ta 5 dl ha = dal si LR e asa de _ N Sx 4 |» a a lecca & #, x : b VERRA TO» di III IRA Rana ANTOLOGIA i AGOSTO, SETTEMBRE } 1021. ) TOMO TERZO FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXXI. , ri sa pri di b Aprea g108 pr DE ISFRSBABIO T:t CITE SAS Lg. - Cai i Rn.) ® v CN no #4 i ERI to t- CR ; 10 RESA LARA, E è 7a tag h dial id: ra mp TA Fi I x È for ' 7 , no, Pio * ANTOLOGIA N VIL Luglio. 1821: SCIENZE NATURALI CHIMICA Pedita de progressi della Scienza Chimica dalle ‘prime età ‘sind’ alla fine del secolo XVII. Disser- tazione del'sig:'Vommiso BRANDE Professore della Istituzione piealé di Londra; posta in fronte alla prima parte del terzo out dell’ Enciclopedià | Britannica: ‘estratto del Prof. Gazzeri. ( Gontimuazione? vedi Tom. II. pag. 275.) SEZIONE TERZA. Scoperte del:Dot. Buack relative’ alla ‘causa. della causticità nelle terre é negli ubcdli., ed'a ‘centi fenomeni: ‘del'‘calore. yril ‘ JI (ESTERA SAN ’ ) di : VOTSr #4 uo! chel scoperte del Dot. Giuseppe! Black. formano un'epoca molto importante nella »storia ‘della filosofia chimica. Due ne‘sonò bli oggetti principali ;viéè lavcau- sa ‘della.causticità elle terre ie.degli alcali; e l'azione del calore nelcamgiare lolstato dei corpi. Le:sue prege= voli ricerche ifilosofiche»hanno anche contribuito al pro- gresso della chimica rendendo ragione idi,melti fenome- 4 N ni prima oscuri; e si può fino riconoscere in esse, ben- chè lontana, la sorgente di quei giganteschi migliora- menti, che le arti hanno ricevuto dalle macchine a va- pore. i i Il Dot. Black discese da una famiglia scozzese tra- spiantata prima in Irlanda, e quindi in Francia, ove egli nacque nel 1728 sulle rive della Garonna. Hidoli ta a Belfort la prima educazione, studiò la medicina all’università di Glascow sotto il celebre Cullen. Nel 1750 si ritirò ad Edimburgo, ove in seguito prese il grado di Dottore di medicina. Nel 1756. pubblicò nei Saggi fisici e letterarj i suoi esperimenti sulla magne- sia, sulla calce; e sopra ‘altre sostanze. alcaline. Nello stesso anno ritornò a Glascow a cuoprirvi la cattedra di medicina e di chimica occupata fino allora da Cullen, e vi ricevette festosa accoglienza dagli scolari e dai pro- fessori . i Nel 1764 condusse a perfezione le sue idee relati- ve alle combinazioni del calore colla materia ponde- rabile. Nel 1766 destinato alla cattedra chimica d’Edim- burgo ,.vi spiegò tale zelo, talento, ed ingegno; che at- tiratosi un’immenso numero d'’uditori conciliò alla chi- mica un grado di popolarità e d'importanza che. giovò molto al suo avanzamento. Chiaro nel dire, ingegnoso nel dimostrare, nemico d’ogni ipotesi e congettura, ispirava! negli uditorivuna fiducia nelle sue» conclusioni non inferiore. a quella ;che: deriva dalla propria espe- rienza. Ottenendo egli grande celebrità; contribuì sin- golarmente a fondare e ad accrescere quella che 1’ uni- versità d’ Edimburgo acquistò è mantenne. Dolce ed amabile di carattere; congiunse alle più alte doti filosofiche i più giocondi ornamenti della vita. 5 Egli morì nel novembre 1799 nell’anno 71.%° del- l’età sua. I pochi scritti che il Dot. Black ha lasciati sono capi d’opera di composizione scientifica. Preso Newton a modello, egli fu il primo ad introdurre nella chimi- ca il severo sistema di quella logica ragionatrice, che distingue le produzioni di quel gran maestro di filosofia naturale. La sua eccessiva modestia lo trattenne da pub- blicare le sue ammirabili ricerche, le quali ‘bensì co- municava liberamente ai suoi discepoli. Rare volte si presentò al pubblico come autore, e fino le sue lumi- nose investigazioni sulla filosofia del calore si trovano nelle sue opere postume. i Fra le ricerche del Dot. Black esporremo prima quelle che riguardano la causa della causticità delle ter- re e degli alcali. La scoperta della magnesia lo impe- gnò a rivolgersi a quest’oggetto. Questa sostanza comparve la prima volta in Italia nel 1707 come un’arcano. Valentino insegnò ad estrarla dall'acqua madre del uitro. Hoffman la distinse dalla calce con cui era stata confusa, e la ricavò dall’ acque del mare, dopo estrattone il sal comune. Essa vi esiste combinata all’ acido solforico, formando un sale simile. a quello che sì ricava da alcune acque minerali presso Epsom, onde prese il nome, e che poi si cominciò ad estrarre più abbondantemente e con maggior vantag- gio dall’ acqua del mare. Black riconobbe che quando la magnesia si prepa- ra precipitando la soluzione del Sal d’ Epsom per mez- zo d’un’alcali dolce, o non caustico, essa fa efferve- scenza, 0 sviluppa un fluido aeriforme per il contatto degli acidi, ma che scaldata fino all’infuocamento per- de una parte di peso e la proprietà di fare effervescen- 6 za. Questo fatto che ha luogo anche colla calce, lo'in- dusse a credere che queste sostanze perdessero qualche cosa per l’azione del fuoco, anzichè acquistatvi 11 flogi- sto, Yacido pingue, o altri esseri immaginarj; che Stahl, Meyer, e Macquer avevano supposti. Però distillò in una storta un. poco di magnesia; ma non avendo otte- nuto altro prodotto sensibile che una quantità d’ acqua troppo piccola per rappresentare la notabile diminuzio- ne di peso sofferta dalla magnesia, gli tornarono: alla mente gli esperimenti di Hales; e sospettò che. se ‘ne fosse separata qualche sostanza: aeriforme, ché prima fosse cagione dell’effervescenza. Posto però un poco di magnesia non calcinata in una bottiglia avente un tubo piegato, di cui insinuò l'estremità sotto d’un vaso rove- sciato nell'acqua e pieno di essa, e versato un. poco d’acido nella bottiglia, ottenne una grande quantità d’un fluido elastico, che ricavò egualmente dalla creta e dall’ alcali comune. Egli lo chiamò aria fissa, e provò - che esso dolcificava le terre e gli alcali , o toglieva oro la causticità , e che la calce aggiunta all’alcali dolce ne . assorbiva l’aria fissa rendendogli la causticità. IR Nell'anno 1750 Venel avendo osservato che 1’ ac- qua di Seltzer ed altre acque spiritose poste sotto il re- cipiente della macchina pneumatica lasciavano sfug- gire una grande quantità d’aria perdendo il loro sapore, la imitò distibeliendò nell’ acqua la soda comune ed aggiungendovi peo, muriatico ; che vi produsse un’ ef- forveuceniaii e le dette sapore ed attività. Questi espe- rimenti precederono la pubblicazione, ma non l’espe- rienze del Dot. Black. Nel 1764 il Dot. Macbride di Dublino confermò te conclusioni ed estese le vedute del Dot. Black, fa- cendo conoscere diverse nuove proprietà dell’aria fissa , i 7 e dimostrandone l’esistenza nell’atmosfera, donde la calce o gli alcali, lasciativi esposti, l’assorbono e diven- gono effervescenti. Siccome la calce che 5’ impiega per ingrasso serve a modificare alcune materie organiche, le quali si trovano nel terreno, rendendole solubili, e però atte a nutrire le piante, ne segue che debba esse- re pronta mente sparsa sulla terra ed incorporata ad es- sa, e non Jasciata in masse esposte all'aria, ove, come Macbride ha dimostrato, con assorbire l’aria fissa, per- de la sua causticità , e le qualità che ne dipendono. . Da questa succinta esposizione delle importanti ricerche del D. Black relative alla causa della caustici- tà delle terre e degli alcali, passeremo a. dare un’ idea delle sue ingegnose investigazioni intorno agli effetti del calore, le quali tanto concorsero ai progressi di que- sta parte di filosofia sperimentale , ed alle quali egli de- ve la più gran parte della sua celebrità. Parlando della graduazione dei termometri, si è accennato che l’ acqua risultante dalla fusione del ghiac- cio è sempre alla temperatura di 32 Farh. Sembra che questo fenomeno ed altri analoghi facessero sullo spirito del Dott. Black tale impressione per cui fosse impegna- to ad indagarne le cagioni. Lo fanno credere alcuni que- siti trovati fra le sue note più antiche, dei quali ecco al- cuni. « Perchè mentre il ghiaccio sottrae calore ai corpi contigui, la sua temperatura non n’ è accresciuta ?. Per- chè l’ acqua a 32 esposta alla temperatura di 60 si ri- scalda gradatamente fino a questo stesso punto, ed il ghiaccio nò? Perchè V acqua liquida raffreddata alcuni gradi sotto 32, sale co ngelandosi a 32? Perchè l’ acqua esposta all’ azione del fuoco si riscalda fino a 212, poi non più? » Questi ed altri quesiti, che egli si era propo- sti, furono felicemente risoluti dal Dott. Black. 8 * Egli dimostrò che i solidi divenendo liquidi assor- bono calore, il quale diviene latente, e cessa d’ esser sensibile, e determinò ancora con interessanti e curiosi esperimenti la quantità di calore che si fissa ea allorchè il ghiaccio si fonde. Dalia mescolanza d’ una ‘libbra d’ acqua a 172 e d’ una libbra di neve a 22 essendo risultate due libbre d’acqua a 32, egli concluse che i 180 gradi di calore ter- mometrico dispo erano impiegati a fondere la neve o convertirla in acqua. Ud’ altra esperienza confermò que- sta conclusione . Mentre mescolando una libbra d’acqua a 32 ed una a 200 la mescolanza presentava la tempe- ratura media, cioè di 116, all’ opposto la mescolanza d’una libbra di neve a 32 e d’una libbra d’ acqua a 200 aveva la temperatura di 46, che è la media di 92, cioè di 232 meno 14o assorbiti per la fusione della neve. Questi sperimenti hanno offerta una facile spiega- zione, che prima cercavasi in vano , della produzione del calore e del freddo in molti casi . Il freddo essendo prodotto, o per dir meglio il calore essendo assorbito al- lorchè i sali divengono liquidi, s'intende perchè mesco- lando sali ed acqua, e molto più sali e neve, s’ ottenga un freddo più intenso che i freddi naturali dei climi più gelati, e capace di solidificare il mercurio. All’ op- posto i liquidi divenendo solidi rendono libera una parte del loro calore latente, come accade unendo l’ acido sol- forico alla magnesia, 0 l’ acqua alla calce . Così 1’ acqua raffreddata alcuni gradi sotto 32, sale a 32 congelandosi; così alcuni sali si riscaldano cristallizzandosi rapida- mente . La dottrina del calor latente suppone il calore una si sostanza che si fissa nei corpio sì separa da essi. Da que- ‘ sta opinione, ammessa dal maggior numero dei fisicì, 9 rdissentono alcuni altri, fra.i quali si contano molti som- mi filosofi, che fanno consistere il calore in un moto di vibrazione più o meno rapido fra-le particelle de’corpi. L'imponderabilità del calore, e l’ inesauribil? suo svi. luppo dai corpi per il fregamento sono i principali fon- damenti di questa seconda opinione . Si è già accennato come l’anomalia che presenta la legge della condensazione dell’acqna nei gradi. prossimi alla sua congelazione era causa della lentezza di questa nelle grandi masse d’acqua. Conviene ora aggiungere che essa dipende anche dai fenomeni del calor latente. L'acqua per convertirsi in ghiaccio dovendo abbandona- re una quantità di calore capace di far salire il termo- metro a 140, ed altrettanto dovendone assorbire il ghiaccio per liquefarsi, la congelazione ed il digelamen- to non possono essere se non lenti; con che son preve- nuti gravi mali che risulterebbero da cangiamenti più rapidi. L'utilità dell’ irrigazione dei prati è similmente illustrata da queste dottrine. L’ acqua a 40 Farh. essen- do più grave che a 32, scenderà a contatto dell’ erba, mentre raffreddandosi ulteriormente e convertendosi in ghiaccio resterà alla superficie. Davy ha trovato presso le radici di piante pratensi la temperatura di 43. Così per l’ anomalia della densità dell’ acqua, e per la difesa che presta loro il ghiaccio, i vegetabili son difesi dal rigore dell’ atmosfera, e dai subitanei cambiamenti di temperatura. La congelazione poi mitiga il freddo dell’ atmosfera, rendendo libero o sensibile il calor la- tente dell’ acqua. ; Il dott. Black prese anche ad investigare l’ azione del.calore nell’ evaporazione dei liquidi, con una saga- 10 cità eguale a quella con cui aveva indagato il suo modo d’agire nella liquefazione dei solidi. La costanza della temperatura di 212 Farh nell’e- bollizione, in qualche modo analoga a quella di 32 nella congelazione, gli fecero congetturare che il calore, il quale non era impiegato ad alzare la temperatura del- l’acqua, si combinasse ad essa restando Zatente nel vapore, e divenisse poi nuovamente libero e sensibile allorchè il vapore ritornava liquido. Il dott. Black non solo verificò queste induzioni, ma volle anche riconosce- re la quantità del calore termometrico fissato o reso li- bero. pi Esposta una data quantità d’acqua ad un calore costante, osservò che mentre essa impiegava: quattro minuti per riscaldarsi dai gradi 50 ai 212 Farhoall e- bollizione, richiedeva 20 minuti per vaporizzarsi intie- ramente. Ne concluse che l acqua bollente cangiandosi in vapore assorbiva una quantità di calore quattro volte maggiore di quella che aveva servito a riscaldarla dai 50 ai 212, 0 a farla bollire. Era quindi evidente che il vapore d'una piccola massa d’ acqua poteva , spoglian> dosi del suo calor latente, riscaldarne e farne bol- lire una molto maggiore. In fatti non'si tardò a fare utili applicazioni di questi principj ai bisogni delle arti ed ai comodi della vita. Da varj esperimenti. relativi sembra potersi concludere che la quantità di calor ter- monetrico divenuto latente nel vapore è fra 900, e 1000 Questi fatti mostrando che la condensazione del vapore, o il suo ritorno allo stato liquido, è sempre un processo da cui emana calore, ne segue che la formazio» ne del vapore, o il passaggio d’un liquido in quello stato, debba assorbirne e produr freddo. Quindi li stessi II principj servono a spiegare alcune ossevazioni del dott. Cullen, il quale circa l’anno 1774 osservò che bagnando esternamente un termometro con spirito di vino o con etere, il mercurio discendeva in esso da 60 a 0, e che esponendo nel vuoto della macchina pneumatica una boccia contenente etere ed immersa in un vaso d’ acqua che la circondi esternamente, l’evaporazione dell'etere, che si effettua rapidamente nel vuoto, sottrae dall’ ac- qua tal quantità di calorico da congelarla. Questa parte della filosofia del calore illustrando diversi fenomeni naturali, ce ne fa ammirar l’ ordine e l economia. La costante evaporazione dell’ acqua, che sì effettua alla superficie della terra, è il regolator natu- rale del calore. 1l vapor formato, salendo alle più fred- de regioni, vi accresce la temperatura, abbandonando il suo calor latente, e ripreso lo stato liquido ricade sopra la terra in pioggie fertilizzanti, che raccolte in torrenti fra le montagne, ed in fiumi fra le valli, tornano al pa- dre oceano per soggiacere di nuovo a simili cambia- menti. Ma anche indipendentemente dal cambiamento di forma e di stato dei corpi, ogni qualvolta la densità loro è variata, vi è un’ equivalente variazione nel loro calor latente. Mentre sotto i colpi del martello si accresce la densità del ferro, questo si riscalda, o abbandona una parte del suo calore . Il fregamento ravvicinando le par- ticelle dei corpi ne spreme calore . L’ aria stessa rapida- mente compressa, ne rende libera tal quantità che ac- cende i corpi combustibili. In questi casi si dice cam- biata la capacità dei corpi per il calore, diminuendo ove la densità si accresca, e viceversa. Il dott. Black imprese anche a determinare le diverse quantità di calore contenuto in diverse sostan- 12 ze ad una stessa temperatura : L’ esposizione d’ un espe- rimento farà comprendere il mezzo ch’ ei v impiegò. Se, circondata di ghiaccio una boccia contenente una libbra d’ acqua bollente, questa nel discendere da 212 a 32 liquefaccia una libbra di ghiaccio, e se la stessa quantità d’ olio d° oliva discendendo egualmente da 212 a 32 ne liquefaccia solamente mezza libbra ; se ne concluderà che, sebbene la temperatura termome-, trica dei due liquidi fosse eguale, l’acqua conteneva una quantità di calore doppia di quella contenuta nell’ olio. Queste quantità diverse nei diversi corpi son dette il loro calore specifico. Così nel caso supposto si direbbe che il calore specifico dell’acqua è 2, quello dell’olio d'oliva 1. Le ricerche analoghe d° Irwine, di Crawford, di Wilcke, di Lavoisier, e d’ altri hanno seguite queste prime di Black, cui la dottrina del calore deve gran parte della moderna sua luce . Fra le varie scoperte, delle quali questo ragiona- mento tende a far conoscere la successione, niuna è sta- ta più importante nelle sue conseguenze che quelle le quali riguardano la composizione dell’ aria atmosferica, riputata già dagli antichi un’ elemento . Si è Ent che Mayow fino dal 1674 conobbe al cuni dei fatti che formano il fondamento della dottrina pneumaticae. Hales insegnando a sprigionare e raccoglie- re i gas, facilitò la via di tali ricerche, nelle quali Boer- haave e Black lo seguirono. Ma la conquista delle più importanti verità pneumatiche era riserbata a Priestley. Rey e prima di esso Cesalpino e Libavio avevano riconosciuta la necessità dell’ aria nella combustione . Mayow affermò che una parte sola dell'atmosfera vi prendeva parte, e dimostrò che l’aria in cui i corpi ave- vano bruciato non poteva servire alla respirazione degli 13 animali. ‘Scopertosi che nella’ combustione e nella re- spirazione si produceva aria. fissa, e riconosciute. da Black le perniciose qualità di questa, fu creduto che essa sola viziasse l’aria atmosferica in quei due processi, tanto più che spogliata questa dell’ aria fissa con espor- la al contatto dell’acqua di calce , sembrava purificarsi in qualche modo. Ma nel 1772 il dott. Rutherford professore di bo- tanica nell’ università d’ Edimburgo provò che Varia la quale abbia servito alla respirazione degli animali, an- corchè spogliata della parte mefitica, o dell’aria fissa, per mezzo d’ una lissivia alcalina, e resa incapace d’ intor- bidare l’acqua di calce, pure estingue la fiamma e di- strugge la vita. Così, oltre 1’ aria fissa di Black, egli ri- conobbe nell’ atmosfera un altro gas ‘irrespirabile, che poi fu chiamato azoto. + Ma eccoci nell’ istoria delle cognizioni chimiche ad una dell’epoche più brillanti per la moltiplicità e per 1’ importanza delle scoperte fatte da Priestley, Scheele, Cavendish, e Lavoisier, nell’ esposizione delle quali per servire alla maggior chiarezza devieremo per avventura dal rigor cronologico delle date. SEZIONE QUARTA Il dott. Priestley non può essere definito con una semplice qualificazione scientifica. Non si può appren- dere senza sorpresa che le ricerche filosofiche, dalle quali fu condotto a tante e sì luminose scoperte, non furono in qualche modo se non un sollievò con cui egli alternava i suoi studj politici, teologici, e metafisici, e l’ esercizio: della controversia e della disputa .. Sembra 14 che egli concepisse affetto per lo studio della chimica in Leida circa l'anno 1768, dalla qual’ epoca fino all'an- no 1772 egli arricchì la scienza di molti fatti nuo- vi, che espose minutameute in una memoria presentata alla Società reale in quell’ anno. Studiando l’ influenza della vegetazione sull’ atmo- sfera, egli era stato condotto ad illustrare gradatamente la fisiologia delle piante; ed a spiegare quel maraviglioso accordo, per cui i diversi prodotti della creazione sono dalla natura ordinati a servire ai bisogni gli uni. degli altri, conservando quell’ eterna armonia che SHEEeHA il mondo materiale . Sapendo che l’aria è viziata dalla comsaci iam e dalla respirazione , il dott. Priestley volle esaminare qual modificazione inducessero in essa la vita e l’accre» scimento dei vegetabili. , Però, sioni una «pianticella di menta in un vaso di vetro rovesciato sull’ acqua, e lasciatoyela vivere e crescere per alcuni mesi, trovo, contro la sua aspetta- zione, che l’ aria serviva ancora benissimo alla combi» stione ed. alla respirazione . All’opposto per altri esperimenti egli rigogio lib che le piante esposte all’aria viziata dalla cor hag one e dalla respirazione, non solo vi prosperano, ma la ricon- ducono alla primitiva purità . Egli concluse che l’aria nociva risultante dalla com- bustione e dalla'respirazione forma parte del nuttimen- to delle piante, le quali appropriandosela per l’esercizia delle loro funzioni ‘concorrono a mantener pura; l’atmo- sfera. Fino dal 1674 era aveva osservato prodursi per l’azione dell’ acido nitrico! sui metalli una materia aeri- forme. Hales nel 1724 riconobbe: in essa la singolar / 15 proprietà di formare un vapor rosso per la sua mesco- lanza all’aria atmosferica. » Priestley, riprendendo queste ricerche; trovò che al momento della mescolànza dei due gas, e della for- mazione del vapor rosso, cena condensazione, 0 dimi- nuzione di volume; di cui determinò la quantità ; che unendo all’ aria nitrosa (com’ ei la chiamò) in vece d’a- ria atmosferica l’aria fissa, non vi era, formazione di vapor rosso, nè diminuzione di volume; e che impie- gando aria viziata dalla combustione o dalla respira- zione; la diminuzione era minore che in aria più, pura, e proporzionatamente.alla sua minor purità. Quindi la bella applicazione dell’aria nitrosa .ai processi enudiometrici, 0 a riconoscere l’ attitudine d’ al- tre specie d’aria a servire nella combustione ‘e nella re- spirazione. Per queste scoperte la Società reale conferì a Priest- ley una medaglia d’onore nel 30 novembre 1733. ;»nNello stesso anno Priestley prese ad.esaminare l’a- ria che,si sprigiona scaldando.il minio ed il precipitato rosso, soggetto di cui Hales si, era occupato prima di lui, ma troppo frettolosamente e trascuratamente per. rica- varne profitto . Li primo d'agosto 1774 è un giorno segnalato negli annali della filosofia chimica; come quello in cni Priest- ley scuoprì 1’ aria deflogisticata , (Già la sua primitiva opinione, che ogni specie d’a- ria fattizia fosse nociva, pare che. ricevesse un primo colpo dall'osseryare.che una candela bruciava nell'aria ricavata «dal distillare il nitro in una:canna da schioppo. Ma il seguente esperimento fu decisivo. Eimpito di mercurio un vaso di vetro, e rovesciato- loin un bacino, pieno dello stesso metallo, v’intodusse 16 un poco di precipitato rosso, ‘che venne a galleggiare sulla superficie . Diretti sopra questo i raggi solari-riu- niti per mezzo d’una lente ustoria, vide: che l'azione del calore ne separava una sostanza aerea . Fatto entrare nell’ apparato un poco d’acquara:con- tatto della nuova aria, ‘osservò che questa nonvera.as- sorbita: Allora immersa in essa una candela accesa; vide con sua grande maraviglia che essa vi bruciava con luce vivacissima, e molto simile a quella ‘con. cui brucia nell’ aria sitio che sia stata prima esposta all’a- zione del ferro, o del fegato di zolfo. Non avendo egli osservata una simil proprietà in alcun altra specie d’a- ria, oltre la nitrosa, ed ignorando:che nella preparazione del precipitato s'impiegasse :l’ acido nitroso:; si trovò imbarazzato nella spiegazione del fenomeno. In seguito ottenne la stessa specie d’aria dal minio eda altre sostanze trattate col calore, ed intraprese espe- rimenti ingegnosi per riconoscerne le proprietà . Attaccatissimo all’ ipotesi del flogisto, nella quale si suppone che quest’ essere fibiaarico sì separi dai‘cor- pi che bruciano, egli chiamò ii nuovo gas ottenuto aria deflogisticata, supponendola priva di flogisto ed avidis- sima d’ unirsi a lui, ed all’opposto spiegò l'estinzione della fiamma nell’ aria scoperta: da Rutherford; e chia- mata di poi azoto 0 nitrogeno, con supporla carica di flogisto; quindi la chiamò aria flogisticata. Non è da tacersi che, oltre i meriti di discuoprito- re insigne, il dott. Priestley ha quel!o di avere arric- chito il laboratorio di molti utili strumenti ed apparati; e d’ aver molto migliorato ‘i processi per raccogliere, maneggiare, ed esaminare i fluidi aeriformi. Egli il pri- mo ne determinò il peso specifico comparativo, impie- gandovi una bilancia delicata ed una boccia vuota d’aria. 27 Visto il modo onde l’aria deflogisticata favoriva la combustione, il dott. Priestley congetturò che ella do- vesse essere singolarmente atta alla respirazione. La prova per l’ aria nitrosa avendo confermata la sua con- gettura, vi cimentò alcuni topi, i quali vissero in essa più lungamente che in un egual volume d’aria atmosfe- rica. Volle allora respirare egli stesso quest’aria; nel che fare gli parve provare al petto un senso di leggerez- za edi facilità. Dal principio al fine della sua carriera il dott. Priestley sostenne tenacemente l’inintelligibile sistema del flogisto, adottandolo in tutta la sua originale incon- gruenza ed assurdità; e l’ ultima delle sue scientifiche produzioni fu un trattato in cui prese a difenderlo, ad- ducendo varie obiezioni alle ravvivate ipotesi di Rey e di Mayow, le quali dopo aver lungamente dormito, fu- rono in quel tempo riprodotte nel mondo chimico. Sebbene sia innegabile che alcuni dei fatti scoperti dal dott. Priestley ed.ora narrati spargano molta luce sulla natura e sulle proprietà dell’aria atmosferica, pu- re è una esagerazione il riguardarlo, come alcuni han fatto, qual discuopritorc della sua composizione. Sembra di fatti che in vece di riguardare l’aria flogisticata e Yaria deflogisticata come due sostanze distinte chimi- camente, egli considerasse l’aria atmosferica come una materia elementare , carica in un caso: dell’imaginario principio dell’ infiammabilità, e priva di esso nell’ altro. Che se talvolta inclinando a vedute più corrette; pose un piede nel retto sentiero, il fuoco fatuo del flogisto abbagliandolo lo guidò di nuovo nell’ errore. Priestley raccogliendo e maneggiando, come gli altri fisici, i diversi gas sull’acqua, si accorse che alcuni di essi ne erano assorbiti, Il sig. Cavendish aveva fatto T. III. Luglio 2 18 la stessa osservazione, che lo aveva imbarazzato. Ma l’ ingegnoso Priestley superò la difficoltà sostituendo all’ acqua il mercnrio, sopra il quale esaminò varie spe- cie d’ aria solubili nell’ acqua. Fu la prima fra queste quella che egli chiamò aria acida marina, cioè il gas acido muriatico o idroclorico; che egli ottenne scaldando il rame col comune spirito di sale, e di cui riconobbe le principali proprietà . Trattando con sostanze infiammabili 1’ acìdo solfo- rico, egli ottenne un’ altro gas, che chiamò aria acida vitriolica, e che è l’odierno gas acido solforoso, di cui pu- re riconobbe e descrisse le proprietà più importanti. Dopo varj infruttuosi tentativi per ottenere allo stato di gas isolato la sostanza pungente che emana dal sal volatile, dallo spirito di corno di cervo, e da simili composti, giunse poi a procurarsela scaldando una me- scolanza di calce e di sale ammoniaco. Il prodotto fu un gas permanente sul mercurio, ma solubile nell’ ac- qua, dotato di particolari caratteri che egli descrisse. Lo chiamò aria alcalina, ed è il gas ammoniaco dei mo- derni. Egli osservò fra le altre cose che quest’ aria me- scolata alle arie acide sopra indicate, vi si combinava formando un composto salino solido, e che impiegate in proporzioni convenienti le due arie si condensavano in- tieramente. . Queste ed altre scoperte del dott. Priestley, oltre il merito dell’ originalità, e l’ intrinseca loro importan- za, servendo ancora ad illustrare un gran numero di fe- nomeni naturali ed artificiali, prima oscuri ed inespli- cabili, gli guadagnarono giustamente l’ universale am- mirazione . 19 SEZIONE. QUINTA Scoperte di italo e di Cavendish. . Tra i chimici più distinti della prima metà del secolo 18 si contano Margraaf e Bergman. Le opere del. primo ricche di molte notizie nuove in quel tempo ed importanti, possono riguardarsi: come saggi dell’ analisi portata poiva maggior perfezione da Bergman, che oltre le qualità di sperimentatore diligente e di sottile ragio- natore, fu protettore efficace della scienza ; ed ebbe il merito di togliere Scheele dall’ oscura sua situazione; discernendo im esso “gran genio che divenne poi sì fe- opado: Questi nacque a Stralignd nel i 1742 ;e fu ug un alttiaiimog Passò la sua età giovanile nella casa d'uno speziale di Gottemburgo, ove con quella industriosa co- stanza, che ‘deriva da una ‘forte inclinazione naturale, si arricchì di molte chimiche cognizioni. Nel 1773 es- sendosi portato ad Ubsal, vi fece accidentalmente cono- scenza con Bergman, il quale divenne suo amico e pro- tettore, e ad onore del quale è da dire che allorquando la crescente riputazione di Scheele minacciò d’ ecclissa- re la sua propria, anzichè sentirne bassa gelosia, divenne più zelante in favorire il suo rivale, e più indefesso in servire il suo amico. Scheele inseguito si trasferì a Koping; presso Stockolm, dove morì nel.1786. La prima produzione di Scheele comparsa nelle memorie di Stockolm, per l’anno 1771 è relativa all’a- nalisi dello spato fluore, di cui Margraaf aveva indicate alcune particolarità, ed in cui Scheele dimostrò la pre= senza della calce, e d’un’acido particolare, che egli chiamò fluorico, e che ha la: singolar proprietà di cor- 20 rodere il vetro, edi disciogliere la terra selciosa forman- do con essa un composto aériforme , dal quale per il contatto dell’ acqua si separa la terra. Siccome sviluppando il gas per mezzo d’una storta di vetro, e facendolo passare per l'acqua, ciascuna bolla sì vestiva a contatto dell’ acqua d’una pellicola di terra selciosa, imaginò che questa terra fosse composta d’aci- do fluorico e d’ acqua; ma trovando in seguito la storta corrosa e forata, riconobbe che da essa era provenuta la terra. Il secondo fra i più interessanti oggetti di cui Scheele si occupasse fu una serie di ricerche sul man- ganese, sostanza minerale assai comune, ma non cognita nella sua natura prima dell’anno 1774, in cui egli pub- blicò intorno ad essa un Saggio pieno di fatti i importanti, e di brillanti scoperte. Vi sì Lisi annunziato per la pri» ma volta che il manganese è una calce metallica, che spesso vi si trova naturalmente unita una terra parti» colare chiamata in seguito barite, e che l’ azoto è uno dei componenti l’ alcali volatile. Ma la più importa nte fra le nuovità contenute in questo Saggio è la scoperta d’un gas particolare di color giallo, che Scheele riguar- dò come acido muriatico privo del suo flogisto, chia- mandolo però acido marino deflogisticato, di cui per un diligente esame riconobbe i principali caratteri, e specialmente quello di distruggere i colori vegetabili, il quale lo ha fatto utilmente applicare all’ imbianca- mento delle tele e d’ altri oggetti. Questo gas è quello che fu poi detto sar ossimuriatico, e più recentemente cloro. Questo stesso Saggio c’ induce a credere che Scheele scuoprisse l'azoto contemporaneamente al dott. Ruther- ford. Egli trovò che esponendo all’ azione dei composti 21 di zolfo e d’ alcali un dato volume d’aria atmosferica, una parte di questa era assorbita, e che il residuo, quan- tunque non fosse aria fissa, era incapace di mantenere la combustione. Egli ottenne anche l’ azoto stesso dal» l’amrhoniaca per mezzo d’ alcuni composti di manga- nese. Si devono pure a Scheele ingegnosi processi per ricavare dal tartaro e dal sugo del limone'gli acidi tar- tarico e citrico, e varie curiose ed interessanti notizie intorno ad alcuni acidi metallici, ed alle loro combina zioni. Egli descrisse particolarmente un composto di rame e d’ uno degli acidi dell’ arsenico, composto che s' impiega nella arti come un bel color verde, e che egli ottenne aggiungendo ad una soluzione di solfato di rame una soluzione alcalina d’ arsenico bianco. I suoi trattati chimici sulla natura e sulle proprietà del latte, le sue osservazioni sull’ etere, sulla conserva- zione dell’ aceto, sul bleu di Prussia, e sulla natura della materia acida di varii frutti, sono tutti assai pregiati per l’ esattezza sperimentale, e per la giustezza della con- clusione . Ma fra le varie opere di Scheele caratterizzano più d’ ogni altra il suo genio originale ed inventivo le sue Chimiche osservazioni ed esperienze sull’ aria e sul fuoco. Vi risplendono l’aggiustatezza degli esperimenti, e la sagacità delle induzioni. Vi son esposti i fatti con ordine chiaro e distinto, addotte le speculazioni teoriche con riserva e modestia. Nè vi mancano scoperte origi- nali d’un ordine superiore. Senza alcuna cognizione della scoperta di Priestley, egli ricavò dal manganese il gas ossigene, che chiamò aria empirea, e di cui fece minutamente conoscere le proprietà, ceme anche di- versi modi di procurarselo, 22 Trattò estesamente della composizione dell’ atmo» sfera e delle calci metalliche, e riferi alquanti fatti.de- gni d’ attenzione relativi all’ azione chimica dei raggi della luce divisi per il prisma; ed al raggiamento del calor.terrestre . Ù - Mentre Priestley e Stltcale arie fio la scienza chimica di molte brillanti scoperte, delle quali sì sono indicate le principali, altre ne raccoglieva. l'illustre Enrico Cavendish, seguendo un’ altro genere d’investi- gazioni. Van-Helmont; Mayow, ed Hales con indigesti ed imperfetti esperimenti avevano dimostrata l’ esistenza di fluidi aeriformi infiammabili; ma non fu con qual- che precisione determinata la natura -del principio par- ticolare a cui debbono la loro infiammabilità , se non quando Cavendish vi ebbe rivolta la sua attenzione, e pubblicati nelle transazioni filosofiche per Y anno 1776 tre trattati intorno rn arie, infiammabile, fissa e nI- trosa . 3 Il primo d’essi è particolarmente degno d’ atten= zione per la sua originalità ed importanza; giacchè, nelle ricerche relative ai soggetti degli ultimi due trat- tati, egli era stato preceduto da Mayow e da Black, o superato da Priestley, da Scheele, e da altri. Facendo agire alcuni acidi deboli sopra il ferro, sopra lo zinco, e sopra lo stagno, ottenne un fluido elastico particolare, che diversi caratteri distingueva» no da tutti gli altri fino allora conosciuti. Non era assorbito dall’ acqua, uccideva gli animali, estingueva i lumi infiammandosi frattanto esso , e bruciando con fiamma azzurra , ed era la più leggiera di tutte le sostanze cognite. Bruciando varie mescolanze di quest’aria infiam- 23 abile e d’aria comune, egli trovò che quando la | proporzione era d’una parte della prima; e di circa tre parti della seconda, la mescolanza faceva esplo- sione avvicinandole un lume acceso, e che sebbene il vaso in cui si faceva l’ infiammazione fosse avanti bene asciutto, dopo l'esplosione si trovava sempre bagnato. Questa circostanza fu osservata da Macquer nel 1766, e poco dopo da Priestley, ma che l’ acqua fosse il prodotto della combustione dell’ aria infiam- mabile, sembra che cadesse in mente prima d'ogni altro al sig. Wat, che comunicò la sua idea al Dot. Priestley nel 1783. Cavendish imprendendo ad illustrare questo sog- getto, seguì un metodo di ricerca nuovo e conducen- te all'evidenza. Egli imaginando e praticando processi opportuni, sottopose l’aria infiammabile alla combu- stione lenta, ed alla combustione rapida, o detona- zione. In ambedue i casi il prodotto fu acqua. ‘Frattanto egli osservò che unitamente all’acqua si produceva ordinariamente una materia acida, la quale dava all’acqua un sapore leggermente agro, e la proprietà' di cambiare in rosso i colori azzurri dei vegetabili, e riconobbe esser questo un poco d’acido nitrico.. Sorgeva il dubbio se gli elementi i quali in una proporzione data formavano l’acqua in una diversa proporzione formassero l’ acido nitrico, o se questo avesse altra origine, e quale. Nè egli tardò ‘a’ risol- ‘vere questo dubbio, provando che l'azoto e l’ ossige- ne, i quali per la mescolanza loro costituiscono l’aria atmosferica, formano l’acido nitrico allorchè si com- 24 binano insieme in proporzioni diverse e determinate, in presenza dell’acqua. 3 Il più singolare fra gli esperimenti, coi quali egli provò questo curioso fatto, consiste nel far pas- sare per alcune ore la drrtila elettrica a traverso d’una porzione d’aria atmosferica chiusa in un tubo ‘ di vetro sopra il mercurio , nel qual caso il volume dell’aria divien minore, il mercurio è corroso, ed un poco di soluzione di potassa introdotta nel tubo è saturata dall’ acido formato, e dà per l’ evaporazione un poco di nitrato di potassa o salnitro. Queste sono le principali scoperte, delle quali Cavendish arricchì la chimica, e che si riferiscono ‘alle proprietà dell’idrogene o dell’ aria infiammabi- le, alla composizione dell’acqua, ed a quella dell’aci- do nitrico. Si trovano descritte nei volumi delle Tran- sazioni filosofiche per gli anni 1766, e 1785. Cavendish fu ingegnoso ed esatto negli esperi- menti, giusto nelle conclusioni. Ricco e nobile, non coltivò le scienze per bisogno o per distinguersi nel- la società, ma per l’amore di esse. Morì dopo breve malaitia il di 29 febbrajo 1810 nell’età d’anni 79. Eccoci giunti a quel periodo della nostra storia in cui la scienza fu riformata dalla scuola francese. Presenteremo un debole ma fedele abbozzo di questa «chimica rivoluzione, indicandone i fondamenti, met- tendo‘in vista non tanto le parti deboli quanto i me- riti. del sistema, e paragonandolo colle prime teorie. Già abbiamo fatti conoscere i materiali che erano nelle mani dei riformatori. SAGGI, RACCONTI rc. Saggio sulle morti apparenti. Era quell'acqua di questa natura, Che chi amava faceva disamare. Berni Orl. Innam. Pisino Plutarco nella vita di Demetrio che il medico Erasistrato sì chiarì , esser l’ infermità di Anti - gono una violenta passione amorosa per la bella Strato- nica dall’avere osservato che, ogni qual volta nella sua camera entrava la donna , avvenivano al suo infermo « reprimento di voce, rossore infuocato, eclissamento di occhi , subito sudore, ineguaglianza e tumulto ne’ pol- pi; e alla fine rimanendo l’animo a viva forza vinto e superato , perplessità , stupore e pallidezza »: ed ag- giunge quel grave autore che il solenne medico aveva da Saffo imparato esser questi i sintomi dell’amore (1). Fra le composizioni della poetessa di Lesbo una non intera ne ha conservata Longino, alla quale sem- bra probabile che intendesse di alluder Plutarco nel suo racconto, poichè in essa si rammentano tutti que- gli effetti che provava il tacito amante di Stratonica : di questa composizione parla Longino nel modo seguente. « Non ti rech’egli stupore come ella ( Saffo) sopra un medesimo soggetto l’anima, il corpo, le orecchie, la lingua, gli occhi, il colore, insomma cose come aliene (1) Si dà merito al principe della medicina d’avere nella stessa guisa conosciuto l'amor di Perdicca per Fila; e Galeno si vanta d’aver con gli stessi indizi discoverta l’amorosa pas- sione di Giusta matrona romana, per Pilade danzatore, 26 e trapassate e fuggite vada cercando , e per via di con- trarietadi in un tempo stesso agghiacci e divampi, esca fuori di sè e rientri? Perciocchè ora teme, ora poco _vi va che non muoja; talchè non una sola passione sembri in lei essere, ma un cumulo;e un concatenamento di passioni : E di fatto tutti questi accidenti sì generano negl’innamorati (1) ». E perchè altri giudichi se è ra- gionevole il supporre che di quei versi di Saffo spezial- mente parlare volesse Plutarco, io intendo riportarli traslatati dall’originale greco conservatoci da Longino, Parmi agli dei simil colui che allato A te si siede, a cui le belle gote Fiso mirare, e udir sovente è dato Tue dolci note. Oh riso lusinghier! da questo seno, Misera me, tu m'hai furato il core: Purch’ io ti vegga sol, tosto vien meno La voce, e muore. Tronca ho la lingua a proferir parola; Fuoco sottil mi corre al core intorno; Fischian l'orecchie; e fosco vel m’invola Agli occhi il' giorno. Freddo sudor mi bagna, e per le membra Un gel mi scorre, ed un tremor m'assale; Pallida in volto son; presso mi sembra L'ora fatale. Quando anco Longino non ce ne avesse fatti accor- ti, chiunque vedrebbe in quella descrizione una copia fedele della natura, in quel disordine di affetti che sì succedono la frenesia dell’ amore . Da tutti i versi che di Saffo ci rimangono sembrami, se non vado errato, (1) Vite di Plutarco, traduzione del Pompei. ca) manifesto ch’ ella nascesse per essere poetessa ed aman- te . Ma la sua mala ventura volle che ella locasse . Pamor suo nel giovine Faone, la incostanza o la ritro- sia del quale resero disperata la violenta passione del- Veolia donzella. Eravi in Acarnamia un promontorio che sporgeva sul mare ionio; detto il sasso di Leucade, € su quello un tempietto sacro ad Apollo, ove gli sconso- lati amanti recavano i loro voti, e quindi gettavansi nel mar sottoposto; essendo fama che quelle acque. fossero efficaci ad estinguere le più ardenti fiamme amorose (1 ) Spinta Saffo da amore tentò il periglioso salto e vi perì. A questo proposito uno spiritoso scrittore riporta un frammento di un antico manoscritto greco che ei erede avere fatto già parte dei registri che si tenevano in quel tempio d’Apollo, ove notavansi i nomi di coloro che avevano fatto esperimento di quel rimedio. Ma non volendo egli essere tacciato di troppa credulità o d’igno- ranza; avverte esservi qualche ragione di dubitare ri- spetto all’ autenticità di quel frammento, che potreb- be essere opera di qualche moderno sofista greco. Credo far cosa grata a’ leggitori dell’ Antologia trascrivendolo fedelmente voltato in nostra lingua; venne in esso vi “si accennano alcuni particolari del caso di Saffo. Olimpiade xLrt. 1. « Batto figlio di Menalca siciliano saltò in mare per Bombice cantatrice. Perdè la memoria della sua (1) Per comodo degli amanti sventurati avvertirò che Leu- cade faceva allora parte del continente, e che eggi è una pic- cola isola del mare ionio, conosciuta sotto il nome di S. Mar- co, e che il capo di S. Marco è il promontorio ove era edifi- eato il tempio d’ A pollo. 28 bella sirena, come pure la gamba e il braccio destro, - che si si rupper nel salto ». ;«» Cinisca moglie d’ Eschine innamorata di Li- co, cd Peron suo marito perdutamente amoroso per Eurilla. Questi due coniugi, che in tutto il tempo della loro unione erano vissuti in continua discordia, sì tro- varono finalmente d’ accordo nel fare il salto di Leu- cade. Ebbero in sorte di uscirne vivi; e da quel tempo in poi vissero nella più perfetta armonia coniugale ». 3. « Larissa vergine di Tessaglia presa di ferven- te amore per Plessipo si fermò per qualche tempo sul promontorio; gettò in mare prima un’anello, un’ ar- milla, un ritrattino; ed altri donativi. fattile dal’ suo amante, e poi vi gettò anco sè stessa. Fu ripresa viva. Prima però di fare il salto erasi yeso benevolo Apollo col aver donato al suo tempio un bel Cupido di argento massiccio ». 4. « Carisso fratello di Saffo, amante della corti- giana Rodope, spese per lei tutta la sua facoltà. Saffo avevalo confortato a tenta re il salto fino da’ primi gior- ni dell’amor suo, ma egli non le diede orecchio finchè gli rimase da spendere l’ultimo talento. Speso ancor quello, e abbandonato da Rodope saltò in mare e vi morì annegato ». i 5. « Arideo bellissimo giovine di Epiro, idola- trato da tutte le belle del paese, fece il salto per amor di Prassinoe moglie di Tespi. Ne scampò senza grave danno, essendosi solamente rotti i denti d’avanti ed ammaccato deformemente il naso. Finì il suo amore e il culto delle belle ». 6. « Cleora vedova di Efeso, inconsolabile per la morte del suo sposo, erasi determinata a saltar nell’io- nio per liberarsi dalla amorosa memoria del marito de- / 29 funto. Giunta sul promontorio v'incontrò a caso Dim- maco milesio; e dopo un breve colloquio tenuto seco lui svanì il pensiero del salto, e la ricordanza del mari- to,e si sposò con Dimmaco nel tempio d’Apollo, appen- dendo votivo l’abito vedovile in uno oscuro angolo oc- cidentale del tempio ». i 7. « Atalanta, per la quale nell’intervallo di pa- recchi anni erano saltati in mare quattro o cinque aman- ti disperati per la ritrosia di lei, trovandosi ‘in età di ‘cinquantasei anni ,innamoratasi alla follia d’un ofticiale spartano , saltò in mare e si ruppe il collo :». i 8. « Ipparco appassionato per sua moglie che fa- ceva all’ amore con Batillo, saltò in mare e morì; dopo di che sua moglie passò alle seconde nozze col suo vago ». ; 9. « Tettice ballerino, amando senza speranza Olimpia matrona ateniese, spiccò dal promontorio un salto con la massima leggiadria ed agilità; non ostante si ruppe le gambe ». 10. « Diagora prestatore ad usura, invaghitosi del- la sua cuoca sì affacciò varie volte al promontorio, ma il salto gli fece paura: tornò a casa e sposò la cuoca lo stesso giorno ». II. « Cinedo, dopo essersi dato in nota nel regi- stro , chiestogli il nome della persona per cui voleva fa- re il salto, vergognandosi di dirlo, fece cancellare il suo nome e non saltò altrimenti ». i 12. Saffo di Lesbo presa da violento amore per Faone recossi al tempio in candida veste nuziale , cin- ta il capo d’una ghirlanda di mirto, ed avente nella simistra lo stromento musicale da lei inventato. Cantò un inno ad Apollo, depose sull'altare del Dio l’arpa e la ghirlanda, si succinse le vesti a foggia d’ vina' vergi- 30 ne spartana, e in mezzo a imille spettatori ansiosi di sua! salvezza, animosa sali a gran passo sul promontorio, e di là si lanciò in mare con una intrepidezza senza pari. Alcuni presenti narrarono averla veduta cadere. in. ma- re, ed ivi sommergersi; altri che a mezzo il salto fu cangiata in cigno, e che sotto questa forma la veddero libsrati sulle ui In Lesbo però si dubita tuttavia se chi la vedde restasse ingannato dal candore e dallo svolaz- zamento: delle sue vesti, oppure se infatti fosse trasfor- mata in quel melodioso e malinconico uccello ». 14. « Alceo famoso poeta lirico, stato amoroso per qualche tempo di Saffo, giunse al promontorio quasi a notte, risoluto di fare il salto periglioso per. amor di lei: ma saputo che ebbe averlo Saffo preceduto; pensò di non farne altro. Ne pianse però generosamente la mor te e si crede che nella sua ode GXXVI cantasse il pie- | toso caso di quella infelice ». sl Stabilito per massima, Che non è in somma amor se non insania; A giudicio de’ savi universale, 1 seguaci di Esculapio diranno che nullis amor est me dicabilis herbis, ma pure che una repentina immersio: ne nell’acqna fredda può essere indicata in molti casi di alienazione mentale colla fiducia che l'intelletto torni al primier uso, ed anzi (più di.prima lucido e net- to; e quindi giudicheranno ragionevolmente prescritto come rimedio all’ insania amorosa il ‘salto di, Leucade.. Diranno che un tuffo subitanéo può eccitare tal. movi- mento nuovo negli spiriti animali e nel sangue da esset proficuo alla salute di .un maniaco; e che lo stesso (Or- lando} che in fatto di amorosa pazzia non fu certamen- te ‘a verun altro secondo , da Astolfo che né intraprese.‘ la cura fu tuffato ben sette volte sotto acqua, onde pre- 31 pararlo a ricuperar col fiato il suo senno che stava chiu- so in una ampolla (i). Diranno che . . . . Ma lasciando per ora di esaminare la ragionevolez- za e l'efficacia di questa sorta di medica. prescrizione; dirò, che il di 7. di maggio una giovinetta fiorentina, nel quarto lustro dell'età sua, di piacevoli apparenze; di queta e dolce natura , senza poter supporre che, na- ta d’umili genitori ; ella avesse letto o udito narrare di Saffo o di altri che cercarono rimedio a’mali loro ne’ pe- rigliosi flutti di Leucade, non più saggia; ma più for- tunata della lesbia poetessa, tentò di spengere le sue fiamme amorose nelle fresche e dolci acque dell'Arno , donde fu tratta da alcuni pescatori fredda qual cadave- re. La spogliarono tosto quei pietosi delle bagnate sue vesti femminili, e la rivestirono d’altri panni. asciutti, sebbene non confacienti al sesso della sventurata; la quale venne trasportata .in luogo ove far cimento di rianimare qualche scintilla di vita che potesse essere restata in lei sopita e non estinta. Era già trascorsa un’ora e mezzo dal momento in cui quella infelice fu sommersa, quando un abile ‘pro- fessore incominciò ad apprestarle quei soccorsi che l’ar- te prescrive. Il caldo d'un letto ove fu tosto coricata, le cavate di sangue, le fregagioni fatte sul freddo corpo della giacente rianimarono appoco appoco il sospeso mo- to de' polsi e del cuore ,'e l’interrotto respiro. In breve disparve il pallore del #ulto; ‘il gelo delle membra; ed ella poco dipoi:fuin istato di dire il suo nome, di ricor- darsi di quanto erale avvenuto. Dopo un breve sonno ‘ acquistò nuova'calma ; prese un MERBar etgniila ed co, Lo fa lavare Astolfo sette volte E sette volte nell’acqua l’attuffa. Ariosto c. 39. st. 56. 32 era già tranquilla e lieta sette in otto ore dopo il peri- ” coloso avvenimento:e nella sua letizia mostravasi rico- noscente all’aiuto divino e alla paterna sollecitudine del governo che da'tanto pericolo l'avevano campata. E sie- come l’atto non era premeditato , ma solo un punto fw quel che la vinse; perciò la vita da quel momento ‘in poi le parve più dolce cosa, trovandosi risanata anco dalla sua amorosa infermità: onde ella avrà ragione dii credere che Era quell’acqua di questa natura, Che chi amava faceva disamare, » ed efficace a:tal uopo quanto il mar di Leucade; e se fontana fabbricata da Merlino per il famoso Tristano. Ma lasciamo finalmente lo scherzo: aimoto guae- ramus seria ludo, e continuiamo sullo stesso soggetto. Fino dalla metà ) del decorso secolo un medico A glese il dottore Fothergill propose che era possibile sal- var la vita a molti annegati, i quasi sebben morti \ap- parissero; forse tali veramente non erano. Ma con le risate e co ‘dileggi fu da’suoi compatriotti accolta la pia proposta: nè alcuni tentativi che. sortirono felice suc-’ cesso furono bastanti a richiamare su tale soggetto l’at- tenzione e la fiducia di quegli isolani, e almeno ve la richiamarono transitoriamente. In Olanda, paese frequente in canali e in raduna- menti di acque, eranvi più annegati che altrove, e pe- rivano per difetto degli. opportuni soccorsi. Fino, dal 1767 si formò ad Amsterdam una società, la quale of- ferse premio.a chi salvasse la vita (ad un eittadino in pericolo di morire annegato, pubblicò i metodi della cura, e rese conto delle persone per quella salvate. I magistrati di Milano e di Venezia nell’anno di poi pre- IF sero esempio dagli Olandesi. In Amburgo sì fece ancor più. Fu ordinato che alla chiesa si bandissero per preti le istruzioni per richiamare in vita non solo i soffogati per annegamento, per strangola mento, e per vapori non atti alla respirazione (accidenti tutti conosciuti sotto il general nome di asfissia), quanto ancora gli assiderati dal freddo; e l'imperatrice Caterina comandò che par- te degli scritti a ciò relativi venissero traslatati in lin- gua russa. In Alemagna fu provveduto a tutti quei casi di morte apparente che potessero credersi suscettibili di soccorso, e 1 magistrati di Parigi fondarono una istitu- zione a prò degli annegati. I replicati esempj di prospe- ro successo confermarono la verità de'fatti riferiti negli scritti venuti in luce in Amsterdam. Sollecito ? immortal Pietro Leopoldo pel bene de'suoi piuttosto: figli che sudditi; fece nel 1772. pubbli- care una popolare istruzione, e provvedde i diversi co- muni degli stromenti occorrenti per ravvivaregli anne- gati, ed altri apparentemente morti. Ma parve strana, perchè nuova, la possibilità di far rivivere i morti; e la proposta fu soggetto piuttosto di risa che di gratitudine. Lo stesso accadde l’anno dopo in Inghilterra, quan- do il dottor Cogan tradusse in inglese quanto era stato pubblicato su questo tema, coll’oggetto di persuadere il popolo della Gran-Brettagna, che in molti casi era possibile il salvar la vita agli annegati. Ma non. ot: tenne lo intento suo, se non che dando del proprio ricompense a chi frai ponti di Westminster e di Lon? dra ripescasse, dentro un'certo tempo, gli annegati, e li portasse in luoghi perciò destinati, dandone a lui solle- cito avviso: In tal guisa furono in umanno salvati pa- recchi: ma le spese in ricompense essendo ammon» FT, ILL Luglio 3 34 tate a ragguardevole somma, il dottor Cogan rappre sentò che le sue private facoltà non permettavangli di esser solo alla spesa. Allora altri caritatevoli ed uma- ni unironsi con lui; e così ebbe principio una socie- tà, la quale si limitò a prendersi cura degli amnegati soltanto. Prevalse per qualche anno, non solo fra il vol. go, ma eziandio fra i dotti e fra gli scienziati il pre- giudizio in contrario: e vennero accolte come favolose O) esagerate le narrazioni dei ‘casi felici, e riguardati come visionarj i membri della società, che preso ave- va il nome di Società Umana. Se, come dice il nostro maggior poeta, . Nasce a guisa di rampollo A piè del vero il dubbio, . . . . non è per questo che il vero, di natura sua, non sia vestito di tanta luce da farsi alla fine strada agli oc- chi di tutti. E così avvenne dopo i tanti dileggi con- tro chi era tacciato di pretendere e presumere di ri- suscitare i. morti. Za Società Umana di Londra non fu la sola in Inghilterra; e in breve nei tre regni se ne veddero create altre quaranta. Seguirono questo esempio i loro stabilimenti esterni; e Madras, Cal- cutta, Halifax, la nuova Scozia e la Giammaica eb- bero istituzioni dirette a così santo oggetto. L’esem- pio si ditfuse ancor fuori delle dominazioni inglesi ; e io: seguirono Berlino, Gorlizia, Praga, Coppenaghen, Pietroburgo, la Pensilvania, Boston, la nuova York, Wilier ec. La Società di Londra, da prima composta di sii trentadue membri, ne annovera di presente forse più di novecento ; e le annue sovvenzioni oltrepassano le cinquemila lire sterline. Essa ha preso per suo emble» 35 ma un fanciullino che con movenza di affettuosa pre- mura tenta col soffio di svegliar qualche favilla sopra un legnetto che tiene colla destra, e per motto lateat scin- tillula forsan. Diciotto luoghi sono destinati per rice- vere quelli sventurati la vita dei quali sembra estinta : nell’intervallo dal 1775. all’anno presente gl’individui salvati dalla morte eccedono il numero di cinquemila . Le sollecitudini della Società sono intese a presta. reiconvenienti soccorsi alle morti apparenti degli appic- cati degli annegati, dei soffogati da’ vapori che svòl- gonsi dal carbone acceso , dalla fermentazione del vino e della birra, dalle miniere, dai pozzi, dalle caverne ec., dei bambini neonati, degli offesi dal fulmine, degli as- siderati dal freddo, non meno che a prò degli attossi- cati. Ogni anno la Società pubblica un rapporto conte- nente fra le altre cose le istruzioni pratiche della cura adaitata ai diversi casi, e la storia delle persone salvate. Il portar giudicio fra la morte vera e 1’ apparente in certi casi non è tanto facile quanto: forse dal volgo comunemente si pensa. Quindi non credo inopportuno di estrarre da uno de’ mentovati rapporti della Società Umana alcune osservazioni in proposito della sospesa animazione; mercè di che può avvenire che dopo una più 0 meno: lunga cessazione delle funzioni vitali, pos- sano esser queste ravvivate ai loro primi esercizi; I più gran filosofi han confessato di essersi smarriti nelle loro contemplazioni sulla natura della vita. Pos- siamo dire che questa è distrutta quando resta turbata la scambievole armonia delle parti di un animale; che | restando interrotte le funzioni degli organi più impor- tanti, quindi ne succede la morte. Non ostante in qual profondo mistero si avvolge la vita! Un animale è generato; si cominciano a formare le sue parti ; e vi- 36 $ ve visibilmente. Ma i suoi organi son così deboli. ed: imperfetti, che gli è di mestieri l'intervento dei geni» tori che gli amministrino il nutrimento. Appocv appo= co acquista il potere di ricevere il cibo; si stacca da quelli, e vive da persè. A gradi giunge alla maturità; si sviluppano in-lui muove parti. Mantiensi per um tempo in tale stato, o almeno con impercettibile ‘alte+ razione. Dopo quest’ epoca cominciano a manifestarsi sensibili segni di decadenza; certe parti cangiano: con- dizione ‘e:diventano inette ai loro ufticj. La vita langui- sce; l’animale muore; e tutto, ciò che apparteneva alla persona si dissipa in aria. Tale è il corso e il termine dell’ esistenza per ope ra dell’ età. Ma quanto piccolo è il numero delle creas ture ..amimate che vi pervengono!. Sovente nel vigore della gioventù, e nella freschezza dell’ attività e delle sensazioni, senza: veruna causa esterna è reciso il filo della vita; e la più bell’opera della natura corre incon- tro ad un orribile disfacimento. Nelle morti apparenti, o sieno queste causate da violenta emozione di mente, o da soffogata respirazione, l’eccitabilità riman sopita: ma l’ irritabilità del siste- ma sì può conservare illesa talvolta anco per qualche ora; purchè l’ accidente, che sopi la prima, non l'abbia distrutta. Cosi un uomo sommerso senza altra offesa del corpo puòriaversi ‘da morte apparente, quando l’ir- ritabilità di tui,venga artifizialmente ajutata a conver= lirsi appoco appoco.in abitudine ad essere. eccitata. Nel caso di sospesa respirazione, come ravviene in alcune violenti malattie, il sistema trovasi presso appoco nello stesso stato d’urritabilità che nelle morti apparenti per annegamento e per assiderazione: ed'‘allora può acca> dere.il ravvivamento senza veruno: artifiziale soccorso, 37 ed apparir quasi spontaneo, ma essere in sostanza.’ ef- fetto dell’ impressione fatta sull’ udito, o delle operazio- ni della mente. Il dott. Rush riferisce che un ottuage- nario cittadino di Filadelfia, prima di morire chiese istantemente di essere sotterrato una seltimana dopo, la sua morte; adducendo che un giovane da lui cono- sciuto in una delle isole delle Indie occidentali , dopo un corso di febbre gialla fu secondo tutte le apparenze giudicato morto: ma che in questo stato intese distin- tamente che coloro che lo assistevano parlavano del quando e del dove seppellirlo. La paura di essere sot- terrato vivo svegliò tale emozione nella sua mente che fu bastante a richiamarlo alle usate funzioni vitali. Ma in certi casi l’azione “della volontà è affatto repressa dallo stato morboso del cervello e dei nervi; cosicchè il malato non ha di per sè stesso la facoltà di ajutarsi. Il dott. Herz narra nel suo Magazzino Psicologico la se- guente istoria, la quale è molto acconcia al proposito nostro, e che perciò riporto in questo luogo. « Una giovane signora; dopo essere stata per lungo tempo confinata in letto per una forte malattia nervosa, manifestò tutti i segni di esser morta: le labbra eran pallide, il volto cadaverico, e tutto il corpo gelato. T'ol. ta dalla camera ove era morta fu posta in una cassa; e venne stabilito il giorno del suo funerale, nel quale se- condo l’uso del paese si cominciarono a cantare alla porta le preci funebri. Coloro che stavano per conficcare il coperchio della cassa, si accorsero d’ una leggera tras- pirazione su tutta la superficie del suo corpo, la quale andò crescendo; e infine veddero una specie di moto convulsivo nelle mani e ne’ piedi della defunta. Pochi minuti di poi, nel quale intervallo si manifestarono muovi segni di vita, ella aprì gli occhi, gittò un grido 38 lamentevole, e in pochi giorni mercè de’ soccorsi dell’ar= te si ristabilì perfettamente ». Il dott. Herz aggiunge la descrizione che la redi. viva fece! della sla situazione. Essa mi sembra degna d’ esser riportata in questo luogo. Le parve come in sogno di esser veramente morta, ma sì accorgeva di tutto ciò che intorno a lei si discorreva e si operava . Sentì distintamente che i suoi amici stando vicino alla cassa si dolevano della sua morte, che quindi la coprirono colla coltre funebre e la lasciarono. Tutto ciò produsse in lei un’ ansie- tà mentale da non potersi descrivere. Si provò a gri- dare; ma la sua anima era impotente ed inabile ad agire sul corpo, cosicchè le sembrava che al tempo stesso l’anima fosse e non fosse in quello. Erale impossibile muover le braccia, aprir gli occhi, mandar grida , per quanti sforzi continuamente tentasse di fare. Quando sentì intonare le sacre preci, e al momento che era per inchiodarsi il coperchio della sua cassa, l’ angoscia in- terna della sua mente era già al sommo grado. Il terri- bil pensiero ‘che sarebbe stata sepolta viva fu quello che restituì l’ attività alla sua anima, e la fece potente ad agire sul suo corpo ». Indipendentemente dalle considerazioni che pos- sono nascere in mente di chiunque per la singolarità del fatto, parmi che se ne possa dedurre uno spavente- vole avvertimento che riguarda ciascuno: intendo dire il pericolo che nasce dalle troppo sollecite tumulazioni in caso di morti subitanee ed improvvise. E qui mi giovi il rammentare che presso di noi fino dal 1775. un editto sovrano ordinò che le tumulazioni, in caso di morti repentine, non potessero farsi, se non dopo la vi- sita de’ giusdicenti e de’ professori di medicina e chi- 3g rurgia: e altro editto pubblicato due anni dopo prescris- se le necessarie avvertenze per evitare che alcun , cre- dutosi estinto, fosse sepolto prima che tutte l’ esperienze assicurassero dell’indubitata morte . Questa savia determinazione governativa parmi dettata dal sapere che non in tutti i casi può sempre esser bastante il tempo prescritto avanti la tumulazione per assicurarsi se la morte sia vera o apparente. ln ri- prova di ciò mi si conceda terminare colla narrazione di una singolare istoria, tratta da un’ accreditato gior- nale (Journal des savans, anno 1749) ; la quale prova quanto commendabile, anzi necessario sia il protrarre la tumulazione dei defunti, spezialmente dopo alcune infermità, potendosi credersi morte una sincope, e per le circostanze che |’ accompagnano e per la durata. Lord Roussel colonnello inglese amava tanto tene- ramente sua moglie, che non poteva persuadersi che una malattia sopravvenutale l’avesse condotta al sepolcro, e perciò volle che oltre il termine prescritto dall’ uso del paese, che è di quarantotto ore, essa fosse lasciata stare nel suo letto; e quando alcuno gli annunziò , che era tempo di portarla alla tomba, minacciò di morte colui che osato avesse d’ involargli la donna sua. Passarono otto giorni senza che il cadavere desse il menomo segno di alterazione o di vita. Il marito bagnava di lacrime la mano della sua sposa, quando al suono della campa- ‘ma dì una chiesa vicina riscuotendosi la creduta defunta, ruppesi l’ alto sonno, e Come persona che per forza è desta, ponendosi a sedere sul letto, disse: Ecco l’ ultimo cen- no; è tempo d’ andare alla chiesa. Essa risanò perfet- tamente, e visse dopo quella infermità molti anni. D. i GEOGRAFIA VIAGGI Viacci in Nusra del defunto Giovanni Lurcr Burck= uarpT, pubblicati dallaso cietà destinata u promuove». re le scoperte delle parti interne dell’ Affrica 1819. Quarterly Review. Marzo 1820. a) (Fine: Vedi Tom. II. pag. 349.) Barckbardi non trovando nessuna caravana che partisse per l’Affrica orientale, l’anno dopo il suo ritor- no si stabilì ad Zsrè. Non s accompagnò con nessu- no, si vestì poveramente da egiziano, e per meglio ce- larsi spese meno che potè, riducendo a diciotto soldi ( pence ) la spesa ‘giornaliera del servo, del dromeda- rio, e dell’asino; e quella del cavallo a sedici soldi al mese. Pure con tutte queste precauzioni, sospettarono che possedesse qualche occulto tesoro: nell’ Egitto. non . v'è esempio che un uomo viva della sua rendita senza impiego; se non ha qualche traffico, o se non chiede l'elemosina è sicuro di diventar sospetto. Quivi rimase fino alla fine di febbrajo, quando:una caravana essendo sul punto d’andare da Dara (tre giorni di viaggio al settentrione d’Esnè) ai confini del Sennaar, si determi- nò d' unirsi ad essa,-e tentar la sorte in questo nuovo viaggio, senza essere accompagnato da ‘nessuna guida. A Darau si mostrò vestito da povero viandante. Potreb- be essere utile a un futuro viaggiatore il sapere in che cosa consisteva il suo bagaglio e le sue provvisioni : sen- tiamolo da lui stesso. . « Mi vestii d’un leggiero mantello di lana scura, come usano i contadini dell’ Egitto superiore, chiamato thabut, con una rozza camicia bianca di tela, \un ber- retto bianco di lana, cinto all’ intorno da una pez- zuola comune a guisa di turbante, e mi posi i saz- dali. Portai in tasca del mio thabut un piccolo dia- rio, un lapis, un compasso tascabile, un temperino, una borsa di tabacco, e un acciarino da battere il fuo- co. Le provvisioni che io pfesi son queste: quaranta libbre di fior di farina, venti di biscotto, quindici di datteri, dieci di lenti, sei di butirro, cinque di sale, tre di riso, due di caffè in baccelli , quattro di tabacco, una di pepe, alcune cipolle, e ottanta libbre di saggina per il mio asino. Oltre ciò aveva un fornello e un piatto di rame, un vaso da tostare il caffè, un vaso di terra da pestare i baccelli del caffè, due tazze da caffè, un coltello, un cucchiajo, una tazza di legno per bere, e per empir d’acqua le borse di pelle, un’asce, dieci jar- di di corda filata e intrecciata, un pacchetto d’agli, una camicia di riserva, un pettine, un tappeto grosso , una veste di lana ( heram ) di fabbrica dei mogrebini, per cuoprirmi la notte, una cassetta di medicine, e tre bor- se d’acqua di riserva.. » Così equipaggiato, e con poca mercanzia per salvar l’ apparenza, il nostro viaggiatore partì nel mezzo giorno il dì 2 marzo 1814 colla caravana preceduta da tutte le donne e fanciulli del villaggio , che bruciarono il sale davanti a loro, come sicuro mezzo d’allontanarne lo spirito maligno. Fu molto cortese all’oste che.lo aveva alloggiato a Darav, e quest'uomo lo raccomandò a suo fratello, al figlio, e agli altri amici, che formavano la 42 più grande e la più ricca parte della caravana. « Egli è vostro fratello, disse il vecchio a suo figlio, e quì aprendogli. la veste e mettendo la mano sul. petto, quì lo ripongo.» Questa ceremonia, dice Burckhardt, ha qualche valore nel deserto d’ Arabia, ma fra quei mis scredenti egiziani è una mera ipocrisia » » e fu vero, poi- chè tutti si portaron con lui brutalmente. I nostri limiti non ci permettono di seguir le trac- cie della caravana: essa andò dalia parte orientale del Nilo, ma molto lontano da esso, essendo la corrente di quella grande tortuosità del fiume all’occidente in cui è situata Dorgala, e l'estremità di essa non è molto lontana da 4sswar al settentrione, e da Lerder al mez- zogiorno: questa infatti è la via precisa presa da Bruce ritornando dall’ Abissinia. Giace in un perfetto deserto, eccettuate quelle immense oasi o valli nella catena delle montagnea sinistra sul piano aperto, in cui soltanto alberi, arboscelli, ed erba si trovano per le greggie delle caravane, e sorgenti o zampilli d’ acqua Pai La scar- sità di questo articolo si fa qualche volta anco troppo sentire; ma quando occorrono questi calamitosi acci- denti, Burckhardt pensa che accadano o dal. prendere delle vie tortuose , o dal non empire un giusto numero di borse d’ acqua. Egli crede in gran parte esagerati gli straordinari patimenti di Bruce in questo lc , ma nel tempo stesso soggiunge: « io non posso fare a meno di ammirare la prodigiosa cognizione degli uomini , la fermezza di carattere , e la prontezza d’animo onde Bru- ce potè farsi strada tra quelle selvagge e inospite nazio- ni, essendo egli europeo . Il viaggiare come nativo ha i suoi inconvenienti e le sue difficoltà; ma io credo che quelle che incontrò Bruce fossero di più seria e in- trigata matura, e tali che un animo coraggioso e pa- 43 ziente, e abbondante di compensi, poteva soltanto sor- montare» . — Pag. 203. Noi crediamo che il carattere del viaggio di Bruce possa farsi in poche parole : le descrizioui sono esagera- te, molte narrazioni ideali, e le avventure sono abbel- lite per far più effetto; in una parola, in generale la sostanza è vera, ma sovente le circostanze son false. Abbiamo un forte esempio di ciò, nei terribili e fatali effetti del Samum, quel velenoso vento del deserto, che in verità non ha in sè punto veleno. Burckardt che lo sentì, e ancor più severamente nei deserti dell'Arabia , « ‘non vide mai nessuno giacere con la faccia in terra per sottrarsi al suo maligno soffio, come Bruce asserisce d’aver fatto , attraversando quel deserto: e non: ebbe mai un solo esempio bene autenticato , che questo vento sia mai stato mortale nè per gli uomini nè per le ‘bestie. » Il Samz6m infatti non è altro che l’harmatari della costa orientale dell’ Affrica, il quale è stimato piuttosto salubre, lo scirocco di Napoli e del Capo di Buona Speranza, e il nostro (a Londra) nebbioso vento orientale dell’estate. I mali sofferti da Burckhardt nell’ attraversare que- sto deserto, furono il disagio del viaggio, la fatica di fare ogni cosa da sè, e la piccolezza e povertà della vettova- glia . Lo presero per un turco, e tutti gli arabi portano un odio inveterato contro gli otmanni; e dalla sua pic- cola mercanzia, lo credettero un uomo che fuggisse via per i debiti. Ma gli riescì di far credere ad alcuni di lo- ro, che andava in cerca d’ un cugino perduto, il quale era andato alcuni anni fa in una spedizione mercantile a Darfur e a Sennaar, dove aveva tutte le sue pro- prietà . | « Quando i mercanti mi videro (dice Burckhardt) 44 povero in apparenza, che tagliava le legna, che cuoce- va ed empiva le borse d’acqua da me, oltre agli altri motivi di trattarmi male, mi credettero poco più dei servi., che son pagati dai icon a ragione di dieci dollari, da Daran a Gus o a Shendy,e altrettanti al ritorno: Procurai sempre di cattivarmi la famiglia di Aluen, che erano i principali mercanti di £e/lah, cre- dendo che mi potessero giovare nei paesi de’ negri; ma quando mi videro sì povero, che pochi regali si poteva- - no da me aspettare, tosto dimenticarono quel che già aveva loro dato prima di metterci in viaggio, e non eb- bero più la minima civiltà verso di me, Cominciarono a dir male d’ Hassan governatore d’Esrè, dicendo: Ora che siamo nel deserto, poco c'importano tutti i go- vernatori del mondo. Vedendo che io non me la pren- deva seriamente, cominciarono a parlarmi colla più vile e insultante maniera, chiamandomi sempre we/ed ( ra- gazzo ). Benchè ogni giorno diventassero più insolenti , repressi il mio sdegno e mai non risposi loro; al che evidentemente desideravano di provocarmi, per avere bastante ragione di venire ai fatti. Nel principio del viaggio mì univa con alcuni della famiglia di Aver nell’ accampamento serale, benchè sempre cuocessi da me ; ma tosto ne fuì cacciato, e obbligato a star solo, avendo sparso voce quelli di Dara , che diverse cose erano state rubate dal loro bagaglio , ed io n'era cre- duto il ladro. Per non entrare in ulteriori racconti, ba- sterà il dire, che non passava un’ ora che non ricevessi qualche insulto, anche dai più vili servi di quella gen- te, che sovente imitavano e superavano in insolenza i ro padroni ». pag. — 179. - 180. Ogni giorno, quando prendevan riposo, egli era I; vato dal tro e dall ombra degli alberi e degli scogli, 45 ed esposto al sole ardente; — se doveva preparare il de- sinare, nemmeno uno dei più poveri schiavi lo ajutava , benchè gli offrisse parte del suo semplice pasto. La sera occorreva la stessa fatica; dopo che aveva camminato quattro o cinque ore a piedi per risparmiare il suo asi- no, stanco com'egli era, e in estremo bisogno di riposo, era obbligato a farle legna, ad accendere il fuoco, a cuocere la cena, e a'governare le bestie. Senza un amico o un compagno 0 un.servo, in mezzo allo sterile e adu- sto deserto , e in compagnia d’uomini che non sentiron mai ne’ loro cuori compassione per un loro simile, non è da maravigliarsi se la malinconia s' impossessò del suo animo, ma: non se ne lamentò mai. Benchè la presente caravana non dovesse esser soggetta a scarsità d’acqua, pure per mancanza di essa: accaddero l'anno passato calamitosi accidenti ad un’altra caravana. Per scansare un ladro conosciuto, la guida araba prese un sentiero incognito, e smarri- rono la via. Quel che segue è molto interessante. « Dopo cinque»giorni di cammino per le. mon- tagne, mancò loro l’acqua:, e non sapevano dov era> no, onde risolsero ‘di dirigersi verso il sole che tra- montava , sperando ‘così d’ arrivare al Nilo. Dopo due giorni di sete morirono quindici schiavi e un mer- cante: uno di loro chiamato Ababdo, che aveva seco dieci cammelli, sperando che i cammelli conoscessero meglio degli nomini dove trovar acqua , disse ai com- pagni che lo legassero strettamente su la sella del cammello più robusto, perchè la debolezza non lo fa- cesse: cadere; e così si partì da loro, lasciando l’ar- bitrio ai cammelli di prendere quale strada volessero ; ma nè deli’ uomo nè dei cammelli se ne seppe più nuova. L’ ottavo giorno della ‘partenza da: Uareyk 46 gli altri scorsero le montagne di Shigre, che subito riconobbero , ma erano affatto privi di forza, e tanto gli uomini che le bestie non si potevano più muo- ‘vere, onde si sdrajarono sotto uno scoglio, e. manda- rono due servi con due cammelli, che restavano dei, più forti, in cerca d’ acqua. Prima che questi due uomini giungessero alla montagna, uno cadde dal cam- mello privo di favella, e appena fu capace d’accen- mar colle braccia al con:pagno , che voleva esser. la- sciato li. L'altro allora continuò il cammino; ma tale fu l’effetto della sete in lui, che gli s’oscurarono gli occhi e smarrì la via, benchè l’avesse fatta molte volte prima, e la conoscesse benissimo.i Avendo vagato molto. tempo sì pose sotto l'ombra d’un albero, e legò il cam- mello ad un ramo di esso, ma la bestia annosò l’ac- qua (come dicono gli Arabi) e avendo conosciuto dov’ era, ruppe la cavezza, e andò galoppando verso la sorgente, la quale era distante una mezz’ ora di cammino. L'uomo intendendo bene l’azione del cam- mello, si sforzò di seguirlo, ma dopo pochi passi cad- de esanime in terra , ed era vicino a dar l’ ultimo respiro, quando la provvidenza fece passare da quella via un beduino di Sisharye del vicino accampamen- to, il quale gettandogli dell’acqua sul volto, lo fece tornare in sè. Allora andarono frettolosamente insie- me alla sorgente, empirono i vasi, e tornando alla caravana , ebbero la buona sorte di trovare i pazienti antor vivi. Il beduino ebbe in ricompensa uno schia- vo. Quell’ uomo il di di cui cammello scuoprì la sor- gente era nativo di Yembo in Arabia, il quale mi narrò l’accaduto, ed aggiunse la notabile circostanza; che gli schiavi più giovani sopportarono la sete. me- glio del resto, e che mentre i più vecchi tutti moriro» 47 no, i ragazzi giunsero a salvamento in Egitto » — pag. 201, 202. Il dì 23 marzo la caravana arrivò a £erder, avendo impiegato venti due giorni nell’ àttraversare il deserto da Daraw a quel luogo. Quivi il Me prese tre dollari da Burckhardt, e avendo dipoi saputo che n’aveva qualchedun’altro di riserva, l obbligò a dar- gliene un altro. « Io calcolai (egli dice) che la sua rendita annuale delle caravane è di circa trecento 0 quattrocento dollari spagnoli; questa somma la spende tenendo un grande stabilimento di schiavi, maschi e femmine, di cavalli e di bei dromedari, e nel man- tenere da cinquanta persone, appartenenti al suo stabi- limento, anche forestieri. L’ oasi di Berber è composta di quattro villaggi situati nel deserto arenoso, mezz’ ora di cammino lon- . tano dal, Nilo. Ciascuno. ha diversi. quartieri indi- pendenti l’uno dall’altro; le case son separate da cor- til, onde non vi sono strade regolari : le case son fabbricate di terra o di mattoni cotti al sole. Le stanze son tutte aperte nel cortile, due di esse son comunemen- te occupate dalla famiglia, la terza serve di magazzino, la quarta per ricevere i forestieri; e la quinta per i pia- ceri amorosi. Una lunga tavola di legno con quattro gambe, e una sedia di grosse striscie di pelle di bue messe a traverso è il mobile principale : questo è chiamato angareyg, e serve per sofà di giorno, e per letto di notte. Le materasse sono stuoje di canna o tappeti di pelle senza alcun guanciale. Gli abitanti di Zerber, anco i più rispettabili, hanno generalmente una stanza (come sopra abbia- mo accennato ) destinata per le pubbliche donne. « Nel. la casa dove alloggiai, dice Burckhardt, si trovavano 48 | i, quattro di queste donne, una delle quali abitava po- co distante, e le tre altre in contigui appartamenti. Queste sono schiave messe in libertà dai loro padro- ni, 0 per averle maritate, o per non volerle più, le quali vivono solo di prostituzione, e della. prepara- zione della bevanda per ubriacare, chiamata bra. » La notte che arrivammo a Berber, dopo che avem- mo cenato e che i vicini ch'erano venuti a salutarci s'erano ritirati, comparvero tre. o quattro di queste zittelle, e i miei compagni le salutarono con alte gri- da, essendo tutti antichi amici di esse. Portarono nel- l’ aperto cortile alcuni argareygs; ci saliron sopra i primi, e le donne andarono a dar loro il ben venu- to, come essì lo chiamano. Gli uomini essendosi nu- dati i lombi, e stesisi quanto eran lunghi su gli ar- gareygs, le donne gli unsero con una specie di grasso profumato, come si costuma all’ uscir dal bagno. Que- st’operazione durò quasi mezz'ora, ma essi rimasero insieme tutta la notte , senza esser punto molestati dalla vicinanza di quelli che giacevano intorno nel cortile, Durante tutta la nostra dimora a Berber, avem- mo quasi ogni nr: di queste damigelle nei nostri quartieri. Preparavano come ho già detto il duza; e siccome è difficile per qualunque persona il beverne nella propria casa, dove sarebbe subito circondato da un gran numero d’ amici: generalmente si preferisce d'andare nell’appartamento delle donne, dove nessu- no vi può entrare. Molte di queste donne sono abis- sinie di nascita, ma la “maggior parte di esse son na- te a Berber da genitori schiavi. In generale son bel- le, e molte potrebbero passare per bellezze in qua- lunque paese. — Pag. 214-215. » Quei di Zerber vivono principalmente del pane 49 di/saggina edi latte: i datteri vi vengono da Mahas: e «sénosin conseguenza considerati di lusso. Le rcipolle..e i-fagiioli sono principali vegetabili; non vi sono altri frutti; Le. greggie sorio di buona razza; e pascolano sulken montagne Bishareine , dopo: le. piog gie, fra il Nilo e al. mar rosso} nélla stagione asciutta si pascono , di foglie e di)gambi di saggina sLe «vacche hanno (la' gobba sulle spalle: come quelle di Sennaar.e dell’ Abis- simia.!I.cammelli:sono: eccellenti, e Burckhagdt dice) che i ilero dromedarj ‘superano tutti «quelli che, vedde in Siria, e nei deserti dell’ Arabia; gli asini.son forti e. belli; i ccavalli»:son similia quelli: del Dongalay che si dicono la più. bella: razza del mondo. Nella ‘primavera si\pascono:d’orzolin erba; ma mel resto‘dell’ anno non Regina: altro che-gaàmbi e fune di saggina. i Una!parte «della caravanave icon essa Burckhardt Lidia il.di 7 aprile, e andando verso Shendy, arrivo a Ras: al. Uady, principal villaggio nel domi- mio di unsaltro Mek chiamato Hanoze. Questo subli- me personaggio gli trattedne dalla mattinafinò alla;sera tardi senza mandar loro alcun cibo: 30eqnon: potevano azzardare dii ciliarsi, del loro, | perchè ;-eran considerati come: suoi convitati. H,Mek si, tenne celato; mail figlio venne a trovare (lancarivina chiedendo ‘alcani regali. Ma il. gran Mek comparve illgiorno appresso aflatlio; nu do, ad eccezioned’una:fasciavintorno.a’lombi ; e accom- paguato da seivo otto schiaviz uno dei quali portava (da fiasca dell’acqua, l’altro la spada, il,terzo lo. scudo. Avendo adocchiato un bell’asino, ordinò al. figlio di montarvi sopra; e.ad.onta;della resistenza del proprie- tario ; l’animale fu! fatto trottaresalla stalladel Mek ;.al- lora fu-permesso alla caravana di; partite. Ji 610/10 Dopo quattro ore di viaggio ‘arrivarono al, firme T°. III. Luglio 4 50 Mogren, (non Mareb come lo chiama Bruce) il letto del quale era quasi secco; ma le rive. essendo. coperte, di erba e di boschetti di lirici offrivano una delizio- sa veduta; dopo un penoso e culi deserto. Tosto giun=. sero. al .distretto di Damer, i di cui abitanti sono di carattere affatto contrario a quelli di Berber. La città di Damer contiene circa cinquecento case, pulite e uni- formi, e in strade regolari, abitate da una tribù-di Ara- bi, la maggior parte Z’okerz o uomini religiosi. Hanno: un pontefice chiamato £Z #aky el kebir (il gram Palo) che è il loro capo e giudice. Damer si è acquistata siii ai repiitazio ne fil le sue scuole, nelle quali:son mandati i giovani a (stu& diar legge dal Darfur, Sennaar, Kordofan, e davaltre parti del Sudan. V'è una gran moschea fabbricata so4 pra archi fatti di mattoni, in cui si fanno regolarmente le preghiere. IZ Faky el kebir vive da eremita in una piccola stanza larga dodici piedi, dove gli amici e i di- scepoli gli portano giornalmente il cibo. La mattina vsi' occupa a leggere, ma tre ore dopo il mezzogiorno si as side sopra una: panca di pietra, dove tiene ragionamen+ to con i suoi amici. Burckhardt andò a'baciargli la ma= no, e lo trovò ‘un venerabil vecchio; cinto di bianca veste. « ‘Gli affari ‘(egli dice ) di questo piccolo stato gerarchico, sembrano condotti. con gran prudenza , e lutti i vicini dimostrano molto rispetto per: i. Faky .»» Tali sono i buoni effetti: prodotti dalla venerazione dii religiose istituzioni. .»! &uDa Siccome ‘a 'Damer non vi è mercato giornaliero, e non v'è moneta che corra ‘meno che il.dollaro, il now stro viaggiatore fu necessitato di andare di casa in casa) a vendere alcuni grani di vetro, per ‘avere in cambio. poche misure di saggina, 5a € La caravana rimase»a Damer cinque giorni) e po- nendosi in viaggio il'dirv5' d*aprile ; arrivò a Shendy il 18:«Dopo Sennaar ‘e Cobbè vin Darfur, Shendy è la più gran città del Sudan orientale ; è composta di quattro quartieri divisi Pun dall'altro dai luoghi del pubblico» mercato; e contiene da ottocento in mille casey Simili ‘a ‘quelle di Berber. 1 capi e i loro pa- renti hinno' dei cortili larghi venti piedi, cinti d’ alte mura . Il nomesdel Mek è Nimr o il Tiger: ha que- stà canica per diritto di madre, che era della tribù di Sennaati, il che spiega ‘il passo di: Bruce, che dice d’averotrovato una donna (.Settiza., nostra don- na) sul trono. Tre differenti tribù d’ Arabi abitano il! paese (di Shendy, oltre ‘quella che appartiene alla moglie del! Mek,'e le loro dissensioni accrescono la sua autorità. peeli Siccome la‘ mercanzia è libera a Shendy, il com- mercio è floridissimo. Il Mek per lo più si contenta di ‘una’ piccola ma volontaria contribuzione da ogni caravania” Ma Burekhardt fu ‘obbligato‘‘a cedergli il suo! fucile ,0'ohe disgraziatamente piacque» val Mek, ib quale: gli» presentò quattro dollari ‘spagnoli . Egli aveva ‘già da venti fucili ‘arrugginiti , e fece al: no- stro viaggiatore delle. serie proposizioni: per entrare al suo servizio, in qualità di fabbricatore d’armi da fuoco: La sua ‘corte è composta di sei ufiziali di po- lizia, d'uno: serivano, di @n Imam, di un tesorie- re; e di un corpo di guardia formato di schiavi. Gli abitanti di Shendy son di carattere molto simile a quelli di Berber: la lussuria e l’ubriachezza sono più comuni quì che a Berber, ma le donne pub- bliche non infestano le strade come là. I vestiti ei costumi sono pure gli stessi, e sembrano. continuare ) fino a Darfur da: una parte , e a Sennaar dall’ altra. Ma a Shendy. gli abitanti son meglio vestiti che altro: ve. Le donne portano anelli d’ oro al naso e'‘agli orecchi. A Shendy Barkkbeidt: osservò ùna ceremonia di: antichissimo costume orientale ,« Alla morte di un Dgialy, io veddi (egli dice) le donne parenti del mor- to;'andar per le strade principali mandando. le» più lamentevoli grida. Erano quasi nude, e le poche. vesti che avevano erano stracci; s' eran coperte di cenere la. testa, la faccia, e il petto, ed avevano tutte il più squal- lido aspetto ». Così dice Erodoto, e quasi:e ‘con.le stesse parole. (1). | pi Shendy ha un Loti settimanale cha sbibodila di molti generi; il principale è come a Berber), la saggina. 1 mercanti seggono nella piazza del mercato in pic- cole botteghe di argilla coperte di-stoje, circa sei piedi larghe. Fra gli articoli esposti in vendita, Burckhardt rammenta il latte, che portano ogni mattina le ragazze beduine; e cambiano in saggina. Vi sono macelli di carne di vacca.e di cammello, ma ‘di rado di pecora ; vi sono droghe e aromi d'ogni sorta; sapone, corallo; e grani Idi vetro; tabacco che è migliore di quello da Sen- naar in qua; natrone di Darfur , salé. che viene di Bo-. yedda, antimonio, legno di sandalo, gomma arabica, è varie altre droghe. Quattro o.cinque cento cammelli, al- trettante vacche, e cento asini, e venti o trenta cavalli erano in vendita nei giorni di gran mercato. Gli 1) Quando muore un uomo di qualunque condizione egli sia, ‘tutte le donne di quella famiglia si aspergono la testa e il volto di polvere , e lasciando il morto in casa, vanno per le strade della città col petto nudo e con una cintura ai, fianchi, bat- tendosi mentre camminano. Euterpe. Ài i 53 artigiani che potette vedere a Shendy erano per lo più fabbri, ‘argentieri, conciatori, fabbricanti di stoviglie, e falegnami. Le donne e i fanciulli e molti uomini ave- van la rocca accanto, filando cotone per gli abitanti di Berber, che sono grandi tessitori. Shendy è il luogo principale dove si fa mercato di schiavi. Eccettuate poche donne abissinie, che sono sparse per l’ Egitto e per l'Arabia, questi infelici sono la. maggior» parte negri. dell’iuterno dell’ Affrica; ma vi è.un'altra specie di schiavi, distinti col nome di nuba, nati da donne abissinie, e che i loro padro- ni inviano a Shendy. Gli altri son negri del Sudan, il numero de’ quali venduti annualmente in quel. nrer- cato, Burckardt lo calcola a cinque mila; cioè duemila cinquecento per l’ Arabia, mille cinquecento per l’Egit- to, e mille per Dongala e per i Beduini delle montagne fra Shendy e il mar rosso. La maggior parte degli schiavi portati a Shendy sono fanciulli di quattro o cin- que anni. Burckhardt osserva che calcolando moderatamen- te il numero degli schiavi in Egitto può stimarsi intor- no a quaranta mila; che gli schiavi trasportati verso l'Arabia e la Barberia, sono molto meno di quelli te- nuti dai musulmani nei confini del Sudan: osserva che non vi son meno di dodici mila schiavi lungo. le rive del Nilo, da Berber a Sennaar, e venti mila in Dar- fur; e dalle relazioni che potette avere, la. proporzione non deve diminuire, procedendo verso l’oriente nei po- polati paesi di Dar, Saley, Burnù, Baghermè, Afnù, e Haussa. Benchè gl’]Inglesi si siano lodevolmente. sfor- zati di abolirne l’infame traffico, nell’ Affrica occiden- tale e orientale, non sembra; egli dice, che siavi la più piccola speranza dell’abolizione della schiavitù; ed è 54 i d’ opinione; che dall’estere nazioni i negri non possano sperare di farsi liberi, ma questa:grand’ opera -deve es- sere effettuata da loro medesimi ; e questo;può facilmen- te ottenersi, educando i fanciulli nella propria pe, e sotto i proprj concittadini.; .... ad Il nostro viaggiatore fece disegno di visitar la Mec- ca nel.tempo del pellegrinaggio , per ‘ottenere :il titole di hadgi (la più valida è miglior protezione, in qualun- que futuro viaggio nell'interno dell Africa.) onde ssi preparò per un secondo viaggio.nella Nubia, Con. questa nura vendette a Shendy le sue poche mercanzie, com- prò ‘un fanciullo schiavo per sedici dollari ; un cammel- lo per undici, e dopo essersi :procurato;della saggina; del daminour, e del butirro; si trovò jin tasca appunto quattro dollari, che credette bastanti per arrivare a Dgeida, sul qual luogo aveva una lettera di credito dal Cairo, .. Così equipaggiato si uni alla caravana che delta a Suakem per la via di Takka: vi erano in essa alcuni mercanti negri dell’ Africa occidentale , ai quali si rac- comandò come povero, sperando non solo d'aver delle cognizioni, ma ancora assistenza se e bisognasse. Il principale era hadgi Aly, negoziante di schiavi del Kor- dofan, ch’era stato gran viaggiatore, e tre volte aveva conseguito il titolo: d hadgi. », I suoi viaggi e l'apparente santità della sua con- dotta gli aveano procurato gran reputazione, ed era visto di buon occhio dai Mek e dagli altri capi, a cui non mancava mai di portare da Dgeida qualche piccolo regalo. Benche fosse sempre occupato a leggere il. ko- rano, 0 sedendo. sotto una capanna di stoje , o sul cammello, pure quest’ uomo era un buon vivente, .e non cercava altro che il piacer sensuale. Il frutto del sno 55 piccolo capitale, che continuamente rinnuovava co’suoi viaggi, lo spendeva tutto in piaceri. Conduceva .seco per concubina una favorita schiava detta Borgo, che era stata con lui tre anni, e viaggiava sul cammel- lo; mentre gli altri schiavi andavano a, piedi. Le sue provvisioni, erano le migliori che avesse il mer- cato di Shendy, particolarmente di zucchero e. di datteri, e ì suoi desinari erano i più lauti che vi fos- sero nella caravana. Sentendolo parlare di morale e di religione, si sarebbe supposto che conoscesse il vizio so- lo per nome; pure hadgì Aly che aveva spesa mezza la vita in devozione, vendette l’anno passato la propria cugina nel mercato degli schiavi di Medina, la quale aveva recentemente maritata alla Mecca. Essa vi era andata in un pellegrinaggio da Bornù per la via del Cairo, quando Aly inaspettatamente trovandosi con lei la proclamò cugina .e la maritò : a Medina avendo biso- gno di denaro la vendette ad alcuni mercanti egiziani; e siccome la povera donna non poteva provare l'origine libera, fu obbligata a sottomettersi. Tutto ciò era ben conosciuto nella caravana, ma l’hadgì non ostante con- tinuava a godere tutta la sua vantata reputazione . P.365, e 366. ,, 3» Avendo attraversato 1’ Atbara o l’Astaboras, si di- ressero verso il sud-est; e tosto entrarono nel paese de- gli Arabi di Bisharyé; superba e bella generazione; gli uomini vanno sempre armati, e sono continuamente in risse; le donne sono snelle ed eleganti, perfettamente nere, con begli occhi ‘e bei denti. Ma il carattere d’am- bi i sessi è cattivissimo; essi sono traditori, crudeli , avari, e vendicativi, e non hanno leggi nè umane nè divine per contenere le:loro passioni. Sono i più ino- spitali delle tribù beduine, e questo solo prova, dice [ SU Burckardt, che sono di vera razza affricana; essi ton parlano arabe.’ Ad Om Daud andò fra le capanne a chiedere un poco:d’acqua o latte; quando. le donne lo videro gettarono alte grida, essendo rimaste: spaventate alla vista di un tal mostro di natura;:che tale conside-. rano un uomo bianco. Anche a Shendy. nei giorni di mercato, il basso popolo spesso gridava gn Dio ci salvi dal diavolo. Il popolato e fertile dista di Takka, che è ‘una valle fra le montagne orientali inondata dalle pioggie d’inverno, è celebre per la bella razza delle greggie e per l'eccellente saggina. È abitato ida una tribù di Bisha- rein, che anch'essi hanno le capanne dove si beve il “buza:, e le loro donne pubbliche: ,, Le mogli non han- no difficoltà di ricevere forestieri nelle loro tende; ma, dice Burckhardt.con gran semplicità; questo non m'ac> cadde mai, poichè ogni qual volta,mi presentava a una tenda, le donne mi salutavano con alte grida, e facevan cenno colle mani che io dovessi:;subito partire. « Questa gente mangia il sangue degli animali.rappreso nel fuoco, e il fegato e gli arnioni ‘crudi; ma il latte di cammello e la saggina è il cibo principale. Gli abitanti di Takka sono come i Bisharein di Atbana traditori, vendicativi; e ladri. \» Un Hadendoa non ha scrupolo d’ uccidere il suo compagno per viaggio, per possedere qualche cosa di pic- colo valore, se ha speranza di farlo ipmunemente; ma l’espiazione del sangue sparso esiste ivi in ‘pieno vigo- ve. Fra gli Hallenga discesi dall’Abissimia, si dice che esista ùn orribile costume per vendicare ilsangue ; quan- do l’uccisore è preso dai parenti del morto, proclamasi una festa familiare, nella quale è portato l’uccisore le- gato sopra un Augareyg, e mentre che la gola vien ta- 97 gliata a poco a poco da un rasojo, il sangue è raccolto in una tazza, e offerto ai convitati, i quali lo bevono nel ftiomento ché la'vittitna getta l’ultimo sospiro — Pag. 396. Di ali Nel partirsi di Takka, si unirono a loro dei pellegrini negri di Baghermè, Burnù, e Timbuctù, chiedendo d’ andare alla Mecca . «Tutti questi pellegrini hanno il medesimo equi- paggio; e sono pochi cenci legati intorno a lombi, un ber- retto bianco di lana, un sacco di pelle pieno di provvi- sioni, portato con un lungo bastone sopra le spalle \una borsa di pelle contenente un libro di preghiere, o una co- pia di pochi capitoli del korano, una tavola di legno langa un piede e larga sei pollici, su la quale scrivono i carmi ovvero preghiere , per se o per altri per imparar- sì a mente; una piccola zucca per calamajo, una tazza per bere, e per mettervi il cibo che ricevono questuan- do, un vaso di terra, per le abluzioni, e una lunga fila di grani che pende spo collo in più giri — Pag. 407. « ‘Moltissimi periscono in questo lungo e malsano viag- gio , ma sono considerati martiri, e ti loro morte inve- ce di spaventare gli altri, gl’ incoraggisce a seguire il loro esempio. Uno della caravana era un cieco che era venuto dall’occidente del Darfur, guidato da un compa- gno che gli segnava la via. Bureliliardt molto tempo dopo vedde quest’ uomo che chiedeva l'elemosina nella moschea della Mecca, e di poi a Medina prostrato sul limitar del tempio, esclamando: « Io son cieco, ma la luce della parola di Dio e l’amore del suo profeta illu- minano l’anima mia, e sono stati la mia guida dal Su- dana questa tomba . « Noi ci siamo già troppo estesi nel dar conto di que- sto interessante volume; onde diremo poco del viaggio 55 a traverso le montagne al porto di Suakem nel mar:Ros- so, dove il nostro viaggiatore si sarebbe trovato in cat- tive circostanze 3 se fortunatamente:mon avesse avuto un passaporto di Maometto Aly, per cui si procurò un pas- saggio a Dgeida; — e qui lo lasciamo fino alla pubblica- zione del secondo volume, che conterrà forse la rela- zione del suo pellegrinaggio alla Mecca e a Medina. Non possiamo peraltro finir quest'articolo senza ri- tornare a un soggetto, che più d’una volta ha occupata la nostra attenzione, cioè il corso e la fine del Niger, uno dei principali oggetti delle ricerche di Burckhardt nel Sudan . i Nel nostro ragguaglio del secondo viaggio di Park (N. 25 p.128,137,e 140) provammo la validità dell’ipo+ tesi messa in campo da Maxvell, che dà al Niger il corso al mezzogiorno, e la fine nel Zairo 0 nel Congo; e prin- cipalmente entrammo in questione, perchè Park ha adottato caldamente questa ipotesi prima di porsi in viag» gio confermandosi maggiormente in essa quanto; più procedeva lungo il fiume. A parer nostro, l'opinione di chiasseri poco tempo fa, che il suo corso era verso l’orien- te, non è da rigettarsi su deboli fondamenti, e siam per- suasi che riesciremo almeno a mostrare che gli argomen+ ti contro la possibilità della verità dell’ ipotesi non fus rono ben fondati, lasciando agli altri la scelta della pro- babilità fra il Congo e le paludi di Uangara. L’infelice spedizione del capitano Tuckey non alterò punto la que= stione, eccettuato che le notizie procurate da questo viaggio, stabilirono che il Zairo aveva la sua origine al settentrione dell’ equatore . Ma Burkhardt ha messa di nuovo in campo una que- stione più antica della soprammentovata; con le, prove che egli ebbe , e che ogni mercante arabo e pellegrino. 159 bianco ha ripetuto in ogni parte dell’ Affrica settentrio- nale e occidentale, che il Niger del Sudan (e il Nilo dell'Egitto è uno stesso fiume. Questa testimonian- za generale di un fatto fisico, può esser distrutta soltanto - colla prova diretta del contrario, o dimostrando la sua impossibilità fisica. Che ciò sia stato provato dagli ar- gomenti del maggior Rennel, non ne concepimmo al cun dubbio, finchè la Miceli di Burckhardt ci in- dusse a ‘considerare pia fondatamente le proposizioni di Bruce, su le qualivè fondata l'impossibilità della sua identità . Se il Niger si unisce al Nilo, ciò può citt solo per mezzo del Bahr-el-Abiad 0 del fiume bianco, che si unisce al Bahr-el-Azrek presso Halfaia, verso il sedice- simo parallello di latitudine settentrionale, nella vasta pianura di Sennaar, e tutti i viaggiatori sono in questo concordi. « Tutti i Burnzani e gli Hassuani (dice Hor- nemann) da me interrogati intorno alle lontane regioni di questo finme (il Niger) s° accordano a dire che scorre da Sennaar per la terra degli Heatheni: altri affermano che passa pèr Darfur scorrendo verso l'oriente fino al Cairo, essendo un ramo del Nilo egiziano». Fu dipoi informato da un egiziano che più volte era stato a Dar- fur, e al mezzogiorno di esso per comprare schiavi, che era indubitata la comunicazione del Niger col Nilo, che questa comunicazione avanti la stagione piovosa era ‘piccola in quelle parti, essendo il Niger in quel periodo. stagnante e senza corso, e che il fiume chiamato Lahr- el-Abiad è questo fiume (il Niger) . Nel seguito dei prin- cipi di Marocco presi a bordo del Tago fregata d° Ales- sandria, vi era un hadgì che aveva frequentemente vi- sitato Timbuctù; quest’ uomo assicurò al ‘capitano Dundas; che vi era una sola opinione in quella città 60 dell’ identità del Niger e del Nilo; che il primo si sca» ricava nel mar del Sudan; e.l’ultimo prendeva ovi- gine da quel mare; ma non vi è bisogno di moltiplicare testimonj. Se esaminiamo il carattere dell’ Abiad; lo troveremo quello di un fiume che ha attraversato un lungo tratto di paese piano, piuttosto che una riunione di fiumi di montagne. Bruce dice, che dove esso si con- giunge all’ Azre4, a Ved Hodgila « è più largo del Nilo, è profondo in tutto il suo:corso, è due volte più.largo del Nilo, e appena si può vedere il.suo corso; che scorre mor- to e con poco declivio, e conserva il letto sempre..lo stesso ». Bruce lo vedde nel colmo della stagione pio- vosa, e pure scorreva morto; infatti tutta la descrizione che fa di questa diramazione occidentale del Nilo, lo dimostra un immenso canale o condotto, che porta quie- tamente le acque radunate di qualche gran mare o lago interno, come i laghi di Ghana e di Uangara, o quel mare del Sudan di cui parlano tutti i viaggiatori arabi. Si son fatte due objezioni a questa terminazione del Niger, e quasi insuperabili, se potessimo prestar fede dovunque all’ accuratezza di Bruce . La prima è la gran- de elevazione della pianura di Sennaar,che richiederebbe il letto dell’ Abiad, e in conseguenza quello del Niger, cinque mila piedi almeno sopra il livello del mare, al- tezza probabilmente maggiore anche dalla sorgente del Niger; la seconda è la mancanza di corrispondenza nell’ inondazioni periodiche del Nilo dell’ Egitto e del Nilo del Sudan. Benchè sembri che Bruce avesse un barometro nell’ Abissinia, troviamo solo due osservazioni su l’ ele- vazione fatte da esso , una delle quali è inintelligibile (1) (1) Per mezzo di quarant’ una osservazioni fatte a Massuah Gi almeno a noi, e l’altra tale da non farne conto. Que- st’ ultima ‘osservazione fu fatta alla sorgente del Nilo, ed è così descritta: « Mi procurai (egli dice) dalle navi inglesi quando era a Dgeida, un poco d’argento vivo pu- rissimo, e più grave del comune; scaldando il tubo leg- germente al fuoco , lo empii di questo argento vivo, e con mia:gran sorpresa, trovai che stava all’altezza di ven- tidue pollici inglesi; sospettando che vi sì fosse insinuata un poco d’ aria, lo posi nella tenda in luogo caldo; co- perto fino ‘alla mattina; e andando»a letto, dormii pro- fondamente sei ore, e poi svegliato trovai lutto in per- fetto ordine; e il barometro alto ventidue pollici inglesi, e allora conobbi che alle sorgenti del Nilo, io (era allora più di due®miglia sopra il livello del mare » (vol. V. pag: 311). Tutto questo non farebbe autorità, anche se. l’istrumento fosse stato perfetto :: poichè ammettendo che il mercurio a Massuah sul marorosso? fosse alto 30 pollici invece di venticinque, è per la»differenza della temperatura (che egli non aveva mezzo di conosceré). La discesa del mercurio a ventidue pollici darebbé una ele- vazione! di soli vitomila piedi, invece di diecimila ‘cin- quecento sessanta . Ma la prova della sua.inaccuratezza sarà evidente; quando si consideri; che secondo lui la montagna di Gees deve esser alta quindici mila piedi. sopra il'livello del mare, mentre sappiamo che la neve non cade:mai in nessuna partecdell’ Abissinia. Pure questo semplice calcolo dell’ elevazioni. delle, 23 sul mar rosso, l’ altezza «del barometro si dice essere 25° 6" 2 e a Dixan; 21° 1° 2”; la cui differenza, egli dice, dà una diffe- ‘renza d’ elevazione nei, due luoghi; eguale a quattromila secento sessantaquattro piedi. Di quale specie. di barometro sì servisse per indicare 25° 6° 2” di un livello sul mare è ignoto, nè pre- tendiamo di saperlo. Zol. V. pag. 440 terza edizione. 63 sorgenti del Nilo;è il solo fondamento per dedurre quel la di Sennaar. Ivimon fece nessuna osservazione, ma'sta» bilisce vagamente che la pianura di Sennaarè più bassa un'miglio dell’alto paese, dell’ Abissinia, ‘che; è circa; cinquemila. dugento piedi sopra il livello del. mare; mà, troveremo peraltro esaminando un’ altra parte della sua, opera; che tale elevazione è inconsistente alla prima as-, serzione :. ma non vogliamo: dir altro su questo puntò. ,; perchè ‘potremmo avere mal’ inteso Bruce... |. paddy Ogni relazione che hanno data i moderni viaggia-, tori della Nubia; (concorda con la placida discesa (del; letto del Nilo. In tutta la distanza di mille piedi, dal» l’Abiad al mediterraneo, vi sono due sole cataratte; ‘che; non sono cadute ma correnti d’acqua, cagionate dalla contrazione del letto del fiume con gli. scogli, le quali; non interrompono la navigazione. Lord Belmore navigò per il Nilo contro la corrente senza nessuna difficoltà fino alla seconda cataratta, ‘come fecero i capitani Irby e Mangles; e Bruce dice d’ aver fatto contro la: ;corrente; otto miglia in’ un’ ora. Burckhardt attraversando.lé, montagne da Shendy passando per Takka alla;riva del mar rosso, evidentemente trovò la discesa a quel mare poco meno della salita del Nilo. La corrente del Nilo, non è tanto rapida come quella del Gange, e nell'estate. è ancora minore; pure abbiamo la testimonianza di Rennell (migliore non la-potremmo avere) che il pen- dio del: letto: del Gange è.di soli quattro. pollici per miglio, e quello della terra in linea retta intorno alle tortuose rive del fiume, è di nove pollici per miglio, Il pendio del letto dell’ Amazone, si dice da Condamine, essere parimentidi quattro pollici, e quello della pianura. per cui scorre sei pollici e tre quarti. Il Nilo è menò , tortuoso dì questi due fiumi, e il pendìo della pianura, 0 63 della valle:per:cui scorre può considerarsi di sei pollici, il che. darebbe a quella parte della piamura di Sennaar dove }.Abiad si unisce all’ Azrek, un’elevazione di cinque- cento! piedi invece di più di cinquemila; pure. su. quest’ultima supposizione. soltanto , è stata ‘dichiarata impossibile l'unione del Niger col Nilo: Ma.nòi siam persuasi.che ciò non sia impossibile, dando al Nilo l’in- tetro pensio: del ‘Gange;ie considerando: 1’ elevazione del punto d° affluenza dei due fiumi (Abiad e Azrek) sopra» il mediterraneo esser. settecento cinquanta e anche ot- tocento piedi ed arriviàmo a questa. conclusione con è fondamenti che seguono. 1l corso; del Niger per, le pri- me due! mila qhiglia inglesi, sia dentro due'‘gradi, o da ambe le partiiideldecimoquinto. parallello di latitu- dine, e ‘termini come si suppone all'estremità orienta- ‘ le. dell'Uangara;; circail decimoquarto parallello: Ma l’ ipotesi now ammette la ‘sua dinevnel Îmar di Uan- gara; e se: esso procede, deve necessariamente declinare; e passare val mezzogiorno di Darfuti} dove si può umire coll’ Abiad . Supponendo questo;} lai Langhezza! deb suo corso:da Uangara ‘all’affluenza; delli ‘Abrad. e.dell’Azrek, sarébbe circa mille:miglia inglesi. Se dunque accordiamo la: piena inclinazione del Gange (nové' pollici per miglio) perde prime due: mila miglia; e quella!delliAmazone perl: ultime mille miglia (essendo 'in tutto; (probabil- mente una successione di mari e di laghi, finchè si uni» sceial quasi motto:canale dell’ Abiad) e ottocéento piedi comié.abbiamo»dettò «disopra ,, pet intera inclinazione dell’Abiad.verso il maré, avremo uni totale. di due mila ot= tocentò piedi, per l'elevazione necessaria:del Niger, onde discenda dalla .sua sorgenteral mediterraneo, passando per 1’ Egitto; e per il Sudan. con'unaleorrente eguale a quella del Gange o dell'Amazone; elevazione che non. 64 sarà creduta troppo; esagerata dal vero, quando si consi- deri che la stessa elevata regione doy'esso ha origine)è:la sorgente di.due'altri grandi fiumi; ill Senegal, e illGamiì bia. Ma siccome possiamo asserire che la corrente; del Ni= ger e:del Nilo, non è di egual forza di quella del Gange e dell’Amazòne, anche questa ‘elevazione non ‘sarebbe necessaria per portar. lacque nel. mediterraneo.; & | L'altra objezione dell'identità de. Niger.e del Nilo, è. ver sull’ iicoriseguenza delle loro inondazioni pes riodiche, cioè la salita e'la discesa del primo non corri- sponde all’ ultimo. Il mare \deli Sudan, o per meglio dire le paludi d' Uangara, è certo:che son piene, e strari* pano circa la metà d’ agosto. Supponendo che; li atque scorrano nell’ :Abiad al-calcolo di dué migha.l’ otast'acs que arriveranno ad Azrek in tre settimane, a tre miglià l’ ora in quindici giorni; eioè:su iprimi di settembre. Ora benchè il Nilovisia qualche ivoltarra quest’ altezza circa la fine d'agosto; frequentemente continua a gon4 fiareverso la metà di. settembre, e;a scemar pochissimop crescendo di. tantò in tanto; durante tuttoil mese‘ d’ot-. tobre; circostanze che appena potrebbero. accadere;*se) l’acque derivassero solo dai «fiumi dellè montagné.del- V.Abissinia; ‘e dal Bahr el Abiad, se l'ultimo non avesse! altre'sorgenti che quelle del Dgebel Kumri, o dellemon<; tigne dellavluna. Un fiume dil,montagna rimani secco quando cessano: le pioggie periodiche ;:e se il Nilo mon: fosse supplitoaltronde, la sua cadutasavebbe improvvisay il che è contrario al fatto. @Tuite dè! acque dell’ Abis sinia (dice Bruce) radunate nek Nilo; hombasterebbero a far passare il.suo piccolo:letto per i'brucianti; deserti della Nubia, senza V'Abiad,:cheicon essosi congiungead) Halfaia; » e imaltro luogo egli dice ::«Ib Nilo sarebbey secco otto mesi dell’ anno;;se hon;avesse 1 Abiad; pie 65 noi aggiungeremo, che’ fbiadi non potrebbe lungamen- te mantenere lo straripamento del Nilo dopo le pioggie, se non avesse rinforzo dall’ acque derivate dai fiumi delle montagne del Dgebel-Kumri . Noi pe O ui dire in un numero precedente (N. 36 pag. 348) che tutti i:laghi o mari interni. non avendo nessuna uscita, devono per la stessa natura delle cose esser salati; allegammo in prova di ciò diversi ben conosciuti esempj; quindi concludemmo, che siccome i laghi di Vungara secondole deposizioni degli Arabi, son freschi, devono necessariamente avere una uscita. Ab- biamo poi ricevuto la notizia di due grandi mari o la- ghi d’ acqua, scoperti nell’ interno della nuova Olanda, che ricevono alimento da due fiumi di. considerabile grandezza , i quali hanno origine nellà parte occiden- tale dei monti azzurri. Il primo che è al mezzogiorno del porto Jackson, è certo che non'ha uscita, ma del secondo niuno è giunto a scuoprirne i confini. Non sap- piamo se il tenente Oxley si dimenticò (come fece Alessandro. Mackenzie ) di tuffare ‘un dito nell’ acqua per gustarla, ma ci ha dato almeno non equivoca testi- monianza che le acque del primo erano salate, e che tutte le piante delle rive e dell’.isole, e dei luoghi palu- dosi di questo lago. si credono essere piante saline, e della stessa specie di quelle che crescono su le spiagge marittime di quel paese. Su tal fondamento possia- mo sicuramente chiamarlo un lago interno senza nes- suna sortita. Se questo fosse il caso riguardo all’ Uar- gara, le acque sarebbero per la natura del suolo, per cui il Niger e gli altri fiumi scorrono, notahilmente sa- late, per la successiva evaporazione dell’ acqua , e per la continua accumulazione di particelle saline , fino da un migliajo d'anni dopo la creazione del mondo, dove IT, III. Luglio 5 66 non essendoci alcuna sortita, queste particelle essendo disciolte dalle înondazioni annue, le acque che riman- gono si conservano dolci. Non prestiamo fede al rapporto ricevuto da Jackson, il quale ha fatto un viaggio per acqua da Timbuctù al Cairo. I gran mari nella stagione piovosa , e gl’ infi- niti laghi nella stagione asciutta, non invitano alla na- vigazione gli Affricani, i quali fanno i loro viaggi e il loro commercio sempre per caravane, assicurandoci Burckhardt che questa via non è di loro gusto, ma di minore spesa. L° esporsi al rischio di perire di carestia, o d’esser divorati dai c.ecodrilli, o derubati dai piccoli Mek lungo le spiaggie, sono mali più terribili di quelli che possono incontrare attraversando il deserto. Per- sino sul Nilo, da Sennaar alla seconda cataratta non si fabbricano navi, e la sola maniera di passare il fiume, è per mezzo di un rozzo fodero di fusti di palma, o so- pra una pelle di pecora gonfiata . Noi lasciamo ai mostri lettori a concludere su la testimonianza generale che abbiamo data, in favore dell’ identità del Niger del Sudan, e del Nilo dell’ Egit- to: in quanto a noi, benchè non abbiamo adottato nes- suna teoria particolare , non esìdiamo a dire che questa testimonianza non è stata ancora contradetta da nes- suna prova diretta, o da conosciuta impossibilità fisica . Icnazio M. 67 Relazione istorica delle scoperte e delle escavazioni fatte dal sig. G. Belzoni nelle piramidi, nei templi, nei sepolcri dell’Egitto, e della Nubia; d’ un viaggio fatto sulle coste del mar'rosso per ritrovare Vl’ anti- ca Berenice, e d’ un altro viaggio all’ Oasi del tem- pio di Giove Ammone. 1 vol. in 4. di 500 pagine con un atlante ‘in gran foglio di 44 tavole . Lon- dra 1820. Dacchè i Francesi intrapresero la grande spedizio- ne dell’ Egitto; e dacchè pubblicarono la prima parte della descrizione di questo paese, l’ attenzione dei dotti si rivolse più di prima verso quell’ antica sorgente delle scienze, è della cultura sociale. La protezione, che ac- corda ai viaggiatori il governo attuale dell’ Egitto, ha resi i viaggi in quella terra classica ugualmente facili; e fors’ anche meno. perigliosi che non lo sono in certi | paesi culti, come la Spagna . Si è potuto girare perl’ E gitto in tutte le direzioni, verificare le operazioni della commissione Francese, esaminar di nuovo ciò che aveva veduto, disegnare e descrivere ciò che le circostanze 0 la mancanza di tempo le avevano impedito di ‘vedere, dissotterrare var) monumenti \sepolti tra le sabbie, pe- netrare in catacombe ignote. Si è fatta così sana quan- tità di scoperte tanto curiose, ed interessanti, che non vi ha niente di simile in tutto ciò che si era trovato finora. Le più importanti di queste scoperte sono state fatte dal sig. Belzoni; dobbiamo all’ intrepidezza, alla perseveranza , al genio ardito di questo viaggiatore la cognizione della seconda piramide , la quale porta il nome di Gephren , e della magnifica tomba dei Re di Tebe; e gli dobbiamo il vanto di aver tratto dalle sab- Bie il gran tempio d’Ybsambul presso la seconda cascata 68 del Nilo nella Nubia. Le due prime scoperte , unita- mente a quella della camera sepolcrale trovata sotto i pozzi della gran piramide, e a quella del tempio situato fra le due zampe della grande sfinge, son senza dubbio più nuove , e più interessanti di tutte quelle ,, che han fatte i Francesi nel tempo, in cui restarono in Egitto. Diremo di più francamente, che reca sorpresa come in tre anni, nei quali abitarono al Cairo, i Francesi poten- do disporre di tante braccia non tentassero di trar dalle sabbie la sfinge, e di penetrar nella seconda piramide, e come si lasciassero sfuggir così l’ onore delle scoperte, che avrebbero potute fare immancabilmente . Dopo che abbiam così resa al sig. Belzoni la gius- tizia che merita; siamo in diritto di lagnarci della par-, zialità, che ha mostrata contro i Francesi, dai quali non ‘ ha ricevuto altro che buone maniere, riguardi, ed istru- zioni. I lavori della commissione Francese non son mai o quasi mai rammentati nella sua relazione; sì direbbe leggendola, che le ricerche intraprese dagli Europei in Egitto incominciarono sotto il consolato di Salt; che prima d’ Hamilton, Banks, Legh, Leake, Light, Burk hardt, e Belzoni l’ Egitto era un paese ignotos e che questi viaggiatori Lia dato principio ad un’ era nuova . Eppure il.sig. Belzoni consultava e studiava al Cairo il testo e le lorde della descrizione; i lavori dei Francesi gli servivano dai guida, .e ciò che avevano scritto gli sugge- riva di fare ciò che non avevano potuto fare; ed è certo che se in qualche punto ha esteso più lungi le sue vedute, lo ha fatto ponendosi, per dir così, sulle loro spalle . A questa parzialità, che si distingue in tutto il suo libro, bisogna aggiungere le imputazioni ingiuriose che ha diano contro certi individui, i quali sechbab lui hanno tentato di opporsi alle sue operazioni , o dì ; 69 atribuirsene l’ onore. Il conte di Forbin, e ÎBrovetti sono i principali soggetti delle sue invettive; il primo ha l’ irreparabile torto d’ esser Francese, e d’aver ricu- sato di riconoscere il diritto: che gl’ Inglesi mostrano di volersi attribuire sulle antichità, che si vanno scuo- prendo in Egitto; il secondo, che ‘per carattere , e per talento è' superiore ad ògni elogio; ha il torto non me- no irreparabile d° aver adottata la Francia per sua patria , e d'esser divenuto ‘in Egitto il prottettore dei Francesi. Il sig. Belzoni non dice espressamente che Dro- vetti abbia preso parte in un laccio, che secondo lui gli era stato teso, ma non gli dispiacerebbe che si credesse. Ha attaccato con*violenza perfino | irreprensibile Cail- liaud ; tanto è vero, che questo interessante viaggiatore al torto d’ esser Francese aggiunge coraggio , costanza, cognizioni , ed un gusto vivo per le scoperte. Ma Cail- liaud si è preso la libertà di visitar le miniere di sme- raldi prima di Belzoni, d’ inoltrarsi in Nubia più lungi di Belzoni e di visitare la grande oasis; nella quale Belzoni non ha mai posto piede, e queste son colpe che non si perdonano mai. Ci contentiamo di queste osservazioni generali sullo spirito, col quale è scritta la relazione del sig. Belzoni; acconsentiamo anche, per non parlarne più, a riguardar tutte queste aggressioni come effetti dell’esal- tazione d’ un uomo ardente ; il quale è. pieno dell’ idea dslle scoperte, ‘che ha fatte, il.quale desidera di farne di di più , il quale teme sempre di vedersene rapire una; parte, o di vedere che altri lo prevenga:nelle intraprese che medita; e senza pretendere di citarlo in giustizia; ci prepariamo a dimostrargli il nostro. disinteresse , presentando ai lettori l’ analisi fedele di tutto ciò che è nuovo nella sua relaziòne; la quale ci sembra più in- 76 leressanie e più curiosa di tutte quelle che si son pub» blicate sull'Egitto dopo l’ Egyptieca di Hamilton . La relazione del sig. Belzoni è composta di tre giornali di viaggi, i quali, racchiudono il racconto delle escursioni fatte dall’ autore nell’ alto Egitto, o mella Nu- bia, e nei deserti situati all’ E. ed. all’ O. del Nilo. Fin dal tempo , in cui si applicava alla costruzione: d’ una macchina idraulica al.Cairo, onde presentarla al gover- natore dell’ Egitto; gli venne l’ idea d' mvolare il busto eolossale di. porfido , che si:chiama comunemente di Memmone:il giovine.) eil quale si trovava sulle sabbie della pianura di: ‘Tebe. Quest’ idea lo pose:in. relazione con Salt, e incominciò fin d’ allora le:sue escursioni, per arricchire d’ antichità il gabinetto Britta mico. PRIMO: VIAGGIO IN NUBIA Il sig. Belzoni partì: dal Cairo il 28 giugno 1816. coll’ istruzione del:sig. Salt, nella quale gli era detto di far portare'il.busto;colossale di porfido sopra un battel- lo, e di mandarlo 1n Alessandria . Nella relazione di que- sto primo viaggio, oltre il racconto delle disposizioni prese per Vl adempimento della commissione di Salt, narra le sue prime escursioni nell'alto Egitto ed in Nubia, fino alla seconda cascata del Nilo Dice qualche cosa sulle antichità di Tebe ; d’ Esnè , d’Edfù, d’ Ele- fantina, di Phile: Osserva; che Y elefante non si vede rappresentato. sui monumenti d’ Egitto, se non che all'ingresso del:tempio-d’ Iside nell’ isola divPhile; che il cavallo si trova tra è geroglifici solamente sulla porta esterna delle mura di Medinet-Abù all’'occidente; e la giraffa ‘solamente sulle mura:del sekos del Memnone . Niun altro viaggiatore aveva detto prima di Belzoni ni d’ aver veduto la figura dell’ elefante a Phile; quest’os- servazione è più curiosa in quanto ‘che secondo |’ opi- nione probabile di Bocharto il nome dell’ isola di Phile, l’unico luogo in cui è rappresentato l’ elefante, signi- fica avorio; ed elefante, e può credersi che ai tempi an- tichi Phile ed Elefanta; i nomi delle quali significano probabilmente 1’ istessa cosa in egiziano ed in greco, fossero i due depositi dell’ avorio, che vi portavano per il commercio dall’ interno. Nella sua escursione in Nubia Belzoni nota tutti i luoghi, nei quali si trovano rovine di templi antichi sulle due rive del Nilo. Di ritorno a Tebe incomincia qualche scavo nella valle, che confina con quella di Byban-el- Moluk, torna al Cairo, fa sgombrare le sabbie, fra le quali era sepolta la grande sfinge fino al petto, e scuopre un temp io collocato fra le due ‘zampe anteriori dell’ ani- male. La descrizione di queste belle scoperte è com- presa nella prima relazione . SECONDO! (VIAGGIO Dopo aver fatto traspottare il busto colossile ad Alessandria } Belzoni parte per un secondo viaggio nel Said; ordina nuovi scavi a Cirnak, e Gurnah, due luo- ghi situati sulle rovine di Tebe, e ne ottiene la scoperta d’ alcun papiri; trova una nuova fila di sfingi sepolte trà le sabbie; ‘niel'imoverne una gli semopre sotto i piedi fina falce di ferro) rotta in'tre pezzi; e intieramente con: sumata dalla ruggine. Questa falce era probabilmente. più antica dell'invasione dei Persiani. Abbandonando queste ricerche per tornarè‘a' Yb- sambul, Belzoni risale il Nilo, passa a Phile,' vedle una iscrizione greca sul piedestallo d’ um obelisco, la? quile n2 conteneva una memoria diretta ad uno dei Tolomei dai sacerdoti di Philel. Secondo Belzoni Banks fu.il primo.a vederla; la vide anche Cailliaud; e ne prese;una copia. Belzoni- ha copiato in Nubia due sole iscrizioni, una delle quali è quasi inintelligibile. La trasse da Dakka } che è, per quanto si érede, l’ antica Pselcis. In questa prima. escursione Belzoni pose. mano ‘agli scavi nel: gran tempio d’Ybsambul situato, sulla:riva sinistra del Nilo presso la seconda cascata, e a:140. mi- glia geografiche da Assuan. Questo tempio immenso , che è tagliato dentro la rupe, fu visto per la prima volta da Banks: era sepolto in gran parte tra le sabbie. Bel- ‘zonî guadagnò il governatore del paese, e gli fece pro- mettere che impedirebbe a chiunque. di. continuar gli scavi fino.al suo ritorno. Passando a Siene. visitò le cave di granito, che sì trovano nei contorni... Scuopvì il 28, sntbersibre 1816 sopra un colonna rovesciata una iscri- zione latina , la più curiosa-fra tutte quelle «che;si son trovate in Ezio; Poco dopo riprese i lavori d Ybsam- bul con nuovo ardore. V*impiegò 80. uomini per 21. giorni, e gli riuscì in fine di scuoprire il tempio. Era talmente sepolto tra le sabbie; che bisognò scavare a 31. piedi di fondo ; prima;di giungere alla parte superiore della: porta d’ ingresso. Questo tempio è senza dubbio il più magnifico; che esistesse mai non solo nella Nubia, ma in tutto 1 Egitto. L’ aspetto d’ un simile monumen- to tagliato in una rupe, desta. ammirazione. La sua facciata è larga 170. piedi , ed alta.$0. A ciascun lato della porta siedono i due più grandi. colossi che si yeda- no in Egitto, o nella Nubia, poichè hanno presso a poco due terzi delle. dimensioni della grande, sfinge. Basta dire,.che il braccio dalla spalla al gomito è lungo 15. piedi, e.6. pollici; che l’ orecchie son larghe 3. piedi e 6. 33 pollici; che la faccia è di 7. piedi, e che son alti in tutto circa 65 piedi compreso il berretto.. Sopra la porta v' è una statua d’ Osiris, che siede . E’ alta 20. piedi, ed ha ai due lati due figure colossali che la guardano. La cima, del tempio è ornata d’ una cornice piena di geroglifici , ed’ un fregio al di sotto. La cornice è larga sei piedi; il fregio quattro . Vi posa sopra un fila di 31. scimmie, che: stanno a sedere, e son alte otto piedi. Il pronaos è lungo 5. piedi e largo :52. Lo sostengono due file di pi- lastri quadri di 20. piedi di circonferenza, davanti ai quali è collocata una'figura colossale simile a quella di Medinet-Abù ed è alta 30 piedi. 1 pilastri e le pareti son decorate di belle pitture ; lo stile n'è più pregevole, o almeno.più ardito di quello delle pitture trovate al- trove, Rappresentano battaglie, assalti di forti, trionfi su- gli Etiopi, sacrifizj. Somigliano intieramente ai soggetti rappresentati nel tempio di Medinet-Abù, e in quello di. Karnak a Tebe. Burkhardt ha fatta una osservazio- ne importante in proposito dei templi della Nubia, per esempio di-Derr, diDakka, di Khalabchy, nei quali, co- me nei:templi di Tebe, e nei sepolcri dei Re si vedono rappresentate battaglie, e trionfi; e figure di negri e di altri. popoli, che sono Hina i Nubj e gli Abis- sini. Vi si osservano inoltre giraffe, bufali, ippopotami, gazzelle, struzzi, leoni, è seimmie; tnttociò porta a cre- dere che vi sì allude.a guerre fatte contro i popoli situati oltre l’incontro dell’. Astaboras, e dell’ Astapus., vale dire coi Nubj, gli Abissinj, e gli Arabi, e non colle na. zioni della Colchide, e della Battriana , ‘come lo pensa qualche erudito. È verisimile che questo ngi magnifico fosse situa- to, in. vicinanza, d'una città di fqualchè riguardo .Bur- khardt ha notato'che i capitelli sono in'gran parte teste 74 d’Iside, e ne trae la conseguenza che il tempio era de« dicato a quella Dea . Di ritorno a Tebe, Belzoni intraprese muove. ricer+ che nei monti di Byban-el-Moluk. Uno scavo dirétte con intelligenza e costanza gli fece scuoprir parecchie catacombe fino allora ignote, che descrive minutamente. Riflettendo sulla bellezza delle pitture, e sulla gran dili- genza colla quale le mummie ivi riposte erano state preparate, ne concluse che probabilmente appartenes- sero a personaggi d’ un rango distinto; e fin d'allora concepì la speranza di trovarvi le tombe dei Re di Tebe. Scuoprì in éffetto varj sotterranei, l’ ingresso dei quali era chiuso da grosse pietre , e portava in ca mere sepolcrali ornate di superbe Pitture . pochi giore ni dopo fece la scoperta del più magnifico tra questi sepolcri. A. 18. piedi sotto terra, che» bisognò scavare con molta fatica, vide una pietra , che chiudeva. l’in- gresso d'un sepolero; si aprì un passaggio, e non'tardò a conoscere che era entrato realmente in un sepolcro grande, e magnifico. Attraversò un corridore lungo 36. piedi e 2. pollici; largo 8. piedi ,, e 8 pollici, e ‘alto 6. piedi e g. pollici, in cui il palco , e le pareti erano ripie- ne di pitture; e di geroglifici in rilievo; e trovò una scala lunga 33. piedi per la quale si entrava in um altro cor- ridore, che aveva presso a ‘poco 1 istesse dimensioni del primo e gli stessi ornamenti, ma tanto ben conservati come se fossero sortiti allora dalla mano degli artefici . Alla finedelcorridore fu arrestato da' un pozzo largo 14. piedi, e profondo 30. che era evidentemente destinato a interrompere le comunicazioni colle stanze interne . Le pareti di questo pozzo erano ugualmente coperte di pit- ture da cima a fondo. Videro un pezzo di legno, a cui era attaccata unacorda , che doveva servire per passare» 75 il pozzo; ed in effetto si storgeva dal lato opposto un muro trasversale, che era stato aperto evidentemente per forza, e il quale provava che in tempi ignoti qual cuno era entrato in questo sepolcro . Senza quel foro Bel- zoni avrebbe forse creduto che il sotterraneo terminasse col pozzo. Quante precauzioni si erano prese per difende- re questo sepolcro dagli attentati dell’avarizia! Belzoni tornò il giorno dopo con due travi, delle quali si valse in guisa di ponti. Passato il alia foro entrò in una sala lunga 27. piedi, e 6. pollici, e larga 26. piedi e 10. pollici. Era sostenuta da 4. pilastri tutti ornati di pitture; conduceva da un lato in un altra sala di di- mensioni quasi uguali ; e da un altro, per mezzo d’una scala di 16. scalini in um bel corridore lungo 36. piedi e 6. pollici. Quanto più sinternava, tanto più le pit- tnre eran belle. Questo corridore comunica per una sca- la di ro. scalini con un’altra galleria, donde si entra successivamente in ‘una sala ornata di bassì rilievi magnifici, in un’altra vasta sala, che è lunga 37. pie- di, e larga 26. ed è sostenuta da 2. file di pilastri qua- dri; in un’altra che è lunga 31. piedi, e larga 27. e in cui il palco è costruito a volta, infine in un’ al- tra sala anche più vasta, la quale è lunga 43. pie- di e larga 17. e nella quale Belzoni trovò una mummia di bove imbalsamata con asfalto, e una quantità pro- digiosa di piccole casse ripiene di mummie, e di sta- tue di legno. Il centro della sala era occupato da un sarcofago del più ‘bell’ alabastro orientale, lungo 9. pie- di 3: pollici, largo 3. piedi 7. pollici, grosso solamen- te 2. pollici e trasparente . Era ornato dentro ‘e fuori da più centinaja di piccole figure, che non eran più alte idi 2. pollici, e rappresentavano trionfi, processioni, e ‘sacrilizj . Belzoni assicura che non v'è un sarcofugo più 76 bello in tutto l'oriente. Il coperchio era stato levato e posto in pezzi ; ne trovarono alcuni frammenti. Il sar- cofago era collocato sopra una scala, la quale conduce- va ad un sotterraneo lungo 300. piedi. Alla sua estre- mità incomincia un’ altro sotterraneo, che continua a percorrere il monte nella direzione di S. O. Belzoni presume ‘che è. un altro ingresso , il quale non ha servito altrimenti ; dopo che era stato seppellito il personaggio; per il quale fu scavato il sepolcro; perchè all’ ultimo scalino della scala aperta sotto il sarcofago avevano alzato un muro, che chiudeva ogni comunicazione col sotterraneo. La gran quantità di sculture e di pitture, onde son decorate tutte le pareti, non è meno prodigiosa che il monumento. Leggendbue la descrizione si. crede- rebbe di leggere un’ articolo delle mille e una notti. Il nostro viaggiatore coll’assistenza di Ricci ha avu- to la pazienza di copiare tutte ;le figure, tutti gli orna- menti emblemi, e geroglifici;. lavoro che gli è costato un anno intero; ne ha disegnate qualcune in cera con'una, diligenza, che è superiore ad.ogni elogio . aitih Ildotto Young, che tenta di spiegare i geroglifici, ha creduto di leggere sopra le due figure principali d'una pittura i nomi di Necao, e di Psammetico; ne conclude che era il sepolcro di quei due he. La congettura è in- certa per lo meno quanto la maniera con cui pretende, che si debbano leggere i geroglifici . L’ultima parte del secondo viaggio è consacrata al, racconto delle operazioni, che guidarono Belzoni nel-. l’interno della seconda piramide, fino alla camera. se- polcrale, che è nel suo centro. Vi trovò prima di tutto un’ ingresso profondo, che era stato praticato per forza, e il quale indicava, che si era tentato anche prima di penetrar nella piramide. Quindi scuopri il vero ingres-, SPZ so, che era chiuso da una gran pietra di granito; la fece levare , penetrò in un sotterraneo inclinato di 26. gradi all’orizonte, come‘ quello della gran piramide, e chiuso all’ estremità con una pietra di granito, che vi era in- castrata a guisa di una porta levatoja. Tolta di mezzo la pietra, Belzoni entrò in un’ altro canale tagliato nella rupe , e il quale si dirigeva all’ oriente. Questo canale conduce ad una camera ugualmente tagliata nella rupe, e la quale termina con una soffitta di figura piramidale. V'è un sarcofago a livello del pavimento, in cui trovò qualche osso di bave, e lesse sopra una parete una iscri- zione araba, la quale prova, che qualcuno vi era già en- trato. Ritornando indietro, e arrivando al condotto ori- zonvtale, entrò in un'altro canale scavato nella rupe a 26. gradi d’inclinazione, il quale lo condusse ad un’al- tra camera ugualmente scavata nella rupe, a circa 30. piedi sotto la piramide; in fine un ultimo canale ugual- mente inclinato di 26. gradi lo condusse ad un secondo ingresso della piramide, che è collocato precisamente a livello del monumento. Così la piramide ha due ingressi uno sotto l’altro. La scoperta dell’ingresso di questa pi- ramide non è realmente nuova; non solo vi erano pene- trati gli Arabi nel 12°. secolo, ma ècerto che la percorse tutta anche Pietro della Valle nel 1615. Come mai i Francesi, mentre risiedevano al Cairo, trascurarono di penetrarvi per quell’ingresso, di cui si sapeva anche al- lora l’ esistenza? var] viaggiatori fra i quali Norden, Po- ckoke, e Grobert parlano degli avanzi d’un tempio all’E. della seconda piramide. Belzoni coi soliti scavi scuoprì gli avanzi d’ un portico ,. al quale si giunge per mezzo d’un argine, che discende verso la grande sfinge. Gli venne in pensiero che fra il portico; e la piramide dovessero esistere i fondamenti d’ un tempio. Vennero 78 impiegati 80. Arabi agli scavi. Dopo più mesi di lavori scuoprirono la parte inferiore d’ un tempio vastissimo, il quale era unito al portico , e si estendeva verso la pi- ramide fino a 5o. piedi. Le mura esterne del tempio erano costruite di pietre enormi+, fra le quali qualcune son lunghe toa di 80. piedi e larghe e grosse 8. Per as- sicurarsi se v'era comunicazione fra questo tempio e la piramide, Belzoni fece ssombrar la terra, etrovò un la- strico continuato, che partendo dalla base della pirami- de andava a terminare al tempio. Ne trasse la conse- guenza, che il tempio la sfinge e la piramide son tre edifizj costruiti nel medesimo tempo . TERZO VIAGGIO Questa parte della religio comprende due viaggi; il primo sulla ‘costa del mar rosso per la ricerca delle miniere di smeraldi , il secondo in un oasi, che il viag- giatore prese per quella d’ Ammone. Queste due escur- sioni offrono varie scoperte curiose . Il governatore dell’Egitto aveva saputo da due cofti; che v'era una miniera di solfo nei monti vicini al mar rosso; ordinò al piccolo governatore d’ Esnè d’andare a scuoprirla . Il successo non corrispose alla sua espetta- tiva; pensò d’incaricarne Cailliaud, il quale partì nel novembre 1816. con una scorta di soldati e di minatori, e trovò che il governatore d’Esnè non si era ingannato . Nel tornare indietro: non mancò di visitar le miniere di smeraldi, secondo l’ istruzione ricevuta da Drovetti con- sole Francese. Secondo Quatremere gli Arabi ed i Tur- chi lavoraàronoin altri tempi utilmente in queste miniere. Cailliaud vi riconobbe le traccie degli scavi fattî dai Greci, e dai Romani, e vi scoprì le rovine d’ una città ) 79 antica costruita tra le miniere non lungi dalle rive del mar rosso, e la prese per l’antica Berenice. La scoperta di Cailliaud era più che sufficiente per destar la curiosità di Belzoni , e per fargli nascere l’idea d’ una escursione nel deserto all’ E. del Nilo. Partì da Edfù il 23 settembre 1818. A_ 8. leghe all E. d’ Edfù trovò in una piccola valle un tempio egiziano scavato | nella rupe, ornato di figure egiziane in bassi rilievi di grandezza naturale. Fra le-sue colonne ve n'è una, che ha un’ iscrizione greca. $’ incontra poco dopo un recin- to di costruzione greca con un pozzo nel centro. Era probabilmente un’ albergo per le caravane, il quale in- dica, che una volta questa strada era frequentata per il commercio . Pure il ramo di strada, che conduce da Coptos a Berenice è più all’ oriente, e passa per un luogo che si chiama Samun, ove si vedono ancora gli avan- zi di qualche edifizio con un pozzo colmato. Lasciando la direzione di quella strada , che va al S. E. e andan- do direttamente all’ E. il nostro viaggiatore passò per un paese interamente granitico, ove abitava la tribù degli Ababdei, che si estende sulla costa del mar rosso fino al 23."° parallelo . Infine sette giorni dopo la sua partenza da Edfù giunse alle miniere di smeraldi , a 8. leghe circa dal mar rosso, e vi trovò: una cinquantina di minatori, che cercavano quelle pietre preziose nei fori e nei canali aperti dagli antichi. Si vede un gran nu- mero di scavi nel monte; e l’ immensa quantità di terra che ne hanno tolta , prova! la grande estensione degli antichi lavori . Pena che oggi queste miniere non siano molto ricche . Belzoni credendo che l’antica Berenice fosse situata un poco più al S. come la pone la carta di d’Anville, si 80 pose a seguir la costa del mar rosso | Vi trovò una mic. niera di solfo, nella quale potrebbe lavorarsi utilmente . Dopo due giorni di cammino giunse sulla riva di una baja semicircolare, ove si trovano le rovine d’una' città: antica assai riguardevole, e vi si distinguono le strade ; ed i vestigj delle case. Questa città era probabilmente lun ga 2000. piedi , e larga 1600. V’ è nel suo centro un tempio Egiziano lungo 200. piedi, e largo' 43. che è quasi sepolto tra le sabbie . Le sue mura sono ornate di bassi rilievi, e di geroglifici . La sua situazione sulla co- sta e nel fondo d’una baja porta a credere che è l’antica Berenice ; ma potrebbe anche darsi che Berenice fosse stata un poco più verso il Sud al porto degli Abissinj , come lo pensa Gosselin. E' dispiacente, che Belzoni non abbia eseguito il suo progetto di seguir la costa ver- so il S. per un giorno intero. Avrebbe verificato se esi- stono altre rovine su quella costa; e la situazione di Be- renice si conoscerebbe con sicurezza . Il racconto di questa interessante escursione è se- guito della narrazione delle pene , che il nostro viaggia- tore si‘diede, per mandare al Cairo un obelisco trovato a Phile. La relazione termina col viaggio all’oasi, che Bel- zoni prese per quella d’Ammone. Da Beni-Suef andò nella provincia di Fajum, di cui descrive i monumenti. Fece il giro d’una parte del lago di Kherun; e la descri- zione, che dà dei suoi contorni è tanto più interessante , che i Francesi non poterono riconoscerlo perfettamente. Per le notizie raccolte tra gli Arabi trovò sul monte al N. del lago le rovine d’una città Greca.. Non può esser altro che la città di Bacco. Vi si vede un grau numero di case distrutte per metà, e un muro di imationi inariditi al 81 sole, che cinge le rovine d’un tempio. Queste case ap- partengono a ùna piccola città: probabilmente non ve n'erano più 500. J ‘°- Belzoni partì da Fejum il 22 maggio, e prendendd la direzione del S. O. penetrò nel deserto, all’ingresso del quale vide la parte superiore d’'un muro ben grosso; il quale probabilmente cingeva ‘una città oggi ravvolta tra le sabbie. Lo chiamano El-Karak.! Continuando nella direzione d’O. vide una trentina di monticelli di terra, che erano lunghi:da 20 a 30 piedi, e nei quali etedè di ‘vedere i sepolcri ‘dell’armata ‘dii Cambise. A) due giorni di distanza incontrò un mare senz'acqua co? me lo chiamano gli ‘Arabi, vale a dire un'vallone che si dirige dal N. al S. e presenta la figura del letto d’un fiume. È ingombro sulle rive, e nel fondo di ‘sabbie e di pietre. ‘Vi sono varie isole nel centro; a una certa altezza sì vede sulle rive una traccià orizzontale la quale indica, per quanto pare; che l’acque giungevano fino a quel punto; le isole del. centro hanno la medesi- ma’traccia, e alla medesima altezza. Gli Arabi preten- dono, ‘che questo mare senz'acqua sia la continuazione del Bahr-el-belama; il quale si trova pressò i.laghi di natrone. Del resto se il secondoè un fatto importante per la geologia , anche il primo lo'è ugualmente. 011 25 maggio, tre giorni dopo la partenza da Fejum, Belzoni giunse ad un oasi, che:contiene sei villaggi ben popolati, eiana valle fertile in datteri, albicocche, fichi mandorle, e susine; v è anche. qualche vigna; è cinta d’alti dirupi; forma:una vasta:pianura, lunga da 12 a 14 miglia, e larga 6; è coltivata solanîente in parte; ma si vede che.:loèra intieramente una. volta. bio Questa. valle è sparsa dipiccoli monti 22,000] di rovi; e di piante nane; sulle cime di qualcuni:v' è una sor- I°. III. Luglio 6 83 geute.,Belzoni v'incontrò a dista ‘un; ruscello d’ acqua dolce. Il villaggio. di Zabù, è situato nella parte, più fertile del paese. Gli abitanti mostrarono, in principio disposizioni ostili. Belzoni gli, guadagnò cori, una, distri- buzione di caffè, e di tabacco . La curiosità «vinse dopo ogni ritegno; circondarono il nostro viaggiatore; come se fosse run. vivente disceso dalla luna; giacchè non ayes vano mai veduto un’ Europeo. Interrogati.jse v! era qualche \cosa. da vedere; nel. paese, (risposero.che biso, gnava andare nell’ oasi .vicina,a quattro giornate alNi O. con che)indicavano ‘sicuramente l'oasi, di |Sihua, Belzoni dimandò d’ esaminare, il paese capi. si adu- narono,, e' quando promesse di;-consegnar, tutto 1’ oro che troverebbe, aderirono alla dimanda . Le sue.sca» perte si limitarono quì a var] sepolcri tagliati nelle rupi come in Egitto j nei quali i sarcofagi erano d’ argilla cotta, e le mummieserano involte ii telé, molto meno fine dina in Egitto. Più lungi incontrò le rovine di.un vecchio edifizio di mattoni inarid iti al sole, che era una antica chiesa cristiana ; gli. mostrarono; la casa:che si era costruita il.demonio in una sola notte: è una rupe poco alta, la quale, contiene var} sepolcriidi stile! egi, ziano scavati nel masso; .masgli abitanti mon avevano mai ardito di! visitarla. Iu:altra parte della, valle trovò gli avanzi d’ un tempiogreco, vale a dire un alto muro con due pareti laterali; e nel mezzo un’arco. La sua situazione prova che ierà costruito sulle rovine d? un al- tro tempio più vasto. Non vi è nessuna iscrizione fuoni che qualche: parola: d? una;iscrizione latina nella parete laterale che: guarda;all O. Unia fonte alternativamente calda e fredda:richiamò V'attenzioneidi.Belzoni . Si sov= venne dell’ articolo: di Erodoto, in;cui ‘colloca. nell’'oasi d’Ammone una fonte che; bolle{{a;- mezza notte; ed è 83 fredda la mattina e la'sera. La fonte è un pozzo di & piedi quadri; ed ha 6 piedi di fondo. Ponendovi la ma- no nell’ acqua dopo il tramontar del sole , la trovò cal- da; a mezza notte la trovò sensibilmente più calda, e la mattina dopo presso a poco come a mezza notte. Così le stadazioni del calore di quella fonte non combina- vano colla descrizione d’ Erodoto, L° oasi in cui sì tro- vava ‘allora Belzoni è quella che A:bulfeda pone a tre giornate. di; cammino da Fej jum ;,ed in fatti anche Bel- zoni, conviene di questa distanza. Paolo Lucas ne sentì parlarecome d’un paese ricco di palme; donde» manda- vano al Gairo i datteri più: saporiti di tutto l'Egitto. Senza dubbio fa parte della piccola oasis degli antichi,' Se'si deve giudicarne dalle rovine, che vi sì trovano, e dal frammento di una iscrizione era quì la capitale della piccola oasis. In qualunque caso si deve a Belzoni la gloria di esservi penetrato primo di tutti fra gli Euro- pei; e questa sua scoperta deve ripor sì fra le più inte- ressanti, che siano state fatte nei deserti vicini all’ E- gilto. G,R.P: (Estr. dal Jour. des Savans) hi Nota del traduttore . Nel:render conto delle scoperte del Signor Belzoni sulle traccie del giornale des Savans di Parigi, abbiamo data al pubblico una prova dell’imparzialità, onde siamo animati, quando si itratta di controversie puramente nazionali . I no- stri. lettori:isi sono sicuramente avveduti, che abbiam: trat- tate coll’istesso interesse e le critiche pubblicate dai fogli Inglesi sulla relazione delsSignor Forbin ; e le giustificazio- ni riportate nei giornali Francesi «a. favore del Signor Bél- zoni. Ci disponghiamo» a ‘dare un nuovo saggio della nostra; premura ‘în! attribuire a ciascuno ciò che gli è dovuto , coll’inserire nel prossimo numero una analisi ragionata della 34 relazione del Signor Belzoni, di cui ci è pervenuta la tra- duzione francese del Signor Depping , ormai celebre nella letteratura della nazione, alla quale appartiene . Intanto per provare, che anche i Francesi rendono giu- stizia al merito delle scoperte del Sig. Belzoni, traseriviamo quì le osservazioni preliminari, colle quali il Sig. Depping ha accompagnata la sua traduzione . sì Parlo d'una parte delicata della relazione del Sig. Bel- zoni; parlo degli articoli, nei quali narra le persecuzioni, che ha ‘provate nelle sue importanti ricerche . L’ autore si è compiaciuto d’ accordarmi tutta la libertà per la ‘tradu- zione di'questi articoli. Sebbene profondamente offeso nei. sentimenti più delicati, ha acconsentito a sopprimere la viva espressione del suo dispiacere. Mi son prevalso. qualche, volta di questa condiscendenza per moderare. l’ espressioni; ma non ho creduto di doverla estendere a tutto. Un uomo; come il Sig. Belzoni , che si è illustrato con tante belle scoperte ,e tante ricerche interessanti ha diritto, a mio pa- rere, di lagnarsi di coloro , che hanno cercato d’arrestarlo nelle sue intraprese , sopratutto se si riflette che i suoi nemici non han trascurato niente per denigrare presso il pubblico non solo le sue operazioni , ma finanche il suo carattere . Rincresce, ne convengo anch'io, di sapere, che le gelo- sie nazionali degli Europei van cercando vittime perfino tra le rovine dell’ Egitto, e danno ai popoli, che chiamiamo barbari, uno spettacolo, che sicuramente è:poco adattato: a far rilevare i pregj della nostra civiltà. Ma il Sig. Belzoni, non è stato il primo a far conoscere al pubblico queste dispute singolari ; si occupava tuttora. nelle’ sue ricerche. erudite in Egitto, quando i giornali dell’ Europa si swdia- vano di screditarne il carattere e le scoperte. Gli anonimi calunniavano la ‘sua condotta, e i-dotti impiegavano la pro- pria riputazione per rapirgli. l’onore delle scoperte. Al. suo. ritorno si accinse prima di tutto ad esporre i fatti com’ e- i 85 rano accaduti, e a rovesciare l’ edifizio di calunnie, e di menzogne; che i suci nemici avevano costruito con poca pena ‘e senza rischi, quand'era lontano. Si è spiegato nella sua relazione. come un uomo offeso nella parte più cara di sè; nell’onore; ha rigettato interamente il biasimo sopra i suoi aggressori; tocca ora a costoro a' giustificarsi, se si credono innocenti. Si è voluto nascondere il motivo di queste aggressioni sotto il velo dell’amor di patria ; meschino compenso ! E quando mai i veri dotti han riguardato come un atto d’a- mor di patria il denigrare i dotti stranieri? Se le scoperte in fatto di scienze avessero bisogno d’ un attestato di nazio- nalità, come ne han bisogno i lavori delle nostre fabbriche, è probabile che l'impero della scienza resterebbe molto. li- mitato; i semi-dotti vi troverebbero forse un guadagno; ma la repubblica delle lettere e l’ umanità non deve ammettere confini politici; i suoi interessi sono i medesimi su tutti i punti del globo. Del resto il Signor Belzoni è stato di già sigg giustificato per mezzo di niille dimostrazioni onorevoli , lusinghiere dalle calunnie dei suoi accusatori. 1l irpini Fitz Clarence testimone oculare delle sue operazioni in E- gitto, dice parlando di lui nella relazione dei proprj viag- gi: ,, il Signor Belzoni possiede in grado eminente l’arte difficile di guadagnarsi l'affetto degli Arabi , e gli persuade realmente.a far tutto ciò che vuole. Propone ricerche molto straordinarie; e si può aspettare dal suo spirito ingegnoso, ehe riuscirà in tutte l’intraprese, alle quali si accinge ,, . La città di Padova, patria del Sig. Belzoni, ha fatta coniare ‘in suo onore una medaglia, sulla quale sono indicate le sue più importanti scoperte . Le antichità , che ha tratte dal sen della terra, o involate a un popolo barbaro: servi- ranno ad accrescere notabilmente uno dei primi depositi scien- tifici dell’ Europa, il museo britannico di Londra. In Francia si sarebbe voluto, che ornassero piuttosto. il museo reale 86 di Parigi, ma non è giusto che titti ì tesori siano riuniti in un punto. solo ; e d’altronde ‘i popoli son' persuasi che le collezioni d’arte per esser utili devono esser. sempre ves- poste al pubblico ; ed importa poco all’arte, che. si:possano vedere in una capitale piuttosto che in un’ altra ;' purchè siano preservate dalla distruzione , e purchè siano nisi în ogni cipg dai nazionali e dagli stranieri. ,, G. RIP. SCIENZE NATURALI Pensieri intorno ai iriralari ferioinerd pareri = tici del M. Rrporri. Pag quello che fu detto fin qui su i fluidi impon- derabili considerati dai fisici ora come non esistenti e quali semplici proprietà della materia consistenti in un moto particolare, in un atteggiamento moleculare non ancora definito di.essa , ora come sostanze d’ una singo- lar natura e distinte fra loro, non giunse fin qui ad appagare la curiosità degli investigatori delle cose natu- rali, sebbene sia il resultato delle profonde medita- zioni dei più sublimi ingegni , e delle ricerche dei più indefessi ed esatti sperimentatori. Esiste, o non esiste, come sostanza particolare, il calorico? Ecco la gran questione che fino ai tempi d’ Herschell stava pendente fra ifisicii più distinti: nè le sue belle scoperte tolsero affatto ogni dubbio, ma l’ opinione che il calorico esi- stesse come materia prevalse. sull’ altra, e quella adot- tarono dei sommi filosofi . Il calorico è egli un fluido ben distinto dalla luce, o questi due.corpi son’ eglino costi» tuiti da una sola sostanza modificata diversamente? 87 Ecco una seconda questione non meno della primà im- portante, e intorno alla quale non v' ha, ch'io sappia, chi sia giunto a persuaderci del vero. Gli sperimenti ci mostrano fra questi !due grandi agenti della natura una maravigliosa analogia; ma 1’ analogia non persuade mai i fisici dell’ identità . Il: sole, la combustione; lo sfrega- mento, la percussione sono sorgenti comuni ;del calore e della luce. Quello e questa sono trasmessi in raggi da un corpo all’ altro colla massima celerità . Questi raggi son ‘capaci di refrazione e di reflessione, ed in tali feno- meni seguono leggi comuni; le molecule della luce e del calore non solo pare che non abbian: coerenza tra loro; ma anziche esista fra esse una forza; la quale tenta sempre: d' allontanarle. Il'calorico e la luce accumulati su i corpi non ne aumentano in modo sensibile al peso; pure a fronte di tanta fisica analogìa!, le proprietà chi- miche dell'uno di questi fluidi non si rassomigliano troppo con quelle dell’altro; l’azione che essi eserci. tano sui corpì organizzati è ben distinta; e due sensi ben diversi furoh dati agli animali per trar separatamente pro- fitto e:dalcalore e dalla luce .L’elettrico è egli un fluido ben distinto dal calorico? si può egli considerare come una modificazione di lui; e di più riguardarlo come” analogo strettamente alla luce? Ecco un terzo problema indeciso tutt'ora. Sappiamo solo intorno a sl bell’ argo- mento; chel’ un corpo e l’altro tendono ali’ equilibrio, che insinùati nella ‘materia ‘me ‘dilatano le molecule diminuendone la coesione; che ambidue fondono i me- talli; accendono le materie infiammabili , e giungono | perfino a supplirsi senza differenza mabifesta in certi ‘casi, come nel favorire lo sviluppo dell’ uova , dei semi ec. (1). Ma come porre d’ acéordo la tensione elettrica collatensione del calore (per parlare il linguaggio del 88 n celebre P. Pictet ) come i fenomeni, che da essa deri@ vano? L’ elettrico è egli un fluido distinto. dai. magne- Lico, o sono elleno queste sostanze identiche fra di loro, e semplici modificazioni l’ una dell'altra? In oltre esi- stono due specie distinte d’ elettricità o un sol fluido ‘mentisce due apparenze, secondo. il, diverso stato; nel ‘quale si.trova combinato o accumulato nei corpi? Ecco due questioni di data più moderna delle altre anche mella loro origine, ed avvivate oggi sommamente, dai fatti recentemente scoperti. Ecco il campo ove ora tutti 1 fisici lavorano, mietono; e quasi estatici dell’ ubertosa raccolta, lasciano talora che la propria immaginazione spazj nel nare delle ipoiesi. Ultimo fra i cultori di quel suolo fecondo, men di tutti ho raccolto, ma gio- vandomi de’ sudori altrui ho anch'io partecipato all’ e- stasi, e tanto candido quanto modesto, vengo ad esporre ‘la mia visione. Nelli studj naturali tutti cercano il vero; ove manchino prove dirette, tutti me cercano per ‘vie più o meno. tortuose; se queste vie sì riguardano come la materiale espressione delle forze dell’ ingegno umano, non sono da dispregiarsi anche quelle:che sem- brano oblique, purchè mirino a un punto comune. La verità sarà forse tratta dal suo nascondiglio, e la vedre- mo un giorno brillare per la resultante delle forze im- piegate. E prima: d’ inoltrarmi nel periglioso pelago, io credo che mi sia necessario di contemplarne le sponde, e di assegnar un termine al mio viaggio. 1 fisici cono- scevano generalmente quattro fluidi imponderabili, ca- lorico, lucico, elettrico; e magnetico; il gravifico visè aggiunto come quinto da pochi. Di lui non farò qui caso alcuno: egli mi porterebbe alla discussione dell’ e- sistenza, o non ‘esistenza ‘della forza d’attrazione, edelle leggi che ne dipendono , argomento che non intendo, 89 ma che rispetto non sapendo far meglio, e non trovan- «do vantaggio a seguir in sua. vece altre dottrine inge- gnose , a dir vero, ma egualmente prive di dimostra- zione (2). Oggi i fluidi imponderabili, al dir dei più, ‘son tre calorico, lucico, ed elettrico, considerando essi come dimostrata l’ identità del magnetico col terzo dei mominati. Io nella mia visione pure tre ne contai, calo- ‘rico; lucico, e magnetico, e mi parve veder l' elettrico ‘nella folla dei tanti corpi composti, dai quali però sa- ‘peva distinguersi per le brillanti sue proprietà (3). «Egli è ricevuto in fisica come innegabil principio, che -due corpi in differente stato d’elettrizzazione, se vengono ravvicinati fra loro, finchè mediante la scarica che suc- ‘cede sia distrutto l’ eccitamento elettrico nel quale trovavansi , abbia luogo costantemente uno sviluppo. ‘considerabile di calorico. Questo fenomeno mi è sem- pre parso un’ ostacolo di gran momento contro la dot- trina Frankliniana, tanto illustrata dal celebre Volta, ‘secondo la quale non si dee considerare l'elettricità ne- gativa come una sostanza szZ gezzeris, ma solo come la sottrazione d’ una dose di quell’ elettrico che un cor- po contiene nello stato di neutralità. Ed in fate da che si è manifestamente veduto per qual via corre ]’ e- lettrico su i conduttori, ed in quali punti a preferenza d’ altri s° accumula sui corpi dotati di capacità per lui, non poteasi ragionevolmente attribuire lo sviluppo del calore a un’ azione meccanica esercitata dalle particelle ‘dell’elettrico sulle molecule dei conduttori. Seil torrente elettrico, dotato come ognun sa d'una celerità incalcola- bile, penetrasse i corpi pei quali si dirige; se prescegliesse nel suo cammino l’angusto sentiero, che offrirgli potreb- be il' minimo spazio che separa gli atomi costituenti del- la materia, i fisici troverebbero nell’attritò la soluzione 9 del fenomeno, almeno finchè non fosse meglio nota la causa singolarissima dello sviluppo di calore per sem- plice sfregamento (4). Ma dacchè si sà che il fluido elet- trico corre sulla superficie dei corpi; lacchè è dimostra- to che si accumula pure sulla loro superficie, l’altra supposizione non può ammettersi, ed essa insieme con tutte le altre dottrine, che fanno dell’ elettricità negativa una sostanza passiva, non spiegano adequata- mente il fenomeno di cui ci occupiamo . Quei fisici poi che considerano la positiva e negativa elettricità come fluidi distinti fra loro o per natura propria, o per qual- che causa modificatrice, lo che è meno probabile; dan- no tosto ragione del fatto. Le due elettricità, diconsessi, che separatamente producono gli effetti elettrici posi- tivamente detti, si combinano, e da tal’ unione risulta il calorico che viene in scena quando i fenomeni elet- trici cessano: che cresce in ragione della massa di elet- trico che si combina, e che come tale sparisce. Jo mi era già dichiarato di questo partito, con quelle modifi- cazioni però delle quali dirò fra poco, quando venni in cognizione di due lavori, che posero alla mia con- vinzione il suo colmo. Il sig. Moll fece passare una forte scarica elettrica prodotta da una batteria di bocce di Leyda ia traverso d’ una sottil foglia di stagno ben tesa. Egli vide con sorpresa comparire nel luogo colpito dalla scintilla due fori ben distinti, il contorno dei quali trovavasi rove- sciato in senso contrario, come avvenuto sarebbe se si fossero fatti con due aghi mossi l’ un contro l’ altro; e paralleli tra loro. I sig. Moll ci prevenne inoltre che ‘nei casi, ove i ripetitori del suò sperimento avessero impiegate o scariche elettriche troppo deboli, o foglie metalliche troppo grosse, avrebbero potuto chiara- gra, mente vedere non'due fori, ma due inipronte contrarie fatte nella foglia al luogo del passaggio della scintilla. A me:così avvenne di. fatto, non avendo impiegato all’ esperimento che una mediocre batteria elettrica , ma son riuscito con questa medesima a produrre i due favi ben distinti in altre lamine non metalliche, come per esempio nella» carta ben secca ec. V erano altri fatti già conosciuti di qualche analogia con l’attuale, ma nessuno , ch’ io sappia , era sì parlante in favore dell’ esistenza di due elettricità ben distinte, accumu- late sulle due facce della batteria di Leyda . La somma tensione elettrica di quell’ apparato è favorevole alla dimostrazione di questo fatto, che difficil sarebbe ad ottenersi da un elettro-motore, poichè come osservai da me stesso; se egli è debole non s° ottiene scarica a di- stanza; e se egli è forte.in modo da. produrla , allora il torrente elettrico è sì gonfio che porta seco, fonde, o abbrucia una sì gran quantità del diaframma interposto tra i due poli Voltaici da non rimaner traccia della di- rezione delle correnti. Il sig. Hare trovando .sproporzionati gli effetti ca- lorifici dun elettro-motore con quelli d' una macchina elettrica ‘ordinaria, avuto il debito riguardo e alla diversa quantità d’ elettrico somministrato dai due stromenti, e fatto conto parimente della diversa fersiore che l’elettri- co possiede nell’uno e nell’altro caso, si credè in istato di dedurre che il fluido svolto dall’ elettro-motore non è perfettamente identico a quello della macchina elettrica, riguardando egli il primo come una combinazione di e- lettrico e di calorico, il secondo come elettrico puro (5). Diverse esperienze interessanti ha egli addotte in appog- gio del suo ragionamento, ma l’ elettrico stesso che egli riguarda per puro potendo, come ognun sà, mostrare 82 dei fenomeni calorifici, nasce il dubbio ragionevole che entrambi i fluidi sian composti, che il lifitict sia uno dei componenti, e che le differenze, che esistono fra i fenomeni che si ottengono dalla più e dalla macchina, siano dovute alla varia indole degli strumenti medesimi. Il sig. Oersted sagacemente sperimentando l’ azione che aver potea un filo metailico, che congiungesse i poli d’ un forte elettro-motore su d’un ago magnetizzato, vi- de alcuni fenomeni che. altri fisici , se hanno il pregio d’ aver prima accennato, come è fuor di dubbio, hanno pure il torto di non aver saputo apprezzare e studiare quanto meritavano (6). Trovò il sig. Oersted che l' at- mosfera di un filo congiuntivo posto nella direzione del meridiano magnetico facea declinare di circa gradi6o. un ago dalla sua vera direzione, e che questa declina- zione accadeva or verso l’ovest, or verso l’ est, secondo che l’ ago stesso sopra o sotto al filo congiuntivo trova- vasi. Vide in seguito il sig. Arago che dando al filo congiuntivo dei poli voltaici una figura eliciforme, que- sto magnetizzava un ago che si trovasse rinchiuso nel- l’elice istessa, e vide di più che poteva indurre a pia- cere il polo nord, o il suo contrario nella punta pre- scelta dell’ ago col solo piegare il filo congiuntivo in modo da fargli costituire un’ elice, le di cui spire andas- sero da destra a sinistra, o da sinistra a destra. E sic- come la deviazione dog aghi magnetici è cagiona- ta “da una causa FATERARORIR: mentre la magnetizza- zione degli aghi nelle elici lo è da una causa bbaliv; is- tantanea purchè sufficente, così questa e non quella do- vea riuscire impiegando in vece dell’elettro-motore una boccia di Leyda. Ma siccome Van-Marum aveva detto da molto tempo che un ago, il quale si trovasse investi- to dalla scintilla d’ una batteria elettrica in modo che 93 la sua metà vi fosse impegnata, e le altre. sue parti facessero angoli retti colla scintilla medesima, usciva dall’ esperimento fortemente magnetizzato; era maturale che dovesse accader lo stesso, allorchè fosse egualmente situato respettivamente ad. un filo metallico; lungo la superficie del quale passasse il torrente elettrico della batteria Leydiana, o della pila di Volta. Davy infatti trovò esser ciò vero, e non «giunse a questo resultato dietro l’ esperimento di Van-Marum, per quanto sem- bra, ma in conseguenza dell’ osservazione che pell’elice il filo trovavasi ad angoli quasi retti coll’ ago; onde do- vean prodursi eguali effetti, salva però l'intensità, di essi, coll’ altra disposizione accennata (7). Dall’ insieme di tutte queste cose credi. di rilevare che si potesse stabilire, che due specie d’ elettricità essenzialmente distinte esistevano, e che ovunque s'incontrassero, esse mostrassero chiaraniente d’ esser composte, emettendo calorico e magnetico senza lasciare altra traccia della loro passata: esistenzaî; onde: qui, chiaro apparisce che mentre alcuni considerano l’ elettrico come, ‘una, delle sorgenti del calore, ed il magnetico come identico a lui di natura sotto forme diverse; io. penso chel’ elettrico altro rion sia che una combinazione chimica. del ima- gnetico e del calorico, e. che frattinto esistano due spe- cie d’ elettrico similissime tra di.loro, ma pur distinte , inquanto che esistono due fluidi magrietici, l’ australe ed il boreale. Quindi è che le due elettricità, incon- trandosi, non'‘già'si combinino e si neutralizzino, come sì è pena da molti, ma si decompongano, e si risol- vano ne "loro principj costituenti (8). Nè mi sgomen- terò se non potrò Egna con certezza la causa .che determina la scomposizione! delle due elettricità, come altri non si sgomentò, se non; potè dire perchè si, com. . of binassero; o perchè un corpo si. elettrizzasse in più a' spese d'un altro, che avea semplicemente toccato , e lasciato per questo ‘in ‘difetto d’elettrico; e mi sarà, di scusa il detto:d’un gran filosofo che.’ osservazione, e qualche volta il caso, scuoprono i fenomeni z.il,meto- do sperimentale li sviluppa, e determina le loroileggi. fisiche, ma l'ultimo mistero delle forze elementari che Wi producono, non può esser messo in evidenza che dalla forza dell’ i ingegno i L’afia ben secca è un corpo coibente dell elettri- co, come ognun sa; è se ‘ci è date di far correre questo fluido sulla superficie dei corpi , è ad essa che lo dob- biamo. Un conduttore ‘isolato eda essa circondato si carica d’ elettricità ma non potendo trasmetterla ai punti più-lontani, non riscontriamo in esso che tenuis- sima corrente cagionata solo da una piccola dispersione . che si fa d’ elettrico per difetto degli isolatori. Un con- duttore in tale stato non dà aleun segno magnetico; nemmen di quelli che inonda cotrente veloce dipendo: io, ma solo da quantità sufficiente d’ elettrico» Se a |, questo conduttore s' adatta un filo metallico. in modo Che' la sua ’‘estremità opposta a. quella che parte dal conduttore ‘8’ impegni in una campana vuotata dî arid; il meglio possibile, allora avremo stabilita una corrente nel filo, che non produrrà però alcun fenomeno ma- gnetico; e qui'si ricordi che ve ne hanno tra questi.al- cuni che unicamente dipendono da corrente. Orà giova notare ‘che in tali esperimenti non avremo: giammai sviluppo sensibile di calore, quando si abbia cura d’im, pedir l’effetto del calore raggiante che da corpi circon- vicini potesse emanare, giacchè sappiamo; per le belle sperienze del celebre. P. Pictet che l’ elettrico può in certi casi, e massimamente ‘in quello di cui. parliamo; 95 aumentare d’assai |’ effetto termometrico dei raggi ca- lorifici. Se al. contrario il filo metallico , che prolunga il:conduttore elettrico, vien posto in comunicazione col suolo, allora si mostrano effetti magnetici e calorifici. insieme ; poichè se quel filo venga piegato in elice in qualche sua parte} magnetizza gli aghi d’ acciajo, e se comunica coll’ interno d’ un uovo fecondato lo vediamo schiudersi a tempo:debito come: se avesse provata una conveniente temperatura artificiale..Se due conduttori vicini fra loro) e deferenti l'uno elettricità vitrea u po- sitiva; l’altro resinosa o negativa. sian falti comunicar tra loro:con;un'filo metallico; noi vedremo pròdur da questò i fenomeni surriferiti; e gli vedremo cessare to- sto che l’uno:dei due: conduttori cessi di portare elet: tricità' dissimile. Egli è chiaro frattanto che nei casi da nor accennati fin) qui, e nei quali si riscontrano feno- meni magnetici; mon solo possiamo‘avere effetti calori> fici, lenti, e-appena sensibili, dell’ esistenza! dei quali si debba esser certi per fisiologici resultati, che puringan» nevoli \esser.potrebbero, ma;ci è dato ancora di produr- ne dei termometrici:e brillantissimi, poichè interrom- pendo.di pocola continuità del filo:metallico, vedremo là comparire una serie. rapidissima di scintille che ae- cenderanno i corpi combustibili col portarne la tempée- ratura iniziale a quel grado chesilrichiede per determi- marne là combustione. Nè! dee :far maraviglia se im prossimità, 0.1n mezzo alle:scintille stessersi accrescono gli effetti magnetici; poichè facile è rilevare che l’elet- >» trico trovasi come:condensato «in queste esperienze, e che in ogni scintilla è ristretta quella dose d’elettricità; che:dianzi era! stesa su parecchi pollici quadrati di superficie Già da quanto ho detto fin qui si rileva che riguardo gli effetti. calorifici dell’eletttico, come cagio> | 96 mati dalla combinazione delle due ‘elettricità vitrea e resinosa, e gli. effetti magnetici ‘come dovuti ‘alla de- composizione della stessa elettricità . Cerchiamo ‘adesso di convalidare questo principio. Era:già notò! che non tutti i metalli conducono egualmente bene l’elettrico; ed . era noto parimente che non tutti conducono egualrnente il calorico. Erasi anzi osservato. alla pila di Children con ogni-precisione, che quei metalli.che peggio: condu- con l’ elettrico, quelli sono: che più ne risentono gli ef+ fetti calorifici; era allora facile rilevare che questi me- talli medesimi erano i.meno buoni conduttori del calore; e si sarebbe potuto ; arguire che da questa ultima. .pro- prietà dipendevano. i fenomeni chesi osservanb. In aps poggio di questo ragionamefito vien l’ altro fatto; che pessimi conduttori del calorico son pessimi conduttori: dell’ elettrico, e non giungono a divenir più idonei a condurlo , se non sono modificati in modo' da divenire ancora migliori conduttori del calorico; così il vetro; il carbone; l’ aria, l’acqua ec. non conducono nè il:calo@ rico; nè l’elettrico se non sono prima riscaldati alquanto: Di più vi sono molte esperienze che provano che il ris caldamento dei corpi facilita il moto:dell’ elettrico, e; l’elettrizzazione rende più facile il. corso «al. calorico! Ora: dietro queste considerazioni credei che ;quei con duttori, i quali rendono'la corrente elettricai meno veloce sarebbero stati quelli appunto ove i fenome= ni elettro-magnetici si sarebbero resi più chiari, cox me quelli che danno ‘all’ elettrico occasione di detom= porsi in minore spazio; e l'esperimento appoggia felice- mente la mia presunzione , avendo: l’ argento , metallo riconosciuto da Children come il: miglior conduttore dell’elettrico, e da Ingenohusz come ottimo'conduttore. del calorico, dati i minori‘effetti magnetici, ed.il platino 4 97 per lo contrario i maggiori, mentre il rame occupò ‘un | posto intermedio , com’ era da prevedersi col. ragiona mento. { RESULTATI MEDJ DI CINQUE-:ESPERIMENTI Fili -roètallici deldia- | Lurighezza dei fili in- | Distanza cui ‘un ago metro d'un decimo di | fuocati dalla corrente | Magnetico s1 mostro, linea. elettrica. sensibile all’azione del’ j filo. EEE, rire Pollici | Linee Pollici Linee Argento 3 5 $ 2 Ramo 4 Il II| | Platino 6 | 1993 15 I N. B. L’ ago magnetico era reso indipendente dal magnetismo terrestre. Avvertano i ripetitori di questa esperienza che il diverso grado di tensione che l’ elettri- co acquista negli elettromotori , secondo che son’ essi : composti di molti o pochi elementi di grande’ o' piccola superficie, molto influisce su i resultati. Una bassa tensio - ne è quella da prescegliersi in tali ricerche. Le attuali sono state fatte con un elettromotore di quattro elementi formanti in tutti una superficie di 11,000 pollici qua- drati. Il conduttore umido era composto di 580. acqua, 0;10. acido nitrico, 0;10. acido solforico . «Frattanto una considerazione secondaria nasce nella mente di chiunque siasi occupato di consimili ricerche, all’ occasione di vedersi produrre, l' infuocamento. nei. fili congiuntivi dei poli Voltiani, e più acquista inte- T°. III. Luglio 7 98 resse: presso quelli che han fatta qaalche indagme' di, calorimetria elettrica. In generale il calore allorchè pe- netra i solidi sembra muoversi da molecula a molecula;; ed impiega un tempo più o meno lungo a percorrere un certo spazio , tempo proporzionato sempre alla con- ducibilità che incontra nel corpo, su cui imprende a trascorrere. Ma allorchè il riscaldamento del. corpo stesso vien prodotto dall’ elettrico, il calore. non segue più nella sua progressione la legge medesima, mà istan- taneamente, e quasi colla celerità del lampo invade la massa del corpo stesso. Ritenendo pertanto che l’ elet- trico scorra sulla superficie de’ corpi il P. Pictet.istituì un’ interessante esperienza, che sparse non poca luce sulla subiettà'materia. Egli fece passare il filo congiun. . tivo dei poli Voltaici per una rotella di carbone, pro- curando di dare la maggior perfezione possibile ai con- tatti delle superficie carbone e metalloche si toccavano; supponendo giustamente che se il calorico correva sulla superficie del filo, come l’elettrico, sarebbe giunto a intercettarne una porzione, non così ;se procedesse, da molecula a molecula, L’ esperienza decise in favore della prima supposizione, poichè il filo senza rotella di carbone scaldava in un tempo dato una certa quantità d’acqua fino a 29 gradi, mentre a circostanze tutte pa- ri, ma coll’aggiunta della rotella l’acqua concepiva,s0- li 18. gradi di calore. Segue un’intercettazione di. ca- lore anche più forte, se due rotelle di carbone si ponga- no una presso al polo zinco , 1 altra al polo rame; e adoprandone una sola, più considerabile quantità di calore si toglie, allorchè questa trovasi dal lato del ‘po- lo zinco; «ti del polo rame . Io ho di più veduto che la iafiirotiza prodotta da due rotelle di carbone in luo- go d’una, non può attribuirsi in modo alcuno alla loro RESI 99 massa ; ma precisamente alla loro situazione, poichè riu- nite insieme dall’ uno, o dall’altro polovedevasi aumen- tarne il calorico; ed ecco una nuova prova che la sorgen- te':di esso è doppia ed opposta. Questi fatti mostrano che il calorico si appiglia ai corpi di mano in mano che l’ elettrico si decompone; e in conseguenza dalla super- ficie d’ un filo che sola è tutta investita da principio, si propaga pui al centro lentamente di molecula in mo- lecala , come all’ ordinario . Questa ricerca lasciava tm vuoto, ch'io cercai di riempire. Allorchè col carbone, 0 con altri cattivi conduttori del calore s° intercetta una porzione del calorico che corre sul filo congiuntivo, co- sa segue della parte intercettata di calorico? Si accumu- la sulla porzione di filo compresa fra il polo Voltaico e la rotella! Nò certamente. Vien' ‘ella: assorbita dal car- bone? Neppure. Gli effetti masnetici sonessi eguali ina torno ad ‘un filo se mplice e guarnito di rotella? Nò; so- no minori. Gli effetti elettrici son’ essi pure diminuiti? Sì certamente ; ed una rana si scuote posta in comu- nicazione coi poli della pila, il che mostra esservi accumulata una dose d’ elettrico , che non si scarica che .a stento: Dunque il carbone impedisce’ all’ elettrico di correre con ogni facilità, e riduce il filo metallico un medivere conduttore di lui; la sua azione non si limita dunque a intercettare il calorico, ma bensi l’ elettrico stesso, e quindi sì spiega come diminuiscano i fenomeni calorifici , e magnetici. Il miglior, modo di riuscire in queste ricerche si è d’ adoprar fili impegnati a più ri- prese e di tratto in tratto in anelli di. vetro fatti con pic- cole porzioni di tubi della stessa materia, di pareti assai grosse; e fusi a lucerna sul filo stesso, onde il ve- tro acquisti col metallo un’ aderenza peltferta , e serven- dosi di elettromotori non tanto gagliardi'; è di fili. molto 100 sottili. Da questi fatti mi pare che si debba conclude. re 1°. che tanto il calorico quanto l’ elettrico sono veri fluidi materiali, e non già semplici forze , poichè nei casì citati il carbone s’ oppone solo materialmente al loro corso: 2°. Che il magnetico è quello che dà al- l'elettrico la celerità, ed il calorico quello che ne de- termina il corso pei solitari; e lo tiene in stato di combinazione coi corpi, combinazione che può esser neutra in tutti, eccitata in quei soli, che hanno molta capacità per il calorico ;. 3°. Che dovendosi alla decom» posizione delle due elettricità vitrea e resinosa i feno- meni suddetti, che nella loro manifestazione seguono leggi costanti, pur la decomposizione della elettricità dee forni con legge invariabile; ed è su questo argomento, che giova ora di ragionare . i » Abbiamgià veduto che l’ elettrico ed il calorico dal to da esso corrono sulla superficie dei corpi ; ho de’ fatti per credere che il magnetico pur esso corra sulla su- perficie di loro; ma il moto di questi fluidi quale stra- da segna sulla superficie che invade? O. per meglio esprimere il pensiero , questi tre fluidi imponderabili, come si muovono sui fili congiuntivi dei poli Voltaici? Il Sig. Oersted credè che la corrente elettrica avesse un moto vorticoso, e formasse una spirale della quale il filo metallico congiuntivo dovea considerarsi. come l’asse. Quest’ opinione che parea sostenuta da dei fat- ti, quali. erano le opposte deviazioni dell’ ago magneti- co, secondo che veniva posto sopra o sotto al filo con- giuntivo medesimo, venne abbracciata da molti fisici , e tenuta per vera; vi furono perfino istituiti sopra dei cal- coli, onde riconoscere la forza che determinava il mo- to suddetto nella corrente. Esplorando io però con un ago magnetizzato lo stato del filo congiuntivo in ogni pun- II to della sua periferia e non di soli fili metallici ser- vendomi;, ma di lamine ancora e di solidi di varia fi- gura non era persuaso punto della detta teoria , poi- chè mi pareva di rinvenire dei punti, ove l’azione del filo era nulla, lo che accader non potrebbe giam=/ mai , se si trovasse rinchiuso in un’ elice. Infatti se si supponga il filo congiuntivo orizzon- talmente situato , e nella direzione del meridiano ma- gnetico , o.in qualunque altra, purchè allora 1’ ago sia tolto dall’ influenza terrestre , noi troveremo che a de- stra ed a sinistra di lui, in un piano che taglia il filo in due parti eguali, l’ago non risente influenza alcuna , ed è immediatamente sotto 0 sopra a questo piano che egli comincia a declinare per l'una o l’altra parte, conforme è noto; parimente le declinazioni sono mas- sime ; allorchè l’ ago trovasi sopra o sotto il filo in modo che una linea condotta da queste due stazioni tagli il detto piano ad angoli retti, passando essa pure pel centro del filo. ( Fig. 1. ) Sembra da ciò che il filo metallico sia come l’ asse d'un cilindro magnetico for- mato, per così dire, dalla riunione di due semicili ndri costituiti ciascuno da una corrente che si muove in sen- so contrario, e che va da un polo all’ altro dell’ elettro- motore . Berzelius ha trovato di più che là dove la cor- rente emerge dal polo Voltaico, gli effetti magnetici so- no i più deboli, e che questi van sempre crescendo nel- l'avvicinarsi all’altro polo, ove quella corrente s' insinua o termina, lo che non sappiamo. ( fig. 2. ) Questo fat- to s’ intende benissimo come accada dietro i miei prin-, cipj che apportano un ulteriore schiarimento a quanto ne dicono quei fisici, che ammettono già l’esistenza dei due fluidi elettrici. Infatti se si considera il carito co- me un fluido che combinato al magnetico ne inceppa , 1o2 come dissi , la corrente , ‘egli è chiaro che là ove. (la de- composizione dell’ elettrico è totale, sia il punto ove il magnetico compatiscé più energico e dotato di tutte le sue proprietà. Ciò serve a spiegare l’ altro fatto osserva» to da Berzelius ponendo una lama quadrata metallica fra i poli voltaici in modo che serva di filo congiuuti- vo; se si dirigano le correnti per una delle diagonali, i fenomeni magnetici più forti si osservano agli altri an: goli del. quadrato.,.( fig. 3. ) Il P. Configliacchi da molie sue belle e delicate esperienze sembra concluder lo stesso quanto all’ andamento delle correnti ; ed il filo congiuntivo parni che debba considerarsi come |’ asse d’una sbarra magnetica della forma d'un parallelepipedo compresso , che avesse polarizzate le sus faccie più lun» ghe e più strette in modo , che, se fosse mobile, volges- se le sue più piccole facce all’ est, ed all’ovest. Ciò detto, tutti vedranno che il mio Biala di pensare si ac- a con tutti i resultati pubblicati ‘dal P. Configliac- chi, non così le spiegazioni di essi, poichè egli suppo- ne il magnetico null’ altro essere che elettrico privo di tensione, o se non privo affatto, almeno con tensione infinitesima (9). Io lo considero come quell’ elemento dell’ elettrico che lo rende capace di tensione. Io spiego facilmente tutti gli effetti a distanza che un corpo ma- gnetico produce, e non vedo come nell’ ipotesi del P. Configliaechi sì sciolgano questi problemi. Ma ritor- nando all'andamento delle correnti, mi pare che quel- lo qui sopra assegnato sì accordi con tutti i fenomeni osservati fin quì. Esaminiamo i più singolari e fonda- mentali ad un tempo. Un ago si magnetizza transver- salmente al filo congiuntivo ? Si certo ; egli è per metà impegnato in una corrente di fluido bal Sale; e per me. tà in una seconda di fluido australe; egli e Pf co- ai . . 193 me sfregato contemporaneaniente alle estremità d’una calamita armata. Due elettromoiori situati entrambi coì poli dello stesso nome da un medesimo lato , è prov- visti entrambi del loro proprio filo congiuntivo son di- sposti in modo ( fig. 4:) che i fili congiuntivi si trovi- no paralleli fra loro e molto vicini ; essì si attraggono ; se i poli.sonòo in direzione contraria ( fig. 5 ) sì rispin- gono. Tutto ciò è chiaro, considerando che nel primo caso le due correnti; che sì trovano in prossimità l’uda dell’ altra corrispondono ai poli di contrario nome, 0 amici di due aghi magnetici , e sono il prodotto di due dissimili elettricità, che prima di scomporsi ancora at- traevansi; nel secondo corrispondono ai poli d’ un medesimo nome o nemici di due aghi magnetici , e sono, il prodotto di due simili elettricità che sempre si ri- spinsero fra di loro . Mi pareva interessante di determi- nare quale delle due elettricità inducesse il polo nord degli aghi, e quale il polo sud, e credei che magnetiz- zando un ago con una scarica elettrica che passasse per un filo metallico, col quale l’ ago si trovasse ad angoli retti, e al tempo stesso osservando la direzione delle correnti col processo del Sig. Moll si sarebbe tolto ogni dubbio su questa materia. ( fig. G. ) Ripetei quattro volte l’ esperimento, e trovai che la corrente vitrea era passata per la parte inferiore del filo, e la resinosa per la parte superiore , e frattanto la prima avea nell’ago determinato il pelo sud, la seconda il di lui contrario . Ecco mostrato come si muove l’elettrico sul filo con- giuntivo durante la sua scomposizione; già si vidde come si muove il calorico appena abbandonato dal magnetico; resta ora. a parlare del magnetico considerato isolata- mente. Dissi che l’ elettrico dovea al maguetico la sua cele- 104 rità, Per render ragionevole quest’ asserzione, bisognava esibire un esperimento, che mostrasse la. velocità: del nioto delimagnetico . Il P. Gazzeri vide che una lama di ferro dolce interposta fra una calamita ed un ‘ago magnetico sensibilissimo toglieva ogni effetto dell’ una sull’ altra ; e credè da questo fatto di poter considerare il ferro come un corpo coibente del magnetico. Di più avendo veduto che un. atomo di ferro interposto fra i poli omologhi di due aghi facea sparire ogni idea di re- pulsione tra loro, e che una calamita capace di soste» nere libbre 10 di ferro in una sola massa, ricusa dopo esser caricata d’una lama di ferro dolce di minimo pe». so d’attrarre e sostenere un atomo di ferro di più; credè completa la dimostrazione della facoltà coibente del ferro rispetto al magnetico (10). Frattanto dirò che giovandomi delle pregevolissime osservazioni del Prof. Gazzeri, vidi che una calamita armata dava manifesti segni d’ azione sopra un lungo ma leggiero ago magne- tico dalla distanza di 10 piedi; Interposi fra lago e la calàmita una lama di ferro dolce, e l’ago ritornò alla sua prima posizione; ed avvicinato alla lama suddetta non deviò finchè non fu sì vicino da risentire l’azione del semplice ferro. Riportato a 10 piedi di distanza, e fatto cadere con semplice artifizio il diaframma di ferro; la scambievole azione tra l’ ago e la calamita sì fece manifesta all’ istante, e quest’ istesso sperinìento ripe- petuto con quattro aghi situati agli angoli d’ un qua- drato, nell’intersezione delle di cui diagonali lunghe ben 20. piedi trovavasi una calamita chiusa in una scatola di ferro vergine , dette uniforme risultamento . Ma cosa ‘segue del magnetico emanato da un punto, e che come raggiante traversa tanti corpi affatto indif- ferenti, almeno in apparenza per lui, e non ci dà 105 segno alcuno di sua presenza, rimosso che sia il nucleo, per così dire, dal quale emanava ? Accade di lui quel che vediamo della luce. Ma non siè egli già ricono- sciuta la facoltà magnetizzante della luce complessa , e non si è egli perfino determinato in quale de’ suoi raggi risieda eminentemente questa proprietà? (11). Ma ter- mine impongo ormai alla presente memoria , deside- rando di non allontanarmi troppo dallo scopo unico che m’era prefisso, di tentar cioè di provare che Y’ elettrico consta di magnetico e di calorico . (12) Le scienze tutte , dice il P. Configliacchi, hanno la loro storia ed i loro romanzi; col trattenersi più a lungo su questi principj ancor troppo ipotetici non altro for- se si otterrebbe che accrescere il numero dei tanti ro- manzi della Fisica . Note alla Memoria è (1) Il Sig. Achard ba provato che una corrente elettrica serve a fare schiudere le ova al pari d’una temperatura arti- ficiale e ben sostenuta di quaranta centigradi. (2) Il Sig. P. Gazzeri pubblicò, non ha guari, una sua me- moria intitolata ,, Pensieri intorno alle cause dei principali fe- nomeni naturali, e specialmente dell’attrazione ec. ,,. Questo lavoro che porta l’ impronta della dottrina e sagacità del suo autore , non mancherà di richiamare l’attenzione dei fisici su d’una tanto importante materia. (3) Fu già opinione di molti filosofi, come accennai, che la luce ed ìl calorico non costituissero due corpi di diversa na» tura, ma che come una sola materia variamente modificata s'a- vessero a riguardare . A me pare che non mancherebbero argo- menti da aggiungere in favore di questa teoria, e trovo anzi che non dei soli ragionamenti, ma dei nuovi fatti ancora si sono scoperti che addur si potrebbero iu di lei valido appoggio : pure io nol farò che in altra occasione , se pur non sarò prevenuto 106 da altri, bastandomi d’'accermarne per ora il pensiero , e lascianda che i fisici traveggano gran parte di ciò che vorrei dire in quello che dirò dell’elettrico, pago solo che si sappia fin d’ora che a due soli credo che debbano) e possan ridursi i fluidi seinplici imponderabili , calorico, cioè , e magnetico . I fit s a (4) IL calorico che si tania per sfregamento, non di pende nè da aumento di densità, nè da una alterazione del ‘ca- lorico specifico delle sostanze impiegate nell’ esperimento , né dalla decomposizione dell’atmosfera. Noi non concluderemo per questo come il conte di Rumford che il calorico non esiste come sostanza, ma che è possibile che l'elettricità contribuisca molto al riscaldamento dei corpi, e che la sua azione intervenga per molto nello sviluppo del calore per sfregamento. 7'hRomson. (5) Aceordando, che l'elettricità differisca dal calorico, non è egli probabile che ne contenga come tutti gli altri CORRI È Thonison < (6) I Sigg. Mojon e Romagnosi distinti fisici Italiani. (7) Quando il filo congiuntivo è piegato in una spirale al lungata la forza emanata da ciascun punto di lui essendo sem- pre diretta trasversalmente alla sua lunghezza diviene in ciascun elemento della spirale perpendicolare al piano degli anelli, per conseguenza parallela alla lunghezza della spirale medesima . Di più a cagione del moto slice me della forza, tutti i punti in- terni dei diversi anelli esercitano dentro la pira delle forze eguali o dirette nel medesimo senso, mentre nella loro azione esterna le forze emanate dai diversi punti di ciascun anello ; si combattono, e s’ indeboliscono rapidamente a cagione dell’ obli- quità. Così la resultante di tutte queste azioni dee esser molto» più energica nell’interno della spirale di quello che al di fuori , come accade di fatto. Biot. Ho riportato quanto il Sig. Biot dice dei fili eliciformî, af- finchè vedasi quanto sia più semplice la spiegazione ch'io do delle proprietà loro. Operandosi la scarica d’una bottiglia di Leida (fig.7.) per il filo A.B.si stabilisce una corrente vitrea nell’interno dell’arco, che costituisce il polo S. nell’ ago, e nell’ esterno dell’ arco una corrente di elettricità resinosa che fissa nell’ ago il polo N. Ora rovesciando il detto filo per operare la scarica da A. in G. è chiaro che l’elettricità vitrea si troverà nell’esterno dell’arco, e la resinosa al di dentro , onde lago uscirà dall’ esperimento = a PO IRE E TI n Na I. 73 Von Se I 107 magnetizzato oppostamente . Ecco, mi isembra la più semplice a- nalisi del modo d’ agire delle spirali impiegate come fili con- giuntivi. : 1 (8) Ecco quello che. pensa attualmente intorno alle due elettricità il Sig. Biot. Quando si posa una placca di zinco s0- pra una placca di rame tenendo l'una e l’altra con degli iso+ latori di vetro, si troverà che i due principj elettrici, che esistevano combinati e neutralizzati l’uno per l’altro in queste placche come in tutti i corpi della matura non conservano più il loro equilibrio; ma ché per il semplice effetto del contatto si distribuiscono su di esse differentemente da quando erang separate ; e ‘se si allontanano una dall’ altra le placche per con- statare ‘questo cangiamento di stato colle ordinarie dimostrazio» mi, si riconosce che lo zinco ha preso un eccesso della specie d’ elettricità , che si designa col nome di vitrea, e che il rame ha preso un eccesso eguale dell’ altra elettricità, che si chiama resinosa , in maniera che se questi due eccéssi fossero di nuovo riuniti l’uno all’altro, essi si neutralizzerebbero, scambievolmente come accadeva nelle due placche prima che venissero poste in contatto fra loro. . (9) La corrente eletirica per se sola costituisce i corpi in generale più o meno magnetici, il maggior numero di essi mo- mentaneamente , ed alcuni pochi talvolta stabilmente: acquistano essi perciò ‘una polarità e direzione analoga alla direzione e polarità magnetico-terrestre . I corpi magnetizzati si attuano fra loro, e ‘quiz alcune volte si inidifica la loro polarità , © polarizzano quelli che son suscettibili di divenir mag gnetici fa- cilmente . Per mezzo. della corrente elettrica segue Di loro ma- gnetizzazione , 0 sia le loro molecule si polarizzano più o meno facilmente , più o meno stabilmente , giusta la loro natura , e quindi principalmente secondo la loro coesione, e la concorrenza di accessorie circostanze all’ atto della magnetizzazione. V' in- fluiscono perciò indirettamente la tessitura dei corpi, il modo con cui sono aggregate le loro molecole integranti; le propor- zioni di qualità e quantità de’ loro componenti , la temperatura che induce la corrente elettrica, e simili cagioni secondarie . Così p. e. pochi pesci soltanto sono elettrici, perchè esclusiva- ‘mente hanno un organo di particolare costruzione, ed una par- ticolare struttura hanno i cristalli, termo-elettrici. La polariz- zazione magnetica può concepirsi avvenire in due modi: 0 pers 108 chè le molecule dei corpi si combinino come tante coppie elettro- motrici; ovvero perchè si combinino come tanti piani affacciati, quali conduttori isolati o lamine coibenti , in una faccia delle quali infisso l' elettrico, trovasi l’altra opposta in ‘uno stato di contraria elettricità. 8 luna o l’altra di queste relative com- binazioni si conserva dopo che la corrente elettrica l’ha indotta, la magnetizzazione è permanente ; se nò, è passeggiera . To penso che la polarizzazione magnetica succeda piuttosto nel se- condo modo, immaginando che quando ha luogo la scarica o la corrente elettrica a traverso un conduttore , non sia lo stesso elettrico che trascorra ad un tratto tutto l’arco; ma che si faccia in vece un cambio di elettrico fra tutte le sue molecule ed in diversa proporzione, maggiore cioè fra le molecole più vicine all'entrata ed all’uscita della corrente , e di mano in mano in ragione decrescente sino al mezzo. Per questi. camb) di elettrico ineguali può intendersi che una porzione di esso si infigga O) sì gi o si combini alle singole molecule dei corpi , e co questi trovinsi nellé opposte estremità in uno stato elettrico contrario ; come si osserva in una serie di lamine coibenti riu nite faccia a faccia. Può perciò distinguersi fa magnetizzazione indiretta o per infissione , e per attuazione . L'una molecula all’altra affacciata con opposta elettricità rende per pressione. la tensione insensibile : e per l’elettrico in questo stato di com- binazione , tutti i corpi, anche i migliori conduttori , come i metalli, possono riguardarsi senza errore come cordenti; la loro azione non è sensibile, o sia l'attuazione magnetica non si spiega che sovra quelli che °troyansi in pari circostanza, 0 che possono divenir tali, e forse per mezzo dell’aria , che come le lamine coibenti si elettrizza per attuazione. E siccome ciascuna mole- cula può considerarsi, come nella teoria della cristallizzazione , un cristalletto d’ una data figura p.e. cubica : così possono aver origine i poli /aterali oltre i principali ; e quindi distinguesi la magnetizzazione ordinaria dalla straordinaria . Il filo congiuntivo perciò nelle esperienze oerstediane po- trebbesi code quasi per similitudine come un conduttore imperfettissimo fra i poli d’una pila, nel mezzo del quale vi è zero di tensione, ed ai due estremi la tensione opposta resi dua: cioè nel caso nostro zero d’azione magnetica nel mezzo del corpo magnetizzato , e due centri d’ azione opposta verso le sue estremità . : $ LS A 109 ‘' In somma V'elettrico senza tensione sensibile, perchè in- fisso o combinato ai corpi , è il magnetico : quando spiega 0 può spiegare tensione alla loro superficie, per il che si gene- rano i fenomeni di elettrica trasfusione, degli/elettromotori e simili, è l’elettrico ora distinto dai fisici dal magnetico. Con- figliacchi . (10) Il ferro non è secondo me un coihente del magnetico , ma bensì una sostanza avidissima di quel principio , ed è per questo che pochi grani di ferro sono attratti e sostenuti da una calamita con tutta la propria forza di modo che non può ulte- riormente sostenere altro ferro almeno immediatamente . Poche molecule d’ una massa di ferro risentono l’ influenza della cala- mità , le altre son frattanto insiem con le prime sostenute , in quanto che esiste fra loro una forza di coesione che fa le veci d’un mezzo meccanico di sospensione . Lo stesso dicasi per il caso., nel quale una calamita sostenendo dieci libbre di peso , è'indifferente che questo sia tutto costituito da ferro o da altra materia, purchè questa però sia appesa ad un pezzo di quel metallo, sul quale la calamita spiega la sua forza totale . Se in vece di ferro dolce adoprasi una verghetta d’acciajo ;, vedremo che questa ricuserà in principio d’attrarre altro ferro, ma che divenuta essa medesima dopo poco tempo magnetica attrarrà un ago facilmente, e quello ne attrarrà dopo poco tempo un se- condo, e così di seguito. L’esperimento'poi col quale si cerca provare che un atomo di, ferro intercetta gli effetti dei poli omologhi degli aghi, merita alcune riflessioni particolari . Il caso, în cui si vedono restare in presenza due poli omologhi per l’in-. terposizione d’ una lama di ferro, senza che il tutto venga ad un assoluto contatto non può spiegarsi col riguardare il ferro come coibente del magnetico, poichè quand’anche fosse così egli non potrebbe per questo impedire che uno degli aghi che tro- vasi necessariamente ‘in una’ situazione rovesciata non ritornasse in quella contraria che gli è propria, ed ove lo richiama l’ in- fluenza terrestre; il ferro dunque interposto non sarebbe già un coibente delle emanazioni degli aghi, ma lo sarebbe pure di quella dei poli terrestri, lo che ognuno vede che non può es- sere. E però vero che il ferro interposto fra due aghi situati come sopra , obbliga i poli omologhi a restare in presenza, ma solo perchè l’ attrazione, che entrambi i poli hanno per lui vince, non solo la repulsione, che esiste fra loro, ma ancora Pa 11Ò l’azione terrestre. Di più se i poli omologhi di dae aghi re- stano in presenza coll’ interposizione .d’un atomo di ferro col quale. son’ essi in assoluto contratto , allora oltre la causa già esposta, ne milita una seconda , cioè la differente forza degli aghi. La forza d’ un ago dipende, per quanto mi pare , dal divo grado di saturazione di magnetico , che ha esso’ acqui- stato . Dirò che è difficilissimo, sslrucnie sia per me stato finora impossibile, d’averne due di forza eguale, come eguali di massa , ed a questa disuguaglianza deesi in gran parte .il citato. fenomeno . Infatti se il Sig P, Gazzeri avesse costretti i poli. omologhi di due aghi a toccarsi per un sol punto, avrebbe ve- duto ché restavano in quella forzata posizione anche senza in- terposizione di ferro, e cercata forse li spiegazione de’ suoi sperimenti in tutt'altra causa, che nella forza coibente del ferro per il magnetico . (11) È noto come molti fisici hanno attribuito all’ emana- zione solare la produzione dei fenomeni elettrici . Il celebre P. Morichini mostrò risedere il poter magnetico detta luce nell’e- stremo lembo del raggio violetto . (uesto fatto venne confer- mato da’ molti sperimentatori, e negato da altri, i di cui noi basterebbero a fissar l'opinione dei fisici, se non ‘si trattasse di fatto. Frattanto egli è singolare che ‘un esperimento, il quale riescea Roma non corrisponda a Pavia, un fatto che chiara- mente si mostra a Firenze non si produca a Parigi ec. main una questione si interessante, in una materia si delicatà dovreb- bero gli scenziati non più tacer per SITR, o disprezzar per attoriola , ma stadiar la sorgente d’una sì strana anomalia . Nell’ indecisione attuale su tal materia non si può credere che! agli occhi proprj ; ed io ho veduto magnetizzati gli aghi esposti all’ azione del raggio violetto, e produrre alla luce dei fenomeni chimiti dovuti all’ elettricità . (12) Vi è una serie di fenomeni elettrici , che merita d’es- sere studiata, della quale non si dà per ora ché un cenno . In- terrompendo il filo congiuntivo ; ed impegnandone i Que. poli in qualche scomposizione chimica , si osserva chié se ‘accade sviluppo di calore , si mostrano pure fenomeni magnetici ; se al contrario ron vi ha calorico fatto libero, e che l’elettrieo non si decomponga in quel caso, 0 che il calorico da lui abbando- nato passi in nuove conibinazioni chimiche non vengono allora in scena fenomeni inagnetici. Mentre si operano queste scom- Lili posizioni, esplorando lo stato di tensione della. pila, non si trova una differenza sì marcata fra i casi del primo genere e quei del secondo , da potere attribuire totalmente a diminuita corrente elettrica, come pensano alcuni, la mancanza di fenomeni ma- gnetici, Giova in oltre considerare che la corrente elettrica de- terminand»osi per conduttori imperfetti diminuisce assai più di massa che di momento; ed in fatti il P. Configliatchi ottenne le declinazioni oerstediane. servendosi di carine e di ossidi metallici per congiungere i poli Voltaici. Di più da che abbia- mo veduto dar manifesti segni magnetici dalla tenuissima cor- rente ; che potea stabilirsi in una pila di due soli elementi di un pollice quadrato di superficie, el anche meno; non si può ulteriormente credere alla detta teoria . È parimente necessario considerare che vi son dei corpi, i quali presantano.al, passag gio dell’ elettrico degli ostacoli puramente fisici, come p. e. il vetro ; altri che cli, si oppongono chimicamente ancora come I acqua pura e fredda . Questi conduttori imperfetti non debbon confondersi gli uni con gli altri, ma distingnersi anzi in due gran classi, come ho accennato, ondé i fenomeni che l’elettrico mostra. ri per essi non siano posti ad erroneo confronto fra loro. Riflettiamo inoltre che i casi di decomposizione , nei quali non si manifesta calorico libero sono generalmente quelli, nei quali vi ha maggior quantità di sostanze solide o fluide , che. passano allò stito di gas. Sarebbe egli possibile che mentre il calorico dell’elettrico chimicamente s’impiega a rendere ela- stici i detti corpi, il magnetico pure passasse, in uno stato di combinazione sconosciuto fin quì ? Il P. Pictet riporta una sua sperienza nella quale un filo congiuntivo metallico interrotto ed impegnato nell’ acqua, come se si trattasse di operarne la scom- posizione fece inalzare di alcun poco la temperatura di quel li- quido; osserva però che non.si mostri alcuna bolla di gas du- rante, l'esperimento .. Egli avea destinato un vaso metallico a far, funzione di recipiente di quell’ acqua, e sospetterei che il fenomeno suddetto fosse dovuto al fortuito contatto stabilitosi forse più 0 meno perfettamente fra le due porzioni del filo con+ giuntivo e Te pareti metàliche del recipiente‘ talchè 1 elettrico per quelle passasse e mon. giù pel liquore: messo: in'isperimento. Questo sospetto si, avvalora dal vedere che in. un secondo ten- tativo nel quale il P. Pictet adoprò un &ccipiente di vetro non vi fu sviluppo alcuno di calore. II LETTERATURA | Opere di Pierro GroRDANI, vol. 7. Italia 1821. n uando furono stampati in Milano alcuni elogti scritti da Pietro Giordani, io fui contento della fortuna , che mi concedeva di leggere nell’ età presente italici pen- sieri in italica e purgatissima prosa . E subito posi quell’ aureo libretto in mezzo i classici della patria mia, entro cui studiava. Nè mi rimasi dall’ encomiare quanto io poteva quel nobile ingegno, proponendo le opere sue a tutti i giovani che dessero speranza di ben meritare della patria. Quindi riseppi che il Giordani aveva con pari eleganza dettato, altre varie scritture: ma benchè le cercassi con ogni diligenza ; noh potei trovarle. Onde maravigliava, come gli stampatori indugiassero a farne compiuta e nuova edizione: essendo essi, più che gli scrittori , padroni delle opere in Italia: e non potendo' non essere i libri del Giordani comprati da chiunque voglia seguire il retto cammino della nostra letteratura. Finalmente però veggo adempirsi il mio desiderio; e mi gode l'animo nel significare al pubblico che si è già stampato un volume di opere cotanto esemplari. . Questo volume contiene le cose scritte dal Giorda- ni nel 1816; e inserite fin d’ allora nella Biblioteca, italiana. Sicchè vi si legge dapprima una modesta’ e brevissima introduzione, di sole cinque pagine , che fù proemio a quel giornale. Ma, se poche parole ei disse, furono però ben misurate, e dovrebbero servir di con- siglio a tutti i giornalisti, ed anche agli scrittori di qua- lunque opera si sia. Imperciocchè il Giordani propone- vasi di collegare tutti i letterati , e vo.eva che mentre 113 giudicavano d’ un libro , nè 'rispettassero ‘1° autore ; lo- dando senza'viltà j e criviehadi ‘senza ‘livore : ‘perth soggiungeva, 7 i inigferin libertà delle opinioni è senza amarezza , e le dispute letterarie non debbono esser liti, nè le conpradizionii ingiurie! © | Tale ‘principio ebbe da Biblioteca italiana . Cow tali sentenze concordano î discorsi del Giordani adesso ristatmpati;) Egli tradusse ui discorso della Baronessa di Stael'‘sulla maniera e/utilità delle traduzioni . E ‘dopo aver ‘dato in questo volgarizzamento un’ buon esenipio! a beni tradurre dal francese, vi aggiunse il discorso d’un' italiano he riprova molte cose dette dalla Stael''a'bia- simo nostro) e' Raniprovanon somma urbanità e fortissi me ragioni è à DR 5 , l Quindi esaminò la vita dell Magnò Triulzio compi- e *dal ‘Rosmiii o E° ragionando de ' due maniere di comporre lexvite degli uomini illustri, o secondo Tacito, o secondo Plutarco; ‘fon perdè l'occasione: di ranmamen- tare alcune! ‘opere italiane dettate ‘con gran sentimento. e con ‘eloquenza pari a%uella che:ci ‘commuove e istrui- sce nella vita di Agricola. Le: quali memorie degli avi: nostri nob.si fintiovano mai abbastanza'} perchè i i mo-, dérni ‘italiimi s0no | dice bene il: Giordsity già da un pezzo assibfattiva leggen poco, ‘e eosbicnsimed i i men buo: ni libri degli stranieri; trascurando le-migliori fati- che de’ nostrivTalchè udiamo sovente dire che l’Italia! nén ‘ha buoni scrittori;; ‘nè elegante linguaggio: ed un romanzo francese 0’ inglese viene anteposto'a qualiapo! italica produzione. ‘Il'che invero è natural conseguenza’ de’ presenti ‘costàomi’; poichè l’ idioma puro e'avitonul-. la o poco si'studia’, e la moderna favella troppo» parte-. cipa nellà parlatura degli stranieri | Onde i più: de? leg- gitori non avendo la mente» éònsueta | alle: patrie locu- T. 1II° Luglio $ LI4 zioni, sfuggono Je. opere classiche elantiche perchè, non le possono facilmente intendere ;,e biasimano;i libri.di que’ pochi moderni, che sudano intorno alle. buone di- scipline, perchè presuppongono mancare ‘in questi l’in- dole del secolo nostro ., Ma. hanno essiavvertito a ciò che si deriverebbe. dalla;loro sentenza.? Le: qualità d’ un secolo,.possono; esser buone ;0 cattive: e nel secondo caso ognuno; che abbia sennò, brama di, ritrarsi piuttosto; a”, tempi passati che non di tralignare da quelli! per dive- nire poi vituperevole appresso i posteri. Lo parlo soltan.. to del linguaggio: e questo è ora al certo nell’ uniyer-. salità indegno del nome italiano . In pochi luoghi è un: maestro pubblico destinato a-conseryarei la parità della loquela. I fanciulli balbettano le lingue ‘straniere o,ì corrotti dialetti; I.giovani, guardano; alla, grammatica per-imparar soltanto le desinenze:?de” «vocaboli , (e ap: preudono le scenze e la;letteraturainelle, mercantili tra-,. duzioni de’ nostri librai, Sicchè. i principi dello studio, sono male disposti, el’ errore perciò diventa. consuetu- dine. Laonde pensano i più che non sia necessaria alcuna, mutazione, e pochi. possono la fatica di riordinare i loro, peusieri come si addice all’ idioma, italico ;. Ma, questi, pochi avranno, fama contro l’ opinione, de’ loro KOntemp poranei e dinotisi chesi posteri non, guardano ne” lorc giudìzii.\a'uria. sola età; bensì fanno, confr onto di tutte, l’,età precedenti, siccome faceva, Tacito mentre esami: nava! le cause;che avevano a’ tempi suoi.perwertita l'e, loquenza. Anche. oggi sì prendono le parole-di Tacito ad. esempio, quando, si discorre della lingaa del Lazio antico: e, pure;non;s’ imitano, quegli,avi; nostri. .del ses, colo decimoterzo: chè facevano pubblicamente spiegare! la divina commedia! Crediamo noi ch) essi.il facessero, per:solo ampre!a Dante:?:0 crediamo noi.di avere, me-. . ) x 115 Io ‘cheréssi; bisogno di; studiare ‘nella favella del'Lazio airone! rrils ib asoisnotte st 1g oqmoi omiesbani l9 sie Giotdand asseghia un’altra’ cagione. al'sbvverti! mento del patrii studi? è questa rè la' superbi ignbvit! deglivabitatori d'Italia) Piaccia d'anque ‘alla’ fortaha di'‘ confortare fa volta! questo Belpaese, tustiendo dalla! nimo nostro'quelli! pigrizia ; di'‘che ‘i buoni scrittori ci\rampogiano! VE Sion ‘solamente è 'udpo' vet pron tezzalie voloma!di Bèiv ‘ritistire; ‘ina’ bisogna’ ‘“eziandio’ essere: concordi e modesti: è miuliiér ind all'atteò rieti beney:selza présumendi sè medestinî) 6 inivilire altruf:! ammionire con'doleezza; nom Staglitire in giutîe : godersi e migliorare ‘le! facoltà del proprio! ingegnb) Senza Mdo= verigara tra ‘gli ‘abitanti’ delle'divérse provincie ‘serza” credere ehe ogni Cosa iv 'oghi» luogo ‘possa? ‘adempitsi Finchè fon Sia concordia tra tiititivi letterati d'Italia! slavi» forse» qualelie Pafticolan giovimelito dello 18% > proca emulazione, fia ‘ho pouteitio’mial’consbgitite qiièl9 bene sommo che è utile a tutti perchè tutti vi pà Vette pano®"Disieme: tori la ‘discordia si genera! un' otfio sì grande, ‘the*depra va'la riostra* naturali è im pediste gli” aititi'e “mette più ‘che maîhel' pasto id'hddione. PRIRRO "omisagiiatio diinique 1 esenipio del Gibidani; iquate” intatte le’ ste iserittute' hà imostAato anidro a quale? itdHano, “elte depenae mon fosse ‘Ed'egli ‘ha pure” que-” stiro pregio ea modi assere (parziole Sicche 4 {32brrend6? _ del'Rosmiiii To 'enconin ed intimi To connuinéta! giustamente tra gl’imitatori di Plutarco e non di Ta- cito . Poi As AahA6 con somma eleganza de’ quattro cavalli di S. Marco fh Venezia, onora questa città ; e applaude alla sua antica virtù, ma misura le lodi secondo la verace istoria. Quindi rivolge il discor- so a Niccolò Bettoni per ringraziarlo d’ averci dato le 116 immagini de’ viventi che fanno. più onore all* Italia :.e, nel medesimo tempo gli fa menzione di altri letterati, che, yivono; tuttora e che'si meritano; di\aver:Y effigie loro,tramandata ne’ posteri. Il quale discorso; benchè: intenda a magnificare gli uomini comerlor si converteb:. be dopo. aver; compiuta bene la vita, jhon è; però ;da ri provarsi nel secolo nostro , e massime|in Italia, ove ; dice.con ragione il Gili, il giro delle reputazioni suole essere lentissimo .. Nè al. certo egli non adulava.; perchè sceglieva i migliori :.e neppure non parteggiava,» poichè trasferiva le lodi a chiunque meritevol fosse ; im] ogni provincia d’ Italia. Onde noi pure;domandiamo a; Mario, Valgano,,, che ristampa adesso le opere del; Gior- dani, perchè, non ci procuri l’ effigie di questo, valentis-, simo scrittore ? Noi tutti la desideriamo e. l’ attendiamo, per aver sempre dinauzi agli occhi la, grata inamagine: d’ un nostro contemporaneo che sa viyere cogli antichi e; co) moderni s, studiando ;in quelli, e «questi, ARMA] strando.. RARO DI MRI s'asiiboniitit sta vi ultimo discorso lla fico solum, upa parola inserita, nella storia. del Davila. | E questo» discorso è statg, ripubblicato perchè è è benissimo, scritto;; ; ma, il Giordani ha, manifestato, che, crede ‘erronea, que- sta ,s4a correzione, dando con ciò Vv ,esempio . di mode»; stissima | critica senza pstinazione . Speriamo, che il Val; gano solleciti quanto può l'edizione :,e ci congratuliamer, perchè egli è Silent nel SPKTEREROA le,stampe.(o}, ord € i [319 stnonisizlifg ai ‘sb eda ) fim sfioa. 1002 Ml ONIO. Beyon: Oto Pe 2 60 SIOUO . SINIS [ ONIBE BELLE ARTI PITTURA Schiarimenti di alcuni dubbii intorno alla Storia delle Belle arti ‘în Toscana , del BaroNnE DI 1 Ru MOHR (I je i i î S; noteranno in questo articolo alcune scoperte bettchè di poco momento} ‘ed ‘altre varie considerazioni sopra certe opere delle belle ‘arti, clie mi vennero ‘fatte negli anni scorsi quando scartabellava gli uri di Firenze e'di Siena. + dii I. Vera etimologia del sopranome del celebre scultore, pittore, ed architetto AnpreA ‘pi Cirone det- to l’OrcaGnaA.. 1 ; £ Per levar via il fastidio delle congetture ‘inutili ; che dal Baldinucci in qua si sono formate ‘per rinve- nìre l'origine del-sopradetto nome Orcagra, dal Vasari trasformato in Orgagna, pubblico i seguenti passi ca- (1) Alcune scritture di questo insigne letterato intorno alle belle arti, e dettate da esso.in lingua tedesca, furono tradotte, in italiano , e inserite nel fascicolo terzo di questa Antologia. Egli baadlebinio scrive ora i suoi pensieri nell’ italico ode e mi è gratissimo il pubblicare questo nuovo esempio , con che 4 raffer- ma non esser mai negletta dagli stranieri la gentilissima lingua dell’ Italia. Per la qual cosa, e perchè i medesimi stranieri, che si dilettano di studiare nelle cose nostre, concorrono a migliorare il mio giornale , spero che questo diverrà sempre più piacevole a chi si degnerà di leggerlo. Nota dell’ editore, LIS vati da un libro di spese dell’ Opera del Duomo di Fi- renze, notato di fuori Prestanze 1359-1357. A dì 19 di Giugno 1357. Giovanni Alesso l operai Rosso, . ) i at. Elessero a consigiio sopra,la cologne della chiesa . Jacopo Talenti di S. Maria novella Frate Jacopo di Ser Lapini di S. Marco Neri di Fioravanti maestro rà 11610. di Lapo Ghini maestro. ,3,.,,;, .| bite a foPpi, maudarono per 4Ardrea \d Vols ed.im- posero a’ detti maestri, che ciascuno pensasse, pic il modo delle nuove colonne della chiesa, Vogliono risposta lunedì, di 19 di giugno prossi- mo a terza. suli A dì XVIII di giugno 1357. «\ Ebbero questo di gl’infrascritti frati e mmestri Jacopo Talenti ec. e Andrea di Cione Anchang griolo... Nel decrèto a dì XXI di giugno 1357. iu Gompra a Francesco Talenti ed. all’ Archangie- lo quello asse; che vogliono, e ciascuno faccia un asem- pro, di colonna. fatto lungo, braccia uno eimezzo .col.ca- pitello e colla base, colle misure ec. Giovanni Alesso a dì 3 di luglio 1357. Rosso i Perchè Beni Cioni maestro appone al fondamen- to,.ei al partito pie eso dalia colonne della cluesa; ebbero preso di frate Jacopo Talenti frate Jacopo di Ser Lapini 319 * Neri di Fioravante » Andrea Archagniolo ec. i quali furono a dare il consiglio, e deliberarono il so- pradetto partito; Pregarono il detto Benci Cioni. maestro, che per tutto dì domani avesse dare loro, per iscritto quello , che appone all’ impresa fatta della chiesa, e per dise- gnamento come vuole rimanere. ec. . Nella pag. seg. a di 5 di luglio 1357 è notato come presente alla fondazione della prima colonna del corpo della chiesa Andrea di Cione Archagniolo dipintore. A nome di Dio dì XVII di luglio, lunedì, furono gl’ infrascritti maestri a periti de’ détti operai, per ve- dere che lavorio fosse da prendere in fare il'concio delle colonne, che far si devono nel corpo della chiesa, avendone fatto un. esempio a gesso. Andrea Archa- gniolo e Francesco capomaestro un altro; ed anche due disegnamenti:, l’uno nella cappella dove si lavora, e l'altro nella corte. fra Tacopo di S. Marco cibi ec. fra Tommaso de Ognissanti liiusik lio quanto al fusto della ‘colonna, di quello disegnamento fatto per Andrea Archagno, perchè gli pare abbia più rarità di maestero di colonna, che null’altra. Neri di Fioravanti consigliò di quello d'Andrea, per più bello e più ispacciativo lavorio, senza darvi alcuna ‘correzione, od arrota ec. Benozzo di Niccolò consigliò di quello dell’ Archa- gnio, per più bello, e che occuperà meno all’ occhio, che non farebbe il lavorio quadro; e che nel lavorio di Francesco del gesso ha troppi lavorii ec. Riccardo di Francesco degli Albizzi cittadino. consi- / 120 gliò di quello dello ’rchagnio per: più bello lavorio, e per più presto e di meno costo .e più leggiadro ec.. In'‘altri luoghi ho trovato scritto Archagrielo, ed Arcagno , sotto la data 19 di luglio, e 5 ‘di agosto. Ed .. in un'altro libro'di ricordi della medesima Opera del Duomo ho letto Andreas Cionis vocatus. Arcangelus; Archiv. dell’ opera del Duomo di Firenze liber stanzia, - mentorum Mei Johannis, de anno 1363 ad 1369.(a e. 6'die quarta mensis octobris 1364 Andreas vocatus Archangnolo. Ed a car. 70 da tergo die XVIII augusti 1366 albini Andream vocatum Arcangnolum Cionis pictorem. ih) ) Pare bensì, ‘che presto usassero di scrivere Orca- gno, ed Orcagna ; come dice avere veduto il Baldinuc- ci nel VI. Pon sez. 2 im un contratto o ricordo di casa Strozzi: e difatto si:trova tale ortografia tanto nel codice di Lorenzo Ghiberti, classe XVII. palch. 1. n.° 33 della Magliab.'a c. 8 da tergo; quanto nel codice di ìrancesco Sacchetti nella medesima libreria , alla fa- mosa novella delle donne fiorentine. pittrici. Nel mi- glior codice però, per quanto conosca io , delle novelle del Sacchetti, conservato nella. Riccardiana codice N. 2142 (il quale, secondo che dice il foglio esteriore , è copia dell’ autografo fatta dall’ bitiani medesimo ) si legge l’ Arcagna. Onde da questo, e massime dall’ulti- timo pezzo del documento di sopra riportato, deducesi evidentemente che la trasformazione della lettera ini- ziale A in © derivasi dall’ aver male interpetrato le due voci Zo e Arcagna che ne’ manoscritti leggonsi congiunte insieme in questo modo lorcagna: ove il retto senso richiede che la vocale o sì dia all’ articolo , e che le due voci si separino, e si scrivano così lo’rcagna. Nè è 121 pertanto bisogno di etimologia’ erudita, nè di oro, nè di oreficeria, come volle il Baldinucci nelle.sue congetture sopra il cognomi del nostro: artefice . II. Di LucA DELLA Roi È noto‘a tutti il nome di Luca della. Robbia, ri- trovatore, secondo che dice il Viasari, delle terre cotte invetriate, con cui si vedono. ornati i pubblici edificii delle città toscane:, ed anche le rustiche cappelle ne’ villaggi. Ma intorno «all’età.sua non vi era finora al- cuna certezza!;) quantunque il, Vasari, affermi che egli fosse vivuto nel medesimo; tempo, che. il Ghiberti. Io credo però che sia errore del Vasari, se pure non è er- rore di stampa; quando egli: dice che l’ anno 1405, do- po altri lavori, gli Baton dati a fare gli ornati di mar- mo sopra la porta che conduce alla. sagrestia del Duo- mo di Firenze. Certo sì è , che dosicd lavorò più tardi assai, come proverò per mezzo dun libro d’ allogagioni dell’ opera del Duomo di Firenze, scritto per più notari;dal 1438 al 1475. Ivi a c..5 da tergo, trovasi scritta un'allogagione fatta al sopradetto ; Luca, a di; XX. d’ aprile 1439. —Lucae, olim Simonis Marci della Robbia, intagliatori et civi florentino \presenti et, conducenti ad facien- dum et. construendum.duo altaria pro duabus cappellis S. Mariae del fiore; intellecto, modo, etiam. intellecto designo , videlicet in cappella titulata et sub titulo S. Petri Apostoli in dicta ecclesia unum altare marmoris, longitudinis et largitudinis secundum modellum. li- gnaminis, videlicet. in largitudine br. trium et VII digitorum, altitudinis brachii vel archae. Etenim illis / / 122 mensuris sibi dandis in tribus: ‘compassis (2) (im ifacià anteriori, uno-videlicetv im qualibet»testa, in quibus sint storiae S. Petri predioti, prout:dabuntur et designabun- tur ei, et in parte posteriori prout alias deliberabitur. Secundum vero altare sit in cappella titolari Sti. Pauli ec. — ©. Questi ornati da altare nom esistono però nel Duo- mo-di Firenze: talchè io dubitava, che la suddetta: alle- gagione non avesse avuto effetto. E questo.mio dubbio verificai, poichè mi riuscì di scoprire nella cereria dell’o- pera del Duomo i due pezzi lateraliv:del suddetto altare di S. Pietro, rappresentanti l’'uno.la: sug liberazione. mi- racolosa dalla carcere, e altro la crocifissione del me- desimò Santo, Nè l'uno nè altro non sono finiti) ma abbozzati nel marmo con anìmirabile spirito: il che.di- mostra che a detta perg fu dato id ma sen- za condurla a fine .. ): lg Questi fio insigni sono stati ora collocati in una stanza più decente del. medesimo edificio che chiamasi l'Opera del Duomo; ove:però non godono quel- la luce che sarebbe necessaria a farne risaltare tutto il merito. Nello stesso locale è stata pure esposta una parte de’ bassirilievi fatti «dal medesimo*Luca, e da Donato per ornare i due organi del Duomo. È per dare compimento a questo muSeo di scultura moderna vi si metterà eziandio qualche grazioso ‘avanzo d'un opera di Benedetto da Rovezzano, che giacque del pari neglet- to nella suddetta cereria + ‘il quale utilissimo museo, . 1% (2) Pare che il notaro ‘abbia qui mutato costruzione , volen- do forse scrivere: ‘in facie anteriori tt a. duobùs lateribus , uno videlicet ec. 123 pericui Firenze acquista muovi pregii, debbesi alla;gen- ttilezza, ed albuon gusto.de’ presenti canonici del. Duo- mo» Ma ritornando a parlare intorno a Luca della Rob- bia noterò, che uno de’ suoi bassirilievis val; quale rap» presenta un gruppo di giovani che \cantanò in coro, è forse il.saggio di scultura moderna che più si avvicina al buono stile,.e che perciò si merita d’ essere ‘osservato e:studiato dagli artisti, e ne intelligenti delle belle arti. ciù Neb fiano libro pati trovasi. pure tutto b Wan dell’ allogagione delle porte ;di: bronzo, che conducono alla presente sagrestia. del Duomo di Firenze. Queste porte, vedasi a c.51, nell’anno 1445 a dì 28 di febbraio furono allogate unitamente a Luca della Robbia;.a Michelozzo di Bartolommeo, ed a Maso figlio di un altro Bartolommeo che era:scultore di poco ne- me. In detta allogagione notasi che altra volta , nel 1417, fu allogata la suddetta ed insieme un’ altra porta di bronzo al famoso. scultore Donatello di Niccola ; al quale, non avendovi niente lavorato, fu poi tolta una delle due: porte, e commessa a Luca ed a’ suoi compa- gni, Poi a c:172,;a di g d’ pic 1461 essendo morto Maso: di Bartolommeo , fu riallogata la detta porta a° soli Luca e Michelozzo, ma non fu neppure allora condotta al termine. ‘Quindi a c. 73 da tergo, ec. 79 da tergo anno 1464, di 4 di giugnoe 10 diagosto, essendo assente Michelozzo, tutto il lavoro fu commesso a Luca della Robbia, il quale ne compì solo più della metà , giudicando io ciò dalla parte che ebbe nel pagamento. Sicchè mon pare probabile; che abbia potuto esercitare la sua professione dal 1400'al 1405; se nel 1464 si trovava tuttora vigente, \ 124 ed occupato in lavori molto importanti. M' ‘induce bensì a credere che quei bassirilievi dell’ organo: ‘del Duomo sieno alquanto anteriori all’ anno 1438, perchè non se,ne trova'l'allogagione nel iran citato , ‘che’ co mincia in detto anno. iii i Li UL) BLAEDESTG È difficile, mancandovi quasi sempre le iscrizioni, il distinguere le terre cotte inverniciate fatte da Lùca da quelle copiose fatte da’ suoi seguaci; e perciò ter- minerò il mio discorso, indicandone una che è certa» mente sua. Nel libro cit. a c. 54 da tergo, leggesifanno 1446 dì 11 d'ottobre locaverunt Lucae Simonis'dellà Robbiascultori. ad faciendam unam storiamo terre cocte invetriate, illius, materie, qua estilla posità in arcu sagrestie, que storia debet. esse, videlicet Ascensio domini nostri Jesu Christi cum duodecim figuris Apostolorum et matris eius Virginis Marie) et quod mons sit sui coloris, arbores etiam sui co- loris, et secundum \designum factum in qguodam mo- dello parvo, quod stare debet in opera usque ad perfectionem dicti laborerii ec. ,. ) Nen è dunque: il: distintivo, delle invetriate di Luca il non essere che a due colori, come han pre- teso alcuni. Anzi crederei, che con. più-certezzaisi di- stinguono al carattere delle teste non troppo larghe e piene, alla delicatezza piacevole delle fattezze, alle pieghe deligate e fine; tutti segni caratteristici delle sculture in marmo ed in bronzo, di. cui si. conosce essere stato autore il nostro Luca. Infatti nel, cor-, tile dell’ accademia delle belle arti sono due piccoli tabernacoli di terra cotta, che dimostrano il carattere, suddetto : le figure, sono bianche in campo turchino, e rappresentano la Beata , Vergine inginocchioni . da- vanti a Gesù bambino giacente in terra, ;e nell’ uno 125 si. vedono ancora tre angioli in aria, der cantano il gloria in: excelsis . sd sAgostino ‘scultore fiorentino e (secondo che dice il Vasari) fratello di Luca della Robbia, compi circa il 1460 la facciata della compagnia: ‘di 8. Bernardino ii Perugia, che è tutta ornata di bassirilievi di marmo; diversi fra loro nel merito dell’ esecuzione perchè pro- babilmente vi adoperò più giovani di merito ‘diverso . Lo. stile di questi lavori è meno puro di quellòdi Luca, e tende; al manierato. Simile\a questi nel pannéggio , ene’, movimenti pare la tavola di. marmo :di bassis- simo, rilievo, rappresentante, la Madonna in; mezza fi- gura e. con, angioli ;}.la quale è stata: murata; nella sa- grestia: della» cappella di, $. Luca vel secondo cortile del» convento della Ss. Nunziata: odi olotil 19q 1 ) ibatuaditito de di \\IIL AzBERTO DI PP piana ed archi- tagica: Ji orentino. x. | ÙùR, Magia: siria ‘per lungo tempo rion-fu conòsciuto' che; mediante la graziosa novella 136;dî Francesco Sac- chetti, ove fa buona ed allegra comparsa. Riescì (poi al.chiar. sig. Vincenzo Follini di, scoprire il di lui nome nell? archivio del Bigallo, luogo pio di Firenze. Ivi. nella filza 2 dal 1349. al 1433 a pi XI s'obbli* ga, Alberto, di..fare.una SS:\ Vergine di marmo; quasi di;grandezza naturale .,. con due angioli da’ lati} che l’adovano. E nella medesima Giu a p.LVII.| anno 1364; viene assoluto’, ‘egli ed il suo mallevadore,,. per esserne, ‘compita 16 opera, a tenore) del contratto . Queste sculture si;conservano tuttora nell’ oratorio,del Bigallo.' Le figure posano bene; ‘€; sono! parso ‘Con sem: | EEC TOR s\ UL d) tl : fi | 126 plicità.;! ima déo teste.non hanno la dolcezza'eil'respres® sione delle opere d’ Andrea e di Nino di Pisa. vivi » Ciò nondstante parve al Vasart:( il quale non ‘ebbe alcunai cognizione'del nostro Alberto Arnoldi ) di poter: le attribuire adi ‘Andrea Pisano; ed il suo»abbàgliò) nom fucorrettoprimA che si stampasse la' storia della stud tura del GCav.:Cicognara . + in i sem ib | A'questa notizia io ne aggiungerò pertanto atomdlal- tra toltàdall’archivio dell'Opera del Duomoldi' Firenze. Ivi neb libro detto Ricordanze 1358. a 0-34. ‘da terso è dì 19 d’ Ottobre ytrovanki fra gli altri maestri pche ser- vivano-V'opera ; Alberto: Arnoldi maestro 0 Nell? adito” seguente però fu inalzato al grado'di capo ‘imaestrò do: me dimostra un altro'libro del medesimo Archivio ‘ele; ha per titolo Ricordanze'1356. a'c. 2. venerdì dì‘r8/4î Maggio, ove deliberano gli operai, che Alberto intenda asoblecitare © a fare lavorare V'altià faccid ‘della chiesa verso il campanile, e che s intenda benevcoll’al® tro capomaestro, Francesco Talenti, al quale s'era dato'a lavorarerali campanile , sad altra ‘faccia! della chiesa versoti Cofdnai. In appressosa o. 8 dir pan set tembre si Gonsiglia: fra l’altré:cose j éhe Te! finestre 'èhe’ conduce’'Alberto allato al campanile) si seguano ’alt modo»colninciato ec. è poco dipoi'a cs 14'e 15° si leggan Alberto» clipomnestròi della detta' Opera ‘rente per consigliodetto dec. segite' di'essere rivivinilto SHpGMaAI | stro. Poî'a 6b16 di RIVI. di deremibre 1359"3t Fd -d mette l’arco!della porta maggiore del ‘Diiomo . Nell” dii i novseguente Mmbicano; ovvero mi sfaggirono Te notizie,” dimodochè non saprei‘ditè; quando; le pet'qual'motîvo? Alberto lessasse d'essere! fiipitsatò” nella fabbrica del‘ Duomo. Cefto si è che idall’anto 1362 in qua now era più nè capomaestro nè maestro al soldo dell’ opera. p È 127) TRN nio «IV. Ziappeo GADDI. 1 «Egli fu pittore ed «architetto ;; e fondatore d° una casa nobile di Firenze, ora estinta; ma celebre'un tem. , po per ricchezza e per buon gusto... Costui, secondochè, dice il Vasari morì nell’ anno 1350.,In appresso però, gli fu prolungata-la vita di varii altri anni, Sicchè godo di poterla estendere: più oltre , e..sino al.di,20, di Agosto. 1367, net qual:giorno continuò ad. assistere. a’.consigli dell’ Opera del Duomo di Firenze; come si vede nell’ Ar- chivio cit. nel libro Starziamentorum a c..74 nelle ipa- gine 6, e'64: Inoltre il nome di Taddeo Gaddi dipinto», re ‘apparisce nel suddetto Archivio quasi in tutti;i libri PISSuBO p dall’ anno 1357 /in poi. Li hi; V. pe CHELLINI, Pittore Fiorentino »: Costui-fu del numero di quei, pittori, che siepi. no di dipingere al modo:antico con ombre deboli e non, bene collocate , quantunque Masaccio,.e qualche altro già avesse terìtato | di rimodernare la Pittura, introdus, cendovi il ‘chiaroscuro. Ma;sebbene egli..non. arrivasse al merito .di\qualche suo contemporaneo nel\condurre le sve pitture, nondimeno è. préferibile\ di «gran lunga. a. Lorenzo di Bicci, di cuiil Vasari ha serbato la memoria, mentrechè non fece alcuna menzione del nostro Ghelli- nì . Questi ornò di pitture la facciata del Bigallo, dirim=,, pétto a.S.Giovanni. Edalcuna,di queste pitture che rap- presentano fatti di:.S. Pietro martire, e che esistono, tut- tora nella facciata. sopra all'oratorio ; detto, luogo, è stata attribuita.a TaddeoGaddi daî; moderni ;.,fra quali, non giova citare altro che il P.. Richa nedle Chiese di Firenze. Nè: il Richa prese tale opitione dal Vasari, poichè questi nella:vità di Taddeo non parlò di isiffatte pitture; ma, 128 fu indotto nell'errore da una‘congettùta più recente as- , la quale tanto potè nell’ animo suo, che egli non cedè nemmeno'al fatto seguente, [cioè ‘che la compagnia del bigallo; ossia di\S: Pietro martire, non:prima del 1425 entrò in ‘possesso della sua odierna casà,.e che in conseguenza non'vi potevano esser dipinti dal Gaddi, i fatti alllisivi alla fondazione di detta | compagnia; Anzi per raffermate un'opinione, chemon ha verun fondamen- to, egli si. rivolsealle congetture che possono vedersi nl To. VII. della sua opera a pi 2Bgiu (I Laf) srogQ.itob *CEd è tanto. ‘più ‘da ammirarsi la 18 | 2124 6 NovemerE 2076 — 4 | 20097 — 21 Dicempre 2051 — 29 | 2089 — 29 Media 2080 2118 media delle pom. gr”. —_no --———=_______d delle mattutine, e ) A 2118 pomeridiane ) 999 Mii SI ‘ 2080 190 o b l 100 Si * 2097 altezza normale del S.Bern. sopra Ae 2102 i Ginevra, per le ‘osservaz. pomeri- diane corrette di 3? 200 60 TAVOLA IL Differenze di livello tra Losanna e il San Bermarpo, dedotte dalle mepre delle osservazioni fatte alle due Stazioni. NELL'ANNO 1820. ALLE DUE POMERIDIANE differenze — della in metri È media - altezza GenmAJO 1958 — 21 FesBrAJO 1965 — 14 Marzo 1989 10 APRILE 1984 5 Mascio 1998 19 Giugno 2003 24 È LucLio 1958 9g|” Acosro 1990 Le-E1 SETTEMBRE 1989 10 OTrTOBRE 1979 (0) NoveEMBRE 1959 — 20 DicemBrE 1968 | — 24 1979 media delle pomerid. 1979 _— 100 1959 altezza normale I6I TAVOLA II. Differenze di livello tra Grnevra ‘e Losanna dedotte dalle mepIE delle osservazioni fatte alle due Stazioni. NELL'ANNO 1820 ALLE DUE POMERIDIANE 1 ‘ differenze altezze dell ; i ella in metri tnedia GennAJO 137,2 |. — 1,5 FesprAJO 137,1 — 1,6 Marzo 131,0 vai vi I | AprILE 142,8 sì Maceio 139,0 0,3 Giveno . 133,0 ni tt A LucLio 145,9 7,2 {|< Acosro 136, — 2,2 SETTEMBRE 140,0 1,3 OrTORRE 145,2 6,5 NovemERE 141,5 2,8 Dicempre 135,9 — 2,8: ila 138,7 . media delle pomerid. L) 138,7 — 1,4 137,3 altezza normale 1959, S. Bern. sopra Losanna ) per le osser. pom. 157,3. Losanna sopra Ginevra ) corrette di 1f100 2096,: 3.S. Bernardo sopra Ginevra 2096,7 Idem, calcolata dalla media di tre anni tra le mattutine, e! pomeridiane. Differenze e; 53 72097 media delle pomeridiane ' sole, dirette; e corrette di 1100. IT. III Luglio 11 162‘ NECROLOGIA Firenze adì 10 luglio 1821. Notizia intorno alla vita ed agli scrittì di Giuseppe. SarcHIANI Accadertico della Crusca. N on umil patria, nè poveri genitori vietano che ven- ga in fama, e quasi io direi in onta della fortuna , un nobile ingegno: e la Provvidenza di tanto privilegiò la Toscana ch’ in\essaà mot vi ha così piccolo borgo che dal nome di qualche valente che vi ebbe i natali non sia nobilitato. A Giuseppe Sarchiani, quantunque gli avvenisse di nascere nélla terra dî S. Casciano, fu la sorte sì benigna che vi trovò pér maestro Francesco Guarducci valoroso , e riputato Umanista: con siffutta guida potè ancor giovanetto conoscere dei classici del Lazio le più riposte bellezze. Venuto alla città diè com- pimento alla sua letteraria educazione nel Ginnasio de- gli Scolopj: e sotto Ayerardò Audrich che ne’ suoi versi ornar seppe di poetiche grazie le gravi discipline per lui insegnate, studiò matematiche, e filosofia. Ma tanto le scienze nol tennero che con sommo ardore non in- tendesse a farsi dotto nella gr eca favella sotto la disci- plina di Cosimo Bartoli: dal solenne Ellémista Augiol Maria Ricci ebbe, per quanto ad esso il consentia la vec- chiezza; insegnamenti , e quel che più vale nell’ età prima; agli studj intrapresi conforto. In Pisa s applicò per ‘cinque anni alla ragion ci- vile; ai Canoni; al Dritto delle genti , e fu discepolo del Tosi, del Guadagni) del Lampredi: uomini di squisita 163 dottrina, di molta fama in Italia, edi eterna cordata nei fasti dell’ Università Pisana. Non vi tralasciò lo studio, del: Greco, che udi inter- petrare dall’ Antonioli che. molta, dottrina, congiunse a, rara bontà, e in cui la modestia (portento. da, narrarsi in un uom letterato) fu alla gloria, d' impedimento. Quan- tunque il Sarchiani spogliate avesse le chiericali divise che vestì giovinetto, fu assiduo compagno, ed amico a due Religiosi Domenicani, lo, Stratico,, e. il Fassini: gli piacque nel primo l’ ingegno, festivo, e la vasta erudi- ‘zione: ammirò nel secondo, che fu gran maestro in Di- vinità, lo zelo col quale venne in.campo. contro i Filo- sofì per la verità di nostra religione tanto allor combat. tuta, difensore animoso. Era in quei tempi principale ornamento dei Pisani studj Tommaso Perelli che in sè raccolse tanto di scienza, quanto diviso in molti uomini basterebbe perchè fossero tutti dotti e famosi. Venne acquistata per ingegno la benevolenza del Toscano Leibnizo dal Sarchiani, che nel fiore dei suoi anni era salito a tanta rinnomanza che parve al celebre Monsi- gnor Fabbroni degno di scrivere nel suo riputatissimo giornale dei letterati del quale ancor dura la fama, e il desiderio. Non loderò ingegno di così alte speranze perchè fra i suoi condiscepoli fu scelto a lettore straor- dinario di Canoni , e ottenne con applausi di tutti il ti- tolo usato di Dottore. . Io lo compiangerò piuttosto di quella necessità che gli fu comune con molti letterati, e lo costrinse ad eserci- tarsi per alcuni anni nella ingrata palestra del Foro: ma i*suoìi prediletti studj vagheggiando sempre coll’ animo, egli generosamente involava gran parte delle sue ore a Temi, pur potendo, come gli altri sacerdoti di questa preziosa divinità, vendere gli sdegni e le parole. Le pa- r64 trie Accademie, cioè la Fiorentina, e quella degli Apati- sti applaudirono ai versi, e alle prose del ‘causidico: nè sdegnò di rallegrare le brigate sul fine del carnevale con quei briosi ragionamenti che son detti cicalate; genere di fiorentina eloquenza usitato ‘allora , e di pre- sente, non credo con danno delle lettere, quasi perduto. Coltivava l’ amicizia del Lami, e di Raimondo! Cocchi: e il loro esempio lo sostenne nel suo nobile proponimento: a Giovanni Lessi ch’ebbe profondo sape- re, e amenissimo ingegno ei divenne famigliare, ed in- trinseco, quantunque non vi fosse coppia d’ uomini che nel conversare usasse più di contradirsi.. Nè mai per questo fu la loro amicizia interrotta, o scemata: segno evidente ‘che non si adirarono mai, o si perdonarono sempre. Bello, e raro esempio in tanta viltà di tempi, e di costumi ove amico si chiama soltante colui, che loda, e ripete le sue parole , e nell’ insofferenza del vero ogni vom per poco ch’ egli abbia di potenza e di fortuna, si fa simile ai tiranni, e amistà vera non conosce, ma nei codardi ha degli adulatori, e nei malvagi dei complici. Alle rette dottrine di politica economia, che il Sa- nese Bandini non vinto dai prestigj del Colbertismo ebbe la gloria d'insegnare il primo, conciliavano allora in Francia, e in tutta la colta Europa e favore, e grido, l’ autorita d’ un illustre ministro (1), e l’ ardita ragione dei filosofi francesi. Il Sarchiani non volle nella notizia di queste nuove teoriche di pubblica amministrazione così largamente per l’Italia diffuse, cedere ad alcuno, e fu di esse giudicato sì profondo conoscitore dal Tavanti, ministre (1) Turgot. 165 in cui l'animo andò del pari all’ingegno, che questi gli affidava l’ ufficio il più nobile che possa mai da scrittore desiderarsi; quello di combattere vecchi errori, e giovare alla patria coll’ eloquenza. Il magnanimo Leopoldo, prima di recare ad effetto i suoi ordinamenti intorno alla libertà del commercio, ne depositò il Progetto nella camera del Comune di Fi- renze: e potea ognuno leggerlo, e manifestare sopra di esso con Are onesta il suo avviso senza che fosse di mestieri il penetrare , - +... +. Colà dove nel muto Aere il destin dei popoli si cova | (Parini Odi) Tanto quel sapientissimo aborri dall’ usare la forza, e cercò di persuadere prima di comandare. Frutto delle meditazioni del Sarchiani furono due operette che si hanno a stampa con questi titoli. Ragio- namenti sul commercio, arti, e manifatture della To- scana — Memorie economiche politiche. Reclamava in queste fra l’ altre cose l’ abolizione dei fidecommissi: e gli scritti del filosofo apparvero quasi forieri dei be- neficj} del Sovrano. Così il Sarchiani non ristrinse il suo felice ingegno ad argomenti, di puro diletto, e quantunque come erudito egli uso. fosse a conversare «cogli antichi, non fu come il più delle volte avviene, su- perstizioso inimico a quelle verità che son nuove. Finalmente la fortuna appagò i suoi voti: ottenne la cattedra di lettere greche, e in progresso di tempo quella pur delle toscane che fu eretta dalla Repubblica Fiorentina per l’ esposizione di Dante, e venne occupata per la prima volta da quel gran lume di nostra elo- » quenza Giovanni Boccaccio. E nell’ uno e nell’ altro ufficio non deluse le pub- 166 bliche sperarize, "e în campo ‘assai più Wastoidi quello conceduto ai suoi antecessori aggirandosi, fu‘ed è per tutti‘ancor reputato ‘non solo uomo di molte lettere, tina pur dicitore, e corretto,‘e leggiadro . Ch”egli:del ‘pregio della lingua fu custode. sollecito , e ‘mantenitore osti- rato, in tempi che ‘con solenne ignoranza ‘del proce- dere del ‘nostro intelletto, e con grave danno dell'Ita> liana ‘letteratura ‘lo ‘studio delle idee venne ‘disgiunto da quello ‘delle parole, ‘e ‘tinto ‘era nei più dei nostri scrittori verso gli antichi il dispregio, quanto lo è adesso per avventura; la ‘supérstizione. Tenne fra le sue le- zioni inedite in maggior'cohto quelle in risposta alle con- siderazioni del. Filosofo fiorentino sulla Gerusalemme del Tasso: e ‘scegliendo ‘questo argomento, ‘mirò ‘più ‘a disapprovare le censire colle quali dal ‘suo compa- triotta 1’ Inferigno fu ‘travagliato ‘il grande e infelice Torquato, che ‘alla gloria di combattere col Galileo. Nel variar dell’ Italiehe fortune gli venne ‘confe- tita la carica di Direttore del'‘nostro Archivio Diploma- tico, e le sue ‘cure ‘aiutate dal ‘patrocinio d’ eminente personaggio” impedirono che da Firenze ‘fossero ‘recate in Parigi le antichissime carte che ‘in quel ‘Deposito si*tonservano, e mirabilmente vagliono a ‘dichiarare ‘l’oscura istoria del medio evo. La Società dei Georgo- fili lo ebbe a Segretario degli atti, ed ‘in quei cinque volumi che “furono ‘per lui ‘cobtipilati fregiò di splen- ‘didi elogji più illustri accademici: ai ‘loro studj ar- recò utilità non lieve ‘pubblicando alcune opere ine- dite opere ‘del ‘Soderini intorno ‘all’agricoltura, ‘e pe- gno ‘dél sub ‘anfore ‘lasciava ai suoi colleghi l'inedito ‘trattato di Veterinaria ‘di Pelagonio ‘Classico ‘latitio “. ch’ egli sull’unico codice del'Poliziano, trascrisse, emen- - dò, e ‘poi ‘fece ‘volgare. 167 Quanto .colla.viva voce, e .cogli scritti .giovasse all'Accademia della.Crusca nella quale ei fu uno dei De- putati a, preparare materiali per le correzionie Aggiunte «del vocabolario; io lascerò .ghe meglio di me:lo narri il. celebre Segretario Zannoni, \alla cui .eloquenza sì mobile argomento qual sono le :lodi.di tanto uomo, non ebbi in animo d’ usurpare. . Non tacerò .ch’.ei fu peritissimo del.latino idio- ima; e in iqueso dettò versi così belli da meritare che valorosi ‘Toscani poeti li donassero tradotti alla nostra Îlingua. ‘Assai del suo ingegno: quanto all’, animo suo può dirsi, che non presunzione, ma fidanza, nei suoi costumi lo persuadesse a scriver di sè stesso ch’ei fu fran- co, ingenuo, costante nell’ amicizia, estimatore degli al- trui meriti, senza invidia, e senza ambizione mode- «sto nei voti quanto nella fortuna. Se nella sua verde età frequentò \le soglie. di alcuni Magnati, :ghi li cò- -mobbe .ne «accerta che pieni . d’ umanità nobilmente ‘usarono i-doni della sorte, e furono del tutto dissimili da coloro ..dei quali .l’ amicizia insolente è. più, grave .dell’ odio.a sostenere. i Narrò il:Sarchiani nella sua. vita «d'essere sta- to loro famigliare conviva: ma ciò torna in sua lo- de quando si ;consideri che nulla ei mai ritrasse nell’ aspra; sua indole dei docili. costumi dei ventri cor- -tigiani: infatti potè per;avventura a taluno. dei suoi ‘nemici sembrare )Diogene,;ma ;certo; a nessuno di loro «Aristippo . " Non ignoro che: per qualche maligno isì dirà) es- servi nella «razza dei letterati :tale che per merderidi spasto si raccheta, e tale che pur divorandolo abbaja: ma dalla viltà dei primi e.dalla malvagità dei, secondi ei \168 si tenne ugualmente lontano. Vide, e piansé le morti dei suoi più cari, pena stabilita a chi lungamente vive: del fine, che per gli anni a lui omai sovrastava ebbe presentimento, ma non terrore . Pochi giorni innanzi alla sua morte (1 ) allorchè tale che lo amava prese da lui comiato, ei previde piangendo DE questo fra loro sarebbe stato l’ ultimo addio. De. Il poter dite, io ebbi un amico, non d1%altitna | delle sue lodi: Y averlo egli perduto in grave età ‘fa il più grande dei suoi dolori: il chiedere d’ essergli sepolto, accanto era |’ ultimo dei suoi detti, e forse dei suol: e pat con, et G. B. NiccoLini. N. B..Del testo latino, e del volgarizzamento di Pelagonio col assenso della Società de' Georgofili si sta preparando una ‘de- cente edizione dal Direttore dell’ Antolegia - Voyages d’Anacharsis etc. Viaggio d’Anacarsi del Sig. G. G. BarrHELEMr nuova edizione pubbli- cata per associazione colle stampe di Firmin Dipor arricchita di ‘24. Tavole inedite ‘oltre le 39. dell’ Atlante Vol. 7. in 8. grande ( tre’ sono già | pubblicati ) Parigi presso Guerrrer Editore, e pres- so la Vedova Dabo, Via Hautefeuille N. 16 Allorchè sì pensano igrandi beneficj, che dalla ci- viltà ritrasse il genere umano, ricorre subito al pen- siero quella’ classica terra, che fu madre agli Eroi, ai Filosofi, ai Poeti, agli Artisti, la Grecia. 1 sublimi parti dell’ intelletto di Platone, di Demostene, di Se- nofonte si divini versi d’ Qmero , di Pindaro, d’ Eu- ripide,, i lavori ‘più che umani di Fidia, di Prassi- (1) Questa è avvenuta nei 18 Giugno di questo anno, € il Sarchiani nacque nei 21 dicembre del 1746. 169 tele, di Parrasio, e di ‘mille altri ingegni immortah nelle Scienze, nelle Lettere, e nelle Arti, segnarono il punto di bero oltre il quale non fu dato ai ‘moderni di progredire , assai meglio chie dall’ Ercole loro segnati non furono altre Volte i confini del Mondo abitato. Dai fonti della Grecia pertanto derivarono all’ Europa tutte le discipline sociali , e le arti del vive- re politamente ; non essendo avanti ai Greci nè l’ Italia, nè la Francia, nè l'Inghilterra, nè quanti altri paesi hanno fama di cultura oggi giorno, se non luoghi abita- ti da borgate di popoli quasi selvaggi, e ignari di ogni civile istituzione. I Romani medesimi ,che tanta giura sa acquistarono alle loro armi dominatrici;, ricevettero dai Greci e leggi, e religione, e riti, e costumi; ed arti, e sapere. Quindi l’istoria della Grecia ha in generale la più grande importanza per conoscere il progresso dell’in- gegno umano, e singolarmente è degna di tutta l’atten- zione quell’epoca di che ha impreso a trattare 1’ autore del Viaggio d’ Anacarsi, come la più luminosa e la più feconda di fatti memorabili, e d’ uomini illustri. Al merito sommo, e universalmente riconosciuto dell’ Opera in se medesima, sia per la dottrina e per la scelta dei fatti, sia per il gusto, per l'eleganza e per l’eloquenza con cui è scritta, si aggiunge iuesna il van- taggio, che tutti gli sguardi dell’ isaoha se del Mondo incivilito sono rivolti alla Grecia. Dopo 12. Secoli di decadenza, e d’invilimento, dopo sei Secoli della più amara schiavitù sotto il giogo dei Maomettani, hanno finalmente tentato i Greci di rompere le loro vergognose catene, di recuperarla gloria e la virtù degl’avi, e di far onfue sotto il vessillo della Croce la telgzione di “Cristo i im una terra già sacra per tanti titoli, e contami- nata sì lungamente dal fanatico culto dei settarj di Mao- 170 metto. Qualunque sia per essere l’ evento di sforziisì «generosi, crediamo che sia permesso a un Cristiano ifor- mar voti ‘in favore della loro santa , e mobile impresa, affinchè colla ‘benefica influenza dell’ Evangelo ritorni la patria di tanti Eroi, e di tanti illustri campioni e te- stimoni della fede all’ impero della civiltà e dei lumi, che essa si gloria di aver diffuso per l'universo. Quindi abbiamo intenzione di comunicare ai mostri (lettori tutti i documenti i più importanti che ci uscirà di rac- cogliere relativamente alla storia moderna .e allo .stato attuale della Grecia ,.e particolarmente 1, pensieri d’.uo- mini ricchi d’erudizione e di filosofia, sulle conseguenze che potrebbero derivarne alle scienze istoriche .e geo- grafiche, alcommercio,ai lumie all’incivilimento dell’o- riente, limitandoci per. ora a inserire nel nostro Gior- nale varj-estratti di scritti che vagliano a mettere i let- tori in istato:di conoscere le. circostanze , che lentamen- te hanno condotto i Greci al;punto da tentare, con spe- ‘ranza di riuscita , di scuotere;ilgiogo obbrobrioso degl'ot- tomanni . (1) R. RAGGUAGLIO ASTRONOMICO Invenzione di un nuovo cannocchiale Iconantidiptico . i Ch. Sig. Professore Gio. Battista Amici di Modena ha immaginata la costruzione di un nuovo cannocchiale Zco- (1) Il prospetto che abbiamo pubblicato relativamente ad Aly Pascià, può meritamente riguardarsi come un monumento atto a servire all’ oggetto da noi divisato. r71 mantidiptico, che senza ‘avere i difetti di quelli dei sigg. ileaurat, Euler, e Kratzenstein , offre completamen- te il vantaggio itanto \prezioso quanto ifinio ad-ora inutil- mente ‘tentato, di escludere ‘i ifili con icui nei can- mocchiali ‘astronomici ‘si collima ‘a «qualunque oggetto ‘celeste. i È noto quanto questo metodo di collimare:si ren- dla infruttuoso ‘allorchè ‘si tratta di osservare astri di idebol luce, facilmente vinta»e soffogata da quel lume ‘stesso ‘che ‘bisogna introdurre, onde render visibili i fili; “e son'‘pur‘noti gli errori che il più leggero ‘spostamento “di ‘questi fili introduce nelle osservazioni, e;le ‘difficoltà “è pene che ‘spesso s'incontrano nel: ricondurgli alla vera loro sîtuazione. Diqui'i molti sforzi degli Ottici:ecdegli.Astronomi *per ‘esentar l’ astronomia pratica dalla servitù.di questo ‘sistema . H sig. Teaurat ‘credè di potervi ‘esser giunto , ‘combinando ‘un’semplice oculare con ‘un’ ampio obiet- “tivo 'traforato nel centro e con :due minori obiettivi co- ‘munî. Infitti dovendosi per talvia formare due diverse ‘immagini ‘di ‘un medesimo astro in. situazioni fra di loro inverse, e con moti apparentemente opposti, l'uno cioè dalla destra alla sinistra, l’ altro dalla sinistra alla destra, il punto del concorso di queste due immagini avrebbe stabilita la posizione dell’asse del cannocchiale, «e-determinato meglio, che col.mezzo di qualanque filo, l'istante in.cui l’ astro vi perveniva. Ma questa idea fu ben presto dimenticataiallor hè ‘il’Padre Boscowich fece vedere’che una'tal'costruzione, anche ammesse le modificazioni i proposte dall’ Erilero .e da Kratzenstein, ibdeboliva eccessivamente la forza -del cannocchiale, inè: col di.lei mezzo .si rendevano :af- *fatto indispensabili i>fili;;uno almeno dei quali restava 172 sempre necessario per far camminar le due immagini. sopra una medesima corda del campo, senza di che non se ne poteva ottenere in alcun modo l’incontro. } Ora il sig. Amici ha riparato in intero a questi in- convenienti, progettando di porre avanti 1’ oculare più prossimo all’ obiettivo di un cannocchiale terrestre un prisma rettangolare isocele di vetro, in modo da rice- ver la metà di ciascun fascio dei raggi che cadon sull’ obiettivo, lasciando scender libera l’ altra metà sul sistema degli oculari. È chiaro che la prima porzione di questi raggi soffrirà i in questa combinazione un rove- sciamento di più dell’altra, e che le due immagini cam- mineranno SEGNNLE per una medesima retta, nè giunge- ranno a riunirsi che sopra uno dei diametri del campo, con una celerità doppia di quella con cui può seguir l’appulso ad un filo, e con. mostrarsi in quel punto sì vive quanto lo comporta la forza intiera del cannoc» chiale . 11 sig. professore Amici darà nel tomo XIX del- le Memorie della Societa Italiana un’ esteso ragguaglio di questo suo utile ritrovato, mentre, noi ci riputiamo molto felici per avere qui potuto anticiparne l’ interes- sante notizia. LETTERATURA FILOLOGIA. \ " v. olgarizzamento di alcuni Opuscoli di S. Giovan Gri- ;; sostomo citato nel Vocabolario della Crusca, ora interamente ;; pubblicato. Firenze. presso GiusePre DI GiovaccniNo PAGANI sn vol. I. in 8. grande. In un tempo in cui di nulla più che del fatto di nostra lingua si va disputando per tutta Italia; mentre e Proposte, e Auclggii. e accuse e difensioni su tal proposito sì veggono uscir d’ogni parte in tanta abbondanza, che n’è venuta oramai sà- zietà e noia perfino a quelli che di null'altro sogliono; dilet- tarsi leggendo, che di pettegolezzi e di risse letterarie; mentre 173 ùn gran numero di letterati spende in frivole disputazioni un tempo prezioso, che a maggior gloria nostra, in qualche più degno atto di mano o d’ingegno , in qualche bella lode, in qual, che onesto studio saria meglio di convertire, niuna cosa arreca maggior sodisfazione all’animo dei buoni e dei pacifici coltivatori delle lettere, che il veder comparire alla luce dei libri, i quali di questa medesima lingua possano vie più promuover lo studio con vera e solida utilità . Il Volgarizzamento che abbiam fra mano è senza’ dubbio degno ‘che sia riposto fra quegli aurei scritti ne’ quali ravvisar si possono le belle e genuine forme della nostra favella: e da questo, ugualmente che dai libri più ripu-. tati che si scrivessero nel buon secolo, ben si possono attingere, . come da fonte purissimo , bei modi di schietto parlar toscano: e l’altissimo conto in cui fu sempre tenùto , e le moltissime ci- tazioni che di esso si fecero dagli Accademici nel Vocabolario, sono una chiarissima prova della di lui preziosità, senza che sia Zisogno che in questo luogo si venga per noi dimostrando. Sia dunque lode al Ch. Sig. D. Luigi Rigoli per aver fatto un sì bel dono agli amatori di nostra lingua. Quattro sono gli Opuscoli di S. Gio. Grisostomo, che formano un volume in 8. di 26:. pag. non compresa la Prefazioné dell’ Editore, e due Tavole degli esempi estratti da questo Volgarizzamento , e ri-. portati rel Vocabolario. Ecco il titolo de’ detti Opuscoli : 3) Lò. I. Della compunzione del cuore di S. Giov. Griso- 3» stomo nandate a Demetrio Vescovo. » Lib. II. Dalla compunzione del cuore scritta a Steleuco. » Epitola del medesimo Santo mandata a Demofilo per 3, richiamalo a penitenza, ch'era disviato . » S-. Gy. Grisostomo. Come niuno può essere offeso se. 3, non da semedesimo. i I primi lue libri già si conoscevano fino dal 1817. stampati in Roma petopera di Guglielmo Manzi, copiati con scrupolosa esattezza da un codice Barberiniano del secolo XIV. sotto il titolo: Della rompunzione. idel cuore trattati due di S. Gio. Grisostomo vorarizzato nel buon secolo della lingua Toscana. Ma tanti, e di \anto rilievo erano gli errori i quali deformavano quell’edizione del che fu causa, più che la negligenza dell’E- ditore, la persasione che il riscontro di un solo codice bastar potesse a dareuna lezione corretta ) ché il Rigoli si risolse a riprodur ques) libro sopra un codice Riccardiano , incompara- 74 bilmente migliore di quello del Barberini, con’ è, ben facile di rilevare anche dalla di lui Prefazione ,, ove alcuni passi di questi dune codici pone a confronto . 1} hi cat e L'Epistola poî a Demofilo, e l’altro, Libro che ha per titolo: Come niuno non può essere offeso se. non da. se. mede= simo, citato nel Vocabolario sotto il titolo di Omelia; compa= riscono ora per la prima volta alla luce. Così noi abbiamo riu- Rito in un solo volume tutto ciò che: di S. Giov. Grisostome piacque agli Accadesnici di citari nel, Vocabolario ., Un altro pregio ha inoltre questa edizione, che vie più dee renderla ben accetta , specialmente in un tempo in cui tanti schiamazzi si van facendo contro gli errori del Vocabolario della Crusca, e vogliam dire delle due tavole degli esempi poste alla fine del Volume , ove tutti gli errori che nelle, citazioni degli Opuscoli di S. Gio. Grisostomo eran trascorsi, si trovano retti ficati. Nulla diremo dei Codici consultati dal. Sig. Rigoli ,. poiché egli stesso ne dice quanto bisogna nella sua Prefazione; come pur taceremo intorno a’ Volgarizzatori di questi Opuscoli del Grisostomo , che dopo le più accurate indagini, nulla se n'è potuto sapere. Certo è che appartengono al Trecento pechè i modi e lo stile portano impressa l’ eleganza e.la purità 4i quel secolo, e i codici da cui gli opuscoli faron tratti, hamo il ca rattere di quell’ età . Diremo bensì, che la presente edizione sarebbe stata assai più pregevole, se non avea bisogno d’un Errata @rrige che rimediasse a non pochi errori oceorsì per trascurggine dello Stampatore. E quì l’Editore mentre si duole cle così male siasi corrisposto a tanta sua fatica e diligenza, averte il pub- blico, che nell’ Errata corrige non furon notati te sbagli rile- vantissimi, VP uno a pag. 107. lin. 5. ove in camio di Zoro si legga sor: cioè; Eceo che come gli occhi de’serv sono in mano de’ lor Signori, ee. l’altro è a pag. 14r. lin. 4.ove invece di nobile deve leggersi mobile, cioè: Pensa come èmobile lo stato dell’umana fortuna; il terzo nella Tavola dgli esempi alla voce seandalizzare , ove invece di debiti si hada leggere de- bili, e quivi medesimo in cambio della pag. 10. si vuol citare la pag. 184. Finalmente par che meriti un’ osservazion la voce Trib che si trova a pag. '253. di genere maschile, umo esempio, per ARIE quanto è a nostra notizia, che ci si offra dai buoni antichi. Ma sirebb’egli questo per avventnra un error del. copista, che seri vesse Trib invece di Tribi plurale di 7ribo, come tante volte si legge in Gio. Villani secondo i migliori Testi; e come per testimonianza! del Borghini ( Orig. di Firenze ) pronunziavano comunemente i nostri Padri ? Noi, a dir vero, non siam lontani dal creder che sia cosi. | Un solo esempio tratto da un solo codice, per quanto: siasi ec- cellente, non ha preme. autorità , Gun si' tratta, come nel càso nostro, non già d’ una parola posta per un’altra, ma d’un semplice scambiamento d’una lettera ) nel che quanto: sia facile l’incontrarsi conoscerà facilmente chiunque abbia parta pratica di antichi codici. ‘ Nel resto noi ripetiamo con vera persuasione doversi al dotto Editore saper buon grado, che a tanti altri bei monumenti della nostra lingua da lui dati alta luce, abbia aggiunto anche questo , che noi riguardiamo veramente con occhio di parzialità ; e desideriamo dhe un guiderdone assai più condegno che la no- stra lode venga reso alla sua diligenza e fatica, nella premura che si daranno gli amatori delle buone lettere di profittar di quei sommi vantaggi, che dalla lettura d’ opere dital fatta de- rivano, dovendo ogniuno andar persuaso, che per altra via in- darno si tenta di arrivare a ben parlare e scriver toscanamente. G. À, BELLE ARTI Mausoleo di Paoro Mascagni, opera dello Scultore STEFANO Ricci. Le chiese di Firenze abbondano di opere scolpite da Stefano Ricci: e nel tempio di Santa Croce è bellissima a veder la fede coniugale, simbolo di amorosa consorte che dimessa piange intor- no alla colonna sepolcrale del marito estinto. Ma non solo in que- sta città che pure in Siena ritrovansi opere del medesimo scultore. Ivi, nel Duomo, in quel famoso recinto, sulle cui pareti ammiransi le prime pitture di Raffaello, è stato ora collocato il mausoleo di Paolo Mascagni. Semplice è è il sepolcro. Una sola figura siede sopr” esso, ed è mesta in volto, e colle mani svolge un papiro, in cui si legge il ti 176 tolo di quel gran volume che diè nome immortale al Mascagni (1)- La statua è un poco maggiore della naturale grandezza, ed ha effigie’ di donna o Dea con abito greco. Sicchè rappresenta l’Anatomia,che . or si duole di vedere sulla tomba sparsi quegli strumenti, con cui il Mascagni aveva sì utili cose scoperto, e che egli non può all’avve- nire mai più adoperare - i Nella parte anteriore del sepolcro è è il volto, del, Mascagni in basso rilievo e di profilo: il solo volto, non tutta la figura : e .sì a molti piacerebbe che gli nomini grandi fossero tutti intieri effigia-. ti sulla propria tomba. Piaciono altresì gli ornamenti: piaciono ‘le figure simboliche: ma lo spettatore muove sempre i primi sguardi a cercare colui che vede onorato con iscrizioni in marmo o .in bronzo. E sovente accade che la più bella composizione dell’ar- tista perde alquanto di pregio; perchè non è utile alla storia. Il Ricci però ha seguito l’ uso comune, ed in tutte le parti da lui scolpite è degnissimo di lode + Nè minor lode si merita il cavalier senese Giulio del Taia, il quale ha preoccupato l’ufficio,che tutti i Toscani avevano obbligo e desideravano di adempire, facendo egli a spese sue inalzare quella nobilissima tomba , di che ho parlato . To mi congratulo d’ esser nato in un paese, ove molti intendono alla gloria della patria più che al bene privato. A. BENCI. (1) Vasorum lymphaticorum historia et ichnographia. Questa e le altre opere del Mascagni, cioè 7’ .Anaiomia per uso degli stu- diosi di pittura e di scultura, e il Prodromo della grande anatomìa, sì trovano soltanto appresso (iuseppe Molini. La grande anatomia , dubito che siasi smar- rita: tutti i rami, 0 almeno la più gran parte, erano già apparecchiati innanzi la morte del Mascagni, ma sembra che ne manchi l'illustrazione. AVVISO La tavola citata nello scritto ,, Pensieri ‘intorno a’ singolari fe- nomeni elettro-magnetici del sig. M. C. RiDOLF1,, sarà data nel fu- turo fascicolo » Errori Correzioni Pag. 25 v. 7,8 pol-pi pol-si 33 w. 32 alui ‘’ lui 34 v- 2 lesue private facoltà la sua privata facoltade 35 v. 31 ne succede ne proseguita 37 v- 28, 29 tras-pirazione . per-spirazione ST Salucoi 32 (44 I7) VA ICCELISIOI É'inzse ETA e RE Pf PR tr Fireriz e COLCLASTO 9! sopra ul litello del. Were . VUMOZIZIONIZZA E Rai Î \ mani: / i È a Lirenze 4 Led Gireervre Termometro Feza Sassi o] rss DRS e It i Z| TH COS FE PICne Co nei BERBA MISS Mn. IIAITIIITI Besa AAA RIETI! ascenezze A [N] [JA E di SUI I_\j È cs] ia “O \J [nz a [| [SE n La Lene doppia CICCELLIAE l'andamento sell ore pomeridiane 177 ANTOLOGIA N. VIII. Agosto 1821. SCIENZE NATURALE CHIMICA Veduta de’ progressi della Scienza Chimica dalle prime età sino alla fine del secolo XVII. Disser- ‘tazione del sig. Toumaso BrAwpe Professore della Istituzione reale di Londra, posta in fronte alla prima parte del terzo volume dell’ Enciclopedia Lritannica: estratto del Prof. Gazzeri. (Continuazione vedi Tom. II. pag. 1275.) SEZIONE SESTA Scoperte del Dot. BLacx relative lla causa della causticità nelle terre e negli alcali, ed. a certi. fenomeni del. calore. ; Anvestigazioni di Lavoisier. tene è stato riguardato coine uno dei chimici più distinti dell’ultimo secolo. Ma mentre non può ne- garsi che'grandi fossero i suoi talenti, brillante la car- riera che egli corse, tutti gli storici dubitano se, riguar- do al merito d’originali scoperte, egli possa paragònarsi T. III. Agosto” 12 178 ai suoi illustri rivali, ed i meglio informati lo negano apertamente. Prima di proferire intorno a ciò la nostra opinione, esporremo brevemente le sue importantissi- me ricerche. I fenomeni della combustione’ furono per Lavoi- sier, come per i precedenti chimici teorici, un prin- Dipale oggetto d'attenzione; e la teoria del calor latente imaginata dal D. Black fu presa come fondamento delle sue nuove vedute. Già, era stato riconosciuto che men- tre i solidi si convertono in liquidi e questi in vapori, vi è notabile assorbimento di calore, e che all’ opposta quando i vapori tornano allo stato liquido, o i liquidi allo stato solido, il calore sì sprigiona e divien sensibi- le. Questi fatti divennero per la scuola francese la base della sua teoria della combustione. L'aria deflogistica- ta di Priestley; che Lavoisier chiamò gas ossigene, si considerò come un composto d’ una base ponderabile particolare che si disse ossigene, unita alla materia della luce e del calore. Allorchè un combustibile brucia, la base del gas ossigene sì ‘combina’ ad esso aumentandone il peso e cambiandone le proprietà, mentre gli elementi imponderabili del ‘gas, cioè la luce ed il calore, son resi liberi, formando ordinariamente la fiamma. A confermare la sua teoria, Lavoisier istituì un’e- stesa e bella serie d’ esperimenti. Ripetendo quello così brillante del Dot. Ingen-housz, per cui un filo di ferro brucia nel gas ossigene con grande vivacità, egli provò che in questo caso 1oo grani di ferro assorbivano circa 100 pollici cebici, di gas ossigene, o grani; 36, crescen- do, proporzionatamente di peso, e !divenendo;, etiope marziale, materia fragile di color nero, composta di ferro e d’ ossigene. o Le combustioni del fosforo e d’ altre sostanze gli 179 offrirono risultamenti analoghi, dai quali dedusse con- clusioni ardite ma inesatte. (* ) Egli credette che in ogni combustione fosse neces- saria la presenza dell’ossigene, che questo si unisse sempre al combustibile, e che-sempre se ne sprigio- nasse calore e luce; mentre vi sono molti casi nei quali i corpi bruciano, anche assai vivacemente, senza il concorso dell’ossigene. Egli è però più filosofico il considerare la combustione, o lo svolgimento del calore e della luce, come un risultato generale d’un intensa azione chimica, che ha luogo in tutti i casi nei quali può concepirsi che le particelle dei corpi siano tratte in un movimento violento, di quello che considerarla come dipendente dalla presenza di qualunque sostanza, particolare, o proveniente dalle azioni scambievoli di qualunque appropriata forma di materia. Vi sono ancora molti casi nei quali l’ossigene sì unisce al corpi senza svolgimento di luce e di calore , come accade nell’alterazione che alcuni metalli prova» no-lentamente per la loro esposizione all’ aria. Accado- no poi alcune combustioni veementi, non solo senza ohe'abbia luogo condensazione d’aria, ma con produ- zione di gas, come avviene bruciando la polvere da can- none. Un’ altro difetto dell’ ipaicei francese consiste nel far derivare dal gas ossigene la luce che si sviluppa per la combustione, mentre essa deriva principalmente dal combustibile. (*) In quest’ estratto si sono sempre riportati i sentimenti , e spesso l’ espressioni stesse del. sig. Prof. Brande. Ma poichè in quasto luogo, come in alcuni che precedono ed in altri che se- guiranno, noi discordiamo dalle sue opinioni , ci riserviamo l’ ap- porre in fine alcune osservazioni relative . ii 180 La denominazione ossigene creata da Lavoisier appella alla di lui opinione che il principio indicato per essa fosse l’unico generatore degli acidi. Ora esistono diversi acidi, che non contengono ossigene, ed esso forma all’ opposto altri composti differentissimi, come gli alcali e le terre. Black aveva scoperta l’aria fissa; Priestley, Schee- le , e Cavendish avevano estese notabilmente le cogni- zioni relative ai modi di produrla ed alle sue proprietà. Ma Lavoisier ne determinò esattamente la natura e la composizione. Egli bruciando un peso determinato di carbone in un volume determinato di gas ossigene, as- sorbendo per mezzo della potassa l’aria fissa prodotta, e verificata esattamente la quantità di carbone residuo, riconobbe in quali proporzioni il carbone e l’ossigene concorrono alla produzione dell’aria fissa, che egli chia- mò gas acido carbonico, perchè, dotata delle proprietà degli acidi, come avevano già osservato Keir, Berg- man, e Fontana.. È noto che gli accademici del Cimento fino dall’an- no 1690 dirigendo sopra un diamante il foco dei raggi solari riuniti per un forte specchio ustorio, giunsero a dissiparne intieramente la sostanza senza alcun residuo. Altri fisici confermarono questo fatto, ma era ancora incognito in quali prodotti si trasformasse il diamante în questo caso. Lavoisier dimostrò che la presenza del- l’aria era indispensabilmente necessaria alla produzio- ne del fenomeno, il quale però doveva riguardarsi come una vera conii. Effettuando questa a contatto del gas ossigene in un’ apparato opportuno, ed ottenendo per unico prodotto l'acido carbonico, concluse essere il diamante una so- stanza molto analoga al carbone. 181 Rutherford nel 1772 aveva scoperto il gas azoto riell’ atmosfera. Priestley nel 1774 aveva scoperto il gas ossigene, non già nell'atmosfera, ma ricavandolo dal precipitato rosso di, mercurio. _ Lavoisier impiegando mezzi altrettanto ingegnosi quanto esatti fece una vera analisi dell’aria atmosferi- ca, isolando uno dall’altro i due gas che la compongo- , no , determinandone assai prossimamente le proporzio- ni, e facendone conoscere i principali caratteri. 1° Oltre queste ricerche e scoperte, Lavoisier fu au- tore di molti scritti scientifici inseriti nelle memorie déll’accademia di Parigi. In uno di essi, decorato della corona accademica, egli prese a risolvere la questione sul miglior metodo d’illuminare le strade d’una gran capitale. Nel 1770 combattè un’opinione allora domi- nante intorno alla conversione dell’acqua in terra, e due anni dopo pubblicò un saggio geologico sopra i cam- biamenti e la stratificazione del globo. Nel 1774 aven- do già cominciato ad occuparsi delle importanti e de- licate indagini della chimica pneumatica, ne pubblicò un’ingegnoso ed esteso prospetto; quindi la sua teo- ria dell’acidità, della combustione, e dell’ossidazione, i suoi esperimenti sopra la composizione dell’acqua e dell’ atmosfera, e le sue vedute relative alla natura ed alle proprietà del calore . Nel 1789 videro la ‘luce i suoi elementi di chimica, nei quali sono esposte le sue ricer- che sperimentali. ‘Lavoisier promosse anche la chimica delle arti e delle manifatture, alcune delle quali gli debbono no- tabili miglioramenti; nè trascurò le sue applicazioni al- l’agricoltura. Fu anche abile nell'economia politica, e cuoprì per alcuni anni l’impiego di commissario del tesoro nazionale. » 132 Il carattere morale e sociale di Lavoisier fu supe riore ad ogni elogio. Le sue maniere erano dolci, ama- bili, ed obbliganti. Fu protettore munifico delle scien- ze,.delle arti, e dei loro coltivatori. Ma le sue stesse virtù e la sna opulenza lo additarono alla scure del car- nefice nell'epoca orrenda della rivoluzione. Egli vi sog- giacque il di 8 maggio 1794, in Parigi, nell’anno 5i dell’età sua. Spogliandoci ora delle impressioni che le virtù e le disgrazie di Lavoisier possono produrre i in noi, con- viene esaminare rigidamente i suoi meriti in riguardo alla scienza. Egli è stato da alcuni proclamato come il genio più originale, più inventivo, e più sublime, ed all’ opposto diffamato da altri come un’universale ed inonesto plagiario. Riguardando queste asserzioni come: esagerate ed egualmente distanti dal vero, noi accorde- remo che Lavoisier ha, come teorico, pochi eguali, ma asseriremo che nella qualità di originale discuopritore non solo Black e Priestley lo .superano di lunga mano, ma che egli è inferiore anche a Cavendish ed a Scheele. Se il tempo ha crollate le sue opinioni e disciolte le sue speculazioni, convien ripeterlo dall’imperfetto e pro- gressivo stato della chimica, piuttostochè dalla futili- tà inerente ad esse. Disgraziatamente l'accusa di quelli che addebita- no Lavoisier d’essersi appropriate le idee altrui senza confessarlo con ingenuità non è priva di fondamen- to. In fatti perchè producendo la sua teoria della com- bustione tacque egli le lucide opinioni di Rey e di Mayow? perchè ricusar lode e riconoscenza a Black, a Schecle, a Cavendish? perchè appropriarsi la sco- perta dell’ ossigene in faccia degli anteriori indispu- ,tabili e conosciuti diritti del suo amico Priestley? 183 Sebbene non si possa a difesa di Lavoisier fare una sodisfaciente risposta a queste domande, pure si può trovare in una involontaria inavvertenza , nell’ar- dore dell’ investigazione, e nella sua sollecita morte ragioni per attenuare i falli ad esso imputati. Fra ‘molti altri soggetti che richiamarono l’ atten> zione di Lavoisier e dei suoi colleghi è da ricordarsi la riforma della nomenclatura chimica, la quale con- tribuì all’ avanzamento della scienza facilitandone lv acquisto. Pure eccessive sono le lodi prodigate per questo titolo alla scuola francese, giacchè sembra es- sere stata spesso guidata l’ impresa più dalla mania dell’ innovazione, che dallo zelo per il miglioramento del linguaggio chimico. In fatti termini allora stimati cerretti appariscono ora non meno assurdi e soggetti ad obiezione , che i nomi fantastici impiegati dagli alchimisti. Concorsero con Lavoisier alla formazione della nuova nomenclatura Morveau e Fourcroy, i quali pos- sono riguardarsi come òrnamenti del loro paese e del loro secolo; il primo dei quali è specialmente da ce- lebrarsi per’ aver trovato nell’applicazione dei vapori acidi e poi del cloro i mezzi di distruggere ogni in» fezione. Il nome poi di Fourcroy è ben noto nel mon- do chimico. Le sue opere sono fra le più celebri che la Francia abbia prodotte relativamente alla scienza chimica, sebbene vi si osservino difetti talvolta d’in- genuità , tal’ altra d’ esattezza. Ed ecco condotta questa narrativa alla fine del secolo ultimamente decorso, epoca intorno alla quale l'elettricità cominciò ad assumere importanza come agente chimico, e l'apparato voltaico divenne un pre- 184 zioso mezzo d’amalisi, che ha in seguito prodigiosamente arricchito la scienza. lo temo che un’ occhio scrutatore sia per. scuo- prire in questo lavoro alcune omissioni , sebbene io abbia con ogni diligenza procurato di rammentare qualunque evento importante connesso colla storia ge- nerale della scienza. Non ho fatta menzione di molti i quali si sono distinti per l’ indagine esclusiva di qualche suo ramo particolare; io ho esaminato atten- tamente le opere loro, e conosco i loro meriti indi» viduali; ma avrei deviato dallo scopo di questa dis- sertazione, che è di registrare le scoperte, se avessì intrapreso anche la semplice enumerazione delle va- rie loro applicazioni. Così il sig. Prof. Brande finisce la sua bella disser- tazione, di cui abbiamo in quest’ estratto conservato sempre lo spirito, ‘e spesso l’ espressioni, e che destinata a delineare l’ istoria della chimica dalla sua origine fino alla fine del secolo 18, può dirsi corrispondere al suo oggetto. Siccome per altro è accaduto all’ autore di deviare talvolta da quella rigorosa imparzialità che egli dichia- ra volere osservare; ci prenderemo la libertà di soggiun- gere alcune considerazioni relative . E primieramente faremo osservare come la legge che l’autore afferma essersi imposta, di non registrare se non le scoperte, sembra non averlo legato egualmente in ogni parte del suo scritto, giacchè mentre vi son ta- ciuti o vi suonano appena i nomi di alcuni autori, che sebbene non abbiano fatte scoperte capitali hanno mol- 185 to accresciuto il deposito delle chimiche cognizioni, all'opposto molte pagine ridondano non solo dei lavori d’ ogni sorte, ma fino di minute notizie biografiche d’al- cuni altri autori. Il colore che domina in questo scritto | fa pensare che il ch. autore sia stato condotto a tali ed altre inesattezze da un troppo caldo amore per la gloria scientifica del suo paese, errore scusabile ed anche bello ove non offendesse giustizia. Ci limiteremo ad indicar- ne qui alcuni esempj ; avendone soppressi altri nel no- stro estratto . Il ch. autore encomiando giustamente il Re Carlo II. d’ Inghilterra per avere nel 1662 costituita e pro- tetta Ja Società reale di Londra, soggiunge che questo lodevole e raro esempio fu seguitato da Luigi XIV. di Francia, sotto la di cui protezione immediata fu istitui- ta, nel 1666 l’ Accademia R. delle scienze di Parigi. Ora l’ esattezza istorica richiedeva che si dicesse come ben cinque anni prima, cioè nel dì 19 giugno 1657 la celebre accademia del Cimento, la prima società scien- tifica ordinata a cercare le verità naturali per la via dell’ esperienza , era stata istituita a Firenze dal Gran- duca Ferdinando secondo, nel suo stesso palazzo, ed a tutte sue spese, e che questo lodevole e raro esempio fu seguitato in qualche modo, prima da Carlo II. a Lon- dra, quindi da Luigi XIV. a Parigi. Si cita Raimondo Lullo come quello che il primo abbia parlato della distillazione dello spirito di vino, mentre Taddeo Fiorentino che morì ottuagenario 18 anni prima di Raimondo Lullo aveva non solo parlato della distillazione stessa, mà aveva insegnato a farla, e descrittone gli apparati. Fra quelli che nel secolo XVI. fecero far progressi 186 alle arti chimiche e specialmente alla metallurgia si citano soli Agricola ed Erckern, tacendosi di Vannoccio Biringucci da Siena, alle molte cognizioni ed ai singo- lari meriti del quale rende pur giustizia lo stesso Agri- cola nella prefazione alla sua opera De re metallica 3 dimostrando così d’ aver letta la di lui P’irotecnia pri- ima di dare alla luce detta sua opera. Ma la parte di questa scrittura in cui l’ autore la- sci più trasparire qualche spirito di prevenzione è quella che si riferisce alla scuola francese, alla sua dottrina, ed al suo fondatore Lavoisier. Allorchè questi illustran- do alcuni fatti già nòti, ma non apprezzati e sconnessi, scuoprendone molti nuovi e luminosi, e legandoli tutti in un insieme ragionato ed armonico fondava la dot- trina pveumatica; dottrina talmente nuova e talmente sua, che generalmente combattuta in principio non ot- tenne che col tempo un’ adesione comandata dall’ evi- denza; non faceva, secondo il nostro autore, che gettare nel mondo chimico sotto lo specioso titolo di teoria francese le ipotesi di Rey, di Mayow, e di Hooke state lungamente dormienti. Quasichè sia opra da nulla ele- vare un'ipotesi disprezzata al grado di verità luminosa, e quasichè ogni grande e maraviglioso edificio non ap- partenga al paese che il vide sorgere, ne s’intitoli a ra- gione dall’ Architetto che lo costrusse, perchè alcune delle pietre-che lo compongono furono scavate in paese straniero, sebbene per avventura vi giacessero lunga- mente neglette, e senza speranza di concorrere a co- tant'opra. Egli è è poi singolare che il ch. autore così ragioni e così sì esprima all’occasione appunto di con- fre che il suo campione Dot. Priestley morì oppu- gnando acremente questa stessa dottrina, che fu di La- 187 voisier e della scuola francese finchè combattuta, e che si volle di tutt’ altra origine e pertinenza dacchè di- venne trionfante. Abbracciandola , per quanto sembra , nel suo in- sieme, il Sig. Prof. Brande crede rilevarvi alcuni parti- colari difetti. La dottrina chimiea francese riguarda co- me combustione ogni combinazione d’un corpo combu- stibile all’ossigene, e ripete dalla fissazione di questo il calorico e la luce che si sviluppano in molti casi. Il no- stro autore all'opposto, con molti altri chimici, non am- mette combustione ove non sia sviluppo di calorico e di luce, come nella lenta ossidazione dei metalli; e ri- conosce altronde per combustione qualunque fenomeno in cui abbia luogo tale sviluppo, ancorchè indipenden- temente dalla presenza e dalla fissazione dell’ ossigene . A noi ne sembra altramente; e riguardando nelle com- bustioni ordinarie lo sviluppo del calorico e quello della luce come fenomeni secondarj ed eventuali, troviamo essenziale e costante l’ unione del combustibile all’ ossi- gene, ed il loro chimico cambiamento . Che se lo sviluppo del ‘calorico e della luce ha luogo nella combinazione di corpi diversi dall’ ossigene, come per esempio dello zolfo e del rame a cerie tem- perature, oltrechè si può trovarne plausibile spiegazione nella capacità per il calorico risultata. nel nuovo com- posto, molto diversa da quella dei due componenti, ed in altre cause ancora; è poi da considerarsi che il nuo- vo composto ed.i suoi componenti conservano la ten- denza ad unirsi all’ossigene, nè han cessato d’ essere combustibili, come avrebbe dovuto accadere se aves- sero provata una vera combustione. Quanto ai metalli, se è riguardata come una vera combustione quella vivacissima e splendidissima che 188 LL prova il ferro nel gas ossigene, e che consiste essenzial- mente e chimicamente ‘nella’ combinazione dell’ ossi- gene al ferro e nella conversione di questo in protossido o etiope, non troviamo ragione per cui riguardare co- me chimicamente diverso qualunque altro processo per cui sì ottengano li stessi risultamenti; giacchè la non comparsa del calorico e della luce dipende in alcuni ca- si dall’intervenirvi l’ ossigene non in stato aeriforme, e però unito a minor quantità di calorico e di luce, ed in tutti i casi dalla lentezza del processo, per cui lo svilup- po di quelli repartito sopra un tempo assai lungo è in- sensibile in ciascun’ istante . Se, come piace al nostro au- tore, la combustione fosse sinonimo dello sviluppo di calorico e di luce, converrebbe riporre fra le combu- stioni molti effetti elettrici, molte confricazioni, com- pressioni, e percussioni onde emana luce e calore, ed ove non ha luogo alcun sostanziale chimico cambia- mento nei corpi che v’ intervengono . Ma non è qui nostro proposito l’imprendere un’in- tiera e minuta difesa della dottrina di Lavoisier, che confermata dopo la sua fondazione da un’ immenso nu- mero di fatti e di scoperte successive, è stata da alcune poche e recenti leggermente modificata in qualche par- te, non già crollata e disciolta , come si afferma. Osserveremo piuttosto come nello scritto che con- templiamo i meriti scientifici ed il carattere morale di Lavoisier non sono stati esposti colla debita imparziali- tà. Quanto ai meriti, vi si dice che come teorico ha pochi eguali, ma come originale discuopritore è molto inferiore a Black, a Priestley, ed anche a Scheele ed a Cavendish. Dandosi lode per bocca altrui al suo carat- tere morale, si fà nel tempo stesso accusare di plagio inonesto , ed affettando di addurre in sua difesa alcune 189 ‘scuse, se nè dichiara poi l’ insufficienza. I soggetti di questa incolpazione sono la scoperta dell’ ossigene che sì vuole usurpata a Priestley , e la teoria della combu- stione, che si dice tratta dalle opinioni di Rey e di Mayow. Siccome quella teoria ha per base la cognizio- ne dell’ossigeneedelle sue proprietà , bisognerebbe sup- porre una tal cognizione chiaramente espressa nelle ope- re di Mayow e di Rey. Ora ; se ciò fosse, non sarebbe più Priestley il primo discuopritore dell’ ossigene , nè il primo d’ Agosto 1774. sarebbe quel giorno se gnalato in cui la chimica ne fece la couquista. Altronde si conce- de a Scheele d° aver scoperto auch esso l ossi gene, senza saputa della scoperta di Priestley; e non può conceder- sì egualmente a Lavoisier, il qualedeve averla usurpa- ta, e non giàa Scheele ma aPriestley. Eppure di questi tre ndistiufpritori Lavoisier è il solo il quale con quella ingenuità che gli è propria, parlando dell’ossigene, dice averlo egli, Priestley, e Scheele scoperto quasi contem- poraneamente. Ora qual critica mai permette di pensa- re che Scheele abbia ignorato la scoperta di Priestley, questi quella di Scheele, l’unoe l’ altro quelle di Rey e di Mayow, e che il. solo Lavoisier abbia tutto conosciu- to .; tutto saputo , e selo sia appropriato ? La critica no- stra ci fa ragionare altramente. Sebbene alcune scoperte siario state talvolta il frutto di ricerche dirette e Jaboriose, pure più spesso iloro au- tori le hanno dovute al caso. Altronde molte scoperte, molti fatti conosciuti sono rimasti lungamente infruttuo- sì, finchè un’ uomo di genio non è sorto a farne utile applicazione. Quindi , a parer nostro, l’ accertare con rigorosa indagine un gran numero di fatti già osservati, e lesarli tuttiin ordinato sistema che meriti il nome di teoria scientifica , e che comandi l'assenso universale, 190 è nti | di gloria di gran lunga superiore a quello di seuoprire alcuni fatti isolati. Ora Lavoisierriccoeglì solo più.che tutti ichimici insieme di quel primo gene- re di gloria, non estraneo al merito delle invenzioni e delle scoperte ; di cui la scienza gli deve un grannume- ro , onesto, ingenuo, e leale per comune consentimen- to, poteva egli scendere ad appropriarsi i meriti altrui? Nè maggiore imparzialità ha osservata il nostro au- tore verso la nazione cui Lavoisier appartenne. Non vi è sicuramente uomo onesto che nonrammenti con orro- re gli eccessi della rivoluzione di Francia , e che non conti fra i più deplorabilidi quella l’assassinio di Lavoi- sier ; ma non ci sembra nè giusto nè esatto il dire, co- me il nostro autore, che questi atti di barbarie e di per- fidia degradano egualmente gl’ individuali esecutori. e la nazione che n° è spettatrice. Ed a qual dritto con- fondere in un’ accusa sì grave, etrasformare in spetta- tori indolenti i molti buoni, che impotenti a resistere al furor.dominante erano ridotti a.gemere in. segreto, non solo suquesti mali'particolari; ma sui comuni!del- la patria , e sui loro propri? Non, vi è nazione che non potesse vituperarsi ragionando così. Sebbene il nostro autore, solito ad indicare:le partie colarità biografiche specialmente dei fisici inglesi, ac- cenni di volo in una nota che il Dot. Priestley s’ imbarcò nell’ anno 1794. per l’ America e morì in Pensilvania nel 1804 ; pure è bastantemente noto che le sue opinio- nì e controversie politiche e teologiche gli. concitarono . fierissime persecuzioni, e che un popolo furibondo as- salì la sua casa ; l’ incendiò e la distrusse , sicchè vi pe- rirono irreparabilmente tutte le macchine, gli stromenti, gli scritti , la libreria ,,e quanto v’ era di pregevole e di caro a quel grand’ uomo , il quale, perduta poi ogni spe- —1_E=e: ehi 191 ranza di goder quiete in patria, cercò in America un’asi- lo ove finire 1 suoi giorni. Ora niuno infamerà l’intiera nazione inglese per non avere impediti questi eccessi . Alcuni cambiamenti, che scoperte recenti hanno obbligato a fare alla nomenclatura sistematica, sono dal Prof. Brande indebitamente rivolti a carico degli sti- mabili autori di quella. Fra essi egli tace affatto il no- me di.Berthollet, a cui la scienza deve pur tanto, ed a cui la:sola Statica chimica assicura la celebrità . Sebbe- ne quest’ opera non fosse pubblicata allo spirar del secolo 18, lo era allorchè il Prof. Brande scriveva la sua dis- sertazione, ed avrebbe dovuto rammentargli il nome del\suo celebre autore, almeno per unirlo a quello degli altri nomenclatori . i Queste poche osservazioni non tolgono alla disser- tazione, di cui abbiamo dato l'estratto, il pregio sostan- ziale dii far conoscere con ordine e chiarezza l’ origine ed i progressi delle chimiche cogniziom sino alla fine del secolo ultimamente decorso. Così ne avessimo un’al- tra la quale esponesse egualmente le molte conquiste che la scienza ha fatte negli ultimi venti anni . Sebbene con forze troppo ineguali, tenteremo di darne un ragguaglio in altro articolo successivo . 192 BELLE ARTI MUSICA 1. Storia generale della musica, dai tempi degli ari- tichi fino al presente: che comprende le vite dei più celebri compositori e scrittori in musica. IL tutto corredato di note e d’ osservazioni critiche. di Tommaso Buser professore di musica. Due volu- mi in 8. di pag. 1075 Pubblicati da Sir R. Mergioni Londra 1319. 2. Le vite d’ Harpon e di Mozart in una serie di let- tere. Tradotte dal Francese da L. H. C. RomseRT: in 8. di pag. 493. presso Murray, Londra 1817. 3. Osservazioni sopra lo stato presente dell’ istruzio- ne musicale. Di J. ReLFrE. Presso Hatchard, Londra 1819. di pag. 84. 4. It vero Basso fondamentale. J. F. Burrowes. Se- conda edizione. Londra 1820, ra tutta la folla degl’ inventori, i pittori e i musici sono certamente i meno scrupolosi nel servirsi delle fatiche altrui, ma ciò si può loro perdonare, perchè sono molto meno colpevoli degl’ istorici e de’ poeti: Il pittore che prende un’ idea di un’ altra pittura, è non- dimeno costretto a contraffarla col proprio pennello: e l’idee nella musica devono essere necessariamente es. presse colla stessa serie di suoni, onde il musico sa tro- vare la sua difesa, se ruba un’ idea o imita lo stile d’un altro compositore. Pur troppo i poeti in tutti i tempi caddero in questi piccoli furti. Si dice che Omero sia 193 l’umico poeta che non abbia» preso nulla da altri, il che forse dimostra, che oggi’ci mancano i mezzi si cono- scerne i plagi. Chancer (1)'si fa lecitorin' molti luoghi di'è0piarl’opera che: gli servì d’ originale; ma nondice che il suo Kright's Tale ( acconto del Cavaliere ) è un mero compendio della Teseide del Boccaccio, poe- rima poco” conosciuto anche im Italia. E il Dott. Percy nè suoi frammenti degli antichi poeti (Vol. III.;pag. 50) pensa chel antica ballata»del Matrimonio di Sir Gawaine (Mariage of Sir Gawaine) suggerisse. l’ idea della novella della sua moglie del bagno (Wife of Bath's Tale). Ma Tiyrwbiitt ha mostrato chiaramente che la storia risale ad un’ epoca molto. più antica, e si potrebbe piuttosto ‘credere un furto di Sir Gawaine fatto a Chancer. Spenser, Milton, Shakespeare, e tutti quelli che vennero dopo dirloro; haizno. fatto a-giovarsi, prendendo l’idee l’uno dall'altro, e le più:volte senza far- ne parola. Non sì può negare peraltro che non si siano perfezionati dietro le tracce dei loro originali, e che de loro opere non abbiano profittato abbondantemente sotto, una tal pratica, il che difenderebbe in parte simili furti; ma non' ostante il sistema non merita difesa ; e noi saremmo tacciati di negligenza; passando sotto silenzio. un fatto di questa natura. senza severa riprensione. Il Dott. Busby dice nella prefazione della sua sto- . ria della musica, d’ essersi ben guardato dall’ imitare servilmente le opere di Hawkins e del Dott. Burney, 1 quali han trattato della stessa materia, ma noi abbia- (1) Chancer celebre poeta inglese nato nel 1328 e morto nel 1400. Perfezionò notabilmente la lingua della sua nazione dietro la sicura scorta dei classici nianiAhi, È per dir meglio Toscani del suo tempo, come ne finno ancora testimonianza gli serittori della sua vita, Il liga: T. IJI. Agosto 13 194 mo trovato non solo: concetti è le parole,, ma; ancora gl’intieri capitoli presi dalla storia del Dott. Burney é da quella di Hawkins, ma tralasciamo di riportarne; le. prove per. non tediare i lettori ,. e passiamo fa saltano l'oggetto principale di quest’ articolo... |. {5 Da gran tempo avevamo desiderato di farn menzio» ne della storia della ‘musica; e nel corso delle nostre osservazioni sulla: poesia, fummo spesso tentati di far parola dell’ arte sorella ; ma le digressioni sovente, sono inopportune, e qualche volta noiose. Onde determinam. mo alla prima occasione che ci sì presentasse, di dedi-, care qualche ora ad un soggetto, che certamente merita bene attenzione. Il principio della:storia della musica non è il più interessante, ma se vogliamo dare un’ idea connessa del soggetto, l'infanzia dell’arte non è da passarsi sotto silenzio:; procureremo d’ usare la maggior brevità, a riguardo dei lettori e di noi. Per i fatti sto- rici siamo principaJmente debitori al dottor Burney, e benchè qualche volta non conveniamo con. lui, pure gli sappiamo buon grado del favore che ci ha fatto per avere egli posto in chiaro i più oscuri fatti di questa: scienza, essendo difficile di ottenerne informazioni. da- gli scarsi materiali che rapportano. alla loro storia:, avremo ancora opportunità di vedere rari e. curiosi aneddoti, dei quali senza scrupolo abbiamo fatt’ uso, sempre indicando i luoghi d’ onde si son tratti . Fra gli antichi, non apparisce che nessuna na- zione eccettuati i Greci e i Romani, sì servisse di segni per indicare gl’ intervalli o i suoni musica- li. L’ antica scala de’ Greci era composta di quat- tro note (e la moderna di otto) e di quattro tetra- cordi, chè formando una doppia ottava, completavano il loro sistema dei suoni. Le note si caratterizzavano: 195 colle lettere dell’ alfabeto, e siccome non ricorrevano alla semplice invenzione di adattar l'ottava a qualun- que suono , per mezzo del medesimo.segno; eran cos- tretti a servirsi d’un differente segno a ogni nota; ei siccome il loro alfabeto non somministrava un suffi- ciente numero di caratteri che loro bastasse gli molti- plicavano capovoltando , raddoppiando , o accentuando le lettere: onde i critici hanno congetturato, che gli accenti ebbero origine dalle note musicali, poste sopra le parole per regolare le inflessioni della voce. Questo prodigioso numero di segni rese necessariamente la musica uno studio di non ordinaria difficoltà; ed era comune nell’ educazione della gioventù, di dedicar tre anni esclusivamente per lo studio della musica, cioè dai tredici ai sedici. Quando ponevasi in musica un pezzo di poesia greca coll’ accompagnamento della lira; si mettevano due file di note sopra: le parole ; la prima serviva per la voce, l’ altra per l’accompagnamento. Im molti casi peraltro questi segni erano totalmente diffe- renti, e di quì naturalmente ricaviamo che v' erano posti per esprimere diversi sgoni , eche perciò i Greci conoscevano l’ armonia, ma alcune persone versate in queste materie lo hanno negato. Quando due segni dif-. ferenti son posti sopra la stessa parola, s'intende, essi dicono, che lo stesso suono che getta la voce nel canta- re quella parola, deve esser ripetuto dalla lira, 0 pure sono unisoni fra di loro, ed allegano l’ autorità del dotto Alipsio , e ancora del dottissimo Meibomio , e di molti altri, per provare che vi sono per lo meno ‘due segni ‘* per esprimere ‘ogni suono .. À. persone di sano giudizio sembra poco probabile che.i Greci avessero sì pazzamen- te moltiplicate le difficoltà delle loro note: non.era forse evidente , che se la lira doveva suonare le stesse 196 note che cantava la voce; gli stessi segni! ‘musicali avreb- bero servito per.ambedue? Si, sa che i Greci. erano im- barazzati. a trovare un sufficiente numero,di segni per le loro note; è egli probabile che casta la pena dil bi duplicarle e anco triplicarle per 11, medesimo suono? Finalmente quest’ apparente contradizione è messa in. campo soltanto da quegli scrittori; che non vogliono ac- cordare ai Greci il merito d’ aver: conosciuta l’ armonia dei suoni. Ora a noi sembra, rispettando quest ‘autorità, che sia molto probabile che i Greci si servissero, degli accordi, e quella medesima circostanza delle doppie file dei caratteri musicali prova che la loro musica era di differenti maniere. L'armonia non è una qualità oiibiale nei corpi s0- nori, ma è per così dire inerente ad ogni suono dovun- que prodotto. Ogni suono è formato a tre parti com- ponenti, come un raggio di luce è composto dei sette ‘colori primitivi. In molti corpi sonori questi suoni pos- sono udirsi distintamente, come nel suono d'una grossa. campana , dove fra le vibrazioni della nota primaria o fondamentale, la decima seconda e la decimasettima si sentono distintamente; cioè la nota colla sua terza e quinta componendo l’intera armonia , son generate dalle. vibrazioni di ciò che sembra ad orecchi inat- tivi ‘essere un semplice suono. Questi accompagna- menti o armonie , possono udirsi ancora toccando una delle più basse corde d’ un aperto pian-forte, ed ha l’es- perienza maggiore effetto, suonando la nota. più grave. d’ un. violoncello, il che: fa stuonare l’ altre corde, e non accorda colla corda suonante, e. facendole vibrare, fa sì che le vere armonie non sono intese. Ora non par cer-, tamente probabile che questa naturale esistenza di suo» ni sfuggisse dalla penetrazione dei Greci , e se la conob- 197 | bero, è cosa assurda il credere:che non l’ avesséroladot- tata nella’ loro ‘musica. Ma ‘quel che è certo ;, ;la-loro musica perì nelle dense‘età del.barbarismo: e nondimeno reca consolaziòne il pensare, che:se non inventata, vsola- mente condottaa novella vita:dai nioderni; è stata portà- bi ubitamerite allà sua arte sorella: a a quella perfezione, a cui peg MI nei pei be tempi sui an- MRS Grecia ) È Ss Testi nr ostotione ‘Ma sebbene noi siamo d/ opinione esa 1Greci aves- a una cognizione della patte scientifica della musica; pure incliniaimo a pensare che «avessero il.buon gusto di preferine le'semplicire nude bellezze d’una:pura melo- dia @d ana musica clamorosa ‘di: pieno’ accompagna- mento; laquale» secondo il corrotto: gusto dei tempi moderbi,è il vero modello d’eccellenza..L' opinione di Rousseau contro il ‘contrappunto deì Greci, non:èvun paradosso come molti suppongono (Dizion:della ‘mus. art. armionia!) ‘ché forse tutta ‘la: nostra armonia ‘che tahto vantiamo; non è altro che una: gotica e'barbara invenzione!) ‘alcuni non avremmo: giammai pensdto jise avessimo meglio posto mente alle vere bellezze dell’ar- te,'e' della musica ‘veramente naturale le patetica. Noi si& mio statîì sem pre: di sentimento che il piacere che re- ca una' seniplice. aria ben cantata, è di°gran lunga: mag- giore di ° quello Glie può recare il più, ‘studiato concerto, eseguito con tutto lo strepito e veemenza che è capace di’ ‘produrre là forza combinata dei: primari professori «del mondo ! ‘La giudiziosa disposizione delle differenti patti; il felicereollocamento»delle consonanze è delle dissonanze ;''che*nel loro! corrtrasto ; producano* il più bell’effetto ; ‘la'giùsta combinazione degli strumenti , relativa ‘al genere della musica ©hessi richiede per ecci- tare una tal passione, e per esprimere An tal iSentimien 198 -Lo; tutto questo senza fizlabitio vethotà al professore di musica un vero piacere, Ma deve apprezzarlo solamente quegli che conosce la scienza? Egli solo.sentirà .tutte queste combinazioni e senza tediarsi 0 distrarsi non per: derà una sola nota. Agli uditori ‘in generale non segue questo; accade loro quel che avverrebbe se un oratore aringasse in Greco: conoscerebbero che i suoi ‘periodi scorrono melodiosamente, e in una lingua che apparirà loro poeticaie sonora, ma pochissimo per non dirnulla capirebbero della sua narrazione . Così segue in un con», certo: la maggior parte dell’ udienza conosce esservi molto studio; la musica probabilmenta: scorre piana e piacevole; non v’ è nulla di duro nè di poco grato all'o- recchio; ma è greco. per loro; non conoscono i,;sugi meriti; e dopo essersi sforzati d’ udirlo per lungo tempo; ‘vicendevolmente cominciano a sbadigliare e addormen- .tansi. Ma nel colmo di questo languore universale fate che cessino tutti gli strumenti; e ché “uo, solo suoni una semplice ben nota melodia ;. subito è riconosciuta, ‘gli addormentati uditori subito tornano invita; alzano; applaudiscono; perchè intendono quel che sentono. Per qual.ragione gl’ Italiani superano nella musica qualun- que altro popolo del mondo? perchè la loro musica, ha -più melodia che armonia . Dalla singolare. formazione della loro lingua (della quale fra poco. parleremo più a lungo) nerviene che la Joro musica è più vocale. sche strumentale: non si prendon gran cura di studiare.gli accompagnamenti; gli, strumenti per lo più accordano, colla voce; e si;servono della piena orchestra solamente, nelle sinfonie , 0 per riempire. gl’ intervalli del canto» Dagli esempi che fino a noi ‘son giunti:della musica vo- «cale de’ Greci; appare che i loro accompagnamenti erano soverite di questa. specie (trovandosi due file, di note 199 presso a poco del medesimo valore, ed altre affatto dif- ferenti fra loro, lo.che ci conferma nell’ opinione che — : Greci conoscessero l’ armonia, quando volevano servir- sene) particolarmente: il cantante accompagnando la voce o con'unisoni 0 corisottave. in tal case non era ‘ammesso.verun suono ‘che per avventura interrompesse la misura del verso, o alterasse 1’ unità. e la semplicità idella melodia . «La:lorò : musica. doveva! esser perfetta icome la-Joro poesia ; eccellente come la loro scultura, idignitosa come la lord architettura. Ma dobbiamo lasciare ‘questa questione sulla musica antica perchè'non abbia- mo che congetture, e che probabilmente rimarrà sem- pre in questo, stato come un soggetto di. curiosa investi- ‘.gazione; di.cui,poco conosciamo di certo (1). La musica deve a Pittagora l’ appellazione di scien- za. Non faremo menzione della ridicola, .storia riferita da Stillingfleet. e da altri, che Pittagora trovasse i prin- scipj.dell’armonia , accidentalmente sentendo l’etfetto «prodotto dai colpi di quattro. martelli in.una bottega di sun fabbro, alternativamente dati sopra l’;incudine; ma . ‘parlererho della sua scoperta delle proporzioni musicali «nel ritrovamento del canone armonico. Se consideriamo “l’aria come un! veicolo del suono, le parti agitate di un neorpo:sonore;cagioneranno un. movimento o una ondu- dazione nelle particelle dell’aria; che;sono in immediato contatto. conlesse.sion cioconst) i 4 1) La. scoperta do antico ‘Atrimenta disotterrato dalle ceneri‘ d’ Erculàno', ha sparso qualche lume su gli strumenti degli antichi :rsi dice/che ‘sia il ‘così idetto strumento sacbu, } dal quale gl’ Italiani hanno, formato il loro, trombone: ma dicesi ì a nessuno strumento moderno, formato secondo lo stesso mo- dello, son è ‘mai arrivato ad eguagliarlo nel ‘suonò e' nella 'for- Za: la parte inferiore è di. litonzo;, «e la superiore. el l’imbocca- tura d’oro massiccio . Fu regalato da Sua Maestà il Re di Napoli a sua defunta Maestà il Re d' Inghiltetra Giòrgio! HI. x (200 ‘ ‘Queste ondulazioni spandendosi fin; cerchi concen- trici intorno al‘corpo, colpiscono:l’ orecchio, e produco- no la sensazione del LE I spiegazione del. mo- «do con cui sirgenera il suono }: s'intende! meglio osser- ‘vando quel citò segue in'uncaltro fluido, quando»le sue particelle son messe in moto. Quando uidle un sasso in | uno stagno d’acqua, 6gmuno ha osservato il moto par-. ticolare che ad'essavcomunica: lasupérficié ondeggia in cerchi: concentrici; ché rapidamente si succedono. gli ‘uni ‘agli altri intorno al’ punto idi:percussione ;. questi cerchi si dilatano per ogni. punto, idiventando; più lan- guidi, a misura che si allontanano , finchè svaniscono sulla‘liscia superficie su'cui ‘s”imerociario j) è più monisi distinguono. Se'trovano un ostacolornel lorò corso co- me ‘una spiaggia; ritornano addietro ‘in direzione con- traria ‘al centro comune; e quando ciò accade al suono, si forma quel fenomeno lle noi chiamiamo eco. |‘ Pittagora considerando la cosa; fu d’ opinione che il suono era grave o acuto; secondo. il rnumero delle vi- brazioni 0 dei ‘cerchi ‘concentrici formatipiù occulti . Anco i Principi, che cominciarono a, proteggere la nuova re- ligione, tanto. timore ayevano dell’esieso > potere dell’im- sn Romano, che Apartamente non osayano contrastar- r 9 ONI Sete \ i iù n modo autentico è quella parte della scala. fra Ja. fo- dalla e la.dominante; ve il plagale è la parte: grave, fra la. to- mica ela suldominante. .In.una fuga esatta, l’ sitio note del uièdo. autentico sono corrisposte respettivamente dall’ ultime note del plagale, o viceversa. 204 lo, tollerando una brolin ; a cui'ésso credeva proprio d’ opporsi. Oltre‘a questa vi fu un’ altra! ‘cagione ché contribuì a porre in oblio la musica; Greca e. Romana. Per l’ inveterato»orrore, con cuii primi padri della Chie- salriguardavano'i dissoluti costumi: e i riti ‘idolatri dei pagani, proibirono solennemente qualunque:ceremonia benchè remotamente connessa col paganesimo } e quindi esclusero non solo qualunque: imitazione della musica secolare, ma‘ancora quella che'essendo usata nelculto dei tempi pagani; avrebbe offerto. migliori modelli > su cui innestare: il canto della ‘lorovpropria Chiesa . La ime- lodia del canto fermo era semplicissima? rani forme idu> rata delle loro note ( le quali benchè fossero quadte. 0 bislunghe, sempre'si cantavano egualmente ) impediva- no udlla” musica Ta ‘varietà dell’ Capiressist ché s sd richiedeva ‘i senso delle parole : ‘non vi era nessuno 4 at cidente| eccettoato il B. molle; in ‘conseguenza v erà ùna gran povertà nella loro modulazione . (i YA questa mo- notonia nel cattito' fermo ché ebbe origine dalle! pròibi- zioni imposte da Gregorio ; ‘loi dobbiamo o atti Ta ponti infanzia della musica: 002 0 S4o . (KERG of (CIn' ‘questo per iodo la musica fu stabilità in Irigliiltere rali INfrate Aùistin mandato da Roma!da Gregorio! ‘per convertite Sassoni, dicesi che’ fosse il ‘piimo'ad' ‘afomae» ‘striar gli ngi iînfisteri della musica etclesiastica”. Nel''668 furono ‘spediti ‘a Kent dei riudici da Papa Vitaliao;! è. nel 686 Pipa Agatone nè spedì altrettanti per itisegnate ai'frati di Spiga e per stabilità delle dep pi di IILOD' 104) IbV9qpa 9 (1) I Tuoni maggiori nel canto fermo erano C, e il suo Do minantettè sulddonimabte: ed i 'nmvinoriceranò»A , e il so domi- nante é suddominante: è di questi sei, quattro mancavano alla loro scala, poichè, «a cagione dell'esclusione: degli accidenti non Vera nessuna -hotà sensibile 0 settima aG ;Ar,D;ovvero»E. a | sitavaoiy 0 9lagnig 205 musica nel regno di Northumberland. Intorno'a que- sto tempo cominciarono a spargersi gli organi in' Italia e in Germania ,'e ancora nei conventi dell’ Inghilter ra; el. TPIRPIFIITA: di questo strumento fu: cagione che si cominciassea coltivare la parte scientifica della musica. Guido Aretitto frate. Benedettino, che: fiorì circa . Panno 1020, si crede l’ inventore del contrappunto . Aggiunse alcune note alla scala, e questi suoni gli chia- mò col nome di Ut, Re, .Mi, Fa, Sol, La; perchè que- ste erano le prime sillabe di ciascuno emistichio in un inno di San Giovanni Batista, che per caso nélla musi- ca formavano sei note regolarmente ascendenti. (1) La, nota bassa che egli aggiunse fu specificata con un gam- ma o g greco, conforme la musica greca, e quindi la scala fu chiamata Gamut. Franco di Colonia che fiorì pure nell’ undecimo secolo, fu il secondo dopo Guido che beneficò la musica per mezzo delle sue scoperte : inventò il ritmo o bat- tuta , e dette dei cenni che poi condussero all’introdu- zione delle linee ; fu l'inventore del punto, (dat ) il quale posto dopo una nota, aumenta d'una metà la sua durata , e questa forse’ fu la più grande, scoperta che egli RAVE, Fino a questo periodo non! si cono- cevano che queste note, la massima 0 la larga, la, lun- | (1) I versi che dettero origine a questi nomi sen questi. Ut queant laxis Besanani fibris, in Mira gestorun Zamuli tuoram Solve olii Labii reatum Sancte Johannes Gl' Italiani hanno sostituito il Do all’ Ut, per essere più facile alla voce: e circa 150 anni fa; i Francesi aggiunsero la sillaba Si per. prepari -la settima nota della chiave: e così è rimasta la scala fino a’ dì nostri . 206 ga, la breve, e la semibreve: quando: Walter Qdington frate di Eveshan, che fiorì nel regno di Enrico. IH, ebbe il vanto di introdurne un altra, che egli chiamò la mi- nima. Scrisseun trattato molto elaborato sulla maniera di comporre, in cui parla del contrappunto fiorito.in modo, che sorpassa di gran'lunga tutt’ i suoi predeces- sori. Nell’ opera stessa insegna mirabilmente la manie ra di far le canne da organo, e dà delle regole eccellenti ti per gettar le campane. Circa. questo tempo ;compar+ vero ancora i trattati di Marchetto e di Giovanni de Mu- ris ( che da alcuni.si vuole che fosse Inglese ) nei quali è raccomandato l’ uso delle dissonanze o accordi dis- sonanti , eccellenti per correggere il monotono che ha un'armonia composta umicamente di consonanze 0 ac- cordi consonanti, e vi si danno delle spiegazioni circa la risoluzione delle dissonanze .. I progressi che allora erano stati fatti nella parte scientifica , influirono moltissimo ad avanzare e abbel- lire la parte pratica della musica. Fu inventata. una composizione che chiamarono mottetto, la quale fu più vivace, del tristo e monotono canto fermo, e fu cer- cato ancora d’ introdurlo nel culto della Chiesa.. Ma il 4 rigido zelo de’ santi padri, potentemente s° oppose ad una innovazione che sapeva troppo. di profanità. sece-. lare. Aveano riguardato con occhio geloso l’ introduzio, ne della sivlibirevo e della minima, ma quando si trat. tò d’introdurre i mottetti » non poterono più a lungo raffrenare il loro sdegno : supplicarono Papa Giovanni XXII. che si degnasse di prendere qualche misura per reprimere lo spirito di libertinaggio, che con troppo pericolo cominciava a manifestarsi; e.sua Santità per secondare le loro urgenti preghiere, emanò un decre- to, in cui severamente disapprovava gli abusi che era- 207 no stati introdotti nella sacra musica da Chiesa: ad- dueendo che alcune profane persone erano state:tanto sfacciate da introdurre frivole modulazioni, e guastar del tutto la melodia con indecenti did 3 (1 \e che altre con non minore ardire eran rimaste sì ingan- nate da queste fantasticlie innovazioni , (e dalle nuove note ‘e ‘novelle misure dei discepoli della: scuola mo- derna , che amavan piuttoste di lusingar gli orecchi con semibrevi e minime:, o coù tali altre sì fatte in- venzioni , che udire l’antico e ortodosso canto ecclesia- stico: severamente proibì l’uso di tali innovazioni . Nell’ istessa guisa Oddo arcivescovo di Rheims ammo» - nì le monache del monastero di. Villars, di astenersi da una 'musica tanto indecente, che non era altro che un ridicolo e giocoso canto, affatto contrario ai divoti eser- cizj d’ un sì pio monastero . Non ci possiamo perciò maravigliare che fossero sì lenti i progressi che faceva la musica; quando gli eccle- siastici erano allora i principali coltivatori di questa e di qualunque.altra scienza : .ma non era venuto an- cora quel tempo, in cui ile varie cause producendo | gradatamente un cambiamento nelle lingue del mez: zogiorno d'Europa, dovean produrre con pari effetto una rivoluzione nella sua musica. Fino dalla distru- zione dell’ impero Romano, le lingue meridionali s incorporarono colla lingua del Lazio, e con i corrotti (1) Queste son le parole della holla originale: Melodias ho+ quetis intersecant : Noi supponiamo che sua Santità alluda alle neumae o linee che si usavano circa questo tempo, e da prima furono impiegate nella musica da, Chiesa, per indicar le pause per far riprender fiato ai,cantanti; e per questa interruzione nel monotono andar del canto, fu detta che i cantanti singhioz- zavano . . 208 i dialetti degli invasori Settentrionali, le quali poi.ve+ nendo gradatamente a migliorarsi, produssero tanti, importanti effetti nella poesia e nella musica di quei; paesi, che sarebbe mal fatto. il pafcnrgii sotto sò, lenzio. STON mo) Sidlà Qualche tempo avanti sth nascita della lingua: Italiana, era stata stabilita ‘nelle Gallie la lingua Ro-. mantiea 0 Romanzesca!; così chiamata , per aver avuto per madre la lingua Micca Dopo che le province meridionali erano state soggiogate dai Visigoti e da} Burgundi, e le settentrionali dai Franchi e dai Nor- manni, non fu fatta in quel paese verun’altra inva- sione dal settentrione, mentre che l'Italia continuò parecchi secoli dopo ad esser preda d’ invasori. di tutt’ paesi, Vandali, Ungari, Saraceni; e così, mentre ciascun distretto conservava il suo proprio particolar dialetto, non poteva consolidarsi nua lingua generale e comune; e perciò l’Italia fu posteriore alla. Gallia nella formazione! della lingua. La poesia e la musica della Provenza. portò il vanto e servi di modello a tutta l'Europa per parecchi secoli dopo Carlo Magno. Ma questa superiorità si mantenne fino al tempo delle Crociate, quando la poesia e la letteratura Italiana avendo preso forza e vigore, si diffuse e fu. conosciuta’ da tutt'il resto dell’ Europa, e superò la fama dei troubadowrs; la gloria della Catalogna e dell’ Ara- gona fece di tutto! per sopravvivere, ma poi venne meno, e morì;-per sempre. In questo | eriodo era stato fatto un cambiamento importante sì nella musica che nella poesia . ? Benchè i Francesi fossero ‘in’ istato di scrivere la loro lingua prima degl’ Italiani, furono però più tardi a perfezionarla . In {talia continuarono a, ser-. - 209 virsi della lingua latina nelle leggi e nei discorsi famigliari, ma sempre in iscritto, come sarebbero sermoni , discorsi , e lettere famigliari, e continuossi per qualche secolo. Gl’Italiani non ebbero poesia fino al duodecimo secolo , e per certo deve essere stato molto tardi, poichè Dante-che fiorì verso la fine del decimo terzo, dichiara che la lingua non aveva an- cora cento cinquanta auni. 1 loro primi tentativi poetici furono brevi composizioni di pvesia lirica, la cui origine si può in qualche modo attribuire alla poe- sia: Provenzale. 1 Re di Sicilia succedettero agli Spa- gnoli nella sovranità della Provenza, e così formata una corrispondenza coni Zroubadowurs, ne sorse quella poe- sia di che la lingua lialiana s' imbevve durante questo periodo , alle corti dei Monarchi Siciliani, e che dipoi passò in Toscana e nell’ alire parti dell’ Italia. Prima dell’ usurpazione della Toscana, fatta dalla famiglia dei Medici, la forma del governo di Firenze era stata de- mocratica. Le tante occasioni che si presentavano ai cittadini di parlare in pubblico, e in conseguenza l’ in- coraggiamento dato all’oratoria popolare, ed una libera comunicazione d'’ opinioni, possono esser considerate le primarie cagioni dell’ abbellimento e della perfezione, che sì presto ricevette il dialetto di quel paese. Poco si conosce la musica secolare d’Italia di que- sto antico periodo. Pochi avanzi di canzoni o di canti dei Toscani giocolari, sono stati conservati nelle colle- zioni fiorentine di manoscritti, e ancora di madrigali (1) alla Vergine Maria. Sappiamo per tradizione, che il popolaccio andava per le strade cantando i versi di (1) E quindi i nostri Inglesi madrigali, i quali non abbondano troppo di sì religiosi e pii sentimenti, T. III. Agosto 14 210 Dante, tanto piaceva loro quella poesia, la prima che mai avessero udito. Ma il carattere della loro musica non era stato ancora stabilito; e benchè ai tempi di Petrarca la poesia fosse arrivata quasi alla sua intera perfezione, i progressi della musica non erano stati in nessun modo corrispondenti. In verità, sembra che la musica differisca da tutte le belle arti nel recarsi alla perfezione. Nella pittura , nella scultura } e nella poesia un sol passo si è fatto dall’infanzia alla virilità, dall’in- venzione alla perfezione, dalla rozzezza di un deforme tronco , al finito e maestoso pulimento d’ una statua . Eccettuato Milton, noi troviamo tutti i più grandi genj dall’ infanzia esser passati alla perfezione delle loro arti respettive, ed essersi resi celebri per sempre : dopo i giorni di Dante, del Petrarca, del Boccaccio, di Raf- faello, di Michel’Angiolo, del Machiavelli, di Leonardo da Vinci, di Galileo, di Chancer, di Shakespeare, e dei loro sommi contemporanei, non sono più comparse tali costellazioni di un genio inarrivabile. Son nati, è vero in diversi tempi uomini d’ altissima fama, ma lunghi intervalli son corsi dall’ uno all’ altro, e sono separata» mente comparsi. Il Tasso, Milton, Guido, Rembrant sono gran nomi, ma pure ad onta dei vantaggi dell’ espe- rienza dei predecessori, sono a comun sentimento di gran lunga ad essi inferiori. Ma nella musica, partico- larmente strumentale, v'è appunto tanta scienza an- nessa all’arte, che il potere e il talento d° un solo indi- viduo non può-recarla alla perfezione. I suoi progressi devono in certo modo essere regolari, deve passare per la gioventù e per la virilità, e il suo scientifico non ha limiti per giungere alla perfezione. Una volta tratta dal suo rozzissimo stato, potè ricevere un subito avanza- mento dal genio d’ un Corelli; ma fu capace di ulteriori II A 211 progressi mercè la fantasia creatrice di un Haydn, e potè esser portata quasi alla total perfezione dall’origi- nalità di un Beethoven. E però, benchè l’Italia ed altri paesi abbondino di compositorie di teoretici, non ne tro- viamo nessuno fino al decimo settimo secolo, il di cui talento fosse bastante a dare alla musica un nuovo carat- tere. Zarlino nel decimo sesto secolo fu un compositore e un teorico di grande autorità, ma escì poco del sen- tiero battuto dagli altri. Palestrina che fiorì qualche tempo dopo, fece nell’ arte qualche progresso di più, e fu stimato eccellente professore, come ne fa fede il regi- stro della sua tumulazione. /VelZa chiesa di san Pietro, presso l’ altare di san ‘Simone e Giuda ju sepolto per i suoi straordinari talenti, Pier Luigi da Palestrina, gran compositore di musica, e maestro di cappella di quella chiesa. Alla messa funebre ci intervennero tutti professori di Roma e il libera me Domine da lui composto in cinque parti fu cantato a tre cori. Verso la metà del decimo settimo secolo la musica cominciò a rilassarsi, e di tanto in tanto si veddero dei piccoli concetti e capricci. Così Merula messe in musica le parole Qui, Quae, Quod ec. imitando curiosamente lo stentare che fanno i ragazzi nel recitarle, e le corre- zioni del maestro. Ma noi tralasciando di nominare tanti altri compositori di quel periodo , tratteremo dell’ era notabile per la musica strumentale, vale a dire dell’ epoca d’ Angelo Corelli. Estratto dall’ Edinburgh Review. . NOLXVI. ( sara continuato) LETTERATURA FILOLOGIA -4 Volgarizzamenti dell’ IrrADE D' OuERo. F ra gli scritti periodici che ci pervengono d’ oltre- monti, al giornale parigino intitolato Rivista erciclope- dica concederemmo facilmente il primato, tanta è la cu- riosità che egli sa destare in ogui classe d’uomini istruiti, e così bene lo fanno rispondere al suo titolo } suoi dotti compilatori. La varietà sì accoppia in esso con la pro- fondità, la verità con l’ urbanità, la dottrina con l’ ele- ganza. Laonde tanto più ci ha sorpresi l’ incontrarvi al numero 27 pubblicato lo.scorso marzo l’ annunzio che segue. REVUE ENCICLOPEDIQUE. MARS 1821. Livres etrangers. p. 558. L’ Iliade d’' Omero ec. Iliade d’ Homére traduite in ottava rima par V abbé Eustachio Fiocchi prof. ec. Milan. 1818. Sonzogno, et comp. Apres la belle et fidèle traduction de Vincenzo Monti en vers sciolti, Lorenzo Mancini en publia une în ottava rima comme celle de Bozzoli. Malgré la dif- ficulté de l’ entreprise dans la quelle ont echoué ces deux versificateurs, l’ abbé Fiocchi n’a pas craint de la renouveler , et il l'a fait avec succès. Il a beaucoup profité de la manière de 1’ Arioste et de celle du Tasse heureusement combinées, et ce qui est plus remarqua- e 213 ble encore, il a donné à sa traduction plus de fidélité que Bozzoli, et Mancini, qui souvent altèrent et déna- turent leur modèle. Giova a noi il supporre che i sigg. Direttori di quell’ eccellente giornale cosmopolita abbiano ricevute dall’ Italia superiore, forse ancora per fatto di persona avversa al Mancini, le notizie raccolte nell’ avviso qui sopra riportato, e sia loro mancato il tempo di sottopor- ne ad esame la verità con quella imparzialità che li distingue. E come noi troviamo giusto l’encomio che il Costi- tuzionale del sei giugno scorso tributa al soprallodato giornale, chiamandolo 2’ archivio dei. progressi dello spirito umano; così crediamo prezzo dell’ opera il pro- curare che in questo archivio non s’ intromettano falsi istrumenti . Invitiamo pertanto i suddetti signori a ret- tificare quello che sopra riportammo, o per meglio dire a cassarlo del tutto per le seguenti ragioni. IT. La traduzione in ottava rima dell’ Iliade, lavoro del sig. abate Eustachio Fiocchi, ha non seguito, ma pre- ceduto di ben due anni il primo volume, e il solo pub- blicato fin ora, dell’ Iliade italiana del Mancini. Questo vide la luce nel 1818, e già fino dal 1816 la sopraddet- ta versione divisa in due volumi era in vendita appres- so var} libra} della nostra città, e noi ne abbiamo sotto gli occhi una copia portante nel frontespizio la seguen- te data: Milano nella tipografia Sonzogno e comp. 1816. Non è da credere che il sig. abate due anni dopo abbia data in luce una nuova edizione del suo lavoro Omerico, per i medesimi torchi, con pentimenti, e cor- rezioni, onde procacciare qualche fortuna al suo libro. Imperocchè il disfavore, o piuttosto la non curanza uni- versale, che incontrò al suo primo comparire nel mon- 21 do letterario non poteva aver per causa parziali difetti, . agevoli a togliersi, ma sì bene un qualche generale irre-, parabile mancamento, una specie d’originale péccato, a cancellare, o a ricomprare impossibile. E noi cre- diamo aver discoperto questo nella versione del Fioc-, chi, e senza timore di venir dalle citazioni smentiti, affermiamo esser quello istesso che tanti traduttori d’Q-; mero ha condannati all’ oblio, la scarsezza , vogliam. dire, di poetici talenti nel volgarizzare il maggior dei poeti . Nè di ciò farem colpa ad un professore di mate- matica, quale nel frontespizio del suo libro si annunzia; il Fiocchi; tanto alle scienze esatte. s” oppongono le arti. d’ immaginazione, e così di rado la parca natura accoz-. za in una sola testa discordanti facolià . E il Mascheroni, che stanco d’ integrare algebriche formule, scrive l'/72- vito a Lesbia, diremo eccezione confermatrice della re- gola; nè certamente gran matematico e gran fisico ap-. parire il Voltaire dal volume trentunesimo ‘dell’ opere sue, (*), nè buon poeta da’ suoi latini versi l’enciclopedico Leibnizio. Non altrimenti la pensava il divino Meonide,; che fece parlare Polidamante ad Ettore nel imodo se- guente: Tutti i pregi nè in te, nè in altri sono. A chi l’Olimpio dà valor nell’armi, Chi fa meglio danzar, chi meglio al suono D' arpa o di cetra accompagnare i carmi. (IL Ital: c: 13 St: 141) IT. All’ errore cronologico dell’ autor dell’ annunzio succede errore critico, quale noi porremo in evidenza più sotto per tutte le persone di gusto, riportando delle stanze del Fiocchi, e delle corrispondenti del Mancini, (*) Ediz. di Beaumarchais - | 215 quante bastino al nostro oggetto senza troppo nojare il lettore. Imperocchè non si tratta qui di ponderare me- rito filosofico 0 filologico, per lo che convenga, scor- rendo interi trattati, discutere a lungo. In fatto di stile, e particolarmente di stile poetico, pochi versi bastano a far discernere il buono ‘dal cattivo scrittore, colui che scrive come detta la musa, da tale che invito Apolline si trascina per gli aspri sentieri di Parnaso, e di cui La disianza vuol volar senz’ale- Certamente quello che ci ha fatto maggior meraviglia nel citato annunzio è il vanto che vien dato al Fiocchi: di aver egli saputo nelle sue stanze formarsi unaspecie di terza maniera, composta delle due assai diverse dell’Ario- sto e del Tasso. Questa per vero dire è la migliore strada che possa prendere oggigiorno chiunque s’ attenti a poe- tare, o a volgarizzare i poemi altrui nel pomposo metro della nostra epopea. Noi però non troviamo nelle ot- tave del sig. professore di matematica nulla che possa giustificare, almeno in parte, il suddetto elogio. Vestigio del Tasso non apparisce in quei versi, per lo più duri e stentati, in quelle stanze assai spesso imbarazzate e diffor- mi, nelle quali la posa cade sovente fuor di luogo, la chiusa manca non di rado del vigore di cui abbisogna per col- pire gratamente il leggitore, non è franchezza, non gradazione, non peso, e tutte le regole di quel gran maestro ci sembrano violate. Molto. meno vi scopriamo ombra pur tenue dell’ Ariosto , scrittore il cui primo pregio, unitamente alla ricchezza dei modi e delle ri- me, si è la facilità, la chiarezza, la spontaneità, e quel- lo che i Francesi con più espressivo vocabolo chiamano abandon. Da tali qualità d’ un buon poeta più che da tutte altre si allontanano i versi del Fiocchi; all’ incontro nell’ ariostesco Bozzoli, quantunque fiacco e triviale ver- 216 ‘seggiatore, brio, franchezza, disinvoltura si desiderano di rado, e in questa parte il sig. abate poteva molto imparare dal buon gesuita . i ILL. L'ultima cosa da osservare, e da riprendere nell’ annunzio in questione, ci sembra non tanto la lode che si dà al Fiocchi di essersi serbato più fedele al testo. che il Bozzoli e il Mancini, quanto l’ accusa che si fa succedere per questo secondo di aver alterato spesso e disnaturato il suo modello. Certamente se per fedeltà ad un originale si voglia intendere: tutti i modi , e le parole riportarne esattamente in una lingua che so- vente quei modi non soffre; a quelle parole non ha cor- rispondenti, il Fiocchi supera in questo il Mancini. Ma questi non si è mai proposto di fare ciò che gli sì rimpro-+ vera non aver fatto; egli ha sentito che il metro da lui scelto non poteva a tal giogo piegarsi, e intitolando il suo lavoro non traduzione dell’ Iliade, ma Iliade fatta ita-. liana, si è dato quel più libero campo che il suo assunto gli permetteva. A moi però non sembra che egli abbia abusato di questa libertà, nè che si possa dire con veri- tà aver egli disnaturato il suo modello, perchè i in molti luoghi i colori ne ha rinforzati, e sviluppati i sentimenti; valendosi a suo soccorso o di altri luoghi dell’ originale, o di dotti commentarj. Nulla meno, quando la brevità, necessaria all’effetto, è uno dei pregi ammirati nel pa- - dre degli epici, il Mancini sa esser breve quanto altri . Un traduttore dell’ indole del. Fiocchi ci sembra veramente alterare, e disnaturare il suo originale, toglien- dogli tutte le bellezze; e lasciandogli ogni difetto. I difetti d’Omero, o veri 0 supposti, sono di qualità da doversi necessariamente copiare in una versione sufficiente- mente esatta; e lontana dalle ridicole pretensioni di ri- forma, le quali dell’Iliade del La Motte, e di quella del CADERE SI I RE nn CINFIE 217 Cesarotti due mostri composero uno più dell’altro defor- me. All'incontro le bellezze consistendo più che in altro nello stile, non saprebbero riportarsi, o compen- sarsi in altra lingua che da un favorito delle muse. La naturalezza, il calore, l'armonia sono, a giudizio d’ogni età e di ogni culta nazione, i pregi maggiori della poe- sia d'Omero. Ora dunque trasportare 1 suoi versi in altro idioma senza naturalezza, senza calore, senza ar- monia, ecco, a parer nostro, la vera, la grande altera- zione continuata per tutta la bugiarda copia, ecco non una fida traduzione, ma un perfido tradimento. Abbandonare alcuna idea; alcuna frase del testo, dopo aver sentito l’impossibilità di ben renderla nella propria lingua, e sostituirvi altra idea, altra frase, que- sta alla maniera, quella al tempo relativa dello scrittore originale, può forse incontrare il biasimo de’ pedanti, ma deve ottener la lode di tutti i veri conoscitori. Que« sti secondi certamente pensano dovere un buon tradut- tore porsi nella situazione del suo modello, e identifi- candosi, per così dire, con esso, scrivere per quanto può in quel modo, (e trattandosi d’ un poeta in quel metro ancora ) che questi avrebbe usato scrivendo original- mente in quell’ idioma in cui vien trasportato. A chi pertanto, che pedante non sia, non mo- verà il riso, il vedere come il Fiocchi si tormenta per rendere in italiano quegli epiteti composti , che sovente vani, e niente a proposito, e talvolta ancora contro il proposito sì trovano nell’ Iliade? Perocchè non bisogna portar tant’ oltre 1’ adorazione per que- sto padre della poesia da ritrovare nel suo stile quella perfezione che non vi è. Del fare di lui può pren- dersi un'idea da chi ignora il greco, in Lucrezio e in Catullo, poeti non poco discosti dalla Virgiliana elegan- 218 za, e da quella'd’ Oppiano, detto da Scaligero il Virgi- lio dei Greci; ed.espressioni simili a quel terrai, frugi- ferai, deriso nel secolo d'Augusto, non di rado s’ incon-. trano nel cantor di Meonia. Mydè ta vas Arad èrebuer dpupiedissas dice nel secondo libro Pallade ad Ulisse : letteralmente, nè lasciar che traggano al mare (i Greci) le navi quinci e quindi spinte da’ remi. Questo aggiunto oziosissimo duqierissas, che ha bisogno di tante parole per essere reso nel volgar nostro, da un traduttore di senno o de- ve abbandonarsi, o compensarsi con altro più adattato, e d’ una sola voce. Ma lo scrupoloso Fiocchi non ha vo- luto perder questa gemma, e traduce così: E non voler che tratte in mar sian quelle De’ remi all’alternar navi sì snelle . E non sembra egli da questo modo di tradurre, che Minerva non voglia che le navi de’ Greci siano poste in mare per la ragione che sono agili, e obbedienti ai remi, e che se fossero più gravi e tarde al corso non farebbe difficoltà di permettere a quelli il vararle , e faggirsene al loro paese, forse perchè darebbero loro il . tempo di pentirsi, e a mezza strada tornarsene addietro? Vediamo altro esempio di questo mal accorto co- stume del nostro traduttore, onde più chiaro apparisca quant’ egli veramente ze alteri e disnaturi il suo mo- dello , rendendolo pienamente ridicolo . Nel libro sesto, Ettore venuto dal campo alla città per comandare un sacrifizio a Minerva, si giova di que- sta occasione per abboccarsi con la sua consorte Andro- maca, ed entrando a tal fine nel suo palazzo, e non ve- dentlola, dimanda all’ ancelle di lei dove si trovi la loro padrona. Tralasceremo, come inutile per molti, di ri- portare il testo, e soltanto diremo che ogni persona, 0 219 elasse di persone nominate in quello, vanno adorne, di aggiunti, i quali, quantunque oziosi per la più parte, non guastano nel Greco la naturalezza; e la semplicità di questo luogo , ed essendo tutti di una sola voce non troppo ne ritardano l’ andamento. Ma si potrà egli dire l’ istesso della traduzione del Fiocchi? Odasi, e nun si rida, se si può. Visto ch’ ella non v’ era inoltra il piede Verso la soglia, e il limitar ne preme, Ed alle damigelle il cavaliero Così favella ; or voi mi dite il vero. Fuor dal palagio or dove mai di belle Candide braccia Andromaca n’ è ita? Qualcuna a riveder delle sorelle Di peplo vagamente rivestita ? O al tempio della Dea, laddove anch’ elle Le Trojane di chioma in trecce unita Placan la Diva sì tremenda e fiera? Risponde l’ avveduta dispensiera. Poiché tu vuoi che il vero io ti rammenti, Ita non è fuor dal real soggiorno Dalle cognate, o dalle sue parenti Sì leggiadre a mirarsi in manto adorno, Nè al tempio della Dea ec. Oltre l’ errore di cui parlammo, molto avremmo da correggere in questi versi; e il limitar della soglia, e quel rammentare il vero, per dire il vero, come se Ettore fosse già informato del luogo dove era Andro- maca, e lo avesse dimenticato; e il prosaico dalle. per alle poetico, e quel parenti posto dopo cograte , come se ancora. le cognate parenti non fossero: ma troppo ci dilungheremmo .dal nostro oggetto: al quale limitan- doci noi, dimanderemo al ‘sig. Professore: se la lingua meravigliosa di Grecia non avesse ad Omero sommini- strato ‘il modo di esprimere in un sol vocabolo quei gruppi d’ idee accessorie ed ornative, sarebbe egli ricor- 220 so alle circonlocuzioni di cui abbisognate nella vostra per riportarle? Egli che dipinge così ben la natura, en-' tra perfettamente nelle situazioni de’ differenti perso- naggi. che fa agire, avrebbe forse fatto che un uomo pieno di cure e di fretta siccome Ettore, indicando le cognate d’ Andromaca, si trattenesse un intero verso a dire che sono elleno dî peplo vagamente rivestite , e a dirlo ancora in modo equivoco, cosicchè lasciasse altrui il dubbio se ad esse o ad Andromaca quell’ abito ap- partenesse. Il Mancini, omettendo dietro 1’ esempio del Pope, quei vani composti, ha potuto rinchiudere in dieci versi quello che è ne’ diciotto o venti del Fiocchi. Eccoli: Come lei che sì brama entro non vede S’ arresta Ettor su’ limitari, e chiede. Su dite, ancelle, ove trovar mia sposa ? De’ miei germani con le spose è forse ? O con le meste Iliadi opra pietosa Divide, e al tempio di Minerva corse? Quella su cui della magion riposa La prima cura tal risposta porse: Tua consorte, signor, nè con le care, Congiunte stà, nè di Minerva all’ are. Ma poichè siamo venuti in discorso di brevità, ne giovi qui prevenire. un’accusa che potrebbe esser fatta per questo lato al Mancini. Se nel citato luogo, dirà ta- luno, il Fiocchi è più lungo del vostro favorito tradut- tore, in. generale quest’ ultimo si distende tanto di più che i canti del Mancini superano quelli del Fiocchi di dieci, e talvolta ancora di venti stanze. Noi risponderemo che il Mancini non è matema- , tico come il Fiocchi, il quale nella sua prefazione con- sidera il lavoro che ha tra mani come un problema da sciogliere. « Adunque, sono sue parole, io proposi a me rulez A a c se Jenne <* È, a cirie =: viria PES A TR ANTE ’ 221 stesso il quesito: dati alcuni versi d’ Omero farne un' ottava italiana. È chiaro che il quesito ridotto a questi termini è vago e indeterminato, e in cento e mille ma- niere può sciogliersi . Apponghiamoli qualche altra con- dizione: che l’ ottava sia piana, facile, naturale , disin- volta, in linguaggio poetico ec. Allora la soluzione ne sarà più operosa e difficile; e parmi evidente che non possa ottenersi se non per approssimazione ». Il Mancini si è burlato di tutti questi calcoli, e del compasso d’ Archimede nei lavori di Calliope. Persuaso che un poeta non può esser ben tradocto che da un al- tro poeta, ha posto ogni suo studio in divenir tale , su- ‘bordinando ogni altra considerazione a quella di far dei buoni versi. Nè certamente a questa sua opinione ha trovato contradire l’ esempio di quei pochi tradut- tori dei classici poeti, che l'eccellenza loro ha quasi sollevati al grado degli originali ne’ loro idiomi respet- tivi. Il Caro ha sopra cinquemila versi più di' Virgilio , e non pertanto non è riuscito, e non riuscirà mai ad alcun de’ tanti suoi successori di cacciar di nido quel- la sua veramente poetica versione, ad onta delle molte macchie che la deturpano. Il Pope ancora, il De Lille, tutti i traduttori maestri sono più lunghi de’ loro modelli. E perchè? Perchè hauno voluto scri- vere per esser letti, non tartagliando in rima, ma favel- lando con l’ eloquenza degli Omeri e dei Maroni. Che importa alcun verso, alcuna stanza di più? Certamente un’ ottava dura , forzata, contorta, piena d’oscuri od equivoci sensi, affatica e trattien più il leggitore che due chiare , facili, disinvolte , dove non asprezza, non bassezza, non improprietà dpr e di voci sparir fan- no le bellezze dell’ autore trad otto, ma dalle virtù a que” Te Pz) Pra cdl NS - Lo ‘3 222 difetti contrarie rilevate vengono invece, e poste nel più vantaggioso lume. E per questo ottenere , e voltare con qualche successo Greci o Latini esemplari in una delle culte lingue della moderna Europa, di tanto infe- riori all’antiche, ha pensato il Mincini doversi il tra- duttore costantemente tenere un tuono sopra al suo ori- ginale : altrimenti rischiare di rimanersi in terra quan- do quello vola, e quando cammina strisciarsi nel fango. Dalle asserzioni passiamo ora alle prove che pro- mettemmo nel secondo paragrafo : ma non si spaventi il lettore. I limiti di un articolo di giornale non ci per- mettono d’istituire lunghi confronti, e inoltre, come fin d’allora esponemmo, stimiamo perfettamente convenire al caso nostro il noto adagio intelligenti pauca. 11.1. I. Preghiera di Crise ad Apollo. Fiocchi Discosto quindi ei sì pregò tra via Di Latona chiomata il figlio Arciero. Odimi, o ta Sminteo, che nella pia Tua Cilla, e in Crisa, e in Tenedo hai l’ impero: Se fianchi io mai di capri e buoi t’offria, E coronai di fior tuo tempio altero ; Questo voto mi adempi : Al pianto mio Paghin gli Achei per gli tuoi strali il fio. MANCINI O tu Sminteo che l’ arco argenteo pieghi, Che Crisa, e Cilla di tuo nume hai piena , Forte in Tenedo regni; odi i miei preghi, Mira di Crise la paterna pena. S’ è ver che pompa di be’ serti ei spieghi Nel tempio tuo, se pingui ostie ti svena, Rendano a’ Greci il stiffiolor gli strali Che tu scocchi invisibili e mortali . . 223 Apollo intése la preghiera, scese irato dall’Olim- po, e fermatosi dirimpetto alle navi dei Greci, Fioccni Per nove giorni ir fea le frecce a volo, Quando Achille a consiglio unì lo stuolo. Giunon la diva dall’ eburnee braccia Gliel pose in cor; che degli Achei le increbbe: Poichè scorgea come il morir gli agghiaccia. Mancini Per nove dì ferian di prora in prore Le saette del Dio la gente Achea, Quando, al ritorno della quinta aurora, Convocolla Pelide in assemblea. Poseli in mente quel pensier la suora E consorte di Giove, e d° Argo Dea, Cui sollecita in cor ferve pietade Del suo diletto popolo che cade. Teti ascolta i lamenti d’ Achille ed esce dal mare’per consolarlo. FioccHi Così dicea piangendo, ed il suo pianto, E le sue voci udì l’inclita Dea, Che in fondo al mar sedeasi al padre accanto; E dall’ onde, qual nube, indi sorgea. ‘ Si pose innanzi al caro figlio, e intanto Lo chiamava per nome, e lo molcea: Che hai, che gridi sì, figlio? Qual rio Dolor t’ assal? Parla ; che il sappia anch’ io. Mancini Dall’ imo fondo, ove godea sederse Col vecchio genitor, del figlio a i lai Candida Teti, e rugiadosa emerse Qual nuvoletta a’ mattutini rai; E incontro a lui per carezzarlo. aperse 224 | Le palme, e cominciò: figlio, che hai? n Quali cagioni al duol ? Spiegati, dille ; E sappia Teti perchè piange Achille . acasnhi lit i Cominciamento del libro terzo. FioccHI Schierati omai duci e guerrieri in campo, Con rumor vario di confusi gridi Moveano i Troi, qual se del verno a scampo Volan le gru dell’ oceano ai lidi, E di scempio ai Pigmei foriero inciampo Scontransi in aria con funesti stridi. MANCINI Poi che mosse l’ Acheo, mosse il Trojano Duce tutti composti i propri armati, I Teucri empian di tanto grido il piano, Con quanto in cerca dell’ eterne estati Ver l’ austro vola e l’ ultimo oceano Peregrinante popolo d’ alati, Che fugge l’ ira de’ Trioni e ’1 gelo, E la guerra a’ Pimmei porta dal cielo. Libro suddetto. Menelao si rallegra alla, vista di Paride . FioccHi Come lion cui lunga fame incende, E una belva a rincontro in sulla traccia, O cervo altero, o capriol sorprende, S’ allegra in core, e disbramar procaccia L’ avide canne, e nol ritien, nè apprende Foga di veltri, o giovenil minaccia. MANCINI Come leon famelico s’ allegra, Se d’ animal s’ avviene in corpo vasto, (Pur or trafitta capriola, od egra | | 4 Ù | | ì LI 2% Cerva) e si gode il semivivo pasto; ) Né pria ch’ ei n° abbia disbramata integra La gran rabbia del ventre s'è rimasto Dal divorarne i sanguinosi brani, Quantunque ha sopra e cacciatori e cani. 2} ì © I conoscitori in poesia. vedranno da queste poche stanze, prese alla ventura nelle due traduzioni, se quel- lo che asserimmo è giusto , e quanto il povero Fiocchi sia lontano dall’ avere sciolto il problema che si è pro- posto .. Nè certamente; perdoneranno a Giunone la ;scioc- chezza sua, di tanto addolorarsi in veder come la morte agghiaccia.gli Achei, quasichè l’immortale Dea,;là nella beata reggia d’Olimpo, non sapesse (per ;erudizione.al- meno, se non per esperienza) che i poveri. mortali, ap- pena tratto l’ultimo fiato si raffreddano'a poco a poco, fino a livellarsi mel. calore coi corpi inorganici che li circondano. I dotti troveranno ancora travisato affatto il testo in que’ due versi (buon Dio, quali versi !) E di scempio ai. pigmei- foriero inciampo, Scontransi in aria con funesti stridi Omero non dice già che le. gru s' incontrino in aria ‘avanti di piombare sopra i Pimmei, (e già nol posson fare venendo tutte con egual velocità dalla medesima parte del cielo), ma ce le descrive calanti giù dall’etra con grand’ impeto sopra i loro terrestri nemici. Così pure nel terzo e quarto dell’ ultima stanza citata; vive ed intatte ci rappresenta il Fiocchi quelle fiere che Omero ci dipinge di fresco morte , o agonizzanti, e di- stese sul terreno. E ‘in questo errore incorse il sig. abate per non averinteso il valore della.voce s&44 che Omero mai non usò in significato di corpo vivo: (ve- di Heine Obs. in Iliad. t. 4. p. 454) ed atico per aver- mancato di osservare che il poeta, al verbo «arestiv, T. III. Agosto 15 226 divorare, avrebbe fatto precedere altro che importasse, uccidere, scannare, se avesse inteso parlare di fiere vi- venti; non essendo costume di lui come lo è talvolta di Virgilio, il sopprimere le idee intermedie, e lasciarle indovinare al lettore. Imbroglierà ancora taluno il pas- saggio durissimo e inusitato dall’ accusativo al nomina- | tivo in quelli «+ + + + + + E nol ritien nè apprende Foga di veltri o giovenil minaccia. e se non volgerà gli occhi al testo non potrà mai ve- nirli in mente che per gioveniZ minaccia il tradut- tore intender voglia minaccia di giovani cacciatori, quando da quel che Pirerde Apparieta significare; di giovani veltri. Scegliamo un luogo del testo dove i due traduttori più s' incontrino, onde meglio si possa giudicar del va- lor poetico di amendue.. Ajace paragonato a un torrente. Lib. undec. * Froccni Come addivien talor se fiume altero Giù dai monti nel verno al pian ruini, Quando la piena il fa più gonfio e fiero, E querce seco inaridite, e pini Travolga, e per lo rapido sentiero Torbido, limaccioso.al mar dechini » Tale Ajace inondando allor si volge, E in un cavalli e cavalier travolge. Mancini Come torrente che di verno al piano Da monte ripidissimo ruini, Precipitando seco all’ oceano Il fior del suolo, e gli abituri alpini, E queree antiche, radicate invano i 1 i L 22] Nell’ aspre rocce; e grandi abeti, e pini: Così trascorre Ajace, e per la polve Fanti e cavalli e cavalier travolve. La buona opinione che portiamo dei nostri lettori ci risparmia qui l’indicare le durezze di suono, e le im- proprietà di voce o di frase, che in questa stanza s' in- contrano come in ogni altra del Fiocchi, facendoli gra- zia ancora di quel rapido per ripido sentiero, quale supponghiamo error d’ impressione, non di giudizio. ‘Per la ragione istessa questi pochi e brevi saggi stimia- ‘mo bastanti a persuader loro, che la. medesima diffe- renza di stile, e maggiore ancora in vantaggio del Man- cini, si potrebbe trovare a.qualunque pagina si aprissero i due libri: Ma noi pensiamo che quel del Fiocchi non si apra in Jtalia, ad onta delle lodi partite in posta dalla Senna, o piuttosto di là respinte col fascicolo ventesimo settimo della Rivista. Perchè quantunque la patria dei Menagj, dei Regnier, dei Ginguenè, prima sede d’ogni «cultura Europea, vanti ancora senza dubbio uomini ca- paci di giudicare in fatto d’ Italiana letteratura , noi crediamo che verun di questi abbia seduto a scranna colà per. giudicare tra il Fiocchi e il Mancini. Nè al dotto continuatore del Ginguenè, all’ egregio Salfi, no- | stro compatriotta, uso.a fornire il soprallodato giornale parigino ‘di ottimi articoli riguardanti l’ Italiano Par- naso, faremo il torto di creder suo l’ annunzio in que- stione , parendéci impossibile, che quantunque possa forse trovare a ridire sulla Iliade italiana del Mancini, . . . ® . voglia metterla del pari con la traduzione del Bozzoli , e sotto a quella del Fiocchi. Nè possiamo (1) pensare che sè egli non crederà dover assentire alla lodi di tal giornale d° Italia, che 1 Iliade italiana prepone ad ogni altra traduzione d’ Omero (2), voglia invece nel biasimo 228 andar oltre alla Biblioteca italiana ; o piuttosto a colui che non dall'amor delle lettere animato, ma per ven- detta di torti non suoi (3), inserì in quel giornale un articolo poco al detto libro favorevole .. Eppure in tale scritto così parlò egli della traduzione del Fiocchi, due anni avanti che encomiata venisse dal, giornale pavigi- no. « Perchè i nomi del Leo, del Groto; del Tebaldi, del Bugliazzini, del Casanova, del Bozzoli, tutti vol- garizzatori dell’ Iliade in ottava rima, furono seppel- liti con essi, e a quello del Fiocchi -( ultimo e vivo traduttore in tal metro) toccò di morire, come a que- gli eroi d’ Omero, innanzi tempo? Bibl. ital. vol 14. p. 344.» E in ultimo concludendo il suo giudizio s0- pra il libro criticato ; si lasciò uscir dalla penna la confessione seguente .. « Nè per verò:dire ci saremmo tanto allargati nello scrivere se questa versione ne fosse. paruta affatto povera di bellezza, e se non I’ avessimo trovata meritevole di stare lunghissimo tratto innanzi a tutte le altre dettate nel metro delle stanze ..Tvi p. 362. » Crediamo che il Mancini farà più conto di que- sta lode in bocca d’ un nemico, che degli elogi, non di- rem degli amici, ma degl’ imparziali conoscitori, e con- tinuerà l opera sua. E in fatti egli ci assicura che nel futuro anno darà in luce altri sei canti in aggiunta ai dodici pubblicati , e risponderà con ‘buone ragioni ( e speriamo con' buoni versi ACHE all’ Ipercritico Lom- bardo. Noi frattanto, pubblicandone anticipatamente qual- che squarcio nell’ Antologia nostra, non dubiteremo far cosa grata a molte dotte persone, che desiderose si mo- strano di veder condotta a fine la laboriosa ;impresa del Man ini. E tal desiderio prova abbastanza non esser bueila mancata (echouée) avanti il compimento suo, N cà "nd. LIM TO en EVA Tr 229 some l’ autor dell’annunzio asserisce , ma vivere |’ I- liade italiana insieme con la traduzione del Monti, e tenersi in conto di buona (4). E già l'una non esclude l’altra, tanto e di scopo e di metro sono fra loro di-. verse. E nulla crediam nuocere alla prima, e all’ O- mero del Fiocchi giovare il suo primo e solo lodatore; ma unicamente , col darne contezza di un’ opera ad ogni critica inferiore cinque anni dopo la nascita e morte di quella, risuscitare esso un defunto per il fi- nale giudizio. X. NOTE (1) La presunzione nostra si cambia in certezza dall’ osservare che il Salfi pone sempre il suo nome, o l’iniziale di questo, sotto i più brevi articoli, od avvisi che a lui appartengono nella Rivista. (2) Giornale di Napoli intitolato Biblioteca analitica N. 43. (3) Il Mancini nel sonetto preliminare, forse con poca verità, ma certamente con nessuna discrezione, chiamò scarna la versione del Monti. Inde irae. (4) E fra i buoni è certamente il Mancinì. Giornale toscano detto il Satellite. i L’ egregio sig. Acerbi, direttore del più illustre fra i giornali d’ Italia, va ancora più avanti, chiamando l’Iliade fatta italiana , tavoro per molti titoli pregevolissimo. V. Bibl. ital. vol. XVII. pag. 22. Or chi potrà sospettare parzialità nell’ Acerbi per alcun autore, e in particolare per un autore Toscano ? 230 SCIENZE MORALI E POLITICHE. Economia Lettres è M. Malthus ec. Lettere al sig. Malthus sopra diversi soggetti d’Economia Politica, e specialmente sulle cause dello stagnamento, generale, del. com- mercio; di G. B. SAY Manibro di molte Accademie, ed autore del Trattato d’ Economia Politica . Parigi presso Bossange padre, e figlio, e C. ec. 1820. 8.° di 134 pag. ESTRATTO Aiitorcio il celebre Smith annunziava nel 1776 che la ricchezza consiste nel valor cambiabile delle cose, e che, come appunto questo valore poteva darsi, aggiun- gersi, e togliersi ad un oggetto materiale qualunque, fa": Bice poteva del pari prodursi, conservarsi, accumu- larsi, e distruggersì , l'Economia Politica dispogliò lo spirito di sistema in cui la scuola di Quesnay | aveva inviluppata , e sì mostrò co’ caratteri d’ una scienza. Ma, tanto sagace nello stabilire le basi fondamen- tali della sua dottrina, Smith mon lo fu al grado stesso allorchè si trattò di svilupparle, ed ora attribuendo alla sola opera dell’uomo la facoltà di creare il valore d’ una cosa, ora limitando alle sole cose materiali la suscettibi- lità ad acquistare un valore incorse in due gravi ab- bagli, de’ quali gli stessi suoi ammiratori hanno po- tuto POT lo. Fra questi occupa il primo luogo è il sig. G. B. Say Profess. all’ Atenèo di Parigi. Nè Say si limitò ad un comento all’opera di Smith; ma scrivendo egli stesso un ZYattato d’ Economìa, e com- prendendovi i tre grandi fenomeni che jla determinano, la produzione, la distribuzione, e la consumazione della p i 231 ricchezza, s° impossessa (si permetta questa espressione ) dell’ edifizio di Smith, ne distrugge i membri inutili, ne riedifica ì viziosi, vi supplisce i mancanti; ma non per questo l'ordine, e l'indole impressa dal suo primo Autore signoreggiano meno nel gran monumento. Edatant’opera accorrer non poteva mano più esper- ta. Smith non incontra nella produzione delle ricchezze che il lavoro (Zatour) dell’uomo. Say trova limitata di troppo quest’ espressione lavoro ; e sostituisce ad essa industria ad oggetto di comprendervi le facoltà intel- lettuali, che tanta parte dimostrano nella produzione. Da altra parte come apprezzare il lavoro, o l’ industria dell’ uomo indipendentemente da ciò che può contra- riarne, o favorirne il successo? Un modo d’ azione di- stinto dal soggetto di quest’ azione? Say dimostra che l’azione di quest’ indusiria è combinata ‘costantemente con quella de’ capitali, e delli agenti della natura; ciò che gli suggerisce la definizione la più precisa che per l’avanti s’ avesse di quest’azione medesima nelle produ- zioni rurale, commerciale, e manifatturiera, e che piace adesso denominare servi gj produttivi. 1lresultatodi que- gti servigj comunque combinati è 11 valore del prodotto. Smith non ammesse altri valori che quelli fissati melle sostanze materiali. Esso esclude dalla cl asse delle ricchezze i valori immateriali che derivano dall’ eserci- zio delle facoltà intellettuali naturali, o acquisite, va- lori tanto reali quanto quelli assegnati alle cose mate- riali co quali continuamente sì Paracenano; e sì cam- biano. Qual altra ricchezza è propria del medico, del giureconsulto , del publico funzionario? Say , per quanto mi sembra, arricchisce il primo di questo ramo importante la massa delle ricchezze sociali, dimostran- do che,alla guisa di tutte le altre, questa specie di ric- 32 chezza si produce, sì REA sì distribuisce, sì cone | suma ec. La produzione commerciale non è l’ argomento il più favorito dell’ autore delle Ricerche. Direbbesi che il genio che lo accompagnò nel discutere il modo, e le. circostanze con cui le arti e le scienze concorrono a dar valore ad un soggetto, Jo abbandonasse allorquando trat- tavasi di definire ‘qual altro glie ne aggiungesse la con- dizione d’ una circolazione più o meno remota. L° au- tor del Trattato lo sottopone ad un’analisi più severa, e determina il primo per qual motivo, e fino a qual punto la facilità delle comunicazioni interne, ed ester- ne contribuisca alla produzione. Smith non istituisce alcuna questione sul modo con cui le ricchezze si distribuiscono nella società ,. e come ad esse partecipino le classi diverse che la com- pongono. I principj stabiliti da Say, per i quali tutte queste classì si riuniscono nelle tre de’ proprietarj, dei capitalisti, e di coloro che esercitano un'industria qua- lanque, dimostrano queste ricchezze in un movimente perpetuo da’ gradi i più elevati agl’ infimi, e viceversa, movimento che il rinascer delli stessi desiderj, e delli , siessi bisogni rende necessariamente continuato e per- petuo. Infine, sebbene le dottrine dell’ Economista ingle- se sul modo con cui le ricchezze sono prodotte, conduca- noimmediatamente all’altra del modocon cui sono con- sumate, quest’ ultima non v'è sotto alcun rapporto tracciata. Il Francese assume a supplirvi, ed insistendo sulla distinzione d’ ana consumazione, produttiva, di quella cioè che ha per effetto una muova produzione dall’ improduttiva, o da quella che non ha per iscopo senon la soddisfazione del consumatore, proviene a (9) 233 stabilire delle verità importanti, e fra queste, che la consumazione de’ valori accumulati per formare de’ ca-‘ pitali è altrettanto reale quanto l' altra de’ valori con- sumati improduttivamente . Ma le nuove indagini del sig. Say non riscossero i suffragi de’ sigg. De Sismondi, e Malthus, nomi già ce- lebri, l’uno per l'Zstoria delle Repubbliche Italiane del medio evo, V altro per il Saggio suila Popolazione; e producendo l’ uno i Nwovi principj d’ Economia Poli- tica, V altro i Principj d’° Economia Politica intrapre- sero a combatterle, ed a confutarle. Frattanto l’epoca dello stabilimento di questi prin- cipj combinava colla comparsa d’ un fenomeno morale, altrettanto minaccevole, quanto inatteso, che pose nella costernazione gli uomini di tutte le classi e di tutti 1 paesi. Effetto di straordinarie combinazioni, la pace ritor- nava dopo l’intervallo di 30 anni a risplendere sull’ oriz- zonte d'Europa. Sembrava che, allontanati i timori delle rapine, e delle rappresaglie, rotta la barriera di ferro che proteggeva il famoso Sistema continentale, aperto l'immenso campo dell’ universal concorrenza, rinovati colla presenza d’oggetti, che una lunga privazione ren- deva gratissimi, tutti gli antichi bisogni, eccitati coll’ap- parato di tutto ciò che l’agio non solo, ma la mollezza, e la follia può far riputar dilettevole, tutti i desideri, penetrati tutti gli aditi, frequentate tutte le direzioni, le intraprese commerciali, già interrotte , o languenti, dovessero animarsi, rinvigorirsi, e brillare per straordi- narj successi al sorgere di si bell’astro. E già il movi- mento il più rapido è impresso alle merci. Esse si diffon- dono per l’ Atlantico, per il Pacifico, e per i mari minori di qualunque clima, e di qualunque nome ...... Ma tanta attività mon è corrisposta che dalla più fredda 234 indifferenza. Le ricchezze de’ grandi emporii corrono a ristagnarsi ne’ lontani depositi, da dove possono toglierle appena le più ruinose contrattazioni. Delusa l’universale speranza, l'atto violento reagi- sce nella classe. laboriosa delle popolazioni; che vede inaridirsi la sorgente della sua sussistenza. Di quì i cla- mori, i disordini, le sedizioni che fanno temere per la sicurezza del sistema sociale. E se lo spettacolo di questi avvenimenti preoccu- pava a ragione le menti de’ Legislatori, poteva egli tra- scorrere inosservato dalli Economisti ? Noi non peccheremo d’ imprudenza al segno di sostenere che questi avvenimenti abbiano inspirata nelli oppositori del sig. Say la diffidenza peri princip) da lui sostenuti, e che abbiano ad essi servito di pietra di confronto per porre in avanti i loro proprj: nè rileve- remo al proposito, che soltanto all’ epoca loro si siano proclamate le massime che la pubblica proprietà può esser compromessa da un numero eccessivo di produt- tori, e che la qualità la più sublime dell’uomo, 1’ in- venzione rivolta a favorire, e ad accrescere i modi di soddisfare ai propr] iiani possa divenire in alcun ca- so un istrumento di desolazione, e di pubblica calamità (De Sismondi n owveaua principes). Comunque la cosa sia avvenuta, egli è certo che nelle Lettere delle quali si tratta Say imprende la propria difesa, desuntone ap- punto il motivo dallo stagnamento recentemente avve- nuto del commercio, e s’ accinge a dimostrare ai sigg. De Sismondi e Malthus che quest’ avvenimento, lungi dal formare un’ eccezione alle di lui dottrine, ne costi- tuisce la più legittima conseguenza. E prima di dar contezza di queste lettere ci sia permesso di rilevare il pregio distinto che vi s' incon- 235 tra, quel modo di discussione proprio delli scrittori di primo rango da cui il protagonista ed il contradittore ne sono del pari onorati; modo che (anche abbandonati al pubblico dispregio quelli scrittori vituperevoli che senza dottrina, e senza decenza servono agli odj privati e si fanno istrumento d’ ingiusta persecuzione ) spesso si desidera nelle opere apologiche d’uomini stimabili, meno però animati dall’ amore del vero, che da quello di loro stessi. LertERrAa I. Scrivendo il suo aureo trattato d’ Economia Politi- ca, e dopo severe analisi, e lunghe discussioni il sig. Say concluse che i prodotti di qualunque genere non pos- sono acquistarsi se non con altri prodotti, e che per- ciò quanto più si può acquistare, tanto più si produce; d’ onde trasse che se certi prodotti non si smerciano, cio deriva perchè altri non si producono ; ovvero, che è lo stesso, che /a sola produzione procura smercio ai prodotti ; conseguenza contradetta dal sig. Malthus. Per giustificarla, 1 A. s' occupa da prima a smentire il carattere di paradosso che le menti di certa vista po- trebbero attribuirle, e rileva, che se essa ha contro di sè Je apparenze, ed i volgari pregiudiz), non altrimenti che facendosi strada a traverso questi medesimi ostacoli, Copernico e Galileo pervennero a stabilire il vero si- ‘ stema del mondo. I In seguito colla mira di dimostrare che il regur- gito di certe merci deriva dalla mancanza in quantità sufficiente di merci d’ altro genere, 1’ A. considera lo stesso carico pervenuto sul piano di New York, e di Filadelfia avanti, e dopo l’ edificazione delle due città, / Put POLE ed osserva, che se quel carico rimane senza smercio nel primo caso, e ne ha uno pronto nel secondo; ‘ciò addi- viene soltanto perchè i produttori raccolti nell’ ultima ipotesi in quelle città medesime , e ne’ loro territorj produssero altri oggetti di contrattazione, e di cambio. Ma l’ America, territorio nuovo al commercio , ed intatto, ove i produttori, edi consumatori possono esten- dersi, e moltiplicarsi in un modo indefinito potrà ella ser- vir di paragone all’ antico continente, ove i produttori esistono già in numero eccedente, e superiore a quello che i consumatori domandano? Say replica a quest’ obiezione che egli stesso si propone, considerando 1’ Inghilterra sotto il dominio della Regina Elisabetta, epoca in cui, sebbene la popo- lazione non oltrepassasse la metà dell’ attuale , la clas- se manifatturiera oltrepassava la consumatrice; e ne po- ne la prova incontrastabile nella Legge allora emanata a favore de poveri (una delle piaghe le più profonde di quell’ amministrazione ) lo scopo della quale limitava- si a provveder di lavoro quelli che ne erano mancanti . Malgrado ciò quella popolazione , raddoppiatasi in se- guito, divenne eminentemente industriosa , e fornì im- piego e sussistenza ad un triplo numero d’ operanti, ef- fetto maraviglioso ma necessario d'un aumento sempre crescente di produzione. Fin quì dell’ eccessorelativo d’una produzione unica. Ma gli oppositori di Say pretendono che possa aver luo- go un eccesso assoluto in qualunque genere di produzio» ne ad un tempo stesso, per cui l’una serva d'inciampo,. ed’ ostacolo alla consumazione dell’ altra . Antagonista generoso , il Sig. Say, premuto -già dalle obiezioni del Sig. Malthus , aggiunge ad esse una muova forza facendo avanti le altre elevate già sullo 4 -P237 stesso soggetto dal Sig. De Sismondi. Lo, scrittore de’ Nuovi Principj prsienda che in Europa non solo, ma in tutta l’ estensione del mondo commerciale. la produzio- ne risulti proporzionale, non alla domanda; 0, che è lo stesso, alla massa de’ bisogni sociali, ma alla quantità de' capitali, o degli elementi immediati della produzione medesima, i quali non hanno alcun rapporto assegna bile con quella domanda , nè. con que’bisogmi ; e ne desume la prova dal regurgito delle merci particolarmente ;Lu- glesi in Italia, in Germania, in Russia, al, Brasile. ee. Egli dimostra afflitti dallo stesso disordine i mercati del Capo-di-buona-speranza, di Calcutta, della Nuova:Olan- da, di Buenos-Ayres ; della Nuova-Granata , del Chili e di tutta la costa Atlantica dell’ America settentriona- le; rimproverando ai moderni Economisti la massima contradetta da questi fatti incontrastabili , che la pro- duzione eguagli, e rappresenti la vendita ..| A Ma, come spesso avviene , gli argomenti diretti ad oppugnare le dottrine del fe: Say le consolidano. nel modo il più convincente .. Perchè le merci inglesi ri- stagnano in Italia ? Perchè, ad eccezione di poco olio., di poche sete, e di pochi altri oggetti, l’Italia non pro- duce di che pagarle .. Perchè le merci ‘inglesi rigurgita- no al Brasile ? Perchè il Brasile, la terra la più fecon- da per indole, e per costituzione la più povera non ha con che cambiarle; perchè un’ amministrazione rapa- ce vi soffoca lo spirito d’ industria , e ne usurpa tuttii benefizj ec. Da altra parte qual'incoraggimento dà l'Inghilter- ra ai consumatori delle sue merci, o, che è lo stesso, ai produttori delle straniere? oto nelle sue leggi finanziere sulle assurdità della Bilancia»commerciale, ed oppresso da nn debito. enorme che ‘esige l’annuo 238 ritiro di contribuzioni esorbitanti , il Governo inglese emette con una mano al di fuori gli oggetti della sua industria, e respinge coll’ altra ciò con che i vicini provvederebbero all’ alimento de’suoi artisti , e de’ suoi stabilimenti; ed il primo ostacolo alla prosperità della ‘produzione inglese risiede nella linea RIA delle sue dogane (1) . Ma il Sig. Malthus stringe l’ avversario più da vi- cino, e, fatta astrazione da’ modi co’ quali le nazioni s’of- ‘fendono vicendevolmente fra loro, egli limita i suoi riflessi ad un popolo unico, ed alle relazioni com- merciali che può aver con se stesso . Circoscritto per tal modo il campo, egli rimpre- vera il sostenitore della dottrina de” profitti d’ aver con- siderate le merci nel senso della quantità ‘astratta , non come oggetti di consumo, che debbono avere una relazione determinata col numero de’ consumatori, e coll’ indole de’ bisogni loro: che, riguardate in questo senso legittimo, le merci non sempre si cambiano colle merci ; che la maggior parte di esse si cambia col lavo- ro, sia esso produttivo, sia improduttivo; e che la som- (1) Al momento che questo scritto è ‘sottoposto alla stampa si legge nei giornali Inglesi il seguente articolo: .,, Ia una delle ultime sedute della camera dei Comuni fu discusso un punto im- portantissimo- Il sig. Wallace Vice-presidente della camera di Commercio ha domandato ed ottenuto la facoltà di proporre un Decreto per rivedere e riformare il famoso Atto di navigazione che ne’ trascorsi tempi si sperimentò vantaggiosissimo per il com- mercio inglese; ma non è più tale al presente, dopo che l'industria s'è tanto accresciuta nel continente, e la scienza della pubblica economia ha fatti incalcolabili progressi. Il sig. Wallace ha sugge- rito d’ abolire tutte le gravezze è restrizioni stabilite sul commer- cio estero, e di fare dell’ Inghilterra un deposito franco per 1’ in- troduzione di tutte le merci delle altre nazioni. Sembra che il sig. Wallace abbia ciò proposto d'intelligenza col governo ,,. . . pi 239 ma totale di queste merci, paragonata colla somma to- tale del lavoro con cui deve esser cambiata può ribas- sare di prezzo, divenuta che sia soprabbondante . Say combatte la prima imputazione richiamando l’oppositore alli articoli del suo Trattato, egli dimostra, che lungi dall’ introdurre alcun carattere d’ astrazione nell’idea della ricchezza, egli deriva il valore delle cose (sola qualità che le costituisca ricchezza ) dall’ utilità delle cose stesse, e dall’ attituditie loro a soddisfare ‘i nostri bisogni; che in conseguenza egli non separò giammai quell’ idea dalle altre di consumazione, e di modo di consumazione; e di tutto ciò offre prova la più luminosa neila massima tante volte, e sotto tante for- me da lui riprodotta, che niuna rendita esiste se non quando il prodotto ha un valore cambiabile , e che il solo bisogno che se ne ha nell’ attual sistema sociale può driira ad esso quel valore. L’ A. imprende-a risolvere la seconda obiezione, ponendo avanti un idea ingegnosa,/e‘distingue gli ele- menti della produzione ne personifica col nome d’ a- genti ne’ proprietar], ne’ capitalisti, e negli industriosi) dagl’ intraprendenti, o operatori la produzione, che ri- duce ‘al fittuario di terre, al commerciante, al manifat- tore. Quest’ ultimi disponendosi all’ atto di produrre ricercano, mediante ‘un prezzo determinato, o compra- no da’ primi i Soa] produttivi per la parte con cui ‘ciascuno di essi può concorrere a quell’atto, i primi sot- ‘toponendosi a prestare, mediante il ritiro di quel prezzo, o a vendere all’operatore questi servigj . Così l’ operato- re fittuario, per esempio; incomincia dal ricorrere al ca- , pitalista perchè gli venda il servigio'd’ cena somma de- terminata, che paga coll’ interesse. Con una porzione di questo capitale si rivolge al proprietario , facendosi 240 cedere il servigio d’ un terreno, ed insieme degl’ istru- menti. che rad. esso appartengono, e che paga colla prestazione annua; coll’ altra si provvede del servigio dell’ agricoltore che paga colla mercede giornaliera. Al possesso di tutti questi servigj egli attende alla cultura, da cui emana la produzione delle derrate; produzione vantaggiosa, ‘se essa è di tal valore da echi veli al prezzo de’ servigj impiegati, compresovi quello dell’ope- ratore, a scapito nel caso opposto. Così la produzione rappresenta i servigj, e viceversa, e si divide natural- mente fra:coloro che li sii in proporzione della respettiva:utilità loro. Partecipi dellacosa prodotta, il proprietario , il capi- talista, e l’ industrioso, traggono da servigj resi da loro rendita, la quale o consumano direttamente, o'/danno in cambio d'altre produzioni ottenute.collo stesso: an- ‘damento , cioè cambiando sempre servigj con prodotti, e tante. più cose; scambiando, quante più ne SENSO cioè quanti più;sepvigj resero. soli Il Sig. Say, distinguendo il prodotto diablo dal prodotto immateriale, cioè, le cose utili.che servono ai bisogni degli: uomini'dall’ effetto de’ servigj produttivi che, procurano, alle cuse quest: utilità, offre nuova occa- sione alle obiezioni del sig. Malthus, che nega l’esistenza de’ prodotti immateriali.Forse, se estendendo l’analisi del prodotto, e conservata questa voce assoluto per le cose materiali avesse definito pr odotto di servigio il prodotto immateriale o, 1’ effetto de’ servigj produttivi, avrebbÈ, _ evitata questa contesa. Fedele pertanto alle sue espres- sioni, lA. si trattiene ad interpetrarle, e dimostra) all’e- videnza, che i campi, i capitali, gl’uomini d’industria» lo immaterialmente, e/che immateriali debbono dirsi tutte le nostre rendite (risultati necessar) ed. unici | - 241 de’ nostri servigj produttivi ) le cose utili per loro stesse, ed alla libera portata di tutti non essendo comprese sotto questo nome. L’A. prosegue ribattendo il rimprovero con cui l’avversario lo punge, d’attentare cioè alla solidità delle dottrine di Smith col riconoscere, come egli fa, produt- tive quelle opere, o servigj che si consumano senza fis- sarsi in un oggetto materiale; e con ciò appella evidente- mente all’ esercizio delle facoltà intellettuali classe an- ch'esse distinta d’industria produttiva. Penetrato d’am- mirazione verso tauto istitutore , il sig. Say offre ad esso in quest’ occasione un nuovo tributo di rispetto, e di gratitudine; ma caldo d’amore del vero, egli non si trattiene dall’ asserire che Smith non è penetrato per tutta l'estensione del fenomeno della produzione, e della consumazione della ricchezza ; e che le modificazioni che egli s’apporta, lungi dal far fronte a quelle dottrine, ne costituiscono il natural compimento. LertERA II. Convinto il sig. Say che nulla più resti all’ avver- sario da opporre alla massima, che la sola produzione animi, e favorisca la consumazione delle cose prodotte, discende in questa seconda lettera all’ esame dell’obie- zione non meno grave della precedente; che tutti i pro- duttori uniti insieme possono emettere una quantità di prodotti superiore ai bisogni loro, e perciò che una por- zione di questi prodotti medesimi può restare senza smercio, circostanza da cui deriva una soprabbondanza, ‘ed un regurgito contemporaneo di tutti gli altri . Ed all’oggetto di farne rilevare l’insussistenza egli im prende da prima a dimostrare, che, qualunque sia la quantità T. III. Agosto : 16 242 di questi prodotti, e la depressione che risulti nel prezzo loro, una quantità prodotta in un genere pone gli ope- ratori in istato d’acquistar l’altra prodotta in un genere diverso, e, posta così la possibilità di quest’ acquisto, procede a stabilire, che dalla stessa soprabbondanza dei prodotti deriva il bisogno di consumarli. Frattanto egli è evidente, che l’ipotesi d’una libertà illimitata, la quale permetta la moltiplicazione indefinita di tutti 1 prodotti pone la questione in stato diverso da quello in cui la riduce un vincolo rigoroso che vi si oppone. Ed in fatti l'A. trattandola nel primo aspetto in que- sta lettera ne riserba il compimento alla successiva. Per altro egli ne fa avvertiti fin d’ora, che se la dottrina dell’ oppositore è meglio favorita della prima supposi- zione, l’impiego de’prodotti illimitati resultando eviden- temente più difficile di quello de’ circoscritti, la con- traria giova alla sua propria, per cui si conclude, che i prodotti de’ quali la moltiplicazione è permessa appunto non sono smerciati, perchè la moltiplicazione degli altri col cambio de’quali questo smercio sarebbe avvenuto, è vietata. Ciò premesso lA. considera due produttori nell’atto di cambiare fra loro due prodotti diversi di qualità, ma eguali di prezzo, un sacco di grano, per esempio, ed una pezza di tela, ammontante l'uno e l’altra a 30 franchi, prezzo de’ servigj che concorsero a produrli . Egli rileva in seguito che questi 30 franchi (0 la mer- ce cambiata che li rappresenta ) si distribuiscono fra gli agenti della produzione in proporzione de’ servigj resi; ovvero, che è lo stesso, impiegando quella somma all’ acquisto delli stessi servigj, il sacco di grano, e la pezza di tela possono di muovo , ed indefinitamente esser riprodotti. ‘243 Ma se i prodotti aumentano , 0 se i bisogni dimi- nuiscono al segno di facne ribassare il prezzo, come i servigj emessi potranno esser ricompensati, ovvero po- tranno esser nuovamente acquistati per ripetere la pro- duzione medesima? Se il sacco di grano, e la pezza di tela vagliono, non più 30 ma 15 franchi, come con questi 15 franchi riprodurre il grano, e la tela che ne esigono 30? Per far fronte a questa conseguenza rileva il sig. Say, che se il prezzo delle due merci ribassa per |’ ef- fetto unico della loro soprabbondanza della metà, la quantità delle merci medesime s’ accresce necessaria- ° mente del doppio, talmente che col prezzo de’servigj che resta costante di 30 franchi, si producono, ron già un sacco di grano, ed una pezza di tela, ma il doppio dell’un genere, e dell’ altro; e poichè i nuovi prodotti si distri- buiscono al solito totalmente fra gli agenti che concor- sero a formarli, e proporziongimente ai servigj resi, il prezzo totale delle due merci eguaglierà sempre l’altro di questi servigj, e la produzione potrà esser come per l’avanti costantemente, e perpetuamente rinnovata. La differenza consiste in questo; che coll’impiego delli stessi servigj nel secondo caso s’ ottiene una produzione dop- pia di quella a cui si pervenne nel primo, ovvero, che è lo stesso, quei servigj sono ricompensati col doppio de’ prodotti ottenuti, circostanza, che, come è noto, e ‘come il sig. Say ha dimostrato il primo ( Zrattato d’E- conom. Polit. lib. II. Cap. 3. ed. 4.) aumenta del dop- pio la massa delle ricchezze sociali. Quest’ aumento per altro non resulta permanente se il numero dei consumatori non s'aumenta nella pro- porzione medesima, ed il sig. Malthus insiste nel negare che questa vicenda abbia luogo. Ma l’ A. la travede ne- cessariamente costante nell’ essenzial qualità d’ un pro- \ 244 dotto qualunque d’ avere un valor cambiabile, qualità che lo rende il rappresentante generico ed universale di tutti gli altri. Possessore di questo solo prodotto, l’uomo partecipa a tutto ciò che concorre alla conser- vazione, ed al diletto della vita verso cui ed il proprio istiuto, e le istituzioni sociali lo rendono indispensabil- mente tendente. Da altra parte il sig. Malthus nel suo eccellente Trattato sulla Popolazione sostiene il prin- cipio che essa s'accresce progressivamente come ì mezzi di sussistenza. Ed in faccia a quest'accrescimento inde- finito, come può egli riguardar questi mezzi, (0 la pro- duzione che ad essi equivale) come soprabbondante , e come superflua ? Riconosciuta questa soprabbondanza, il sig. Malthus è guidato a sostenere, che la prosperità d’un paese ecces- sivamente produttivo esige una massa inoperosa, e con- sumatrice improduttivamente, come appunto le acque ridondanti d’ un fiume domandano d’ esser disperse in un canale di diversione. Ma il sig. Malthus s'iuganna . Ed in fatti di quali classi sociali vuol egli composta questa massa? Di proprietarj, di capitalisti, di pubblici funzionarj? La condizione di questi consumatori è la stessa di tutti i consumatori in genere: essi consumano ciò che producono non direttamente, ma col mezzo de’ servigj resi dalle loro terre, da’ loro capitali, da’loro talenti; e tanto più consumano quanti più servigj ren- dono; talchè essi non fanno alcuna eccezione alla mas- sima costantemente vera diretta , ed inversa, che niuno consuma se non ciò che produce. Nuova conseguenza delle dottrine del Sig. Malthus è l’accumulazione de’ capitali risultante dal risparmio, d’ onde derivano mezzi sempre crescenti di produzioni, e però soprabbonza sempre crescente di prodotti ; tal- 245 chè debba tenersi che la società possa soccombere sotto il peso delle proprie ricchezze. L’A. vi sì oppone osservando, che le accumulazioni sono per la loro indole, e per i modi con i quali posso- no formarsi lentissime; che sono inoltre molto tenui, ‘avuto riguardo alla totalità de’mezzi di produzione cir- colanti in un paese qualunque, ec. Ma per quanto gran- de sia la loro entità , e la prontezza dell’ aumento loro, egli le riguarda a ragione come motivi onde dar mag- gior valore ai servigj produttivi, e per ciò d’ accrescer la rendita, e con essa il ben essere delle classi che con- corrono a prestarli, dalle quali, come vedemmo, la so- cielà intera è rappresentata. Insistendo infine sulle sue premesse, pretende il sig. Malthus che laddove i capitali eccedono, egli è ot- timo espediente di favorire la cr nsumazione improdut- tiva, e di persuadere alla dissipazione ed al lusso. Il sig. Say vi sì oppone, ed avvertito prima, come egli è ufizio del saggio Economista di svelare agli uomini i resultati d'una sana dottrina e d'abbandonarne ad essi l’esercizio a seconda dell’ intelligenza, e della capacità loro, rim- provera all’ oppositore d’ aderire all’ error popolare, che la prodigalità giovi all’industria, e di giustificare la ten- denza pur troppo fatale di sacrificare le risorse reali del presente alle vicende d’ un incerto avvenire. LerTtERA III Il Sig. Say, il quale commentando nella lettera precedente le dottrine del suo Zrattato dimostrò che la libertà indefinita di produrre era il mezzo il più di- retto per favorire la consumazione de’ prodotti ottenuti, discende a dimostrare in questa ciò che quelle dottrine 246 lo avevano indotto a concludere altre volte, cioè che la difficoltà incontrata qualchè volta nello smercio di questi prodotti medesimi deriva principalmente dalli ostacoli che la natura, ed i vizj del sistema saRciate op- pongono alla produzione. E quanto alli ostacoli della prima i egli ne conosce uno diretto ed indiretto nella qualità delle so- stanze alimentarie. Mentre la società abbisogna di que- ste sostanza in maggior proporzione di tutte le altre, sia in valore, sia in peso, il volume loro, ed i pericoli della loro conservazione impediscono di trarle da grandi distanze, quelle che sono raccolte nel territorio d’ una nazione avendo de’ limiti che possono essere estesi, ma giammai esser tolti. E questa stessa estensione, che esten- de del pari la classe manifatturiera, esercita successiva- mente un'influenza indiretta nelle produzioni che da essa provengono; giacchè tali produzioni, meno ricercate in confronto delle alimentarie, offrono allora minor profitto di quest’ ultime; d’ onde l’universale scoraggi- mento a continuarle. Più sensibili, e più funesti compariscono gli effetti chei disordini de’sistemi finanzieri dimostrano nella pro- duzione. Niuno pone in dubbio la necessità delle tasse, e che esse debbano derivar tutte, sia direttamente, sia indirettamente dalla sorgente della pubblica ricchezza, da questa stessa produzione. Ma qual è l’ azione d’una tassa sopra un prodotto qualunque? Evidentemente quella d’accrescerne il prezzo, senz’accrescerne per que- sto il valore, e l'utilità. Ora, o il produttore venda i suoi oggetti un prezzo minore d» tutto l’importare della tassa di quello già emesso per i servigj che hanno concorso a formarli, o 1 acquirente li compri per un prezzo altret- tanto maggiore, nel primo caso il produttore fa il sacri, 247 fizio gratuito d’una porzione del valore di questi oggetti medesimi, nel secondo il compratore lo fa d’una porzione del valore di quelli co quali intese di cambiare quest’ul- timi, giacchè, come sovente si è ripetuto, la vendita non è che un cambio a valori egualì di produzioni di- verse. La tassa imposta è dunque ne’ due casi un’ offesa alla produzione per tutta quella parte di valore che essa s'appropria; e mentre pone l’esattore o i suoi commit- tenti alle spese de produttori, comanda a quest ‘ultimi, allorchè la produzione continua, privazioni corrispon- denti sopra i propri commodi, e sopra i propri bisogni. Ed allorquando queste privazioni abbiano per base la discretezza, e la moderazione, esse potranno esser so- stenute. Ma che cosa avverrà laddove l’ ignoranza, il capriccio , la propotenza , le intraprese ruinose, le cata- strofi militari e politiche ee. le impongono eccedenti? I servigj emessi non essendo sufticientemente ricomp'en- sati, essi non sono altrimenti offerti; le terre restano incolte, i capitali ristagnano nelle casse de’ facoltosi, le braccia sì riducono inerti; le sorgenti della privata fortuna s'inaridiscono : come le conserverà perenni la pubblica? i Se la produzione ha per eftetto immediatu la con- sumazione, esclamano Dè Sismondi , e Malthus, perchè non si produce , quando per ogni dove ne ridondano i mezzi? Perchè una mano rapace s'interpone fra il pro- duttore ed il consumatore, e ne invola il maggior profitto; perche s’abbandona una pianta, su’cui, annidatasi tena- cemente un’erba parasita, ne succhia l’umore che provie- ne abbondante dalle radici, e ne rende infermi, e sterili ì feutti. I vizj politici, da’ quali le società, anche indipen- dentemente dal sistema finanziero, divo contaminate 248. accrescono questi disordini. Laddove la ricchezza, più tosto che dall’attività, e dall’industria, deriva dal favore, e dalla corruttela, dove i cospicui emolumenti abbon- dano, dove le dissipazioni ed il lusso sono favoriti sì di- spiega un tono di vita dispendioso, a cui il produttore diretto può difficilmente partecipare, usando della sua ordinaria rendita. Sedotto dall’ amor proprio e dall’am- bizione di conservare il suo rango, egli reclama profitti sproporzionati ai servigj} che rende, per cui i prodotti s° elevano ad un prezzo superiore alla loro utilità reale. Di qui maggiori ostacoli allo smercio di questi prodotti, maggiori difficoltà a continuarli. Tuttavia, per quanto queste deduzioni sembrino evidenti, il sig. Malthus vi si oppone ancora, e ritrova nella situazione attuale delli Stati-Uniti un esempio imponente per contradirle. Nelli Stati-Uniti, egli dice, le terre sono fertili, l'industria v'è libera, le tasse sono tenui, e ipoco moltiplicate; ciò non ostante le merci v abbondano, ed il commercio è quivi, come altrove, stazionario, ed inerte. Ma, sebbene distinti da circostanze favorevoli alla produzione, gli Stati-Uniti non sono andati esenti (al- meno temporariamente ) da que’ disordini , che la con- correnza straordinaria avvenuta all’ epoca della pace generale ha quasi universalmente prodotti. Mentre una guerra disastrosa desolava per 30 anni l’ Europa, essa favoriva gl’ interessi delli Ameri- cani. Attivi ed intraprendenti, e sotto l’egida d’ una rispettata neutralità, essi si sostituirono in tutte le im- prese marittime che alimentarono già il commercio Inglese, Olandese, Francese, e divennero gl’intermediarj fra le potenze continentali dell'Europa, e del mondo . Questa circostanae , che suggerì loro delle manuvre più 249 pronte, e de’ modi meno dispendiosi di navigazione , estese le relazioni loro, e gli rese i mercadanti presso che esclusivi alla China ed al Giappone. Ed effetto di questi grandi movimenti fu la riunione eccessiva ne porti loro di tutte le merci dell’ universo. La pace proclamata, questi porti medesimi furono inondati dalli antichi concorrenti. Ma quali profitti po- teva offrire a questi speculatori stranieri una terra già ridondante delli oggetti accumulativi da’ nazionali ? D'altronde gli Americani occupati nel commercio este- riore non furono altrettanto attivi nell’ interno; nè le produzioni del loro paese erano allora tanto moltiplicate da far fronte ad una offerta così generale e così cospicua. Di qui l’inazione commerciale in America come altrove. Se l’epoca della libertà de’mari avesse potutoantivedersi, gli Americani, profittando delle risorse immense della loro politica costituzione , avrebbero rivolte le mire loro alle produzioni locali, e posseduto di che esaurire tutto ciò che offrir poteva loro l’ Europa. E chi, dato uno sguardo allo sviluppo straordinariamente crescente del- l’industria agricola e manifatturiera di quel paese non vede riserbato ad esso questo felice destino? Infine i disordini che si deplorano, debbono consi- derarsi qualche volta come apparenti, e spesso come transitor). Le merci possono essere considerate soprab- bondanti, avuto riguardo alla massa loro, e scarse per ciò che esige la consumazione locale. Sonò noti al pro- posito gli effetti della prevenzione, ed Addisson, e Dal- rymple osservarono che allorquando la raccolta aumen- tavasi della decima parte su quella dell’anno prece- dente, il prezzo del grano ribassava fino alla metà. Inoltre, malgrado l’ influenza d’ una lunga crise politi- ca, le relazioni commerciali si sono riassunte sulli an- 250 tichi dati, insistendo su i soliti computiee. dati e computi fallaci, ai quali una trista esperienza consiglierà sosti- tuire altri più rigorosi, e più convenienti. LertERA IV. Fino dalla metà del secolo precedente 1’ industria avendo prodigiosamente avanzato nella perfezione delle antiche macchine, e nell’ invenzione delle nuove, qual influenza hanno avuto questi elementi nell’attual di- scussione ? i Il sig. Malthus limita tutto il vantaggio che le macchine hanno apportato alla produzione: ad aver moltiplicati i prodotti al segno, che anche dopo il ri- bassamento avvenuto nel prezzo loro, la somma del valore totale sorpassa ancora l’ altro che avevand avanti l impiego delle macchine stesse; vantaggio incontrasta- bile, e di cui s' ha un argomento evidente nell’ intro- duzione del filatojo del cotone , e dei processi della stampa . Ma il sig. Say considera questo vantaggio come re- lativo alli oggetti, la consumazione de’ quali poteva estendersi quanto la diminuzione del prezzo che ne av- veniva, e ne indica uno più cospicuo, e più universale. A quest'oggetto egli premette che le macchine in ge- nere debbono riguardarsi come utensili più complicati degli ordinarj, e che, come questi, inventati che essì sieno, si ripongono fra i capitali produttivi. Infatti tan- to gli uni quanto gli altri mezzi debbono riguardarsi come mezzi, con i quali una forza viva è trasmessa so- pra un oggetto collo scopo d’ indurre in esso una modi- ficazione qualunque, questa forza essendo y ratuitamente somministrata dalla natura. Ora, considerate in que- 251 st’ aspetto le macchine, la questione si riduce a defini- re se sia 0 no più utile al produttore far uso d’ utensili capaci d’ una maggiore, o d’ una migliore opera al pa- ragone d’ altri meno perfetti, e più lenti; e chiunque potesse restar dubbioso a deciderla, lo sarebbe del pari nel giudicare se la perfezione de’ nostri utensili sia o no la conseguenza della perfezione della nostra specie, e se debbano dirsi più felici di noi i selvaggi de’ mari australi che costruiscono con le scaglie di pietra le loro armi a taglio, e gli aghi colle spine di pesce. Ora la maggiore ‘attività degli utensili perfezio- nati, o l’azione delle macchine in genere equivale per i consumatori de’ prodotti proprj ad un aumento di rendita ; ed il sig. Say lo dimostra evidentemente con un esempio tratto dall’ invenzione del mulino. Un mu- lino ordinario produce col dispendio di 6000 franchi l’istessa quantità di farina che 20 uomini produrreb- bero coll’ altro di 16000. In conseguenza colui che nel secondo caso impiegherebbe 8 franchi all’ anno per quest’ oggetto di sussistenza non ne spenderebbe che 3 pel primo, gli altri 5 che può riserbare all’ acquisto d’un altro prodotto qualunque rappresentando un aumento corrispondente nel suo annuo provento. In conseguenza, dacchè il mulino fu sostituito alla forza immediata dell’uomo, la rendita pubblica per questo solo oggetto sì è accresciuta di cinque ottavi. E questo resultato non fu certamente traveduto dal sig. De Sismondi, il quale sostenne che « allorquan- do la produzione è sufficiente alla consumazione , qua- | lunque scoperta (che tenda a favorire quella produzio» ne medesima) deve considerarsi come una calamità » . S’obbietterà forse che un solo uomo bastando al governo d’ un mulino, i 19 uomini che uniti al prece- 252 dente producevano altrettanta farina restano inoperosi. Inoperosi? E chi vieta loro d’ applicarsi ad un industria. diversa? Quanti accidenti, come una moda che passa, una guerra che impedisce le ordinarie comunicazioni, un commercio che cambia di corso, ec. danno luogo allo stesso resultato! Ma, se sospese, le facoltà inau- striali di questi operanti non sono per questo distrutte, ed il fatto solo da cui questa sospensione deriva, l’ ac- crescimento della pubblica rendita, ne garantisce il nuo- vo esercizio. Se ne abbia la prova nell’ aumento rapido d’ officine e di popolazioni laddove le arti sono favorite e protette. E quest’ aumento colpisce noi spettatori abituali di questo fenomeno sorprendente . Ma da qual altra sor- presa non sarebbero colpiti gli antichi abitanti d’ Eu- ropa, ed anche i più sublimi fra questi, come Plinio, ed Archimede, se, risorti per un istante alla vita scor- ressere le nostre città, i nostri porti, i nostri stabilimenti, le nostre abitazioni ? Da qualaltro non lo saremmo forse noi stessi, se, posta l’istessa ipotesi, potessimo gettare uno sguardo momentaneo sopra ciò, che, trapassati al- cuni secoli, nuovi milioni d’ uomini avranno potuto in- ventare, ed eseguire a sollievo della privata, e della so- ciale esistenza? Tuttavia l’ introduzione delle macchine, come qualunque altra opera umana, non và disgiunta da al- cuni passeggieri disordini. Essa Mriimince la rendita della classe operiera, e favorisce quella delle altre prov- vedute di capitali, e d’ ingegno; ed il pgssaggio dall’uno all’ altro stato avrebbe delle conseguenzè tristissime, se avvenisse istantaneo, violento. La soppressione stessa delle dogane e dei dazj, l’ ostacolo il più fatale alle pro- duzioni, allorchè per tal modo eseguita, ne avrebbe de” «* ag SAR E I 253 simili. Ma mille circostanze concorrono ad allontanar questi estremi, ed una collisione lenta, e successiva per- mette a queste forze numerose d’ equilibrarsi a vicenda. E primieramente un processo più pronto cagio- nando una più estesa consumazione, la produzione re- sulta più favorita, e però l’ impiego de’ servigj manuali più considerabile. A misura che le macchine si. molti- plican di numero, si complicàno di meccanismo, ed au- mentano di valore, condizioni che ne ritardano la pro- pagazione, e ne limitano l’ esercizio. La prevenzione e la forza dell'abitudine anch’ esse non sono vinte se non che dall’ esperienza, e dal tempo. L'A. compie questa quarta letttera riportando un calcolo con cui il sig. De’ Sismondi tende a dimostrare, che se da una parte centomila donne con i loro ferri ordinarj, e dall’ altra mille artefici con altrettante mac- chine fabbricassero dieci milioni di para di calze avreb- bero luogo nella seconda ipotesi due resultati. 1.° i con- sumatori di queste calze risentirebbero un risparmio di 5o centesimi per pajo: 2.° soli 1200 opera} sarebbero nutriti invece di 100000. L’ esame rigoroso de’ dati sui quali questo calcolo è stabilito conduce il sig. Say ad una conclusione singolare, ed è che se l’impiego della mac- china da calze induce nella consumazione de’ dieci mi- lioni di paja di calze che ne derivano il risparmio sta- bilito dal sig. De Sismondi, il numero delli operai in luogo di diminuirsi delli 82 ottantacinquesimi circa, risulterebbe aumentato del doppio. LertTERA V. Risoluta nelle lettere precedenti, e con tanto suc- cesso la questione dell’ inerzia commerciale, il s1g. Say 254 s’ occupa in quest’ ultima d’ una seconda estratta d’Eco- nomia Politica; e niuno prevederebbe che dopo tante discussioni, dopo tante opere scritte per il corso di due secoli su quest’ argomento, la questione di cui si tratta sia una delle più elementari, e s'aggiri sulla definizione stessa della ricchezza . Il sig. Malthus la definisce « tutti gli oggetti ma- teriali necessarj, utili, o piacevoli all’ uomo » pensiero già del sig. Lauderdale, la condizione della materialità che il primo v' aggiunge eccettuata. Il sig. Say all’ op- posto, insistendo su quanto egli dimostra nel suo 7rat- tato, e nelle lettere precedenti, ricusa di riconoscere questa condizione, e sostiene che se la ricchezza in ge- nere può crearsi, la materia sì conserva inalterabilmen- te la stessa, e che l’ utilità che deriva in essa dal can- giamento delle sue combinazioni, e delle sue forme (at- tributo unico dal quale la ricchezza è costituita) è una qualità immateriale; che, quantunque utile, un oggetto non può classarsi fra le ricchezze , quali le considera l’Economista, se non ha un valore definito , e che que- sto valore non può dirsi tale se non sia universalmente riconosciuto, e se non possa offrirsi in cambio d’ un al- tro eguale. Così il possesso d’ un bicchier d’ acqua, che forma la delizia di un uomo assetato, nulla aggiunge alla ricchezza di quest’ uomo, ed un proprietario capric- cioso può bene duplicare, triplicare ec. il valore del suo fondo; ma l'utilità di questo fondo non sarà rappresen- tata se non da quello che altri offrirebbe in cambio per farne l’ acquisto . Il sig. Malthus incontra un difensore nel sig. Ric- cardo. Sostenendo questi che il valore delle cose non dipende dall’ abbondanza loro , ma dalla maggiore, o minor facilità con cui vengono prodotte , nega che il 255 valore e la ricchezza possano rappresentarsi a vicenda, giudicando , per modo d’ esempio, che un milione di persone, usando mezzi più pronti, e procurandosi più estese contrattazioni; possa produrre un numero due, tre ec. volte maggiore di cose recessarie, o piacevoli, senza che la somma de’ valori di queste resulti in alcun modo accresciuta. Ma anche in questo caso il difetto ha sede nell’ i- dea elementare della ricchezza, e l’ obiezione si dilegua tosto che essa si consideri, come il possesso d’ una quantità di cose non solo necessarie 0 piacevoli, ma anche suscettibili di un valore cambiabile, e ricono- sciuto. Infatti egli è allorquando le cose possedute han- no queste qualità che possono ottenersi Ze cose piacevoli, o necessarie, ad arricchirsi nel senso del sig. Riccardo; e tanto più arricchirsi quanto quel valore è più grande. Nel modo stesso, se per un raffinamento d’ industria, 0 per una maggiore estensione di relazioni un milione di persone può produrre ricchezze due, tre ec. volte mag- giori senza accrescere il loro valore, i servigj produttivi che concorrono a formarle, e che in ipotesi restano co- stantemente li stessi, sono ricompensati nella medesima proporzione, cioè con una quantità dupla, tripla, ec. di queste ricchezze, che altri può acquistare con egual quantità di questi servigj, e di profitti che ne traggono. Tali sono le dottrine contenute nell’ ottimo libro del sig. Say, le stesse che egli aveva già emessc nel suo Trattato d’ Economia Politica , e della solidità delle quali gli attuali disordini commerciali danno la prova la più diretta e la più convincente. © Li8 aprile 1821. DILLO 256 BELLE ARTI SULLA PITTURA DEGLI ANTICHI Discorso III. ( 1) Della parte che spetta all’ istoria naturale e alla chi- mica nel divisar le ragioni dei colori di che si pal- sero gli antichi nella pittura. Al Dott. G4zrANO Cronr. Conall N on ho dimenticato,. mio cortese amico, il debito della promessa: e a far che mi tardasse di adempierla bastavano senza più le amorevoli parole che vi parve di premettere a quei ragionamenti pei quali noi tra- passammo discorrendo insieme non è ancor gran tempo dei tentativi che resterebbero tuttavia da farsi per ve- nir quanto più si può in luce delle condizioni dell’ an- tica pittura. Perchè a voi, peritissimo delle ragioni de’ colori, e sollecito investigatore degli artifizj d’ operarli tenuti da quei vecchi maestri pe’ quali 1’ Italia ebbe il vanto del ristoramento delle arti, non dispiacque fer- marvi in quelle considerazioni che allora mi vennero in pronto divisandovi alcuni esperimenti ch’ io medita- va di fare su i colori e su i metodi adoperati nella pit- tura innanzi al XVI. secolo; e qualche vostro pensiero vi parve d’ aggiungere ai miei divisamenti; di che vi debbo di ragione esser grato. Ond’ io non posso in al- (1) Vedi il Tomo II. pag. 458. 257 cun modo ritrarmi dal soddisfare al desiderio vostro, ove pur non mi stringesse l’ obbligo della promessa ; che è di porre in scritto quei ragionamenti, e tener pro- posito di quelle esperienze. E a ciò mi muovo con tan- to più d’ animo, quanto più mi è caro di mostrarvi in qual conto io tenga i vostri avvertimenti e consigli; ri- cordandomi d’avere avuto in voi un’ amorosa guida agli studj della chimica nella prima mia gioventù. Dei quali vedrete qual’ uso io abbia fatto leggendo in questi miei discorsi: dove io ho cercato di sovvenite in quan- to per me si poteva al difetto o all’ oscurità delle anti- che memorie che delle pitture de’ secoli precedenti alla restaurazione delle arti e delle prime età delle arti ri- sorte, tattavia ci rimangono; prendendo a disaminare coll’ajuto della chimica e della naturale istoria nelle reliquie dell’arte le maniere dei colori adoperàtivi e delle loro tempere, e le ragioni dei cementi, delle me- stiche, delle imprimiture. Perchè a stare alle sole me- morie che di tali particolari ci han tramandate gli an- tichi scrittori, non è raro che il lume che da esse deri- vasi venga a mancarci ad un tratto dove più ne fareb- be mestieri: tantochè, fidandosi a quelle, vana e breve speranza ci lusingherebbe di ritornar sulla smarrita via di certe pratiche, seguite un tempo, oggi decadute dal comune uso degli artefici. Laonde io stimo che non troppo bene avvisati sieno da reputarsi coloro , che dai ‘detti di quegli antichi scrittori, lasciata da parte ogni altra investigazione e ogni confronto dei documenti colle reliquie delle antiche arti, han preteso di ravvivar ‘ la cognizione di certe particolarità dell’ antico magiste- ro, e di ristabilirle in onore tra gli artefici. Senzachè la maggior parte delle questioni che in siffatta materia sono state mosse, e con lunga disputazione’ agitate fra T. III. Agosto 17 258 gli eruditi, vogliono esser risolute col fatto e sotingoate; al giudizio dell esperienza, Ch*esser suol fonte ai rivi di nostre arti. Pertanto in ciò ch'io verrò notando intorno all’ antica pittura non mi dipartirò mai da questo metodo; nè avrò ‘ per certe o dimostrate se non quelle sole cose in che la testimonianze e i ricordi degli antichi serittori, e la osservazione delle antiche reliquie dell’ arte, e la ra- gione delle di lei pratiche, vanno tra loro d’ accordo . Con questo divisamento io darò mano al mio assunto discorrendo dapprima le nature de’varj colori, di che sì son valuti gli antichi a dipingere. E circa ai colori adoperati dai pittori greci e ro- mani, se ne ha notizia, siccome dicemmo, da Yitruvio e da Plinio, oltre a quanto per occasione di discorso ne ragionano Teofrasto e Dioscoride, scrittori di cose per- tinenti alla naturale istoria e alla medicina (a). È di quelli ch’ ebbero per mano i pittori dei bassi tempi, e delle prime età delle arti risorte, ne abbiamo ricordo nei documenti inediti di quella età, e nei due trattati dell’ arte già rammentati (5), non che nei chimici e nei naturalisti che scrissero innanzi al cadere del secolo XVI (c). Benchè nel far uso di questi documenti non (a) I più notabili passi che in questi due scrittori si trovano relativamente all’istoria delle sostanze adoperate nella pittura , sono opportunamente riferiti nei Commentarj che il P. Arduino ha dati sull’Istoria naturale di Plinio. (5) Theophili, seu Rogerit Monachi -- de omni scientia artis pingendi. Di Cennino Cennini -- Trattato della pittura. (c) Di molte utili notizie e scoperte noi andiamo debitori agli Alchimisti dei secoli XII. XIV.e XV., che pure han la- sciato una ridevol memoria delle loro follie per la pretesa arte di perpetuar la vita, e per la grand’opera della pietra filosofale. 259 sò dire di quanto discernimento faccia di mestieri onde non esser tratti in errore. Vedete di che erudizione mai, e di che finezza di critica abbia dovuto valersi a levare i dubbj, a conciliare le testimonianze degli scrit- tori, e a ridurre ad una vera o probabil sentenza quel poco che si sapeva ( e in che le opinioni tuttavia mal si ragguagliano) intorno alla composizione di alcuni colori artifiziati de Romani e de’ Greci , l’ ornatissimo Michele Rosa} E bene sono per questa parte da tenersi in pregio quelle sue ricerche sul porporisso, e su i co- lori chiamati floridi, degli antichi (d). Stantechè non lieve impedimento è dapprima a venire in chiaro della natura di tale o val’ altro colore ricordato nelle antiche memorie (e non de’ colori artifiziali solamente, della composizione de’ quali è ben da credere che si facesse un’ arcano, ma dei medesimi colori naturali o nativi pur anco), il perpetuo mutamento dei nomi con i quali e presso i Greci, e presso i Romani, e quindi tra noi, sono state e dagli artisti e dal volgo appellate quelle so- stanze. Nè il cangiar delle lingue vi ha avuto tanta parte quanta si crede; perchè il cinzabaris, e la san- daraca, e la sinopide, e alcuni altri nomi dei colori di che facevasi uso tra 1 Greci, con lieve tramutamento che ne mostra tuttavia la derivazione, son venuti nella nostra lingua com’ eran trapassati nella latina; e sì per denotar presso a poco le sostanze medesime. Ma le più di queste denominazioni, date in origine alle sostanze da alcun loro carattere esteriore e ben spesso acciden- tale, o dal luogo ond’ esse provenivano , o dal nome di (d) Memorie del?’ Istituto nazionale Italiano per le classi delle Scienze Morali, e della Letteratura e Belle arti. Tom. I. 1909. 260 di chi primo le ritrovò, e le trasse a un determinato uso, vennero com’ era da credere a grandissima confusione col volger de' tempi: e talvolta uno stesso nome fu usur- pato ad esprimere differentissime cose: tal’ altra una cosa medesima ebbe troppo diversi nomi. E per non uscire dagli esempj allegati qui sopra; dalla simiglian- za del colore ebbero un tempo lo stesso nome di cir- nabari tra i Greci e il cinabro nativo ( solfuro nativo di mercurio) e la resina rossa denominata sangue di drago; e furon di pari modo chiamati col nome di sandarache il giallo chiaro d’ arsenico (solfuro d° arse- nico al primo grado), e il giallo di piombo ( dewtossido di piombo misto al protossido di detto metallo), e una, resina gialla che tuttavia ritiene quel nome. E colla stessa denominazione di mirium venne denotandosi dai Romani il cinabro artificiale (persolfuro di mercurio), e il rosso di piombo bruciato (tritossido di piombo), a cui solo è poi rimasto il nome di mirio. All’ incontro ebbe promiscua denominazione tra i latini , di arsezi- cum o di auripigmentum (per tacer d’ altre) la mede-. sima sostanza nativa del giallo dorato d’ arsenico, che con voce derivata dal secondo di detti vocaboli noi chiamiamo volgarmente orpimerto, e nel linguaggio dei. chimici persolfuro d’arsenico. La qual confusione è per molti capi trapassata negli scrittori delle seguenti età; ed è stata accresciuta dai nomi nuovameute introdotti per denotare sostanze anticamente conosciute, 0 dai nomi antichi dati a sostanze nuovamente ritrovate (e): non (e) Per esempio il risa/gaZ/o ( realgar ) dei moderni tempi, derivato dall’araba voce a/geiar, è la stessa cosa che il san- darach: degli antichi ( protosolfuro d’ arsenico nel linguaggio dei chimici, l’uno e l’altro). Il cinabro derivato dal cinnabaris dei Greci ( solfuro nativo di mercurio ) ha poi dato il nome 261 essendo ancor venute la istoria naturale e la chimica a ordinare queste sostanze, e a distinguerle con deno- minazioni appropriate alla loro natura e ai loro essen- ziali caratteri ed immutabili . i Or di questo noi avanziamo senza contrasto gli antichi : che abbiamoin ciò facil mezzo e sicuro di tra- mandare alla posterità una esatta notizia dei colori de’ quali i presenti artefici si valgono. E noi potremmo pure compiere la istoria di quelli con i quali opera- rono gli antichi, quando si riuscisse a tradurre fedel- mente nella più esatta lingua della odierna chimica quelle denominazioni colle quali sono state significa- te un tempo le diverse sostanze usate nell’ antica pit- tura. Nel che convien procedere con quel metodo che è più atto a tor via ogni confusione: distinguendo da prima i colori espressi dai vegetabili o dalle sostanze animali, e i colori d’ origine minerale : dipoi divisan- do negli uni e negli altri, quali si abbiano spontanei o nativi; quali per mezzo dell’ arte che volge a ta- lento la forma delle naturali produzioni, e le disfà, e ne rifà delle nuove con i loro elementi. Tra le al cinabrese, sostanza colla quale non ha nulla di comune oltre il colore: avendo chiamato con quel nome gli artisti del XIV. e XV. secolo il colore artificiato risultante dall’unione del bianco di calce colla sinopia o terra naturalmente colorita in rosso del perossido di ferro. (Ved. Trattato del Cennini -- Cap. XXXIX, e XLVIII. ) E il nome di sinopia, derivato da quello di siro- pide col quale dal luogo della sua origine fu anticamente chia- mato il perossido nativo di ferro unito all’ argilla, che si traeva dai contorni di Sinope, ( Plin. Hist. nat. lib. XXXYV. cap. VI), trapassò alla terra rossa bruciata, colore artificiato, conosciuto pur dagli antichi sotto altro nome; e le riman tuttavia. » Da quattro canti era tagliato, e tale , Che parea dritto al fil della sinopia. Ar. Cant. IV. 262 ‘quali occorre in particolar modo fermar la considera- zione in quelle, alla produzione delle quali l’arte e la na- tura pressochè di pari modo concorrono, mostrandosi emule per così dire tra loro: perchè certi colori che di rado trovansi nativi, con facile industria sì creano, onde l’ arte giustamente li fa suoi, e pure anche la natura in certe circostanze li produce. E questi son quelli che coll’ opera dei naturali agenti più univer- sali, vale a dire dell’ acqua, dell’aria, della luce , o del fuoco, senza molta preparazione produconsi ; i quali pure senz’ intervento dell’arte la natura sola talvolta vien procaeciando. Ben è vero che molte più di sif- fatte sostanze si ottengono per via di sottili ritrova- menti, e dell’ opera combinata dei moltissimi agenti naturali di che la chimica dispone: e a questi colo- ri assai propriamente diè nome di artificiati per al- chimia il Cennino ( f ), con opportuno modo distinguen- do i colori nativi o naturali, e i colori naturali in- sieme ed artificiati ; ed i colori artificiati com’ ei dice per alchimia; la qual distinzione io seguirò. Che se di questa o d’ altra simile osservazione si fosser valuti Plinio e gli antichi, certo che più chiaro ed aperto sarebbe per noi quanto essi han lasciato scritto intor- no ai colori; nè resteremmo molte volte in dubbio se taluna di quelle sostanze che essi vengono ricordan- do, sia perduta per noi, o artificiale o naturale ch' ella si fosse; oppure s’ ella conoscasi tuttavia, e venga ado- perata sott’ altro nome (g). (f) Trattato della pittura — Cap. XL. e seguenti . (e) Vero è che accennasi da Plinio ( Lid. XXXY. cap, VI.) esser tra i colori alcuni naturali, altri artificiali o fattizj: ex omnibus alii nascuntur, alii fiunt : ma l enumerazione che ne sussegue è tanto lontana dall'essere esatta e compiuta , che 263 Il qual difetto è però ristorato in qualche parte negli antichi scrittori dalla cura che essi hanno avuta di descrivere certi modi di falsare 0 imitare i colori na- tivi tratti dai fossili o dai minerali, per mezzo di terre artificialmente colorite. E queste tingevansi frequen- temente con i colori espressi dalle sostanze vegetabili o animali . Talchè colla porpora, col cocco, e coll’hysgi- num , bellissimi tra questi colori, falsavansi i più bei colori minerali, imbevendone sottili e bianchissime terre alluminose e calcaree , e addimesticandoli in certo modo per questa via con gl’ intonachi e colle imprimi- ture dove per la loro dilicatezza non avrebbero potuto resistere soli e mantenersi (£). Non è però che quegli ar- tifizj rassomigliassero per verun conto ai nostri co quali certi colori d’ origine vegetabile o animale, come per esempio quelli del kermes, della robbia, e di molte specie di fiori si fanno passare sulle terre alluminose e si fissano in quelle, producendo le così dette Zac- che; di che sarà fatta ragione a suo luogo. Intorno alla qual cosa s' io non convenga nell’ opinione che il sig. Davy ne espresse (i) non sarà chi me lo rechi a biasimo: non che io mi conosca sì poco, che presuma di contrapporre la mia all’ autorità di un tant’ uomo: ma s' io non erro grandemente, ogni dubbio su questa particolare è levato via dall’esperienza. Per mezzo della quale, cimentate come vedremo le sostanze adoprate dei più de’ colori minerali ricordati nel XXXIII. Libro, non sì trova quivi neppur fatta menzione. (4) Di questi colori sarà ragionato partitamente in uno dei seguenti Discorsi , (î) Nel suo scritto ,, Some experiments and observa- tions etc. -- Phil, trans: 1813. 254 dagli antichi nella pittura all’ uso delle nostre Zacche, e trovate ultimamente negli scavi d’Ercolano e di Pom- ‘ peia, e nelle rovine delle case de’ Cesari a Roma, per quanta somiglianza ritengano con questa, è stato rico- nosciuto tuttavia non poter elleno esser composte con quel nostro metodo di precipitar mediante le liscive alca- line l’aZlumina distemprata o sciolta con i colori espressi dai vegetabili. Nè dai passi di Vitruvio e di Plinio alle- gati dal sig. Davy può argomentarsi che gli antichi ne avesser contezza , e che adoperassero per fissare i colori d’ origine vegetabile o animale sulle sostanze terrose un metodo simile a quello dei moderni. Seb- bene quel chiarissimo ingegno non ha pur data que- sta opinione sua se non che per una probabil congettura fondata sopra alcuni non ben chiari cenni di que’due scrittori. E contuttociò mi duole di contradirgli: e più ancora dove con manifesto abbaglio, andando dietro ad una scorretta lezione di un’ altro passo di Vitruvio, è sceso nell’ opinione che il modo tenuto dagli antichi per falsare o imitare l’azzurro indiano o i7zdico ( colore, come vedremo, della natura stessa dell’indaco de’ nostri tempi) fosse quello d’impastare la creta selinusia 0 annulare colla polvere del vetro turchino ( ialos dei Greci ) (4). Su di che, troppo facilmente verremo in chiaro (4) Ecco i due passi su’ quali si fonda il Sig. Davy: l’ uno è di Vitruvio ( ZLi5. YI. cap. XIV. ), ch’ ei legge come se- gue ,, Propter inopiam coloris indici cretam selinusiam vel annulariam vitro, quod Graeci ialos appellant , inficientes , imitationem faciunt indici coloris. L’altro è di Plinio ( Lib. XXXV. cap XIV. ) che stà : ,, qui adulterant, vero indico 3, tingunt stercora columbina, aut cretam selinusiam vel an- » nulariam vitro inficiunt. 265 esser tutt’ altro il senso del passo allegato, e l’ intendi- mento di Vitruvio e di Plinio. E la genuina lezione del controverso passo nel primo di questi scrittori venne ristabilita, è già gran tempo, col confronto dei migliori e più antichi codici da un’ accuratissimo filologo, ripo- nendovi isatin in luogo di quella voce ialos, che poco avvertitamènte i primi editori di Vitruvio da scorrette copie vi ammisero (/). Onde non vetro turchino macinato, ma il colore espresso dall’ isatin, è la sostanza adope- rata dagli antichi per falsar l’azzurro indico , fissandolo o incorporandolo nella finissima e bianca argilla ch’essi chiamavano selinzsia o annularia, come noi lo fisse- remmo sull’ allumina formandone una lacca azzurra . Sicchè l’ isatin dei Greci, o il vitrum dei Latini non è altro che la sostanza colorante di una medesima pianta, isatis tinctoria denominata dai moderni naturalisti, glastum detta alcuna volta nelle latine scritture, guado nella comune nostra favella (7). Al che consuona pure, quanto altrove Plinio medesimo, e Cesare ne’suoi Commentar} ricordano del costume proprio dei Britan- ni, e delle loro donne, di tingersi il viso ed il corpo col colore ricavato da questa pianta ; quelli nei combat- timenti per mostrarsi più orribili in vista; queste nei congressi di certe loro cerimonie sacre (7). (2) Turneb. Adversar. lib. VI. Cap. XVIII. Perlochè do- vrà leggersi così quel passo: ,, cretam selinusiam vel annula- » riam vitro , quod Graeci isatin appellant , inficientes etc. (7) Herba quam nos vitrum, graeci isatida vocant. Marc. Emp. cap. XXIII. (n) Omnes vero se Britanni vitro inficiunt , quod caeruleum efficit colorem. C- Caes. de bello gall. lid. 7. cap. XIV. Si- mile plantagini glastum in Gallia vocatur quo Britannoruna conjuges. nurusque, quibusdam in sacris et nudae incedunt , aethiopum colorem imitantes. Plin. Hist. Nat, lib. XXII. cap. I. 206 Oltre di che, io non saprei per vero dire come avrebbe potuto falsarsi l îrzdico , bellissimo e vivacissi- mo tra gli azzurri, col tingere la creta o l’ argilla col vetro azzurro macinato. Perchè appena gli smalti ve- trosi più carichi conserverebbero qualche apparenza del vivace loro tuono di colore, ridotti in polvere e fram- misti o incorporati alla calce e all’allumina , se già non fosse col ridurli nuovamente in una pasta vetrosa; lo. che gli renderebbe inutili all'opera della pittura. E qualsivoglia vetro colorito trasparente è ancor meno atto a quest’ ufizio, perdendo ogni lucidezza macinato o tritato che fosse, e riducendosi alla condizione di una polvere leggerissimamente colorita . AI che è da aggiungere per ultima considerazione, che l’indico falsato al modo che ha crednto il sig. Davy avrebbe pure avuto una rara inalterabilità tra i colori azzurri noti agli antichi. Or che è questo dunque, che Plinio mette del pari gli azzurri da lui descritti , tra i colori nemici della calce umida e viva; mentre quel siffatto colore avrebbe potuto senz’ altro connumerarsi tra quelli che adoprerebbonsi dipingendo a fresco? L’in- dico e il ceruleo, avverte egli, sono insofferenti della calce: son colori ritrosi ad essere applicati sull’umido intonaco , e vogliono asciutti i cementi (0). La quale considerazione alle varie nature di tem- pere onde son capaci i diversi colori, se non fosse uscita di mente al chiarissimo Cav. Tambroni, non avrebbe a parer mio, preso anch'egli un’errore consimile a quello del sig. Davy nel divisar la natura di quel color tur- (0) Usus.... in creta ; calcis impatiens. ( Lib. XXXIII, eap. Ill. ) Ex omnibus his coloribus cretulam amant , udeque illini recusant , purpurissum, indicum , caeruleum ... ( Lib. XXXV. Cap, 267 chino denominato azzurro della Magna, di che si fa ragione nel trattato della Pittura del Cennini per lui dato in luce. Nel qual colore ei non riconosce se non che l’ azzurro formato dall'ossido vetroso di cobalto combinato colla potassa e colla silice calcinate, e coll’ossido d’ arsenico (p), che è come dire, una fritta vetrosa colorita dalle ceneri di cobalto, l’ arsenico do- vendo sfumare e separarsene nella calcinazione; la quale composizione perciò non differirebbe molto dallo smal- tino de’ nostri tempi. Come dunque avrebbe potuto annoverarsi poi dal Cennino medesimo, secondo che si riscontra leggendo più avanti (9), l'azzurro della Ma- gna tra i colori che non ponno essere adoperati dipin- gendo a fresco? Ma io non oppugnerò la sentenza di quell’ egregio uomo con i ragionamenti, la questione essendo risoluta dal fatto. Leggo in un documento dell’ anno 1347. che con altre pregevolissime memorie attinenti alla istoria delle belle arti ne’ secoli XIII. e XIV. conservasi nell’ Ar- chivio dell’ antichissima Opera di s. Jacopo di Pistoja, descritte varie partite di colori somministrate per conto di detta Opera ad Alesso e Buonaccorso Pittori, con- dotti in quell’anno a dipingere la Cappella ch’ ebbe nome dalla celebre sagrestia de’ belli arredi. Tra i quali colori è pur ricordato l’ azzurro della Magna; e vi è anche notato il prezzo di questo così come degli altri colori, e gli stipendj dei maestri, e tante altre partico- larità, che sarebbe da trarne facilmente argomento di (p) Del Trattato della Pittura di Cennino Cennini -- Cap. LX: in nota. (9) AI Cap. LXXIH. di detto Trattato» 268 una curiosa e non affatto inutile digressione . E in altre memorie ricavate dagli antichi libri d’amministrazione dell’ Opera del Duomo di Pisa, dei tempi in cui fu condotto quel magnifico lavoro pittorico del Campo santo pisano, ove adoperarono i più famigerati artefici toscani de’ due secoli XIV. e XV., si fa pur menzione dell’az- zurro della Magna somministrato ai medesimi per di- pingere . Del qual colore, mantenutosi vivissimo fino ai di nostri, è stata instituita un’ analisi chimica , tol- tane una porzione sì da quelle di dette pitture che ri- mangono tuttora al lor luogo, come dai frammenti di quelle che odiernamente (non senza nota di barbarie) sono state gettate giù: che tanto è avvenuto di quelle già rammentate della Cappella pistojese di s. Jacopo . E si è trovato risultar quel colore da ceneri azzurre di rame, e consister propriamente in ciò che ai Chimici par di chiamare carbonato di rame. Nè starò qui a de- scrivere il processo di queste analisi, su di che occor- rerà ritornare in altra occasione. Noterò solo che le medesime esperienze sono state con pari successo ese- guite su’ i colori azzurri di un grandissimo numero di dipinture a tempera dei secoli XII. XIII. e XIV. Tanto che par certo che i pittori di quelle età non conosces- sero altri azzurri tra i colori minerali, fuorchè l’ oltra- marino tratto dal lapislazzuli, rarissimo e nobilissimo colore, e l’ azzurro della Magna o di Lamagna, così chiamato , secondo è da credere, dal luogo onde prove- niva (r). (r) L’ egregio e rispettabile mio amico Prof. Giuseppe Branchi di Pisa ha trovato lo stesso azzurro di rame nel colore che tuttavia rimane in qualche parte dei panneggi di alcune statuette di marmo, opera di Giovanni Pisano , che si vedono presentemente nel celebre Campo Santo di detta Città, e che appartenevano all’ antico pergamo della Primaziale (- Lett al 269 Nè farà maraviglia che per le analisi chimiche non siasi trovato fin qui vestigio alcuno di ceneri di cobalto negli azzurri delle antiche dipinture, quando se ne sono scoperte (e il sig. Davy il rafferma) nei vetri turchini degli antichi (s). Perchè molto tempo innanzi che i Chimici facesser conoscere il cobalto come una partico- lar sostanza metallica, era certamente in uso l’ ossido di ferro nell’ arte vetraria, nelle manifatture della por- cellana e della majolica, e anche nella pittura a smalto per ottenere certe maniere d’ azzurri. E col nome di zaffera conoscevasi allora quel minerale, che non puro e nativo, ma purgato innanzi col fuoco dall’ arsenico e dallo zolfo, veniva posto in commercio sotto 1’ appa- renza di una terra pesante di color grigio. La qual de- nominazione ebbe esso dal tingere in azzurro i vetri e le paste vetrose trasparenti colle quali fondevasi, ond’esse Prof. Ciampi nell’Append. alle Notizie inedite della Sagrestia de’ belli arredi e del Campo Santo Pisano ). Era in uso al- lora di colorire alcune volte i panneggi delle statue ; il quale uso ebbero pure un tempo i Greci scultori, e sì quelli della più bella età delle arti, secondo che raccogliesi da alcuni passi di Pausania e di Plinio, ed è con gravissimi argomenti dimostrato dal Sig. Quatremere de Quincy. nella insigne sua opera del Giove olimpico , o dell’ arte della scultura presso gli antichi» (s) I vasi trasparenti di vetro azzurro trovati nelle tombe della magna Grecia sono a sentimento del Sig: Davy, coloriti in eeruleo dal cobalto - ,, Trovai ( dic’ egli ) questa sostanza in . » diversi frammenti di vetri antichi fornitimi dalla cortesia del » Sig. Millingen. Ho esaminate dipoi, soggiunge, alcune paste 3; vetrose egiziane che ho ritrovate colorite in turchino ed in » verde dal rame: ma sebbene abbia cimentati coll’ esperienza » nove diversi pezzi di vetri antichi, tanto greci che romani , +, non ho trovato rame in veruno; bensì in tatti il cobalto .... » Ed è stato riconosciuto pur l’ossido di cobalto ne’ vetri az- » zurri scoperti nella 77//a Adriana, secondo che me ne av- 3 Visò da Milano un dotto mio amico ( Some experiments and observations ete- 270 venivano a falsare o imitar lo zaffiro (#). Nè ciò il po- teva rendere atto alla ordinaria pittura, non avendo esso naturalmente quel colore, ma prendendolo al fuoco, e commisto con adattati fondenti, nella vetrificazione delle sostanze terrose. Lo che forse aprì dipoi la via all’ artifizio della composizione dello smaltino: quando si vide che fondendo ii minerale medesimo, in pri- ma arso al fuoco, solamente con tanta silice pura e potassa quanta bastasse a formarne uno smalto azzur- ro, se ne aveva (macinando, e lavando poi ripetuta- mente la polvere di questo smalto) un colore adattato per la pittura. Ma di che potrei io ragionare toccando questi par- ticolari, che a voi mio caro amico non fosse già noto? Bensì io non credo di essermi nè fuor di proposito nè . inutilmente disteso alcun poco neldimostrare coll’esem- pio di chiarissimi uomini, in quali errori sia facile in- correre quando non sovvengano del pari a siffatte ricer- che le memorie o i documenti che gli antichi ci han lasciato dell’ arte, e la osservazione delle reliquie che tuttora ci avanzano dell’ antica pittura, e la ragione delle di lei pratiche. I quali studj, scompagnati l’uno dall’ altro, è molto se essi valgono talvolta a togliere in parte l’ oscurità che quell’antico magistero ricuopre ; uniti, poco è ch’ essi la dileguino interamente; tanta è la luce che vicendevolmente si prestano : « + + + ita res accendunt lumina rehas. Pietro PETRINI. . (£) Vedasi l’ Arte Vetraria del Neri -- Edizione di Milano del 1817. -- nelle note al cap. XIL. 271 LETTERATURA Lettera del sig. Tanzroni al sig. A. Bencr autore delle osservazioni intorno il trattato della pittura di CenniNo CenNINI dell’ edizione di Roma Ant. N. VI. pag. 371. SIGNORE N on posso esprimerle di quanta gioja mi sia stato ca- gione il vedere che per quella mia edizione del trattato della pittura di Cennino Cennini, siasi mosso un chia- ro ingegno toscano a cercar finalmente le scritture di quel vecchio, ed illustre suo concittadino. A Lei dun- que avrà grand’ obbligo la patria di questa fatica, ed io. le sono tenuto della gentilezza, ed urbanità, con che ha fatte pubbliche le sue osservazioni. E giacchè offre di stampare ancora le risposte intorno le medesime, chie- do grazia dalla sua lealtà per queste poche righe, onde abbiano luogo nel medesimo giornale dell’Antologia. Del qual favore le rendo anticipati ringraziamenti. Innanzi d’ entrare a discorrere i particolari del raffronto per lei fatto dell’ edizione con due codici 4 conviene statuire chiaramente il vero senso delle sen- tenze dei dottissimi Monti e Perticari miei onorandi amici, alle quali sono appoggiati i suoi rimproveri con- tro l’ edizione romana. Appare dall’ universale delle osservazioni anzidette ch’ Ella porti opinione, doversi nella pubblicazione de’ codici correggere, non solo gli errori dell’ ortografia, ma togliere eziandio di mezzo quelle voci antiquate che ora non si trovano più usate nella Toscana, e delle quali s’ignora la derivazione. | 272 Ma io non posso discendere in tal sentenza, perchè non la credo nè ragionevole, nè quella de’ letterati detti di sopra. Essic'insegnano bensì di rendere tersi, ed immu- ni dalle colpe de’ copiatori questi sacri depositi dell’an- tica favella italiana, laddove o il senso è guasto, o le voci sono evidentemente corrotte; ma credo che fulmi- nerebbero d’ anatema colui che osasse stendere teme- rario la mano sul vasto patrimonio della lingua nostra, ed avesse ardimento di cambiarne le voci a suo talento, e sostituirvi le moderne. Perchè operando in tal guisa si verrebbe a togliere il carattere originale degli scrit- tori, si tradirebbe la verità, e si calpesterebbe la storia della favella. Tanto è vero che le sentenze de’ sapienti vanno maturamente considerate prima di farne utile e sincera applicazione. Il Cennino, siccome ognun vede, era uomo di nes- suna dottrina, e scriveva nel linguaggio della plebe to- scana. Quindi i modi del suo dire, e l’ espressioni de’ suoi concetti non potevano al certo essere nè lucide, nè eleganti. Era dunque mestieri udirlo ragionare da suo pari, e chi avesse voluto prosumere far di lui un mae- stro del dire, sarebbe andato grandemente errato, so- pratutto allorquando le parole non generano senso de- forme; non si dovendo per noi pretendere di migliorare l’intelletto degli scrittori. Chi avesse poi osato rifor- mare quelle voci ch’ egli adoperò nella sua scrittura , perchè non sono più oggi sulle labbra de’ gentili tosca- ni, avrebbe, giusta la sana ragione, commesso grave fallo. Guai se i copiatori di Dante, e di tutti quegli al- tri primi padri dell’ idioma italiano avessero osato tan- ta colpa! E ciò solo perchè ne’ tempi loro molte voci non avevano più vita sull’ Arno, comecchè sì rimanes- sero nell’ altre provincie d’ Italia. La dovizia del par- 273 lare si sarebbe venuta così restringendo a misura che le voci andavan fuori d’ uso; e sarebbe in oggi smarrita ogni guida intorno le origini, e le vicissitudini della lingua. Per la qual cosa mi penso che Ella, gentilissimo Signore, non potrà negarmi, che il Monti, e il Perticari non d'altro intesero ragionare che di quelli errori che derivati sono ne’ codici dall’ignoranza de’ copiatori, e quindi mi terrà per assoluto dalla taccia, di che mi grava nelle sue osservazioni, di non aver voluto farla da autore, cioè: di non aver rifatto a mio capriccio il Cennino. La qual cosa sarebbe stato peccato imperdo- nabile . Ora venendo al fatto di quelle tante voci del codice Ottoboniano, che si trovano pure nel Mediceo-Lauren- ziano ( da cui non dissento fosse ricopiato il primo, ) . Ella vorrebbe ch'io le avessi tolte, e rimutate in moder- ne, perchè non si trovano nel Riccardiano, e perch’Ella non ne ha rinvenuta trac cia in Toscana. Prima di dare tale sentenza avrebbe bisognato non istar soltanto al vocabolario della crusca, ma cercar tutti i dialetti d’Ita- lia. Ciò facendo avrebbe trovato il dislinguare per istem- . perare nella Lombardia: lo struccare per ispremere ( come ho pur detto in una nota ) nella Romagna e nel :- paese Veneziano: l’îimpigliare per accendere nella Ro- magna, nel Bolognese ec. e nello Scisma C. 85. del Da- | vanzati (da me pure citato in nota; ): l' asuzare 0 usunare per radunare nel Veneziano, e nello stesso | paese spelaura per ispelatura . Nella Romagna poi, e in tutto il paese fino al Pò di Piacenza avrebbe udito aguzzare per arrotare e aguzz per arrotino. Nè si sarebbe Ella cotanto scandalezzato della voce cartolaro per cartolajo, se V’ avesse udita sulle labbra del popolo T. III. Agosto. —. i 18 : “ 294. di Roma, e l’ avesse letta a grosse lettere ne’pataffi di queste botteghe. Dal che ne consegue che se vuolsi aver gran. prudenza nell’ ammettere voci ‘che ora sembrano nuove, altrettanta fa d’ uopo usarne nell’ escluderle . Anzi torderà di grand’ onore alla Toscana il riconoscere che tali voci, rimaste ora negli altri municipj Italiani, ebbero stanza un giorno sull’Arno. Perchè pare dimo- strato che la favella è di tutta la nazione, e non di un solo municipio. Onde il prosumere di togliere d’ autorità di pochi un antico vocabolo perchè non più in uso in un canto d’Italia, diverrà ardimento e tirannia di quella stessa dittatura ch’ Ella combatte. Nè si vorrà dire per- ciò che tutti debbansi ammettere ed adoperare i voca- boli dimenticati. Chè il Monti ha trovata per gl’ignobili e rozzi onesta sepoltura. Ma perciò fare vuolsi il consenso di tutti i filologi della intera contrada italiana, ai quali lascio il decidere se il verbo triare sia poi cotanto strano quanto ella il crede. Ben le dico che tritare o triturare mon è lo stesso che macinare; che la derivazione di tal voce, come ho provato, è tutta latina, e che infine non ho recato in mezzo l’autorità dell’Amati, che a provare che il triar fu pure della lingua romana (noti bene, non romanza ), abbenchè in altra significazione . Per conseguente sarà forza conchiudere almeno non esser tal voce nè barbara, nè nuova. Nè convengo, nè posso convenire essere errori, sbagli, spropositi tutti quelli ch’ Ella nota come tali nell’ edizione romana. Molti non sono che varianti, e finchè non si rinvenga l’ autografo non potrà troncarsi ogni quistione . Intanto da quel poco di ch’ Ella ha donato il pu- blico, son d’avviso che meriti preferenza il codice Lau- renziano, e perchè più antico, e perchè conserva quella » 205 tinta originale di che è stato spogliato il Riccardiano dal suo officioso copiatore . E di questo peccato sunv esem- pio il mutamento del dislinguare in dissolvere, dell’a- sunasi in affummasi, dello struccare in premere, che non è lo spremere. La qual cosa dimostra che non usando più tali voci a’ tempi di quel copialore, egli le volle rimutare in quelle de’ giorni suoi. Questo sì che è vero peccato non sanabile per nessuna autorità, e più grave d’assai di quello, perchè vengono publicati gli antichi manoscritti tali quali giacciono cogli errori di senso, e di ortografia. Comunque siasi però, s' Ella, che credo persona d’ animo candido ed onesto, avesse letta attentamente la mia nota all’ indice delle voci avrebbe veduto che mi protesto d’aver fatta quella raccolta per comodo dei leggitori, lasciando poi all’arbitrio de’sapienti l’ammet- tere, o l’ escludere le voci stesse. Per questa parte dun- que è ingiusto il credere che io mì sia arrogata magi- stratura di lingua . E qui mi confesso in difetto per la voce teglia da lei notata a ragione come già registrata ne’ vocabolarj. Ma poichè sono sul discorrere le dichiarazioni per me fatte, mi dica se le è sfuggita quella della nota al primo capo del Cennino, ove leggesi ,, ma nel dubbio ecco la lezione che io crederei dovesse avere fino a che non si trovi meglio. ,, Il quale passo chiaramente dimostra non aver io preteso dar un testo puro, ed irre- prensibile. E nella prefazione dissi ,, nè mi tengo già di sì gran fatto d’aver tutto rischiarato, ed annotato. Cade ora in acconcio il dire perchè io non sia. venuto a Firenze, o non abbia mandato per raffrontare l’Ot- toboniano col Mediceo. Di tutte le cagioni ch’ ella ha passate a rassegna, la terza è stata quella che mi ha \ 276 trattenuto: cioè la diffidenza, e ciò dichiaro francamente sicccome colui che ho avute triste prove su questo par- ticolare. Onde sino a che non sia fatta legge quella sua proposta di palesare per giornali e per lett ere l'impresa del pubblicare codici inediti, mi terrò contento a quanto ho fatto rispetto al Cennino, tanto più ch’ Ella ora ci avverte che già ne correvano copie preste a publicarsi. Non volli essere prevenuto, e mi sembra ben perdona- bile questo piccolo amor proprio . Sarebbe stata in vero cosa crudele che dopo 400. anni circa che l’opera del Cennino giaceva negletta da’ Toscani, fosse poi stata messa in luce da qualcuno di loro nel punto stesso che io vi aveva durata tanta fatica intorno . D'altronde la descrizione che fa il Bandini del Laurenziano, e il non averlo mai i Toscani scrittori non solo mandato per le stampe, ma neppur letto, davami il diritto di cre- derlo copia tanto informe e guasta da non essere con- sultata. Ella impugna siccome erronea quella deduzio- ne che io trassi dal passo da me riportato del Bandini, e dice: «Zndicò (il Bandini) soltanto che il codice è mal legato e non ne fece grand’elogio perchè altro non disse, che vi erano molti secreti non dispregevoli « dunque non lo aveva minutamente considerato. Ecco la sua conseguenza. Ma mì dica, signore, con buona fede, se un letterato qual era il Bandini poteva assicu- rare esser que’ segreti non dispregevoli senza averli mi- nutamente letti ? E perchè ha ella troncato il passo sop- primendo quel restante dell’ elogio ch’ ei ne fa col dire: « Dignus est qui ab aliguo bonarum artium cultore diligenti examine perpendatur? L'ho pur io recato intero nella prefazione! E poichè parliamo di buona fede ho a dolermi ‘h’Ella m°abbia fatto sragionare, perdoni l’ espressio- 277 ne, col dire « onde non mi pare ben dimostrato il di- scorso del Tambroni intorno alla nascita ed alla morte di Cennino , poichè presupone che questi finisse il suo libro dell’arte il di 31 Luglio dell’anno 1437 ». Chi non ha letta la mia prefazione crederà che io abbia | ragionato in questa guisa « 7 Cernino scrisse nel 1437. dunque era nato nel 1360. » Questa è troppo grossa, ne vorrei che i leggitori accusassero lei di poco. buona fede, o me di nessuna logica. Rilegga dunque con pa- zienza la prefazione, e vedrà che la ragione della na- scita del Cennino l’ ho dedotta dall’ epoca della morte d’ Agnolo Gaddi suo maestro. Della morte di lui non ho poi fatta parola veruna. S' Ella suppone ch’ ei scri- vesse quel suo libro in carcere, e nel 1437 e crede che questa data sia del copiatore, tanto meglio per me. Per- chè ogni anno che respinga lo scritto verso il 1410 mi diviene arme potentissima contro il racconto favoloso, del Vasari. Le avrò quindi grand’ obbligo se ‘confuterà per vie autentiche il passo del Baldinucci da me rife-_ rito . L'avviso però che anche l’ eruditissimo Bottari in quella nota alla vita d’ Agnolo, Gaddi da me citata aggiunge « Za scrisse (l’opera) l’anno 1437, nelle pri- gioni delle stinche dove si mettono i debitori di debito Civile. L’ annotatore poi del Baldinucci, ediz. mila- nese de’ classici, alla vita del Cennino ha quanto segue, «Le carceri, e in ispecie quelle delle stinche hanio dato agio a più d’ uno di compor libri, cosa che si può toccar con mano agevolmente . Per altro l’opera ch'ivi fece il Cennini si trova etc. Infine tutti i dizionarj pit- torici lo dicono vivo nel 1437 appunto per quella data. Ond’ è ch’ io, comecchè veneri la sua opinione fondata sopra argomento negativo, pure andrò cauto dal cre- derla ciecamente . Sarebbe cosa d’ assai omore però 278 all’ umanità, ed a’ Toscani il provare che quell’infelice: vecchio non gemesse miserabilein un carcere all’ età di quasi 80. anni. Dunque se ho narrato di lui tale in- felicità l'ho fatto sulla fede degli autori toscani che ne ragionarono avendo forse cercato di questa storia negli Archivj. Ma non sarò il solo che abbia a dolersi di lei per cagione di sconvolta sentenza. Che il Betti maravi- glierà nel vedere ch’ Ella lo faccia giudice di cosa non - mai da lui sognata . Ella dice « que’ raddoppiamenti di voci che s’ incontrano ad ogni passo, e che il Betti ha giudicati sinonimi etc. » E sì questo mio dotto amico discorse per bocca mia, soltanto la non origina= lità di que’ raddoppiamevti, e non il loro valore prefaz. pag. 16. « dirò essere opinione del prelodato Salvator Betti che si debbano tenere per dichiarazioni interpo- lute nel testo dagli amanuensi , que’ raddoppiamenti di voci etc. La qual cosa è ben diversa da ciò ch’ Ella mostra intendere . Venendo ora col dire al Codice Riccardiano, ripe- terò che in quanto a me l’ ho per inferiore al Lauren- ziano, laddove questo non è mancante; perchè può dirsi codice rifatto per opera arbitraria del copiatore . Dio sa quanti codici sono stati in tal guisa deturpati, non altrimenti di quello che accade alle vecchie pitture ristaurate da' moderni, i quali per renderle vaghe e rilucenti sostituiscono le proprie alle pennellate origi- nali, e sì vengono cancellando ogni memoria del pen- nello de’maestri. Infatti quell’abbreviatura 72e/74720 che ha il Mediceo, e che in nessun altro modo può inter- pretarsi che nell’ animo, siccome fece il ricopiatore dell’Ottoboniano, comecchè frase adoprata da un idiota in senso improprio, è migliore di quella lunga « erro 279 la mano » ch’'ella commenda. Nè altrimenti inter- | pretiamo ne’ vecchi codici magnano che per magna- nimo . E quel mezzetto pure del Riccardiano è variante erronea, mi perdoni, s’ ella lo preferisce al mozzetto . Perchè mozzetto, che viene da mozzo, è idoneo epiteto del pennello tagliato e privo della punta. E s' Ella avesse cercate le officine de’ pittori avrebbe udito no- mare cotali pennelli mozzetti, e non mezzetti . % io copiatore del Riecardiano non trovando più nel XVI. secolo in Toscana la voce impigliare per accen- dere, credette opportuno il togliere affatto quel verbo tanto necessario all’ operazione prescritta dal Cennino , e compose un caos di parole senza senso. Giacchè nd ottenere il fumo da una lucerna piena d'olio, ei si conviene accenderla . E accesa, a radunar molto fum- mo, fa mestieri riempirla di nuovo a misura che si va consumando |’ olio. Le confesso la mia ignoranza, ma la sua critica a questo passo m'è rimasta d’ assai più. escura dello stesso codice Riccardiano . Gosì pure non posso digerire quella lezione dello stesso codice ove è detto, che il fummo affummasi. Il qual modo fa ridere. Il povero copiatore non sapea che asunare era vocabolo morto in Toscana, ma vivo a Ve- nezia e goffamente scrisse che il fummo si affumma. Ella dice che asunarsi con corpo è pleonasmo. Come chiameremo poi il fummo affiwmmato ? Grandissima ventura è stata la sua nel discoprire il codice Riccardiano, senza cui, come ella con fessa, non avrebbe potuto giovarsi interamente del Laurenziano. Perchè le è stata cosa assai facile il sentenziare poi a colpo d'occhio, e senza disagio della ‘migliore lezione da darsi all’Ottoboniano. Io per lo contrario, senza spe- ranza d’ajuto dal Laurenziano , per le ragioni discorse 280 di sopra: sbigottito pel silenzio dei Toscani durante quattro, secoli, e con un esem plare tutto scritto a contro sevso dovetti lottare con ogni natura di difficoltà: vin- cere passi oscurissimi, e per donare una lezione passa- bile, durar tal fatica che mi assolve certamente dalla taccia di pigro. Le quali cose tutte sarebbero state per me e facili, e meccaniche, se, com’ Ella, avessi avuto sotto gli occhi il Laurenziano dichiarato dal Riccardiano . Mi duole infine che V. S., che ha sì chiaro ed acuto ingegno siasi quasi per cagion mia rattenuta dal ripubblicare il Cennino colle aggiunte che si leggono in codesti due codici, e che sono vero, e precipuo teso- ro. Non è ch'io mi ricusi dal farlo. Ma o Ella, 0 qual- ch’ altro valente Toscano potrebbe far cosa di maggior virtù ch'io non ho saputo, toccando principalmente la spinosa questione del dipingere ad olio, ed annotando l opera con migliore giudicio. Viva sano. ‘ Di Roma a’ 6 Luglio 1821. i TAMBRONI. Al chiarissimo signor Cav. TAmBRoni in risposta alla lettera precedente. Firenze a di 12 di Luglio 1821, SIGNORE M; gode l’animo di poter rispondere a Lei, gentilis-. simo Signore, con sentimenti di buono italiano, Da molti anni in quà pareva vergogna il ricevere oneste i 281 censure da alcuno che fosse mato in Toscana: pareva superbia toscana il darle. Ella non sole è stata conten- ta a riceverle da me, che sono tra’ letterati nell’ infimo grado: ma si è degnata pure di riconfortarmi colla fidu- cia, in me non invano riposta, che io medesimo cioè riparassi al biasimo, dato per avventura troppo solleci- tamente all’ opera sua. Onde non mi rimane altro de- siderio, se non di veder l’ esempio suo imitato da tutti i letterati, aftinchè noi pure possiamo dire un giorno agli stranieri che l’ italiana famiglia esiste e s° ama. Ed io intanto comincio l’ opera. adempiendo le mie pro- messe e il desiderio suo; poichè in questo medesimo istante consegno al sig. Pietro Vieusseux quella lettera .ch’ella si è compiaciuta di scrivermi: ed egli la pub- blicherà senza indugio e senza verun cambiamento, fa- cendone altresì riveder le stampe ad un uomo rispetta- bile che è di lei sincerissimo amico, stantechè io parto ora da Firenze e non posso da me stesso renderle que- sto secondo ufficio. Quindi mì permetta che io aggiunga alcune cose a quelle già dette, rispondendo alle sue cortesi parole. Se io tacessi, mostrerei di non aver inteso ciò che 10 seriveva, e farei quasi un ingiuria a lei come se non meritasse alcuna risposta. Pertanto io le dico dapprima . che è lodevole lo zelo suo nel difendere le sentenze del Monti e del Perticari, dappoichè ella si gode della loro amicizia: ma essi non hanno questo bisogno , nè 10 mi son giovato male a proposito de’ loro discorsi. lo dice- va, e credo di non errare, che pubblicando i codici, bi- sogna correggere tutti que’ luoghi, ove l’ ortografia è scorretta. E noti bene, che il Perticari ha scelto sem- pre ne’ diversi manoscritti d’un opera medesima que’ vocaboli che gli sembravano più puri e proprii del no- 282 stro idioma. Sicchè non solo bisogna aver riguardo all’ ortografia, ma anche alla proprietà del linguaggio. E questa è una, e non può esser che una; comune bensì a tutti i buoni scrittori, ma non comune a’ loro dialetti. Che se il Perticari, conoscendo la forza del proprio in- gegno, ha creduto di poter immaginare un sistema che colleghi i linguaggi per natura diversi ; allorquando la- scia gli argomenti e viene a’ fatti, sia ch’ egli detti i suoi pensieri o che pubblichi gli altrui, io lo vedo sem- pre accostarsi quanto ei può alla parlatura de’ Toscani. Anzi egli ha usata somma diligenza per ritrovare voca- boli toscani ne’ manoscritti, e ne’ manoscritti più anti- chi, dettati lungi da Firenze. Onde ha egli raffermato, più che non pensava, le nostre ragioni: e perciò , e per l’esempio dato da lui di studiare ne’ classici nostri a fine di scriver puramente, è adesso con ragione lodato da’ presenti e sarà onorato da’ posteri ; imperocchè ogni buono italiano desidera che spenta mai non sia quella buona scuola che nacque sulle rive dell’ Arno. Ella si accorgerà, mio caro sig. Tambroni, che lo scrivere a lei mi è sommamente piacevole; imperoc- chè avendo avuta occasione di favellare de’ suoi amici non ho potuto interrompere il discorso, finchè non gli avessi io pure onorati. E ritornando a parlare del modo, come debbano pubbliarari i codici, so bene che molti letterati giudicano doversi ‘quelli stapitipare come si leg- gono ne’ ma noscritti. Ella dunque può scegliere l’ uno o l’altro cammino. Ella può lasciare alimenti in iscam- bio di elementi. Questa è la sola parola, che io la con- sigliava di mutare, benchè si trovi in tutti i manoscritti del Cennini. Le altre parole , da me riprovate , non sì leggono ne’ codici migliori: o se vi sono alcuna volta , non vi sì trovano sempre. A me piace di vedere la scrit- 283 tura uniforme: e credo che l’ operadi Cennino sarebbe più utile agli artisti, quando potessero leggerla senza fastidio per rispetto alle voci corrotte o troppo antiche. I nostri artisti poi non udiranno volentieri, ch'ella dica aver il Cennino scritto nel linguaggio della plebe toscana; imperocchè un pittore , discepolo d’ Agnolo Gaddi, poteva esser consueto a modi più gentili che non ha la plebe. Essi avrebbero forse consentito ch°el- la dicesse nel linguaggio del popolo, togliendo via quella plebea locuzione che seco induce un non so che d’ingiuria. Ma io però le confesso che quel detto suo mi è oltremodo piaciuto. Rimembro che un dotto scrit- tore, nell’ Effemeridi letterarie di Roma, giudicava inarrivalile la proprietà della lingua natìa che ado- perava il Cennini. Onde se tal pregio hanno que’ nostri scrittori ch’ ella pone tra la plebe, è inutile ogni que- stione: l’ idioma italico è la favella del popolo to- scano. Quindi perchè vuol ella che io faccia un viaggio per l Italia a fine di portare a Firenze il vocabolo di- slinguare dalla Lombardia, lo struccare dalla Romas gna, l’asunare e la spelaura da Venezia, V aguzz da Piacenza , e simili? Certo è che queste voci proferite nel senso, ch’ ella dinota, mi farebbero comparire stra- piero alla patria di Dante e del Boccaccio. E quando pur si potesse dimostrare secondo la sua opinione , che tali voci, rimase ora negli altri municipii italiani, eb- bero stanza un giorno sull’ Arno; non ne verrebbe forse una conseguenza tutta contraria agli argomenti suoi? Ciò proverebbe infatti che la favella nor è di tutta la nazione, ma del solo nostro municipio; imperocchè quelle voci si usano sempre fuori di Toscana, ma non 284 essendo nella nostra consuetudine, ogni buono scrittore le rigetta. Ella vede che io non adopero altre armi se non le sue medesime. Avverta però che io mi converrei in tutte le sue opinioni, piuttosto che presupporre che all’ i- talica nazione manchi un italico idioma . Io vorrei non esser nato, piuttostochè ristringere l’ amor di patria al solo lido toscano: vorrei esser muto , se la mia favella non fosse o non potesse divenir comune a tutti i buoni italiani . Ma l’idioma nacque in Toscana, allorchè l’Ita- lia era in mano de’ barbari. I toscani ordinarono l’idiò- ma, e l’introdussero per tutto Italia. Dipoi, tutte Ie gare municipali avrebbero dovuto quietarsi: ordinato l’ idioma, era necessario ordinar la nazione : e l’ opporre sempre municipio a municipio, come or si fa parteg- giando, è una sventura nostra sì grande che infiniti mali produce . Iaili Ma lasciamo ormai siffatto discorso, che non è lo scopo principale della lettera sua. Noi dobbiamo parlare soltanto del Cennini. Ed in questo io la prego di esa- minar nuovamente il verbo împigliare . A me non pare che il Davanzati l’usasse nel significato d’ accendere. Ei diceva: il fuoco dell’ eresia, al forte soffiare della corte, e alla fiacca resistenza de’ buoni impiglio tutta l’ isola: cioè prese, 0 s° apprese a tutta Vl’ isola: o la pi- gliò, come si dichiara nel vocabolario della Crusca. Il medesimo Davanzati aveva detto poco prima, che Ugo Latimero, come eretico, predicando sue scede , prese îl popolo sì fattamente che °1 diceano primo apostolo d’ Inghilterra. Sicchè mi pare che questo esempio raffermi il primo: ed ella, che ha molto senno, non può non conoscere le ragioni, per cui. il Davanzati usò im- 285 pigliare in iscambio di pigliare. Leggen do che il fuo- co dell’ eresia impiglia l’ isola, non sembra a lei di ve- dere altresì quell’ implicamento che l'eresia mette tra gli uomini? Mi permetta dunque di servirmi del vocabolario della Crusca, in quella parte almeno ove il senso è giusto. E rimettendomi a ciò che io dissi nel mio primo discorso, le noterò che il verbo triare piace pure a qual- chè dotto toscano: Non già nel significato di #riar, ver- bo romanzo o romano com’ ella distingue : ma bensì come un verbo, proprio pittorico e nato per alterazio- ne di pronuncia dal terere de’ latini. Quanto è a me lo credo inutile: e non se ne ha esempio che nell’opera del Cennini ; ove pur si legge sovente tritare in luogo di triare . Ma ella non debbe attendere alla mia parti- colare opinione: mi dispiace bensì ch’ ella non giudichi il codice Riccardiano migliore del Laurenziano: mi di- spiace che Ella creda essere varianti e non errori grossis- simi la più parte di quelle cose che io notai, seguendo la buona lezione de’ codici. Io non ripeterò quello che ho detto: e ciò ch’ ella dice a me, rafferma i miei argo- menti. Sa Ella di che consiste ki diversità de’ nostri pa- reri? A lei par buono ogni vocabolo , purchè sì trovi in qualche dialetto d’ Italia: a me non pare buono un vo- cabolo , se non lo trovo nella consuetudine degli scrit- tori che sieno intelligenti dell’ idioma italico. Ella non vuole aver riguardo al copiatore del codice Riccardiano perchè pensa aver esso rinnovato molti vocaboli: io all’ incontro ho poco riguardo a tutti i copiatori, perchè so per prova che tutti fanno qualche mutazione . Ma il codice Riccardiano è tutto bene ordinato e compiuto: quello della Laurenziana è imperfetto e senz’ ordine. Le locuzioni del primo si allontanano, più che quelle 286 del secondo; dal dialetto toscano; in cui Cennino do- veva parlare e scrivere . Onde , finchè non si tro- vano altri codici , 10 sono costretto di seguitare il Ric- cardiano; studiando però eziandio nel manoscritto della Laurenziana. Ed ella, Sig. Tambrovi, che mi fa sperare di vederla presto in Firenze a fine di compier l’opera da se medesimo, si accorgerà forse allora che io parlo il vero. Sì ricordi di quello che mi ha scritto: Za descri- zione che fa il Bundini del Laurenziano, ....davami il diritto di crederlo copia tanto inforine e guasta da non essere consultata. Queste parole possono scusar lei di avere stampato il Cennini, com’ ha fatto in Roma: ma indicano altresi che il Bandini non aveva fatto elo- gio di quel suo manoscritto . Io credo aver dimostrato nel mio primo discorso, che il Bandini non lesse il trattato del Cennini. E se non produssi que'le poche parole, ch' Ella mi rimprovera d’ avere omesse io feci male; imperecchè giovano esse pure allo scopo mio: chiuuque rimette a un altro l'esame d'un libro, non lo ha da sè stesso esaminato. Mi scusi poi, Sig. Tambroni, se Ella crede che io l'abbia fatto sragionare. Io leggeva Apessa ripetuto nella sua prefazione, che Cerrino finì di scrivere il suo libro dell’ arte il dì 3: Luglio dell’anno 1437. Vedeva con queste parole incominciare il suo discorso per rispetto alla nascita ed alla morte’ del Cenvini. E mi pareva che questi fosse da lei presupposto viver tut- tavia in quell’anno, e nelle stinche prigione; secondo- chè pur dicono altri scrittori. Onde io credei che ciò riguardasse almeno a qualche parte della vita di Cen- nino; e dubito sempre se egli vivesse nell’anno 1437: Io le dirò in breve, quanto ho potuto fin al presente inline zie i iaiinola a 287 trovare colle mie indagini, che non ho mai tralasciate. Il manoscritto, che possedeva la casa Beltramini in Colle di Val d'Elsa, non si sa dove or sia. Io ho ve- duto l’ultimo catalogo della libreria Beltramini, fatto negli ultimi anni del secolo passato; ed il Cennini non vi è neppur nominato . Ho letto uno ad uno i libri de’ carcerati nelle stin- che, e non vi ho trovato il nome di verun Cennino; che se molti di questi libri sono stati venduti a’ pizzi- cagnoli nelle passate rivoluzioni, non mancano però quelli del 1437, e di qualche anno pure del secolo XIV. Nell’ antico spedale di Bonifazio Lupi era sotto il portico esteriore un tabernacolo con una madonna di- pinta ivi a fresco da Cennino Cennini. Questa fu poi staccata dal muro, e messa in tela da Santi Pacini, per ordine di Pietro Leopoldo; allorchè questo Principe fece riattar l’edificio. Ma sia che la dipintura fosse molto cunsumata, o che non si potesse ben trasportare dal muro in sulla tela, poco si può adesso rafligurare l’opera del Cennini che si conserva nell’ Accademia delle belle arti. Onde non si può da ciò inferire se il Cennini fosse buono o cattivo pittore. Si potrebbe però dedurne al- cuna notizia intorno alla vita sua, quando si sapesse perchè e quando fece egli quella dipintura. Laonde ho voluto esaminare l’ archivio dello spedale di Bonifazio, che è ora congiunto con quello di $. Maria Nuova. Ma la mia diligenza non ha avuto alcun frutto . E nemmeno ho potuto trovare alcuna notizia nel- l'archivio del Fisco. Io le do volentieri tutto questo ragguaglio, perchè non abbia ella occasione di fare inutili e noiose ricerche. E di buon grado imprenderò qualunque altra fatica se m' indica il modo opportuno a servirla. Ma non mi dica 288 soi che è somma ventura il trovare un codice, allorchè se ne fa diligentissima ricerca. E molti errori dell’ Otto- boniano potevano correggersi, anche senza bisogno di altri codici. Era facile , per esempio correggere e mutare o in ho, grandi ingradi, ec.,e toglier via quell’impro- pria locuzione che dà la pratica del disegnare all'azzimo e non alla mano. lo ripeto queste cose, perchè mi pare ch'ella voglia troppo scusare il copiatore P. A. W. Del rimanente io non ho cercato le officine, ma. sono stato e vado spesso negli stzdii de’ pittori, che i nostri antichi chiamavano botteghe. Ed in questi luoghi ho sentito sempre dire che il pennello di vaio non sia più buono all’ acquarellare, allorchè sia mozzato . E so bene, che gli antichi in particolare usavano per que- st’uso un pennello senza punta: ma per farlo di super- ficie piana, non è uopo mozzarlo. Inoltre il Cennini parla d’ acquerelle e di disegni gentili; per cui mi sem- brava più proprio l’ epiteto mezzetto , significando cioè mezzano 0 piccolo pennello . Lascio però giudicare a - lei quale de’due sia più conveniente vocabolo: e le signi- fico altresi che nel codice riccardiano trovasi pur soven- te l'epiteto mozzezio, com ella desidera. Ha poi ragione di non intendere nè me, nè i codici, ove si parla della lucerna piena che si empie per farne fumo. A me basta ch’ ella mon dica che io abbia detto che il fumo affumasi . Nella pag. 32. dell’edizione, da lei fatta del Cennini, è il fondo della teglia; e non il fumo, che affumasi con corpo . Mi convengo però con ‘lei, che io poteva spiegar meglio questo pensiero. E mi dispiace poi sommamente d’aver attribuito all’ ornatis- simo sig. Betti ciò che pertiene a lei soltanto. Io parlo di que’raddoppiamenti di voci o sinonimi: intenda hene ‘ sinonimi: questa è pure parola sua della sua prefazione. 239 ‘ Le altre parole, da lei riferite in tal proposito, mo- strano che io non poteva parlare altrimenti . i Desidero ch’ ella mi conservi la sua amorevolezza, mentre attendo l’ occasione di darle sicure prove della. mia rispettosa amicizia . A. Benci. GEOGRAFIA, VIAGGI, ec. ‘ Fine della descrizione della badia di Vallombrosa, e di quella porzione delle montagne dell’ Appennino. . ++ + Qual dall'autunno dome Pallide frasche su le gelid’ acque Di Vallombrosa, ove in bell’ arco intesti, AI peregrin , che dell’ Etrusche ville Sollecito. va in cerca, ospital ombra In solitaria pace offrono i rami: ec. MILTON. P. P. Trad. del Sig. LEONI. (LETTRES SUR L’ITALIE PAR CASTELLAN) (ved. tom. 1. pag. 78) IL non starò a descrivere minutamente gli im- mensi edifizj che compongono questo Monastero, e che furono ricostruiti nel 1637 dal Padre D. Everardo Nic- . colini Abate Vallombrosano. Essi costituiscono una riu- . nione di fabbriche di un bello stile signoreggiate dal campanile della Chiesa, e da una torre alta e forte. Le mura che le circondano sono bastantemente elevate per assicurare il luogo da un attacco improvviso. I religiosi peraltro non hanno da temere di cosa alcuna \per parte degli abitanti del paese, dei quali essi sono, come osser- vammo, i benefattori. Ci fu mostrato il tesoro, ove si conservano ricchi reliquiarj, e altre opere antiche , pre- ziose non meno per la materia, che per la finezza, e ; per . la rarità del lavoro. sega Tom. III. Agosto 19 290 Fra varie tavole del secolo XIV. osservammo due belle teste di Masaccio. Il gabinetto di storia naturale ha una collezione di petrificazioni diverse, e vi sì vede una quantità d’ossa, e di denti fossili di elefante , trovati nel Valdarno, e nella Val di Nievole. Ma quello che eccitò maggior- mente la nostra curiosità, furono i primi tentativi di un arte che prese nascimento in questa solitudine, e di cui debbesi l’ invenzione, o la rinnovazione a un monaco di questo convento, cioè al celebre Padre D. Enrico Hugford. I successivi prodotti delle sue espe- rienze, lungo tempo infruttuose, ma poi coronate da felice evento, vi si vedono conservati con diligenza. Quest’arte, ora perfezionata, è divenuta una delle più ingegnose produzioni dell'industria dei Toscani ar- tisti, i quali ne fanno un segreto, che non trasmettono che a’ loro scolari. Intendo parlare della Scagliola I Ecco all’incirca in che consiste la pratica di que- st’arte ridotta ai suoi dati più semplici. Essa ha per oggetto d’imitare il mosaico , o piuttosto di copiare un quadro per mezzo di paste colorate , la disposizione delle quali sia suscettibile di formare un corpo solido come il marmo, ed atto a ricevere la medesima lucentezza. È facile il vedere che questa pittura non dev’ essere superficiale, ma deve avere una certa profondità. Si prepara perciò una tavola con stucco bianco composto di gesso, e di pietra specolare, o selenite calcinata, e finamente polverizzata, e su questa tavola si disegna la composizione di ornamenti, di paesi, di figure, in som- ma il soggetto che si vuole rappresentare: dipoi per mezzo di strumenti taglienti e fatti apposta s’ incidono in incavo gli oggetti disegnati, lasciando intatti i con- torni, e la proporzione delineata col disegno. Si riem- 291 piono questi vacui con una pasta del medesimo stucco, alla quale si dà il colore locale degli oggetti da rappre- seutarsi. Quando questo colore è asciutto, se ne leva una porzione dalla parte dell’ombra senza oltrepassare il contorno, e si riempie il vuoto con una nuova tinta più scura, e così si procede dalla parte del chiaro con una tinta più luminosa. È facile il vedere che si può giungere con tal mezzo, e con tinte fra loro ravvicinate, a imitare tutte quelle della pittura con questo vantaggio sul mosaico, che si possono fondere tutti 1 tuoni di colore più opposti in un un modo insensibile, impastandogli insieme, e stendendo questa pasta gradualmente colo- rata nei vacui preparati . La scagliola presenta ancora quest’ altro avvantag- gio, che la tavola destinata a ricevere una tal pittura d’incrostazione, essendo della stessa materia di quella incrostatavi, il tutto deve formare un composto solido che si può ridurre alla maggior lucentezza di pulimento, senza che l'occhio possa scoprirvi la minima commet- titura. Io ho fondamento di credere che gli antichi cono- scessero l’arte della scagliola; perocchè in varj monu- menti romani si veggono ancor dei vestigj di stucchi con ornamenti colorati, i quali non sono soprapposti, ma incrostati: e si osserva altresì una simil pratica d’in- | crostazione, e d’impressione di pitture sopra alcuni vasi etruschi. Nel medio evo si faceva uso dello stesso metodo per varie inscrizioni sepolcrali , le quali costi- tuendo il pavimento delle Chiese non potevano essere nè di rilievo, nè d’incavo; ed ho veduto varie di queste stesse pietre che rappresentavano alcuni soggetti, ove gli ornamenti, e la figura stessa del morto erano inca» vati a qualche linea di profondità , ed ove si ravvisavano È n 292 tuttavia i residui di antichi mastici, o materie colorate onde erasi riempiuto l’incavo. Talvolta si adoperavano marmi , e pietre preziose per queste incrostazioni. Sussiste tuttora in Levante un uso, certamente antico , che ha qualche relazione colla scagliola, e con- siste nelle graziose pitture d’ ornato con cui i Greci fre- giano le loro barche, o schifi, e sono pitture incrostate nel legno ad una sufficiente profondità, composte di cere, e di resine colorate, che riempiono gl’ intagli, e che resistendo così all’ azione dell’ acqua e dell’ attrito, conservano la loro vivacità, e durano quanto il legno che serve loro di fondo. Il genere di plastica nel quale si adopra la pietra speculare; e il taleo calcinato (e tal composto chiamasi stucco) è comune in Italia, e specialmente in Lombar- dia da lungo tempo. Uno dei più abili stuccatori del secolo XVII. fu Carlo Ghibertoni di Modena. Ma se- condo il Lanzi cominciarono a Carpi, nel medesimo Stato, i lavori a scagliola, o a mischia, dei quali fu in- ventore Guido Fassi, o del Conte nato nel 1584, e morto nel 1649. Le sue prime operazioni furono cornici e altri membri d’architettura, che paiono di fini marmi. Annibale Griffoni scolare di Guido ne fece depositi, e osò di fare anco dei quadretti che rappresentassero stampe in rame, e pitture a olio. Gaspero suo figlio sì contentò d’imi- tare i marmi. Giovanni Gavignani avanzò l’uno e l’altro nella maestria dell’arte, e se ne addita in Carpi per maraviglia nella Chiesa di S, Niccolò l’altare di S. An- tonio con due colonne che paion porfido, e con un pal- lio ornato nel campo di medaglie con leggiadre figure. Si conservano di lui nella stessa città quadri figurati in scagliola; ed uno col ratto di Proserpina ne ha il sig. avvocato Cabassi. 293 | Diversi scolari di questi artisti disseminarono l’arte della scagliola per la Romagna, ove lasciarono opere che ingannano l’ occhio col colore, e la mano con la freschezza del marmo. Giovanni Massa, e Giovanni Pozzuoli riuscirono a maraviglia in far paesi, e lonta- nanze, ma sopra tutto architetture. I monumenti di Roma erano il più gradito soggetto delle loro vedute. Pare che il Duca di Guastalla si compiacesse grande- mente di tali lavori , e per lui erano preparati i due ta- volini, che cita il Tiraboschi, e furono forse il capo d’opera del Massa. Finoallora la scagliola avea imitato principalmente i marmi, e le pietre d’ogni specie. Se ne incrostavano baldacchini, e palliotti d’ altare ornati d’ arabeschi. Si facevano anche dei tavolini, ove si disegnavano carte geografiche , e da giuoco, e var} altri oggetti sparsi sulla planimetria di detti tavolini, che giungevano a ingan- nare la mano, e l’occhio con l’apparenza del rilievo. I contorni erano intagliati d'incavo, o a sgraffito, e sì riem- piva l’intaglio per mezzo di paste colorate, che nuova- mente s’intagliavano per darvi gli scuri, mala gradazione delle tinte era poco sfumata, e perciò dura, e imperfetta. La vera scoperta ‘dell’ ingegnoso monaco vallom- | brosano consiste nella mescolanza più dolce delle tinte, e nella loro insensibile gradazione conforme alle leggi della prospettiva aerea. In una parola, egli giunse a creare un nuovo genere di pittura inalterabile per la sua solidità , e lucentezza, mediante la quale eseguì con somma lode architetture, paesi, fiori, animali, e figure. Il Padre Hugford (1) ebbe per discepolo Lamberto (1) Il Padre Enrico Hugford fratello diun pittore dell’istesso no- me col quale è stato talvolta confuso, morì nel 1771in età di 76 anni. 294 Gori, del quale si vedono le opere nel Palazzo Pitti, e nella Galleria. Pietro Stoppioni gli successe, ambedue stipendiati dal Governo; noi vedemmo di quest'ultimo var} stimabili lavori. Benchè sieno gradite le sue figure di più colori; più forse piacciono i suvi dicromi, ossia le figure gialle in campo nero, che imitano particolar- mente i soggetti dei vasì etruschi. Ci premeva di vedere i luoghi/circostanti al Mo- nastero, e l’aspetto pittoresco del Romitorio determinò la nostra prima escursione da quella parte. Questo Romitorio, chiamato il Paradisino, o le Celle, è posto come un nido d’aquila sulla sommità di uno scoglio isolato, e alto più centinaia di piedi, tra smi- surati abeti. Gli oggetti che lo circondano, e special- mente le montagne, hanno un carattere sì colossale , ch’ e’ sembra non esser altro che un meschino frantu- me staccato dalla loro massa. Il torrente che si pre- cipita giù per le selve dominanti urta di continuo, e si rompe sulla scarpa, e sulla base del monticello che lo sostiene, e questi ripetuti assalti che par che scuetano lo scoglio non sono una mera illusione, ma termine- ranno con atterrarlo. Per andare al Paradisino si. passa il torrente sopra un ponte all'altra testa del quale trovasi una Cappella . Un largo viale d’ abeti piantati sopra una inclinazione ripida e in linea retta presenta una strada selciata, ac- cessibile anche alle ruote; ma poco dopo trovasi uu sen- tiero, fatto ad arte, che seconda le sinuosità del terreno, e sì avvolge in linea spirale intorno allo scoglio. Tal- volta esso resta a perpendicolo sopra il precipizio, da cui il viandante non è disgiunto se non che da un ripa- ro formato da arboscelli tra loro intrecciati; e nono- 295 stante tale precauzione, il muggito della cascata, la rapi- dità el’ impeto dell’acque, l’umido vapore che ne sorge, sorprendono, assordano, e inspirano una specie di terrore. Giunti sulla terrazza del Paradisino pare d'esser tra- sportati in un altro mondo. L’ apertura della valle ser- ve come di cornice al più ricco quadro, che in sè riuni- sce bellezze pittoriche d’ ogni genere, per esprimer de- gnamente le quali sarebbe d’ uopo aver il pennello di Salvator Rosa, o di Claudio. Le prime linee di prospet- tiva offrono scogli ruinosi, e pendenti, e fra essi sì slancia il torrente, che trattenuto nel corso da alberi svelti dalle radici, va poco dopo a perdersi nell’ oscuri- tà della selva che estendesi fino al fondo della valle, ove si scorgono gli edifizj della Badia. Più oltre il paese muta aspetto, ed ha minore sal- vatichezza; e quantunque seguiti ad. essere montuoso, è in parte coltivato, irrigato da ruscelli, e disseminato di case rustiche, e di boscaglie . In maggior distanza le va- ste pianure, e le ricche campagne bagnate da un fiume maestoso, sulle rive di cui sorgono le chiese, i palazzi, e le torri di Firenze, servono di fondo al quadro, che finalmente in una lontananza ancora più grande lascia vedere le montagne di Lucca, e il mare toscano. La sera principalmente è da godere dì questo sublime spettacolo. Nel momento in cui s’ approssima il sole all’ oriz- zonte, sembra che il mare divenga un centro da cui par- tono torrenti di luce. Un acceso vapore toglie la veduta delle montagne, che non sono più illuminate fuorchè nel contorno, e poco di poi fuorchè nella cima, intanto che le profonde valli sono già involte nell’ombra, e col contra. sto della loro cupa verdura danno risalto a questo quadro. Non ci aspettavamo che questo ritiro fosse il ricove- ro delle arti, che presedettero ad abbellirlo, e che lo 296 hanno reso da lango tempo Vv appannaggio di religiosi commendevoli al pari per le loro virtù, e per i loro talenti. Verso l’anno 1540, sotto uno dei primi titolari, An- drea del Sarto ornò di pitture citate fra le sue migliori l’altare della cappella . Son quattro figure che rappre- sentano S. Gio. Batista, S. Michele, S. Gio. Gualberto istitutore di quell’ ordine, e $. Bernardo Cardinale loro monaco. Sotto una immagine di una Madonna attribui- ta a Giotto egli dipinse parimente due putti che per la grazia sonoun vero modello , e in ultimo negli scompar- timenti dell’ altare fece cinque storiette, quattro delle quali sono allusive ai quattro santi accennati, e la quin- ta rappresenta la Vergine annunziata dall’ Angiolo. Queste preziose pitture furono coperte di lastre di cri- stallo di rocca a spese del Padre Abate Don Bruno Toz- zi celebre botanico, che vi abitò molti anni, e che fece fare anche il bel pavimento di marmi della cappella. Le sue cOgniRIORI in botanica gli fecero rendere un ser- vigio più essenziale, non dirò all’ umanità, ma alla sen- sualità dei suoi concittadini, poichè fra la moltitudine dei funghi che crescono spontanei nella foresta di Val- lombrosa , scoperse quelli chiamati dormienti dallo stare riuniti in piccole famiglie, e nascosti sotterra. Il buon romito rese nota la loro ottima qualità, esponen- dosi con pericolo il primo a farne la prova . Dopo di lui ottenne il Paradisino il Padre Enrico Hugford, e in questo ritiro, che ornò di quadri, e di una libreria , intese senza distrarsi a perfezionare l’arte della scagliola. Il nostro gentile cicerone , il Padre Polis eheggli è i cda , seguita ad abbellire que- sto romitorio col gusto d’ un vero amatore, e ci fece os- servare una preziosa collezione di stampe dei migliori maestri, e una serie curiosa d’incisioni che imitano1 dise-, 297 gni a bistro in campo bianco . Questa maniera d’incide- re eseguita sul legno di tre pezzi ebbe per primo inven- tore nel secolo dei Medici Ugo da Carpi, è fu di poi per- fezionata dai Veneziani. Adesso non è molto stimata, abbenchè renda con sentimento, e con stile largo il fa- re dei disegni dei grandi Maestri; nondimeno si devono ad essa le prime idee dell’impressione in colore delle nostre carte da parati, che sì lavorono colla medesima pratica, moltiplicando il numero delle tavole in ragio- ne di quello delle tinte. Il pian terreno del romitorio serve di abitazione a un vero eremita che vi stà tutto l’anno. Egli ha accanto un orticello , e una copiosa sca- turigine che deriva dalla sommità dello scoglio gli ser- ve ad innaffiare le piante, ed i fiori, la cultura dei quali è la sua prediletta occupazione. Ma le nevi che presto si;ammassano nelle gole anguste di quei monti rendono inaccessibile la strada che conduce al Monastero. Allora l’eremita, solingo affatto in questo deserto, senza co- municazione co; viventi, trova un riparo contro la noia nella vita contemplativa. Gli si apprestano le provvisio- ni necessarie per il tempodi sua reclusione, ed in caso di estremo bisogno ha anche il vantaggio di suonar e le cam- pane del luogo per chiedere aiuto. Una mattina stavamo disegnando sulle cime del Paradisino. Parea che alcune nuvolette scherzassero sui fianchi del monte, e l’ una incalzava l altra rapidamente, e di mano in mano in- grossavano; quando una buffa di vento spingendole nel- la stretta gola, ove eravamo, ve le accumula, le aggi- ra, le rompe, e ne forma oscure masse, dalle quali scappano subiti lampi, e gli segue con sordo e prolun- gato rimbombo lo strepito dei tuoni. Cresce la tempe- sta, e piega a terra gli arboscelli, e scuote quà e la le cime degli alti abeti, e gli spezza. Cerchiamo un rico- 293 vero, ma invano; il fulmine scoppia, e la burrascosa nube si addensa gravitando sul nostro capo, e minaccia d’involgerci colla sua ombra. Precipitiamo la fuga con- tinuamenteimpedita dalla pioggia che ruinava dagli spac- chi degli scogli, e che inzuppando il terreno la rendeva incomoda e pericolosa . D’ altra parte per tornare al Mo- nastero bisognava aspettare che l’° acque del Vicano in- grossate dal temporale, e delle quali udivamo il ruino- so scroscio, fossero passate, e rientrate nel solito letto . Giunti a fatica al Paradisino suoniamo con fretta il campanello, L’ eremita apre, e ci rifugiamo nella sua cella. Accende il fuoco per asciugarci, e ci offre qual. che cibo grossolano, che la faune aguzzata da un vio- lento esercizio ci fece trovare squisito. Un solo, ed alto finestrino dava lume a questo luogo, e noi scorgevamo più al chiarore dei lampi, che a quello della luce del giorno la testa dell’ eremita, che presentava a tal river- bero di lume una fisonomia sì viva d’ effetto, e d’espres- sione, che il mio compagno ne rimase attonito , e volle farne vino studio, che è riuscito un capo d’ opera. Quest’ uomo, ancorchè di molta età , pareva dota- to di un’ energia, e d’ una forza maravigliosa. La testa coperta di capelli grigi e ricciuti, l’ immensa barba , il naso aquilino; gli occhi vivissimi, e che sotto folti so- praccigli scintillavano con fierezza, in somma , tutta la fisonomia gli dava un carattere più di satiro che di ana- coreta . Ci volle molto a persuaderlo di lasciarsi fare il ri- tratto. Pure vi acconsentì, e ponendosi nella situazione abituale colla persona un poco piegata, e colle mani giunte stringendo la sua corona, mostrava nel volto tranquillità , e raccoglimento religioso conveniente a un peccatore contrito. Ma poco dopo cadendo il discorso 299 sulla guerra che desolava allora 1’ Italia settentrionale , l eremita alzò il capo con fierezza, e la sua fisonomia prese il carattere dell’ entusiasmo guerriero; ei diviene a più a più profondamente pensoso, e i suoi occhi a più a più animandosi , paiono scintillanti di fuoco, e sotto il cappuccio d’ anacoreta si dà a conoscere per lo scelle- rato, che aveva fatto altre volte tremare l’ Italia . Quin- di esclamò impetuoso: Perchè ho io rinunziato al mon» do allorchè la mia patria è minacciata d’essere invasa ? Alla voce del Fornaciajo, alle sue grida, al suono del fi- schio di commando che ho conservato, e che farebbe ri- suonare i monti della Toscana, vedrei accorrere un nu- mero immenso di animosi, che tosto avrebbero spezza- to il giogo. .... Accompagnò queste parole con qual- che energica imprecazione , e subito poi gettandosi in ginocchio colla faccia a terra chiese perdono a Dio di questo moto di sdegno mondano, e lungo tempo restò prosteso sul pavimento. Piovani di far tornare la calma nel suo seno, e mostrandogli quanto le sue pàro- le aveano eccitato tà curiosità nostra, ei volle acconsen- tire per pura umiltà a raccontarci la storia dei suoi dee litti, e della sua conversione . Il nome di Francesco Fornaciajo è noto in tutta Italia, e specialmente in Lombardia , ove esso è tuttora il terrore dei fanciulli. Questo paese è stato come il tea- tro dei molti e arditi ladroneggi di costui, che era capo di un agguerrita schiera di banditi. S' impadronì d’un forte ove faceva sua stanza, e dopo aver saccheggiato il paese ivi tornava co’ suoi a mettere in salvo le comuni rapine. La situazione di tal castello reso forte dalla na- tura gli mantenne lungo tempo impuniti, e fu d’ uopo farne l’ assedio con truppe regolate e cannoni, per giun- gere a cacciarne quei ladri, molti dei quali furono presi. 300 Fornaciajo scampò quasi solo, ma fu messa la taglia sulla sua testa. Errò lungamente in compagnia dello spavento e del rimorso; finalmente da sè stesso si messe in braccio della giustizia, e ottenne dalla clemenza Pontificia, in favore del suo pentimento, l’assoluzione dei suoi delitti. Allora prese la risoluzione di darsi alla vita eremitica, e domandò licenza di andare a nascon- dersi nei deserti dell’Appennino. Abitò per più anni in una grotta umida presso a Camaldoli, e vi si astrinse ai più duri esercizj di penitenza, e ci volle molto a levarlo da quel luogo malsano per dargli il romitorio di Val- lombrosa per suo ultimo ritiro, facendolo omai giudi- care incapace di nuocere la perseveranza del suo penti- | mento. Gli domandammo s° egli si sentiva tentato di ritornare nel mondo. Egli ci additò per risposta uno scoglio isolato, e tagliato a piombo, ove è fabbricata una piccola cappella sull’ orlo del precipizio. Questa cap- pella fu edificata in memoria di un fatto che risale alla fondazione del monastero , e che vedesi dipinto nelle pareti. Un frate converso avendo apostatato lasciò l’abi- to religioso, e fuggito dal convento si smarrì nella mon- tagna guidato dallo ‘spirito maligno, che lo precipitò dall’ alto dello scoglio, il quale ebbe quindi, e conserva il nome di masso del Diavolo . Il Padre priore ci raccontò un aneddoto singolare della vita del Fornaciajo ; questi per umiltà | aveva passato sotto silenzio . Nell’ essere nelle vicinanze di Sinigaglia il comandante di quella fortezza che aveva in animo di dare sfogo a una vendetta privata, pose gli occhi sopra quest’ uomo intrepido e abituato ai colpi di grande ardire. Lo invita dunque a portarsi da lui per sentire una proposizione, dalla quale dipende il perdo- no, e la dimenticanza di tutti i suoi delitti, e gli man- Da . popolo amante del maraviglioso, non mancò di attribuire questa | 3or da un salvo-condotto. Fornaciajo francamente accetta, e và solo dal sig. castellano. Alla vista del salvo-con- dotto si aprono le porte, ma gli ‘son dietro richiuse. Egli non mostra ‘alcun sospetto; e si presenta al coman- dante, che tirandolo in disparte gli apre i suoi micidiali progetti, e gli accorda grazia a tal prezzo. Fornaciajo gli risponde sdegnoso: mi prendete voi per un vile as- sassino? Sappiate che io. non ho mai ucciso alcuno se non che per difendermi; e che non-vi è nulla nel mon- do, neppur la salvezza della mia vita , che possa farmi premeditatamente commettere un azione indegna non “meno che rea. Il comandante minaccia di farlo arre- stare. Lo scrupoloso assassino gli rammenta Ja sua pro- messa di lasciarlo andare, e levando di sotto al mantello due pistole gli giura che è morto se chiede ajuto, e che egli venderà caro dipoi la sua pr opria vita. Il coman- «dante tremando. gli permette di ritirarsi; ‘ma Forna- ciajo vuole che venga egli stesso a fargli aprir le porte, della fortezza, e che lo accompagni finchè sia fuori del tiro della medesima . L'assassino poteva ritenere il suo prigioniero, e fargli sborsare un forte riscatto prima di metterlo in libertà; ma fu contento di farlo vergognare della sua condotta indegna, e volle essere più generoso di lui (1). (1) Qualchè tempo dopo il nostro viaggio questo eremita fu trovato morto al tornare della primaverà . Si diceva che quan- tunque emendato di quasi tutti i suoi errori gli era tuttavia ri- | masto un vizio che il rigore del freddo d’ jun lungo i inverno poteva rendere quasi sarai ed era la passione per i liquori forti, dei | quali abusò al segno di restare vittima di un incendio sponta- neo, che incenerì il suo corpo senza, bruciare le sue. vesti. Il morte alla vendetta celeste. Del rimanente diversi autori par- 302 Non lasciamo questo luogo senza parlare d’ una passeggiata che facemmo verso la cima più alta di que- sta parte dell’ Appennino. / Noi osservammo come un celebre naturalista to- scano l'aveva osservato in altri punti d’ Italia (1), che verso la metà di queste alte montagne terminano i bo- schi di lecci e d’ abeti, e da essi in su fino alla cima non si trovano altro che faggi di enorme grandezza , i quali sono insieme con gli abeti gli alberi indigenò e primitivi dei monti della Toscana. Anzi alla successi- va diminuzione dei detti alberi si può riconoscere e valutare l’ elevazione del suolo; Perocehè grandissimi verso la metà del pendio della montagna, quanto più ci avviciniamo alla sommità di essa montagna diven- gono-tanto più bassi e ramosi, e danno frutto in copia maggiore. Dopo diverse ore di cammino arrivammo all’ ultinio ripiano della montagna, ove non cresce se non che un erba finissima, o per meglio dire una bor- raccina molto spessa, e così liscia, che si sdrucciola ad ogni passo. Da quella sommità , che è uno dei più ele- vati punti dell’ Appennino , noi dominavamo tutta la Toscana; che svolgeasi ai nostri sguardi come una vasta carta geografica, ove distinguevamo le diramazioni delle montagne, che formano la divisione delle sue provincie in valli, da cui prendono il nome, e che muovono dalla catena principale. I fiumi, o ruscelli si vedevano come fili d’ argento sul fondo scuro del terreno, o sul verde dei prati. Le città, e i villaggi pareano un aggregato di grani d’ arena, e la città di Firenze, ad onta dei suoi monumenti colossali, non occupava che un punto su‘ lano delle combustionî spontanee , e sono pochi anni che su tal soggetto comparve in Germania un opera del D. Ropp. (1) Targioni Tozzetti viaggj . î È, x x pr TO I IE PALIO A TOT RR» pr : 303 questa immensa pianta. In ultimo il mare Mediterraneo le serviva di cormice , ‘e chiudeva l’orizzonte dal lato ») d’occidente. Dalla parte opposta si duveva vedere P'A- driatico, ma era d’ uopo probabilmente avere una vista della nostra più acuta, o maggior fede di quella che avevamo nei seguenti versi-dell’ Ariosto: A ppennin scuopre il mare Schiavo, e l’ Tosco Dal giogo cnde a Camaldoli si viene ; Quindi per aspro e faticoso calle Si discendea nella profonda valle . Del rimanente questa immensa veduta, ove l’ oc-. chio si perde, non lascia nella mente che una confusa idea, ed è di poco interesse per un artista. Ad una mi- nore elevatezza non avevamo goduto fuorchè d’una par- te di detta veduta, e nondimeno ci avea fatto. maravi- glia per il contrasto degli oggetti, e per l’ opposizione delle linee prospettiche, non meno che per la loro scala successivamente graduale. L’ occhio infatti non meno che la mente amano di trovar dei confini alla loro am- mirazione, ed ai loro piaceri. | Jo non starò a dipingere le diverse situazioni che cì sommibistrarono ampia materia ‘di quadri in tutto il nostro soggiorno a Vallombrosa. Giornalmente faceva- mo muove scoperte im questo genere; é le variate scene che ci presentava quel luogo selvaggio, e la vita dolce, e tranquilla che si mena in questa:solitudine che invita. allo studio, non ci veniva a noja. La serenità del cielo ci era per vero dire favorevole, perocchè l’ orizzonte era sempre limpido, a riserva della mattina e della sera, in cui i più lontani oggetti ci erano tolti da leggieri va: pori, o coperti con un velo trasparente. Lo spettacolo poi delle notti spiegava tutta la sua magnificenza , e le stelle brillavano di una luce più che naturale; ed un 304 religioso fornito di cognizioni astronomiche ci. assi curò che a occhio nudo ei scopriva quindi un numero! di stelle maggiore di quello ch’ ei potesse farlo in pia-, nura.. | Sicuramente io lascio indietro una quantità d’ 0g- getti degni d’ esser descritti, e questa breve notizia non uò dare al lettore se non che una debole imagine dello stile severo delle vedute di Vallombrosa. Se per altro essa potrà infondere negli artisti il desiderio di visitare quell’ antico monastero, non avranno essi da pentirsi del loro pellegrinaggio . R. Opere di scagliola, e artisti che meglio le condussero in Toscana . N ella precedente lettera di Castellan è benissimo in- dicato il modo, con cui si conducono le opere di sca- gliola . Onde noi, senza ripetere. ciò che egli ha detto, seguiteremo il discorso, collegandolo col: suo. Il Lanzi, citato dal Castellan, assegnò il ritrova- mento di quest'arte a Guido Fassi, 0 del Conte, nato nel 1584, e morto nel 1649. Ma Ulisse Aldovrando,nato nel 1522 dice nel suo museo metallico: che i bolognesi arte- fici adoperavano quella specie-di gesso che il'volgo chiama scaiola, e che cuocendola; e poi riducendola in polvere, e vagliandola,con quel glutine, che adoperano i doratori, la mischiano co’ colori, e fanno di tal pasta tavole e colonne . L’arte della scagliola è dunque più antica; che non si presuppone: e convien dubitare altresì che i lombardi più che i toscani l'usassero ne'passati secoli, poichè in mol- N 305 te chiese nostre si trovano antichi paliotti d’ altare con varii colori e con arabe schi, fatti di scagliola per imitare i mosaici ed i commessi di pietre dure. Simili paliotti ve- | donsi per esempio in S. Michelino dentro Firenze, ed in Monte Uliveto fuori della città: le quali opere sono molto anteriori a quelle del modenese Carlo Ghibertoni, che verso il 1700 ornò l’ oratorio di S. Tommaso d’ Aquino in questa nostra città medesima, facendovi due colon- ne a imitazione del verde antico. Quindi è certo che nel 1732 fu fatta in Toscana una delle più belle opere di scagliola, finallora: cono- sciute. Questa sì conserva nella Galleria di Firenze, e fu fatta da Pietro Antonio Paolini, che dicono essere nativo di Lucca: 12a ei la fece in Livorno, e forse per ordine di Gio. Gastone ultimo Granduca Mediceo. Det- ta opera rappresenta una tavola, sopra cui vedonsi una .carta geografica, la pianta della cittadella di Barcellona con parte della città, carte da musica, uccelli, fiori, un violino coll’ arco, una farfalla, un lapis, una testa di Pane tratteggiata a guisa di tocco in penna, ed una fi- gura intiera che par disegnata con amatita rossa. Le quali cose appariscono rilevate e vere, come se prendere e maneggiar sì potessero; quantunque la superficie ne sia piana, e molto più liscia che non è una tavola o tela dipinta . Nel medesimo tempo alcuni monaci attendevano all’ arte della scagliola. Il che non debbe arrecare ma- raviglia, poichè tale arte richiede somma pazienza . Ed un religioso della Badia di S. Reparata di Marradi fu maestro al padre Enrico Hugford. Questi fu pure aiu- tato dal suo fratello, Ignazio Hugford, buon pittore e nativo di Firenze, benchè da famiglia inglese . Onde il T. III. Agosto 20 306 monaco Enrico ebbe comodità di studiare; e fece molti progressi. Primo discepolo dell’ Hugford fu il padre Belloni, | pur vallombrosano: e le opere sue sono molto lodate . Egli morì intorno al 1760. Pare che nel medesimo tempo vivesse in Settignano un certo Gargiolli, che faceva opere bellissime colla scagliola. Di esso parla il Targioni Tozzetti ne’ viaggi per Toscana, t. 3 p. 134. Ma ritornando al padre Hugford, egli ebbe pure un secondo discepolo, da cui fu sopravanzato . Io voglio parlare di Lamberto Cristiano Gori, che studiò il dise- gno sotto Ignazio Hugford, e che poi andò a Vallombro- sa, e vi si fermò sette anni. Quindi tornò a Firenze, e fu tanto inanimato da Pietro Leopoldo, che ridusse la scuola toscana della scagliola a tutte le altre superiore. | Nè è da potersi esprimere quanti onori fossero fatti al Gori. Il Granduca era sovente nello studio sto. Ogni principe , che viaggiando veniva a Firenze, andava a salutare il Gori. E quando egli ebbe compiute le due tavole, che in questi ultimi anni furono stimate degne di essere portate a Parigi; volle Leopoldo che fossero portate al palazzo Pitti sopra velluto e come in trionfo. Il Gori morì nel 1801 di 70 anni o incirca. Fermata l’arte della scagliola in Firenze, ed es- sendo così onorata dal principe, avrebbe dovuto indurre molti a seguitarla. Ma pure ciò non avvenne. Il Gori era gelosissimo d’ ognuno: e benchè sia noto il modo di adoperare la scagliola, alcune cose sono sempre segrete, e massime la maniera di dare il pulimento e la lucen- tezza alle opere già compiute. Onde finchè il Gori fu giovane, non insegnò l’arte ad alcuno. E non la inse- 307 gnò neppure da vecchio: ma allora ebbe bisogno di ‘ qualche giovane che gli desse aiuto, e prese nel suo stu- dio Pietro Stoppioni . Questi aveva moltissimo ingegno, e dando conti- nua attenzione a ciò che il Gori adoperava, gli riuscì alfine d’ apprender l’ arte senza saputa del maestro. Tantochè si meritò poi d’ esser professore anch’ egli nell’accademia delle belle arti dopo la morte del Gori. È pur lo Stoppioni ebbe il favore di Pietro Leopoldo e dei successivi Granduchi : anzi egli ebbe il favore dell’ uni- versale, rispettato e lodato come artista, amato e de- siderato come uomo di santissimi costumi . In questo anno 1821, nel mese d’ aprile; un rapido e mortfero morbo ce lo ha improvvisamente rapito, mentre egli era attempato sì, ma non vecchio. Lo Stoppioni ebbe nell’ arte questo pregio parti- colare di ben condurre a fine le opere sue. Egli era diligentissimo e preciso. Nè alcuno seppe meglio di lui dar pulimento e lucentezza ai lavori di scagliola, come si vede nella danza delle muse, nelle nozze Al- dobrandine, e in molti ritratti di uomini e di donne illustri, che da lui furono compiuti con tanto bella ma- niera, quanto la scagliola consente . E si provò anche a incidere nel marmo, per riempire l’incavo con sca- gliola colorita e secondo varii disegni. Ma avendo egli poco bisogno di guadagnare, lavorava più volentieri nelle piccole tavole di lavagna, sopra cui poneva una superficie di scagliola . Le opere dello Stoppioni sono sparse per tutta È Europa: e l’ Alfieri stesso volle da lui due tavolette, significanti il suo epitaffio e quello dell'amica sua, le quali furono poi congiunte insieme a guisa di dit- tico o libro col titolo Alfieri liber novissimus . 308 Lo Stoppioni per amore alle sorelle non tolse moglie. Non avendo figli, non fece allievi. E sareb- be stato, contro l’ esempio del maestro, amoroso a’ di- scepoli : ma ne’ nostri tempi a’ giovani manca la pa- zienza, e niuno studiò lungamente sotto lo Sto ppioni. Talchè Vl arte della scagliola sarebbe già perduta in Firenze, se il Gori non si fosse adirato con questo suo primo discepolo. Vedendo il Gori ch'egli aveva im- parato i suoi segreti, lo scacciò, e prese con sè Carlo Paoletti. Questi adoperò in consimile modo: attese a ciò che il Gori faceva: gli furò l’arte: e dopo sette anni fu anch'egli cacciato . Il Gori non volle secolui altri discepoli. Il Pao- letti vive tuttora, e usa l’arte della scagliola in ogni genere, mantenendo la buona scuola con pari onore e fortuna. Ma poichè egli pure è celibe, così non ha verun figlio in cui trasmetter l’arte; ed è, credo, il solo che sappia tra noi i metodi opportuni, e che ha detto a me essere segreti . i Antonio Benci. VARIETÀ’ Il Colonnello a mezza paga a Parigi . Semplice isto- ria del sig. KenaTRY. I colonnello B. se ne viveva nel suo dipartimento in compagnia della moglie ancor giovane e di tre figli di poca età, col solo assegnamento della sua mezza paga .° 309 Non avendo beni patrimoniali s’ industriava con gli studi che aveva fatti, di supplire ai mezzi che non gli somministrava la sua meschina pensione per educare la sua famiglia; e la Sig. B. divideva con lui il dolce inca- rico della loro dorati Suo fratello dopo avere onorevolmente esercitata la professione di medico, ricco di moltissime opere di be- neficenza e di Lisiera venne a m. Le in un distretto : vicino, e gli lasciò in legato . . . . che cosa? un ragaz- zino ed una ragazzina , le più graziose creature del mon- do, di buonissima indole, ma quasi nude . Il nostro bra- vo colonnello accettò l’ eredità, ricevè i due orfanelli a braccia aperte, anzi colle braccia di un padre. Fin qui la nostra storia è semplice semplice. Amare e prendere in cura i figli del proprio fratello, divider con loro quel poco che uno ha, e dividerlo di buon ani- mo ....cosa viè di più naturale? è cosa che si vede ogni giorno. Bisogna però confessare che i parenti più ricchi non sono sempre i più solleciti a presentarci que- sto dolce spettacolo: anzi questa*circostanza mi sugge- risce l’idea di comporne con mio comodo un inno alla povertà onesta e generosa. Torniamo al nostro colonnello. Crescevano i suoi cinque figlioli vestiti di panni dozzinali, tenuti però molto puliti, freschi e rossi, festosi e amanti dello stu- dio, perchè quando si vuol bene a maestri si fa progres- so rapidamente. L'istruzione de’ due maggiori, figli de’ due fratelli era a un punto da pensare a metterli in collegio: ma questo pensieronon si confaceva troppo al- Ja borsa del colonnello. In caso di circostanze un poco difficili le parti interessate si sogliono consigliare. Il consiglio fu tosto adunato, e fu risoluto all’ unanimità, 310 che il colonnellò a titolo del suo lungo e evipicue servire chiedesse un posto di alunno in un “Lido della capitale; e che i passi necessari gli avrebbero fatti ( almeno si doveva sperare ) alcuni suoi vecchi amici; che bisogna aver riguardo a chiamare con questo nome, è a’ quali è dovere di scrivere rispettosamente , perchè sono iti cari- ca; mentre il colonnello non lo è più. Ma per chi doviamo chiedere questo posto? Ecco il quesito che tiene irresoluto il piccolo areopago.: La Si- gnòra B. decise. « Caro mio, diss’ ella a suo inatito, chie- « diamolo per tuo nipote : mi pare che abbia più talen- « to di suo cugino, ed ha Jo stesso buon cuore, perciò sa- « rà più prestoin grado diaiutar la famiglia . E poi; quel « ragazzo è la eredità che ti ha lasciata tuo fratello: non « ha altri che moi: cominciamo a mandarlo avanti: è « una cosa che ci potrebbe essere utile « . In questo raziocinio eravi una gran dirittura di pre- videnza; congiunta ad un fondo di bontà. Non sappia- mo se la Signora B. avesse fatta riflessione che il suo avviso conteneva un'azione generosa, e capace al tem». j 2 pò stesso d’ ispirare interesse a pro d’ una famiglia; i ca- pi della quale eran quelli che si tenevano indietro . IH cuore d’ una donna virtuosa, secondato da un poco di spirito ( e le donne ne han sempre ) è corredato di tan- te amabili astuzie, di tante innocenti furberie, clie meno ce ne vogliono per isconcertare il più fino osservatore. Chi potrà scorgerne le trame segrete ? Chi potrà separare ciò che appartiene alla bontà, senza intaccare cio che appar- tiene alla previdenza, qualità necessaria di cuì la natu- ra doveva armare un esserg sprovvisto di forza ? Chi al- tronde oserà di trovar sottigliezza d’ingegno e perspica- cia, quando nella condizione di zittella, di sposu e di ma- 311 dre pare che la donna abbia ricevuta la vita per solen- nizzare su questa terra il culto delle più tenere, e spes- so delle più disinteressate affezioni ? Vengono le risposte da Parigi. Si aprono le lettere tremando, e con palpiti di gioia si scorrono da cima a fondo. Il posto è conferito senza obbligo di fare la mi- mima spesa . Un antico fratello di armi ha parlato al ministro della guerra; sono stati pfesi in considerazio- ne i diritti del colonnello; e 1’ amabile Alfonso suo ni- pote è sicuro di avere un posto in un liceo di Parigi: se lo avessein quello di Enrico IV. sarebbe condiscepolo del giovane Filippo d’Orleans! La sorella, il cugino, le cugine lo divoran co’ baci; la zia se lo stringe al seno lodandosi del buon successo come di un’ opera sua propria; ; lo zio lo abbraccia teneramente. Si parla della prossima par- tenza: il colonnello accompagnerà suo nipote, e sl ap- profitterà di questo viaggio per reclamare un arretrato di paga, sul quale però fà poco assegnamento. Cominciano le tenerezze per questa assenza , ma non possono essere di gran ‘durata. Si asciuga qualche lacri- metta che stà per cadere dalle palpebre ; si rendon grazie al cielo nelle orazioni della sera; e tornando tutti ad abbracciarsi, se ne vanno in traccia d’ un sonno che le grate emozioni della giornata rendono più tardo. 1 nostri due viaggiatori giungono a Parigi; e la por- ta del liceo stà loro aperta avanti agli occhi. Ma chi il crederebbe? Appunto in quel luogo la loro gioia, o per dir meglio quella del buono zio, soffrirà naufragio. Men- tre il giovine Alfonso nelle stanze della ricreazione os- serva i giovanili trastulli, ai quali ancor non ardisce di prender parte, e si prepara a studiare i caratteri co quali il suo deve trovarsi d’ accordo prendendo per contante tutti quei tratti che gli presenta una età estra- 312 nea ad ogni sorta di dissimulazione , il colonnello è en- trato nello scrittoio del provveditore , il quale gli parla del corredo del nuovo alunno come cosa già fatta, e di un deposito già effettuato alla guardaroba della bian- cheria. Ma tutto questo era appunto ciò cui quel degno galantuomo del colonnello aveva meno pensato, anzi non ci aveva pensato neppur per ombra. Tanto lui che sua moglie avevan creduto che un posto gra- ruito portasse seco anco un mantenimento gratuito. Non già che il piccolo Alfonso non fosse stato provvisto dalla zia di calze, di camicie e di camiciole da notte di tessuto forte, e in tanta quantità che non avrebbe potute consumarle in un anno; ma nel rimanente il suo bagaglio era molto scarso . Nuovo Biante aveva in dosso tutto il suo corredo, consistente in un vestito in- tiero, comprato e ridotto il giorno avanti la sua par- tenza, perchè gli altri suoi vestiti usati ; indegni di fi- gurare in un liceo, eran passati, come spogli, per uso di suo cugino . Bisogna però sapere una circostanza un poco straor- dinaria che giustifica la negligenza della famiglia B. .; perchè non par naturale che il colonnello ignorasse una delle principali condizioni per ammettere un ragazzo in un collegio. Quel buon galantuomo corrispondente del colonnello, prima di partir per Anversa a trovar sua moglie mativa di quella città, aveva fatto credere al suo amico che il re soleva regalarqualche volta de’cor- redi agli alunni de’ licei, e che il giovine Alfonso avreb- be potuto godere di questo benefizio. Quindi aveva or- dinato ad un banchiere di provvedere e pagar tutto se- gretamente . Ma.da questa cortese generosità d'un antico camerata del colonnello ne era risultato, che quest’ ultimo era stato indotto in una completa igno- Sh3 ranza mediante l’infedeltà del banchiere incaricato della provvista, e fallito già da quindici giorni . Le parole uniforme , corredo necessario, e corredo senza il quale bisognava ricondurre il ragazzo a casa sua sonavano duramente all’orecchie del colonello. Queste terribili parole produssero sull’animo suo un effetto che non avevano mai prodotto nè il fuoco nè il ferro dell’ inimico. Egli im pallidisce: un freddo sudore bagna l’onorata sua fronte, che procura coprire or con una mano or con l’alira; e quindi un nuovo sentimento lo fa arrossire. Povero colonnello! Si vergogna di non esser ricco, mentre dovrebbe gloriarsene! Finalmente alzan- do gli occhi verso il provyeditore balbetta due o tre parole senza significato, e finisce col domandare treman- do: cosa può costare un corredo? non ebbe bisogno di aspettar la risposta ...« venticinque luigi? replicò il buon militare, non ne ho neppure cinque a mia dispo- sizione. L'amico, per le raccomandazioni del quale ho ottenuto questo disgraziato posto, è appunto fuor di Parigi, e non ci conosco altri. Per carità, signore, accor- datemi qualche giorno di dilazione. Mi rimane da far qualche passo , e spero che potrò supplire anco a questo: vi sarò veramente obbligato se pazienterete un poca attesa la mia situazione ». Il provveditore assentì a questa domanda; e se; fa- cendolo, non avesse ritenuto presso di sè il nuovo giovine commensale avrebbe meritato, non di essere rimandato da un luogo ove si educano gli alunni, ma di essere scacciato dalla città: perciò non voglio che facciamo per quest’azione: gran complimenti al sig. provveditore. Ma quale era il progetto del colonnello? Eccolo: datevi la pena di leggere la seguente lettera. 314 A S. E. il Ministro delle Finanze. Eccellenza Io ho servito il mio paese senza rimprovero per lo spazio di ventotto anni: mi son guadagnato e meritato il mio posto e la mia mezza paga di colonnello; e le mie ferite lo attestano. Son povero, non me ne vergo- gno, ma sono afflitto perchè ho cinque figli. Dico cin- que , perchè la morte di mio fratello dottor di medicina mi'lia caricato di due, ai quali voglio bene come se fossero miei. Dalla beneficenza del re ho ottenuto un posto gratuito per uno di questi due, e sono nel caso di noh poterne profittare perchè mi mancano venticinque luigi per pagare il corredo. Fra due mesi scade il mio semestre. Avreste voi la bontà di ordinare che mi fosse pagata in anticipazione a conto della mia mezza paga la somma che indispensabilmente mi è necessaria? Ho l’ onore di confermarmi con tutto il rispetto Parigi, dall’ osteria del Cadran-bleu, Via s. Giacomo 127 2. Luglio 1820. Il colonnello B. Egli stesso in persona recapita la lettera al guarda- portone del palazzo del ministro, via nuova Des petits champs . Aspettando la risposta pensa alla moglie, ai figliuoli; scrive una lettera di tre pagine e mezzo alla prima: un giorno gira per un quartiere di Parigi, il giorno dopo per un altro: visita il magnifico stabili- mento degl’ invalidi ; vi riconosce con trasporto di gioia un povero sergente; dopo una lunga deliberazione penosa al suo cuore gli regala una moneta di cinque franchi : s inginocchia al suo fianco sotto la cupola di quell’edi- fizio, pensando sempre però alla lettera consegnata il 315 giorno avanti al guardaportove del ministro : quindi | va a vedere suo nipote, gli fa cento carezze, gli dà cento buoni consigli: e il terzo giorno, tornando a sera all’oste= ria; trova la risposta del ministro. Da questa risultava che non era possibile accordare veruna anticipazione a un militare prima che fosse scaduto il suo semestre , e che la regolarità dell’ amministrazione non poteva ammettere una tal domanda . Converremo che il colonnello aveva fatta la sua domanda da bravo militare; ma anco la risposta era da buono amministratore. Egli però non la iritese così; @ dandosi de’ pugni nella testa , ritiratosi nella sua came retta all’ osteria del Cadran-bleu, cominciò a dire : » aver servito per ventotto anni la patria, aver ricevuto quindici ferite, e non avere un capitale di venticinque luigi per pagare un corredo per un quinto figliolo ere- ditato ! Queste parole furono pronunziatéè con quel tuono soffogato che accompagnar suole i gran dispiaceri, e che bene spesso precede la disperazione. Il colonnello gettò un’ occhiata sulla spada appesa per la cintura alla sua valigia; amaramente sorridendo ....ma gli tornò in in mente la sua famiglia, e si considerò come un uomo necessario, come una sentinella che abbia ricevuta la consegna: « Il posto è cattivo, disse fra sè} ma questa non è una ragione per abbandonarlo; procuriamo d’ es- sere buon soldato fino all’ ultimo » . Si calmò, scrisse; lo scrivere è come parlare; 11 parlare corisola, quando non facesse altro che diminuire la decima parte di ciò che ci affligge. Si stropicciò due o tre volte gli occhi col dorso della mano, e alzandosi dalla sedia per get- tarsi sul letto, giacchè non vi era da fare un passo da quella a questo, nell’osteria del Cadrarn-bleu, in via S. 316 : Giacomo, con una malinconica rassegnazione disse fra sè: « Povero il mio Alfonso! dunque domani bisognerà che io venga a riprenderti, e che ce ne torniamo a casa sconsolati? Ma ci saremo ben ricevuti. Ti iusegnerò io quel poco ch'io so, e pel rimanente sia fatta la volontà di Dio. Ha fatto colonnello me del 68.°, farà qualche cosa anco di te, perchè quel pover’ uomo di tuo padre era il medico di tutti i miserabili, e nel tastare il polso ai suoi malati metteva loro in mano di belli scudi ». Il sonno dell’uomo addolorato è breve e spesso interrotto : È un balsamo che la natura sparge a goccie su di lui, e pare anzi che vi sia qualchè cosa che le trat- tenga la mano, al momento in cui ella non vorrebbe esserne tanto avara . Dopo avere il colonnello dormito qualche mezz’ ora, i suoi primi sguardi caddero sulla lettera ministeriale che era aperta vicino a lui. La ri- lesse ; e ponendo ' mente alla formula consueta che vi era in fondo, nella quale sua eccellenza testifica il sin- cero rammarico di non potere adempire i suoi desideri, gli salta in testa di tornare al palazzo del ministro, pieno di fiducia che quando gli fosse stato permesso di parlargli avrebbe preso in considerazione il suo stato, e gli avrebbe indicato come dovesse regolarsi nelle sue circostanze». Un uomo con queste idee si sarebbe scom- messo cento contro uno che era stato molto gentile nella sua vita militare, e lo era tuttavia: e si scorgeva in lui uno di quegli esseri i quali, se non sono capaci di riconciliare colla natura umana un osservatore misan- tropo, almeno ottengono da lui una occhiata di compas- sione, come se trovasse in quello solo una eccezione ac- cusatrice. Per buona sorte anco la misantropia è una pura eccezione. Gli ufizi del ministro si aprono al più a undici ore. RE E e) e 319 Il nostro colonnello, dopo la sua colazione , che per maggiore economia la fa in camera, ove niuno esamina in che consista quella leggera refezione , e per conse- guenza non è obbligato ad abbottonarsi e soprapporre il vestito sul doppio nastro di cui è decorato, stà per- plesso se va a veder suo nipote o la rivista che deve farsi di un reggimento sulla spianata des sablons. Nella posi- zione in cui sì trova gli farebbe pena il vedere il suo figlio adottivo ; sente suonare il tamburo ; il colonnello prende la sua canna d’ India e il suo cappello. Bisogna bene che un vecchio militare sia agli estremi della deso- lazione per non dimenticare per un momento la sua afflizione allo spettacolo di 1200 uomini sull’ armi, in uniforme, schierati, preceduti da una musica guerriera, i gaschetti e le baionette de’ quali brillano in faccia al sole. Bisogna che non esista più in lui una sola fibra suscettibile di emozione, perchè non gli palpiti il cuore dalla gioia figlia del coraggio, alla parola di comando dato, ed eseguito con esattezza e simultaneamente. Inol- tre uno si figura che la patria sia tuttora potente; e se questa è una illusione almeno è una dolce illusione . Quindi il colonnello dimentica per tre ore il liceo, il provveditore, il disgraziato corredo, i venticinque luigi, il ministro di finanze e la sua lettera. Se ne torna col reggimento cui era andato dietro , e meno tristo arriva al ministero appunto all’ora e nel giorno in cui sono aperte le segreterie. Ma ei si perde in quel laberinto. Rimandato da un commesso, al quale ha potuto appena cominciare a parlare, ad un altro che lo licenzia senza lasciargli aprir bocca, batte alla stanza del sig. V. Gli viene aperta la porta da un uomo di mediocre statura, pulitamente vestito, di una fisonomia fredda a prima vista ma poi cortese ed umana, con viso 318 pallido, effetto di un lavoro sedentario di tavolino, il quale lo prega di sedere e di esporre ciò ‘che desidera , Il colonnello, sicuro di essere ascoltato si spiega molto bene. Infatti qualunque maniera di eloquenza inclu- sive quella di un soldato abbisogna di un poco di favore, Egli terminò il suo discorso coll’ esibir la lettera mi- nisteriale . Il capo dell’ ufizio dopo aver letta attentamente la lettera gli soggiunse: « voi non potevate ricevere altra risposta che questa. Se sulla vostra firma vi fosse stata accordata l’ anticipazione che domandate, e che il re e l’armata avesse avuta la disgrazia di palla la camera de’conti avrebbe rifiutato questo documento come illegale. Vi prego però a permettermi una li- bertà; di esibirvi i venticinque luigi che vi abbiso- gnano. Non li ho presso di me, ma abbiate la bontà di venire a casa mia; eccovi l’ appunto della mia abitazione » . In così dire il sig. V. gli dà un pezzetto di carta. Il nostro buon militare rimase immobile, guardando fissa- mente il capo d'ufizio per linigasidloi di circa quattro secondi; e dopo questi quattro secondi gli caddero dagli occhi due lacrime. Fu questa la più forte emozione che sentisse mai da venti anni in poi, se si eccettui quella che provò per la morte del sergente che gli spirò fra le braccia alla battaglia di Leoben. Anzi il colon- nello allora non pianse s perchè trovavasi sul campo di battaglia. Credè il Sig. V. di dovere fare insistenza e sog- giunse. « Non son ricco, ma vivo comodamente e so contentarmi. Sposai a Versaglies una bravissima don- na , la quale si è addossata l’ educazione della mia pie- cola famiglia. Io procuro di stare in economia . A ssi» 3 curatevi che questa piccola somma non mi PARISE ». Signore , riprese il colonnello, non son venuto nelle vostre stanze per ispogliarvi. Senza avere l’ onore di conoscervi ;. forestiero in Parigi desiderava solamente che mi fosse indicata qualche persona , la quale sopra un mio foglio e su i miei assegnamenti mi anticipas» se quella somma . Ma voi m' illuminate. In fatti chi vorrebbe fare un imprestito ad un povero ufiziale che non può dare alira sicurtà che le sue ferite e la sua mezza paga ? — » Ebbene contentatevi che sia io quello, quando non volete altro che un imprestito. Pure vi pregher ei che mi permetteste di fare questo piccol re- galo a vostro nipote . Velo chiedo in nome mioe di mia moglie, la quale se fosse presente unirebbe le sue alle mie preghiere. Bisogna pure che ognuno in que- sto mondo si faccia un poco di capitale di opere buo- ne. Voi ve ne siete fatto uno coll’ aver servito 28, anni, coll’ aver riportate onorevoli ferite, coll’ avere ac- cettata l’ er edità lasciatavi da vostro fratello. Perchè non volete che anch’ io faccia qualche cosa di simile ? Se non me ne datel’occasione,mi bisognerà che vada in traccia di chi accetti più facilmente di voi, senza me- ritar quanto voi. Ho da fare questo rapporto. Il mi- nistro me ne ha fatta premura. Compiacetevi di ve- nire stasera a prendere una tazza di caffè in mia con- pagnia. Vi aspetto alle sei ore « . Il colonnello prende l'indirizzo della casa, gli strin- ge la mano, e con una voce soffogata gli risponde « a seiore «. In quella stretta di mano, in quel tuo- no di voce eravi tutto ciò che il colonnello sentiva nell’ animo, e tutto ciò che l animo del Sig. V. po- teva intendere . Mio caro lettore, credete voi che io abbia in in- 320 ventata una novelletta? Se lo credeste mi dispiacereb- be per me e per voi. Il colonnello D. vive nel dipar- timento del Rodano con una buona moglie e con buo- nissimi figli. Il giovine Alfonso, mentre io getto sulla carta questa semplice istoria, se ne stà o al liceo di Enrico IV, o alla scuola militare, o altrove studian- do, o forse facendo il chiasso . La signora V. nata effettivamente a Versaglies, è madre felice di due graziose figlie, e il suo stimabil con- sorte vive con lei ( cosa che non era comunissima tem- po fa ). Non vi dirò dove, in quale strada, a qual nu- mero , sebbene io lo sappia dall’ almanacco ; ma voglio tener nascosto qualche cosa anco per me e per l’ one- sto sig. V. perchè so che, riservato di natura sua; si stàdia di essere qualche volta misterioso, e che se io fossi così indiscreto da palesarlo come autore di que- sta azione, mi detesterebbe senza conoscermi. D. NOVELLA Es recato un viaggiatore, non è ancor gran tempo, ad osservare il Castello di E *** bella e dilettevole pos- sessione nell’ Inghilterra. Là visitando le sale, e le ca- mere servito di guida da un familiare, gli occhi posc so- pra una dipintura, ove vide ritratta una bellissima don- na in abito villereccio vestita, tenendo un suo bambino fra te braccia. Come diè segno che maravigliosamente glie ne piacea la beltà, e l’aria angelica del sembiante, tosto gli fu aperto dalla sua guida che era desso il ritrat- to della madre del padrone di quel castello, e gli fu nar- rata la storia, molto ad udirsi curiosa, di questa Signora. Riccardo E *** non aveva ancora venti anni quan- 321 do, mortogli il padre, si diè al conversare e all’usare dei cittadineschi piaceri. Essendo bel giovine, ricco, di gran parentado, e di più doti adorno che non eran bisogno a rendersi altrui gradito, e venire a capo d'ogni giovanil desiderio, molto piacque appresso le gentili brigate, e fu avuto caro. À gara i giovani lo volevano per amico , le madri per genero; delle donzelle non ve ne era una che nel secreto dell’ animo alla sua mano non aspirasse. Mi-'. lord s'inebriò per alcun tempo col piacere di questi suc- cessi così felici. Allevato nella ritiratezza, male esperto degli uomini, dei modi e degli abusi del conversare ebbe in qualità di sinceri amici gli adulatori, e tenne per signi- ficazioni di affetto le false carezze; e le interessate lodi. Ma fornito di sottile intelletto e di buon sentimento fu presto giunto al suo disinganno. Le seduttrici illusioni una dopo l’altra si dissiparono; di guisa che, esage- ‘rando da ultimo, come si suole dai giovani, viveva convinto che virtù e felicità sono nell’umano consorzio nomi vani e senza soggetto. Un amico solo non eragli ancora useito del cuore; con lui conferì il conceputo disegno di prender moglie, affine di cercare nei legami domestici quella felicità che per altra via omai dispe- ravasi di conseguire. Disse d’ aversi scelta una bella ragazza, sicura, senza eccezione, la perla del suo sesso. Chiese l’amico di poterla vedere . . . Ohime! tre settima- ne non furono varcate che il confidente e la perla delle ragazze s' erano insieme fuggiti . La perfidia di cotestoro, che soli in terra riputava degni d’ essere estimati ed amati, trasse Riccardo in profonda e grave malinconia. Disgustato del mondo, e de’ suoi piaceri, all’ età in cui gli altri appena di assa- porarli cominciano, deliberò d’ andare a vivere nel suo castello, e d’ altro non fu vago che di ritiro , e di T. JII. Agosto 21 322 solitudine. Ma grave e tristo dovè riuscirgli ben presto il nuovo tenor di vita; chè il bisogno d’ amare e di es- ser riamato forte gli favellava nel core disposto a squi- sitamente sentire, e gli facea ravvisare che una buona e dolce ed affettuosa moglie sola potea ritornarlo in feli- cità. Fermo però e costante nel distacco dal mondo cit- tadinesco deliberò di scerre la compagna della sua vita non laddove era sì facile il trovarsi di nuovo ingan- nato e tradito, ma bensì tra’ campi, e ne’ rusticani soggiorni, persuase che ivi solamente virtù, candore, e sincerità d’ affetto rinvenir potrebbe. Ordinate per- tanto le cose sue, senza far motto a veruno di ciò che avesse nell’ animo, e null’ altro detto se non che ap- parecchiavasi a lungo viaggio, un bellissimo mattino d’ estate , tutto solo ) a piedi, in semplice vestimen- to, indossato un fardello delle sue robe, si pose in cammino. Drizzò i suoi passi al settentrione, e camminò molti giorni senza arrestarsi fuor del tempo necessario al cibarsi, e al dormire. Quando si vide lontano da . Londra sessanta leghe, allora si diè a frenare il suo corso, e a confortarsi con la speranza che gli porrebbe dinanzi Iddio, come al servo fedele Isacco, l’ amabile oggetto destinato a far belli i giorni che gli rimanevano della vita. Tutto fra questi pensieri si trovò alla porta d’ un podere, che ridente ed ameno e pittoresco invi- tava i suoi sguardi. Ma la di lui attenzione ebbe vie più richiamata la vista che gli apparve di una giovine e graziosa contadina, la quale, tenendo in mano un rico& mo piatto, quello tutta lieta portava ad una povera , e cenciosa vecchia assisa nell’aja sopra una pietra. Milord contempla estatico quella leggiadra persona, sul cui volto chiamarono un bel sorriso i caldi ringraziamenti della vecchierella. Pargli che una secreta voce lo avvisi i 323 d’aver toccata la meta del suo viaggio. Perciò, senza più avanti cercare, ‘propose di chiedere da lavorare in que’ campi per avere la ragione di fermarvisi a studiare le qualità della giovinetta , che già le sembra la più compiuta di tutte le virtù che nel mondo sia. E tenu- tole dietro al suo rientrare nel rustico tetto le do- mandò di poter parlare al coltivatore di quel podere. Marta chiama suo padre, e Riccardo senza preamboli il prega di prenderlo al suo servizio come garzone. Il contadino vuol sapere ehi egli è, e donde viene. Il di lui nome è Riccardo; allevato presso uno zio, in una villa lontana, ha per isciagura perduto questo zio, che era il suo benefattore, il suo amico; gli eredi senza pietà lo hanno scacciato dal luogo ove son tra- scorsi i suoi primi anni; si trova ridotto a procacciarsi il vivere con i sudori. Resta sospeso il villano alle sue parole, di Riccardo non gli spiace la fisonomia, gli vanno a genio i suoi modi; ma teme d’inganni, e risponde che non ha bisogno al presente di lavoratori. Marta però sente compassione del bel giovinotto addolorato in sem- biante per quel rifiuto, e dice semplice ed ingenua: « Lo sapete pure, padre mio, Giovanni presto si ammoglia, e se ne va via; perchè non facciamo entrar questi nel luogo suo? » Riccardo sorridendo le rende grazie per la sua protezione; sì fa rossà la villanella, si piega il padre e dice che, per pigliarne prova, sia il ben venuto. Ecco dunque Riccardo divenuto lavoratore, e tutto volto alle agresti faccende. Queste adempie in principio con tanto poco di garbo, che le mille volte il padrone è tentato di mandarlo via. Marta però è sempre fuori a perorar la sua causa, e ottenerglì il perdono; « Riccardo, dicendo, è così buono, così obbligante, ha tanto zelo, tanto | $'ajuta col buon volere, che presto si farà più pratico, 324 e allora la sua capacità , la sua attività supererà quella di tutti i suoi pari. Queste cose ripeteva ella del conti- nuo al padre. Il buon contadino che non sapeva con- traddire alla figlia, e voleva tutto il suo bene a Riccar- do, acconsentiva di non mandarlo via. Quanto a Ric- cardo, ei non era stato mai come allora così consolato ; più che vedeva Marta piu imparava a conoscerla, e più convincevasi che Dio medesimo era stato guida a’ suoi passi per abbatterlo alla sola donna a sè conveniente ; alle fatiche e ai lavori a poco a poco si accostumava; la vista di Marta d’ ogni disagio e stanchezza lo ristorava; a lei vicino non pensava al mondo ed a' suoi diletti se non era per consolarsi d’ aver loro date le spalle. Aveva Marta oltre l’indole amabilissima molto naturale inten- dimento; quindi la certezza in Riccardo di poterla costu- mare, e di tutto quello che a nobil donna si convenisse agevolmente ammaestrare. Così procedute per tre mesi le cose avvenne in quel termine che più oltre non si po- tendo Riccardo frenare, preso il momento che solo si ritrovava con Marta, le apri il suo ardentissimo amore. « Parlatene col padre mio » gli disse Marta tutta foco nel viso « Credete che mi vorrà per suo genero? » Lo spero « Lieto Riccardo della risposta ne fu col padrone in quel giorno stesso. Forte si maravigliò il villano che osato avesse un garzone di alzare le mire alla sua fîi- gliuola, e lo domandò se gli era caduto dalla memoria il suo povero stato. Riccardo apriva la bocca per soggiun- gere qualche parola, quando Marta, che aveva forse ogni cosa udita dietro la porta, si fece avanti nel punto me- desimo, e prese a difendere il suo diletto garzone , di- cendo che dalla ricchezza in fuori era desso provvisto dei requisiti tutti per dovere ammogliarsi, e che di questa si potea far di meno sol che suo padre continuasse 325 di tenerlo in casa anche quando che le fosse marito. Il buon còntadino non seppe come resistere, e disse fra se: « Ho ubbidita, quando era viva, la moglie; è giusta che ora tocchi alla figlia di farsi ubbidire « E otto giorni non corsero che furon fatte le nozze. Riccardo selle passare un altr’ anno in quel villesco soggiorno senza nulla far trapelare alla moglie del suo nome e della sua condi- zione. Quest'anno volse per loro pienamente beato. Ric- cardo spese i momenti d’ozio che lasciavangli i cam- pestri lavori nell’ammaestrare la sua Marta; e quando ella maravigliavasi ch’ ei fosse così sapiente rispon- deva che suo zio era stato alla scuola, e s’ era dilettato d’insegnare a lui tante belle cose, e duel leggere tanti banali libri. Giunto finalmente il giorno che ei stesso predetto aveva , Riccardo manifesta alla sposa che vuol visitare in sua compagnia i cari luoghi nei quali è stato alle- vato. Marta è la più contenta donna del mondo; i pre- parativi son presto fatti, entrano in cammino, e in tre giorni pervengono al Castello E*** che supera in magni- ficenza i più ricchi e magnifici dell’ Inghilterra. Hicuardo fa cenno d’arrestarsi al imita che li conduceva. Mar- ta addimanda se è vicina la nativa villa del suo marito. « Vicinissima, risponde Riccardo, e sorride. « Che bel | paese, marito mio, che superba possessione! chi ne è il padrone? » Tu ne siei la padrona, mia dolce spo- sa, tu Marta cara, tu Miledi E***. « Stupefatta Marta al suono di dali accenti ha paura che il suo marito uscito sia di cervello, ed inquieta e sospesa lo guata in viso. Ma già. ‘un antico familiare di Milord ha ricono- sciuto il padrone, la nuova ba sparsa del suo ritorno, tutta la gente del castello sì affolla per rallegrarsi, per 326 dargli il ben tornato. Egli mostra loro sua moglie, di- cendo: amici, arricchito io ritorno dal mio viaggio per- ciocchè a voi condauco una buona e cara padrona. A queste parole tutti salutano la povera Marta, che com- battuta da tanti contrarj affetti sì scioglie in lacrime e si stringe nelle braccia il marito esclamando « Riccar- do saremo noi così beati in questo palazzo come siamo stati nei campi del padre mio? Lord E*** mi vorrà così bene come il garzone Riccardo me ne voleva? » Milord V abbraccia, I aflida dei suoi timori rinnuovandole il giuramento che V amerà sempre, e le dice che prenda possesso del suo .castello. Marta riavutasi dal turba- mento si lascia guidare dallo sposo, e non si sazia mai di guardare, e di maravigliarsi. Convinta alfine d’essere veracemente in sua casa e per l’onore che tutti le fanno , e per lo zelo che tutti spiegano nell’obbedirla , vola to- sto col pensiere al suo povero padre,, che farà ,, diman- dando, che farà il buon vecchio senza la sua figliuola ? « Verrà a vivere con esso noi ,, Riccardo le replica » di- mani manderemo a torlo dal suo lavorio . E nel giorno appresso scrisse Marta al suo padre una lunga lettera, in cui narravagli la sua sorpresa, la sua ventura, e pre- gavalo di venire a darle il colmo colla sua presenza. Il buon vecchio lesse e rilesse questa lettera per venti volte prima di prestar fede alle strane cose che conte- neva, e ad onta del paterno amore fu lungo tempo sospeso se dovesse abbandonare il picciolo suo podere per andare a vivere in un bel castello. Si arrese alfine alle preghiere di Marta tra se dicendo che sempre nella sua vita aveva dovuto ubbidire; prima alla madre, quin- di alla moglie, in ultimo alla figliuola. La quale dive- nula una gran signora seppe così bene adoperare nel suo C 327 muovo stato che mai non fu segno all’invidia degli in fe- riori, nè allo scherno di quelli, dalla cui condizione era la sua nascita così lontana. Luigi BoRRINI. SCIENZE NATURALI. Osservazioni e fatti riguardanti i fenomeni elettro- magnetici, del Prof. Gazzeri. i MI una memoria inserita nel terzo fascicolo dell’ Anta logia per il mese di marzo di quest'anno esposi alcuni miei pensieri intorno alle cause dei principali fenomeni naturali, e specialmente dell’attrazione. Il soggetto di quello scritto, congetturale ed ipotetico quanto altro mai, le idee relative che io vi ho emesse, immensamente di- stanti da quelle che sono comunemente ricevute, mi esponevano bastantemente alla critica dei più, per farmi desiderare d’essere almeno giudicato sulle mie proprie idee, sulle mie proprie espressioni, non modificate o variate, comunque ciò fosse. Di che, disgraziatamente, mi è in qualche parte avvenuto il contrario. In fatti l’egregio sig. Marchese Cosimo Ridalti avendo egualmente preso ad esporre altri suoi perssieri intorno ai singolari fenomeni elettro-magnetici in una memoria pubblicata in questi giorni nel 7° fascicolo di questo stesso giornale, ed essendogli nata occasione di ragionare sopra alcuni dei fatti da me narrati in quello scritto , e sopra le opinioni che io vi aveva appos giate , pieno del suo soggetto ha ricordate le cose mie quali tornavano alla sua mente, probabilmente non quali ei 325 le comprese leggendo, e sicuramente non quali io le. esposi. Lo che mentre m’impegna a. ristabilire nei suoi veri termini. ciò che già dissi, mi porge nel tempo stesso opportunità di ragionare dica poco sul valore delle respettive nostre idee, seg endo di buon grado una discussione, a cui ho in qualche modo dato occasione io stesso, e che sostenuta coi princip] che ci animano egualmente, se non ci condurrà alla couquista della lucida verità, ci farà almeno riguardare come caldi ed ingenui amatori di lei. E primieramente l’ espressioni usate dal sig. Mar. Ridolfi alla pag. 104 di questo tomo indurrebbero a cre- dere avere io osservato ed asserito che una lama di ferro dolce interposta fra una calamita ed un’ ago magnetico sensibilissimo toglie ogni effetto dell'una sull’altro; ed avere io creduto da questo fatto di poter considerare il ferro come un corpo coibente del ma- gnetico . Ma il fatto da cui io ho dedotto la proprietà coi- bente del ferro rispetto all’azione magnetica è questo, cioè che, fatto aderire un pezzo di ferro ad una calamita, questa non attrae e non sostiene a traverso di quello la più piccola porzione d'altro ferro. Quanto poi ad un ago magnetico, io ne ho detto tutto il contrario, cioè che, in seguito dell’osservazione comunicatami dal sig. Professore Pictet ho verificato che esso risente a traverso d'una lamiera di ferro l’azione della calamita, e ne seguita 1 movimenti. Queste due diverse condizioni non potrebbero essere distinte piu chiaramente di quello che lo siano a pag. 494 del mio scritto Tom. I. dell’Antologia ; ove, per addurre . 329 qualche ragione di tal differenza, dico che una causa sufficiente a produrre un’ effetto può essere insuffi- ciente a produrne un’ altro, e che sebbene una cala- mita non possa a traverso d° una sottile lama di ferro attrarre o sollevare la più piccola porzione d’ altro ferro posato sopra d’un piano, può esser capace di far semplicemente muovere un’ago leggermente sospe- so e magnetico; avvertendo poi che ur’ago 0 un sottil ferro non magnetizzati, sebbene sospesi leggermente, non hanno seguitato i movimenti della calamita a tra- verso d'una lamiera di ferro. Da quello poi che il sig. Marchese Ridolfi dice nella nota 10 del suo scritto potrebbe credersi che, facendo io conoscere il curioso fenomeno di due aghi magnetici, dei quali i poli omologhi, soliti respingersi, restano in presenza per l’interposizione d’un poco di ferro, abbia preteso spiegarlo per la proprietà coibente del ferro rispet- to alle atmosfere magnetiche degli aghi, mentre all’op- posto, non sapendo allora addurne spiegazione sodisfa- ciente, ho qualificato quei risultamenti come un poco singolari , e fino come atti a spargere qualche dubbio sull’ esistenza d’ un’ atmosfera intorno agli aghi ma- gnetici. Sul fine della stessa nota 10 io sono avvertito che i due aghi restano aderenti per i poli omologhi, posti a contatto anche senza interposizione di ferro, lo che ho riscontrato esser vero; aggiungo che ciò ha luogo in qua- lunque direzione, non già nella sola del meridiano ma- gnetico, come il sig. R. mostra supporre, asserendo che uno degli aghi trovasi necessariamente in una situa- zione rovesciata, contraria a quella che gli è propria, ed ove lo richiama l’ influenza terrestre. Dopo |’ osser- vazione del secondo fatto sembrerebbe non doversi cer- è 330 care una particolare spiegazione del primo, in cui i poli omologhi stanno in presenza per l’ interposizione del ferro; pure il sig. R. ne assegna una nell’ attrazione d’ambi i poli per il ferro, la quale, secondo esso, vince non solo la repulsione che esiste fra loro, ma ancora l’azione terrestre. Avendo io recentemente osservato che un’ atomo di ferro quasi impercettibile, del peso forse di un ven- tesimo di grano, serve a tenere uniti i poli omologhi di due aghi fortemente magnetici in qualunque direzione diversa dalla naturale, inclino a parificare i due casi della interposizione e della non interposizione del ferro; e credo che due aghi i quali si toccano per uno qualun- que dei loro estremi, restino nella situazione in cui si pongono in quanto che formano un’ ago solo (non più mobile perchè posa sopra due punti) in cui, o intorno a cui, il fluido o la causa dei fenomeni magnetici sì è distribuita in un nuovo modo, esercitando la princi- pale azione e le polarità ai due nuovi estremi. Si sà che, divisa una barra magnetica in due, tre, dieci parti, queste divengono altrettante barre magnetiche, prov- viste ciascuna dei suoi due poli, e che due, tre, dieci bar- re unite longitudinalmente ne formano in qualche mo- do una sola. Il caso poi di due aghi, che riuniti per i poli omologhi siano posti nella direzione del meridiano ma- gnetico, come sembra aver fatto il sig. Ridolfi, mi ram- menta un fatto che ho osservato, e che non credo esser noto. Si dice che un “ago magnetico libero nei suoi me- vimenti volge costantemente una delle sue estremità al nord, l’ altra al sud, il che è vero; si aggiunge che po- sto in qualunque altra direzione non vi rimane, purchè libero, e si ristabilisce nella prima; ciò non è esatta- 331 mente vero . In fatti l'ago posto nel senso della sua lunghezza esattamente nella direzione del meridiano magnetico, ancorchè coi poli rovesciati, vi rimane, pur- chè non sia disturbato dal più piccolo movimento, che togliendolo da quel punto preciso , lo fa tosto tornare alla posizione contraria, per lui naturale. Io sospettai di questa proprietà dell’ ago vedendo che la forza per cui tende a rimettersi nella sua posizione naturale, es- sendone distratto, è massima allorchè n’ è distante di go gradi, quindi sempre minore sl in un senso che nell’ altro. Però con un poco di pazienza, che vi si ri- chiede, condottolo, contro la sua renitenza, esattamente nella linea meridiana, l'ho veduto con piacere restarvi. Senza pretendere di assegnare la vera causa di que- sto fenomeno, che potrebbe spiegar tutti quelli del ma- gnetismo, dirò che parmi veder nel fenomeno stesso qualche analogia con quest’ altro. Unia banderuola leg- germente librata ed esposta al vento non si ferma or- dinariamente in altra posizione che in quella ove , oc- cultata dietro al sostegno a cui si attiene, eviti egual- mente l’ impulso del vento sull’ una o sull’altra delle sue due superficie. Ma se il vento provenga da un punto fisso e costante, e la banderivola vi riguardi direttamente, può restare in questa situazione, poichè tagliando la correute , questa striscia egualmente sopra i suoi due lati senza urtarne più l’ uno che l’ altro. o In così oscura e curiosa materia non credo indegno dell’ attenzione dei fisici qualunque fatto, poichè solo con raceoglierne e compararne un gran numero si può sperare di giungere a scuoprirne la causa. La spiegazione che nella stessa nota 10, ad esclu- dere la proprietà coibente del ferro, adduce lo stesso sig. M. Ridolfi dei fenomeni dai quali io l’ aveva dedotta, 332 non mi sembra ammissibile. In fatti non è vero che per essere il ferro avidissimo del magnetico, una cala- mita impieghi tutta la sua forza anche sopra pochi grani di esso, sicchè non possa attrarre o sostenere altro ferro. Allorchè, applicata una piccola lama di ferro ver- gine ad una calamita, questa non può più (come io cre- do d’ aver sospettato e quindi osservato il primo) at- trarre verun’ altra porzione di ferro a traverso della la- ma, o in una stessa direzione, può bensì attrarne e so- stenerne altre masse, che si pongano a contatto imme- diato con altri punti di lei, diversi da quello o da quelli che toccano la lama. Ciò prova che resta ancora alla calamita (mi esprimo in un modo più conforme alle idee generalmente ricevute che alle mie proprie) una potenza o una forza attrattiva non impiegata verso la lama aderente, ed esercibile in qualunque direzione, eccetto quella in cui dovrebbe traversare la lama di ferro vergine. Questo modo d’agire del ferro lo quali- fica senza eccezione come un coibente dell’ azione ma- gnetica, mel senso che io annetto con tutti i fisici a quest’ espressione. Per altro , cauto e riservato, io non ho attribuito al ferro questa proprietà coibente in una maniera assoluta, ma relativa; ecco le mie parole. Zo ne concludo che sebbene si dica comunemente che i corpi in genere sono permeabili dal fluido magnetico, si deve intendere che lo sono più o meno, ma niuno d’ essi assolutamente e perfettamente; e sebbene io dica che il ferro è impermeabile dal fluido stesso, nep- pur ciò deve intendersi in senso assoluto, ma in senso relativo, cioè che il ferro intercetta incomparabilmen- te più di qualunque altro corpo V azione magnetica . Quanto alle idee sistematiche, quelle del sig. Mar- chese Ridolfi sono immensamente distanti dalle mie. 333 Egli ammette tre fluidi imponderabili, o piuttosto quat- tro, cioè il lumico, il calorico, ed il magnetico, anzi i due magnetici australe e boreale, e non riguarda l’elet- trico, o i due elettrici positivo e negativo, per lui distinti, che come composti di calorico e dei due respettivi fluidi magnetici . Io all’ opposto non riguardo questi esseri nè come identici nè come distinti, io non li riguardo nemmeno come esseri, ma come modificazioni d’un essere unico , d’ un fluido sottilissimo ed invisibile, che diversamente mosso o eccitato produce gli effetti luminosi, calorifici, elettrici, magnetici ec. lo ammetto questi effetti perchè reali, non la luce, il calorico, l’ elettrico, il magnetico perchè ipotetici. Così la questione dell’ identità o della distinzione di questi esseri mi è estranea. i Pure mi farò lecito esporre alcuni fatti ed alcune considerazioni che mi sembrano militare contro le Opi- uioni del sig. M. Ridolfi, o distruggere gli argomenti, ai quali si appoggiano. Primieramente in tutti quei casì nei quali per la maggior parte dei fisici i due diversi fluidi elettrici si combinano neutralizzandosi, per il sig. Ridolfi essi sono scomposti, risolvendosi nei loro supposti componenti, il magnetico ed il calorico. Se così fosse, nel caso opposto, cioè ove le due elet- tricità si manifestano, o appariscono formarsi, come allorquando si mette in moto una macchina elettrica a + doppio conduttore positivo e negativo , bisognerebbe supporre che i corpi ambienti somministrino il calorico ed il magnetico, anzi i due fluidi magnetici australe e boreale. Risparmiando la questione più imbarazzante sulla provenienza di questi ultimi, domanderò almeno donde emani il calorico, supposto necessario a comporre 334 l’elettrico, in un processo ove niuno dei corpi interes- sati ne somministra, provando essi piuttosto riscalda - mento che raffreddamento? Ma per me neppur sussiste il fatto opposto, cioè lo sviluppo del calorico ove cessi l’ eccitamento elettrico, o come altri si esprimono, ove le due contrarie elettri- cità si combinino o si scompongano . L’abitudine di veder congiunti i fenomeni lumi- nosi ed i calorifici fa credere comunemente che ovunque è scarica elettrica con scintilla vi sia sviluppo di calo- rico. Non mi sarebbe difficile provare che i fenomeni più violenti, non esclusa la stessa fusione dei metalli, operata per la scarica d’ una boccia o d’ una batteria , comunque energica, sono effetti meramente elettrici e non calorifici. Mi limito quì a rammentare che il pas- saggio d’una forte scarica della macchina a traverso d’ una parte, sebben molto piccola, del nostro corpo, ci fa provare una violenta commozione, ma niun senso di calore, ed aggiungo il risultamento d’ un esperienza da me espressamente intrapresa . Fatto un piccolo arco d’un filo di ferro del dia- metro di un quarto di linea, lungo pollici 4 e linee 3, vestitolo d’ un sottilissimo strato formato con un grano e mezzo di cera, lasciandone solo scoperto un punto all’ estremità degli anelli coi quali terminava, ho con esso scaricato per quattro volte successive una bottiglia ‘di Leida caricata ciascuna volta con 40 giri della mia macchina elettrica. Sebbene le scintille fossero viva- cissime, la cera non si è, nemmeno nei punti più vicini alla scintilla, non dirò fusa, ma neppur rammollita al- cun poco, effetto a produrre il quale sarebbe bastata una piccolissima quantità di calorico. Supponendo che nelle scariche sì sviluppi calorico, 335 e volendo ripeterlo dalla scomposizione dei due fluidi, il sig. Ridolfi dice ( pagina 89 di questo tomo ) che non può attribuirsi all’ attrito, perchè il fluido elettrico non penetra fra le particelle dei conduttori, ma scorre unicamente sulla loro superficie . I risultamenti di due esperienze da me fatte potrebbero autorizzare una di- versa opinione; eccole. (*) Esper. I. Fissato al conduttore d’ una macchina elettrica uno dei capi d’ un filo di rame lungo cinque piedi, ho adattato 1’ altro alla palla d’ una boccia di Leida. Questa si è caricata egualmente per un’ egual numero di rivoluzioni del disco, sebbene il filo in una seconda esperienza fosse inserito. verso la metà della sua lunghezza in un foro fatto nel mezzo d’ una lastra quadrata di vetro di pollici 12 f? di lato posta verti- calmente, ed a cui era esattamente fissato con cera. Un elettrometro a foglie d’ oro cominciava a risentir 1’ ef- fetto della corrente ad un’ egual distanza dal filo nei due casi. Ora se il fluido non passasse per la sostanza del filo metallico, o se il movimento da cui dipendono ed in cui consistono i fenomeni elettrici non si trasmet- tesse dall’ una all’altra delle sue particelle, ma scorresse soltanto sulla superficie di lui, o non sarebbe passato al di là della lastra per caricar la boccia, ovvero obbligato a soverchiare la lastra, la sua corrente avrebbe dovuto gonfiarsi notabilmente fra il conduttore e la lastra, e far risentire dall’ elettrometro la sua influenza ad una molto maggior distanza dal filo . (*) Il Sig. de Nélis di Malines nel dimostrare con una nu- merosa e bella serie d’ esperienze l’esistenza d’ un sol fluido elet- trico, si è anche convinto d’ altri fatti, e specialmente 1°. che il vetro non è coibente assoluto dell’ elettrico, e che può divenirne un mediocre conduttore; 2°. che in quest’ ultimo caso il fluido elet- trico è trasmesso non per la superficie sola, ma a traverso della sostanza del vetro. 336 Esp. IT. Una boccia di Leida posta in comumicazio- ne col conduttore d’ una macchina, prima mediante un filo metallico nudo, quindi con altro simil filo rivestito .d’un forte strato di resina e cera, si è caricata ad un’egual grado di tensione per un egual numero di ri- voluzioni della macchina. Il Sig. March. Ridolfi ha preso ad esplorare come si muovano e qual via respettivamente prendano sul fi- lo congiuntivo dell’ elettromotore del Volta i diversi fluidi che lo percorrono. Ma io non ho saputo seguirlo in quest’ indagine, o raccogliere le precise sue conclu- sioni. Mi è sembrato che a pag. 102,e 103 di questo tomo , ove spiega la magnetizzazione d’ un’ ago posto trasversalmente al filo congiuntivo, e l’ attrazione e ri- pulsione respettiva di due fili congiuntivi vicini e paral- leli fra loro, secondo che i poli che si riguardano. sono quelli d'uno stesso nome o i contrarj, mi è sembrato, dissi, che egli supponga le due contrarie correnti una a destra, l’altra a sinistra del filo, vestendolo in foggia di due semicilindri. All’ opposto nell’ esperienze indicate a pag. 103, e per le quali ha preso ad indagare quale dei poli sia indotto nelle respettive estremità degli aghi da ciascuna delle correnti, sembra egli supporre che una di queste scorra sulla parte superiore, l’altra sulla par- te inferiore del filo. Nemmeno ho potuto gustare la spiegazione che lo stesso Sig. Marchese prende a dare nella nota 7. delle proprietà dei fili eliciformi. L’ esperienza che illustrata dalla fig. 6. egli cita in appoggio, e nella quale si sup- pone che un’ ago posto trasversalmente ad un filo me- tallico piegato in arco, e con cui si operi la scarica d’una bottiglia di Leida ne resti magnetizzato , nei molti ten- tativi fatti già con i Sigg. Conte Bardi e Cav. Antinori #. PI TETI GI ne O Pn e 337 ci aveva dato un risultamento contrario , cioè niuna ma- gnetizzazione degli aghi . Nel dubbio avendola ripetuta molte volte ed in molti modi colla mia macchina elettrica , e sempre col- lo stesso successo; impegnai i suddetti Sigg. a verificar- la coi poderosi mezzi del museo reale. Un piccolo ago da cucire posto trasversalmente ad un filo metallico pie- gato in arco, con cui si è scaricata un insigne boccia di Leida, appartenente a quello stabilimento, e di cui non credo esister l’ eguale in Italia, non ha acquistato il più leggiero grado di magnetismo . La detta boccia ha una circonferenza di piedi 3, poll. 10, lin. 4; ed è armata, oltre il fondo, sopra un’ altezza di piedi 1, e poll. 7.; fu | caricata medianti ‘cento’ rivoluzioni d’ un’ eccellente macchina di Nairne, il di cui cilindro di cristallo ha la circonferenza di piedi 2, e poll. 8, e la lunghezza di pie- di 1, poll. 10, lin. 10, ed a cui sono annessi due gran- di conduttori di legno vestiti di foglia di stagno, lunghi ciascuno piedi 5 e mezzo, e della circonferenza di piedi 2, poll. 10, lin. 4. | Da quest’ esperienza due volte ripetuta con esito eguale abbiamo dovuto concludere che , operando come suole operarsi, e come la descrizione e la figura data dal Sig. Marchese Ridolfi sembrano suggerire, non si otter- rà mai la magnetizzazione degli aghi. (*) To ‘avrei inclinato a pensare che l’impiego inavver- tito d’ un’ ago già magnetico avesse illuso il Sig. Marche- se, se si trattasse d’ un’ esperimento unico. Ma ciò che egli dice supponendo più esperimenti fatti con aghi di- Versi, esperimenti nei quali, tenuta la magnetizzazione (*) Il Sig.. Davy ha ottenuto qualche effetto con grandi bat- | ferie, non mai con una semplice boccia. T°. III. Agosto 22 338 degli aghi per un fatto sicuro, si prende piuttosto a ri- cercare la disposizione relativa dei poli, esperimenti ai quali si appoggia una teoria o una spiegazione, non mi resta a pensare se non che il Sig. Marchese per ottenerli abbia usato qualche particolare sali che non gli è piaciuto di far conoscere. Similmente in vano ho ripetuto più volte, prima colla mia macchina, quindi unitamente al dio. Conte Bardi con una fra le migliori del museo Reale, come in vano l’ha ripetuta da ine pregato il Sig. Cav. Vincen- zio Antinori, l’altra esperienza indicata dal Sig. Marche- se Ridolfi a pag. 95. ove suppone che un filo metallico comunicando per una delle sue estremità col conduttore della macchina, e perl’ altra col suolo, ed essendo in qualche sua parte conformato in spirale, magnetizzi gli aghi che s'includano in questa, sebbene per la. di- sposizione indicata il fluido elettrico percorra il filo ta- citamente, senza scarica e senza scintilla . Il Sig. Marchese contando questo risultamento ( che da noi non si è potuto ottenere ) come un’ argomento dello sviluppo del magnetico per la scomposizione del- l’ elettrico, a provare che nel tempo stesso si sprigio- na l’altro componente, il calorico, dice che se l'estre- mità del filo comunichi coll’ interno id’un’ uovo fecon- dato , il germe si sviluppa, e l’ uovo si schiude, ja suo tempo. Ma, ammettendo questo risultamento della bella esperienza d’ Achard, io sostengo che esso non, è un’ ef- fetto calorifico. Si. sa, che per ottenere lo sviluppo del germe per mezzo del calore o naturale o artificiale si richiede una temperatura di 32 Réaum.; mentre l'uovo investito dall’ elettricità, ed in cui ha egualmente luo- go lo sviluppo, non si riscalda in modo alcuno sensi- bile. Da ciò è evidente che i due mezzi respettivamen- 339 te impiegati non agiscono quì nè come elettrico nè co- me calorico; ma solo come modi e cause di movimen- to,egualmente atte a porrele molecole in quegli,atteggia- menti ed in quelle condizioni, dalle quali dipende il pro- digio della loro organizzazione. Così riguardato, questo fenomeno favorisce più che qualunque altra Ja mia dot- trina. Lo scritto di cui mi sono occupato contiene varie altre proposizioni che mi sembrano o contradette dai fatti o in opposizione fra loro. Così al calorico, che ge- neralmente accresce la mobilità delle particelle della materia, è attribuita la proprietà di fissare il magnetico, di tenerlo in stato di combinazione nei corpi, e d’incep- parne la corrente. Si dice che 11 magnetico dà all’ elet- trico la celerità, lo che farebbe supporlo più celere di lui. Ora io non ne conosco fenomeni che me lo faccia- no credere. So che l’ elettricità può trasmettersi alla distanza di più leghe in un tempo inapprezzabile , ma «nulla di simile conosco rispetto al magnetismo. Mi sem- bra poi di scorgere una specie di contradizione fra que- sta stessa proposizione, cioè che il magnetico dà all’elet- trico la celerità, ed un’altra che la segue da presso, cioè che il magnetico è quell’ elemento dell’eleitrico, che lo rende capace di tensione . | Secondo il mio modo di concepire, l’ elettrico ac- quista tensione ove per l’ imperfezione dei conduttori 0 per la proprietà coibente dei corpi circostanti il suo moto è impedito o la sua celerità ritardata. Quiudi non so comprendere come una stessa causa possa dargli la cele- rità e renderlo capace di tensione. Ma forse tutto ciò dipende da non avere io bene afferrate nel loro insieme le idee del sig. M. Ridolfi. La mia professione di fede in questa materia è per altro 340 evidentemente diversa da quella di lui. Quando uno ha fatto pubblicamente la sua, non può tacere intorno ai fondamenti di quella d’altri posteriormente dedotti, sen- za farsi credere convertito; ed io per verità non lo sono . GEOGRAFIA, VIAGGIrc. Notizia sul Sig. RouzEE viaggiatore francese ; comunicata dal Sig. Jowarp Membro dell’ Istituto . Estr. dagli Annali dei Viaggi di MaLTE-BRUN . La morte del viaggiatore Prospero Rouzee è una gran per- dita per le scienze geografiche. I lettori saranno curiosi di conoscerne le circostanze, in quanto che queste interessano im- mediatamente la storia dei tentativi, che si fanno ai nostri giorni, onde conoscere le regioni interne dell’ Africa. La morte di Rouzee è un nuovo argomento delle difficoltà invincibili , che dovranno provar sempre i viaggiatori d’ Europa, finchè si ostineranno a voler penetrare nel centro dell’ Africa per la parte dell'occidente. Si vincono i disastri d'un lungo viaggio, le priva- zioni d’una vita errante; ma non si vince l’influenza del clima. La strada del settentrione presenta a prima vista la prospettiva di migliori successi; ma i tentativi dello sfortunato Ritchié, il quale ha voluto prendere quella strada, son riusciti ugualmente inutili - Tutte le spedizioni Inglesi hanno avuto un’ esito eguale, perchè non si è voluta preferire la vera la sola strada, che vi conduce , quella per la quale vi vanno periodicamente i nego- zianti, ed i pellegrini, quella per la quale vi andavano fin da tempi remoti. Rouzee si era prefisso, fin dalla sua prima gioventù, di se- guire il corso del Rio Negro, di visitar l'interno dell’Africa , d’inoltrarsi fino al Nilo , e di tornare in Europa per la via d’ Alessandria. Si applicò con attività , e con successo, allo stu- dio dell’arabo, dell’ebraico, e della lingua dei cofti, sotto la direzione di Marcello; e frequentò le lezioni di Sacy, di Lan- gles, di Parceval. Lo impiegarono per due anni alla correzione delle parole arabe nella gran descrizione dell’ Egitto ; dopo di che ottenne il posto di segretario interpetre nella colonia fran- eese del Senegal. Poco dopo il ‘suo arrivo a San Luigi, nel gennajo del 1819. , risalì il Senegal fino a Podhor. I suoi pro- 341 gressi nella lingua araba volgare gli procnrarono una accoglienza favorevole per parte dei Mauri. Appena giunse al suo destino , formò il piano d’una società Africana, nella quale dovevano es- sere ammessi gli uomini istruiti della colonia; e scrisse varie memorie, che si trovano tra i suoi fogli, gal tradizioni isto- riche degli Africani occidentali, sulle tribù Arabe del Sahara, sull’esistenza d’un mare nell'interno dell’ Africa , sull’ origine , e sui progressi dell’islamismo nella Senegambia ; sullo stato delle scienze, e dell'istruzione fra i negri, e sui costumi dei popoli della Senegambia , sulle lingue dell’Africa, sui principj religio- si, e sul culto dei Kafri nell’ Africa occidentale , e sullo stato della legislazione, oltre la versione d’un poema arabo, tre vo- ‘ cabolarj , e una serie d’itinerarj raccolti fra i capi di caravane - Al principio del 1820. Rouzee conosceva assai bene il dia- letto dei Mauri di Haussa, e sapeva che un terzo, e più dei suoi vocaboli è straniero alla lingua araba, ed ha molta analo- gia coi dialetti tuariki e berberi. I marabuti più istruiti tra i Fulahi, e i Volofi gli procuravano una quantità di notizie utili. In generale, mi scriveva, ho trovato più scienza che non cre- deva tra i popoli del Senegal. Aveva unito alla lettera , che mi diresse , l’ itinerario d’ un pellegrino , il quale percorse tutta l’ Africa dal Senegal fino alla Mecca . V’ erano infine varie os- servazioni sui paesi, per i quali era passato. Poco dopo il suo arrivo a San Luigi, Rouzee fu attaccato dalla febbre: vi ricadde gravemente nel 1820. ma il suo ardore non diminuì. Nel mese di maggio mi scriveva sulle ricerche, che aveva fatte intorno ai pesi, alle misure , alle monete, ed al calendario dei popoli del Senegal , e sui costumi degli Arabi del Sahara; e prometteva di mandarmi per il mese di luglio un saggio sulla lingua, e la letteratura dei Volofi , colla spe- ranza di rimettermene un’ altro sul dialetto dei Mauri di Haussa, e su quello dei Fulahi. In questo frattempo offrì di andare a Bakel con una nuova spedizione. Si credeva ormai perfetta- mente abituato al clima; per meglio disporsi agl’ incomodi del viaggio, si era allontanato da i Luigi per abitare in una ca- panna, come i negri. Si nutriva unicamente di miglio ; questo metodo di vita Gli tolse le forze, che gli erano necessarie per resistere all‘ influenza del clima - S” inblaroS il 4. agosto nel brigantino a vapore l’ Africano, coll’ordine di esaminare i paesi situati all’ E. di Galam, di risalire fino a Bakel, di raccogliere 342 iutte le notizie che poteva , sui paesi che si trovano fra il Se- vegal, e il Djaliba, di visitare i fiumi tributarj del Ba-Fing, di percorrere il paese di Karta , di Kamù, di Bambuk, dei Fu- lahi, di Manding, e di Bambara, di portarsi a Segu, a )jenné, e nell’ altre città principali, e d’ informarsi minutamente di tutto ciò, che riguarda le relazioni commerciali dell’ interno dell’ A- frica. Dopo questa prima escursione, doveva tornare in Euro- pa; per disporsi ad un viaggio più grande . Rouzee aveva prese le disposizioni necessarie per tenere eorrispondenza ogni mese col Senegal per la via di Bakel. Quando partì, era più indisposto che non credeva - La febbre si mani- festò nel viaggio: nel 29. agosto giunse a Bakel, e fu imme- diatamente attaccato dal mal di clima, e dal 1. al 10. settembre ne furono attaccati tutti gli Europei , che erano seco. Ecco ciò che scrisse per l’ultima volta da Bakel il 20. settembre . »» Ho risalito il fiume fino a Deramané; sarei restato in questo villaggio se avessi avute meco le merci, delle quali mi era provvisto; ho dovuto tornare a Bakel, per attendere i ba- stimenti che le portano, Ho sempre l’istessa fiducia di riuscire nella mia commissione ; il solo ostacolo , che mi par terribile , è il clima - Tutti gli Europei imbarcati sull’ Africano furono attaccati dal male fra il 1. e il 10. settembre; io ho avuta una febbre critica; la mia vita è stata in pericolo; ora sono in con valescenza , e le forze mi tornano più presto , che non sperava . Ho occasione di parlare coi capi francesi dello stabilimento di Bakel, e con quelli della spedizione Inglese . Ho interrogati anche gl’ impiegati subalterni. A Bakel tutti gli Europei pen- sano, che non è possibile di viaggiar soli all’ oriente Io lo sapeva anche prima., e ne sapeva i motivi avanti di accettare la commissione - Ma ciò non cangierà le disposizioni , che ho prese, nè quelle, che son per prendere . Il re di Segù ha ri- cusato «di ricevere Dockard; lo ha rilegato a Bammakù, dov’ è restato un anno , prima di poter tornare a Bakel. Può darsi che abbia fatte molte osservazioni interessanti su questo paese mal conosciuto . Dockard si mostra poco. Il maggior Gray ha man- dati nuovi ambasciatori a Segù . e par disposto ad andarvi per- sonalmente col resto della spedizione, se non riceve pronta- mente una risposta : Ha dimandata al re la facoltà di passar per i suoi stati, e di seguire il corso del Djaliba sino alla sua foce ; giacchè tale è l’oggetto del suo viaggio . «è ay «9 343 Ho veduto a Bakel un marabuto, che sì chiama cheik Abdullah : ne avevo sentito parlare assai ; sicuramente è il più istruito fra tutti i negri, coi quali ho avuto luogo di trattare . Spero di tornare a Deramané, appena avrò ricevuto le merci , che attendo. Vi scriverò un’ altra volta prima di partire , lo che accaderà al più tardi quando l’acque si abbasseranno,, - La lettera di Rouzee mostra luminosamenté la sua perse- veranza nella risoluzione presa, e lo zelo ond’era guidato . Lo straripamento dell’ acque del Senegal è la cagione prin- cipale delle febbri, che spargono la desolazione fra gli abitanti delle pianure basse , per le quali si aggira . Pare per conse- guenza , che la spedizione avesse scelta una stagione poco favo- revole per risalire il fiume . poichè aveva un battello a va- pore ; ma d’altronde chi sa se in altri tempi l’acqua era abba- stanza profonda ? Costretto dal cattivo stato di sua salute a ritornare a S. Luigi, Rouzee cessò di vivere nei primi giorni di novembre 1820. Aveva 22. anni. La sua perdita sarà lungamente compianta dagli amici delle scienze . i Itinerario di Bubeker da Senopalel città dello stato di Futa sino alla Mecca . Non esiste in Europa veruna notizia positiva sui paesi situati fra l’ Haussa, e il Dar-Fur ; pochi dati incerti han motivate mille ipotesi su questa parte del continente d’ Africa; cosic- chè niun paese del globo è disegnato in tante maniere sulle carte. Dove Rennel poneva una vasta contrada paludosa, altri geografi han collocato un deserto , altri una catena di monti, ed altri un gran lago . Quanto meno ne sappiamo in proposito , tanto più l’ itine- rario di hadgi-Bubeker è interessante . Questo pellegrino , per andar alla Mecca, ha attraversata l'Africa dall’ O. all’E. dalla colonia francese della costa occidentale fino a Suakemsul golfo Arabico, ed ha percorso per largo tutto lo spazio compreso fra l’ Haussa, e il Dar-Fur. Un Europeo, che avesse tenuta la medesima strada, non solo avrebbe conosciuta la geografia di queste regioni , ma avrebbe probabilmente spiegati anche i grandi problemi , che esercitano i dotti da tanti anni, sulla foce del rio Negro , sulla sua comunicazione col Nilo, e sulla direzione del Nilo de’ Negri. La relazione di Bubeker, senza sodisfare a tutto questo , è molto importante ; e sopratutto è 344 un documento da valutarsi , trattandosi d’una parte dell’ Africa, sulla quale i geografi son tanto discordi . La Saighia di Bubeker è originaria della città d’ Nasi nello stato dii Futa-toro . Bubeker nacque , ed. abitò a Seno- palel, città del medesimo stato. La sua lingua di famiglia & quella dei Falahi - Da Senopalel andò ad Gjaha si dui alla. gran città di Tgiloga, capitale del Futa-toro- Vi ricevè la. be- nedizione dell’ 2/r:amy , giunse alla frontiera del Futa, e si trovò poco dopo nel regno di Cagnaga, nel quale abitano i Se- raculesi. Si arrestò per qualche settimana a Djavar, una delle città principali del paese, attraversò lentamente la provincia di Kasson , e arrivò solamente tre mesi dopo la partenza dalla pa- tria a Djarra gran città al N. E. di Djavar, capitale del paese dì Bagona. Djarra apparteneva una volta al re di Rarta; ma oggi obbedisce ai Mauri, e la sua popolazione è composta in gran parte di negozianti Mauri; vi fanno un gran commercio ; vi portano molto sale dalla città di Tichit , il territorio della quale ne ha in grand’ abondanza. Da Djarra passò a Segù in un mese, e qualche giorno, La strada, che percorse, taglia un, paese ripieno di boschi, mal coltivato , e mal popolato . Segù capitale del Bambara è situata all’E. di Djarra, sulle due rive del Dja- liba . Il paese di Bambara è fertile quasi per tutto ; le terre coltivate dai Fulahi producono più dell’ altre. 1 Bambaras sono la nazione più numerosa dello stato . Vengono dopo i Fulahi, che si trovano sparsi in tutto il regno , e possiedono in proprio provincie intere : I Mauri vi s’ incontrano di rado, fuori che nelle grandi città . Da Segu Bubeker andò direttamente a Tombuctù per terra in 27. giorni. Tombuctù è situata al N. E. di Segù, a poca di- stanza dal Cailum, fiume considerabile , che è, secondo il no- stro_pe legrino, un ramo del Djaliba. Tombuctù è grande, e popolata come Segù, ma è più ricca, e fa un commercio più esteso - I Mauri formano la maggior parte della sua popolazione; anche i Tuariki vi sono in buon numero, e disputano continua- mente l’ impero ai Mauri. Bubeker ci i Tuariki come un popolo ingiusto ed oppressore ; quelli , che risiedono a Tom- buctù sono originarj del regno di Tavat, paese molto arido , di cui la capitale El-vahin è labitazione d’ un sultano molto te- muto . Bubeker si proponeva di attraversare il regno di Tavat, i 345. situato al N. di Tombuctù, d’aspettare nel Fezzan la caravana dlei pellegrini di Barberia, e d’andar seco alla Mecca per la via dell’ Egitto. Ma siccome viveva per istrada solamente coll’ ele- mosine, che riceveva dai buoni musulmani, cangiò risoluzione, quando si avvide della poca generosità dei Tuariki, e della povertà del loro paese. Questi nomadi guerrieri professano at- tualmente quasi tutti l’ islamismo; ma sono in generale poeo divoti, e in cuore, dice il ikgrino , sono sempre infedeli. Decise dunque di tornare sulle rive del Djaliba, e arrivò a ‘ Djenné 10, giorni dopo la sua partenza da Tombuctù. Nella sua opinione Djenné, e Tombuctù fan parte egualmente del Bam- bara , e son presso a poco sotto il medesimo meridiano . Djenné è una città di molto commercio ; i Negri vi sono in maggior numero , che i Mauri; ma gli ultimi hanno tutta I autorità . Da Djenné, dirigendosi all’ E. giunse’ in 30. giorni o poco più a Haussa , gran città situata a 2. giornate di distanza dal Djaliba; fece la prima parte del viaggio in battello sul fiu- me, ed il resto a piedi passando pei regni di Kabi,e di Noufé- Il paese d’Haussa comprende oltre l’ Haussa proprio altri 5. o 6. stati - Era popolato una volta solamente di Haussi; ma oggi i Tauriki ed i Fulahi ne occupano la maggior parte. Vi s’ in- contrano anche molti Mauri. I Fulahi abitano quasi esclusiva- mente in tutto l’ Haussa occidentale , che si chiama perciò so- vente Fulhen. I Fulahi d’ Haussa parlano la medesima lingua, ed hanno i medesimi lineamenti e l’ istesso colore dei Fulahi di Futa-toro . Gli Haussi son neri come i Djolofi, e i Seraculesi . Son poeo abili in coltivar la terra ; e non sanno educar neppure gli armenti . I Fulahi al contrario sono , secondo il nostro pelle- | grino i coltivatori, e i pastori più intelligenti che si conoscano nell’ Africa interna . Il paese dei Fulahi è perfettamente ben col. tivato ; sotto questo rapporto tiene il primo posto dopo l'Egitto; gli animali domestici vi sono in maggior numero ; e più belli che altrove. Non v'è la canna da zucchero, ne la gran varietà di frutti, che s'incontra in Egitto, e nella Siria; ma vi si trovano in abondanza grano, orzo, e due specie di miglio. Vi coltivano in grande canapa e cotone, per impiegar l’ una e 1’ altro nelle fab- briche di tele, e di stoffe , e l’ indaco , col quale le tingono . San- no tingere non solo in turchino, ma in tutti i colori. Le relazioni te) commerciali della città d’ Haussa son meno estese con Tombuctù 346 e con Djenné, che coi paesi più orientali. Il sultano , che vi ri- siede è il più potente tra i sovrani della parte occidentale dell’ Haussa . Raccontarono a Buheker, che un negoziante estero era com- parso ad Haussa poco prima di lui. Quest'uomo, gli dissero; par- lava la lingua, deì Tuariki, ma non era la sua lingua nativa ; dava ad intendere che veniva da un paese musulmano molto lontano al N Benchè povero, e male in arnese , volle conti= nuare il viaggio, e dimandò una guida per condurlo a Bambara . Il re d’ Haussa aveva in principio acconsentito a lasciarlo passar per ì suoi stati; ma vedendo che tutti lo riguardavano come un’ esploratore , cangiò di parere , e mandò una partita d’ uomini a cavallo per arrestarlo. Lo raggiunsero sulle rive dei Djaliba, lo ricondussero a Haussa, e lo posero in ferri. Bubeker non si rammenta se il sultano lo facesse morire , o vendere come schiavo. Questo fatto accadde fra il 1804. e il 1807: Partendo da Haussa Bubeker continuò il suo viaggio verso l’ E. e arrivò dopo un mese a Kasna; la più rignardevole fra tutte le città situate sul Djaliba . Secondo il pellegrino è 15. a zo. volte più grande di S. Luigi del Senegal; è la capitale della parte orientale dell’ Haussa , la quale prende quindi il nome di regno di Rasna-. Vi trovò diversi negozianti di paesi molto lon tani, e fra gli altri var) Turchi di Tripoli . Si riconoscono facil- mente , diceva , dal color bianco del viso , e dalla ricchezza degli abiti. Vi trovò anche molti Tuariki, e molti Fulahi. Gli Haussi antichi abitanti del paese sono in maggior numero nel Kasna , che nel Fulhen. Da Kasna Bubeker si portò a Burnù , che è situata precisa- mente all’ E. di Kasna. Il Djaliba percorre per lungo tutto il regno , di cui è capitale , Gli abitanti indigeni del Burnù sono neri come gli Haussi , e gli somigliano molto nei costumi; ma parlano una lingua di- versa : passano per più astuti, più intelligenti , e più coraggiosi . Il sultano è molto temuto; tiene una cavalleria numerosa , ed agguerrita . 9A Da Burnù Bubeker passò nel Vadae sempre tenendo la di- rezione d’ E. Giunto in quel regno cessò di vedere il Djaliba , che gli restava sulla diritta. Interrogò molti per sapere dove termina quel gran fiume, e tutti gli assicurarono , che comunica col Nilo , Secondo alcuni discende nel Nilo ; secondo altri riceve 347 invece l’ acque del Nilo ; altri senza negare la esistenza di una comunicazione tra i due fiumi sostengono che il Djaliba prolunga il suo corso verso il S. per un gran tratto, e che termina nell’ A- bissinia. Il Vadae è irrigato da parecchi fiumi tributarj del Djaliba . Dopo che ebbe attraversato ‘il Vadae dal S. O. al N. E. Bubeker. si trovò nel Begarmé ; si diresse al solito all’ E. e arrivò ben presto al lago di Kuk , l’acque del quale crescono molto per i tributi d’ un lunghissimo fiume, che vien dal S. - Il sultano di Kuk è sovente in guerra coi re di Vadae , e di Be- garmé . Due mesi dopo la sua partenza da Kasna Bubeker giunse ai monti del Dar-Fur, senza incontrare neppure una gran città da Burnù in poi. Dal Dar-Fur passò all’ E. nel Kordofan , il quale è popolato di soli Arabi . Dopo aver costeggiato per due o 3. giorni la riva sinistra del Nilo, lo passò dirimpetto a Tjandi , città assai riguardevole , donde entrò nel paese di Barbara . Ivi trovò un popolo di colti- vatori, che somigliano i Fulahi per i lineamenti e il colore, e che dipendono da varie tribù d’ Arabi. Da Tjandi giunse in 15. giorni a Suakem sul golfo Arabico. Quindi fece vela per Dgeida, circa 14. mesi dopo la sua partenza da Senopalel. Restò alla Mecca solamente quanto era necessario per adempire alla devo- zione ; fu quindi a Medina , a Gerusalemme, al Cairo, ad Ales- sandria ; dopo andò per mare ad Algeri , ove restò per più anni. Ritornò infine nel Futa-toro per Tremezene, Fez, Miquenez, Marocco , Vadinun, il gran deserto, ed il paese dei Mauri Braknas. Note. L’ itinerario di Bubéker è quasi sempre d’ accordo colle notizie raccolte da Mungo - Park, e da Horneman . Il re- gno di Cagnaga è evidentemente il Kayaga di Mungo- Park; Djarra è la Yara delle carte di Delisle, e l' Jarra di Mungo-Park. I Mauri la chiamano Bagnat come il paese di cui è capitale.Tichit o Tishet, come lo scrivono gl’ Inglesi, è la Tegazza di Cadamosto, e di Leone |’ Africano, che provvedeva di sale Tombut . I Mauri parlano anch’ oggi di Tedjadja, che è situata presso Hoden , e dove fanno un gran commercio di sale . L’ esistenza della città di Haussa non è più una visione . . Mungo-Park la nominò il primo ; ma si credeva che il paese di 348 Haussa avesse una sola capitale, e si attribuiva questo titole solamente a Kasna. L’ Haussa occidentale, o il Fathen è il Fullah delle memorie della società Africana . I Fulahi di Haussa son gli abitanti dell’ Haussa occidentale , dei quali parla Horneman; e i Fulahi di Kasna descritti dall’ ara- bo ben-Aly e da Ibn Hammed di Fezzan son gli abitanti dell’Haus- sa orientale. La situazione del regno di Burnù è un dato importante per la geografia. Tutti i geografi si accordavano seguendo Rennel .a porre il Burnù al N. E. del Djaliba sui confini della Nubia . La sua situazione , quale la dichiarò Bubeker è perfettamente con- forme alle notizie raccolte in proposito da Horneman. Il paese di Vadè è il Vaden d’ Horneman, e l’ Hoden degli Arabi. Il paese ed il lago di Kuk si trova ugualmente nel Kugù d’ Horneman, ed il gran fiume, che vi viene dal S. è probabilmente il Missetad della relazione di Browne . Bubeker conosceva di nome anche il Vangara, e lo collocava al S. del Burnù; assicurava che il Djaliba inonda le sue terre , e che è un paese ricco d° oro . G. R. P. LETTERATURA. Lezioni del sig. AzAtE Coromzo sulle doti di una colta favella con una non più stampata, sullo stile da usarsi oggidì, ed altre operette del medesimo autore. PARMA, per GiuserPE PAGANINO; 1820. uesto libro, per sè piccolissimo (stantechè non arri- va a 200 pagine in 8.°) contiene, oltre alle quattro Lezioni sovr’ annunciate, anche le materie seguenti: RacionamenTo sopra un luogo viziato dell’ Asino d’ oro, di Niccolò Machiavelli ; LeTTERA intorno ai stud} di un giovinetto di buona nascita ; Lerrera intorno alla prima edizione delle stanze di Angelo Poliziano; ELocio di Elena Porta, nata Bulgarini. 349 E chi dalla tenue mole inferir volesse, che que’su- bietti, e massime il primo; fossero trattati superficial- mente, andrebbe errato a partito. Che ‘anzi ( oltre al portar noi opinione, che rare volte il buono si trovi nel molto ) chi conosce la sobrietà dello scrivere, e la drit- tura de’ pensamenti del sig. Ab. Colombo, dovrà trarne un’induzione al tutto diversa . Nel qual giudizio ci siam confermati noi stessi, leggendo, come abbiam fatto con compiacenza grandissima questo suo libretto . Nelle prime quattro lezioni sulle doti di una colta favella, si tratta, 1.° Della chiarezza, 2.° Della forza, 3.° Della grazia, 4. Dello stile; Ai quali requisiti crediam noi ridursi tutto quello, che può render pregevole un’ opera nella parte, direm così, materiale, ma forse non la meno importante, per- chè sia letta dai più . Essendochè, massime ne’ tempi di un certo raffinamento nelle costumanze e negl’inge-- gni, il più, che in somiglianti materie sì guarda e si esige, è appunto la parte esteriore. E non è raro il ve- dere come gl’ istessi scrittori più prossimi al nascimento della nostra favella risplendano singolarmente di quelle vergini prerogative, spogliati delle quali, le loro scrit- ture non si ridurrebbero forse che a leggerissime inezie. ‘Tanto è vero, che gli uomini sogliono esser presi tal- volta più dalle parole, che dalle idee! Ma non si pensi già, the anche in cotesta parte materiale non sia mestieri di gran sentimento e filosofia. Lo stile, così nelle lettere come nelle-arti , denota esat- tamente, a parer nostro, il gusto dell’autore. La scelta 350 e collocazion delle voci, non che l’istessa costruzion del periodo, bastano ad un occhio perspicace, per determi- nare l’indole e l’ordine de'pensamenti di uno scrittore. Le qualiosservazioni facciamo unicamente per quel che concerne lo stile, senza implicarvi ragioni di lingua: nov essendo rarò il caso (e spezialmente in alcuno dei nostri antichi) che un libro non ammetta la minima ec- cezione in fatto d’ idioma, e riesca nondimeno la più fredda e insipida miseria del mondo. Laddove un’opera, illeggiadrita o corroborata da un vago o gagliardo stile, non può mancar mai di piacere. Nel che non è già vero, che abbia alcuna parte il capriccio, come parrebbe po- tersi giudicare a prima vista. E se esamineremo la cosa al fondo, vedremo, trovar gli uomini nello stile, l’ ani- ma e l’ ingegno dello scrittore; dovechè nella correzione della favella non si vede che il dizionario. Che cosa diveuterebbono mai le Novelle di Messer Giovanni, qualora si togliesse loro il prestigio dello stile? E di quanto. maggior luce non brillerebbe la scienza z0va del Vico, se quegli alti concepimenti fossero espressi collo stile del Galileo? Ripeteremo perciò col sig. Ab. Colombo, che la.chiarezza, la forza, ela grazia costitui- scono le doti di una colta favella, senza le quali saran- no ben pochi gli autori, che avranno favore e nominanza oltre la loro generazione, Ma convien pur credere, che elle sieno di malagevole acquisto, se più degli scrittori di grande ed acuto ingegno , rari son quelli di stile, degno da prendersi a modello. Il che ne. par naturale, l’inge- gno suol derivare dalla natura, coltivata dallo studio ; doveche lo stile si forma con lo studio congiunto al sen- timento del bello: la qual ultima prerogativa è diffici- lissima a trovarsi esquisita negli uomini. 951 Ma senza inoltrarsi maggiormente in ricerche me- tafisiche, ecco in qual modo 1’ Ab. Colombo entra a favellare della chiarezza . « L'uomo, dal suo facitor destinato a passare la vita in compagnia degli altri uomini, e fare di essi allà sua debolezza sostegno; ed esser egli reciprocamente sostegno alla loro, ebbe mestieri indispensabilmente di un mezzo, col quale i pensieri, i sentimenti, 1 bisogni di ciascheduno fossero agli altri comunicati , acciocchè la scambievolezza degli uffizi potesse tra loro aver luogo. Questo mezzo sì è la favella. Mirabil cosa è questa, ‘che l’uomo con cinque o sette semplici suoni senza più; e con que’ pochi accidenti che gli accompagnano , abbia e potuto e saputo formarsi un immenso magazzino di voci, colle quali egli mantiene questo maraviglioso com- mercio con gli altri esseri della ‘sua specie. Con essi le impenetrabili concezioni della mente, con esse i reconditi. sensi del, cuore in certa guisa noi trasfon- diamo da noi stessi in altrui, con esse tutte le voglie nostre facciam palesi; con esse gli esseri tutti ‘che l’universo abbraccia indichiamo: a dir breve, cosa non w ha mè in cielo nè in terra, conosciuta da noi, ovvero immaginata ; che non possiamo: ‘con ‘esse ;all’ altrui mente rappresentare . Essendo adunque insti» tuito il linguaggio, acciocchè dovesse l° uomo essere da coloro inteso, co’ quali ei ragiona , ne segue, che la dote primaria della favella sia la chiarezza , siccome requi- sito del tutto essenziale a conseguire-quel fime , ch'egli s è proposto nel favellare. « «Consiste questa chiarezza nell’ esporre in tal modo ad altrui le cose: di cui favelliamo,ch’egli le debba senza veruna pena comprendere, purchè vi badi, ed esse la capacità sua non oltrepassino. Che siccome dove per- 352 cuotono i raggi del sole non lascerebbonò d’ essere ri- schiarati gli oggetti, perchè altri ‘0 distratto o impeditò degli occhi, non gli scorgesse, così non cesserebbe di esser chiaro il' mio dire, quantunque da chi mi ode par- lare udito non fossi, qualora il difetto non da me, ma da lui derivasse. Ora a conseguire una tal chiarezza vuolsi usar sopra tutto precauzione grandissima nella scelta e nell’ uso delle parole » . Nella qual foggia di ragionare ed esporre, ognuno vedrà di per sè, che il Sig. Ab. Colombo ha messo in pratica il primo quel che avvedutanzente consiglia, av- valorando così le dottrine coll’esempio, spesse volte più efficace delle dottrine medesime, comunque giustissime. Nè s’incontran quivi certe o affettate o strane guise di favellare, che a ragion riprovate negl’istessi Classici più insigni, o cadute per se medesime in disuso; si veggo- no, con una dolcezza da non dire, riprodotte in certe scritture d’oggidì, ‘con danno gravissimo dello stile, comunque per avventura non dispregevole, e non senza molte risa. de’ lettori, i quali soglion così vendicarsi della fatica di dover ricorrere ogni tratto al dizionario , a fin di rischiarare or una voce or una frase o vieta 0 intralciata, che paion ficcate dentro dell’ orazione quasi a viva forza, e col solo oggetto di far saper di saperle Le quali voci o frasi, per non corrispondere al resto del discorso, come appariva in quegli antichi, fanno alla mente quel contrasto, che farebbe all’occhio una signora parigina vestita alla moderna; ma coi tacchi alti alle scarpe , 0 col toppè, o con qualche neo sul viso. Trapassa quindi il sig. Ab. Colombo a ragionar della forza del dire; e così incomincia: : « Qualora considero che una messe rigogliosa, una , pianta vegeta, un animale vispo, un uomo sano e robu- i n 53 sto sono oggetti dilettevolissimi a riguardarsi; e ch’essi al contrario anzi disgusto che piacere arrecano tosto che venga meno questo lor vigoroso e prosperevole stato, che altro posso io da ciò conchiudere, se non che gli uomini sono naturalmente presi ed allettati dalle cose, le quali dimostrano vigoria , ed all’ opposto infastiditi da quelle in cui apparisce frivolezza e languore? Egli è manifesto per tanto, che se fosse il dir mostro senza nerbo , ed altro pregio in sè non avesse che quello di cui s' è favellato nella precedente lezione; cioè la chia- rezza; per quanto grade questa si fosse, noi sarem- mo piuttosto con noja che con diletto ascoltati. Ag- giungasi a ciò, che l’uom, di sua natura infingardo, non dispiega quella infinita attività, che vedesi in lui se non quanto da stimoli poderosi è ad operare inci- tato: laonde essendo la favella instituita, affinchè fos- sero manifestati ad altrui siccome ipensamenti, così ancora i bisogni nostri per cagione di procacciare a noi quegli ajuti, senza cui potremmo a mala pena cam- pare, necessaria cosa è il dare al nostro linguaggio quella energia che si richiede a scuotere del suo sonno quest’ essere dormiglioso, se indurlo vogliamo ad eser- citare inverso noi quegli uffizj, de’ quali a noi è me- stieri. Sia dunque che trattisi di esporre i proprj pen- sieri, sia che sollecitare si voglia gli altrui soccorsi, non dee il discorso mancare di robustezza, acciocchè possa essere e gradito a chi ascolta e proficuo a chi parla. | È pertanto la forza » per mio avviso, la seconda delle doti di una colta Eoilla: e però questa forza, dove a Voi, egregj giovani, non dispiaccia, sarà il suggetto della presenie nostra lezione ». . . . . . . . . . . . . » . . . . . è T. III. Agosto 23 354 « Le maniere di favellare entusiastiche e ripiene di esagerazione e di sforzo sono familiarissime , e, direi quasi, naturali a’popoli non ancora inciviliti . È perchè ciò? perchè in un tale stato essendo eglino poco di- sposti a delicate sensazioni, non rivolgono la loro atten- zione se non adoggetti onde gli organi de’sensi rice- vono scosse molto gagliarde; perchè molto povera es- sendo la loro lingua, è ad essì d'uopo ricorrere nell’espor- re i loro concetti a strane forme di dire, da una sre- golata imaginazione lor suggerite; e perchè incolto essendo l’ingegno loro, e non purgato il giudizio, il gusto non affinato, mancar debbono necessariamente di giustezza e di regolarità le loro espressioni. Ma se- condo che una selvaggia nazione va spogliandosi dell’an- tica sua ruvidezza, e nuovi abiti prende, e più polite maniere, va facendo press’a lei sempre nuovi progressi eziandio la favella in cui la rozzezza a poco a poco all’e- leganza dà luogo, e la stravaganza e lo sforzo alla rego- larità ed alla vera energia. Or non sarebbe adunque stoltezza il voler, col pretesto di dare maggior forza al nostro parlare, introdur novellamente in una lin- gua colta e gentile le immagini gigantesche e le espres- sioni iperboliche , ardite e forzate, ch’ essa nel diroz- zarsi lasciate avea come poco dicevoli al nuovo suo sta- to? La vera forza del favellare sta non nelle immagini stravaganti, non nelle ampollose parole, non nelle esa- gerate espressioni, ma nelle naturali e proprie e misu- rate, scelte con ottimo discernimento, e con finezza di giudizio e di gusto adoperate. Dove, per vostra fe, troverete voi maggior forza che in questa divina stanza dell’ Ariosto, nella quale ogni cosa è tuttavia espressa con tanta naturalezza e semplicità ? Ì Qual pargoletta damma, o cavriola Che tra le fronde del natio boschetto Alla madre veduto abbia la gola Stringer dal pardo, e aprirle il fianco e il petto, Di selva in selva dal crudel s° invola, E di paura trema e di sospetto; Ad ogni sterpo, che passando tocca, Essersi crede all’ empia fera in bocca » . Sì fatta maniera di scrivere del sig. Ab. Colombo attesta l’imparzialità della nostra lode, e somministra a un leggitore assennato più materia d’osservazione che far non si potrebbe per noi. È di questo passo va in- nanzi, fiancheggiando sempre il deltanie con esempj, tratti dall’ eterna vena de’ nostri Grandissimi, e facen- done deduzioni molto semplici e insiem filosofiche; tal- mentechè sarebbe malagevole il giudicare se in questa breve scrittura prevalga l’acume del raziocinio, o la na- turalezza ed eleganza de’ modi. Ed è grande il presente da lui fatto ai giovani studiosi d’ oggidì con quest’ ope- retta, una delle rarissime, le quali provveggano al biso- gno sommo che v ha, di mondar le nostre scritture dalle eterogenee mischianze introdotte dagli ultimi tem- pi di burrasca, e tornar le lettere italiane in onore, col ricondurle verso la loro origine, per quella via che il secolo e lo spirito della nuova gente non manca di ad- ditare. E riassumendo la lezione del sig. Ab. Colombo, relativa alla forza del sermone, noteremo come sì fatta proprietà s' incontri più grande negli scrittori, vissuti in tempi, in generale puco privilegiati di lu- mi: attesochè allora essendo scarsa 1’ arte e molta la natura, tutta la vigoria del sentimento si trasfonde Ì 356 da nell’ idea, non rammollita, per così dire, dai vezzi dello stile, che in quelle rozze età è quasi una cosa sola coll’i- dea medesima. Un altro genere di forza vi ha nella scrittura, ed è quella che vien procacciata dall’ arte ; di grandissimo effetto pur essa, perchè accompagnata da ogni mezzo rettorico; ed anzi per avventura più ammi- rata; ma molto men pronta ed evidente. Amendue sì fatte specie di forza sono capaci di grazia. L'una è vergine e fresca; l’ altra è più molle. Perciocchè non è da dubitare, che il genio de’ tempi non eserciti un oc- culto predominio su tutta la parte morale del mondo, e con tal possa, che riesce non di rado ad alterare l’istessa primitiva attitudine degli animi. Vittorio Al- fieri fu uno de rarissimi, che si mantennero in tulto su- periori alla preponderanza del proprio secolo: ondechè diede alla parte materiale delle sue opere quella scabra impronta, che sente di alcuni secoli addietro, meno in- gentiliti,e corrotti.La qual accennata circostanza ,aggiun- ta alle usurpazioni dell’arte (che così in letteratura, come nel viver civile, tanto più lussureggia quanto sono le generali dovizie più estese ), fa nascere nelle opere umane quella mistura di grandioso e di strano, che è sempre nunzia infallibile della decadenza del bello e del buono. Così s’ introduce il sig. Ab. Colombo a parlar della grazia della favella . « Allora che nella passata lezione io detto vi ho, giovani studiosi ed egregj, essere gli. uomini dalla forza del parlare allettati, certo giustamente non ho favellato: perocchè la prerogativa, che ha una colta favella di ade- scare gli animi e dilettevolmente intertenerglì, è riser- bata ad un’altra sua dote più amena e gentile. Voi 357 precorrete col veloce accorgimento vostro il mio dire, e già comprendete essere questa la grazia. La grazia del favellare si è quella, che pender ci fa dalla bocca del dicitore, quella, che dolcemente ci rapisce, che soave- mente c’' incanta. Mia intenzione sarebbe stata di ra- gionarvi oggi della natura sua; ma tanto delicata cosa si è questa, che io temuto ho non mì avvenisse come a chi coglie in delizioso giardino un molle e rugiadoso . fiore, il quale nelle mani di lui perde sua freschezza e sviene. E il ragionarvi di -questo a che poi sarebbe gio- vato? Essa è del numero di quelle cose le quali piutto- sto sono sentite che intese: e io non so bene quanto io mi fossi in caso di dirvi che cosa sia questa grazia , che pur è tanto sentita dovunque sì trovi. E in oltre a qual fine avrei io dovuto far ciò? forse affinchè v inge- gnaste di conseguirla a forza di studio? Ma essa è libe- ral dono della natura; nè per arte si acquista . Dall’ al- tro canto, in trattando delle doti di un colto linguaggio, come avrei potuto io tacermi di questa , che si stretta- mente,che sì necessariamente gli appartiene, e gli è più propria che verun’ altra? In tale perplessità io ho preso il partito di lasciare da canto le sottili ricerche le quali intorno alla grazia della favella farsi potrebbono; e di ve- nirvi invece divisando le principali cose che infeste le sono; acciocchè , tolto via ciò che le nuoce, e divelte, dirò così, d’ intorno a questa spontanea pianta le male erbe, che l’avrebbono soffocata, essa metta liberamente; - che questo è per avventura il solo genere di coltura, che ad essa può convenire » . Abbiam preferito di trar fuora cotesto passo; per- chè il palesar quì la nostra opinione in cosa, nella quale non concordiam pienamente coll’ autore, faccia fede dell’ ingenuità nostra nel resto. Ed è là, dove ei pensa, 358 che la grazia sia wr liberal dono della natura; nè s' acquisti per arte. La qual cosa non crediam noi. Perciocchè la grazia, propriamente parlando (e sovrat- tuto nel caso nostro), è tutta figlia dell’arte: e quella certa grazia che dipende dalla natura, non s' insegna, come appunto nota il sig. Ab. Colombo: e rigorosamente non si può dire un ornamento della natura; ma quasi parte di essa: dovecchè l’altra è figlia dello studio, e più ancora del gusto , i cui germi si sviluppano quasi tutti nel producimento della grazia medesima. La grazia , che, a cagion d’ esempio, s'incontra nella /ita di Ben- venuto Gellini, diremmo appartenere al primo genere: quella del Giorzo del Parini al secondo. Siegue la ÎV lezione che tratta dello stile. E noi non potremmo annoverare i pregi, de’ quali abbonda questo prezioso ragionamento, senza trascriverlo tutto quanto: il che non è conceduto dalle disc: pline, prefisse all’ Antologia. Bensi consiglierem le persone, amauti del bello stile, e singolarmente i giovani, a non trascu- rar la lettura di questo libro , certi che se ne troveran compensati assai largamente, o amino la naturalezza ed eleganza della loquela , o la dirittura e perspicacia de’ concetti, o in fine uno scopo generoso. La qual ultima qualità disvela insieme la geutilezza d’ animo del sig. Colombo. E di questo vi ha un testimone ancor più lu- minoso nell’ Elogio di Elena Porta, che chiude questa varia operetta . Nel qual Elogio la copia del sentimento, invece di portare inciampo all’ ingegno, non fa che nu- trire in esso idee sempre più vive e peregrine , e porlo in condizione di guidar soavemente il cuor del lettore alla pietà, reuduta ancora più grande dalle virtù di quell’ egregia dunna. Peroechè noi sappiamo, ch ella era veramente quale ce la dipinge quel candido ed at- / 359 fettuoso scrittore: degnissima, cioè, dello schietto e lun- go e doloroso compianto del miglior de’ mariti. M. L. RAGGUAGLI SCIENTIFICI Programma, LA SOCIETÀ ITALIANA DELLE SCIENZE AI DOTTI ITALIANI . I progressi delle Scienze utili, che formano uno. dei prin- cipali oggetti della Società l’ hanno determinata a proporre i due temi seguenti sui quali attenderà essa le dissertazioni o memorie che ne offrano la discussione e lo scioglimento esatto. T Sperimentare alcuni de’ migliori e più comodi strumenti idrometrici , esplorando la scala delle velocità e la velocità media in diversi tratti di fiumi o canali di corso equabile , de’ quali si rileverà la sezione il perimetro e la pendenza . Sî vuole che in ciascuna sezione si adoperi più di uno strumento per avere un confronto de’ resultati , e una riprova della bontà di ciascuno strumento, di cui si descriverà accuratamente la forma e il maneggio. I. Poichè troppo è importante al bene della Umanità il Problema Fisico ultimamente proposto al concorso della So- cietà Italiana delle Scienze , e d’ altrende non è stato esso adequatamente sciolto , si propone di nuovo , cercandosi così di deternunare se le idee che dalle moderne scuole mediche st danno della eccitabilità, e dell’ eccitamento , e quelle quindi che si stabiliscono della diatesi sì iperstenica , che ipostenica , degli stimoli e controstimoli, non meno che le idee della irri- tazione e delle potenze irritative sono abbastanza esatte e pre- cise;; e în caso che non lo siang, determinare quali variazioni se ne debbano eseguire. Cercasi inoltre se nell’ esercizio delle warie funzioni e nelle alterazioni loro si debbano considerare altri elementi che l’ eccitamento , e in caso che sì , stabilire quali essi siano, procurando di applicare tutto utilmente alla pratica medica . : ‘Le Memorie dovranno essere inedite , scritte «in lingua Ita- 360 liana, e saranno presentate al sottoscritto Socio e Segretario in Modena entro tutto il mese di luglio dell’ anno 1822. Il nome degli Autori sarà occulto; ogni Memoria porterà in fronte un motto e sarà accompagnata da un biglietto suggellato contras- segnato al di fuori dal medesimo motto, contenente al di dentro in maniera occultissima nome, cognome, patria , domicilio e pro- fessione dell’ Autore. Il mancare a qualunque delle antecedenti condizioni fa perdere il premio, che per il primo argomento sarà una medaglia d’oro del valore di Zecchini settanta, e per il secondo una simile del valore di Zecchini sessanta , e verrà conseguito ciascun d’ essi da quella Memoria che nel rispettivo argomento ne sarà giudicata meritevole secondo il metodo pre- scritto dallo Statuto Sociale. Le dissertazioni coronate saranno pubblicate colle stampe, e gli Autori ne avranno in dono un numero sufficiente. Quelle non premiate si conserveranno oriì- ginali nell’ Archivio dell’ Accademia , potendo però gli Autori . di esse ritirarne a loro spese una copia . Modena a dì 22. Luglio 1821. ANTONIO LOMBARDI SociO E SEGRETARIO. RAGGUAGLI BIBLIOGRAFICI Della necessità d’ una medicina comparativa ee. Prolusione del Dott. Gracono Barzxrrorri P. Professore dell’ I. e R. Università di Pisa cc. Pisa presso Niccolò Capurro 1821. di pag. 36. Se viene talvolta contradetta l’ utilità dell’ arte salutare, sembra che in gran parte ciò dipenda dalle funeste consé- guenze di quello Spirito di sistema che in vari tempi sotto aspetti diversi agitò la pratica medica, e che tenne troppo spesso luogo dell’arte di riguardare a’risultamenti della sperienza, colla scorta delle sane regole della filoso- fia. Opportuna adunque giudichiamo la presente prolusione del chiariss. Profess. Barzellotti in tempi, ne’quali, quan- to in altri mai, questo Spirito di sistema minaccia di se- dur l'animo de’ giovani amico naturalmente di novità. Con 361 lo scopo appunto di preservare dalla minacciata seduzione i giovani alunni a lui affidati per l'insegnamento delle me- diche dottrine, egli si è proposto di mostrare necessaria una medicina comparativa, consistente in un confronto esat- to e rigoroso de’ casi morbosi, paragonandogli e con lo stato di salute, per conoscere quanto e come se ne allon- tanino, e fra loro stessi per vederne le analogie , e disco- prirne l’identità; e più brevemente questa medicina può definirsi il confronto delle storie mediche esattissime, tali quali il gran Baglivi le avrebbe volute. E qui ci sì concede di rammentar con piacere il no- me del chiaris. Professor 'Tantini , il quale nel I. Vol. de’ suoi Opuscoli Scientifici (1) diede conto di questa ne- cessità, pubblicando alcune Osservazioni comparative di medicina pratica, conoscendo ,, che il mezzo migliore di far procedere l’arte salutare quello sia di fare continua- mente degli esperimenti e de’ tentativi mettendo in pratica non solo i rimedi più accreditati, ma ripetendone replica- tamente l’uso, e rinnovandone l’applicazione ora in indi- vidui posti in diverse condizioni fra loro, ora simili nelle loro circostanze ,, . Il Profess. Barzellotti in questa sua‘prolusione accenna sommariamente che nelle sue lezioni dell’ anno scolastico 1820- 1821. si occuperà nel dichiarare estesamente la de- finizione che egli dà alla Medicina comparativa ; nel di- mostrare l’importanza di tutte le sue parti; nel farne ap- plicazione ai diversi sistemi, e alle varie dottrine mediche, analizzando i casi patologici e le storie esatte delle malat- tie, i fenomeni morbosi, le forme esteriori dei mali ; enu- merando le cause più manifeste ai. sensi, dalle quali può sospettarsi che i morbi abbiano avuto origine ed alimento; nell’indagare la sede e l'essenza de’mali medesimi, e nell’ an- noverare finalmente i rimedi naturali e artificiali, e gli ef- fetti per essi operati. (1) Pisa presso Seb. Nistri 1812. 362 Passa quindi rapidamente a dare un idea dei vecchî sistemi, e delle ragioni della loro decadenza e termina la .sua prolusione indirizzandosi ai suoi alunni colle seguenti parole. ,, Laonde voi sentite, ornatissimi giovani, da questa applicazione e da questo confronto comparativo della medicina , che io proponeva a modello per formar siste- mi, come per misura di quelli stabiliti, e dei sistemi più celebri antichi e moderni , che non avvene alcuno solida- mente costruito, cui possiamo affidarci; e che l'ancora sa- cra, e la nostra guida nella pratica è mai sempre quella dell’osservazione e della filosofica esperienza . Grazie. dun- que sieno da noi rendute al genio quasi sovrumano d’Ip- pocrate che c ispirò di buon’ ora venerazione e fiducia per la medicina dell’osservazione e dell’ esperienza , e fidanza più nelle forze della natura per la guarigione dei mali, che ne’ mezzi dell’arte. Grazie ai meriti e autorità in pri- ma di Celso poi di Galeno che questa medicina rimettevano in onore dopo le teorie de dommatici, la pratica nuda de- gli empirici, e i fantastici principi de’ metodici. Grazie .all’accorgimento di Sydenham, che a nuova )vita la medi- cina Ippocratica richiamava, dopo più secoli di tenebre in cui l’ aveano sepolta gli Arabi, ed i loro seguaci fino al risorgimento d’ ogni letteratura. Grazie ai meriti sommi del Baglivi che questa medicina dell’ osservazione e dell’ espe- rienza dai deliri de’ chimici Jiberava; a quelli del Boer- have che la sottraeva dal pieno influsso dei meceanici , e di tutte le loro variate e modificate sette. Grazie in fine. ai Redi, ai Cocchi, ai Borsieri, ed al nostro antecessore Fran- cesco Vaccà Berlinglieri , se in quasi tuttà la semplicità dei tempi Ippocratici si è mantenuta fra noi; e se a questa sola siamo stati, come siamo costantemente affezionati. Per questa nostra devozione e fermezza alla medicina più sem- plice, e per questa alienazione dallo spirito dei sistemi e delle dottrine noi possiamo aggiunger francamente ad essa i frutti di nuove osservazioni ed esperienze, senza che nè pentimenti , nè rimorsi abbiano ad amiareggiare i nostri 363 studi, e la nostra pratica. Siamo stati sempre, e saremo contenti di esser ministri della natura, e perciò ‘obbedienti ad essa, senza pretensione di soprastarle. Quei che lan tentato di poggiar alto per dominarla sono caduti; perchè la luce della verità che emerge solo dallo studio dei fenomeni na- turali o dalla osservazione, se può esser momentaneamente offuscata o ottenebrata dagli errori, conserva nondimeno anco nascosta il suo splendore, il quale tanto più brillante diviene, quanti più ostacoli ha vinto per dissipare le tene- bre e la caligine che la coprivano. ,, \ D. Annotazioni al Dizionario della Lingua Italiana che si stampa in BouLogna . -- MopENA per Gen. Vincenzi E Cour. 1821. Gli amatori del bellissimo nostro idioma troveranno in que- sto lavoro molte importanti osservazioni sulla materia del Vo- cabolario, senza che la critica imparziale oltrepassi giammai ‘e regole del decoro e della urbanità. Fra le diverse emendazioni de’ Classici indicate dall’ Autore , ove gli sono cadute in accon- cio, meritano special riflessione alcuni passi di Dante o spiegati nel senso più ragionevole , o ridotti alla vera lezione col sussi- dio d’ottimi testi; al qual proposito si promettono da lui pel progresso dell’ opera altre rilevanti correzioni, che torneranno ben opportune ad un’ epoca di tanta gloria pel nostro sommo poeta . Si véggono pure con piacere inserite a’rispettivi luoghi le argute e giudiziose annotazioni inedite , scritte dal cel. Ales- sandro Tassoni sopra il Vocabolario della Crusca ; le quali nella direzione attuale degli studj filologici. sono un vero dono alla repubblica letteraria . Di queste annotazioni sono finora esciti in luce due fasci- coli , d’ ottanta pagine l’ uno. La forma è in ottavo, e V im- pressione nitida ed accurata . 364 BoeE iL. LB Ag eLal La Sala dipinta in Londra. Nell’ antico palazzo de’ Re d’ Inghilterra, presso il luobò ove ora si convoca il parlamento , è una sala maestosa e di gotica architettura , la quale ha preso il nome di sala dipinta dalle sue dipinte pareti. E queste pitture erano state per lungo tempo ascose dalle tappezzerie e dalle altre opere di legname o di stucco, che adornavano la sala. Ma nell’ estate dell’ anno 1819 bisognò levar via tutti questi ornamenti a fine di restau- rare l’ edificio: e quindi le pitture essendo riscoperte , hanno mosso gli antiquarii e gli artisti. a considerarle con massima attenzione. Parte di esse veggonsi ben conservate ; e le altre sono quasi al tutto difformi o guaste. Girano intorno le pareti senza interruzione , ma in sette striscie l’una soprapposta all’al- tra; la più bassa delle quali ha due piedi d'altezza, e le su- periori continuamente crescono , finchè la più elevata ossia la settima ha le figure più grandi del naturale. I dipinti argomenti sono bellici fatti, o altre cose notabili prese dalla bibbia , come pure isolate figure di cavalieri, di angeli e di santi. E tra’ diversi quadri è un gran numero d’ iscrizioni in lingua francese antica, usata da’ normanni . Due pitture però superano tutte le altre . La prima rap- presenta i maccabei fatti ammazzare da Antioco ; e la seconda il coronamento di santo Odoardo Re d’ Inghilterra. Le figure di quest’ ultima sono quasi i due terzi della naturale grandez- za; e le udiamo da tutti magnificare , non solo per la vivacità de’ colori e delle dorature , e per la straordinaria pompa com cui son ritratti i vescovi, il monarca ed i baroni, ma eziandio per l’idoneo loro collocamento e per la bella composizione del disegno : il che arreca molta maraviglia , quando si riguardi al tempo di siffatte pitture . Leggesi poi al disopra del quadre la seguente iscrizione in lettere sassoni antiche : Cest le Coronomant Saint Edvvard. Altre pitture pur sono nel piano della soffitta e nelle fi nestre . Queste sono ad angolo acuto , con ricco fogliame nella parte superiore. E ciascuna ha sopra essa dipinto un angelo , che ha le ali aperte , ed una corona in mano. Quindi si ve- 365 dono sotto gli angeli ritratte allegoriche figure , il cui nome è significato da opportune iscrizioni. Come per esempio in una finestra si scorge la Giustizia e la Liberalità, colla corona sul capo , colla corazza e lo scudo , e con veste rossa e benissimo piegata . La quale figura , che rappresenta la liberalità , scote una gran borsa , ed empie di gioie preziose la spalancata bocca d’ un mostro che a’ piè .le giace, simbolo della cupidigia . La soffitta era anticamente divisa in scompartimenti ret- tangolari e di legno ; entro cui vedevansi busti d’ angeli, d’a- postoli , e di santi. Ma non potendo questi esser quivi man- tenuti, sono stati levati dalla soffitta , e si collocheranno in qualche pubblica galleria di quadri : avendo i più de’ busti vivacissimo colore , piacevoli forme , e dolce e divota espres- sione . Oltredichè si trova in queste e nelle altre pitture della sala una particolarità meritevole di esser ben considerata . Gli antiquarii inglesi credono , che siano state esse dipinte con colori ad olio: e dinotano, che le pareti sono in parte di pietra, ed in parte di densa calcina, ma che da per tutto vi è un fondo, su cui le figure furono colorite mediante qual- che cosa oleosa con un poco di minio. Nè alcuno è in ciò di- scorde , benchè non tutti si convengano Sergnano dette pit- ture ad un medesimo tempo. I più vorrebbero riferirle alla metà del secolo XIII, im- perciocchè non s’ ignora che in quel tempo furono dipinte le stanze del regio palazzo . Ma questo fu arso nel 1299 , e fu riedificato da Odoardo I. , che resse l'Inghilterra dal 1273. fino al 1307. Sicchè non potendo negare che per tale incendio ro- vinò forse anche la sala dipinta, s' inducono altri a credere che fosse rifatta dopo il 1299, ma non più tardi che l’anno 1322. Poichè in un libro del 1322, che si conserva manoscritto in Cambrigia , e che è un viaggio di frate Simeone * di frate Ugo ( pittore o miniatore del medesimo Jibro ), così è descritta la mentovata sala : i », Contiguo al chiostro ( Westminster ) è il famosissimo palazzo regio , in cui si trova quella nota sala , che ha le pa- reti dipinte con tutte le guerriere storie di tutta la bibbia in generale , e con francesi iscrizioni . ,, Nondimeno nasce qualche dubbio , se dette pitture per- tengano al XIV, o al XV, o anche al XVI. secolo. Gran parte del palazzo fu illa nell’anno 1512. E non potrebbe 366. essere stata allora guastata anche la sala dipinta ? E dal 1300 fin al 1500, quando il palazzo era moltissimo abitato da' Mo- narchi, non fu fatto alcun cambiamento nella sala ? Questo solo è certo , che l’edificio ed il principale disegno delle pit- ture ebbero origine da’ primi anni del secolo XIV. Nè a que- sta , ed alle altre presupposizioni non nuoce affatto che dette pitture sieno ad olio: stantechè tutti gli uomini, che hanno cognizione della storia e delle belle arti, sono ormai d’ un solo < parere per rispetto a° ritrovamenti di Giovanni von Eyck : il quale non insegnò a mischiare i colori coll’ olio , come già si sapeva; ma indicò la vera maniera di usare questa dipintura, per cui egli è riguardato siccome l’ inventore del buon colorito in tutta l’ Europa . Nel medesimo palazzo , nella cappella regia detta di S. Stefano , furono pur trovate pitture antiche, le quali ogni an- tiquario inglese assegna alla metà del secolo XIV , e le giudica altresì come le precedenti con colori ad olio . ì Ae Bi L'io:C GUB*T.O, Guardando noi ad una dipintura, ci pare a prima vista non vera , non perfetta , o arbitraria, come non sono le cose in natura . Ma se tale non sia il quadro che vederlo c’incresca , seguitando noi di guardarlo a poco a poco , ci adattiamo all’ arte , e partecipiamo nell’ animo del pittore , credendo pure intendere come egli abbia dovuto così e non altrimenti vedere e dipingere i naturali oggetti . Nel che appunto consiste la buona disposizione dell’ occhio. E di questa non può mancare colui, che contem- plando una pittura si senta commosso, attratto e fermato ; purchè nell’ opera dell’ artista non sieno errori di scuola o negligenze ‘. E chi può in tal modo abbandonar la vista nelle dipintare, imparerà facilmente a conoscere i quadri di vario stile e di tempo diverso, distinguendo altresì gli scolari da’ maestri per la maniera con cui hanno espresso i loro disegni . Ma ne conseguirà perciò un retto giudizio ? Dove è la norma e la misura ? Essa ritrovasi nella con- templazione della natura. Gli effetti della luce e de’ colori , la du- rezza e la morbidezza de’ lineamenti , il pieno e il magro delle forme appariscono in essa con infinite varietà, ma non mai arbi- trarie , sicchè non se ne scorga la loro fisica cagione . Onde biso- gua assuefare l’ occhio in modo , che esso vegga ogni scena della matura , come se già fosse in tavole dipinta; conoscendo subito al i 567 primo sguardo la gradazione de’ colori , delle tinte e delle ombre, l’ armoniosa concordanza di tutti gli oggetti insieme , la varietà delle forme , e come appariscano in prospettiva . E queste qualità possiede l’ occhio dell’ artista : ed altri pure le hanno , 0 possono procurarsele , benchè non abbiano genio e facoltà di dipingere . | Ed un tale occhio soltanto può giudicare gli errori degli artisti , e chi di essi meglio adoperi: oltredichè ne riceviamo grande e vivo diletto , mentre si considerano le pitture de’ sommi maestri. > rasta io - diceva il Goethe per rispetto a Venezia - na- Digi nelle lagune , e guardava a’ gondolieri che seduti sull’ orlo della barca e vestiti di vario calar ondeggiavano lievemente e remavano ; allora io vedeva il migliore e più vivo esemplo della scuola veneziana , parendomi quelli come disegnati nell’ aria az- zurra sopra un piano verde e chiaro. Lo splendore del sole rinfor- zava le tinte locali,sicchè abbagliavano: e le ombre erano si chiare, che proporzionalmente sembravano luci.Nè dissimile effetto faceva- no i colori riflessi dall'acqua marina. Ogni cosa era chiara, dipinta in chiaro : talchè per vedervi punti o macchie era necessario il fulgore de’ lampi o Ja spuma delle onde . E questa chiarezza era del tutto nelle opere di Tiziano e di Paolo: che se alcune ora non l’ hanno , o furono guaste , o sono state ridipinte . 1 Bisogna pertanto conoscere ancora certi effetti della natura ; senza la quale cognizione si potrebbe arrecare ingiusto biasimo agli artisti . Infatti il cielo azzurro degl’ Italiani paesi apparisce troppo cupo a noi abitatori del settentrione . Ghi mai non vide levare il sole di sopra al mare , giudica troppo violette le marine ‘di Vernet . Ed all’ incontro qualunque marinaro, che venga a ve- dere la pittura di Vernet del porto di Marsiglia , subito esclama : 3» Mi son mosso invano ; se io restava nel porto vedeva la mede- sina cosa ,, . A. B. AVVISO COMUNICATO. Fra gl’ insigni lavori eseguiti, entro la prima metà del se- colo xVI, dal rinomato dipintore Niccolò Abati negli Stati di Modena sua patria, il signor Cavalier Tiraboschi considera come più celebri di tutte le pitture che quegli eseguì nella Rocca di Scandiano nella quale alcune erano già molto danneggiate dal tempo ; ,, ma tuttavia illesi vedevansi in un Gals , divisi 3, in dodici Quadri a fresco, gli argomenti de’ x. libri dell’E- ») Neide; le quali ultime pitture insieme con più altri vaghissimi » fregi, affinchè più gelosamente si conservassero , sono state 368 » per ordine del Duca Francesco IM. di gloriosa memoria stace s, cate dal muro, trasportate a Modena , e incastrate nella gran » Sala di questo Ducal palazzo . ,, Il signor Antonio Gajani di Bologna, già professore prima- rio d’ Incisione nell’ Accademia delle Belle Arti di Modena, a- vendo avuta occasione di esaminare tali pitture trasportate, come sopra, a Modena, rimase colpito dall’ eccellenza loro, e si de- terminò d’inciderne e pubblicarne i disegni, facendoli a tal fine eseguire, e ridurre dal valente Signor Giuseppe Guizzardi Bo- lognese . Essi sono in tutto N. 32. , tredici dei quali in gran fol. e 19. in più piccola, forma. Ma frattanto che l’egregio suddetto signor Antonio Gajani stava incidendo i prelodati disegni ed avea già completa l’ inci. sione di 20 dei medesimi , egli è stato in età giovanile ancora sventuratamente rapito da morte . Per tale crudo accidente l’o- pera sarebbe rimasta imperfetta , se il padre del defunto signor Gajani non si fosse deciso di far condurre a compimento il lavoro dall’ eccellente signor Tomba . Per dare un conveniente accompagnamento alla pubblicazio- ne di tali stampe, il sig. Cav. Venturi Membro del Cesareo Regio Instituto di Scienze e d’Arti in Milano, e Socio di più altre Acca- demie , si è impegnato d'’ illustrare l’ edizione con una sua Memo- ria , in cui conteransi 1. la Vita dell’ Abati, e la notizia delle varie sue opere, 2. l'indicazione delle molte Collezioni di Tavole dell’ Eneide dipinte , od incise dai tempi antichi sino a noi, 3. la nota delle pitture eseguite come sopra dall’ Abati sulle tracce di Virgilio , ed incise dal signor Gajani e suo successore nel lavoro. La suddetta opera sarà stampata in foglio reale aperto carta velina fina : li caratteri saranno nuovi e precisamente delli si- gnori fratelli Amoretti di Parma . La distribuzione se ne farà dalli signori Geminiano Vincenzi e compagno stampatori e li- brai in Modena, al prezzo di sei scudi d’ Italia la copia completa. La suddetta opera sarà divisa in quattro fascicoli , dei quali ogni due mesi ne sertirà uno.Il primo fascicolo sortirà alla fine del prossimo luglio e porterà il frontispizio e ritratto di Niccolò Abati, il primo foglio della Memoria , quattro rami grandi corri- spondenti a quattro Canti di Virgilio, e tre piccole battaglie pure in un sol foglio grande ; il rimanente dell’ opera escirà ripartita- mente: e nell’ultimo fascicolo si darà la spiegazione dei suddetti Canti di Virgilio . Modena 30. Luglio 1821. Titveo Pose nese È aa 2 Fed iz de Virreo Al . Mocerzito STINO R sè, 1olireo 2? green vendo a sopra, i terminò. eseguire lognese fol. e 1 Me stava ir sione d sventuri pera sal Gajani dall’ eci Pe ne di ta Institut demie , ria, in sue op dell’ Ei nota de Virgilic La velina” gnori f dalli si brai in L: ogni d del prc Abati, spondi in un s mente Canti | ] “ pira) rliinzinea Pte TRA " a 20%, EIA SIE RTLA . 369 ANTOLOGIA N. IX. Settembre 1821. SCIENZE MATTEMATICHE ‘Delle operazioni trigonometriche eseguite l’anno 1816 nella'costu occdentale della Toscana . Lettera apo- logetica di Giovanni Incnirami delle scuole pie al sig. Barone: pi ZAcH. Letta nell’ I: e R. Accademia La- bronica di Livorno il di 9g agosto 1821. I, breve ma risoluto ragionamento che il sig. Cav. Puissant inserì sino dallo scorso anno 1820 nella cono- scenza dei tempi pel 1322, e sparsamente ripetè in più luoghi della nuova edizione della sua Topografia, re- lativo alla vera distanza fra il centro del Fanale di Por- toferrajo e quello dell’ opposta torre di Populonia, ha ‘eccitata la giusta curiosità di non pochi; ed Ella chia- rissimo e nobilissimo sig: Barone, non è il solo che mi abbia più volte ricercato del mio sentimento a questo riguardo. Molte ‘sono le dotte e ragguardevoli persone bramose d’intender da me fino a qual punto io con- venga di ciò che quell’ industre Francese mostra non ‘approvare appieno nella mia triangolazione sull’ Elba; ‘e spesso mi si domanda se dopo quanto egli produce in ‘appoggio della verità e legittimità del suo resultato, io mi creda tuttora in grado di sostenere in opposto la TALI. Settembre 24 | 370 bontà del mio, che come troppo è ben noto ne sarebbe ventitrè tese in circa maggiore. È tempo ormai che soddisfaccia a così ragionevoli richieste, e rompa un ri- tardo forse anche troppo inoltrato, per colpa non più che dei molti personali miei impegni e delle numerose e faticose indagini che ho dovute istituire, onde meglio mettermi in chiaro del vero stato delle cose. Appena infatti mi giunse il divisato ragiona- mento e potei vedere ed esaminarei nuovi ed inattesi ar- gomenti coi quali dal sig. Puissant era contro di me so- stenuta la propria sua causa, che credendo di tutta pie- na fede disperata e perduta affatto la mia, gettato un velo su quelle molte ragioni che potevano persuadermi in contrario, non ad altro pensai che a dar nuova mano a tutta quella parte d’ operazioni le quali da Volterra e dalla stazione sul Poggio alle Croci mi conducevano fino all’ Eiba, con ferma Codbaione di evitare a pieno potere e per quanto le località me lo avessero voluto concedere, tutti quegli inconvenienti ai quali il sig. Puissant attribuiva l’ origine. del mio errore, e che a vero dire io medesimo aveva rilevati ed accusati molto prima di lui. (Base Trigon. pag. 16 17 18 19 20 21.) Ed era precisa intenzione mia di dedicarmi a que- sto travaglio non più tardi che alla metà dello scorso aprile, al ritorno da una breve gita che per natura delle altre mie ingerenze ero obbligato di fare nelle parti più meridionali della provincia Senese e per lo stato dei Presidj. Ma l’inclemenza dei tempi avendomi assai lungamente colà trattenuto, fu solo al principio del Giu- gno che mi ritrovai in qualche libertà di dare esecu- zione all’ ideato progetto. Quest’ epoca era allora per vero dire assai tarda; pericoloso essendo in una stagione tanto inoltrata lo scendere e il trattenersi all’ aperto in | 371 quelle malsane contrade, d’onde erano già emigrati in parte gli stessi naturali abitatori. Per sorte i trian- goli contro cui erano più direttamente rivolte le obie- zioni del sig. Puissant non si estendevano a rigore che fino al forte di Cecina, e quindi doveva anche ba- starmi di giungere a rettificare le mie operazioni alme- no fino a quel punto. Ma neppure potei condurmi fin là: poichè appena giunto al castello della Sassa venni all’ improvviso assalito da violenta e minacciosa febbre che mi costrinse a posarmi , e sottometterihi in tutto ai rigidi ed imperiosi divieti dei Professori. Rammenterò sempre con gratitudine le cure che in quella circostan- za ebbero verso di me i sigg. Martino e fratelli Fun tacci ospiti miei, mediante le quali assai presto il peri- colo si allontanò ed ottenni una pronta ed inattesa gua» rigione. Ma frattanto il tempo e la circostanza passò di poter più avanti procedere in quel rischioso viaggio; e ‘dovei contentarmi di una sola stazione fatta dal mio compagno ed aggiunto sig. Del MNacca nella cima del così detto Poggio al Pruno presso al sunnominato ca- stello, in distanza di circa 14 miglia da Volterra, e 10 dalla stazione del Poggio alle Croci . Per buona e somma ventura era quel luogo attis- simo quanto mai al quasi total compimento delle ve- dute mie; poichè tutti quanti in ottimo prospetto, e opportunissime situazioni si presentavano di colassù sotto l’ occhio i punti che servito mi avevano nella pas- sata triangolazione, cioè il fanale di Portoferrazo , le torri di Populonia, di Castagneto, di Bibbona, di Ce- cina, di Castiglioncello, e di Volterra, il segnale del Poggio alle Croci e la sommità della Gorgona . Le os- servazioni di questi punti combinate con quelle già fatte da altre stazioni nel 1816 non solamente mi apri- 372 vano un facile e vasto campo di determinare e verifica re ad uno ad uno i principali risultati della mia passata triangolazione, ma mi guidavano inoltre a stabilire per molte diverse vie la distanza da Portoferrajo a Popu- lonia, le quali se conforme io sperava mi avesser tutte condotto ad un resultato concorde , potevano visibil- mente tenermi luogo d’ ogni ulteriore e più diretta ve- rificazione. E come tutto ciò principalmente dipendeva dall’ esatta e precisa determinazione del luogo della mia stazione novella, procurai di venirne subito a capo, por- tandomi, ristabilito che fui, prima alla stazione del Pog- gio alle Croci poscia alla torre di Yolterra, punti di nota distanza fra loro, e già osservati dal Poggio al Pru- no. Il triangolo principale che così venne a formarsi risultò tanto perfetto, che il terzo angolo eccedè di soli sette decimi di secondo il supplemento degli altri due; bontà maravigliosa , ma che bene spesso riscontro nei muei triangoli, ogni qual volta mi sì porge occasione di completargli . E qui mi giova intanto avvertire, che nel trovarmi al suddetto Poggio alle Croci volli osservar di bel nuovo il maggior numero di punti che potei, fra quelli che avevo di là osservati nel 1816, e che servirono alla con- troversa triangolazione di quell’anno; e queste nuove osservazioni combinarono quanto può mai dirsi esatta- mente con le antiche, siccome Ella potrà vedere con- frontando il prospetto di quelle che le compiego con le altre già pubblicate nel 1818. Non troverà fra le nuove quella dello Zerobito nè quella di Populonia, punti che mi rimasero sempre involti nella caligine , mon ostante che per attendere un qualche momento da di- scuoprirgli io mi trattenessi due lunghi giorni in quella penosa stazione. Sembra frattanto che da questa costan- \ 373 te e mirabile coincidenza fra le antiche e nuove osser- vazioni in tutta quella parte che ho potuto ripeterle, sia in qualche guisa lecito di concludere che un’ egual conformità si sarebbe trovata ancora nelle non ripetute, e che poco o‘miente io'‘abbia perduto col non aver di nuovo percorse ad una ad una'tutte le primitive stazio- ni. Aggiunga che trovandosi nell'inverno ultimamente decorso in quelle parti il Geometra Ispettore del. ca- tasto sig. Luigi Campani, munito di un eccellente mo- derno Teodolito di Zroughton, ed essendosi impegnato di verificare ovunque poteva i miei angoli, sì trovò quasi sempre in pienissimo accordo con me; ma:specialmente nell’angolo‘a Populonia fra Portoferrajo e lo Zenobito, unò dei-più interessanti in questa triangolazione, e nel quale dopo dieci iripetizioni questo destro e diligente ingegnere non difierì da me .che di sei soli decimi di secondo. | | Dal prospetto dei triangoli che.le annetto Ella ve- drà cou qual’ ordine abbia stabilite le recenti catene che in numero di nove da Zolterra, dalle Croci, e dal Poggio al /runo mi conducono a Portoferrajo e a Po- pulonia. Esse han tutte quante .per primo e comune anello il bel triangolo principale /olterra-Pruno-Croci, da cui però due sole si.diramano immediatamente, men- tre le altre non si staccano fra di loro che in alcuno dei triangoli successivi, e precisamente al punto ove ha luogo l'introduzione di qualche osservazione non co- mune alle ‘altre catene, circostanza in cui fo principal- mente consistere la loro respettiva diversità. Del resto dal momento del distacco fino al loro compimento to- tale ciascuna di esse procede. sempre appoggiata a se medesima e sui proprj lati, avendo in tal guisa una sus- sistenza tutta sua propria, e quale avrebbe se le altre 374. non sussistessero . Ho creduto così di dar maggior natu- ralezza è quindi maggior forza e validità ai risultati fi» nali. Ho poi avuta cura di non promiscuare in nulla i lati delle antiche con quelli delle nuove: catene, onde non puocessero a queste i sospetti, mossi contro di quel- le. 1l lato che in ciascun triangolo è specificato colla lettera B è quello che ha servito di base al calcolo de- gli altri due, e il numero appresso cita il triangolo da cui la base.è dedotta. Quanto agli angoli che'non pro- vengono immediatamente dalle osservazioni siccome. è assai facil cosa concludergli combinando a proposito le osservazioni nuovamente fitte e le già ‘pubblicate, così | per maggior brevità e minor ammasso di ‘citazioni mi astengo dal farne a parte un prospetto Del resto'è ben viene perfettamente ai Nubas australi, che sono di color di rame. È verisimile che gli abitanti delle terre sterili della Nubia e del Batn-el-Hadjar invidiassero i tesori dell’ Egitto, 432 i e che ecitassero frequentemente la collera dei re di Tebe, colle escursioni che facevano nelle provincie Egiziane. Il gran tempio d’° Ybsambul . E? il più vasto sotter- raneo di tutta la Nubia, e il più bel monumento di tatto l'Egitto dopo i! sepolero di Beban-el-Moluk; è tutto ta- gliato dentro una rupe. Vi conduce un atriolungo 59 piedi e largo 52, il quale è guarnito di due file di pilastri qua- dri. Tutti i pilastri sono ornati di statue di donne tanito alte che toccano il soffitto colla punta del berretto. Somi- gliano le figure di Medinet - Abù; sono scolpite maestre- volmente, e poco danneggiate dal tempo. I geroglifici che cuoprono i pilastri e le pareti son tutti belli, e d'uno stile più puro o almeno più ardito che i geroglifici comuni , tanto per il lato del lavoro, che per la scelta dei soggetti: La facciata del tempio è larga-117 piedi, e alta 86 piedi 6 polliei. Vi corrono 66 piedi e 6 pollici tra la cima della porta e la cima della cornice; e la porta è alta 20 piedi. Quattro statue colossali siedono ai due lati della porta (1) e sulla porta domina maestosa la statua d’ Osiride , che è alta 20 piedi. Due figure simboliche gli stanno a lato, e lo guardano. La cornice che orna la cima del tempio è ricca di geroglifici ; le scimmie che vi posano sopra son larghe 6 piedi nelle spalle. La prima sala del tempio è larga 37 piedi, e lunga 25 piedi e 6 pollici, e decorata di 8 grandi pilastri, che posano sopra 8 piedistalli. Gli scultori han tagliata nella pietra d’ogni pilastro una statua colossale di 22 piedi. Le statue tengono le mani incrociate sul petto, e tra le mani un pastorale e un flagello; portano in testa un berretto; son nude sino ai fianchi, donde una veste assai stretta discende presso a poco fino al ginocchio. Son tutte intonacate di stucco, e dipinte inricchi e vivi colori; mostrano il sorriso sulle labbra , e spiegano una fisonomia dolce e pia- cevole come il Giove mansueto de’ Romani. Il soffitto è in colori azzurro e rosso, e termina con una bella cornice, sulla (1) /Ved. il n. 6. pag.72. in fine per le dimensioni delle statue. 4 ur apra i 4533 quale sono sparse varie ali spiegate. Le pareti son coperte di bei geroglifici e di pitture perfettamente lavorate, le quali rappresentano le imprese più luminose dell’eroe. In una pa- rete l’eroe è ornato di braccialetti, di smanigli, e di vezzi; ha un casco in testa ; la veste gli discende dal braccio sino al ginocchio; si mostra sul carro di guerra in atto di scoc- car una freccia. La faretra che è dipinta in azzurro giallo e rosso è sospesa al carro. I suoi cavalli dalla lunga coda van superbi delle ricche gualdrappe, e dei pennacchi onde sono adorni. Un genio si libra sull’ali sopra la testa dell’e- roe. Tre guerrieri minori lo seguono in altri 3 carri, por- tando arco, freccie, e scudi di pelle di leopardo . Danno l’assalto ad un forte che si rende al primo attacco . Il piano superiore del forte offre alla vista feriti che cadono, sacer- doti che dirigono incensi e voti agli Dei, donne che implo- rano la pietà degli assalitori; nel piano inferiore gli nni fra i giovani implorano perdono; gli altri si tolgono le frec- cie dalla fronte o dagli occhi ; i vecchi esprimono tutti i segni della disperazione e stendono le mani. Sotto le mura del forte un contadino col terrore negli occhi fugge; cin- que bovi gli si precipitano addosso, e destano lo spavento nella moltitudine. In un’altra parete l'eroe immerge la lan- cia nel seno d’un prigioniero distinto, ne calpesta altri coi piedi, o gli tiene peri capelli. Un mulatto urta un gruppo di 12 prigionieri, / dei quali son bruni, 4 neri, e 4 bian- chi. Altrove 1’ eroe vincitore offre un sacrifizio a un Dio nero, e onora toll’'incenso l’imagine d’Iside. Altrove è rap- presentata una festa di gioja pubblica, una corsa di carri, una processione; altrove un combattimento di 14 carri, v) per parte; gli uomini ed i cavalli cadono a terra ; gli uni son feriti nella testa, gli altri nel petto ; tutti mostrano le angoscie dell'agonìia. L'ultimo quadro è l’apoteosi dell’ eroe, ehe viene accolto tra gli Dei da Osiride, da-Iside, e da Sothis. Tutte Je pitture della gran sala son perfette per la distribuzione dei colori, per 1’ espressione e le proporzioni; si vede che i pittori ignoravano } arte della prospettiva e 434 l’arte: d’ aggruppar le figure; ma le statue farebbero onare anche a Prassitele. I sacrifizj in onore d’Osiride, d’ Iside, e d’Oro son rappresentati ugualmente sui pilastri. La gran sala conduce in un altra sala men lunga, e larga 37 piedi, e quindi al santuario, donde un’altra porta guida a diverse sale più piccole, lunghe 7 piedi e larghe 8. Il santuario è largo 12 piedi e lungo 23, termina con quattro statue co- lossali. Sulla dritta della gran sala vi son due porte, che conducono a due altre grandi sale; una è lunga 38 piedi, e 10 pollici, e larga 11. piedi e 5 pollici; l’altra è luuga 48 piedi e 7 pollici , e. larga 13 piedi. Nella prima i ge- roglifici non son terminati, e in qualche punto appena ab- bozzati . Due ‘altre porte situate in fondo alla gran sala guidano a due altre grandi sale, che son lunghe 22 piedi e 6 pollici, e larghe 10 piedi, e mandano per mezzo di due altre porte in due altre sale lunghe 43 piedi e larghe 10 piedi e 11 pollici. Prima piramide . Il pozzo della prima piramide eser- citava da lungo tempo la sagacità degli antiquarj; si voleva indovinarne lo scopo, e niuno osava di visitarlo. Il capitano Cavriglia vi discese nel 1817 e dileguò infine il mistero, ve- rificando che il pozzo è un passaggio aperto per discendere in una galleria inferiore. Questo passaggio descrive una linea di 257 piedi A 50 piedi dal primo ingresso vi s'incontra una piccola sala sotterranea, che è lunga 17 piedi, e alta 4, e a 7 piedi più sotto una spianata, donde il pozzo continua a di- scendere ancora per 200 piedi. Cavriglia giunse fino al fon- do, ove non trovò altro che terra e sabbie ; ma siccome il suolo gli risuonava sordamente sotto i piedi, ne concluse che il pozzo comunicava con uno scavo anche più profondo. Im- piegò gli Arabi che lo accompagnavano per isgombrar le sab- bie; ma l’aria diveniva irrespirabile, e i lumi non ardevano più. Bisognò rinunziare a ulteriori tentativi per quel lato. Lasciarono nel pozzo canapi e panieri. Qualche tempo dopo Cavriglia fece allargare il primo ingresso della piramide ; trovò che discendeva ; vi penetrò dentro, lo percorse, e rien» 435 trò nel pozzo, ove ritrovò i eanapi ed i panieri. Continuando gli scavi trovò in fine, che quel passaggio sotterraneo termi- nava in una camera tagliata nella rupe sotto al centro della piramide . Seconda piramide . I sacerdoti d’ Egitto assiéurarono ad Erodoto che non v'era nessun sepolcro nella seconda pi- ramide. A che dunque serviva ? Belzoni ha provato che i sacerdoti mentirono , scuoprendovi il sepolcro d’ un gran re. La seconda piramide è alta dalla base alla punta 568 piedi , che equivalgono a 456 piedi perpendicolari. La sua base ha 684 piedi di circonferenza. Vi si entra per mezzo d’ un cor- ridore alto 4 piedi, largo 3 piedi e 6 pollici , e lungo 104 , piedi e 5 pollici ; è tutto di granito; discende verso il cen- tro. della piramide; termina in un secondo corridore , il quale è lungo :22 piedi. e 7 pollici ; donde si giunge ad un pozzo. di» 15. :piedi di fondo . Quindi si diramano due altri corridovi tagliati nella rupe . Il corridore destro per- corre risalendo unaclinea di 30 piedi; l’altro conduce te- nendo una direzione orizzontale al centro della piramide. La sala centrale è. alta 23 piedi, e 6 pollici, lunga 46 piedi e 3 pollici, larga 16 piedi 3 pollici; è tagliata inte- ramente nella rupe da terra sino alla cima della volta , e somiglia per la sua figura alle pareti esteriori della pira- mide . Il sarcofago è lungo 8 piedi, largo 3 piedi e 6 pol- lici; è tutto di granito. Non vi son geroglifici, come noù ve ne sono nella prima piramide: lo che porta a conclu- dere, che gli Egiziani costruirono le grandi piramidi in un tempo; in cui mon conoscevano per anche l'uso de’ gerogli- fici. Del resto par dimostrato, che la seconda piramide, la sfinge, ed .il gran tempio vicino son 3 monumenti contempo» ranei . In effetto ;dopo gli scavi eseguiti da Belzoni è pro- vato che la seconda piramide comunicava col. gran tempio per mezzo d’una strada tutta lastricata, e lunga 50 piedi. Il gran tempio è congiunto col portico. Le pareti esterne del tempio son costruite di pietre enormi, fino di 24 piedi; mell’interno, è tutto di pietra di calce. La grande sfinge ha T. III. Settembre pè 435 fra le due zampe un piccolo tempio . Lo scuoprì il capitano Cavriglia. Al suo ingresso v'è un leone, il quale par che voglia impedire ai profani d’entrarvi, V'è pure. sul petto della grande sfinge una gran tavola di granito ornata di ge- roglifici e d' altre figure di scultura , fra le quali due sfingi più piccole. Un poco più lungi e dirimpetto alla sfinge una scala di 32 scalini conduce discendendo a ‘un’ altare greco . Dalla base del pi iccolo tempio fino alla cima della testa della grande sfinge vi corrono 65 piedi. Le sue zampe son lunghe 55 piedi dal petto fino alla punta degli artigli, che son alti 8 piedi. Piramidi di mattoni. Sono nella valle di Fejum.La prima è alta più di 70 piedi, ma è sepolta per più di 10 tra le sabbie; a 10 piedi dalla base ha 80 piedi di circonferenza . I mattoni ond’ è costruita son lunghi 12, 14, 16 pollici, e lar- ghi da 5a 6. La seconda è grande come:la prima. È con- tornata di piccoli sepolcri. Vi si vedono gli avanzi d'un tem- pio magnifico. Le sue colonne di granito son le più grandi che' s' incontrino nella valle del Nilo. Tempio di Cassar - el- Harun . È. situato a 3 miglia dal lago Meris, nel centro delle rovine d’un’antica città, che aveva un imiglio di circonferenza. È poco diverso per l'architettura dagli altri templi egiziani: Nonvi son gero- glifici, nè lavori di scultura, se si eccettuano gli Dei. rap- presentati sul muro della sala superiore, frai quali si rav- visano Osiride, e Giove Ammone. Due pilastri ornano i due lati della porta, e due le pareti. La città: di Bacco. È situata sulle colline in vicinanza del lago Meris. Vi restano tuttora alcune case di mattoni, tutte isolate e costruite senz ordine. V'è una sola strada lastricata di grandi pietre che conduce al tempio. Nel cen- tro della città le case sono scavate dentro terra, e otcupano un'area di 10 a 12 piedi quadri. Fra le case collocate so- pra terra qualcune sono a 2- piani, e somigliano a tante ‘torri. Il tempio era grande ‘e costruito di pietre lunghe 6 a g piedi. Tutta Ja città conteneva al più 500 case, e le case 437 più grandi non oltrepassavano i 4o piedi di circonferenza . Il tempio ne ha 150; le mura son alte 30, e grosse 8 . I Greci davano alla città il nome di Dionysiass cHoAsDi la chiamano tuttora Denay. La vasta pianura dei tumuli nella piccola Oasi. Trae il nome dai tumuli ond’ è ripiena ; son parallelogrammi lunghi da 20 a 30 piedi e son formati d'ossa ammontate, e coperte di terra. Ve n'è una trentina; qualcuni son tanto grandi da racchiuder l’ossa di 100 uomini . Gli Arabi dissero a Belzoni, chea qualche distanza ven'era un numero anche più grande. Forse vi collocarono l’ossa dei Persiani, che mandò Cambise dopo la conquista dell’ Egitto nel deserto della Libia, per soggiogar gli Ammoniti. L' istoria narra che vi perirono tutti , Le rovine di Berenice sul mar Rosso. Tutti gli an- tichi ponevano Berenice sotto il tropico; Sant’ Epifanio la collocava alla latitudine d'Elefantina e di Talmis. Hl periplo del mare Evitreo conta 1800 stadi fra Myos-Hormos, che è oggi probabilmente la vecchia Kosseir, e Berenice. Gos- selin porta Berenice a Minet-Bellad-el-habbesch, o al porto degli. Abissinj; ma si sa, che a quel porto non v'è ombra di rovine antiche. Il periplo d’ Artemidoro e di Strabone che ha servito di guida a d’Anville la pone a 10,0 12 mi- glia sotto il capo Zepte ertrema, e la città antica che scuoprì Belzoni è poco più vicina a quel capo, che porta oggi il nome d’el-Galahen , giacchè partendo dal capo la mattina alle ore 8 impiegò 5 ore per giungervi, descrivendo un arco. D’ altronde Belzoni nel giorno pen la scoperta continuò il viaggio sulla costa anche al di la del puntgni in cui d'Anville ha posta Berenice, e si assicurò che non v'era nient'altro che una vasta pianura, e neppur l’orma di ro- vine. Donde concluse con fondamento che le rovine sce- perte son realmente gli avanzi di Berenice. Si riconosce a prima vista tra le rovine la direzione ‘delle antiche strade , e il posto che vi occupavano le case. Nel centra v' è un piccolo tempio Egiziano. Jl muro che lo cinge è ornato 458 | di belle sculture in basso rilievo; vi si distinguono 3 figu- re alte 2 piedi e 3 pollici; nel resto è ripieno di gerogli- fici, e d'altri emblemi nazionali. Le case erano costruite, di pietrificazioni tratte dalla costa; vi si ravvisano coralli, madriperle, e canne di mare; il tempio solo è costruito di pietra di calce. La città è aperta sul mare;il capo d'el- Galahen si prolunga quasi fino alle case, e gli procura un porto superbo, in cui i bastimenti sono al sicuro dai venti dell’ Arabia e dell’ Egitto interno. A dispetto delle sabbie, che ne ingombrano oggi l’iugresso, basterebbe anche nel suo stato attuale per i piccoli bastimenti. La città era lar> ga 1600 piedi elunga 2000 ; quindi la sua circonferenza era presso a poco di 7000 piedi. Il tempio è lungo 200 piedi, e largo 43. Vi son 4 sale; 2in fila e 2 laterali. Le case più grandî eran larghe 4o piedi, e luoghe 20.Supponendole tnt- te uguali, e ammettendo che occupassero solamente la metà del suo recinto, poteva avere 2000 case, e 10,000 abitanti. Con questa popolazione sarebbe anch’ oggi una città di com- mercio di qualche importanza. G. R. P. ( sarà continuato ) LET TI BURTAST AU RIA x Del fine, e del soggetto della Tragedia in generale; e della RiccrAarDa in particolare: tragedia di Uco FoscoLo. Meo mi ha sempre la maraviglia il vedere siccome fralle molte greche tragedie , le rimase, che pur poche non sono, abbiano penetrato fra mezzo al volger de’secoli e delle nazioni, conservando sempre la natia celebrità; e siccome poi niun tragico poeta, venuto dopo, a quella celebrità medesima sia pervenuto, comecchè possa dirsi 439 numerosa d’ assai la nobile schiera de’ tragedianti non greci. Lasciate stare le nazioni che furono, e fralle presenti della italica nostra parlando, certa cosa è per una parte a questo genere di poesia avere inteso i più pronti d’ingegno, ed i più larghi di sapere; e dall’altra parte alcune delle tragedie loro vanno sparse a buon dato di tali bellezze, che ne pareano gli autori vera- mente nati per dare alla nazione nostra quella gloria , che da’ suoi ricevette la Grecia. Mentre i greci però in una stessa foggia composero i drammi loro, alcuni de’ nostri han tenuto in tanta venerazion que’ maestri , che temettero d’ errare se il piede non poneano appun- tino sulle orme loro manifestate da Aristotile; altri al contrario da qualunque greco freno aborrendo niun altra legge han creduto dover seguitare fuori di quella, che il proprio ingegno suggeriva loro più atta a susci- tare soavi o gagliarde agitazioni di cuore. Ma come di- scuoprìi la Merope del Maffei la cagione , onde i tragici dei primo genere lievemente sentendo ed assai greciz- zando solleticavano il sonno, così fa conoscere di pre- sente quei del secondo, per soverchia ritrosia alle regole dell’arte ed alla semplicità delle belle sue forme, o aver dato fogge alla natura degli uomini non proprie di lei , \od avere accomodato il dramma alla dolcezza solamente della delicata affezione che unisce i due sessi. Un . terzo genere agl’ indicati si aggiugne; ed è di coloro ehe ban giudicato doversi porre tramezzo alla freddezza dei primi, ed alla morbidezza e gagliardia de’ secondi ; e non pertanto hann’ ottenuto meno di loro il suttragio degl’ intelligenti. Mostrano però tutti questi valorosi di aver posto la maggior cura per ben ordinare lor drammi, e meglio ancora di quello credessero aver fatto chi via via lì precedette; e non ostante non aggiunsero i greci . 449 Della qual cosa volendo io investigar la cagione, e dato» mi a disamivare le greche tragedie, con lo ajuto di Aristotile parvemi esser molte le cagioni, ma una la priucipale della distanza non mezzana, che passa fra i greci e gl’italiani poemi de’ quali è proposito . ln espor- re la quale non intendo già di alzarmi in giudice di niuna cosa che da altri sia stata detta, intorno al sog- getto medesimo che per me si imprende a trattare , mia sì di concorrere con esso loro al giudicio altrui , se tanto meriti la mia scrittura che indegna del tutto non si reputi di esser letta . i Or questa principale cagione io riponea nell’ aver creduto i nostri poeti di non. dovere scrupolosamente badare al fine, onde aveva insegnato Aristotile mirar la tragedia; ed anche forse nell’ aver giudicato di dover andar dietro alla sposizione, che data ne hanno perso- paggi per do'trina e per opere celebratissimi, contenti solamente di ubbidir Joro. Ma se per vero dovesse te- nersi che: il fine di questi poemi, conforme insegnano alcuni, consista nello eccitare la misericordia el timo- re, o nel correggere queste perturbazioni, come vuolsi da altri, frenandole od accrescendole, o sarebbe di me- sticri a parer mio che dalla tragedia sì componesse la costituzione de leggitori e degli ascoltatori diversa da quella che è veramente, poichè se troppo 0 poco temono e compatiscono colpa è del temperamebto, che poco o troppo resta commosso dagli oggetti misericordiosi e terribili: o a nulla più operare verrebbe il dramma ‘ordi- nato, che quegli oggetti si operino. Con la prima delle quali due cose vorrebbesi dal verisimile più di quello eserciti il vero nell'animo nostro; e verrebbe con l’altra a renlersi inutile. questa specie di poesia di tutte la più sublime. Non è da credere nemmeno che al solo dl cite 441 diletto deva mirar la tragedia, lo che piace ad altri d’ insegnare, postochè di niuna spezie di poesia non costituisca il diletto che uno strumento gradevole, pro- prio a condurre ciascuno al suo scopo. Se finalmente l’ofticio di lei consistesse in additar quali sono gli oggetti da temere e quali da compatire, perchè ci aste- nessimo dal temere ciò che non dee temersi, e dal conì- patire chi ne fosse indegno , o il contrario (lo che con miglior avvedimento che per lo passate è stato non ha guari avvertito intorno al fine della tragedia), dovrebbe a parer mio giudicare il poeia contro il verisimile, che alcuni si trovino, i quali non sappiano nè temere nè compatire; quasichè possa ciò naturalmente accadere, o quasichè ciò volontariamente seguendo , alcun pro- fitto arrecasse lo additare ciò che è noto, e che vuolsi tuttavia trascurare. Utilissima e nobilissima conseguen- za deriverebbe però a mio avviso la tragedia, se iu tutto dovesse conservarsi il natural significato delle espressioni con le quali dettava Aristotile il suo precetto. Egli ne ammaestra, con la tragedia doversi purgare il timore e la misericordia per mezzo di queste pertur- bazioni medesime. Suppone adunque potersi con quelle mischiare alcuma schifezza, e che torni bene il tenerle forbite. E parmi così andar la bisogna, com’ egli sup- pone. Conciossiachè egli è certo da un lato, una norma essere agli uomini dettata, cui non si uniformando le azioni morali ne seguita la pena, ch'è un male; ed il timore dall’ altro si risveglia alla sopravvegnenza del male medesimo. È lesge anche di natura, che ci sfor- ziamo di fuggire per quanto è in noi i mali che ne sovra- stano; come ancora, che non si faccia danno verso chi la misericordia ne commuove. Onde siccome dalle tur> pitudini il timor ne difende, e congiunto alla miseri- 442 | cordia, dal commetterle a danno altrui; così ove si de- termini l'animo ad eseguire un'azione vietata, e sia veramente condotta a suo termine, dovremo dire che non sia temuta, o per lo meno la corrispondente pena; e che non siasi eccitata la misericordia se quella. turpi- tudine è commessa per nuocere altrui, od il più degno. Ma chi formasse il proposito di frenare o di distendere que’ due sentimenti, o mon vi riuscirebbe ; poichè non è in potere degli uomini dai quali non dipendono le leggi del giusto e dell’ onesto il modificare, comunque ne piaccia, gli oggetti misericordiosi e terribili, i quali riguardo al nostro argomento sono le azioni tendenti a corromper esse virtù, e del fuggire le quali azioni sono misura ed impulso queste virtù medesime; o nol do- vrebbe fare; poichè ad altra cosa non potendo egli riu- scire con quel proponimento, se non che a togliere o a diminuire a quegli oggetti la sua proprietà, renderebbe le azioni o meno giuste o meno oneste o contrarie af- fatto alla giustizia ed alla onestà. Il toglier via però la cagione onde non restano eccitate le due perturba- zioni sarà cosa lodevole quant’altra mai; e degno ugual- mente di somma lode colui, che si studiasse perch’altri facesse altrettanto: conciossiachè di non corrompere egli, e tenterebbe che altri non corrompesse il giusto e l’one- sto, ovvero lo richiamerebbe a queste virtù dalle quali avesse deviato. Verrebbe così a togliere quella schi- fezza che le due perturbazioni bruttasse. Rimane quindi a rintracciar solamente questa ragione per dirsi vera la supposizione del greco maestro . Egli è però facile il rinvenirla, poichè quella stessa dovremo dire che sia, per la quale si commettono le azioni turpi; tanto per le esposte cose valendo il commetterle, quanto il non averle temute. Le ree passioni pertanto, impediranno 443 che rimangano eccitati quei due sentimenti, poichè sono desse che rappresentano il male sotto le forme del;bene, e questo non è temuto, e quindi nemmeno fuggito, ma o sì agogna, e vogliamo pur acquistarlo. Purgare adunque la misericordia e'l timore, dinoterà i tristi ap- petiti bandire. Se non che ove le affezioni tal dominio avessero usurpato, che impedissero sempre l’ eccita- mento delle due perturbazioni, non saprebbe la purga- zione operarsi; poichè la materia da purgare manche- rebbe in colui, che temer non sapesse giammai di nuo- cer altrui per nequizia . Ed ecco il perchè io penso, che purgare la misericordia e ’l timore significhi toglier dall’ animo alcuna rea affezione, a motivo della quale non restano alcuna volta eccitate; e che sia questo il fine della tragedia inteso. dal greco filosofo. Se così fosse, com’ io giudico, mi parrebbe non potersi altro fine più utile nè più sublime desiderare da que- sta specie di poesia. Conciossiachè dilettandosi il tra- gico di personaggi principalmente di altissimo affare, nelle cui mani è riposta la somma delle cose pubbliche, intenderebbe a togliere dall’ animo loro. quell’affezione men che buona, dalla quale, perchè della umana spe- zie ancor essi, venendo per av ventura dominati, fossero ancora alcuna volta condotti a non temere nè compa- tire. Lo che ridonderebbe poi in utilità del comune, ed al certo non lieve; ed il poeta quello officio tente- rebbe di fare, cui mal sapessero aggiugnere rispetto a loro le leggi. Ma poichè questa purgazione secondo Aristotile vuol operarsi per lo mezzo di queste perturbazioni stesse che il tragico dee purgare, e poichè deve ciò eseguirsi da lui per via della rappresentazione, si ren- de manifesto che nel soggetto della tragedia devono al 444. tragico somministrar la materia il timore e la miseri. | cordia. Siccome poi tanto la purgazione può conseguirsi se que’ due sentimenti maneggiati dal poeta non sieno mischiati con alcuna bruttura, quanto se lo sieno ; per- chè nel primo caso verrebbe dato un buono esempio ad imitare, e nell’ altro un tristo a fuggire; così che il primo sia da seguitare, ed il secondo da guardarsene, vuol esser schiarito dal poeta. Lo che per lo mezzo della rappresentazione non può in altra maniera accadere, che, conforme i greci osservavano, 0 facendo succedere il premio all’ azione ove i due sentimenti si tacquero senza che ree passioni vi concorress ero, o facendo che vada dietro la pena all’ azion trista: consigliata da una rea mossa dell’animo. E veramente così il premio come la pena dal tristamente adoperar ne rimuove, ed al meglio ne sprona. Inoltre essendo vero ciò che diceasi , che cioè alla purgazione non sì prestino i due senti- menti, qualora non vengano per cagione de'tristi appe- titi risvegliati giammai , vorrà il soggetto della trage- dia esser eletto non già fra i perfettamente buoni ed i compiutamente malvagi, lo che è insegnato sempre da Aristotile, ma sibbene fra i/personaggi di mezzana vir- tù . Imperciocche i primi osservano sempre nell’ado- perare la giustizia e la onestà, e dal corromperla si guar- dano: e non varrebbe la tragedia ad emendare i secon- di; resistendo al verisimile che coloro i quali non han mai temuto di nuocer altrui per nequizia, restino com- mossi dal vedere nel caso finto, che sia ad alcuno tornato in peggio l’ operar ciò che senza proprio danno operarono sovente eglino stessi. Ma il personaggio di mezzana virtù essendo sottoposto alle affezioni men che buone, corre anche il pericolo che lo trascinino alle azioni turpi a danno altrui, muti rendendo 1l timore 445 e la misericordia. Il perchè è desso veramente a pro» posito per costituire il soggetto della tragedia la quale, mentr’ è ritrovata per la utilità de’ leggitori e degli ascoltatori, inutile ed inverisimile diventerebbe se li considerasse perfettamente buoni, e compiutamente malvagi. Non m’inalzo a tanta burbanza da credere che fosser queste le ragioni, onde i grecì osservarono sem- pre quest’ ordine nella elezione de’ soggetti de’ tragici componimenti loro. È però la verità che l’osservarono. Vorrebbesi quindi questi’ asserzione dimostrare, come ancora che si vedono sempre dirette al fine per me di- chiarato le loro tragedie. Ma abuserei della sofferenza de’ leggitori imprendendo a far ciò, che san far eglino stessi meglio ch’ io mon farei. Lasciare inosservate non voglio tuttavia certe affermazioni di due gravissimi autori, per le quali si conchiude il contrario intorno alle greche tragedie. Alcuno ha lasciato scritto che « gli « eroi delle tragedie che ( Aristotile ) commenda e « .propone per esemplari sono per lo più scellerati, e « finalmente felici, come gli Oresti, le Clitennestre e « gli Egisti; o buoni infelicissimi, come lo sventurato « figlio di Lajo «. Ma senza perdere punta venerazione allo immortal Metastasio, mi fo ardito di osservare, che il miserissimo Edipo al termine fu condotto che So- focle ci rappresenta, per non aver temuto, a cagione dell’ orgoglio, di contrarre regie nozze, nonostantechè dall’o- racolo fosse avvertito, che le avrebbe contratte ince- stnose ; e di uccidere per orgogliosa ira accecato lo sco- nosciuto Lajo, che pur non l’ offese, quantunque pre- detto gli avesse l’ oracolo medesimo, che sarebbe dive- nuto uccisore del padre. Il matrimonio poi e l'omicidio volontariamente commise senza necessità alcuna di fa- 446 to o di obbligazione. Or mi sembra degno di pena colui, che postosi nel pericolo che sa di dover incon- trare, vi cade con dar opera di non schifarlo. Anche ad Oreste aveva un Iddio comandato, sì ne’ Coefori e sì nelle due Elettre, di uccider la madre; ma più, o meno restio, perchè non del tutto virtuosa, al divino coman- damento, dove da Elettra, dove da Pilade vi è stimo- lato , e lo eseguisce; quindi porto opinione aver ben divisato ed Eschilo ed Euripide e Sofocle nel rendere Oreste ed Elettra felici, ancorchè avessero eseguito e stimolata inumanissima azione; tacendo le naturali ove le divine leggi dispongono. Ed esempio mi sembra questo di azione eminentemente terribile e misericor- diosa in quanto a sè; ma perchè non suggerita da niun tristo appetito, anzi da una divinità comandata , nulla contiene di turpe, e quindi la misericordia e ’1 timore purga in coloro, che trovandosi negli estremi de’due fra- telli adoperar volessero diversamente da loro. Che poi nissun danno patiscano questi fratelli medesimi nell O- reste di Euripide, non mi pare da biasimare il poeta; men- tre l'uccisione di Elena da lui commessa forma la pena dovuta all’ empietà di Menelao, che per amore di se- dersi nel soglio di Agamennone ad Oreste dovuto, non temette di negare il suo soccorso ai miseri figli del fratel suo prossimi ad essere uccisi, per lo necessario par- ricidio, dal popolo. Stimo finalmente che non soffrano alcuna avversitade Egisto e Clitennestra nello Agamen- none di Eschilo, poichè son eglino nell’azione gli stru- menti della pena del maggior Atride, il quale non fu commosso nè dal timore nè dalla misericordia nel portare la guerra a Troja, onde vendicare, a costo del- le calamità e della vita de’cittadini , un’'onta privata, e nemmeu propria, come dice Euripide; del che ne rende 447 chiaramente avvertiti il coro nella scena II. dell’ atto II. e nella I. del IV. Altri poi valentissimo in fatto di ogni umana e civil disciplina ha creduto di dover asserire che non « considerano i satelliti dell’autoriià, che vengo- « no a condannare Euripide il quale, secondo la favoia « portava, rappresentò non solo i mediocri come Ifige- «nia, ma gli ottimi come Ercole, e i pessimi come « Eteocle; ed a condannare Sofocle stesso nell’ Elet- « tra, ove rappresenta la morte di una scelleratis- « sima, donna come Clitennestra; e nell’ Ajace ove « rappresenta la disgrazia di un ottimo eroe op- « presso dalle fraudi del pessimo Ulisse; e di quelle di « Eschilo particolarmente nel Prometeo, dove il mag- « gior benefattore dell’ uman genere affisso alla rupe « delCaucaso per tirannica volontà di Giove pasce delle « sue proprie viscere un’ aquila ». Ma che per ottimi dobbiamo tenere Ercole, Aiace e Prometeo , non cape il mio intelletto . Conciossiachè abusa il primo del valore del suo braccio , involando con la forza ministri e vittime agl’ Iddii infernali; onde ‘n’ è rimeritato col- Y inviar loro nella insania egli stesso i figli e la moglie che amava teneramente, e che aveva pur dianzi salvati da morte; pieno anche l'altro di sè stesso pel suo valore, ed invidioso delle armi di Achille, che si credea meritar egli solo, ed ottenute per consentimento dell’armata da Ulisse, avrebbe , dispregiando il pubblico giudicio, l’oste greca' disfaita, se Minerva, nel compimento del disegno inferneticatolo, non avesse fatto che la strage da lui meditata nella freschezza della mente contro i capitani, non si fosse convertita in carnificina di torì e di montoni. Non saprei finalmente scusare Prometeo dal furto del fuoco divino commesso in onta di Giove, quantunque usato ad utilità degli uomini. Ed in quanto 448 agli addotti esempli de’ pessimi, nequitosissima donna ella è veramente Clitennestra; ma mon forma già il soggetto della tragedia , il quale consiste nel necessario matricidio, e perciò tutto in Oreste ed in Elettra si aggira, dei quali è stato di sopra favellato abbastanza . Eteocle ancora per lo spergiuro è tristo quant’altri mai; lo si vede però agli altrui consigli pieghevole, infati- cabile e prode capitano, e premuroso pe’congiunti quanto col suo turpe consiglio le cure sue si confacciano. Per le quali cose mi sembra di dover tenere finquì l’espo- sto sentimento intorno al fine ed al soggetto della tragedia, per quanto venerabile sia 1’ autorità del Me- tastasio, e del Gravina, da me in altissima riputazione tenuti. Ora per conchiudere che i tragici nostri non han voluto mirare là dove i greci, e nemmeno di quel soggetto sentire così com’ eglino , voglio che mi basti la veramente pietosa , orribile. ed elegantissima tra- gedia del celeberrimo sig. Ugo Foscolo, intitolata la Ricciarda. Amava essa, e teneramente amava; amar però non è colpa, anzi colpa sarebbe in lei stato il con- trario, dopochè le fu consentito in isposo il molto amato Guido dal padre. Che se questa virtuosissima fanciulla da tanta passione fu colta per lo figliuolo del zio paterno ond’ era il padre da mortal odio compreso, e se ne fu assalita prima ancora che Guelfo il padre l’approvasse, rendevan forse imprudente Ricciarda queste conside- razioni, ma non rea. E neppure macchiata di colpa saprebbe dirsi; perche avvedutasi a fatta certa dello aguato teso a Guido nel esserle stato consentito a marito, e perchè conosciuta la necessità del rimanersi divisa da lui per lo paterno sospetto , seguitò a teneramente amarlo; non essendo in balia di quale ami di caldis- 449 simo amore il disamare; ed a niuna cosa la quale convenevole non fosse diè impulso in Ricciarda l’amore. Di quale straordinaria virtude al contrario non presta egli argomento il vedere unà vaghissima e tenera fan- ciulla, la quale ama « Quanto amar sa mesta donzella e sola, « Che sol trovi in amore ogni conforto , animare il soggetto de’ caldi suoi desiderj ad ‘abban- donarla appena giunto ‘alle sue case improvvisamente? Pentirsi di aver solamente pensato ad isfuggire seco lni le case paterne? Jl solennemente rinunziare per . fino, onde ubbhidire il padre, e per quanto era in lei assicurarlo, il suo màggior bene, la destra dello ama- tissimo Guido suo? Ed il togliergli ella stessa per colmo; nel rischio maggiore della di lui vita e delta propria, il pugnale, affinche nol trattasse contro il padre della vita di ambidue ingordamente assetato? Non parlo che averebbe ella voluto uccidere più presto sè stessa, che in lei commettesse Guelfo un parricidio. Ma pia la vedi negli uomini, pia nella divinità, e non mai farsi della, più lieve menzogna difesa contro la efferatezza è paterna. Eppure la miserella.lo estremo danno patisce ferocemente uccisa dal padre. Onde sembra più presto consigliarsi, stetti per dire, l'abbandono della virtù, che purgarsi per questa tragedia la misericordia e ’l timore. E. vero che pur Guelfo si uccide, ma tale è l'indole sua}, che dispregiando leggi umane e divine:,; Dio ed.uomini, cielo e terra, lieve pena comparisce il sui- cidio, seppure qual pena lo si. dee riputare allorchè disperatamente si elegge. Ma la purgazione de’due sen- timenti non è da sperare , in chi fosse temperato della tempra di Guelfo. E poichè di purgarli non avreb- bono bisogno coloro i quali s'imaginassero forniti delle 450 doti dell’ ottimo: Averardo fratel di Guelfo, dire nem- men si potrebbe , che dal vedersi egli premiato sì nella vittoria, come nello acquisto del fraterno imperio deva inferirsi, che forma egli il soggetto della tragedia ; non badando, come non vi badavano i greci, al nome. che porta in fronte. Ed inoltre o due azioni ella con- terrebbe in questo caso , o l’ episodio di Ricciarda ( che tale diverrebbe il. suo miserando amore ) mag- gior grandezza avrebbe ricevuto dell’ azion principale pressochè impercettibile. Ma se, scorgendo taluno in Averardo più magnifico soggetto che nella Ricciarda, non'trovasse ragion di dolersi della strettezza dell’azione, mi sembrerebbe di notare, che il tragico poeta ha ri- guardo sibbene alla pubblica prosperitade eziandio, ma in quanto dipende dal giusto e. dall’ onesto, e non già dalla opinione che ne tenga una parte di popolo in conflitto con quella dell’ altra. Dal che per avven- tura si guarda perchè non sì esamimi ordinariamen- te in tali circostanze ciò che è giusto ed onesto ; ma ciò solamente che piace e si dèsidera Nel gig esame la giustizia e l’ onestà sogliono anzi cedere il luogo alla fraude ed alla forza, siccome dimostrano gli avvenimenti delle parti intese a distruggersi a vi-. cenda . Della qual cosa non trovandosi altra più con- traria alle ‘indicate virtù ne segue, che mentre si tenta di procurare il meglio dividendo i cittadini , sorge irre- missibilmente o prima poi chi tutti con irresistibile. potenza li unisce ne’ disastri e nelle calamità . E ba- sta osservare , che le parti sono alimentate da chi mira a dominare gli stati altrui, per conchiudere che non. sono atte a seguitare il giusto e l’onesto, nè a pro- cacciare il bel generale . Oltre di che con quanta faci- lità si definirebbe l'oggetto di chi fomentava in Italia 451 le parti, altrettanto non saprebbe forse determinarsi se il bene comune ‘avessero veramente procurato piut- tosto questi che que’ fautori delle parti medesime; mirando gli uni ad introdurre con la ingorda signoria le ruvide costumanze proprie negli stati parteggianti, e cercando gli altri con forze straniere , le une alle altre succedentisi , tale ampiezza e mescolanza d’ imperio che male a’ loro istituti si convenivano . Il perchè mi do a credere che verrebbe esposta ai leggitori ed agli ascoltatori una rappresentazione meno inutile che per- niziosa, qualora vi si adulassero le intraprese di que- sta parte o di quella. Per le quali cose mi sembra aver seguitato il sig. Ugo Foscolo nella Ricciarda l'opinione: che debba la tragedia eccitare la compassione e’l ter- rore. Nel che parmi esser egli maravigliosamente riu- scito, sì per la composizione di tutta la favola, come per la disposizione delle sue parti, non meno che per la convenienza della elocuzione ai maneggiati sentimenti , animata sempre e dignitosa . Mi SCIENZE MORALI, » POLITICHE L MEMORIA SUI DIVERSI POPOLI, CHE ABITANO NELLA TURCHIA i EUROPEA. Di P.... nativo di quel paese. (1) Estratto dagli Annali dei Viaggi di MarrEBRUN. È n E. Alpi separano gli Stati ereditarj dell’ Austria (1) Questa memoria fu scritta nel 1820, vale a dire in un’epoca, in cui non potevano essere ignoti all’autore i sintomi,che dovevano I. III. Settembre 29 452 dall’ alta Italia, indi prendono la direzione del $. lu. seguendo la costa N. E. del golfo Adriatico; ed inter- mandosi nella Turchia Europea la percorrono tutta dall’ O. all’ E. fino alle coste del mar nero. Questa ca- tena di monti, che si distingue nella parte orientale col nome d’Hemus, divide naturalmente le provincie della Servia e della Bulgaria al N. da quelle della Tra- cia, della Macedonia e dell’ Albania al $. Vi prendono origine neldeclivio boreale i fiumitributarj dei Danubio, nel declivio australe quelli che discendono nel mare Egeo, con un.solo che si perde nell’ Adriatico. Da que- sta catena centrale si dirama al N. una catena seconda- ria, la quale divide la Servia dalla Bulgaria, e taglian- do il Danubio sopra Vidin va a congiungersi sull’ altra riva del fiume coi monti della Transilvania . Dal punto opposto , e dal declivio australe dell’ Hemus un'altro ramo secondario si dirige al S. E. e si abbassa sempre fino alla costa dell’ arcipelago dirimpetto all’ isola di Thasos. Gli antichi diedero il nome di Rodope a questo ramo, che segna la frontiera tra la Macedonia e la Tra- cia. La Macedonia termina all’ O, con un’altra catena di monti, che si dirama dall’ He mus occidentale di- rimpetto alla Servia ed alla Bosnia, percorre tutta la Grecia dal N. al S. e si abbassa solamente verso l’itsmo di Corinto. Questa catena si aggira tra la Tessaglia e P'E- far prevedere ad un osservatore intelligente una prossima rivolu- zione nella Turchia Europea; ma era probabilmente necessario di tacerli allora. Questa memoria non poteva dunque antici- pare sull’avvenire . Checchè ne sia, ci è sembrata d’un gran- de interesse nelle circostanze presenti, e abbiam creduto di far cosa grata ai lettori riportandola per intiero; poichè serve a spargere una gran luce sui diversi popoli. a che son per agire nella scena della rivoluzione . 453 - pìro. sotto il nome di Pindo,e divide l’acquedélla Grecia in fiumiorientali,occidentali ed australi.I fiumi orienta- li discendouo tutti! nel mare Egeo , gli occidentali nel mare Adriatico , gli australi nel mare Jonio. La catena di Pindo è tagliata'verso il centro da duerami laterali, uno dei quali si dirige da oriente ad occidente , e ter- mina ai monti AckÒ Geri dirimpetto all’ 1 dal Val- iro ramo che si parte quasi dall’ istesso punto Lari all'Olimpo, e divide così la Macedonia dalla Tessaglia. La Tessaglia d’altronde ha-per confine all O. ed al S. la catena di Pindo:y che fa un giro. verso Vl’ E. avvici-. nazgdosi‘al mare , non lungi dal-passo-delle Termopile. Tlimiti e la Popost afia della moderna -Livadia, la quale comprende l’Attica, la F ocide, \ Etolia, e T'Avtrniciia sì conoscono perenni quindi: passo senz’ altro alla Grecia occidentale, che-per la natura del suolo e per lo stato morale de’ suoi ‘abitanti è divisa in due provincie ben distinte , a dispetto dei geografi , che le confondono sovente. Queste due provincie son Y Alba- nia, e l' Epiro. La prima è situata tra il mare Adriatico, i monti Acrocerauni , il Pindo, la parte più occidentale dell’ Hemus, e il Montenegrino. L’ Epiro confina all’O. coi monti Acrocerauni; al N. col Pindo, all’ E. con una catena che si dirama dal' Pindo ze. col golfo d’ Arta, anticamente d’ Ambracià , e.al #S. col mare Jonio . Ci resterebbe a considerar la: Morea , ‘che forma l’ estre- mità australe della Grecia , e la Valachia, che si trova all’ estremità opposta; ma i confini di queste due pro- vincie sono tanto ben determinati dalla natura , che non è necessario neppure d’ indicarli . Le contrade delle quali ho data la divisione non sono tutte ugualmente estese; e il metode con cui le ho classificate è forse un poco arbitrario : per altro ha per 454 base i limiti naturali , e lo stato attuale degli abitanti ; quindi lo credo molto adattato per‘dare una idea pre- cisa del tutto ye di. ciascuna parte di questa bella con- trada. Il nome di Valachia indica I’ abitazione primitiva dei Valachi; quello di Bulgaria la. patria dei Bulgari; V Albania è la patria degli Albanesi. Stabiliti questi li. miti, mi accingo a dare qualche lume sull’ origine, e, sullo stato. attuale degli abitanti di queste provincie . incomincio dagli Albanesi, i quali risiedono nel paese più vicino all’ Europa culta ; e irquali per quantopare sono mal conosciuti dai dotti . Passerò quindi, al, Vala- chi, ai Bulgari, ed ai popoli stranieri, i quali vivono nella Turchia Europea, e terminerò con qualche osser- vazione sui Greci . I confini dell’ Albania son meglio determinati che quelli dell’ altre provincie della. Turchia Europea . Al mare Adriatico, la catena degli Acrocerauni , il Pindo, le catene dei monti:coi quali termina al S. la Bosnia, e all’E. la Dalmazia sono le sue frontiere naturali. L’ Al- bania corrisponde all’ antica Illiria Greca o Macedonia, 6 Epiro occidentale. Nell'antica Albania si trovava Epidamnus, Dyrrachium dei Romani, e Durazzo dei no- stri tempi ; ivi pure si trovava la famosa città d’ Apol- lonia, che esiste ancora sotto.il nome di Croya, ein cui risiedeva il celebre Scanderbeg. Tutti i fiumi vi pren- dono origine all’ E. sul Pindo, e discendono nell’ Adria- tico. Il paese è ingombro di monti tagliati da cento valli fertili. e pittoresche . Gli abitanti han tutti una origine comune , e parlano tutti la stessa lingua , che non è quella degli Albanesi del Caucaso , nè quella de- gli Slavi. Vi si notano molte parole derivate dall’ ulti- ma; ma prevalgono le parole d’ indole greca e latina . 455 Del resto la lingua albanese manca. d’ alfabeto ; per conseguenza è tuttora barbara. Mi ha sorpreso molto;la somiglianza che offre nel suono delle parole , e negli accenti colla lingua francese; credei. di lontano di sen- tir parlare dei Francesi ; e realmente igli.accenti vi ca- dono sempre sull’ ultima sillaba ; e imoltre gli Albanesi pronunziano come i Francesi Yu, e Fj.. Infine hanno quasi)gl'istessi nomi , e l’ istesso sistema ‘arimmetico . Son peraltro ben lungi dal volere attribuire ‘agli. Alba- nesi una origine francese . Darò le osservazioni che ho raccolte in proposito . L'Albania è un, paese molto montuoso ; tanto bastava per nom destare mei vicini il desiderio id’ invaderlo. D’ altronde ]’ istoria non ‘ci of- fre verun. dato per attribuire una origine straniera al popolo che «vi risiede.::L° identità di nome cogli Al- banesi del Caucaso non prova niente ;,, poichè questo nome'.è ‘ignoto agli abitanti dell’ Albania, i quali chiamano: vil paese Skip. Il nome d’ Arnauti ,. col quale gli distinguono; i Turchi ,.è derivato dal greco volgare Arvanitis. Gli antichi. Greci. gli chiamavano barbari; ma si sà che davano questo titolo anche ai popo» li d'origine greca, 1 quali pronunziavano la lingua con stuoni diversi, e i quali non appartenevano alla lega de- gli Amfizioni.. Le conquiste dei Macedoni e dei Re d’E- piro!) benchè costoro traessero molti soldati dall’ Alba- nia',, non bastarono per ispopolarla } e i'Romani vi tro- varono anche dopo la stessa ‘nazione indigena; che vi abitava prima. Al tempo dell’invasione dei barbari non vediamo che l’ Albania fosse occupata dagli stranieri; fu anzi per molto tempo un. mezzo di comunicazione fra l’Italia e la Grecia I Crociati la trovarono ricca di abitanti. Che divenne dunque la sua popolazione pri- mitivà 7? come disparve? e qual nazione gli successe ? - "RARO Finchè non sirisponde:a queste! dimande.-in una ma- nieràvconcludente; sarà permesso di credere:che gli Al- banesi sono gli ‘abitanti. ‘primitivi dèl paese; .ì quali sì confusero nelcorso dei secoli coi Greci (civili, coi “Ro- mani, econ'altri popoli che passarono: per quei monti . Ma questi ‘abitanti primitivi son; poi. d'origine greca!0 illirica ? Siccome conoschiamo ben poco i diversi dia- letti dell’ antica: Grecia ; e siamo anche ‘piùali’ oscuro per le: lingue ‘dei popoli Illirici, quali noriz esistono più; non oseremo: di dar in. proposito una replica defini- tiva Bisognerebbe «comoscere profondamente: i. dialetti derivati dal latino» e. dallo slavo ;ve le antichità della Grecia , e. dell’Italia: 1 Passiarno dunque adlaltroi. Gli Albanesi dopo' la*caduta»di» Scanderbeg.can- giarono di religione‘, abbracciando in gran parte l’isla- - nismo, ma) piuttosto per? politica che per intima per- ‘suasione , Sone anch’ oggi ‘cattivi musulmani, sgome efanounigiorno» cattivi: Ghistigioio, Per. gli iusi le abita» dinive-le istituzioni ; somigliano perfettamente; i Greci vicini I ‘pochi Criaticidi, sioni vb restanoancora; godono degli stessi diritti dei. musulmani; e le eccezioni, Sep- pur ve ne sono; sì trovano solamente nelle città grandi, ove sono*stabilite le scuole dellistamismo»i1l cambia» mento di: religioneéd il‘carattere naturalmente:guertieto degli Albanesi sono i due motivi che gli ha preservati dalla schiavitù degli Otmanni. Vis in parte. soLto. il governo'aristocratico; altri preferiscono il democratico i Turchi non saprebbero farsi:una' idea nè dell'uno , nè dell’altro. È vero che:vi'sono due (0 tre governatori Turchi nell’ Albania ; ma costoro sonò ben>lungi dal comportarsi come negli altri | governi) della Turchia . Inoltre. quì sono irremovibili ) anzi, dirò di più, sono ereditar}, e la Porta non vi cha che un diritto dirsem- 457 plice supremazia . Negli ultimi tempi il celebre Aly go» vernator di Jannina ha molto cangiato il sistema poli- tico, e lo stato dell'Albania australe; ma vi corre molto tra l'autorità che esercita sopra gli Albanesi, e quella che ha sopra i Turchi ed i Greci. Gli Albanesi son tutti guerrieri; non conoscono altra professione che quella dell’ armi. Somigliano gli Svizzeri, e indipendenti com’essi in patria, vanno a ser- vire i principi vicini, e ne ricevono una paga per com- batter al bisogno, senza informarsi se han ragione o torto dichiarandosi la guerra. Son'gli Albanesi che han desolata la Turchia Europea negli ultimi anni, che for- mano ai dì nostri le milizie scelte del governatore del- l'Egitto, il quale è presso a poco indipendente ; ed i governi Barbareschi si provvedono fra gli Albanesi di satelliti per opprimere i popoli. Una vita sobria, un vivo amore di guadagno gli arricchisce ben presto , e l’amor di patria gli riconduce al paese in cui nacquero, per passarvi gli ultimi giorni della vita. Così quest’ as- senza temporaria non diminuisce realmente la popola- zione , la quale d’ altronde è mantenuta dalla gran fe- condità delle donne, e favorita dalla sicurezza perso- nale, di cui ognuno gode nell’ Albania. Ed ecco perchè è il paese più popolato -della Turchia. Gli attribui- scono, 1,000,000 d’ abitanti, e son sicuro che ne ha di più . Quando si riflette che tutti son guerrieri, che non conoscono altro mestiere che l’armi, ed abitano in un paese inespugnabile ; per altra parte quando si riflette allo stato di decadenza dell'impero Otmanno, si crede senza esitare, che se gli guidasse un’ altro Scanderbeg sarebbero capaci di conquistare tutta la Turchia d’ Europa. Ne sono stati padroni per qualche 458 istante , e lo sarebbero stati per sempre, se Aly gover- natore di Jannina fosse stato meno avaro , men perfido, men crudele, se le sue qualità pregevoli non fossero, oscurale fe un carattere violento, per. cui non sà a- spettar gli) avvenimenti nè profittarne. Per dipingere con un tratto solo il carattere degli Albanesi , basta dire che il primo dono d’ un padre al figlio è sempre una sciabola . Gli Albanesi son sortiti , è un secolo e mezzo , dal loro paese, ed hanno occupata una parte dell’ Epiro, fra il suo centro ed il mare Jonio , vale a dire tutta l’ antica Chaonia boreale; ma il resto dell’ Epiro è po polato principalmente di Greci, e si è esteso male a proposito il nome d’ Albania a tutto l’ Epiro . Ho detto che la lingua albanese manca d’ alfabe:o; per conseguenza non ha nè libri nè letteratura . Si val- gono della lingua greca in tutti gli affari pubblici e pri- vati ; ed ecco il motivo per cui gli Albanesi non parte- cipano della stupida ignoranza degli altri popoli mu- sulmani, e non mostrano com’ essi il più alto disprezzo per la lingua greca . L° Albanese Aly, che estende il suo dominio su tutta l'Albania australe, su tutto l’Epiro, sull’‘antica Acarnania , el’ Etolia , sulla maggior parte della Livadia ; della Tessaglia , e della Macedonia occi- dentale , Aly quasi sovrano in quel bel paese , si vale unicamente della lingua greca per gli affari del guver- no; tutti i suoi segretarj e commessi son Greci ; non adopera la lingua turca se non che per la corrispou- denza coi ministri di Costantinopoli. La lingua greca è tanto' dominante nell’ Epiro , che gli abitanti di Jan- nina parlano solamente il dialetto greco del paese , e gli Ebrei della città e gli zingani non ne conoscono al- PO TE SO 459 tri; cosicchè |’ Epiro è un paese perfettamente greco ; e quindi è un’iugiuria peri suoi abitanti il dargli il nome d’ Albania . Ci resta a parlare d’ un ramo d'Albanesi sparsi nel centro della vera Grecia , e i quali son tutti Cristiani . I contorni d’ Argo, anche una parte della città , i contorni di Corinto , la città ed il territorio di Megara, quasi tu to il territorio d’ Atene , anche una parte d° A- tene , i contorni e la città di Tebe, qualche villaggio dell’ isola di Negroponte , ed altre piccole isole vicine al promontorio d’ Epidauro nel Peloponneso son popo- late d’ Albanesi che conservano tuttora la lingua nazio- nale. La loro origine non lascia dubbj ; ma‘quando e come si stabilirono nel centro della Grecia ?- Un’ autor francese dei tempi nei quali i crociati presero Costanti- nopoli, parlando d’ Atene dice che i suoi abitanti favel- lavano allora in una lingua molto simile al francese. Credo che alludesse alla lingua albanese, la quale con- serva anch’ oggi molta analogia col francese . Pure senz’ aver dati sicuri in proposito , penserei che gli Al- banesi venissero nella Grecia realmente al tempo dei crociati. Par verisimile che i principi crociati nel di- vidersi la Grecia la ripopolassero d’ Albanesi per man- canza di Greci, oppure che per ricompletar l’armate arruolassero gli Albanesi , e gli stabilissero dopo la guerra in paese. Passiamo a un altro popolo . Una gran parte della popolazione attuale dei monti situati fra la Macedonia e 1’ Albania , fra la Tessaglia e l’Epiro è composta di Valachi , nome co- mune a tutti i popoli, i quali risiedono nell’ antica Dacia, e ‘nel paese che si estende tra il Danubio, il Dmiester e l’ Ungheria. L’istoria e le affinità di lin- gua dimostrano, che i Valachi della Grecia sono ori 460 ginarj della Dacia; ma il nome col quale gli distin- guiamo è ignoto nella Grecia e nella Valachia. I Va- lachi-Greci si chiamano Romuny,vale a dire Roma- ni, e danno alla propria lingua il nome di rumnia- sti. Pure gli abitanti della Moldavia portano il nome di Moldovani. L’origine del nome di Valachi non è conosciuta; si crede che in lingna slava significhi pa- stori; e redlîente siccome i Valachi della Grecia si occupano in. gran parte in educar gli armenti, e per provvedergli di pascoli discendono nell'inverno verso il mare, e tornano in estate sui monti , il nome di Valachi è divenuto nella Grecia australe sinonimo di pastori, e.di, nomadi , sebbene in greco, non signifi- chi niente. Fin dai tempi del basso Impero i Vala- chi erano tutti pasteri, e viaggiavano continuamente colle proprie famiglie e cogli armenti senza abitazione fissa. Ma dopo la -conquista degli Otmanni, vedendo che la bellezza delle donne le esponeva sovente a di- venir preda dei musulmani brutali, presero il partito di Jasciar le famiglie sui monti, quando scendevano al piano cogli armenti. Quindi adottarono 1’ uso di abitazioni fisse , e presero i costumi ed il gusto dei popoli sedentarj e culti. Non ostante ne. vediamo tut- tora qualcuni, che propriamente parlando non han patria, e cambiano d’abitazione tutto l’anno. I Valachi sedentarj senza lasciar, gli armenti si diedero all’ arti e al commercio ; fabbricarono anche una città . Viscopoli città celebre nella Macedouia oc- cidentale era interamente popolata di Valachi , ed era rivale di molte città della Grecia per la cultura de' suoi abitanti. Vi fu stabilita la prima stamperia greca, e sortirono dalla, sua scuola molti uomini istruiti ; ma questa città non esiste più: la distrussero gli Albanesi trici Anna 461 e le discordie civili. Una gran ‘parte de’ suoi abitanti passò nell’ Ungheria , ove rese omaggio all’ Austria . Tengono anch’ oggi un posto distinto tra i popoli attivi e commercianti di quel paese . I Valachi della Grecia non han mai costruite altre città d'importanza. Abitano in borghi e in villaggi . La lingua che parlano di presente; nazionale in origine, ma circoscritta ai bisogni molto limitati d’ un popolo pastore, ha ‘dovuto ‘necessariamente arricchirsi di pa- role greche , albanesi; bulgare, e' turche; cosicchè è oggi un miscuglio assai barbaro , e la chiamano con ragione la liùgua zoppa . Siccome ‘non ha alfabeto , e 1 popoli fra i quali è in uso, son tutti della chiesa greca ; studiano la lingua greca , e dimenticano così a poco a poco la lingua nativa. In breve la perderanno affatto per parlar solamente il greco moderno . Un popolo si- mile noi può avere nè storia nè letteratura ; nell’una e nell’'altra si confonde coi greci suoi compagni di reli- gione e di sciagure’. I Valachi della Grecia sono una razza stiperba Si vedono talora anche tra' le famiglie ertaiti uomini!e donne, che potrebbero servire per mo- delli. Somigliano i Greci nei costumi. Sono attivi, buoni , ospitali j pacifici come i Greci; non si parla ‘imai fra loro di assassinj, di furti ; di suicidj - Una piccola ‘colonia di Valachi Greci abita alle falde del- l'Olimpo , ha i medesimi costumi , e tende ugual- mente ad ingrecarsi . L’ affinità dei Valachi della Grecia cogli abitanti della Valachia e della Moldavia, ci'obbliga a passare nella ‘Turchia Europea ‘boreale ; e a' lasciar indietro i Bulgari e gli ‘altri popoli slavi.” ‘La Vulachia, la Moldavia e la Transilvania por- tavano anticamente i nomi di Getia, e di Dacia . La 462 vera istoria di queste tre contrade incomincia, quando i Romani ne soggiogano gli abitanti. Si sa che i Ro- mani vi lasciarono varie colonie ; e se si deve giudi- carne dalla gran somiglianza della lingua attuale col latino, bisogna credere che si moltiplicarono a segno da Wobigere ! do valina la lingua dei vincitori . Senza dubbio il latino vi è cea con parecchie parole della lingua indigena ; ma siccome i Daci erano poco inoltrati nella cultura , il latino prevalse sul rozzo idio, ma del paese. In tempi più moderni, la Getia e, la Dacia furon preda, dei barbari, e. teatro di, molte de- vastazioni ‘ Per quanto pare i Bulgari le desolarono più di tutti, ed.‘i Valachi per sottrarsi alle catene e alla morte passarono il Danubio, e sempre, inseguiti sì rifugiarono nella Grecia. Gli den Daci, sì ritira- rono!.e sì fortificarono. nei. monti inaccessibili, della Transilvania , ove cangiato carattere , discesero , nelle pianure , e vi stabilirono, i principati di Moldavia e di. Valachia.. La. prima capitale della Valachia era situata in! un distretto, che, conserva ancora, ;il. nome dir Vliasca; chi sa che non traessero bilia nome di Valachi? b Anche nella, Transilvania lai: massa della” popo: lazione è composta idi Valachi, sebbene i Sassoni, gli Slavi, e gli Ungheresi'abbiano incominciato a preva- lere ; dacchè quel paese è riunito all'impero d’ Au: stria. E Valachi nella Transilvania si danno il.nome di Rumuny come nella Valachia, e chiamano la lin- gua rummiasti comei Valachi;della Grecia. Il fondo della lingua che parlano è latino; ma vi son mesco late molte parole slave, perchè i Valachi sono in gran relazione cogli Slavi, e ne han preso anche l'alfabeto, e ne professano la religione, al pari degli Slavi del. 463 l’ Austria. Fors' anche v è un’ affinità originaria fra le antiche lingue dei Daci e degli Slavi. I nomi ec- clesiastici‘e politici son tutti ’slavi. La lingua è dolce e assai ricca; se volessero prendersi la pena di per- fezionarla , diverrebbe ‘la quarta figlia della lingua latina . La letteratura dei Valachi si ristringe presso a poco ai libri di liturgia e di pietà ; ha. fatte poche con- quiste nelle scienze profane, e poi è molto moderna. Prima che la Porta conferisse il dominio dei due principati esclusivamente ai Greci di Fanari, impiega- vano‘ solamente la lingua. slava negli ufizj di Chiesa. I principi Greci abolirono la schiavitù propriamente det- ta, ma conservarono la divisione in due classi, i nobili ed il popolo, o in diversi termini gli oppressori e gli oppressi . Gli stranieri si uniscono ai primi per mal- trattar il popolo. Se si aggiungono le guerre quasi con- tinue , delle quali la Valachia è stata il teatro, s’ ima- gina facilmente il motivo , per cui la nazione è tanto poco inoltrata nella cultura sociale. Si trovano in Valachia ed in Moldavia molti Greci e Bulgari. I primi son tutti affittuarj, e negozianti; gli ultimi quasi tutti coltivatori. V.è inoltre qual- ch’ Ebreo venuto di Polonia , qualche Armeno, con molti zingani . Senza i Greci e gli altri stranieri, i Daci moderni si conterebbero tuttora tra i popoli più rozzi e più igno- ranti dell’ Europa, sebbene non manchino di spirito naturale, ed abitino in un paese , che somiglia molto la Lombardia . Bisogna cercare il motivo dell’ avvilimen- to in cui si trovavo, nel dispotismo sempre attivo dei grandi, e nei principj del governo feudale , che vi re- gmano ancora . 464 La topografia di questo due provincie è assai. ben co- nosciuta. Il clima per la situazione orientale del paese, e per i pochi progressi dell’agricoltura è più freddo che non; si‘ converrebbe per latitudine . Si aggiunga che sono interamente scoperte sul lato delle pianure im mense della Russia , donde i venti freddi del N. E. vi giungono senza ostacoli. Pure la terra vi è fertile , e abonda d'acque... I monti son ricchi in metalli utili;;è colpa degli abitanti se ne traggono unicamente il sale . La popolazione e poca , e per quanto pare , diminuisce periodicamente. La Valachia può avere da 800,000:.a 1,000,000 abitanti. La Moldavia da 4 a 500,000. La Transilvania è un paese montuoso ma assai ben popo-. lato (2) in grazia del governo saggio, sotto il quale viyono i suol abitanti. Pure il numero dei Valachi di- minuisce, perchè molti prendono la lingua e i costumi dei Tedeschi, coi quali vivono. La Valachia e la Mol- davia potrebbero nutrire 8,0000600 d’abitanti , e la si- tuazione in cui si trovano tra il Danubio ed il mar nero potrebbe farne una nuova Olanda. I Daci son belli forti, e di buona indole. Una sa- via legislazione Ira bilbtie per fargli ricomparire fra le nazioni culte . (2) Nel 1786 contarono nella Transilvania civile 1,406,035 abitanti. Demian calcolando la popolazione per l’anno 1799 sulle liste di nascite e di morti degli anni precedenti , la. trovò di 1,493,925 anime, e vi SERATA un aumento medio di 10,356 anime all’ anno. Chntilitamio la progressione , nel 1820 dove- vano esservi ,7t1,401 abitanti. La Transilvania militare aveva nel 1799. 126,771 abitanti, e nel 1813 138,284, cosicchè nel 1820 doveva averne 144,038 . Quindi Ja pappiazione di tutta Ja Transilvania doveva essere nel 1820 di 1,355,439 abitanti . Nota del trad. 465 L’alto grado a cui giunsero i Greci nella cultura sociale , i servigj che resero alle lettere alle scienze ed all’arti, tutto ciò che è proprio ad inalzare il carattere e la dignità dell’uomo , richiama da lungo tempo |’ at- tenzione dell’ Europa moderna sui discendenti di que- «sta nazione illustre . Ma disgraziatamente lo scisma che ha divisa la Chiesa greca dalla Chiesa latina, la diver- sità dei costumi e della lingua , e fin a un certo punto anche la luce dirò così troppo viva, onde brillarono gli antichi Greci, tutto ciò ha impedito agli scrittori, che han parlato dei Greci moderni, di riconoscerli per quel che sono realmente, e di render loro la giustizia che meritano . Non v'è dubbio che i Greci abbiano molto degene- rato dall'antica gloria, e che per un lungo corso di secoli non abbiano aggiunto quasi niente al gran deposito delle cognizioni umane. Questa decadenza nazionale è di data un poco remota; prese principio sotto l'impero dei Ma- cedoni, si accrebbe sotto i Romani, giunse al più alto segno al tempo di Teodosio e di Giustiniano. Allora la filosofia disparve, gli antichi modelli del gusto e del sapere sì riguardarono con disprezzo , e le arguzie mo- nastiche entrarono in credita. Successivamente le irruzioni dei barbari nella Gre- cia, le conquiste dei Crociati, e sopratutto dei Turchi riducendo i Greci alla schiavitù politica, .ed a forza d’iuaridire tutte le sorgenti delle ricchezze, gli obbli- garono a limitarsi ai soli bisogni. Si sa bene che quan- do l’uomo deve tremare per Y onore per i beni per la vita, non può pensare a consacrarsi utilmente alle scien- ze e alle lettere. Io disapprovo più di chiunque l’ indo- lenza dei Greci, che per il corso di 10. secoli non han mai tentato di ricuperare l’ indipendenza politica, si 466 son contentati di portare il nome di Romani, senza mai pensare a riconquistarsi 1 antico nome; la gloria, la li- bertà nazionale, si son lasciati invadere e devastar il paese dai crociati, e non han saputo neppur difendersi dai Turchi. Quando una nazione abita in un paese, nel quale son riuniti tutti i doni della natura, quando ha in suo favore il numero la civiltà e la situazione naturale, se non imita l’ entusiasmo dei bravi Parganiotti, quan- do può imitare la resistenza degli Spagnoli , questa na- zione merita le sciagure, che prova, e non è degna della nostra pietà . Ma quando il paese è ormai interamente conqui- stato, quando per una successione di circostanze inevi- tabili i conquistatori son divenuti più numerosi, si sono impadroniti di tuttii forti, e di tutti i posti importanti, quando non resta al popolo vinto altro che la trista alternativa di soffrire o d’ essere scannato, credo che questo popolo meriti qualche commiserazione, sopra- tutto quando non dispera di trarsi dalle catene, e quan- do con tutti i mezzi, che gli restano ancora, si occupa indefessamente in migliorare le sue condizioni, e atten- de un più felice avvenire. Tale è lo stato attuale dei Greci moderni. Ne son prove da un lato le premure che si danno per istreirsi, e dall’ altro i progressi che fanno nella carriera delle lettere e delle scienze; n’ è prova la loro superiorità dimostrata non solo sopra i feroci tiranni , che gli opprimono, ma anche su tutti gli altri popoli, che fan parte del vasto impero Otmanno, sebbene qualcuni sì trovino in circostanze più favorevoli. Prima di entrare in materia, mi si permetta di mo- strare la verità di ciò che ho detto, con fare una osser- vazione sui Greci del basso linpero , e su quelli che 467 wissero immediatamente dopo la conquista dei Turchi. I Greci del medio evo , l'ho già notato, non aggiunsero niente al deposito delle cognizioni umane. Quest’asser- zione ha poche eccezioni . Ma fra il trascurare di esten- dere l’ impero delle scienze, e il vivere, nella barbarie v'è uno, stato medio. Le nazioni che si trovano in questo stato. non meritano il nome di barbare . E nell’ intervallo la Grecia non mancò ‘mai d’ uomini istruiti, i quali intendessero ed apprezzassero l’ opere immortali degli antichi . Fozio , Eustachio, e molti al- tri filologi non cedevano a moiti fra i nostri eruditi mo- derni ; e gli scrittori di croniche di Costantinopoli vale- vano assai più che gli scrittori contemporanei dell’ oc- cidente . Anche nei primi secoli dell'impero degli. Otmanni la Grecia non era priva d’ uomini istruiti, 1 quali scri- vessero con eleganza l’ antica lingua, come ne fan pro- va l’ opere che ne conserviamo . I molti dotti , i quali prima e dopo la conquista di Costantinopoli abbando- ‘marono la Grecia loro patria per rifugiarsi in Italia, son tante prove della nostra asserzione. Le scienze e le lettere debbono anzi renderci grazie, perchè le nostre dispute con la corte di Roma, le relazioni nelle quali entrammo coi Crociati , e più di tutto poi la rovina del nostro Impero d’ Oriente valsero a risvegliare gli spiriti assopiti nell’ Europa allora. barbara, e nari noi diri- gemmo i primi passi de’ suoi abitanti all’incivilimento, e preparammo loro così la più alta prosperità . Ora una mazione, la quale ha saputo conservare il fuoco sacro del sapere e del gusto, per confidarlo a mani più destre, non merita il nome di barbara . Se questo deposito sa- cro non ha prosperato dopo fra noi, bisogna cercarne il motivo nel cambiamento di religione , nel governo mi- T. III. Settembre 30 | 468 litare sotto il quale fummo obbligati a vivere , e nelle sciagure dei tempi. Torno ai Greci moderni. 1 Turchi dopo tre secoli di devastazioni di massacri e di guerre cominciarono a riposarsi . Dall’ epoca in cui dovettero abbandonar |’ assedio di Vienna, fu permesso ai Greci di respirare . L’ Europa culta prese la superio- rità. 1 Turchi conquistatori feroci non attaccarono più; anzi furono ridotti alla necessità di difendersi. Il com- mercio si estese, ed arricchì anche i Greci. Allora comparvero le scuole, e si moltiplicarono i libri. Verso la fine del 17° secolo le scuole di Smirne, di Jannina, l di Voscopoli e d’ altre città greche ricevettero regola- menti più utili, ed ebbero direttori più istruiti . Sebbene la lingua greca modernà abbia molta ana- logia con quella degli antichi Greci, si riconobbe la necessità di scrivere nella lingua volgare. Al principio del 18.° secolo, un degno ecclesiastico, che giunse dopo alla dignita d' arcivescovo di Gerusalemme, trovandosi a Parigi scrisse la prima geografia in greco moderno, e disegnò la priuza carta greca. Contemporaneamente altri dotti si valsero della lingua volgare per scrivere _ sopra altri oggetti, specialmente sui principj dello stile. Non parleremo degli eruditi, cne trattarono altre mate- rie nella lingua letteraria. I nomi di Maurocordato e di Cantemiro appartengono a quei tempi. Qualche anno dopo il rispettabile arcivescovo d’A- tene Melezio , che nacque e fu educato a Jannina scrisse una geografia universale, nella quale ha mostrato che conosceva perfettamente la Grecia. Scrisse pure in greco moderno una istoria ecclesiastica . L’ altre sue opere non sono state stampate; perciò non le citeremo. La repubblica di Venezia era il governo più tolle- ‘ rante di tutta l’ Europa per i Greci. Dopo aver molto ie» Aletti cent nn in cn A _ 464 contribuito alla rovina dell’ Impero d’Oriente, Venezia fu l’asilo dei Greci disgraziati. 1 suoi sudditi erano in parte Greci. Sotto il suo governo i Candiotti aveano in- cominciato a correggere il dialetto nazionale, nel quale scrissero parecchie opere; ed alcune son degne d’esser lette anch’ oggi per la loro originalità . Se i Turchi non conquistavano Candia , gli abitanti di questa bell’ isola sarebbero forse divi i Toscani della Grecia. La celebre università di Padova ebbe ed ha anch’ oggi tra i suol più rinomati professori var] Greci di Candia, e della Jonia . Si aggiungano ì privales j di commercio che Venezia offriva ai Greci, e s' intenderà perchè i dotti della Grecia vennero a stabilirsi a Vene- ‘zia, ove eressero una stamperia per i bisogni di tutta la nazione, e ove pubblicarono i più celebri classici na- zionali . Verso il 1750. tradussero e stamparono l’ istoria antica di Rollin, e l’opere dell’immortal Fenelon. Pub- blicarono pure altre opere interessanti, fra le quali un dizionario greco-latino-italiano-francese e greco moder- no, e una istoria universale. Contemporaneamente Ta- rea altro ecclesiastico diede alla luce una terza geografia. Ed eccoci all’ epoca più memorabile della Grecia mo- derna , in cui incomincia a spiegarsi fra i Greci l’amore degli studj, e in cui progrediscono rapidamente nella carriera delle lettere. Si stabiliva allora una celebre scuola al monte Athos. La ‘dirigeva il famoso Eugenio Bulgari, che di- venne dopo arcivescovo in Russia per nomina di Cate- rina II. Quest’ uomo degno dell’ alta riputazione che gli fu accordata , introdusse i metodi dell’ Europa moderna nella sua scuola. Si sarebbe presa per la scuola di Pitta- gora, tanta era la stima che inspirava l’istitutore, e tanto 470 le sue lezioni erano frequentate . Ma lo spirito monastico si pose in agitazione, e il direttore fu obbligato d’ abban- donar la scuola e la Grecia. Viaggiò in Alemagna, quindi si ritirò in Russia, ove scrisse molte opere, fra 1’ altre una istoria ecclesiastica. Fece pure varie traduzioni, spe- cialmente quella di Virgilio in versi Omerici, e d'un opuscolo di Voltaire sulle discordie della Polonia. Si può )rimproverargli solamente d'aver tentato di rimettere in uso l’antico greco, con che ritardò molto i progressi della letteratura ; i suoi discepoli non hanno ardito ad eccezione di pochi di preferire il greco moderno. Un’ altro ecclesiastico , 1’ arcivescovo Teodoki, scrisse parecchie opere sulle scienze, fra le quali un trattato elementare di mattematiche, uno di geografia, uno di fisica sperimentale; ma fece ugualmente uso della lingua antica, e preferì la lingua volgare solamente per i sermoni e per qualche opera polemica. Il dotto Mesiodax, uno de più istruiti discepoli di Bulgari scrisse contro l’ uso della lingua antica, e com- pose o tradusse un trattato di miclaGibifas uno sh geogra- fia, e un’opera sull’ educazione; il tutto in greco mo- derno . Contemporaneamente comparve alla luce un gran numero di libri di pietà , di grammatica, pole- mica, istoria, e di traduzioni di commedie italiane. Si conosceva già il bisogno di studiar la lingua francese. Verso il 1790. stamparono a Vienna un dizionario francese italiano e greco assai buono; servi per diffon- dere lo studio delle due lingue. Dopo il regno del tolle- rante Giuseppe I. Vienna era succeduta a Venezia per i Greci. I libri greci si stampavano quasi tutti nella prima, come oggi . Comparve allora la geografia di due ecclesiastici, Bagiut e Daniel, la quale è scritta con calore ed Stidmiblivi Nell’istesso tempo il famoso e di- DI 474 sgraziato Rigas pubblicava a Vienna un trattato di fisica popolare ed altre opere. Quest’ infelice fu la vittima d’un sospetto. I Greci di Vienna presi dallo stupore “perla sorte di lui cessarono di seriveve. La traduzione del viaggio d’ Anacarsi restò interrotta; n’ erano pub- blicati due volumi. Ma la Francia e Parigi sopratutto eompensò ampiamente la nostra perdita. Due altri ec- clésiastici, dopo aver terminati gli studj in Italia, ven- nero a perfezionarsi a Parigi, dopo di che ritornarono in Grecia per insegnare uno a Scio, l’altro a Kidonia nell’ Asia minore. Il primo incominciò dal professare a Costantinopoli, ove si è tentato di stabilire una scuola sul modello di quelle dell’ Europa culta. Questi due dotti insegnano le mattematiche, la geografia, la fisica sperimentale , promuovono il gusto deila lingua fran- cese, e fanno così molti allievi appassionati per le scienze moderne, i quali viaggiano poi per V Europa, onde istruirsi di più. Nel medesimo tempo sì son perfezionate due altre scuole della Grecia, una a Jannina e Vl altra a Buka- rest, nelle quali si consacrano più particolarmente allo stadio delle lettere . I giovani che le frequentano ven- gono dopo nelle università dell’ Europa per terminar: gli studj. Esiste a Jannina un’ altra scuola, in cui un professore si è molto applicato alle mattematiche, e ne ha stampato un corso; disgraziatamente non conosceva nessuna lingua moderna ; così ha dovuto scrivere in greco antieo . 1 suoi figli succedendogli nella cattedra ne han seguito l’ esempio. { Giannina per l amor di patria, onde sono ani. mati i suoi abitanti, e per gl’ incoraggimenti, che dan- no all’istruzione pubblica, dovrebbe divenir 1’ Atene della Grecia moderna, Benchè al cader della repubblica 472 di Venezia ì suoi negozianti perdessero molto, non lascia- rono mai di dar nuevi soccorsi alla scuola, e di prov- vederla di buoni libri, fra i quali I’ opere di Monte- squieu, di Buffon, di Rousseau, d’Elvezio, di Voltaire, di Condillac, le due enciclopedie e molti altri. I giovani studenti ricevono sempre nuovi incoraggimenti. Oltre le scuole descritte , la Grecia aveva un gran ‘mumero di scuole inferiori, di elementari, che sussi- stono ancora, e si moltiplicano ogni giorno ; è inutile di nominarle . Entriamo piuttosto nel 19.° secolo , che è per i Greci un'epoca memorabile. . I dotti Greci stabiliti a Vienna hanno ripreso co- raggio. La chimica filosofica di Fourcroy, la gram- matica delle scienze fisiche di. Martin Inglese, il compendio d’ astronomia di Lalande, la filosofia mo- rale di Soave , e molte opere istoriche dramimatiche e letterarie sono state tradotte ‘in greco moderno, e stampate a Vienna. Il celebre Coray continua senza interruzione .i suoi lavori tanto, utili per la nazione , e tanto gloriosi per lui. Ha pubblicata una versione del trattato vv delitti e delle pene di Beccaria ; ha fatta una nuova edizione del romanzo d’ Eliodoro , e fin dal 1805 sta pubblicando la gran biblioteca, greca , ogni volume della quale incomincia con opportune| rifles- sioni sull'autore, sul suo stile e sulla materia che tratta, e ciò che è più utile per i lettori Greci , i suoi discorsi preliminari scritti in lingua volgare con una forza, chiarezza e precisione ignota nell’ calloso opere greche, sì aggirano tutti sul modo i studiare e di perfezionare la lingua moderna , di comporre grammatiche , trattati di rettorica , e di poetica , sull’ utile dell’ istruzione , e sopra i suoi rapporti colla filosofia speri imentale,sul mo- do di formare i professori , e ‘di perfezionar le scuole , 475 e ciò che interessa anche di più, i discorsi di Coray son pieni di saggi consigii, e di calde esortazioni dirette alla gioventù , cosicchè ha effettuata scrivendo una vera rivoluzione intellettuale nella Grecia . In conse- guenza dei suoi consigli si è accresciuto il numero dei professori nelle scuole , e l’ardore dei giovani per ve- nire a perfezionarsi nelle università. dell’ Europa; si son pubblicati due dizionarj della lingua antica uno a Vienna; e l’altro a Costantinopoli ; si è introdotto l’uso delle opere periodiche , tre delle quali. si stampano a Vienna, una a Parigi, una a Londra, e un’altra si stamperà fra poco a Bukarest. Tanti lavori, tanti progressi che ne son derivati nella cultura, non potevano fare. a meno di suscitar molti gelosi a Coray, e di risve- gliar la bile dell’amor proprio offeso dalle sue critiche, le quali sono impiegate qualche volta senza riserva , ma sempre in termini generali, e non sono mai dirette nè contro gli scrittori nè contro gli scritti. Codrika ate- niese , autore. d’un opera che porta per titolo -- Studio della lingua greca - è entrato fra gli altri male a propo- sito in discussioni odiose ed ingiuriose contro quest’uo- mo rispettabile ed istruito . Venezia non è restata indietro per sempre. Un dotto Greco..vi ha stampate varie traduzioni dal la- tino , dall’ italiano ,. dal francese ; e ci ha dato un buon dizionario italiano-greco . Il dizionario di Gazes, i due primi volumi dell’ istoria di Millot son venuti alla luce ugualmente a Venezia. Le stamperie di Vien- na e di Venezia han pubblicato successivamente un compendio dell’istoria greca, una versione del com- pendio di Goldsmith , una seconda versione del Te- lemaco , due trattati elementari di mattematiche , il più completo de’ quali è quello di Kumas, a cui va 474 unito un trattato elementare di fisica. Kumas hé tradotti gli elementi di chimica d° Adet, Y Agatone di Vieland, ha dato un compendio di fisica per le scuole elementari , e ultimamente un corso completo” di filosofia, di morale , e d’ estetica , secondo i prin-: cipj dei filosofi tedeschi. Kumas ha pure stabilita una scuola a Smirne col soccorso de’ suoi dotti colle- ghi i fratelli Economos, ed liti fatti molti allievi di distinzione . Economos il imaggiore , curato rispetta- bile, senz’ esser mai uscito dalla Grecia è giunto ad imparare quattro o cinque lingue ;'ha pubblicato un corso di belle lettere benissimo scritto , e il quale può: dare una idea dei progressi delle scienze ‘frà i Greci. Due altri fratelli, i Capetanaki, han tradotta ‘dal ‘tede- sco l’icunologia di Bertuch, el la ‘sua geografia ‘ele- mentare. Lavorano da 5 anni per dare'una geografia completa; la descrizione della Turchia'non può man- ‘care d’interessare anche i più dotti ‘dell’ Europa . Non ho parlato delle molte grammiatiche della lingua letteraria , nè di quelle che' possono ‘ ‘servire per lo studio della lingua francese , italiana, e ‘tede- sca; ho pure omesso un secondo gradini greco -. francese stampato per la prima volta a Parigi, e ri- stampato a Venezia , e tre edizioni ‘del dizioni francese - greco, le quali dimostrano quanto lo studio della lingua francese è Preto nella Grecia . i Anche la lingua italiana è molto divulgata tra i Greci; ma la Sodo piuttosto utile per i negozian- ti, che necessaria per i letterati (c) . | (e) Qudato: tratto d’ adulazione sfuggito all’autor della me- moria in ossequio della lingua Eolo merita ‘una ‘ nota | É falso che i letterati greci non trovino necessario lo studio della 495 La lingua tedesca è conosciuta dai Greci, che han fatti gli studj 1n Alemagna; alcuni sanno anche l’ inglese. I Greci moderni non lasciano neppure di studiar la lingua greca antica , che è sempre la lingua della Chiesa e degli uomini istruiti. Ci resta qualche opera dei due secoli posteriori alla conquista dei Tur- chi, in cui si può verificare la cognizione perfetta , die si conservava allora della lingua letteraria. Nell’ul- timo secolo la studiavano molto più; e dal principio del secolo presente la studiano secondo i principj del- la sana filosofia . Ne dobbiamo il primo impulso a Lambros professore di letteratura. greca alla scuola greca di Bukarest . Coray ci ha insegnato il vero me- todo di studiarla utilmente . L'. edizione dei classici greci era cominciata a Venezia ; gl’illustri mecenati della Grecia; i fratelli Zosima , la confidarono dopo al dotto Coray . Duca, altro dotto greco ha data a Vien- na una edizione di Tucidide, degli oratori Ateniesi, d’ Erodiano , e ‘d’altri autori di second’ ordine. La predilezione dei Greci per Omero; patriarca d’ ogni letteratura , è un ‘fatto degno d’ osservazione . Omero dimenticato dopo il regno di Giuliano, Omero che durante l'impero d’ oriente non richiamò l’attenzione lingua italiana , e, chela credano utile solamente i negozianti . Tutti i giovani che vengono all’ università di Pisa parlano as- sài bene l’ italiano ; qualcuni anche più correttamente di noi ; ciò prova che prima di venire in Italia studiano l'italiano e per principj. Dirò di più : sopra 100 scuolari greci che parlano l’ italiano se ne trovano appena 8, o 10 che parlino francese. Ora dimando : i Greci che vengono alle università d’Italia vi vengono per fare il negoziante o il letterato ? E studiando le scienze e le lettere in Italia, leggono opere francesi, o ita- liane ? Nota del trad. 476 d'altri che dell'arcivescovo Eustazio, ha ottenute negli ultimi 20 anni quattro edizioni , Vultima delle quali è accompagnata da una traduzione in greco moderno ed in versi. Dopo la distruzione dell’ impero. d’ o- riente, Omero ebbe qualche commentatore , ed an- che qualche traduttore fra i Greci, ma in 15 secoli, che scorsero tra la morte dell’imperator Giuliano , e la distruzione totale dell’ antica religione dei Greci , non l’ hanno mai tanto studiato ed. ammirato come oggi. Ci è grato di vedere in questa predilezione per Omero un gran cambiamento nel modo di pensare dei Greci. Non sì son più limitati a tradurre i capi d’ opera poetici dell’ Europa culta ; han fatti dei versi originali. Il fuoco divino che animava i favoriti, delle muse nella Grecia antica , si ritrova nelle poesie liri- che di Christopulo , nelle poesie drammatiche di Ja- covaki , nelle satire, nei poemi didattici, e nel Dio- mede poema epico di Perdicari, Oltre le scuole già rammentatene hanno stabilita recentemente un’ altra nel monte Pelion ; la dirigono due rispettabili ecclesiastici , che han fatti i loro studj nell’ università d’ Europa. Anche i due professori della scuola d’ Atene , ristabilita sul metodo di quelle dell'occidente, si sono istruiti nelle università di Fran- cia, e d’Italia . Atene riceverà ben presto due altri professori da Pisa e da Gottinga . Si può noverare fra le scuole greche anche quella di Jassy in Moldavia , perchè i professori e gli scuolari sono in gran. parte Greci. Secondo notizie recenti si devono riformare le scuole di Jassy e di Bukarest ; il merito dei professori che vi son destinati porta a sperare, che le due scuole diverranno una specie di università . 477 Ma la scuola di Scio merita più di tutte la nostra attenzione . L'isola di Scio, neila quale risiede il popolo più industrioso della Grecia, la quale gode una libertà e una sicurezza più grande che il resto della Grecia , e nella quale esiste un governo municipale degno di ecci- tar l'invidia dei popoli anche più indipendenti non ha mai mancato di scuole; ma da una diecina d’ anni in quà , grazie ai consigli di Coray originario dell’ isola , l’ istruzione si avanza qui a gran passi verso la perfezio- ne, e la sua scuola è divenuta la prima di tutta la Gre- cia. Vi contano 14 professori (d), e deve aggiungervisi fra poco Glaraki , giovine di Scio , che ha studiato con gran successo in Alemagna , ed ha passato l’ ultimo in- verno a Parigi. In pochi anni Scio avrà altri tre. pro- fessori , due dall’ Alemagna, e uno da Parigi. Oltre la lingua letteraria, che studiano profondamente. impara- no a Scio il latino , il francese, Vitaliano, ed il turco; si applicano inoltre alle mattematiche , alle scienze fisiche, e sopratutto alla chimica , il professore della quale ha frequentate le lezioni di Thenard a Parigi, ed ha tradotto il suo corso di chimica . V’ è infine una biblioteca (e) ed una stamperia . Tutte l’ altre scuole son fondate sugl’ istessi prin- cipj, e s'insegnano in tutte gli elementi di mattema- tica, le scienze fisiche, e le lingue . So che queste scuole non son niente in confronto dell’ università dell’ Europa culta ; ma se;si fa atten- zione allo stato politico della Grecia , i suoi progressi desteranno maraviglia , e i dotti applaudiranno ai (d) e più di 800 studenti. N. del trad. (e) di 36,000 volumi. W. del trad. 478 grandi sacrifizj, che fanno i Grecì moderni per tor- nare nel numero de’ popoli culti . i Bisogna 6 agi da ;, che oltre le scuole d’ una classe superiore, non v’ è città nella Grecia, che non abbia una scuola per la lingua greca, e non v'è vil- laggio, di qualche importanza ,-che non abbia un maestro per insegnare ai fanciulli a leggere e a scri- vere. Da qualche tempo sì è stabilita fra gli abitanti di tutte le provincie una emulazione generosa; da ogni lato si cerca di perfezionar le scuole; e di moltipli- carle . Chi conosce in quale oppressione son tenuti i Greci dai Turchi , quanto gli usi dei popoli culti so- no in odio tra i musulmani , qual guerra fanno a tutte l’arti liberali, in quante maniere attaccano la sicu- rezza personale, deve meravigliarsi dei progressi dei Greci . É uno spettacolo unico nell’istoria , che si ve- da una nazione illustre ma decaduta dalla sua antica civiltà , far' continuamente nuovi tentativi per ripren- dere il suo’ posto a ‘dispetto dello stato precario , e della schiavitù politica in cui si trova . Per conoscere la verità della nostra asserzione , basta gettar gli occhi sugli altri popoli, che fan parte dell’ impero Otmanno . Questo stato colossale è po- polato di maomettani e di Cristiani. I primi appar- tengono a tre nazioni , i Turchi, che sono i più nu- merosi } igli Albanesi, e gli Arabi. Niuna delle tre nazioni ha fatto un passo verso la civiltà . I Turchi più di tutti mostrano un odio invincibile per ogni specie di miglioramento; sebbene rispettino il governo, non mancano mai di ribellarsi , quando tenta d' intro- durre nelle armate la tattica militaredei popoli cylii . 479 I Cristiani son divisi in due chiese, la greca , e l’armena. Non parlo della chiesa. latina , perchè ne esiste appena un'ombra. La chiesa greca è com- posta da tre nazioni diverse d’ origine di costumi e di lingua , i Greci, i Bulgari, ed i Valachi. Gli ulti- mi son meno oppressi di tutti, perchè godono di certi privilegj politici, che non sono accordati agli altri. Gli Armeni son molti, e più ricchi dei Gre- Ma qual differenza fra la civiltà dei Greci, e quella dei musulmani, e quella anche degli Armeni dei Valachi e dei Bulgari! Lo straniero istruito che conosce la lingua greca , quando si trova tra i Greci si crede nel proprio paese , quand’ è fra l’ altre na- zioni dell'impero, si avvede subito che è in un paese straniero . Non voglio fare un merito ai Greci dell’ inclina- zione che mostrano per | incivilimento , nè rappre- sentarla come un pregio esclusivo di questa nazione. Senza dubbio il Greco conserva sotto il bel cielo del suo paese nativo le prerogative naturali , che distin- guevano i suoi illustri antenati; ma queste non baste- rebbero per inalzarlo sopra i suoi compagni di schia- vitù . Questa tendenza all’ incivilimento la deve alle grandi rimembranze , delle quali ha piena |’ 1magina- zione , agli avanzi della sua antica culiura ( perchè in fine non è mai caduto nella barbarie, chechè se ne dica ) infine alle sue relazioni coi popoli pi dell’ Eu- ropa , fra i quali i nomi e le glorie degli antichi Greci risuonano nelle scuole nelle accademie e nei teatri . Tutti questi motivi lo hanno portato a rivolgersi alla cultura delle lettere , sorgente inesauribile di con- solazioni nelle sciagure , e mezzo efficace per addolcire anche 1 despoti più feroci. Le ricchezze che alcuni ) {80 Greci hanno accumulate per la via del commercio, il declinar continuo dell’ impero Otmanno, il quale ha lasciato respirar per qualche tempo questo popolo infe- lice, gli han procurati i mezzi di gettarsi nella car- riera degli studj. In mezzo a questa nazione dotata d’ una sensibilità estrema , e. d’ una attività preziosa , l’ istruzione pubblica e le lathorò son divenute lo scopo di tutte le risoluzioni utili, e il mezzo d’ acquistar distinzioni . S1 son veduti , e si vedono tuttora parecchi uomini facoltosi; che spendono grandi somme per fon- dar nuove scuole, per riformar le antiche, per ristabilir quelle , che furono distrutte dalle atroci rapine del go- verno turco; che pagano le spese delle stamperie , e ciò che è più utile contribuiscono colla propria gene- rosità a perfezionare l’ educazione dei giovani greci . In grazia di questi uomini rispettabili i giovani fre- quentano le università dell’ Europa culta , le quali sa- rebbero diversamente inaccessibili ad una nazione as- sai povera, la quale è esclusa da ogni impiego civile e militare, e presso la quale sono sog ggetti ad essere spo- gliati da un governatore avido ed iniquo tutti coloro che passano per riechi. Non deve dunque recar me- raviglia, che la Grecia mandi e mantenga più di 200 giovani nelle università dell’Italia, dell’Alemagna , di Francia, ed anche dell'Inghilterra , in cui il vi- vere costa sì caro. Certamente una perseveranza tanto costante e tanto poco favorita dalle circostanze, che servono ad inalzar l’uomo, non appartiene ad un po- polo barbaro, o almeno degenerato, come si vuol rappresentarlo. La nazione greca per riprendere il suo posto tra i popoli culti non ha bisogno di con- fondersi con altre nazioni ; il fuoco divino che ani- . mava i nostri antenati arde ancora ;e dimanda solo 481 circostanze più propizie per illuminar di nuovo tutto l’ impero dell’ intelletto umano . Si è criticato il clero greco, e si è voluta rap- presentar la nazione a cui appartiene come un’ orda di fanatici, pronti a massacrar tutti i Cattolici nel primo momento di libertà . I preti greci non sono scevri di. difetti; ma non si devono confondere coi monaci , che son tutti d’un ordine solo ( di S. Ba- silio ) per conseguenza meno numerosi di quelli della chiesa ‘cattolica , e ‘i quali a dir vero non godono di molta considerazione. Non si vuol riflettere, che i no- stri parrocchi son tutti mariti, e padri di famiglia ; per conseguenza non possono imbeversi di princip] inumani ed antisociali . Si è citato un libello pub- blicato da un eremita del monte Athos contro. il sa- pere delle nazioni culte dell’ Europa, e nel quale parla del pericolo, che corre la religion Cristiana co- municando con certa città dell’ Europa, in cui si ebbe l’impudenza di pubblicar l'ateismo . Si è preso quindi motivo di dire : Vedete come scrivono i Gre- ci! vedete come la pensano! ma noi risponderemo con ragione: Che ha da fare la nazione greca col li- bello d un eremita? Non si deve piuttosto argomen- tare il ‘contrario dalla condotta degli altri ecclesiasti- ci, i quali han raccomandata a gara ed introdotta fra noi la filosofia; e la letteratura moderna dell’ Eu- ropa ‘culta ? Nom era necessario perciò d’ essere in re- lazione intima colla Grecia ; bastava affacciarsi alle stamperie greche di Vienna e di Venezia, per veder quali opere vi si pubblicavano , e la professione de- gli editori, quasi. tutti ecclesiastici . Del resto non esiste forse in tutti i paesi dell’ Europa culta qual- che censore della filosofia moderna ? non si è veduto 482 qualche ministro del culto, dimenticando la santità del proprio carattere, scatenarsi .in ingiurie violente contro un’autore, che parla della dignità dell’ uomo? Con qual diritto da una invettiva simile sì trarrebbe la conseguenza , che la nazione presso la quale si è pubblicata, sia nemica delle lettere ? Si potrebbe an- che addurre in favore dell’ eremita greco una scusa, che non può ammettersi per i declamatori dell’ Ku- ropa culta . La religione sola ha salvati i Greci dalla distruzione . Si promettono dai musulmani tutte le grazie, tutti 1 favori ai Greci che vogliono abbracciare l’ islamismo; ma quelli che ne profittano , rinunzian- do alla religione nazionale , rinunziano anche, alla lingua, alla gloria, a tutto ciò che appartiene alla na- zione . Senza la religion Cristiana non vi sarebbe dunque più un Greco. Alcuni Greci, che in questi ultimi tempi sono stati in Europa e sopratutto in Francia, han mostrato, tornando in patria, di criticare non solo gli abusi della chiesa greca , ma anche i suoi princip] . Non era dun- que affatto irragionevole l’ eremita , che voleva preser- var la nazione da una corrispondenza così pericolosa ; bisogna compatirlo , perchè non ha saputo distinguere la vera filosofia dell’ Europa dalle opimioni dei sofisti . , Quanto alle pretese superstizioni dei Greci, me- riterebbero piuttosto la qualificazione d’ indifferenza . In gran parte della Grecia si son dimenticate le, di- scussioni fra le due chiese . Tutti condannano il di- sgraziato scisma , che ci è costato sì caro, e tutti si dol- gono d’ una divisione di tanti secoli . Ho rappresentato in poche parole lo stato politico della Grecia ; forse è necessario di ritornarvi , perchè senza conoscerlo esattamente , non è facile di, formarsi 483 una idea giusta delle sciagure dei Greci, nè dei tenta- tivi che fanno per sottrarsi all’ oppressione . I Turchi , come tutti sanno , sono un ramo della gran famiglia dei popoli’ Tatari. Quando comparvero per la prima volta nell’ Asia occidentale vi distrussero le scienze e la civiltà degli Arabi. Per quattro secoli re- starono senza cultura.Nel 14secolo fondarono un nuovo impero, quello degli Otmanni, ed entrarono sotto que- sto nome in Europa . Nella seconda invasione distrus- sero l'impero d’ Oriente , e quasi ogni germe di civiltà greca. Nel principio del secondo periodo, a forza di co- raggio e di perseveranza , s' impadronirono di molti stati. Profittarono anche di qualche scoperta dei popoli moderni nella disciplina militare; ma in tutto il resto son sempre come in principio fanatici , sanguinar), ne- mici del sapere e della civiltà ; dispregiano altamente le belle arti, e si fanno un punto d’ onore di non sapere altre lingue che il turco l’arabo ed il persiano. Era ne- cessario per 1 Turchi il governo militare, e da cinque secoli in quà non ne conobbero altri.Amministrano oggi un impero immenso,come amministrerebbero un paese occupato jeri; hanno imitato una istituzione araba, adottando la divisione del poter civile e giudiciario ; il primo è onnipotente. 1 governatori delle provincie rappresentano il sultano , ed esercitano al pari di lui il potere supremo ; giudicano , spogliano , e sovente deca- pitano tutti coloro dei quali vogliono disfarsi . Cotesti governatori senza salario , e senza mezzi certi di sussi- stenza , e coll’obbligo di tenere un seguito numeroso, sì fanno pagare dagli abitanti delle provincie , e si ar- ricchiscono sempre per mezzo di atrocità e d’ ingiusti- zie . Igiannizzeri non son meglio pagati dal governo ; così quando sono in numero, non mancano mai di di- T. III. Settembre - 3I 484 venir tanti piccoli tiranni; non solo vivono a spese dei Cristiani, ma gli massacrano qualche volta sotto i più leggieri pretesti . Quando il governo era più vigoroso, se gli abitanti d’una provincia si lagnavano del governatore ,-la Porta lo faceva decapitare ; ma le vittime della sua rapacità non ricevevano mai un compenso . I tesori del gover- natore andavano e vanno ad accumularsi nel gran te- soro del Sultano . Si aggiungano le guerre interne ed esterne , la pe- ste , la preferenza ingiusta che il governo accorda agli stranieri nel commercio, per cui pagano il 3 per 100, mentre i sudditi devono pagare 10 e più; l’ esclusione dei sudditi Cristiani da ogni impiego ; e potremo for- marci una idea dello stato miserabile in cui si trovano. Pure tale è lo stato , in cui vivono i Greci da quattro secoli ; e sotto un governo tanto oppressore son giunti a crearsi una letteratura , e a coltivare quasi tutti i ra- mi del sapere umano. L’arte della stampa, che non ha mai potuto introdursi fra i Turchi a dispetto del volere onnipotente dei Sultani si è stabilita tra 1 Greci. Oltre le grandi stamperie di Vienna e di Venezia , è rinno- vata quelia di Bukarest, perfezionata quella di Costan- tinopoli; ne è introdotta una a Scio, ed una a Kidonia . L’ opere periodiche non mancano per la propagazione dei lumi; l Hermes logios a Vienna non la cede a molte opere periodiche dell’ Europa culta. La vaccina e l’ insegnamento reciproco progrediscono ugualmente in tutta la Grecia . iù i Tutto ciò che abbiamo detto dei Greci prova senza replica , che questa nazione non è degenerata , come lo han detto certi viaggiatori leggieri. Si presen- tino circostanze più propizie, e si vedrà tornare nel 485 posto de’ suoi antenati . Ma fra i molti ostacoli che la reprimono, bisogna pur contare anche la politica di al- cuni stati dell’ Europa cristiana! Il capo d’ un governo gigantesco , che non esiste più , consigliava al divano di raddoppiare di vigilanza sopra i Greci. Certamente il consiglio era inutile, a meno che non si volesse esterminar la nazione . È dif- ficile che provi un destino più tristo di quello , che l’ opprime da tanti secoli. I Greci cercano di addolcir- lo ; tentano di trovare un conforto nella cultura delle lettere ; si dovrebbe incoraggirli, non calunniarli. Tutto ciò che fanno non dimostra un popolo barbaro , ma un popolo degno di più felice stato . G.R. P. SCIENZE MORALI E POLITICHE STORIA Dell istoria di Milano del cavaliere CanLo DE’ Rosmini roveretano. ‘Tomi quattro in 4. Milano 1820. dalla Tipografia Manini e Ri- volta. uando pervenne alla notizia del pubblico, che il sig. Cav. Rosmini erasi accinto a compilare la storia di Milano , i dotti non seppero che bene sperarne . Mossi furono a ciò dalla fama ch’ egli a buon dritto acquistata si era mercè delle non poche e copiosis- sime vite d’ illustri uomini mandate già alla luce. delle stampe. 486 | Dir si potrebbe ora che ha con quest’ opera) assai più che le or mentovate difficile ed estesa, superato le concepite speranze, se non sì sapesse che gli uomini di chiaro intelletto e di molta dottrina al crescere delle difficoltà crescono essi pure di coraggio e di forze; onde von può esser posto limite alcuno alla espettativa che di loro si abbia . Questa, storia, compresa in un’Introduzione, e in diciotto Libri, è dedicata a S. E. il sig. Conte D. Gia- como Mellerio. Consigliere intimo attuale di stato di S. M..L R. A. il quale largamente favoreggia le lettere non per vano: fasto che. gli ispiri l'ampiezza della domestica fortuna, ma perchè egli medesimo molte di esse si. conosce. L’ Introduzione incominciando dalla origine di Milano, perviene, di mezzo a tempi scarsi in notizie ed oscuri; all’arnino 1152, nel quale colla elezione di Federigo Barbarossa in Re della Germania ebbero prin- cipio quei grandi sconvolgimenti, che lungamente af- flissero la bella Italia. Muove da quest’ anno mede- simo il primo dei nominati diciotto Libri, co’ quali sì giugne al 1535, nel qual anno; Milano cessò d°’ esser capo e metropoli di nazione. Fu opinione, al riferir di Livio, che Belloveso, regnando in Roma Tarquinio Prisco, fondasse Milano. Questa opinione, che piacque eziandio al Machiavelli, ibbracciata è pure dal sig. Rosmini, che a ragione la preferisce alle manifestamente favolose dei patrii cronisti. Illustre città fu Milano ancor prima che i Ro- mani ne facesser conquista, e illustre si mantenne sotto di loro; sì che, nel secolo quarte dell’ era nostra ri- guardayasi come la seconda metropoli d’ Italia. Molti 457 dei Romani Imperatori vi fecer dimora e ne accreb- bero lo splendore, in ispecie Massimiano Erculeo, che la cinse di larghe e forti mura. E se co Romani stessi decadde allorchè alla rovina d’ Italia scesero i barbari dal settentrione, non si spense nei suoi cittadini il valore e la grandezza dell’ animo, con che diritto si acquista a lode verace. Non.vi fu infatti disgrazia che i Milanesi avvilisse, o rimaner gli facesse dal tentare ed ardire, sia coll’ armi, sia col consiglio, tutto ciò che atto vedessero a mantener loro la dignità nazio- nale, o a farla loro ricuperare, se perduta mercè d’in- fortunio . Ma se gl’insigni fatti d’ un popolo porgono sem- pre bel subietto alla storia, non è però facil sempre avvenirsi in istorico, il quale abbia forze che uguaglino la materia. Sono queste nel sig. Rosmini; e mercè del suo libro or può dirsi che Milano veramente ha storia. Egli è s1 diligente e leale, che a testimoniare i fatti che narra, cita appiè della pagina gli scrittori, onde gli ha tratti. Se trovi esser questi discordi , pre- ferir suole con savio discernimento ad ogni altra l’ autorità dei contemporanei; e se i contemporanei vadano in diversa sentenza, il sano suo criterio gli è scorta al giudizio . Egli è poi sì libero dallo spirito di parte (il quale non solo si appiglia ai raccontatori delle ‘cose che videro, o in che furono; ma sovente anche a quei che scrivono fatti da lungo tempo avvenuti) chè lo- devoli geste o vituperabili egli narri di quei che amici od avversi furono ai Milanesi, e di questi mede- simi eziandio, nè con pompose parole mai le ingran- disce, nè mai l’ estenua con iscaltre. Quantunque presso che ogni pagina somministrar possa argomenti 498 di ciò che affermiamo, ne danno di specialissimi i caratteri che brevemente egli fa di quei personaggi , i quali han gran parte nella sua storia . In esser rapido ha, con ottimo successo, posta ogni cura. Egli stesso lo ha avvertito nella dedica- zione del libro, la quale vuole anche esser letta, per- chè per le cose, che in succinto vi si discorrono, può tener vece di prefazione. Per istudio di questa rapi- dità, se egli lega la storia dei Milanesi con quella degli altri popoli o delle generali vicende, il fa solo in quanto gli è mestieri, e lo esige amor di chiarezza. Per la medesima cagione schifa e i lunghi ragiona- menti e le prolisse discussioni su’ principj e i pro- gressi delle arti e delle lettere, sulle istituzioni e so- miglianti cose, intornovalle qual dissertar dee quei che detta trattati, e mai non può lo storico, se non con manifesto danno dell’ effetto e del calor dei racconti. Che se egli è ufficio dello storico, il quale non voglia veder sè confuso tra la turba dei freddi Diaristi, il conoscere profondamente le cose, delle quali scrive, e farle del pari conoscere ai suoi lettori, debbe egli anche saper trovar modo di far quest’ ultimo con sagacissima brevità. Or gli giovi addurre le grandi e principali ca- gioni; or gli serva all’ uopo una massima generale , un cenno sulle circostanze dei tempi, sul carattere d’ una nazione, o d’un uomo; la ricordanza d’un antica offesa o d’ un benefizio, ed altrettali cose, che congiunte a giudizioso legamento di fatti e a stile colto e del tenore quale desiderato è dalla/ storia, l'animo conciliano dei let- tori, che o son lieti d’apprendere agevolmente e in pochi periodi quello che risultamento è del lungo meditar dello storico, o in gran parte ascrivono alla perspicacia del proprio intelletto i giudizj, cui questi loro è guida; e 459 quasi non si accorgono della grata illusione, che tutto percorsone il libro. Ancor questi pregi abbiam noi ritrovati nella sto- ria del sig. Rosmini; e perchè sono essi di difficilissimo conseguimento , crediamo perciò che dovuta gli sia molta lode. Lodevole pur ci sembra il moderato uso ch’ egli fa delle sentenze, le quali se piacciono sponta- nee, destano ira e fastidio , quando con violenza e per ostentazione appaiano inserite . Accennati i generali meriti di questa storia, scen- deremmo volentieri ai particolari di essa , dando speci- ficato ragguaglio e della Introduzione e d’ogni libro, e riferendo anche a parola le cose più importanti, se non vedessimo che ciò in opera sì bella e di tanta mole trarrebbeci a soverchia lunghezza. Perchè però non siano al tutto defraudati i nostri lettori , ed anche si giustifichino le lodi che diemmo al valen- te ed egregio storico, riporterem per intero ciò che egli con molta brevità, e sommo discernimento, scrive nel- la Introduzione sulle cause della decadenza del romano impero ; le quali cause da sè addotte egli stesso dice esser forse più vere , perchè meno speculative . « Insino ai tempi di Diocleziano, l’ impero roma- no era stato retto da un solo , il quale all’ occasione di guerra comandava egli solo agli eserciti. Diocleziano fu il primo non già ad eleggersi un compagno, a lui però subordinato nel governo, che in ciò gli avean dato l’ esempio Marco Aurelio, e Lucio Vero, ma a di- vider le provincie dell’i impero con Massimiano Erculeo, assegnando a questo l’ Occidente , e per sè ritenendo l Oriente. Per tal maniera l’Italia fu priva delle ric- chezze che le venivano dall’ Egitto e dall’ Asia, da che i due Imperatori stabilirono la lor residenza, Diocle- 490 ziano in Nicomedia, ove profuse tesori in fabbriche d’ogni maniera perchè emula fosse di Roma (1), Mas- simiano in Treveri, sebbene poi la trasportasse per al- cun tempo a Milano. Massimiano però siccome uomo allevato e nutrito fra l’ armi fece rispettare quella por- zione dell’ impero che a lui apparteneva , opponendosi egli in persona ai Germani che l’ avevano assaltata, e battendoli in varj fatti d’armi con molta sua gloria (2). Ma Diocleziano, che già avea cominciato a go- der dell’ ozio e delle delizie asiatiche, e n’ era rimasto corrotto , minacciato essendo dai Parti, nazione feroce e non mai domata dall’armi romane, si divisò d’ affi- dar l’incarico di quella guerra a due valorosi capitani Costanzo e Galerio , e acciocchè con più fermezza ed impegno attendessero alla difesa dell’ impero ( consen- tendo a ciò Massimiano) li dichiarò Cesari, dividendo con essi in parti eguali le provincie romane. Il perchè con nuovo esempio si videro quattro corti imperiali ad un tempo: la qual cosa quanto contribuisse ad aggra- vare e a smugnere i popoli facile è immaginarsi (3). « Ma il più gran colpo che conferì ad indebolire l'impero e a disertar 1’ Italia, venne dall’ I mperatore Costantino. Questo principe per alcune eccelse virtù a buona ragione denominato grande , illuminato da Dio avea abbracciata la religione cristiana : il perchè si era creduto in obbligo di abolire in tutti i suoi stati le cerimonie, e le superstizioni paganiche. Venuto egli a Roma l’anno 326 per celebrarvi il ventesimo del suo impero, non volle, com’ era costume degli Augusti ido- (1) Lactan. De mort. Persec. (2) Mamertin. in Paneg. Maxim. Hercul. Aurel. Vict. im Epitom. Eutrop. in Breviar.' (3) Lactan, loc. cit. Denina Rivol. @’ Ital. lib. 3, t. 5 491 latri, col senato, coll’ esercito, e col popolo ascendere in Campidoglio a far ivi i consueti sagrificj a Giove Ca- pitolino, e medesimamente volle soppressi tutti que’ giuochi e quegli spettacoli che ricordavano ie gentile- sche superstizioni .. « Il popolo romano e la nobiltà, veggendosi privati di quelle feste, che formavano la loro delizia, con amare satire ed insolenti motteggi offesero Costantino, il quale acerbamente irritato si determinò di abbandonar Roma per sempre, e di fondare un’ altra città che in grandezza e magnificenza la pareggiasse, o soverchiasse, i cui abi- tatori tutti ri conoscessero, ed adorassero il vero Dio (4). Questa città fu l’ antica Bisanzio; che ampliò di sito e rese magnifica con superbi edificj così sacri come pro- fani, e volle che dal proprio nome Costantinopoli si denominasse. Per adornarla ognor più spogliò le altre città dell’impero, e Roma in particolare, di colonne, di statue, di‘metalli, e di artefici; e per renderla ricca e popolosa, accordò privilegi, esenzioni, e rendite a colo- ro che venissero a stabilirvisi, onde ben presto e per affluenza di tutte le cose necessarie alla vita, e per nu- mero e qualità d’abitatori superò Roma medesima, che si trovò abbandonata da molti de’ suoi agiati cittadini e mercadlauti più industriosi (5). Da che ne venne che l’Italia cominciò a scarseggiar di denaro, che suol sem- pre seguitare il principe ed il commercio (6). A ciò si aggiunga, che a mantener per l’ innanzi 1’ abbondanza in Italia molto contribuirono i grani che d’ Egitto e (4) Zosim. Zist. ov. lib. 2 c. 29, 30. Liban. Orat. 14, 15. Cassiod. /Zist. Tripar. lib. 1, c. 9g. lib. 2, c. 18. (5) Constantinopolis dedicatur, pene omnium urbium nu- ditate. Hier. in Chr. (6) Montesq. Grandeur et decad. des Rom. ch. 17. 492 d’ Affrica le venivano; ma da che Costantino traspor- tato ebbe la sede dell’ impero a Costantinopoli , ordinò che i grani d’ Egitto quivi fosser condotti, e che l' Ita- lia si contentasse di quelli dell’ Affrica; i quali non es- sendo, quando le annate andavano scarse, sufficienti al bisogno, ne veniva che i popoli afflitti fossero dalla fa- me, e a cangiar governo disposti. Si arroge per ultimo che l’ oro e l’ argento, che veniva un tempo d’ Oriente ad arricchir Roma e l’Italia, stagnò a Costantinopoli senza che i tributi che da Roma e dall’Italia esigevansi fossero per questo diminuiti, il che pure contribuì a di- sertarle. (7) « Ma tutti questi disordini meglio apparirono do- po Costantino. Morendo egli l’anno 337 lasciò l’ im- pero a tre suoi figlioli e due nipoti, i quali non avendo ereditato cogli stati le virtù di lui, ma molti vizj sor- tito dalla natura, ed in ispezieltà il più splendido e ad un tempo il più rovinoso, cioè una smodata ambizione, ad altro non attesero che a vicendevolmente distrugger- si, onde occupar l’uno la porzione dell’ impero all’ altro assegnata. Le guerre che quindi ebber luogo, e i cambia- menti nati in Italia, e nelle altre provincie romane, a noi non appartengono. Ci basti il dire che tali guerre distrussero il fiore di quelle milizie : cosa, per cui la vasta macchina dell’ impero si affievolì per forma, che poca resistenza potè Verna alla furia dei barbari, che si avvisarono di assaltarla . .. In sino ai tempi dell’ im- perator Costantino e nel corso eziandio del suo gover- no, le guerre che i Romani ebbero , colle proprie loro armi le esercitarono, ed avrebbero creduto cosa igno- miniosa per essi l’implorare a propria difesa braccia (7) Montesq. l. c. Machiav. Stor. lib. 1 p. 2 493 »straniere. Fu primo l’ Imperator Costanzo figliuolo di Costantino a coprirsi di questa VELSORA: perciocchè volendo egli vendicar la morte del proprio fratello Co- stante ucciso da Magno Magnenzio che ne avea usur- pato gli stati, e fattosi riconoscere dalle milizie Impe- ratore, diffidando delle proprie forze incitò con lettere e con danari i Franchi e i Germani ad unirsi con esso lui onde opprimere quel tiranno. Magnenzio seguendo a propria difesa quest’ esempio, assoldò egli pure numero grande di altri Franchi e Sassoni; e comecchè l’ Impe- rator Costanzo sia per tal modo riuscito ad abbattere l’ usurpatore che disperato si diede la morte, l’ uso di valersi di forze straniere, che fu imitato da’ principi che venner dopo, fu la ruina dell’ impero romano. « Ibarbari per propria esperienza conoscendo la debolezza degl’ Imperiali, e quanto il clima del mezzo- giorno di Europa fosse più dolce che non il loro natio, e le provincie romane più abbondanti che non le pro- prie di tutto ciò che conferisce ai bisogni, e alle deli- zie della vita, ne deliberarono in loro cuor la conqui> sta . A ciò sì aggiunga che i Cesari , che ai figliuoli suc- cedettero di Costantino o per infingardaggine, o per viltà abbandonarono in gran parte l’uso antico di mettersi alla testa de’ loro eserciti, e diffidando de’ proprj lor capitani, il comando ne davauo ad ufiziali valorosi sì ma forestieri. Costoro poco curando gl’interessi de’ nuo- vi loro padroni , agevolaron la via ai loro nazionali di ‘ assaltare le più belle e più ubertose Provincie Romane». Trascritto questo luogo della Storia del sig. Ros- 1xinì avvertiamo il lettore, ch’ei non dee credere che glielo abbiam dato come il più bello, che per noi siasi potuto in essa ritrovare . Fu nostro intendimento di presentarlo come saggio dei molti, che vi s°incon- 494 trano, i quali sono del medesimo merito e d* «aguale impor tanza . ° È mestieri anche rispetto alle cose narrate infor- marlo » che questa storia non è solo composta delle già note universalmente, ma di peregrine e finquì nascoste ne contiene eziandio. Se ne ha bella prova sol che si apra il quarto tomo, che mella massima sua parte comprende documenti inediti, i quali il- lustrano essa storia per otto libri, incominciando dal decimo , e il decimo settimo escludendo . È tra que- sti dollari inediti il Racconto della Congiura de’ Bresciani per sottrarre la patria alla Francese dominazione : Racconto il quale mercè del candore e della semplicità , con che è disteso, ammenda la rozzezza dello stile, della quale poi tanto non dee offendersi in questo genere di scritti chiunque in essi a tutte cose preferisca la santa verità . Dettollo Giangiacomo Martinengo , quegli stesso che ordì la congiura , e di cui dà notizie l’ornatissimo sig. Dottor ‘Gio. Labus nella lettera , colla quale egli intitola esso Racconto , che ha tratto da due codici di sua appar- tenenza, al sig. Rosmini. Dobbiamo al sig. Labus la cura della edizione, le tavole in rame , di che l’opera è adorna, e la il- lustrazione delle medesime . Nelle tavole apparisce diligenza e sapere, sì rispetto al disegno e sì riguardo all’intaglio ; e non ridonda perciò che in lode di quei che l'hanno eseguite , la notizia che dà il sig. Labus dei nomi di loro. Alcune di queste tavole apparten- gono ad architettura, a geografia , a topografia ; ed altre , e sono le più, a monete d’ Augusti, e dell’età di mezzo, a ritratti, e a bassirilievi ed iscrizioni ; e tutte illustrano la storia di Milano. Dalle monete 495 degli Augusti (a) si apprende, che Milano anche antica- mente ebbe zecca : e che questa non cessasse ivi col cessare dell’ impero d'Occidente , ne dà prova una. moneta d’ Anastasio , finqui inedita , nella quale è la sigla di Milano a indicar l’ officina monetale di questa città. Antichi e moderni personaggi , che in essa avut’ hanno esercizio di cariche e onore di si- gnoria , o l han colle armi protetta , o colla virtù ornata, o d’ altra guisa v hanno acquistato rinoman- za, sono quelli, dei quali si esibiscono l’ effigie . Ri- cordano le iscrizioni e religiose cerimonie e magistra- ture , e collegj d’ arti, ed ogni altra particolarità , atta a mostrare che Milano fu negli antichi tempi eziandio , come sopra dicemmo , città illustre e do- viziosa: delle quali cose tutte è bell’ epilogo nella spiegazione della tavola, che in fronte sta del quarto tomo , e comprende la pianta di Milano antica e moderna . Quantunque il sig. Labus chiami brevissima in- dicazione, ciò che ad illustrar queste tavole ha scri t- to, noi assicuriamo il lettore ch’ ei non dovrà mai desiderarvi nè ingegno, mè criterio maggiore, nè maggior copia di scelta dottrina . Anche in questo lavoro apparisce qual si reputa per gli altri che in- nanzi ha pubblicato , uno cioè dei primi archeologi d’Italia . Bellissima giudichiamo la spiegazione dell’ i- nedito monumento sepolcrale di Caio Albucio figliuolo (a) Furono disseppellite, sono tre anni , al Gernetto , de- liziosa villa del sig. Consigliere Conte Giacomo Mellerio , in numero di 273,e spettano ad undici Augusti, cioè a Teodosio giuniore , Marciano , Leone Trace, Antemio , Leone giuniore , Zenone , Giulio Nipote , Basilisco , Marco , Romolo Augusto , e Anastasio . x 496 di Vindillo, e siam con lui d’accordo in reputarlo pertinente al primo secolo dell’ era Cristiana e in credere il Gallo Vindillo e la sua famiglia di con- dizione non servile. Non possiamo che far plauso alla interpretazione dell’epigrafe d’Urbico , gladiatore del gregge de’ Secutori . Il sig. Labus assicura la lezione delle due parole PRIMO PALO, che il Gudio credè errate, il Muratori cambiò di fantasia in PRIMOPILO, e il Fabricio, il Salmasio, ed il Lipsio non inte- sero, col ricordare che Commodo, secondo Lampri- dio, Appellatus est inter cetera triumphalia nomi- na sexcenties vicies PALVS PRIMVS SEGVTORVM, e che questo medesimo Augusto s’intitolò , al riferir di Dione , nella base del suo colosso, IIpwré7zAos Zexovripwv. Le quali autorità, oltre al rendere incon- trovertibile la lezione delle due riportate parole , fan- no acquistar peso alla congettura del sig. Labus , che, adoperandosi dai Secutori spada di legno , come ne accerta Dione, questa o dalla materia , di che era fatta, o dalla sua forma, o dal palo, contro al quale vibravasi , detta fosse palus ; onde venisse primus palus, nel modo stesso che da pilum ebbe origine primus pilus e primopilus . Di pari lode reputiam degna la interpretazione della rarissima medaglia , che nel diritto ha la leggenda: DN ZENO ET LEO NOV CAES. Riproviamo col sig. Labus l’ opinione dell’ Eckhel, che leggeva NOVilissimi (b) CAESares, perchè anche a noi non par conveniente, che sì chia- mino Cesari gli Augusti, e fidatamente leggiamo coll’ Arduino e con esso sig. Labus Domini nostri (b) Per nobilissimi , adoperata la V invece della B: del che danno esempi le monete di questa medesima età. ARE 497 Zeno et Leo novus Caesar, persuasi però con questo, che il Leone della nominata moneta non sia , come credeva l’ Arduino , il figlio che Zenone ebbe di A- rianna sua seconda moglie ; ma si quello che innanzi gli nacque da Arcadia , mutatogli il nome di Zenone in quel di Leone, come talvolta furon usidi fare gli Augusti ed i Cesari . Serva aver fatto ricordanza di queste ingegnose e dotte esposizioni; dalle quali argomentar può il Lettore il merito delle altre, di che nulla quì si dice in particolare solo per non estenderci di trop- po. E perchè nemmen si sospetti, che lodando al- trui parliamo a grazia , ci farem lecito di. muover dub- bio sull’ interpretazione di due bassirilievi , protestan- do di esser pronti a ritrattare l’ opinion nostra, se al sig. Labus non sodisfi: tanta è l’autorità che crediamo aver esso in questi diflicili studj . È il primo un frammento inedito di antico mar- ,mo scoperto nella demolizione degli archi di porta Orientale , in cui sono scolpiti due grifi , che fatti do- mestici con due alati putti, od Amorini, pongono cia- scuno una delle gambe anteriori in un lebete o lance che sia, da ciascun di essi putti sostenuta. £° desso , dice il sig. Labus, il misero avanzo d’un ornato edi- fizio consacrato ad Ercole, o a Bacco, 0 ad Apollo, o a Nume insomma preso come simbolo del Sole ; al qual pianeta si voleano sacri i Grifoni dal greco e latino etnicismo. Sarebb' egli più probabile che si fosse voluta dichiarare in questo marmo la somma po- tenza d’Amore? Certo è che i sapientissimi antichi , aflin di mostrare questo nume signore ed arbitro di tutte cose, e chiarire che nulla vha, che alla sua for- za resista, lo han presentato come domator degli Dei , 498 dei prodi Eroi , e de’ più feroci animali . Ed autorità di vetusti scrittori, e vetusti monumenti citar qui po- tremmo in abbondanza, onde provare in ogni parte la nostra asserzione : Ma ce ne asterremo, avendolo fatto in altro luogo (c); e recherem solamente alcun esem- pio, che direttamente illustri il frammento del quale si parla . Nel Museo Pio-Clementino (d) è Amore su d'un carro tirato da cinghiali, e vi fu posto col divisamento già detto, com’ ha ben veduto il dottissimo Visconti ; in una pittura d’ Ercolano (e) un Amore ha aggiogato al suo carro due grifi, che sono condotti a mano da un altro Amore; e testimonia Plinio (£f) che Arcesilao avea scolpito in marmo una Lionessa con Amori che scherzavano intorno a lei. Or pare a noi che tutto que- sto possa indurre il sospetto, che a ciò medesimo abbia mirato lo scultore del bassorilievo pubblicato per la prima volta dal sig. Labus. Era pur inedito l’ altro bassorilievo, del quale osiamo ora proporre diversa interpretazione. Esso è parte di un gran cippo pertinente ad un Caio Vettio , che secondo accenna l’iserizione, ordina, sia fatto mo- numento a sè, a Zirginia Luta sua madre e ad un liberto e a due liberte ; e rappresenta un uomo, che tiene spiegata cosa spettante a vestiario, ed un altro che gli sta presso, alzando il destro braccio come in atto di parlare, e sembrando avere un involto sulla spalla sinistra. £” il presente soggetto , scrive il sig. Labus, di facilissima spiegazione. Imperocchè sa- (c) V. R. Galleria di Firenze :Serie IV. tom: I. p. 79. seg. e Ser. V. tom. 1. p. 9. seg. (d) Tom. 4. tav. 12. (e) Tom. 1. tav. 38. (f) H. N. lib. 36. c. 5. 499 pendosi che gli scultori greci e romani solevano or- nare gli epitaffi con segni, che avessero coerenza co’ nomi delle PELSOnE olla 00 li commettevano ; ve- duto che VerTtIO è il nome di chi ordinò il monu- mento, ciascun s’ accorge che anche il servo portante un involucro forse di drappi lordi sopra le spalle, dee simboleggiare del suo nome il significato. VerTIvSs e Vectius ‘venir da reHo ed esprimere portante , non vi ha chi non sappia; e avvegnachè il portatore si rivolga a un conservo , che tiene distesa e soleggia | unatunica di quelle che si diceano coroBrA, in atto di mostrare che ella è monda e pulita , chiaro è pa- rimenti aversi con ciò personificato il cognome della madre di VerTIo cioè Lura, voce che viene da luo 260, e vuol dire ravaTA . Segue il sig. Labus ad- ducendo in copia gli esempi dei monumenti , come di- consi , parlanti . É un marmo nella Galleria di firenze pubbli- cato dal Gori (g),, nel quale, comechè dica quest’ an- tiquario farsi mostra della toga di Cesare, scolpita è chiarissimamente una bottega , in cui due uomini te- nendo spiegato un gran manto, o forse un peripetasma, han rivolta la faccia a quello che vuol farne la com- pera . In altro tempo spiegheremo ogni particolare di questo monumento, e ne farem paragone co’somiglianti. Basti ora il dire che il confronto di esso col bassorilievo del sig. Labus può far nascere sospetto, che quel Ver- TIO zar negoziante di vestimenti, e che nel suo cippo si rappresentasse nell’ azione del vendergli. Invitiamo anche il dotto antiquario a voler nuovamente osservare il suo marmo, affin di chiarire se ciò che spiegato si (g) Inscript. Antig. in Etrur. urb. extantium tom. 3. tab. 20. T. III. Settembre 32 5oo tiene ed in mostra dall’ una figura, tunica sia vera- mente ,0 manto, del quale si stringano le cocche su- periori , come noi sospettiamo , (h) e se il creduto in- volto dell’ altra abbia piuttosto da riputarsi manto esso . pure , rigettato in sulla spalla (i). La rozzezza dello stile può agevolmente indurre in equivoco . Ripetiam qui sulla fine che queste nostre avvertenze non debbono tenersi che in conto di leggerissimi dub- bj, e facciamo nuovamente sinceri plausi al sape- ‘re e al discernimento del sig. Labus, ugualmente che ai sommi meriti del sig. Rosmini , della cui bellis- sima storia dobbiam anche saper grado al sig. Consiglier Mellerio , che in cuore gli ha posta l’idea, e l’ha ga- gliardamente eccitato ad eseguirla . ZANNONI. SCIENZE NATURALI Riflessioni del Marchese Cosimo Riporri sulle osser- vazioni e fatti riguardanti i fenomeni elettro- magnetici del P. GAZZERI. Il chiarissimo sig. P. Gazzeri pubblicando nell’ot- tavo fascicolo dell’ Antologia alcune sue osservazioni e ll (h) Sospettiamo che sia manto e non tunica , anche perchè non vi si vede l’apertura tra l’una spalla e 1° altra , per inse- rirvi il collo . (i) Ci par piuttosto manto ravvolto che fardello, perché dalla parte anteriore della figura , ove giù scende, dà indizio di girare dietro ad essa, e perchè qui apparisce il maggior volume , il quale, se si trattasse di fardello, dovrebbe vedersi sulla spalla e in quel che da questa va fino al fianco . 501 fatti riguardanti i fenomeni elettro - magnetici fu mosso da tre cause lodevolissime in chi dirige i proprj studj alla ricerca delle fisiche verità . ‘Credè in primo luogo di far notare che fra quanto aveva egli detto nella sua memoria » pensieri intorno ai principali fenomeni naturali ec. e quanto ne aveva io riportato nella mia successiva « pensieri intorno ai fenomeni elettro - magnetici » eransi introdotte delle non lievi alterazioni; volle secondariamente combat- tere le mie opinioni in pro della sua professione di fede pubblicamente fatta , ed aggiungere nuove osser- vazioni in appoggio di quella . Questo scritto ha posto me pure in analoga circostanza , ed eccomi necessitato a tornare nuovamente sopra una questione che tanto interessa la scienza in questo momento . Considerando nel loro insieme le alterazioni , che mi si avverte graziosa mente d’ aver introdotto nel ripe- tere le opinioni ed i fatti del P. Gazzeri , io mi sentirei tranquillo, se realmente non mi fosse avvenuto, non so per quale inavvertenza , d’asserire che il P. Gazzeri avea addotto come prova della virtù coibente del ferro per il magnetico 1 osservazione, che una lamina di quel metallo comunque sottile intercettava ogni reci- proca azione fra una calamita , ed un ago magnetico sensibilissimo. Egli ha convenuto anzi del contrario ; e per accordar questo fatto con gli altri, dai quali desume la detta proprietà coibente del ferro , e con quelli cui quali cerca di dimostrare o porre in dubbio la non esi- stenza delle atmosfere magnetiche, ha detto che wma causa sufficiente a produrre un effetto può essere in- sufficiente a produrne un altro, ed ha così adottato un principio forse non affatto rigoroso , ove si tratta di 502 fenomeni ,che fra loro non differiscono se non nel gra- do , non già nell’essenza .(1) Involontaria fu certo la mia colpa, poichè nessun secondo fine potea condurmi a commetterla ; nulla di meno è colpa , ed io debbo arrossirne e confessarla . _ Mi giova quindi, come fece il P. Gazzeri , difen- dere i miei principj combattendo i suoi, ed aggiunge- re, ove il possa, qualche avvertenza in vantaggio di quelli . Il P. Gazzeri conviene che due aghi magnetici restano aderenti pei poli omologhi posti a contatto senza interposizione di ferro, ma facendo solo caso d’ alcune mie parole , colle quali indico uno speri- mento, non avverte la formula generale colla quale e- sprimo il fenomeno. Allorchè feci l'esperimento accen- nato con due aghi i quali trovavansi nella direzione del meridiano magnetico dovea ben dive che uno degli aghi trovasi necessariamente ih una situazione rove- sciata ec. ;, ma quando »soggiunsi semplicemente , che se il sig. P. Gazzeri avesse costretto i poli omolog hi di due aghi a toccarsi per un sol punto ec. pareami d’aver chiaramente espresso non esser sempre necessa- rio che uno di essi fosse in situazione rovesciata , e in conseguenza mostrato che l’ esperimento riesciva anche fuori del meridiano magnetico ; e se io spiegai l’ espe- (1) Tutti converranno che si esigerà uno sforzo minore per deviare un ago magnetico dalla sua posizione di quello che non vi voglia per attrarre e sostenere pochi grani di fer- ro; pure quella che devia un ago essendo una forza simile d’ indole a quella che attrae un ferro vergine, sarà sempre possibile d’impiegarla nell’ uno e nell’ altro modo riprometten- docene effetti proporzionali . d03 rimento del P. Gazzeri dicendo che i poli omologhi degli aghi restano in presenza , perchè l’ attrazione di essi pel ferro supera la repulsione naturale fra loro, fu solo perchè credei e credo potersi questo principio ap- plicare alla spiegazione del mio proprio sperimento assai meglio di quelche non mi sembrasse l'opinione che oggi il P. Gazzeri emette , e che allora io rigettai, sebben si fosse affacciata alla mia mente, ed eccone le ragioni. Una verga magnetica divisa in due o più parti sj cangia generalmente in due verghe perfette ed aventi in conseguenza ai loro estremi i poli boreale ed australe. Gli estremi però delle nuove verghe , i quali risultano dalla rottura della prima, non presentano già i poli omologhi, ma i poli amici o di contrario nome, laonde v'è tra loro forte attrazione , e riunite le due verghe può considerarsi in qualche modo come riprodotta la prima , poichè se venga sospesa in equilibrio la vedre- mo oscillare e dirigersi come un ago perfetto. Ma que- sto non è il caso degli aghi , dei quali stanno in pre- senza i poli omologhi. Fra questi v'è repulsione, e non restano in presenza che in certe circostanze , prima fra le quali è il contatto . L'insieme che resulta non è una verga unica , nella quale i poli siano alternati , co- me in quelle risultanti dalla riùmione di più verghe nella condizione surriferita , ma in essi trovansi i poli stranamente accoppiati , e contro l’ ordine loro natura- le . Quindi non è 7 polo propriamente detto che agi- sce sull’altro, ma è il più forte fra i due che neutraliz- zato l’altro spiega la sua azione magnetica residua sul semplice ferro componente l’altro ago, come dissi in principio ; ed in fatti due aghi riuniti pei poli omolo- ghi e bilicati sopra un sol pernio non danno già un ago magnetico , che si diriga , mentre al contrario vediamo 504 che le due estremità sud e nord d’ un ago posto in cima ad un fusto di vetro o d’ argento e questo bilicato im- primono all’ insieme il movimento e lo richiamano ad una direzione costante . Mi piacedi registrar qui untal fatto sebbeneestraneo alla questione , come piacque al P. Gazzeri di riportar quello d’ un ago magnetico , che posto nella direzione precisa del meridiano magnetico, ma in posizione ro- vesciata , vi resta immobile . Che ciò dipenda da sole leggi meccaniche , e non già da strana anomalia ma- gnetica , sarebbe inutile ch’ io mi trattenessi a pro- varlo : lo stesso P. Gazzeri ne conviene col paragonar questo fatto a quello della banderzola che può restare di contro al vento immobile , purchè tagli la corrente aerea per metà, e le sue faccie vengan premute da forze eguali . (2) Dissi in seguito che per essere il ferro avidissimo di magnetico , una calamita impiega tutta la sua for- za(3)sopra pochi grani di luiin modo che a traverso quel (2) Che il citato fenomeno dipenda solo dalle cause accen- nate potrebbe rilevarsi dal vedere che le sole perturbazioni di declinazione ed inclinazione che gli aghi magnetici subiscono naturalmente basterebbero a farli tornare nella vera loro posi- zione . Credo inoltre che, l'esperimento del P. Gazzeri sia. do- vuto in gran parte,al sostegno rigido sul quale l’ago sta bili- cato , e che non riescirebbe allorchè fosse sospeso ad un filo ponendolo anche al coperto dalla forza di torsione ec. . (3) Il massimo di peso che una calamita sostiene si riguarda da tutti come la misura della sua' massima forza , eppure in questo caso ancora vi son delle forze di lei, che sopra altri punti posson sostener nuovi pesi. Pare dunque che i fisici ab- bian preso in tal proposito le voci totale e massimo di forza non già nel loro stretto significato, ma per designare quel mag- giore effetto, che può esser prodotto dai punti più attivi d’una calamita naturale, o artificiale . 50à poco ferro non può attrarne altra porzione , mentre la prima quantità ritiene con una tal forza-che bastante sarebbe a sostenere un peso molto maggiore che a quello fosse unito , o con mezzi meccanici , 0 in virtù della coesione . Ripeto questo principio che tengo per vero , sebbene per inammissibile lo consideri il P. Gazzeri . Tutti sanno che non da un sol punto le calamite emanano gli effetti loro , ma che la loro azione si esten- de a una certa superficie più o meno grande è vero, ma sempre considerabile . Ora se nessuno ha dubitato che allorquando il P. Gazzeri ha detto che il ferro è un coi- bente del magnetico egli abbia inteso di parlare non solo di quella porzione di lui che stava in ragione della superficie della ealamita coperta dal ferro, ma anche di quella di tutto il resto della calamita ; così non è giusto supporre altrettanto, allorchè i fatti restando gli stessi si varia solo il modo di spiegarli . Sarebbe infatti strano il supporre che il grimaldello togliesse alle calamite la loro forza sul resto della loro superficie attiva, o facesse anche sparire da esse è poli secondarj . Sarebbe assurdo il credere che due solidi che sì toccano potessero agire l’uno sull’altro fuori dei punti soli del contatto . Più ancora sarebbe stravagante il dire che vi fosse fra due liquidi , che il diverso peso specifico permette di con- servarsi in due strati distinti altr'azione che quella che nasce dal contatto delle due superficj, e fosser pur que- sti dotati tra loro di fortissime affinità. Finalmente l'estrema cautela , colla quale il P. Gazzeri avanza la sua opinione riguardo all'essere il ferro un corpo coi- bente del magnetico e il grado più o meno forte di con- fidenza che egli vi attacca non potea bastare a por d’ac- cordo le nostre idee sistematiche , le quali sono oppo- ste diametralmente . 506 Cercando il semplice ed appoggiandomi a de'fatti, aì quali molt altri potrebbero tener dietro, io ammetto tre fluidi imponderabili il lucico , il calorico, il magne- tico. Il P. Gazzeri vuole ancora. ristringere il. numero degli esseri, e chiamare, com’altri fecero, ipotetico quello che cade sotto i nostri sensi, per riguardare come reale ciò che non apparve giammai, ciò che per esistere e agire necessita ad introdurre in fisica delle cose, che non mi sembrano capaci di dimostrazione ; finalimenili che scemando il numero degli esseri da un lato obbliga ad ammettere una quantità di cause che prendereb- bero forse il posio di quelli, tosto che si fossero ri- velate. # Il risolvere la questione d’onde provengano i flui- di magnetico e calorico componenti l’elettrico, allorchè si pone in movimento una macchina a doppio condut- tore positivo e negativo non è più facile di quello non sia il determinar la causa dello sviluppo del solo calo- rico per semplice attrito. Io riguardo quest’ ultima ri- cerca come base dell’ altra; ne detti qualche cenno nella mia memoria , ed in seguito ne dirò nuovamente quando mi venga fatto d’ ultimare un lavoro sull’azio- ne reciproca del calorico e del magnetico, che dovrebbe servir di riprova al mio assunto . Tacerò dunque per ora d’una serie interessante di fatti già in parte cono- sciuti, che appoggiano la mia opinione come ne tacqui nellà prima memoria, promettendo trattarne in una seconda , qualora non fossi da altri fisici prevenuto av- vertendo fino d’allora che altre occupazioni mi avreb- bero tolto il tempo per redigerla sollecitamente (4) . (4) Non cesserò mai d’ invitare i fisici, che per sublimità d’ ingegno, e per abbondanza di mezzi sono assai più di me 507“ Confesso però che mi dichiarerei vinto in preven- zione, qualora si dimostrasse che i metalli fusi dall’ e- lettrico non son condotti in tale stato dal calorico ; lo che essendo facile al P. Gazzeri come ci avverte, mi pare che non dovesse trattenersi dal comunicare al pubblico. un sì bel ritrovato, che sarà tanto più inte- ressante, quanto meno implicato colla dottrina del ca- lorico, che si fa manifesto nei corpi per sfregamento , la quale introdurrebbe forse un circolo vizioso nel ra- gionamento , se mai dovesse avervi parte , e non dareb- be alla cosa quella novità ed evidenza , che ci aspettia- mo dal P. Gazzeri. Facile allora sarà la spiegazione dell’ accensione dei corpi combustibili sotto l’ azione della scintilla elettrica, facile il mostrare come dessa inalzi il termometro senza ricorrere all'esperimento di cuoprire di cera un filo di ferro per concluderne che la corrente elettrica non è calda, come luminosa, perchè la cera non si fonde , lo che si spiega assai meglio adat- tandovi le solite teorie del calorico (5), e all’ osserva- zione che le commozioni elettriche non ci fanno provar calore, sulla quale sperienza si potrebbero affacciare gli stessi dubbj , che il Sig. Gazzeri accenna su quella d’ Achard intorno allo schiudimento dell’uova; speri- À nel caso di. venir presto a capo di delicate ricerche, a studiare con attenzione i fenomeni singolari, che i corpi magnetizzati presentano , allorchè s’inalza la loro temperatura, sia col ca- + Jorico che vi si infigge, sia con quello che da loro stessi si eccita colla percussione e lo sfregamento . (5) Tutti conoscono il singolare sperimento di far bollire per molto tempo dell’ acqua in un vaso metallico investendo colla fiamma dell’ alcool la di lui superficie esterna, sulla quale trovasi ‘applicato esattamente un sottilissimo tessuto di lino 0 dalia senza che questo resti danneggiato in modo alcuno dal uoco . 508 mento del quale pùr’io non mi giovai che con diffi- denza , e come ultimo argomento per provare che |’ e- lettrico contener potea del calorico . Il P. Gazzeri mi attribuisce poi l'opinione che l’elettrico non penetri i conduttori, ma corra sulla lor superficie . È vero ch'io penso così, e che le sue due sperienze non mi convincono, quando delle consimili e in gran numero fatte coll’elettro-motore e non con la macchina comune, provarono il contrario a me non solo, ma al P. Pictet, non ha molto, e antecedente- mente a molti sperimentatori. Da essi è fondata la suddetta teoria: io non ho fatto che seguirli in una dottrina, che mi par dimostrata da loro, e non contra- detta dalle mie ricerche. Io non citai le sperienze d’alcuno, ma convenni che il vetro stesso, ed altri pes- simi conduttori dell’elettrico potean divenir migliori in certe circostanze ; dissi di più che il calorico accu- mulato sui corpi favorisce il passaggio dell’ elettrico, e che lo stato elettrico di questi è propizio al movimento del calorico su di loro : avvertii che solo all’aria am- biente fredda e secca i conduttori dovean la loro atti- tudine a deferire l’ elettrico sulla loro superficie. Io ri- tengo dunque queste opinioni , nè conosco fatto che le combatta . È verissimo ch’ io suppongo i fili congiuntivi dei poli voltaici come circondati da due semicilindri for- mati dalle correnti che in contrario senso sì muovono; ma e dalla descrizione dei fatti, e dalle figure che ac- compagnano la nia memoria è ovunque confermato che queste correnti hanno luogo sopra e sotto al filo, e che havvi zero magnetico in un piano orizzontale che taglierebbe il filo in due parti eguali, e che corrisponde al piano stesso, sul quale i due semicilindri si fregano . 509 L’ esperimento illustrato dalla fig. 6 è diretto solo a dare una semplice spiegazione del modo d’ agire delie elici. Ognuno riconoscerà facilmente nell’ arco metallico, lungo il quale si opera la scarica elettrica , i rudimenti d’ una spirale destra nel primo caso, sinistra nel secondo. Tutti sanno che sebbene la magnetizza- zione degli aghi s’ operi, come dice Van-Marum da una corrente che passa su d’ un filo metallico rettilineo, col quale si trovino posti ad angoli retti , e si operi anche in similissime circostanze col filo congiuntivo di Oersted, nulla di meno riescono bene solo con forti apparati. lo non impugno che la macchina elettrica e la smisurata doccia del museo reale non siano apparati abbastanza forti per riuscire a magnetizzar un ago nelle dette circostanze, e non so in conseguenza a qual causa attribuire la non riuscita della sperienza. Che il fatto sussista è incontrastabile, perchè oltre alle mie osser- vazioni, che sempre con diffidenza riguardo, parlano in suo vantaggio 1 lavori di fisici insigni dei nostri tempi, de’ quali non citerò i nomi, nè l’ opere perchè trop- po celebri e recenti per poter temere che ogni studioso non se li rammenti benissimo . (6) Avvertirò solo che la descrizione della macchina del museo dataci con tanta cura e precisione dal P. Gaz- zeri ben lungi da farla considerare come una macchina costruita con i migliori sistemi la fa anzi apparire tan- (6) Non posso però tacere il nome del Sig. Zehot, che a- vendo magnetizzato un ago impiegando un filo scaricatore ret- tilineo, ed una semplice bottiglia di Leida, si è servito di questo fatto per impugnare l’ opinione da me troppo presto einessa che la piegatura eliciforme dei fili congiuntivi fosse in- dispensabile per indurre negli aghi una magnetizzazione per- manente ( Vedi Bibl. Un. de Gen. T. 17. p. 84. ) 510 to imperfetta quanto grande, e che se Davy magnetizzò gli aghi colla scarica d’una batteria e non d'una sola boc- cia (7) vi fual contrario il P. Boeckman che mostrò esser le batterie meno valide a eccitare il magnetismo nell’ac- ciajo di quello che le sole boccie di Leida nol siano, e si accorse in oltre che valeva assai più di far provare ad un ago un certo numero di scariche elettriche di quello che esporlo all’ azione d’ una sola, che per l’ intensità corri- spondesse alla somma di tutte le altre. Questa notizia essendomi pervenuta particolarmente prima che la bi- blioteca di Ginevra ne facesse parola m' attenni a que- st’ ultimo partito, e con una mediocre boccia, alla quale il filo scaricatore serviva di spinterometro, e che sotto l’ azione d’ un eccellente macchina a disco meco portata da Parigi si scaricava tre volte in un minuto dando scintille di quasi un pollice di lunghezza io face- va provare all’ago fra venti e trenta scariche, dopo le quali egli non mancava mai di mostrare una non equi- voca magnetizzazione. Avvertirò di più che per mag- gior comodo fatto di rame il mio filo scaricatore vi ave- vo praticato due fori, che lo traversavano diametral- mente ad angoli retti fra loro, nei quali ponevo due aghi sottilissimi da cucire. Mi è avvenuto talvolta di riscontrarne magnetizzato un solo, e tutti indovineran- no seguendo i miei principj perchè 1’ altro non lo fosse; (7) Convien riflettere che il modo d’agire d’ una batteria non può differire da quello d’una sola doccia che nell’ inten- sità dei fenomeni , non già nel presentarne di diversa natura . Dovean dunque i resultati di Davy accordarsi coi miei, ove pur fosse analogia di circostanze. Ciò avvenne infatti, e l’ e- sperienza del sommo chimico Inglese non contradice , ma ap- poggia l’ ipotesi da me adottata intorno al moto dell’ elettrico sui conduttori. Ecco quello che importa principalmente , e che basta al mio. assunto . 511 dirò di più; appunto per cercare questo fatto io aveva dato la detta disposizione all’ apparato; ma siccome più il caso che la destrezza può riuscire in cento tentativi a darne uno simile al citato , e da me due sole volte, eredo, in mille ottenuto, così non ne feci conto alcuno per appoggiar la mia opinione intorno al modo di muo- versi dell’ elettrico sui fili congiuntivi. Colla stessa macchina, con un filo di platino sotti- lissimo avvolto in strettissima elice intorno ad un tubo di vetro che conteneva esattamente, ed ermeticamente racchiudeva un ago vergine e comunicante per un estremo col conduttore isolato per l’ altro col terreno, anzi con una massa metallica che su quello posa- va, stancando più persone, che si cambiavano assai spesso per mantenere in moto il disco per il tempo d'ore quattro, ottenni una chiara magnetizzazione del- l'ago. Il genere penoso di questa sperienza non m' in- vitò a ripeterlo tanto più che non mi parea per nessun titolo tale da inspirar diffidenza, e non era la sola sulla quale possasse il mio ragionamento . Nel giorno in cui feci l esperimento l’ aria era secca, il cielo sereno, e la macchina dava una scintilla sì forte che si lanciava al- men tre pollici distante dal conduttore sopra una palla metallica che comunicava con la mia mano facendo provare una penosa commozione a quasi tutta la lun- ghezza del braccio (8). (8) Si potrebbe forse riuscire più facilmente a magnetiz- zare gli aghi col detto processo facendo passare più volte il filo sopra l’ ago piegandolo in duplice o triplice spirale, avvertendo però di dare a questa ognora una simile direzione , e separando l’una spirale dall’ altra coll’intermezzo d’un tubo di vetro. To conosco troppo il sapere e la destrezza del P. Gazzeri e de’suoi stimabili collaboratori per potere attribuire la non riuscita dell’e- 512 Fin qui non ho fatto che sminuzzare quello che aveva già detto, forse troppo compendiosamente , e su di che muovermi questione non era che mostrare un per me lusinghiero interesse di sentir spiegar più chia- ro le stesse cose, qualunque esse sieno. Io credei che non fosse necessario di scendere a un sì trito dettaglio, e forse m’ingannai: Ho procurato di farlo adesso, onde sul fin qui detto non abbia a tornar mai più se non mi fosse forza per gir più avanti. Quello che veramente mi parea lucido, e per nessuna maniera contradicente il mio principio medesimo si era il modo , col quale: aveva espresse le proprietà che |’ elettrico deve a cia- scuno de’suoi componenti, allorchè sostenni che l’istessa causa , la quale produce in lui l'attitudine a muoversi velocemente lo rende capace di tensione; e che il calo- rico può talvolta inceppare un essere, sebbene accresca generalmente la mobilità delle particelle degli altri; poichè agirà nel primo modo , allorchè si unisce a quei corpi, che son più elastici, e più celeri nel loro moto sperienza all’ averla essi troppo poco tempo protratta, o intra- presa senza la cautela d’isolar l’ago nella spirale. Sanno essi benissimo che una potentissima macchina elettrica non svolge in un'ora la quantità d’ elettrico che un debole elettromotore fa passare in pochi momenti pel filo congiuntivo sotto circostanze più favorevoli alla magnetizzazione , e che un ago il quale toc- casse gli anelli della spirale offre una via più corta all’elettri- co, e distragge il di lei effetto tanto più completamente , quanto maggiore è la tensione del fluido. Fortunatamente per la scienza i fatti sussistono sempre inconcussi e chi gli osservò con diligenza non dee sbigottirsi se vennero da altri impugnati . Il P. Gazzeri, il C. Antinori ed io osservammo dei fenomeni singolari nella magnetizzazione degli aghi per |’ azione della corrente Voltaica . Il Sig. Van Berek gli ha francamente negati e gli ha giudicati paradossali ; noi però siam tanto sicuri di loro che nulla apprezziamo l’ incredulità del fisico di Utrecht. 513 di lui, agirà nel secondo allorchè si associa a quelli, che di opposte proprietà son dotati. Mi spiego, o piuttosto ripeto meno brevemente. L’ elettrico acquista tensione ove per Vl’ imperfe- zione dei conduttori o per la proprietà coibente dei corpi circostanti il suo moto è impedito, la sua ve- locità ritardata. Ova un corpo che non possedesse ve- locità non potrebbe entrare in tensione; dunque la causa che dà velocità al corpo, divien la causa ancora che esso possa entrare in tensione tostochè incontri dei mezzi che l’ imprigionano; e se il magnetico è |’ ele- mento dell’ elettrico , che lo rende inconcepibilmente veloce , è desso pure che io rende capace di tensione. Ma il magnetico di per sè solo è sì elastica, è sì celere, è sì nemico dei ceppi, che non conosce coibente propria- | mente detto, poichè nessun corpo lo costituisce in sta- to di tensione, messuno si oppone completamente al suo passaggio. Ma egli è un elemento dell’ elettrico, e questo fluido tuttochè celerissimo, pure soffre di essere imprigionato, si lascia dirigere per delle vie artificiali , ed entra in tensione perchè la natura e l’arte sommi- nistrano dei coibenti per lui. Ora i suoi cojbenti sono appunto i cattivi conduttori del calorico; i suoi migliori conduttori sono le sostanze che meglio lasciano trascor- rere il calorico: questo fluido è l’ altro componente dell’ elettrico, le sue notissime maniere di muoversi tanto nei corpi, quanto fuori di essi, ognun sa quanto sieno lente in proporzione della velocità , che tutto ci obbliga ad accordare al magnetico; dunque è desso che tiene l’ elettrico in stato di combinazione nei corpi, e ne inceppa la corrente, diminuendo la velocità del magnetico. Possa questo mio scritto comparire agli occhi di 314 tutti, e specialmente a quelli del P. Gazzeri al giudi» zio del quale lo sottopongo, con tutte le impronte della stima verace, e della riconoscenza che gli professo come ammiratore e scolare. LETTERATURA POESIA iL CApmo. Poema di Pretro BasnorI professore di lettere greche e latine nella I. e R. Università di Pisa. i Grazie alle Muse presso di noi non è luogo alla di- sputa che pur seriamente sentiamo agitare da una na- zione nostra vicina: se sia per lei tra le cose possibili un poema epico, se v abbiano o non v’ abbiano sotto il suo cielo le teste epiche. Dalla qual questione, qualun- que sia il concetto delle parole, che la significano , ab- bastanza e per luminosi fatti siam dispensati. Il Cadmo novellamente venuto ad appagare l’ espet- tazione che di lui era mossa e dalla fama dell’ illustre autore, e dai discorsi dei molti suoi amici, che già ne ottennero privata contezza, il Cadmo ha egli cresciuto il numero de’ menzionati fatti? Risolveranno questo quesito i soli critici , i soli sapienti? In qual valore si dovrà tenere il suffragio della moltitudine, che, leg- gendo le poesie senza saper d’ Aristotele e de’ suoi precetti, è pur dessa che altre in perenne vita sostiene, ed altre condanna , nel giorno stesso della nascita , al fato estremo? Incuteranno riservatezza e timore gli 515 esempli di sentenze al tutto discordi ‘che uscite sono intorno al subietto stesso da questi due tribunali? Il molto rispetto che esigono così gravi riflessi, il maggiore dovuto ad un vasto lavoro poetico di quel gene- re che richiede lo sforzo estremo dell’ingegno e dell’ar- te, il desiderio di estenderne la notizia, e promuoverne la lettura per affrettarne in questo modo la collocazio- ne al posto d’ onore a lui competente , una sola via mi lasciano dove entrare: imprendere cioè, rinunziata qua- lunque paite di critico, quella di storico e di esposi- tore. Alla cultura ; e alla civiltà dell’ Europa , derivate secondo il vero dall’ Asia e dall’ Affrica, si attribuisce nel nuovo poema un origine al tutto divina operata nella greca Tebe ai remoti tempi della sua fondazione. Cadmo ed Arifione sono gli stramenti dal cielo eletti per dare l’effetto a un disegno di sì grave, momento. Già il secondo dal diluvio scampato, donato da Urania della lira, e dell’arte di farne uso, ragunando col suono gli avanzi degli uomini e degli animali, avea fabbricata Tebe , e mostrato ‘in quella occasione il prodigio dei tronchi e dei sassi attratti e mossi, quasi anima avessero, dall’ armonia. Aveva eziandio il gran Vate impresa l’opera d’ incivilire quella prima famiglia per lui ri- mossa dal vitto ferino, e leggi avea promulgate per via di carmi, e destate le idee del giusto e del buono, e gli usi e gl’ interessi additati del consorzio civile: Ma ai ‘ felici principj di tal cultura non faron corrispendenti i progressi. Stantechè accolti in Tebe molti stranieri ve- nuti alla fama delle inventate arti del vivere ; presto fu ingenerata forte confusione di voleri, di costumi, di desiderj; e appresso Soppravvenuti i conquistatori a disputarsi ‘il possesso della Terra Beota, tutto fu lite e T. III. Scitembre Fi) 516 dissidio, e retrocessione dalla civiltà incominciata. Che far poteva Anfione cultore d’ un arte pacifica laddove fremea la discordia, e le armi insanguinavano le glebe? Null’ altro che seguire il consiglio di Urania, abbando- nare per allora le disordinate genti: e poichè la voce e lo scettro del legislatore erano stati impotenti senza la forza, aspettare la non lontana comparsa d’ un peregri- | no conquistatore di Tebe , destinato colla sua spada a ‘ supplire il difetto, e perfezionare la greca cultura . Cadmo è questi, che l’ insufficiente opera d’ Anfione costituisce al posto di vero e perfetto protagonista dell’ Epopea . - Cadmo infatti esule dalla Fenicia perchè indarno è corso in cerca della sorella rapitagli dal trasformato Giove, più non sperando di ritornare alla patria s' è fermato dopo lunghi errori nella Beozia , e sostenuto - dagli augurj d’ Apollo ha proposto di stabiliryi la pa- tria e il regno. Il suo forte e numeroso campo ha posto l’ assedio alla città di Tebe : frequenti assalti e conflitti sono avvenuti. Ma ignora fin qui l’ eroe che all’ impre- sa di Tebe per alti suoi fini lo guida il cielo: quando fia che gli si sveli il suo gran destino? Apre appunto il poema questa celeste manifesta- zione occasionata da una fanciulla Ermione detta, oltre ogni modo bella, E di tre lustri giovinetta acerba, Fresca qual rosa alla stagion novella, Ma salvatica, indocile, e superba, Qual gemma oriental che della cruda Ruvida zolla in seno ancor si chiuda. Figlia è dessa d’ Ogige duce primario degli assediati, che nello scompiglio d’ una battaglia, scompagnata e smarrita è volta in fuga per dubbie strade fuori di Te- 917 be. La insegue Cadmo, abbandonata la mischia , non già come nemico, ma come amante, e per forza del de- stino fin dal punto che venne a Tebe preso il core di sua bellezza. Fuggendosi essa più timorosa che Dafne dinanzi ad Apollo, e seguitandola il caldo amatore che al pari di quel Dio gitta al vento preghiere e parole, si dilungano dal campo fenicio in riposta valle sopra la riva di Dirce, Ivi la stanca è per cedere al più robusto, quando ambi involve una folta nebbia uscita fuori dell’ acque. Poscia al guerriero, che smarrito e confuso chiama e richiama inutilmente la sua fuggitiva, è dis- sipato il bujo da fiammeggiante splendore, e rotto il silenzio da superna voce che suona: + + + Armati, pugna, e vinci Ermione tua sarà, ma nè di lei Sei degno ancor, nè di te dessa, e quinci Coll’ opre e regno e sposa acquistar dei. E ad un tempo mirasi, l'armatura di cui egli debbe ve- stirsi, in guisa di trofeo ad un tronco appesa. Sottile è il lavoro dell’ elmo, del brando, dell’ usbergo, degli schi- nieri , della smisurata lancia che emerge oltre la cima dell’ albero a cui si appoggia; ma più mirabile è la testura dell’ampio scudo, ove scolpite sono la lira divenuta astro luminoso del cielo, la gran città dei sette colli, Egeria e Numa, il Senato romano, i templi, i sa- crifiz), e altrettali immagini attinenti alla futura gloria europea. Ma Ermione è sparita in parte donde non dee ritornare che tutta perfetta, e tutta degna del suo ama- tore . Il quale restituito alla mischia dopo i manifesti segni d’ un misterioso favore celeste riconduce al fianco delle schiere Tirie l’ instabil diva che se n° era insieme con lui dilungata. Adorno delle nuove maravigliose armi, rivolgendo nel core le parole udite, le cose ve- 518 dute, è fatto maggior di sè stesso ; piomba qual fulmine sopra i nemici, urta, riversa, fa mucchi di cadaveri, rivi di sangue. O combatta solo contro l’irritato padre, e i gelosi pretendenti di quella bella che credesi dive- nuta sua preda, o regga la pugna delle sue squadre, tut- to si fa cedere dinanzi , e termina il conflitto di quella giornata colla dispersione dell’ oste nemica che ritirasi in gran disordine dentro Tebe. Seguita nella succeduta notte di manifestarsi a Ca- dmo la divina sua vocazione. Dopo la letizia e le feste della vittoria, dopo il convito solenne rallegrato da Cadmo col racconto dei misteriosi e non intesi prodigi da sè uditi e veduti nella valle Dircea , tutto il campo è immerso in riposo profondo. Cadmo solo, ripieno la mente d’ Ermione e della mirabile sua disparizione, tar- di e dopo lungo ondeggiamento fra i pensieri di gloria e d’amore assapora i grati doni di Morfeo. Ed ecco in sogno esser pareagli asssiso Sopra un soglio sublime in regia veste, E nove in un divino lume improvviso Ninfe appariano alteramente oneste, Conducendo Ermion, che il manto, e il viso Ornati avea d’ una beltà celeste, E mansueta in dolce atto amoroso Sedeagli accanto come sposa a sposo. Alla vista d’ Ermione e delle nove sconosciute Dee quella s’ aggiunge di ricca e fiorente città popolosa d’- bitatori intenti alle arti, agli studj, al culto de’ Numi, e quella di porti, di navi, di soldati, di trionfi, e di ogni maniera di cose che sa fare il senno e la mano dell’uo- mo civile. Che più dubbierà Cadmo al suo risvegliarsi? Il sogno si conviene perfettamente colle figure nello scu- 519 do scolpite. Il cielo prepara agli uomini un bello avve- nire . Altri non è che lui lo scelto ministro di quelle cure divine. Ermione sarà la destinata compagna del suo tro-' no, del suo letto, dell’ alto suo ministero. Ma dove è ella Ermione? quando gli sarà restituita? Andrà egli in traccia di lei? non dovranno per lui in qualche modo secon- darsi colle opere i profondi arcani celesti? non ritor- nerà egli alla valle ove il giorno innanzi è stato per lui operato un prodigio, ove per certo dimora o Genio o Dio che darà lume e consiglio ‘per la sua condotta? Questo pargli il suo primo dovere, e questo eseguisce lasciando a sostener le parti di capitano nella sua vece il fratello Fenice. Non è maraviglia che l'assenza dell’ eroe da quel- l’oste, di cui egli è anima e vita, le sia cagione di perni- ciosi effetti. Assalita nelle sue trincee con quel maggior furore che spira a’ Tebani il supposto ratto d'Ermione, combatte è vero valorosamente, e dimostrasi intrepida e forte secondo l'usato; ma atroce strage le convien sostenere, e più seco non milita la vittoria. La strage però e la sconfitta sopporterebbe, se non in pace, almeno senza vergogna. Più la fa dolente e l’ accora un troppo illustre trofeo che gli assalitori riportano dal combatti- mento, e che per suo scorno inalberano sopra luogo emi- nente in Tebe. È l’asta famosa di Cadmo, è Y arme stessa fatale venuta dal cielo, che nella pugna del gior- no innanzi ha fatto dei Tebani sì aspro governo. La- sciata a Fenice per segno della suprema autorità a lui confidata è caduta tosto in poter dei nemici. Non fia questa la sola disgrazia dei Tirj finchè non riede il prode lor condottiero . Egli intanto rivolge ì passi per la selva dircea, e 520 Là fra i silenzj desioso amante Cerca di lei che sola attende ed ama; La chiede all’ acque, alle frondose piante, AI ciel la chiede, e la sospira, e chiama. Già già pervien con affrettate piante Ove giunge fidanza alla sua brama; Ecco il loco, il ravvisa, ove nell’ erma Valle Ermion gli sparve, ivi sì ferma. Invocare la divinità del luogo ed ottener la rispo-. sta è un istante solo. Vada Cadmo al fiume Cefiso; colà gli sarà conto ciò che è destinato di lui. Per pianure, per valli, per colli pervenuto di notte al Cefiso dorme sul frondoso suo margine al mormorio delle acque sot- to l’ argenteo raggio lunare . Il Dio del fiume gli appa- re in sogno, lo saluta come l’ atteso eroe destinato ad illustrare il mondo, lo conforta a proseguire l’ impresa guerra, lo assicura d’ un felice fine, e lo avvisa che alla sorgente delle sue acque troverà la scorta e la guida a lui necessaria . Scaturisce il Cefiso strepitando fra i sassi presso l’ antro Coricio entro una foce d’alpestri monti. Vi è giunto Cadmo dopo lungo e faticoso cammino; e Quì deponea scudo, asta, ed elmo iu riva All’acque in atto che ad orar s’ appresta, Quando ecco fuor di quelle grotte usciva Un venerabil veglio in lunga vesta Nitida, e di color di fiamma viva, Cui corona d'’ allor cingea la testa, E gli cadea di bianca neve in guisa Dal mento al petto la senil divisa. Quando il guerrier sì maestoso aspetto Dinanzi agli occhi comparir si vede, Pieno di maraviglia e di rispetto Riverenti facea la fronte e il piede. 521 Ma quei gliel vieta, e con benigno detto Di sua condizione lo richiede; E mentre dice e la risposta attende, Come in grave pensier sospeso pende. Il guerriero si fa ad istruirlo dell’ esser suo, e Mentre ei dicea dal suon delle parole Immensamente il veglio era remoto Con mente accorta in infinita mole Di fati, e non udia ciò che gli è noto . Chi sarà se non è questi Anfione? il quale coronato alfin vede il suo lungo aspettare, ed ha dinanzi il pro- messo guerriero che compirà la famosa opera per lui lasciata imperfetta. Cadmo dopo le liete accoglienze, e il mostrar dello scudo che è il segno onde ha da essere riconosciuto, fra i cibi di frugal mensa, le danze delle Coricie, ed il suon della lira d’Anfione intende finalmen- te tutto il tenore de’ suoi destini svelato di qualunque mistero. Giove vuol fondare leggi e costumi di ceieste origine in una vasta contrada or inculta e senza nome, e deserta, che portar dee il nome della sorella di Cadmo, Europa; di quest’ opera sono scelti ministri entrambi , l’ uno adoperando la forza e la spada, la sapienza l’altro, e l'ingegno e le arti di pace. Non solo è concesso a Cadmo d’ amare Ermione, ma è forza di destino questo stesso amore. L’ antro coricio è quello; per esso si poggia al Parnaso, monte d' alti misteri , luogo di co- municazione fra 1 eterna intelligenza e i mortali , abitato da nove Dive che tutto possegono repartito fra loro lo scibile umano, e l’ ispirano agli uomini. Esse saranno consigliere, assistenti, e operatrici insieme dei grandi avvenimenti vicini. Sul Parnaso ascenderanno il guerriero ed il vate all’ alba seguente. È lassù anche Ermione dalle Muse traslocatavi ad educarsi . Lo stu- 522 i pore e il piacere, che l’ udiré di sì. grandi cose infonde nell'animo del giovanetto eroe, è colmato da ultimo col profetico canto d’ Anfione che narra a lungo l’edifica- zione di Tebe con tutti i prodigiosi eventi che la pre- cederono e l’accompagnarono, ed espone la parte che egli vi ha avuta fino al momento che ritirossi coman- dato da Urania al Cefiso per aspettare la sua venuta . Ho finqui- compendiata la materia dei primi tre canti. Nulla più mancando al principio dell’azione, ed al conoscimento dei fatti antecedenti con essa vincolati, questo è il punto onde il poema progredisce al suo MEzzo . L'alba non era ancora sull’orizzonte , che già Cadmo ed Anfione per duro e faticoso calle, tra allego- riche riflessioni sulle rovine e sui pericoli di chi si av- ventura a far quel cammino senza divina chiamata, salivano la sacra pendice del Parnaso. Dopo gli ar- dui scogli, dopo gli sterpi, Ie spine , e gli orrori ven- gono gli ameni luoghi, le delizie dell’ ombre e dell’ac- que, le vedute ridenti della bella natura. Prima a ve- dersi è una grata selva che sarà la stanza de’ futuri poeti Greci, Latini, e Toscani: Ove l’ anime illustri ed onorate Erreran per le sedi variopinte All’erba, al sacro fonte, all’ombre grate, Tutte di nivea benda il capo cinte, E di fronda di lauro incoronate, Sempre al lavor dei sacri carmi accinte. La sommità del Parnaso ha sopra due opposti gioghi gli ostelli della Sapienza e della Eternità, e nella valle che i gioghi formano i deliziosi alberghi delle Muse e del co- ro Eliconio.Iviai due privilegiati mortali svelansi le me- raviglie tante, onde è pieno quel divino soggiorno; e 523 da lor si mira il caval Pegaseo che spicca il volo pet l’aria, la Fama, la Fantasia, l’ Estro, la Verità, la Favola, l’ ingegno, Vl Arte, le Scienze, che hanno persone e attributi a lor convenienti. Vi ha altresì la moltiplice famiglia dei carmi; sparsi vagano per le amene sponde gl’ Inni, le Odi, le Elegie, gl’ Idilii, e le Canzonette amorose. Ed In vasto campo con guerriera tromba L’ Epica numerosa alto risuona; La valle, il monte a quel rumor rimbomba, E le fanno eco gli antri d’ Elicona. Talor si posa, e in voce di colomba Dolcemente d’ amor piange e ragiona; Indi di nuovo arme arme freme e stende Gli alti vessilli, e la battaglia accende. V’ ha la donna del Dramma, la possente Doiinatrice degli umani affetti, Che le tempre del cor soavemente Tocca, accoppiando l’ armonia coi detti; Di meraviglia schiude ampia sorgente, E per gli occhi e le orecchie inonda 1 petti, Quando in pomposa scena apre sua reggia, E in sembianza di Dea parla ed atteggia. Vien coturnata in regio ammanto, e tinge Ora di sdegno, or di pietade il viso, E punitor d’ eroiche colpe stringe La Tragedia il pugnal di sangue intriso, Ma domestici casi induce e finge La Commedia, e punisce sol col riso ; Ride con lei, ma con più amaro ghigno La Satira, storcendo il labbro arcigno. Ma ceda la vista d’ ogni altro oggetto al paragone delle sacrosante Muse, e del complesso che esse sono d’ i- 524 neffabili divine bellezze. Eccole congregate con tutto il popolo di Permesso in un bosco d’ allori ad ascol- tare il maravighioso canto d’ Urania. Alla quale alto e sublime tema somministra la creazione dell’ uni- verso, il Caos, o Discordia che il tiranneggiava dopo uscito dalle mani di Dio, la guerra che all’ orribil mostro fecero Amore, e Armonia (a), la vittoria che ne riporta- rono, la creazione e il connubio dei primi mortali, le prime età del mondo, l'invenzione della lira in cui è posta la ragione delle sfere; il decreto di Giove che le attribuisce arcana potenza sopra i petti degli uo- mini, e tanta parte le affida nel mandare ad effetto la disegnata cultura d’ Europa; la discesa infine delle Muse sopra il Parnaso a fondarvi il Consesso delle scienze e dell’ arti. Nè cessa il canto finchè l’ ordine dei fatti nol conduce alle cose già dette d’ Anfione e di Cadmo. Questi allora che pudibondo e modesto in dispar- te ascoltava, vien discoperto da Urania a tutto |’ Elico- (a) Tutta nuova , tutta allegorica , e spirante ingegno pla- tonico si è questa favoletta d’ Amore e d’ Armonia. Sono en- trambi diletta prole di Dio; è nata | una quando egli ordì il gran disegno della Creazione, l’ altro quando amò questo di- segno , e se ne compiacque . Procede questi dalla volontà di- vina che è principio all’ universal movimento , quella dalla sa- piente sua intelligenza che è principio all’ ordine del Creato . Amore combatte colla discordia , la vince, la precipita entro cupi abissi, Liberato il Creato dal suo terribile impero tutto si dispone secondo il divino concetto in globi e sfere infiniti di numero, immensi di spazio. Armonia subentra a temperar- ne la distribuzione , i moti , il numero, la misura, i tempi, gli spazj, i centri, i giri, ed ogni maniera di leggi. Compiuto i due germani il sapiente lavoro incontransi per gli azzurri spaz] del Cielo , e celebrano il santo loro connubio. Gli elementi ne risentono una gioconda impressione, ed ha principio la fecondità, la vita , e l’ anima della natura . 525 nio consesso, e invitato di mostrarsi, e di soddisfare il comun desiderio. Onde ei si fa fuori in maestoso aspetto, e in tutto lo splendore della bellezza e della gioventù. Tale è Marte nel cielo, e tale sarebbe A pol- lo se deposto l'alloro e la cetra cingesse l'elmo e lusbergo, ed impugnasse gli arnesi di guerra. (Sarà continuato) L. BorrINI. Baci di GrorAnnI sEconDO volgarizzati da CESARE LropoLpo Bixio di Genova . AVVERTIMENTO DEL TRADUTTORE Giovanni Secondo, nato all’ Aja nel 1511 e morto nel 1536 iu età di quasi 25 anni, fu poeta, pittore, scultore, intagliatore e giureconsulto. Appartenne alla celebre famiglia Nicolaja, che, al dir di Giano Douza, diede in ogni tempo poeti al Liceo e presidenti alla Curia. Fu nel breve tempo che visse segretario del Cardinale Tavera, Arcivescovo di Toledo, dell’ Impe- ratore Carlo V. e di Giorgio di Egmont primate di Utrecht. Fra le molte poesie latine da lui composte mag- giore diritto gli diedero all’ immortalità i suoi Baci; dei quali basterebbe dire per tutta lode , avere scritto l’ipercritico Scaligero: uscirono da labbri, cred’io, della celeste Venere: Siderae Veneris puto defluxisse labellis . Di questi baci, cortese lettore, io t’offro la versione in lingua italiana. Se credi che traducendo si debba ren- dere la idea dell’ autore, servendo al diverso effetto che producono spesso le medesime frasi fedelmente rese con diversa lingua ; la considererai, spero, siccome un 526 tentativo nell’arte di volgarizzare: se poi, nulla do- nando alla difficoltà dei vari metri, richiedi nel tradut- tore un religioso interprete , abbila quale imitazione. Jo questo so, che sempre ebbi presente di tradurre componimenti, che amano lucido ordine e modi de- licati. BACI DI GIOVANNI SECONDO Bacio I. Quando recossi Venere Nell’ isola natia Il giovanetto Ascanio, Che in grembo a lei dormia, Posò d’ Enea la prole Su tenere viole. Di mille rose candide Mirar lo volle adorno, Di pura ambrosia e nettare Sparse fragranza intorno; Rammentò Adone, e al core Senti l’ usato ardore. O quante volte stringere Volle il gentil garzone! O quante volte, ahi misera! Disse: tal era Adone! Ma lui turbar non osa Che placido riposa . Quindi più ardente ed avida Delle dolcezze. prime, Di mille baci fervidi Le bianche rose imprime; S’infiamman elle: dolce Aura i bei labbri molce. E quante il viso amabile Rose d’ intorno tocca, Tanti per essa scherzano Baci sull’ aurea bocca, Di cui ciascun rendea Piacer doppio alla Dea. Allor, novel Tritolemo, Il ciel, la terra, i lidi Sparse di baci Venere Tratta dai cigni fidi; E diè tre volte suono, Nuovo ‘agli amanti dono. Quinci la messe, farmaco De’ più possenti mali, Messe di baci, ingenuo Sollievo de’ mortali, De’ miseri ristoro, Mia prima cura e loro. Io vi saluto, teneri Figli di fresche rose; In voi la bella Cipride Ogni piacer ripose; Fassi per voi diletto Un infelice affetto. Jo, finchè sia d’ Apolline Nota la vetta ascrea, Finchè la lingua lazia De’ posteri d’ Enea Memore, parli amore, Sarò di voi cantore. 527 (Gli altri baci si daranno successivamente.) 528 SONETTI DI LUIGI BORRINI Lo La morte d’ Ettore. Ettor delle sue piaghe aperte, e crebre L’orribil carco a sopportar non vale: Cade: piovegli al fronte e alle palpebre La stigia nebbia, ed il sudor mortale . Fiso è il Pelide con ingorde ed ebre Luci nello spettacolo ferale; Dà lo Spavento in Troja urlo funebre, Gioia pel Greco campo innalza l’ale. Priamo con Giove e col Destin si lagna; “Tutta la reggia d’ Ilio in pianto è volta, In lai di donne miserandi, e cupi. Sola Andromaca è muta, e non le bagna Lacrima il petto: dalla folgor colta, Non fa sembiante che dolor 1’ occùpi. II Ad Alfieri. Se accogli ancor nel generoso petto Il bel desìo di gloria, altero ingegno, Nè tutto al varco dello Stigio regno T° estinse Lete il memorando affetto: Volgiti al caro tuo soggiorno eletto, Per cui tanto movesti amore e sdegno, Sorridendo al magnanimo disegno Compiuto, e al lieto di tue cure effetto. 529 Bramasti Ausonia innamerar del mesto Coturno, e il fonte aprir delle soavi Lacrime: or mira quanto pianto è desto! Quanto dolor pietoso ignoto agli avi! O vate nostro, tua mercede è questo | Tempo miglior che profetando andavi. III Alle reliquie del teatro di Fiesole. Voi, sacri avanzi, la più dolce e cara Fidanza e calma m' accogliete in seno, Voi che degli anni la terribil gara Pugnaste, e agli anni non cedeste appieno. Ma gli ostri, e loro, e qual più ricca e rara Cagion governa ai nostri affetti il freno, Bellezza, e grazie, e quanto a sè prepara D’ agi e di pompe il vaneggiar terreno, Tutte nel fatal gorgo involve oblio : Opre illustri dell’ arte e della Musa, Certo tra voi mi guida o Genio, o Dio, Perchè sudando a sormontar la chiusa Cirrea pendice mi conforti anch’ io Con la speme di vita in petto infusa . IV. Nell’ Ascensione di Gesù Cristo. Il nuovo Adam ch’ alla magion del pianto Fu dell’antico a riparar la sorte, E col fulgore del vessillo santo Vinse l’ orror delle tartaree porte; 530 Poichè risurse, e scalzi, e in rozzo manto, ‘Ma di fè viva armati, e d’ alma forte, Scelse i suoi fidi, e lor promise accanto Il suo spirto, il suo nume ognor consorte; Or sovra nube d’ oro luminosa Al ciel ritorna d’ alta gloria cinto; Al soglio eterno, che sugli astri posa, E del gran Padre al piè, d’ amor dipinto, Abbassando la Croce sanguinosa, Guarda, gli dice, con' quest’ arme ho vinto. : | RAGGUAGLI SCIENTIFICI E LETTERARI BIBLIOGRAFIA E. CORRISPONDENZA. Notizia delle opere di Francesco BENEDETTI di Cortona. Quando alcuno di coloro che hanno speso la vita onorando la patria con i loro talenti, viene ad incontrare il comun fato degli uomini, vero è che i documenti che del suo ingegno ri- mangono negli scritti cadono in mano di persone eredi non del nome solo, ma pur’anco delle virtù del defunto. Ond'è poi argomento di giusto rammarico per gli amici delle lettere, il veder sovente perduto il frutto di quelle vigilie e di quelli studj . Perlochè .ci è ora di conforto l’ udire che le originali scritture di francesco Benedetti di Cortona, giovine di mon vol- gar fama éd ingegno, mancato da poco tempo alla patria e alle lettere, sieno state accolte come la più cara parte della fraterna eredità da Teodoro e Antonio Benedetti. E ciò ridonda in tanto maggior onore di questi, in quanto che non facendo pro- fessione di letterati , e dalle cure della mercatura distratti e occupati vivendo lontani dalla patria, e avendo fermato il loro domicilio in Ancona , han tuttavia mostrato sollecitudine della fraterna gloria, e del decoro delle lettere e del paese nativo . E ci gode l’ animo di sentire che essi divisano già di provve- dere alla maggior fama di colui del quale tengono meritamente | 551 in pregio la memoria, col far di pubblica ragione le sue scrit- ture non ancor divolgate, riunendole aile altre già pubblicate vivendo l’autore . Quel tanto che del suo ingegno rimane , non facilmente , erediam noi, verrà meno nella memoria degli uomini. Perchè, oltre ad un volume di ARirze pubblicato nel 1818. in Milano; oltre a due tragedie , i Telegono e il Druso; un discorso sul teatro Italiano, un'altro sull’ eloquenza Italiana, e un'Ora- zione per l’ anniversario della nascita di Torquato Tasso , stampati tutti dal 1815 al 1818; undici altre tragedie di cui daremo qui sotto i titoli, e quattordici vite d’ illustri cittadini Italiani paragonati agli antichi Greci e Romani , scritte se- condo il modo tenuto da Plutarco , e altre operette di minor conto, si son trovate dopo la sua morte tra le carte da lui la- sciate. La qual: copia e varietà di scritture uscite dalla sua penna , sebbene ne sien rimaste alcune imperfette', farà mara- viglia se pongasi mente alla breve e travagliata vita ch’ ci con- dusse. E ciò aumenterà ancora il rammarico dell’immatura sua perdita . Perchè non solo era da aspettare da lui nuovi frutti del suo ingegno quando fosse più lungamente vivuto , ma ch'egli avesse condotto a maggior perfezione le opere di che parliamo, e studiato meglio a togliere quelle macchie, quas aut incuria fudit, Aut humana parum cavit natura ..... E che questo fosse negli ultimi tempi il suo primo pen- siero, noi ne possiamo recar testinaonianza sì per alcun collo- quio tenuto coll’autore , sì per aver veduto in una delle sue opere stampate ( che pure era stata accolta dal pubblico con segni di più particolare approvazione ) eseguite di sua mano varie correzioni di molta conseguenza relativamente alle massi- me che per lo innanzi egli si era formato dello scrivere ita- liano , e in specie dello stile della tragedia. E giacchè di que- sta difficilissima tra le letterarie composizioni è occorso di far parola , non sia chi giudichi interamente il Benedetti dal suo discorso sul teatro Italiano ; ma veda quello che quasi docu- mento di più moderato e forse di più giusto pensare , ei ne scriveva nel marzo 11818. al sig. Conte Ga/eani - Napione in risposta a una lettera da quest’ultimo scrittagli, e sparsa d’inop- portuno fiele contro l’immortal Tragico d’ Asti. Perlochè noi preghiamo i signori Teodoro e Antonio Be- T. III. Settembre 34 552 nedetti ( lodando e applaudendo al nobile loro divisamento ), che essi vogliano in particolar modo intendere a onorar la me- moria del loro fratello più colla scelta che colla copia delle scritture da pubblicarsi ; e a procurarcene siffatta scelta che pur sia degna del nome italiano , e capace di accrescer fama all’autore di cui deploriamo la perdita . Opere di Francesco Benedetti edite e, inedite Tragedie : Telegono 1814. -- Mitridate 18r9. inedita -- Dejanira 1811. inedita -- Druso 1813. -- Congiura di Milano 1815. inedita -- Gismonda 1815. inedita -- Tamerlano 1816. ine- dita »- Timocare 1817. inedita -- Pelopea 1817. inedita -- Ric- cardo IIT. 1819. inedita -- Gli Eleusini 1819. inedita -- Telefo 1820. inedita -- Cola di Rienzo 1820 - 21. inedita -- Rime pub- blicate nel 1818. Milano -- ) Prose : Vite degli uomini illustri Italiani -—- Gola di Rien- zo : inedita -- Filippo Strozzi: inedita -- Piero Capponi -- Nic- colò Capponi -- Lorenzo de’ Medici : inedita -- Farinata degli Uberti: inedita -- Niccolò da Uzzano : inedita -- Dante da Ga- stiglione : inedita -- Giano della Bella : inedita — Francesco Burlamacchi: inedita — Rinaldo degli Albizzi: inedita -- Gio- vanni di Proeida: inedita -- Francesco Ferrucci: inedita -- Baja- monte Tiepolo : inedita -- Orazione per l’ anniversario della na- scita di Torquato Tasso -- Discorso intorno al teatro Italiano — Discorso intorno all’ eloquenza Italiana -— Discorso intorno alla lingua Italiana: inedito -- Orazione di un Italiano : inedita . 533 Lettera del Sig. G. MoLini . Firenze a dì 6. settembre 1825 Sig. Editore fi Mi prendo la libertà d’ inviarle con questa mia un esem- plare della ristampa, che ho ora pubblicata delle Tragedie del ConTE ALFIERI in due volumi per la mia Biblioteca portatile Italiana (1). Ella vedrà che ho corretta il primo una svista fatta dall’ autore medesimo nell’edizione originale di Parigi, e stata poi copiata in tutte le tante altre che ne sono veuute dopo . Trovai questa nella scena seconda deli’ atto terzo del Bruto secondo, ove Cesare dice a Bruto che sarebbe andato egli stesso a trovarlo in casa, se non lo avesse trattenuto il pensare che vi avrebbe trovata consorte di Bruto ,; del gran Caton la suora ,, la detta svista è tanto più singolare, che nell’atto quarto , scena seconda della medesima tragedia, Bruto parlando coi congiurati, dice ,, Porzia di Cato figlia, a Cato pari, moglie alberga di Bruto ,, Mi guardi il cielo ch’ io intenda di rimproverare all’ immortale Alfieri questo trascorso di penna, e che io voglia trar superbia da una scoperta che qualunque scolare di umanità poteva fare egualmente. Mi lusingo per al- tro che il pubblico vedrà che io pongo nell’ esecuzione delle mie edizioni uma cura non ordinaria . Ho, l’onore di dirmi ec. Suo Servo G.MOLINI. (1) Questa Biblioteca è invero utile; avendo moltissime cose ottime ristrette in piccolissimi volumi . L’ edizione è ele- gante e corretta. E già sono pubblicate in soli cinque tometti le novelle del Boccaccio, le favole del Pignotti, l’opera di Lu- crezio tradotta dal Marchetti , e le tragedie colle respettive prose dell’ Alfieri. ( Nota dell’ Editore ) 534 Della maniera più atta a curare radicalmente le variei , ed impiàgamenti varicosi dell’estremita inferiore. Memoria di Ravieri Cartoni Medico-Chirurgo. Pisa 1821.Presso Sebastiano Nistri . Discorse brevemente le cause di questa infermità | antore passa a parlare dei metodi curativi, che dal padre della medi- cina sino ai nostri giorni furono proposti , ed impiegati per ri- sanarla. Fa succeder quindi una ben disposta serie di osserva- zioni pratiche sì proprie che altrui, dai resultamenti delle quali trae occasione di dare la preferenza nom senza gravissime ragioni, a quel metodo operativo, mercè cui si viene a reci- dere ed asportare una porzione della vena soferia grande, piut- tostochè alla semplice recisione e all’ allacciatura di essa. Non tace i pericoli , ed i disastri ai quali può andar soggetto il pa- ziente, e che dal più al meno sono però in qualche caso inse- parabili da qualunque siasi modo di operare , e fa riflettere in ultimo come l'infiammazione delle vene che può insorgerne, sia la causa più comune , e più vera di tutti i mali che talvolta ne derivarono . Le quali cose non tanto pel loro intimo valore, quanto per l’ordine, per la chiarezza, e per la precisione , ren- dono interessante oltremodo, e pregevole questo lavoro, che tiene ad illustrare la carazione di un malore, nel quale tanto eminentemente si è distinta la chirurgia inglese , e I’ italiana . Raccolta di Trattati e Memorie di Legislazione e di Giu- risprudenza Criminale Tom. I. Il. e II. Firenze dalla Tipo- grafia di Luigi Pezzati 1821. Questa raccolta comprende : nel Tomo I. Principj del Co- dice Penale, opera postuma, di Francesco Mario Pagano —- Teoria delle Prove, dello stesso -- Discorso sull’ Amministra zione della Giustizia criminale , dell'Avvocato generale Servan -- Discorso. d’un anonimo sull’ umanità dei giudici nell’ ammini- strazione della giastizia criminale -- Compendio del Discorso del ‘ig. Bernardi Avvocato al Parlamento d’Aix, coronato dall’Ac- cadenia di Chalons sur Marne nel 1780, della prova , della natura e forza delle presunzioni nei giudizj criminali -- Discorso sopra le pene capitali del Sig. della Maddalena. Nel Tomo II. -- Della pluralità dei suffragj nei giudizj Criminali, del Conte Virgilio Barbacovi -— Sopra la maggio» itato) ranza dei voti nelle Sentenze criminali, del sig. Giuseppe di Sonnefels , traduzione dal tedesco del Dott. Antonio Cibbini -- Memoria sull’ infanticidio , del Sig. Guglielmo Hunter medico fisico -- Discorso sui costumi; Quale e quanta influenza ab- biano nella società i costumi, e come da questi le virtuose azioni, ed al tempo stesso i delitti derivano -- Memoria sui motivi di scusa , o di minor colpa nei delitti cagionati dall’ u- briachezza , coll’ analisi delle diverse opinioni sopra una tale questione -- Riflessioni sulle induzioni che si tirano dalla morte di un uomo avvenuta nello spazio di quaranta giorni che sono scorsi dal momento in cui fu ferito, del sig. Maret Dottore di Medicina nell’ Università di Montpellier -- Memoria sui mezzi di risarcire l’ innocenza ingiustamente accusata , o punita . Nel Tomo Il. -- Trattato della garanzia individuale , e delle diverse prove riconosciute dalle leggi in materia criminale, di P. L. Lauzè di Peret Avvocato a Parigi -- Ricerca quali de- litti e calamità sono prodotte o prevenute dal presente sistema di disciplina delle carceri iu Inghilterra , illustrata cella rela- zione dello stato di varie prigioni , e del metodo tenuto dal co- mitato delle dame a Newgate, opera di Tommaso Fowel Buxton Esq. M. P., , versione dall’ Inglese . Se ne promette in breve un quarto Volume , il quale com- prenderà il Trattato divenuto rarissimo del sig. de Simoni de/ furto e sua pena . Gli opuscoli contenuti in questi tre tomi essendo da molto tempo conosciuti, almeno nella massima parte , ci asterremo da darne più minuto ragguaglio . L’ ultima operetta sulle carceri d’ Inghilterra formerà soggetto di un articolo a parte , nel quale saranno fatti conoscere anco gli altri scritti venuti alla luce re- centemente sulla stessa materia . Introduzione allo studio delle arti del disegno, e voca- bolario compendioso delle arti medesime nuovamente compi- lato per uso degli studiosi amatori delle opere di pittura 5 scultura, architettura, intaglio ec. , con tavole intagliate in rame 2. oli 8. Milano 1821. presso G.e G. Vallardi, prezzo L.12. Vendibili in Firenze al Gabinetto ali e letterario, prezzo ape 24 Nel primo di questi volumi, previo un ragionamento sulla arti del disegno, si tratta delle medesime partitamente in tre 536 libri ; nel primo dell’ archifettura; nel secondo della scultura e della arti analoghe alla medesima, come della plastica, della ceroplastica ; della fusione in bronzo , dell’ intaglio o della in- cisione in pietre dure; e della formazione delle medaglie o monete ; nel terzo della pittura e delle arti alla medesima re- lative , come della prospettiva e della scanografia, della mi- niatura, dello smalto , del musaico , dei lavori di tarsia , degli arazzi e dei ricami, della Ho iascliindibtr , del niello e dell’ in- taglio o della incisione in legno ed in rame . Il secondo volume comprende il vocabolario compendiose delle belle arti medesime, i di cui articoli oltrepassano il nu- mero di 2400. alcuni dei quali affatto nuovi e tutti stesi ori- ginalmente , molti altresì col perpetuo confronto delle opere italiane e straniere più accreditate. Quest'opera mancava ancora all’ Italia , non potendosi riguardare come vocabolarj compiuti; nè le traduzioni di alcuni dizionarj francesi , nè il piccolo di- zionario che corre sotto il nome del celebre Milizia . Crediamo che i sigg. Vallardi hanno renduto utile servigio agli amatori ed anche agli artisti, col presentare loro in un volume riunite le più preziose notizie intorno ai metodi e le opere dell’arti del disegno , e nell’ altro la spiegazione di tutti i vosnholi inservienti alle arti medesime , con osservazioni sulla lingua ed altre utili avvertenze , il tutto disposto in ordine al- fabetico . Brocnarii UnivERsALE antica, e moderna , ossia Storia per alfabeto della vita pubblica, e privata di tutte le persone che si distinsero per opere, azioni, talenti ; virtù, e delitti. Opera compilata in Francia da una societa di dotti, e let- terati, cd ora per la prima volta recata in Italiano con cor- rezioni, ed aggiunte . Venezia presso G. B. MISSIAGLIA. Abbiamo parlato dell’ originale francese di quest’ opera grandiosa, ed interessante nel tomo primo pag. 140. Annan- ziamo ora il manifesto di una versioné in nostra liugua che se ne intraprende a Venezia , migliorata da correzioni, ed ag- giunte . , Traducendola in Italiano ( dice il manifesto ) noi ci atter+ remo ad una scrupolosa fedeltà, e gli articoli saranno tradotti im tutta l’iategrità loro originale ; ma siccome nel periodo ngn 537 breve di tempo che all’ intera pubblicazione di questa versione sarà necessario, verranno compiute le illustrazioni della Bio- grafia universale , cui Barbier, insigne erudito, ha intrapreso per l'alta sua stima di un opera alla quale senza alcuni par- ticolari motivi avrebbe preso parte egli pure, altri autori, forse pubblicheranno altri miglioramenti e compimenti; ed i letterati italiani a cui noi affidiamo la revisione di quella parte dell’ o- pera che risguarda gli uomini illustri dell’ Italia , avranno sco- perte e corrette o inesattezze o omissioni, così noi appiè de- gli articoli, contraddistinti da un asterisco, verremo inerendo tali aggiunte, per cui l’ edizione Italiana potrà ( resa per alcun pregio suo proprio non vulgare e non comune ) con qualche diritto aspirare all’ indulgenza del pubblico.,, Quanto alla forma dell’ edizione e alle condizioni dell’ as- sociazione ecco quel che si legge ,, La forma dei volumi sarà consimile a quella della nuova edizione delle opere di Buffon, la carta uguale a quella del presente manifesto, ed il carattere e la distribuzione delle pagine a due colonne, conforme al saggio qui unito . ,; 3, I volumi saranno di pagine cinquecento a cinquecentoventi circa di stampa a colonna doppia, la maggior ampiezza della carta facendo sì che il numero de’ volumi riuscirà in tale guisa minore a quello de’volumi dell’ originale francese . Il prezzo d’associazione è fissato pei primi mille associati in italiane lire sei per volume compresa la legatura, ma escluse le spese di porto, e successivamente sarà accresciuto il prezzo dopo la pub- blicazione de’ primi volumi. ,, », Quantunque tutto sia disposto per dare principio immedia- tamente all’ impresa, la somma importanza del lavoro non per- metterà di pubblicare il primo volume che nel gennaro pros- simo venturo 1822. , ritardandosi anche all'oggetto di non la- sciare troppo intervallo di tempo nella pubblicazione de’ volumi successivi i quali dovranno susseguitarsi di sei in sei settimane al più tardi senza interruzione .,, Noi non possiamo, che applaudire ad un impresa sì inte- ressante per la nostra gloria letteraria. Facciamo voti perchè quei letterati che il manifesto ci annunzia essere incaricati delle correzioni, ed aggiunte riguardanti gli Uomini illustri d’ Italia ( delle quali correzioni ed aggiunte ha gran bisogno in questa 538 parte la Biografia francese ) v'impieghino tutta l'attenzione per render l’opera la più completa possibile .-- Quei letterati del regno di Napoli i quali nel 1791 intrapresero la traduzione dal francese del nuovo Dizionario storico universale , resero gran servigj al loro paese per gl’ importanti miglioramenti , che vi recarono; ma prendendo iu mano questo lavoro ognung s’av- vede, che mancarono , o furono pochi i soccorsi, che. si ‘pro- curarono ; o che furono loro somministrati dagli uomini di lettere delle altre province d’Italia -- Lasciamo le nostre idee municipali, e ricordiamoci che in letteratura abbiamo tutti ‘una patria comune . -- Le notizie della vita, e degli scritti degli Uomini celebri non si possono avere assolutamente esatte , altro che nel luogo in cui quelli nacquero , o dimorarono . -- Gl intraprenditori di questa grand’Opera la renderanno vera- mente utile, se non sdegneranno di accettare cooperatori in ogni parte d’ Italia. -- Rammenteremo ancora agli editori di questa nuova Biografia , che non sono mai troppi nelle opere di questa specie i soccorsi che si prestano ai lettori pel più facile ritrovamento delle cose trattate. L’Indice generale delle praterie . che forma il volume XXVIII. del Dizionario istorico Napoletane è un lavoro preziosissimo , e degno d’ imitazione . -- Altri indici ancora possono dare prospetti utilissimi, ed abbre- viare considerabilmente le ricerche . -- Gli editori avranno si- curamente in vista tutto questo, quantunque non l’ abbiana espresso nel manifesto . Lettera del sig. Pror, Tantini di Pisa . Pisa 4 settembre 1821. Avendo letto nel N.VITI. dell’Antologia l’onérevol’menzione che dime fa il corteseScrittore dell’articolo sulla Prolusione dell’illustre sig. Professore Barzellotti, desidero, gentilissimo sig. Vieusseux , ch’Ella si compiaccia d’inserire nello stesso Giornale , con tanto zelo da lei diretto, l’intero paragrafo dell’ introduzione alle mie Osservazioni comparative di medicina pratica, citato in parte mel suddetto Numero dell’ Antologia, perchè vie più si cono- sea non solo quanto uniformi.sieno sempre stati i pensamenti 539 miei a quelli del citato egregio mio Collega sui vantaggi di una medicina comparativa , qual miglior mezzo per giungere a sta- bilire qualche utile verità in una scienza in cui sono sì facili l'illusione e l’ errore, ma di più come io procurassi di porli in esecuzione al letto degl’infermi nel mio giro medico fatto nell’an- no 1805 in quest’ ospedale di Santa Chiara. Sono ec. » Riflettendo primieramente, che per poter sperare,che l’arte salutare faccia reali progressi non vi è miglior mezzo , che quello di sperimentare con sagacità , mettendo in pratica non solo i rimedi più accreditati, ma ripetendone replicatamente l’uso, e rinuovandone l’ applicazione in individui posti ora in diverse ora in simili circostanze, provando rimedi nuovi, o meno usati; per vedere se dopo molte e ripetute. osservazioni si giun- gesse a ritrovare qualche nuovo rimedio veramente utile. Ri- flettendo in secondo luogo, che usando questo metodo , sì po- trebbe col tempo pervenire al desiderato scopo d’ essere assicu- rati quali veramente fra i rimedi conosciuti abbiano un valore reale, quali altri non meritino gli elogi, che generalmente gli si attribuiscono , e quali finalmente fra gli utili abbiano un’at- tività più certa , e più pronta, e quali una più debole , e dub- bia; mi proposi nel mio giro di fare una serie di sperimenti re- lativi a queste mie vedute. Privo assolutamente di qualunque spirito di partito , scevro di ogni prevenzione, mi prefissi di essere semplicemente uno sperimentatore , un’ osservatore , e un relatore di fatti. Posi pertanto in uso i rimedi più accreditati, alcuni altri recentemente raccomandati nel trattamento delle malattie , ne variai in molte guise, ed in varie circostanze l’appli- cazione, ne ripetei l’uso in circostanze eguali,feci rigorosi, ed esatti confronti fra i resultati di diversi medicamenti usati nelle stesse malattie in individui simili fra loro nell’età, nel temperamento, e nel vigore , ovvero degli stessi rimedi adoprati nelle mede- sime malattie in individui differenti fra loro per l’ enunciate eircostanze . La più incontentabile diffidenza ed il maggior cri- terio ho procurato di usare nella deduzione dei fatti, e la più franca ingenuità nell’ esposizione di essi. Un’altra considerazione eh’ebbi ognor presente , e che sempre deve accompagnare le indagini del Clinico, fu quella di usare la massima cautela 540 nello sperimentare rimedi nuovi per non porre in pericolo , con un soverchio ardire, la vita de’ miei infermi. ( 7. Opuscoli scientifici, Pisa, 1812. tom. 1. p.XAVTI. ). GEOLOGIA. Estratto di lettera del sig. AB. GIOVANNI TALIA DI NAPOLI. Il giornale che in Roma si pubblica col titolo di e/feme- ridi letterarie, nel quaderno dell’ ultimo passato gennaio, con- tiene un articolo intorno a’ cenni geologici sul tenimento di Massa Lubrense del Conte M. Milano. Secondo il giornale , la roccia marno - sabbiosa di Massa Lubrense ( Cap. JI ) è un’ arenaria, che dir doveasi grau- vvacke. Io non ne veggo la ragione. Le rocce di transizione, fra le quali figura tanto la grauwacke , appoggiano sopra rocce primitive . Il cemento della grauwacke è scisto argilloso di pri- ma formazione attenuato . Intanto la roccia in questione appog- gia sulla calcarea secondaria, e la miarna forma il cemento di lei. Una varietà di questa roccia paragonerei al murbdersandstein de’ tedeschi; altra paragonerei al loro sandschiefer. Il murber- sandstein, ed il sandschiefer sono rocce argillo-sabbiose.. Nelle altre due varietà è minore la presenza della silice , maggiore la presenza della calce carbonata . Quindi roccia argillo - sab- biosa, marno-sabbiosa.; e grauwacke non mai. E se anche la roccia in questione grauwacke si potesse dire., sempre a que- sta denominazione dovrebbe preferirsi quella di marno-sabbiosa. L'italiano indicamento di marno-sabbiosa esprime l'oggetto più distintamente che fa straniera voce grauwacke. D' altronde il nome di grauwacke , introdotto da’ minatori dell’ Hartz, a rocce composte non fu bene adattato. Gra in tedesco significa! grà gio, e la wacke i mineralogi. di Alemagna non comprendono tra le rocce composte. i Secondo |’ articolo , il cemzenzo di Massa Lubrense ( Cap: III. ) col nome di piperno doveva essere indicato . Accennerò alcune differenze tra il cemento lubrense , ed il piperno. La parte nereggiante del cemento lubrense è costantemente. scori- forme ; la parte nereggiante del piperno ow è scoriforme , ove 54I eompatta come il basalto . Il cemento. lubrense scema di fria- bilità a misura ch’ è più profendo ; il piperno più profondo è friabile . Il piperno contiene laminette di mica; nel cemento lubrense lamine di mica non si osservano . Il piperno talora offre filamenti capillari di ferro ; il cemento lubrense non ne offre giammai. La parte cenerognola del piperno, esposta alla libera azione dell’ atmosfera , soffre certa decomposizione ; la parte di apparenza terrosa del cemento lubrense, esposta lungo tempo all’azione libera dell’ atmosfera , non si decompone . La grana del piperno è molto più evidentemente vetrificata che quella del cemento lubrense . Il più duro cemento lubrense ha minor durezza che il piperno più duro . ' L'autore non loda la denominazione #ufa ; data alle .con- crezioni vulcaniche per via umida , onde queste dal tufo-calca- reo distinguere . Arbitraria e debole distinzione egli la reputa ( Cap. III. ). Oppone il censore tal denominazione essere op. portuna , poichè fornita dal dialetto napoletano , che ha da lungo tempo il privilegio di prestare alla scienza i vocaboli che contraddistinguono i varii prodotti vulcanici . Qui corre un equivoco. Tfa , secondo il dialetto nostro, non tufo vul- canico , significa bensì quel buccino col quale si chiamano i porci a rassegna . Il censore dubita della origine vulcanica de’vetri turchini , che incontransi nel tenimento lubrense ( Cap. III. ). Faujas ha veduto in Ispagna una lava di color turchino ( 7. Classificat. des prod. vole. p. 429. ) Gioeni ha veduto vetri dello stesso colore tra le ossidiane dei vulcani estinti di Val di Noto ( 7. Saggio di litolog. vesuv. p. LXITI.). Begli esemplari di vetri turchini raccolti in Massa Lubrense dall’ autore sono conser- vati nel gabinetto del Cavalier Monticelli. Uno della varietà n. 2. screziato di turchino , e dove l’ azione del fuoco è oltre modo manifesta , può osservarsi nel gabinetto del professore Tondi . Novella imputazione va data all'autore, perchè una roccia che molto somiglia al grunstezn pende a credere di origine vul- carica ( Cap. Y. ). Io non suppongo l’ autore ignorante delle cose dette , onde al grunstein attribuire nettunica origine . È probabile però ch'egli sia tra coloro chesospettano tante rocce comprese sotto il nome di #rappo origine vulcanica avere avuta: cio che della nettuniea origine di ‘una roccia accostante molto al grunstein potrebbe farlo dubitare. E qui riflettasi ad un 542 luogo di Breislak ,, M. Cordier a trouvé le grunstein dans quel. 33 ques dépendances du Cantal. Cette roche composte de grains ;) tantòt gros, tantòt petits, ici pleine et compacte, là poreuse » avec des cavités grandes ou petites , occupe la superficie de quelques plans élevés, et la terre qui la recouvre en partie, est remplie' de sable ferrugineux attirable à l’aimant . Elle » est superposée au basalte qui est quelquefois configuré en prismes , et repose sur des fragmens de scories rouges et noires , empàtées ensemble. Il paroît qu'il n’est pas possible de nier l'origine volcanique de ces substances , et par con- :) sequent du grunstein qui a le méème gisement qu’elles. ,, ( instit. geolog. $. 725. ) Ad altre censure contenute nell’ articolo non credo neces- sario rispondere . Trovo però giusto che di quelle sia cono- sciuto lo stile. Esempio. Nel Cap. I. trattasi della origine di un tempio che dava il nome al promontorio Atenéo. La confu- tazione è la seguente. £” facile da avvedersi che erudizioni di simil fatta sono attinte dalla fantastica scuola di Simmaco Mazzocchi , il quale popolò di nazioni orientali il regno di Napoli; e si compiaceva di trarre le sue etimologie da’ voca- boli siriaci , fenicii, ebraici, caldei. Emerse da questa scuola uno sciame di discepoli che desiosi , come per lo più accade , di vincere il maestro, fecero per più anni trasecolare con le bizzarre, e stravaganti loro dottrine . Napoli Maggio 1821. Lettera di un Accademico Fiorentino al Direttore dell’ ANTOLOGIA. SIGNORE Di un mio carissimo amico sono stato recentemente informato, che nel volume XXX. del Giornale Arcadico a pag. 436. un letterato bolognese si mostra alquanto scandalizzato di me, per- chè a solo fine di rendere ossequio alla verità ho sostenuta nel num. V. dell’ Antologia la legittimità della voce 4620, creduta spuria dai signori Compilatori del Dizionario della Lingua italiana, 543 che si stampa a Rologna. Trovo infatti ch' egli mi rampogna acremente per dae motivi; primo, perchè il celebre sig. Conte, Perticari, or sono già venti mesi, dimostrò questa medesima legittimità nel vol. X. del soppraddetto Giornale; secondo, per- chè in quel mio scritto non mi son neppur degnato di citarlo. Confesso ingenuamente essermi rincresciuto moltissimo , che quell’ erudito siasi inquietato e disgustato con me per sì leggera cagione. Contuttociò mi giova sperare, ch’ ei vorrà finalmente rimettermi nella sua buona grazia, e come saggio e discreto ap- . pagarsi della ragione. Io non leggo che pochissimi Giornali, at- tese molte e gravi occupazioni, che di continuo, sebbene a mio malgrado, da ciò mi distolgono: e niuno saravvi per certo, che in peccato ciò mi voglia imputare. D'altronde, neppur quando anche io fossi il più sfaccendato uomo del mondo, potrei aver tempo ed agio bastante per leggerli tutti; tanta si è-oggimai la copia di simili scritti, che da ogni parte c’ incalza. Ora, es- sendo l’ Arcadico nel numero appunto di quelli, che finquì non ho trovato tempo di leggere, io domando, come poteva sapere, che il sig. Perticari vi avesse trattato della stessa materia? E se io non ebbi finora di quel suo scritto contezza veruna, come mai poteva citarlo? Dovrebbe adunque il mio ac- cusatore facilmente comprendere, che tutto il mio grave fallo ad altro in sostanza non si riduce , che all’ aver io detta una cosa , che anche da un altro senza mia saputa fu detta. Ed in ciò per verità io non saprei finalmente trovar quel gran male, ch’ egli va immaginando, e studiasi di far credere altrui: impercivcchè,; è egli forse il primo esempio, che due diverse persone, senza essersi mai nè viste nè conosciute, siano state d’un egual sentimento nel fatto di qualche controversia, ed in scrivendo siensi trovate d° ac- cordo nella stessa opinione? Egli interviene assai spesso, parti- colarmente in questi nostri domestici stud), che si trova appieno verificata quell’ antica sentenza ,, Nullum est jam dictum, quod non dictum sit prius ,,: ed io credo, che invece di disonore, gran- dissimo bene e decoro ne venga alle Lettere, ed a chi le coltiva, quando la verità si è da più parti egualmente mostrata. Nel caso mio, lungi dall’ afliggermi di siffatta combinazione, ne vado anzi fastoso, e direi quasi superbo, ascrivendo a mia somma gloria ed onore, che il mio parere su quel contrastato vocabolo sh stato pienamente conforme a quello del dottissimo ed assen- natissimo sig. Perticari, senza che io ne avessi la minima co- x 544° gnizione. Debbo adunque render grazie ‘infinite all’anonimo bolognese dell’ avermi di tutto questo avvertito; e ben lontano dal cruceiarmi con ésso lui per qualche amara e pangente espres- sione cadutagli dalla penna, (il che certo mal si conviene fra persone oneste e gentili) voglio anzi di buon animo interamente scusarlo, sentendo ch’ ei sia stato a ciò mosso dallo zelo di so> stenere il decoro de’ Letterati suoi concittadini: sebbene anche in ciò, per quanto mi pare, egli ha preso la cosa con troppo calore ed entusiasmo; poichè io son certo, che non vi potrà mai essere alcuno il qual tema, che l’ onoranza della sempre dotta Bologna, patria degli Aldravandi, dei Malpighi, dei Man- fredi, e degli Zanotti, e di tanti e tanti chiarissimi ingegni, che anche di presente la rendono sì illustre e famosa, possa venir meno pel fatto della parola 4540. Prego, mio Signore, la gentilezza sua, a volersi degnare di render pubblica nell’ Antologia questa mia libera ed ingenua dichiarazione, mentre con tutta la riverenza passo a confer- marmi. Suo Devotissimo Servitore I. V. ACCADEMICO COLOMBARIO FIORENTINO. P. S. Mi scordava di dirle, come nell’ impressione di quel mio articolo sopra la vece 4240 incorse un errore nella Nota posta a pag. 3o5. ove si legge ’A/663 in luogo di A’68#. Si compiac- cia di far sì, che la correzione. sia resa manifesta più presto che le sarà possibile, affinchè qualche Ipercritico, come talvolta egli aceade , non attribuisca ad ignoranza di chi scrive anche gli errori inevitabili della stampa . IMP. , E R. ACCADEMIA DELLA CRUSCA . Estratto dalla Gazzetta di Firenze de’ 14. Settembre 1821. (1) Martedì prossimo passato ebbe luogo nel già Palazzo Riccardi l' annual pubblica adunanza dell’ I. e R. Accademia della Crusca. L'ordine del ruolo chiamava a leggere in quel giorno il cele- bre sig. Giov. Batista Niccolini. Nobile ed interessante argomento (1) Noi inseriamo questo articolo nell’Antologia a fine di sod- disfare alla curiosità di que’ nostri lettori che non ricevono la Gaz- zetta di Firenze. Bensì noi daremo nei successivi fogli un conve- niente ragguaglio di questa importante Adunanza dell’ Accademia. 545 prese a svolgere nella sua dotta lezione il valente accadernico, Parlò intorno a quello che in fatto di lingua si c hiama proprietà , mostrando colla scorta della filosofia e dell’istoria quanto il can- giar delle opinioni e delle costumanze vaglia a cangiar l’idee nei vocaboli comprese. Disse esser la, consuetudine purchè non sia viziosa , maestra di ben parlare, ed esser ufficio di buono Scrit- tore il tenersi ugualmente lontano dall’ audacia dei movatori e dall’ affettazione di coloro che non amano che rancide parole . Quindi continuando il suo tema provò esservi nelle lingue un cer- to genio nativo , che pon dee esser mai violato da stranieri orna- menti , e fece palese quanto sia fatale alla buona letteratura di trasportare in una lingua le locuzioni che sono proprie d’una altra. Terminò il suo discorso con esortare i cultori delle lettere a man- tenere incontaminata l’indole dell’ italiana favella, serbando que- sta dote della proprietà nelle lpro scritture e rammentandosi che la filosofia dei nostri tempi non comporta quelle misere gare , che agitano di presente la repubblica delle lettere e minacciano di ri- mettere in fascie il senno italiano . Gareggiò in questa lezione un’ animata proprietà di favella col geometrico ragionare dell’Oratore ; e se l'una dilettò la scelta udienza, l’ altra la fece ammiratrice dell’ acutezza di lui. Feri- rono in singolar modo gli ascoltanti i sensi veramente italiani in quella espressi , da cui fu agevole l’arguire quanto altri s’ inganni ponendosi in cuore che i Toscani abbiano altre pretensioni che quelle d’una veggente filosofia . Essi non si riguardano nell’ ita- liana famiglia che come maggiori fratelli, ai quali per questo istes- so un più santo dovere comanda l’ esser gelosi conservatori del prezioso comun patrimonio lasciatoci dai nostri padri. Questo però in tal modo , che ove l’ occasione lo porga, e la ragione lo insegni eglino s’ adoprino di tutta forza ad aumentarlo e dilatarlo, chiamando e confortando a ciò l’ industria e il senso degli amati fratelli ; sicchè resti ai Toscani il vanto di primi nelle fatiche , ed il bene , e la gloria siano in tutti fraternamente divisi. Il dotto Segretario sig. Ab. Gio. Zanno ni , che ne’ due anni precedenti aveva così bene incontrato il pubblico gradimento, non ebbe d’ uopo di rendersi benigna l'udienza allorchè prese a favellare , Un breve insieme e ragionato prospetto delle lezioni dette nell’ anno dagli Accademici fece chiari i nobili pensamenti di 546 loro, sì riguardo alla lingua, e sì riguardo ai classici Scrittori di questa . La memoria dell’ eruditissimo Giuseppe Sarchiani mancato all’ Italia ed alle Lettere meritava un tributo di pianto, e di lode. Il Segretario a nome dell’ Accademia vi soddisfece in modo da risvegliare universal dispiacimento per la perdita di lui . (2) Il rapporto dei lavori eseguiti dall’ Accademia in questo anno tenne non poco occupato il dicitore . L’ Accademia che fino dalla sua ripristinazione avea sentito la necessità di accrescere e correggere il gran Vocabolario, e questa ingenuamente aveva fatta palese a tutti per pubbliche scritture , non è stata men schietta e meno pronta quando ha dovuto por mano all’ opera. Spiegò infatti 1’ eloquente Segretario bella e copiosa messe di giunte e correzioni d’ ogni genere le quali mostrano quanto sieno inopportune le maraviglie , e mal fondate le grida , che eontro quel Dizionario si muovono da tali, i quali forse non ne scoprono i difetti che al lume sparso dall’ Accademia istessa che innanzi a loro gli conobbe . Sentirono con ‘piacere gli eruditi ascoltanti progredire il lavoro e non stancarsi i valorosi Accademici, ma si convinsero pure che per fatiche e per ingegno che essi adoprinò non sarà loro concesso di raggiunger così tosto i desiderj dell’ Italia ; merito di nostra doviziosissima favella , e non già colpa dell’Ac- cedemia. Terminò il Segretario con dispiacere del Pubblico , cui l’ordinato discorso, e le grazie del dire lusingavano la mente ed il cuore. Si sciolse quindi l'adunanza, e pieni di stima per quest’ illustre Accademia se ne partirono gli uditori .. (2) Ved. pag. 162. ERRATA pag. 448. lin. 18. orribile leggasi terribile Fine del Fascicolo IX. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE NEL MESE DI AGOSTO 1821. Alto sopra il livello del mare piedî 201 AVVERTIMENTO Ormai già volge il dodicesimo anno da che nella Specola delle Scuole Pie di questa città di Firenze si van facendo con tutta regolarità quotidiane osserva- zioni Meteorologiche. Ma quelle dei primi dieci anni , comecchè eseguite con “ istrumenti se” non del tutto imperfetti, non però dotati di tanta bontà quanto la delicata precisione della scienza oggi ne esige, non hanno giammai conseguita la piena fiducia neppur di coloro stessi a cui appartenevano. Migliori e più si- cure son quelle che contano un’ epoca posteriore all’ agosto del 1820, dappoi- chè fu l° Osservatorio arricchito di eccellenti analoghe macchine quasi tutte inglesi e costruite per espressa commissione nelle officine di Dollond. Ma a renderne di qualche vera utilità la pubblica produzione, un elemento tuttora mancava assolutamente essenziale, la cognizione cioè dell’ altezza del pozzetto . cel Barometro al di sopra del livello del mare. Si contavano per vero dire fino a quattro determinazioni della quantità di cui superiormente a questo li- vello s’ inalza il suolo della nostra Firenze: Y.una del Padre Pini, I’ altra del Cav. Schuburg, la terza del Professore de Vecchi, l’ ultima del Barone di Baillou, Ma la differenza notabile che passa dall’ una all’ altra di queste determinazio- ni, come pure la poco precisa maniera tenuta da alcuni di questi Operatori | nell’ indicarci il luogo cui intender si dee riferita la loro misura, persuase gli | Astronomi dell’ Osservatorio predetto esser migliore e più sano partito di as- | sumere interamente’ da sè medesimi, e com metodi meglio ordinati e più sicuri ‘questa ricerca: al che fare essendosi accinti nella ERE: primavera, trovarono | che l’ altezza cercata del loro barometro sopra le acque medie del mar Tosca» no poteva supporsi di piedi 201 e quella del sottoposto suolo della città "nella via detta del Borgo di S. Lorenzo di piedi 117 conforme in breve dimo- | streranno in una memoria che a tal proposito stanno attualmente preparando. | Frattanto niente più loro mancando adesso per dover ragionevolmente suppor- re in qualche modo vantaggiosa la pubblicazion delle loro osservazioni, hanno | ben volentieri accettata l’ esibizione dell’ Editore di questo giornale che loro si è offerto di inserirle mensualmente in calce al medesimo, nel modo che si costuma - nei più accreditati giornali d’ Europa. | Si avverte intanto che il Barometro di cui vien fatto uso è a livello mobile, e concanna di linee 7 di diametro esterno; i termometri esteriore ed interiore sono comparabili e di gran fistola ovale; l’igrometro è di Gourdon rettificato secondo il metodo proposto dal Professor Pictet;-il pluviometro ha un piede quadrata di superficie. Ì Mese di Agosto anno 1821 MATTINA A ORE 7 ea eri Dr w o_S Ci iene 3 Mu; Fenomeni S| Ss = | = \8|gd| 88 SE {E È SI EB 2 4 di vario genere 3 EIRIBLME TRIP - È; pol' lin. ca È, d 1|28. 2,8 185 17,090 Scir. Sereno Calma 2|28. 3,2 | 17:09] 18,5 So Scir. Sereno Calma Adunanza pubblica annuale dell’Accademia della Crusca. ,, BELLE ARTI. Schiarimenti di alcuni dubbii intorno alla storia delle Belle arti in Toscana, ( del Barone di Rumohr). 289 340 112 117 Mausoleo di Paolo Mascagni: opera dello scultore Ste- fano Ricci( Antonio Benci). Istoria della musica, ( dall’Edim:burgo Review) (Igna- zioM.). Sulla pittura degli Antichi , ( discorso III. ) del Prof. Petrini. Opere di Scagliola e artisti che meglio le condussero in Toscana ( di A. Benci ). La sala dipinta in Londra ( A. B.). L’ occhio (A. B.). Lavori del pittore Niccolò Abate. Introduzione allo Studio delle Arti del disegno, e vo- cabolario delle arti medesime, (di Ya/lardi in Milano ). SCIENZE NATURALI. Veduta de’ progressi della scienza chimica dalle prime età sino alla fine del secolo XVIII. Dissertazione di Tommaso Brande, professore nell’ Istituto reale di Londra ; posto in fronte alla prima parte del ter- zo volume dell’ Enciclopedia Brittannica : estratto dal prof. Gazzeri : ( Continuazione e fine }. Pensieri intorno ai singolari fenomeni elettro-magneti- ci; del Marchese Ridolfi . Osservazioni e fatti riguardanti i fenomeni elettro-ma- gnetici; del P. Gazzeri. [idessioni del Marchese C. Ridolfi sull’ articolo pre- cedente . Lettera dell’ 45. Talia di Napoli, intorno a’ cenni gea- logici sul tenimento di Aassa Lubrense. Sulle variazioni corrispondenti dei barometri a distan- za, e la loro influenza sulle misure barometriche del- le altezze ( Discorso del P. Pictet all'accademia dei Georgofili ) . Osservazioni metereologiche fatte nell’ osservatorio xi- meniano di Firenze , nel mese di Agosto 1821. DI Pag. »” 29) 2) 23 175 535 Ia SCIENZÉ MATTEMATICHE . Invenzione di un nuovo Cannochiale sconantidiptico del prof. N. Amici di Modena. Pag. 170 Programma della società italiana delle scienze ai dot- ti italiani. 1550 Delle operazioni trigonometriche eseguite l’anno 1816 nella costa occidentale di Toscana . Lettere di G. /n- ghirami , al Barone di Zach. i » 369 SCIENZE MEDICHE. Della necessità d’ una medicina comparativa : prolu- i sione del Dot. Barzellotti di Pisa ( D.). Ji 360 Della maniera più atta a curare radicalmente le vari- ci ed impiagamenti varicosì. Memoria di Ranieri Cartoni . 33 Lettere del Prof. Tantini di Pisa. 3 b1008 NECROLOGIA . Notizia intorno alla vita e agli scritti di Giuseppe Sarchiani , accademico della Crusca . a T03 VARIETA' , SAGGI, RACCONTI, EG. Saggio sulle morti apparenti (D) . Il Colonnello a mezza paga a Parigi. Semplice Isto- ria di Keratry tradotta da D). 371308 Novella di ZL, Borrini. » 320 ‘OSSERVAZIONI pig «METEOROLOGICHE. . FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DIFIRENZE NEL MESE DI SETTEMBRE 1821. «Alto sopra il livello del mare piedi 201. MATTINA A ORE 7 [era w Termom. | + na Pa lo 3 | 3 SE 5 28 Fenomeni E 5 | 2 |B|POl EB pstre € 5 1 S| 3 (S| 8] 2 Sita ‘ di vario genere S 5 5 |S P 9 L poll: lin. ì si Ù) - 1|28. 0,10| 20;4| 20;0|90 Ostro {Nuvolo Venticello 2|27. 11,95 1955| 19;5 |92 Scir. |Sereno Calma 3/28. 1,50] 17,8! 16,9/81 Scir. |Bel sereno Ventic. Orizz. nettis. 428. 1,50] 18,6] 16,989 Os.Sci. | Sereno Calma i 1,4 | 17,8 16, |bo Scir. |Sereno Venticello 6|28. 2,65) 18,6] 17,8[97|] 1; «{Scir.i ‘|Sereno: 1» |Calma 7|28. 2,5 | 19,5] 18,2 05 [Scir: - |Serend-* <> |Calma. Calig. bassa 8/28. 1,1 | 18,6] 18,7|86 Scir. |Sereno Venticello 9|27. 11,254 20,0] 17}8/83| >» «{Levf Piovosod Vent. 'Piog. lle 6 3/4 10|28. 0,3 {- 17,3| 46,gli00t! © |Scir.. ‘|Nebbiosissimo {Calma © +‘ . L : | Lee ti i ua. Lago | MIE 1 Nebbioso Calma i ‘50128. 1,7 |16,4 14,395 | Lev. | |Beli sereno) -. Calma. Neb. ai monti 113/28. 0,0 | 16,4| 15,1|98 Gr.Le. | Nuvolo Calma 14|27. 10,3 12,99%) arr] Lew |Sereno, , Venticello 15|27 9I Sc.Lev | Sereno Calma 14,0] 12,4 116|27. 11,7 | 15,5] 14,294 Scir. |Semi-Coperto | Venticello 17 28. 1,7 | 16,4| 15,9[95 Lib. |Velato Venticello 18/28. 0,651 15,5] 15,1|95 Scir. |Coperto Venticello 19/27. 10,55| 16,0| 16,4/95 Scir. |Sparsodinehb. |Venticello — als 10,0 I pic! 16,0195 Scir. |Sereno Venticello. Orizz. neb. 90 : 21|28. 0,0 | 16,4| 15,1|90 Scir. {Sereno Calma 22/28. 0,6 17,0|94. Scir. |Nuv. calig. 123/28. 0,6 | 13,2] 17,0]94 Scir. |Nuv. caligé |Calma d 24|27. 11,7 | 16,9| 16,094] 1,04 /Sc.Lev Nuv. a lev. |Calma.ser.a tr. e po. E 25/28. 0,7 i cp Scir; |Spar.dinebb. | piov. nella notte e tuoni 26/28. 2,0 | 15,5] 14,6|95 Scir. |Sereno Neb. foltis. nel piano 27128. 2,0 |15,5| 14,690] _|Sc.Lev|Nebbie Calma 28,28. 1,3 | 16,9 15,5 100 Os.Lib Nebbie Calma 29 28. 0,35) 16,0 15,5 g4| 0,01|Scir. |Piovoso Calma 30.27. 10,0 | 16,0) 15,5 90|. Lev. |Nebbie Calma | MEZZOGIORNO Fenomeni 013 | -QUOTAN]T di vario genere 01] awo1egl 017 9w1018] ord | -OOSOWUY ole I9p 03%3S | o poll. lin. H3|27:, 511,99 Po, M. | Nuvoloso Vento Lev. }Sereno purg. -|Orizz. nettissimo «Po.Lib | Sereno Nuv. all’oriz. Venticello'| 22,2/82 21,3|72 20,9|75 22,0|73 Ponen. |Sereno |Nuv. all’ oriz. Venticello s 20,480 Tr: Sereno \ [Nuv. all’ oriz. calma bi _ ù b META VE 5 20,0/84 P.Lib. |Sereno Nuv. all’oriz. venticello |j 22,683 {P.Lib. |Sereno Nuv. all’oriz: venticello $ 2133/77 Maest. | Sereno Calma } 16,095] 0,58| Lev. |Nuvoloso 19;5|69 Maest. | Nuvolo rotto |Venticello Pal 17,808 Gr.Tr. |Nuvolo Neb, {Calma -19;1]84 Gr: Tr.|Ser.connuvole|Venticello - 18 30/98 0,14|Greco |Pioggia Calma 16,4 84| © |P.Lib; |Bel sereno Venticello. oriz. nettis. 178/77 Po. M. |Ser. con nebb.| Venticello 18 alt Lib, {Ser.con nebb. ‘0101 19;3 pi Ponen. | Sereno Nuv. all’oriz. venticello | i i} 18,219 Po.Lih | Ser.con nuvol.| Venticello il19/27. 10,05 18989 Lib. {Ser/con nebb.| Venticelto pe” 1073 18,6) 189/81 Gr.Tr. |Ser. con nuv.! | Venticello o/ È 7 |21|28. 17,880 Tri |Ser. con nuvi. |Calrna | 2128. 18,2 da o,or|Po.Lib:Piovoso Vento 23 28: -P2138178] 0*Sc. Lev| Caliginoso ‘‘|Venticello ti24 28. 19,1 r [84 Tr.Gr. Spar, dinebbi | Venticello Ni du i 1 18, 486 Lib. |Nuvoloso Venticello | MARA 2 17,8|89| * «“|Lib. |Sereno ‘ | Venticellò 27/28. 2,0 17,8|89| | Maest. | Ser. con nuvi | Venticello \28 28. 1,3 18,6/81| . ‘|Ponen.|Sereno : | Venticello 29 27. 11,4 19,3 84| i Eib: [Nuvoloso © | Vento |50|27. 995 "agi 0,084Gr.Tr. |Burrascoso + |Piécola grandine - il IE: Dee © Mm 5 ° 5 | 16,9 90 | gli | SERA. A ORE II 12628. 2,0 | 17,8] 16,9/90 Po.Lib |Ser. con nebb. |Calma lay 28. 1,7 | 17;3| 16,990 Po.Lib |Cop. di nebb. [Calma 128 28. 1,0 | 17,8) 16,9/90 Scir. |Ser.con nebb, {Calma ‘29 27. 10,3 | 17,3| 17,3[90 Ostro |Spar: di neb. |Calma 130 27. IIyI 12,4 90 Greco |Sereno Calma 9. . {a Ho > 4 i 1534 «Sant de > e eO-! de 2788 | ti : O 5 Ta |i_E 215 od. |8l — | Fenpmeli IG SI 8 2 | 2 IB|T®|E.3 ss |È s | Oa 2. 2 S4 3 | Sad a ca di variò genere | =—_—=——__—e Te TT —Pm_.______r__——_t2naztqpninx : ; l PA E, AVagie I 4 ul 11,9d a) 19,5 |92 Scir. |Sereno Calma e 00 3 28. 1,50] 20; n 20,6 75 Po:Lib|Serenò : Venticello | % i 4|28../1, Ba 20,4| 19,9|80 Lib. |Screno Ventic. A:3 ®%, forte ven. nta 2,5 so 19,5|85 Rn Venticello 6|28..2,65| 21,3| 20,484 Lib. |Sereno Venticello . il 7|28. 1;30|204} 19;9|81 Lib. |Ser. turbato: |Venticello 8/28. 0,25) 21,3| 204/76 Ostro |Coperto Calma. i 9/27. 11,9 | 178] 17,3 90 Os. Lib Nuvolo rotto |Venticello . . i 1,2 uti 17,3 94 Os. Di van nuvoloso |Venticello (0 I, 28. 1,7 | 17,8| 16,9|100]" Gr. Tr. {Misto Calma. Luna velata! 112128. . 1,55] 18,2| 17;8|89| . 0 |Gr. Tr. |Sereno {Vent.'alone intor. ne | 113/27. 10,4 | 15,5| 14;6/90| 0,07[Lib. |Nuvolo Vento Liù \14.|27+.:99 | 15,5 v6@ Do Sc.Lev |Ser. limpido } | Venticello a tai 1130 | 16,4 uv Scir. |Ser. limpido Venticello ‘16/28. 1,7 17,8 17,167 ‘c. salini Calma 117128 1,6 .| 17,3; 16,9 89 0,04. Scir. |Ser. umido |Vento. Striscie di neb. 118 27. 11,85. 17,3, 17,3 99 Lib. |Spar. di nebb.|Venticello 19 27. 9,6 | 17,8 17,891 Po.Lib Spar. di nebb.! Venticello 20/28. 0,0 | 18,6, mit Scir. Sereno Calma . 121/28. 0,0 | 16,9 18,2|82 Scir... {Sereno Calma: *, 22 28. 0,0 | 17,5) 17,883 Scir.. .|Nuvolo,; Vento; 123|28. 0,8 16,9 19,9 80 Lev. |Nebbhioso Vento. Lampi a spo 124128. 0,9 | 18,2, 17,3 89 Lib. |Sereno Vento. uv) ver. l’oriz, 125/28. 2,0 | 17,3 Lib. |Sereno Calma