile ‘a Dio, da Divoy; m maraviglioso . “E con ciò finisce il, Galiffe, desiderando che questi: suoi tentativi inducano qualche uomo dotto a proseguire ssiffatte; in- dagini . E noi lodando il suo ingegno, lasceremo giudicare .a’ legato intorno all’ utilità ed alla novità delle opinioni del Ga- liffe. Sempre è utile cosa aver queste etimologie sotto gli oc- chi; perchè o sono utili, e risparmiano la fatica di farle; o sono inutili, ed avvertono che,non si, proseguano. Perciò le abbiamo noi date a’ nostri leggitori. (E venuto di quì anche Mors, ‘mortis; Sh più sopra. udine) Questa è l'etimologia più ingegnosa delle altre tutte. Ma i hinagfecichbe che /eftonut indicasse altresì la facoltà di fare annegare gli altri, come l’ aveva Nettuno . SCIENZE MORALI e POLITICHE dec d STORIA | ALI HISSAS DI TEPELENI Bassà di Jannina . Prospetto storico e politico del sig. MaLtE:Brus. { Continuazione. Vedi pag. 243. ) I matrimoni in Turchia come tra noi, sono il mez- zo ordinario di consolidare la fortuna di un particolare. Colà, come tra noi, l’imeneo è spesso soltanto un’ al- leanza fra ricchezze male acquistate. Alì, assassino ar- ricchito, aveva sposata la figlia di I ESATA bassà ri- belle di Delwino, il quale aveva fatta diventare la città forte di Argiro-castro il seggio di una piccola #iranzia indipendente . La bella, e virtuosa Emine era una ric- ca erede; ma, secondo il sig. Pouqueville, Alì impa- ‘ ziente di godere quelle ricchezze, indusse proditoria- mente il suocero ad obbedire all’intimazione del. Ro- mily Valicy,il quale avendolo condannato come ri- belle, gli fece tagliar la testa. Poteva Alì immaginarsi, che quello fosse il mezzo più certo per diventar pronta- menté erede di Kasselan bassà? Non doveva egli preve- dere che un bassà novello verrebbe a raccogliere i beni confiscati del suocero? È probabile, chie qui la fama ac- cusi Alì di un immaginario delitto. Ei riparò la sua di- sgrazia col maritare la sua sorella Schainizza al bassà novello di Argiro-castro, chiamato Alì, com'esso. Que- sto imeneo fece entrare i beni di Kasselan nella casa di Hissas, a cui sembrava, che fossero per uscir di mano. Ali di o giro-castro fu poco dopo assassinato dal suo fra- tello Solimano; e siccome questi sposò la vedovadi lui, 4ox così la voce pubblica volle che Schainizza ed Alì di Te- peleni fossero i complici dell’omicidio; di cui; erano stati i soli ‘testimonj . Ma se essi avessero concepito frà loro tre un simil delitto, non avrebbero avuto il potere di seppellirlo in un eterno silenzio? Questa è pure; una voce popolare, che non c'ispira fiducia veruna. L’ astuzia ; con cui Alì spogliò gli altri beì di Te- peleni dei loro beni ereditar}, sembra meglio avvérata . « « « « « « Io conobbi ( così disse Alì stesso al sig. Pouqueville) la necessità di stabilirmi solidamente nella mia pa- tria. Aveva io de’partitanti numerosi , e pronti al mio Servizio ; avga nemici formidabili :-risolsi d’impegna- re i miei avversarj in una cospirazione contro la mia vita: prestarono essi orecchio con piacere ai consigli de’ miei fidi. Dovevano assassinarmi in, un bosco, alla cui ombra avea per costume di dormire dopo di mie partite di caccia. Fu messa in mio luogo una capra strettamente legata ed incapestrata , ed io la feci ‘cuoprire colla mia cappa: Arrivano i congiurati, fan- no una scarica di tutti i loro fucili sopra il misero animale creduto me stesso: alcuni. de’ miei seguaci posti in aguato compariscono improvvisamente in quel luogo: gli assassini non hanno il tempo di avvi» cinarsi più presto alla loro pretesa vittima, entrano: nella città e spargono la voce della mia morte. Alì beì è morto, ce ne siamo liberati! Tai grida: risuona- ‘vano da per tutto in mezzo ai conviti. Io nascosto nell’ harem di mia madre aspettai che fossero briachi dal vino e dalla lor gioia : allora mi scaglio sopra di essi alla testa de’ miei seguaci : prima del levar del sole son tutti sterminati: i0 divido le lor case ei lot beni tra le mie genti: e da ca giorno sono padrone ; di Tepeleni, » T. I. Marzo 26 402 -.. «Continuando le sue piccole conquiste, si rese suc» cessivamente padrone di Zibotischowo, di Dekli, Dia- les, e Ziormova. Nell’impadronirsi di quest’ultima piaz- za commesse delle enormità, che rendendo il suo nome terribile, determinarono molte tribù vicine a subire ‘il giogo senza resistere. Essendo intanto assai. ricco, ag- giunse agli altri mezzi d’inalzarsi l’arte della corruzio- ne. Così ottenne da Costantinopoli l’incarico di decapi- tare Selim bassà di Delwino; commissione che gli rese una somma considerabile. Per eseguirla, Alì 5’ insinuò nel favore del vecchio bassà di Delwino, e gli fece ta- gliar la testa nel proprio di lui palazzo da alcuni soldati suoi, che sotto diversi pretesti vi aveva introdotti; Le guardie di Selim si arrestarono spaventate alla vista del firmano di morte, che Ali aveva ricevuto dalla po- sta,e che sviluppò alla lor presenza. Come per ricompensa di questo buon servigio, fu nominato luogotenente del nuovo derwend-pascha di Romelia; ed in quel posto principalmente pose in pratica la sua massima favorita di ammassar denaro per aver tutto il resto. Essendo in- caricato di purgar dai ladri il paese, fece commercio di' concessioni particolari, ch’ei rendeva ai Klepti, oltre la sua porzione alla preda. Essendo per questo traffico cre- sciuto il male a tal segno, che in molte provincie non si potea più viaggiare, il deryend-pascha richiamato a Costantinopoli pagò i delitti del suo luogotenente. Alì più prudente non si rese all’ intimazione; ma inviò in sua vece un buon scrigno, ed il frutto stesso della sue rapi- ne lo aiutò a farlo assolvere. ; La sua riputazione militare trovavasi allora così bene stabilita, che nella guerra scoppiata nel 1787 fra la ‘Turchia e le corti imperiali di Austria e di Russia, gli fu affidato un comando importante sotto gli ordini del ia Tir 403 gran visir Joussuf; ed in ricompensa dei servigj che vi prestò , gli fu conferito il pascialick a due code di Tric- cala in Tessaglia, affidandogli ancora le fhinzioni di deruend-bassà o comandante generale delle strade mae- stre in tutta la Romelia. Questa nuova dignità gli soin* ministrò la più bella occasione di tener uù' corpo di truppe al suo soldo. Ei Jo portò tosto a quattro ‘mila uomini, tutti Arnauti, e quasi tutti Klepti veterani; così liberando le strade maestre da quelle bande, di'cui egli stesso avea fatto parte, otteneva nel tempo PATTERN la gloria di abile amministratore , ed i mezzi onde ren: dersi formidabile alla Porta, diventando ùn temuto vassallo: perciocchè l’idea dell’indipenza assoluta non seduce punto i bassà turchi, ed essi sanno, che troppi interessi e pregiudizj si oppongono ad una simile inno- vazione. Alì bassà aveva priucipalménle posti gli occhi sopra la città di Giannina, e la voleva riunire ai suoi dominj di Tepeleni. La città di Triccala domina la strada di commercio che va dall’ Epiro a Costantinopo- li, e specialmente le comunicazioni tra Giannina e la fertile Tessaglia, i cui grani son indispensabili per la sussistenza degli abitanti della città. L’anarchia e il di- sordine erano ivi giunti all’estremo grado: l'autorità del bassà non era che un nome vano: i bei V affronta- vano scopertamente, e si battevano fra di loro. Alì fece loro la guerra: ed allorquando i di lui nemici ebbero alfine provocato contro di lui un ordine del governo ot- tomano, che gli proibiva di mescolarsi negli affari di Giannina, Alì informato di ogni cosa dalle sue spie gua- dagnò i messaggieri per la strada, e falsificò il firmano. I bei vi trovarono con grandissima lor meraviglia la no- mina di Alì al pascialick di Giannina, e l’ordine del Gran Signore di ubbidire nell’istante. Alcuni di essi 404 sospettarono della frode, ma Alì tenne dietro immedia- tamente al suo firmario con una buona armata: un par- ‘tito gli aprì le porte, egli pose presidio nella cittadella, ed allorchè si vide padrone di ogni cosa, convocò i pri- . mati dei Cristiani, e gli Agà de’ pic per far loj ro sottoscrivere una petizione da lui compilata; in cui tutto il popolo di Giannina supplicava il gran Signore di dargli per capo il valoroso Ali, terrore degli assassi- ni, protettore dell’ ordine snc ; suddito il più fede- le, credente il. più zelante di tutti. Quindi egli spedi questa petizione, a Costantinopoli con una commissione provveduta di grandi somme, destinate per i principali personaggi della corte. Potevano eglino fallir questi mezzi? Alì fu confermato nel suo usurpato governo. Il dispotismo vi tenne il luogo delle offese dei partiti; le discordie cessarono, e il popolb fu contento del cambia- mento. La Porta suilecara vedendo ristabilita l’autori- tà nominale del Sultano in una città, la quale era stata per molto tempo una specie di Serata anarchica, non potè far altro che perdonare ad Ali un inganno, da lei saputo soltanto allora che non era più tempo di ri- mediarvi. Convien confessare, a mal grado dei È penitente di Al, che questo intrigo trat non suppone nè un or- dinaria abilità, nè delle mire da semplice avventurie- re. Vi sono molti re, e gabinetti, i quali non fanno combinazioni altrettanto ingegnose, nè le eseguiscono con simil destrezza. Lo stesso Filippo Macedone l’avreb- be applaudito. Abbiamo condotto Alì bassà fino al punto in cui la sua qualità politica consolidata lo pone nel numero dei grandi dell’impero ottomano. Gettiamo uno sguardo in- dietro, e consideriamo qual sia l'educazione di un bas- 405 sa. La caccia, gli assassin] , le piccole guerre feudali, gli uflizi onorevoli di spia e di carnefice, una o due cam- pagne favorevoli, finalmente molto delta in cassa fan- no diventare bassà . Così’ pure presso a poco ( bisogna dirlo per scusa dei Turchi ) si diventava console a Ro- ma negli ‘ultimi secoli della repubblica! Vi è ancora un altra scuola per i bassà : vale a dire gli uffizj del serraglio , ed una gioventù disonorata dai vizj più abo- sitiievole ma sebbene'i grandi funzionarj usciti da questa classe «godano dei vantaggi di un educazione istruita, pure non sono perciò più stimati dal popolo «e dalla lead bba | È forse meraviglia, se in un cor- po di funzionarj così mal preparati alla lor carriera, l’incapacità , la prevaricazione, la tirannia, il tradi- mento e la guerra civile sieno all’ordine del giorno? Se ùn grande ingegno s’inalza per la sua propria forza in mezzo a questo caos, conserva le orme della bar- barie inerenti ai costumi, alle idee generali: nè ri- scontra altronde che istromenti fatti alla foggia degli abusi, e Pes atti per un regime migliore. ‘Ba Tur- chia non può essere rigenerata neppure da un grande uomo, che nascesse dal suo seno. Ma noi europei quale eAticszione diam noi ai nostri ministri, ai ‘prefetti, al consiglieri di stato? Quali ‘cure previdiamo di for- mar uomini di stato? Fccetto ‘alcuni studj in gene- rale, mi sembra } che il talento dell’ intrigo , e il me- rito delle ricchezze bene o male ‘acquistate costituisca- no, in Europa come in Turchia , i titoli più ordinarj é più considerati per esservi ammessi . L’ istoria di Alì doveva naturalmente diventare men dilettevole, quanto più diventava importante in politica. Il giovine « ‘con sessanta parà in tasca, ed « un fucile in spalla » cercava i perigli e le avven- 406 ture; ma il gran possidente, il bassà illustre sem- brava che non dovesse più esporre la sua fortuna e. la sua gloria. Ali però par ch’ abbia sempre conservata quella freschezza di spirito, quell’ inquietezza turbo- lenta, che l’ avea già tratto di tanti cattivi affari: que-, ste disposizioni, le quali non lo abbandonano:neppure melle sue grandi politiche imprese, danno alla di lui vita un apparenza particolare di agitazione procellosa , a traverso della quale si distinguono a stento alcune grandi qualità, profuse per oggetti poco lodevoli., Ra- pire dei feudi ai suol vicini più. pacifici; confiscare delle proprietà in nome del Sultano, ma per utile del rappresentante locale di lui; opprimere le città, le quali potrebbero diventar formidabili per le loro. ric- chezze o quahtà; perseguitare le vessazioni, e gli assas- sinj di tutti coloro, i quali non chiamano Ù autorità a parte dei frutti dei medesimi; suscitar guerre tra i. bei possenti, ed aiutare il debole contro il forte; mantenere la gelosia fra i greci e i. mussulmani; procurarsi delle protezioni nel divano a forza di doni; riceverne a vi- cenda dalle corti straniere, senza render loro alcun ser- vigio reale; sacrificare all'interesse della propria con- servazione 7 amicizia, la riconoscenza, l’amor, la na- tura , è quel che fa “qpaluague bassà, dell’; impero otto- mano; nè può agire diversamente nella situazione in cui trovasi questo impero. È cosa assurda il rimpro- verare ad Ali solo azioni di simil fatta , unicamente per- chè vi ha adoperata maggior audacia e perseveranza. Egli medesimo accusa sè stesso: di aver accumulate ingiusti- zie sopra ingiustizie, e, crede di veder sì, «,, perseguitato < dai torrenti di sangue che ha versato,». Ma gli uomi- ni, che fanno molte cose, hanno ordinariamente la di- sgrazia di vedersi accusati di averne fatte di più del (o8 vero. Credesi che Alì abbia commesso tuttii delitti , che gli era possibile di commettere per suo interesse; ed an- cor quelli, che ad evidenza non era suo interesse di commettere. te Zbraim bassà di Berat o dell’ gletaric malizia è una delle vittime più compiante fra quelle, sagrificate da Alì. Questo bassà; ‘il quale discendeva già perisè stesso da un sangue illustre, aveva sposata la figlia dì Koust : bassà, unò'de’ più nobili signori della stirpe Arnauta; e con tal matrimonio aveva rapitaal giovine Alì nelitém- médesimo un amante diletta, e la speranza | di inal- zarsi al pascialik di Berat. Il bassà di Tepelehi ‘aveva in quella circostanza dovuto tollerare rimproveri umi- lianti mal fondati sulla sua origine: Senza*dubbio la vendetta nutriva tutto il suo fuoco nel cuor di Ali;‘ma la politica del bassà s° accordava perfettamente con le passioni dell’uomo . La media Albania;o sia il Msocchè soggetto al bassà'di Berat'era la' conquista la più natu- rale, la più ‘necessaria; ‘e nel..tempo: medesimo ‘la più facile per il bassà del basso Epiro. Ali-come capovdei Klepti, come'beì di Tepeleni, aveva formate molte ami-: cizie in‘quel paese, di cui conosceva tutte le situazioni; nè solamente la ‘vicinanza, la ricchezza dell’ ilari media, è principalmente la bella: razza di cavalli che essa nutriva; doveva renderne desiderabile il possesso, ma ancora importava ad ‘Ali di togliere ai piccoli bei, ed ai piccoli cantoni indipendenti dall’Epiro, l'appoggio costante ché ritrovavanonelbassà di Berat. L’impadro- nirsi alviva forza di un pascialick' tutto intiero sotto la Porta era certamente un impresa difficile e pericolosà; ma'Alìla terminò con abilità è perseveranza ammirabile. Fatto già più possente e più celebre del-bassà di Berat),: I° obbliga successivamente e dare per. moglie le due figlie 408 | che aveva‘a Moctar ed. a Veli sii figliuoli ,.glisstrappa dalle mani due distretti l'uno !dopo l’altro, sotto pretesto, di dotar queste figlie; il debole Ibraina ardendo di:desi-. deriodi vendicarsi, entra in tutte le leghe fatte contro, Alì daispiccoli. cantoni indipendenti, e fa anche allean- za con le autorità francesi e russe di Corfù; ma punito semprecon qualche perdita novella, ricomincia sempre i:progetti medesimi ., Altlo,provoca; lo calma a vicenda, lo mette in discordia coni di lui bei e gli altri ;alleati.,. lo:deriunzia alla Porta; come amico dei. foresbieri, lo; rende sospetto: a tutti, finalmente suscita, contro'di lui, un «bei ilo quale, esiliato ‘e ‘spogliato : dei. suoi. averi;da ; Ibraimi;aveya aquistato nelle campagne di, Egitto una; gran fara esricchezze immense: itostui, che chiamavasi è Omar, bei, ‘attaccalil bassà di Berat, e fin dai primi tratti lo riduce a difendersi nel! suo» proprio. palazzo; allora vedesi Alì accorrere, colipretesto di far la. parte di me-. diatore; e finire con occupare, tutto il pascialick, e con. strappar dalla Porta il titolo stesso di beglier be) di Be-, ratiper i) suo figlio Mouctar., Due bassà di sangue infe-? riore; cioè quei di,Elbassar e di Croiaj come-pure tutti; i bei di Albania media; si;sottopongone all’ autorità di, Adi; e vengono alla corte di Giannina a far la figura di » vassalli. Questo resultatò di trent'anni.d’ sale poli- tici non. offrirebbe.verun disonore al nome di Ali, .se, il fortunato; vincitore: d’ Ibraim avesse. trattato con. umanità il suocerò dei, proprj. figli ; ma sia. per saziare 1, suoi antichi sdegni ; 'Sià. piuttosto per diftidenzate per » timore, cacciò il visir di Berat in una prigione; costrutta sotto .la:scala maggiore del.palazzo di Giannina;talmente- chè qualunque volta sale al suo palazzo; sha la sodisfa=; zione di passar suli capo del suo nemico. Le mogli; di Mouctar è di Veli, domandano indarno di. visitare il loro \ 409 ‘vecchio padre. ll figlio medesimo d’Ibraim; quantunque promesso sposo ad: una nepote di Alì, resta rinchiuso nel carcere stesso. Un tiranno capace di tali vendette può senza dubbio cadere in sospetto ‘di ‘aver fatto avve- lenare Sefer beì d’ Aulone, uno dei migliori sostegni d’Ibraim, e di aver dato ‘poscia al medico incaricato dell’ esecuzione di simail delitto una degna ricompensa, con fargli bere vicendevolmente la mortal coppa presen ‘tatagli da un altro medico attossicatore in'capite di AL, da cuiilsig. Pouqueville ha saputo questo tratto; ma qual testimonianza: ‘degna di fede AS fare un attossi- catore in capite? i La Porta, avvezza alle piccole guerre. fodali dei beì di Albania, non poteva rimirare senza un segreto dispia- cere da conquista di un pascialick, ed uno dei suoi visir cacciato da ‘un altro in prigione; ma il prudente Alì, oltrei suoi mezzi ordinarj di commissione,aveva presa una precauzione militare eccellente contro la Porta , giacchè aveva preso possesso qualche anno prima della provincia di Ocrida; la quale essendo situata nelle montagne. fra la-Macedonia «@ 1° Albania :media, comprende tutte le gole;:per le quali bisognerebbe penetrare nel:pascialick di Berat' venendo‘da Costantinopoli. Egli aveva fatta questa conquista sopra Carà Mustafà, bassà di Scodra o sia Scutari nell’ alta Albania, allorchè questi. era'stato dichiarato fermanlì, cioè messo al bando dell’impero . Essendo accorso con tutti gli altri bassà vicini per pugnar contro il proscritto, aveva avuta la destrezza di incari=. .carsi del'solo attacco che poteva riuscire; eresosi padrone di Ocrida, trasse nel suo partito bei vicini padroni della Macedonia'occidentale, naturalmente gelosi dell'autorità della Porta. Per mezzo di tali misure , egli ha quasi.ta-» gliata lasstrada fra Costantinopoli e l’ alia Albania, e sì. PI 419 è fatta un eccellente frontiera militare : la posizion forte di Georsa cuopre ùna gran porzione, dei suoi dominj, dlalla parte del settentrione, mentre all’oriente è padro- ne dell’intiera catena del Pindo, il quale divide l’ Epiro, dlalla Tessaglia. Qui, come per tutto, Alì ha macchiata la gloria delle sue conquiste con crudeltà e con perfidie . Un bey di Dibres gli faceva ombra: ei gli mandò un firmano rinchiuso in una cassetta, dov era della polvere fulminante; aprendo il dispaccio il bey è colpito a mor- te. Il giovine bassà di Scutari, che aveva ‘sposata, una nipotina di Alì, ricevè da lui un simile dispaccio; ima si guardò dall’ aprirlo, e si vendicò sulla sua giovine, | sposa che era incinta. Il primo di questi due fatti sem- bra provato ; ma il secondo non ha egli l'aspetto di'una favola inventata: da uno spirito imitatore? Non si asse-, gna alcun oggetto a questo delitto; ed Alì non ci sembra insensato . | Le di lui conquiste nelle antiche provincie di. Acarnania, di Etolia e di Focide gli sono costate meno intrighi e combinazioni; nè ha avuto bisogno ‘che’ di pretesti per pugnare contro gli armatoli o bande armate, le quali erravano quasi indipendenti per quei. distretti trascurati dai bassà a’ cui governi appartenevano... Ma l'acquisto successivo di tutti i piccoli cantoni marittimi, dell'Epiro ,;come Sowli, Parga, Chimera, Butrinto,. Prevesa; Vonizza, è certamente 1 opera di una politica ben ragionata; ed.un servigio reso all’ interesse generale della Turchia. Sarebbe in vero cosa assurda il conside- rar qui soltanto Je disgrazie, da: cui, quelle piccole! pro-., vincie cristiane sono state oppresse; poichè Alì, come, maomettano e visir dell’impero ottomano, non è pres cisamente il protettore nè della religione cristiana ;.itè) della civiltà europea. Egli debbe» esser giudicato }, velate" dirti 411 come chi agisce secondo le idee della sua mazione e gl’interessi dell’ impero; del quale è uno dei grandi vassalli. Ora se noi ci ponghiamo in questo giusto, ed equo punto di vista, possiam forse meravigliarsi che il sovrano padrone dell’interno dell’ Egitto abbia voluto possederne le coste marittime, senza le quali non aveva nè liberta di commercio, nè sicurezza contro un attacco? Gettiamo uno sguardo sulla carta, e vedremo che Souli, piccola repubblica di albanesi cristiani, poteva spingere le scorrerie delle sue bande guerriere fin, nei contorni della capitale di Ali; vedremo, che le città marittime ex-venete occupando i punti più importanti della costa, privavano l’ Epiro di qualunque communicazione col mare, € di qualunque difesa militare di quel lato. Ag- giungiamo, che la repubblica di Venezia, più abile as+ sai nelle sue negoziazioni con la Porta, SR non lo. so- no state la Francia e l’ Inghilterra, aveva ottenuto verso l’anno 1788 un firmano il quale proibiva al bassà dell'Epiro d’ inalzare alcuna batteria fino alla distanza diun, ‘miglio italiano dal mare, di modo che ei non: po- teva. neppur fortificare la sua casa di dogana a Salamora nel fondo del golfo di Ambracia. Questa disposizione fu vigorosamente mantenuta, finchè. Venezia sussistè eome potenza. Ma dappoichè il Direttorio francese,avendo venduta l’indipendenza di quella, repubblica rispetta- bile per l’antichità e la saviezza, si fu impadronito delle isole ioniche, Alì bassà non provò pena nel dimostrare alla Porta, che i vantaggi goduti senza incoveniente da una potenza pacifica diventerebbero funesti all’ impero ottomano , se passavano fra le mani di una potenza am- ‘ biziosa e conquistatrice. In fatti anche la, giustizia era dal lato de’ Turchi; ed un esempio, che è secondo la ca- pacità di un lettore francese, lo proverà... Supponiamo 412 che i genovesì nel secolo decimosettimo avessero posse- duto le isole di Hieres la città di Cette ‘ e Porto Vendres sulle coste meridionali della Francia, quei distretti posti in mezzo delle nostre terre sarebbero stati‘à noî mole- stissini, ed avrebbero fortemente urtato ‘Richelieù 0 Colbert; ma sarebbe stato d’uopo rispettare la fede dei trattati Concia in Genova. Supponiamo adesso che la Spagna o l’ Inghilterra, dopo aver conquistata e distrutta la repubblica di Genova, fossero ‘venuti a mettersi in possesso d’ Hieres, ‘di Cette e di Porto Vendres; in que- sto caso Colbert o Richelieu avrebber ‘tenuto forse gli occhi chiusi sopra una mutazione così pericolosa di. vi- cinato? La Francia avrebbe forse esitato un momento di correre alle armi? E non avrebbe ella avuto il diritto di farlo per tutti i princip) di equità naturale ? Siamo duque giusti , ed approviamo la risoluzione presa dalla Turchia di impadronirsi ad ogni costo delle L'mapiniii ex-venete sulla terra ferma dell’ Epiro ; i Ali, incaricato dell’ esecuzione di questo progettò D dispiegò tutta la perfidia del suo carattere, ‘e tutte le risorse del suo ingegno. Egli lusinga la vanità el” entu- smo dei capi francesi, sai a Bonaparte V omaggio della sua ammirazione; proclama fino il proprio attàc= camento alla nuova religione dei giacobini . Il vecchio despota dell’ Epiro stringe affettuosamente fra le sue braccia i nostri giovani repubblicàni, i quali dal canto” loro sono allettati dalle buone maniere di un tiranno, il quale dà loro delle feste , e somministra dei viveri. Nulladimeno Alì reclama il pagamento delle sue forni- ture, ed in mancanza di danaro accetta amichevolmente un bel treno di artiglieria: ma appena ne arriva al pos- ] sesso lo rivolge contro i suoi creduliî amici: assale con un corpo di truppe superiore immensamente di numero, | 413 le deboli guarnigioni francesi, le distrugge non ostante la resistenza più eroica, e porta via in' un volger d’ oc- chio le fortezze ex-venete. La Francia apprende ‘nel punto medesimo, che Alì Vha tradita ed è vincitore . Ma dopo queste prove di un abilità, di cui non arrossi- rebbe verun generale europeo , vedesi apparir di nuovo il feroce Arnauto, il vassallo sanguinario della Turchia. I prigionieri francesi incaricati di portare a Costantino- poli le teste dei loro compagni formano un corteggio trionfale veramente da mussulmano, ed il giovine gene- rale Rose consegnato al carnefice, straziato da mille tormenti nel momento in cui credeva di andare a sedere al pranzo nunziale con la figlia di Alì, ci rammenta tut- to ciò che trovasi di più spaventevolmente romanzesco nei fasti dei tiranni dell’ Asia . Parga sola fra le quattro piazze ex-venete si salvò dalle armi del visir di Epiro, perchè l’ ammiraglio russo lo aveva prevenuto nell’ occupar quel posto in nome del suo sovrano allora alleato dei Turchi. Questo borgo ce- duto agli ottomani da un trattato formale, poi ritenuto, ripreso e ceduto di nuovo, è diventato assai celebre (13; ma non è questo il luogo di esaminare se l’ Inghilterra abbia fatto bene o male nell’ eseguire gli obblighi che risultavano da un trattato: noi abbozziamo qui il carat- tere di Alì bassà, e certamente la perseveranza con la quale è arrivato a impadronirsi in capo a venti anni di quella piccola città, prova ch’ egli ha delle mire giuste sugli interessi degli stati suoi. Parga, senza avere impor- tanza militare in sè stessa, essendo appena suscettibile di SHIA, offriva un adito nella frontiera marittima (1) Vedi Za notizia sopra Parga, ‘nei Nuovi annali dei viaggi tom. III. pag. 170. | 414 dell’ Epiro, un luogo da sbarco per un nemico, ed un punto di riunione ‘per tutti i Alepti dei contorni, i quali andavano colà a cercare un asilo contro le truppe inca- ricate di mantenere la pubblica tranquillità. La guerra di anni dieci contro Souli cominciò nel 1792; ma fu spesso interrotta dalle leghe formate da tutti i bei malcontenti per far diversione ai progetti del bassà. Queste coalizioni provano la importanza della popolazione de’Souliotti, e quanta ragione ha avuto Alì di non abbandonare il piano della di lei distruzione che si era proposto. Come soffrire in fatti presso le porte della sua capitale una popolazione , la quale trincierata sopra montagne quasi inacessibili, manda lontano delle guerillas per abbrucciare e italiani riceve nel suo seno tutti i malconteuti, e si pone al soldo dei beì,i quali inalzano lo stanidagdordelta guerra intestina? Tali erano i Souliotti, da duecent’anni terror dell'Epiro mao- mettano, e centro di tutte le guerre interne di quel paese. Alì avendo attaccato con nove mila uomini i cinquecento guerrieri di Souli situati nelle gole delle loro montagne, fu messo in rotta; e rientrò segretamen- te nella sua capitale in tempo di notte. Trasse subito al suo servizio una truppa dei più bravi Souliotti avidi d’ oro e di preda; finge egli di condurli contro gli abi-. tanti di Argiro Castro; ma per la strada li fa subito cir- y condare e porre in ceppi; poscia si dirige contro il can- tone di Souli, sperando di sorprenderlo senza difesa; e vi sarebbe riuscito senza Y eroismo di un Souliotto, il quale avendo spezzati i suoi ferri, gettossi nel fiume Thiamis, e passatolo sotto una grandine di palle, andò ad avvertire i suoi compatriotti del pericolo che lor so- vsastava . Alì intanto ricorse ad un grande apparato di forze: chiamò tutti i bei dell’ Epiro in nome della reli- 415 gione: circondò il territorio di Souli con dodici mila uomini : e credendo avere spaventati quei cristiani con l’idea di un blocco che doveva sagrificarli alla fame, fece offrir loro di comprare le loro case e i terreni, e di guarentire a tutta la popolazione un passaggio libero per le isole ioniche . « L° Epiro è la nostra patria: vogliamo « vivere e morire fra le. tombe de’ padri nostri: » fu la risposta dei Souliotti. Ogni sforzo per penetrare tra essi fu inutile: le donne stesse rovesciavano i massi di pietre sopra gli assalitori. Una sortita felice procurò loro dei viveri. Formaronsi delle coalizioni in favor loro. Ma Alì tenendo sempre dietro al suo scopo senza inter- ruzioni, perfezionando il suo metodo di attacco, d’anno in anno arrivò finalmente a ridurre i Souliotti agli ul- timi estremi. Trovò allora fra loro delle anime venali, le quali per liberarsi dalla rovina comune, consegnarono dei posti importanti. Già annunziavasi la caduta pros- sima di Souli, già preparavasi la pompa dei supplizi che dovevano essere la ricompensa delle virtù eroiche dei Souliotti, quando parve che una protezione non attesa dovesse salvarli. Eminé, la sposa di Ali, la madre di Mouctar e di Veli, commossa dall’eroismo de’Souliotti, sì getta ai piedi del bassà per implorar la lor grazia. « La grazia de’ Souliotti! io far grazia ai Souliotti! » grida Ali nella massima agitazione, e lascia partire il colpo di una pistola che teneva in mano. Parte il colpo: Eminé cade svenuta, gli schiavi spaventati accorrono, e la portano nel serraglio. Ali in preda della più cupa di- sperazione, sente tosto che Eminé non è ferita, ma pe- ricolosamente malata dallo spavento prodotto in lei da quella scena. Vegliò tutta la notte vicino al suo letto: vane premure! la morte l’ aveva raggiunta . Sotto auspicj così funesti giunse a Giannina la no- 416 vella della total disfatta dei Souliotti : la corruzione: niù: i aveva spianata la strada: 1° oro del bassà aveva. fatte consegnare alcune gole: i mussulmani finalmente. eranò penetrati fino alla sommità delle montagne: una parte dei Souliotti fuggì per vie quasi inaccessibili, e quando i mussulmani li raggiunsero, gli uomini combatterono fino alla morte, mentre le femmine con i loro figliuoli in braccio si precipitavano giù dalle rupi negli abissi; nei quali scorre l’ Acheronte.: un altra parte :di quella po- polazion bellicosa che occupava un posto fortificato, en- trò in capitolazione con i turchi, ed ottenne il' permesso di ritirarsi. nelle isole ioniche, a condizione di conse- gnare un magazzino ancor: pieno di polvere e munizioni . Quattro commissarj restano indietro per rimettere que- sti magazzini ai vincitori: uno di questi commissari era il sacerdote Samuele, patriarca della sua nazione: nel momento in cui i mussulmani accorrono in folla per di- vidersi la preda, Samuele avvicina una miccia accesa ad un baril di polvere, e fa perir seco più centinaja di nemici... va ; Così finì la storia di Souli, degna di paragonarsi a quella dei messenj. CN Sf ( Sarà continuato. ). ta | 417 a SCIENZE MORALI E POLITICHE ECONOMIA, FINANZE Continuazione delle Lettere di S. James ( vedi pag. 175. ) LerTtERA IX. S. James, 6. Dicembre 1819. Farai L Aristocrazia debb' esser forte affin di non ri- maner compressa ,-e la sua forza principale è riposta nelle sue soldatesche , la seconda è nelle sue finanze. Ora son queste assolutamente in cattivo stato, e in quanto a ciò id entro a parte de’ vostri timori, poichè il governo dopo quattr’'anni di pace non ha potuto arri- vare a mettere in pari il suo bilancio, se non a forza d’ imprestiti; il che ci dispensa da ogni altro esame. IL governo dunque è schiavo del suo credito ; poich' egli sarebbe ad ogni passo arrestato, se coloro che gli danno in prestanza ne fossero dal minimo timore distolti : la’ qual maniera di esistere nei tempi di turbolenza non può reggere, poichè ad ogni momento ella può cagionar la rovina dello stato . | Se il ministero nel momento della pace avesse of- ferto da sè la diminuzione della metà sulla tassa pre- diate del dieci per cento per conservarne il resto, i0 va- do d’ accordo che questo sbilancio sarebbe stato preve- nuto; e col chiedere l’'intatta conservazione di questa imposizione egli ha indispettito il pubblico ed il parla- mento, che a negargli tutto è stato costretto. Egli stesso adunque è stato obbligato a proseguire il sistema degli T. I. Marzo # 418 sbilanci, ch’ è fra tutti il peggiore: mentre fino ad ora non gli è mancato chi dia, e copra i suoi imprestiti per la dovizia del danaro, e. per l’ assuefazione di aver fidu- cia in lui. Ma l'Inghilterra più non può abbandonarsi a così deboli soccorsi, mentre fuori della indipendenza del pubblico tesoro non ha altra garanzia : Per poter saldare le sue spese, e pagare gl’ interessi de’ suoi debiti mancano ogni anno all’ inghilterra undi- ci milioni ; è d’ uopo adunque , che per vie più sicure di quella degl’ imprestiti, di cui il governo ha tanto abu- sato fin qui, egli si procacci questa somma; e s° ei. fosse costretto di nuovo a ricorrere al suo credito, questo cor- roborato dal riposo sarebbe maggiore. Ma prima di cer- care i compensi di recuperare questi undici milioni, cer- cherò con voi, se fosse possibile lo scemarli con una di- minuzione delle pubbliche spese. Mi fanno timido in ciò gl infruttuosi tentativi fatti fino ad ora per ottenere questa diminuzione; ma nondimeno. si son mutate le circostanze, ed i più assennati inglesi ora confessano che sarebbe necessaria 1’ economia . i Ecco in poche parole quanto per loro ; proponesi . Si posson disporre in due classi le spese dello stato, utili cioè, ed abusive. Nulla dirò delle spese utili perche bi- sogna supporle tali. Le spese abusive consistono in isti- pendi per impieghi ideali, in paghe eccessive per impie- ghi veri, ed in molte per impieghi veri. ma inutili. Si eran fin qui .rispettate le spese abusive; perchè avevano per iscopo di raccogliere intorno al governo la nascente aristocrazia; ma questo scopo è ora adempito, poichè la, lega è formata; el’ aristocrazia ora possiede di suo assai più interessi acquistati, di, quel che le faccia mestieri per dare al governo sicurtà di sè; ed è gettato via tutto quel che con questa mira le venga accordato. | | 419 Niuna ragion politica può ora impedire, che le spese abusive non sieno soppresse;.ma non bisogna 1ufingersi di nun vedere, che questa soppressione interessa soltanto . la medesima aristocrazia, poich’ ella deve pagar del pro» prio tutte le spese, che la conservazione del suo essere costringera a dover fare. Il chiedere al popolo anco una sola minuzia sarebbe cosa pericolosa ed anche im- possibile; ovvero in altri termini bisognerà che ripiani tutte le mancanze la tassa fondiaria del dieci per cento; Credo,di farmi intendere con chiarezza . É proprio di tutte le aristocrazie di pagar le spese .dei.governi' dei quali risentono gli utili. La questione si ristringe a sapere dall’ aristocrazia. medesima , se ella preferisce, o di far pagar di più a tutti ìî suoi membri per dotarne alcuni, 0 di pagar meno e non dotarne nes- suno. Questa scelta., come voi vedete , non è cosa in sostanza da «farne alcun'conto, essendo. un semplice affare di famiglia. Che l’aristocrazia faccia le spese al.governo, è la sola cosa importante per voi e per l'In- ghilterra; poichè tocca a lei ad aver cognizione: della quota di queste. spese, e de’ modi per. provvedervi. Io credo che in questa incertezza sia d’ uopo la+ sciare intatto il deficit degli undici milioni; ma prima di farne il.reparto sulla tassa. fondiaria del dieci per cento, si potrebber forse trovare in alcune nuove ma> terie tassabili nuovi elementi di entrata, da cui, prima di chiedere all’ aristocrazia nuovi. sussidi; potrebbe il go- verno procacciarsi le rendite. Fuori d’ mghilterra soltan» to sì posson trovare queste materie tassabili: poichè da gran tempo-tutto quello che vi è nell’ interno è aggra- . vato della massima imposizione. Ma questi elementi di entrata pubblica debbono trovarsi nei domin) esterni dell’ Inghilterra: poichè il buon senso ci fa sapere, che 420 le belle e ricche provincie debbono entrare a parte del dispendio della metropoli . : In fatti non esiste verun motivo legittimo per cui la Giammaica ed il Bengala godano la franchigia dell’isola di Wight, e non Lido enne alcuno, quando pur non fosse che fin qui non si è saputo ordinare un sistema coloniale in una maniera conforme alla ragione. Ho sentito dire che Pitt su questo proposito aveva preparato un piano, che pro- babilmente si potrebbe ritrovare, e coll’ autorità del suo nome metter anco in esecuzione. Per mezzo di questo piano mi vien detto che il governo ricupererebbe la sovranità dell’Indie, togliendola alla compagnia che se n’ è impadronita per un caso il più singolare. Egli po- neva quelle ricche contrade sotto la sei aguardia pr sta- tuti adattati all’ indole di quei lontani dominj; la parte delle rendite ch’ esige la loro amministrazione doveva esservi direttamente impiegata: ma quanto spettava al mantenimento dei sovrani indigeni, dei quali l Inghil- terra per impadronirsi dei loro averi non ha aspettato la morte, questa parte, invece di servire alla prodigalità del più abusivo di tutti i governi, sarebbe tornata alla me- tropoli . Le colonie infatti per la popolazione degli. stati d’ Europa, e per gli abusi, del loro. governo altro. non sono state fin qui che una fogna; e la sola Inghilterra è in obbligo di por fine a questo sconcerto coll’ ordinare sopra assennati principj i coloniali statuti. Del rima- nente, io accenno di volo il punto de’ mezzi, che le ri- forme o miglioramenti posson recare ; perchè casuali. e lenti sono ambedue questi mezzi. Mi è noto come al pub- blico ‘interesse le riforme oppongano lunga resistenza; 10 conosco i piccoli motivi che le trattengono, ed i minuti interessi che le attraversano. So egualmente .che a poco 421 si riduce la somma risparmiata dopo di aver superati questi ostacoli, perchè a questa somma accade il con- trario delle palle di neve; ella scema nel ruzzolare. So inoltre che risorse derivate da miglioramenti lontani non bastano; nè io voglio scrivere a libro i risparmi e gli au- menti d’ entrata. dei quali ho parlato ; perchè fo troppo poco capitale della loro esecuzione. Per sanar la mancan- za degli undici milioni senza ricorrere al credito, non vi . sone che due sole misure che si reputano molto deci- . sive e. spedite . Una di queste è il ristabilimento della tassa prediale del dieci per cento . Non può più considerarsi questa imposizione che qual primizia, che i proprietari pagano al governo , affinchè del rimanente dei loro beni assicuri loro il possesso; e questa dee es- ser maggiore o minore secondo che costerà più cara la conservazione di questi beni: vale a dire che a ripia- nare la mancanza annuale, qualunque mai possa essere, deve anticipatamente destinarsi. la, tassa fondiaria del dieci per cento., La quota dunque di questa imposta non si può fissare avanti; ma solo stabilirla in massima , e determinarne le basi; ed ogni anno deciderà, secondo i suoi bisogni, il quantitativo fissato, che sarà necessario percipere. Basterà l’ esigere la detta tassa fondiaria a ra- gione, del cinque per cento, ove la mancanza sia di un- dici milioni , affinchè per mezzo di essa se ne abbiano sei: dovendo produrne cinque l’altra, misura di cui son per farvi parola . To non fo ascendere, come voi ncieta o signore , secondo il parere di persone versatissime, il prodotto della tassa fondiaria a ragione dell’ uno per cento , che ad un milione e dugentomila lire sterline. So che que- sta medesima frazione ha fruttato fino a. dugentomila lize di più; ma bisogna prevedere che questo prodotto 22 sarà diminuito nelle presenti circostanze. La tassa pre- diale , riscossa in questa guisa ad un tanto per cento dell’ entrata , darà al governo una tal' forza, qual per anco non ebbe . Questa tassa sarà senza dubbio pagata dai possidenti; ma ella servirà di pegno alla unione dei tre poteri , poichè ne darà la forza , per loro garanzia é sicurezza . Le aristocrazie tutte, seedibio le più piccole, hanno fatto prova di una simile imposizione, perchè ne hannò del pari conosciuto il bisogno; ma niuna di loro ha' po- ‘ tuto ritrarné un grande aiuto ; perchè questi corpi eran ristretti in troppo angusti confini per dare un sufficientè tratto a questa leva. In Inghilterra infatti sarebbe poco efficace , se dai soli patrizi fosse pagata; ma tutti i pos: sidenti dello stato ne ‘sono i debitori: perchè quivi son minacciate tutte le: proprietà, e questo capitale può ren- der perfetti i resultati politici della imposizione . Avete veduto, che il non esser dipendente dal cre: dito nella prossima crisi è d’ una importanza decisivà per il governo inglese; poichè il solo avvicinarsi di quel- la crisi sarebbe bastante ad annichilar ‘questo credito ; ma lasciando di farné uso si chiude ai' capitali 1’ i impie- go, che offrono loro gl’ imprestiti. Per dar loro ùn coni- penso converrà ritardare l’ avanzamento accelerato dell” amortizzamento con l’ estinzione del terzo dei fondi con+ solidati da esso già riscattati. Quaranta milioni è Vl an- nuo interesse del debito pubblico, dei quali 1’ amiortiz: zazione ne ha già recuperati quindici; e così stando le cose conviene all’ Inghilterra di questi quindici bruciar- ne cinque milioni , ‘onde assolver ér sempre dal paga> mento di quelli il bîlancio, il tesoro, e la nazione; e cor i dieci milioni ch”ei conserverà 1 amortizzamento < con- tinuerà le sue operazioni . l 423 So benissimo che dando in prestito all’ amortizza- zione, come il governo ha già fatto, egli ottiene il mede- simo intento; ma in un modo fallace, e perciò più attò a sbigottire i creditori dello stato, che a rincorarli. A ripianare gli undici milioni mancanti basteranno i cin- que milioni bruciati, sull’ interesse dei, fondi che lo sta- to deve all’ amortizzazione, uniti ai sei milioni prodotti dal cinque per cento della tassa prediale. Se non basta- no si chiederà alla tassa prediale , quante volte abbiso- gnerà, l’ un per cento di un milione e dugentomila lire. LETTERA. x. va «Del di 15 Dicembre Abbiam veduto, o signore, come l’aristrocrazia in> glese per non esser compressa poteva farsi forte col ri- spettar le leggi, coll’ armarsi per la sua legittima difesa, col dare un carattere più nazionale ‘al potere de’ comuni, per farlo indipendente dagli eventi e dal credito, col provvedere ai bisogni del suo tesoro. Avrebbe allora l’ ari+ stocrazia eretti i suoi baluardi, e non le si potrebbe più incuter timore; ma le nazioni, che hanno vita solo per questo riparo, son prossime al loro fine, perchè il san- gue cessa di circolare nelle lor vene. É d’ uopo adunque che il governo col mettere in opera l’attività; e col pa- scere le speranze dei proletarj, arrivi:a se Ta la lega ch’ essi hanno fatta. Vi ha in Inghilterra una cagione attiva di turbo- lenze, poichè vi sono seicentomila artigiani nati dall’in- dustria, e poi da essa abbandonati; ond’ è mestieri rin- novare le proporzioni tra l'operaio ed il lavoro, tra gl’in- teressi e la popolazione: altrimenti questo popolo dalla 424 miseria data la volta al cervello, e dall’ ozio travagliato nei campi, ove tien le sue dispute, troverà uomini che a’ propri interessi antepongono le passioni, o che omai più non hanno interessi; perchè.a quelle gli sacrificarono; quivi s' imbatterà in uomini, che più non provano gl’in- terni moti dell'animo, e fuori che del comune infortunio della patria altri più provare non ne possono. Allorchè a questo popolo i ricchi come suoi oppressori saranno additati da uomini di tal fatta, e gli mostreranno il loro spoglio come il suo appannaggio, qual religione varrà ad arrestarlo? Qual riverenza potrà disarmarlo ? L’ ordine sociale caderebbe sempre vittima di questa crisi, o fosse quello il vincitore o il vinto; poichè verrebbe a cam- biare la natura politica dell’ Inghilterra: essendo vinci- tore, l'ordine sociale piglierebbe ‘per sicurtà un codice severo e funeste istituzioni: essendo vinto, abbandone-. rebbe lo stato in balia di tre milioni di stolti, La tassa, 0 sivvero lo stipendio dei poveri, è il solo espediente col quale.il governo ha finora lottato colla miseria degli artigiani. Io qui non voglio nè riprendere nè encomiare questa istituzione, poichè la forza delle cose la rende irrevocabile; ma tal presente stato di cose ella è anche inutile; ; poichè per causa di questa tassa, e perciò malgrado questa influenza; la pubblica miseria è giunta al colmo. Per quanto ella sia enorme, in tal fran- gente non può nulla, essendo un già esausto compenso, una morta elastica forza. A’ c compensi che possano pie- namente agire è necessario il ricorrere. Ho fatto ascendere fino a seicentomila il novero degli artigiani, che privi.aveva di lavoro il declinar dell’ industria: il qual discapito equivale a diciotto mi- lioni l’anno, valutando a due scellini Je loro giornate. Credo che sia esagerato il numero ed il discapito, perchè 425 împensate risorse vengono sempre in aiuto di quelle perdute; ma non avro esagerato riducendoli alla metà. Da piccolezza delle mercedì non ferisce solo gli artigiani superflui, ma per l’ effetto della concorrenza.si diffonde su tutta la loro classe, la qual concorrenza produce nelle mercedì un corrispondente invilimento, che è bastato a travagliare tutto questo popolo, ed a formar con lui questa lega offensiva, della quale cominciano a manife- starsi i sintomi. È dunque cosa di molto rilievo, che si rompa questa lega, dividendola per mezzo di nuo- vi interessi; bisogna perciò creare una speranza con cui colpire l’immaginazione del popolo, è d’ uopo adun- que agire ad un tempo sopra di lui con mezzi reali, e con mezzi magici. JI reali sono di dargli lavoro e merce- de; i magici di farglieli sperare. I mezzi reali possono eglino consistere nel rendere alle fabbriche le vie allo smercio già perdute? Nò,giacchè questa perdita è venuta dall’ azione naturale delle leggi della concorrenza, leggi sacre, che niuna umana forza può eludere. . Non dee più l’ Inghilterra far capitale di queste vie da esitar le merci, che altro non sono che canali prosciu- gati; è necessario per la sua popolazione, che sì trovino nuovi impieghi. Ella manterrà il monopolio del com- mercio marittimo e dei patti commerciali; perch” ell’ ha in mano le forze che li mettono in moto; forze che niuno può rapirle, le sue flotte cioè, ed i suoi capitali. Con questi ella regge da padrona le grandi operazioni commerciali, con quelle ell’ è signora ‘dell’ Oceano. L'esito dell’ ultima guerra ha distrutto tutte le armate navali, fuorchè la sua, e sta in lei l’ impedire che risor- gano, perchè può distruggerle prima che la ingelosisca- Dimanierachè la forza le assicura ad un tempo medesimo gli utili del commercio marittimo; e la prov- 426 vista de’ consumatori che abitano nelle tre parti del mondo , alle quali i suoi vascelli possono impedire di avvicinarsi. L'Asia e l’ Affrica in questo genere non ‘le danno che-uno scarso esito, perchè i popoli di quelle hanno costumi*ed usi differenti dai nostri, e sono una razza d’ uomini, il di cui carattere non soffre mai can- giamento ; ma. l’ America promette all’ Inghilterra uno smercio, che al pari della sua popolazione anderà cre> - scendo. i i ala L’America è una colonia europea che ne seguita gli usi, e la sola Inghilterra a quelli iprovvede, perchè la sua marittima preminenza le dà intiere relazioni con quella. Questo esito le rimarrà aperto per lungo tempo perchè vi voglion secoli prima che alle fabbriche possa dare le biliocia superflue l’ agricoltura de’nuovi paesi. Il ‘monopolio del Brasile è già in mano dell’ Inghilterra, e’ da lei non sono stati negletti quelli. espedienti che deb- bono mantenerglielo. Il Brasile ogni venti anni dee raddoppiare la sua popolazione per il natural effetto del- la sua situazione, e senza che alcuno se ne dia un gran pensiero; perchè quando niuna circostanza ne arresti lo scioglimento, tale:è la proporzione , che le:generazioni seguono in quelle contrade, ove la grand? estensione del-: la terra leinvita. Io farò meno conto del prossimo au- mento delle colonie spagnole , poiche quelli stati saranno abbandonati in preda alle intestine discordie, appena. saranno liberi dalle molestie cagionate loro dalle preten- sioni della metropoli . Questi popoli per lungo ‘tempo saranno privi di quella moralità, che degli stati è fonda>___ mento, e rimarranno in balìa di quella travagliosa lotta;* . in mezzo a cui della militare ambizione trionfa la \ibertà . L’ America settentrionale accresce ogni anno di 427 più ai prodotti dell’ industria inglese cinquecentomila consumatori, perchè in questo numero la sua popolazio- ne aumentasi ogni anno; ‘e le relazioni tra questi due popoli e questi due stati sono di tal natura, che dalla sola Inghilterra l’ America è provveduta ; poichè non è da obliatsi che dessa è uno stato: fondato ‘dagl’inglesi, il quale ne lia'‘serbato le leggi, gli usi,e i costumi.Eigl’imita perfino ‘nel suo genio marittimo , e ‘allorchè in breve tempo fatti emuli da questo genio si disputeranno il dominio dei mari, l’ Irighilterra somministrerà all’ A- merita il suo militare apparecchio , e con armi fatte alla stessa incudine si azzufferanno le loro squadre. In forza ‘delle cose dunque l’ Inghilterra conserverà la provvista ‘dell’ America; ma è ben lungi dall’ equipa- rare il prodotto delle fabbriche inglesi, abbenchè rapido sia l’ aumento di questi consumatori. Ben duro è stato il discapito fatto da quelle, e questa surroga non vien che dopo; per i al pari è d’ de ‘aprit cateratte più larghe : bb-< GEOGRAFIA, VIAGGI re. Viaccio 1n Levante negli anni 1817, e 1818; del Con- te pi Forzin. pa. in fol. gr. (Quarterly Review N.° XLV May 1820.) i Noi trasparisce punto dai resultamenti l’oggetto preciso del Z'iaggio in Levante intrapreso dal Conte di Forbin. Forse ebbesi in mira di porgere ‘occasione al Dirsttor generale dei Musei di mostrare il suo talen- 428 to, come artista, in 70 0 80 passabili saggi di. litogra- fai dei quali una mezza dozzina , tra i peggiori, porta- no il nome di lui; forse volle egli, coll’offerta di un volume, nelle dimensioni almeno, uguale al gran libro su l’ Egitto, che i dotti dell’ istituto deposero ai piedi di Napoleone Buonaparte, presentare un dono al suo real padrone Luigi XVIII., non potendo credere che lo sco- po di raccoglier notizie abbia promossa una tale. intra- presa, mentre l’opera è. di queste, affatto digiuna. E non minore difficoltà s’incontrerebbe se indovinar sì volesse, su quali fondamenti un vecchio impiégato pie- no di meriti, come Denon, che si era distinto per; le sue cognizioni in antiquaria, per il suo gusto ed esecu- zione in fatto di belle arti, e per il suo zelo in. promuo- verle tra i suoi concittadini, fosse congedato per dar luogo ail’ attuale Apollo del Museo, che non ha la for- tuna di possedere, non che la scienza, le arti o il gu- sto, l'apparenza neppure dello zelo e della parzialità per sesti di esse. _ Se noi non avessimo saputo che il conte Forbin è, di tutti i gentiluomini di Parigi, il più svelto, ed il meglio vestito — il primo zerbino del Museo —, non avremmo, all’aprir del suo‘libro, mancato di caratte- rizzarlo per tale, da una confidenza che egli fa mode- stamente ai suoi leggitori: è, per quanto sembra, così ricercato in Parigi, che temeva di dare il più piccolo sentore della diffi ‘cile e rischiosa intrapresa, alla quale era per accingersi, dubitando di non sentirsi coraggio abbastanza da resistere a ciò che i suoi amici gli avreb- bero per distornelo suggerito, o da sottrarsi ai loro am- plessi. Giunto quel gior no importante in cui il nostro ani- moso avventuriero doveva affidare il suo destino alla elena E e 1 | se, 429 sorte; partì ( segretamente , secondo il solito ) per Mar- silia; e con la sua comitiva composta di un’abile archi- tetto, di un celebre panoramista , di un giovine arti- sta, e di un’ecclesiastico suo cugino , s' imbarcò a bordo della Cleopatra , una delle Besate ‘chie formavano la squadra destinata per il Jieiunite . Lasciarono Tolone il dì 21 dì agosto, ed il di 25 s’imbatterono nelle coste dell’ Affrica. Il dì 2 settembre arrivarono a Milo, ove il nostro viaggiatore diede di sè il primo saggio, arrampi- candosi su la cima di una montagna da esso chiamata Mavrouticho (noi però la crediamo Mauroteichè) , ove dalla porta di un solitario convento, abitato da un pove- ro sacerdote greco, godè , ei dice, della magnifica vista di tutto l'arcipelago della Grecia: magnifica in vero, e ci sia permesso di aggiungerlo, estesissima veduta, poichè abbraccia un circuito non minore di circa 450 miglia inglesi. Qui s' imbarcò sul bric 1’ Hazard noleggiato per Atene, ove giunse il dì 5 settembre. Noi non sappia- mo quali momenti ( nei 15 giorni che il nostro Autore vi si trattenne ) egli impiegasse in osservare gli avanzi dell’antichità'in questa, com’ ei la chiama, città di Mi- nerva, nè tampoco a quale di essi, per darne una. par- zial descrizione, l’attenzion sua. principalmente ‘rivol- gesse: ma se quasi nulla ce ne dice, non abbiamo alme- no ragione di dolerci perchè manchi di quella scivcca declamazione e di quel nauseante sentimento , che egli estasi ( reverie ) di nominar si compiace, di cui il se- guente squarcio può essere un saggio. « Io soleva spesso uscir fuori di notte, perchè lora delle tenebre pareva che mi ponesse in comunicazione col passato. Allora la immaginazione agevolmente si figura i più splendidi edifizii," e la incerta luce della 430 luna è propizia a questi, maravigliosi risorgimenti . Io popolava i portici e le pubbliche piazze di ombre illu- stri; 10 poneva in agitazione la moltitudine con la in- certezza di una disfatta o di un trionfo; i templi si apri» vano, e m’immaginava di udire il marziale spirito dei cittadini, li animati accenti delli oratori, ed il hamulto di un popelo libero, geloso della sua gloria, che immo- lava alle divinità infernali tutti i nemici della sua indi- pendenza » (p..14.). rit Egli non era però da queste fblisii meditazioni preoccupato in modo da non trovare agio abbastanza (intervenendo ancora e a nozze e a balli) onde riempire il suo scartafaccio; e noi siamo certissimi, che quando l’altro gigantesco volume (di cui verrem favoriti ) usci- rà alla luce, l’autore sarà pronto a ripetere quello che un suo concittadino, accennando 11: gran libro dei dotti dell'istituto, disse ad un gentiluomo che era in procin- to di, partire per il suo viaggio di Egitto; Aspettate , 0 Signore; nulla vi è da fare, nulla da vedere ; non vi confondete s qui troverete ogni cosa, È già noto ai nostri ide che Lord Elgin (imi- tando l'esempio dei francesi) tolse dal: tempio di Mi- nerva.alcune mutilate metope, non lasciandovene, co- me sembra, più di 28, una delle quali soltanto era in assai buon grado. Questa cosa. fu abbastanza increscevo- le. 1l conte però se ne ricatta; e diviene infinitamente lepido a spese vi Sua Eccellenza . « All’ epoca, ( egli di- ce ) del viaggio di Lord Elgin, venne sostituito un pi- lastro di mattoni alla cariatide dell’angolo della cappel- la di Pandrosa: questa statua, da esso portata via; era la meglio conservata. Fu scolpito su la più prossima, Opus Phidiae; e sul pilastro informe Opus Elgin » (p.ti. ) n 431 Ciò sarebbe stato molto spiritoso; ma. disgraziata- mente non è vero: la iscrizione del primo pilastro ( che il Conte non poteva leggere ) è greca, EAvww eromoe ; | quella dell'altro (che il conte non potea vedere ) è latina; i Quod non fecerunt Goti Hoc fecerunt Scoti. Ma quantunque.noi possiamo essere di un sorriso indulgenti per la lepida scappata intorno a Lord Elgin, non ci è per altro concesso di spingere la nostra com- piacenza fino al punto di secondare il direttor gene- rale. dei musei nella effusione della sua bile contro un abilissimo ed assai benemerito ceto di artisti, alle fati- che dei quali dobbiamo i migliori modelli delle auti- che produzioni delle arti rispettate dal tempo. . « Vi trovai ancora, ( sono sue parole, ) molti artisti inglesi o tedeschi, che da parecchi anni in poi, con la minuta esattezza dei più scrupolosi commentatori, di- segnavano .e misuravano questi monumenti, nobile creazione del genio. Schiavi infelici delle regole, e ‘dei più, piccoli capricci degli antichi, eglino scrivono intieri volumi per rilevare uno sbaglio di 3 , linee fatto nel 1680, nel misurare un’architrave ; eglino s’in- torpidiscono; si addormentano e si.trattengono 8 anni in Atene per disegnare tre colonne » (p. 13.) Noi vogliamo credere che questo lesto francese ed i suoi compagni avrebbero arricchito i loro scartafacci de’ disegni non solo delle tre colonze, ma anche di tutta Atene, anzi della Grecia intiera, in uno spazio di tempo due terzi minore di quello che questi infelici schiavi delle regole hanno consumato iz: intorpidirsi, e in ad- dormentarsi su i loro lavori: ma questi lavori però meriteranno di esser veduti, non che paragonati con gli 432 originali, e sottoposti all’ esame del pubblico, non si troverà sicuramente che gli autori, o inglesi o tedeschi che siano, abbiano rappresentato nero per bianco, tur- chino per giallo, rosso per verde, tondo per quadro, te- . stuggini terrestri per cavalli marini, o convertite teste di capre in cherubini su le ali nel soggiorno della feli- cita! Nè 1 componenti le accademie o istituti dei re- spettivi loro paesi, che della esattezza di quelli pos- sono avere attestato, dovrarino arrossire per avère spac- ciate le loro inezie, e loro finzioni come copie fedeli delle antiche produzioni delle arti diligentemente de- lineate, ed accuratamente colorite dagli originali. La vanità e la sofficienz.i del sig conte sono rimaste oltre modo mortificate dalla popolarità degl’ inglesi; e la idea che eglino si ficchino in ogni angolo del Levante, preoccupa di continuo la sua immaginazione. Egli si è egualmente indispettito della tarda diligenza di alcuni nostri compatriotti, e della rapidità con cui altri di essi girano il mondo: « Ricchi inglesi, egli dice, che null’al- tro d’ importante aveano da fare , fuorchè traversare la Grecia il più presto possibile » (p. 13.). Noi però stimiamo che sarebbe difficile trovare un ricco inglese che viaggi con maggior. celerità, e che trascuri gli og- getti più interessanti con maggiore indifferenza di quello che abbia fatto l’istesso. conte. Sarà appena credibile che a questo saccente, il quale alle pitture, alle scalture e ad immensa collezione di antichità presiede nella gran città di Parigi, che viaggiava con pomposo seguito di artisti e di dotti, non venisse voglia di deviare per poche miglia dal preso cammino, onde visitare le pia- nure di Maratona, lo stretto delle 'Termopili o le rovine di Corinto! Che quando lasciò la città di Minerva (che alle ricerche di lui servì di meta) per recarsi a Costan= 433 tinopoli, ei-benedicesse il propizio vento sud-ovest che rapidamente lo spingeva al di là delle spiagge della Troade! Che da Costantinopoli volasse a Smirne, e da Smirne a S. Giovanni d’ Acri, senza tentar di sbarcare nemmeno in una delle isole di quell’arcipelagoche la sua enfatica visione avea compreso in un’ occhiata , 0 senza visitare neppuré uno di quei luoghi di classica rinoman- za, se Efeso unicamente se ne eccettui! La giornata era bella (sono generalmente tutte così nel settembre) i quando il conte si trovò d’avanti a Costantinopoli, la cui vista lo fece abbagliare : i battelli radevano la superficie dell’acqua; le'cupole delle mo- schee e le dorate frecce delle torri venivano illuminate dai raggi del sole; nè aveva egli per anche inciampato in alcun inglese che interrompesse il piacere che da sì magnifica prospettiva in lui derivava. Cominciò per altro a sentirsi stringere il cuore quando seppe che la: peste inferociva, ed aveva serpeggiato nel corpo diplo- matico; nè a temperare l’ agitazione dei suoi nervi cal- culò egli la impossibilità di passeggiare le sdrucciolevoli, e strette vie di Costantinopoli senza toccare il lembo dî uno scialle, o la sciolta veste, o il cafetan . Altre cagioni di disturbo ebbe egli in questa im- mensa città. Per ogni dove i turchi ls urtavano delle gomita, gl? ebrei a lui chinavan la testa, i greci lo bef- favano, gli armeni lo gabbavano, (p: 46.) i cani gli ab- bajavano, i i piccioni gli si posavano su le \spalle (ciò me- rita conferma, come dicono i suoi compatriotti); e men- tre alcuni agili gruppî stavano a lui d'intorno ballando, altri eranò all’agonia; talchè sì'trovò sempre esposto ora alla gioja, ora al lutto, ed ora al pericolo di rima- nere ‘appestato. Nessun inglese aveagli per anche ir- fiammate le pupille, quantunque visibili ne fossero per T. I. Marzo 28 434 ogni dove le tracce ; ed egli si prevalse di questa propizia circostanza per meditare sopra la inconcepibile durata dell'impero ottomano. Credè alle prime che il titolo solo sostenesse il Sultano sul più vacillante trono d’Ew- ropa; nò, non è questo solo: ripensò un momento, e l’attribuì di influenza della Russia; nÒò, neppur questo può essere: riflettè anche un poco, e la verità, piombò sopra di lui in tutto il suo splendore, è ” Zraghilterra che protegge questo vacillante impero, la debolezza del quale è giovevole alla tirannia commerciale di quel paese! La tirannia commerciale dell’ Inghilterra è il gergo. di tutti i francesi, e denota, quello che eglino giammai non vorrebbero esprimere, maggiore abilità, maggiore intraprendimento, maggior puntualità, mag- gior integrità, e maggior onoratezza . Dopo avere per nostro conto definita la tirannia commerciale, per particolar vantaggio del.conte Forbin gli diremo quello che noi intendiamo per viltà commer- ciale. Il conte conosce una, certa. persona, la quale, quando ‘egli fu spedito officialmente in Inghilterra per trattare un baratio di.gessi delle metope e di altri og- getti d’arte col. museo britannico ; profittò di una tal circostanza per procurare che una delle condizioni della permuta fosse la esenzione dal pagamento dei dazii, per la introduzione in Inghilterra: di 200, copie del di lui smisurato volume, il che a lire 2, soldi.8, e 6, danari il tomo (tale essendone il dazio) gli aveebib fatto gua- dagnare 500. live all’ incirca . Quest’azione, della quale, egli può esserne certo, nessun gentiluomo inglese avreb- be voluto 0 potuto, rendersi colpevole, cade sotto la pre- messa categoria: il. conte può per avventura darle un altro nome; ma la natura ne sarà; sempre l’istessa. In Efeso, ove. noi lasciammo il nostro viaggianti 435 vide egli su la porta dello stadio varie greche cseirizioni che non potè copiare ; e sopi'a un’ ‘arco | mel. teatro due che avrebbe copiate ;ima noivgli fu possibile perchè de lettere ne erano state lasciate pienedi gesso du alcuni inglesi amici delle scienze, e sempre premurosi»dell'al- trui bene: Il sogghigno contro gli odiati inglesi non po- teva' sicuramente esser peggio :applicato,;di:quello:che in questo caso lo è stato : e manifesta la massima ignoranza dell’ artista ‘in cose intimamente collegate ‘alla sua pro- fessione . Se ‘egli: fosse stato veramente capace di copiare il greco; inessun:metodo gli avrebbe in ciò tamto eflica> cemrente giovato ; quanto. quello. di riempire le lettere col gesso: ciò fu per la prima volta con molta industria praticato dal colonnello Squire mentre servivain Egitto sottò ‘il comando di Lord Hutchinson; e con questo metodo ‘potè dichiarare una iscrizione ‘che aveva fino allora inutilmente: torturato l’ingegnò di tutti i viag- giatori (niuno escluso dei dotti di Buonaparte), e con essa provare che la colonna volgarmente detta di Pom- peo fu realmente innalzata sotto il regno dell’ impera- tor Diocleziano: Noi desumiamo un nuovo argomento della ignoranza del conte nel. greco dal nori aver’ egli fatto alcun caso delle molte iscrizioni sulle porte dello stadio, che in quella lingua vi si leggono; e dall’ essersi contentato di porne sotto gli occhi dei suoi leggitori, una in ampie romane majuscole:(ed'è la sola che si tro- va in tutta l’operà): Aecenso Rensi er Astae: che egli ci dice’ essere in latizo: Noi vogliamo crederglielo : e siccome modestamente: si astiene dal denibultre: questo, : Stemi pezzetto; per timore; come ci ‘giova supporlo, che ciò si appfendesse per un'insulto ‘all’intendimento dei suoi lettori; altro da far non ci resta che imitar l'e- sempio dilui 00 [oLLO 436 ‘Siccome il ventorsud-ovesti era.stato al conte fave- revole onde rapidamente traversare.i;Dardanelli, così ora il fresco z20rd-ovest fortunatamente gli risparmia la fatica di metter piede in quelle isole d’ ordinario visitate dai viaggiatori; in Scio cioè, Nacri}\ Lipso,,. Patmo, Lero;, Colmino; Stanco, e perfino: nella. istessa Rodi; talchè il dì, 6 di novembre sano»e salno sbarcò in, $. Giovanni d’'Acri,: hi 0 0 veg di Non sono ancora trascorsi ne anni i idageli un esercito francese. fermossi; d’ avanti ‘a ‘questa città, e pose in opera.tutti quei mezzi che una soldatesca po- tea ipraticare per rovinare gli abitanti innocenti,;e; per ridurre in cenere le loro;case; e'tutti i viaggiatori eu- Topei, come può immaginarsi, non hanno udito:che alte e profonde imprecazioni contro la non provocata aggres- sione. Così. però non è accaduto al conte Forbin: gli beavano le orecchie i più incantevoli. panegirici de’ suoi valorosi ed umani concittadini. « Eglino parlavano sono sue parole, con ammirazione degli sforzi, dell’ esercito Francese operati in Oriente.» Questa è una! carota che quasi stenterebberoa digerire i politici del Palazzo Rea- le. Come! in quel luogo istessa in cui le tracce si scor» gono ( secondo da propria di lui confessione ) delle più sanguinarie azioni déi sùoi. conipatriotti, hanno li abi- tanti perduto ogni sentimento di sensibilità a segno da celebrare le gesta dei francesi; mentre le lagrime bagnan tuttora-la guancia alle vedove spose ? Noi, saremmo più disposti a Nutizini che è popoli di Giaffai, le di cui pianure biancheggiano ancora delle ossa. dei massa- crati prigionieri, tributino lode ed ammirazione al va» lore ed alla dolce umanità. di Buonaparte . Sarebbe \inutile, di seguitare il.contein varie parti della Palestina, o di compendiare alcune delle sue estasi 437 mella santa'tittà, ‘ove, come in Atene; egli godè una specie di seconda visione, diversa però da quella dei nostri settentrionali vicini, e più sicura.a mostrargli il passato anzichè l’avvenire; cosicchè « gli si paran d’ a- vanti le più terribili scene, le fiamme del'tempio ascen- dono alle più remòte regioni dell’aria; che per quelle divengono ‘accese; icelesti abitatori. le contemplano con sacro terrore ec. » (p. 40). Se égli: passa ‘a: far par ziali osservazioni, son questé in generale trite, il più delle volte infantili, e quasi sempre dirette a dare. false imipressioni: non è'poi possibile che seducano' i lettori, giacchè egli d’ ordinario sì dà il pensiero ‘di’ confutarle, da sè medesimo. . . i « In tutta la Giudea, sono|sue parole; poche piogge dimostrano sole l’ inverno; l’ autunno, non'è di frutta apportatore ;/la primavera non fa i fiori sbocciare, e tut-, tavia gli ardoti della state:struggono Aceldama; ed ina» ridisconò dla sorgente di Siloe ; si crederebbe che non esi- stessero. più le. paga per questa infelice contrada » (pas: fi «d In tutta la Gidea poche piogge dimostrano sole l’ inverno, (dice il conte Forbin p. 45;). Abclima di Ge- rusalemme è:spesso rigido nell'inverno ; cade alle volté la neve;ed ilifreddo era piuttosto inferso quando noi a: lasciarla.ci apparecchiavamo (dice il direttor generale dei musei ‘p.' 45.) Noi esistono più Ze stagioni per que- sta infelice ‘contrada, (dice il conte); era ir2verizo a Ge- rusalemme, e primavera è Giaffa (diceil direttore p. 45) Non-vi son frutta nell’ autwnno, nè fiore in primavera in tutta la Giudea » - Pure. egli trovò grande abbon- danza di alberi pomiferi i, carichi ancora; delle loro frut- tal Se prima di scrivere, ,si fosse degnato di aprire l’Hasselquist, o .di dare un occhiata! alle opere di qual- 438, che; viaggidtore «dei più. moderni; ei poteva imparare che noi vi è paese, nel mondo, ove, allignino fiori sil- vestri, initanta copia quanta ne vantalla. terra di Giuda; che questa è specialmente. atta alle greggie. ed: alle: api, però merita a:buon diritto di esser chiamata, colle pa- role dellascrittura, terra ove scorre ib latte ed il'miele. Ma:è inutile di-trattenerci. più a lurigo sula imbrogliata descrizione: che; il direttor generale. ha fatta:di questa. infelice contrada; priva delle:stagioni, che: non ha fia=s ri in pritvavera, nè frutta in autunno, quando chiare» dal:suo: istesso racconto apparisce , che egli non.la.vide: giammai nè. in primavera ,nè investate; nè. in autunno$ ma solamente la traversò galoppando con: prin ce-) lerità nel mese di novembre. (0...) »/ Il ‘conte lasciò Gerusalemme ili dì nidi dicembre, e tornò indietro per la patte:di\Giaffa; ove l’Agà, siccome ei ci racconta; spesso: parlò degli; eserciti ifrancesi; ; ima} egli prudentemente ‘sopprime la natura;di una tal con- versazione . Siffatto silenzio però viene adequatamente» compensato cal seguente paragrafo, che per verità pom-) peggia del migliore stile.di un sentimentale. zibaldone. «Quanto sovente in questo bel clima ho io;com- pianto le caligini ed il nuvoloso.cielo di Francia Quanto: soventeho avuti gliocchi:con aflizionerivolti verso;ponen-| te! una giovine rondinella mi eranella:camera compagna ;f ogni sera io la poneva sopra una cavicchia fittarnel muro,» ed'ogni mattina al levarsi del sole restituiva alla mia:pic- colà amica la libertà. Probabilmente. essa venne dalla RPrancia, ed ivi\per avventura: lasciò: quel tetto-che «dà ricovero ‘all’ oggetto delle mie tenere. sollecitudini ».. (p- 47) Oh quanto è ‘pastori ale! come dice Pietro Pastore.. Da'Giaffa egli avanzò verso l'Egitto, prendendo la strada di Ashdad; di.Gaza, e di El Arish;;e traversando' ORO ISS n a 439 il deserto . Per abbreviare la 100josa uniformità del cam» “mino ‘si mise ad ascoltare da ‘un’arabo' una pietosa isto- ria di amore e di morte, che la pubblicato come inte- ressante episodio, ornandola di una stampa in litografia per edificazione ‘degli anìtiquarii parigini . ‘Par destinato; che ogni qual volta l’infelice conte muove un passo, non debba in’ altro ‘imbattersi fuorchè in cose dispiacenti. Pei tacere desl’ inglesi; uomini ciechi e bufalé, processioni di’ matrimonii, supplizii ed inumazioni, pescisjuoli è fellahs, gl impadivano del contirito di camminate rai canali infetti e le case rovinate dì Damiata: nè il passaggio dalla pianura di Massora potè sollevare l’abbattuto' suo spirito ;: perchè quivi'egli dicé, la riflessione mi'funestò con la trista rintemb Panic ché io' mi ritrovava su quel canipo' ove la fortina trud\il valor déi frarcesi. Ma beù presto riprende animo; € con rnagnanimità dichiara, che final- mente , quando gli tornarono alla niemoria i trofei di Buonaparté, e ‘quarido ei battè la strada dagli eserciti francesi caltata in ‘Egitto; sotto’ Y ombra delle palme che abbélistono il retaggio dei Faràoni e dei Tolomei, si sarebbe stimato' felice ‘di essere stato uno dei bassi uffi ziàli delta! retro-gua? 'dia. A noi'non ispetta il dispu- tare su' questo’ più, nè il negare che il nostro cavalle- resco vilbgiatore è più ‘adattato a fare il caporale” nell’e- sercitò di "Buonaparte, che a presiettere alle arti ed alle antichità del' real’ museò di: Parigi; ma non possiamo astenerci dal'er iedere chè egli} con una'tal dichiarazione , abbia fatto uso di'un bdo! anzichè nò, sgraziato per mostrarsi riconoscente ‘all’ onore di sèrvire Luigi XVIII. Al'Cairo (poteva: esser stato detto prithay il nostro! avventuriero vide turchi, arabi, copti, armeni; ebrei; somari, muli, cammelli, pellegichi che tornavano dalla’ 440 Mecca, e cani.affamati che dietro a quelli abbajavano, £ quali tutti tra loro :urtavansi, e si pigiavano. « Ad.evi- tare la folla , io entrai; egli dice, in quasi tutte le mo- schee della città, mi vi, inginocchiai, e protetto dal mio. abito musulmanno; borbottai la formula della fede, con la barba toccando la pietra sagrata, ».(p:.72). Esisto-. no tante piccole, inavvertenze ed inesattezze nella nar- razione del conte; che, ne siamo pienamente sicuri, ci scuserà se dubitiamo avere egli, anzichè per andare a far, del bene; piuttosto in qualche altra circostanza indossa=; to.l’ abito mussulmanno . Al Cairo, come in Londra,, niuno bada molto all’ abito di un forestiero : viaggiando sul Nilo,.il vestiario alla turca è in. vero. sommamente adattato per evitare la importuna curiosità «di quelli abitanti; pure r0î sappiamo che a Tebe il Conte non vestì siffatto abito; mentre la ondeggiante sua barba, invece di esser ife abbastanza per toccar la pietra sa- grata, era appena appena Spuiiakg, ed . +» + « il mento suo poc' anzi Pa SQ tari Campo, parea di fresco ancor mietuto . Ma;la barba, non, fu; la sola cosa che mon potò accompagnarlo in Tebe; pare che . per strada abbia in qualche luogo lasciata dice la riflessione :.£/: caldo, egh dice, era già divenuto insoffribile 4 T. ebe nei primi, giorni del marzo. Ora è d’uopo che gli facciamo Tisoy- venire che arrivò a Luxor, villaggio innalzato sul terre- no istesso dell’antica Tebe, il di 28 di gennajo; e che ne parti, nella prima, settimana del febbrajo; talchè non vi poteva aver: sentito, caldo insoffribile nei pri- mi giorni del marzo. Noi ignoriamo se il conte sarà per ringraziarci; ma quelle sue belle concittadine che hanno avuto il tremito: addosso per il disperato di lui ardimento otranno: forse sentirsi sollevate quando sa- - r:P SE rat acne ear A N gl en uan ag ROvegne, È Pa 441 pranno che a Tebe (situata al 26.0 grado all’incirca di latitudine settentrionale ), dove egli trovò quel cal-*. do che brucia veramente i sassi, il calore è moderato, ed. il tempo .affatto delizioso tanto nel mese di feb- brajo, quanto in quello di marzo. — Andiamo avanti. « Si soffre spesso nel giorno, all’allontanarsi dal Nilo, una febbre che non è quasi punto, conosciuta in, Europa , quella cioè della sete. Questa pena crudele è totalmente, inesprimibile ; essa ha il suo sonno, il suo, delirio; dolorosamente ‘sognando ,, si. ricordano: le vallate: le .più fresche ,, le gelate bevande; e la «memo. ‘ria \diviene il tormento; più terribile di , questo, mor- bo affricano; » ( p. 94.) Questo morbo affricano , il in cui dolorosamente si, sogna , dubitiamo che non, sia circoscritto ai soli banchi del Nilo. Il: conte non può sicuramente suppor- re, dopo tutti i viaggi, stati fatti in ogni, ‘angolo del-. L'Egitto, che, non, si. sappia benissimo, iche dal Cairo ad Assuan, per, isei cento miglia, circa .di, paese ;;la, parte i uri della: vallata ; del Nilo non si estende per ogni lato .al.di là del fiume più; di, quello . che le .sue, ac- que; possano, scorrere, per.irrigarla; che a quest’ oggetto sono esse raccolte in canali; che quasi ad ogni miglio, vijè un, villaggio; e che per tali, ragioni, Vultimo pen- siero che .i viaggiatori, abbiano bisogno di darsi, è quel- lo di chiedere. ACQYASz0 sui Non fu però il timore che Ji mancasse bara A ta altri luoghi che Biroo sal pa era di vi sitare ancor più bramoso, avvegnachè. non erano stati. contaminati dai piedi di alcun Viaggiatore inglese: un tale ostacolo sarebbe, stato:nobilmente superato da quel 442. lo spirito intraprenditore che già guidato lo avea in mezzo a tante altre difficoltà. Nò — fu una gorgone,; una chimera più formidabile della . .... ! ma lascia- mogli fare il ‘terribil racconto con le sue istesse pa- role . i leg « To aveva baia di visitare Elefunitina, Sye- ne, File; Ipsambul, e di penetrare fino nell'isola di i Meroe, ma lo spirito di avventura prende sempre più o melo parte in queste lontane escursioni ; il desiderio di. veder luoghi poco conosciuti possentemente ci sospirige a soffrire le fatiche e le privazioni di un lungo viaggio. Se ognuno è statò capace di-veder quello di cui andia- mo in cerca, il disgusto ci minaccia, è tosto ne segue lo. scoraggiamento . m me' sì estinse la brama di risalire il Nilo datlehe vidi una' famiglia ‘inglese giungere in Tebe di ritorio dalle Cateratte. Lord e Lady Belmore avevano visitata una parte della' Nubia; eglino avean viaggiato nel modo'il più splendido; tré'‘o quattro am-' pii battelli'tenievan dietro'a' quello sul quale'erano asce- si.'Mariti, mogli, ragazzi, cappellani, chirurghi , balie cuochi, tutti ‘ciàrlavamo’di Elefantina. Da tal' momén: to , per me svani l'illusione, e tutto‘perme fu finito. Oltre a ciùio partii da “Tebe più presto di quello che ne avessi intenzione, ‘trovando totalmente ‘impossibile’ di sostenere Ta perpetua apparizione tra queste veneran- de rovine di una cameriera inolrse vestita di uno spert- serrino SA di rosa! © RISE I e Vo A Infami' streghe! j ‘Perchè: ciò mi node PERMANE Avendo perduta la: voglia’ di vedere altre cosè, partii quell’ istessà "notte » DI) (Pp: 94.) Vba ) Questi curiosi imbarazzi' del povero conte hanno? tro- 343 Una vivace‘ cameriera inglese în spenser color di rosa! A ragione poteva impallidirne quel'galante spirito che era tanto bramoso di servire ‘alla coda dell’ esercito di Buovaparte in Egitto. Noî lo vediamoin questo pun- to spiccar tremante un salto all’ indietro f Ra ali ignorante ragazzetta: > | a Qual sipidbolsa ditutena selva - Ti appressa ; 0. qual: rinoceronte armato © O tigre iicana a-me' ti mostra; e'i inran “Miei nervi allor' non breriderahisò.. RIAD AI 15 (Se riveritasse il conto di parlar. -sul‘serio’ di un’sog- getto così ridicolo noi potremmo dimandare! al conte, dacchè l’Afiglofobia produsse un tale effetto! sopra i de- licati suoi nervi, quale ‘accidente’ lo indusse a lasciare i contorni' del Palazzo Reéile? Se inai egli leggetutto , an- che i fogli periodici del-suo proprio paese; ‘deve ‘aver saputo’ che ogni luogo del viaggio che ‘egli avea ‘inten- zione d’ intraprendere era giù: ‘stato contaminato , e reso indegno’ della sua grande ‘impresa ‘dalla’ ‘presenza di uo- mini noti solo; ma anche di donne ‘inglesi. Ma qui an- corà'abbiamo quello che i legali dicono unerrore di fatto* il conte Farbin né vide nè poteoa” !vedere' la! fa- miglia di Lord Belmiore giungere în ‘Tebe; poichè ‘in quel giorno istesso (13 di gennajo) in'ci Sua Eccellen- za arrivò a orafa egli st trovava . crei ib suo Sa “Off i { ì i LE vato: un Si mgloarersi critico taglie il adiaò laepidra P uso! introdotto idi soffrire chele cameriere ei de? ragazzette; di iscuolà se dla, passeggino in classica terra,, e disturbino l’antiquario nel-. le sue profonde ricerche: ed in un trasporto di stomachevole affettazione egli, si duole che tanti ‘suoi concittadin ini scrivano i loro nomi su i repertòrii ove “sì sfoga la follia, e ‘V’ègoismo dei “RROGIArOtE 3 Ovvero "sus i riogittrà di ‘polizia del coraninte. \ SITO GU) heal » 444. raccento, al Cairo .. Due servitori inglesi, una camerie- ra, due marinari addetti a all ‘jachet di sua Eccellenza , ed un arabo preso ad Eshè componevano l’intero cortegs gio di. Lord Belmore;. el due battelli ‘soltanto forma-, vano la formidabile sua flotta! Ghe il conte prendes-; - se il turchino per il color di rosa. non «deve, eccita- re molta sorpresa, specialmente; (se si consideri la sua situazione: che, ciò, gli sia accaduto,. possiamo: pren- dere sopra ;di..noi, l’.affermarlo,— £# nos. in Arca- dia. Ci è venuto fatto, di. scuoprire che quello;sper- ser.-colori di..rosa.,. che produsse, effetti così, impor- tanti sul destino del. conte ;; e privò ila Francia , ed il mondo ,.di quasi tutto. ciò che «egli; avrebbe veduto, era una pelliccia turchina pallida, non molto dissimi- le dall’abito esterno di una tur ca;}e molbizzioio a pres posito per chi viaggia in. oriente.| |: Mirto Ma.le,disgrazie non vengono mai, sole. Ad. acere- scere la sua afilizione nelle; fatali vicinanze di Tebe, egli scuoprì,, su,lajgamba della statua colossale, di, Mens; none, scolpito; il nome e la residenza in. Londra di, un oscuro, baronetto. iniglese soaccanto a quello di Cesare;, ma non. già,il. nome del general. Rapp, perché (siccome, il conte,; opportunamente. ci, assicura ) una veramente riservata \ambizione,; è modesta. Riservatezza e mode- stia associata al; nome di Rapp! Ma egli ha ragione; Ra ded < L PP a 5 to) 4 mi \Pppy . egualmentechè il suo signore, spendeva quei pochi mo- menti, di ozio, che im Egitto gli: rimanevano, nel, sac- cheggiare nello: scànnare i nazionali innocenti ;! otcu- pazione che'ad ambedue andava a genio più dell ‘incide- re i loro nomi sul granito. L° imperdonabile: egoismo. “del sig. Salt, che il conte, :con.la,solita. sua esattezza, nomina come persona incaricata di fare scoperte per la società degli antiqua- 445 rii di Londra, è V ultima sua invettiva di cui rendere- mo conto (1). Lo special delitto di cui viene aggravato questo signore è quello di far riempire lo scavo intorno alla parte più bassa della sfinge, che, lui soprintendente, era' stato aperto dal Caviglia; e di non aver perciò aspet- tato l’arrivo del nostro dotto antiquario ,, che avrebbe potuto intraprendere attive ed ardite ricerche capaci di spargere gran luce su la istoria delle artinèegli an- tichi tempi. ‘Sebbene il direttor dei Musici abisia! tuttii numeri per assistere a tali ricerche, egli però.ignora af- fatto la ‘natura della impresa . Se si fosse data la pena di domandarne, avrebbe saputo che il sostenere la sab» bia era difficile in guisa, che i lavori del giorno veniva- no sovente resi vani dal suo cadere durante la notte } e che in pochissimi giorni sarebbero stati ricoperti in mo- do da far riprendere al terreno quasi l’ antico suo livel- lo. Prima che ciò avesse luogo il sig. Salt procurò: che (1) Sentiamo che il conte Forbin è nuovamente andato,in, cerca di avventure in paesi remoti. Egli non ha in questa cir- costanza aspettati - i nostri consigli ; ma speriamo, di. essere. .in tempo di suggerirli, prima che id esse eseguisca la pubblicazio- ne, d’ interpellare qualche amico discreto, come prudentemente fece in altra occasione a Parma, ove avea ‘deliberato di stam- pare i suoi Viaggi in Sicilia. Questo amico avendo attenta- mente letto il suo manoscritto , lo scongiurò di non esporre il suo carattere alla censura del miude letterario, mentre da un’ uomo del suo rango e dél suo posto si sarebbe sperato qualche cosa che o alla istoria, o alle scienze, o all’ ante” concer- nesse* 7724, continuò r amico, /a vostra opera è bastantemente chiara e divestinte , e di altro non abbisogna.se non che di aggiungere pochi rami eleganti, e di sostituire al titolo attuale quello di Romanzo Siciliano , perchè divenga un libro ottimo per le signore. Secondo il concertato venne infatti quest’ ope- ra pubblicata come romanzo; ma crediamo che ‘non abbia fatta molta fortuna neppure presso le signore. 446 fossero ricavati esatti disegmi della base; della testa, del- le zampe, e che fossero copiate le iscrizioni sopra quelle scolpite ( vedasi il; nostro n. XXXVIII: p..409 - 416); ma avendo saputo, al suo.ritorno al Cairo, che gli. ara- bi, secondo il loro solito, avevano cominciato a distrug- gere; e.che le donne stavano rompendo alcuni frammenti onde portarli come amuleti o incanti, immediatamente spedì, di concerto col Caviglia; alcuni operai perchè sen- za indugio ricuoprissero il tutto , e facessero. ciò. che. i venti avrebbero effettuato nel corso di una settimana . Avendo in tal guisa salvato questo antico monumento, dopo attive ed ardite ricerche, è in facoltà del console francese di farlo nuovamente scuoprire , se i suoi con- cittadini non sono. sodisfatti della descrizione che di quello abbiamo loro già data . : Il posto che occupa il conte Forbin dovrebbe ren- derlo superiore a quei meschihi sentimenti di gelosia, che egli per ogni dove lascia travedere. Non può per avventura sperare di acquistar credito presso coloro che hanno buon senso , con le noiose sue calunnie contro gl’ inglesi. Noi però siamo pienamente capaci di difen- .derci da per noi; ma crediamo opportuno di fare, in ag- giunta, rilevare una vile ed irragionevol premura ( che .tale dobbiamo crederla ) di ssvisibiro le preziose fatiche di uno straniero non intrigante , unicamente perchè il caso ha fatto sì che egli sia assistito dal console britta- nico. Ed in vero, il conte in ciò non è solo; altri suoi paesani hanno esternato l’ istesso indegno sentimento; ed un loro giornalista , prima di noi, singhiozzando , esclamò che'è veramente penoso il pensare che tutte le scoperte del Belzoni siano destinate ad arrichire il museo brittanico . Ma la maldicenza, come sembra, non è la sola cosa n PEA 44] che il sig. Belzoni ha dovuto soffrire da questa irragio- nevole gelosia . Il sig. Drovetti console francese , ha, ce ne, rende consapevoli il conte Forbin, due agenti in Tebe; uno che è un mamalucco chiamato Iousef, in origine tamburino nell’ esercito francese; e 1’ altro che è un marsiliese rinegato per nome Riffo, piccolo di sta- tura, ardito, intrapendente e collerico, che percuote gli arabi perchè non hanno avuto nè il tempo nè il gusto d’ intendere il dialetto provenzale . É caduto sopra costoro qualche cosa più del sospetto di essere im- plicati in un complotto contro la vita del sig. Belzoni, a cui-non è molto fu fatto fuoco addosso di. dietro un muro, mentre era occupato nelle sue ricerche tra le rovine di, Carnac ; dove si sapeva che questi due com- pagni (si erano allora messi in aguato. L° affare è stato portato avanti la corte consolare al Cairo, e noi siamo persuasi che il sig. Drovetti , in ossequio del proprio carattere e della sua patria, non si mischierà della giu- dicial procedura, nè tenterà di sottrarre i suoi agenti al gastigo che li attende . Ma il sig. Belzoni avea commessa una a imperdonabi- le offesa. Un mineralogista francese chiamato Caillaud aveva accompagnati ale soldati arabi mandati dal pa- scià d'Egitto in cerca di smeraldi su le montagne che tra il Nilo ed il mar rosso.s’ inalzano. Al loro ritorno co stui annunziò ( siccome lo abbiamo saputo da un’intel- ligente corrispondente della gazzetta di Malta ) di ave- re in questa gita scoperta l’ antica città. dei Tolomei, la ‘celebre Berenice , il grand’ emporio dell’ Europa e delle Indie, della quale egli dette una magnifica descri- zione. Il sig. Belzoni, dubitando della esattezza del rac- conto, con uno di quelli che componevano la prece- dente brigata; partì da Edfoo per visitare la supposta 448 Berenice, ove, invece di 800 ‘case e di tre templi 4 come aveva assicurato il sig. Caillaud, non potè tro- vare 'più di'87° sparpagliate case ; 0 piuttosto celle , che le più non'erano maggiori di dieci piedî quadrati fabbricate di rozze pietre, e senza cemento; e l’ ùni> co vestigio di un tempio consisteva in una nicchia incavata nel: masso, senza iscrizioni 0 sculture di sor- te alcuna: hon vi ‘era terra atta alla cultura, e nem- mneno acqua nel circuito di 24 miglia; non esisteva comunicazione col mare ‘se non che per mezzo di un difficil ‘sentiero, che traversando le montagne si esten- deva per un spazio di 24 miglia; ed il lido ‘era per una estensione ‘di 20 o 30 miglia per parte talmente ingombrato di scogli sporgenti in fuori, che non vi era sicurezza alcuna neppure per i più piccoli'batelli; e molto meno poi per i bastimenti destinati a fare il commercio delle Indie. Le quali cose però lo resero pienamente certo, che questi'esser non potevano gli avanzi di ofenin Ma siccome il sito di questa‘ celebre città era stato esattamente descritto dagli antichi autori, il sig. Belzoni deliberò di proseguire le sue ricerche; e do- po 20 giorni; ‘egli scuoprì contigue al lido le vaste rovine di ‘un’ antica città vicina al capo Zepte Ex- trema, che oggidì Ras el Auf si ‘appella; il cui spor- gimento forma un’ampia baja ( detta ora baja Foul ), che nel fondo ha un porto eccellente per ‘i vascelli di ‘piccolo carico . Queste rovine, le quali, senza que- stione, son quelle del celebre emporio fondato da To- lomeo Filadelfo, erano per quattro giorni di cammino distanti dalle rozze celle degli scarpellini o dei mi- natori, che il sig. Caillaud , così stranamente ingan- nandosi, ha prese per i magnifici avanzi dell’ antica 459° Berenice : Molte ‘sorgenti di equa’ amara ‘furron- tro-* vate! tra' Me rovine s'e trd° queste: ede montaghe ! ‘esie steva' uîìat! ‘vasta’ ‘pianara | atta” alla‘ ‘coltivazione è (Si: colitarono i ‘vestigii» di più ‘di’ 3obo' case, ‘e quasi nel. certtò Udi queste!i eràno' quelli di 'uhn'tempio; ‘ove vedeansi scolpite five e geroglifici. Il solo tempio» cha ‘fabbricato di ‘pietra calcaria; ‘materiali! delle! case consistevane ii roccia e coralliboi ediin'alteis belli im- pietrimenti ; un mescuglio!di avanzi greciied'egiziani era degno di osservazione tra. le rovine tanto, del tem- pio, qualito. o delle. AO 5; droni ia Prima hifi nol Cessiama,; dii parl rlage del sig. 1 i faremo opportuna menzione, che avanti di abbandonar l'Egitto, egli fece un giro a EI Vah (i cespugli), l’Oasis 3 plerne p Egliltrovò, precisamente come Horne- mann, le cime delle montagne del deserto incrostate di sale;.e le sorgenti di acqua doleé clie.scatarivano; soprà unasswperficie\coperta' di.masse dirsale; conforme Ero- doto raccontato lo avea, son già 22 secoli. Trovò anco- ra gli avanzi di quell’ at che è stato preso per il tempio di Giove Ammone; ma i nazionali furono, così gelosi che on gli permiessero chi osservare: questa opera degl’ ‘infedeli ; tali si mostraronospure! ad Hornemanu: Il bel' ruscello di'acqua-dolce ;;la di ‘cuil sorgente ysicco- me fida! questo viaggiatoreo descrittà);;Jprende origine: in un'bosthetid.dî palme) ie/chelseppe: Brown:da Fuel abitanti essere dille: volte-fredda ied'ialle volte ‘calda; venne del pari! visitato dal sigo Belzohi }il/quale dice di. aver ricorlosciuta la perità dj quello:che!è: affermato da Erodoto cioè che questà: sorgente:@0caldaa omattina e: la. sera; nofto ‘più poi 0 ‘mezza’ notte sseuleddla alla me- tà del giorno. Egli si procacciòiuna quatività'dilquest’ac-| qua, che volle mandare a Loydra peviessere analizzata. Pf -IMarso 0 29 450, Se il sig. Belzoni avesse. avuto un termometro, avrebbe veduto che la temperatura, dell’ aria. erasi cambiata, e non quella della fontara, del Sole che, sempre, si. era mantenuta. l’istessa. Il fatto però; della: gran : mutazione, di temperatura nelle 24 ore, lo.che sempre, accage quan-, do si trovano strati di nitro, aggiunge uu. nuevo, esem- pio ai. tanti maravigliosi,. che della, minuta attenzione e della esatta: esservazione del più antico-e PEEpRIdA Bert». tore di storia profana sb adducono. .;; _.: pila jon N. B. "Sela sottoscriversi *| severo giudicio, del. si dirnalistà inglese, abbiamo data la versione del presente afticolo come saggio della nostra 'ipairzialità. 1 IL TRADUTTORE! | NI BITUS'O€ } 4 99 ì RO KIRS-O ID Li BELLE ARDA, Notizie intorno alle bol, arti, de lime "Ri penale Barone DI Rumonr., ‘tratte dal: Giornale tedesco: KunST-BLATT. i a ; 010 CISITIUDOLI @Ì ì NAf L SA: Ki Pia | Ni uesto: dotto..e.rispettabile uomo.dimora adesso in Firenze, dando opera. continua allò studiò, letterari io delle Ichi arti. Egli si era «proposto di: ‘compilare! una; nuova: storia: di tutto ciò. che«alle belle arti. pertiehe;.ma, pare:che sia alquanto sbigottito dalla Wastità. del suo:di- segno. Ed infatti. visi \dppongono: tanti astacoli., che,, siccome egli dice ; bisognerebbe l’aiuto di; più persone, a fine di superarli. Onde ha preso per, ;partito, di. giovare, al pubblico ;'facendo inserire alcune» sue. ossservazioni! nel giornale, Kiumst-blatt: E queste.noii tradurremo vos lentieri, dandogli: cosisanimo a continuare.’ opera sua, per nostra. istruzione. ;:, (hr 451 Antica > ritor di rilievo in » Silesvigo di Giovanni Buc- MANN. | ; NO AB TIT a IT Tonon posso: nomi mentovare: una: cosa; mirabile , che rinchiusa nella settentrionale Germania!,; come la perla:della favola, è nota a:pothi. Giò è l’altare posto nel'coro: della lattedirale: di Silesvigo, la cui rara bel- . lezzario conobbi appunto; quando: mi' misi: in viaggio verso l’Italia :«il quale accidente‘ è pur causa, che io priricipii di quivi il: mio discorso. Quell’ opera: mirabile dunque: fw fatta:nell’anno 1518 secondo l'iscrizione ap- postavi; e per tradizione sappiamo esserne stato (autore Giovanni Bugmann ‘d’Usaino (1), ma per collocarla nel convento allora ricco ie grande di Bordesolmia (2): Essa consiste d’un.Trittico:(speciè di tabernacolo) alto qua- rantotto piedi, colle’ qualità più: moderne della gotica architettura; e'con: ipiù spartimenti ineguali , , entrò cut si vedono’bassicrilievi intagliati nel legno di querce con somma: maestria: Quindi ne'pilastri som collocate figure ih piedi ‘e sì belle , che: niuno potrebbe desiderarle: mi- gliori.'E ppirdiatdbsali’ ampiezza’di quel lavoro ‘ed ‘alla perfezione :di'tutte le: sue parti; sembrami:che:Giovanni Bugmann”abbia meglio;di tutti!congiùnta la robustezza e l'indole! della ‘scuola tedescacolla naturale: apparenza’ e cow quello stile generale della»scultura ; che sempre è buono e'idbnteo;» Onde chiunquejabbia'occasione di ve- dere il sopra!‘detto ‘altare’, non la\trascuri; ed io qui non do’ più particolare descrizione, perchè gl’intagli del Bugmanh saranno in' breve pabblicati‘dal Bahmdel sil quale: Gottimo” ppi. Ud: Tifelsare: in' rame ad ‘ac- qua’ paia dla i i sii ARTT 38) Bordeshohn. 453 ; ; DIUTILÒ si ogsitia sh; o nuit Basso-rilievo di Pietro Viscurr di Ratisbona. ‘To mon! $6 sesgiusta: sia la tradizione:i in quanto cal nome ed alla: ‘patria di Giovanni! Bugmannz mavper rit. spetto alle' opére sue , eglirnon'è certamente inferiore a; Pietro Vischer ; Vea scultoree màtivo:di Norimberga; del quale‘i0'potei;conoscere;una'pocp; nota. scultura. in) bronzo, veggendola perfettaimente!copiata: dal sig. Vil der, giovane artista ‘pieno d’*ingegno.i Cidrè ib sepoloro; d’ una mercantessa' di panni ‘im Norimberga} eitrovasià, sinistra dellè altare «maggiore nell’antica!chiesa panroe-; chiale accanto al duomo della città di Ratishona. Nella) tavola è scrittò Vanndi 152.1), e vi &ibmonogrànmma:P. Vi. che;significa Pietro .Yischer. E secorido la'icopià: ida, me oedidta!) sembra nella, specie sua! [poco f inferiore al pui di Si Sebaldo che è ini Norimberga... (tirato “Mavragionando delle sculture | non posso: fasteniermi, dal ‘considerare; che. la Germania ini ;paragone dell’ Italia, ha un piccolissimo ‘inumero,di quelle , che.isì. collegano; colle memorie patrie pe;co/pubbliti, edifizif11l qual dari. no dobbiamowmiella inassinda parte attribuire! alla guerra. de’trent'anni se forse anicora a più antichia'hivolgimment - ti,.senza poterne;incolpare’ patticolarmente,î tedeschi ,, che hanno avuto sempre; ingegno: edrambne werso-le hel-, le arti: Bensì vihpi édoperato moltissimo. 1a; tr oppa vor glia d’irinovare-, senza! aver riguardo ‘allalstoria: il che, è durato duiganiente in Gehmania;; éda; breve tempo e. sotto! gli occhi miei; è dlicominciàta; pure, in Italia, e segue d'.infettare e nuocere. | Quante».sarebbe or facile, adornare di nuovo le case e i templi, e procacciare, a noi fama durevole, come un gran Principe ne ha dato l’ esempio ; ora che, all’ Alemagna non, mancana 493 ‘domini d’ ingegno! Non si accorgeranno dl Magmati no- ‘stri dell rate vedendo gli uomini dépio: tre 2 ioli en- ‘trar sempre con diletto in quelle sale che ‘Raffaello di- : ‘pinsea fresco! per Giulio: IT, oper Agostino Ghigi ch'era «solo un'ricco mercante; ‘mentre si} mutano e“rinnova- ‘no ‘dopo pochi anni perse le'modérne masserizie ancor- chè preziose ; i tappeti «dif rancia, le'hon' eleganti do- ralure ; € quanto altro ci viene dalla vana'e biasimevo- le moda ? Non'dovremmo' noi 'fondar monumenti!) che serbassero la' memoria del nostro buon gusto e:delle no- stre’ cognizioni prima che la presente civiltà declini ? Se Giuliò II non ‘avesse avuto gran desiderìo di fa- ma , ‘e senno je consiglio ‘da “conoscere ‘nelle prime opere d'un. giovane. ‘ciò che questi potesse fare all’av- venire; non avremmo noi forse le» ; pitture sublimi di Raffaello. Oggi all'incontro non soccorriamo, gli artisti , se not quando son già capaci di bene adoperare : ‘talchè molti i ingegni rimangono oppressi, 01 più belli anni sl consumano! tra'la ritalinconia e lè cure di riparare all’in- dieci 19: Absupad thg GI LOL { Mandscritto con miniature nua città di Monaco. ibra: al imper V ailibinkizei » Th Monaco‘; cia si dà ora tanta. opera alle belle &rti | sono ‘due oggetti principali che riguardano alla storia dell’Italia. 11 primo è un manoscritto del Deca- merone ; tradotto nell'antico idioma:di Francia, e tutto ornato di '‘nimiatàre da mano fiorentina: Si conserva nella re gia libreria in perfettissimo stato..E nelle minia- ture'si vedo belle. e vivaci figure, opere ‘id’ architet= tura nella/parte anteriore } e!paesi nella posteriore. Ma questi sembrano yedute di città ; di villaggi, e colline di Francia; e quelle opere d’ ae laiigitna i ed altresì le 454 figure pertengono, alla scuola fiorentina, secondo, .lo stile che essa adoperava dal 1470 .al.1500. Onde è uo- po presupporre che si ampio e ricco lavoro fosse. fatto da un fiorentino , mentre egli era in Francia: solendo «quivi, trasferirsi ppt tempo gli abitatori di Firenze, per desiderio di far nuove imprese. Ed io ho veduto in “questa ultima città molte belle miniature ; ma poche però simili alle. sopradette in tempo ed in bellezza. Il no- ame del pittore , per quanto :i0 ho potuto osservare; non è indicato nel manoscritto. Ma le. miniature! partecipa- no molto dello stile di quell’artista, che il Vasari men- tova sotto il nome di Gherardo Miniatore; e possono facilmente (appartenere ad alcuno di quelli , che sono mentovati insieme ; con Gherardo ; e contemporanei, benchè s'ignorino gli accidenti della:sua vita. Pitture di RarrAeLLO in Monaco ed in Firenze, . Il secondo oggetto relativo alla storia dell’ Italia ‘ trovasi in Monaco nella galleria de’quadri; ed è una sa, cra famiglia di Raffaello, in cui Giuseppe appoggiato ad un bastone compie il gruppo delle figure. Questo qua- dro è stato benissimo descritto dal Vasari nella vita di Raffaello, e con gran morbidezza inciso nel rame dal- l'eccellente artista e professore Hess. Ed è fama che tal. quadro insieme con un altro della galleria di Dus- seldorfio fossero dati in dote a quella Principessa Medi- ci, che intorno al.:1700 si sposò con Giovanni Gugliel- mo Elettore del Palatinato. Ma io non ho potuto certifi- care se il fatto sia vero. Nondimeno ,mi sembra che il quadro, il quale è in molti luoghi danneggiato, si con+ cordi al tutto co' tempi di Raffaello, quando egli era in Firenze. Li A 455 . Negli anni scorsi però fu'Iscoperta una pittura si- smile in’ Firenze, la quale ‘il; marchese Carlo Rinuccini per fortunato accidente comprò con grossa somma di denaro. E l'abate Lanzi, ed ? muovi pubblicatori del Vasari, non solo ‘hanno ‘tenuto questo secondo quadro er véra e'schietta apera di Raffaello;nîa si sono altresì foridati nell’iscrizione ‘numerica ivi dipime; e riguar- dante ‘a'tempi posteriori, per dichiarare falsa l’asserzio» ne del ’Vasati', il quale dice, aver Raffaello tal quadro fatto in Filtenke per’ Dorignico Canigiani: quantunque il Vasari dovesse ben sapere ‘questo 'ultimo accidente, poi- chè al tempo suo era sempre il quadro suddetto appres» so'il figtio del: Canigiani medesimo: Qual’è dunque di questi due quadri il vero origi- nale? In Firenze tutti i conoscitori ‘di ‘professione giu- dicano in favore di quello del Rinuccini, senza però averlo paragonato ‘con altri. Ed io essendo con gran fa- tica giunto a poterlo bene ‘e’ lungamente osservare, vi ho scoperto più segni d’una diversissima scuola. Tu un lembo della ‘veste della Madonma leggesi: A. MDXVI. DIE XXVII. MEN. MAR. Ed in questo tempo Raffael- lo viveva! Ma guardando nel quadro, nasce Ja congettu- ra-che l’anno e il mese indicato non possono essere nep- pure il ‘tempo, in cui fu fatta questa copia: imperocchè io per tale la giudico, e credo che la'copiasse alcuno de” successori 0 imitatori di Michelangelo nella scuola fio- rentina, fondandomi ne’ seguenti argomenti. Si Load al tutto ‘col primo stile di Raffaello la regolare disposizione delle testé degli Angeli, che cir- gomito il capo di S. Giuseppe nél quadro di Monaco: poichè quantunque sieno state quellé teste già da più che cinquanta anni cancellate ‘a posta colla pomice, so» no però visibili per l’impronta restatavi de’ contorni, e 456 x assomigliano; 1 in. tutto ‘alla)Gloria d>una, mediocrissima copia di questo medesima; quiadro che è è. nella | sagrestia ‘(della chiesa di.S. Frediano in, Firenze. Ma chi ha co- piatò: il quadro (che \è in (casa; Rinuccini, ha! disposte quelle teste angeliche ii in gua modo, al ‘tutto diverso, cioè , più:moderno , e;come Raffaello gi non, concepì; con nuvole frammiste, ed anzi. con un gezio di (più , che il copiatore ha; levato. dalla Galatea di Raffaello per met- terlo;in fun angolo ;del celo ‘nel ‘sopradetto,, quadro . I quali cambiamenti; ghe il copista credè leciti e idonei, - -oppongonsi del tutto AJO: stile, allo spirito , ed al gusto .di Raffaello. bea: LE ri ri Quindi in iscambio del paese. semplice ed i inve- ro raffaellesco ,! com'è; nel. quadro «di Monaco, vedesi nell'altro una montagna di forme : dentate ‘ed. alpine . Ove pure-in luogo, dell’ azzurra, nebbia, che ben, ri- trae la lontananza,, vedesi un’ aria trasparente e ver- dastra . L'una: e, l’ altra| delle quali cose. fa. presup- porre, che il quadro .del Rinuccini sia opera. d’ uno di que’ valenti artisti, de’ .paesi-bassi,, che ‘vennero in Italia tratti dalla fama di Michelangelo P Ed inoltre tutte le, teste, del ; gruppo, principale .SOno Meno espressive ;e, meno animate, che , non. nel quadro, di; Monaco : il, nudo è ne’ bambini angolare e di forme troppo, sporgenti: la piccola piega della xossa ‘veste .della, Madonna non è ben collocata come nell’ originale, che anzi vedesi inconsideratamente trasposta : ed in fine se. guardiamo al manto. della stessa figura, benchè ‘in moltissimi luoghi sia ridipinto dal restauratore, non sembra essere stato mai colorito coll’oltramarino, ma, col comune AZZUurTo che mai non trovasi ne quadri di Raffaello . Del rimanente io non voglio togliere al, quadro del Rinuccini nè il suo va- 457 lore, nè la sua bellezza; e rimetto volentieri i leg- gitori al Vasari ed al Tonin che Hanno: intorno a ciò ragionato . > Che se la maggiore bontà ‘ del Pet di Mona- co non si volesse .pur riconoscere, si resterebbe non- dimeno in dubbio se quello del Rinuccini sia la pit- tura originale ; poichè non si concorda con quella co- pia che è nella sagrestia di S. Frediano, la quale è fatta al certo con'ogni esattezza, beitokiti non sia he- _ne dipinta. Onde la probabilità d’ essere originale pertiene a quel quadro, che ha le figure animate, e tutte le parti con maestria dipinte: per le quali cose non è restato a me. alcun dubbio intorno all’origine vera della sacra famiglia che è in Monaco. Sono poi adesso in questa città .quadri di Raf- faello, secondo le principali varietà del suo stile. Per rispetto alla maniera con cui dipinse quando egli era in*Firenze, vi è il quadro sopra indicato. Della scuola sua ,;quando passò in Roma, .vi è la conosciutissima testa che era nel palazzo Altoviti, e di cui pubbli- cherò le autentiche prove. subito ‘che le avrò. rice- vute. E finalmente ha il Principe di Baviera com- prati due quadri che erano parti delle pitture d’una predella d’ altare, i quali da più secoli appartene- vano alla famiglia Inghirami di. Volterra, e sono dello stile di Pietro Perugino, ma pieni di quell’ ani- ma e grazia che distingue le opere giovanili di Raf- faello da quelle del suo maestro . Oltre a ciò io vidi in ‘casa del conte Carlo Re- chberg due quadri ; che ‘già da . lungo tempo erano assegnati: a Raffaello. L'uno rappresenta / amor ma- terno, e pare, essere quello stesso quadro che innanzi Je ultime rivoluzioni tenevasi per opera di Raffaello 458 nel palazzo Borghesi in Roma; e che non è. certal mente indegno di appartenere alla sua scuola. E l'al tro rappresenta Cristo che porta la Croce, che io non ebbi opportunità di paragonare col rame del Cro- zat. Nondimeno m'induco a credere che ciò possa essere uno de’ tre piccoli quadri, con cui Raffaello nella sua seconda gioventù adornò la predella dell’ al- tare appresso le monache di S. Antonio in Perugia : i quali quadretti erano di niano in mano pervenuti nella Galleria del Duca d’Orleanse; quando il Crozat ne trasse i disegni per intagliarli nel rame... Considerazioni intorno all’ architettura fioren- tina, ricorrette in alcun luogo per consiglio dell’ au- tore medesimo, Barone di RumoHr. Dopo: dieci anni d’assenza ritornando io nell’ au- tunno del 1816 in Firenze, trovai questa Città mol- tissimo rinnovata. E mi piacque invero, che molte casupole insignificanti e cattive fossero state con or- dini migliori ingrandite : ma come avviene ‘in tutti i luoghi ove non sia un consiglio pubblico d’ archi- tetti per raffrenare i muratori, ancor qui ho veduto che le innovazioni non sempre tolgono via il cattivo, ma levano spesso o deturpano il buono. Impercioc- chè molti edifici, che avevano proprie qualità se- condo 1’ architettura fiorentina moderna, o secondo quella del medio evo, sono stati alterati, divenendo sì più puliti, ma nel medesimo tempo meno regolari e del tutto comuni. E vedo pur sempre continuar l'abuso d’appianare il rustico de’. piani terreni e gli stipiti delle porte e delle finestre; coperte altresì le mura con intonaco o colori, benchè sieno fatte 459 di pietra .0 di ‘altri buoni materiali! Nè (io. biasimo Ja pulizia ve l’idoneo innovamento, che sarebbero ne- «cessarii in Germania «ed ‘anche in Italia, per rendere delli e piacevoli quegli edifici, che non hanno buo- ‘na costruttura . Ma ciò mon dovrebbe estendersi a quelli che sieno ben qualificati. E se fosse uopo re- staurarli o accrescerli per qualche loro lesione o per ‘bisogno degli abitatori, è facile accomodare le nuove «parti alle antiche : imperciocchè 1’ arte. di mantener gli edifici non già consiste nel togliere ad essi le pro- prie e buone qualità callo searpello e coll’ intonaco . La consuetudine di lisciare e lustrare le case, qual’è in Toscana più .che nelle altre provincie d’Ita- lia, fu qui senza dubbio da’ tedeschi e lorenesi intro- dotta dopo l’.estinzione della medicea famiglia. Ed a questo uso; che non è biasimevole quando sia bene ‘applicato , si aggiunse pure l’ esempio de’ muovi Gran- duchi ; invogliati sempre a edificare con lodevole effet- to. Anzi vediamo qui al. presente non solo archittet- tura ma tutte le belle arti promosse da S.A. I. e R. Ferdinando III., il quale fa ornare e ‘dipingere le nuove stanze del palazzo Pitti, adoprandovi con larghezza di premio i buoni artisti della Toscana. Ma quantunque si facciano tali opere nuove, e ben- chè si alterino le vecchie , nondimeno le vestigie dell’ antica architettura fiorentina non sono ancora spente : imperciocchè oltre que’ magnifici edifizii che sono co- nosciuti per le stampe , veggonsi tuttavia nell’interiore | parte di Firenze moltissime case, in cui non è finestra, nè cornice, nè altra parte elegantemente ornata, ma che pure sono piacevoli a riguardarsi per bontà delle loro ottime proporzioni ‘e della loro costruttura ; la quale si conosce subito esser durevole e soda. Onde mi:sembra 460 opportuno il disaminare eziafidio questi edificii ) @me- | ditare delle cagioni in che si fondasla buona loro: appa ‘ renza:.massime perchè in tal manierapuò essere impe- dito il progresso della nuovavarchitettura ;; che intende ‘solo a ritrovare buoni ornamenti; i quali pur non; mi- gliorano mai. un cattivo edificio ,. e. sovente interpon- gono ostacoli, dove non sieno adoperati con assoluto bi- sogno ; come. facevano gli antichi, e da cui sogliono al più derivarsi. Per la qual cosa udiamo spesso dire;; Dr ‘non si può usare niuna architettura i in certi ;lavori;. secondo le consuetudini .d’ un paese : il: che: dini mente: significa, ‘che gli architetti miòn possono mettere in opera la provvisione da: essi fatta di‘ordini di colonne e di altre:qualità consimili. Ma comunque, l’ architet: tura si.fondi meglio all’ avvenire, pigliando i suoi orna- menti da qualsivoglia; esempio; «dee procurar. dapprima il convenevole, il. solido e il.bello nelle generali propor- zioni di quelli edificii ;; che i k bisogni: del tempo ‘e del luogo di necessità tichioinne. {Edin tal modo erano le più delle suddette case fiorentine ; che. noi: dobbiamo ‘assegnare alla fine del decimoquarto secolo,. 0. poco in- nanzi; e che furono per così! dire: precursori della scuola fondata in Firenze. da Filippo Brunelleschi. Una robu- sta costruzione mediante. ;il. rustico degli archi, delle porte e delle finestre, o mediante una semplice! cornice sopra ogni piano: sono il loro: solo ornamento, in. cui si vede non di rado una lieve traccia, del così detto gotico o tedesco stile. E!fin d’ allora erano; determinate le re- gole in quanto è alla proporzione de’ piani; ed alla gran- dezza e reciproca distanza delle porte e; delle finestre; sicchè Je moderne scuole non si sono da ciò, essenzial- mente dipartite , benchè abbiano variato la maniera glell’ ornare . Nè sarà diflicile agli architetti ,. che, viag- 3 i ui ao 461 pi; giando vengano,in Firenze , il ‘riconoscere le ‘indicate case che ‘per tutta la città sono sparse ; e che isieno: solo per:metà rinvovate : e gruppi di simili case mantenute nella prima forma si trovano intorno alla Chiesi ra I ed.all’ Arco dé Peruzzi. sù )\xteJue opere di Filippo Brunelleschi listing lo sti- le.gotico dall’ Italia-,verso la metà del decimoquintu se- colo ; ma questo avvenirneuto! non fu del tutto nuovo , come se non 'l’ avessero precedenti; cause apparecchiato e. promosso. Infatti l’ ‘architettura ‘gotica non inise mal, nell’ Italia schiette e, pure. radici.;, si;perchè le si. oppo- neva: la naturale consuetudine delle italiche provincie; e sì; perchè la rimembranza delle antichità. romane oc-, casiongva, massime ne’ Templi, ùna continua e discor- devalé commistione di opere dissimili. Onde non è ma- raviglia;, se.gli scrittori italiani celebrano..con, somme lodi il,risorgimento d'un’ architettura più convenevole al loro paese , e.se dicono quanto posson: male. dell’ ar- chitettura tedesca , la quale!si è finora adoperata sola e pura in: Germania con qualità sue proprie e. distinte. Bensì dovremmo maravigliarci, che l'architettura del Brunelleschi, la quale trasse le più delle.sue parti dalle antichità !romané-,i piuttostochè in Roma javesse -princi, pio in;Firenze, dove. allora quasi non erano antichi.edi- fizi. Ma tralasciando anche le cause che particolarmente in Firenze davano isì; grande, animo e movenza alle cose del; pubblico: fu il,Brunelleschi indotto;alla nuova ma- niera di costruire !npn solo, dali guardare «e, misurare , com’ ei fece , le opere antiché in Roma ;i quanto ‘altresì dal vedere.i già fatti tentativi per accomodare le regole degli antichi .a’ nuovi{bisogni . Imnperocchè lion è due biò che i fiorentini. non: ‘abbiano avuta ‘un’ architettura loro propria anche innanzi a’ tempi del. Brunelleschi : 462 essendovi , come ora vedremo; uni "architettura fiorens tina antica ‘ed’ una moderna . ll. “gen Già dall’undecimo'secolo il piccolo e e:ristretto comus, ne di Firenze, edi monaci edi nobili:de’ vicimicontonniy impresero a fare scolpire in marmo ricchi! cornicioni; cà- pitelli , e cornici secondo 1 uso de’ romani; ordinando queste parti simmetricamente e con’ determinate’ propor- zioni per rispetto?a tutto l’ edificio. E quantunque; sic- come è da presupporre , non bene applicato fossero le regole dell’ anticwarchitettura in que” primi ‘operaio nondimeno: è cosa maravigliosa:che in que’ tempi cer: cassero la corrispondenza e la simmetria di tutte'le par ti; ed è ancora più mirabile che si studiassero di ripro- durre il rotondo; il rilievo, e 1 incavo, imitando gli ‘or- namenti delle romane sculture ; mentre'ne” secoli ante- riori sgrafliavano ; per così dire , nel marmo, inciden= dovi le immaginate figure senza rotondità o rilievo . Onde per queste ragioni poterono i fiorentini rinnovare l’ architettura nonostante la loro mancanza di antichî monumenti’; e poterono acquistarsi uno: stile proprio , percliè non ebbero occasione di mischiare 1’ antico col nuovo , siccome accadde in Pisa ove essendo gran copia. di colonne e di ‘altre parti architettoniche, ivi dal di fuo* ri trasportate ;'‘e volendole mettere in» opera’; non ‘fu possibile collocarle' con simmetria ‘e ‘proporzione .. Al che però dobbiamo‘aggiungere che 1 fiorentini trovarong i-modi nuovi mediante la loro sagacità naturale: per» cui ‘hanno: meritato vi luogo RI nella: moderna storia ‘delle belle‘arti. î) Molte opere dell’ antica architettura fioreritima” sot. no state distrutte: ne’ sette secoli percorsi! dall’ ammo: 1100 in poi mediante il‘desiderio non'interrotto di ‘edi! ficare e-d’ innovare , come accadde' alla chiesa di Santa: 465. Reparata ch’ era il Duomo antico di Firenze. Ma una parte di questa chiesa rimaneva tuttavia nell’anno 1406, im cui il nuovo Duomo non era ancora compiuto; tantochè Lorenzo di Bicci la ricopiò in quel tempo nella parete esteriore della chiesa di Santa Croce: sotto i portici del chiostro , ove dipinse a’ moraci tutta la piazza del Duomo. E questa pittura, benchè nom'abbia buona prospettiva, e sia inoltre. molto danneggiata, nondimeno può significare qual fosse quell’ antica archi-. teltura ;.se ; com’ è giusto , noi deduciamo tutto il di- segno , ossia le altre parti oramai sfigurate j da quelle che sono sempre visibili . Quindi possiamo dal racconto degli antichi scrittori inferire, che fosse in tal modo eziandio:architettata la chiesa parrocchiale di iS. Pietro in Scheraggio , di cui si fa spesso menzione nelle sto- rie della repubblica di Firenze , perchè vi si facevano: i fiorentini consigli : e certo è ;\che si conserva ancora un monumento ragguardevole; cioè il pulpito che era in quel tempio ; la cui scultura ed i cui ornamenti ar- chitettonici rispondono del tutto alle consuetudini fio- réntine dell’ undecimo secolo. Questo pulpito fu por- tato , ed è sempre, nella. chiesa di S. Leonardo fuori della città, quando Pietro Leopoldo costruì un pubbli- archivio sopra i resti della mentovata basilica j e ‘secon- do le antiche tradizioni , era stato trasferito in Firenze dal Duomo di Fiesole nel 1010, quando presuppon- gono che fosse quella città saccheggiata e distrutta. Ghe:se potessimo certificare tale tradizione , ‘avremmo nel suddetto pulpito il migliore ‘esempio d’un orna- ‘mento: d'architettura: anche per tempi! più antichi. Ma noi andiamo sul sicuro, concludendo che quel pul- | pito indica il modo con cuî nell’'undecimo'setalo ador- 464 navano una chiesa , che era cento allora fra le sabrleggiò pali parrocchie . OLi'i - fic dito b . Del. resto. noi abbiamo dat significanti e ben con- servati edifici per determinare con . certezza .il tempo ' dell’ antica ‘architettura fiorentina:;; e questi sono! la: chiesa di S. Miniato a Monte in sulle colline dî Firenze ‘ fuori della città, e la chiesa collegiata di Empoli; gros-; sa terra situata a diciotto miglia da Firenze nella via! che mena a Pisa: ciascuna delle quali chiese rafferma ciò che l’altra dimostra. San Miniato a monte:è umanè tichissimo convento. E la sua chiesa fabbricata: secondo? il disegno delle romane basiliche, ha nel di dentro molti » capitelli antichi di diverso ordibe e grandezza; intanto-. chè le mura laterali si vedono al.di fuori costruite di pietre irregolari e solamente sgrossate ; ed im queste mura sono ie pietre lunghe ed: ‘anguste : tutte: le quali cose-indicano essere il corpo della chiesa: antichissimo, sictome gli storici eziandio manifestano (1). Quindi sono nella: medesima chiesa una facciata composta di. mar- mo bianco e nero suna stristia di. mosaico sul pavi» mento dalla porta di mezzo fino-all’altàr maggiore, led un coro rialzato.con balaustri e con mura rivestite ; di marmo : le quali cose avendo qualità più comuni,‘e non! essendo del. tutto necessarie .all’ edificio ;. furono più tardi compiute che non il suddetto corpo della chie- sa.,E poichè si hanno autentiche! notizie , che Eh- rico Il..soprannominato iZ Santo facesse riedificare quel. caduto.convento ; così alcuni assegnano ,, e non. sen-) za ragione ;, i, mentovati \ abbellimenti a° tempi di, questo imperatore, 0 poco dipoi. Infatti. si. scorge © vado el ABETE tft il {1) Vedi nel.Manni, Dom. Sigilli , tom. 9. 465 una gran somiglianza tra gli ornati e gl’ intagli che sono nelle suddette parti aggiunte alla chiesa, e quelli che vedonsi nella coperta d’ avorio de’ messali d’ Enrico II. , i quali dal tesoro del Duomo di Bam- berga sono stati portati nella regia libreria di Monaco. Ma io non voglio giovarmi di questo accidente; e più volentieri fonderò il discorso nella iscrizione , che sola è nella chiesa . Posta essa nella striscia di mosaico, è segnata dell’anno 1107. Il che invero dinota soltanto quando fosse il pavimento compiuto; ma pure dà altresi prova sufficiente a stabilire il tempo delle altre parti dell’ edificio. Imperciocchè le qualità di quel mosaico indicano essere stato fatto ottanta anni dopo il tempo, che suole assegnarsi al principio della fabbrica: ed è inoltre cosa naturale ,: che : essendo questo ornamenta meno essenziale , e più esposto a’ danni mentre i mu- ratori Lara: fosse perciò impreso s9p0 la costru- zione della fit e'del coro. Dello stesso genere , anzi dello stesso disegno è la facciata di marmo della. chiesa collegiata d’ Empoli; nè differisce da quella di S. Miniato a Monte, se non in quanto tutte le parti. sue veggonsi impiccolite. Quivi però non obliarono gli operai di segnare i loro nomi in- sieme col tempo della fabbrica , siccome leggesi nella iscrizione che sopra il primo ordine delle colonne è in- cisa nel fregio dall’ una all’altra RIPA e di cui sa- n9 av le ng parole: ÎIOC OPUS EXIMII PRAEPOLLENS ARTE MAGISTRI BIS NOVIES LUSTRIS ANNIS IAM MILLE PERACTIS AC TRIBVS EST CEPTUM POST NATUM VIRGINE VERBUM . Onde OTT sotto il nome di /ustro non si può TI: Maiz 30 466 intendere più che cingue anni, e neppure di meno in questo collegamento di parole; così ne resulta l’ anno 1093 (4). Talchè abbiamo certezza, che il suddetto modo di fabbricare e di ornare risavasi nel distretto di Firenze alla fine dell’ undecimo secolo . Ma ogni specie d’ architettura , che assuma qualità proprie e distinte , occupa un intervallo di più generazioni: non potendo nascere, fiorire; e dicadere; durante la sola vita d’un uo- mo . E verso la fine del duodecimo secolo era già prin- cipiata in Firenze una nuova maniera con qualche ten- denza nel così detto gotico stile, adoperando cioè svelte proporzioni con mantenere gli archi tondi ; siccome di- mostra la facciata di S. Stefano a ponte. Quindi ; do- po il 1225, la matera gotica divenne comune ; veden- dola noi manifestamente in molte chiese parrocchiali e conventuali . Sicchè dal 1093 in poi non resta che poco tempo alla consuetudine dell’ architettura fioren- tina antica ; la quale pure ebbe non picccola durata , poichè RITA monumenti ce la rimembrano: sem pre . Onde bisogna di necessità trasferirne l’ origine in- nanzi al 1093. Ma la generale decadenza delle provin- cie sotto i Lombardi ed i Franchi, e il vedere nel tem- po del loro governo molti monumenti informi , come è per esempio il partico del cortile laterale di Santa .Fe- licita in Firenze, c impediscono, l’andare oltre il 1000 Dunque si può concludere! se non con! certezza, alme- no in approsimazione del vero, che quell’ arte di fab- bricare e di ornare , bene scelta secondo gli accidenti , durò dal 1000 al 1150. Il che viene in certo modo raf- fermato dagli edifici che nella medesima età si fecero (1) Si noti però, che la fabbrica è stata. risarcita nelle parti superiori all’ iscrizione . 467 in Pisa ed in Lucca, ed il cui tempo è in molti cono, sciuto ; stantechè hanno alcuna qualità comune con quelli, pertinenti alla suddetta architetiura fiorentina, cioè l’ordine inferiore delle colonne appoggiate al muro. + Oltre i suddetti edificii abbiamo però anche i se- guenti monumenti dell’ antica architettura fiorentina. Il primo è nella Badia di Fiesole. Quivi è stata amplia- ta la chiesa, ma per amore alla sua antichità vedesi ben _conservata l’antica facciata in mezzo della nuova ri- cresciuta . E non dissimile a questa, benchè più picco- la, è:;la facciata della cappella di S. Salvatore, perti- iii al palazzo. arcivescovile di Firenze. Ania di- poi quel portico , che è composto di colonne staccate e non già appoggiate al muro, e che fu da gran tempo trasferito e collocniaza in Santo Iacopo sopra Arno ; il quale benchè sia forse un poco, più antico, debbesi non- dimeno assegnare generalmente a quella scuola che stu- diava nella simmetria e nelle proporzioni . Ma più del- le altre corrisponde alla facciata di S. Miniato a Monte tutta la parte esteriore del presente Batistero di, Firen- ze, cioè del tempio, di S. Giovanni.; la quale il Vasari attribuì con troppa facilità ad Arnolfo di Lapo, nella vita di questo architetto. Infatti Arnolfo cera. come tutti. 1 suoi contemporanei un architetto gotico ; nè è cosa verisimile; che egli volesse, far risorger quell’ antica architettura già da lungo tempo dismessa, e che per.imitarla si astenesse al tutto dalla propria ed allora usitata maniera. Ma questa difficoltà non ha bisogno di ulteriori dichiarazioni, essendo manifesto che il Vasari ha preso tali notizie, senza troppo disaminarle, da Gio- vanni Villani. Questo fiorentino storico, quasi coetaneo d’ Arnolfo, dice solamente che furono da lui restaurati e coperti di marmo bianco e nero i pilastri di S.. Gio- 468 vanni ; con che debbonsi intendere i pilastri ad angolo ottuso ne’ cantoni dell’ottagono, i quali erano prima di mattoni, e furono poi/da Arnolfo rifatti di gheroni, os sia di grossi e triangolari pezzi di marmo. Le quali. parole del Villani non sono più invero applicabili al- lo stato presente di quel tempio, stantechè i pezzi di marmo vi si vedono l’ uno all’ altro aggrappati ‘ad ‘an- golo ottuso, ma non sono però adesso triangolari . E co- munque fussero da principio, sembra altresi che il Vil- Jani riguardasse quella viziosa costruzione come un'in- gegnoso rimedio adoperato dall’ architetto, intantochè egli usa le parole formali rifece di gheroni ec. Imper- ciocchè era pur difficile il congiungere durevolmente negli angoli ottusi de’ pilastri le tayole di marmo e pia- ne, con cui tutte le mura si veggono coperte. E forse perciò avevano i primi architetti lasciate quelle parti nude , finchè non venne ad Arnolfo il pensiero di so- prapporvi que’ massicci gheroni, mentre ricopriva di tavole di marmo anche il tetto della chiesa. Io deggio però manifestare , che la suddetta interpetrazione del- le parole del Villani mì è stata conferita dal signor Vincenzo Follini, bibliotecario della Maglia hechisdaii in Firenze ; il quale meditando nel vocabolo gheroni, e vedendolo appropriato a que’ pezzi che si aggiungono alle vesti talari, e che si tagliano sempre di figura trian- golare, ne ha dedotto il vero senso per rispetto al Vil- lani, che non era stato mai inteso da alcuno nel. luogo sopra mentovato . Ma tornando all’ antica architettura fiorentina, poi- chè descrivendone gli edifizii si può far nascere diverse opinioni intorne ad essa , così rimetterò i leggitori alle copie che abbondantemente discorrono per le stampe . San Miniato a Monte è inciso-in alcuni rami francesi: 469 ma ciò non toglie il desiderio di vederlo. ripubblicare dal signor Manini: nativo di Berlino, ottimo disegna- tore, e giudizioso architetto ,.che ha già fatto belli e eopiosi studii in Firenze , e massime nel tempio surri- ferito . La chiesa di S. Giovanni è stata più volte, ed in tutte le grandezze, stampata; ma sempre male o mediocremente. E del resto ,. che queste opere servisse- to di norma e d'’ incitamento al Brunelleschi per ritro- vare la nuova architettura fiorentina , lo indica pure il Vasari, dicendo che il Brunelleschi nell’ edificar le chiese pigliò a modello la graziosa Basilica degli Apo- stoli in Firenze . Della quale basilica, che senza buone ragioni sogliono assegnare a’ tempi di Carlo magno, non ho io fatto prima menzione, e non l’ ho neppure connumerata fra gli edificii del secolo undecimo; perchè, il vedere le proporzioni e gli ornamenti quasi all’ uso antico nelle colonne e ne’ capitelli, può indurci a pro- babili congetture ma non a piena certezza . Inoltre un anonimo contemporaneo del Brunelle- schi scrivendo la vita di questo architetto (1), e men- tovando gli edificii che il Brunelleschi disegnò e co- struì prima: d’ andare a Roma, soggiunge : ,, e quivi sì. può vedere ancora che , in quanto a’ conci (2), quello che s’ asava a’ suoi dì, e’ non gli piaceva , e non vi po- teva stare su, e però gli usò altrimenti; e quel modo, che prese poi , non sapeva ancora , che lo prese poichè ‘egli ebbe veduto i monumenti antichi de’ romani. ,, (1) Questa vita di Filippo di ser Brunellesco scritta da anonimo contemporaneo , fu pubblicata dal canonico Moreni in- sieme colla vita del medesimo architetto scritta da Filippo Bal- «dinucci , nel 1812 in Firenze. Ed il passo citato è nella pagi- na 295. di detto libro. (2) cioè ornamenti . 470 Quindi racconta (1) il medesimo anonimo che il Bru-: nelleschi fece wna pittura a similitudine del tempio di fuori di Santo Giovanni di Firenze ; la quale pittura benchè sia dall’ anonimo indicata sol per ri-. spetto al disegnare con buona prospettiva, che il Brunelleschi lui proprio mise innanzi ed în atto; non- dimeno è altresì una prova che il tempio di:S. Gio-. vanni attirò l’ attenzione di quel giovane artista. E cer-; to è che gli edifizii fiorentini dell’undecimo secolo erano al tempo del Brunelleschi apprezzati e studiati dagli arti- sti; come si dimostra mediante un libro di disegni fatto dal Ghiberti, il quale si conserva mella Magliabechiana sotto il titolo Codice 2 palchetto 7-In questo libro, di cui Lorenzo Ghiberti disegnò e scrisse poche pagine, vedesi di mano non sua; ma al certo quasi tanto antica, lo. sbozzo d’un disegno della facciata di S. Miniato.a Mon- te. Ma è inutile addurré queste ed altre ragioni; poichè nelle opere del Brunelleschi si riconoscono sempre le vestigie dell’ architettura fiorentina antica, quantunque egli migliorasse l'intelligenza sua nello studio delle an- tichità romane. Archi sopra le colonne: architravi rotti ad angolo retto , e perpendicolarmente in giù protratti:. e finestre di chiese , i cui stipiti seguitano 1’ arco supe- riore che gli chiude: sono tutte qualità, che non hanno esempio negli antichi edificii della Grecia e di Roma, e che il Brunelleschi tolse piuttosto - dalle. opere sopra indicate . A. B. (1) pag. 297. | 471 SCIENZE NATURALI FISICA Pensieri intorno alle cause dei principali fenomeni naturali, e specialmente dell’ attrazione , nati al- l'occasione dei singolari fatti osservati dal Prof. OerstED di Coppenaghen. Li storia delle scienze e dei loro progressi , ordi- nariamente lenti è graduali, presenta di tanto in tanto alcune epoche luminose, nelle quali esse, quasi sde- gnando il loro passo ordinario, spiegarono un volo fran- co ed ardito verso la conquista del vero. Foriera di tali epoche è stata spesso la scoperta di qualche fatto; sem» plice per avventura in sè stesso, ma sommamente fe- condo di conseguenze e d° applicazioni Fra queste epoche sarà nei fasti delle scienze fol che sempre memorabile quella, in cui il celebre Volta, in seguito delle semplici ma interessanti osservazioni del Galvani, imaginò il suo elettromotore, nel quale ia fisica e la chimica hanno trovato un prezioso strumento d’indagini e di ricerche importanti. Per esso il così detto fluido elettrico, uno dei: più grandi agenti della natura, lo è divenuto pini: dell’ar- te, o piuttosto della scienza indagatrice gli arcani del- la natura . } Già da qualche tempo si erano anche, Leghidia fe molte utili cognizioni intorno ai fenomeni della luce e del-calorico, che si sono in seguito estese. Bensì un'altro essere (il magnetico ) non meno fugace di quelli, e d’essi più destro a nascondere la sua da > indole ed il suo modo d’agire, lasciando sospettare da un lato qualche relazione di natura con essi, e distin- . guendosene dall'altro per alcune proprietà singolarissi- me, aveva esercitato con minor frutto l'ingegno e lo stu- dio Giai fisici. =“ Sentivano essi generalmente che una rviglior co- gnizione della natura e del modo d’agire di questi esse- ri importanti solleverebbe gran parte di quel velo, sotto cui si ascondono le cause dei più generali e più impor- tanti fra i fenomeni naturali. Tale era lo stato delle scienze fisiche qualido nel settembre 1820 il Prof. Oersted di Coppenaghen an- nunziò che un ago magnetico avvicinato ad un filo me- tallico, che congiunga i poli dell’apparato elettromotore, mentre resta nella sua natural direzione .posto ai lati. del filo, o in uno stesso piano orizzontale, ne devìa di. molti gradi o all’est o all’opest se si appressi al. filo. 0 sotto o sopra di esso. ) Quest evidente influenza che la causa dei figgome- ni elettrici esercita sopra i magnetici è sembrata gene- ralmente così importante, che ha richiamata l’attenzio- ne e provocato lo studio di tutti i fisici. Così non solo si è acquistata la cognizione d’ rt fatti, ma si sono anche udite proporre aliine congetti- re circa la natura ed il modo d’agire respettivi di ciò che si chiama l’elettrico éd il magnetico. Io stesso, non estraneo. al movimento impresso. alla scienza, mentre unitamente ad altri cultori. dei fisici studj (1) batteva la via dell’esperimento non senza rac- cogliervi alcuni curiosi risultamenti, non ho saputo (1) I sigg. Cav. Priore Vincenzio Antinori , e Conte Giros famo Bardi. 473 irattenermi:da spaziare nel mondo delle congetture e delle ipotesi, per tentare di rendere a me stesso ragio- me d’alcuni almeno fra. i più a fenomeni na- turali. «+. Alcune idee meno comuni intorno a ciò cena chiama calorico e luce, le quali da più anni. io aveva accolte nella mia mente con particolare favore, mi sem- brarono potersi in qualche modo estendere alla spiega- zione dei fenomeni elettrici e magnetici. Meditando più particolarmente sopra questi ultimi, fui portato a cercare col pensiero la causa della singo- lare e potente attrazione della calamita per il ferro, così diversa da quella che pur si ammette fra gli altri corpi, i quali non vediamo portarsi un verso l’altro la- teralmente, ma solo nel senso d’una caduta 0. discesa verticale, mentre la calamita ed il ferro , alcun poco li- beri nei lor movimenti, si portano un verso. l’ altro se- condo qualunque direzione. Dopo qualche indagine, mi parve che jo avrei po- tuto dare di quel fenomeno una spiegazione semplice è | puramente meccanica, se uno di quei due corpi o am- bedue fussero stati dotati d’una certa particolar proprie- tà. Concepita quest'idea, la posi al cimento dell’ espe- rienza, e trovatala vera, credei aver fatto un passo di qualche importanza nella ‘soggetta materia, e stimai conveniente di farlo conoscere, unitamente alle idee, che mi ci avevano condotto, e ad altre che ne deriva- FOUO . Peraltro la mia spiegazione, i; iiplicanidori pila mente e da sè stessa ad un gran numero d'altri feno- meni naturali , distruggeva la dottrina dell’attrazione , quale si erica generalmente. Riconoscendo io questa eircostanza come un forte pregiudizio contro le mie 474 nuove idee, volli premettere all’esposizione di queste alcuni degli argomenti che a parer mio‘ dimostrano l’er- roneità di quella dottrina , senza di che pensai che non vi si presterebbe Jusndione: Stesi però questo scritto quale si troverà quivi ap- presso. Bensì prima di farlo pubblico , volli.comunicar= lo a due fisici distinti che si trovano qui in Firenze; cìoè il sig. Prof. Pictet ed il sig. Dot. Marcet: Essi dopo averne ascoltato con attenzione e con bontà la lettura, mi avvertirono che l’idea, in certo modo fondamentale, di spiegare gli effetti attribuiti al- l'attrazione per mezzo d’un’impulso esterno operato sui corpi da un fluido, che potrebbe dirsi gravifico , era già stata non solo prodotta, ma estesamente sviluppata: dal loro compatriotta Le-Sage in un trattato, che dopo la morte di lui fu pubblicato -dal sig. Prevost, unita- mente ad un’altro suo proprio, in cui estende ad altre applicazioni gli stessi princip). Procuratami coll’ aiuto del sig. Dot. Marcet que- st opera, e lettala , trovai che le idee di questi dotti, coincidendo solo in qualche punto, erano in genere immensamente distanti dalle mie. Io non aveva veduto mai questo libro ; altronde io trovava nella mia mente l’idea generica e l’espressione di fluido gravifico, che io non mi aveva formata; ma che aveva: sicuramente letta in qualche luogo., senza ‘potermi ricordar . do- ve. Fatte ora molte ricerche relative, mi sono in- contrato in un’articolo del tomo VIII della Biblio- teca Britannica, che ho riconosciuto come da me let- to molti anni addietro, ed in cui si parla occasional- mente e brevemente delle opinioni di Le-Sage, impie- gandosi quella espressione, e concludendosi per la poca utilità di simili indagini speculative. 479. Questo giudizio , la mia prevenzione per la dottri. na comune dell’attrazione, la singolarità di, quell’ opi- nione per me nuova e leggermente indicata, è natura- le che non mi facessero prestarvi allora alcuna attenzio-, ne, sicchè ho avuto ragione di non ripetere che dalle mie riflessioni quella assai diversa che io mi ho ora for- mata. Quindi non ho creduto che la narrata circostanza dovesse trattenermi da esporre le mie idee ed i fatti che vi si riferiscono . All’opposto penso di prenderne occa- sione per far conoscere in compendio la dottrina di Le- Sage, non tanto perchè apparisca la grande differenza che passa fra essa ele mie molto più semplici idee, quanto ancora per renderla fra noi meno ignota di quel che ella lo sia. Torno dunque a presentare il mio scritto quale era uscito dalla mia penna. Sotto il nome d’attrazione universale i fisici am- mettono una forza inerente alla materia in genere, o ai corpi tutti della natura, per cui ciascuno di essì chiama a sè ed incircostanze opportune fa muovere gli altri corpi finchè vengano seco a contatto, e venuti ve li man-, tiene, sicchè non possano esserne distaccati che per una forza superiore e contraria. Oltre questa prima forza, riputata comune a tutti 1 corpi e reciproca , ne ammettono diverse modificazioni sotto i nomi di attrazioni particolari , elettriche , magne- tiche, chimiche. Così non vi è forza più spesso invocata e più co- moda a spiegar fenomeni naturali che V' attrazione . Ma questa forza, tale quale si concepisce o si mostra di concepirla , è ipotetica ed imaginaria; gli effetti che le si attribuiscono non dipendon da lei. 476 Un’attrazione in quel senso. sarebbé un'azione 4 distanza , la quale non ci è dato di concepire fra esseri: materiali. Per essa i corpi agirebbero ove non sono; es- sa rassomiglierebbe ad un'amore, ad un desiderio ; ad un’intenzione , che niuno vorrà accordare alla materia bruta ed inorganica, e che altronde gli stessi esseri ani- mati, che ne sono forniti, non esercitano o non rendono eflicace se non in uno di questi due modi, cioè; o muo- vendosi essi verso quei corpi, dei quali vogliono venire a contatto, o facendo che altri corpi dipendentemente dalla lor volontà e non per propria intenzione li afferri- no e li trasportino fino a loro. .« Inoltre, secondo la dottrina generalmente iienrenil intorno Alimini un corpo circondato da molti al- tri corpi, mentre è attratto da essi tutti, li attrae tutti egualmente, ed ha così in un tempo stesso molte. ten- denze diverse ed opposte fra loro. Alcuni fenomeni naturali, e specialmente ‘la ten- denza evidente d’alcuni corpi ad. unirsi ha. suggerita l’idea dell'attrazione. Reputandola affatto imagina- ria, io penso che ogni qualvolta un corpo tende a por-: tarsi 0 si porta di fatto con una certa forza verso ùn’al- tro corpo o verso un luogo qualunque, non è attratto da quel corpo o da quel luogo, ma vi è spinto da una for-! za. esterna. Finchè ci contenteremo di spiegar quespi fatti coll’ attrazione , specie di forza simpatica, o piut- tosto ‘voce che. non richiama alcun’ idea ammissibile , rinunzieremo volontariamente alla ricerca illuminata delle vere e grandi cagioni dei più universali e più im- portanti fenomeni naturali. Non è più il tempo di spiegare effetti i insfasti con cause occulte, o di rinunziare a cercar la luce appagau- dosi delle ae Ove d'un’effetto certo ed evidente 499" sia incerta o ignota la causa, è meglio confessarlo e cer-’ carla, che ammettere come basi solide delle piùimpor- tavti fisiche dottrine, voci, che mentre sembrano sod- disfare all’ orecchio, futili dicono. allo. spirito ed alla vana: : La tendenza; e salici più il movimento d'un cor- po verso d’ un’ lt è un’effetto materiale , il quale pe- rò non può esser prodotto se non da una causa materiale e corporea. Assegnando tali cause, bisogna darne un ‘idea chiara e precisa, e però indicar % con nomi chiari enoî ’ equi voci. | Così a me non piace; senza oa dichiarazione; la voce forza', che s impiega così volentieri a spiegare molti fenomeni naturali, e che può facilmente esser presa in senso astratto. Una forza che produce effetti materiali; è una forza materiale, cioè una materia: in’ azione. Una forza per cui due corpi distanti. si. attraes- sero; sarebbe una materia interposta fra essi senza inter- ruzione, e le cui molecole connesse fra loro e. coi. due corpi permettessero a qualunque di essi di trarre a sè la serie delle particelle interposte ; e per esse l’altro cor- po. In tale ipotesi sarebbe curioso a sapersi come si sup- pongano disposte quelle serie uncinate o quelle cate- ne per cui sì attraggano pria RaNane la Terra, ed Urano. DUE Quanto è più semplice e più ragionevole attribuire gli effetti stessi, che si ripetono'dall’attrazione; ad un fluido che circondi e prema tuttii corpi. Basta che le di lui particelle, estranee ai corpi che premono, si tro- vino fra loro e con quei corpi in quella prossimità che. chiamiamo contatto, e siano dotate d’ elasticità. Sarebbe poi quasi inescusabile attribuire ad: una © causa imagiuaria ed incomprensibile effetti che ‘pree 478 | sentino una stretta analogia con alti effetti, dei quali la causa è cognita e dimostrata, e che pps spiegarsi in una maniera poco diversa . i ii ‘ Ora può dimostrarsi facilmente ih tale è il. caso relativamente all’ attrazione. Niun’uomo di buon senso e di buona fede dirà che egli sa formarsi l’idea d’una forza propria della materia, per cui un corpo ne tragga , a sè utraltro senza contatto immediato o mediato. Al- l’opposto è dimostrato che molti effetti simili sono pro- dotti, che molti corpi sono spinti un verso l’altro. per l’effetto d° un’impulso esterno , come vedremo in ap- resso. Non debbo omettere un dalai UPPER I La natura non impiega due mezzi ove può bastarle uno so- lo. Siccome si osservano fra i corpi apparenze .d’ attra- zione e di ripulsione, i fisici hanno ammesse queste due forze, giacchè la sola attrazione non poteva spiegare i fenomeni di ripulsione . All’ opposto una causa generale che premendo i corpi tutti e spingendoli un verso l’al- tro imita e fa supporre una forza attrattiva, sebbene operi in un modo eguale per quella parte che è inter- posta fra due o più corpi; simula in questo caso le ap- parenze d’una forza ripulsiva. n Or chi-ha potuto fare accogliere e seguire general- mente quella dottrina, quella teoria? Il difetto .d'altra imigliore, cd il bisogno sentito in ogni tempo d’averne ima; per cui legare i fatti cogniti in un insieme. La dot- trina dell’attrazione, utile’ fin qui alla scienza sotto que- sto aspetto , lo :sarà ancor più cedendo il luogo ad altra migliore. Le teorie , i sistemi succedendosi fra loro e di- struggendosi l’uno 7 altro, lasciarono sempre alla scien- za i fatti che avevano servito a connettere, e talvolta a scuoprire. Essi sono uno strumento che l’ artefice spez- 479 za o rigetta quando non può più servirlo, senza però | distruggere o perdere il lavoro abbozzato con esso, e che compie e perfeziona con un nuovo e migliore stru- mento. Un, fatto anticamente osservato, e che non poteva restare infecondo, è il salire e lo starsi dei liquidi e del- lo stesso mercurio nei tubi vuoti d’ aria, contro la loro tendenza a discendere. Bisognava assegnare una causa di quest’ effetto. Qualcuno la indicò in un preteso orre- re che abbia la natura per il vuoto. In mancanza di ogni altra, fu bene accolta questa ridicola spiegazione , ed i filosofi stessi per lungo tempo se. ne appagarono , finchè una miglior fisica indicasse e dimostrasse nella pressione dell’ aria atmosferica sulla superficie inferiore di quei liquidi la.vera causa immediata che li spinge e li sostiene in gavità, ove, o altr’aria non oppone loro re- sistenza; o un’ aria meno densa ne oppone una minore della Pe impellente. Pure il volgo crede tuttora che la bocca succiando , le trombe ed altr macchine aspi- rando, chiamino a sè ed attirino l’aria, V'acqua, e gli altri liquidi. Ora a questo concetto, riconosciuto da tutti i fisici come erroneo, è affatto conforme quello dell’attrazione . Anzi mentre fra la bocca e l’aria aspirata, fra il pistone della tromba e l’acqua che si solleva, vi è almeno con- tatto immediato e continùità, si ammette l'attrazione fra corpi disgiunti talvolta da distanze enormissime. . Per altro a confondere quel primo errore, ed a di- mostrare la pressione dell’aria atmosferica , concorsero ‘argomenti evidentissimi, i quali mancano per combat- tere la dot\rina dell’attrazione, ‘e specialmente per ap- poggiarne alcun’ altra. Tali furono, oltre molti fenomeni statici, il soc- 480 corso della macchina pneumatica, per cui può l’aria sot= trarsi da uno spazio, o esservi condensata, e fino toi bio tancia che ne attesta il peso. A malgrado di condizioni sì ineguali e sì svantag= giose, io debbo sostituire una nuova ipotesi à quella che io intendo oppugnare. To lo farò senza preambuli e fran= | camente, tanto più che io non cri i miei Adrara se non come un sogno. Sebbene appena la più siti poetica intarsi ‘sa prebbe imaginare .e descrivere confini materiali ‘al- l'universo, pure‘io stimo dover riputarsi finito, se non altro perchè infinito sarebbe anche più diflicile a conce= pirsi. Ora due cose eonvien distinguere nell'universo , lo spazio, e la materia. Questa occupa quello diversa- mente nelle diverse sue parti. I pianeti, a giudicarne da questo nostro; sono altrettanti punti sparsi qua e là nell’immensità dello spazio, e formati di materia d’una densità proporzionatamente grande , DI di cui le parti sono assai vicine fra loro. Dico vicine, poichè, ‘senza par- lare della evidente loro porusità , Ja proprietà comune a tutti i corpi, comunque densi, di diminuire di volume per il raffreddamento, aveva già persuasi i fisici che le particelle loro non si trovano in un generale ed assolu- to contatto. Circonda immediatamente + pianeti, alme- no aleuni, un gran volume di materia assai meno den- sa’, conosciuta sotto il nome d’ atmosfera. In quella del nostro globo terraqueo , lo strato infimo che posa sulla superficie sebbene molto più denso dei superiori, ha una densità. almeno 4000 volte minore della densità media del globo stesso. . Gli strati che a questo sovrastano, dimivinendo gra- datamente di densità, finiscono con non averne alcuma apprezzabile coi nostri mezzi. Aldi là di questo limite, 481 e fino al riscontrarsi degli strati estremi delle atmosfe- re degli altri pianeti, la porzione dello spazio interpo- sta è occupata da materia di tale tenuità, che noi non possiamo formarcene idea. Gl’interstizi che-lasciano fra loro le particelle del fluido atmosferico e quelle dei pri- mi strati almeno del nostro globo ne son pure occupati, Essa è l'etere d’ alcuni antichi filosofi . Mobilissima per natura, sempre mossa per varie cause, e però in varj modi, determina e produce molti e grandi fenomeni naturali, non solo nell'atmosfera , ma sulla superficie e fino ad un'certo punto nell’inter- no di questo globo, e probabilmente degli altri pianeti. La somma sua sottigliezza , e la porosità dei corpi anche più densi, o la distanza fra le loro particelle, fanno che quasi tutti le siano permeabili, sebbene non tutti egual- mente. O sia che questo fluido etereo sia ‘composto di particelle per natura , per volume, o per figura diverse, o sia che formato di particelle d’una stessa natura e for- se anche d’un volume eguale o poco diverso, queste ab- biano tali geometriche forme, tal numero d’ assi diversi, per cui possano muoversi ora in un senso ora in un altro; atteggiarsi o polarizzarsi diversamente, ‘esse prendono apparenze, e producon fenomeni differentissimi , quali sono i luminosi, i calorifici, gli elettrici, ed i magnetici. I soli o le stelle fisse, benchè incogniti nella natu- ra loro, sono evidentemente centri ‘d’azione, o piutto- sto di movimento, il quale impresso o comunicato al fluido etereo in ogni direzione, gli fa prendere indole e spiegare azione diversa > dipendentemerite dal varj ( cor- pi che investe e dal siti i in cui gl’investe. È Opinione quasi comune che emani senza interru- zione dal sole una materia luminosa e calorifica ‘per natura. Molti fisici le hanno attribuita la produzione an- T.I. Marzo SI 482 cora dei fenomeni elettrici, ed alcuni perfino dei ma- gnetici. Per altro quelli ai sete: piaccia ammettere una vera e continua emanazione solare, debbono almeno ri- conoscere che essa non è nè luminosa nè calorifica' per se stessa; ma che lo diviene a contatto dei corpi. Nella bella. oscurità d’una notte serena mentre Venere o Giove ci si mostrano ricchi della luce che si dicono ricevere dal sole, niuna traccia luminosa appari- sce sulla, via: per cui giungerebbe ad essi la supposta emanazione solare. Stando la luna sull’orizzonte; se luce appare nello spazio, sembra diffusa in ogni senso, ed:è evidentemente quella che la luna riflette; (0 ‘per parlare meno lnconreltamente:, benchè sempre nella ipotesi che non è la mia ) è la stessa emanazione. solare divenuta luce per il contatto della luna, e riflessa da es- sa in ogni senso. Ogni simil ragionamento ha poi biso- gno d’ un’altra correzione, per cui la qualità luminosa deve riguardarsi meno come una prbprietà inerente al corpi cine la presentano, che come un’affezione parti- colare dell’occhio che la j percepisce: Di fatti in tutto il creato non vi.è che quest’organo maraviglioso, per cui la luce sia ciò che a moi sembra; .e se ella potrebbe senz’ esso produrre effetti fisici e chimici, nulla potrebbe apprendere ed attestare l' esistenza di quelli che diciam luminosi. Non vi,;è,luce che. per l'acchii nel modo stesso che non vi è suono che per l’orecchio. Siccome la cau- sa che produce questi e simili effetti, siccome il cor- po, detto luminoso o sonoro non tocca ‘immediatamen- te l’organo senziente, interviene necessariamente fra quello e questo un fluido deferente, che riceve e co- manica il movimento respettivo . Per il souno questo fluido deferente è senza dubbio l'aria, giacchè il suono; 483 o i movimenti e le vibrazioni che lo producono non si. propagano a traverso del vuoto. All opposto propagan- dosi la luce a traverso del vuoto, bisogna ammette» re per i fenomeni luminosi un {fluido deferente diver= so dall’aria. Sia questo il nostro fluido ‘etereo. Il sole imprime alle particelle di questo un tal movimento, onde giungendo esse in linee rette fino ‘all’occhio vi destano quella sensazione per cui quell’astro ci ap- pare splendentissimo; ed investendo altri corpi danno a questi la proprietà d’imprimere un-simil movimen- to al fluido etereo interposto fra essi e l'occhio, e però di rendersi visibili e di comparir luminosi; Ogni com- bustibile che arde; ed ogni, corpo da cui diciamo emanar luce, agisce in un modo consimile. Se l'emanazione solare ; o!.it fluido ‘etereo mosso dal sole, non è per sè stessa i luminosa ;..ella non ‘è nemmen calorifica; ma lo diviene similmente ‘acon- tatto dei diversi corpi, e proporzionatamente alla lor densità , e ad ‘altre circostanze; Il più grande effetto calorifico che si possa ottenere dall’emanazione sola- re; e. forse per qualunque altro mezzo , è quello che essa produce. allorchè rifratta da, un;;vetro convesso;-a riflessa da ‘uno specchio concavo, si. fa cadere sopra d’un corpo posto ;a tal distanza;che ;essa vi giùnga ristretta. nel minore spazio: possibile. Si crede general- mente che quest'effetto sia dovuto» alla grande .. cons centrazione dei raggi solari, ed-è: naturale clie/oye il calorico è riguardato come; un; corpo, si come una; ;80- stanza particolare, ì suoì più grandi effetti siano. at+ tribuiti alla sua più grande quantità. Ma è facile cons vincersi. che quest’opinione è un’ errore, Siccome 'la dénsità: dell’ emanazione, a: partire dal sole verso la terra, decresce in ragione inversa del qua» 484 drato della distanza, ed all’ opposto cresce secondo la stessa proporzione nella direzione contraria; è evidente che se:la sola densità dei raggi solari, o la riunione d’un gran'numero di essi in piccolo spazio, generasse quella. grande potenza «calorifica, si dovrebbe incontrarne una eguale, ed altre di gran lunga maggiori, sollevandosi gradatamente nell’ atmosfera ; sicchè dovrebbero. tro- varsi temperature superiori a quella per cui brucia il diamante':là dove han» sede i ghiacci eterni, e dove si generano la neve:e.la grandine. Io riguardo come causa di quell’ effeitòo la nuova direzione che la lente o lo specchio fan prendere ai raggi solari (o all’ etere ecci- tato e mosso dal Poni °) ì quali, prima divergenti, diven- gono convergenti: i ‘Per poco chesi Porri non si potrà non riconosce- re l’ influenza somma di questa condizione sull’ effetto. calorifico, il quale in altro per me non consiste che in . un' movimento più o meno violento delle particelle dei corpi. La più gran parte dei raggi d’ una emanazione qualunque, naturalmente divergenti; investono secondo una direzione obliqua la superficie dei corpi che incon- trano. Riflessi pure: obliquamente si disperdono nello spazio senza incontrare ostacolo notabile,:e:le loro mo- lecole non facendo che toccare ‘la superficie del corpo ilivestito, contro di' citi non son mai risospinte, vi eser+ citano un’ azione; e Wimprimono un movimento medio- cre . All’opposto i raggi:che:là lente olo specchio fanno convergere e configurano in cono, non'potendo riflet- tersi che dentro il cong stesso;' incontrano: necessaria» mente nuovi raggi che ‘scendono nella direzione stessa in cui essi tendono'a sulire, e gl’ incontrano appunto ove accade la riflessione, ‘cioè alla superficie del corpo; spe- cie di conflitto, da ‘cui deve risultare il movimento.e 485 l’azione più violenta alle particelle della luce, (0 del fluido etereo) e per esse a quelle del corpo che n° è in- vestito . L’ eccitamento adunque che l’azione solare opera sul fluido etereo, forse imprimendo alle particelle di esso un moto isa fache a contatto dei corpi pro- duca insieme gli effetti calorifici ed i luminosi. Mo- di diversi d’ eccitamento gli fan produrre séparata- mente ora questi ora quelli. Altri modi fan che produca gli effetti elettrici, altri in fine questi e quelli insieme. Mi affretto a parlare particolarmente dei fenomeni magnetici, indottovi e dall’ indole loro singolarissima, e dalla brama d’ esporre alcune particolari idee che mi ho formate a riguardo di essi, le quali mi ricondurranno all’oggetto dell’ attrazione, ed in appoggio delle quali io posso addurre qualche fatto importante . Si dice che la calamita (e s'intende per calamita an- che il ferro o l'acciaio calamitati o magneticamente ec- citati) attrae il ferro, e non attrae ‘efficacemente che il ferro. Una calamita che può attrarre e sostenere dieci libbre di ferro; non è capace di sostenere un solo grano d’un altro corpo qualunque. Secondo la dottrina dell’at-. trazione, questa calamita ha una forza attrattiva rispetto al ferro eguale-a dieci libbre. Ma io sostengo che que- sta asserzione è doppiamente. erronea, e lo provo con due fatti non solo diversi ma fra:loro contrarj . Primieramente; facendo aderire a questa calamita un pezzo di ferro, per esempio d° un oncia; si può aggiun- gere a questo per mezzo d’ uncini, di legature, 0 d' ilari modi di sospensione, altre libbre nove e:once undici non solo di ferro, ma d’ altra materia qualunque. Così la forza attrattiva supposta causa della sospensione, e 486 | supposta esercitarsi unicamente rispetto al ferro, qui si eserciterebbe (‘almeno mediatamente ) anche RARA ad altri corpi. All’ opposto se il pezzo di ferro d’ un oncia pen- dente dalla calamita non abbia aleun uncino o altro mezzo di sospensione, la calamita non solo non soster- rà altre libbre nove e once undici d’ altra materia , che si ponga a contatto del poco ferro che vi aderisce, ma nemmeno un egual peso., o un peso minore, 0 un. sol grano d’altro ferro, per cui pur si suppone avere una particolare attrazione, Ed ecco svelato un fatto singolare, importante, non noto ( per quanto io mi dagipie) e di cui ho recen- temente acquistata la cognizione . Io non l’ ho scoperto a caso, io non lho cercato direttamente, ma dedottolo prima per congettura:e per raziocinio dalla teoria 0 dalla ipotesi che io mi aveva formato, e quindi postolo al cimento dell’ esperienza, l’ ho con maggior sodisfa- zione che sorpresa trovato vero. Sì; il ferro. è il vero ed il solo coibente dell’azione magnetica, il solo corpo.che possa intercettarla. Nè. è maraviglia che non sia stato prima conosciuto. Sarebbe «sembrato strano cercare un coibente dell’azione magne- tica nel solo corpo ben sensibile a quest’ azione . Per far conoscere come io vi sia: stato eondotto, rammento l’ ipotesi che io mi ho formata rispetto. alla natura dei corpi detti imponderabili, ed. all’ azione loro., S’ intendono comunemente sotto questo nome la luce, il calorico, I’ elettrico, ed.il magnetico, riguardati da molti quasi come quattro! corpi distinti. Per me, ritenendo quelle denominazioni unicamente per indicare le cause respettive dei fenomeni luminosi, calorifici, elettrici e, magnetici, penso che uno stesso e solo fluido etereo, 487 medianti diversi moti, -eecitamenti; o polarizzazioni delle sue particelle, e medianti i movimenti:che queste comunicano a quelle dei vari corpi, lì produca tutti. Quanto ai fenomeni luminosi e calorifici, che sono in qualche modo i più semplici, ho già accennato il mio modo di concepirli. Degli elettrici, come più com- plicati, giacchè comprendono, oltre i due generi prece- denti, le attrazioni, le ripulsioni, ed altri effetti, ne dirò il poco che posso dirne dopo che avrò esposte le mie idee intorno ai fenomeni magnetici. Si riguardano come tali 1.° una particolare e forte tendenza ad unirsi al ferro ; 2.° la polarità, o la facoltà che ha una calamita libera nei suoi movimenti di prender una determinata direzione, volgendo presso a poco: uno dei suoi estremi al sud, l’ altro al nord; 3.° la facoltà di comunicare la proprietà stessa al ferro, e più perma- nentemente all’ acciaio, mediante il fregamento operato con certe attenzioni... Sebbene l’ azione magnetica si riguardi general- mente come più limitata e più ristretta della calorifica, “e dell’ elettrica, nel mio modo di considerarla ella è la più generale. Io pensai che l’eccitamento più universale e costante del fluido etero potrebbe renderlo causa della gravitazione e dell’ attrazione in genere, come della particolar attrazione della calmita e del ferro; in som- ma che egli potrebbe essere il vero fluido gravifico. Ammettendo questo concetto, mi. era necessario spiegare come e: perchè questo fluido, inefficace ad ope- rar l'unione degli altri corpi fra loro, determinasse così attivamente quella della calamita e del ferro. Io trovava una spiegazione facile della sua inazione a riguardo de- gli altri corpi nella sua proprietà conosciuta di pene- trarli tutti, esercitando a. traverso di essi;la sua azione 188 | quasi come se essi non esistessero. Pensai però che for- se egli operava un’ impulso efficace sulla calamita e sul ferro perchè non poteva penetrarli egualmente che gli altri corpi. Concepito questo sospetto, mi affrettai a ve- rificarlo, e trovai di fatto che il ferro è impermeabile all’ azione magnetica; che applicata ad una calamita una lama di ferro, sebbene il peso di questa non sia che una piccola frazione di quel maggior peso che essa può attrarre e sostenere, mon esercita più alcuna azione a traverso di questa, nè può in conseguenza attrarre la più piccola porzione d’ altro ferro, e molto meno di qualunque altro corpo. ‘ Farò conoscere altrove alcuni altri curiosi fatti os- servati con i miei stimabili collaboratori . Frattanto ripiglio l’ esposizione del modo in cui 10 concepisco esercitarsi quell’ azione per cui la calamita ed il ferro tendono ad-unirsi e si uniscono fra loro . Ho già detto che io suppongo finito lo spazio in cui è compreso l’ universo, ripiena di fluido etereo qualun- que parte di tale spazio che non contenga altra materia. più densa, e ripieni pur d’ esso gl’ interstizj oi vacui che lascian fra loro le particelle di tutti corpi . Nè è da cre- dere che le pasrzelio di questo stesso fluido sottilissimo siano fra loro in un’ assoluto e. generale contatto, il qua- le si opporrebbe alla loro mobilità . Circoscritto da confini, ed eminentemente elastico per natura, questo fluido preme tutti i corpi, e tendereb- be a spingerli un verso l’ altro ed a farli riunire insieme, se due circostanze non vi si opponessero , rendendone nulla o inefficace l’azione in un gran numero di casì . Una di queste è la permeabilità dei corpi in genere ri- spetto al fluido magnetico, o all’ etere che agisce come tale, e che traversa quasi tutti i corpi come se questi 439 non esistessero. Ora è evidente che un corpo il quale traversa senza ostacolo la sostanza‘d’ un altro corpo non può esercitare sopra di questo un impulso capace di farlo muovere di luogo . L'altra circostanza è la reazione di quella parte dello stesso fluido etereo che interposta fra i diversi cor- pi rappresenta una forza ripulsiva, la quale in molti casi bilancia l’ effetto delle altre porzioni, che possono dirsi esterne rispetto a quei corpi, e che spingendoli un verso l’ altro simulano le apparenze d' una forza attrattiva vi- gente fra essi. 1 Queste due circostanze verificandosi nel più gran numero di casi, ne segue che i corpi in genere non sono spinti un verso l’altro. All’opposto la calamita ed il ferro si uniscono, anzi si scagliano un verso l’ altro con forza allorchè si trovano ad una certa distanza, perchè di quelle due circostanze manca fra essi la prima, ed è notabilmente modificata la seconda. Manca la prima, poichè la calamita ed il ferro essendo impermeabili dal fluido magnetico, che li preme e li circonda come tutti gli altri corpi, pòssono a differenza di quelli riceverne un’ impulso efficace . Per altro quest’ azione esercitan- dosi egualmente su tutti i lati della calamita e del ferro, rimarrebbe senza effetto , se non intervenisse una mo- dificazione importante della seconda circostanza . Que- sta modificazione consiste nell’ eccitamento 0 nel moto violento da cui è agitato il fluido etereo che circonda la calamita, e che io contemplo specialmente in quella parte di esso che sì trova interposta fra la calamita ed il ferro. Per concepire più agevolmente V influenza di quest’ eccitamento , consideriamola in un caso in qual- che modo analogo, e di cui l’effetto è assai più sensibi- 490 te. Ciò che si dice rarefazione dell’aria non è che un’ ec- citamento calorifico di questo fluido, o un particolar mo- vimento che le sue particelle concepiscono, e che non potendo effettuarsi finchè esse restino in una certa pros- simità , le obbliga a prender del campo, ed allontanar- si le une dalle altre , e dalla sorgente o causa dell’ ec- citamento . Appena quest’ effetto ha luogo, l’aria am- biente non eccitata , e però meno rara o più densa, si porta con impeto el luogo della prima, e presso la det- ta sorgente, da cui viene eccitata in un modo eguale. Se qualche corpo si trovi interposto alla massa dell’aria è trasportato con essa , e ne segue la direzione, renden- do sensibile quest’ effetto A ‘Così allorchè il fuoco arde in un innglio ; se alla porta del cinerario si avvicinino corpiccioli leggieri, si vedranno questi gettarvisi dentro impetuosamente, e se sivolga talmente il portello di lamiera di ferro da chiudere a metà l’apertura, sarà esso spinto con violen- za fino a chiuderla intieramente . Se mentre ciò accade non si rendesse sensibile la corrente dell’ aria, che pre- cipitandosi nel cinerario forma una specie di vento, non . si avrebbe forse omesso di attribuir quell’ effetto all at- trazione del fuoco per tali corpi . Il moto vorticoso che una massa d’aria pere in quella meteora che si conosce sotto il nome di #rom- ba induce un’ eccitamento , una specie di rarefazione o di vuoto nelle parti medie o nel centro di quella, ver- so cui è spinta con impeto l’ aria ambiente , e con essa fino i corpi più gravi e più immobili. Vorrà forse ri- guardarsi anche questo come l’effetto d’ un’ attrazione ? Tornando alla calamita ed al ferro, sebbene il flui- do magnetico che li circonda e li preme senza poterlì traversare tenda in qualche modo a spingerli un verso 491 } altro, pure essi non si muovono finchè si trovino ad una certa distanza , perchè il fluido interposto bilancia l’ effetto premente-del fluido esterno. Ma se vengano avvicinati talmente che il ferro s° immerga nell’ atmo- sfera eccitata della calamita, non opponendo questa sufficiente resistenza all’ effetto dell’ esterna pressione , si gettano uno sull’ altro, sì accostano, ed aderiscono tenacemente . Siccome poi a proporzione che sì avvicinano sce- ma la massa del fluido intermedio resistente , così cre- sce nella stessa proporzione la forza con cui sono spinti “un verso l’ altro , sicchè può dirsi, come nella dottrina dell’ attrazione; che la forza per cui sono portati un verso l’ altro è in ragione inversa della distanza . Colla stessa facilità si spiega la proprietà che acqui- sta un filo di rame o d’ altro metallo d’ attirare la li- matura di ferro allorchè è impiegato a congiungere 1 poli d’una pila Voltaica in azione. La deviazione che un’ ago magnetico soffre presso a quel filo prova che lo circonda un’ atmosfera d’ un fluido eccitato Quindi un corpo impermeabile dal fluido magnetico, qual’ è la li- matura di ferro, può essere spinto verso quel filo ed aderirvi. Non così la limatura d’ altri metalli, o i fram- menti d’ altri corpi che sono permeabili da quel fluido. È evidente che alcuni almeno dei fenomeni elet- trici, e specialmente le attrazioni e le ripulsioni, possono essere facilmente spiegate per quello stato d’ eccitamento forse diverso dal precedente, in cui si trova il fluido etereo intorno ai corpi elettrizzati, determinato dalla confrica- zione di questi contro altri corpi, dal loro riscaldamento. Forse in seguito tenterò di mostrarlo, estendendo- mi anche alla gravità dei corpi terrestri, o alla lor ten- denza a discendere verticalmente . 492 Dirò frattanto come dopo aver supposto e quindi verificato la proprietà coibente del ferrò rispetto alla causa dei fenomeni magnetici, imaginai ed eseguii un’ altro esperimento , di cul prevedeva il risultamento in una condizione ma non in un' altra . Posti due aghi di bussola in tal vicinanza recipro- ca che venissero quasi a contatto per le loro estremità, e messe in presenza quelle d’ uno stesso nome, ve le feci tenere da un’ assistente per interporre fra esse una lama di ferro, presumendo che l'attrazione di entrambe per questo ( parlo il linguaggio ordinario ) le avrebbe mantenute in quella situazione violenta e contraria alla loro tendenza naturale. L’ effetto cor- rispose all’espettativa, e le due estremita nord , re- starono una in faccia all’altra col solo intermezzo del- la lama di ferro. Io ne aveva preparate quattro, cia- scuna della lunghezza di due pollici e nove linee; ma tutte di varia larghezza, giacchè quella della prima era da un lato di linee 9g, dall’altro di linee 6; quel- le della seconda da un lato di linee 4, dall’ altro di linee 2; quella della terza da un lato di lin. 1 1/2 dall’ altro di lin. 1 1/4; quella della quarta da am- be le parti di 8/10 di linea. Mi sembrava di veder quì agire due cause o due influenze diverse; 1° la così detta attrazione della calamita. per il ferro e di questo per quella, mediante la quale ciascuna delle estremità dei due aghi, qua- lunque ne fosse il nome, doveva tenersi presso il fer- ro o aderirvi; 2° l’azione repellente delle due atmo- sfere omologhe, che si suppongono circondare gli ‘aghi ed ogni calamita o ferro magnetizzato . Quindi pensai che forse i due poli omologhi po-' trebbero restare in presenza finchè la lama interpo- 493 sta o avesse una larghezza maggiore delle loro atmo- sfere, e fosse però sufficiente ad intercettarle, ‘0 con- tenesse ‘almeno tal quantità di ferro, la cui ‘azione potesse bilanciare l’ effetto ripulsivo delle due atmo- sfere . Però facendo di nuovo tenere colle mani i due aghi, come sopra, cambiai la posizione della lama di ferro, che presentata prima dalla parte più larga, presentai allora dalla più stretta. Dirò in breve che sostituite successivamente una all’altra le quattro la- me: da ciascuna delle loro parti, tutte fino all’ ulti- ma, larga solo 8/10 di linea, furono capaci per la lo- ro interposizione di mantenere i poli z0rd dei due aghi in presenza uno dell'altro. Tagliai allora un pic- eolo frammento della lamina più stretta, il quale era circa 8/10 di linea in quadrato, ed. attaccatolo con un poco di cera all’ estremità z0rd d’uno degli aghi, vi posi a. contatto il polo 70rd dell’ altro che vi si. mantenne . Questi risultamenti un poco singolari, e che sem- brerebbero spargere qualche dubbio sull’ esistenza di un’ atmosfera intorno agli aghi magnetici, rendono anche più maravigliosa l’azione reciproca della cala- mita e del ferro. Debbo ora aggiungere che il lodato. sig. Prof. Pictet, udita la lettura di questo scritto, oltre.a dar- mi notizia delle opinioni e scritti dei sigg. Lesage e Prevost, come ho detto di sopra, mi fece sapere che alcuni anni addietro: facendo egli. varii.. esperimenti per verificare l’ incapacità: dei corpi in. genere ad in- tercettare l’azione magnetica, aveva ; osservato .che una calamita determinava con i suoi movimenti quelli 494 d’un’ ago magnetico anche a traverso d’ una lamiefàa di feta \ asi Questa esperienza da me ripetuta mi ha ‘datò un egual risultamento. Prima di esporre comé io l'abbia spiegato a me stesso e conciliato coll’ altra principale esperienza 3 dirò come io mi era già assicu- rato che i corpi permeabili dal fluido magnetico lo. so- no più o meno in ragione inversa della loro massa. Così una calamita che attirava un’ago comune dall’ altezza d’un pollice a traverso d’ una lastra di vetro, lo attirava appena dall’ altezza di 5 linee a traver- so di due simili lastre, e non lo attirava più, nem- meno posto a contatto, a traverso di tre. Ho anche riconosciuto che lamine di diversi metalli intercetta no gli effetti magnetici non solo in ragione della’ gros- sezza dei loro strati, ma, a strati egualî, in ragione ancora della varia loro densità. Jo ne concludo che, sebbene si dica comunemena te che i corpi in genere sono permeabili dal. fluido magnetico , si deve intendere che lo sono più‘0 me- no, ma niuno di essi assolutamente e perfettamente; e sebbéne io dica che il ferro è impermeabile. dal fluido stesso, meppur ciò deve:intendersi in sensò as- soluto, ma in senso relativo, cioè che il ferro inter- cetta incomparabilmente più di qualunque altro cor- po l’azione magnetica . Siccome poi a produrre qua lunque effetto si richiede una causa’ proporzionata , sì comprende bene che una causa sufficiente ‘a. pro- durre un’ effetto’ può essere insufficiente a produrne un’ altro, e che :sebbene una calamita non. possa a traverso d'una ‘sottile lama di ferro atrarre. e; solle- vare la:più piccola ‘porzione: d’ altro ferro, posato 495 sopra d’un piano, può esser capace di far semplice- mente muovere un’ago leggermente sospeso e ma- gnetico. Dico magnetico; giacchè in' alcune esperien- ze un ago o un sottil ferro non magnetizzati, seb- bene sospasi leggermente, non hanno seguitato i mo- vimenti della calamita a traverso d'una lamiera di ferro . ; Prevengo quelli che volessero verificare per espe- rienza l’ indicata proprietà coibente del ferro, d’una circostanza che potrebbe indurli a dubitarne. Una lama di ferro impiegata più volte a queste esperien- ze, per più contatti colla calamita, e per qualche fre- gamento inevitabile, acquista qualche grado di virtù magnetica, come l’ acquista l'ago o il filo di ferro che sia stato una o più volte attratto o soggetto all’ azione magnetica. Ma qualunque volta una lama di ferro vergine, e che non ha provata azione magne- tica, si ponga fra' una calamita ed un ferro equal- mente vergine, non vi sarà la più piccola azione . Eccomi ora a dare, come ho promesso, una idea della dottrina di Le-Sage intorno all’ attrazione . Nello spazio supposto vuoto è sparso un nume- ro immenso di corpuscoli duri, non elastici, che for- mano un fluido discreto , detto gravifico, perchè ri- guardato come causa della gravità . | Questi corpuscoli si muovono in linee rette se- condo tutte le direzioni possibili con una velocità im- mensa ed eguale. Si suppongono provenire da una parte dello spa- zio posta al di là dell’finiverso, che traversano con- tinuamente e senza interruzione . L’ autore ha' calco- lata la distanza, a cui la mano del creatore gettò i corpuscoli che ‘-dovean produrre gli effetti dell’ attra- 496 zione dopo diecimila anni. Non dice per altro. cosa accada di quelli che hanno traversato l’ universo. Dato un punto qualunque dello spazio, vi. arriva- no ne partono in ogni istante dei corpuscoli in tutte Je direzioni possibili. Se alcuno tema che essi 5’ incontri- no , l’autore ha pronti a scioglier questa e molte altre difficoltà due mezzi inesauribili . Egli ne accresce \in- definitamente la piccolezza e la velocità . Un sol;corpo immerso in questo fluido vi reste- rebbe immobile , e sarebbe soltanto fatto oscillare irre- golarmente dall’ ineguaglianza delle correnti . Se vi se ne immergono due ; essi servendo di scu- do uno all’ altro, ed intercettandosi scambievolmente l’effetto delle correnti che dovrebbero. investire le loro faccie che. si riguardano, si renderanno efficaci le correnti opposte o «rtagoniste , ed i due corpi saranno spinti uno verso l’ altro. | Qualunque punto fisico di questo mondo visibile occupa sensibilmente il centro della sfera immensa dei corpuscoli , però la densità di quelli che vi affluiscono segue la ragione inversa del quadrato delle distanze. I corpi gravi sono porosi, e però permeabili dai corpuscoli. 1 pori loro sono molto più ampj che gli e- lementi o particelle. Queste stesse sono permeabilissi= me dai corpuscoli, essendo conformate a foggia di' gab- bie, le barre delle quali hanno-un diametro immensa- mente minore delle distanze che le separano. Quindi anche il globo terrestre e gli altri grandi corpi non arrestano che una piccolissima parte delle correnti corpuscolari che li attraversano . Il. numero di corpuscoli che i primi strati d’ un corpo intercettano è così piccolo: relativamente alla to- talità dei corpuscoli i quali lo investono, che. si può . 497 considerare che ne arrivi a ciascuno strato un numero quasi eguale, e ne sia intercettato un numero quasi egua- le. Però l’impulso gravifico che un corpo ne riceve è proporzionale al numero degli strati, o meglio alla quan- tità di materia, ossia alla massa. La piccola ma successiva ed eguale azione impel- lente che i corpuscoli esercitano sopra uno stesso corpo spiegano l'accelerazione della caduta’ dei gravi. L’ estrema piccolezza e l'estrema velocità dei cor- puscoli permettono di concepire nello spazio il maggior vuoto che i fenomeni richiedano, ed il maggior pieno che i fenomeni permettano. La piccolezza e velocità dei corpuscoli, e la rarità del fluido che compongono sono le massime assegnabili. Uno strato di materia terrestre intercetta meno della diecimillesima. parte dei corpuscoli che lo inve- stono, giacchè una quantità data di materia ha un peso sensibilmente eguale, o sia conformata in massa raccolta e ristretta, o in strato sottile ed esteso . 1 corpuscoli dopo avere urtati gli elementi o le parti- celle dei corpi tornano indietro, distruggendo una parte della forza o della velocità degli altri corpuscoli che ar- rivano . L'autore ammette nello spazio, oltre i fluidi che ca- gionano la gravità e le altre attrazioni, anche quelli del magnetismo e dell’ elettricità (ciascuno dei quali è cre- duto doppio da alcuni fisici), quelli della luce, del ca- lore; l’ aria ec. però li vuole tutti molto rari. Jo non seguirò l’ autore ove impiega le invenzioni più sottili ed il calcolo a sostegno della sua teoria e delle varie sue applicazioni ai fenomeni speciali che vi si rife- riscono, contentandomi di averne data un’idea sufficien- te a farla conoscere, e a non lasciare alcun dubbio sulle IT. I. Marzo 32 498 sostanziali differenze fra le mie, altronde semplicissime idee, concepite ed espresse nel tempo stesso, e questo sistema elaborato, in cui il celebre autore ha impiegato il suo profondo ingegno , e spesa la lunga sua vita . Ecco le principali fra queste differenze. Io sup- pongo finito lo spazio che comprende l’ universo e con esso il fluido etereo, che io riguardo come causa unica dei fenomeni luminosi, calorifici, elettrici, magnetici e di ciò che si dice gravità ed attrazione. Le-Sage accor- da ai suoi corcuspoli riguardati come causa della sola gravitazione uno spazio infinito al di là dei limiti dell’ universo, ed ammette altrettanti fluidi distinti co- me cause degli altri fenomeni indicati . I suoi corpuscoli sono duri e non elastici, il mio fluido etereo è eminen- temente elastico. Io ammetto come due fatti inne- gabili 1. che i corpi in genere non si attraggono o almeno non si uniscono in senso laterale, 2.° che la ca: lamita ed il ferro si attraggono fortemente anche in questo ed in ogni altro senso, e tento d’ assegnar le cau- se per le quali un tal’ effetto ha luogo in questo caso e non in quello; Le-Sage sembra ammettere come un fatto che due corpi posti in vicinanza sono spinti uno verso l’altro, e si uniscono, lo che non è vero ; e non solo non dà alcuna spiegazione, ma neppur parla dell’at- trazione singolare della calamita e del ferro. Essendo ormai tempo di por fine a questo scritto soverchiamente prolisso, ravvicino fra loro, a modo di conclusione, gli oggetti che io mi aveva in esso propo- sti. Facendo noto il fatto singolare della proprietà coi- bente del ferro rispetto al così detto fluido magnetico , ho voluto fare anche conoscere le idee teoriche o ipote- tiche per le quali io era stato condotto a congetturarlo, e per le quali io credo potersi in qualche modo spiega» . 499 re ì fenomeni luminosi, i calorifici, i magnetici , e con questi quello ancora dell’attrazione. Siccome ciò che ho esposto a riguardo di quest’ ul- timo oggetto urterà per avventura il maggior nume ro dei miei lettori , io dichiaro che , sebbene inti- mamente persuaso e convinto essere l’idea dell’attra- zione, quale generalmente si ammette , non solo ima- ginaria ma inconcepibile, pur credo che quella espres- siohe, come generalmente ricevuta ed anche comoda, debba restare alla scienza nel suo stato attuale » e finchè ( se pur lice sperarlo ) elia acquisti in tal proposito no- zioni più chiare e più positive. Penso bensì che i fisici debbano valersene nell’intelligenza che per essa voglio- no esprimersi certi effetti , e non già spiegarsi secondo il suo valor letterale il mado e la causa ande questi ef- fetti hanno luogo; giacchè nell'oscurità in cui siamo in> torno ad una tal causa, l’ammetterne o riguardar come tale una che non può esserlo sarebbe chiudere volonta- riamente gli occhi a qualche raggio di luce che potesse un giorno mostrarla. i 5. Marzo 1821, G. Gazzeri. 500 RAGGUAGLI BIBLIOGRAFICI LIBRI TEDESCHI 32. Ansichten von-Italien. ec. Schizzi sull’ Italia, segnati in un viaggio fatto in quel paese nel 1815 e nel 1816 dal D. H. FRIED LANDER. 2 volumi in 8vo. Lipsia presso BroAhaus al prez- zo di franchi 14: L’ autore non dà un minuto giornale del suo viaggio, nè de- scrive oggetti osservati da altri viaggiatori prima di lui; ma solo ciò che v’ incontra di meno conosciuto, e che più colpisce la sua immaginazione. Il primo volume contiene il viaggio dl Salisburgo a Siena, e il secondo è quasi totalmente occupato di Roma e di Na- poli . Il sig. Fried Lander è in quest’opera un osservatore di finis- simo discernimento, ed uno scrittore di squisitissimo gusto. 33. Der Geist ec Dello spirito dell’uomo nelle sue relazioni colla:vita fisica, ossia: principj fondamentali di una fisiologia del pensiero, pei medici, pe’ filosofi e per gli uomini , nel più nobil senso di questa parola : Del Dott. HARTMANN professore di me- dicina nell’ università di Vienna. Vienna presso Sevolo 1820. La favorevole accoglienza che nel 1816 ottenne un discorso accademico scritto in latino dello stesso autore intitolato — De mente humana vitae physicae ec. ec. lo determinò a trattare con maggiore estensione un tema tanto importante. In sequela del metodo di raziocinare adottato dall’autore, eche gli sembra quello indicato dalla natura all’ uomo per tenerle dietro con esattezza, egli passa dal particolare al generale, dall’ esterno all’ interno, dal fenomeno all’ essenza. Il suo libro è diviso in due parti ; nella pri- ma parla del pensiero, nella seconda della fisiologia del pensiero. 34. Uebersicht aller bekannten Sprachen. ec. Sommario di tutte lc lingue conosciute e dei loro dialetti; del consigliere di stato Fr. ADELUNG; 153 pag. Pietroburgo. In quest’ opera sono accennate e classate 987 lingue dell'Asia, 587 dell’ Europa, 276 dell’ Affrica, e 1264 dell’ America; in tutto 3114 lingue. Questo sommario interessante e curioso altro non è che una specie d’introduzione ad una biblioteca glottica, sulla quale da molto tempo lavora il sig. Adelung. 35. Steins geograrhisches Lexicon ec. Dizionario geografico 5or în quattro grossi volumi in 8vo. del Dott. C- G. D. STEIN. Lipsia 1819. Cnobloch.. Prezzo 8 talleri, o 32 fr. Sono stati messi alla luce i due primi volumi di questo Dizio- nario, che arrivano fino alla lettera L. Gli altri due saranno pub- blicati nella prossima primavera. Quest'opera nuova altro non può che crescer la fara, che il sig. Stein si è già acquistata, come geografo. 36. Academische Freyheit,und disciplin. ec. La libertà e la disciplina accademica, particolarmente nelle università prus= siane; del consigliere di stato e cavaliere L. I. DE IACOB profes- sore nell’ università di Hall, vol. 1 in 8.° Lipsia 1819. Brokhaus. ‘ Le numerose doglianze fatte da qualche tempo contro le università di Germania avevan fatto temere al sig. I. Iacob, che i governi ingannati non fossero indotti a prendere delle false misure, come quella di cambiare l’ organizzazion primitiva di queste università; il che darebbe un colpo funesto all’ insegnamento del- le scienze. Nulladimeno l’ autore conviene, che le università di Germania sono suscettibili di miglioramenti, ed ei cerca d' indi- carli senza pregiudicare alla libertà accademica. Secondo il di lui parere, questa libertà consiste per i professori: “ nel diritto d’.in- segnar le scienza secondo la loro coscienza individuale, e di non es- ser costretti di seguitare un sistema positivo di dogma, o di fede, ché ron si fer con la loro convinzione umana. Nessuna potenza wrfiana potrà impedir loro di dire liberamente la propria opinione, e difenderla contro qualunque attacco, . Per gli studenti la libertà accademica consiste nel libero ac- cesso a ciale genere d’ istruzione, nel diritto che ciascuno ha di scegliere le lezioni secondo i suoi desiderj e bisogni, in quello di di regolare la propria condotta, e generalmente nel libero sviluppo delle facoltà intellettuali, senza che alcun studente sia costretto a seguire opinioni incompatibili colla propria coscienza . Il sig. Iacob dimostra quindi, che cosa sia la liberià accademica mal intesa, ed indica nella seconda parte della sua opera il mezzo di rimediare a questo inconveniente . 37. Geschichte der Deuschén* ec. Istoria dei tedeschi, inco- minciata da E. L. PossELT, e continuata da C. H. L. POELITZ; 4° ed ultimo vol: in 8° di 789 pagine. Lipsia presso Cnobloch, prezzo 12 franchi. Il sig. Posselt merita di essere annoverato fra i migliori sto- rici tedeschi + Dotato di vaste cognizioni, con uno spirito illumina- 502 to, ed un gusto eoltivato ei cercava d’imitare nella sua maternà lingua i gran modelli della Grecia e di Roma. Il suo stile è pur- gato, diligente, e qual conviensi alla storia. Tutto quello che ha scritto il sig. Posselt ha l’ impronta dell’ amore della verità, dei‘ magnanimi e liberi sentimenti. Ma per somma disavventura ei morì non avendo condotto a termine che i due primi vol. dell’opera, che noi annunziamo . Circa al suo continuatore, la Rivista Enc. ha digià avuto occasione di render giustizia al suo merito come istorico . Il sig. Poelitz aveva dato alla luce nel 1805 il terzo volume della storia dei tedeschi, ma per casi non preveduti la pubblicazione del quarto ed ultimo fu differita fino al 1819. Questo volume contiene tutta l’ epoca importante che separa la pace di Vestfalia da quella del 1815. 38. Slavonien und zum theil Croatica ec. Prospetto geogra- fico e statistico della Schiavonia e di una parte della Croazia; di J. pe EsuPLOVICS 2 vol. in 8.° presso Gart-Leben: Pest 1819 al prezzo di 13 franchi e 5o centesimi. Il primo volume di quest’opera scritta in tedesco è totalmente consacrato alla geografia e alla statistica, non meno che agli usi e costumi degli abitanti di quei due paesi, che l’ autore descrive con grandissima precisione. Il secondo volume contiene tutto ciò che è relativo al culto religioso, alla pubblica istruzione, a’ pro- sgressi delle cognizioni, alla letteratura de’ serviani, all’ ammini- strazione della giustizia, alle pratiche militari, e alle relazioni degli abitanti co’turchi. L’autorè abitando in Schiavonia ha avuto luogo di trattare il suo argomento con perfetta cognizione di causa. 39 Hand-buch der Geschichte ec. Manuale dell’istoria ael st- stema politico degli stati dell’ Europa edelle sue colonie, dalla sua form azione, cioè dalla scoperta delle due Indie, fino al suo sta- bilimento dopo la caduta del trono imperiale in Francia; di A. . HEEREN 1 vol. in 8.° 917 pagine; Gottinga 1819; Rouer. Il nome del professore Heeren è vantaggiosamente noto in tutta l’ Europa letteraria, ed i suoi compatriotti lo pronunziano con orgoglio. Seguendo le orme di Schlozer, e di Spittler, egli ha dimostrato .co’ suoi scritti, che l’ istoria non è soltanto una enu- merazione sincrona e cronologica dei fatti più notabili, ma ancora una valutazione ragionata delle cause e conseguenze di questi fatti. Di più il buon esito delle opere del sig. Heeren proverebbe che, rapporto all’istoria, i bisogni del nostro secolo sono essenzial- mente differenti da quelli dei secoli precedenti, e che la maniera 503 di trattar questa scienza ha provata in Germania da trent’ anni in qua una rivoluzione simile a quella che Kart ha fatta nella filoso- fia, Lavoisier nella chimica, e Adamo Smith nell’ economia po- litica . i Questa edizione del sig. Heeren è la terza . La seconda com? prendeva gli avvenimenti accaduti fino al 1804; questa finisce con i resultati del congresso di Acquisgrana nel 1818. Il titolo dell’ o- pera annunzia non l’ istoria individuale degli stati d'Europa, bensì quella delle loro relazioni reciproche. La condizion generale di queste relazioni reciproche, e per conseguenza il carattere gene- rale di questo sistema di stati, è secondo il nostro autore la liber- tà interna, cioè l’ indipendenza mutua di tutti i suoi membri . Il termine fra l’ istoria antica e l’ istoria del medio evo è fissato da un sol grande avvenimento; mentre fra questa ultima, e l’ istoria moderna è stabilito dal concorso di molti fatti, fra i quali sono i principali la fondazione dell’impero turco a Costantinopoli (1454), le scoperte dell’ America, della via di mare alle Indie orientali, e della polvere, le quali hanno esercitato un influsso così grande sul commercio e sull’ arte militare. L’ autore forma il prospetto del sistema politico degli stati, dopo che questi cambiamenti ac- caddero in Europa, in tre epoche, cioè : dal 1491 fino al 1661; dal 1661 fino al 1786; dal 1786 fino ai nostri giorni. Chiama quest’ epoche, secondo la diversità del loro carattere politico, la prima politica religiosa, la seconda mercantile, la ter- za rivoluzionaria. La prima era nel tempo medesimo il periodo della fondazione dell’ equilibrio politico, la seconda. quello della sua conferma, la terza era non solo il periodo della dissoluzione di questo equilibrio politico, ma ancor quello del di lui ristabilimen» to sopra basi novelle . Così l’ autore ha delineato il suo cammino, sul quale diffonde quella massa di luce, che fa distinguere gli altri suoi scritti, e gli assegna un posto eminente fra gli storici di Euro- pa - La Francia ha già avute occasioni di applaudire al suo talento; e sarebbe necessario che una traduzione accurata la mettesse nel caso di giudicare dell’ opera, la quale annunziamo, poichè la serie dei fatti che essa contiene non permette punto di darne un analisi. ° 4o. Die Ehe aus dem Gesichtspunkte ec. Il matrimonio con- siderato sotto il punto di vista della natura , della morale, e della chiesa, di J. C. G. JORG professore di medicina, e di G H. IzscHIRNER professore di teologia dell’ università di Lipsia; 1. vol. in 8° di 302 pag: Lipsia 1819. Brumgarther. I 504 L’ istinto delle generazione, il quale regna in tutta la natara organica, ed il matrimonio, che ne è il risultato nell’uomo, sono stati sempre fra gli oggetti più favoriti delle ricerche di molti spiriti speculativi. La natura ha involte le produzioni organiche in un velo tanto misterioso, quanto quello che ricuopre la produ- zione delle pietre e dei metalli nel sen della terra. Il cercare di sollevar questo velo, e di spiegare l’ istinto della generazione quanto la decenza il permette ; il trattare scientificamente il fine e l’influen za fisica e morale del matrimonio, sia rapporto all in- dividuo, sia riguardo alla società; il far derivare da queste ri- cerc he certe regole di condotta per l’ uomo, affinchè nel matri- monio adempia interamente il suo destino , è il problema di cui hanno cercato lo scioglimento il sig. Jorg, ed il sig. Izschirner. Questi due autori hanno fatto il loro lavoro uno indipendente- mente dall’ altro, sebbene nello stesso spirito. Il sig. Jorg in qualità di medico ha trattato la parte fisica, ed il sig. Izschirner, come teologo, si è incaricato della parte morale. I loro lavori riuniti formano un insieme finito, commendabile per le idee pro- fonde, e per le cognizioni bene applicate. 4. Meissners Handbuch ec. Manuale della chimica gene= rale e tecnica di MEISSNER; 1. vol. in 8.° con quattro stampe, Vienna 1319. Gerold prezzo 16 fr. L’autore conosciuto vantaggiosamente per un’ opera eccel- lente sopra l’ aerometria, occupa la cattedra di chimica alla scuola politecnica di Vienna. L° opera che annunziamo forma la base del suo corso. Vi si trovano delle ‘idee novelle ed un ordine totalmente diverso da quello seguito finora nell’ insegnar questa scienza. Il primo volume è diviso in tre parti principali, la pri» ma delle quali espone il sistema che il sig. Meissner si è creato, la seconda dà una descrizione degli apparati di chimica, e la terza presenta un prospetto di tutte le chimiche composizioni + Questo manuale è commendabile principalmente per la chiarez- za, la qual cosa lo rende adattato alla capacità delle persone medesime meno versate nella cognizione della chimica. 42. Ueber den Anfag unserer Geschichte ec. Sul comincia» mento della nostra istoria, e sull’ ultima rivoluzione della terra, considerata come effetto probabile d’ una cometa; di F. G. RHODE; un vol. in 8.° Breslavia presso Holaufer. L’ autore di questo scritto esercita la sua sagacità , come tant’ altri hanno fatto prima di lui, per far delle ricerche still’ ul- - 505 , tima rivoluzione della terra o sia il diluvio. Chiaro gli sembra. che a quel tempo la parte interna della terra abbia provato una grande scossa; che l’ asse, egualmente che 1° equatore della sua rotazione diurna, sieno stati sturbati; e che questi sconcerti ab- biano influito sulla posizione geografica della’ terra, e sopra il suo clima. Ei crede che questa gra n catastrofe della natura sarà stato l’effetto d’una cometa, la quale sorgendo a mezzogiorno si è troppo avvicinata alla terra. Nel Zandavesta vien fatta menzione di questa cometa. Circa al traslocamento dei poli, l’autore fonda i suoi argomenti su varie osservazioni astrono- miche. LIBRI SPAGNOLI 43. Nueva vida de Miguel Cervantes ec. Nuova vita di Mi- chele Cervantes di Savedra, autore del romanzo il Don Chi- sciotte. Madrid, 1820. 1. vol. in 8. All’ accademia spagnola. Questa accademia ha pubblicato una nuova edizione del romanzo il Don Chisciotte della Mancia in quattro volumi, aven- do corretto il testo sulle due edizioni del 1605, e su quelle del 1608 e del 1615, fatte sotto gli occhi dell’ autore, e da lui ri- vedute; adorna di 20 stampe in rame, le quali rappresentano av- venture differenti da quelle, che erano delineate nelle tavole delle antiche edizioni. L’ accademia vi ha anco apposto delle note per ispiegare alcuni passi del testo; e nel primo volume la carta topografica dei viaggi di Don Chisciotte ; l’ analisi ed il piano cronologico della favola, fatti dall’ accademico Don Vin cenzio de los Rios, ma non già la vita di Cervantes scritta da questi, avendo l’ accademia stimato più a proposito di dare all'opera un quinto volume che-contiene la Nuova vita di Cer- vantes, scritta da Don Martino Fernandez de Navarrete, mem- bro e bibliotecario dell’ accademia medesima, e di quella dell’i- storia. Essa sarà venduta separatamente a quelli che hanno le altre edizioni di Don Chisciotte. Questa nuova vita di Cervan- tes è molto preferibile a quella che noi avevamo, non solamente a cagione di un ritratto ‘somigliante di Cervantes, inciso dall’a- bile: Arnetller, di un fac-simile di una lettera originale del medesimo Cervantes, e di tre alberi genealogici della sua fa- miglia; ma principalmente perch’ ella contiene dei fatti fino ad ora del tutto ignoti, e provati. con autentici documenti, dei 506 i quali l’ accademia ha acquistati ‘gli originali, che son da lei con servati nei suoi archivi. Il sig. de Navarrete ha bene intesa la maniera di accrescere l’ importanza del suo racconto, mescolan=; dovi parecchie notizie sulla storia civile e letteraria della Spagna a’ tempi di Cervantes, e non perdendo mai di mira le regole di una severa critica. Questo dotto accademico ha già date alla luce molte opere assai stimate in Ispagna, ed in tutti quei paesi dove elleno son pervenute. Queste son quelle che ho sott’ oc- chio : Discorsi sui progressi che potrebbe fare l’ economia politica prestandole gli ajuti delle scienze esatte e naturali, letta alla So- cietà patriottica di Madrid, della quale nel 1791 I’ autore era membro : Discorso istorico sui progressi che l’ arte della naviga= zione ha fatti in Spagna, letto all’ accademia dell’ istoria nel 1800 allorchè l’autore era capitano di vascello, e primo commesso del ministero della marina : Riflessioni sui vantaggi che la Spagna potrebbe procacciarsi col vendere e ridurre a piccole proprietà le montagne de la Segura de la Sierra, pubblicata nel 1811 dietro un parere chiesto dal Ministro della marina; Disertazione istorica sulla parte che presero gli Spagnoli nelle guerre delle crociate, e sulla influenza che ebbero sul commercio le spedizioni maritti- me degli Spagnoli in quei tempi, letta all'accademia dell’ istoria nell’ anno 1816. Quest’ ultima opera è ripiena di una erudizione ben adattata all’ argomento . L’ autore era membro del supremo consiglio di marina, sotto Carlo IV. Egli è ora senza impiego, ma degno assai di esser rimesso in carica. Le due accademie e la so- cietà patriottica vanno a ragione superbe di annoverarlo tra’ loro SOC] + 44 Las comedias ec. Le commedie di D. PietRO CALDERONE tratte dalle migliori edizioni spagnuole.Lipsia presso Brockhaus, e Parigi al prezzo di franchi 15 in carta fine. Il libraio Brockhaus a Lipsia ha intrapresa una completa edizione delle commedie del celebre poeta spagnolo Calderone, il quale viene nuovamente illustrato in Germania mercè del gusto romantico svegliatosi in quel paese . Queste commedie sono divenute rare fuori della Spagna , 0 almeno era difficile provvedersi buone. edizioni complete. La ‘presente è tale da adempire il desiderio de’ dilettanti di letteratura spagnola. L’ edi- zione è elegante e corretta, in dieci volumi, ciascun de’ quali sarà pubblicato coll’ intervallo di quattro mesi, e comprenderà dicci o undici commedie owgxd |] * contiene: La vida es suena 507 produzione che ha molto incontrato ne’ teatri di Germania; La casa con dos puertas mala es de guardar ; El purgatorio de San Patricio; La gran Cenobia ; La devocion de la Crux La puenta de mantible ; Saber del mal y del bien ; Lances de Amor y fortuna; La dama duende ; Peor esta que esta» da. Sono queste commedie procedute da notizie biografiche sopra il Calderone , scritte in ispagnolo da Don JUAN DE VE- RA Y VILLARROEL: il volume è adornato del ritratto del celebre poeta che in Germania porta il soprannome di padre del romanticismo. 45 Arte elemental filosofica ec. Arte elementare filosofica della lingua spagnola del P. GiovAccHINO BERDOY DE ALU+ STANNE religioso francescano , professore di Brihuega, Madrid 1819. I. Vol. in 12. presso Brun. Asserìsce l’autore che seguendo il suo metodo un solo pro- fessore puo nello spazio di due anni insegnare lo spagnolo e il latino a 120 alunni. Nè deve fare stupore una tal promessa , subito che abbiam veduto per esperienza che tre anni bastano in Ispagna per giungere a possedere la lingua latina. Il metodo francese è molto più lento. Vero si è che in Francia gli alunni imparano nel tempo stesso molte altre cose , laddove in Ispagna studiando la grammatica si astengono da qualunque altro studio. Ma se si paragonano cento alunni di un convitto di Parigi con ugual numero di scolari spagnoli della stessa età si può suppor- re iu su dieci francesi si troveranno cinquanta spagnoli degni di esser considerati come buoni grammatici . Inoltre in Ispagna sì studia la grammatica all’età di move, dieci, e undici amni : allora la facoltà d’ intendere si comincia a sviluppare; e i fanciulli comprendono meglio ciò che loro viene insegnato. Quin- di è che sotto questo aspetto diamo la preferenza al metodo spagnolo sul metodo francese. LIBRI FRANCESI 46. Traitè de la peinture de LEONARD DE Vinciec. Tratta- to della pittura di LEONARDO DA Vinci, preceduto dalla vita dell’ autore e dal catalogo delle sue opere, arricchito dè note da M. GAULT DE S. GERMAIN già pensionato dal re di Polonia, pro- fessore del già collegio di Clermont. Nuova edizione adorna di fi- gure tratte dagli originali del Pussino e di altri gran maestri . 508 Ginevra 1850 in 8.° di pag. 356. presso Sestie: fig. e comp. Parigi presso Bossange padre e figlio; al prezzo di 8 fr. 3» Questo libro classico ed elementare non sarà mai abbastanza letto e consultato dai giovani artisti ai quali io lo indirizzo. Eglino v' impareranno a formarsi lo spirito e a maturare i loro giudizi, e sarà per loro una guida sicura onde dirigersi fruttuosamente nello studio della pittura. Io lo indirizzo pure ai padri di famiglia per- chè possano regolar la sua condotta e quella de’figli loro, quando intendano destinarli all’ esercizio delle belle arti. Lo indirizzo in ultimo luogo ai maestri perchè possano instillare di buon ora il buon gusto ne’ loro alunni, e formare de’ dilettanti istruiti ed il- luminati i quali ci rammentino quei giorni felici dell’antichità, nei quali si vedevano i grandi e gli uomini addetti alle più illustri ma- gistrature ne’ loro ozi coltivare ad onorare le belle arti, e santifi- care in certo modo il loro lusso ; facendo generosamente acquisto di opere de’ più celebri pittori ;, . Tale è il nobil voto dello stimabile editore, voto che confi- diamo di vedere adempito, perchè il suo sapere, il suo metodo, il suo buon gusto guarentiscono a quest’ edizione un merito super- riore su tutte le altre che l’ ‘hanno preceduta. 47. L’Europe et 1’ Amerique, ou les rapports futursdu mon- de civilisè ec. L’ Europa e l’ America, o le relazioni future del mondo civilizzato di M. C. F. pe ScHMIDS-PHISELDECK dottore in filosofia, consigliere di stato attuale di S. M. Danese, tradotto in francese. Coppenaghen 1820. 265. pag. in 8.° Noi non abbiamo potuto leggere che rapidamente quest’ ope- ra, la quale annunzia ‘un pensator profondo, e ci hg fatto il più gran piacere, non ostante alcune piccole inesattezze; che crediamo di avervi ritrovate, ed alcune opinioni, che riguardiamo come er- ronee . Crediamo nondimeno che il traduttore anonimo non abbia fatto un esagerazione allorchè, parlando dell’ autore e dell’ opera che annunziamo, s’ esprime nella sua prefazione così. ,, Non con- teato di presentarci il prospetto dei fatti accaduti sotto gli occhi nostri, e di giudicare dello stato presente dell’ universo da osser- vatore illuminato, ei slancia i suoi sguardi sopra i secoli futuri, legge nel passato l’ avvenire, e presagisce le conseguenze che po- tranno nascere dall’ ordine attuale degli eventi . Egli insegna alle mazioni la difficil scienza di favorire il bene, di prevenir il male, e d’ innalzare il genere umano alla maggior prosperità politica ‘e morale, a cui possa arrivare. Il suo libro, esente da ogni spirito di 50y partito, sembrando non appartenere a nessuna nazione nè classe particolare, si distinguerà sempre da quei numerosi opuscoli, cui fanno nascere continuamente gli avvenimenti giornalieri, e che spariscono con essi, lasciando solamente nella memoria dei lettori delle traccie confuse , Si attribuisce la traduzione di quest’ opera interessante al sig. conte DE SANTI incaricato di affari della corte di Russia a quella di Coppenaghen . Lo stile ci sembra alquanto duro, ma crediamo che questo diffetto debba attribuirsi principalmente all’ originale. 48. Alliance d’ Hygie, ec. — Unione d’ Igia con la bel- lezza, o l’ arte di farsi belle secondo li principj della fisiologia, preceduta da un discorso sulle donne e sopra i costumi degli an- tichi; di GIO. BATTISTA MEGE dottor medico ec. seconda edizione Parigi 1820. Bechet il giovine . 1. vol. in 12.° in rustico . Prezzo 3 franchi e 75 centesimi. Quest’ opera si stampa già per la seconda volta, e questo val più assai di un elogio. Per altrola saviezza dei consigli che contiene fa tanto onore al criterio dell’autore, quanto la sua fortuna al buono spirito delle nostre signore, imperciocchè il libro è ad esse princi- palmente diretto. Le persone che desiderano sanità e bellezza possono dunque legger quest’ opera, nè saranno più brutte o men sane, cosa che non è sempre l’effetto dei libri, i quali promettono la sanità e la bellezza . | ‘49. Abrege pratique des maladies de la peau ec. Compen- dio pratico delle malattie della pelle, classificate,secondo il siste- ma nosologico del Dottor WILLAN, in cui sono esposti con preci- sione i sintomi, il diagnostico, ed il metodo di curare queste ma- lattie; di Tommaso BATEMAN dottor medico tradotto dall’ inglese sulla quinta ed eltima edizion da GUGLIELMO BERTRAND dottore medico ec. Parigi 1820. Plancher libraio, via Coupée N. 7. L’ azione continua dei pregiudizj politici non si è limitata nel dividere gli uomini in francesi, in tedeschi, in inglesi, in italiani ec. mà ha circoscritte ancora le idee, come gli uomini. Vi sono le idee francesi, e le idee tedesche, come vi sono tedeschi e francesi. Ciascheduna nazione ha i suoi costumi, la sua scienza, e la sua po- litica; e questa politica e questa scienza tanto più variano, quanto meno sono avanzate. In fatti non essendo la verità che una sola, più a leici avviciniamo, più ci avviciniamo ancor necessariamente ne’ costumi, nella scienza, nella politica. 510 Non v'è che una morale sola, come non vi è che una sola geo- metria . I costumi sono la conseguenza della morale ; perciò i co- stumi dovrebbero essere per tutto gli stessi come la morale. Una politica illuminata spinge vittoriosamente i popoli dell’ Europa verso le stesse combinazioni politiche, e senza dubbio la scienza perfezionata diverrà pure per tutto uniforme . Dove sono più opinioni sulle scienze, non vi è scienza. Un o- pinione è una supposizione, e si suppone solamente quando si igno- ra. Finchè vi parleranno di una medicina francese, di una medi- cina tedesca, d’ una fisiologia italiana, di una fisiologia inglese, concludete pure con ardire, che non vi è nè fisiologia, nè medicina. Il conflitto solo delle opinioni mediche sulle nea/attie cutance prova già dunque il nostro poco sapere sopra queste malattie. Una buona patologia suppone a rigore una buona anatomia, e noi non abbiamo una buona anatomia della pelle. In mancanza di que- sta anatomia ci siamo contentati fin qui'di osservazioni puramente empiriche, e questo empirismo non ha fatto che condurre a risul- tati preziosi. Noi ci limiteremo ad una sola prova, la quale rende ‘superflue tutte le altre; cioè all’ opera magnifica del sig. Alihert. Il sis. Bertrand ha arricchito lancerà medicina delle idee inglesi sulle malattie cutanee. Il sig. Bateman, di cui ci dà |’ o- pera, ha voluto perfezionare la teoria di queste malattie, 1.° con la loro classificazione, 2.° con la loro nomenclatura. Uno di questi due mezzi sembra assolutamente insufficiente e l’altro male inteso. 1.° Le classificazioni artificiali sono piuttosto la scienza quale certe persone l’ hanno veduta, che la scienza quale ella è + In istoria naturale vi si ribunzia; che si farà egli in medicina? 2.° la nomenclatura è l’ espressione delle scoperte fatte : non è egli dunque un circolo vizioso il supporla l istrumento di queste sco- perte ? dunque il sig. Bateman ha il torto doppio di rendere dipen- dente la patologia dalle classificazioni, e le classificazioni dalla no- menclatura, i Per altro la sua opera offre dei fatti utili, delle nuove consi- derazioni, una gran fedeltà di osservazione, ed una gran saviezza di vedute. Il sig. Bertrand dunque merita la nostra riconoscenza per averla tradotta, e particolarmente per averla tradotta così bene. Tutti si lamentano della sterile abbondanza dei traduttori quasi sempre commentatori: si avrebbe diritto di lamentarsi con il sig. Bertrand della sua riserva; e giudicando da ciò ch’ egli ha fatto eiò che avrebbe potuto fare. egli è certo che vi abbiam perdvt, 553 50 Des petites proprietés ec. Delle piccole proprietà consi- derate nei loro rapporti con la sorte degli operai, la prosperità della agricoltura, e il destino degli stati di Apriano DE Ga- sparin. Parigi 1820, opuscolo in 8° di pag. 60. Longe i mag- giore, al baluch Poissonnier n. 18. prezzo 1. fr. Quest’ opera fa parte di una collezione di memorie sulla agicoltura nel mezzodì della Francia, molte delle quali sono già state inserite nalla Biblioteca universale. Essendo questa di un interesse più generale, l autore ha creduto doverle dare un vestito, che la faccia conoscere da un maggior numero di per- sone. Il sig. Gasparin incomincia dal dare un colpo d’ occhio generale sopra la condizione dell’ operaio ne’ diversi paesi Con- siderando poi le circostanze che lo attorniano, e di cui cono- sce più particolarmente il dettaglio, esso ha studiato i. di lui bisogni e le di lui risorse nel iaia dalla Francia; quindi conclude , che non calcolando i casi accidentali, l’ operaio po- trebbe fare dei risparmi per il fine di sua vita; ma passando alle anomalie numerose , che le disgrazie fanno nascere nella di lui posizione , è stato costretto ad ammettere , che lo stato sociale esige un sistema-di soccorsi complicato e dispend ioso in tutti quei luoghi , dove la divisione delle proprietà non è libe- ra, dove esse non si possono trafficare . La pubblicazione di un opera di tal generè non può non eccitare un vivo interesse in tutte le classi della società; e questo interesse cresce , veden- do che l’ autore sottopone la sua opinione ai fatti , e si espri- me con quella buona fede e franchezza , che conviene così be- ne alla purezza delle sue mire. 51 Histoire philosophique ec. — Storia filosofica e politica degli stabilimenti e del commercio degli Europei nelle due Indie ; di G. T. RArNAL , nuova edizione, corretta ed accre- sciuta sopra i manoscritti autografi dell’ autore; preceduta da una notizia biografica e da considerazioni sugli scritti di Ray- nal; del s16. JAr, e con un volume in fine del supplemento, che contiene la situazione attuale delle colonie , del sig. PEU- CHET, vol. 11 in 8° con dieci figure ed un Atlante in 4° prez- zo fr. 80 Parigi 1820 da AMABLE CosTESs via di Beaune num. 2 sobborgo S. Germano , | Condizioni dell’ Associazione . Il prezzo di ciascheduno esemplare è fissato definitivamente a franchi 80 per i sigg. As- sociati, che si daranno in nota prima della fine di ottobre pros» 512 simo; dopo la qual epoca il prezzo ‘sarà fissato definitivamente a franchi 100. Non sarà pagata veruna anticipazione , ma basterà pagare ogni dispensa nell’ atto della consegna . Le prime cinque di+, spense saranno composte di 2. volnmi per ciascheduna, le quali si pagheranno 12 frauchi . La pubblicazione della prima fu promessa nell’ ottobre, la seconda nel novembre, la terza nel dicembre 1820; la quarta nel gennaio , la quinta nel febbraio, la sesta ed ultima nel mar- zo 1821: questa sarà composta del volume di supplemento, e dell’ Atlante in 4°, e costerà 20 ue L’ Atlante conterrà 50 carte fatté espressamente per l’ ope+ ra : ne saranno tirate 12 sole copie in carta velina, il prezzo delle quali è di 160 franchi. Fine del III. Fascicolo e del Tomo primo. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL TOMO PRIMO. AG { DISCORSI: GENERALI, che {hanno: correlazione collo scopo; € col. piano del presente, giornale. Vi erp A ProEMIO. Pag. 3 Introduzione alla Revue Encyelopediquesti\y 161 Discorso del sig. Cuvzier all’ Accademia. ;Francese. , 13 Riflessioni del medesimo, intorno all’ attuale andamento; e alle relazioni delle scienze ‘colla società. 35 Discorso sulla raccolta di elogi storici letti nelle date pubbliche dell’Istituto reale di Francia, deli sig., Cugier. 5a Lettera sulle belle arti di; Antonio Benci, al compilatore del, giornale tedesco intitolato Kunstblatt. 193 Discorso del prof. Pictet, per l’ qpertura della società Elo i tica in Ginevra. 56 AVVERTIMENTO, che precede il 3.° fascicolo dell’Antologia. 321 SCIENZE MORALI, E POLITICHE. Economia. Lettere dî S. James, scritte alla fine del 1819 sulla situazione dell’ mghilterra. ‘70.175: 4174 Viaggi nella Gran Brettagna di, Car/o Dupin, dalla R. E. 290 STORIA. Ragguaglio sullo stato, attuale della Grecia, dalla PR. E 232 Alì Hissas Bassà di Janina. Prospetto storico del sig. Mal- tebrun dagli Annali de’ Viaggi. 243. 400 INSEGNAMENTO RECIPRocO. Discorso sull'istruzione elementa- re, del Duca di Dudeauville, dal Journal d’éducation. 169 VIAGGI GEOGRAFIA. Descrizione della badia di Vallombrosa, dalle Zettres sur l’ Italie de Castellan. 78 Notizie intorno all’Isola di Ceylan, dal giornale tedesco Mor- genblate. i > Scoperta di un nuovo continente Americano. — 153 Viaggio del Capit. Parry al polo Nord. i 155. 305 Viaggi di Samuele Kiechel dal 1585 al 1589, dal giornale tedesco Morgenblatt., 212 Viaggio in Levante negl’anni- 1817 ; 1818,,'del Conte di For- bin, al giornale inglese, Quarterly Review. 427 LETTERATURA. i FILOLOGIA. Appendice critica all’ opera del sig. Conté G. Perticari, la quale forma il vol. IV. della "Profiost do aC alcune correzioni ed aggiurite ‘al vocabolario della Crus > sca. (Articolo originale) " SE 353 Viaggi in Italia di Galifè. ( Articolo originale)" ; puoi 385 RioGRAFIA. Notizia sul' Sig. de Vo/ney, dalla Revue Encyélo: mi pedique. 259 BELLE LETTERE. Maria Stuarda, tragedia di Lebrun, e Schiller, dalla R. E. OCHOSDre David poema del Corite Coetlogon, dalla R. E. “'hrg L’ Egitto; dîtiràmibo di un giovine egiziano; sig. Digsub orà in Marsilia, tradottà' dal sig. Cicognani: 284 L'Uomo, carme di ALF) dé la Martine adora by toît btadottà dal sig. M. Leoni. 12 VARIETÀ” Chatedubridnd ; critica estratta dalle Zeceres | normandes. 271 SCIENZE NATURALI. FisicA. Pefisieri intorno alle cause déi principali fehoineni naturali, e ‘specialmoitte dell'attrazione , nati all’Acgasibrie dei ‘singolari fatti osservati” dal proftistor! Oerstedt di‘ Coppenhagen. ( Articolo originale ) del prof. Gazzert. 19 ARTI; E MESTIERI. Sul perfezionamento del torchio da stampatori. ‘851 ‘ / / : a BELLE ARTI. Galleria di quadri, e statue in Germania; dal giornale te- © desco Aunstblatt. 196 3 Vita di Federigo Kayser incisore, dal Kunstblatt. 201 | Notizie intorno al quadro della Fornarina di Raffaello. idem 207 I cartoni di Raffaello in Hampton Court. idem 203 Notizie intorno alle belle arti , di Carlo Federigo Baron di Rumhor, dal Kunstblatt. Antica opera di rilievo in Silesvigo di G. Bugmann. 451 Basso rilievo di Pietro Vischer di Ratisbona. i 457 Manoscritto con miniature nella città di Monaco. 443 Pitture di Raffaello in Monaco, ed in Firenze. 454 Considerazioni sull’architettura fiorentina. 458 Accademia delle belle arti di Parigi: osservazioni sulla esposizione per il concorso al gran premio di scultura distribuito dall’ Accademia li 28 settembre 1820. 317 RAGGUAGLI BIBLIOGRAFICI. LIBRI FRANCESI. 140. 290. 507 LIBRI INGLESI. 300 LIBRI TEDESCHI. 50@ LiBRI SPAGNOLI. 505 CARTE GEOGRAFICHE. Annunzio di una nuova Carta militare delle Alpi, del sig. . Raymond. 159 43 ha + Jul. cel bloom 47 o mente th Tee mix È . 4 sn x Ù, “cre pit de CASE, sogg soli Te lai Petar 3 Aguri î È ng ch Ha ey / Lat 4 ih: } D° vi d i POE a Ò) spl EPA: Lor . ; | top Ue TUE], stalli d Dea da i ul ua n ig Kite TRI Le gb ivo dirti; ti ii Vl si XI sa seth i NI A » } eda ge Da prg “bici s R999* Lia è n "diet Pa ato Fate Gi dai gi poi CATITÀ if om er gati pony 4 POLO a 6 Jan A Bas ra o ss oa a Pesa paiono ail rare tt rFisteiza IERI I CCA ZI I TI RE 1 A Ue TO natio n Sairandite DST EMULE Rita a) d 2A Agri } hd i iù PURI y î ì + ti Roe \ Sea è n "a Meg en citi Perlar "o Dl te"M ve. pm Visto A ao ARA ; i i Mal ) i i Veg i orbi r Re 4 fn È Pili! x tc ot "i Gre IZ, . si SA ' TRE / Craps dt 549 i LE peria: 1 ; 0; 4 Pi ì ;i . Ex - da x % #4 % da t 974 . e N de, 7 GITA Mari ta