ANTOLOGIA OTTOBRE, NOVEMBRE , DICEMBRE 1021. TOMO QUARTO FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXXI. ev Rari ; uu canini à è Gaper nate pe. ASI PLACCA + SRL Miti ovaio da RGS 11 TASSIT 40 BAIE ANTOLOGIA: N X. Ottobre 1821. i LETTERATURA POESIE I libro terzo dell’ Iliade della versione di Uco Foscoro. N oi abbiamo avuta facoltà dall’ illustre autore di que- sta versione di pubblicarla come il saggio di quella che ei sta lavorando dell’ intera Iliade . Egli ne avea già fat- to stampare più anni fa il primo canto in uno stesso volume col primo canto del Monti. Ma questo lavoro abbandonato in allora è stato ripreso da lui recentemen- te, e i nostri lettori ravviseranno nel confronto di questo saggio con quello un gran cambiamento di stile, e una nuova ragion di tradurre. E l’autore stesso vuol che sì avverta alla differenza del metodo che egli ha ora adottato, e col quale tutta l’opera ha da esser con- dotta. Il Monti ha pubblicata in questo intervallo la sua versione, e il plauso riscosso da questa è forse una difficoltà di più per chi correndo lo stesso ar- ringo, venga a porsi seco in continuo confronto. Ma il Foscolo è tale che sdegnerebbe di battere una stra- 4 da la quale non fosse novellamente aperta da lui me- desimo, e i nostri lettori nel giudicare del merito di questa versione, non potranno certo dubitare dell’ ori- ginalità del modo che è in essa tenuto. L’ autore ha avuto ‘in mira principalmente di sostener 1’ energia con Ia brevità. Infatti sopra l'originale di 461 versi, questa versione ne ha 522, ed è così più breve d’ as- sai di quante ne siano comparse finora . Il libro terzo dell’ Iliade della versione di Foscoro. 5 Uco uando i due campi e i re furono in arme, Scendean dal poggio i Dardani, e a discordi Gridi feriano com’ augei le nubi; Così le gru, scampate al verno e a’ nembi, Rinfierite în April, tendono ai mari Dell’ Ocean con lungo ordine d’ ali A dar guerra a’ Pigmei; odi per l’ alto Dividersi alle strida orride l’ aere. Ma gli Achei procedean taciti, densi, A passi eguali, fieri in vista, e l’ uomo Spirava all’ uomo, e raccogliea fidanza. Com’ Austro i gioghi luminosi al monte Rannuvola di nebbia, amica al ladro Più della notte, duolsene il pastore, Scaglia un sasso, e mal scerne ove sì posi; Così imminenti si correano incontro, Così buja fra lor per la gran polve Del tumulto de’ piè laura pendea. \ Brandian già l’ arme, e in prima schiera apparve Di divina beltà bello Alessandro; Gli ondeggiava per gli omeri e dal fianco Una pelle di pardo, e l’ arco e il braudo . Ei due torniti giavellotti armati Di punta ferrea palleggiando, e a prova Chiamando a nome i più gagliardi Achei. Menelao nel veder come a superbi Passi Alessandro precorrea le file, Ebbe il cor del Leon che alla sua fame Trova opportuno un gran cerpo di belva, 6 O cervo, o capra d’ alpe, e la divora; La divora, bench’ oda urli e accorrenti Veltri, e furor di giovani; sì allegro D'ira e di speme a rimertar l’iniquo, Balzò armato di subito dal carro A terra; e i Greci oltre passando, agli occhi Fu d’ Alessandro, che gelò, e 5° accolse A riparo fra suoi. Così fa l' uomo Se adocchia il drago , arretrasi e su balzi Corre; i piè gli vacillano; e d’ intorno Guata col viso freddo di pallore : Tanto al venir dell’ ospite tradito Paride tramutossi, e sì fe’ siepe De’ baldanzosi Dardani. Sovr” esso Ettore gli occhi fulminò, e proruppe: Ahi sciagurato Paride, famosa Beltà di drudo, cacciator di‘donne, Nato non fossi mai, fossi sepolto Senz’ imenei, chè or non sarem’ confusi Nel vituperio tuo, tu non saresti La novella del mondo! odi gli Achei ? Ridon di te, che alla presenza e'all’ arme Ti presumeano, e al sovrumano aspetto Guerriero insigne ; e non hai cor, nè sangue . E sì vile, adunar navi e seguaci Potevi tu? misurar mari, e genti Tentar straniere ? e fin dall’ Apia terra Predar la sposa a bellicosi Eroi? Pensi che angoscie al padre tuo; che danni A’ cittadini e alla città; che gioja Doni a’ nemici ? e a te quanta vergogna ! Che non t’ accosti a Menelao ? saprai Di chi usurpi la moglie: e non la cetra Ti gioveria, nè quelle ciocche e il viso, Nè Venere e i suoi doni, ove la polve Ti contamini in campo. Oh, se i Trojani Fosser men sofferenti ! io ti vedrei Vestito di una grandine di sassi, E pagato oggimai d’ ogni lor lutto . Giuste, nè più del merto odo rampogne, Disse Alessandro . Tu se’ ferrea scure, Che a far le navi indomita le querce Fende, ed irrita l’ impeto del fabbro . Pur nè ad infamia appor mi dei, se d’ altre Grazie l’ amabil Venere mi adorna; Chè a grado degli Dei piovono i doni. Chi può sdegnarli ? nè chi vuol gl’ impetra. Ben, come imponi, io pugnerò: ma inermi Posin Teucri ed Argivi. A me la cara Donna e gli averi, quanti in Ilio addusse, A petto a petto Menelao contenda, E sian del vincitor moglie e corredo. Voi con l’ ostie su l’ ara indi la pace Santificate ; e liberi le amene Piaggie d’ Ilio godrete; essi n° andranno A riveder le belle donne in Argo. Rasserenossi Ettorre; e fra’ due campi Precorse, e stretto a mezza l’ asta il pugno, Sostava i suoi; parean campo di biade Qualor comincia a riposarsi il vento: E al suo cimier correan sassi di fionde, Stridean saette. Or, non ferite, Argivi, Gridò eminente Agamennon dal carro, Figli de’ Greci riposate gli archi; Par che dirne parole Ettore accenni . Quetaron muti, e fra’ due campi Ettorre, 3 Teucri udite, esclamò, Danai m’udite; Paride, ond’ arse fra di voi la guerra, Deapino tregua all’ armi vostre, e appella L’ Atride Menelao seco a duello, Finchè il domato al domator conceda L’Achea regina, e i suoi regali averi; Poscia su l’ ostie comporrem la pace. Tacque; e alle turbe attonite,, occupate D' alto silenzio, rispondea la voce Di Menelao: Or me pur anche udite, Me cui più tocca la sciagura . È tempo Che pace abbiate, o popoli, alle stragi Per me dannati; e suscitolle iniquo Paride. Adunque oggi la morte e-i fati Chiamino, e scenda un di noi due sotterra . Poi vi partite, e vi divida il mare. Bianco al Sole un agnel, negra alla Terra, Troi, recate una pecora; e il Tonante L’avrà da noi. Venga Re Priamo; ed esso, Quand’ ha perfidi figli, esso prometta, Onde non altri a posta sua rinieghi I sacramenti a Dio. Vuole e disvuole La gioventù; ma l’uom che pieno è d’ anni Guarda al jeri e al domani, e fra’ mortali Arbitro onesto le discordie appiana . Pari esultò ne’ popoli la speme Di veder fine a’ sanguinosi giorni : Scendono i prenci dalle bighe; e vedi Ruote e destrieri in lunga fila immoti : Sgravasi ogn’ uom dell’ armatura, e a piedi Se la depone: seggono a rimpetto L'un oste e l’altra; e poco suol le parte . Ettore al padre accelera l'invito Fa €on un araldo, ed un che narri a Troja si La tregua, e riedan co’ votivi agnelli ; Per l'agnello al Tonante, il re de’ Greci Avvia Taltibio, e quei vola alle navi. E annunziatrice ad Elena scendea In Iride in volto della sua cognata Laodicea, bellissima fra tutte Figlie di Priamo, e al prence Elicaone D’Antenore figliuol, florida sposa . Nelle sue stanze la trovò che assisa Ampia una tela ordia, doppia raggiante, A. varie fila istoriando i lunghi Anni, e i travagli, onde per lei fra V'armi Greci e Teucri gemean sotto le mani Dolorose di Marte. Or vien, le disse, Vien, cara' ninfa, e ti saranno 1 campi N, Mirabil vista. Ivan pur dianzi armati Fra Troja e il mare, e ardevano a svenarsi: Or posan queti su gli scudi; or tutti Han piantate le lunghe aste sul prato, Senz’ elmo tutti, e I’ altre armi sull’ erba . Sol Menelao per te, solo Alessandro Proveran l’ aste; e tu sarai chiamata’ La moglie cara al vincitor felice. quegli accenti della Deay'pietoso Riparlava un desio d’ Elena al core; Che al perduto marito, ed a*congiùnti La richiamava, e alla‘città paterna . Ombrò di veli candidi il bel volto, E le grondò una lagrima dagli occhi, E uscia: nè sola abbandonò le soglie. Etra di Pitteo la seguì, e Climene Dalle grandi pupille. In poco d’ ora I K #0 Furo alle porte Scee presso alla torre. , Quivi 1 custodi delle leggi antichi Esso Priamo, e Panitoo; Lampo, e Timete; E Clizio, e lcetaon, sangae d’ Eroi; E Ucalegonte e Antenore, due savi, Sedean; gravi d’ età, queti dall’ armi, Ma indefessi orator;;così fra 1’ ombre Le cicale sugli alti alberi assise Fanno alla selva udir voci perenni. All’ apparir della regina; i vecchi Tendean gli sguardi, e discorrean sommessi: No; indegnamente in tanti guai non piange E Grecia ed Ilio per costei, che donna Non sembra; in vero è tutta Dea! ma parta; Ma per celeste ch' ella sia, si parta Con le navi de’ suoi; ch’ ella non resti Qui a noi funesta, e a’ figli nostri un giorno. Diceano;,e Priamo a lei: vieni, t° appressa Elena, figlia mia, siedimi a lato. Non da te; no; ma dagli Dei sopporto Di questa guerrà i-lutti.: Or fa ch’ io t oda Quel Greco altero nominarmi. Ei d’ altri Sorge men alto alla statura, e insieme Imperioso fra gli Achei grandeggia: Tanta beltà di preminente aspetto Io mai non vidi; al certo è d’ uom:che regna. O sacro a me, suocero mio, rispose: | Quella divina fra le donne, amato E temuto da me! così alla morte Anzi che al figlio tuo fossi piaciuta; Nè qui approdata mai, quando una cara Figlia, e fratelli, e il marital mio letto, E le compagne mie meco cresciute | TI Lasciai! ma vivo; e mi dileguo in pianto. Poi ripigliò: quel di chi parli è Atride, - Ottimo re, forte guerrier, cognato Mio, se pur fu, di me impudica. E tacque. E il re canuto contemplando il campo, Te beato, esclamò, nato, educato Col favor degli Dei, figlio d’ Atreo, Che a tanti forti della Grecia imperi! Fui già in Frigia, e pugnai; varie, infinite Di Migdonio e d’Otreo vidi le schiere; Fanti a mille e destrier, carri ed aurighi Ombrato avean di padiglioni entrambe Le lunghe rive del Sangario, a’ tempi Che le Amazzoni maschie eran discese A disertar la terra; ed io v° accorsi Alleato de’ Frigi. Erano pochi Verso de’ tanti che or mi stanno al guardo. E fra l parlar nominò a dito Ulisse: Colui chi è? Ben della testa il passa Agamennòn; ma più prestante appare A’ larghi umeri, e al petto: ha 1’ armi a terra; Va come ariete fra le squadre: invero Parmi velloso ariete maestro Di densi branchi; e com’ ei fa, le agnelle Tacite fanno. Ed Elena : tu vedi Di Laerte l’ erede, in grembo a’ scogli D' Itaca nato, e d’ aspre genti allievo; Ma di tal mente, che gli aguati e l’ arti Tutte, e i consigli, e trame ignote aduna. Levò la fronte Antenore, e a que’ detti, Soggiunse : o donna, tu di’ il ver d’ Ulisse! Quand’ ei per te con Menelao qui venne Oratore, io gli accolsi ospite onesto 12 Nelle mie case, e d’ ambeduo l’ ingegne E il costume esplorai. Standosi ritti, Maggior decoro a Menelao veniva Dall’ alte membra; e non sì tosto assisi, Più dignitoso s ic Ulisse . Se fra gl’ Iliaci prenci ivan tessendo Eloquenti consigli, era l’ Atride Dicitore spedito, ilare, schietto, E benchè minor d’ anni, esso nè molte Spendea parole, nè gli usciano in fallo. Quindi sorgea quell’ Itacense, e stava Da pria con gli occhi attoniti alla terra Tacito; nè facea gesto di scettro Innanzi o indietro, e lo impugnava immoto, Come il rustico suole; e tu il credevi Bizzarro d’ iva che vaneggi e adombri: Ma al primo suon onde la voce a un tratto Gli scoppiava dal petto, e alle sentenze Che succedeano a vortici di neve Chi più stavagli a fronte? a chi l’ udiva Strano il sembiante non parea d’ Ulisse. Ma e lui, che il capo e gli omeri eminente Tien sovra i Greci, e non fa passo, e guarda , Chiese ad Elena il re, di? come il nomi? Rispose: padre, quel si alto è Ajace, Scudo al popolo Acheo. L’ altro che tanti Cretensi duci a sè d’ intorno aduna, Nume il diresti, è Idomeneo. Sovente A noi giunse da Creta, e Menelao Gli dava ospizio i nostri tetti. Io veggio Molti guerrier de’ quai rimembro il volto Rimembro i nomi; soli due non veggio. Jo miro invan per Castore divino Domator di cavalli; e ov’ è Polluce Pugillator divino? E pur fratelli Son miei, son figli della madre mia, Or che ogni Eroe qui pugna, amano 1 lieti Campi di Sparta? o son qui forse , occulti Nelle lor navi, vergognando afflitti Dell’ignominia mia ? così dicendo Gemea: quei già posavano in eterno Sonno raccolti dalla patria terra. E per le vie di Troja ivan gli araldi, Con gli agnelli e un capace otre di capra Colmo del vino onde a’ mortali è lieta Donatrice la terra. Ideo, tenendo D'oro le tazze, e fulgido il cratere S'offerse a Priamo: sorgi, o del divino Laomedonte venerando figlio, Te, disse, d’Ilio, e te desiano d’ Argo I condottier. Consacrerai ta il patto =, Che il tuo figlio Alessandro e Menelao, Facciano a corpo a corpo assalto d’aste, E la regina, e i suotregali averi Seguano i vincitor. Poi su l’altare Svenerem sangue a rintegrar la pace. Iran gli Achivi a riveder le mogli E noi coltiveremo Ilio securi. Rabbrividiì il canuto: indi a’seguaci, Or m’aggiogate i palafreni al cocchio, Disse; e quei fero come lor fu imposto. Occupò il cocchio, e a sè raccolse i freni; Salì Antenore seco, e la pianura Fuor delle porte Scee diero a’ cavalli. Giunti presso a’ guerrier, scesero a terra; E camminando lungo il calle fig sto 1 10 i due campi partia, vennero a TN) Incontanente Agamennon rizzossi , Rizzossi Ulisse: e in vestimenti insigni Gli araldi il rito disponean porgendo Chi l’auree tazze, e chi attingendo il vino Dal cratere solenne; altri versavano Sovra le mani ai regi onda di fonte. Snudò un coltello Agamennon, che all’ elsa Sempre affilato gli pendea dal Lidia; 3 E un bioccolo di lana alle tre teste Rase agli agnelli, e porsela agli araldi; Quei la partiano ai re d° Argo e di Troja, Mentr'ei stando nel mezzo, e sollevando Le palme al cielo, a voce alta pregava: Giove massimo eterno ; e tu che d’ alto Tutto rimiri e tutto intendi, o Sole; O fiumi; o terra; o Deità, che i morti Moderate sotterra , e lo spergiuro Punite : Io voi miei testimonj invoco Tutti; e custodi, e vindici del patto. Se Menelao morrà sotto Alessandro, Elena resti e il suo corredo a Troja; E in Grecia io ritrarrò le navi e l’armi. Se sotto Menelao more Alessandro, Troja a noi renda ed Elena e il corredo, E quanto è giusto pagherà un eta, Memoria a’ figli, e de’ nepoti a’ figli. E se i fratelli e il Re, morto Alessandro, Mi disdiran l’ammenda , io per l'ammenda Guerra guerreggierò fino all’ estremo. Disse; e mortale insanguinò il coltello Nelle fauci agli agnelli, e li depose Palpitanti ed esanimi sul prato . 15 E il vin sovr'essi, attinto dal cratere Cosparsero. Comuni eran le preci E il voto a’ Numi; ed or Trojani, or Greci, Dei Santi, eterne Dee, Giove Tonante! Dicean; così com’ oggi scorre il vino,. Scorra , e le glebe insanguini il cervello D'essi che primi a profanar la tregua Toccheran Varmi; e d’essi e de’ lor figli; E le lor mogli sieno mogli altrui. Ma i voti ancor non assentiva Iddio. Priamo la voce sollevò, e, m'udite , Disse, Teucri, ed Achei. Riedo a’ miei tetti; Chio nol vedrò; non sosterrei con gli occhi Del bellicoso Menelao l’ assalto, E d’un diletto figliuol mio . Pur troppo Sta nella mente degli Dei quell’ uno Ch' oggi è promesso a Morte . E più non disse, E si mosse; e parea nume che parte . E come pria sul carro ebbe riposte L’ ostie immolate , il santo re vi ascese È Antenore al suo lato; e stretti 1 freni, | E incalzati i destrieri , iva sorgendo Più vicina a’ lor occhi Ilio ventosa. Ettore allor per l'imminente pugna Misurò il suolo con Ulisse, e occulte Dentr’un elmo agitavano due sorti, Ghi avrìa scagliato primo l’asta; e intanto Tendean le braccia e oravano le turbe : Deh! signor d’ ogn’ Iddio, re della terra, Folgorator dall’Ida! oggi ti piaccia Precipitar un di que’ due nell’ orco, Che primo il sangue provocò. Tu a noi Rendi amistà ; tu fa la pace eterna. . 16 È Mentre qua degli Achei, là de Trojani - Mormorava il pregar , l'elmo profondo Forte Ettorre scotea guardando indietro , E balzò al suol di Paride la sorte. Ogni Eroe si tornò presso al suo cocchio E a’ suoi destrier; fra’ suoi compagni ogni uomo S’ assise ove giacean l’armi diverse. Mentre d’ Elena bella il bel marito Alessandro , vestia splendido l’ armi. Pria gli schinieri, da raggianti argentee. Fibbie costretti , circondò alle gambe; Eragli adatto, e si precinse al petto Di Licaone fratel suo l’usbergo, E stellato d’argento aspro di borchie Sospese un brando ad armacollo; e un ampio Scudo compatto all’omero s° impose : Diè alla sua fronte un elmo opra dell’arte; Pioven dattorno giube di destrieri , Minacciosa guizzava alta la cresta. Alfin robusta agevole al suo braccio Brandì l’asta, e sì mosse. E non d’altr’armi Fra prenci Argivi Menelao s'armava. Per meraviglia e per terror le genti Tacean, mentr'essi al misurato piano Soli apparian. Ristettero a rincontro Avventando un su l’altro ira dagli occhi Crollando l’aste; e Paride primiero La saettò. Diè nello scudo, e il doppio Scudo del Greco rintuonò e mandolla Col ferro torto su la sabbia . Il colpo Drizzò quindi l Atride , ed adorando, Dammi esangue Alessandro, e dell’ insulto Dammi, dicea, vendetta; onde chi vive, ‘ 17 Chi nascerà, ne tremi; onde veruno. Mai più d’infamia non rimerti ì doni, O Giove , e il letto all'ospite cortese, O padre. — E l'asta gli volò di pugno Diritta, intensa, traforò il brochiero, Smagliò Y usbergo , e s'immergea funesta Sotto la costa a Paride : Ei protese Lo scudo e il braccio, e fe’ del corpo un arco, E alla morte fuggì. Snudò e calcava L’Atride il brando a Paride su 1’ elmo, Stride il ferro e si stritola, e in tre e quattro Pezzi gli esce di mano. Urlò con gli occhi Alti alle nubi Menelao gridando: Ahi più d’ ogni altro Iddio Giove sinistro ! Io da te giusta mi ‘sperai ‘vendetta, E la vita del perfido; e tu il campi: Falsa fu Vasta; il ferro mi si spezza, Dicea , precipitavasi , e afferrando Il cimiero al Trojano, elmo: e criniera, Lo strascinava ; e per trionfo eterno Lo dava in preda al popolo de’ Greci ; Mentre il cuojo trapunto a fila d’oro, Che sotto al mento avea freno dell’elmo, La molle gola al giovine strozzava . Non però lenta, o Venere, accorrevi, Santa figlia di Giove, e appena tocco Dal dito eterno, fu diviso il cuojo, E alla man dell’ Eroe vuota correa La celata, e rotavala , e a compagni La scagliò e fu raccolta. Ei con un ‘asta Correa al sangue di Paride ; ma quella Che era Dea rapialo di leggieri In denso aere confuso, e poiche 1° ebbe 18 Fra profumi del talamo, e sui molli Bei tappeti adagiato , essa la Diva Per Elena n’andò: poggiò alla torre Eccelsa ov’ era di Dardanie donne Molta adunanza, ed Elena nel mezzo. Le tentò il lembo ( e il peplo odorò l’ aure ) Venere d’ una mano, e come fosse La filatrice delle lane antica, Che molto a Sparta oprato avea leggiadri Manti di. lane alla regina , e in Ilio La seguiva amorosa, aspra di rughe La Dea pareva , e.sussurrava: or vieni; Alessandro è nel talamo, e t’aspetta; Vedrai fiorirgli di bellezza il viso, . Fiorir le vesti; e non dirai ch' ei torni D' una battaglia ; ben dirai che al ballo S'accinge, o siede a respirar dal ballo . Ogni parola ad Elena piovea Nel secreto del cor: poi quando a hi Il roseo collo della Dea rifalse, E-la spirante voluttà dal petto Vide, e il foco raggiar dalle pupille; La quit impaurita , e le si dolse: Funesta Dea , mi sedurrai. tu sempre ! Che sai più farmi? strascinatmi in altre Gittà di Frigia o di Meonia aun)nuovo Amico tuo ? o Paride fa vinto, E tu all’ insidie torni, onde alle case Io, trista ! i0 mai di Menelao non torni? Vatu, sea mi, a Paride , e per lui Vivi, per lui dimentica 1’ Olimpo, Ne più attentarti di toccar co’ piedi Le vie de’ Numi; presso a lui ti pasei 19. Giorno e notte di.spasimi, e tel serba, Fin ch’ ei ti nomi sua consorte e ancella; Ch° io non v andrò, non io ; quando il suo letto Più indegnamente abbellirei., vedrei Più amaro il ghigno delle Iliache donne: E piena ho già l’anima mia di pianto . Arse la Diva ; e oh misera, le disse; Guai se in ira mi cadi, e ti rimani Desolata da me . Quanto io t’'amai T'abborrirò , t'inseguirò : sì atroci n Sparta ed Ilio attizzerò i rancori Che perirai da sciagurata . — Udiva, » Tremava la mortal figlia di Giove : Radunò i fluttuanti orli del niveo Suo peplo , e avvolta e tacita mettea L’ orme su l’ orme della Diva , e agli occhi Delle Troadi svanì. Giunte all’ ostello Marmoreo d’ Alessandro ; all’ opre usate S' appartaron le ancelle ; e la regina Bellissima alle stanze alte ascendendo , Sul limitar del talamo s’ offerse . Giojosa , di sua man ,. Venere un seggio Trasse , e a rincontro a Paride il depose ; Ed Elena s’ assise ; e le pupille A sè raccolte , il trafiggea di motti . Torni sì ratto a me dal campo ? oh fossi Quivi giaciuto , e il signor mio possente A chi m' hai tolta , sì t avesse ucciso 1 Pur chi dianzi t’ udiva, eri tu il forte Tu d’ asta, tu di man, tu di prodezze Più del guerriero Menelad. Ritenta Quel guerrier Menelao; scendi e l’ invita Teco a pugnar . Se credi ja me, t acchela. 20 Non avventarti alle battaglie, e fuggi, Fuggi da Menelao che non ti sveni, Non più, diss’ ei, non accorarmi , o donna , De’ tuoi dispregi . Or Pallade e 1’ Atride M' han vinto. Anch'io veg ggio presenti i Numi, E il vincerò quando che sia. Deh sorgi, Pace farem dolcissima abbracciati . Ardemi amore or più che mai; nè quando Predaiti a Sparta e veleggiando i mari, Di Cranae t’ approdai nell’ isoletta , Quel primo dì ch’ io delle tue bellezze Fui lieto alfin , non mi struggea sì fiero Nè sì caro il desio che m’ innamora . Ei salì primo a’ molli strati , ed' ella Seguialo ; e il sonno li sopia congiunti . Ma come belva Menelao vagava Qua e là per entro le turbe nemiché, Se adocchiasse Alessandro, e a” federati Spia ne chiedeva , e a' Dardani , e a’ Troòjani ; Nè mai verun gliel’ additò ; nè' occulto‘ Per amistà l’ avrian, quando a una guisa‘ Paride e l’ orco ‘erano esosi‘a’tutti. Videro allor approssimarsi il grande Re de’ Greci , intimando : Odan le genti” Teucre e Dardanie e collegate’ a ‘Troja': Or la vittoria per'1° Eroe ‘di ’Sparta’ È manifesta . Rieda'a lui con' tutto Il tesor degli ‘arredi Elena Argiva ; ‘Tributate agli Achei giùstà un’ ammenda! Che sia memoria a ”‘bopbli fatùri . Disse ; e fremeva degli Achei l’ assenso‘. 31 BELLE ARTI MUSICA i ( V. il Fascicolo VII. pag. 192 ) Angelo Corelli, le cui opere dettero una reputazione alla musica strumentale, che mai non aveva goduto per l’avanti, nacque a Fusignano nel 1658. La natura non l’avea formato a far mostra de’ suoi talenti nei primi anni della sua gioventù: era appena conosciuto, prima che pubblicasse a Roma nel 1683 le sue prime dodici sonate, e vi vollero molti anni, prima che s° acquistasse il titolo di celebre professore di musica. Egli era mo- desto fuor di modo e solitario, e con difficoltà s° indusse ad accettar la carica di primo violino,, e ad addossarsi l’ arduo impiego di dirigere l'orchestra a Roma. L’ope. ra che gli attirò grandissima riputazione , furono i suoi a soli per violino, pubblicati nel 1700. Prima di Corelli, la musica strumentale era quasi priva di bellezza, di melodia,e d’ espressione ; avanti lo stabilimento dell’ o- pera, non ebbe occasione di perfezionarsi , non avendo altro da seguire che la musica da Chiesa, il di cui tristo e monotono carattere non poteva infondere gran va- rietà nel carattere della musica teatrale; ed è perciò che fu grande il cambiamento operato dal genio e dall’ ori- ginalità del Corelli. Introdusse il Concerto, e fu il pri- mo ad organizzare un’ orchestra regolare di suonatori, a cui prestava tanta attenzione, che Alessandro Scarlatti ( le cui ammirabili cantate hanno somministrato idee . alla folla de’ suoi successori ) allora giovane, dichiarò, che se v'era cosa che potesse accrescer merito alla com- T. IV. Ottobre We 22 posizione del Corelli , era senza dubbio l’eccellente con- dotta e la maravigliosa accuratezza della sua orchestra. La musica del Corelli è tenera e semplice , e tocca il cuore; non v'è ampollosità nè pedanteria; non v è nulla di duro o che non s’intenda, e finalmente ha il più grande di tutt’ i meriti possibili, quello cioè d’ esser del tutto originale. Ma nel tempo stesso vi si sente una certa medesimezza 0 manierato, che piuttosto palesa una certa mancanza di concetti. Sappiamo che egli si guardò scrupolosamente dal copiare le opere de’ suoi predeces- sori, e per questo perde nella varietà ciò che guadagna nell’originalità. Il suo esempio messe per tutto in gran voga i suonatori, e specialmente di violino, e l’avanza- mento di questo ramo dell’arte, ebbe una grande in- fluenza sulla musica da teatro, che poco tempo dopo divenne di tanta importanza. Fra tutti quelli che seguirono i passi del Corelli, da- remo qualche breve notizia del Tartini, la di cui opera sopra il temperamento , scritta intorno alla metà dello scorso secolo, benchè fondata sopra falsi principj mate- matici, è vere molto i ingegnosa e originale . Egli ha fatto un gran numero di compusizioni; i soli con- certi ammontano a dugento. Fu stimato il più gran professore del suo tempo, eccettuato forse il suo con- temporaneo Veracini; uomo famoso per le sue burle, e per la sua abilità, quanto Tartini per modestia e per ti- midità (1). \ (1) N Veracini essendo in Lueca per la festa della Croce, fu invitato ad eseguire un concerto secondo il costume . Ve- muto il giorno si portò al luogo dell’ esecuzione, ch’ era una delle Chiese -più grandi che fossero in Lucca, con intenzione di prendere il posto di primo violino , ma lo trovò occupate ‘ dal Laurenti il solito maestro di ong » Veracini ne rimase 23 Il primo tentativo che. fu. fatto per rappresentare, un dramma, fu eseguito: verso la fine del decimo sesto se- colo in Firenze, madre stata sempre feconda d’ uomini sommi , più ch’altra mai dell’Italia . Il dramma fu in- titolato la Dafne, composta dal Rinuccini, messa in mu- sica da Caccini e da Peri, ed eseguita in casa del Corsi, gran mecenate dell’arti, nell’anno 1597, € da quest’o-. pera possiamo fissare l’ invenzione del recitativo. La prima opera che fu resa pubblica per mezzo delle stam- pe; fu l’Euridice, eseguita pure in Firenze nel 1600, scritta e messa in musica dai tre summentovati sogget- ti. In questo secolo l’ opera non. fece nessun progresso notabile; almeno tutte quelle che furon scritte in que- st’ epoca , non hanno conservata nessuna celebrità. La rappresentanza più magnifica che fosse fatta nel deci- mo settimo secolo, fu quella dell’opera di Berenice, messa in musica da, Freschi, ed eseguita’ in Padova nell’anno 1680 , con magnifiche decorazioni , che supe- rarono ancora i grandi spettacoli dei nostri moderni teatri. Un solo coro era composto di cento vergini, uno di cento soldati, uno di cento corazzieri; quaranta cor- offeso fuor di modo, e voltate le spalle ai professori, non volle suonare una sola nota; finchè essendo invitato al concerto, chiese la permissione di suonare un a. solo, accompagnato sol- tanto da un violoncello, il che fu eseguito sì maravigliosamen- te, che entusiasmò l'udienza costringendola ad applaudire, e più volte dovette sospenderlo dai moltiplicati evviva, e dagli altri segni d’approvazione e di gioia, cosa non mai sentita den- tro il recinto d’ una Chiesa. Veracini ne rimase sodisfatto , e quando era vicino a una cadenza, voltandosi verso Laurenti con aria di sodisfazione gli ‘diceva « Così sì suona per fare il primo violino, messer Laurenti ! Il Veracini aveva due famosi violini , l’uno chiamato San Pietro, l’altro San Paolo , 24 netti ‘e sei trombe a cavallo ; sei tamburini; sei bandie- re, sei tromboni, sei flauti, sei ottavini, sei arpe; e sei cimbali; dodici cacciatori, dodici servi, diciotto coc- chieri, e sei paggi; due leoni, e due elefanti! Qual ma- scherata a’ dì nostri si potrebbe a questa paragonare ? -- Non v'eran meno di sette ‘teatri nella sola Venezia er l'esecuzione dell’opera. I più celebri compositori d’Italia di'questo' perio- do, furono Luighi, Cesti, e Stradella, benchè l’opere piiritigani dell’ ultimo siano cantate «0 tdadrigali e non opere o oratorj. Si racconta un ‘aneddoto della musica di Stradella , che i nostri lettori: potranno crederlo ‘o nò a loro piacere; noi peraltro lo narreremo come ci è ‘stato trasmesso . Stradella avendo sedotto ‘la moglie di un nobile Veneziano, fuggì con essa da Venezia, per ‘sot- trarsi alla vendetta dell’ arrabbiato marite, il quale avendo inteso che s’eràn diretti verso Roma ,spedi colà due sicar] per assassinare Stradella . Gli emissari‘ appena giunti in Roma, sentendo ch’egli dovea quel giorno ese- guire un suo oratorio in una tal Chiesa, determinarono d’attenderlo nel portico, ed ivi assassinarlo dopo l’ ese- cuzione della musica. Entrarono in chiesa quando co- minciava l'oratorio; e fu tale l’effetto che fece in loro la bellezza di quella melodia, che vinse i loro cuori sel- vaggi, e giurarono vicendevolmente di non mai privar di vita un essere, autore d’ un armonia sì divina: ed aspettando che Stradella escisse di Chiesa, gli si fecero innanzi, e gli dissero quanto mai erano obbligati al di- letto che loro aveva dato quella sera ; gli fecero palese il fine per cui eran ivi venuti, e lo supplicarono a fug- gire subitamente da Roma. Ma la costante vendetta del Veneziano , lo seguì da per tutto di luogo in luogo, e due anni dopo, Stradella e la bella donna una mattina 25 furon trovati morti nel letto, ambedue feriti da un col- tello nel seno . . pthbot Sul principio. del. passato secolo l’opera Italiana comparve molto migliorata, mediante l’opere del Vin- ci, del.Leo, dell’Hape!, del Galuppi, del Porpora; e del Pergolesi. Si può attribuire al Vinci il più gran miglio- ramento che.l’ opera abbia mai ricevuto, quello, cioè, di separare la parte vocale dalla strumentale. Prima di lui le parti vocali rimanevano soffugate dalle strumen- tali; la qual maniera di comporre fu seguita dai Tede- schi fino al tempo di Keiser. Vinci ne conobbe l’assur- dità ; e la corresse; distinguendo; ;la melodia dagli,ac- compagnamenti , rendendo semplici ambedue ma spe- cialmente. gli ultimi , che procurò sempre di rendere unisoni. Fu rimproverato il gusto degli uditori di Roma e.di:Napoli, che non riconobbero il merito della mu- sica di Pergolesi ; fintanto che ammirazione di tutto il resto dell'Europa ne richiamò; la Joro attenzione , e gli costrinse a riconoscere la loro mancanza di criterio . Vinci, Pergolesi, e Porpora; con i loro lumi principal- mente, incamminarono l’opera a quell’apice di eccel- lenza} a cui in breve arrivò; i due primi per la melodia, l’ultimo per il recitatiyo: e pure sembra strano il dire, che l’Olimpiade, la più bell’ opera del Pergolesi, non fu udita con quell’applauso che meritava, se non dopo la sua morte seguita nel (737 . Morì nella bell’età di trentatrè anni; e negli ultimi anni della sua vita, allor- chè era nel. colmo della sua malattia, compose la ce- lebre Stabat Mater . Nella gran folla di compositori che empirono tutta l’Italia, vi si distinguono molti nomi idi somma cele- brità, che recarono ila musica vocale Italiana all’asice della perfezione, ma: tutti furono superati dagli autori -26 del don Giovanni, del matrimunio segreto; è della molinara. Per non tediare i nostri lettori, ci asterreMo dal dare una lunga lista di compositori; e dal ériticare le loro opere: ma la differenza che esiste fra la musica vocale Italiana e quella di qualunque altro. paese, è tanto grande; che non possiamo fare a meno -di dire poche parole, su ciò che a noi: ‘sembra essere la cagione: di questa gran differenza.» 0000; ai stati if — —L’ armonia, ripetendo il suo principio dalla natu: ra, deve esser'comune a tutte le nazioni; dunque sarà la melodia, chie indicherà il carattere d'una musica na- zionale; e dovunque interessa la: melodia, deve ancorà interessare il carattere nazionale della musica. Se 70 mi dimandasse ‘(dice Rousseau.) quale fra tutte le lingue deve avere una miglior:grammatica;ib rispon- derei: quella ‘del'popolo che ragiona meglio degli al+ tri; e se mi fosse detto, qual'popolo deve avere una musica migliore , io risponderei: quello la cui lingua è la più propria. Questa risposta del filosofo di Gine- vra è giusta fino a un certo segno ; che la melodia d’ una nazione dipenda in gran parte dalla sua lingua; è verissimo, ma non dipenderà dalla perfezione. di quella lingua : la sua forma grammaticale, la sua»sime- iria, il suo carattere conciso, non la renderatino nè più nè meno adattata ai suoni, nè produrranno nel po- polo che la parla ; una maggiore o minore sensibilità per la melodia. Questo dipenderà solamente dalla. for- mazione delle sue ‘parole. Non è difficile comprendere che alcune lingue possono esser meglio adattate ‘alla melodia a preferenza dell’ altre, ma queste saranno le più armoniose» Una lingua composta di parole dolci , fluide, melodiose, senza nessuna durezza ‘0 ‘discorde combinazione di sillabe che offendino l’ oreeclrio } e che 2 abbia nel temapò stesso una regolare e frequente i: tuazione ; questa sarà la lingua del canto. E se v'è in Europa un paese che possa pretendere un sì fatto lin- guaggio, questo è senza dubbio l’Italia. Le frequenti vocali, e in conseguenza le moltiplici elisioni di esse, fanno sì che le parole si legano insieme, e producono le inflessioni soavi e fluide all’orecchio. Pur troppo le vocali spessissimo usate , formano le parole più sonore, perchè sono esclusi i dittonghi è le vocali nasali: la re- golarità dell’accentuazione produce una facile e distinta articolazione, lo che fa il suono delle differenti sillabe piano e percettibile, senza sforzo nè durezza; e così tutto s' accorda a produrre una fluida e melodiosa sen: tenza. Dall’ altra parte, una lingua che ha in sè ogni mi- scuglio di suoni , le sue sillabe piene di consonanti e di parole gutturali, che non producono altro che tuoni duri e discordi, e finalmente che sia del tutto disarmo- nica , non può esser buona pet la ‘melodia. La durez- za delle frequenti consonanti renderà dura ancor la musica , nè scorrerà dolcémente, ma sembrerà lo sten- tato rotolare di un corpo irregolare sopra un rozzo pa- vimento . Maricando Ja melodia in una tal musica, sarà mal supplita la soa mancanza coll’aggiunta di estranee bellezze ; e comunque sia corretta l'armonia delle parti, deve sempre dipendere dalla melodia, per la varietà dell’ espressione . In ‘vano procurerà il compositore di compensare la monotonia della melodia, colla ric- chezza de’suòi accompagnamenti, con una studiata composizione, colla difficoltà dell’ esecuzione, colla pie- nezzà delle parti, colla frequenza delle sue modulazio- ni; ma tutte queste cose non gli saranno di nessun gio- . vamento, se gli mancherà la melodia. 3 28 Siccome la musica vocale esisteva lungo tempo. prima della strumentale, deve ripetere la sua origine dai differenti modi d’esprimere il sentimento per mez- zo dei suoni. La musica de’ Greci ne può servir d’esem- pio ,.il di cui ritmo è semplicemente la musica formata dalla varietà. delle combinazioni di sillabe lunghe e brevi, delle quali copiosamente abbondava la loro lin- gua; e quanto più son fluide e poetiche queste combi. nazioni, tanto più la musica si adatterà ad esse. Se la prosodia d’una lingua è cattiva, se è irregolare e ine- satta, se le sillabe lunghe e brevi non hanno propor- zione nel verso, sarà ben difficile e quasi impossibile, di formare delle combinazioni che possino esser piace- voli all'orecchio, e disporre in guisa i loro suoni da pro- durre quel che A ritmo o poesia: ed accade il medesimo a quelle qualità di suono che costituiscono la sua melodia o la musiea. . . Ora tutte queste combinazioni, s’ uniscono ad ac- crescer bellezza alla musica Italiana. La sua semplice e pura melodia, le sue eccellenti modulazioni, i suoi corretti e bene appropriati accompagnamenti , tutto tende ad eccitar sentimenti che non è capace di pro- durre nessun’ altra musica. Noi abbiamo già fatto os- servare il bell'effetto prodotto nella musica vocale d’I- talia da’ suoi accompagnamenti, dove si conserva sem- pre quella semplicità e quell’ unità, che è cento mila volte più essenziale. nella musica, che non è l’unità d’azione nella tragedia: e per questo si distingue la mu-, sica d’Italia, da quella della Francia: nell’ ultima si procura nascondere la nudità della melodia più che sia, ’ possibile, colla pienezza dell’altre parti; Jla nudità dell’una è celata dalla ricchezza dell'altra, e l’atten- zione è distratta dallo strepito, che è affatto estraneo 29 al disegno principale. Ma in Italia per inezzo d’una retta. disposizione di parti, oghi cosa s' unisce a dare energia al soggetto e ad accrescerne l’ espressione; fa- cendo sì che gli accompagnamenti servano al gran di- segno.,.e che lo abbellischino e gli dian pienezza, sen- za occultarlo e oscurarlo. I loro accompagnamenti in unisono , addolciscono e rendon più grati i suoni della melodia , e nel tempo medesimo aiutano la memoria a ritenere l’idee impresse dalla melodia : essi rendon la musica bastantemente forte e pieghevole, senza farla comparire troppo aggravata o nauseante. Questa sorte d’accompagnamento non è praticabile in generale nella musica francese, perchè il carattere della loro musica vocale e strumentale è del tutto diverso. L'incertezza e la mancanza d'espressione impediscono qualunque combinazione di parti che potessero far, risaltare un concerto; così che i loro accompagnamenti invece d’u- nirsi alla melodia, ne tolgono l’attenzione essendo di- scordi con essa, e indeboliscono il’ effetto. della parte vocale, la quale è la sorgente di tutte.le bellezze dell’ac- compagnamento.. Il seguente aneddoto narrato da Rous- seau, conferma particolarmente: le nostre osservazioni. Ho veduto ( egli dice )a Venezia un Armeno , uomo di qualche talento, che non aveva mai sentito mu- sica. Lui presente fu eseguito in un medesimo con- certo un monologo francese, che comincia con questo ver'so Temple sacre, sejour tranquille ; E un aria di Galuppi che comincia con quest’ altro. Voi che languite senza speranza . Mediocremente fu cantato il monologo francese , male Varia Italiana, da un uomo avvezzo solamente alla. musica francese, e allora oltre modo fanatico di quel- 30 la di M. Rameau. Io osservai nell’ Armeno durante tutto il canto francese più sorpresa che piacere, ma tutti veddero che alle prime note dell’ aria Italiana il suo volto e gli occhi si rasserenarono: sembrava in- cantato, ela sua anima era tutta abbandonata alle impressioni della musica : e benchè conoscesse poco la lingua, il di lei semplice suono produceva in lui gran- dissima sensazione . Da (dr epoca non fu più possi: bile di fargli sentire nessun’ aria francese . Infatti la musica franceseha pochissimo in sè che possa recar piacere': qualunque merito che possa avere, lo deve riconoscere da ornamenti arbitrari e da acci- dentali bellezze, le quali incantano solamente coloro che si sono assuefatti ad udirle per tutto il tempo della loro vita, e non altri: e da ciò ne viené, che la loro musica mediocremente éseguita ‘sì può appena soffrire anche da loro stessi; e per renderla tollerabile agli orec- chi degli stranieri, bisogna che sia accuratamente ese- guita dai professori di prima sfera. La musica Italiana al contrario diletta sempre, anche eseguita da cattiva voce e con mediocre gusto, poichè le bellezze son nella melodia, e non nell’ abilità del cantante . Rousseau s0g- giunge dopo aver riportato l’aneddoto sopra riferito . Da noi si eseguisce la musica Italianà, dicono i Fran- cesi colla loro solita baldanza, e gl’ Italiani non pos- sono eseguir la nostra; dunque la nostra musica è migliore della loro: ma non veggono che devono trar- re una conseguenza tutt affatto contraria, e dire: Dunque gl Italiani hanno una melodia che noi non abbiamo. Da questa digressione, che è stata più lunga di quel che ci promettemmo, ritorniamo a far parola dei professori che fiorirono al declinare del passato secolo . 31 Diremo qualche cosa intorno alla imusica d’ Inghilterra, prima di-parlare di quella della Germania. Fra! tutti paesi che si son resi celebri per Ja mu: sica; V Inghilterra ci fa \a mio parere wn' assai brutta figura;!sì piccolo è il numero dé’ suéi compositori na- zionali), eccettuati gl’Italiani ‘ei Tedeschi che quà si stabilirono; che appena può vantarsi di avere una mu- sicà-cta' ‘per sè'stessa . Potrà ella esultare nelle salmodie metriche di Tommaso Sternhold e di Giovanni Hop- kins ;@ nelle sacre composizioni ‘di maestro Guglielmo | Bird; ‘e di maestro Giles Farnabia'; ‘o nei canti, il fi- schio del ‘carrettiere ( carman’s ‘vvistle ) e Vieni Giovanni or baciami ( John cum kisse me novo ) che si conservano nella rara e curiosa collezione chiamata il Jibro virginale della regina Elisabetta ( Queer Eli- sabeth o virginal book)? (1) O potrà ella gloriarsi dell’ elaborate ‘composizioni di quel raro professore, maestro‘ Giovanni Ball, dottore di musica; le quali erano sì difficili all'olenizionez che furono impratica- bili anche ‘all’ Eccellentissima Miestà la ‘Regina, ben- chè fosse un’esécutrice di prima ‘sfera del libro virgi nale ? -- Sorse finalmente ‘in Inghilterra una specie di composizione drammatica ‘per cui la musica venne in TE 4R:0)) (1) Noi ‘abbiamo’ avuto il piacere di sentire il Carmans è voistle Che' ‘è contposizione di Bird ‘ed ‘era 1’ aria favorita ‘della regina Elisabetta .sQuesta:; da “più vivacità. dell’altre esecrabili composizioni del, libro. virginale di sua Maestà, e s’ avvicina molto, ad una quadriglia francese, -- Il virginale era uno stru- mento © a, corda fatto a ‘guisa d’una nostra spinetta, che usavasi nioltò ’ tempo fà dagli biglesi ; onde libro virginale, viene a ari ‘To 'stèsso Che A per'cimbalo. PRO H Tradut. 32 moda; ed eccitò i talenti di quei;pochi originali e buomi - compositori che abbia da vantarsi quest’ isola. Sotto} il regno di Giacomo e di Carlo primo, il prediletto, diver- timento della corte,e anche dei nobili, fu la rappresen-. ‘ tanza, di. piccoli intermezzi in musica, chiamati,m24- schere (.masques ). Questi erano eseguiti con splendide. decorazioni , e vi recitavano,; comunemente, i. mobili. stessi. La regina, Enrichetta figlivola di Carlo primo, era oltre modo appassionata per simili ,trattenimenti,; e.le, più volte eseguiva, le prime parti. Ben Johnson era per lo più l’autore di. queste. maschere, e.Harry Lawesg che deve riconoscere la. sua immortalità, più dal so-, netto di Milton che dalle sue arie, era il compositore, della musica. Nel 1634. la maschera! di Como che fu composta da lui, fu rappresentata nel castello;dìi Lud+, low . Hod | dt Le composizioni di Lawes:; particolarmente i canti, del. Como ; si celebrano. dagli scrittori contemporangi;;; come modelli d’eccellente melodia, e piacevolissimi, all’orecchio: forse noi abbiamo degenerato dai; felicis-' simi antichi tempi, ma le arie, compostesda quest’ au-, tore, ci .sembra che s'avvicinino molto a quelle de’ pap- pagalli. Matteo Locke fu un, compositore che, visse in questo periodo, e fiorì sul principio del regno di Carlo secondo, ma le sue composizioni non furon mai supe- rate da nessuno Inglese nè prima nè dopo . Qualunque persona che , abbia udito, le sue arie, nel, Macbeth 0, nella Tempesta; deve .aver riconosciuta, la:loro!bellez- za ed originalità; fa maraviglia peraltro che abbia ave” ti sì pochi imitatori ; forse Te sue opere non ‘piatquero molto ai professori di quel tempo, il che non farebbe maraviglia, perchè non vi è gusto tanto volubile quanto, quello della musica : ciò che ora ci piace poteva esser 33 detestabile alle orecchie di quei tempi. Ma quel che prova la superiorità delle composizioni di Locke, è che esse! formano quasi l’unica raccolta di musica Inglese originale , che oggi sia'creduta degna di sopravvivere . Purcell e Arne sono stati buoni compositori, ma sincera» mente parlando sono stati bravi copiatori degl’Italiani. La lunga dui che fece Handel in Inghil- terra', fu forse cagione di correggere e di riformare:il gusto di quel paese. Le sue opere furono le prime ad avere un felicissimo successo ; il che fece nascere un gusto ‘particelare per. questa specie di composizione ; che dipoi condusse allo stabilimento dell’ opera italia- na in Londra. Questo costume fu molto ripreso e mes- so in ridicolo, dagli scritti periodici di quel giorno, specialmente dallo Spettatore dove Addison si ride dell’ assurdo costume di introdurre attori italiani nel- l’opera, i quali cantavano la loro parte in Italiano, mentre gli ultimi soggetti cantavano in Inglese la lo- ro (1). Handel spiegò assai di buon ora il suo gran genio per la musica: da giovinetto fu istruito dall’ organista di Halle sua patria , e finì la sua educazione musicale ad Amburgo, formandosi il gusto su i migliori modelli italiani e tedeschi. Aveva soli quattordici anni quando ‘suonò la seconda volta la spinetta all'opera d’ Amburgo: e nello stesso anno produsse un’ opera che fu rappre- (1) Nel numero 5. vw è una curiosa descrizione deile deco- razioni e delle macchine che usavansi quando fu introdotta l’ o- pera, come uccelli che cantano , cascate d’ acqua ec. Ma com tutta la sua contrarietà per l’ opera italiana, dobbiamo fare os- servare, che Addison aveva avversione alla musica, e che il suo amico Stecle era interessato ‘in uno degli altri teatri, la cni udienza scemava di giorno in giorno a cagione dell’opera, 34° sentata trenta volte consecutive. Dopo aver passati po- chi anni in Italia, ritornò in Germania , e si stabilì ad Annover, dove fu molto incoraggito da quell’Elettore, La stretta anione fra le corti d’ Inghilterra e d’ Anno- ver, l’ indusse ad accettare mel 1710 l’ invito fattogli da alcuni dilettanti, che l'avevano conosciuto ad Anno- ver, di recarsi a Londra. Vi. si trattenne un anno solo, ma poco dopo il suo ritorno chiese all’ Elettore il, per- messo di ritornarvi, e le tante offerte che ivi gli furon fatte, l indussero a stabilirsi in Londra, ad onta dell'im pegno contratto coll’ Elettore, il quale avea posto men- te di vendicarsi quando fu eletto re d’ Inghilterra: ma Handel inventò un artificioso inganno per ac- quistare di muovo il suo favore. Sentendo che si do- veva fare una festa sul Tamigi, Handel compose in quell’ occasione quei famosi pezzi, che dalla circostan- za furon chiamati Water Musie: (quasi musica pesche- reccia) gli eseguì da sè stesso , travestito però .in ma- niera da non esser conosciuto . Il re, che per la musica aveva veramente orecchio tedesco, ne rimase incantato, e volle sapere il nome del compositore. Un harone te- desco amico di Handel, tacitamente gli disse , che il compositore era suo concittadino , e fedel servo di sua maestà; ma col timore d’ essere incorso in disgrazia di un sì buon signore, non ardiva contribuire a faccia svelata , al divertimento del suo sovrano. Il re sentito questo, dichiarò , che se il reo fosse anche Handel, gli avrebbe tutto perdonato ; e non contento di questa ge- nerosità, gli donò dugento lire sterline l’anno. La principale eccellenza di Handel è nella musica da Chiesa: pure tutti i suoi oratorj ad eccettuazione di pochi, non incontrarono il gusto del suo tempo, e spesso ebbe il dispiacere di vedere tanta poca udienza,che le 3Ì più volte il re Giorgio secondo ne erà l’ unico uditore , Negli ultimi anni della sua vita divenne cieco , ma continuò sempre a dirigere da sè stesso i suoi orator) : morì il venerdì santo del 1759, ed aveva sempre detto al suo medico Warran, che avrebbe desiderato moltis- simo di trar l’ ultimo sospiro in quel giorno. Venti- cinque anni appresso, e precisamente un secolo dopo la sua nascita , ebbe luogo nella badia di Westminster, quella famosa musica, fatta in commemorazione di lui e del suo genio. Questa musica fu composta di pezzi scelti dalle sue opere, che furono eseguite da un’ orche- stra di cinquecento cinquantatre istrumenti, e da cin» quecento quattordici voci: l’ udienza era composta da circa quattro mila persone, e il denaro che fu raccolto, ammontò a dodici mila ottocento cinquanta lire sterli- ne ( da cinquantun’ mila quattrocento scudi toscani ) somma prodigiosa 7 che forse più di qualunque altra cosa mostrò l’ intenzione del popolo, che correndo da tutte le parti, veniva a fare onore alla memoria di un uomo , che a comun sentimento avea superata l’ uma- na eccellenza . Resta solo a parlare della musica della Germania, per la quale ci riporteremo alle vite d’ Haydn e di Mo- zart, poichè nelle vite di questi due sommi compositori di quel paese , si racchiude quasi tutta la musica di quello. Era nostra intenzione di analizzare l’ opera suddetta delle vite d’ Haydn e di Mozart, ma già cre» diamo di avere bastantemente tediato il letture colla lunghezza di quest’ articolo , che non vogliamo esten- derlo d’avvantaggio. Diremo soltanto che il libro è una traduzione di lettere scritte da Vienna, da un Fran- cese stato intimo amico di Haydn, alcuni anni prima della sua morte, dove si riportano diversi aneddoti a lui 36 narrati da Haydn. La vita di Mozart è tradotta del te- desco, da persona che ha preso tutto da sicure sorgenti; è molto più corta dell’ altra perchè non parla che di Mozart, mentre l’ autore delle lettere, si è diffuso a lun- go sopra diverse altre materie . Haydn nacque nel 1734 da poveri genitori, e non ‘aveva ancora dodici anni, quando fece conoscere il suo gran genio per la musica, e prima di diciotto annì ave- va gia composto diversi pezzi. Studiava sedici o diciotto ore il giorno: finò al 1758 fu in uno stato di gran po- vertà, quando il principe Esterhazy lo prese presso di sè. In seguito , il regime della sua vita fu sempre uni- forme: tutta la mattina la dedicava a comporre, e la sera ad eseguire e a diriger l’opera. Le sue composi- zioni ammontano a novecento novanta . Quando sì pre- parava a comporre, si vestiva colla massima eleganza , s impolverava pulitamente i capellt° Federigo secondo gli aveva regalato un anello di'diamanti , e Haydn di- ceva, che se a caso gli accadeva di non averlo in dito , non poteva mettere insieme una sola idea. Nun scri- veva che sopra una carta finissima, e quando forma- va le note lo faceva con tant’ accuratezza, che pareva che le incidesse sul rame. Dopo queste minute! prepa- razioni, cominciava a scegliere il tema del soggetto , destinando le chiavi sulle quali desiderava modellarlo; e andava variando l’ azione del soggetto , imaginandosi gl’ incidenti di qualche piccola avventura o romanzo. Tali particolarità , sembra nonostante che siano state comuni a tutti i compositori. Gluck quando si sentiva in estro di comporre , sì faceva portare in un bel prato il suo pian-forte, e con due bottiglie di Cham- pagne allato, trasportava ai campi Elisi la sua imma- ginazione. Sarti, uomo di trista fantasia, preferiva la 37 funebre taciturnità di una spaziosa sala, appena rischia- rata dalla luce d’ una fioca lampada . A Cimarosa pia- ceva lo strepito e l’ allegria ; circondato da un numero di allegri amici immaginava le sue opere. Il Matrimo- nio segreto, quella superba opera comica la compose in questa guisa. Paisiello compose a letto.il Barbier di Siviglia, e la Molinara: e Sacchini diceva che. non ave- va momenti d'ispirazione , se non quando i suoi due favoriti gatti s’ assidevano sopra le sue spalle . Nel 1790 nell’ età di cinquantanove anni Haydn abbandonò Eisenstadt per andare a Londra. Salomon professore in quella città , che eseguiva venti concerti l’anno, aveva promesso di dargli cinquanta lire sterli- ne per ogni concerto. Dimorò a Londra un solo anno, ma vi ritornò nel 1794. e ambedue le volte fu'accol- to.con segni non dubbj di stima e d’ approvazione. L’ Università d’ Oxford gli mandò il diploma di Dot- tore, onore che difficilmente conferiva, e che non aveva ottenuto nemmeno lo stesso Handel. La Creazione restò ultimata nel 1798. e le Quat- tro stagioni due anni dopo. Questa fu l’ ultima opera di grido che uscisse dalla sua penna; allora il suo vigo- re venne meno rapidamente, e fe sue facoltà svanirono quasi del tutto, ma soppravvisse fino al 1809, € morì quando i Francesi messero piede in Vienna. Mozart nacque a Salzburgo nel 1736, e comune- mente si sa che fuun prodigio di giowanil talento. Di soli tre anni si.dilettava di trovare gli accordi sul piano- forte , e nulla poteva recargli maggior piacere, se non sudo discuopriva un intervallo armonico. All’ età di quattro anni cominciò suo padre a insegnargli alcuni piccoli pezzi di musica, che. in brevissimo tempo gl’im- parava a suonare; ed aveva di poco passato il primo T. IV. Ottobre 3 33 lustro dell’ età sua, quando compose varj pezzi di suo, e pose mano ancora ad estese e difficili composizioni . La sensibilità de’suoi organi sembra essere stata ecces- siva; nella sua fanciullezza non poteva sentire il suono d’ una tromba senza impallidire, e quasi gli promoveva le convulsioni. Suo padre condusse lui e sua sorella per molti anni in diverse città per far conoscere i loro talenti. Nel 1764 si portarono a Londra , e suonarono alla presenza del re. Mozart suonò l’ organo nella \cap- pella reale , e piacque moltissimo al re. In questa di- mora compose sei sonate , le quali dedicò alla regina:: allora non aveva che otto anni. Pochi anni dopo andò a Milano; ed ivi nel 1770 fu eseguita l’ opera del Mitri- date, da lui composta nell’ età di quattordici anni, e fu eseguita venti volte successivamente . Allora cominciò ad esser la maraviglia dell’ Europa per le sue estese co- gnizioni, e a riguardo ancora della sua gran giovanezza. Questo grand’ uomo tutto abbandonato alla musica, era veramente fanciullo in tutte V altre cose. Le sue mani eran talmente sposate per così dire ai tasti del piano-forte, che non se ne poteva servire per nessun'al- tro oggetto. Quando era a tavola, la moglie gli tagliava tutto a bocconi, ed in ogni altra cosa relativa al denaro, o al maneggio degli affari domestici, o pure alla scelta dei divertimenti, si sottoponeva interamente alla di lei ‘elezione. Era di temperamento assai:gracile, e nel- l’ultimo periodo della sua'troppo breve vita ,. peggiorò rapidamente. Aveva ‘gran paura délla morte, come suole accadere alle persone di spirito debole; e quest’ap- prensione essendo il suo favorito studio, a poco a poco distrusse totalmente il suo‘spirito, invaso dal timore d’ una imminente dissoluzione . igli componeva con profonda malinconia, la qua- 39 le senza. «dubbio influis, molto ad accelerare.il periodo della) sua esistenza... In;questo, abbaitimento di spirito, compose il Flautg., Magico, sla Liemenza di Tito, e la sua celebre messa, GOMANEMEPLE, comosciuta col nome della sua Requiam aLe, circostanze che,accompagnar ono - da composizione dè, questa messa, 208 tanto patticolani, per l’effetto che; produssero sopra il di hpi spirito, che non vogliamo, tacerle ;.e con questo. ragconty. fipireggo dalwita-di Mozart, e-questo lungosarticolo. \roo Un. giorno quando, Il sug? animo ka, più del solito oppresso 5 un incognito d: alta esdlignitosa apparenza “phèseritora «Mozart. Con. aria, grave e significante) mi «disse; che veniva inviato da persona che, non desidera- ovaidi farsi conoscere; a richiederlo, se volesse com porre tina messa solenne! »dioMegiuien , per I. anima.di.un vamico, che aveva recentémetite perduto, e che deside- iravad’:eternarnecla ìniemoria, con; questo, solennerser- »Wigide'Mozart ne, preséì l’linipegno,,e ‘propaesse di. com- «pitla inixùn mese, Là incognito; chiese; qual.prezzo) pre- tendesse:della sua opera; e subito gli pagò cento ducati e'parti.oI mistero di questa visita, produsse un tristo effetto nell’ animo di Mozart. Rimase, irresoluto qual- che tempo, ma poi ad un tratto chiese ciò che biso- gnava per scrivente) encominciò aseemporte com ardore straordinario. Ma quest’ applicazione, eva superiore alle sue forze; lo ridusse in estrema debolezza, ed aumen- tandosi il male, fu costretto a sospenderla. Un giorno ‘disse: alla (sua moglie», che la messa di Requiem ghe istava»serivendo ; vlal/ebmponeva.;per:sèpse che doxeva servire per. il suo funenalejdjuesta fissazione non di ab- sbandonà più; iL uiltinib deb mese 3) puntualmente | CpI «parve ilmisterioso; straniero; e chiese; la messa ordina- ‘baalVornomi è stato possibile, rispose, Mozart, . di mai 4o tener la parola che vi aveva data; V opera mi ha in- teressato più di quello che id ‘credeva , e mi ha'co- stretto a farci sopra uno studio particolare; vi chiedo în grazia un altro mese‘di ‘tempo per poterla finire. L’ incognito non ebbe nessuna difficoltà : ma rifletten- do che questo doppio incomodo' meritava aumentazione di prezzo , gli contò cinquanta ducati‘, e promesse ri- tornare all’ epoca sopra accennata. Mozart sorpreso'dal suo procedere, comandò ad un servo che tenesse dietro a questa persona, e se’ fosse possibile cercasse di scuo- prire chi egli fosse: ma il servo lo perse tosto di vista, ‘e ‘fu'òbbligato a tornare'‘a casa senza saper: nulla Mo- ‘zart allora sempre più persuaso; che ‘egli fosse uném-. viato dell’altro mondo, a lui ‘mandato per ‘avvertirlo che s’ approssimava il termine della sua esistenza, s'ap- plicò con ardente zelo alla Requiem; e benchè lo stato delle sua facoltà fisiche e morali fosse quasi esaùstordel tutto, la completò»prima della fine del mese. Nel gior- noi fissato ritornò fo straniero; ma. il. pianto dell’ afflit- ta consorte annunzio che Mozart più non esisteva PRI bd I Meitriniai Ie ib'oi A Iiot ; Jolla Opinioni intorno la Musicadi GrovAccHino Rossinr di Pesaro. por a e Ka nell’ antica Grecia un savio; che, all’ udir d’ al- cuno, il qual'disconsentisse dall’ opinion generale in cosa che importava al pubblico, così nel governamento ‘civile; come’ nelle lettere e nell’arti, sentiva nascerecin ‘sè la bramt@'di' farselo amico; e scuoprirne:oghi pensa- “mento . Un’ altro, al rovescio, non.avea d’uopo se non 4I di conoscere in altri alcuna discrepanza da quella, per-, chè ‘se ne'allontanasse tosto senz’ altra\ricerca. Il pri- mo, che intendeva a discernere il, vero in ogni sua parte, avvisava'} poter l’ opinion generale derivar talvolta da un principio falso: giudicava il secondo, che il contra- starla non facesse che sviluppare i germi delle passioni, e offuscare la verità, o difender |’ errore . L’ uno distin- gueva l’opimion generale degl’ intelligenti da quella del volgo, e non si stava al numero: stimava l’altro, che il giudizio di-chi aveva idee più semplici e naturali fosse il men soggetto ad errare | Entrambi erano amici della patria e amanti del bello e del buono. Qual de’, due sistemi è il più commendevole? qual. si dovrebbe anteporre oggidì? E qual ne sarebbe la riuscita? Lasciando dapparte quel che concerne le discipline politiche e amministrative di uno stato ,, (delle quali cose la prudenza e ’1 quieto vivere ammaestrano i mi- nuti mortali ad ingerirsi appena fino a quel segno che può concordare colla ragione imperante), noi ci.confor- tiamo a credere ; che, quanto a lettere ed arti, una sana ed avveduta censura non faccia che portar giovamento alla materia, se non altro, per la discussione che parto- risce. E oltre al mantenere in esercizio e assottigliare l’ingegno , preparandolo in. tal, modo a cose migliori anche quando non fosse dalla parte del vero, ella è sempre un impulso al raffinamento, del gusto , e viene a ridurre nello schietto suo lume la massima , che , ri- conosciuta poi dalla ragion comune e dall’ esperienza , prende aria di dettame all’ occhio de’ posteri. Dopo un certo giro di anni,, avviene che il total cambiamento delle costumanze, i rivolgimenti, prodotti dalle inven- zioni umane e da tutto il complesso di altri accidenti e fisici e morali, inducan gli uomini a una diversa ma- \ 42 niera di vedere e ragionare: e ‘allora si forman-altri si- stemi o giusti o falsi, che illuminan poi o'traggono.in errore chi non se ne può comporre un vero da sè. Per sì ‘fatta guisa, il miglioramento da' un ato e da decaden- za dall'altro, rinnovano insensibil mente 0gm; cosa nel miondo:e passando per'una prete plico varietà di circo- stanze, si riconducono | , Dve più lente ove meno, scatta condizion primitiva, clie ne costituisce l'intimo; sa lebil carattere. La difficoltà risiede ; nel dare un retto giudizio del presente : essendochè , sebben. moli non, cessino di magnificare il beato vivere degli antichi, por! chi sarebbono ‘tuitavolta que’ moderni , che ,: potendo, scorgere in lontananza il presente come avvien del-pas- sato, persistessero im ‘quella sentenza! Il dettato; che il mondo peggiorando invecchi, è in: bocca' di vallizie perfin di coloro, ai quali non manca:nè sanità , nè!tdo-, vizie, nè ingegno (ed è questa, a nostro sentire, una delle opinioni generali , che andrebbono rettificate) . Ma s&imoò di quegli antichi del beato vivere potesse ri- prodursi fra noi, senza che il tragitto di Lete avesse nociuto alla sua memoria; e dar del presente quel giu- dizio , cui partorirebbe naturalmente il confronto , da quale stupore non sarebb' egli compreso in/udir pazza- mente învidiati i suoi tempi? È nella ‘natura degli uo- mini l’ avere in reverenza quel che non veggono, e il trovar sempre una qualche eccezione in ciò che hanno familiarmente sott’ occhio : e verrà quindi un giorno, che anche i nostri tardi nepoti invidierauno il beato vivere de’ presenti. Ma a qual oggetto (dirà taluno de’ leggitori ) un simil preambulo? Per metter avanti ( Mapondiae noi ), 1. il nostro concetto sulle circostanze , chè render pos- sono l’opinion generale soggetta ‘a qualche scrutinio: 43 2.» per indicare l'utilità della disamina: 3.» per accennare alcuni motivi, più accouci a giustificare un ragiona- mento diverso dal comune. E se nella materia, che siam per discorrere, come in tutte l'altre, che hanno i sensi per giudici immediati, non riusciremo a persua- dere ( cosa, che tenghiam già per certissima ), diremo , non esser neppure stato questo l'intento nostro , il qual sì ristringe tutto a una mera esposizione d'’ effetti , pro- vati in noi stessi, e agli argomenti, che abbiam da quelli potuto dedurre . Non v'ha dubbio, che così nelle arti come nel- le lettere, tutto sia regolato dal gusto, e che questo si reputi anzi di tanta efficacia, da prevaler perfino all’istessa dote dell’imaginativa, imucki d’origine tanto più eccelsa. È desso il resultato dell’ esquisitezza del concepire e sentire, e di quell’occulto e pronto giudi- zio, che si crea nella mente all’ esser percossa da un 0g- getto qualunque. Ed è parimente fuor di questione, dia sebbene il gusto non abbia leggi determinate, ha però determinati confini, non insegnati dalle fredde regole de’ pedanti, ma lità sentiti da chi sa ben Libe are in sè stesso le relazioni delle cose, e maritare opportu- namente un’ idea coll’ altra, pr epomendo sempre le più naturali. In letteratura, a cagion d' esempio ; il gusto non si estende oltra i ori d’ una mazione o d’ un dia ma. E un modo Inglese, il qual potrebbe far prova di gusto delicato in Inghilterra, farebbe rider forse, o poco manco, in Italia, a causa della necessaria FaBsA sità neli’ indule de’due linguaggi, che non anamettono respettivamente circostanze uniformi. La qual limita- zione nelle favelle è per altro compensata assai larga- mente da quell’infinita varietà di generi e di stile, pro- 44 dotta dalla diversa attitudine degli umani ingegni e dal predominio de’ tempi assai più sulle opere della penna, operanti immediatamente sull’ animo, che su quelle della mano, le quali non agiscon sull’ animo se non se dopo aver agito materialmente su i sensi. Dietro sì fatte considerazioni,noi daremmo la preminenza alla poesia; il secondo posto alla pittura e alla statuaria; e il terzo alla musica. Ma ond’è chela fama di Raffaello è più popolare di quella del Petrarca ? quella di Paisiello più popolare che la fama del Galileo ? La fama di Canova più popolare che quella dell’ Alfieri ? Dipende egli ciò da un maggior merito intrinseco, o dalla natura dell’arte respettiva? O è forse perchè la maggior popolarità del grido corrisponda sempre alla maggior popolarità delle opere? Egli è certo, che qualor si voglia aggiudicare il primato all'arte più nobile, esser deve alle lettere , co- me quelle, che oltre al presentare agli occhi della mente i medesimi oggetti, che percotono i sensi, am- maestran più il cuore; operano effetti maravigliosi sopra i costumi più di qualunque altr’arte; subliman lo spi- rito alla sua divina origine; e colla scorta dell’ imagina- zione, non pur signoreggian tutto quanto il creato; ma dato è loro altresì di penetrare in sen del possibile; e figurando obbietti or soavi, or tremendi, risvegliare e dominar le passioni degli uomini, e prepotentemente dirigerle allo scopo lor proprio : laddove ristrettissimo è, in paragone lo spazio, conceduto alle arti minori . Sennonchè è destino, dover esser tutto contrabbi- lanciato quaggiù. La poesia di un popolo può, a cagion d’esempio, non piacere ad un altro, benchè per sè stessa eminente: dovechè un bel quadro, una bella sta- 45 tua, una bella musica, piaceranno dovunque esistano idee e discipline consimili in fatto di civiltà (*). Ela ragione par chiara: quella; cioè, del non richiedersi in ciò altra cosa fuorchè la disposizione de’ sensi, e non costare alcuna fatica di mente; come. avvien non di rado nella poesia; la qual fatica è però negli alti inge- gni una sorgente d’ineffabil diletto. E convien pur di- re, esser ciò indubitato, se vero -è , che una tragedia o un sublime squarcio di poesia abbia potuto porre in di- sordine l’animo d’alcuni, mentrechè non si è udito mai dire altrettanto dell’effetto , operato da una statua o dipintura per istupende che sieno : tanto è vero, esser le impressioni della mente di lunga mano più efficaci e durabili , che quelle, ricevute dai sensi! Ma benchè la musica siasi posta da noi dopo la pit- tura e la statuaria, è forza però confessare, esserne le prime impressioni più assai gagliarde, e capaci di mira- bili effetti sul cuore umano. Dessa è l'arte la più popo- lare d’ogni altra . Del che si potrebbe addur la ragione dell’ esser ella la più naturale al sentimento degli uomi- (*) E diciamo consimili, persuasi di già, che qualora si pro- ducesse , a cagion d' esempio , alla China un’opera Europea, tra le più eminenti in fatto di pittura, musica, o scultura, non farebbe verun colpo, seppure non movesse il riso; come ap- punto avverrebbe , poco più poco meno, d’eguali opere Chinesi, presentate fra noi. E nota , 0 lettore , come sia diverso l’effetto, se trasporti il eonfronto a componimenti letterarj, nel qual ge- nere son tanto minori le varietà, ammesse dal gusto . Pochi fra i mediocri pittori o statuarj, o compositori di musica ita- liani esser vorrebbono tra quelli, che sono stimati eccellenti nella China: dovecchè molti Italiani, anche di grido , esser vorrebbono un Confucio. E la ragione si è, che ; ne’ varj in- dividui dell’ umana famiglia ; serban tra loro Lin urp gli affetti, che non i costumi . . , 46 nì, e infusa; per così dire, in loro medesimi in virtù del sistema di armonia uuiversale, Chè se alcuno vo- lesse contrapporre, esistere una natural attitudine ar- monica in tutti i sensr, e non essere il giudizio , se non se il resultato del paragone»di parti più o meno armo- nizzanti fra loro, risponderemmo , che l'armonia, per- tenente all’ udito , è quella che manco abbisogna. di fi- losofia per esser determinata : il suo effetto è pronto co- me la luce, e quindi immediato il giudizio, che ne vie- ne dalla sensazione o grata 0 dispiacevole . Ma in ogni cosa anche il bello, unico per sè stesso ed: eterno, ha ne’ varj generi i suoi confini. Laonde, conseguito che sia una volta, non si può andar oltre se non con iscapito. Il gusto, che, secondo abbiam detto , è quello , da cui dipende il merito principale di un’opera , è il più malagevole a definirsi nella musica , per la ragione dell’ esserne più che nelle altr’ arti, passeggiero J'effet- to: La qual circostanza fa sì, che nell’arte musicale non esista per avventura un gusto assoluto e universalmente determinato , e che questa, seguitando la moda, si di- parta più spesso dell’ altre dal vero scopo suo proprio . Non vi sarà persona ragionevole , anche non italiana, la quale anteponga il Marini all’ Ariosto : ma molti ante- porranno la musica di Rossini a quella di Cimarosa (*) Diremo di più, che il Matrimonio segreto di quest'ul- (*) E la ragione è chiara . Ai tempi del Marini, eran po- chissimi quelli, che si pascevano dell’ elegante semplicità del Cantor Ferrarese, ora posposta alle imagini idropiche dell’Autor dell’Adone . Grandissimo nondimeno era l’imgegno del Marini ; e parimente grandissima è l’attitudine armonica di Rossini. Ma il tempo non rispetta che due qualità delle opere umane : la solidità ed il gusto , 47 timo farebbe forse a’ dì nostri sbadigliare! non pochi, qualora succedesse immediatamente al Barbier di Si- viglia del compvositor:Pesarese: nè si-creda,, esser que= sta una semplice conjettura. Il Dorn Giovanni di Mo- zart., quell’ insigne magistero dell’ arte musicale , non fu quasi più sopportato :dopo la Gazza ladra . L’ istes- sa Nina pazza, il più gentile (ed: ‘affettuoso parto di un'anima. tutta’ piena de’ più:soavi incanti! dell’ armo- nia, è caduta in disuso:, dappoichè Giovacchino Ros- sini s'insignorì delle scene italiane ..È un simil rivol- gimento seguì ( comecchè con qualche maggior tem- peranza .) j non purim:Francia e in. Inghilterra, main , alcune città dell’ istessa :Allemagna. A che dunque ascrivere um tanto miracolo ? All’ ;aver Rossini trovata una vena di dolcezze, sconosciute «a que’ grandi ;:0 da lor non sentite ? Possibile ; che; dal Adamo in qua,; il solo Rossini abbia scoperto i veri e sommi secreti dell'armonia ? O andrebbe per avventura errato, non pure il Pubblico oltramontano } ma quel medesimo d’ Italia ? Non sarebbe quello un gusto falso , e fugace come la moda? E quì un immensa folla di uditori si alza ‘ad orecchie tese, e ne dite no : i sensi non s’ in- gannano . ig. sd Qual è lo scopo della musica ? quello di dilettare, diranno i fautori di Rossini . Non ‘altro che quello di dilettare ? non altro, soggiungeranno essi . In tal caso, dovranno convenire ;'nòn ‘esistere ‘alcuna differenza tra la musica. istromentale e la ‘vocale. Purchè l’ una e l’altra dilettino , basta. Ma non v'havegli alcuna nor- ma , che. si unisca all'adito, per determinare , direm così , le.vere forme ‘dell'armonia? Noi crediamo ,. che il raziocinio e ‘1 confronto aver possano una ‘parte: non piccola , semon forse per dar ragione del ‘perchè pigli » 48 l’ animo del Pubblico più presto una musica che un’al- tra, per giudicare ‘almeno con una certa sicurezza; qual sarà più durevole, e data o no.a modello... \. Quantunque la più parte de’ maestri di. musica anche i più rinomati, dichiarino, quasi a una voce, ri- boccare in generale la musica di Rossini di spropositi di contrappunto ( il che in letterattura equivarrebbe a spropositi di. grammatica), e «vi sieno stati direttori di assai celebri conservatorj di musica, i quali 1’ hanno proscritta dai loro alunni per quel che concerne la parte dell’insegnamento; nulladimeno non. ci occupe- remo di una tal. parte delle sue: produzioni, e. per- chè noi, che scriviamo; non possiam darne sentenza per noi medesimi, e perchè vogliam largheggiare nella, supposizione; che una simil disposizione di que’ mae- stri, ecclissati dal nuovo sele del mondo ‘armonico, non sia scevra al tutto da spirito di gelosia. E non vorremo tampoco estenderci. ad enumerare i molti e gravi plagi, manifesti in quasi tutti i suoi componi- menti: attesochè siam indotti a credere, provenir egli- no, non già da povertà di vena musicale; ma da pre- cipitanza nel comporre, a fin di satisfare alie doman- de. Oltra di che i plagi sono il più delle volte fatti da lui a sè stesso. Una cantilena, che piacque in un’ opera sua propria, è da lui francamente, inserita in un’ altra; e non già dovunque si addice; ma do- vunque la fa cadere il caso, quando la mente gliela ricorda : il che viene a conferire a’ suoi componimenti quella stucchevol monotonia, che ne fa subito indoyina- re l’autore. Non privo d’ accorgimento, cora’ è,. ha Ros- sini, per quel che risguarda la musica vocale, potuto chiaramente. conoscere, che ne’ teatri d’ oggidi (e più in Italia che altrove) il men che si curi è la parola: irta sdateentta | 49 eun fallalalèra, accompagnato da una diecina di, note, ‘bizzarramente accozzate, sarebbe capace di fare scom-- «parire i più teneri versi del Metastasio. Il;che, se non ‘bastasse; vien ‘anche invigorito| da; lui. medesimo con un perpetuo romorio di note, che iper esser di tutti i ‘colori, non ine presentan mai distintamente, veruno, ‘ele. quali succedonsi una. dopo; I’ altra a guisa di tur- bini:0 capriole. E tornando all’ articolo de’ plagi, fa- ‘remo notare; come, nella musica, il doro, effetto sia totalmente diverso. da quello. che. ;accade. nelle arti sorelle. Perciocchè, se nella poesia 0 nella.pittura v'ha chis’ /approprj alcun bel tratto d’‘altrui,;, pochi. sa- ranno ‘i poeti; pittori famigliarizzati «colla lor pro- ‘fessione, che non, li \discuoprano. Ondechè tanto me- no frequenti sono in esse i plagiarj, che;sì espongano ‘a. un'tale scherno. Laddove, nella musica; un passo riprodotto 3: quand’ anche venga! riconosciuto, ottiene per loi più gl’istessi plausi come uno: di muovo conio, -essendo «essi, in cotestò caso, un istantaneo! effetto del vpiacer: che risveglia: il. qual piacere; sentimento, ve- locissimo; non suol consultar, mai le proprie origini. Tantochè si potrebbe, affermare; che il plauso sia di- stetto,.per lo. più alle note, senza che si porti la mente all'autore. E quando si fa indi osservare , che il tal ‘passo; era;; a mo'.-d’ esempio , di, Mozart , l’ altro ‘di Haydi,,te quell’ altro, di. Paer.,. l’ osservazione riesce - inutile «@ sempre. intempestiva: stantechè il. diletto - provato: non. si può nè far retrocedere, nè diminuire. vEd è non men; da riflettere, che nelle arti, sorelle i della musica, tutto, il Javoro e il vanto, son, loro pro- prj: dovechè in quest’ultima (e massime se è teatrale) non. appartengono al, compositore se non per una por- zione” ll resto è di.chi la eseguisce. 50 Ma non è'nostra assunto di censurar Rossini nen» manco’ per la° parte ‘del plagio. Trattandosi di cose di fatto; le. asserzioni, mon corroborate da prove, non varrebbono'a nulla: Oltredichè noi non avremmo nè il tempo, nè;l’inclinazione di abbandonarci a una simil indagine, benchè mon ci fosse per mancari buo- na' messe. Nostrò intendimento si è di ragionare sul- Y indole délla' suà musica. E: per verità, mentre;di- ‘chiàriam per un lato di ravvisare. in essa tutti i semi del vero sapore’ italiano; ‘non’ sappiamo:, quanto alla fisonomia; raffigurarvi per. l’altro quella dolce. e pla- cida ‘consonanza’ di forme, la qual costituisce; il'canàt- tere principale de’ componimenti de’ maestri più egre- gi. Andremmio noi molto lungi dal vero assomigliaado le produzioni musieali'di ‘Pergolesi, Jomelli, Paisiello e’ Cimarosa a quelle de’ poeti classici più ‘antichi ;;e i componimenti di’ Rossini ‘all’ altre:de? Romanticisti mòderni? Edi vero; in. fatto! di musica noi lo:repy- tiamo il lor Corifeo. Lia semplicità è il: primo elemen- to della bellezza* @ nidil la troviamo! im grado eminente nelle opere? ‘di que' privilegiati figli» :dell’ ‘armonia: odia luce vi è ugitalmente: vit da' per tutto la parte isttumentale! non è che un’ ausiliare! della i voce:lbla nota ‘è fattà per la parola', ‘e la ‘parola perda: mòta : ‘ viditore è ricreato , non oppresso: e dopo unacli ‘ quelle soavi ‘fappresentazioni sil diparte sdali'teatto coll’ anima riposata e sererta; @:\coldesiderio di iser - té ‘nuovamente sentirla. La musica di Rossini all'op- posto non è ‘dî ‘nessun genere, 0 è:buttà gioconda Tu vali “al''Leatro a ‘vedere ui suò ETETORT ®dbpo essetti rallegrato dal principio sino alla fime co’ fiori; e è fumi, proprtj della ‘stia maniéra di comporre; te ne.torni a casa a passo di /Walzer (tempò’suò favorito); \disimpe- Si gnato così dalla nuja di quelle melanconiche. sensazio- ni , ch’ esser sogliono risvegliate , se.non altro; dalla pietà , fonte d’ inesauribil dolcezza per cuori delicati. Rossini ha portato il gusto del seicento ariche nella musica. Ogni suo ‘concetto sente dell’ esagerazione, che s'incontra negli scrittori di quell’età, i quali nonavean per'lo più nè ordine; nè vero colorito: ma tutta facean consistere la forza dell'ingegno in ampollose ; imagini, e in più ampollose fogge d’.\esprimerle. Nondimeno e il Marini e 1 Achillini, capiscuola di gusto depravatis- simo, ebbero‘e'/creditore ammiratori ai loro tempi: e pochi sospettarono ch’ e’ fossero fuor di strada. Sarebbe dunque mai vero, che ci trovassimo in egual caso ‘anche rispetto alla musica di Rossini; cosicchè si potesse chia- mar .l’ Achillini dell’ armonia? Noi non oseremmo di affermarlo, benchè. vabbia chi lo crede tale già da gran pezzo . Esporremo bensì una nostra opinione, per quan- to aver possa l’aria di paradosso. Ed è: che, a giudicare della sua musica per la sola via del confronto; ella do- wrebb' essere di gusto falso yappuntò.perchè ,.«dopo di ‘essa, poco o niun effetto soglion generalmente produrre ‘a’ di mostri i più insigni monumenti armonici de?’ citati maestri napoletani. Percidcchè; siccome non potrebbe mai nasceré, nè un poetà sì grande; nè'un sì gran pit- tore , che. facesser subito dimenticare un:Omero e un Raffaello; così non è verisimile; che tutto ad tratto sbalzi fuora delle mani della natura un altro, :che offu- schi, non direm già nel corso della vita; «ma in pochi anni, anzi direm quasivin pochi mesi, que’ miracoli dell’ armonia. Abbagliare si può. E v'è stato un tem- po di delirio (e ancora non'è trascorso affatto), che si posponevano gli scrittori ‘classici ai romantici. Mala gente assenbita ; ridendo;vin'silenzio, di que”conflitti, 52 che in fine si riducevano a mere parole, si tenea. fissa collo sguardo in quegli eterni soli dell'antichità, la- | sciando senza paura passar le turbinose comete, messe in corso da innovatori entusiasti . Noi avvisiamo, che presto e bene non si possa far nulla. al mondo. E al por mente, che a Rossini bastano tre 0 quattro setti mane per mettere in musica un dramma; dovechè non bastavan tre mesi a Cimarosa, e più a Paisiello, non possiam che confermarci via più nélla nostra .opi- nione, ove non' si voglia attribuire al Pesarese un in- telletto sovramano, nel qual caso sarebbe fuor.de’ con-. fini delle comuni vie per giudicare. Si getti \un’occhiata sul Matrimonio segreto di Cimarosa : se ne ascolti ogni parte col libro alla mano: e si veda l’ immensa e viva e bellissima filosofia, che regna quivi da cima a fondo; e come l'indole della nota vi è messa in consonanza cogli effetti e colla pa- rola. Tantochè, mentre sembra che gli attori faccian poco più. che parlare , sono mirabilmente secondati da una concorde melodia, che lungi dallo smorzarne la voce , non fa che rischiararla, e conferirle , direm così, le forme: più convenienti alla circostanza : L'unità del disegno non è violata mai dal più piccolo deviamento; e non manca tuttavia nè di eleganza, nè di quella va- rietà, che il soggetto può comportare. (Così può dirsi della Nina pazza. Dove sono da trovare tratti più delicati; un’aura musicale più amorosa; una sempli- cità, spirante maggior leggiadria, e note con più verità innestate nella dolce e commovente passione di quella desolata? Qual cuore di buona tempra non si sente scuoter le pìù occulte fibre, ad ogni accento ‘di Nina ? Contuttociò sarebbe malagevole il trovare, un compo- nimento , antico o moderno, in cui la parte istromen- —————_—__—_——6m_—_——_————_——— 6 _—_m + 53 tale fosse manco impegnata che quivi. Una tal opera , che sarà. sempre .il più bel fiore intrecciato al capo della Musa dell’Armonia; meritò giustamente al di- vino Paisiello 11 titolo di Metastasio della musica. Re- chiamei per lo contrario a udire una delle, più rino- mate produzioni di Rossini; la Gazza ladra. La folla, de’ passi, così detti di carattere, il tempestio delle note, che non ti lasciano un momento di respiro), i timpani, i pifferi, letrombe, i corni, e tutta quanta la famiglia degli strumenti più romorosi, ti assalgono dal bel,prin- cipio, ti adescano, ti confondono, ti tornano ad. adescare, ti assordano, ti trasportano , ti scotono , ti aggirano , ti ubbriacano; e facendoti ballar 1’ allemanda mentre l’attore versa lacrime d’affanno, o movendo un tempo di minuè nel maggior impeto, della disperazione, tra- smutano una specie di tragedia in un baccanale, e. la casa del dolore in un torneo. Oh quanto sarebbe di- verso il giudizio degli spettatori d’oggidì, in fatto di musica teatrale , se confrontar potessero il. sentimento colle note, e conferissero alla musica un, altro scopo dopo, quello di dilettare ! stimando noi ben meschina quell’ arte , che del solo dilettar si compiage . Ma siamo in tempi, in cui le arti belle ( e il ciel ne salvi dall’ana-, tema de’ nostri lettori! ) sono in, generale ben lungi da quella cara semplicità e squisitezza, che improntò col marchio dell’ eternità i grandi, modelli... Tutto (con ben poche eccezioni ) è al di qua o al di là del vero. E se Canova non valesse da sè solo generazioni e secoli ,, scarsi {argomenti d’ ammirazione avrebbe, ini tal. materia, l’età nostra da tramandare ai futuri. AL che sia; detto sol di, passaggio, senza interiderci di mancar di reverenza verso que’ rari ingegni, che ono- rano la sempre invidiata nostra Penisola. Ma il gire T. IV. Ottobre 4 -” 54 degli avvenimenti è spesso accompagnato da tal neces- sità , che tronca le ali anche agl’intelletti i più gene- nerosi, è li tiene miseramente indietro da quella per- fezione , alla quale, altramente, sarebbon forse arrivati . Ma la musica di Rossini , soggiungerà taluno , piace non pur in Italia, ma in Francia, in Inghilterra , ed anche in Germania . Perlochè , secondo un simil ra- gionare, sì dovrebbe tener per falso anche il gusto de- gli abitatori di quelle regioni. Al che risponderemo: 1.° esser vero , che in alcuni di que’ teatri la musica di Rossini sia'stata accolta con favore; ma più quella; che meno abbonda de’ difetti sopr’ accennati : 2.° che ove pur fosse vero, ch'ella piacesse generalmente, addur- remmo le istesse ragioni, date rispetto all’ Italia , mas- sime per quello spirito d’ innovazione , che animò già i Romanticisti ,e ammorbò, e ammorba fors’ anche attualmente una parte di quelle contrade; restando sempre a vedere come la pensan coloro, il cui gusto si mantien tuttavia incorrotto : 3.° che nè la Francia, nè FInghilterra, in fatto di musica, sono un tribunal competente', essendone gli abitanti, di lor natura , i meno armonici dell'Europa: 4.° che in Prussia una tal musica si è fatta sentir sulle scene una qualche rara volta, se non altro, per darne un’idea: ma non essen- do andata all’animo, non si continuò: 5.* che in Vien- na ( per quanto è a nostra notizia ) la sola Gazza la- dra ebbe un certo buon esito, come per lo più addi- viene delle cose nuove: ma in generale fù riprovata l'indole di que’ modi musicali , come leggiera, effemi- nata, e vota affatto di quella filosofia‘, che sola assicura la fama de’ grandi compositori .In un giornale Tedesco si assomigliò in fatti la musica di Rossini a un muc- chio di bolle a mille colori, 0 ad un mosaico. In un 05 altro si disse, che se la musica fosse cosa da potersi di- pingere a guisa di persona, e si ponesse un’ opera di Mozart da un lato, e una di Rossini dall'altro, si ve- drebbe in quella una bella Tedesca, vestita con sem- plicità e pulitezza , giovane , fresca, di ben proporzio- nate forme e vigorosissima ; e in questa, un’ Italiana imbellettata fin sulla fronte, tutta nastri e frange, con un grand’ abito di seta cangiante, che le svolazza da ogni parte, scarpe color di rosa, cappello ondeggiante di piume, rosse, verdi; gialle, e sempre danzante frammezzo ad alberi colle foglie d’orpello . Noi por- tiam opinione, che questo sia per avventura un po’ trop- po: ma per verità ne dobbiam convenire per una gran arte, E la cosa maggiormente notata, e la più atta a far dubitare del merito intrinseco di Rossini, si è che, a cagion d’ esempio, la musica d’ Haydn svela nuove bellezze ogni volta che s' ode: laddove quella del Pesa- rese sazia alla bella prima, e V impressione va sempre languendo a misura, che le rappresentazioni sì ripe- tono. Uguale, a un di presso, è l’ effetto che si prova alla lettura dell’Alighieri in confronto delle rimbom- banti rime de’ pastori d’ Arcadia. Per altro, fintantochè Rossini lavora su drammi, simili a quelli d’oggidì, non guasta almeno la poesia. Ma che sarebbe di un dramma del Metastasio ? É de- gna di considerazione gravissima la circostanza, che la bella scuola musicale italiana andò qua e là deca- dendo, allorchè, messi da parte i soavissimi drammi del poeta Cesareo, s'incominciò a sovvertir l'ordine delle norme le più naturali, con render la parola schiava della nota: e non sol questo; ma eziandio il poeta , schiavo del cantante: abuso vergognosissimo, il qual deturpa ad un tempo il nobile scopo delle due 36 arti, e dura da una lunga serie d’anni, senza che a ciò siasi mai nè posto, nè ideato un rimedio . Sinchè continuerà una tal turpitudine, mal si aspettino gl’ Ita- liani di veder ricondotta la musica a’suoi principj, i soli, secondo i quali esser può conservato l’oggetto mo- rale, di cui troviam la musica di Rossini affatto man- cante. Sorrideranno per avventura alcuni in legger da una parte le presenti nostre censure intorno alla ma- niera di quel compositore, e udir dall’altra i plausi , ch’egli raccoglie nell’arena. Ma le massime e lo scopo di un'arte, immutabili nell’essenza loro, non sono mai violate impunemente. E se talvolta i presenti, paghi di una dilettanza passeggiera , e ingrandita via più da quella disposizione al delirio, la quale si manifesta quasi sempre in certe età o circostanze , soglion giudi- care superficialmente, i posteri giudican poi con quella sicurezza, che deriva dall’esser estranj ad ogni passio- ne, e dallo stabilir la sentenza sul fondamento e l’evi- denza degli effetti. E non sarà forse discaro ai nostri lettori il veder in fine di questo ragionamento un bel Carme di un famoso poeta Britannico, ove si parla singolarmente dell’oggetto morale della musica; tro- vando noi quivi non poche di quelle osservazioni, che avevamo in pensiero di aggiunger noi stessi. Una tal produzione, della quale ne par singolarmente mirabile il disegno, fu pubblicata in Inghilterra da molti anni . Tuttavolta par fatta espressamente oggi per la musica di Rossini. Ella è di Collins, poeta lirico, non sap- piam dire se più grande o più sventurato ; e la versione appartiene al sig. Avvocato Gio. B. Martelli di Piacen- za, ingegno vivace ed acutissimo, per quanto possa ac- cadere, che alcuni modi, usati quivi da lui, non in- contrino l’approvazion generale. 97 Ma in mentre che manifestiam qui la nostra opi- nione sulla qualità del gusto promosso oggidi dalla mu-, sica del Pesarese, non intendiam già di avvolgere in simiglianti osservazioni le maniere tutte di scrivere de’ maestri italiani: perocchè alcuni ne vantiamo, i quali si posson mettere a para de’ valentissimi . È no-. stro il Parmigiano Paer; ed è sua la Griselda, la Ca- milla,e la divina Agnese. E noi non dubitiamo di chiamar lui il primo compositor musicale del secolo; e tra i pochissimi, che abbia sempre cercato di applicar le sue note a libri meno sciagurati dell’ordinario , e non si sia lasciato allettare dai caduchi prestigi della moda, e non solamente abbia mantenuto il vigor nati- vo in mezzo ai popoli d’Oltremonte , fra i quali ha passato la sua più florida età; ma acquistato anzi una maggior dottrina e solidità nel comporre. È desso l’unico scrittor musicale vivente, nel quale a un gusto severo si accoppino in eminente grado e immaginativa e filosofia, e italiana dolcezza, non già di una cert’ in- dole svenevolmente melliflua e da trivio, più acconcia a svigorir l’animo che a ricrearlo; ma di quel nobil carattere , che tutta sostiene la dignità dell’arte. Atte- sochè la soavità naturale dell’ italico idioma è tanta , che ha più presto bisogno di esser rattemprata dalla nota, che accresciuta , È nostro Mayer, che ad una rara sobrietà musi- cale accoppia tanta varietà ,di modi, e un linguaggio armonico tutto pieno delle vere grazie italiane, e che imita sì mirabilmente le forme e l'indole degli affetti, ch'ei prende ad esprimere. Ed è pur nostro il Toscano Cherubini, quel mo- dello di esattezza nell’ arte sua ; nelle cui composizioni non sai se prevalga la gentilezza della maniera o la Se dottrina. É nostro Asioli, scrittor saporito, preciso , e di un’ incomparabil leggiadria . E se ci si opporrà, che «questi due ultimi non hanno incontrato sui teatri la fortuna, che splende oggi a Rossini, risponderemo con un solo esempio: ed è, aver noi più volte veduto ap- plaudire disperatamente i drammi dell’ Avelloni (che il cielo tenga sempre lontano dalle scene della gente cristiana! ), e udirsi per lo più le tragedie d’ Alfieri in un devoto silenzio. A malgrado però delle censure, che abbiam cre- duto di fare intorno al genere di scrivere di Rossini , sarebbe e ridicolo e ingiusto il negargli prerogative ar- moniche in gran copia: perciocchè nessuno n’ ebbe forse mai tante. Ed anzi tra le altre cagioni, che lo hanno portato fuor di strada , non è l’ultima l’ abbon- danza, di cui gli fu generosa la natura. Ma l’impa- zienza del comporre; la mira di blandir esclusivamen- te l'orecchio; la facilità, onde imbastardisce i suoi componimenti colla mischianza di cento elementi ete- rogenei; il poco riguardo , ch'egli ha, al senso della parola ed al verso, per disgraziati che sieno ; la quasi perpetua turgidezza e ’l rimbombo del suo stile, che rovina le voci le più gagliarde e le meglio intona- te; la mancanza di quella cara sobrietà, ch’esser dee sempre indivisa dal bello e dal buono, e la sola, che assicuri di un esito durabile i lavori umani, hanno sciupato a parer nostro, il più esquisito AugEgHO; che uscisse mai dalle mani dell’ Armonia. Li 99 LE PASSIONI ODE DI GUGLIELMO G&OLLINS PER MUSICA » Traduzione dell'Ave. G. B. Martelli. Qarndo » celeste Vergine, ; Di Grecia in sul mattino, Giovine ancor la. Musica Sciogliea .canto divino; Sovente, a udir la sua conchiglia armonica , Le Passioni accorsero Alla sua grotta magica; Ed esultanti, o trepide Sdegnose o illanguidite, Della Musa oltre il pingere, Tutte invase, rapita, Agitato, sublime, allegro, torbido, A vicenda sentian l’ ardente spirito .... Finchè astratte, inspirate, furenti , Tutte fuoco, qual dicesi, un giorno, Gli strumenti improvvise strapparono, Che da mirti pendevano intorno: Ed appresi in disparte i bei numeri , E il poter del soave concento, Volle ognuna provarsi, ed esprimersi: Chè l’insania reggeva il momento. A far del proprio merto esperimento , Fra le scomposte corde disarmonico, 60 Primo il Timor stese la sua man lente: È a quel suon, ch’ei medesmo destò, Non sapendo perchè, s° arretrò .... Poi la Rassia con occhi di bragia, Ne' suoi lampi gl’interni suoi fremiti Sfolgorando, avventossi, e d’un scroscio Aspramente la lira picchiò ; E con mano, iraconda, frenetica, Sulle armoniche fila strisciò . Smorta DispeRAZION tenor funerei Svolgea, bramosa di addolcir sua pena, Movendo in fioca melodia profonda , Strana, solenne, mista cantilena, Per subit’ estro or tetra, or furibonda. Ma, o da begli occhi SPERANZA, Qual serbavi metro eletto ? Di promesso ognor diletto Susurrava; e in lontananza Le ridenti scene incognite Gia plaudendo a salutar. Prolungavasi il suon tremulo Sotto al tocco delicato; La romita eco destavasi Al suo canto innamorato ; E la rupe e i boschi udivansi E la valle risuonar. E dovunque il tema armonico Percotea l’ eco, sentivasi Un’ ignota voce eterea De’ bei modi al fin rispondere ; Cui speranza in volto attonita Si vedea dolce sorridere, E i bei crin d’oro agitar. 6I Il cantar suo più a lungo avria protratto: Ma irrequieta in atto, VENDETTA celere Surse, ed il brando Cruento in terra Gittò tuonando La tromba lugubre, Che annunzia guerra, Con spaventevole Sguardo afferrando: E tal die’ sonito Alto ed orrendo, Che mai profetico Clangor tremendo Di duol sì gravido Squillò per I’ aere: Ad ogn’ istante Con tremor rabido E raddoppiante Strano susurro Il rimbombante Mettea tamburo. E benchè talvolta supplice La Prerape al suo fianco prostrandosi, Di que’ tuoni alle pause terribili Frapponesse sua voce flessanime ; Irremovibile Serbava il vindice Suo rude strepito ; E a lei pareano, Di sangue luridi, Gonfi dall’ orbita Gli occhi scoppiar . Su niuna cosa i tuoi dolenti numeri , O Grtosia , costante avea dimora, E, prova aspra del tuo misero stato, Da contrar] argomenti Yarlato,, Il tuo canto talora Amor blandiva il lusinghier sospiro, Or feroce invocava odio , deliro : Levando al ciel de’ tardi cechi ’1 bel raggio, Qual donna assorta in estasi durevole In parte illesa da mortal viaggio , Sedea MeLANconia pallida e fievole; E dal deserto suo scanno selvaggio, Con suon, che più da lungi era piacevole, Fuor dal querulo corno argenteo, debile La pensosa versava anima flebile . E i rivi, che da curvi alpestri scogli Tortuosi frangendosi, e rompeano; D’intorno dolcemente i lor gorgogli All’ armonia patetica mesceano . I molli accenti, di letizia spogli Per selve e per tenèbre si perdeano ; E interrotto perdeasi il metro vario Entro ai gorghi di fiume solitario: Di solitario fiume in che un’ aerea Romita, abitatrice ombra avvolgeasi . Gemebonda canzon dolce-funerea Con desiato digradar stendeasi ; Amor per lei di pace e calma eterea E meditar solingo, diffondeasi ; E giìa, che non potea quasi distinguersi, In sordo mormorio lungo ad estinguersi. Ma oh! come un tuon più forte a lei preciso Venne, allor che d’ improvviso L’ALLeeria, donzella florida, Dal sembiante salutifero , I coturni lievi rorida Delle gemme, onde Lucifero Al mattin colma il sen roseo, Fidò l’ arco al morbid’ omero : E da valle e da pendice Echeggiata soffiò vivida Music’ aura animatrice! Al suon noto Fauni e Driadi La festosa Cacciatrice e Ravvisaro, e le sorelle Che di quercia un serto intrecciano A” capei biondi, e con elle Lor regina occhi virginea; E i Silvani e gl’irti Satiri Visti fur la testa cupidi Da’ viali erbosi sporgere . Udir da lunge attonita Godea la voce amica, Bruna il sembiante e madida, De’ campi la Fatica ; E il SoLLazzo , asta di faggio Impugnando , = levossi alto, Esultando, in piè d’un salto. Poi Vl ultima armonica Sua prova fantastica La Giosa tentò: E attorta di pampani La chioma, inoltrandosi Sollecita , all’ ilare Acuto + liuto La mano drizzò . 63 64 Ma la viola, Che pronta l’ anima Desta e consola, Tosto mirò: E d’udir cupida Sua molle e viva Voce , che un’ estasi Spande giuliva , Col tocco facile La modulò. E tal suon diffondeva per l'etere, Che, al concento d’ armonica cetera , Il pensier potea fervido scorgere , Giovial scena magica sorgere Entro l’ ombre, sonanti festive Le fanciulle danzanti , native Della valle di Tempe fiorita . E mentr ella con Vagili dita Lambia lieve le corde volubili , Coll allegria, che libera La treccia, e scinta avea La zona, una fantastica Carola amor tessea ; E con follia dolcissima Vispo scherzando intanto , Quasi dell’ aura porgere Al variato incanto Mercè bramasse uguale , Mille odor scosse dalle rorid’ale . O Musica , dal ciel Vergin discesa, Vigor del senno , e del piacere amica, Perchè, gran Diva, perchè a noi contesa Tua vetusta depor lira pudica ? 65 Poichè hai tua forza onnipossente appresa Nell’ amorosa Greca selva antica, Ninfa gentil, le quivi udite note Or ben ridir tua mimic’ alma puote . Ov' è il natio tuo cor, schietto e sacrato A Fantasia , e alla Virtute e all’ Arte? Surgi, qual già degnasti al tempo andato Pura, alta, calda, energica mostrarte. Tue maraviglie in quel secol beato Di tua memor sorella empian le carte ; - E, qual si dice ( e al detto io dò fidanza ) Tue canne umili avean maggior possanza . Maggior possanza e più divina bile. Di quel che vanti nostra etate immonda,,. In cui profanator spirto, servile Avvien che di Cecilia il suon confonda. Deh! nostre cure alfin tronca , e lo stile Cecropio avviva, e semplice e gioconda Torna, ed attesta alla fedel memoria De’ Greci figli la narrata istoria (*). (*) Gon la varietà del metro, avvedutamente qui seguitata dal sig. Martelli , vedranno i Lettori, non aver avuto Collins in animo , se non di andar imitando lo stile e ’l carattere delle diverse Passioni, che fa agire in quest’ Oda. & Ud 9 66 GEOGRAFIA, VIAGGI Ec. Lettere di Awnronio BencI al suo amico Pietro Vieusseux intorno alle cose notabili. del Casen- Tino e della Varre TipERINA. Vallombrosa a dì 19 di Luglio 1821. f fin: questa sera al convento, ho ricevuto la lettera vostra: e poichè i religiosi fanno breve conver- sazione , così ho tempo‘opportuno a darvi subito rispo- sta. Io ho riso alquanto nel leggere che voi mi pre- supponete o: smarrito per boschi, o fatto eremita, stan- techè mi sono in questi luoghi fermato più che non mi era proposto. Ma qui è sotto gli abeti ombra fre- schissima durante il giorno: e nella notte mi conce- dono un dolce ospizio in piccola e solitaria ma como- dissima cella . Onde non poteva qui venire per guardare il luogo, e partirmene , in un breve intervallo di tempo: nè domani verrò a Firenze , come voi desiderate ; per- chè io sì muterò soggiorno, ma voglio, quanto, posso, continuar la via per queste amene contrade. Sicchè a un solo desiderio vostro mi è lecito intanto soddi- sfare, dandovi cioè ragguaglio del mio viaggio, affin- chè vi sia di consiglio, allorquando vi metterete voi stesso nel medesimo cammino . Partendo voi, mio caro amico , da Firenze fuori la porta alla croce; se non avete ancora veduto il Ce- nacolo dipinto da Andrea del Sarto nel villaggio di 67 S. Salvi; dovete allontanarvi un poco: a sinistra dalla via, che conduce al Ponte a Sieve , per vedere quella celebre dipintura. Saprete poi la ragione di questo con- siglio. Da S. Salvi ritornerete nella via del Ponte a Sie- ve: edin questa traversa andate adagio , fermatevi ap- presso i villani, uditeli parlare. Tutto questo spazio di paese è piano, non lungi dall’ Arno, e chiamavasi Za- dun longum in amendue le sponde, come leggesi nelle scritture del secolo XI conservate nell’ archivio capitola- re fiorentino . Quindi si mutò tal nome in Yarlurgo ed anche in Guarlone alla destra dell’ Arno; ed in Ripoli } quasi ripula, a-sinistra del fiume. Voi traverserete dunque il luogo, ove il Boccaccio udì le avventure di Monna Belcolore, e dove il Baldo- vini collocò Cecco il pastor che in amorose pene Per la bella sua Sandra egro languiva. Ma poichè voi stesso avrete conversato con quei villani, domanderete al certo con maraviglia; perchè non sia quivi un linguaggio diverso a quello di Firenze, perchè i pastori e.i bifolchi non cantino le rozze note di Cecco da Varlungo? Infatti vi si ode piuttosto cantare il Tas- so; e i contadini usano locuzioni sì proprie e sì espressi- ve, come addir si potrebbero a dotto e civile discorso . Nè altra differenza è dall’idioma fiorentino al dialetto che si parla in Varlungo e nelle vicine campagne, se non che il primo è parlato da chi sa, e il secondo da chi del tutto ignora l’arte di scrivere. Continuando poi il cammino, dopo due miglia dalla città giungerete al villaggio di Rovezzano. Ivi non è alcuna cosa notabile se non un tabernacolo d’un Crocifisso e d’ altri santi, dipinto dal Francia Bigio: ma poco dipoi date uno sguardo alla villa di Boresino. Ve- 68 drete una bella vigna. Il signor Filippo Franceschi es- sendo andato nel 1620 ambasciatore del Granduca alla corte di Spagna, portò nel suo ritorno cinque magliuoli d’aleatico. Ed avendogli piantati dapprima in Carmi- . gnano , trasferi quindi le propaggini in Loretino : da do- ve i vitigni dell’aleàtico ebbero aumento per molte campagne di Toscana. Da Loretino passerete a Girone, piccolo borgo , dove l’ Arno gira il suo corso. Poi troverete altri ‘casali nominati S. Jacopo, i Bassi, l’ Anchetta: e qui è una barca per passare l'Arno: qui è un tabernacolo ‘dipinto da Andrea del Castagno. Tutte le nostre'campagne son piene di simili pitture della buona scuola fiorentina . Senza passare l'Arno, ma costeggiando il fiume alla destra sua, giungerete a S. Piero a Quintole. Que- sto nome v'indica la distanza, cinque miglia da Firen- ze, cinque miglia dal Ponte a Sieve. Non è gran tempo che la via dopo questo luogo sali- va, chiamandosi tal parte l’erta della quercia . Ma il no- stro Granduca provvede tanto a’ sudditi, che lor facilita le strade per tutto Toscana . Sicchè l’erta è stata ‘ap- pianata, e per comoda via si giunge a Compiobbi , nome corrotto che si deriva da Compluvium. Ivi è pic- colo torrente, detto la Sambra; e poi scorgerete una vit la del Guadagni che è ora del Danti, presso ad. alcune case sulla pubblica strada, le quali chiamansi 2° E2lera perchè da’ muri pendeva altra volta un’ ellera bellis- sima . Di qui è breve cammino alle alle, alle Sieci, alla Pieve di Remole: e la vista è amenissima sopra le due sponde dell’ Arno. Talchè si arriva poi senza noia all’osteria del Gobbo, e quindi al Ponte a Sieve che è una terra murata, e che diventa ogni giorno più florida 69 ‘e piacevole, dappoichè vi è stata collocata la posta per andare ad Arezzo. Uscendo dalle opposte mura si trova un bel ponte sulla Sieve. Voi lo passerete , e piglierete la via diritta. Salendo sempre, giungerete ad un bivio, da dove mo- vendovi a destra verso la riva dell’ Arno andereste ad Arezzo. Sicchè volgetevi a sinistra per la salita, e non lasciate mai la strada maestra finchè non vedrete il vil- laggio di Pelago. Per quivi, e per viottoli scoscesì ver- retea Paterno. Questa è una villa de’ Monaci vallom- brosani, la cui amena coltivazione vi sarà tanto più grata , in quanto che non troverete poi se non montagne e boschi. Infatti dovrete quindi salire il monte di To- sina per discendere dove corre il 'îcano . Sopra questo torrente è un piccolo ponte appresso un mulino. Ada- giatevi un poco sull'erba, e contemplate i maestosi di- rupi, per mezzo i quali sì può scendere nella valle fer- tilissima dell’ Arno. Il torrente, di cui or parlo, chiamasi particolar- mente Zicano di S. ElWlero, per distinguerlo da un al- tro botro che si passa prima di Paterno, e che dicesi Vicano di Pelago. Amendue metton foce nell’ Arno, l’uno dall’altro distanti un miglio. Ma le loro sorgenti sono in luoghi molto diversi; nascendo il primo da’ monti di Vallombrosa, ed il secondo dalla Corsuma come sarà poi indicato. E voi partendovi ormai dal mulino e dal ponte, salirete il bosco di Magrale per lo spazio di tre miglia. Quindi troverete una piaggia poco declive, cinta da sublimi montagne, e coperta quasi tutta d’abeti; il cui prospetto vi parrà,, non dubito, mi- rabile e maestoso. E intromettendovi poì nell’abetina, vedrete presto incominciare un ampio e dritto viale con T. IV. Ottobre $ 70 largo prato, al cui termine è il monastero di Vallom- brosa. Due giorni si passano qui volentieri: il primo per ascoltare da’ monaci la loro istoria, e vedere il conven- to e la chiesa: il secondo per godere della campagna e del bosco, vagando per l’abetina e su per la muntagna. Da qui a Firenze son venti miglia : il monastero è spa- zioso, e fu principiato da Gio. Gualberto nel secolo XI. Ogni altra notizia vi sarà data da’ monaci, i quali si «compiangono di non aver più quelle belle dipinture, che vedonsi però ben conservate nelle gallerie di Fi- renze (1). Non molto lungi dal monastero, ma sopra alto e ripido scoglio è un bel romitorio, detto il Paradisino, presso cui è la cascata del Vicano. E di qui si vede maggiore spazio di paese: quivi è ne’ giorni estivi gra- tissima frescura. Onde voi potrete andare e fermarvi alquanto nel Romntorio, se ciò vi aggrada; ma poi con- viene salire il monte dedelicta; Quivi gli abeti non ve- getano: goderete in iscambio l’ombra de’ faggi; e vi sì aprirà la via nel nuovo bosco tra vastissimi prati. E al- lora, se avrete animo, piglierete l’erta pe’ sentieri più brevi, andando cioè dritto alla cima camminando sull’er- ba. Questa è gentile e fina : pare dolcissima al primo pas- so; ma poi richiede persona gagliarda: e voi con lena affannata giungerete in vetta . Quivi è Prato magno, che gli antichi chiama- vano magno pianto, perchè gli aretini fugati da Totila / (1) Chi desidera conoscere quelle cose che erano altra volta nel monastero di Vallombrosa, legga le due lettere di Ca- steli. #$ >nserite nel primo e nell’ottavo fascicolo dell’ Antologia - 4 Li Lo i vi qui si ripararono piangendo le sventure della patria. Di quivi si scorge il Mugello, il Casentino, il Val d'Arno, la Città di Firenze, i confini di Pistoia ; e sopra le colli- ne del Chianti si prolunga lo sguardo fino alla campa- gha senese in riva al mare toscano. SR) In questo luogo dunque vi lascio riposar volentie- ri. E per darvi intanto qualche notizia de’ mentovati paesi, vi trascrivo alcune ottave d’ un accademico in- nominato , che essendo nel 1761 sopra Prato magno finse ivi giunti tre pellegrini, l’uno dal Val d'Arno di sopra , l’altro dal Mugello, il terzo dal Casentino. Cia- scuno di essi magnifica il proprio paese: e così parla quei del Val d'Arno. Quella, che a voi compagni addito e mostro, È la diletta region feconda Fra quante e quante son dal Tebro al nostro Arno real, che l’attraversa e inonda, Qual mai scrittor con erudito inchiostro Narrar potrebbe di quai frutti abbonda : Mille fontane d’olio e mille rivi Può ben versar da’ suoi giocondi ulivi. Quei del Mugello risponde: Ferace d’ogni ben, terra benigna Per qualità moderne e per antiche, Dov'ogni più gentil arbore alligna, E sorgon liete a biondeggiar le spiche ; Quinci si vede germogliar la vigna, Quindi un giardin su per le piaggie apriche; E produce ubertoso il mio Pomino Dolci le frutta e generoso il vino. Il Casentinese all'incontro dice, cominciando da’ tem- pi della guerrra punica: Torreggiavano allor superbe mura Nel Casentin: di Marte al fiero aspetto, A far Italia e Roma più sicura, Fu da’ roman più d’un castello eretto; 72 E da Chiusi, per arte e per natura Castello insigne, il Clusentino è detto, Che Passumena s’appellò sovente Da i nestri antichi e da erudita gente. Di poggio in poggio e per occulte strade Venne d’ Umbria che a noi quasi confina , E in queste impenetrabili contrade Si ritirò la nobiltà latina, Per evitar di peregrine spade Il reo furor, e la fatal rovina: E qui senza temer d’altri perigli Di sè nuovi lasciò posteri e figli. Come qui mai non vidi alcun paese, Ove rovine sien così frequenti Di casseri e di rocche al suol distese Di lunga età dai rugginosi denti . Cadder gli stemmi aviti e l’alte imprese, D’architettura militar portenti: E in ogni bosco e in ogni prato e campo D’antica maestà risalta un lampo. Ogni casal prosciutti affuma e gote Di quelle bestie nominate immonde. Ogni acqua tinche, anguille e barbi e trote E gamberi e marson mena ed asconde. L’Arno stesso qui nasce, e qui riscote D'Oia, d’Archiano, e di Teggina l'onda, E del Solano altero; e tanto cresce Fra noi, che grande e insuperabil n’esce. Bibbiena a dì 20 di Luglio 1821. Questa mattina allo spuntar del giorno io era da Vallombrosa ritornato a Pelago. E dopo lo spazio di poche miglia rientrando nella via che da Firenze con- 73 duce nel Casentino, mi son fermato a Borselli. Qui si fa volentieri colazione , perchè l’aria vi è sottile e pura: essendo tal luogo distante sei miglia dal Ponte a Sieve per continua-salita : Non vi sono che quattro o cinque case di contadino e una brutta osteria: ma non manca- no ricotte, ova e buon vino. Da Borselli si scorge la pianura fiorentina , e parte del Mugello ; il quale inve- ro si può dire che abbia ivi principio, stantechè dall’ o- steria si scende per breve viottolo ad una chiesa nella campagna detta di Z'otiza, sotto cui germogliano i ca- stagni , 1 frutti, e le vigne di Pomino: soavissimo luogo tutto in balza, ma non ripido, irrigato dalla Axfina, pieno di. case e di ville . ì Dopo sì grato passeggio ripigliando la pubblica via} sono giunto alla Corssuma . Questo nome è dato a uti'o- steria che. è in cima della montagna, quattro; miglia sopra Borselli. Ma la montagna. pure ha lo, stesso: no- me; e benchè si continui per linea curva a Prato ma- gno, è di quésto più bassa. Dalla Consuma nasce il Vicano di Pelago: e dalla parte opposta si scende nel Casentino . La via è nuova , e diramasi in varie parti utilissi- mea diversi paesi. Scende per otto ‘miglia fino al.Bòr- go alla collina: ed alquanto prima volgendo allarde- stra, conduce a Strada; volgendo alla sinistra, con- duce a Stia ed a Pratovecchio . To sono venuto al Borgo, e di quivi ho»veduto as: sai bene , benchè alquanto lungi, la. Terra di Strada. E situata in piano, ma giù nel seno di due monti alpestri. Ha. molte case belle e pulite, nè manca di acque , perchè la bagna il So/ar0, fiume che accresce le onde dell’ Arno. Il Borgo alla collina è un paese poco popolato, 74 ma non brutto. Bisogna entrare in chiesa per vedere ivi, chiuso a chiave dentro una cassetta , il cadavere di Cristofano Landini. Questo gran letterato , e famoso commentatore di Dante, nacque in Firenze nel 1424. Ma la sua famiglia proveniva da Jacopo del Casentino, pittore assai celebre , nativo di Pratovecchio, e morto nel 1380. Sicchè il Landini volle riposare la vecchiez- za vicino alla patria de’ suoi antenati, e morì al Borgo nel 1504. Egli visse ottanta anni; e il suo cadavere è durato per tre secoli; e dura sempre quasi intatto , a- vendo segni d’aridezza ma non di corruzione. Uscendb poi dal Borgo , io gettava di quando in quando lo sguardo verso i ruderi dell’antico castello di Battifolle, rammentandomi del Conte Roberto, amico al Petrarca . Nè mi rimaneva eziandio dal contemplare il nuovo paese che a poco. a poco mi si ampliava in- nanzi agli occhi, piano, ombroso, sulla ripa dell'Arno: Ben presto ho guadato il fiume, ed aveva allora a sini- stra un campo spazioso, pieno di vigne. Questo è Cam- paldino, campo infausto, segno nefando delle italiane discordie . Qui mosse a danno di Firenze Guglielmo Ubertini, lasciato il pastorale in Arezzo per impugnare il braudo: e qui furono sconfitti i di lui seguaci, egli ammazzato, con grande strage de’ vincitori e de’ vinti, a.dì 11. di Giugno 1289. Un umile cappella mostra? il luogo, dove presuppongono che l’ Ubertini morisse .Il torrente della Sova termina il malaugurato campo , e vedesi a destra sorgere Poppi sopra un colle amenis- simo . Il colle è d'ogni parte libero. Tra esso e la yia nuova del Casentino discorre l'Arno; e sopra l’Arno è un ponte. Ma benchè vi sia questo agevol'pàssb ; non sì può affrettare il cammino; imperciocchè la vaghezza ti 1 75 del luogo attrae e ferma. Udendo il mormorio delle acque: vedendole placide e limpide tra alberi frondosi; nasce il desiderio d’ aver quivi conforto contro i calori estivi. Ed il refrigerio dea: persona induce riposo nell'animo, che medita allora tranquillamente delle memorie antiche. Autorevoli spesso furono in Toscana i Conti di Poppi: forte e ben munito era il castello, pronto il castellano a dare nell’armi. Ora all'incontro è ubbidienza e pace per la contrada|. Io vedeva le anti- che mura, fatte o riedificate nel 1261 dal Conte Guido Novello, che durano tuttavia sopra il giogo del colle, in qualche parte oblique . E su nella vetta sorge il pa- lazzo, che da lungi Micia a quello de’ dilsii in Fr renze . Il palazzo di Poppi fu fatto da Lapo, sido d’Ar- nelfo, nel 1230. Talchè il figlio avrebbe, come narra pure il Vasari, disegnato il palazzo di Firenze a simi- litudine di cell che suo padre fece i in Poppi. Ma esa- minando le cose da vicino , apparisce molta differenza . Essendomi io goduto alquanto della piacevole om- bra in sull'Arno; ho cominciato a salire il colle. Molti operai tagliavano le vigne e i massi, facendo una stra- da nuova e meno declive. Il che veramente era neces- sario, perchè la solita via è troppo ripida . Io per que- sta son giunto alle mura , e dentro esse ho veduto tutte ‘ le case con portici. Gli archi però ‘son bassi; e poco spazio è nel mezzo delle strade. Onde non vi è quell a- ria aperta, che tanto consola, benchè le case non sieno ‘dispiacevoli o incommode . Arrivato ad un bivio, ov'è di faccia una chiesa; e volgendomi a sinistra, ho poco dipoi veduto un prato , e Godi il palazzo . PAIN allora di vedere non il palazzo de’ Signori, ma quello del Potestà clìe il\Conte 76 di Battifolle, essendo Vicario di Firenze nel 1136, fece costà ordinare e principiare , come dice Giovanni Vil lani, in via del Palagio. Manca infatti la maravigliosa Torre, che noi vediamo sorgere alta solida e svelta sopra sporgenti mensole, quasi fosse aerea, sulla piazza del Granduca. La torre di Poppi è quadrata, ed ha ì fondamenti suoi di lato, e spartiti da quelli del pa- lazzo . Entro questo è uno spazioso cortile , simile del tutto a quello del Potestà in Firenze ; se non che la scala, che si regge con ingegnosi archetti al muro, è più bella in Poppi. E le pareti son qui pure ornate delle armi gentilizie de’ Vicarii, alcune delle quali hanno bellissimi lineamenti , e sono fatte di quella terra. in- vetriata, che ritrovò Luca della Robbia . Sicchè mi pare che il palazzo di Poppi sia imita- zione di quello nostro del Potestà: e se apparisce si- mile al palazzo vecchio di Firenze, allorchè si guarda dalle rive dell’ Arno, ciò proviene dall’ esser costruito di pietre simili, e dall’ avere in parte opposta la torre; talchè questa sopravanza il tetto e pare su di esso fondata . Erano forse i detti palazzi altra volta più si- mili nel di dentro, poichè sappiamo che la figura inte- riore del palazzo vecchio è stata moltissimo cambiata . Due belle e grandi sale vedonsi nel primo piano del palazzo di Poppi le quali hanno talora dato il luo- go a rappresentarvi commedie . E nel secondo piano è una cappella con molte dipinture ; ed una camera in cui dicono aver dormito la bella, Gualdrada . Questa vaghissima donna fu senza. pari in modestia. come in beltà : sicchè davanti al padre suo poco discreto ri- spose ella arditamente all’ imperatore Ottone IV , che già uomo vivente non la bacerebbe se non fosse suo marito . Onde innamorò della persona e dell’ anime I En E de” 77 suo il Conte Guido , poi sopranominato il vecchio; e da lei che non aveva ricchezze, figlia d’ un cittadino di Firenze, provennero i Conti Guidi di Poppi. À me piace ricordare questo antico esempio di virtuosa fan- ciulla e di savia consorte . Nè di lieve momento è la rimembranza d’ una donna celebre che visse felice- mente in queste mura; poichè nel recinto medesimo molti sventurati ebbero morte in carcere. Fino al prato si distendevano le sotterranee caverne . Alcuni, dicono che esse erano sepolture di morti. Secondo altri vi sì riparavano le donne e i fanciulli in tempo d' assedio . Molti le hanno presupposte , come forse erano ; orribili prigioni. Riscendendo le scale io mi son rammentato del funesto caso di Tommaso Crudeli. Per queste scale egli venne in carcere, proverbiato da’ satelliti (1), malmenato nella patria sua. Ei poeta gentilissimo non volle seguir la fama , che lo invitava alla. corte di Na- poli. Bramò soltanto di viver quieto jin mezzo a po- chi amici, nella cui conversazione riposava. dallo stu- dio , e spandeva liberamente i suoi pensieri. Alla quale libertà consueto , parlava poi sempre coll’animo aperto e senza sospetto . Quindi si derivò la sua sventura, e mori di anni 43 nel 1745. Dal prato fuori del palazzo si discerne gran parte del Casentino. È questo una lunga ed ampia valle, che apparisce chiusa ovunque dalle appennine montagne , ma che si apre poi rivolgendosi verso la Chiana . Le (1) Si racconta che salendo la, scala, gli fu detto da un satellite che lo conduceva in carcere , qualis vita , finis ita . Le quali parole, più che i patimenti della prigione , oltre- modo l’ afilissero: mal sofferendo le calunnie di quel vilissimo - plebeo . 78 acque dell'Arno traversano tutta la valle: e molti sono i fiumi, frequenti I ruscelletti che de’ verdi colli Del Casentin discendon giuso in Arno. Sicchè dolce è veder il piano che ha tanta copia di acque, le ripe su cui verdeggiano sì spessi gli alberi; i poggi e le colline quasi tra’ fiumi in isola con molte case nella pendice e con antiche castella 0 con mo- derno villaggio sopra la vetta. Non si può desiderare entro gli appennini luogo più vario e più bello . Il nome di Poppi si deriva secondo alcuni dalla sua figura simile alla poppa d’una nave, e secondo altri da £orum. Pompilii, presupponendo che avesse ori- gine dalla famiglia Pompilia di Roma . Nella chiesa:della badia di;S. Fedele «erada bella tavola di Andrea del Sarto; che ora è nelle gallerie di Firenze . Andrea vi dipinse la Vergine assunta in Celo con molti angeli e santi: ma non compiè da sè mede- simo il quadro. Lo finì Vincenzo di Francesco Fornaio de’ Bonilli , che fu ancor nominato Morgante Bonilli da Poppi . Sono però restatiin detta chiesa molti quadri non dispregevoli. Vi sono: il martirio di S. Vincenzo, e l'assunzione di Maria che è adorata da S. Benedetto , del Ligozzi fiorentino : la mascita di Gesù, ricopiata per Vincenzo Bonilli pittore di Poppi da un quadro di Giorgio Vasari che è in Ca maldoli : Ja vergine sedente in alto luogo col bambino in braccio ed innanzi a più santi, di Antonio Solomei che era pittore e scultore , poichè sotto il piè sinistro della Vergine si legge brit nius Solusmeus scultor 1527: il #atabitio Gesù che stando nel braccio destro della madre dispensa corone a S. Domenico, a $S. Caterina , ad angeli e profeti, del pa- ca dpi, dre abate vallombrosano Alessandro Davanzati fioren- tino nel 1595 : tre tavole congiunte insieme per lungo , essendo in quella di mezzo dipinta la Vergine col bam- bino in braccio da pittore molto antico , e nelle altre due tavole S. Caterina e S. Gio. Evangelista dipinti da Domenico Passignani : ed infine, il martirio di S. Gio: Evangelista entro una caldaia d’olio bollente, di Fran- cesco Morandini , sopranominato dalta patria il Poppi. Questi ritrasse nello stesso quadro due sue sorelle e la madre} e dipinse pure la Santa Agnese che è in un ovato sopra l’altare. “Un basso rilievo molto bello ‘è nella chiesa delle monache. Rappresenta la nascita ‘dî Gesù, ed è di terra invetriata della Robbia . Dopo aver veduto i quadri, ho domandato se vi era alcuna libreria in Poppi . To già sapeva che Salvino Salvini aveva nel secolo scorso donato i suoi libri alla Badia di S. Fedele per uso pubblico di tutti gli abita- tori di Poppi. Ma questi libri sono da gran tempo per- duti; ed i manoscritti in particolare furono guasti dall’ umido e rosi da’ topi. Onde ho'avuto gran mara- viglia nel sentirmi rispondere ‘che’ wi è pure al pre- sente una libreria copiosa’ ‘e' ben conservata . Essa è stata raccolta dal' Cavaliere Rilli, uomo attempato, ma robusto e compagnevole . Ha molti libri in varie lin- gue, e ‘molti codici che la più parte sono latini. Ed egli pure gli dona al'comune di Poppi . Sicchè bisogna ‘augurare a questa ‘nuova libreria ùna sorte più felice che a quella del Salvinî . I codici; che possiede il Ril- li, non sono rarissimi; ma ne ha pure del secolo XIII, ed ognuno sa che qualunque. manoscritto è pregevole . Tantochè sarebbe , mi pare, cosa opportuna e d' utilità reciproca il cedere i suddetti codici a qualche libre- 80 ria di Firenze , in cambio di buone opere stampate e d’eguale valore. Il sole era sempre molto lungi dall’ orizzonte, quando sono uscito di libreria. Onde ho voluto scen- dere il colle di Poppi per salire quello di /rorzola, distante un miglio e mezzo. Fronzola è un antico e diroccato castello coll’.insegna del Leopardo . Vi è nel prato un'antica cisterna con acqua quasi, perenne e freschissima ..E di qui pur è bello, sguardo nel Casen- tino. Ma il soggiorno è assai (più grato un poco, al di sotto , cioè nel colle Z'erzzizo che ora chiamasi monte dell’ Ascensione ov è un convento di cappuccini. En- trando nella chiesa ho veduto a mano destra un gra- zioso quadro del Poppi, che rappresenta la Madonna con Gesù bambino tra le braccia, in mezzo a S. Fran- cesco e a S. Torello. Sopra l’ altar. maggiore è un qua. dro, che credesi dipinto dal Veli aretino ; e poichè rappresenta l’ Ascensione , così, fa conoscere 1’ etimolo- gia del moderno nome che hanno dato al colle. E Veti- mologia del nome antico si legge nelle pareti d’ una casa , in cui è scritto con antichi caratteri Sono tenzenosa a chi tenzone osa . Da’ cappuccini sono ritornato sulla riva maestra, e.andando sempre per la dilettevole pianura ; e pas- sando il fiume dell’ Archiano Che sovra l ermo nasce in Appennino, dopo quattro miglia da Poppi sono salito alquanto fino a Bibbiena. Questa è la patria di Francesco Berni, che Scrisse cantando in volgar fiorentino, Senz'offender ‘gli orecchi della; gente Con le lascivie del parlar toscano. È 81 Alvernia a dì 21 di luglio 1821 Allo spuntare oggi del sole io era sulla piazza di Bibbiena, e vedeva magnifica e nuuva parte del.Casen- tino. Poppi e Bibbiena sorgono quasi alla medesima “altezza, e l’uno fa di sè mostra piacevole all’ altro. Ma per questo accidente è impedito altresì lo sguar- do al di là de' due paesi; onde la vista si rinnova . Poppi è più bello a vedersi dal piano; nel piano guar- da meglio Bibbiena. Questa nobilissima terra è più aperta, ed ha le vie più larghe e senza portici. Nella chiesa di S. Lorenzo sono due bassi rilievi di terra in- vetriata della Robbia. Io voleva andare al vicino santuario di Santa Ma- ria del Sasso per vedere i quadri di Gio. Antonio Lap- poli e di Fra Paolo Pistolese, de’ quali parla il Vasari; ma la stagione calda cresceva , ed ho preso la via del- l’Alvernia. Il cammino è facile finchè non si giunga alle rive del Corsalone. Questo fiume nasce dalle A/pi dî Serra: s’ ingrossa per più ruscelli che hanno origine in Zrassineta, Fignano, Corezzo, Vallesanta, Monte- silvestro, Montefattucchi, e Alvernia: mette foce nell’ Arno sotto Bibbiena: ed ha la ripa varia e bella a vedersi, ma sommamento alpestre. Guadato il Corsalone si sale sempre. fino ad un monte ignudo d’ alberi, cicè al sasso d’ Alvernia, che è dieci miglia distante da Bibbiena. Nel 1215 fu questo luogo donato a S. Francesco dal. Conte Orlando di Chiusi. Ed essendovi. allora edificate più cappelle , crebbe a poco a poco il convento, e fu fatta una nuova chiesa benissimo ornata. In essa e nelle particolari cap- pelle sono tuttora que’ bassi rilievi di terra invetriata, 82 che vi fece Andrea della Robbia. Sono molti, tutti belli, e ottimamente conservati. Alcuni di essi però sono attribuiti a Luca, il che può esser vero: ma io du- bito se appartengano a Luca della Robbia; primo ritro- vatore di simili opere, o a Lucantonio suo pronipote, Nè in convento, nè in chiesa non sono buone. di- pinture ; e se vi fossero, sarebbe cosa utile il portarle altrove, perchè, diceva bene il Vasari nina pittura nè anche pochissimi anni si conserverebbe in. Alver- mia. Infatti nell’andito, per cui si va alla cappella detta Ze Stimate, sono certe dipinture a fresco che quasi non si raffigurano al presente. La neve copre questo monte nell’inverno. In ogni stagione è spesso il convento dentro le nuvole. Anche oggi non mi di- spiacerebbe lo stare intorno al fuoco . - I frati hanno piantato un bosco foltissimo intorno al convento. Si\cammina prima tra gli abeti , poi si tro- vano i faggi. Crescendo questi sopra la vetta fanno contro i venti riparo idoneo agli alberi meno robusti . Fuori del bosco vedonsi rupi, e massi ora congiunti ora spartiti dalla montagna ; e tutti scabri e di ampia mole. Presso la cappella delle stimate si scende in un antro sacro alla memoria del beato Francesco. Ed. ivi è il gran sasso che arreca a tutti maraviglia : staccato dal monte , e posando per metà del suo volume sopra ‘altri massi, sporge in linea orizzontale e copre l’antro. Chi viene all’ Alvernia vi riceve dolcissimo ospizio. I frati sono mendicanti. Essi raccontano la vita del beato Francesco con. edificante discorso ; e poi condu- cono il viaggiatore a que luoghi, da dove si scorge assai paese. Chiamano la pezza (1) il più alto sito del (1) Da Pinna, vocabolo latino, mutando |’ i in e. 83 bosco, che è la cima del monte : e di qui si veggono mol- te altre montagne come se fossero colline. Dalla cappel- la poi delle stimate , ov'era la cella di S. Francesco, ve- donsi i borri e le valli che scendono e s’ allargano nel Casentino. E dalla parte opposta fuori del convento, in un luogo detto la Me/osa, si scopre quasi tutta la valle tiberina. Io l’ ho ben misurata coll’ occhio, perchè la deggio percorrere. E nel medesimo tempo abbassava di quando in quando lo sguardo verso un piccolo pog- gio che è poco lungi sotto il convento , e che è ora co- perto dalle rovine d’ un castello tra alcune rustiche ca- se. Ivi dominava il Conte Orlando, donatore dell’ Al- vernia al beato Francesco. Su quel poggio era Chiusi, nominato eziandio Clusio nuovo per distinguerlo dal- l’ etrusco Chiusi. E da esso credesi derivato il nome di Clusentinum, detto poi Casentino ; quantunque si pos- sa trarre la sua etimologia dalle qualità del luogo; che è tutto chiuso da montagne. Alcuni pretendono che Michelangelo nascesse nel sopradetto Clusio nuovo, mentre ne era Potestà il pa- dre suo nativo di Firenze. Ma ciò non è vero. Il Potestà dimorava,in un altro villaggio, che si chiama Caprese, nelle medesime montagne, ma un poco più lungi dall’ Alvernia. Il convento di questi frati è situato in un luogo molto opportuno agli abitatori di queste provincie , imperoc- ‘chè è sulla via, che dal Casentino conduce a molti paesi della valle tiberina: e questa strada potrebbe esser pe- ricolosa a viaggiatori, se non fosse tanto frequentata per amor di S. Francesco, e se vi mancasse la sicurezza dell’ ospizio sopra il giogo della montagna. Il monte dell’ Alvernia è parte, o almeno continua- zione delle alpi di Serra . Serra, Giogana, e Palterona 34 sono i più alti gioghi degli appennini che chiudono if Casentino a settentrione. Il Mugello è ad occidente. A mezzodì sorge l’ alpe della Santissima Trinità ye l’ alpe di Prato magno che scende poi in al d’ arno. Quindi è termine del Casentino all’ oriente V Umbria granducale, e il Tevere. Tutti questi confini, le Terre e i villag ggi del Ca- sentino, il corso dell’ Arno fino a Firenze, ed il corso del Tevere fino al Borgo S. Sepolcro, sono delineati con. molta diligenza in alcune carte che il padre Antonino de Greiis domenicano fece nel 1787. Egli è quel mede- simo che tratteggiò di penna la sua propria effigie, come si vede nella galleria di Firenze tra’ copiosi ritratti de’ pittori. E le suddette carte corografiche sono tuttavia inedite nella libreria Marrucelliana . Il presente biblio- tecario Francesco del Furia, uomo gentile quanto dotto, volle mostrarmele, conoscendo che mì avrebbero gio- vato nel mio viaggio. Ei mi favorì eziandio tutti i ma- noscritti del Bandini , il quale si era proposto di fare l'Odeporico del Casentino: opera utilissima, perchè questa bella parte della Toscana non era stata e non è ancora bene indicata da un valente scrittore. Solamente Luigi 'Tramontani, per quanto è a mia notizia, ha fatto la storia naturale del Casentino: ma è troppo generale, ed è alquanto curiosa, essendovi un capitolo che prin- cipia, fra gli animali casentinesi l’uomo sicuramente è quello che merita il primo posto . Altri opuscoli d’altri scrittori sono troppo particolari, e pieni di ridevoli tra- dizioni. Nel viaggio pittorico della Toscana, opera bella e grande , si trovano sole le pricipali vedute. Sicchè dobbiamo dolerci che il Bandini non potesse compiere il suo Odeporico . Ed io intanto mi valgo di molte sue notizie, per essere almeno di guida a chi prende questo 85 cammino. Per la qualcosa comprendo in una lettera solo quanto può vedersi in un giorno , andato a ca- vallo o a piedi. fi Nell’ Alvernia ‘è una buona libreria con ibi ma- noscritti ma buoni. \ Montecoronaro a di‘22 di Luglio 1851. J Le T' primi passi, che ho fatto questa mattina parten- do dall’ Alvernia, mi hanno indicato la fatica del nuo- vo viaggio. Passando per la Melosa'si scende iu ut burrone, e poi si sale un poggio: e così la via prosegue per quindici miglia, ora sulla cima degli appennini ov’ è aspra selva, ora ‘in profondi e scoscesi dirupi ove si arrampicano rare le capre. Dall’ autunno. alla prima- vera è il luogo deserto: sol quando principia la calda stagione, vengono qui a ripararsi le gregge: dalla Ma- remma di Siena. Pascolano esse ne’ prati che germo- gliano per le spiagge meno declivi: edvil pastore difen- de il gregge da’ lupiabitando in una capanna di frasche. i Jo udiva spesso! l*eco rispondere all’ abbaiare de’ ca- ni, e desiderava gli‘armenti vicini per:bever latte. Ma quesio dolce conforto era sempre lungi dal mio sentie- ro, in cui non trovava che uomini di quando in quando sopra cavalli maremmani. Essi venivano galoppando per le ripide balze; saltavano a briglia sciolta gli alberi attraversati; «e con. salùvo affettuoso confortavano me che sbigottiva del loro pericolo. Forse mi compiange- vano perchè io andassi a piedi: e per mostrarmi ani- T. IV. Ottobre 6 86 moso anch' io , lasciava la guida e correva innanzi. Mi fermava, però sopra ogni altura, per osservare l’ anda- mento delle montagne . Nè mi mancavano di tempo in tempo vedute maestose, quantunque orride e ristrette. Finalmente ho cominciato a sentire il mormorio delle acque , e il rauco suono d’un mulino. Ivi presso mi sono riposato nell’osteria di Morte Coronaro: tal nome si deriva dalle qualità del luogo, cui fanno gli altri monti corona. Buona colazione per poco prezzo mi hanno dato quegli osti ospitali : e mentre mi ricrea- va con soavissima ricotta, udiva nelle vicine stanze cantare i versi d’ Erminia. Un giovane pastore gli can- tava alla figlia dell’oste, presente un prete. Sicchè ho avuta somma contentezza , trovando in queste rupi sincera ‘accoglienza, buono costume, e pastori che inten- dono l’ idioma classico dell’ Italia . Dopo breve indugio ho seguitato la.ripa del fiu- me contro la sorgente. Vi sono molte case di contadini e di pastori; e nella campagna è qualche albero frutti- fero: ma vedonsi più sovente ampie pasture con ar- menti di vacche. In cima del villaggio, al di là del fiume, la via;si; sparte in due: la sinistra conducé in Romagna ; la destra alle Balze . Lo ho: preso, la seconda strada , e salendo al solito per boschi e prati} dopo cinque miglia mi si è aperta la via di repente in una valle amena irrigata da moltr ruscelli. Quesii cor- rono tutti al Tevere. La valle chiamasi Falera , nome di famiglia che aveva quivi possesso . E gli agricoltori abitano tutti uniti nel villaggio, che non è vasto, nè si- ivato in altura, ma che nondimeno è salubre , e pulitis- simo e piacevole , massimamente oggi che gli uomini e le donne erano festevoli intorno a muovi sposi. Onde malvolentieri me ne son dipartito per salire alle Balze. 37 Questo è un casale vicino alla Falera, ma è orrido, nella costa del monte. Due miglia al di sopra è un e- remo, chiamato la cella di Santo Alberico; da dove il romito, che vive da selvaggio, scopre gran parte di Romagna. Presso al romitorio vegeta una grandissima vescia, che in qualche anno pesa libbre diciotto : e giunge a tanto volume, perchè essendo nascosa dalle or- tiche in rupi quasi inaccessibili, pochi uomini sanno ove trovarla, e questi medesimi non si espongono a co- glierla, se non quando credono che abbia finito di cre- scere . All’ oriente di questa montagna nasce il fiume della Marecchia. All’ occidente sgorga il Sapio. A mezzodì sono le fonti del Tevere. Partendo io dalle Balze , ho ‘ traversato la china del monte sopra la Falera . Nè la via è incomoda per mezzo miglio, ma poi va sopra rotti sassi, e vedonsi allora i primi flutti del Tevere. Quindi comincia a destra un boschetto di faggi: e l’ombra loro mi sarebbe sembrata quella d’un dilettevole giardino, se avessi potuto dimenticare il faticoso viaggio. Tra gli al- beri discorre piacevolmente il fiume: e questo si vede un poco più sopra esser coufluente di due ruscelli. Con- tinua la salita, coperta di musco. Si dirada l'ombra . S’incurva il prato. E dall’ una e dall'altra parte scatu- risce fra l'erba e sotto le radiche de’ faggi una polla di acqua viva, limpida e freschissima . Le due fontane di- ventano rivi, i rivi fiume; il fiume sbocca nel mare Tirreno, dopo aver rotto i ponti dell'antica Roma. In sì grande argomento io ho abbandonato l'animo . La guida mia, vedendo imbrunire il faggeto, mi ha riscosso dal Pergine sogno. Onde libata la purissi- ma acqua nelle due fontane, lento lento riprincipiava a discendere. per un prato che è alla destra del destro 88 fonte. Ma il mio compagno ha gridato che 10 mi disco- stassi, perchè quel prato ha superficie molle e sotto i piè s'avvalla. Sicchè ho ripreso la medesima via già fatta per uscire dal bosco; fuori del quale si trovano massi quasi tanto grandi come in Alvernia . La notte era vicina ed avrei potuto” dormire nelle Balze, chiedendo ospizio all’ Arciprete che suole volen- tieri concederlo ; perchè vi è pessima osteria. L'ostessa però meriterebbe d°’ esser collocata in migliore albergo. Infatti nella sola osteria sua mi è stato pesato il pane colla"stadera; avendo io pagato quelle once sole che ho consumate. Ma nondimeno, benchè avessi questo gran- de esempio di gentilezza toscana in quel villaggio, ho voluto ritornare al Monte Coronaro che è più prossimo alla Pieve di Sunto Stefano) dove anderò domani. Nè la fortuna mi è stata avversa , perchè arrivando qui mi ha dato ospizio. un amoroso e ricco pastore. Colla sua gioviale famiglia, tra le sue belle ed oneste figliuole e tra’ suoi garzoni, sedendo io sopra pelle di capretto alia mensa sua, oh! quanto ho goduto di mangiare la zup- pa cotta nell’ acqua ed altre vivande semplici d’erba o di formaggio. Scherzavano i giovani familiarmente e senza malizia. Il fiasco del vino girava la tavola ; ma non rendeva ebro alcuno. Ed il padre intanto parlava delle cure sue domestiche, avvisando i garzoni , costu- mando le figliuole , e facendo a me dolcissimo invito al mangiare ed.al bere. Egli mi ha narrato pure gli usi del paese; come qui vivono nell'estate, coltivando i campi e provvedendo agli armenti; e come poi sono costretti a lasciare le paterne abitazioni quando viene l’inverno , per riparare sè medesimi e le gregge in’ più dolce e bassa regione. I più vanno verso Grosseto , 0 in riva al mare. Alcune donne e i vecchi restano guardia- «del Tevere, ed ha un ponte che giova a’ passeg 89 ni delle case. Ed io, che mi doleva di vedere uomini co- stretti alla vita errante , sono stato presto persuaso della necessità di mutare soggiorno , perchè, cessato il calore del viaggio, principiava a sentire un’incommoda frescu- ra . Dopo cena mi sono avvicinato al fuoco: ed ho avu- to il secondo ristoro in un pulitissimo letto con coperta di lana entro una cameretta foderata di tavole di ca-\ stagno . Borgo S. Sepolcro a dì 24. di Luglio 1821. Accompagnato da’ fausti augurii del mio buon pa- store io partii ier l’altro da Monte Coronaro. Ma non ri- tornai già verso l’Alvernia. Scesi per via molto più comoda a Y'al Savignone . Questo villaggio è sulle rive | geri nell’ inverno. Ora il fiume si guada ; e nel letto stesso del fiume io presi quindi la via per farla più breve. Così passando sotto Zu/ciano , e senza mai discostar- mi dal Tevere, pervenni alla Pieve di Santo Stefano. Qui principia la valle tiberina . Fino a questo punto, che è distante quasi quindici miglia da Monte Corona- ro, il Tevere discende per un alveo aperto nel seno delle montagne dalle piene invernali . Sicchè le acque serpeggiano sempre, e talora cadono da qualche sco- glio: nè mai si spandono per coltivate campagne, per- chè di rado corrono tra spiagge poco declivi, e so- vente hanno per argine altissime rupi. Sradicano bensi gli alberì fruttiferi, moci e castagni, che l’ animoso 90 ‘villano pianta in sulla riva. E quando ricrescono al dighiacciare della neve, rodono e rompono i campi meno elevati. Anche sopra questi però la coltivazione è rara , essendo rari i villaggi. Vedesi qualche orto in- torno a Valsavignone. Poi si trovano alcune vigne alla sinistra del Tevere. E sol quando è vicina la Pieve di Santo Stefano, incominciano gli ulivi ad ombreggiar le semente. Io mi godei di quel tragitto alpestre, che era molto vario e non disagevole. Nel letto del fiume erano travi e pali gettati giù da’ montagnoli , affinchè la pri- ma piena gli trasportasse nella pianura . La Pieve giace in un piano basso e poco esteso tra le coste de’ monti. Ma la prima linea delle montagne si continua per colli spartiti, ove sono frequentis- sime ville. Ed il fume rifrange l'azzurro Gelo con acque limpide. Onde non vi è aria cupa nè grave, almeno in questa stagione: e la via è larga dentro le mura : gli abitatori sono molti e industriosi: nella piazza concorrono gli agricoltori della valle tiberina a commerciare co” montanari della Romagna. Un vicario sopravede i costumi e le ragioni civili. Un arciprete governa la chiesa collegiata . Questa non è bella, ma vi sono tre quadri meri- tevoli d’ attenzione. Il primo è di scuola antica, € rappresenta S. Lucia . La dipintura è sopra gesso a tempera : le carnagioni sono un poco languide : ma la veste della Santa ha un color sì vivo, ed il lembo è contornato da un gallone d’oro sì rilucente, che sem- brano opera nuovissima , fatta con grande artificio. Il secondo quadro rappresenta la matività , e pare esser della scuola del Perugino. Il terzo mi fu molto lodato dall’ arciprete , ma io non lo potei vedere, perchè lo 9I tengono dietro un’ altra immagine; la quale non sì pò: teva allora abbassare . Nella chiesa di S. Francesco è un quadro di Santi Titi: ma il colore è molto alterato. | In una cappella , che ora appartiene alla famiglia Mercanti , e che era una chiesa di monache, vedesi un bel quadro che rappresenta la nascita del sacro bam- bino. Molti lo attribuiscono al Vasari. Ma egli non ne fece menzione , scrivendo la propria vita. Oltrechè vi sono altri priclivdi quadri che si. congiungevano col medesimo altare e che danno indizio anche mag- giore d’una maniera divido a quella del Vasari. Sareb- bero forse queste dipinture fatte da Gio. Maria Pichi discepolo del Puntormo e da lui spesso aiutato; il quale, come il Vasari racconta, fece alcune opere nella Pieve di S. Stefano ? La più grande e più antica chiesa è fuori le mura verso la valle tiberina, e chiamasi la Madonna de’ lu- mi . Ivi sono due tavole assai più lunghe che larghe, ove è dipinta una processione di angeli . Sono graziose le teste, splendienti gli abiti, variati.i gruppi. Signora il nome del pittore : e della sua maniera lascio ad al- trui il giudizio . Prima di questa chiesa è un ponte, per cui si esce dalle mura. Ivi è buona osteria; e come accade in tutti questi luoghi, gli osti sono ad e contenti al giusto guadagno. Progredendo però nella valle ho preso que- sta misura contro la maggior frequenza delle osterie; chiedendo cioè all’ ostessa , che io lasciava , il nome dell’ostessa vicina con cui ella fosse collegata . Median- te la quale prudenza ho'pur trovato al Borgo una fa- miglia di oste veramente angelica . Ma tutti questi bor- 92 ghesi procedono con sì grande urbanità, che non è ma: raviglia se anche il basso popolo è civile. Io partii verso le due dalla Pieve , trovando la via piana ed ottima per qualche nl Ma poi rimasi maravigliato , vedendo che i carri erano tirati da? bovi nel letto del Tevere. La buona strada era interrotta, ed io consigliato dalla mia guida.presi la. via del, pog- gio, augurando agli abitatori, della Pieve e del Borgo un cammino più fabile e necessario al loro commercio. Quanto è a me , fui. più contento di salire la collina, perchè mi. rinfrescavano soavi aurette, e meglio si scopriva il corso del Tevere . Con poca enda esso lam- biva i sassi nel largo letto , che viepiù si distendeva, ampliandosi la valle. E non era l’ alveo sempre tor» tuoso come nelle montagne , che anzi volgevasi di rado intorno a’ poggi , e per lunghi intervalli appariva dirit- to. Ombra o rezzo non mancavano ad amendue le spiagge, per gli albereti dappresso ; quindi per le vi- gne , e poi per dolcissimi colli pieni d’ulivi e di frutti. Nè spariti mi erano i monti dell’appennino ; chè io ne scorgeva le alte cime alla destra del fiume. Bensi era celato J' orrido e minaccioso. prospetto delle. sel- vagge e scabre rupi: o se alcuna mostravasi,, compa- riva facile per la distanza, e l’aria interposta le dava ‘il suo lieto e maestoso colore . Lieto anch’ io pertanio seguiva il cammino su per l’altura , e già mi si era Silla bi il Tevere, già aveva io passato un. vaghissimo colle, che, ha rovinate ca- stella, e che dicesi Monte d'oglio; quando mi si sco- perse tutto ad un tempo il vasto piano della deliziosa valle . Io era pervenuto in cima d'un viale diritto, lar- go, e poco declive ; in fondo del quale vedeva , benchè Na ‘sempre lontane, le torri e.le cupole di Borgo a iS. Se- polero.. Ed allora rividi il Tevere che piano piano ir- rigava le ubertose campagne, e.che. ristretto. poi sotto gli archi d’ un ponte antico, a mezzo miglio dal Bor- go , rivolgevasi con un giro al ed alla sinistra sponda verso Città di Castello. Questa io pur vedeva, insie- me con tutti i paesi fino ad Anghiari. I quali essendo molti, e ogni podere avendo o villa o casa rustica e pulita , a me pareva di vedere un immenso villaggio posto fra due città... Nè poteva connumerare i fiumi che da ogni parte delle più vicine montagne vengono a metter foce nel Tevere. Io gli distingueva per ca- gione degli. alberi.,.che presso le acque crescono più verdi , più. spessi, e più alti. Volentieri. dunque avrei passato più giorni in quell’ amenissima villa , che è in principio del mento- vato viale. Ma non potendo ivi. fermarmi, ho voluto riposare almeno un giorno intiero in questa città chie è dieci miglia lontana alla Pieve di Santo Stefano. Il quale riposo mi ha pure giovato a meglio vedere le belle dipinture che qui sono frequenti . Il Borgo è stato. patria di molti valenti pittori . Nel secolo decimoquinto vi nacque Pietro della Fran- cesca ;, uno de’ maestri di Pietro Perugino , e celebrato dagli storici come buon mattematico e quasi padre della prospettiva. Nel. secolo decimosesto vi nacquero Gio. Maria Pichi, Santi Titi, (1) Cristofano Gherardi, (1) Alcuni lo chiamano Santi di Tito . I suoi discendenti trasferitisi da qualche tempo in Pisa, hanno preso il cognome di Tidi: ed a questa medesima famiglia di S. Sepolcro appartiene Roberto Tidi ; che fu ottimo latinista e grecista . 94 i tre Cungi, ed altri , che furono tutti, eccettuati i due primi, scolari di Raffaellino dal Colle ; il quale pure si connumera tra” borghesi , perchè la sùa patria è molto vicina al Borgo. Nel secolo decimosettimo vi nacquero gli Alberti, famiglia di S. Sepolcro numerosissima di pittori, come dice il Lanzi. Ed anche ora vi nascono ‘molti giovani , che avrebbero genio alle belle arti , ma che qui non hanno maestro . Solo ‘nel seminario s’ istruiscono comunemente i giovani . E l’ edificio è grande e bene scompartito , es- sendo altra volta un bellissimo convento di Gesuiti . Ma i precettori attendono in particolare all’ istruzione ecclesiastica , Ja quale non dà luogo allo studio delle belle arti; quantunque sieno esse collegate colla pietà cristiana , che induce gli uomini a edificare e ornare i templi . Le chiese del Borgo sono molte e quasi tutte am- pie e belle. Quella del Seminario è vaghissima per buona architettura e per ornamenti di stucco ben di- segnati . E nell’altar maggiore è un quadro assai buono del Padre Pozzi , che rappresenta vna regina indiana battezzata da S. Francesco Saverio , cui è dedicato il Tempio . I La chiesa di S. Francesco è una delle più grandi, e tra’ molti suoi quadri debbonsi particolarmente os- servare le Stimate di S. Francesco di scuola caracce- sca, e la disputa de’ dottori dipinta dal Passignano . Questo quadro è ora molto annerito; ma nondimeno vi si scorge una luce mirabile , diffusa da due raggi che provengono da due finestre dipinte nella parte supe- riore del medesimo quadro . Nella chiesa degli Osservanti è un quadro grande e bellissimo, dipinto da Gio. Maria Pichi coll’aiuto del DA 99 Puntormo , rappresentando S. Quintino ignudo e mar- tirizzato. E vi è un altro quadro veramente bello del Bassano , che rappresenta î Re magi, ed in cui è da notare l’ artificio del pittore in bene ascondere i piedi delle figure , che gli riuscivano quasi sempre difettosi . Sopra la porta maggiore è una tavola grande e ovale, in cui Raffaellino dal. Colle dipinse 2’ Assunzione : cosa leggiadra , dice il Lanzi, per disegno e per tinte, se non che v è aggiunta d’ altra mano non so quale altra immagine che le scema il pregio. Nella chiesa di S. Lorenzo è una tavola dipinta dal Rosso, che rappresenta Cristo deposto di croce (1). E del medesimo pittore è un quadro nella sagrestia degli Osservanti, il quale rappresenta la Z'isitazione della Vergine. Ma questo quadro è in vendita per provvedere a’ bisogni del Convento . Nella chiesa de’ Servi è la Presentazione al Tempio , del Pomarancio . In S. Chiara sono alcune pitture a fresco degli Alberti, e vi è la tavola dell’ Assunta di Pietro della Francesca. Ma questo quadro è sull’ altar maggiore , ed ha sempre tanti candeglieri innanzi, che non si può quasi vedere. Nella chiesa sotterranea di S. Rocco è un se- polcro grande e tutto di pietra, similissimo , come dicono a quello di Gerusalemme: e soggiungono che da questo proviene il nome di Borgo a S. Sepolcro. In altre chiese sono altri buoni quadri: ma io mi fermerò nel Duomo che è divero una copiosa galle- (1) Il Lanzi dice che questo quadro è in S. Chiara ; ma i Borghesi-mi hanno detto che è stato sempre in S, Lorenzo. 96 ria. Raffaellino dal Golle vi dipinse i Santi Cosimo e Damiano, e la ‘Risurrezione, la quale ei medesimo ricopiò per metterla nella chiesa di $. Rocco. Anto- nio Zei vi dipinse il Suffragio: il Palma vecchio V As- sunzione: Cherubino Alberti la Zrinità: e Durante Alberti la Natività. ln questo quadro è:sommamen- te bello il volto della Madonna, che modesta e amo- rosissima guarda il bambino. Il Cavallucci ha dipinto modernamente nel Duo- mo e con molta grazia la Madonna del Rosario. San- ti Titi vi dipinse S. Zommaso che tocca il costato di Gesù risorto, nelle quali figure non si può deside- rare più purgato disegno, nè. maggiore espressione . Ed anche il colorito è buono: ed ‘il quadro è ben conservato, ed è in tela contro l'uso più frequente del Titi di dipingere in tavola . Nel coro poi si vede quella tavola grande che Pietro Perugino fece in Firenze , e che secondo la nar- razione del Vasari fu portata al Borgo sulle spalle de’ facchini con spesa grandissima . 1l quadro rappresen- ta l Ascensione. Vedesi nella parte di sopra il he- dentore che sale verso il celo con maestose sembian- ze; e al di sotto è la divina madre che alza e fissa gli occhi nel diletto figlio, prendendo gioia della gloria sua . Ella è circondata dagli Apostoli, che esultano in varie attitudini con volti espressivi. Il Sal- vatore ha due angeli a sinistra che sonano la chitar- ra, e due alla destra che sonano il violino e 1’ arpa. Ma questo quadro, comecchè sia pregevole , non fa ora altro ufficio se non ‘di cataratta . Dietro ad esso è sta- ta collocata una sacra immagine, la quale i borghesi adorano sovente, abbassando prima la tavola del Pe- rugino. Sicchè al Borgo interviene un caso contrario 97 a quello che notai nella Pieve di Santo Stefano, do- ve per vedere un quadro antico si abbassa una ve- nerata Immagine. La facciata del Duomo è di pietre ben connesse e bene scarpellate : e si continua da un lato al palaz- zo del Vescovo, e dall’ altro ad un antico edificio, che chiamavasi le Laudi, e che ora appartiene alla fa- miglia Marini, ove è un portico bello e tutto di pie- tra anch’ esso. Questi edificii si trovano in ‘una breve e larga via, che.termina in due piazze. A sinistra si fa il mercato, e vi è tra le abbondanti botteghe una buonissima di caffè, in cui fanno pure ottimi e deli- cati sorbetti perchè gli ghiacciano colla neve. A de- stra è il Pretorio, aa antico, pieno d’ armi gen- tilizie e colle scale di fuori a e branche . Seguita- no poi lungo la via innanzi al Duomo i pubblici edi- fizii della Cancelleria, del Comune, e del Monte di pietà . Questo è uno de’ più ricchi in Toscana . Ed il palazzo del Comune ha sale € stanze molto, bene scòm- partite :In una di queste vedesi dipinto S. Lodovico da, Pietro della Francesca : il quale dipinse pure nel- la sala de’ conservatori una resurrezione di Cristo, la quale dice il Vasari è tenuta dell’opere che sono in detta città, e di tutte le sue la migliore. Passeggiando poi per la città si trovano belle strade, che volgono verso quattro porte alle mura. Fuori di queste non è spazio inculto ,, e vi abbonda- no, le piante del guado; e i vitigni, della canaiola . Nè manca popolazione per le campagne. Sola la cit- tà richiede un maggior numero. d’ abitatori; i quali otterrà forse all’ avvenire , se la strada , aperta dal no- stro Sovrano per Arezzo ed il Borgo fino a’confini; sarà come sì spera continuata da’ romani nell’ Umbria . 9$ Le case de’ cittadini sono commode e regolari . Nella facciata d’ un palazzo , che ora appartiene al Ri- gi, ho veduto pitture a fresco, in. parte conservate e molto buone, d’ uno degli Alberti. Forse sono di Giovanni Alberti ; essendo altre sue dipinture a fre- sco dentro la casa sua, posseduta sempre dagli Al. berti . I rami di Cherubino, celebre incisore, disegna- tore e. pittore , € fratello primogenito di Cioni ; si conservano in casa Pichi e in casa Giovagnoli . ( sarà continuato ) FILOLOGIA Li: ReALi pi Francia. Venezia 1821. uesta istoria, o per meglio dire, questo romanzo in cui si magnificano le avventure favolose di Costantino, di Fiovo, di Fioravante, di Rizieri, di Buovo, e di Carlo Magno, è stato al. presente ripubblicato per opera di quel medesimo Bartolommeo Gamba, che compilò la Serie delle edizioni de’ testi di lingua italiana. Onde noi sapendo com’ egli sia diligentissimo e degno di lode, presupponemmo esser tale questa sua nuova edizione, quale potesse a’ letterati soddi- sfare. E dico a’ letterati, perchè siffatto romanzo non può piacere se non ad essi ed alla gente volgare: a questa, per- chè s’ interessa a’ Paladini, e volentieri ne ascolta le maravi- gliose gesta, senza curare il disordine e gli errori della nar- razione: a quelli, perchè possono trovare in un libro sì antico i primi modi della favella. Ma si adempie forse que- sto lor desiderio, ‘allorchè si ristampa un libro coll’ aiuto e riscontro di due vecchie edizioni, come ha fatto il Gam- 99 ba, e le quali egli,: che. è buon conoscitore, giudica /° una e l° altra poco pregevoli? Il Gamba stesso risponde che no : on- d’ io non posso dargli altro biasimo senon quello d’ aver creduto che manchino i codici, con cui accomodare le guaste edizioni . Egli dice nel proemio queste parole: gli accademici della Crusca ne conobbero de’ fiammenti, che furono veduti dal loro Infarinato: ma questi servirono ad apprestare qual- che buona voce al loro Vocabolario , e poi rimasero trascu- vati fralapolvere degli archivii., L'Infarinato poi, che è quel nostro Leonardo Salviati, maestro de’ maestri in fatto di lingua, ed a cui non si può rimproverare se non la ingiusta asprezza sua. contro il Tasso: l’ Infarihato dice aver visto i reali di Francia, ;non un frammento di que’ medesimi. E questo codice, che allora apparteneva a: Pier del Nero, sem- bra essere quello stesso che nel passato secolo trovavasi nella libreria del Guadagni, contrassegnato N°. 143, e mancante in principio ed in fine. Ma noi non possiamo affermare che questa mancanza vi fosse a’ tempi del Salviati: e non si sa nemmeno, dove sia ora tal codice. Il Salviati lo giudicò di lettera non antica, ma pessima, e che con gran fatica si poteva leggere appena. Quindi egli ne citò questi due so- li. esempli ( se io non m’inganno ). Il primo nel L. 1. Cap. 5, del Nome: e domandò che pareva loro di fare . Jlsecondo nel L. 2. Cap. 12. del Vicecaso: sercendo Buo- vo questa novella, raunò suo consiglio . Siffatti esempli pe- rò non sono nel Vocabolario della Crusca . Il diligentissimo filologo Vincenzo Follini, bibliotecario della Magliabechia- na, ha fatto per uso suo, e dell’Accademia, un compiuto ca- talogo, ove sotto i nomi degli scrittori citati leggonsi i loro votaboli e le loro dizioni, che di mano in mano: sono sta- te inserite nel nostro Vocabolario . Per la quale opera è ma- nifesto: che 'i reali di Francia non furono citati nelle pri- me edizioni del Vocabolario, fatte nel 1612 e nel 1623, ma solo nella terza edizione fatta nel 1691, più che un se- colo dopo la morte del Salviati: che furono citati allora in queste sole tre voci, giubbetto, oriafiamma, e roncione: e i00 che non se ne trassero poi altri esemipli nella quarta ed ul tima ‘edizione, fattà' di i729 al 1538.» Onde son queste le buone voci che sidetivatono nel’ Vocabolario da’ Reali di Francia ; e forse non furono tratte dà essi direttamente, mA da qualche libro o manoscritto che’ lè! citàsse» imperocchè non è da credere che non se ne ‘possa trarre più copiosi e più utili esempli. Il Gamba sog ggiunge: se non si scoprano codici, sui quali fare studio ed esame; î Reurr pr Frincid non po» tranno mai pretendere ‘al diritto di autorità reverenda . Ma il mentovato Vincenzo! Follini ha già da qualche témpo scoperto ùn nuovo' codice, ‘che ‘era altra volta di Giovanti Mazzuoli sopranominato 70 Stradind' E questo codice tro- vasi nella Magliabechiana , P. 1. ‘Còd. ‘14: e fu copiato con sufficiente chiarezza verso la fine del sétolo XIV: e ' contiene ì Reali di Francia, a fol. 1. ad 114. versum, e )’ Aspra- monte, tradotto dal francese in italiano per opera d’An- drea da Barberino, a fol 114 verso’ ad‘cod. finem I Reali'di Francia vi si leggono titti compiuti; proce. dendo cioè i libri e i capitoli siccome nell'edizione del Gam- ba: se non che quel capitolo, in cui ‘è descritta la Genea- logìa de? Reali di Fraricia, e che è î1 nono e l’ultimo del libro quinto ‘nell’ edizione del Gamba , trovasi nel codice del- la Magliabechiana in fine del sesto ed ultimo libro'?*Ma quanta differenza è poi nella dicitura! Noi ne produrtemò esempli. Intanto giova discorrere tre Cosè . I. Il Gamba tiene per certo che quest’ opera’ fosse det- tata o nel XIII, o al più tardi nel principio del secolo XIV. E noi non abbiamo alcun argomento ‘per rifiutare la sua ‘0- pinione. II. Egli giudica quest'opera come originale, natà 'sot- to il nostro #00 E nemmeno in questo particolare non pos- siamo noi oppugnarlo, purchè ne conceda essere questa sto- ria, o romanzo 0 favola, fondata nelle storie, o romanzi o favole, francesi. Al chie si conseguita, che lo scrittore de' Reali di Francia non poteva a modo suo variare le ‘batta- 1O0I glie e le avventure, facendole accadere ove più gli piacesse : che anzi era costretto a condurre gli eroi e i guerrieri per le vie già note negli altri romanzi, affinchè il suo raccon- to non paresse una vera menzogna. II. Onde se l’anonimo autore di quest'opera fa più menzione della Romagna e della Lombardia, che non del-_ la Toscana e de’ paesi di Venezia; egli fa ciò, perchè que- to richiedevano i suoi argomenti . Nè inferirne possiamo, es- ser lui nato lombardo 0 romagnolo, come il Gamba ineli- nerchbe a giudicarlo: imperocchè poteva esser nativo pur di Firenze, e non aver mai occasione di parlare della pa- tria sua ne Reali di Francia. Il Codice della Magliabechiana è certamente copiato da un fiorentino. Se un fiorentino ne fosse autore originale, io non so. Potrebbe essere stato egli lombardo, e il codice suo ricorretto in Toscana. Altri codici non ne sono affatto nelle pubbliche librerie di Firenze. E l'edizione fatta ora dal Gamba , e l’edizioni precedenti de Reali di Francia, deb- bono esser provenute da qualche codice , non ricopiato in Toscana; come ora in parte vedremo . Nel libro stampato per opera del Gamba si legge, pag. 1. In questo tempo Costantino, ammalato di Lepra stette dodici anni infermo, che non trovava rimedio alcuno, e come dispe- rato comandò a’ medici che lo guarissero, o che li farebbe tutti morire; e per questo terrore li medici impauriti g/î dis- sero, che pigliasse il sangue di sette fanciulli vergini d’ un an- no, e da poi, molte medicine che gli darebbono, si lavasse con quel sangue, e saria guarito. Costantino prese le medicine, e trovati sette fanciulli , gli furono menati alla corte con le lo- ro madri, e sotto ombra di carità Costantino volea farli mo- rire; ma le madri, giunte sull’ uscio della camera, quando sen- tirono che li loro figliuoli doveano esser morti per salvamen- to di Costantino, cominciarono gran pianto. Sentito Costan- tino il pianto, dimandò: che era quello? e gli fu detta la. ca- gione. Per questo, intenerito Costantino, venneli pietà, e dis- se queste parole: Innanzi voglio sostenere la pena della infer- T. IV. Ottobre 7 102 ruîtà, che usare tantà crudeltà. E queste parole; è questo buo pensiero fu tanto grato a Dio, che moltiplicò il suo sangue in tanto onore, che fu ammirazione a tutto il mondo. E nel codice si legge. In questo tempo Costantino amma= lò di lebbra, e stette dodici anni ammalato che non trovava guarigione fra molti medici provati. Fra l’altre cose, come di- sperato comandò a’ medici che lo guarissero , 0 egli gli fareb- be tutti morire. E i medici gli dissero che togliesse 7/ sangue di sette fanciulli vergini di un anno, e dopo certe medicine che gli darebbono, si lavasse con quello sangue è Sarebbe gua- rito. Costantino prese le medicine, è irovati i sette fanciulli , furono menate alla corte le loto madri sotto ombra di cari- tà, che Costantino voleva dare loro mangiare: Ma in su 7’ uscio della camera sentirono che i loro figliuoli dovevano essere mor- ti per salvamento di Costantino, e cominciarono gran pianto. Sentito Costantino questo pianto domandò , che cosa quella e- ra. Fugli detto la cagione. Per questo intenerì Costantino, e vennegli piezà, e disse a’ servi: mandate via. E fece. fare lo- ro alquanta cortesia, e perdonò la morte per pietà a questi in- nocenti, e disse queste ‘parole: io voglio innanzi sostenére la morte e la pena del male che usare tanta crudeltà . Queste pa- role farono tanto accette a Dio, è questo buono pensiero, che Iddio multiplicò il suo sangue in tanto onore, che fu grande ammirazione di tutto il mondo . Io ho notato di carattere corsivo le sole parole che ritro- vansi tanto nel libro come nel manoscritto, affinchè le interpo- ste variazioni fossero più manifeste. E quindi ogni leggitore può da sè medesimo conoscere, quanto sia la seconda lezione migliore della prima . Zepra in iscambio di lebbra non è voce inserita neppur nel Vocabolario. Dimandò, che cosa quella era, è loeuzione più idonea che non dimandò che era quello. E vennegli pietà è meglio detto secondo la grammatica, che non venneli pietà. Ed è più convenevole sintassi il dire ammirazio= ne di tutto il mondo, che non ammirazione a tutto il mon- do. Le più importanti variazioni sono però le seguenti. Dopo certe medicine , in iscambio di, dapoi molte medicine, il che è un modo del dire non buono ed oscuro. E, sotto ombra di ca- rità, che Costantino voleva dare lorò mangiare, in iscambio di sotto ombra di carità Costantino volea farli morire . Im questo passo però anche il codice è scorretto. Vi è scritto sente una in Gi --- iii 103 luogo di sotto ombra. Talchéè non so se neppur questa sia la ve- ra lezione. Nella pag. 2. del libro lacca la notte ‘seguente — gli do- mandarono se volea guarire — siamo Pietro e Paolo discepo- li di Cristo — predicava la vita di Cristo + volesse farlo martirizzare e dargli morte . E nel manoscritto si legge in iscambio : la notte vegnente — domandaronlo se voleva guari- re — siamo Pietro e Paolo che fummo discepoli di Cristo — predicava la fede di Cristo — lo volesse far morire martorian- dolo. Si noti quest’ ultimo e bellissimo modo del dire. Nella pag. 3. del libro sono errori manifesti. Vi si dice che Silvestro rispose a chi lo domandava se era egli Silvestro : essere lui desso. Ove è mutato ‘il nominativo in accusativo , e l’accusativo in nominativo. Il codice dice: esser desso egli . Dipoi si legge nel libro: o amico, cuoci una di quelle rape ; e cuocile sotto il fuoco, e poi anderemo. Ma le rape non era- no ancora colte, sicchè leggi come nel codice: va amico , e co- gli una di quelle rape, e coceremla sotto il fuoco, e poi an- deremo . Quindi, secondo il libro, Silvestro battezzò Costanti- no in un gran bacile. Per togliere questa stranissima cosa, pon- gasi com'è nel codice, entro un gran bagno. E per certifica- re quanto sia più propria e idonea la favella del copiatore fio- rentino, veggasi che egli dice: rispose che volentieri , in iscam- bio di rispose volentieri: e mentre gli gittava, in luogo di sic- come gli gittava; com'è nel libro. Così nella pag. 4. 'èmiglior modo il dire aveva circa di venti anni, che non, era di anni circa venti, com'è nel libro , Ed è molto più proprio e convenevole il dire: scosse Za coppa del vino, e quello poco della sgocciolatura andò in sul man- tello a Saleone, che non secondo il libro, scosse Za coppa, € la scolatura del vino andò sopra il mantello di Saleone . Nel- la stessa pagina del libro si dice che Saleone era un poco pa- rente di Costantino, perchè questi era stato da’ suoi Greci a- mato. Il che è una ragione poco persuadente . Il Codice dino- ta un’altra causa , cioè perchè Costantino era stato in Grecia . Nella pag. 5. del libro si legge : tu ron arai da dargli d'uno coltello, proprio in quel luogo dov’ egli diede a te? £ nel codice: non hai ardire di dargli d'uno coltello nel petto per me’ quello lato, dov’ egli ha dato a te? Nella pag. 6. del libro: non si mostrava adirato, e posesi 104 a sedere dove gli parse destro ad offendere l’ inimico che sedeva al lato di Costantino . Credevano molte persone che ec. E nel co- dice : non si mostrò adirato , e posesi a sedere dove gli parve meglio potere offendere il nemico che sedeva a lato a Costan- tino. Credettesi per molti che ec. Ma il seguente passo è anche più scorretto nel libro, ove si dice: / giovane, volonteroso del- la vendetta , tanto se gli avventò addosso che lo passò di tre punti mortali per lo petto col coltello, e fece sì presto che niu- no sentì. Nel codice è all’incontro così: i giovane, volonteroso della vendetta, e atante , segli avventò addosso, e sì lo passò di tre punte mortali nel petto cel coltello, e fece tanto presto che ognuno uscì di sè . Ma è inutile seguire il libro pagina per pagina. Chiunque sia intelligente della nostra lingua, avrà diletto nel paragonare detto libro col codice della Magliabechiana . Imperocchè guar- dando nel libro s’ accorgerà che molte voci e locuzioni, ivi in- serite, non furono usate del tutto o non in quel modo da’ no- stri antichi : e guardando poi nel codice verificherà questa sua opinione. Chi mon vede per esempio, che è male collocato il verbo testimoniare nella pag. 353 del libro, ove. si dice : co- minciava già ad apparire Diana, la venuta «d’ Apollo testi- moniando . Nel codice è significando . E così, chi dubitasse in- torno all’ uso del verbo congedarsi da alcuno, com’ è nella ag. 440; sappia egli che questo verbo manca nel eodice. Con questa conclusione però non vogliamo noi affermare che il co- dice sia correttissimo ; perchè ha esso pure gli errori suoi e non pochi. ANTONIO BENCI. BELLE ARTI Di Ventura Vironi Architetto pistoiese del secolo XV. alunno di Bramante da Urbino. Discorso letto alla R. Accademia Pistoiese di Lette- ratura ed Arti, nell’ adunanza del 16 agosto 1821 dal Professore PeTRINI. Mu di coloro che vivendo ebber grido di egregi artefici, e dei quali la storia delle belle arti serba tut- tavia onorata memoria , ne hanno obbligo non meno all’ altezza del loro ingegno che alle occasioni che loro si offersero di farne prova, e per poco io dissi, alla for- tuna: la quale perchè non promosse per ugual modo e non assecondò la nascente reputazione di certi altri co- munque eccellenti ingegni, 0 per aver questi vivuto lontani dalle colte e popolose città, o per non aver quivi condotto veruna pubblica opera , ne ha lasciato cader dimenticato il nome; sebbene in qualche men considerata parte d’ Italia ne sieno rimaste opere de- gnissime d’ accrescer fama a taluno de’ più chiari arte- fici e più lodati. Ond’ è che avvenga , non di rado , al viaggiatore istruito d’ incontrarsi con maraviglia là do- ve ei meno lo si aspettava , in alcune di tali opere; e che in chiedere del loro autore , suoni talvolta al suo orecchio il nome di un’ artista presso a poco sconosciuto, e dimandi invano agli scrittori delle vite degli artefici o della istoria delle arti, notizie di lui e ragione del non meritato silenzio in che è stata tenuta la di lui memo- ria. Lo che per tacer d’altri è pure avvenuto di /'ertura V'itoni architetto pistoiese vivuto in una delle più fio- renti età delle belle arti; del quale poche cose ha 106 È detto il Yasari ricordandolo nella vita di Bramante da Urbino di cui fu discepolo e famigliare. E di lui parlando pur d'altro titolo non gli è cortese che di quello di falegname ; ancorchè non taccia di lui che Bramante adoperollo nelle opere sue, e che aveva buonissimo in- gegno, e disegnava assai acconciamente . Or quello che al suo proposito soggiunge , siccome serve ad illustrare la istoria delle nostre arti, e la più insigne opera di ar- chitettura di che si pregi questa città, così merita par- ticolare osservazione, e di esser pur riferito colle sue proprie parole. Costui (scrive adunque il Vasari (1) di questo nostro concittadino) si dilettò assai in Roma di misurar le cose antiche, e tornato in Pistoia per ri- patriarsi seguì che l’anno 1509 (e qui deve emen- darsi e dire l'anno 1494) in quella città una nostra Donna che oggi si chiama della umiltà, fece mira- coli, e perchè gli fu porto molte limosine, la Signoria che allora governava deliberò fare un tempio a onor so. Perchè portasi questa occasione a Ventura fece di sua mano un modello di un tempio a otto facce con un vestibulo o portico serrato dinanzi, molto or- nato di dentro, e veramente bello. Dove, piaciuto a quei Signori e capi della città, si cominciò a fab- bricare coll’ ordine di Ventura, dal quale furon fatti i fondamenti del vestibulo e del tempio, e finito af- fatto il vestibulo che riuscì ricco di pilastri e cor- nicioni d’ ordine corintio e d’ altre pietre intagliate, e con quelli anche tutte le volte di quell’ opera fu- ron fatti a quadri scorniciati pur di pietra, pieni di. rosoni. Il tempio a otto fucce fu anche dipoi con- dotto fino alla cornice ultima dove si aveva a vol- (1) Vita di Bramante da Urbino Architetto . SE e E ZZZ T_T 107 tar la tribuna mentre che visse Ventura. E per non . esser’ egli molto esperto in cose così grandi, non. con- siderò al peso della tribuna che potesse star sicura, avendo egli nella grossezza di quella muraglia fatto nel primo ordine delle finestre, e nel secondo, dove sono le altre, un andito che cammina attorno; dove egli venne a indebolir le mura, tantochè essendo quell’edifizio da basso senza spalle era pericoloso il voltarlo, e massime negli angoli delle cantonate dove aveva a spignere tutto il peso della volta di detta tribuna. Laddove dopo la morte di Ventura non è stato Architetto nessuno che gli sia bastato l’ ani- mo di voltarla...tantochè U anno 1561 vi fu chia- mato Giorgio Vasari il quale ne fece un. modello che alzava quell’ edificio sopra la cornice che ave- va fatte Ventura otto braccia per; fargli le spalle, e ristrinse il vano che và d' attorrio tra muro e muro dell’ andito; e rinfiancando le spalle e gli angoli, e le parti di sotto degli anditi che aveva fatti Ven- tura sotto le finestre, gl incatenò con chiave grosse di ferro doppie sugli angoli,chel’ assicurava di ma- niera che sicuramente si poteva voltare, e ju dato ordine che si facesse. Fin qui il Vasari medesimo. Ora un nostro concit- tadino ed accademico (2) nell’opera che sta per lui pub- blicandosi per modo di guida al forestiere istruito nelle belle arti per la città di Pistoia, di che era desiderio da lungo tempo, ha supplito (anche emendandolo in parte) a quello scrittore in proposito di quanto egli scrive di Ventura. Vitoni , e del magnifico tempio da lui dise. (2) Il sig. Cav. Francesco Tolomei amantissimo e perilissi- rib delle helle arti. 108 ‘ gnato in questa città , e che , soprapreso da immatura morte (3), non potè trarre a fine. Il quale edifizio è bensi il principale, non però il solo che egli tra noi conducesse. Perchè a lui pure è dovuto, per tacer dei disegni delle chiese di S. Chiara e della Madonna detta del letto, il modello della elegante chiesa di Sar Giovanbattista. Dove qualsisia tra i periti di cose d'arti ravvisa alla prima lo stile di Bramante, del quale o raro o niun’ ragguardevole esempio, s' incontra fuori di Roma e degli stati ecclesiastici. E quanto all’ atrio o vestibulo della nostra chiesa dell’ Umuiltà soleva dire un valent’ uomo che dopo aver vedute le grandi cose della moderna architettura in Roma, ella è pur tal fab- brica questa, che trae a sè l’attenzione , e comanda la meraviglia a chiunque in lei volga lo sguardo. Onde è da considerare se al compimento del tempio ‘incò- minciato dal Vitoni, e lasciato per morte imperfetto , abbia provveduto, come a tanto principio si conveniva, . il Vasari, che pur si diè vanto di farlo più ricco ; e di maggior grandezza e ornamento, o con miglior propor- zione di quel che avesse immaginato il falegname pi- stoiese. Su di che noù sarà forse inutile che io ripigli un poco più d’ alto il mio discorso . L’architettura, anche di più special modo che le altre arti sorelle, ha in sè due parti: luna di ragion dell'ingegno , e per così dire scientifica ; Vl altra di ra- gion del buon gusto. Questa alla grazia, alla bellezza e al decoro dell’ edifizio presiede e dà ordine; quella in- tende alla convenienza delle di lui parti coll’ uso, e alla sua fermezza e stabilità. Nell’ una, qualunque delle (3) Si crede mancato ai vivi poco dopo il 1509; nato verso ‘la metà del secolo precedente. 109 quali è raro di conseguire eccellenza ; più raro ancora di porla insieme perfettamente d’ accordo: nel che par- mi consistere il supremo scopo dell’ arte. Vedete di che modo all’ una e all’ altra di esse intendessero gli anti- chi nella più perfetta che delle loro fabbriche rimanga tuttavia in Roma, raro. modello d’ arte scampato alle ingiurie dei barbari, la Rotonda o il Panteon d’ A- grippa. Ne altro edifizio di simil genere è stato archi- tettato di poi che non pur lo vinca nell’ euritmia delle forme, nelle grazie ed eleganza delle parti, nella solida e ben ordinata costruzione, ma che possa solamente com- pararsegli. E tuttavia per uno sfoggio di superate diffi- coltà , per un insolito e quasi soverchiante ‘ardimento , havvi non una sola ma molte tra le moderne fabbriche, che a quell’ antica vanno di lungo tratto innanzi; e ne bastino ad esempio la cupola del Brz7e//esco in Firen- ze; e il miracol dell’artetin Vaticano, che ne diè V’in- gegno di Michelangelo! ‘Perchè ad essi non parve assai di levar da terra quelle moli al di là di quanto era stato: - non che praticato ma pur immaginato dagli ‘antichi ; ma vollero soprapporre ad esse, e sulla più debol parte, il carico di quelle larzerzze come di un secondo edifizio sul primo, per aggiungere alla maraviglia della straor- dinaria altezza quella di tanto ardire. I quali esempli pare che si proponesse il Vasari, tanto minore di quei grandi maestri, quando venne qua chiamato a voltar la tribuna della nostra chiesa dell’ Umiltà: nè a lui piacque di muoverla secondo l’idea del Vitoni dal terzo ordine dov'era rimasta interrotta la fabbrica; ma ci volle aggiunto quel falso ordine o attico sul quale posa la vol- ta da lui girata. E quel che è più, egli si fece ragione (secondochè abbiamo giù osservato riportando le sue pa- role) di questo arbitrio , dichiarando che il piè diritto 110 innalzato da Zertura per base della progettata tribuna non aveva bastante stabilità; e che sarebbe stata cosa di molto pericolo il voltarle al piano da lui divisato. Nè venne ad accorgersi che. le otto braccia d’ altezza aggiunte al piè dritto per costruire quel. disgrazia- to attico, toglievano assai. più alla reale stabilità della fabbrica , o alla resistenza che il piè dritto oppor doveva alla spinta della volta , di quello che ac- erescer potesse alla stabilità medesima il maggior cari- co della spalla ei rinforzi esteriori che aggiunse in basso ristringendo il vano delle arcate di pietra del pri- mo ordine e cuoprendo l’ intrados delle loro volte con quei miserabili ‘archi eè pilastri di mattoni, i quali han recato un visibile sfregio a quella elegantissima pacte di fabbrica; perchè quella giunta; è assolutamente fuor d’ ogni ragione di buon gusto , e per essa son rimasi nascosti gli ornamenti dei fogliami e rosoni interni dei sott’archi di pietra, i quali erano stati con bellis- sima simmetria ordinati al modo stesso, col quale si vede condotto il primo arco d’ingresso per cui dall’atrio o vestibulo si passa nel tempio. E mentre querelavasi l’ architetto aretino di poca stabilità nei piè dritti sui quali erasi proposto il Vitoni di assestar la tribuna, ei pur ne caricava il serraglio con quella gravissima cupoletta o lanterna che veggiam sovrastarie , e ne girava in archi di cer- chio gli sproni: tantochè per resistere alla soverchia spinta dei fianchi è stato di necessità aggiungere quei quattro ordini di catena di ferro che allacciano |’ e- sterior parte della cupola . Ma Je fabbriche ben' i- deate , diceva egregiamente uno dei maestri dell’arte, voglion sostenersi da per loro stesse, non reggersi colle stringhe : e queste catene sono il miserabil ri- 113 . fugio , e ben spesso inefficace , di quei meschini archi- tetti che non sanno calcolar bene nelle fabbriche le leggi e l'equilibrio delle potenze e delle resistenze, che dall’inerzia, dal peso; e dalle spinte dei loro materiali , e delle loro parti derivansi, onde assicu- rarne la stabilità . Sebbene in quanto all’idea ch’ ebbe il Vasari nel caricar la tribuna:della Chiesa dell’ U- miltà con quella lanterna o cupoletta che le sovrap- pose, egli è in certo modo sensibile d’aver errato perchè errò in’ compagnia di ‘altri grandi maestri dell'età sua, e delle precedenti. E basti citare il Brunellesco ; il quale vicino al compimento della stupenda sua opera della cupola di S. Maria del Fio- re di Firenze, nel divisare il progetto di quella sua cupoletta o lanterna non d’ altro mostrava aver cura che di contrastare col carico della medesima alla so- gnata tendenza del colmo della tribuna @ saltare in aria per la spinta dei ‘fianchi : onde non sapeva contentarsi tanto che bastasse d’avere architettato con maraviglioso peso di materiali in quella lanter- na. E perchè non ebbe tempo di vità a poter ve- derla compiuta e collocata al suo posto, Zasciò per testamento ( secondo che il Vasari ne scrive (4) ) che tal come stava il modello, murata fosse, e come aveva posto in scritto ; altrimenti protestava che la fabbrica ruinerebbe essendo volta in quarto acuto, che aveva bisogno che il peso la caricasse per far- la più forte. Tantochè nel veder raccolti e presti ad esser messi in opera i materiali di pietra e di mar- mo , di che quella lanterna doveva esser formata 4 (4) Vita di Filippo Brunelleschi Scultore ed Architetto fio- rentino . 112 stupivano tutti ( soggiunge il Vasari; ) che possibil fosse ch’ ei volesse, che tanto peso andasse sopra‘a quella volta. Ed era opinione ‘di molti ingegnosi , che ella non fosse per reggere; e pareva loro una gran ventura ch'egli 1’ avesse condotta fin quivi, e ch’ egli era un tentare Dio a caricarla sì forte. Nè in ciò, cred’ io, andavan costoro affatto lontani dal vero. Che se quella magnifica e bellissima. fabbrica è riuscita ad esser di tanta stabilità e fermezza , di quanta si è pur veduto esser capace- in processo di tempo (5), ciò non è da attribuire al carico della lanterna, ma bensì all’ ingegnosa costruzione della sua curva, alla solidità dell’imbasamento e dei pi- lastri, al. maraviglioso icontrasto e collegamento de- gli sproni e, dei fianchi ; tantoche quell’ immenso carico levato in capo della fabbrica ha servito me- glio. a cimentarne che ad. assicurarne la stabilità. Non è questo il luogo di far conoscer l'origine di tanto errore, in cui. si sono rimasti per lungo tem. po gli Architetti, finchè la luce che derivessi dalle” sperienze. e dalle dottrine del Galileo, nome che non si rammenterà mai dagli italiani senza, venerazione e senza commuoversi di patrio amore, non ebbe illu- sìrati i veri principj deila statica degli edifizj . Il fatto stà che questo errore influì fatalmente, secondo che dissi; sulla costruzione «delia tribuna ideata dal Vasari per la fabbrica della Chiesa dell’ Umiltà . E nella controversia che circa un secolo dipoi si suscitò intorno alla stabilità della elegantissima cupoletta che (5) Del vecchio e nuovo gnomone fiorentino e delle osser- vazioni astronomiche, fisiche ed architettoniche fatte per ve- rificarne la costruzione, del P. Leonardo Ximenes . "I 113 ne corona l’ atrio, disegnata da Ventura Vitoni ; ( controversia alla quale han relazione quei documenti istorici di cui, son’ ora tre anni, ‘ragionai all’ acca- demia ), fu abusato stranamente di questo falso prin- cipio dal provveditore di detta fabbrica, opinando che il peso delle asticcivole del tetto , le quali si trovarono appoggiate sul colmo o serraglio della cu- poletta , doveva assicurare piuttosto che far temere sulla di lei stabilità. E quel semplice uomo veniva immaginandosi . che il Vitoni, cui ‘prestava i suoi strani concetti, avesse preordinato questo carico allo scopo di render più ferma e più solida la piccola cu- poletta costruita in foggia d’emisfero, a bellissimi cunei di pietre tagliate a rosoni ; quasichè avesse egli creduto con il comune degli architetti , che la spinta de’ fianchi fosse da tanto, senza il sovrastante carico del serraglio, a levare in aria il colmo della tribu- na, e disfarla. Bene a questa sentenza si oppose in una giudi- ziosa replica che forma parte degli allegati documen- ti, un’ anonimo meglio addottrinato ai veri principj dell’ arte, e alla cognizione delle leggi ‘della statica. Fece egli vedere che tutt’ altro che quello si era stato il divisamento del ZY'îtori , e che in quel raro intel- letto non aveva potuto capire l’ errore che gratuita- mente se gli attribuiva. Pur, come accade , il par- tito di chi meno aveva di ragione, ma più di auto- rità , per allora prevalse : se non che l'evento mostrò dipoi , quanto a torto si fosse contrariato al divisa- mento del Z'itori , e alla opinione di chi ne avea propugnato ingegnosamente il decoro . Perchè veden- dosi di ‘più in più menomar la fermezza della cupo- letta, e cedere all’estranio carico accidentale sovrap- 114 postole, fu d’'uopo rinvestirla, e torre occasione per sempre all’armatura del tetto di premere il serraglio della medesima ,rialzando l’intera coperta dell’ atrio nel modo che altia intenta si vede. Del resto, la discussione che a tal proposito insor- se, è oggimai un secolo e mezzo, poco avrebbe di che interessare l’istoria dell’arte, ove non ne risultasse la cognizione di un fatto che ridonda certamente in som- ma lode del nostro Zentura Vitoni: cioè, che ben un secolo innanzi al Galileo, e quando i maggiori ingegni di quella età non troppo ben sentivano intorno a certi particolari della statica delle fabbriche, mon solo aveva egli saputo andar’esente dal comune errore, ma aveva inoltre fondate le sue costruzioni delle tribune o volte a cupola sopra un principio direttamente opposto a quello del Brunellesco e di Michelangelo ; meritò grandissimo per lui di aver’avuto ragione dove chiaris- simi uomini, avevan torto, e di avere antiveduto con sicurezza in questa difficil parte della statica degli edi- fizj quello di che altri non s° avvisò se non che dopo Galileo . E questo vorrei che fosse il principale argomento d’elogio al nostro Yentura Vitoni, quando pur si ri- destasse in patria un senso d'amore e di riverenza ver- so i grandi uomini che ne ban formato il decoro. Ma intanto che le pareti de’ pubblici edifizj ridondano tra noi di monumenti e di fastose iscrizioni in cui sole s0- pravvive la memoria di uomini de’ quali ogni onorata nominanza si tace, non è lapide, non imagine , che di quell’ egregio concittadino ci parli, ed appena tra noi si ricorda il suo nome. Di che prenderei invero ammi- razione, se men conoscessi la età nostra, e la vanità dei presenti uomini. Ond’ io mi conforto d'avere, al- A * 115 meno in quanto per me si poteva, renduto a lui questo breve tributo di lode: che veramente parevami troppa ingiustizia questa sì grande e sì universale dimentican- - za di quel valoroso; ben meritevole d'altro titolo che di quello di falegname datogli dal biografo Aretino . Ma ì pregj di quel chiaro ingegno non verranno adom- brati tuttavia per volger di età : e finchè di lui rimar- ranno l Atrio e la Chiesa dell’ Umiltà, di ch’ egli adornò la patria; finchè l’ultima favilla di buon gusto e di sentimento per le arti belle non sarà spenta in Italia, non vi sarà amico o cultore di queste che allà vista di quell’ edifizio , tutto che deturpato nelle mi- gliori sue parti, non ricordi con riverenza e con am- “mirazione il nome d’ un artista che seppe rinnovar fra noi gli esempj inusitatì della greca architettura , e che all'età sua non fu certamente secondo fuor che al sole Bramante. Pietro PETRINI. Ritratto di Giutrawo DE MepICI. Questo quadro é in tavola dipinta a olio . È alto un brac- cio e un sesto, e largo cìnque sesti di braccio. Una tenda, o portiera, di seta verde è nel fondo del qua- dro. Innanzi ad essa ma în modo tale che ne sembra discosto 4 è un giovane vestito tutto di nero, con toga e berretta guar- mite di velluto. Nè altro ornamento ha il quadro, o la figura, se non che a questa pende sul petto una collana d’oro coll’ in- segna dell’ordine di S. Michele. E neppur la figura è intiera : non essendovi che la testa sua e il busto fino alla metà , 0 cir- ca, delle pendenti braccia. Ma dalla semplicità di questa com- posizione nasce maggiore elogio all'artista, che ne fa dipintore, poichè seppe fare con lievi mezzi uno stupendissimo quadro . 116 I professori, tutti d’ accordo , l’ ammirano. E il Barone di Ru- mohr ‘ha dichiarato nel giornale tedesco, Kunst-Blatt , essere questo ritratto uno de’ più belli che abbia mai veduto. Egli però, muove alcun dubbio intorno all’ origine del qua- dro. Lo giudica ottimo , e dipinto nella scuola fiorentina dal 15r0 al 1520: ma non osa affermare che sia di Leonardo da Vinci, benchè non lo possa attribuire nè al Frate, nè ad Andrea, nè ad altri valentissimi pittori di quella medesima età. E quanto è alla figura dipinta, vi trova tutte le sembianze della fami- glia Medici discendente da Cosimo padre della patria: ma cre- de che rappresenti Lorenzo, Duca d’ Urbino, perchè gli sem- bra che abbia lo sguardo altiero e signorevole, e perchè ha quell’ ordine cavalleresco di Francia. Lorenzo infatti si sposò con Maddalena di Brettagna, e tenne a battesimo , in vece di Papa Leone X eletto a patrino , un figlio di Francesco I. Sic- chè ricevendo egli moltissimi onori da quel Monarca , ne ebbe forse anche l’ ordine di S. Michele . Ma poteva averlo pure Giuliano, fratello di Leone X, il quale si ammogliò con Filiberta di Savoia, zia materna di Fran- cesco I; e che essendo dipoi prefetto di Roma, Generale e Gonfaloniere della Chiesa , ricevette il titolo di duca di Nemur- so da quel medesimo Re di Francia. Nè il viso, nè gli occhi, nè la guardatura della dipinta effigie non hanno quella fierezza, che potrebbe corrispondere alla superbia di Lorenzo. I linea- menti e le fattezze del volto son delicate: la fisonomia è beni- gna : sotto le palpebre è quella livida gonfiezza, che suole in- dicare ne’ giovani infermità della persona: e lo sguardo è vivo, fermo , e malinconico , siccome d’uomo che non è contento del proprio stato , e ne medita , e vi cerca e non trova riparo . Le quali particolarità si convengono coll’ indole di Giuliano , che era d’ animo buono’, e di salute fievole, mal sopportando il conte- gno de’suoi parenti, e dovendo soffrire i mali d’un lento e ir- reparabile morbo . Per queste ragioni danque, e per la semplicità della veste, e perchè tale ritratto è similissimo a quello di Giuliano che Miche- langelo scolpì in marmo nella sagrestia di S. Lorenzo (la quale somiglianza è manifesta ora che accanto il quadro è stata posta. una copia in gesso della testa fatta da Michelangelo ), bisogna convenire nell’ opinione di quelli che pensano esser quivi ritratto Giuliano e non Lorenzo . I 17 Giuliano sposò Filiberta nel 1514: fu fatto Duca di Ne- murso poco tempo innanzi la morte sua: e morì a dì 17 di Marzo 1516. Onde il suo ritratto fu eseguito al certo negli ul- timi due anni della vita sua, e forse alla fine del 1515, o in principio del 1516, dappoichè fu fatto Duca :\essendo cosa ve- risimile che egli ricevesse .l’ ordine di S. Michele insieme col titolo di Duca, allorquando Francesco I. venne a Bologna per abboccarsi con Leone X. nel mese di Decembre 1815. Ma nel 1513 andò a Roma nella creazione di Papa Leone , e condusse seco Leonardo da Vinci: il che dimostra con certezza, essere stato Giuliano amico e protettore di Leonardo . Nè questi an- dò alla corte di Francia prima dell’ anno 1516, perchè Fran- cesco I. fu eletto a Re nel 1515, venne subito in Italia, oc- cupò il Milanese nell’estate, si trovò a Bologna nel Decembre, e non ripassò le alpi se non dopo quel tempo. Sicchè dobbiamo noi forse dubitare che il suddetto ritratto non sia opera di Leo- nardo, mentre gli argomenti storici, la bellezza della dipintu- ra , e la gratitudine del pittore verso Giuliano, son tante pro- ve dell’ esser suo? Facendone confronto colle altre dipinture del ‘Vinci , vi si trova del tutto la sua medesima maniera . Ed anche nella collana , che è dipinta con sommo magistero , si ri- conosce l’arte sua di disegnare gruppi di corde ; al quale stu- dio sappiamo ch’ ei pure attendeva. In somma, uno de’ nostri presenti artisti, che è perfetto conoscitore della scuola fiorenti- na, diceva negli scorsi giorni guardando il mentovato quadro : se questo non è di Leonardo , io non so chi allora fosse ca- pace di farlo. L’effigie di Giuliano apparisce nel quadro, co- me se riflettuta fosse da uno specchio, in cui egli vivendo si mirasse; tanto è naturale e finita. Questo quadro è ora in vendita appresso Luigi Nardi. Spe- riamo che possa rimanere in Tosgana . ANTONIO BENCI. T IV. Ottobre 8 118 GEOGRAFIA, VIAGGI re. Giornale di un Viaggio per discuoprire un pas- saggio nord-ovest dall’ Atlantico al Mar Pacifico , eseguito negli anni 1819 - 20. co° vascelli di S. M. Britannica l’ Hecla , e il Griper, sotto gli ordini di Gueriezmo Epvuarno Parrr KR. N. F. R. S. Coman- dante della spedizione ; con un’ appendice , che con- tiene la parte scientifica, ed altre osservazioni ; pub- blicato dietro V autorità dei Lords Commissarj dell’ Ammiragliato . Londra 1821. Estratto dal Quarterly Revievy . ( Vedi Tom. I, pag.'155- e 305. } > S. il passaggio nord - ovest alla China, ed ai paesi Orientali , che pel corso di due secoli e mezzo non ha quasi mai cessato di formar l’ oggetto di sollecite inda- gini, non è stato ancor coronato da un esito corrispon- dente al desiderio; almeno adesso sì può asserire ,, che il ghiaccio è spezzato ,, e la prima parte del viaggio è stata compiuta. Cade in acconcio il rammentarsi, che al ritorno della prima spedizione , nuvi palesammo essere convinti che esistesse una comunicazione tra la baja di Baffin, e il mar Polare, e tra questo e il Paci- fico, aggiungendo, che la nostra convinzione , ben lungi dall’ essere nella più piccola parte indebolita da quanto avea fatto il Capitan Ross, era non poco con- validata da ciò che avea tralasciato di fare. E sebbene non potessimo assumere l’ impegno di dichiarare positi- vamente con 2zrleigh , che esaminando la Groezlan- dia è evidente esser essa un'isola, e che non è in ve- runa parte congiunta all’ America , nondimeno conce- 119 pimmo un leggerissimo dubbio che tutte le coste occi- dentali dello stretto di Davis, e della baia di Baffin fossero una continuata catena d’isole ; e quel dubbio si trasformò in certezza fin dal momento , che fummo assicurati dell’esistenza di quei numerosi passaggi, che Baffin, per difetto di più atta espressione, nominò sounds (1). Bastò che la semplice apertura di uno di questi sords fosse esaminata, e descritta con mani- festo errore, per porci in grado di formare almeno un’i- dea più corretta di ciò che nor era. Non facea d’ uopo essere straordinariamente scettici per non ammettere l’ esistenza di montagne gratuitamente asserite, o di un ghiaccio continuo sopra la superficie di un mare profondo cento braccia, e alla temperatura di 36. ; non faceva mestieri di una estesa penetrazione per ri- gettar fatti allegati , fisicamente impossibili , e per di- Spregiar asserzioni , che presentavano in loro medesi- me la propria confutazione . In verità l’opinione che noi formammo della baja di Baffin, dietro Sir Giacomo di Lancaster era quella di qualunque lettore non prevenuto ; e adesso dietro le istruzioni del Capitan Parry noi troviamo che lesa- ‘ me di questo passo dovea reputarsi il primo, e il più interessante oggetto della sua ricerca. Il resultato è sommamente lusinghiero per questo distinto giovane ufiziale; ma ci sarà forse condonato se in questa occa- (1) Se il viaggio del Capitano Ross non offerse alcun re- sultato , almeno rimosse tutte le dubbiezze sull’ autenticità del terzo viaggio di Baffin, mediante la straordinaria coincidenza della carta della baia di Baffin colla medesima porzione di Una carta polare annessa al viaggio stampato di quel provetto mavigatore . 120 sione arrischiamo di attribuirci in parte il merito di: avere riprodotto alla luce il soggetto di un passaggio nord-ovest; di aver sopra quello tenuta viva la pub- blica attenzione col raccogliere, ed esaminare i rap- porti, e i fatti relativi alla questione , e che potevano: renderne probabile l’esistenza , e il riuscimento ; come pure di avere i primi suggerito ( proponendo come mezzo del più atto incoraggimento ) una graduata scala di ricompense, che essendo quindi adottata dal Parla- mento, ha prodotto il vantaggio che sia stata elargita una sommia di denaro, oltre all’ onorevole contrasse: gno di stima , a favore del Comandante della spedizio- ne, e de suoi scri e meritevoli compagni. Per questi avvenimenti noi al certo proviamo non lieve esultanza ; e specialmente perchè 1° onore del ritrovamento di un aperto passaggio dalla baia di Baftin al mar Polare è stato riserbato alla marina Bri- - tannica; a quella marina, la quale dopo aver soste- muta la sua parte con successo in una guerra di venti auni, sotto gli auspicj di Giorgio 1V. è destinata a co- ronare Je brillanti geografiche scoperte, con questa , e quasi diremo, l’unica rimasta a farsi, CIOÈ , D'UN PASSAG- GIO NORD-OVEST DALL'ATLANTICO AL MAR PACIFICO; ri- cerca che cominciò ad interessare sotto Enrico VII, fu quindi caldamente patrocinata da Elisabetta, e non mai interamente perduta di vista ne’ regni successivi . Le basi sulle quali fondiamo le nostre speranze , le pa- leseremo dopo aver dato un breve ragguaglio di quanto è stato eseguito nell’ ultimo viaggio, e de’ fatti , e delle osservazioni , che esso ci ha somministrate per l’avan- zamento della geografia , e delle scienze . La narrazione di questo viaggio è stata compilata dal Capitano Parry a forma di giornale; e dopo la più dice iu tà uiiaecè-eiinniÉ en ie RE ita i È 3 È A 121 attenta lettura possiamo con intera fiducia asserire, che pochi libri ci hanno offerto occasione più propizia di lodare, o minor campo di censurare; e che niuno ci ha ispirato maggior rispetto pel carattere dell’ autore. In quest’ opera non si trova. veruna presunzione , non arte di sedurre, o d' illudere il pubblico ; non istorie maraviglivse capaci di disgustare i dotti, e di rendere estatico l’ignorante; non uso di ampollose figure ; non versi tolti a piacere per abbellire il racconto; non rap- presentazione di straordinarj oggetti, parto di riscal- data fantasia; ma al contrario, uno schietto raggua- glio di fatti, edi avventure, e di scientifiche osserva- zioni fatte con la più scrupolosa accuratezza , e narrate col linguaggio il più chiaro, e il più semplice . Le due navi, 2 Mecla bombarda, e il Griper brigantino sì trovarono pronte a partire il 4. maggio 1819. e poichè il Luogotenente ( ora Capitano ) Parry era sommamente desideroso di arrivare il più presto possibile allo stretto di Davis, essendo il vento contra- rio, esse furono rimorchiate da una barca a vapore . Il 20 dello stesso mese passarono ad Orkneys, e il 24 giunsero a scorgere il piccolo isolato scoglio detto Rockal; nella qual occasione il Capitan Parry osserva che « non vi è forse prova più atta a persuadere « dell'infinito pregio dei cronometri quanto la certez- » za, con cui un bastimento può veleggiare diretta- « mente ad uno scoglio segregato simile a questo, che « sorge fuori del mare , ed alla distanza di quaranta- « sette leghe da ogni terra. » Al 15. di giugno apparve alla loro vista il capo di Farevvell alla lontana distanza di più di quaranta leghe; attribuirono questo agli effetti dell’ atmosfera chiara, ed umida , combinati insieme colla refrazione, 122 e l'altezza del capo medesimo. Tre giorni dopo s'im- batterono nelle primè montagne di ghiacci galleggianti, e sperimentarono subito una Av presi di 3. di Zah- renheit. La temperatura del mare presa ad una con- siderabile profondità , e che era stata fin allora unifor- memente più bassa, 0 prossimamente eguale a quella della superficie, era allora più alta alla profondità di 260 braccia (1), segnando 39.°, mentre quella della super- ficie era solamente 37.° e quella dell’ aria 35.°; la lati- tudine nel tempo di questi esperimenti era 59.° 40: e quì deesi osservare una volta per sempre, che la tem- peratura del fondo del mare, o ad una considerabile profondità , si trovò essere costantemente in tutto il viaggio più alta di quella della superficie dell’acqua, ‘quando questa era prossima al punto di gelare; lo che è precisamente il contrario di ciò, che accade entro i mari delle zone temperate, e della torrida . AI di 24. nella lat. 63° 34° 24.” long. 61° 34 28” le navi si accostarono ad una lunga catena di monta- gne di ghiaccio ed altri pezzi galleggianti, i quali verso ponente presentavano una superficie uniforme non in- terrotta. Il moto del mare spingeva le masse pesanti contro il timone, con tal violenza , che avrebbe messo in pericolo il miglior vascello costruito col solito artifi- zio; nondimeno uscirono dal pericolo senza alcun danno. Non fu che il quinto giorno che posto in uso ogni mezzo, loro riuscì di tornare indietro verso le acque libere dalla parte di levante. Mentre erano così cinti dai ghiacci, V equipaggio del Griper aveva ucciso un orso attratto dall’ odore di alcune aringhe rosse a bella posta arrostite , pratica già (1) S' intende qui il 3raccio marino che è di piedi 6. inglesi. Nota dell’ editore . 123 usata dai pescatori della Groenlandia per allettare que- sti animali . Avauzandosi verso il nord lungo.i ghiacci, le due navi traversarono il circolo artico ‘il 3. di luglio, a- vendo in quel giorno trascorse per lo meno cinquanta montagne di ghiaccio di larga dimensione; e in quello susseguente una più estesa catena di maggior grandez- za, contro cui una precipitosa ondata da. mezzo giorno, urtando lo smosso ghiaccio con tremenda forza , lo sol- levò fino all’ altezza di più di cento piedi, ed essendo accompagnato da un forte strepito precisamente sl mile al fragore di un lontano tuono, presentò una sce- na sublime a un tempo, e spaventevole. Quindi il Ca- pitan Parry nuovamente spinse il suo vascello a tra- verso il ghiaccio colla mira di portarsi all’ occidente, ma si fece bonaccia; lo che impedì di continnare a far . cammino; ed egli osservò che accadeva tal cosa inva- riabilmente, ogni qual volta si trovava rinserrato fra i ghiacci; benchè realmente fosse fresco il vento, questo andava cessando all’ingresso, anco all'avvicinamento dei massi di ghiaccio di poca estensione, e di non considera- bile altezza sopra il livello del mare. Egli fu perciò nuo- vamente forzato a tornare indietro, e a rimanersi piutto- sto verso il settentrione, navigando fra varie montagne di ghiaccio, dalle quali scorrevano precipitosamente per ogni parte correnti d’ acqua la più pura. Tra una di queste, montagne nella lat. 72° 57° 31” ed un ammasso di ghiaccio, l’Hecla fu quasi in procinto di esser colto, come dicono i pescatori di balene , che vuol dire schiae- ciato. Questa montagna era circa a 140 piedi alta, sulla superficie del mare, e dagli scandagli fatti 120 braccia sott'acqua, così che la sua totale altezza pro- babilmente eccedeva 800 piedi. 1 bastimenti erano al- 134 lora circondati da un immenso numero di queste masse di ghiaceio , delle quali il Cap. Parry asserisce non averne contate meno di ottanta otto . Erano allora giunti alla latitudine di 73.°, dopo molti tentativi inefficaci per traversar la corrente di ghiaccio, che occupava la parte centrale dello stretto di Davis , e della baia di Baffin ; e non volendo il Capi- tan Parry oltrepassare la latitudine dello stretto di Lan- caster, a cui le sue istruzioni in modo particolare lo dirigevano , egli si determinò a fare il tentativo di pe- netrare nell’agghiacciata barriera, affine di guadagnare il mare aperto , che V esperienza del primo viaggio lo avea indotto a credere dover trovarsi verso la costa oc- cidentale. Il settimo giorno dopo esservi entrato, gli accadde felicemente di giugnere all’acqua aperta , non poco sedisfatto di aver superato ogni impedimento. La larghezza di questa barriera di ghiaccio fu calcolata di circa a ottanta miglia; e per tutto quel tratto , col soc- corso delle vele, coll’aprirsi delle traccie, adoperando argani, e segando ove occorreva, essi fecero dietro un loro computo circa a dodici miglia al giorno, ossia un mezzo miglio all’ora. Il mare era sì profondo, che a 300 braccia di scandaglio niun sostegno poteva trovarsi; i bastimenti aveano acquistato un moto beccheggiante; le onde cre- scevano considerabilmente; nessun ghiaccio appariva in qualsivoglia direzione, e la temperatura dell’ acqua era salita dai 31° e dai 33° ai 37%; ma abbassò nuova- mente ai 32° e 33° all'avvicinarsi di due, o tre mon- tagne di ghiaccio vicino alla foce dello stretto . S’accor- sero allora di esser contornati da una gran quantità di balene: non meno di ottantadue di vastissima mole ne fyrono contate nel corso del giorno. Il di 30. luglio rsa iù ria are 125 sì fermarono per sbarcare ne’ contorni di Possession bay ; precisamente un mese prima che nel 1818, ben- chè la spedizione di quell’ anno avesse lasciato 1° In- ghilterra circa quindici giorni più presto; vantaggio, che il Capitan Parry attribuisce interamente alla con- vinzione, che egli sentì ( come noi abbiamo osservato ) doversi trovare un mare aperto dalla parte occidentale della barriera di ghiaccio . Il 31 luglio essi sbarcarono al luogo, da loro vi- sitato l’anno precedente. Le aste delle bandiere esi- stevan tuttora ; il terreno era libero dal ghiaccio, e dal- la neve ; e le loro antiche vestigia sulla sabbia scorge- vansi tuttavia come se fossero impresse pochi giorni avanti: circostanza che mostra quasi ad evidenza che pochissima pioggia, o neve poteva esser caduta dopo il tempo dell’ ultima loro visita. Gran quantità di musco, ed erba vedeasi nella vallata, ed apparivano tracce di orsi, e di rangiferi; ma le sole creature viventi che cad- dero sotto i loro sguardi furono una volpe, un cervo, pochi ri. - plovers (1), ed un’ape salvatica. La longi- tudine riconosciuta per mezzo dei cronometri, differi- va solamente di un minuto e mezzo da quella dedotta da uno di Earnshavv nell’ anno decorso; e le osserva- zioni sulla variazione, e l’ inclinazione dell’ago magne- tico dettero prossimamente i medesimi resultati. ; I nostri naviganti erano allora sul punto d’inol- trarsi ad esplorare il gran sound , o passaggio, che era divenuto tanto celebre per la diversità delle opinioni manifestate relativamente alla sua estensione, e con- fni. « Noi tutti, dice il Capitan Parry, eravamo « compresi dal pensiero , che quello era il punto del ‘1) Sorta di piviere . 126 « viaggio il quale dovea determinare l’ esito felice, @ « sinistro della spedizione , secondo che una , o un’al- « tra delle opposte opinioni espresse venisse ad‘essere « convalidata » . Cio ben tosto fu deciso, poichè un vento di levante , e la forza delle vele gli spinse rapi- damente verso ponente . 19 più facile d’ immaginare , che di descrivere la. sollecita ansietà che traspariva in ogni volto ; allorquando sorse in, nostro favore un buon vento fresco, noi ci lusingammo di trascorrer ben presto lo stretto. Su gli alberi maestri vedeasi una corona di ufi- ziali, e di comuni per tutto il dopo pranzo , ed un disinteressato osservatore , se pure alcuno lo poteva essere in tale occasione , avrebbe provato piacere in vedendo l’ ardore, con cui erano ricevuti i rapporti delle sentinelle , tutti fin allora favorevoli alle nostre ardenti speranze -- p. 31. Prima della mezzanotte la loro sollecitudine re- spettivamente all’ allegata continuazione di terre oltre il supposto confine di questo grandioso passaggio, era quasi cessata , ed essi trovavansi pienamente convinti che le azzardate asserzioni , pitture, e descrizioni del precedente viaggio erano affatto gratuite. In ciò non potevano ingannarsi ; poichè il tempo essendo molto sereno , e i bastimenti ormai giunti alla longitudine 83° 12°, le due spiagge del passaggio apparivano pro- lungarsi per più di cinquanta miglia da ambedue i lati, e niun indizio di terra poteva discuoprirsi dalla parte di occidente. Alla vasta apertura nella spiaggia setten- trionale il Cap. Parry diede il nome di baja di Cra- ker , trasformando come per incantesimo in un largo e non interrotto passaggio quell’ imponente ed insupè- rabile catena di montagne assegnata dalla prima spe- dizione , a cui era stato dato il nome di un segretario dell’ammiragliato. In fatti non montagne, non ghiaccio, Pe 1 27 nè altro ostacolo reale, o immaginario s’ opponeva alla navigazione del Capitan Parry. In questo magnifico stretto, o passaggio; la spedi- ‘zione si avanzò rapidamente dalla parte occidentale ; ‘niuna terra vedevasi nella direzione del suo corso, nè si trovava alcun fondo a 170. braccia di scandaglio , e altronde vedevasi l’intera superficie del mare affatto pri- va di ghiaccio , come in ogni altra parte dell’Atlantico . Noi cominciammo a lusingarci che ci eravamo veramente inoltrati nel mar Polare, ed alcuni de’ più audaci fra noi aveano anco calcolato la distanza del Capo /cy (1), non meno che la possibilità di colà recarsi come un oggetto di non molto diffi- cile, 0 improbabile riuscimento . Questo piacevole prospetto , si rendeva aneo più lusinghiero dall’ avere il mare ripreso , co- me pensavamo , il consueto color dell’ Oceano , e dal vedere le lunghe onde che scorrevano da mezzogiorno bg ih Se- guitando però ad avanzarci sempre più lungi , la scoperta di una terra davanti a noi venne a intorbidare la nostra gioia ; e quantunque all avvicinarsi più d’ appresso si fosse in grado di distinguere che era soltanto una piccola isola , avemmo non- dimeno il dispiacere di rilevare che una superficie di ghiaccio , si estendeva da quella fino al lido settentrionale . Essi erano allora giunti alla long. 89° 18” 40” ; e l’acqua essendo tranquilla, l'equipaggio si occupò a tentare di uccidere alcune delle bianche balene , che in gran quantità ag ggiravansi intorno ai loro viali sull: animali però erano assai prudenti per non la- sciarsi di troppo avvicinare . Essi ci vengon descritti come aventi generalmente circa a diciotto , o venti piedi di lunghezza : sovente , come affermasi, si udiva- no gettare uno squillante grido non dissimile da quello dell’ armonica malamente percossa ; questo suono era più distinto quando 1’ animale era più basso del bat- (1) Ela punta più settentrionale , che sia stata scoperta sulla costa N.O. dell’ America , al N. dello stretto di Behring, e sopra al 70.” di lat. Nota dell’ Editore : 128 tello, e a parecchi piedi sotto a quello; e cessava inte- ramente al suo approssimarsi alla superficie . Un vasto passaggio sul lido meridionale largo non meno di cinque leghe al suo ingresso , e senza alcuna terra visibile nella linea della sua direzione, indusse il Capitan Parry a fermarsi dalla parte orientale lungo il confine del ghiaccio in un aperto canale, sperando che potesse condurre ad un più sicuro passaggio dalla parte occidentale , in una più bassa latitudine del pa- rallelo dello stretto di Barrow. I nostri naviganti os- .servarono, che appena entrati nello stretto di Lancaster, il lento moto della bussola e l' irregolarità cagionata dall’attrazione del ferro del vascello, aumentarono uni- formemente, e con rapidita allorchè essi si dirigevano verso occidente ; ma nel trascorrere questo passaggio , la forza del movimento diveniva minore a proporzione che progredivano . Giunti alla lat. 73.° fummo testimoni , per la prima volta del eurioso fenomeno del potere direttive dell’ ago, che diveniva sì debole da essere interamente superato dall’ attrazione del va- scello ; così che l’ ago allora poteva dirsi propriamente diretto al polo nord del vascello . Le bussole adunque per tutti gli oggetti della navigazione fin d’ allora divennero poco più vantaggiose del- le inutili masserizie . Un ago, in cui l’ attrito era presso che in- teramente impedito da un filo sospeso, fu osservato muoversi intorno col vascello , sempre inclinato costantemente alla prora in qualunque direzione gli accadesse di trovarsi . Laonde fin da questo punto si tralasciò di tentare alcuna osservazione magne- tica a bordo , e gli strumenti faron trasportati sul lido , 0 ( quan- do potè eseguirsi ) sopra un masso , o sopra un campo di ghiac- cio ; anco quivi però la forza direttrice era sì lenta , che gli aghi sospesi colla maggior delicatezza abbisognavano dell’ ajuto della mano per imprimer loro un movimento . Un’ osservazione fatta sul lido nella lat. 72.° 45 15”, long. 89° 41° 22”, segnò 88 26° 42” per l'inclinazione , e 118° 23° 37” occ. per la variazione . 129) Il passaggio del Principe Reggente ( poichè al Capi- tano Parry piacque così chiamarlo ) allargandosi a mi- sura che i legni s' inoltravano verso la parte meridio- nale, alimentava le speranze di un passaggio ; tanto più che la terra dalla parte occidentale si dirigeva sempre più verso sud-ovest quanto più essi progredi- Vano . Io ho per l’ avanti osservato , che i paesi orientali, e occi- dentali , che formano questo vasto passaggio probabilmente sono isole ; e dietro l’ispezione delle carte , io penso che apparirà in sommo grado probabile che an giorno si scuoprirà esistere una comunicazione tra questo passaggio , e la baia d’ Hudson, o pel largo e non visitato canale chiamato ZYe/come da Sir Tommaso Rowe , o per la baia Repu/se, che non fu per anco con piena so- disfazione esaminata . E’ probabile altresì che si troverà esistere un’ canale tra il paese occidentale , e la costa settentrionale d’ A- merica . Per mala ventura però ove la terra sembrava ter- minar dalla parte S. O. una superficie di ghiaccio ve- devasi stendere dalla parte meridionale, al di là di cui non si scorgeva acqua; nè si presentava agli sguardi ‘veruna terra al sud-ovest, benchè l’ orizzonte fosse sì chiaro in quel punto , che se ne esisteva alcuna di mo- derata altezza dovea comparir visibile alla distanza di dieci, o dodici leghe. Il Capitano Parry non sapeva trovare alcuna ragione , dic’egli, per dubitare che non fosse per riuscire al vascello di penetrare molto più lontano verso il sud , profittando delle casuali aperture fra il ghiaccio ; gli parve nondimeno cosa più conve- niente ( e noi pur lo pensiamo ) di non trascurar |’ op- portunità di un vento favorevole per ritornare al vasto passaggio, che avea lasciato; e il 9g. di agosto fece vela . verso il settentrione . Il punto più meridionale, a cui il vascello s’ era inoltrato dalla parte orientale del pas- 130 i saggio era lat. 71° 53’ 30”, long. g0° 03’ 45”, e la di- stanza dal suo ingresso circa a cento venti miglia . Atteso il vento contrario , la neve , e le folte nebbie, le masse di ghiaccio , la mancanza del sole , e le bussole rese oramai inutili, non prima del 19 essi giunsero al lido settentrionale dello stretto di Barrow. Quivi però niente occorse che interrompesse il loro viaggio. La costa di pietra calcaria curiosamente formata a guisa di barbacani, ugualmente che il paese dalla parte di set- ientrione appariva libera dalla neve ; e il mare esente pure dal ghiaccio era per tal modo limpido, che riu- sciva quasi impossibile di credere che fosse la medesi- ma parte di mare, che non più di uno , o due giorni avanti erasi trovata interamente coperta di ghiaccio , fin dove la vista poteva estendersi. Le nebbie, ed il poco vento però rendevan lento il loro progredi- mento ; ma le apparenze erano al sommo sodisfacienti . Il 22. essendo nella long. 92.° 15. l'aspetto continuato del paese settentrionale videsi interrotto da una ma- gnifica apertura di otto leghe di larghezza , nello scan- dagliar la quale al chiaror di una bella sera non accad- de di scorgere alcuna terra, nè ghiaccio dall’ albero maestro : essa fu chiamata il canal /Wellington. L’arrivo a questo gran varco fu un avvenimento , cui già da lungo tempo tendevano le nostre mire con la maggiore an- sietà , ed impazienza . Quanto alla continuazione della terra dalla parte settentrionale era sempre stata per noi una sorgente d’ in- quietudine , attesa la possibilità che ella si volgesse in giro dalla parte meridionale , e venisse ad unirsi colla costa d’ America . L’ apparenza di questa ampia apertnra libera dal ghiaccio , e la vista di terre ad ogni lato di quella, e più particolarmente verso occidente , lasciando appena dubbio che alla perfine scuo- priremmo essere un’ isola, ci sollevò da qualunque nostra solleci- tudine : ed ognuno era di sentimento che noi non saremmo più 131 impediti dalle terre che formano la parte occidentale della baia di Baffin ; e che realmente noi ci eravamo già inoltrati nel mar Polare . Benchè fossero allora già trascorsi due terzi del mese di agosto , io avea ben ragione di esser sodisfatto dei resultati che noi fin allora avevamo ottenuti.Calcolai che il mare sarebbe ancor navigabile per sei settimane future, e probabilmente anco per più , se lo stato del ghiaccio ci permettesse di costeggiare dalla parte meridionale per inoltrarci verso occidente. Le nostre cir- costanze per vero dire erano assai prospere ; i vascelli non avean sofferto verun danno ; noi eravamo abondantemente forniti di provvisioni ; l’ equipaggio godeva buona salute , ed era ben ani- mato ; si presentava un mare se non aperto almen navigabile ; e gli ufiziali non meno che i comuni erano stimolati da zelo , e co- raggio per condurre a compimento con tutti i mezzi possibili il grand’ oggetto, a cui noi avemmo la felicità di essere destinati . Il di 23. non molto al di là del punto occidentale del canal Wellington , i vascelli doveano penetrare in un’angusta corrente di ghiaccio . Il paese dalla parte settentrionale aveva allora assunta una differente strut- tura , ed invece di sorgere perpendicolarmente dal ma- re, offriva un’ obliqua riva arenosa. Rimase allora evi- dente che il passaggio era guarnito d’isole ,,e che vo- lendo inoltrarsi a lontana distanza , attesa la profondità dell’ acqua , le casuali nebbie , e le masse di ghiaccio , vi vorrebbe maggior vigilanza, e circospezione . Le iso- le elevavansi a moderata'altezza , ed erano interamente coperte di neve; e fu osservato con un certo sentimeuto di dispiacere , che per un intero giorno ( il 26 ) nè il il mare , nè il paese avea offerto ai loro sguardi una sola creatura vivente di qualsivoglia specie. Inoltre, ancorchè il mare dal lato di mezzogiorno fosse per la maggior parte coperto di un compatto, e non interrotto campo di ghiaccio , pure destava coraggio l’osservare che un canale di sufficiente ampiezza fosse aperto tra quello, e il lido di una vasta isola chiamata dal Capitan 132 Parry isola di Bathurst. Verso il punto orientate di un’altra isola, oltre a questa, ( chiamata Byam Martin) il Capitan Sabine, ed una parte dell’ equipaggio sbarcò a terra per fare delle osservazioni , e per esaminarne i prodotti naturali. Essi trovarono gli avanzi di quattro | abitazioni d’Esquimaux costruite con pietre rozzamente ammassate in forma ellittica , simili a quelle vedute ad Hare-Island \’ anno precedente . Pochissima neve ri- maneva sopra la terra ; e le valli erano coperte di lus- sureggiante musco , e di altri vegetabili simili a quelli ravvisati a Possession bay. Si scorgevano in molti — luoghi recenti tracce di rangiferi, e di bovi muschiati . Le rupi erano di pietra arenosa; e pezzi di granito , e di rosso feld - spato erano sparsi sulla superficie . Il Ca- I pitan Sabine trovò che la potenza direttrice delle bus- x sole era più debole di quella riscontrata al luogo di osser- vazione nel Passaggio del Reggente , ove l’inclinazione era presso che la medesima ; se non che quando erano fermi esse indicavano il meridiano con maggior preci- sione. Il resultato è sommamente interessante . La latitudine di questo luogo di osservazione era 75° 0g” 23” e la longitudine ottenuta per mezzi di cronometri, 103° 44’ 37”. L’ inclinazione dell’ ago magnetico era 88° 25° 58” e la variazione sì trovò aver allora cambiato da 128° 58” ovest jnella longitudine 91° 48’, ove erano state fatte le nostre ultime osservazioni sulla spiaggia , a 165° 50° og” est , nella nostra attuale stazione ; così che noi nel veleggiare sopra lo spazio compreso tra questi due meridiani , abbiamo attraversato immediatamente dalla parte settentrionale del polo magnetico , e senza dubbio si è trascorso uno di quei luoghi sopra il globo , ove l'ago sarebbe stato trovato variare 180, o in altri termini, ove il suo polo nord avrebbe in- dicato il sud . Probabilmente un tal luogo troverebbesi non lon- tano dal meridiano 100° occidente di Greenwich. Sarebbe riuscito senza dubbio oltremodo interessante di verificare una tale osser- vazione ; ed in qualunque altra fuorchè in questa assai precaria 133 navigazione , in cui noi eravamo allora impegnati , avrei riguar- dato di mio preciso dovere il. dedicare un certo tempo a questo particolare oggetto ; ma nelle attuali circostanze era impossibile per me di occuparmi ad indagarne la cagione; tanto più che l’im- portanza annessa alla scienza di questa osservazione non era suf- ficiente a compensare il ritardo che la ricerca di un tal luogo a- vrebbe necessariamente cagionata , ritardo, che appena si sarebbe potuto scusare in un momento , in cui noi facevamo , e per due , o tre giorni continuammo a fare , rapidi , e non impediti progressi verso il compimento del nostro principale oggetto . -- p. 62. Da questo luogo alla più remota estremità di un’al- tra vasta isola, a cui il Capitan Parry dette il nome di isola Melville , la navigazione divenne sempre più dif- ficile pel ghiaccio, così che allora era solamente effet- tuata per un angusto canale di acque tra quello , e il lido, talora esteso a quattro, o cinque miglia di lar- ghezza ; e talora limitato a poche centinaia di braccia . Il tempo osservavasi di giorno in giorno divenir peg- giore , essendo il sole quasi costantemente oscurato da dense nebbie, una porzione della notte oscura , e il freddo assai intenso. Nel 4. settembre però l'equipaggio ebbe il contento di passare il meridiano di 110°. long. occ.nella lat. di 74° 44 20” ,chegli dava un titolo al primo premio nella scala delle ricompense approvata dal Par- lamento , cioè a cinque mila lire sterline . Il vascello allora essendo precisamente opposto a una punta spor- gente, questa fu chiamata dall’ equipaggio ( Lownty cape ) il capo del premio . Oltre a questa punta, eravi un altro capo , a cui il ghiaccio vedeasi sì fortemente adererite da opporre un’ impenetrabile barriera ad ogni ulteriore avanza- mento . Nulla perciò rimaneva a fare se non mettere i vascelli all’ ancora ; ed accadde per buona ventura che viddesi prossima un’ eccellente rada ; a questa fu im- T. IV. Ottobre °9 134 posto l’ adattato/nome di baja dell’ Hecla, e del Griper; non solamente perchè questo era il primo luogo , ove i vascelli aveano gettata l’ ancora dacchè partirono dalla costa di Norfolk, ma altresì perchè erano condannati a passarvi un lungo, tedioso , ed orrido inverno . Sic- come appariva indicare nella più decisa maniera il compimento di una parte del viaggio , furono inalbera- te le insegne , ei pennoni ; e si provò , dice il Capitan Parry, non ordinario sentimento di piacere ( parole che noi confidamo saranno lette con non ordinario sen- timento d’ orgoglio ) in vedere le Britanniche ban- diere sventolare per la prima volta in quelle regioni, che fin allora erano state considerate al di là dei limiti della parte abitabile del mondo . ( sarà continuato ) Nota. L’ opera del Cap. Parry, arrichita di carte, e rami di squisito lavoro, trovasi nella biblioteca del Gabinetto Scien- tifico e Letterario. 139 LETTERATURA -- POESIA Ir Capwo -- ( Poema di Pierro Bacnoti Profes- sore dell’ Università di Pisa ) Continuazione -- Vedi Vol. III. p. 514. Fascicolo N. IX. I soggiorno del Tirio Eroe sul Parnaso in compagnia delle Muse, le cui rosee guancie e i capelli dorati ben si contrappongono al fulgore d' un elmo e all’ ondeg- giare d’ un cimiero , è , quale debbe essere , accompa- gnato da avvenimenti maravigliosi, da casi ordinati e connessi intorno all’ azione del Poema. A me par di ravvisare che riduconsi tutti alla vision del futuro con- ceduta a Cadmo , al suo conversare colle muse , e alle avventure di lui con Ermione. Onde li disporrò con siffatto ordine in distinti quadri . La vision del futuro è un dono che volentieri i poeti usano di compartire a quei Grandi per cui danno fiato alla tromba . Di ciò è da addurre una ragione di mag- gior momento che il procurare la meraviglia dei vati- cinj e il diletto delle descrizioni. E questa è lo scopo d’ influire sull’ epico fatto mediante la cognizione degli effetti e delle conseguenze sue più rimote, d’ infon- dere alacrità e costanza nei personaggi che in mezzo a traversie e difficoltà d'ogni genere debbono nel mede- simo faticare . Or pochi poeti sono stati in ciò favoriti dal proprio tema quanto il Bagnoli, nessuno eroe ha potuto confortarsi alle grandi sue geste con mostra di conseguenti fatti più grande e più solenne di quella che ebbe al cospetto Cadmo nel tempio dell’ Eternità . Tondo e sfolgoreggiante questo sacro edifizio riposa so- 136 pra adamantine colonne . Il volume della sua luce in se medesimo si rivolge, e forma graduati cerchi che vanno ad un centro immobile somigliante un occhio di bianco lume uguale immutabile . Intorno a quello si conduce senza mai entrarvi il tempo colle sue vi- cende e fortuna . La volta dell’ edifizio è un cielo ador- no di sole e di stelle. Quel sole è la gloria, e sono quelle stelle le opere illustri che Istoria e Poesia vi dispongo- no ognuna col nome scritto nella sua fronte. Tutto il rimanente delle cose che ivi dal tempo si ruotano pre- cipita e perdesi sotto |’ edifizio fra oscure ombre che conducono a Lete. Dinanzi a siffatto giro fu Cadmo solennemente da Urania guidato , e da Anfione seguito e da tutto il popolo d’ Elicona. Affinchè la vista dei due che vestiti erano della salma umana sostener po- tesse l’ aspetto nado di cose superiori alla condizione mortale , sciolse la divina condottiera un suo prego a Giove. Cadde tosto dagl’ occhi di quelli come un velo e come una nebbia; onde acuti e forti divennero quari- to quelli dei Nuini . Cessò allora il roteare dei cerchi intorno all’ occhio di bianca luce, e Un der naturale in quel gran tondo Con orizzonte amplissimo comparve , Quasi fosse là dentro un altro mondo : Tanto il giro slargossi, e il centro sparve. Ed ecco provenir, come dal fondo, Serie di volitanti idoli, e larve Fino all’ orlo del cerchio, e quivi manco Veniano, ed alire succedean pur anco. Del futuro era questo il gran volume, Che in sè rapidamente si svolgea; 137 Serie , luoghi, persone, opre, costume , Ogni cosa anzi tempo sl scorgea . Come nave a mirar, che va per fiume, Previdenza da un lato ivi sedea, Nè, per veder come si volge e dove Il fatal corso, ella il rattiene o muove . Perocchè in ombra, che per spazio mena Remoto immenso, e vela i dubbj aspetti, Fan colle braccia avvinte una catena Infinita le Cause, e i propr) Effetti, Qual picciola, qual grande, o scarsa, o piena, E molti han parti, e molte mamme ai petti , Altra in sembianza di matrona, e sciolta, Altra di schiava, e van seguaci in volta . Parton da un primo moto, e le misura La lor succession non interrotta ; Necessitate e arbitrio alla lor cura Stanno, onde sia la traccia appien condotta, Mobile questo, e quella o più o men dura Spingon la serie data in lor condotta Là ’ve l’età di fuor si ruota e cinge, Ed ogni cosa in sua stagion si spinge . Primi si traggono innanzi gli eroici tempi di Gre- cia. Nasce Argo ed Atene, Sparta , Sicione , Corinto . Bacco ed Ercole sono del sangue di Cadmo. Ecco Per- seo , Teseo , gli Argonauti. Enea fonda nuova Ilio in Italia dopo che quella d’ Asia è andata in cenere ed in faville . E nasce voce dall’ Iliaca tromba 138 Alta immortal, ch’ ai secoli risuona . È il grande Omero che con chiara tromba Desta gli eletti alunni d’ Elicona: Di lui la terra, il cielo; il mar rimbomba, E si risveglia il mondo a ogni opra buona . Quinci nostra natura in alto sale, E gli umani intelletti impennan Yale. Ai favolosi succedono i tempi storici recando in- nanzi Licurgo, Dracone, Solone, l’areopago; la pu- gna Messenia , proseguendo con Maratona, Salamina, Milziade, Aristide, Temistocle, Leonida coì suoi tre- cento , ed altri tali grandi fatti e grandi nomi dell’ El- lenia fino agli anni di Pericle. Quindi ispunta essa pure questa’ sì famosa età mostrando agli occhi di | Cadmo Fiorita di città la Grecia, e d'armi Forte e di leggi e di costumi e d’oro, Tempj, licei, teatri, e cetre e carmi, E circo, e atleti, ed acclamante coro, Uomini e Dei spiranti in bronzi, e in marmi, Di colori e di forme alto lavoro, Archi, logge, trofei, belle memorie Di valor, di consiglio, e di vittorie . Ma ohimè che cessate le guerre cogli stranieri insor- gono per mezzo alle pompe ed al fasto le cittadine discordie . La repubblicana virtù a poco a poco decade dal suo alto grado. Quelle catene che Filippo facea suo- nare alle orecchie dei Greci stringe tenacemente Ales- sandro alle loro mani . Indarno ha Demostene aringa- to, benchè valesse la sua voce in consiglio più che gli 139 eserciti in campo; gli stati Achei vanno a perdersi nell'impero Macedone siccome i fiumi nel mare. Non ignori Cadmo però che sarà vendicata largamente sì l’oppressione della sua Grecia, sì quella di Dario , dell’ Indie , del mondo intero . E fia Roma la vendica- trice, Roma che si mostra essa pure per entro il mira- bil volume degli eventi avvenire. Tenui si veggono i suoi principj con Romolo e Tazio. Le rapite Sabine ge- menti e sparse i capelli frappongonsi alle spade impu- gnate dagli sposi, dai fratelli, dai padri. I sei successori di Romolo son preceduti da Numa fregiato dell’insegne di pace e de’ religiosi arredi, da Numa che si consiglia nel sacro bosco colla sua diva. Bruto trae ferocemente il ferro dallo squarciato petto di Lucrezia ; la voce del suo giuramento fa violenza in cielo; assume i fasci e le scuri del consolato ; i figli che insidiano la nata fi- bertà mette a morte . Orazio; Scevola, e Glelia non con altre armi che colla prodigiosa e quasi ineredibil virtù vincono il talento di guerra onde tutto compreso è Porsenna . Coriolano , Vetturia , Virginia , Camillo , Curzio , Curio , Fabricio, Duilio, Regolo, i Marcelli , i Fabj , i Paoli, i Metelli .... ( e chi può tutti ridirli ? ) innalzano a gradi l’ edifizio della grandezza Romana . Aurei sono i costumi dei cittadini, il senato è un as- semblea di numi, il popolo un idra che in mezzo ai disastri e alle guerre sempre più vigorosa rinasce ; E Roma è tutto. Roma vince in campo, Roma i disastri del cammin, la sete, La fame, i rischi, ogni inimico inciampo Supera Roma, e chiude i lumi in Lete Contenti, e gli apre della gloria al lampo, Ed ai trionfi, e alle vittorie liete. 140 Par che ogni luce al suo fulgor s’ estingua Par ch’ogni possa al suo poter si prostri. Ecco cade Cartago, arde Corinto: Ad una fiamma un doppio mar riluce . Rotta è la Tracia. Antioco, Perseo è vinto . Serve la Grecia. Or prigionier conduce Tiranno Odrisio , ed or Libico avvinto Quadriga trionfal d’ Ausonio duce . Or ( notava la Dea ) se agli occhi chiedi Dove Roma non sia, mulla più vedi. Se cerchi quanto è grande, i suoi confini Stende col ciel, coll’ ocean l’ impero . Per tutto è una cittade , e cittadini Sono gli abitator del mondo intero ; Senti, sodi parlar, detti latini Per ogni labbro o Italico o straniero; Se vedi arti, costumi, e fasto altrove Tutto nasce da lei, da lei si muove. vi Si giunge alle guerre civili , ed ai tempi corrotti dalle delizie , dalle pompe, dall’ oro dell’ Asia . E il vero che quanto rimase della virtù Romana si dimostra tuttora gloriosamente guerreggiando contro li stranieri.Ma i du- ci più non combattono per Roma, bensi per sè stessi . Qual pro che Mario disperda iCimbri , che Silla soggio» ghi il Ponto se entrambi danno gravezza alla patria di mortali affanni? Ecco Cesare-, ecco Pompeo , dei quali canta il Poeta colla tromba stessa Farsalica ; Ecco Cesar che aggiunto ai sommi onori Vince i Galli, i Germani, e. l’orse estreme; Ò ui d n È; ; | ” 141 Mentre all'ombra Pompeo de’ vecchi allori Siede geloso , e 1 muovi fatti teme . Già l’emula virtù stimoli e ardori Attizza, e non pòn due regnare insieme : Troppo per questo il grado uguale è poco, Sdegnoso è quello del secondo loco . Nè l’arme è par. Pompeo togato invecchia , E disimpara il duce ; all’ aura amica Porge del volgo acclamator 1’ orecchia, E molto crede alla fortuna antica, Si che nuova arte oblia; qual alta e vecchia Querce ,\che gran trofeo d’ armi affatica , Ma di barbe mal ferma e inaridita Col peso, onde l’aggrava, a star l’aita; Labile , e al soffio de’ primi Euri spinta Già per cader, quantunque annosa, in mezzo Da più giovine selva ergasi cinta, Pur sola è sempre al culto usato e al prezzo. Ma gran nome,. e a gran cose ha l’ alma accinta Cesar, gran duce; e non lascia opra a mezzo ; Muove, avanza, compisce, e al sommo fine Gode di farsi via colle ruine . Fulnzn così squarcia la nube, e passa Con gran fragor dell’ etere sonante , E in un momento in alta parte e in bassa Scorre tutta la traccia serpeggiante Sulle penne di fuoco , e dietro lassa Caligine sulfurea e moli infrante, Ed al popol terror, che sbigottito Ne cercai danni, e li dimostra a dito . 142 Muore la libertà di Roma in Farsaglia . Aurea tut- ta e tutta felice si trae quindi innanzi l’ età d° Augu- sto a far pompa del più ‘alto punto a cui sia salita la felicità della terra , o possa salire. Respira il genere umano, e tranquillo si riposa dall’ oriente all’ occaso sotto l’ ali della pace, della gloria , della dovizia , del genio , del gusto . Centro è Roma del mondo; leggi, culto , lingua , norma di vivere non d' altronde si pro- pagano che dalle rive del Tevere. Brillano fra gli astri, del magno secolo i nomi di Virgilio e d’ Orazio . Stato di cose sì bello, si alto, sì riposato lungamente non potea permanere dove tutto si cangia, e non dura . Così ad Augusto e alle età di Roma fiorenti succedono mise- randi tempi, ed Imperatori (trattine Vespasiano, Tito, Trajano con altri pochi ) che disonorano la Cesarea corona . Le opere loro sono malvagie , ed indegne, le armi romane sono invilite , il senno della mente e il vigore del corpo son convertiti in pravo consiglio , ed effeminata mollezza . Or tu perchè cangi all’ Impero sede, E il capo al Lazio, e le ricchezze tolli ? Non più dei fati di Quirino erede, Che, se nol sai, son fermi ai sette colli ; E lasci Roma al sacco, ed alle prede, Debole già pe’ suoi regnanti folli, Per mole antica, e tralignato onore ; È togli al corpo, ond'ei perisca, il core? Mentre Urania dicea moveasi un folto Nuvol dal polo di gran turbe, e spesse, Ond’ era tutto il vasto impero involto , Arse città, provincie a sacco messe, 143 Ogni cosa in ruine alte sepolto , Roma presa e disfatta, opre, arti oppresse, E tetti e templi ruinati e mura, E i secoli ravvolti in notte oscura Discorsi gli infelici tempi coperti della Vandalica e Go- tica nebbia, spunta col magno Carlo Y aurora della seconda e nuova cultura. Nuova io dissi, ch'essa è ben tutta d’ un altra foggia da quella antica, sebbene aurea del paro e gentile ; ramo il diresti, di pianta vetusta innestato sopra moderno forestiero virgulto . Stupi- sce Cadmo in contemplare i nuovi usi, le nuove leg- gi, e nuove le vesti , le favelle , le arti, i costumi, gli arnesi di guerra , le opere di mente e di mano . A. chi non è stupendo il ritrovato della stampa , dell’ago ma- gnetico , della polvere , delle artiglierie , e la scoperta dell’ altro emisfero ? Non vanno però le genti di pari passo nel risorgere alla civiltà . Tu pria scuotevi la barbarie o bella Italia, e davi altrui lume e dottrina, Tu maestra del mondo, e tu novella Formatrice d’ogni arte, e disciplina ; Ma fatta ahimè! de’ tuoi già servi ancella Di temuta del mondo alta regina! Debol per sparse forze, e non intera , Ma per bellezza in ogni parte altera. Dante , tu de’ moderni eri il primiero A niun dell’ aurea antichità secondo, Supremo fondator, novello Omero Del rinmuovato scientifico mondo. Coll’ empireo abbracciava il tuo pensiero 144 Il medio regno, e l’ Erebo profondo : Tutto sapevi, e la favella infante Sulle tue labbra divenia gigante . Petrarca , e tu, dalla cui bocca uscìa Dolce senso d’ amor, dolce intelletto , Ivi con ugual piè per una via Dietro alla gloria, e dietro a un caro oggetto, Vestendo di dolcissima armonia Ogni sospiro che t’ uscia dal petto, E robusto parlavi a Italia, e intorze AL ciel ‘d’ Europa richiamavi il gforno . Vedesi pure il Boccaccio trai primi Italiani, e per ordine successivo Giotto, il Brunelleshi, l'Orcagua , Michelan- giolo, Raffaello , l Alberti , il Vinci, i Medici, il Poli- ziano , Galileo , il Metastasio, 1’ Alfieri, e tanti e tanti d’ ogni maniera che a memorarli sarebbe soverchio . Eran due Grandi poi che pieno fiato Davano ‘alla squillante epica tromba, Ma vario sì, che ovunque del primato Metteva lite il suon che ne rimbomba, Sicchè tra Lodovico, e tra Torquato, E tra l’arme, e gli amori, e la gran Tomba Pendea la dotta gente in due divisa È E la lite pur sempre era indecisa . Vera il gran mastro di guidar gli stati , E fonder guerre e paci, e por con mani Sicure al giogo i popol non usati, E di ragion di regno apria gli arcani. | | 145 Mirava Cadmo le rifatte cose Già non men che l’antiche alte e superbe , E le prische città tener nascose Le rotte. fronti infra l’ arene e I’ erbe; E sopra le vetuste altre famose Levarsi al ciel nelle stagion più acerbe : Nuova Atene Fiorenza, e senza sponde Vinegia alto miracolo dell’ onde. Artefici, Filosofi, Oratori, Fabbri di storiè e di purgati carmi, Quali a cantar sull’ auree cetre amori, Quai colle tube adatti al suon dell’ armi, Di templi e tetti e logge ardui lavori, E di tele spiranti e bronzi e marmi: Chi la curia, chi il tempio , chi di.Marte, Chi segnalava d’ Esculapio 1’ arte . Ma il benigno sole della nuova cultura ha rischiarato eziandio, sebbene d’alquanto più tardi, il resto della fa- miglia europea . Lusitania , Spagna, Francia, Anglia , e Germania mostrano a schiere nel debito tempo, nel de- bito luogo poeti, filosofi, guerrieri , artisti, e d’ogni ma- niera famosi e lodati spiriti. Newton , Leibnizio, Car- tesio, Milton, Cornelio, Racine , Moliere ; il Francese Augusto tutto splendiente della luce onde lo circon- dano nella gran corte le arti di pace e di guerra, la gloria, l’amore ; duro più che artico gelo lo Sveco Carlo a cui la guerra tien luogo di patria , di figli, di sposa ; il rigeneratore delle Russie re ad un tempo, nauta, ar- tista, soldato; il magno Federigo di filosofia pieno la lingua e il volto al pari capace nel campo , nel consi- glio, nell’accademia: tutti questi son nomi, e son 146 cose di noi moderni delle quali per avventura gloriar si potrebbono i tempi antichi. Inauditi poi e nuovi og- getti, e pieni di turbamento comparivano da ultimo in quel volume delle cose future , rapidi succedendosi gli uni agli altri come i baleni nelle notti d’estate. Era la età presente che noi viviamo, erano gli eventi ai quali avemmo noi stessi parte, le guerre, le tregue, i muta- menti dei re, dei popoli, le armi e gli armati , i nuovi regni eretti , e surto in breve ora e caduto per destino di guerra il grandissimo Francese imperio . Colle quali sì agitate vicende, e col riposo a loro frammesso ebbe termine la visione di Cadmo ; imperocchè si richiuse il futuro, ed il cerchio esteriore riprese le sue preste ruote simili a quelle dell’ acqua che aggirisi in roton- do vaso . Or l’ eroe disponga l'animo ad altre maraviglie , ad altri diletti ; che meraviglie e diletti non possono venir meno a chi ascolta e parla in mezzo a divino drappello delle Camene.Dei preziosi documenti, dei sensi altissimi usciti dalla bocca d’Urania intorno il tempo, l'eternità, la previdenza dei Numi, la religione vera che do- vrà discendere dal eielo ad essere il fondamento della cultura , a far belle di celeste raggio le virtù umane; di quelli che schiuse Polinnia circa la natura dell’uomo disposta a perfezionarsi , ed avvicinarsi alla natura di- vina mediante l’ esercizio del consiglio, e della ragia- ne ; della nettarea bevanda ministrata in giro dalle Coricie , che rese Cadmo semideo ed immortale: basti aver fatto di tutto ciò una parola. Non v'è pazienza d’indugio quando son da ascoltarsi le madri, stesse del canto aprire il tesoro dei lor divini concenti , e ce- lebrare a vicenda le lodi delle nazioni più a lor pre- dilette. Che mai pronunzia Calliope tutta dall’ estro 145 invasa dopo suonati i preludj sull’aurea tromba ? Canta gli alti onori d’Italia ; madre la chiama d’ Eroi e bella e forte e guerriera e dia del più grande i impero che ‘avesser mai le Nazioni ed i tempi. Indi reina la dice ‘ di un miglior dominio che non è dono della fortuna ; emula e precorritrice della Grecia nella sapienza e nell’ arti. Oh come a questo pensiero il divino spirito viepiù la infiamma! Ma perchè stommi a rasentar le prode, Nè colla tromba, onde di te risuono, Entro nell’ alto mar della tua lode? Voi mi seguite che ascoltate il suono : Vo dal lido lontan, che più non ode,, E a prima onda dell’alto ancor non sono; Veggo ( non parmi no, ma veggo il vero ) Visitar le tue scuole il grande Omero. Veggo fra i dotti alunni di Crotone Le arcane leggi, e ì sensi astrusi , ignoti Della natura investigar Platone, E segnar delle stelle i nomi, i moti. È misura del tutto la ragione Vengon , tornano al cielo, o per i vuoti Corpi trasmigran l’ alme : attesta Iceta La terra in moto, e fermo il gran pianeta . Dan gli oratori alla fiorente Atene La libera Lentini , e Siracusa ; Ed Epicarmo alle notturne scene L’ azione distingue, in pria non usa. Suonan le dolci boschereccie avene Al fonte della vergine Aretusa, 148 Là ’ve Tifeo dal mar, ch' a’ piè gli geme, S’ alza alle stelle, e le minaccia, e freme . Ivi il gran Geomètra i rai del sole Ritorce ad arder le navali antenne , E pone in mar la smisurata mole , E può dar fino al moto e piedi e penne. Rammentata la maestosa ed altera lingua del Lazio, in cui son maestri d’ ogni età, d'ogni gente Tullio, Orazio, Virgilio; rammentata la sua amabile figlia la lingua Italiana, e il famoso Toscano metro, che tanto piace in Parnaso, così nuovamente dispiega il ‘volo : Ma come in questa mia , che per le valli , Che pei campi di Marte alto rimbomba , In questa , che di fanti , e di cavalli E d’amori ha vaghezza epica tromba Lasci ogni altro idioma ad in*ervalli , Com’ aquila col vol lascia colomba, Così a me sei, che men diletto al suono , Concessa , o Italia, e la tua musa io sono . Qual altra al plettro d’or , dolce canora Rima , o al bronzo guerrier , me’ s’ accompagna ? Diletto n’ ha chi gli alti studj onora , Chi umil s' adopra , è al viater compagna, La canta il marinar sull’ alta prora , Il mietitor n’ allieta la campagna, E ne traggon cantando ore beate Gli amanti , e le donzelle innamorate . Quello che il doppio mar, che l’ alpe aggira Dolce ciel , fertil suolo , ier benigno, In cui nè taurò , arando , il fuoco spirà , Nè lion rugge ;'ò fischia angue maligno , Dal suon'dell’ aurea venosina lira Mosso , e dal vol del mantovano cigno , Quel dolce ciel, chi lo respira , tiene Ardor d’ epico canto entro le vene .. Le altre muse a vicenda sciolgon la lingua a ‘lodare ognuna quella nazione d'Europa, della quale esser vuole la custode e la protettrice. Melpomene si prende la balia della Francia , Talia della Spagna , Clio d’ Inghilterra, Euterpe dell’ Alemagna. Predice' Polinnia la più re- mota civiltà della Russia . Tersicore consola Cadmo della barbarie in cui ha visto cader la sua Grecia, e lo assicura del nome'eterno che avranno le cose greche. della venerazione , e direi idolatria , in cui saranno te- nuti finoi ruderi dei monumenti, i più piccoli avanzi delle arti belle . Delle quali arti, per insinuare che fi- glie, sono dapprima del core poi della mente, canta Erato in teneri e pietosi accenti come traggono l’ ori- gine dal ritrovamento d’ un amorosa fanciulla. Dal co- steli fianco la bellica tromba vuol divelto il caro giovi- netto che è vicina a chiamare suo sposo . All’ annunzio primiero ella le chiome Stracciasi, e cade fuor de’ sensi , e senza Moto ; pur riavuta a usar s’ appresta Quanto può dell’ indugio che le resta . Vuol ch’ ei non ceda alla guerriera pruova , E sovra gli altri comparisca armato . E gli forbisce il freno , e gli fa nuova LA Li Ottobre 10 150 La fascia , da cui pende il ferro a lato, E gli impiuma il cimier : talor le giova Di veder come appare in sella armato; Il vede , e le par bello, e in cor ne gode, E più se ne innamora, e gli dà lode , Ma se nel contemplarlo le sovviene Dei rischj , a cui s' espon , tutta smarrita , E lagrimosa tra le braccia il tiene , E che conservi quella cara vita Gli raccomanda, a cui la sua s' attiene Tenacemente in un sol nodo umita , Ed ei l’affida e riconsola, e fede Promette a lei, che fedeltà gli chiede . Ma è giunta la notte che precede la dura partenza Oh come ogni ora è a‘correr lieve ! E tutta infin all’ alba si produce ; A sorsi ia donzella il tempo beve, E piange, e dice: oh! ti foss' io compagna , | Caro , fra Varmi ostili alla campagna! Potessi aver di te quest’ ombra, sola , Che nel muro qui fai contro alla face! Non posso averla , che con te s' invola . Non posso averla ha quì s’° arresta e tace: Amor le spira la novella scuola ) Tolto un carbone di spenta brace dal focolare , Medita seco alquanto , e si ricrea Nella sua meditata operazione , I5I E tutta piena della nuova idea Aguzza al pavimento il suo carbone ; Poi s’ alza ( amor che in mente ne la crea Con essa intento all’ opera si pone ) Colloca essa l’ amante sì che il vede Nell’ ombra intero dalla fronte al piede Il mette in loco incontro al lume opposto , Talchè col ver convenga la figura ; Tropp' alto o basso , 0 più presso o discosto Esser non dee, ma ben messo a iisura . Lo prega quindi che non cangi posto , E pazienti in quella positura . E vuol che stiasi in atto d’ aver spinto Il passo , e piè da piè mostri distinto . Quindi del suo carbon facendo stilo Va dell’ ombra a cercar l’ ultima traccia Giù con linea sottil per il profilo Della fronte gentile , e della faccia , E scende giù pel collo, e il negro filo Trae pel petto , pei fianchi, e per le braccia Fino alle piante , e scansa sì che 1’ ombra Sua quella dell’ amante non ingombra . Poichè segnato.ha quanto l’ uomo aggira , Fa che il giovin si scosti , il qual si guata Nella parete impresso , e l’opra ammira, E bacia quella man che l’ha formata . Di gioja e di piacer quasi delira La novella pittrice innamorata , E consultando l’ esemplar ritocca . Or gli estremi del naso, or della bocca . 152 Pur osa entrar dove lasciato ha bianeo L’ ombra di tutto il corpo entro al confine, E fa la veste rimboccata , e il fianco Ricinto , e sulla testa increspa il crine ; Il braccio trae fino alla s salla, ed anco ( Amor la regge con sue man divine ) Sotto la fronte il curvo ciglio imita , E l'occhio ch’ è del volto anima e vita. Un punto sol che accenni la pupilla É bastante a dar lume a tutto il viso . | Compiuta è l’ opra , ed apre omai tranquilla L’ aurora il primo mattutin sorriso. Ma già la tromba militar che squilla Vuol dall’ amata l’amator diviso . Tre volte e. tre s° abbraccia e quella , e questo ; Addio , fido ti parto , e fida io resto. L. BorrINI. ( Sarà continuato ) $ FILOLOGIA Al sig. Direttore dell’ Antologia LO STAMPATORE n NR sera, quando tutti i miei lavoranti avevan fatto festa, essendo rimasto solo nella stamperia, mi posi a correggere le stampe del vostro giornale; ma la noia del lavoro, Vl ora e la solitudine mi conciliarono il sonno : mi venne una cascaggine, e mi addormentai colla testa appoggiata sopra la cassa dei caratteri. Non saprei dir 153 dopo quanto fui risvegliato da un bisbiglio, che mi ac- corsi esser fatto dalle lettere contenute nelle cassette: stetti in orecchi, e potei sentire ciò che gravemente di- scorsero quei pezzetti di piombo. Ascoltai con atten- zine; e per quanto mi sembrassero frivoli e pedante- schi i loro discorsi, pure penso doverli a voi comunicare. Ecco qual fu il Dialogo fra I, e V O. 1.Chi mi vuole in un modo, chi in un altro. Questi be- nedetti scrittori mi voglion far perdere quel poco di capo che mi è restato. O. No, caro fratello, il male non istà nel capo ma nella coda, subitochè, come mi dicevi, alcuni ti vorrebbero con essa, altri senza. Ma per mio avviso hai più ra- gione di dolerti de’ primi , che ti costringono ora a prendere, ora a depor lo strascico. I. Sta però a vedere chi è dalla parte del torto o da. quella della ragione. Per esempio: chi mi vuol con la coda dice che in tal forma mi ebbe, secondo i] bisogno , anco la lingua latina; e che la fiorentina, che ne è figliota debba avermi essa pure. O. Cotesta veramente non è buona ragione. I latini avevano ancora l’ issilonne, i dittonghi «e ce, il ph per effe , il #i per zi. Ma i nostri volgari non iscri- vono nè zephyro, nè praetio, e per conseguente possono fare , e fanno ammeno di scrivere jumbo, Jattura , jota, jonico, judicio , jugulari , jurispe- rito, ec. I. Ma quando mi appiccan la coda mi danno a credere che io divento una consonante. 1540 O. Bell onore che ti fanno di metterti lo strascico per isnaturarti, e dalla dignità di vocale degradarti, e farti perdere voce in capitolo! E poi, vorrei che mi dicessero coloro come puoi divenir consonante, men- tre conservi il suono di vocale? Tu sai pure che m. Lionardo Salviati, sostenitor dell’ onor tuo, ha detto: nè i alcuno consonante, per quanto io sappia, co- nosce la lingua nostra. I. Transeat in quanto all’ appiccarmi la coda per met- termi in capo o in corpo alle parole: ma la questio- ne verte sopra un altro punto . Si tratta di stabilire in quali parole io debba metter fuori o ritirar la coda Come face le corna la lumaccia. O. Ma che bisogno vi è di cotale operazione? I. Perchè dicono che colla coda io determino il signifi- cato di alcune voci, le quali senza questa mia ap- pendice sarebbero di dubbiosa significazione . O.E dove fondano questo? I. Sull’ autorità, sull’ uso o pronunzia, e sulla ragione. O.I fondamenti veramente mi paion buoni . Sull’ auto- rità: di chi ? I. Di lovo stessi. O. Un testimonio di sè medesimo? si comincia male. Questa non te la meno buona. Passiamo all’ altro fondamento. Cosa dicono rispetto all’ uso e alla pro- nunzia ? £. Dicono che in tutte le voci che han la terminazione in 0, queste due vocali si convertono nel plurale in un i più strascicato e quasi doppio. O.In tutte le voci? No certo. Tondo come io sono ho buono orecchio, e non sento che usualmente parlan- do si pronunzi occhi, ranocchi, contrari, lunari ec. 155 con terminazione diversa da quella di stocchi, al- locchi, rari, somari ec. Z.Tu hai detto: non in tutte: dunque in qualcuna la cosa sarà vera ? O. Hai ragione: ma prima di risponderti su tal proposi- to, dimmi qual’ è il terzo fondamento, cioè la ragio- ne, e poi ti dirò quali sono le parole che differiscono fra loro nella pronuncia della loro terminazione plurale. I. La ragione, dicono, è di determinare il significato di ‘alcune veci, le quali senza un j colla dalla potreb- bero confondersi con altre scritte con gli stessi ele- menti alfabetici, ma di significato diverso , come per esempio giudici e giudicj, principi e principj, supplici e suppliof adulteri e adulterj, auguri e augurj oratori € oratorj, pretori epretorj,senatori e senatorj , e tante e tante altre della stessa farina. O. Caro fratello, con quel poco di capo che tu hai con- sidera bene se veramente quel che distingue il si- gnificato diverso di queste voci sei tu, oppure la vo- cale della sillaba che ti precede, e vedrai che nella terminazione plurale di giudice, principe, supplice, adultero, augure, la vocale della sillaba antece- dente è breve, laddove nella terminazione plurale di giudicio, principio, supplicio, adulterio, augurio è lunga. Così l’ officio di determinare il significa- to di queste e simili parole non è di te che le ter- mini, ma delle vocali che ti precedono, le quali sono lunghe o brevi nel singolare, e tali si mantengono nel plurale . I. Mi torna: ma chi legge una parola e la trova scritta con le stesse lettere . . . . O. Lasciami prima finire. Rispetto poi a quelle vocì 156 nelle quali io intervengo a formare la penultima sillaba, tocca a me e non a te a determinarne il di- verso significato. In fatti mi fo aperto in senatorio, oratorio ec. e tale mi mantengo nel loro plurale; e mi fo chiuso , e tale mi Tania anco ne’ plurali di senatore, oratore ec. I. Hai tu finito ? O. Per adesso. I. Dunque continuerò la mia domanda. Ma chi legge una parola scritta con le stesse lettere, come potrà fare a distinguere se essa significhi una cosa piutto- sto-che un > altra? O. Lo farà colla stessa regola, colla quale distinguerà rocca stromento da filare, da rocca fortezza ; rosa fiore, da rosa dal verbo rodere; tenere verbo, da te- nere adiettivo femminino; leggere verbo, da leggere adiettivo plurale : lo stesso delle voci scaliro nome, da scalino verbo; ancora avverbio, da argora stro- mento di marina; martora verbo, da martora ani- male ; nelle quali parole le stesse lettere significan cose diverse secondo che le penultime sono pronun- ziate brevi o lunghe : e siccome l’ intelligenza del lettore supplisce tenendo dieiro al senso, ove. man- cano segni di brevi e di lunghe, così può anco sup- plire in questi casi; e con questo solo aiuto sì cono- scerà se mendaci , procacci ec. provengono da men- dace 0 da mendacio, da procacciare 0 da procaccio I. Sicchè con questo tuo discorso intendi persuadermi non dovere io mai mostrarmi con la coda, nè per autorità, nè per uso di pronunzia , nè per ragione. Ma quando si trattasse di toglier con tanto poco, 0 con qualche altro segno distintivo, ogni dubbiezza al lettore, che male vi,sarebbe ? 157 O. Se tu desideri che si agevoli a chi legge l’ intendere quelle voci che espresse con le stesse lettere han diverso significato , non basia il soccorso della tua coda; perchè da quel che ho detto avrai compreso che vi sono altre voci, oltre a quelle ove tu inter- vieni, che avrebbero bisogno d’ un qualche con- trassegno. I. Per esempio, parlando sempre rispetto a me; taluni pongono un accento sul mio i di teologia , leggia- dria ec. e in una edizione di Dante, nella quale an- ch’ io feci la mia parte, alle parole hp eveiper'lecmote Di questa commedia, lettor, ti giuro, mi trovai per la prima volta a comparire accentato in commedia. Se è stato fatto così per voci che hanno un solo significato, perchè non far lo stesso “ riguardo a quelle che ne hanno due , e perchè non mettermi un accento acuto nelle parole scio verbo, giudici da giudicio , principi da principio, per di- stinguermi dai plurali di giudice, principe e dauscio nome? Allora potrei anco sperare di non vedermi obbligato a concorrere doppio al fine delle parole beneficii, olii, ozii, viaggii, occhii, orecchii, nibbii, ‘ stipendii ec. O. L’incomodo di raddoppiarti non lo puoi scansar sempre, ma il caso non è sì frequente come pare che tu tema. I.Tu mi rincori: perchè se tutti serivessero coll’ orto- grafia di certuni, povero me, che mi dovrei raddop- piare le tante e tante volte! O. La necessità di raddoppiarti alla fine di alcune pa- role plurali vi è tanto per te, quanto per la vocale e ogni qual volta formar volete la desinenza plurale 158 d’alcune voci, che nel singolare han dopo voi imme- diatamente un’ alira vocale. Così il plurale di dea, - assemblea esige che l'e si raddoppi facendo dee , assemblee, per la stessa legge per cui tocca a te a prendere il mio luogo per fare i plurali mazsolei , cammei , trofei. Per la stessa ragione sì è creduto che tu ti potessi raddoppiare in tutti i casi nei quali io vengo dopo te nelle desinenze. singolari , cioè in tutte le voci che terminano in io, allorchè si volessero condurre al numero dei più . . < Bada be- ne, quello che sono per dirti non lo dire a nissuno, altrimenti mi si griderebbe la croce addosso. I. Parla con libertà, e fidati della mia segretezza . O. Le desinenze diverse della nostra lingua sono in nu- mero di 5538; e fra queste ve ne sono 183 che co- minciando alfabeticamente dalla desinenza abbio nelle parole stabbio , arrabbio, e scendendo fino alla terminazione uzio come in Manuzio, \erminano in zo, precedute queste due vocali da diverse com- binazioni di una vocale e più consonanti , le quali formano una sillaba antecedente. Z. Come? e tu ti se’ messo alla pazienza di contarle? O.Io no; ma v'è Girolamo Rosasco che le ha contate per me. Non mi far perdere il filo. Fra tutte que- ste 183 terminazioni in î0, ve ne è una sola compo- sta di due sillabe; e questa è la desinenza di natio, desio, mormorio, zio. Nel rimanente delle altre 132 (non lo avere a male) tu non ci fai la figura di sil- laba , anzi appena vi si sente la tua voce , e il tuo suono rimane confuso e superato dal mio; come in cordoglio, occhio, cerchio, coraggio, tralcio ec. Ora io dico che debbono terminarsi nel plurale con due ii le sole voci, nel singolare delle quali da desi- 159 nenza in io è di due sillabe, e nelle quali il suono dell’i si sente distinto, e dello stesso valore del suono dell'o. Così scriverassi con due ii nati, desii, zii, mormorii ec., nelle quali voci le due vocali nel sin- golare formano essenzialmente due sillabe distinte, e ove tu ti fai sentire quanto me. Vedi un poco, per avere adoperato diversamente, che cattivo suono ha quel verso dell’ Ariosto ove ha voluto che tu facessi una sola sillaba unito a me nella parola mormorzo ; Ch’ i viandanti col mormorio grato; nel quale, se la parola mormorio si pronunzia come si deve, il verso è di dodici piedi. — I.Ha ragioné , son dodici sillabe. Pure, come va che in mezzo ai versi spesso trovansi parole con questa terminazione, la quale tiene luogo d’una sillaba sola? per esempio : Ma io perchè andarvi, o ch’ il concede? Allor vid’ îo maravigliar Virgilio ; Così l'animo mio ch’ allor fuggiva : Auz' impediva tanto il n270 cammino: son tutti versi di Dante, ove io, m270 è sempre fatto di una sillaba sola. O. Io non la so tanto lunga da renderti ragione perchè alla 2, 4, 6, 8, e 10 sillaba, senza che l’ armonia del verso ne patisca, sì trovino queste due sillabe che non appariscono che una sillaba sola: e perchè non si trovi quasi mai e forse mai, un zo alla 5, 7,€ 9 sillaba, ove renderebbe il verso endecasillabo di- sarmonico , il che io credo che i poeti chiamino senza giusta collocazione di accenti. I. Sarà vero: ma io vorrei sapere perchè . : O. Io non ho mai studiato come tu sai, e quel che ti ho detto l’ho casualmente imparato fra le mani 160 de’ compositori. Anzi non vorrei che tu prendessi in contanti le mie parole. Dico ciò a te in confi- ‘denza. Il ciel mi guardi da palesare la mia opinio- ne a chi fa professione di letterato e di scrittore. I. Dimmi dungne la tua opinione. O.A me pare che tu debba raddoppiarti in fine delle voci di terminazione plurale, solamente quando tu ed io facciamo uniti insieme due sillabe nella de- sinenza singolare, cioè quando sei pronunziato di- stintamente nel singolare. . Per la stessa ragione se io sono sentito, non quanto te ma poco meno, nelle desinenze di pallio, cranio, al» cionio, stadio, dilanio, patrio, previo, pervio, esi- mio, plebeio ed in alcune altre, ove mi si sente assai più che in viaggio, laccio, occhio, cerchio ec. . . . . 0). Sta bene, potrai intervenire nel plurale raddoppiato, perchè si pronunzia alcionii, pallii, previi, dilanii ec. poichè ne’ loro singolari sei pronunziato con un suono più distinto : ne convengo; ma tu converrai meco che sarebbe ridicolo vedere scritto viaggii, laccii, coraggii, vestigii, e cento e mille altre voci di tal fatta, perchè la loro pronunzia non lo vuole. I. Ma che male vi sarebbe se col sussidio d’ un è solo, d’un j lungo 0 di un fi doppio si disbnguessero le voci di diverso suono e di diverso significato? O. Non ti dico che vi sarebbe un male; ma questo com- penso servirebbe a pochissime voci, mentre che le parole che avrebbero bisogno d’ essere distinte sono moltissime. Cosa direbbero le tante voci di signifi- cato doppio, se non fossero elleno pure prese in con- siderazione ? I. Basterebbe il cominciare . Ho sentito bucinere che ci sia chi ci pensa, e dopo aver proposto l’ / colla coda 161 e i due ii, vorrebbe degli accenti gravi, acuti e cir- conflessi per determinare i diversi significati delle voci scritte con le stesse lettere. O. E quando la pronunzia assegna loro lo stesso suono, come farà? Quando sì troverà scritto amo, quali se- gni vi sì porranno per distinguere un istromento da pescatori, dalla prima persona del verbo amare. I verbi , ed in spezial modo quelli della prima co- niugazione, hanno una o più voci che han due diversi significati: amo, ami, amate, amare ; calza, calza- “to, calzare; consolo, consoli, consolato, consolare; linea, lineato, lineare; leggere, legge, leggi, letto. In tutti questi casì ed in altri moltissimi, non baste- rebbe segnare le chiuse e le aperte, le brevi e le lun- ghe. Aggiungi che vi sono parole, le quali in vece di due hanno tre significati. enzo per timone, per timore, e verbo. i E volto al temo ch’ egli avea tirato. Dante. Per femo risposono, in gridando, che sì. Bembo. I’ temo sì de’ begli occhi l'assalto. Petrarca. Tema per timore, per soggetto, e come. verbo. Dì questa fema acciochè tu ti solve. Dante Perocchè sì mì caccia il lungo tema . Dante. Accioch' egli (non se ne avvedendo quasi le bar- be) non tema. Davans. Nell'esempio di amo ec. a quali segni ricorrere men- tre le quattro voci sono nell’istessa modo proferite ? Lo stesso dicasi degli ultimì surriferitì esempi. I. Per mia fe’ mì pare che tu abbi ragione. Ma non te ne stare al mio giudicio ; perchè sai ch'io sono di poca levatura. Ma avendo tu tanta roba in corpo, mi pare che se diraì tutte queste cose al proto, egli po- ‘trà tenerne discorso co’ letterati che capitano alla 162 stamperia, e farne qualche caso nel giornale, ove tu pure potrai figurare col dignitoso carattere di autore. O. Non ci mancherebbe altro. Ti pare che io volessi dettar leggi ai letterati! Ho dette queste cose teco, così per passare il tempo; ma non presumo tanto di me da sedere in cattedra, e di tener lo campo contro chi scrive e stampa. Anzi tutto ciò che ho detto sia per non detto; e desidero che tu te ne dimentichi anco nell’ occasione che il compositore ti ponga accanto a me, componendo ‘epitaffio, 0 ti raddoppi nel comporre orecchii, o ti ponga la coda nella parola capriccj . D. POESIA Canto funebre di Gio. Rosini, in morte di Vir- GINIA Orsucci nata BoccELLA. I Rosini ha dettato in quest’ anno molti epitalamici versi. Ora ci mostra la lira sua temprata a funebri note. E chiunque oda il suo canto, a pietà si com- muove. La giovane Virginia, bella, spiritosa , inge- nua, e valente nella musica e nel disegno , ottiene dalla fortuna un geniale consorte. Ma poco dipoi in- comincia lo sposo a languire, e di lento e irrepara- bile morbo muore, senza lasciare alcun figlio . Sic- chè Virginia si duole, e non ha conforto. Amava il marito, e lo ha perduto: bramava esser madre, e non riceve le filiali carezze. Nè ciò è il tutto: poi- chè Igea nemica le infonde in seno lo stesso vele- noso umore, che consumò lo sposo. Ella però è sa- via, e non sbigottisce, quantunque debba affliggersi 163 dello stato presente e conoscere il termine della vita sua. Ritorna quindi appresso la madre: ‘attende alla musica, disegna , legge, conversa: e nel colloquio di pochi ma buoni e virtuosi amici par ch’ ella riprenda vigore, poichè a poco a poco disgombra la mestizia. Funesto errore, cui altro errore conseguita! Virginia spera miglior salute: i‘suoi amici la credono guarita : e nuovo sposo offerendole novello amore , essa ‘nol fugge, perchè Furon l’ armi novelle un’ alma eguale , Schietto cor, franco labbro, e pari ingegno : E con lor l’Amistà, che quando unita È con Amor, compie con lui la vita . Nè le feste nuziali, nè i primi giorni dopo l’imeneo , non furono turbati per alcuno accidente. Anzi adempì Virginia il suo desiderio, poichè divenne gravida d’un figlio. Ma questo era appunto il segno fatale ! Il suo destino voleva ch’ ella desiderasse il’ proprio danno: così lor sorti son fisse agli uomini! Infatti fu subito ripresa da quel malefico umore, che si era mitigato, ma non estinto . E Virginia ebbe il figlio, ma non potè godersi neppure di abbracciarlo soven- te, per paura di renderlo partecipe del male suo. Il fanciullo vive: la madre è nella tomba: cantia- mo insieme col poeta le note funebri. LI Ed è ver, che già chiusi al sonno eterno, Nel fior della ridente Primavera, Sien quegli occhi soavi ? e il gel d’ Averno qPrema quel cor , cui già l’ egual non era ? Ed io, che intorno al talamo materno Intuonai gl’ inni, e dalla terza sfera Chiamai l’ alma di Laura in seno a Lei, Prender l’ arpa dovrò da’ tristi omei ? 164 Pende là, dov’ ancor giace la cara (1) Spoglia di bel Fanciullo infra i cipressi ; Nè parea che sì tosto, e per sì amara Cagion , ritorla fra le man dovessi : Ma poi, che al soffio della Parca avara ,' Scioltasi l' alma dai terreni amplessi , I suoi cari lasciò tra l’ ombre e ‘1 pianto ; Tempra, o mesta Elegia , le corde al canto. Come rosa da brine ancor non tocca , N° era il volto ai sembianti ed al colore : Se apriasi al riso la purpurea bocca , N’ apparia l'innocenza ed il candore : Di neve al par, che senza vento fiocca , Scendean le dolci parolette al core : E ardean le luci, in un modeste e belle, Come di Leda in cielo ardon le stelle - Piovea dal guardo , se moveasi in giro, Sì puro incanto ed inusato affetto , Che spuntar non osava anco un sospiro Da quanti il cor più palpitava in petto . Parea disceso dal superno Empiro Sotto umane sembianze un Angioletto , Che , troncarido al desìo la speme e l’ale, Rapìa nostr’ alme oltre ’1 confin mortale . Ben lo conobbe il mondo, ancor che guasto Là corra, ov’arde la licenza e il gioco ; Ed alti sensi in cor gentile e casto Folle disprezzi, o nulla curi, 0 poco ; E dicea , nel mirar sì gran contrasto , Indegno è di Costei sì basso loeo ; Per error sì bell’ alma in sì bel velo Scesa è quaggiù : già ne l’ invidia il Cielo. Tal sul fiorir del quarto lustro apparse Nova Psiche alla terra : aura pudica Le spirava d’ intorno ; in Lei cosparse Parean le Grazie della sorté amica , E di Pallade i don. Videla, e n° arse Amore , ed obliò la fiamma antica : Ma in seno accolto a pavido consorte , Obliar non potè le ferree porte (2) , Era fe dittico È 165 Che l’ aspra cura , onde i gelati affanni Germoglian nel diletto e nel desìo , Ch’ or di tema si pasce; ora d’ inganni, E i fiori attosca , che ’l piacer nudrìo., Sì forte lo premea co’ feri vanni , Ch’ a ogn’ uom la tolse il prepotente Dio. »» Ella saggia ed umìl di quel, che piace »» AI suo signor, fa suo diletto e pace - Or, destandone il suon , con facil arte , Sugli armoniei bossi erran le dita ; Or sulle molli.tele., or sulle carte , Il pennel volge, o la sottil matita : Or volume gentil; dove cosparte i Han lor grazie le Muse, a sè l’ invita : Ora il Frigio trattando ago e la spola, Questi giorni vivea contenta e sola . Chè in angeliche tempre anima eletta Di sè si pasce, e sol di sè si bea . Ma ne il suon delle corde ; 0 la diletta.» Matita, oi canti di Pieria Dea , Trattennerl’ ale della rea saetta , Che invisibil la colse ; e nol credea : Qual giglio senza umor già non sentia . Lentamente languirsi, e pur languia . E verche spento anco non era il foco Del casto raggio ; che splendeagli in viso ; Nè a’ repressi sospir ceduto il loco Aveano i lampi del divin sorriso : Ma la rosa e il ligustro a poco a poco Cangiavasi in viola ed in narciso ; E alle gote, alle labbra, al mento, al ciglio, ‘ L'ombra. apparìa di non lontan periglio , Ma poi che piacque alla fatal.sua stella , Dal presto vedovato infausto letto, Ridurla in parte , ove traea sì bella Vita fra i pegni del materno affetto : Perchè , perfida Dea, Speme rubella , Invocata scendesti ? E il falso aspetto Mostrando Sanità , de’ suoi colori Le pinse il volto ? esca novella ai cori ! T. IV. Ottobre II 166 Giurato ‘avresti che dall’onda algosa Sì fresca non appar la Dea vermiglia , Nè così sfavillante e rugiadosa La vaga stella , che ad amar consiglia. Spiravano i suoi labbri aura odorosa ; Più vivo era il fulgor delle sue ciglia; Fatte avorio le braccia; e colmo, e pieno Il molle fianco, e ritondetto seno. Tutto parve cangiarsi< A Lei davante L’avvenir senza tema alfin s° apria : Cresceano i vezzi del gentil sembiante : Dei cor la voce riprendea: la via. De’ cari studj e dei silenzj amante , L’onte obliando di sua sorte ria , D' elette cose , colle luci intente , Tesor facea nella tranquilla mente . Ah! perchè mai mella segreta stanza , Tra l’ eletta de’ suoi breve corona , Di pietade apparir vide in sembianza Colui , che il pianto ancor non abbandona ? E perchè gli aprì "1 core alla speranza 3» Il Dio, che a nallo amato amar perdona ? Funesto error ! Se per error cangiato In terra esser. può mai l’ ordin del Fato! Invan tremante del Garzon fatale Fuggì le note fiamme e il giogo indegno : Per Lei cangiato avea d’arco e di strale L’ alto Signor dell’ Acidalio regno . Furon l’ armi novelle un’ alma eguale , Schietto cor, franco labbro, e pari ingegno : E con lor l’Amistà , che quando unita È con Amor ; compie con lui la vita . Ma forse non avea per anco Imene Il vel riposto dal trapunto lembo , Nè strette le dolcissime catene , Che sordo già romoreggiava il nembo ! Ma poi che arrise alla materna spene L’ infausta Dea , che fecondo!le il grembo , Spense Imeneo la face ; e in veste bruna Scese la Parca a preparar la cuna, 167: Corhe il mistico, angel dall’ arte (espresso , Ed in Pindo..cantato.e in, Elicona/ (3) , Per novello «d? amori tenero eccesso ; Tra i smorti figli, che li fan corona, 7 Pungesi il petto , e del suo sangue istesso Mentre li paste ; la vita, abbandona ; Sì la tenera madre , i giorni sui Consacra al figlio. ; e va morendo! in lui . Fur gl’ .iterati amplessi, ed. i vagiti, | L'ultima gioiadi quell’ alma pura : Ch? ai lacci stessi da; Lucina orditi , Pendea la trama della sua sventara! Lividi gli occhi',.i;labbri scoloriti , Peste le gote.,le macilenta e scura La pélle , che fiorìa di bel candore , Dicean: Morte rapì l'arco ad Amore,, O del folle mortal breve conforto ; »» Che nel vago confin d'un fragil viso , Con gli ebrj sensi e .l’egra mente assorto, »» S' apre in terra a sua posta un Paradiso ! Chi potrebbe in quel volto esàngue., e smorto, E in quel languido sguardo a terra fiso; Riconoscer Colei , che' col giocondo Riso allegrava la matura e. il mondo ? Numi! qual m’ apparì stesa sul letto, Posando il debil mento ‘al. sen languénte ! E benchè l’ ombra del’ cangiato aspetto Già figurassi ‘alla presaga anénte , Tremando mi. sentii passar il petto , Quando la scarna man soavemente Ultimo pegno d’ amistà ne porse... Pur nè del duol, nè’ del tremor. s’ accorse : Che aprendo un riso, e) cara in suo pallore , Qual se, un arido giglio, apre le’ foglie, Anch' io le sorridea per gli'occhi fuore ; In sen premendo le angosciose doglie | Nè con qual sentimento ; e con qual core Là stetti , e alfin lasciai le infauste soglie , Saprei ridir ; ch’ erami*sempre innante Quello sguardo ; quel riso; e quel sembiante . 108 E freddo; e muto , e sconsolato , e lento , Volgeva all’ Arno sospirando il passo ;’ î ba E m' era nel cammin nuovo tormento ‘’ ro Ogni arbore ; ogni fonte , ed'ogni sasso; | | #1 Che ciascun parea dirmi in tristo accento ; 4% Noi tutti rivedrai , se‘torni ... ahi basso; 0000 Ma più non rivedrai la cara e bella.» +: «ae O crudel fato ! O sua perversa stella ! Poi talor:, come sogna egro , o-delira y Dicea tra me : fissa dunqu’ è sua sorte:? Hi E lo consente il Ciel ? nè pensa ;; e mira J Come la speme ne? suoi cari è forte ?:' | Nè piegar si potrìa del Fato l’ ira ?. Nè Amor saprebbe impietosir la Morte? Nè v’ ha pe' Numi Inferni ostia votiva ; . Sì che viva languendo ; ma pùr viva ? Sorgea ’ntanto la notte ‘orrida e scura , Senza il pianeta che nel duol conforta , E più tetra la fean l’edace cura, Gli ardenti voti, e la speranza morta . Ma quando altin le cittadine mura Varcando, a tergo risuonò la porta’, Parve un chiuder di tomba; e quel fragore M' invase i sensi; e rimbombommi al core . Da quel dì non mirai che in'nubi avvolto Il fonte della luce e’ della!wita ; |» 209 Nè m’apparse giammai che'fosca vin volto»! È La Dea, che al‘sonno ed ai' silenzj «invita!; ++” Sì che dicea sovente al Ciel rivolto; sar9T Forse l’ ultima sera El ha compita; Moi) E l’acerba novella, e la dogliosa AUTRZZO, Storia m’ asconde l’ Amistà pietosa . i Ma la Speme fallace e lusinghiera Render volle più reo l’ estremo istante . Barbara ; e lo potè! ma che non spera Il desìo d'una madre , e d’ un amante ? Misera madre! in quell’ orribil sera »» Serenar parve il torbido sembiante , A Nel dirle addio! Lunge la volle il fato ; qu Nè raccor ne potè l’ultimo fiato . 16) 169 (STA Non anco avea dal balzo d' Oriente Lentato il Sole ai corridori il freno , Che avvolta in una nuvola lucente . «Fender la vidi il liquido sereno . «xx SStringea la destra la facella ardente ".°.. Della Fè , che le accese il casto seno : vat ' Candido ‘senza rose era il bel viso ; Ei rai tutti desìo del Paradiso Così volando allesuperneè sfere; sin 3 Stehdea dolcé la manca “al patrio suolo, ‘Dogliosa pur, di tante notti intere 5 Che trarranno i suoi cari in pianto e in duolo . Mi scossi, e dir ‘volea .... Ma le leggiere Ale battendo , era sì ratto il volo, Che l’ accolse , e si chiuse il Cielo intanto... Cessa , 0 mesta Elegìa , cessa dal pianto . (1) Ode in morte d’ un Farciullo , scritta nel 1818. (2) Vedasi la favola di Psiche . 1, (9) IZ Pellicano, emblema dell’ amor paterno. Vedasi l' Iconologia ) 7} (0) RAGGUAGLI SCIENTIFICI; LETTERARI E ‘BIBLIOGRAFICI, “vv Notizie istorico-critiche di Fra” Giacomo da vi or'r ita, no- bil Terra della Toscana, pr ‘imo ristoratore, ‘dell’ ar te musivaria in Italia, suite, quali si parla distintamente della detta sua patria, @ delle, altre persone più illu- stri, che in diversi tempi wi-trassero loro natali , scrit- te dall’ ArUvrcr:Dr- AwnorrisiP.) P.'oiellé dive R. Uni- versità di Siena, Bibliotecario di dettavcittà ‘e Segre- tario perpétuo dell’ Accademid 59 o RR delle’ Bello Ar- ti. Siena 1821, in pri | / Do poche molto e variamente sì è scritto sopra ‘alcun va- lentuomo, è mestieri che venga in campo tale che dili- gentemente e con critica esamini ogni opinione, e il vero | dal falso disceverando, e le probabili congetture alle vane anteponendo, presenti al Lettore quello che unicamente es- ser gli può fruttuoso. Ciò fa oggi il ch. P. De-Augelis, nato all’ erudito pubblico per non poche opere ed impor- tanti, colla prima parte del libro, del quale abbiam riporta- to il frontespizio, e di cui ci affrettiamo a dar breve rag- guaglio. i È disparere tra gli Scrittori se Jacopo o Mino fosse il nome del celebre musaicista, il quale dal N. A. detto è a ragione primo ristoratore dell’arte sua in Italia ; perchè quantunque questa mai nella Penisola non perisse, scadde | però alquanto; e a lui deesi la lode d’averla assai renduta migliore: o il facess’ egli colle sole forze dell’ ingegno, o questo accrescesse colla imitazione degli antichi, come con- gettura nella Storia pittorica d’Iualia 1° elegantissimo Lan- zi. Or questa questione del nome risoluta è dal Sig. De- | Augelis colle sottoscrizioni apposte all’omnere, e con le te- stimonianze degli Scrittori, dalle quali è manifesto ch’ egli chiamossi Jacopo 0 Giacomo e non Mino. E l’aver ciò pro- I7I vato giova a stabilire , che maestro Mino pittore diversa persona era da fra Jacopo musaicista, e non la medesima , com’ha taluno creduto. Sono pur d'accordo gli Scrittori tutti, che di fra Jacopo parlano, in dirlo di Torrita. S' ignora l’anno in che nacque, e quello in cui finì di vivere. Che lunga vita egli avesse, ne sono certo argomento la data del 1225, scritta sotto il suo mosaico nella Trribu- na di S. Giovanni di Firenze, e quella del 1295, segnata nel mosaico ch'egli condusse in Roma alla Basilica di $. Giovan Laterano . Il perchè congettura il Sig. De-Angelis che nascesse fra Jacopo intorno al 1205, e che morisse no- nagenario. E per rendere, oltre al fatto, credibile eziandio con ragioni, ch’egli e sì giovane e sì decrepito operasse, adduce esempi dell’uno e dell’ altro, tratti dalla Storia del- le arti del disegno. Giotto, che di 20 anni aveva assai di- pinto im Firenze, nel ventiduesimo fece a Roma la navi- cella di S. Pietro: mosaico celebratissimo; e Michelangelo e Tiziano, che meraviglie fecero nei più verdi anni, mori- rono ambedue decrepiti e nell’esercizio dell’arte. Prove di buon criterio dà poi il N. A. nell’ attribuire e altri mosaici, e pitture a Fra Jacopo, onde riempiere la laguna, che è tra il 1225, e il 1295, date certe di suoi la- vori, come sopra è detto, e nel togliere insieme al mede- simo opere , che altri senza buon fondamento gli assegnava . S' ignora pure qual maestro avesse Fra Jacopo. Il Pa- dre della Valle, seguito in ciò dal Lanzi, gli dà quel Gui- do, che dipinse nel 1221 la Madonna di S. Domenico. Ma riflettendo il Sig. De-Angelis, che quattr'anni dopo è detto Fra Jacopo nella iscrizione del citato mosaico di S. Giovanni di Firenze prae cunctis arte probatus, opina, che, tralasciato ogni altro esame, potrebbe piutiosto dubi- tarsi, che Guido fosse stato discepolo del musaicista. Ma il vero è che lo stile di questi due artisti punto non si so- miglia. Crede però nondimeno il Sig. De-Angelis che Fra Jacopo avesse in Siena i rudimenti dell’arte; parendogli che le opere di questo abbiano somiglianze con alcune, 172 i ch'egli. novera , di vecchi pittori della stessa città. Opina eziandio, e, pare a noi, con ragione, che il meccanismo del mosaico ei I apprendesse in Roma, ove in quel tempo molti mosaicisti erano ; non potendosi credere col Vasari ed il Baldinucci, che Andrea Tafi, il qual nacque nel 1213, erudisse Fra Jacopo, che nel 1225 riputato era famoso in quest’ arte . Spedito il N. A. da queste questioni prende a provare. con abbondanza di argomenti, che Fra Jacopo appartenne all'ordine minoritico, dileguando i dubbi che ne mosse il Wadingo; scuopre l’ equivoco del P. Marco da Lisbona, che nelle sue Cronache dei Frati Minori confuse fra Jacopo da Torrita con Fra Jacopo da Camerino, che a quello fu aju- to: mostra aver errato il Benvoglienti , che opinò esser Fra Jacopo lo stesso che Mino degli Ugurgieri; ed in fine propende a credere che esso Fra Jacopo mai non iscolpisse; come taluno ha pensato, tratto in errore dalla notizia che ei lavorò al Sepolcro, il quale Bonifazio VII si eresse viven- te, ove in verità altro non fece che i mosaici. La' seconda parte di questo libro spetta tutta a Torrita. Chi da Montefollonico, dice il Sig. De-Angelis, getta uno sguardo sopra Torrita, ravvisa esser ella stata una piaz- za d’ armi, restando dalle Torri nascosto il Fabbricato, che in molte parti rimane tuttora depresso. Fatta questa Terra quasi baluardo dei Sanesi, a molte e luttuose vi- cende fu sottoposta nelle frequenti guerre, che questi sosten- nero nel tempo di mezzo. Fedele però presso che sempre a loro il popolo di Torrita, diè in pro d’essi argomenti di gran coraggio e fu prodigo del proprio sangue . La Storia di Torrita può dirsi incominciare dal 1208. chè innanzi tutto è favola od incertezza . Trascorsisi rapida- mente dal Sig. De-Angelis questi tempi, e pervenuto egli ai certi ed istorici, questi illustra con assai dottrina ed in parte muova, ch'egli trae da libri scritti a penna. Importantissima, per esempio, è l’autentica notizia da’ lui datane, che Tor- rita ebbe il Potestà assai. prima del 1251, anno che pel 173 Muratori è il primo, in che fatta si trovi menzione di questi carica nei paesi d’ Italia. : Passa quindi il N. A. a descrivere il materiale di Tor- rita, dando contezza delle principali fabbriche di essa sì sa- cre e sì profane, nota il tempo in che furono erette e quello in cui si restaurarono od abbellirono. Riporta le iscrizioni che di ciò serban memoria, descrive le opere dell’arti e ogni altra cosa, che le nobiliti; scrive in somma di tutto quello che riuscir può grato a chi legga il suo libro, e con la scorta di esso visitar voglia Torrita . Un ragionato novero di alcune persone più illustri di questa Terra forma la terza ed ultima parte del libro. Vi si trovano uomini ragguardevoli per santità di costumi, per iscienze, per lettere, per militari talenti, per onorificenze, e per altri pregi: tra’ quali uomini piace veder primo l’ani- moso Ghino di Tacco mentovato da Dante, e subietto al Boccaccio per la novella seconda della decima giornata. ZANNONI. Porcus Trosanus ossia la PorcuarTTA ; Cicalata nelle nozze di M. Carlo Ridolfi Veronese con Madonna Rosa Spina Ri- minese: altra edizione, da’ Tipi Noziti 1821 ( Bolo- gna )in 8. Setto il nome anagrammatico di Giri dî Luna, un erudito e culto scrittore riproduce co’ torchi del Nobili di Bologna questa sua cicalata. Lo scopo del suo lavoro ei lo palesa in u- na delle tante note, delle quali lo ha corredato . “ Lo sforzo »° da me fatto (egli dice) è stato quello di provare un genere 3» nuovo affatto che non so essere stato tentato da altri, cioè » di trattare ed esaurire possibilmente un argomento di anti- » Quaria pura in una cicalata, conservando Varia faceta che a »» quella conviensi, e alle note analoghe, senza atterrare la ve- » rità, 0 attingere a fonti poco noti,,. Per mandare ad effetto il suo proponimento egli ha raccolto in questa sua festiva ope- retta quanta erudizione poteva mai aver relazione al suo sog- getto . Il tema di questa cicalata è la Porchetta, vivanda squisi- 174 tissima anco de’ tempi vetusti, e dagli antichi chiamata porcus trojanus; ,, ed avevan ben ragione di chiamarla con tal nome, »» poichè siccome il cavallo troiano; che pure fu inventato da ‘3, un cuoco greco di nome Epeo, era gravido di armi e di 3, armati, così la loro porchetta aveva 1’ anima d’ eccellentissimi »» ingredienti composta, che formavano assai buono e badiale ripieno ,,. Dopo aver l’ autore eruditamente encomiato il porco, de- scrive minutamente gli usi, i pregi, i fasti, i meriti di quell’a- mimale, comprovando ogni suo detto colle più classiche alle- gazioni: e se talora sembrar potrebbero inyerisimili molte del- le. cose ch’ ei dice, può il lettore star certo che non vi è un sol fatto che non sia appoggiato a classiche citazioni. Così una scherzevole cicalata diventa una ricca miniera di notizie le meno comuni risguardanti a ciò che alle mense, alle vivan- de , alle cucine, ai cuochi appartiene ; dottamente errando l’au- tore pei tempi antichi non solo , ma per gli eroici ancora racco- gliendo sempre naove dovizie di erudizione . Scrivendo egli la sua cicalata in occasione di nozze e di convito nuziale , entra a parlare ( e sempre con eletta erudi- zione d’ogni tempo e luogo ) sull’ appetito, su i famosi man- giatori ‘e bevitori : e narra spezialmente i fasti dell’ appetito, ch’ ei chiama eroico, con tal possesso de' classici tutti greci e latini, e di tutti gli scrittori d’ archeologìa , e con tanto va- ga scelta di linguaggio, che più non si saprebbe desiderare . A taluno però sembrar forse potrebbe a prima vista man- car talvolta la dettatura di naturalezza e di spontaneità , e ri- dondare a luoghi di voci e modi di dire meno usati dal co- mune degli scrittori , mentre in molti altri è disinvolta e na- turale. Per es. e’dice : ,, possa io essere orticheggiato e ramatato », se fra le centinaia di migliaia si trovano due o tre buone », raccolte ( poetiche ). Il resto ghierabaldane che danno del », macco a josa, pantraccole da rabechino ,,. Ma in una sua nota si protesta che quanto a parecchi vocaboli da me usa- , ti nel testo e nelle note, niuno attribuisca una certa ridon- » danza de’ medesimi ad affettazione , ma a semplice scherzo :) che ben conviensi alla cicalata: del resto io spero di non a- ss verne usati a bizzeffe,,. Daremo un saggio del suo stile tanto nel testo che nelle “ x : È 175 note. Dopo aver parlato sull’ utilità del porco , se la préade contro coloro che lo aborrivano . « Or vedete dunque quanto e- 3 rano sciocchi gli Arabi sceniti, i Fenicie.gli Egizi che i por- ici ed. porcari detestavano (27). Gli Ebrei però (che. vive- 3 vano ;a tempo «i Giovenale ) non se ne; cibavano;; perchè la » credevano. carne \somigliantissima all’umana . ‘Nec distare putant humana carne\suillam. Juv. sat. 15. » Maggiore era, salvo ciò che di iloro ‘altrove dirò, la gagliof- 5 faggine de’ pittagorici., che pur eran filosofi, e ‘si astenevano » dal porco , e dei flamini diali. che nemmeno lo toccavano , 3) Seppure non \usavano \con esso quella convenienza che 1’ affe- zione ‘e ‘la somiglianza ‘talora producono . . . Aveva anco il sagrifizio porcino la virtù di guarire i matti (35). Ma per 3 \pietà nonlo dite ‘ad alcuno, affinchè non sivestermini la por- 3; 'chereccià razza con danno infinito del genere umano . Ficcate (07) Calmet Diction. Bibli. verb. porcus. Erodoto Lib. 2, cap. 473 diec che se ‘gli Egizi avessero soltanto toccato il porco, vestiti vestiti andavano a tuffarsi e lavarsi nel Nilo. Al contra- rio î Cretesi lo adoravano, come scrive Atenco, lib. 9; lo che «al'dire di ‘Esichio fecero anco i Sami. Il citato passo di Erodoto è troppo ‘bello perchè possa omettersi. Suem Aegyptii sporcam elluam ‘arbitrantur. Quam si quis vel:transeundo con- tigerit, ‘abiit lotum se se cum ipsis vestimentis ad flumen. Pro- segue ‘dicendo che ‘niuno s'imparenta co’ porcari, i quali non potevano entrare ne’ templi degl’ Iddii . Poco dopo dice che potevano però gli Egizi lralighi il porco alla sola luna ( Le- vae ) eda Bacco (Libro): e chi non avesse un porco vivo ne formavarun finto; usanza comoda e poco dispendiosa . (35) Lorenzi presso il Gronovio tom. :VI1. col. 209. faceva sagrificare dai mentecatti il porco ai Lari, onde rac- quistare la salute della mente , e riavutala sagrificavano un altro‘porco. Ved. anco Plaut. Menecm. A. 1, Scen, 2. Horat. lib. 2, sat. 3. Usava quindi il proverbio antichissimo , porcum immola, per dire sei un pazzo . Nel medio evo servì anco agli auguri: Vedasi il. Rodiginio XIII. 35, Martino del Rio, di- squisitionam magicarum lio. 3; pag. n8, il quale narra il fat- "todi ‘Teodato rè de’Goti } e vi si parla di cose simili. acca- dute sotto gl’ imperatorò Andronici. 176 » piuttosto una bellissima carota ,;col dire che in tale’ oecor- . renza immolavasi il cane o l’asino: mè vi mancano gia anti- ;; chi esempli di simili sagrifici. ... e nelle cene degli. Dei; ed in altri incontri , ed in agosto i cani erocifiggevansi a croci 3 di sambuco, e questa chiamavasi la festa de’ cani (46); la qual »» vorrebbesi salutarmente rinnovata tra noi (47);; - sie Se mal non avvisiamo ci sembra. in questi, come in molti altri passi, trasparire una certa urbana malizietta, una certa ‘sal- sa festività che mostra non essere il sig. Nardi un semplice ‘ar- cheologo, ma un saporito autore. og hl Sopra la vera struttura dell’ Utero e delle sue Lt nenze + Dissertazione di GiovanzatistA BELLINI toscano Dot- tore in Medicina e Chirurgia ec. Rovigo Tipografia Miazzi 1821. L’ Autore di questo scritto è un alunno del celebre Mascagni e traduttore dell’ opera di quell’ esimio , professore sui vasi lin- fatici. Il suo scopo è di mostrare, seguendo le tracce del suo maestro ; contro l’ opinione della maggior parte degli antichi e moderni anatomici, che l’Utero non è composto di fibre muscolari, l’azione delle quali è stata creduta necessaria per |’ espulsione del parto . Ma siccome l’ osservazione la più accurata. non dimo- stra in quell’ organo, l’ esistenza di queste fibre muscolari, e-il raziocinio insegna che se vi esistessero verrebbe nella straordina- ria e lunga distrazione esaurita la loro forza contrattile , conclude per la non esistenza delle medesime tanto più che gli autori che han creduto di avercele osservate discordano fra loro nel deli- ‘nearle e descriverle . 7 (46) Plin. ediz. di Venez. del 1785, Lib. 29, c.14, Columella de re rus. lib. X. Questa spiritosa piacevolezza veniva fatta ai cani, mentre i paperi erano posti sopra morbidi guanciali, e ciò in memoria della presa di Roma fatta dagli antichi Galli, e dell’ assedio del Campidoglio fatto dai medesimi, nel quale i cani furono in vigilanza superati dalle oche. Ved. Celio lib. 17,cap. 28 presso l Ospiniano cap. 28, Plin. ec. (47) Sarebbe desiderabile che ai giorni nostri si rinnovas- sero simili canine stragi , come quelle che procurerebbero qual- che poco «di pane di più agl’ indigenti, e provvederebbero alla pubblica sicurezza e pace, spesso turbata 0 dai timori d’ idro» fobia, o dagli assalti di mordaci cani . PA ‘Passando quindi a indicarne la composizione egli la trova constare di quattro distinte membrane: l’ascittizia formata quasi tutta di vasi linfatici ; la cellulosa compatta ; ; la ‘nervea tessuta di'vasi sanguigni , e Linfatioli e di nervi ;e la vellatàta composta di. perni assorbenti . AT » Passa quindi ad esaminare anatomicamente le appartenenze di quel: viscere ;\ed infine riporta in forma di assioma) alcune de- duzioni risguardanti l'anatomia ; la fisiologia e larmedicina ostetri- cavin quanto han relazione al suo soggetto». Crediamo di confortar questo nostro concittadino a seguire le sue!studiose indagini'e farle di pubblico diritto; e ci sentiamo in dovere di lodarlo per la premura datasi nella seconda edizione della traduzione dell’opera dei vasi linfatici dell'immogytal Ma- scagni , di analizzare gli scritti degli oppositori «di itui.; e di ani. marlò alla putti one di un:successivo tomo-che ei sta. compo- nendo e.che formerà un sommario della-parte -fisiologica e pato- logica: dell’opera . La brevità:di questo. ragguaglio non:ci per-! mette: indicare, gli;argomenti che in questo; tomo,si/tràtteranno ; quali il sig. Bellini gli ha esposti in una lunga nota ; ma (ci. sem-) brano della: più:graride importanza , e fin d'ora prendiamo l’im- pegno di dar conto di detto tomo; tosto che sarà pubblicato . Lezioni di materia medica, \del.D. OrrAriavo Targioni Toz- ZETTI professore. di, Botanica ‘e materiarmehica + Firens, ‘vo renze presso, il. Piatti 1824/ fi ;In;queste lezioni, che sono.in numero di; xbll, tratta il dotto; ; autore), delle sostanze. organiche ., ed maoeaniit a , non, solo di quelle che servono per uso della, medicina,, ma discor= re eziandio di quelle che, in oggi bandite dalle farmacie, vi fu- rono.; un ternpo introdotte, dal pregiudizio, dalla: superstizione ; dall’ avidità, de’ ciarlatani,,,.e; dalla. credulità ; de’, medici ,,, come mezzi sicuri onde, racquistar la salute, mentre erano per la mas gior ,parte inutili e inefficaci,,,ed alcune, ancora rapaci, più che altro, a deteriorarla. Incomincia egli a parlare, dello sile inorgmiche;; e e com- prende sotto questa categoria ; colla denominazione di minera- li; gli ‘acidi; le sostanze. .acidifere non metalliche ;, le terre com- binate .fra! loro; le sostanze’ combustibili; ;i metalli,; gli agg re- 178 gati di diverse» sostanze minerali; i prodotti vulcanici ; e le acque. itrari0ì si : l'in I doo Segue dipoi a trattare de’ medicamenti che. l’arte salutare; trae. dalle: sostanze ‘organiche ,. incominciando dagli animali; se-, . guendo la loro divisione in mammiferi, uccelli, amfibi,. pesci, e insetti; ed esaminando le sostanze medicamentose tratte | dal- le loro diverse parti liquide, solide ei molli. A queste sutcedo», no le sostanze medicinali ottenute da’ vegetabili;; e. così percor=. re le radici , le cortecce; i legni, .i fiori;:i frutti e semi, le fo+, glie, le gomme e resine; i balsami,,glitoli, i sughi .condensa- ti, 1 sali vegetabili @ le fecole. Im questa terza parte delle sue lezioni} egli ‘esamina: ed éspone le qualità mediche di; queste. diverse parti de’ vegetàbili,. discorrendo per le diverse classi del, sistema Linneiano . is ihre In tatta l’opera sì mostra l’autore un valente naturalista; un dotto giudizioso ed ;erudito medico , ed un valoroso com- battitore de’ pregiudizi e. degli errori, de’ quali i secoli dell’ igno- ranza'e dell’ /impostura riempirono l’arte. salutare. .. Si. dorranne, forse: i lettori di. mamerosi errori di. stampa che a. malgrado di un errata corrige; ‘che . nei‘etnenda più ‘di cento, sono! corsi nell'edizione, alla quale ‘pare che il correttore non abbia prestata la debita attenzione. Ma questa circostanza porterà forse il vantaggio di vederne quanto ‘prima’ una seconda ‘edi zione più èmendata ; giacchè “il ‘merito’ ‘intrinseco del libro fa augurare un pronto smercio della ‘primàà} ‘ed allora forse 1° au- tore, ‘togliendo alcune negligetize di stile e'di lingua, potrà con diritto aggiungere ai suoi titoli ancér quello, ‘che’gli appartiene, di accademico della Crusca. |Podowisenodo up ib. / 04 1 pri 9-9 pi Î 34g vi A Ragguaglio dei' Viaggi ‘del Sigi Chitihun nella Nubia; letto dal sig. Jomard all’ Instituto dî Francia il'if'agosto 1821. ‘Ci è ‘pervenuta una lettera del sig ‘Cuilliavd) ‘che’ viaggia per commissione’ del'governo neì ‘paesi vicini all'Egitto; è scrit- ta da Dongola il 14 gennajo 1821. Ù Da Vadi Malfa ove si trova la seconida cascata. del Nilo a Dongola, questo viaggiatore ha fatte varie ‘scoperte, le quali accre- scono le nostre cognizioni in fatto d’ antichità Egiziane». Non lungi da Dongolà capitale dell’alta- Nubia, quasi 180 leghe so- pra Siene esiste un grand’ edifizio Egiziano, il quale può sta- cc 190 re a confronto ‘con qualcuni di quelli di Tebe. E lungo più di 300. piedi. Vi sono 90. colonne alte più di 30 piedi. Ogni parte dell’ edifizio è coperta di geroglifici, e di bassi rilievi. Vi son rappresentati presso a poco gl’istessi argomenti che in E- gitto, offerte , ceremonie religiose, compre ‘di prigionieri , ec. Oltre le figure di fisonomia Egiziana , vi si osservano anche va- rie fisonomie di razza nera e di razze del Caucaso. Il luogo in cui si trovano queste belle rovine si chiama Terbé. Tutto ciò che esiste ancora di quest’ edifizio è stato misurato disegnato e descritto dal sig. Caillaud. Altri 6 edifizj rovinati di minor pregio si trovano sulle ri- ve del Nilo tra la seconda cascata e Dongola ; non v'è nessu- na ‘iscrizione greca, e non vi si riscontra il più piccolo indizio da credere che vi abitassero ‘giammai i Greci o i Romani. E da osservarsi che questi edifizj son più degradati di quelli del- la bassa Nubia e dell’ Egitto. Bisogna eercarne la ragione. nelle pioggie , che ‘in quella latitudine son frequenti, e nella fragilità della creta; onde son costruiti . Resulta da queste scoperte del sig. Cailliand che gli edi- fizj Egiziani si estendono più lungi che non si credeva finora . Quattro anni prima non si sognava neppure che potesse ‘esiste - re fra le due cascate del Nilo un tempio sotterraneo come quel- lo d’ Ybsambul. Invece che questa scoperta. fosse uno stimolo per continuar le ricerche, si concluse che non verano altri e- difizj Egiziani sull’ alto Nilo, perchè Buckhardt non ne parla- va. Questa conclusione smentita è una buona lezione per non decidere prematuramente sullo stato dell’arti, e sull’epoche del- la civiltà di questi paesi male esaminati, ad onta dei viaggi di Ludolfo, di Poncet, di Lenoir, di Roule, di Norden, di Bru- ce, di Lord Valentia, di Salt, e di Burkhardt , di questi paesi, i quali erano molto più conosciuti dai viaggiatori e dagli storici dell’antichità che non lo sono da quelli dei mostri tempi. Gli e- difizj che si scuopronò ogni giorno, sopratutto quelli che con- tengono iscrizioni greche, accresceranno molto le cognizioni at- tuali. Una iscrizione copiata da Gau in Nubia sul tempio di Talmis non ci ha forse procurato il nome di un re d’ Etiopia ignoto all’istoria, ed il racconto delle sue guerre e delle sue conquiste ? Il sig. Cailliand è partito dalla seconda cascata del Nilo, 180. o da Vadi Halfa, a 80 leghe da Siene. Pochi trai viaggiatori moderni avevano passato Vadi Halfa. Hamilton e Leake autori della carta, che va unita al viaggio di Barkhardt si son poco, inoltrati frefla Nubia: Legh, e Smelt sono arrivati fino a Ibrim, Belzoni Stratton Huyot e Gau fino alla seconda cascata; ma ultimamente Wadingson, e Haubury son giunti fino a Chagny e a Korti presso Dongola. Un poco prima Banks era andato fino ad Amara , ove avea veduto un tempio Egiziano, che è stato do- po disegnato da Cailliaud. Burkhardt giunse fino a Shendy; ma il sig. Drovetti console generale di Francia conobbe per quanto pare primo di tutti il tempio d’ Ybsambul, poichè lo vi- de il 5 marzo 1816, e fece anche qualche disposizione per en- trarvi dentro. Cailliaud lo accompagnava in quella spedizione . Nella sua relazione che deve pubblicarsi fra poco; parla del fa- moso tempio sotterraneo ; che aprì dopo Belzoni con tante pene e tanto successo; come pure d’un tempio ornato di figure co- lossali e tdialicene dentro una rupe al pari di quello d’ Ybsambal, si che si trova a 3 giorni di distanza dalla seconda cascata. È forse uno di quell di Selenàt. In un secondo viaggio. il; sig. Cailliaud. ha trovate diverse. antichità in 6 punti sopra. Vadi Halfa I°. a Sebnat sopra la seconda cascata, ove ha veduti due pic- coli templi, 2°. a Amara; 3°. nell’ isola di Sai, che racchiude un piccolo edifizio , 4°. a due giornate più oltre, ove esistono gli avanzi di un edifizio rovinato, di cui resta in piedi una sola colonna piena di geroglifici; ‘ed il capitello è una testa di Iside; 5°. a Therbé a 75 leghe circa da Vadi Halfa, e a 155 da Sie- ne, ové si trova il grand’edifizio descritto quì sopra; 6°. aSes- sè a un giorno di distanza da Therbé ; ove sono gli avanzi di un piccolor tempio di 12 colonne ( 3 restano in piedi ) i capitel- li delle quali son tagliati in figara di palme; è situato in un re- cinto lungo 363 metri, che conteneva parecchie abitazioni. Que- ste antichità in gran parte non sono delineate sulle carte più recenti , sopratutto quelle che son situate oltre l’ isola di Sai . Il Sig. Cailliaud viaggia per terra con una, scorta, e con guide ; ed ha seco cavalli e provvyisioni. Abituato ai disagj e alle privazioni resta presso le rovine quanto è necessario per raccogliervi materiali esatti, e finchè non ha terminate, le sue ricerche . Così non si lascia sfuggir nulla d’ interessante . Ha impiegati 45 giorni per andare da Siene a Dongola . I lavori nei È Bei dor: 181° quali è continuamente’ eccù'patoj''consistonò ‘in disegtii di' anti chità, piani, topografie ) misure, osservazioni astronomiche , 68- servazioni ‘di fisica e di meteorolagia , collezioni d’istoria natura- le; ed è perfettamente di di) per i calcoli delle osservazio- ni .ila*Letorzec suo compagnb: di viaggio’, ; Pospuldiite di mari- na: Tléorso del Nilo da Assuan! a Dongola è già disegnato, e verificato con'’un gran numero d’ osservazioni’ celesti. Ne risùl- ta'‘che-la ‘carta di Bruce è quasi tutta erronea în questa parté , e chie la'|sitoazione di Dongola nelle carte di Danville è molto lungi, dal vero . Dopo avere impiegato un mese per esaminare Mongola ed i contorni, e più specialmente la grand’ isola d’Argo ,, Ja quale ha un tempio , e due colossi di granito color di rosa di bello stile , il viaggiatore si propone di passare a Shendy, di racco- glier notizie sopra il dar-Fur, e sui paesi più occidentali; quin- di si porterà al mar'rosso!, attraversando i fiumi tributarj del Nilo”, e'l’ isola‘ di Meroe' dopo di che tornerà in Egitto, se- guendò la costa di' quel marè . L’ armata di Ismael vicerè d’ Egitto, che conquista attual- mente la Nubia, dopo aver presa la città di Dongola , si trova- va a Chagny e Korti il 14 gennajo. A poca Di da Korti s' incontra una gran cascata. Gli Italiani che hanno ottenuta la. permissione di seguir le truppe , hanno veduti gli edifizj dei quali diamo quì il ragguaglio. Haubury , e Wadingson, che son andati più oltre, han trovate a Chagny varie AI i P e le rovine di 2 o 3 templi. Così gli antichi Egiziani avevano costruiti degli edifizj anche a 200 leghe oltre la sl di Siene. Un’ altra lettera del sig. Cailliaud scritta da Berber in Nu- bia il'16 marzo 1821. dà le seguenti notizie . ‘ Vi ho scritto da Dongola , e ultimamente da Chagny, che era poco fa il tea- tro della guerra, e ove il figlio del vicerè è restato vittorioso in tutte le battaglie ,,. Vi ho dato qualche riscontro sulle antichità del monte Barkal, e di Nourì, ove sono le rovine di 7 templi, e 36 pi- ramidi. Dobbiamo alla spedizione del figlio del vicerè la sco- perta di questi edifizj , che diversamente sarebbero restati per lungo tempo ignoti. L’istesso deve dirsi del corso del Nilo, il quale è delineato inesattamente in tutte le carte conosciute per- ciò che riguarda questa provincia , e il regno di Dongola . Due viaggiatori Inglesi han levato la carta del paese, ma non ave- T. IV. Ottobre / 12 182 È vano instrumenti per. determinare le latitadini ;, hanno copia- ti pochi disegni negli edifizi, e son tornati al Cute di Oggi il vi, | cerè non permette più agli stranieri, di venire in porri pae- se (a). 4 Io ho potuto, ‘ottenere di seguir, 1 armata solamente i ji ivi 4 sta delle mie poche cognizioni, in mineralogia ; e per la speran- \ za che si ha di O, qualche miniera importante ., Restere-, mo quì per 15 0 20, giorni ; dopo anderemo a Shendi,ed, a,$enr; naar, ove termineranno probabilmente le conquiste, del. principe . ev Rpiatui Vi iaggi di scoperte, nell’. Africa settentrionale. tm - Sua Maestà Brittannica ha scelto il sig. Bekey, segretario da più ami del Consolato Inglese in, Editto , e compagno del sig, Belzoni nei suoi lunghi viaggi, per dirigere la nupya, sper dizione che è destinata a tentare d’ Hi nell'interno del- l’ Africa. L’ ammiragliato ha disposto a suo favore d’ um pic- colo bastimento , il cui navigherà sempre in vicinanza della costa per essere in grado di soccorrere e di secondare la spe- dizione . Questa, d’ altronde dovrà internarsi nella penisola so- lamente quando possa farlo con sicurezza , e quando le resti sempre una via per restituirsi al bisogno senza ostacoli. sulla costa . I viaggiatori partiranno da Tripoli per esplorare prima di tutto le due contrade marittime della Libia , descritte. dai geografi antichi coi nomi di Cirenaica e di Marmarica., le quali non si conoscevano più da lango tempo , e delle quali ha percorse recentemente le coste il sig. Paolo, della Cella ,, ac- compagnando una spedizione militare della reggenza di Tripoli . La Cirenaica e la. Marmarica occupano sulla costa superio- re dell’ Africa una linea d’oltre 600 miglia. La prima trasse il nome da Cirene sua capitale . I Greci la designavano anche, sotto la denominazione di Pentapoli (cinque città ) alludendo alle cinque città di Cirene , Berenice , Tolemaide ,, Apollonia , e Darnis. La Cirenaica , MEI Erodoto , è la più alta regione della Libia. Cirene dovette la sua fondazione ad una colonia (a) Le notizie più positive che abbiamo ricevute per altra via ci obbligano a rilevare l’ insussistenza di questa asserzio- . I viaggiatori percorrono oggi liberamente come prima gli stati che obbediscono al vicerè d’ Egitto .. Nota. dell’ editore. 183 di Greci ‘dell’isola di 'Thera ; ve gli condusse Battus in conse- guenza d’un oracolo d’ Apollo . Prima che. Apollo guidasse i Greci «li Thera alla fonte di Cirene, soggiunge Callimaco , la Cirenaica era ingombra di selve. L'industria la cangiò in un paese delizioso . I navigatori Greci che la visitarono dopo, vi tro- varono una terra ricca di tutti i tesori della vegetazione . I poe- ti sulla relazione dei navigatori imaginarono allora di colloca- re nella Cirenaica il giardino magico dell’ Esperidi (le 7 figlie della ninfa Espero e del re Atlante ) tanto celebrato da Esiodo, e da lui stabilito dietro i racconti del navigatore Coleo di Sa- mo nell’ isola Atlantide. La città vicina al giardino prese allo- ra il nome d’Hesperis fra i Greci, e tre secoli dopo al tempo dei Tolomei lo cangiò in quello di Berenice . La Cirenaica, dice Erodoto, è divisa in 3 regioni ; la costa le colline , ed i monti . Ogni regione ha i suoi tesori ; le raccolte occupano gli abitan- ti per 8 mesi dell’anno. La costa è ricca d’ alberi fruttiferi . Quivi , prosiegue Scilace , si trova il giardino delle Esperidi ; è lungo e largo due stadj; vi germoglia in grande abbondan- za il lotus: la terra è ripiena di gelsi viti ulivi peri meligrani mandorli noci mirti ed allori. Strabone cita ‘tra le sue piante anche le palme. Le rovine di Cirene esistono ancora; e il sis. della Cella le ha esaminate e descritte. Apollonia Berenice To- lemaide e Darnis erano sulla costa‘. Apollonia serviva di porto a Cirene, che era dentro terra ; si trovava vicina al promonto- rio Thieus, oggi capo Rezat, e le sue rovine magnifiche esi- stono ancora al porto di Marzasusa. Toleraide sérviva di por- to a Barce, che è a 100 stadj dentro terra sui monti a poca distanza da Tochira; l Arsinoe de’ Tolomei. Lé rovine di To- lemaide occupano sotto il nome di Tolemata un recinto di 4 miglia . Vi si noverano più di 4000 sepolcri costruiti come a Ci- rene. Quando la spedizione ‘avrà esaminate le terre della Cire- naica e della Marmarica , dovrà internatsi ‘nelle solitudini della Libia , e rintracciare tra le aride sabbie di un deserto vasto e disabitato il piccolo e delizioso paese ( ogsis ) in cui dominava il magnifico tempio di Giove Ammione tanto cèlebre per i suoi oracoli , e la fonte misteriosa dél sole, in cui l’acque eran fred- de a mezzogiorno, e calde la sera :' Erodoto dice positivamen= te che l’oasi di Giove Ammone è situata a 10 giorni di viaggio al- lO. di Thebes ; bisogna dunque cercarla tra il 24 e il 27 pa- xallelo', e tra il 25 e il 28 meridiano; 184 È probabile che la spedizione per adempire come; si. con- viene al suo scopo sarà obbligata di restar in viaggio per. 3. o 4. anni. i ( Estr. dal monitore, dalla relaz. del viaggio del sig, del- la Cella, e dalla geograf. antica del sig. Maltebrun). GiaB-@ Bed \ e Viaggi nell’ interno dell’ Affrica meridionale, di Guglielmo J. Burchell . [| i ( Estratto dalla Gazzetta letteraria ‘(di Londra ). Crediamo far cosa grata ai nostri lettori 1’ annunziare pros- sima la publicazione di questi interessantissimi viaggi. E’ già noto agli scienziati, che il Sig. Burchell, spinto dal desiderio di, acquistare cognizioni, e dall amore per i progressi della scienza, ha consumati cinque anni nel percorrere ed osservare la parte meridionale del continente Atfricano, internandosi in quest. per, lo spazio di mille cento miglia, tra il nord, ed il nord-est. L’immenso cumulo di note e di materiali da esso raccolti, ha fatto nascere in tutti una gran curiosità di sapere il resultato. delle sue fatiche. Le ricerche del Sig. Burchell estese a sopra quattro mila cinquecento miglia di terreno, oltre innumerevoli laterali incur- sioni ,, hanno prodotto una immensità di scoperte e di osserva- zioni, ignorate fin’ ora. Le opportunità che gli si son presentate di contemplare oggetti non contraffatti, e di contemplarli con maggior agio di quello agli altri toccato in sorte ;il suo arden- te desiderio di trar profitto da tali opportunità , e la libertà as- soluta che ha regolato ogni operazione relativa alla di lui spedi- zione ; tutto gli ha procurato naturalmente molti vantaggi di gran lunga superiori a quelli che hanno avuti coloro , i quali fino al giorno. d’ oggi scrissero intorno alle provincie ed agli abitanti del- lAffrica meridionale . Questo gentiluomo è per avventura |’ u- nico tra i viaggiatori in quella parte del mondo, che abbia del proprio provveduto alle spese tutte di sì lontano. pellegrinaggio ; Libero dispositore del suo ternpo, e di ogni sua operazione, e- gli si dedicò alla causa della scienza ; e. non intraprese questi viaggi con altro proponimento, se non con quello di osservare. da dotto. le incognite regioni dell’ Affrica. Era. sua intenzione, lasciando il Capo Tovrn, d’incamminarsi verso Benguela, o vera, 185 so S. Paolo di Loando; che sono gli stabilimenti Portoghesi su la costa occidentale} percorrendo circolarmente le provincie più centrali ‘di*quel continente ; ma i suoi proprii servi ricusarono di accompagnarlo: più ‘oltre } e fu quindi mal suo grado neces- sitato a tornare indietro verso il Capo di Buona Speranza. Con la solatscorta di pochi «Ottentotti, e senza la compa- gnia e l’ajuto ;di alcun bianco , egli continuò quattro: anni a viaggiare tra i perigliosi deserti dell’ Affrica ; arrestandosi più a lungo ove un'utile maggiore il richiedeva, o dove più attenta investigazione ‘alle ricerche: di lui esigeva il terreno. Ciò che essi con l’archibuso, e col cacciar procacciavansi , fu per la massima parte del tempo; unico alimento alla poca comitiva . Senza pane , o altre cose di natura vegetativa; ed alle volte: anche senza. sale; dava loro scarso nutrimento la carne degli animali selvaggi, quando speciàlmente. venivan disseccati al sole», come il più delle volte accadeva; e troppo sovente la scar- sità di convenevol cibo. e la mancanza: di. acqua e di pastura per. i loro bovi; li ridussero agli estremi, e non di rado minac- ciarono . loro. una sorte funesta» ‘. Durante questo lungo periodo , esposti a tutte le intenape- rie, essi non ‘ebbero. altro. asilo.che una carretta tirata dai bovi, ocli nuda terra, nicovrandosi sotto un (cespuglio o sotto un’ al- bero; o trovaronsi alle volte all’ apertà campagna; circondati di nazionali selvaggi e senza legge. Mail viaggiatore ebbe in ge- nerale la buona fortuna di cattivarsi la fiducia e la benevolen- za dei feroci e rozzi abitatori? di ‘quelle tribu; e potè quindi, compatibilmente con la propria ‘sicurezza, studiare i loro ‘costu- mi ed il loro carattere. Le scene e le vicende alle quali soven- te si trovò esposto, hanno molto del romanzesco; ed: assai di- versificano. da quelle circostanze che sogliono esser comuni a chi viaggia in altri paesi ; e sarebbe stoltezzà il dubitare che po- tesse contenere. pregievoli notizie idonee a soddisfare la pubbli- ca curiosità, l’ingenuo racconto di un viaggiatore che si è inol- trato nello sconosciuto continente dell’ Affrica molto più di chiun- que lo precedette, e che inonesolo trascorse, ma anche agiata- _ mente osservò molte centinaja di miglia di paese non veduto fin’ ora; ‘e ‘tanto più se rifletteremo non avere egli avuto in mi- ra veruna scienza 0 oggetto particolare. Opera del suo pennel lo sono 'stàte.le vedute edi paesaggi di quelle remotissime re- gioni , le immagini dei loro abitatori , e gli schizzi di varii al- ri soggetti)! che oltrepassano il numero» di cinguecento. Le sue (07) 186 collezioni di zoologia e di botanica ; superano di gran lunga, nella quantità e nella grandezza degli oggetti, tutto ciò che è stato fin’ora raccolto da un singolo viaggiatore, non escluse per. avventurà memmeno molte di quelle formate in occasione delle più solenni pubbliche spedizioni. Queste collezioni, da noi ‘os- servate con gran diletto, sono le. prove « materiali. della di lui narrazione. Le pelli di. più di quaranta immensi quadrupedì ; da esso donate al Museo Britannico ( compresavi la. giraffa ma- schio e femmina ), oltre molti animali più piccoli, ed una co- piosa collezione di uccelli , insetti, serfpenti ec. che gli son ri- inasti , mostrano ch’ ei non risparmiò né data. nè fatiche in questo ramo delle sue ricerche . ì Tra i nuovi animali scoperti in questi viaggi, vi è. il Rhz- nocerus simus s specie , in quanto alla mole , superiore ‘assai {a quelle per l’addietro descritte ; per cui abbisognò la. forza riu- nita di otto Ottentotti , onde ;caricarne la sola testa su la car- retta. Molte giraffe ,: quadrupede non comune, vennero ferite ; e quando rimasero uccise , alla brigata servirono di alirnhento , come tutti gli altri animali. Di queste le più belle pelli, quelle, cioè del maschio e della femmina ; come abbiamo accennato di sopra , furon portate in Inghilterra. Si trovano in;gran copia, nelle intime regioni di quel paese gli elefanti, animale nobilis- simo , che assai più del deone merita il titolo di rè de’ bruti , Quest’ ultima fiera è per ogni dove, eccettuata la colonia del Capo, assai comune; è sehbène mon sia tanto spaventevole quan- to la dipingono. i viaggiatori, è tuttavia tanto formidabile da ri- svegliar timore ovunque simostri.; Nella parte meridionale dll’ Africa, la superficie del paese, quantunque spesso vi si incontrino catene di alte montagne, è in generale , sopratutto nell’ interno ; aperta ed unita ; offrendo all’ occhio del viaggiatore immense pianure, ove gli alberi di alto fusto son radissimi, sebbene vi abbondino i cespugli e le er- be. Il terreno è per lo più composto di sabbia , la quale nel col- mo della estate viene alle volte talmente riscaldata dai raggi del sole, che neppure i nazionali. possono camminarvi senza i loro saliti i . Gli abitanti son divisi in varie tribù ; ed i Bushuani tra gli altri sono i più pericolosi per-coloro che si arrischiano a visitarli. Varcati appena gli immaginarii confini dei paesi occupati dalle va- rie nazioni e tribù della. schiatta degli Ottentotti,; incontrasi un’ altra razza di uomini; che hanno una strettal'affinità con i - 187 GCaffri della costa’ sud-est , benchè ‘a questi siamo ‘nello incivili? mento di gran lunga ‘superiori. L' accoglimento da essi ‘fatto ‘al Sig. Burchell fu molto toe Mich, lo ché giustifichi: si prudenza di Tai nell’'inoltrarsi tra lorò* mi ) Questi Affricani vivonoin pHlaspie città”, ‘sotto il‘‘governo “di rè' Do eapi:) rivestiti di assoluto potere ‘s0pra i lorò sudditi | Ta città: più grande che fu'visitatà dalla comitiva | conteneva cir- ca'ottocento èase e cinque mila abitariti ; ma dalle notizie avute! riesi Seioprì allora' che inoltrandosi seni pit più verso il setten! trione esistevano molte’ altre città di Gorle sed eziandio di maggior'g orandezza . : i ‘I generi ‘che. facilmente si possono permutare con questi po- poli‘sorio in patticolare/i grani di vetro éd il‘tabacco ; e per l’ usò di'imarlo o di prenderlo in polvere inostràno un ? avidità mabs giore di quella che in span altro paese da mondo si os servimmis | “i | Hand essi molte idee superstiziose: € ‘sventiratamente ne dettero una ‘prova al Sig Burchell , il quite! ignorando la' loro lesse , suscitò il più serio ‘disturbo in tatta pal città per avere uetisa ina grossa lucertola di una specie particolare , che i n° zionali. non! permettono! che ‘sia ‘distrutta inentié'i loro grani s0- ato ‘ini ‘Brescenza', sebbene iti altri tempi né vadifiò sovente in certa’ per iran là classe più indigente. Ma Avendo tran- quillanientée pirlito col ‘crpo è col papato i chto IA lor colle# ra superstiziosa ; ‘ed'il regalo di ‘tin sacco di patate fattò oppor! tunamente ricomprò la lorò amicizia e la loro: behevoglienza . Il Sig. 'Burchiell\avea seco portate queste patate per atdaare un rita! genere di nutrimento tra le più reînbte tribù; e “quando: spiegò loro il ‘vero valore del'‘suò regalo, s tatti igli spettatori’ tinisimutarono il concepito erueto ‘inn pposto nona 3 mòstrarbno con lè loro espressioni di considerarlo qual hehe fatto- rè' i Alcadi mesi! dopo” tn ‘tale avvenimento, egli vide în prospe- ro stato 'Erescere questo vegetabile ; soprà fsi pezzo di terra ò- ve da sè stesso lo aveà piantato; talchè si ha li6godi ‘speraté che uma ‘ radica tarito utile vi Sia Gra ‘perma lieti iltrodotta . It capo promise 'di prenderne burotia Cata , e ‘disté che sé hai fosse nubvarhente visitato dai bianchi uyrebbt il pincere di dar loro tante patate quante ne potesser mangiare, e dimandava so- lo che non avessero dimenticato di portargli g gran copia di ta- bacco è di filze ‘di grani di vetto. Sopra uit diterio puntò det paese venne per la prima volta in simil modo intredottà la pianta del 188 cotone, che. fu lasciata molto vegeta , e lì lì per fiorire ; ed i ide cioli di pesca furono posti in terra da. per. tutto , ovunque poteva no per la bontà del terreno allignafe a. 1.00. 1199 Le tribù più lontane, comparivano sotto molti punti di wista maggiormente interessanti; e nelle loro. maniere , nei loro costu- mi, e nelle arti loro , erano più incivilite delle nazioni meridiona- li; o occidentali. E visibili erano ‘i molti sintomi. del. crescente inciyilimento, , a; misura, che la comitiva verso il settentrione; ine noltrayasi . Gli uomini in. generale vi erano, di.forma alta e ben, proporzionata, e con l’ ingombro, di, piccolissime, vestimenta ,,s€ si eccettui un manto di pelle : f loro corpi erano da per tutto inppiastrati di un mescuglio di rosso, di ocra ,.e di. unto ; che faceva comparie rossi piuttosto che neri tutti coloro. che aveano.i mezzi di così fattamente adornarsi: benchè il colore. della, Joro, pelle sia nero, è tuttavia meno morato di quello dei negri della Guinea . Il loro linguaggio , sebben semplice, è molto. armoni-, co , e dolce. nella conversazione ; è abbondante di vocali e di let- tere liquide (1);; ed ha appena parola di aspra e difficil, pronun:, zia. E’ scevro da quelli straordinarii striduli suoni che distinguo no, tutte le lingue e dialetti della razza, degli. Ottentotti.;; da quelli di ogni altra, nazione della terra. Questo idioma , che e-, glino chiamano Sichuana, è ;suscettibile ;. mediante la, sua. fa- cile struttura , di una volubilità di. conversazione da potersi , senza ayerlo udito , credere appena, 0 immaginare; ma quando parlano «li cose che ;eccitano un grado, insolito, di animazione ; la loro locuzione è chiara, e precisa. Consistono principalmente le loro armi in hassagays. ossiano giavellotti di sei piedi all'incirca di lunghezza . Eglino non hanno nè serittura.;,nè culto regolare, nè giorno di riposo, come la do- menica. Loro speciale alimento è .il latte , la saggina d’ Affrica ( holcus caffrorum ), le radiche salvatiche , e {la carne di bovi, e di animali selvaggi. Le case loro son fabbricate con: particolar, pulizia, hanno la Giri circolare ;, con molti interni spartimenti ,, e son cinte al:;di fuori da forte e spessa chiusa , con sorprendente regolarità ed industria edificata con i, rami degli arboscelli:} sì for- temente intrecciati , 0 piuttosto legati insieme , che ne costitui- scono uno steccato He Polli tanto per i nemici, quanto per le, fiere . (1) Le lettere che si dicono liquide sono le cinque seguenti , cioè; 1, m, n, fs 8, ( IV. del. Trad.) 189 Il Sig. Burchell. spese tanto tempo immezzo a questé tribù , che il nome di Monarri, a lui dato da quelliabitanti., era noto in tutto, il paese.; e quando era per stanziarsi in qualche, luogo di- air dell arrivo di lui tosto divulgavasi la notizia, tra. quei circonvicini nazionali , i quali O) gli faceyano giornaliere visite , 0 venivano immediatamente a soggiornare ‘presso di lui, fabbrican- do temporali capanne intorno alle sue ‘carrette ; talchè il suolo che' poco prima altro non era che un deser t0) ‘carfgiossi tosto in piccol villaggio contenente ‘una ottantina di sibatti sche tatti da lui: speravano: che; al: sostentamento loro supplisse . La qual co- sa egli poteva mandare ad, effetto col cacciare il rinoceronte, (la giraffa.) il bufalo, ik éland ,jil koodoo, ed altri grossi animali ; ed è probabile che il rendere: an sì, segnalato, servigio a tanti in- dividui diversi in quei paesi, sia stata la vera cagione di aver egli potuto con tutta sicurezza tra loro inoltrarsi. Imperogchè limanti non è supponibile, che una piccola brigata di un so- Jo Èuropeo e di nove o dieci Ottentotti ,. potesse salvarsi o di- fendérsi da ana intierà ‘tribù 0 nazione decisa' di derubarla e di distruggerla. Ma abbàndonafidosi a loro can ogni’ apparente fiducia ‘ev’franchezza , guadagnò il Sig. Burchellin molti ‘incon@ tri la loro amicizia, e potè quindi viaggiare non molestato ; sem- pre però convinto della necessità di far uso: delle maggiori, pre cauzioni, € di essere contro il tradimento e la sorpresa, e gior- no e notte vigilante È Osservazioni dell’ Ag, Lvicr DE Ancrts sì su l’ articolo hi bliogr afico: Notizie storico cr ‘itiche di Fri Gricomo: Da Tor®iTa primo ristor atore dell’ arte musivaria in Italia ; posto alla pag. 128 della Biblioteca Italiana, N. "x Luglio. 1821. (a) MT e ho d) POTE della Biblioteca italiana . Iooys Volumus veritatis dmicos Cic de Off. 1. 1.‘ Buen le citate parole del gran padre della romana eloquenza, accomodandole.al nostro proposito, invito V. S. a compiacersi (a) Ir questo momento giungendoci il presente scritto, not 190 di riandare ‘insieme con me la sna censura ‘su le dette mie Notizie storico critiche ec. la quale percorreremò in buoria pace, e con la' Bossi brevità. Ta critica nemica ‘ degli etrori' debbd' essere amica degli uomini, e gli uomini deb- bono essere Jamici fra loro per discoprire Ta verità. Note- remo alcuni punti, su’ de’ quali ha voluto ella più partico- larmente farmi sentire la sua disapprovazione; e noteremo per. maggior chiarezza le, pagine ed iversi:, sui quali cade, la sua censura; lesi trovano respettivamente i fondamenti! delle mie risposte. Sia dunque così. » I pag. 129 è.'29. ha voluto VS. farmi sapere, he rion facilmente ci possiamo indurre , dic ella, @ nominare Fra Giacomo da Torrita primo ristor atore dell” arte musivaria un Italia. ri To ho l’ onore di dire a, VS. “che mi sono indotto a, crederlo,. e nominarlo così, perchè: ho conosciuto il; peso, ed il valore delle ragioni, che.ilo, assistono .. E chi. può,negar mai, ehe Ze scienze, e le arti nel secolo AIH:rsirvedes=) sero levare più ardito il capo, ve tergerea'meno'in parte l'antico squallore? Ella avrà veduto! a pag. 36 delle mie; notizie et. che il Vasari, e il Baldinucci danno a Fa G'aco- . : . E. MORI mo per maestro del musaico Andrea Tafi. Ora; siccome pet attestazione di detti storici nacque il Tafi nel 1213; e il nostro Giacomo da Torrita lavoràva da gran maestro ‘in ‘8° Giovanni di Fitenze rel 1225 (pag. 4): ragion voleva, che' io m'indu- cessi a riominare primò ristoratore di deit’ artè piuttosto Fra Gircòitid) chè il Tifi : Dissi aticorà! (pag. 46) che in Roma nei secoli XI. e XII vi era la. scuola di ‘fiusaito, eche in Venezia si ornava con questo, genere di prvata la chiesa di S. Marco: il che, com' ella vede, provava più di ogni al- tro argomento, che l’ arte musivaria non era venuta meno in Italia. Ma chi mai di tutti questi artisti fece ad essa levare più ardito il capo? chi di lei ne terse in parte lo qui l asgiurghiamò, affinchè î nostri lettori abbiano in questo” fascicolo tutto ciò che riguarda a Fra Giaermo da Torrita, ed all’ autore delle suddette notizie storico critiche. V. @ paz. 170. IgI squallore? Fra Giacomo da Torrita; quegli cioè, ‘che nel 1225 aveva messo in obblio e i Cosmati in Roma, e i sup- posti Greci in Venezia, e quanti ‘altri mai vivevano ‘a’ tem- pi di lui. Sancti: Francisci Fraterfivit'hoo operatus Tacobusin tali prae cunctis arte probatus:(pag. 4) Ed a chi mai de suoi contemporanei si ascrisse.il mi- glioramento del musaico, se-mnon a\Fra Giacomo? (pag: 9) Avchi se nona lui si attribuirono! il disegrio mièn rozzo) le mosse meno forzate, la composizione più regolata? (ivi) Se ‘ella ‘a pag. 30. v. 3 ammette ‘per ristoratore di ‘un’ arte quegli, che Va richiama a nuovi metodi a‘. 0. 'vehè la porta ad un più alto grado di maestria; vede bene, ch'ella senza ‘accorgersene | viene a comprovare, che Fra Giacomo siasi stato'‘il'‘primo' ristoratore; dell’arte musivaria in Italia. Poteva ‘ancora ‘rimanerne più convinta ,' se ivésse esaminato il saggio che ne riportai alla pag. ‘64; e se dvesse osservato, che i musaici di S. Maria Maggiore, chè ancora vi'riman- gono, si pena persuadersi che ‘sitno nati inv età pel in- colta. (pag. 9) RT9Y i mi i ! Il: Ha»voluto ‘VS. soggiangermi alla «sua pag: n29. v. 30 : che! non sì può chiamare Fra Giacomo ‘primo» risto* ratore, perchè osserviamo da' prima, che quest’ “arte non perì mai in Italia. Dio la benedica Che forse, per risto- rare un’ atte, è necessario ch’essa si perda ‘Guido da Siena, e Cimabue da Firenze non si dicono ‘oggimaî ristoratori della pittura? prire, come VS. m' insegna, quest’ arte mon venne mai meno in Italia. Di Giotto, non si legge nel’ suo epi- taffio: Per quem'pictura ektineta revixit ? pure ‘oredette Cimabue nella pittura ‘tener lo campo: pure tutta Italia formicolava, per dir così, di artisti e di pittori. ‘E Giovanni, | € Niccolò pisani, non si dicono ristoratori della stoltura? pu- re nell’ Italia o bene, o male sempre si ‘era scolpito. E non è VS. che si condanna immediatamente dipoi, (pag. 30. v. 3) allorchè stabilisce; che per ristotatòre'intendesi anche quegli, che la richiama @'nuovi metodi; 0 a nuovo splendore, se incerta o negletta, che la porta a un più alto grado di 192 maestrìa, e ‘ad una nuowa sublimità? Come. potrebbe chia- marsi a muovi metodi, sè) non esistessero gli. antichi?, Come portarla \a muovo splendore, se in splendore non fassa come sublimarla, se non esistesse? II. Alla citata pagina \129: v. 37 per provare vs. che l’arte musivaria non siasi mai estinta in Italia, xaggiùnge ancora, che, potrebbe stabilirsi una. serie non interrotta di opere e di, artisti di quel, genere. dal secolo V.. al secolo ALII. e seguenti. Come! VS. discorre della storia del mu- saico , eda, dotto e perito. maestro,\critica le opere, altrui,, ed. ignora/egregiamente la;bellissima opera de musivisyserit- ta a bella posta da Monsignor Furietti ? Ella in questo ge- nere .;mostra più umiltà di. un frate minore. Eppure io l’ a- veva_ citata. a ‘pag., 8. .v. ,3/4, a pag. 20. v. 15; (eda. pag. 23. v. 315 aveva pur, dettoy,. che questo, valente scrittore; ci. assi- curava; che.il nostro Fra, Giacomo, era stato «incaricato da! Niccolò IV., di fare i, musaici in S. Giovanni Laterano, sein S, Maria, Maggiore, Ea, chi, mai; volendo:assicurarsi della verità non sarebbe, passato «per la mente, prima .di condan-. marmi, di riscontrare se veramente sussisteva la -mia asser- sione (Pagni 36..v. 3).che.il dotto Furietti, aveva fatto og- getto, del, ‘suo «discorso i, mosaici. di tutte le eittà»d? Ita: ra; ed.anche. di quelle di minor nome di, Siena? Se, do- po tutto ciò, ella rimane, allo scuro di quest'opera, ne\in- colpi sè stessa .. Io dal.canto miolaveva-fatto; ciò, che poteva. Ciò nov ostante, perchè possa: VS. :persuadersi, che io amo, che noi in buona, pace cerchiamo; sempre’ la verità, le dirò, che fu stampata la detta: opera ini Roma, @pud Joi Mariam Sal- vioni nel 1752; che. I° autore: la dedicò. a Benedetto XIV; e che prendendo motivo dal ritrovamento» fatto da lui nella villa di Adriano, del famoso: musaico,delle «colombe, divide l’opera. iù sei, lunghi capitoli. Nel primo, tratta della, mol- tiplice denominazione. dei. musaici ,, e,dei varii loro generi. Nel secondo, dell’ origine dell? arte musivaria, e del come era stata coltivata dai Persi, dagli Assirii, dagli Egiziani, e dai. Greci. Nel terzo del come era stata continuata dai Romani, ai tempi della loro repubblica. Nel quarto dei musaici fatti \ } | ì | ; 193 in Roma, e nelle sue provincie nei primi due secoli degl’ im- peratori. Nel quinto dei musaici de’ sacri edifizi da Costan- tino magno fino al secolo X; e dello studio e lavoro del mu-. saico non mai nell’ Ttalia interrotto . Nel sesto si riportano i musaici, e i musaicisti dal secolo XI. fino alla nostra ‘età, cioè fino al 1752. Vede ella dunque, che quel suo potrebbe stabilirsi una serie non interrotta di opere e di artisti di questo genere era ‘stato già fatto, forse anche prima che ella nascesse ; anzi con molta più accuratezza di quella ch’ella vuole, dal secolo Y. al secolo XITT. poichè l’opera del Fu. rietti esaurisce non solo 1’ era cristiana, ma quella della re- pubblica di Roma, ‘e dei ‘due primi secoli dell’ Impero. ‘Dopo che aveva additato ‘questo ‘bel fonte di erudi- zione, Ella mi fa un dolce rimprovero ‘in quella, sua bene- detta pag. 129. v. 3g perchè non ho ricordato io il'icodice lucchese del secolo XI. o XII. pubblicato dal. Muratori . Primieramente sella avesse letta l’opera del Furietti, avrebbe veduto, che avendola io più e più volte citata; non avrei po- tuto non sapere, che questo famoso codice era stato ripor- tato da lui a pag. 62. Ma a questo oramai non vi è più rimedio. Andiamo avanti. Non so capire, come:ci potesse entrare quel barbaro rancidume, per comprovare, che l’arte musivaria viveva ai tempi di Fra Giacomo; quando a pag. 4o.\ vi 2 aveva ‘io detto, che in Roma nei secoli XI. e MI esisteva la scuola dei musaici. E poi, perchè mai preten- dere da me, che io cadessi nell’ enorme imperdonabile ana- cronismo , nel quale innocentemente VS. era caduta? Con . qual coraggio poteva io abusare, com’ ella ha fatto, dell’au- torità del Mabillon, che VS. non ha ricordato; e del Mura- tori? Ella, per quanto mi sembra, non ha veduto nè l’ uno nè ‘1° altro, poichè dice, che quel. codice appartiene al secolo XI: o XII. Or senta cosa dice il Muratori, acconsentendo al Mabillon; senta, e stupisca:(Rer. Ital. 7. t. edit. Mediol. 1739 in fol. pag: 366, e edit. Aretii 1774 in 4.° Tomo IV. pas: 674) compositiones ad tingenda musiva, pelles et alia ec; aliag.' artium documenta ante ANNOS NONGENTOS SCRIPTA. i 194 E un poco. sopra aveva detto, che il diibrisino Ma. billon: aetatem ejus (codicis), neg. immerito retulit ad tem- pora Canoli Magni. Con questa pillola. in corpo; poteva io ricordare. questo codice, per provare, che le arti vivevano, e non crano non fiorenti nel secolo XI, e. XII 2 Come con: fondere. l’ età di Fra! Giacorao con un eodice, ch’ erasi ‘ri- trovato ai funerali di Carlo Magno? V. Avverte inoltre VS. che in quel csdisio chiaramente e tanto diffusamente sono. espressi i precetti dell’ arte; che non si può credere ec. Poffare il mondo! chiaramente eh! anche diffusamente! che, cosa? i.precetti dell’arte.. Anche que- sta / Io. per me sbalordisco. Possibil: mai, che VS. voglia così apertamente darci ad;intendere le lucciole per lanterne? Per carità nom stampi, questi strafalcioni. A me preme di- fendermi, e preme ancora il decoro del. mio critico per ono- re della mia difesa. Dunque) chiaramente eh? udiamo uno di questi precetti, e siasi: De inorationemusiborum,facis pecu- la plus crosa quejussans. Post haec facis illa alia, et pones peculum heramentinum, ut incensum. non -herebit. Post hoc pone pectaluni aureum, super pectalum vitri; et supra ponis pectala, super alia multum super pectalum vitri etc. Ecco il perchè lo» stesso Muratori, dopo aver.riportato tutto questo MS. così conchiude: Mabes heic si recte attendisti, quo in loco latina lingua fovet SAECYLO, VIII. apud minus , doctos, et quot verba, ac formae dicendi e vulgi loqutione in latinamvirveperent. Or ne viene il tanto diffusamente . Tre soli sono questi famosi: precetti, clie. spettano. diretta- mente al musaico, cioè Z. detictio musiborum, II. de inora zione musiborum, III. de musibaum de argento; e questi soli tre ha riferito a suo proposito Monsignor Furietti a pag. 82 della lodata sua operare di questi soli tre si, mena tanto rumore da chiamarli i precetti dell’arte? Ma come! i precetti dell’ arte musaica. consistono solamente nel tingere i ‘musaici, nell’ indorarli, e nell’inargentarli? Ella doveva dire alcuni o pure pochi precetti dell' arte musaica : poichè non vi sì parla del condurre i pezzi uniti, della qualità del disegno, del chiaro e scuro del musaico, della preparazione della materia, del co- ngi me si commettaho sopra il.muro, e del come si faccia lo. stue- co.per commetterlì..Di tutti questi essenziali precetti in tutto quel. MS. nemmeno se; ne.trova una. parola; bensì vi si di- scorce di tingere Je pelli, di fare i colori per tingerle,, del l’ ‘arte d'indorare il ferro, e di scrivere in oro, e di altre cose, lefquali potrebbero oggimai servire. alla chimica ed alle: arti, come serve il Fyizesomorum al raziocinio. VI. Credeva già di aver finito di; tediare VS, quando. alla pag. 130. v. 1:. mi richiama in campo, rimproverandomi che in quelle mie notizie ec., oltre di, Fra Giacomo, ho trattato della. patria di, lui, e delle persone, più illustri che vi trassero i loro ‘natali: cose dic ella, che non appor: tano alcun lume alla storia dell’arte. O: questa è bella !, Oh ! che forse ni era prefisso di fare la storia, del musaico?.Io, avea promesso nel. frontespizio di trattare, del musaicista Fra Giacomo, di discorrere della patria. di lui, e delle, al. tre più illustri persone, che vi trassero i.loro natali.: e per dimostrare vie più, che una cosa era distinta dall’ altra , di- visi quel volumetto in tre parti. Il critico doveva avvertire se io aveva adempito alle mje promesse, non alla storia, 0 all'arte del musaico, della quale non mi,era proposto giam- mai di parlare. La nuncupatoria iscrizione parla dei. mos. numenti storici di Torrita: ac Patrice. sua. monumenta , Nella prefazione ho indicato quali fossero quei monumenti, senza far mai parola del ‘musaico.. Avrei, dunque deviato dal concepito proposito, se mi fossi messo, a fare un trat-, tato. dell’arte musivaria, o pure di essa. a tessere la storia. Non vedo perciò la ragione di questo rimprovero ,, ch'el- la fuor di ogni proposito, ha voluto, farmi,. Bastava aver data un'occhiata alla prefazione (. pag. 8: v. 18. ) per ri- maner convinto, ch era diretto il. mio scritto, a torre Fra Giacomo dalia torbida confusione ; in ycui gli scrittori, git, tato lo avevano. La critica doveva vedere, se io, aveva ren-. duto a lui questo. uffizio . Io. prometteva di ricercare cosa cra mai Torrita ai tempi di Fr. Giacomo, € qual posto el'a abbia avuto fra le altre Terre, e Castelli della. L'o- scana ( pag. 9. vi 5.). Era ispezione del Critico di. vede- 196 re; se io ne aveva discorso eoù veri storici documenti. Do veva vedete , se trattando di quella Terra ‘era anche bene discorrere delle persone; che ‘l'avevano illustrata!, come io aveva promesso ‘alla pag. 13. Del rimanente le notizie di un'artista entrano nella storia, ma mon sono la storia del- le arti. Uno storico, che parla' di Raffaello; discorrerà della pittura: ma discorrendo’ poi di Urbino, non parlerà di que- st’ arte, nè farà tutti ‘pittori gli; uomini illustri della pa- tria di Raffaello 00 380 ol VII. Aveva fatto promessa a VS. di star seco lei in buio na pace fino alla fine di queste mie osservazioni , e som ‘sem’ pre fermo ‘nel mio proposito; ma ella mi darebbe motivo. adesso di sconvenirla. Non posso non formalizzarmi su quel! le sue parole , con le quali fa le iste di chiudere la sua censura ( pag. 130: v.13.). Finalmente, dic’ ella, si aggiun- gono î documenti ) spettanti ii) notizie storico-critiché del! Torrita medesimo. Nemmeno uno) Signore, nemmen’ uno di quei docu- menti, che io riporto in ultimo, spetta al orrita medesi- mo. Il primo di loro riguarda l’ immagine, ed. il culto del- la Vergine dell’ Olivo: il secondo un sepolcro antico: iliter- Zo una iserizione sopra la porta Savina : il quarto un di-: ploma di Ottone Imperatore : il quinto la bolla di erezio- ne in Collegiata; di quella Chiesa di Torrita : il sesto il re- scritto dell’ Imperatore, e gran:Duca di Toscana Francesco I. per la erezione del: teatro in ‘detta Terra: il settimo il privilegio di celebrare la messa nella cappella di piazza, e finalmente un consiglio! di quella comunità per ammettere nella loro patria i Padri Silvestrini . VII Ma giunto appena al fine di. queste mie. osserva: zioni, VS. con tutta ragione mi richiama: ad. altre cose da bei. avvertite, alle quali io non ho dato ancora alcuna» ri- sposta . È vero, ch'ella mi avvertiva alla pag. 129: ve 16, che lunga, e poco utile è la discussione , che si fa. sull’or- dine e sula condizione, e professione religiosa di questo ri- nomato Artista. Dimanderei adesso a ‘VS. se nelle notizie, che si dan- 197 rio di run’. momo illustre e rinomato ; debba aver'luogo prin» cipale la esìstenza di lui politica , alla quale:degate! sono 1 e+ poche della stia vita, e le«prove dei lavori ‘fatti da lui? Ciò: posto» se mai questa sua!ésistenzai politica ;‘6»professio» ne regolare venisse contrastata» dagli serittori 3-*come. viem fattolîn realtà! alla pag. 40; mon vorrebbe ogni ragione, che si 'difendessè ? Lia difesa può ‘farsi. mai senza portare ‘docu- menti »e ‘ragioni? Questi documenti, e queste ragioni; pos sono mai ristringersi «in pochii versi ,: trattandosi di ‘stabilirli; per la prima: volta? E se frattanto insorgessero muovi:dubbi , e nuove difficoltà di altri. serittori, non si dovrebbero dile! guare: è disciogliere ‘anche ‘queste:?. Se VS. ha letto questa discussione avrà velluto; che dalla medesima: pendonool’es poche: della! vita di Fra: Giacomo ; la ‘verificazione dei vari lavori fatti da-lui, la coticilîazione:delle ‘diverse opinioni» degli)storici} «evfinalmente da'lei medesima pende ancora! ciò» che: VS..si. è:deghata di approvare , cioè ;.cche. benera proè posito:si distingue FraJacopo:-da Torriti dall'altro: Fra Jucomo:da) Torriechio:( pago 129: vi;:18; ) Ensera VS: nom piacque , che tutve quelle pagine quì! .Sopiia dette fosserò consumate! provarlo: Frate ;}) e- Krata minore, ciò lo disse forse ;sperthè»noni avvertì allorà),: disquanta: importanza era si maisibfissarè quel; punto‘ tanto: controverso» dagli storici Del iriimanidfite ;, io rispetto ‘ogni; eèto!di/-persòne;- ev consi dero gli pondini per. i..lorol»'meriti.,.,Fa meraviglia che sì, sdegnino gliswomini; peritéllerare, i isemplici. nomi: in un se» célo,in!cui si vorrebbero:) se fosse possibile ; tollerati anchè Misotenitinidirssonasitndò disbt | VIP "SIE AXo' Avpagi» 1290. 230-ha ‘voluto VS! fasci. sapere , chie. ucili; sa)'ebbero | queste ‘mie, motizie Ise: scritte \fossero coi miglior: ordine ; enonbaffogate: in un mor di parole L'ordine ,:10metedò «di: tfattàre! le memorie: di un'nomocik lbstre: consiste «in ‘assicurarsi dél ‘vero: suo‘nothe. ; seimai sw diresso: cadessero «dei dubbi : cid'è. stato fatto‘dallà pag: 1. alla pag. 4: Di stabilir quindi da» patria di lui :fatto dalla Pago!5. allà cr0. Stabilire epoche sicure, nelle:quali abbia Tom. IV. Ottobre 13 198 vissuto» dalla; pag: (11. alla pag: 15. Ricercare quando), ed ove egli: lavorasse!: dalla. 15. \alla:25. Ricercare.., se nelle, opere suei;avesse» aiuti: dalla.,25. alla 27 .:Se davorasse.i musaici della «Primaziale di Pisa: dalla 27. alla 28.-Ricer- care chi:fosse il. suo: maestro» nel. disegno: pag. :29.a 34 Chi maestro: di lui.nel: musaico : dalla 35. alla (40. ;Ricers eare ‘a «qual’ordine egli. appartenesse, e sciortre le» difficoltà. su. questo: punto essenziale». da pag. 40. a (baia .Se «sia; di- stinto | FraGiacomo. da, Torrita. dall’ altro di: Torricchior» dalla 52.,.alla 57. A. qual famiglia appartenesse: il. primo: dalla 57.4lla 59: Ricercare; sei questi fosse anche ‘scultore 3. dalla 59.1alla:61:. Esaminarese.sia sua una pittura (nella; sala, del ‘consiglio; di :Siena : dalla :61. alla 64 . Che, confusione, vi.è dunque .in questo discorso? Qui finiscono. le memorie del, nostro». Fra Giacomo» Ved’ ella; che volendo idiscorrere di tutte queste cose, non è. molto l’'avervi. impiegato, 64 pa: gine appena ...Non wworrei:,: ch’ ella: avesse veduto queste miè» notizie con \quell' vechio stesso: col quale guardava quei dom cumenti autentici (, posti in alti \ spettanti al. Torrita meì. desimo , de’ quali; slbilimmo parlato ‘al N°. N odo .: ia Ho poi tutta la: ragione» di sperare, che quelle» ‘mie 1720») tizic mon isiensi! altrimenti. affogate ‘in quel: mar: dioparole, | come. VS.sficevami dubitare! «Questa nia ;fiduciai) ciesee vin me:sempre più:, sì \dall’aver: renduto ‘conto a! VSsdell’or. dine; col quale procedono, e ‘della materia, della quale ne cessariamenteotrattano/3°sì i perchè VS: non so vper qual mia disgrazia, mostra dì howintendere le ragioni) come ali N.0 In di non combinare gli antecedenti con i conseguenti come al:N.;H:idi ‘giudicare delle (cose, senza : conoscerle, come al:N..II : di prendere il Secolo: XI o XII per.il. Secolo VIH» come al N. IV.: di chiamarée)chiarezza «la \oscurità.;«e ila: brevità lunghezza! ,) come saly:N. :V sie finalmente per non più itediarla di. prendere un 'Pagse speri un’ Uowoi; come sali N. VII: Quieste sod cose , chié mi Maniero ‘tacere, per), sem) pre, se VS: inòn 'soggiungesse.: np ni ci (A. Zutto il libro; dic’ella ( pag: 130..v. sb ) “allena 190 di confusione'y'd* inutilità, di errbri: ‘tipografici imperdo- cpp che maggiormente lo sfigurano.*» | > Quanta roba! Confusione, inutilità; errbri, ‘tutto riu? pr insieme è una batteria di parole!, vuote di verità, e so- nanti d’‘infamia per. il povero. scrittore. Ella doveva. ‘ad3 | durne qualche esempio. Gon ‘questo suo metodò bi può sere= ditare qualunque seritto , massimamente > sev'nivrilisia molto cognito alla repubblica letteraria . Conviene dumefue' giusti ficavsi. “L’ esame del ‘libro»stesso sarà’ la‘! giustificazione ) Trovasi dunque'l frontespizio, poi la nuncupatoria $ apuindi la prefazione: ' Si; citano‘gli autori , è i MS, de’ quali mi sono servito »° Si divide ‘I’opuscolo», come abbiam detto in tre parti.» Là ©prima'parte ‘vien trattata coll’‘'enditiei, “che vedemmo a N. IX. La. seconda ; che principia daltucpue: 67. e ‘termina’ alla! pag.!/155 ; ‘tratta di' Torrita patria del Mu: saicista ‘Questa. è aptalmientò distinta ‘dalla’ ‘parte prima > Dalla pag. 67 alla 68. si tratta della situazione. di Torrita» Dalla 168: ‘alla 69 ‘della‘‘sua origine | Dalla 69 ‘alla»70 della “sua pianta , e figura. Dalla 70 alla 76 deb tenipo,in cuii vies'introdusse la‘ religione cristiana'» Dalla 79%4lla' 81 dî alcuni ‘antichi suoî'monumenti Dall’ 81 alla 1i9%della'sî2 gnoria dei sanesì sopra Torrita!, e ‘delle ‘varie sue vicende politiche dal 1200 al 11555 disposte tutte’ coù » ordinid bro mologico:. Dalla pag: 119 alla’ pag.:1201 sì: parlavdelo ‘suo passaggio” sotto ‘il principato . DallaL1d0' alla 1155 si dà na descrizione di detta Terra È ella’-forse: questa la ‘confu- — sione della quale VS: mi riprende®'Son: queste forse le' cosè straniere ‘all’ argomento } delle quali: mi accusa? Laterza parte parla delle persone più illustri, che dopo Fra Jacopo trassero i loro natali indetta Terra. Dalla pag. ‘159 alla 204 le lor notizie sono disposte con quell’ ordine , clie “di sono pervenute .-Seguòno poi dalla pag. 207 alla pag.0 432 iododumenti' autentici , ‘spettanti’ alla ‘patria del Musaicistà? È qui finì la dolorosa. storia . Th tutto’ questo affare’»nbi solove esser possa la tanto decantata'confusione . Ho voluto citarne: le pagine., «perchè a un’ occhiata possa riscomtrarsi la verità dell’ esposto‘. 200 «Ora; favorisca di. dirmi VS, : allorchè uno» sérittore sì è proposto .g gli argomenti. *%da ‘trattare.; ion vuole ogii rar gione,; ch egli» rendang conto di «tutti, esattamente? E s@ egli adempie; ‘a. queste sue promesse), come accade: nel. caso nos ‘stro ,. additandone minutamente-le, pagine, si potranno iim= putare. a lui come,cose inutili? 56} clie inutile! sarebberstà» to|,, se «trattandosi di. una, città celeberrima.:si riportasseròd) coserigià dette) dagli altri; ma quarido» si debbe parlare per la prima volta» di.luna Terra, e» per ila, prima ‘volta ;\0. sì scoprano ; «dionuovo.; :0-dì nuovo, si. riumiscanopi documentij” non potramio niai/ cose di. simil:/sorte. appellarsi, inutilità «| Possono» bensì. comparire. piccolezze .;) sei. lo. scrittore. non abbia prevenuto, tutti. quegli che leggono; ‘che bisogna tutto. proporzione ai luoghi ; aistempi ,-6d. alle circostanze; come ‘nii penso di aver fatto io, pag. XIV; riportando, quel dettoi di Seneca.: avis: in fluvio magna sii, ari parva, est: sî6 mediocres, vidertàr. insignes Es perchè mai 'vuol’ella; mostrarsi ftanto: ile con il povero,tipografo da non voler, pendonave. a lui, gli erroriy di moltilidei.-quali} cheayeva potuto! conoscere, si, era'raèr cusatgi.reoa, piè. della ‘pagina; 1232,; quando,. egli genérosdr mente; perdona .a ;lei tutte le inesattezze, che. si trovano, in quel breéteo suo. articalo»;: -al. quale alla; meglio ho potiito rispondere?Egli. per calmare lo sdegno di VS. v interpone il maggior deltipografirdellSecolo XVI; Paolo Manuzio: cioè; il quale. afferma nons@ssetvi libro, qui omni, vacet, siii quippe’, cum nec: illayquidem interdumjy quae a. nobis: 00» gitata ipsi nostra manu scribimug pi emendata; satisì esse videantur, sOLIM vie Sono finalmente cestialiioà che . VS, desideri le memo» rie sdella. storia dell’ arte col. gusto,, @=e06 sentimento dell’ane ti medesimé!; com’ ella dice, (..pag..130..v..19. ) e le pros metto di farlo con. gustoi,. e: con sentimento delle. santi;hei col, sentimento della mia stima per lei, che'mi'dà;itutto 4 motivo di chiudere questo mio foglio con. le parole di Tee" renzio ( Prol, in Eunuch. ) Responsum,, non Giglio im — Fine del Fascicolo A, 20 ANTOLOGIA N. XI. Novembre 1821. _—__ ‘GEOGRAFIA, VIAGGI ro Lettere di Antonio Bencr al suo amico Pieràg Virvsseux intorno alle cose notabili del Cuseni tino e della Varve TiBErinA . -4 ( Gontinuazione 1 v. Fasc. X. p: 66. ) Anghiari a dì 25. di Luglio 1821 ) “rn il'Borgo ‘distante solo dieci miglia a Ca- stello, mi nacque desiderio di vedere questa città. Ma essa giace fuori della Toscana , ed io non aveva passa- porto , perchè non è a'noi necessario dentro i nostri confini. Onde pensai di rivolgermi al vicario regio , signor Pezzella, che io non conosceva, ma che aveva udito encomiare da tutti i borghesi siccome leale, giu- sto e cortese. Visitandolo. dunque manifestai la mia intenzione , ed egli mi rispose con' giustizia e gentilez- “za [orsesmzioni il passaporto che non può dare se non agli abitatori del suo distretto, e concedendomi un T. IV. Novembre 3 I4 202 * certificato idoneo a qualificare la mia persona. Di che lo ringrazio, perchè ho potuto sì fare con sicurtà una via molto dilettevole . Infatti la strada del Borgo fino a Castello è sem- pre amenissima , traversata da cinque fiumi, per con- tinue vigne. E piana ed ottima è per due miglia dal Borgo. Quindi si passa per un territorio , lungo quasi mezzo miglio e largo tre, che pertiene a tutti e non pertiene ad alcuno. Lo chiamano Cospaia; Chi vi possiede , non paga dazio. Chi vi abita, non è soggetto ad alcun magistrato. Ed ognuno può rimanervi con libera condizione . Ma, per. queste medesime qualità niuno vi ha governo assoluto; e la facoltà di dominare in Cospaia rimane indecisa tra”.romani e i toscani. Gli abitanti son buoni, perchè sono tutti agricoltori . E nel piccolissimo villaggio , quantunque svi sieno molti magazzini, si commettono rari delitti ; perchè non vi è la frequenza de’ mercanti, e le merci si tengono ivi in deposito per mandarle ove sia maggiore guadagno . Vi è una graziosa villa in proprietà del Mori. Poco dopo Cospaia si passa un fiume sopra una trave. Tal ponte hanno tutti i fiumi in questa parte dello stato romano! E benchè la/via sia sempre larga, piana, e dilettevole per!l’ amenità delle campagne, nondimeno non è st manienuta che giovi ad accrescere la felicità di questi abitatori. Presso il.primo, fiume è. il villaggio di S. Giustino. Quivi è.la villa, del Bufali», ni; ove bisogna fermarsi per vedere le belle, dyipiuture di Cristofano Gherardi , e. di Raffaellino dal. Colle . Tra .le prime furono lodate particolarmente dal Vasari quelle , che il Gherardi dipinse affresco nella, camera della torre, con ro spartimento di putti € figure,che scortano al di sotto in su molto bene, e con \grotte- 203 sche , festoni e maschere bellissime e più bizzarre che si possano immaginare + Dalla villa: del Bufalini in poi non: è altro da vedere che il vario. andamento: della valle‘ tiberina . Questa si ristringe a poco a poco, avvicinandosi a Ca- stello. E intorno la'città, che è quasi tutta in un me- desimo piano , sorgono dolcissime colline senza. niuna montagna : À me pareva d’ essere ne’ contorni di . Fi- renze, se non che i poggi apparivano più fevtili ; “più frequenti ; e più piccoli 2 Io sono entrato in città: per la porta fiorentina , e riposandomi nel primo caffè , mi è venuto sotto gli oc- chi il diario d’ un altro viaggiatore , ove sirdava questo ragguaglio. — Strada fangosa . Be’ contorni. Ponte e barca . Mura. Quattro porte ; fiorentina’, S: Maria, ro- mana, $S. Egidio . Belle strade , ma ‘selciate con ciot- toli. Be’ palazzi. Belle chiese. Beilesdonne . Bello spe- dale . Persone garbate. Cattivi caffè. Archivio. Ro- gna. — Questo viaggiatore vera venuto a Castello ne’ giorni passati, quando pioveva: e non mi fa maravi- glia che s'infangasse per la via che è tanto negletta . Bensì ho riso in udire ch'egli corse tutta. la città in un'ora, e che fatta poi colazione nel caffe, ripartì ver- so il Borgo con animo di stampare un grosso volume intorno a Città di Castello. Quanti libri di viaggi hanno simile fondamento! Il Tevere passa lungo Je mura fuori Porta roma- na, o come anche la dicono Porta: a prato , perchè x vi'è un prato larghissimo ove fanno la fiera. Ivi è un comodissimo ponte di legno: ed il fiume è già profondo sopra molta arena in alveo angusto. Ma le ripe coperte d’ alberi, e l'imminente poggio con! vi- gne e pometi, danno a chi passeggia inesprimibile 204 letizia . Io ho goduto alquanto di quel bel paese, guar- dandolo dal ponte . E poi ho imitato il:suddetto viag- giatore , correndo anch’ io precipitosamente il contado e la città. Per la qual cosa io non darò ragguaglio de’ quadri che sono nelle chiese; avendogli, 10 visti ; ma non contemplati. Le belle chiese abbondano; e il Duomo ha molte buone qualità dell’ architettura anti- ca . Ivi erano le migliori dipinture , ma sono state por= tate altrove . La cupola è stata dipinta da Tommaso Conca , il quale ha dato pure le prime lezioni di dise- gno all’ amico nostro e valente pittore Francesco Nenci d’ Anghiari. (1) Le vie sono molto. spaziose; ed ampio prato , che guarda sopra le mura in campagna , è davanti al Duo- mo;.e pulita e regolare, piazza è in mezzo della città. Questa potrebbe esser florida, se avesse. comodità di strade fino a Perugia ed. al Borgo . E gioverebbe pure alla città i’ essere.abitato il palazzo Vitelli da una ric- ca.famiglia; imperocchè vi è un bellissimo e grande giardino che presto presto, diventerà un orto; mutate le querci.in cavoli , e riposto il fieno in quelle vaghis- sime logge , che furono riordinate dal Vasari. e dipinte con tanta grazia da Gristofano Gherardi . Io voleva al- tresì vedere la‘buona galleria di quadri che è nel pa- {1) Verso la fine del secolo passato ‘un gran terremoto di- strusse, molte case, e fece cadere la cupola del duomo di Città di Castello. Riedificata quindi la cupola; fu chiamato il Conca da Roma a dipingerla. Ed in questa occasione andò il Nenci a Castello ; ove, siecome nel Borgo a S. Sepolero , non è alcun maestro ivi deputato a insegnare l’ arte del disegno . Per causa. dello stesso terremoto fu la città. quasi tutta: rifabbricata . E. perciò essa è ora molto pulita e piacevole . 205 lazzo, ma. le chiavi mancavano, e sopra le scale ho trovato molte rondini che facevano il nido . Nella città non è pubblica libreria, ma vi è buo- no archivio , dove si conservano gli Tr contratti , e qualche manoscritto . Il male della rogna è sati nel popplo anche in altre parti della valle tiberina . Ma ciò non dee metter timore. nell’ animo a’ viaggia- tori , potendosi con facilità guardare da simile conta- gio, mentre sarebbero privi d’ un'igran diletto , se per questa o per altra cagione si astenessero dal venire in queste contrade . Io se poteva, sarei restato più giorni in Castello. E malvolentieri ne sono oggi partito . Riuscendo per porta fiorentina , e potendo pren- dere quélla via che mi piaceva perchè andava a piedi, in iscambio di tornare al Borgo ho preso la via a sinistra, e dopo breve cammino ho passato in barca il Tevere. Quindi costeggiando per qual- che spazio il fiume contro la corrente, mi sono alfine partito dalle sponde tiberine e dal piano della valle, per seguire al tutto la via del poggio. E così mo- vendomi di colle in colle , ora scendeva per un prato senza lontane vedute , ora saliva una vigna da cui si scorgevano eziandio le alpi di Romagna, ed ora mi go- deva degli ombrosi viottoli per le ripe de’ torrenti . Il fiume della Sovara, che arreca molte acque al Tevere, mi ha dato per alcune miglia un dilettevole passeggio i È dipoi non per Monterchi ove passa la nuova strada d’ Arezzo, ma per più breve sentiero al di sotto del villaggio di Citerno , io mi sono trasfevito in Anghia- î. La bellezza e l’ubertà di queste campagne è più di ciò che io potrei narrare . Sono più vaghe di quelle finora descritte : e tanto più appariscono belle , in quanto che non può essere più brutto il primo ingresso 206 î i ad Anghiari. Si passa per una piccolissima porta, e poi si sale un’erta tortuosa ed angusta , ove le case non sembrano essere state mai imbiancate . Quivi nel mez- zo d’ Anghiari antico è l'antico Pretorio, che è più alto ma non meno orrido delle circostanti case . E nel Pretorio tenevasi quel celebre catorcio che. fu cagione di tante zuffe tra gli abitatori d’ Anghiari e del Borgo, e che finalmente fu portato nell’anno 1737 a Firenze, ove si mostra come una cosa curiosa neil’ archivio del Fisco. Detto catorcio era il piccolo chiavistello d’ una porticella d’Anghiari ; che i borghesi portarono seco in trionfo, e che fu loro ripreso , alcuni dicono per in- ganno , altri per forza. Ringraziamo la fortuna che ha fatto cessare le nimicizie fra’ municipu d’ Italia , i quali parteggiando l uno contro | altro infievolivano la patria comune. (4) (1) Tanto i borghesi, come gli anghiaresi ( essendo al pre- sente e da gran tempo amici ) ridono volentieri delle discordie nate tra gli avi loro per rispetto al catorcio . Sicchè posso ri- petere , senza dar loro alcun dispiacere, ciò che dice Lorenzo Taglieschi nella sua cronaca d’Anghbiari , anno 1450. Egli dun- que racconta : ,, che il 29 giugno di detto anno facendosi la solita fiera di San Pietro in Anghiari , gli amghiaresi si attac- carono a questione con i borghesi, i quali vituperosamente se ne fuggirono al Borgo, ma confusi dalla vergogna ritornarono la medesima sera in Anghiari in numero di 4oo bene armati per vendicare la comune ingiuria, e arrivati sullo sgombro della fiera e venuti ad un giusto fatto d’armi su la piazza con gli anghiaresi, i quali erano poehi rispetto a’ borghesi, nondimeno ne ferirono 150, e 6 ne ammazzarono ; € mentrechè attende- vano a scacciare i nemici dalla piazza , una squadra di loro en- trata dentro al castello rubarono un chiavistello o catorcio della porta piccola del Ponte, e con tal furto dettero fine alla loro insolenza, ritornandosene al Borgo . Ma gli anghiaresi essendosi misi. Dal Pretorio si scende alla piazza d’ Anghiari . È qui principia il nuovo paese che è oltremodo piace- vole. La strada continua di salire , ed è larga ed ario- sa: Le case sono pulite, e ‘a’ due lati veggonsi 1 tetti soprastare l’ uno all’altro come i pianerottoli d’ una diritta scala . Io sono andato subito in cima della via, doy’ è ‘un convento , ed ove giungono qui dapprima quegli che verigono da Monterchi e da Arezzo . Al con- vento , che ora è chiuso , apparteneva agli Zoccolanti . E nella chiesa ; che ha nome della-Croce, si veggono due buonissimi quadri. L'uno è del Passignano, e rappresenta la Concezione , ma è sì guasto che non si può quasi riconoscere il disegno del pittore . L'altro è della scuola di Carlino Dolce, ov’ è in tela ritratto il caso di S. Elena quando ha trovato la Croce . E nelle mani e nel volto della Santa , nella figura del Vescovo Macario, e massime nell’ aspetto e nelle membra della poi accorti del catorcio rubato si misero, dietro a’ nemici, e avendo questi preso vantaggio con la fuga , erano già passati il ponte del Tevere ; dove incontratisi in una squadra di donne, ch’ erano dietro a’ loro borghesi , gli anghiaresi ( non potendo in altro modo vendicarsi ( tagliarono a dette donne le gonnelle sino alla ‘cintura, e ciascuno) su le picche e bastoni a:-guisa.di trofeo portava il suo pezzo: i quali per memoria di questo fatto furono conservati poi lungo tempo nella fraternita d'An- ghiari, sinchè ( nòn sono molti anni ) essendo guasti dalle ti- gnole , furono gittati via. Cotale fu il fine de! assalto de’ bor- ghesi da’ quali fu posto poi il catorcio d’Anghiari nella puh- blica piazza in luogo eminente, impiombato in una muraglia , mostrandolo ad ognuno con grande ardore e devozione , come se fosse il catorcio delle Porte di Terra Santa ,, . Si racconta quindi che alcuni anghiaresi ritolsoro di na- seosto il'catorcio , e lo riposero nella cancelleria d’ Aiighiari . 208 dobna risuscitata veggonsi lineamenti sì purgati ‘e af- fetti sì pietosi che potrebbe averlì disegnati ed espressi Carlino medesimo. Dìvanti la chiesa è un portico : e di qui princi- pia la strada che scende iu Anghiari, e che seguita per la valle tiberina senza torcer mai fino al Borgo a S. Se- polcro . Questo sublime prospettò si può godere, ma non descrivere . Il Borgo è più di quattro; miglia di- stante . L’avvicinar della notte mi ha costretto a partirmi dalla Croce ; ed appena ho avuto il tempo a vedete la cappella in casa Corsi, che è di buona architettura e in ogni luogo adorna di vario e bellissimo marmo . Questi ornamenti furono lavorati e scolpiti da’ fratelli Giovannozzi fiorentini. Ma il disegno dell’ edificio fu fatto da Benedetto Corsi, nativo d’ Anghiari. Questi era un signore ricco, animoso e intelligente . Sicchè volendo più gioconda e comoda abitazione , comprò molte vecchie case e le fece abbattere per edificarvi un nuovo palazzo. Quindi vi aggiunse un bel giardino, e nel 1774 ordinò la cappella. Dopo le quali cose un’al- tra ne imprese con molto maggiore dispendio . I pub- blici teatri erano allora proibiti ne’ piccoli paesi. Onde il Corsi, che aveva dodici figliuoli ed accoglieva sem- pre i forestieri , si propose di fabbricare un teatro; af- finchè dalle buone commedie avessero i figli istruzio- ne, e gli stranieri diletto. Nè al suo pensiero inter- pose indugio , poichè trovandosi per caso in Anghiari il professor macchinista di Firenze, Lorenzo Pozzoli- ni, ei fece subito gettare i fondamenti del teatro col di lui consiglio . E notisi quanto animo e discernimento avesse il Corsi . Imperocchè s’avvide che l’opera in- cominciata aveva una curvatura incommoda agli spet- 209) tatori, e fece tosto nuovi fondamenti , benchè il muro fosse già sopra terra un braccio . Per la quale diligenza è il teatro del Corsi uno de’ più belli di Toscana. Fu compiuto. nel 1790 . Ha tre ordini con. trentotto pal- chetti. E la platea, lunga diciassette e larga tredici ‘braccia, è sufficientissima alla popolazione d’Anghiari; cui sogliono adesso i figli di Benedetto concedere tal- volta l’uso pubblico del teatro . lo vi ho udito questa sera recitare l’ Antigone dell’ Alfieri. da una compagnia di comici, che era prima stata mel Borgo a S. Sepol- cero , dov’ è pure un teatro . x Partina a dì 26 di Luglio 1821. Ricordatevi, mio caro amico, del consiglio da- tovi nella prima lettera , cioè di vedere il Cenacolo di- pinto a fresco da (1) Andrea del Sarto in S.Salvi, prima di fare questo viaggio. Che se avrete. visto quella di- pintura, giungendo poi in Anghiari, potrete farne con- (1) Questo bellissimo Cenacolo d’ Andrea è detto comune- mente dipinto 4 fresco: ma in realtà non vi sono trattate in fresco se non che le principali masse de’ chiari e de’ bruni, ed i gialli, formati di bianco - sangiovanni e di ocre.Gli azzurri ed i verdi, colori vergini, oltre i colori composti, contengono il carbonato di rame ,-e sono stati applicati nel modo usato da’ pittori del XIV. e XV. secolo ; nè potevano trattarsi a fre- sco , stantechè la calee ravvivando il rame ayrebbe estinto il solore . i Nota di PIETRO PETRINI 210 fronto con un simile quadro di Gio. Antonio Sogliani 5) Di questo così parla il Vasari ! /Nel castello! d’ An-. ghiari fece in testa d’ una compagnia in tavola un cenacolo a olio) con figure di grandezza’ quanto'il vivo ; e nelle due rivolte del muro.) cioè dalle bande ,. in una Cristo che lava i piedi'agli Apostoli, e nell'al- tra un servo che reca due idrie d’acqua: la qual opera in quel luvgo è tenuta in gran venerazione, perchè invero è cosa rara . È rarissima è per certo, e potrebbe adornare qualunque buona Galleria senza parer minore alle più stimate dipinture . La figura'di Cristo che lava i piedi, sembra disegnata e colorita da Raffaello . Ed uguale bontà si scorge nelle altre figure del Cenacolo , e massimamente nelle teste; dalle quali apparisce che il Sogliani aveva oltremodo studiato nella scuola del Frate e del Vinci. Guardando io Gesù che siede in mezzo agli apostoli , mi sentiva commuo- ver l’animo a più alti pensieri, tanto è umano e divi- no a un tempo il volto del Redentore . pifi Ma seguitando poi di contemplare il quadro ; vio maravigliava come fosse simile ia quello di Andrea in S. Salvi. E maravigliava pure come il Vasari non abbia indicato questa loro somiglianza, ei che d’amén- due ragiona. Forse egli non vide il Cenacolo d’ An- ghiari, o non volle mostrarsi fautore dell’ uno più che dell’ altro pittore . Allorchè però ‘diede giudizio della dipintura d’ Andrea, la reputò. Za più facile’, la più vivace di colorito e di disegno ch’ ei facesse giammai; soggiungendo che aveva Andrea: oltre alle altre» cose dato grandezza, maestà e grazia infinita a ‘tutte quelle figure. Le cui parole indicano alcune qualità proprie del Sogliani più che d’ Andrea . Imperocchè il primo più che il secondo ebbe animo e pensieri ele- 21t vati. Quindi si potrebbe congetturare che Andrea in quest’ opera imitasse alquanto il Sogliani .. L'aria delle teste , le attitudini delle figure , i, panneggiamenti , gli accidenti, ed in somma la composizione del quadro ( benchè questa non sia al tutto lodevole, ) si veggono quasi simili .ne' due Cenacoli :: e dico quasi simili , perchè vi è qualche differenza; ma solo in quattro fi- gure, cioè nel Redentore, ne’ due apostoli che gli siedono al fianco, e in Giuda . I tre primi variano al- quanto nell’ attitudine .e, nell’ espressione , che è più significante nell’ opera del Sogliani. Giuda. è collocato fra gli altri apostoli nel Cenacolo d° Andrea; e in quel- ‘lo del Sogliani è tutto solo nella parte anteriore della tavola, siccliè. volge il tergo a chi contempla il quadro. Nel Cenacolo d’ Anghiari si riconosce la maniera so- lita del Sogliani. In quello di S. Salvi: si scorge ‘un modo di dipingere , cui Andrea non fu sempre con- sueto. Io lascio questo argomento all’ altrui giudizio. E noterò soltanto che il Cenacolo, del Sogliani fu trasportato per ordine di Leopoldo Nella chiesa prin- cipale d’ Anghiari, che. chiamano la Madonna del fosso, e volgarmente la Propositura. Ma qui pure è negletto : ed è vergogna e danno il non custodirlo con somma diligenza . Nella medesima chiesa è un quadro.di, Dome- nico Puligo , che rappresenta Cristo deposto di croce. ' Ed ancora questo, benchè sia tra. le migliori opere del Puligo , è mal, tenuto e .mal collocato, non a- vendo neppure idonea luce . i Io ho veduto i suddetti quadri in. questa. mat- tina, e poi sono partito da Anghiari per la parte op- posta a quella, d’onde vi giunsi ieri; salendo cioè fino alla Croce, e pigliando poi, la strada vecchia d’ A- 212 rezzo, che scende tra coltivate campagne fino alle rive della Sovara . Quindi sì passa il fiume, e si sale un poggio ove è la Zarbolana , villa del Barbolani conte di Montauto. Questo luogo è arioso , ed anche piacevole ; benchè sia quasi al confine della coltivata campagna . Infatti ho ivi trovato un bel boschetto , e una vigna; e poco dipoi ripigliando |’ eria , ho do- vuto salire un monte privo di alberi, ove rare greg- ge pascevano la rada erbetta , e dove le lepri mi saltavano sovente innanzi dall’uno all’ altro mac- chione. Sopra il vertice del monte è un’ altra villa, ma selvaggia con aspri sentieri, essendo parte dell’an- tico castello, detto Montauto ( da monte acuto ), che diede ib titolo. alla famiglia ed alla contea del Bar- bolani. E da questo luogo , in cui sentiva fresco, tut- tochè il sole fosse a mezzo il corso, ho dato l' ulti- mo sguardo alla valle tiberina. Segue la via per salite e scese continue tra gli appennini , che qui si chiamano alpi di Catenaia . Ed il viaggiatore stia bene attento alle Muestà ( no- me dato in tutti questi luoghi a’ tabernacoli ), per- chè sono esse poste ne’ bivii o ne’ trivii, dove si può facilmente scambiare la via. Presso una di queste Maestà è un bivio per cui si va nel Casentino , 0 ad Arezzo che è vicino dodici miglia. Io ho preso la strada del Casentino, volendo passare per l’ osteria del Chiaveretto: ma una muova maestà ha ingan- nato me e la guida, e siamo giunti per cammino più lungo e faticoso nell’ alveo della Chiassa, il quale torrente nasce dal monticello Pala della Cate- naia, e sbocca in Arno. Sicchè abbiamo dovuto prendere un’altra guida, e camminar lungamente sopra i sassi del finme, per risalire un monte, da - 2153 cui finalmente sono sceso all’ Arno nel Casentino . In questo luogo è l’ osteria del Travigante . Poco lungi è un ponte antichissimo sull’ Arno, che dicono fatto da Annibale e che sembra. opera de romani. Ed è pur vicino un grosso villaggio‘, detto Subbiano . Le rive dell’ Arno sono amenissime pure: in que- sta parte, che è il basso Casentino. Ed io costeggian: do il fiume , e passando pe’ villaggi di S. Mamma'e di Rassia ; dopo aver guadato it Corsalone ; sono giunto di nuovo a Bibbiena , da dove riguardando le campa gne, non mi sono sembrate meno: belle ‘e piacevoli della valle tiberina; quantunque sia questa più larga e piana . Io mi sarei volentieri riposato in Bibbiena, perchè aveva già fatto più di venti miglia con sommo disagio, e perchè era vicina la notte. Ma un antico mio com- pagno di studio , amabile, onesto e fermo nelle ami- cizie, mi aveva invitato! nel suo villaggio .. Siechè discendendo da Bibbiena fino ‘all’ Archiano'; passan- do questo fiume sopra una ‘tràve, e traversando la vasta e fertilissima tenuta de’monaci di Camaldoli ‘che si chiama: la Mausolea ; ho dopo quattro miglia ab- bracciato il mio fido amico Bernardo Franceschi , il quale dimora in Purtina . Questo villaggio è dro simo alle montagne di Camaldoli, ed ‘è ‘nel con- ‘fluente dell’ Archiano e d’ un'altro fiume» 214 ai a dì 27 di luglio 1821. Accompagnato dal..mio' caro Franceschi sono sa- lito questa, mattina da. Partina a Camaldoli. Chi viene in questo luogo\da. Bibbiena, dee fare quasi la medesima stradai, dopo essere giunto in Partina o ne suoi, contorni... E; la via è:facile; benchè mon- tuosa : e. le. campagne; non (sono. ‘inculte , nemmeno sulle più alte! pendici. Soltanto allora che il cam- mino, è lontano quattro miglia da Partina , incomin- cia la terra tutta selvaggia con rari cespugli e senza casali. Nè quindi; più si scorge il basso e medio Ca- sentino', che, infino, allora mi aveva mostrato i suoi fiumi , le sue ville ;e;i/suoi castelli. Ma seguitando la via dentro le montagne, mi si è scoperto poco dipoi un vasto prato. con una cascina in vetta. E giù mel burrone; ove. un torrente scorre , mi è sem. brato di. vedere un villaggio grande e bene ordinato, sopra cui, s'inalza all’’opposta. ripa un i bosco. folto di quanti alberi nascono per le nostre selve. Onde ho (affrettato il passo per discendere al margine del fiume , ed. accostandomi al. pressupposto villaggio , ho veduto poche case al di, sotto del prato, e un vasto e ben riquadrato edifizio in vicinità delle acque . Tale edificio comprende il monastero e la chiesa de’ monaci di Camaldoli : sicchè le donne non possono entrare nemmeno nel tempio , e si fermano nelle altre sopra- dette case , ove stanziano pure gli artefici che servono al monastero . Il nome di Camaldoli proviene dall’ antico pos- sessore di questi luoghi , che si chiamava Maldulo , 0 215 secondo i varii manoscritti, Maldo, Maldalo , e Mad- dalo.. Costui:-dunque ;nel,1009 donò quivi un campo a S. Romualdo ; e il.dono fu chiamato campo di Mal- dulo., e per abbreviazione Camaldoli ; essendo pur ta- lora nominato campo;amabile . Anticamente pero non eran qui le abitazioni de’ monaci. Le prime celle furono fabbricate un miglio più Jungi ; e dipoi fa fatto qui un ospizio , detto di fonte buona per la bontà delle acque, il; quale a poco a poco è diventato un ampio convento. lo:vi sono stato accolto da’ monaci, con somma genti- lezza . Le commodità,del vivere “non mancano : ed al- tra volta eranvi pure buona libreria e buono archivio . Nel refettorio è opportunamente, dipinta Za refezione di Cristo nel.deserto ,;ove la figura , del Salvatore è invero maestosa e divina. Nella. cappella dell’ inferme- ria èun grazioso quadretto di Raffaellino del Garbo , che rappresenta l’ orazione di Cristo ‘nel deserto. Nella cappella-del Capitolo sono due immagini dipinte da Giorgio Vasari. E nella chiesa, che ha una sola navata e moltissimi ornamenti , furono. dal medesimo Vasari dipinte quelle tre tavole;che sono nell’ altare ,maggiore ene’ due più prossimi. La;prima rappresenta Cristo deposto di croce, ed è più buona delle altre , perchè il Vasari. la fece dopo quelle e vi adoperò con fatica e stu- dio (quanto gli;fu possibile. La seconda tavola rappre- sentà la natività di Gesù , fingendo z7a notte illumi- nata: dallo splendore di lips nato, circondato da alcuni pastori che l° adorano . E la terza rappresenta la Madonna col, figlio in collo; San Gio. Batista e Sdnto:Jeronimo . PECIOCRE Il Vasari vi dipinse pure a olio e in due quadretti le i immagini dit. Donato e di S. Ilario. E vi dipinse a fresco sopra la porta il ritratto dell’ eremo, da un N 216 lato S. Romualdo con un doge di Venezia che è forse S. Pietro Orseolo , e dall’ altro una visione che ebbe S. Romualdo tà dove fece poi il suo eremo . Gli altri quadri della chiesa sono meno pregevoli di quelli del Vasari; e la volta fu dipinta a fresco da Santi Pacini. Dalla chiesa noi siamo scesi al fiume là dov? è segato il legname per forza della corrente . E dopo aver visto il semplice ordigno di quella sega ‘a ‘acqua , che fu la prima ad essere usata ‘in Toscana, abbiamo ri- preso l’erta, entrando ‘finalmente ‘nell’abetina . Que- sta negli anni scorsi faceva ombra densa a chi saliva il monte . Ora si vedono di lato ‘ moltissimi abieti ; ma la via giace Si a’ raggi del Sole .Onde non èsì gra- ‘ta e maestosa com'era prima e come sarà all’avvenire, quando le radici de’ troncati abeti avran gettato ‘muovi germogli . Dopo un miglio sopra il monastero scema il dé clive della montagna per molto‘ spazio . E qui 8. Ro- mualdo fece la sua prima cella , qui è I’ Erenzo di Ca- maldoli . Tutta di pietra è la chiesa con due campanili a guisa di torri ne’ lati della faéciata . Al di dentro: è un piccolo vestibulo, dove i'monaci si spogliavano de’ loro mantelli e degli zoccoli , quando venivano ba- gnati dalla pioggia o dalla ‘neve a ‘cantar le laudicin coro . Quindi si passa al tempio che era ‘magnifico e pieno di bellissime dipinture, mà che ora è pai mogli altari, e malconcio nelle pareti . Innanzi alla chiesa è piccola piazza , da cui si entra nelle celle . Queste so- migliano a un borgo che abbia quattro ‘strade paralelle con case piccole , spartite , e solo' a' (pian terreno | Ogni cella ha un orto chiuso da mufràa' Nell’ orto risponde ùn portico . E da questo si entra nell’ andito che ha 217 due porte. L'una mette in un salottino e quindi in una privata cappella . L’ altra mette in una stanza ne- cessaria a riporvi le legna , ed in uno stanzino ov’ è pe- renne fonte, idoneo alle lavande . Molti tramezzi sono di legno: e il salottino è così bene ‘accomodato , che ha da una parte il cammino, e dall’altra sembra chiu- so da una parete di legno, mentrechè questa si può aprire , ed offerisce allora uno studiolo ed un letto. Ventotto monaci potevano godersi di sì comoda abitazione , e solevano passare la gioventù nell’ eremo, trasferendosi poi nel monastero ov’era ed è la vita me- no austera. Al presente però niuno dimora nelle soli- tarie celle, le più delle quali cadono in rovina . E tutto il luogo vicino all’ eremo è altresì cambiato , non avendo più quelle grandi masse d’ ombra intorno a’pra- ti, nè que’ varii gruppi d’ annosi abeti, che mettevano maraviglia nell'animo a chi venisse qui contemplando, la selva. Anche i ruscelli, che nascono da sette sorgenti, hanno forse mutato il letto : nè si vede orma , nè si ode voce nel luogo deserto , se non di bifolchi e di bovi che traggono su per le rupi i tagliati abeti con lena e con / grida. Ond'io mestamente ritornava verso il monastero, troppo più dispiacendomi le nuove qualità del bosco ; allorchè il mio affettuoso compagno ha indicato un’al- tra via, soggiungendomi che avrei così veduto la parte più deliziosa, e meno nota , di queste montagne . Infatti, dopo aver disceso al di sotto dell’ eremo quattro miglia per viottoli cupi e ripidi, ho posato il | piede sopra morbido musco in riva della Zama, disco- prendo un luogo più ameno e maestoso di tutti quelli . che io aveva percorsi . Lento lento, e senza Spiaggia , il fiume traversa un prato abbondevole di fiori e d’ er- T. IV. Novembre 1Ò 218 ba. Molte gregge godonsi della dolce pastura : e or sì vede una pastorella seduta all’ ombra d’un albero pres- so la capanna, ora un pastore che ha lasciato il suo vincastro e pesca le trote , cercandole colla mano tra’ sassi per le frigide acque. Nè da questa pianura è al- cun sentiero facile , che meni fuor della valle ; poichè neppure il fiume non concede un varco , cadendo esso verso la Romagna tra balze anguste ed altissime. Alle quali ‘continuandosi la montagna con giro vario ma continuo, rimane il prato si chiuso e profondo che ogni nube l’ oscura. E più lunghe son qui le notti, più for- midabile il verno , costretti allora i pastori ad abban- donare le capanne . Ma sia che nella tempesta vi fioc- chi la neve, o che vi splenda il sole, sempre vi è un tenebroso orrore intorno intorno alle rupi ; le quali inal- zate quasi a picco, dimostrano la vetta ignuda con rotti scogli, e portano sul dorso una selva conserta di faggi e d’abeti. Onde nella stagione estiva non si può vede- re, almeno in questi iuoghi, un’altra valle che dia tanta letizia e tanta malinconia a un tempo. I quali affetti sono accresciuti dalla piccolezza del prato che gira tra le rupi un miglio ; stantechè l’ occhio , volgen- dosi in qualunque parte, vede davvicino e ben con- trapposto il piano al monte , e 1’ ameno all’ orrido . A me sembra che la Lama potrebbe servire di utile studio a’ piitori di paese: e sarà per certo dilette- vole ad essi ed agli altri viaggiatori, i quali possono andarvi pure a cavallo senza grave incomodo . Nelle prime ore della mattina vi sì trova appresso i pastori latte , ricotta e pulenda : e nelle ore successive non vi è che pane durissimo e qualche trota. Onde bisogna portar seco il desinare o la merenda , come ha fatto i] Be 219 mio amico ; per la cui providenza abbiamo potuto fer- marci nella Lama fin verso sera, e poi siamo tornati al monastero di Camaldoli . Stia a dì 28 di luglio 1821. La montagna di Camaldoli è parte di quell’ alpe che si chiama Giogana. Ma il volgo suole dare tal ‘nome a quell’alto monte che sovrasta all’ eremo , e che ha la vetta cinque miglia distante. Sicchè vo- lendo salire a questa cima, bisogna domandar della strada che va sopra la Giogana. E salirvi bisogna quando l’aria sia pura e serena, perchè allora si scor- ge di quivi la Toscana infino al mare tirreno , e la Romagna infino al golfo adriatico. Onde l aurora a- vendo oggi annunziato uu chiarissimo giorno, io mi son subito avviato nell’ abetina ; e rivedendo l’ere- mo, e seguitando più oltre il cammino, dopo due ore son giunto al bramato vertice : il quale ( e non già quello di Prato Magno, come alcuni han detto ) fu dall'Ariosto paragonato all’ altezza di Pirene co’ se- guenti versi del canto quarto : Di monte in monte , e d’ uno in So bosco , Giunsero ove l’ pri di Pirene Può dimostrar ( se non è l’ aer fosco ) E Francia e Spagna e due diverse arene ; Come Appennin scopre il mar Schiavo e’l Tosce Dal giogo , onde a Camaldoli si viene . n 220 Quindi per aspro e faticoso calle + Si discendea nella profonda valle . Jo non so dire se mi abbia arrecato maggiore diletto, o il trovarmi libero senza tristi pensieri in quel poggio eminente, o il ricordarmi d’ essere in un luogo, dove l’ Ariosto aveva altra volta fermato il passo. Certa cosa è che mi godeva l’ animo nel meditare delle lodi sue, mentre contemplava le due sponde d’ Italia . È quindi passata un’ ora colla mente piena di sì liete immagini, sono disceso anch’ io per aspro sentiero nella profonda valle, verso Moggiona . Questo è un villaggio con castello antico , non molto lungi alla Terra di Stia. Sicchè ad essa sono arri- vato dopo un breve cammino di sei miglia dalla Gio- gana . Stia chiamavasi anticamente Staggia : il qual nome è dato ora soltanto al fiume che sbocca in Arno sotto le mura di Stia. E ben coltivate sono le vicine campagne , tutte in collina : e salubre e vaga è.la situazione del ‘paese al confluente della Staggia e dell'Arno, ov'è pure un ponte per cui la strada ri- sale alla Consuma verso il Ponte a Sieve. Nè in tutto il Casentino è ora un’altra Terra così popolata d'uomini industriosi ; essendo qui molte fabbriche , particolar-. mente di panni. Sicchè ho fatta in questo luogo una seconda e piacevole fermata; dopo di che ho preso la via, nuova e piana alla sinistra dell’ Arno per ve- dere quanto io poteva | alto Casentino . Non molto lungi da Stia si passa un torrente chia- mato /iumicello , che nasce sopra il villaggio di Casa- lino: e dopo un miglio si entra in Pratovecchio , cui hanno dato questo titolo, perchè nel Casentino è un altro paese molto più piccoto che si chiama Prato. 221 Ognuno'sa , come Pratovecchio sia stato sempre patria feconda di nobilissimi ingegni. Io vi ho veduto una va- sta piazza idonea a’ mercati , ed una via larga e diritta con botteghe e portici.Onde ancor qui è molto commer- cio e piacevole soggiorno : Fuori delle. mura continua la strada in mezzo a ville e campi ubertosi ; talchè non m'è incresciuto andare fino al colle di Romena, sotto cui ho trovato la forte Branda che V Alighieri mentovò nel trentesimo canto’ dell'inferno , e che i commentatori hanno creduto essere quella stessa di Siena . Quindi salendo il colle ho riveduto, benchè da langi, Bibbiena , Poppi , e il Borgo alla collina . Sicchè avendo ormai viaggiato per tutto il Casentino , sono tornato a Stia; ove poteva trovare un migliore alloggio ma non ‘una locanda meglio situata, perchè \da una parte ha le finestre sulla riva dell’ Arno vicina al pon- te e dall'altra risponde nella via principale, quasi ‘dirimpetto alla casa-in cui nacque Bernardo Tanucci, dotto giureconsulto e professore nell’ Università di Pi- sa; savio e leale ministro di Carlo III Re delle due Sicilie, e amato e lodato e desiderato sempre da tutti i napoletani . Dicomano a dì 29 diluglio 1821. Varie nuvolette che ascandi@valio i raggi del na- scente sole mi hanno dato indizio d’infausto giorno . Ma nondimeno ho voluto andare da Stia sopra la mon- tagna di Falterona. E dapprima ho avuto piacevole er 223 viaggio, vedendo alla mia destra una graziosa collina con molti e successivi gruppi di case , e vedendo .a si- nistra un alto poggio con altissima torre. Questa ap- parteneva al palazzo de’ Conti Guidi ; e per tradizione popolare ( che io non so come si concordi colla storia ) raccontasi che Dante fosse qui rinchiuso dopo la batta= glia di Campaldino . Tal luogo ora chiamasi /’orciano . E l’altro che è a destra, composto di molti casali , si dice Papiano , benchè volgarmente lo chiamino Casa Grillo . Quivi era la contea d’ Urbeck ; ed alcuni pre- tendono che questo nome germanico si derivi dalla fi- gura orbicolare della contea, fondando i loro argo- menti nella pronunzia de’ contadmi, 1 quali tolgono via la desinenza tedesca e dicono Orbecolo . Sopra Porciano seguita la via presso 1 villaggi di Castel Castagnaio, e di Valtuccioli. Poi veggonsi rare le case, ma abbondano le pasture; e gran (copia di gregge e d’armenti erra in que’ pascoli, che chiamansi bocca pecorina, e che sono al tutto in montagna lungi quattro miglia da Stia. Ivi non è nè prato, nè bosco. La molle erbetta vegeta occulta sotto le odorose gine- stre, le quali vanno in rigoglio tra folti cespugli di mir- to, senza che un albero adombri le mortelle. Sicchè passando per quella cava pendice si ode spesso il belar delle pecore, e non si vede la mandra che i mirti co- prono ; ma però si scorge liberamente il piano del Ca- sentino, il quale è grato a vedersi di quivi più che d’al- trove, imperocchè non è quest’ altura troppo elevata, e pur concede allo sguardo una linea molto estesa . Aldi sopra di questi pascoli diviene il monte più aspro, e genera pruni e ‘arbusti, tra cui bisogna varcare il fosso d’ Arnaccio. Quindi chi ben conosce gl’ intri- gati viottoli, giunge ad un masso coperto da sterpi e da | 223 frutici , sotto del quale scaturisce una polla d'acqua pe- renne e limpida che dà principio all’ Arno. Niun segno distingue il masso (1): niuna cosa adorna l'umile fonte: e neppure i virgulti de’ faggi non crescono alti e fron- dosi per questa montagna. Sicchè più ameno è il luogo, dove nasce il Tevere . Ma dalla tiberina sorgente non si discopre alcuna città, nè wvedesi il corso dell’ altero fiume: e di qui presso alla cima di Falterona veggonsi le molte acque del Casentino metter foce nell’ Arno, il quale poi. volgendosi dietro le montagne riapparisce nella pianura sotto i colli di Fiesole. lo vedeva le mu- ra, i templi, e le famose torri della città di Firenze : vedeva quasi a un tempo l'Arno nascere da un nu- do masso, e traversare il ponte dell’ Ammannato. La quale vista era in quell’ ora tanto più grata e varia, per- chè il sole irradiava soltanto la campagna fiorentina, e sopra le montagne si addeusavano le nubi, accrescendo coll’ ombra loro lo splendor di Firenze . La fonte dell'Arno (che questi montanari chiamano Capo d’ Arno) è solo venti miglia distante a Firenze, benchè il fiume non giunga alla città se non dopo un giro tre o.quattro volte maggiore. E dalla stessa fonte è solo quindici miglia alla sorgente del Tevere, quan- tunque non sì possa arrivare a questa per un cammino più breve di trenta a quaranta miglia ; sì frequenti, ri. pidi e profondi sono gl’interposti poggi e valloni. Sicche non è opinione erronea il creder Ze Ba/ze vicine a Zl- terona : e salendo sulla più alta cima, che è quasi al di sopra della fonte dell’ Arno, veggonsi le vette successive e quasi contigue delle montagne fino a Monte Coronaro. (1) To parlo de’ segni naturali. Del rimanente è il masso tutto iscritto de’ nomi de’ viaggiatori. 224 Io avrei potuto dalla sommità di Falterona, siccome da quella di Giogana, scoprire i due mari d’ Italia. Ma la tempesta minacciata dall’ aurora mi ha quivi soprag- giunto, circondandomi a un tratto con foltissima neb- bia. Onde non ho potuto vedere che i luoghi vicimssimi; cetra questi mi ha dato somma meraviglia il lato oppo- "sto di Falterona, imperocchè vi si conosce sempre quel- Y antica frana del 1335, allorchè una falda della. mon- tagna per terremoto e rovina scoscese più di quattro miglia verso il Decomano in Mugello, siccome racconta Giovanni Villani. Î Per discendere dunque nel Mugello bisogna torna- re dapprima verso l'Arno, e poi rivolgersi alla via che conduce sotto la frana. In questo punto è il confine della Romagna, del Mugello e del Casentino. Non sì ve- dono che monti, tutti spartiti, tutti boscosi. E gli al- beri crescono da questa parte con molti rami e con gros- so fusto. Io son disceso lungo un torrente, che la piog- gia di minuto in minuto accresceva. È senza la guida del torrente che qui-si chiama fosso di Falterona, i0 mi sarei smarrito per quella selva di fronzuti castagni, ove 1 soli montanari praticano quando non è tempesta. Ma, seguendo il margine delle acque mi è riuscito trovare il primo paese del Mugello, che dalla selva prende il no- me di Castagno. To non aveva veduto in tutto il mio viaggio un casale tanto orrido, e sì orridamente situato. Esso giace tutto nel burrone: esso è la patria di quel- 1 Andrea, che trafisse lo sventurato suo amico, dappoi- chè gli ebbe questi insegnato l’arte di dipingere a olio. Ond’ io mi sono sbigottito, entrando nell’osteria; massi- me perchè ho veduto tanta miseria e squallidezza che non la maggiore. Ma per buona fortuna era allora spio- vuto; e dopo breve riposo ho continuato la via lungo il 225 medesimo torrente che qui si dice fiume di Castagno . Jo aveva già fatto più di quattro miglia da Falterona, e la selva continuava, i monti non si allargavano. Ma dopo altre quattro o sei miglia son giunto nel, paese più lieto di .S. Gawdenzio. Quivi sono molti abitanti, che hanno case belle e pulite. Vi è una chiesa molto antica, detta la Badia, la quale fu edificata simile al duomo di Fiesole dallo stesso vescovo fiesolano Jacopo Bavaro intorno al 1015. E sotto il paese, che è in mon- tagna, comincia la via nuova che conduce a Firenze e che dovrà poi continuarsi a tutta la Romagna. Sicchè per questo nuovo cammino e sempre in riva «allo stesso fiume, che qui si chiama fiume di:S.. Gaudenzio, sono arrivato comodamente a. Dicomano sette miglia più lupgi. Ancor Dicomano è tra le montagne. Ma il let è più dolce,.e il paese è nel scialli del solito fiume che qui prende il nome di Dicomano, e dell’ altro fiu- me che viene dall’ opposta parte del Mugello:e che si chiama Za Sieve . Dentro il paese è l’ oratorio di S.One- frio edificato da Pietro dalle Pozze secondo i disegni dell’ architetto Giuseppe. del. Rosso. E in questa cap- pella , che ora pertiene alla famiglia Vivai, vedesi un bellissimo quadro di Lorenzo Lippi, che era prima col- locato altrove, e che rappresenta la Concezione. Il quadro è stato accresciuto :con' nuova. tela nella: parte inferiore, perchè non aveva la.conveniente altezza. Ma ciò non ha arrecato danno alle (figure principali, fra cui non si può senza divoto affetto guardare la Vergine che tutta in sè si stringe per modestia e per amor divino , fissando gli occhi nel celeste Spirito. l'uori del paese in un ameno poggetto è la Pieve di S. Maria. Il campanile è una torre quadra e rustica. 226 Ed il tempio edificato forse nel decimoterzo secolo; è rustico anch'esso, e non ha buone dipinture se. non quella dell’ altare maggiore, che è del.cavalier Curradi. / / Ponte a Sieve a dì 30 di luglio 1821. Da Dicomano fino alla strada, che va da Firenze a Bologna , è una comodissima traversa, per cui si vede tutto il Mugello, passando per Zicchio e per Borgo S. Lorenzo . Dopo il quale cammino si può salire a Monte Asinario ov è tra gli abeti un antichissimo convento, e scendere quindi alla famosa villa di Prafolino che è solo otto miglia distante a Firenze Ma .io, che già co- nosceva tutti questi luoghi (1), ho passato il ponte so- pra il fiume di Dicomano, e presa poi. la via sulla sini- stra sponda della Sieve. La ripa è piana,.e volge tra spessi: colli. I. vallaggi sono frequenti, e.tra le vigne non apparisce mai alcuno spazio di terreno inculto. Onde sarebbero queste spiagge oltremodo dilettevoli, se non fossero cotanto chiuse dalle alte colline. E infatti esse diventano sommamente liete ed amene dopo il villag- gio della fufina, al di sotto di Pomino, perchè allora i monti si allargano , esi vede la valle della Sieve e dell’ Arno, tutta piena di case. La Ruiina è vicina al Ponte.a Sieve: e.questo è lontano dieci miglia a Dico- mano. Sicchè oggi dopo um breve e non fastidioso cam- (1) Giuseppe Maria Brocchi ha descritto la provincia del Mugello. \ 227 mino ho ritrovata la via che m’ aveva .condotto a Val- lombrosa. E qui dentro le mura e ne’ contorni del Ponte a Sieve ho riudito finalmente la pronunzia del popolo fiorentino. Il volgo di Firenze aspira le consonanti, ma non altera il suono delle vocali, non muta 1’ accento alle sil- labe, e non abusa il significato della parola. Di mano in mano però che io m’ accostava alla provincia delCa- sentino, udiva scemare 1’ aspirazione delle consonanti , e supplire rad essa con un suono più giusto sì , ma un poco aspro e forte. Quindi in Poppi, in Bibbiena, ed in molti villaggi ho sentito due varie pronuncie, 1° una buona e piacevole nel «colloquio delle civili persone, Valtra difettosa per d’iaccento ie il suono delle vocali nel discorso de’ plebei. Questi pongono quasi sempre un accento. sulla penultima sillaba de’ vocaboli, ferma n- dola con un cantoio intercalare noioso , massimamente alla fine.del periodo: e contro le regole del liuguaggio usano l'i più che le altre vocali, dicendo per esempio venghino, vinni, venghino, incommido, in iscambio di vengano, venni, vergono, incommodo . In quanto è poi al significàto delle parole îo non.l’:ho mai sentito abu- sare in'niuna parte del Casentino, ove anzi si sentono tuttavia proferire i vacaboli de’.mostri antichi con som- ma purità e leggiadria. Che se i Casentinesi adoperano alcune parole che non sono state mai nella nostra co- mune consuetudine, ancor in queste si conosce la loro naturale derivazione dall’idioma del Lazio. E le mede- sime qualità del linguaggio durano infino al monte dell’ Alvernia, ove il beato Francesco e i suoi seguaci vissero molti anni. Sicchè non è maraviglia ch’ essi nel secolo decimoterzo verseggiassero in Losa toscana. Nè questa sì continua per molto spazio dopo l’ Alvernia, _ 228 imperocchè ne villaggi di Monte Coronaro , dove prin- cipia la Romagna, si sentono troncare i soddiboli abu- sarne il significato, e inerudirne la pronuncia . Dipoi è buona proferenza nella Pieve a Santo Stefano .. Ma segui- tando la valle tiberina ritrovansi presto due diverse pro- nuncie: Quella degli uomini educati è secondo il solito di ottima consuetudine, con questa sola: differenza che al Borgo a S. Sepolcro è imitata la pronuncia fiorentina, e a Città di Castello la pronuncia romana. Ma la parla- tura de’ plebei è tanto più diversa alla nostra usanza, che m’incresceva il loro discorso, e mi sembrava d’ es- sere lontanissimo dalla Toscana. Essi mutano sovente l’a in e, dicendo pene per pane, mele per male, preti, per prati, e simili: il quale abuso pervertisce tanto le parole che più non s' intendono. E seguita lo stesso abu- so fino ad Arezzo , fin verso il territorio di Siena} ove all’ incontro è scambiata le in 4. Quindi nella mon- tagna di S. Fiora si abusa l’ , particolarmente in fine delle parole. Io lascio. giudicare agli altri, d’onde pro- venga in sì breve circuito un sì gran cambiamento di votati , e noterò soltanto che l’ abuso de’ Casentinesi per rispetto all’ é non è smoderato come quello de’loro vicini, che per troppo amore ad altre consonanti confon- dono tutte le parole. Allorchè io ritornava da Anghiari a Bibbiena, su per l’ alpe di Catenaia e giù nel basso Casentino udiva a un tempo l'abuso deli’ e e dell’ i. Quindi ho ritrovato il retto uso delle: vocali nell’ alto Casentino presso Falterona, ed anche in Dicomano. ene 229 Voyage critigue à l Etna ec. Viaggio critico all’Etnà nell’anno 1819 di J. A. pe GoursiLLon. Parigi 1820. tom. 2 in 8. Mongie l’ ainé, con tavole. 2 L autore di questo viaggio ci fa sapere fin dalla pri- ma pagina qual motivo |’ abbia condotto a riveder 1’ I- talia da lui già percorsa, e come nell’ anno 1319 lo spin- gesse la curiosità a recarsi fino in Sicilia e sulle cime del gran Vulcano di quell’isola famosa. Un opera da lui composta, la quale ci promette di pubblicare a suo tem- po, col titolo: Les Florentines, ou lettres critiques sur Dante con un imitazione in versi francesi della prima parte della divina commedia , avea bisogno per esser ri- veduta che l’autore si portasse in Toscana. Egli passò perciò a Firenze, a Roma, ed a Napoli, ed in quest’ulti- ma città accettò la proposizione di andare in Sicilia, fat- tagli da un Inglese, con il quale si accompagnò. Senza lasciarsi imporre dalle citazioni pedantesche dei classici, dalle relazioni dei viaggiatori precedenti, dalle lodi, o dal biasimo dati comunemente ai varj oggetti che in questa . peregrinazione s' incontrano , il sig. de Gourbillon dice ciò che ha veduto, dipinge ciò che sente, e non si occu- pa di cio che gli altri hanno sentito o veduto. Con simil franchezza nota tutti gli abbagli di cui son pieni gli altri libri di viaggi sull’ Italia e sulla Sicilia, e secon- do le di lui osservazioni cotali errori non sono in nu- mero così piccolo . La prima di queste correzioni è sopra il carattere del popolo di Napoli, che vien dipinto come di grosso- lani, poltroni, senza costumi nè buona fede, e del popo- laccio 0 lazzaroni, che rappresentansi come oziosi, mi- serabili, nudi, e senza mestiero. Tutto ciò ricavasi dal 230 Manuel du voyageur en Itatie, Milano 1818. L'autore contro la comune aspettativa prende la difesa dei laz- zaroni: assicura che tutti costoro esercitano qualche me- stiero, che 0 sono pescatori, o vendono il pesce e le frutte per la città ; altri sono facchini, altri eseguiscono delle commissioni, ognuno ha la sua abitazione fissa; niuno dorme per le strade. 1 vizj poi, de'quali confessa che son ripieni, particolarmente la superstizione e 1’ i- gnoranza, li attribuisce all’incuria del governo ed al di- fetto di educazione. Il passaggio da Napoli in Sicilia fu eseguito dal nostro autore per mare, come si fa ordinariamente da tutti; e ciò per evitare l’incontro de’ ladri ed assassini di strada, de’ quali abbondano le vie delle Calabrie. Il sig. de Gourbillon, mirando dalla baia di Napoli la su- perba veduta delle coste del Vesuvio, e di Portici, ram- menta il viaggio, che aveva fatto prima di partire, per quei luoghi ripieni di superbe memorie dei tempi an- tichi: Sembra di trovarsi nel paese delle fate, la verità è sotto i vostri occhi, voi la toccate con mano, e non le credete; quei luoghi per i quali vi aggirate sono stati prima di voi visitati da Cicerone, da Mecenate e Virgilio! . .. A. Pompeia vi trovate tra- sportato in mezzo ad una città, che ha quattro mila anni d’esistenza; ne scorrete le strade; ne visitate le case abitate un tempo dai più celebri cittadini di Roma: le strade e le case esistono ancora; i soli © abitanti non sono più ! Sbarcato a Palermo, ed osservando quella capitale, il nostro autore assicura di non ritrovare in essa e ne” suoi abitanti qualità e meriti corrispondenti agli elogi, che se ne trovano in alcune opere de’ viaggiatori, e par- ticolarmente nel Viaggio in Sicilia di Patrick Bridone impresso a Londra nel 1770, e nelle Zettere sulla Si- cilia del Conte di Borch scritte nel 1777. e conclude - SSL che la Sicilia moderna è assai diversa da quella di cin- quant’ anni fa. Osserva poi che i Palermitani hanno poca cura di ripararsi dal caldo e dal freddo, non facen - do caso nè dell’ ombra degli alberi per rinfrescarsi dal calor solare nell’ estate, nè dei camminetti per riscal- darsi nel più rigido inverno. Le due strade famose di Toledo e del Cassero , che tagliandosi ad angoli retti ‘ formano nel centro di Palermo il celebre quadrivio, so- no per lui dice carzali profondi e stretti che esalano va- pori mefitici. Lo stato delle lettere e delle scienze tro- vasi colà nello stato più infelice : non vi sono buoni li- bri nè vivono più quei dotti che i viaggiatori suddetti a’ lor tempi vi avevan trovato. Ciò non ostante nomi- na una quindicina di buoni autori Palermitani viventi tra quali il celebre Meli, detto meritamente il novello Teocrito.” Nell’ osservare le antichità di Segeste, e gli avanzi del tempio di Cerere ancor sussistenti, l’ autore correg- ge con molta vivacità, e scherzando graziosamente, gli abbagli dei viaggiatori suddetti intorno alla situazione del tempio, al numero e diametro delle di lui colonne; e sebbene confessi di non essere architetto, le sue rifles- sieni sono piene di buon senso, di gusto e di verità. In prova di ciò, ascoltiamo quello ch’ egli dice rapporto alla vanità delle iscrizioni posie in memoria dei restau- ratori di antichità . Conviene ad un principe l’ occuparsi della conservazione degli antichi monumenti; ma allorquando sì cerca indarno sul mo- numento medesimo il nome dell’ architetto e del fondatore, non è egli oggetto di sorpresa il ritrovarvi quello del restauratore ?.. . . Questa affettazion puerile, questo piccolo calcolo della vanità no- tasi in tutti gli antichi monumenti restaurati d’ Italia . . .. . Una iscrizione sola parvemi sì modesta che conveniente, sì elegante che concisa, io dico quella posta verso il mezzo della superba stra- 232 da aperta a traverso delle paladi Pontine dalle cure di Pio VI. Po- chi viaggiatori l’ hanno citata, e merita di esserlo: la trascrivo qui come l’ ho copiata sul luogo medesimo: OLIM PONTINA PALVS NYVNC AGER PONTINUS oPvs PII VI. ANNO 1793. debe difficile di prender;i in modo più modesto e più semplice; atto di un lavoro più grande e più utile. Questa iscrizione è la più bella che io conosca: essa ordina in un tempo stesso la ricono- scenza e l’ammirazione , ed allorchè si paragona con quella ; la quale sfigura il tempio di Segeste, non si può reprimere un sorriso di compassione. Con simile franchezza si esprime in genere sulle amplificazioni e gli elogj degli itinerarj d’ Italia intorno alle antichità; e noi Italiani non dobbiamo perciò ag- grottar le ciglia, perchè le iperboli esagerate, le ammi- razioni dei Ciceroni non solamente non aggiungon me- rito alle cose che ne hanno molto, ma lo sminuiscono ancora a quelle che ne hanno poco. In questa Italia cotanto vantata ho veduti tanti pretesi ca- pi d'opera, tanti vecchi tempj, e muraglie antiche, tanti avanzi e tante rovine, il cui credito viene dalla sola vetustà , ed il merito dalla data, ho veduto . . . . tanti quadri e statue inferiori alla lo- ro riputazione, tante chiese, palazzi, sassi, cui bisognava ch’ io am- mirassi sulla parola altrui, e sotto pena di passare per uno sciocco, che uscito finalmente da quella terra classica, io ne sapeva meno di quando vi entrai; e stanco dei superlativi uniti agli urli di am- mirazione , giurai di non lasciarmi più uccellare nè dalle estasi di un itinerario, né dalle iperboli di un romanzo . Il sig. de Gourbillon passò per mare da Palermo a Messina ed al Faro dove osservò, come lo Spallanzani, che la distanza fra Scilla e Cariddi è molto maggiore di quella che diede origine al famoso proverbio. Tro- vandosi in Messina il dì 15 di agosto giorno in cui si celebra la festa dell’ Assunzione in quella città sotto il nome di festa della /ara,o sia Bara, ebbeagio di descri- 235 verne tutte le circostanze, l’ illuminazione, le corse dei cavalli , il passeggio per la città di due statue equestri gigantesche di legno , rappresentanti Zancle e Rea, o sia Saturno e Cibele creduti fondatori di essa , e final- mente la processione della macchina che dà il nome alla festa. Ma con maggior interesse si leggono nel no- stro autore i dettagli storici, e gli aneddoti sopra il fa- moso terremoto di Messina e di Calabria del 1783. Quantunque tutti ì viaggiatori abbiano riempiute le pa- gine dei lor libri con simili narrazioni, e se ne trovino i ragguagli in tutte le storie , e ne’ giornali da quell’ e- poca fino.a noi; non crediamo cosa inutile nè dispia- cente ai nostri lettori il riportarne qui alcuni più pitto- rescamente descritti dal sig. Gourbillon. Dal Faro fino a Messina, per una estensione di quattro le- ghe slanciansi, ammassati i flutti, superano i più alti punti; e si spargono lontani nell’ interno delle terre. Intanto le case, le qua- li resistito avevano agli spaventosi sconvolgimenti del suolo , ed all’ attacco non men terribile dei venti e delle onde, divengon to- sto preda delle fiamme: rovinando i forni e i camini della città, appiccano il fuoco alla mobilia, e ai rottami accumulati al di sotto. Uno spaventevole incendio si congiunge con i tre primi flagelli, e l’ infelice salvatosi dalla dischiusa terra, dalla casa rovinata, dai venti, e dai flutti furibondi, non può liberarsi dalle fiamme, le quali alla fuga si oppongono. Là un vecchio rianimando le sue estinte forze sale sul suo tetto incendiato, e con man tremante si appoggia sulla trave dal fuoco mezzo consunta, la quale cedendo sotto il di lui peso, cade con esso nel precipizio: quà una madre con il bambino in collo fa di sè mostra ad una, e ad un altra fine- stra, e con sguardo fisso e feroce, misura in silenzio l’ altezza, che vuole nè osa pur anco valicare; esita; implota un soccorso negatole dal generale spavento, scaglia il figliuolo in tra le fiamme; lieta lui vi si getta; e perisce. La città di Terranova fu distrutta da quel genere quadru- plice di terremoto ben cognito sotto i diversi nomi di scosse di oscillazione, succussione, depressione, e sollevamento . Quest’ulti- mo genere più orribile di tutti, come il più inaudito, consiste non 1. IV. Novembre 16 MQ x 134 solo nel' cambiare la situafione delle parti costituenti di un corpo, ma ancora in quella sortifigi moto di proiezione, che scaglia una di queste parti, medesimé=verso un luogo diverso da quello che oc- cupa. Le rovine di questa” città infelice. presentano ancora, cotantì esemp)j di simil genere, che lo spirito più incredulo sarebbe costret- to a riconoscerne l’ esistenza. Tutte le case situate sull’ orlo del ripiano della montagnag tutte quelle le quali confinavano ‘con le porte dette del vento eÈdi S. Sebustiano, edifizj in parte semidi- ruti, in parte in nessun niedo danneggiati, furono staccate dal luo- go loro naturale, e gettate'o sul declivio della montagna medesima, o sulle rive del Soli fe. Marro; 0 finalmente di là dal primo di questi fiumi. Quest’ f&venimento inaudito diede luogo alla causa più strana, su cui abbian dovuto pronunziare i ttibuintli una sen- tenza. A lexini mesi dopo questo strano cambiamento di luoghi; il proprietario di un ricinto piantato di ulivi, prima situato sull’orlo del ripiano di cui si traîta, scoprì, che il suo ricinto ed i suoi al- beri erano stati trasportati di là dal Soli, sopra un terreno, prima piantato di mori, allora scomparso, e già di pertinenza di un altro abitante di Terranovà..Avendo reclamata la sua proprietà, questo ultimo avvalorò la negatiya di restituirlo, con dire, che il riciato in questione aveva occupato il suo terreno proprio , di cui lo aveva per conseguenza privato. Questa questione tanto nuova, quanto difficile a potere poichè infatti nulla poteva provare, che l’es- sere scomparso un-terreno non fosse stato effetto immediato della caduta, ed occupazione dell’ altro; questa questione, , dico, non st potè decidere se nori con un aceordo reciproco. Furon nominati alcuni arbitri, ed il proprietario del terreno usurpatore fu obbli- gato a dividere iéuoi ulivi con il padrone del terreno usurpato, Nel giorno. ‘medesimo l’ orgogliosa Scilla vacillando sulla sua enorme To gittò lungi da sé, e la città, e gli abitanti che soste- neva. Nel punto di una fortissima scossa, l'abate Puntillo, uo-. mo dotato di forza non comune, e versatissimo nell'arte nautica, cosa più straordinaria riflettend: o al di lui stato, trovavasi insieme con sua sorella e due nipoti in un posto della spiaggia settentrio- nale della baia di Sgiltà, la qual costa è nota a que’ del paese col _ nome di Piana Lea. All aspetto del doppio pericolo, che a lui presentano, e le oscillazioni della riva, e le onde che la ricuoprono, | perde l’uso della ragione talmente, che in vece di salvarsi verso la parte montuosa della spiaggia, pensa soltanto a gettarsi sopra uno di que’ massi sott'acqua numerosi , da’ quali è ioni ito lo sco»: 235 glio di Scilla La sorella e i nipoti ne seguono sventuratamente l’esempio, e seco passano su quello scoglio; il quale vacillando come un bastimento, ora abbandonava ai (lutti alcuno de’ suoi frammenti, or balzava sopra sé stesso. Ciaschedun di loro fisso su quel sito funesto, volgeva gli sguardi verso la città, e ne vedeva precipitar l’ una dopo l’altra le rovine nei flutti. Già al rumor confuso, fin ad essi giunto, dei gemiti e delle grida succede il silenzio di morte , silenzio non turbatò per lungo tempo, se non dai sordi mugiti della terra agitata , «e dall’ orribile fracasso dei flutti. A quello spettacolo. spaventevole , il sacerdote, la so- rella ; e i bambini; cadono in ginocchio sullo stretto tremolante macigno . Intanto rivolgono i loro sguardi verso lo scoglio prin- cipale , da cui la rupe che .li sostiene era affatto disvelta , e scorgono con sorpresa + che il:mare reflàendo sopra sé mede- simo. più non. li circondava .v Un'incertezza funesta li trattiene ancora al lor posto: per tutto è rischio, in nessuna parte sicu- rezza : là balza e si apre la terra ; quà il mar convulso li assale , e minaccia . Una inattesa speranza, viene a calmare per un mo- mento la confusione della ragione e dello spirito: appare ad essi una barca quasi uscita di sotto le onde: la conduce un uomo , il loro amico Costa , il parente, ib fratello , il padre in- fine de’ due ‘bambini. Ritornando! dalla pesca e sorpreso dal tremuoto egli tenta di guadagnare la riva .. A tal vista un grido di letizia accompagnato da. pianti scambievoli spontaneo solle- vasi dal masso , .e dalla barca . Vedendosi riuniti , credon tutti esser salvi ; la disgrazia rende sempre eccessiva la disperazione e la speranza; ed il padre sfortunato entra. più di tutti a parte dell’ error comune . Ei raccoglie le sue forze , voga , ed. affretta quanto può il sùo:camino verso il punto, su cui. l’ attende la | desolata famiglia. Ma nell’ istante , in cui crede di giungere al sasso, arrenata la barca si arresta ; ed uno spazio senz’acqua lo separa da esso: cred’ egli poterlo. varcare a piedi asciutti : il flutto crudele ritorna indietro ; solleva nuovamente la barca; evla rispinge cento passi lungi dalla : sponda. Nulladimeno ri- mane ancora agli uni ed all’altro la speranza del ritorno : ma questa ancora é lor tolta subitamente , poichè il. mare crescendo sempre , si solleva ad una orribile altezza intorno allo scoglio che li protegge ; ed il tempo necessario al ritordar della barca è troppo lungo, per; strapparli dalla morte . Tale. era la forza delle onde, che sommergendo allora tutta la spiaggia, traevan 236 seco loro gli abitanti di Scilla; i quali fuggendo dalle alture , si eran puitati in tumulto in quelle rive medesime, dove gli attendevano nuovi perigli, e la morte . Gl' infelici in que- stione attaccati da molto tempo , ‘non ostante la lor debolezza , alle scabrosità della rupe , son costretti a rimaner ritti., ed in questa posizione non possono neppur più proteggere i lor bam- bini dalle onde, che li ricuoprono ; la madre ne tiene uno fra le braccia , dell’ altro ha cura lo zio; ambedue non possono più attaccarsi alla rupe , se non con una mano soltanto; am- bedue sono scossi dai flutti che arrivano ; ambedue son ridotti a calcolare gli istanti, che loro. restan di»vita . La preghiera medesima , risorsa estrema dell’ uomo , non è più per essi pos- sibile , almeno non posson quivi riunirsi, nè | cadere prostrati innanzi a Dio , che dil' minaccia ; ma muti, immobili con gli sguardi fissi culla lor tomba stanno aspettando la morte . Ab frettiamoci nel tirare un velo su questa scena di desolazione e di orrore, e passiamo all’ istante , in cui le grida di quelle quattro vittime giunsero finalmente all’ eterno dispensatore del bene e del male . Quelle grida furono:ascoltate , la desiata barca si avvicina alla sponda ; il padre fortunato ne ritrae.i figli, la moglie , il fratello e cinque vittime furon salvate. Non finirei, se riferissi tutti i fatti relativi alla scena me- desima., Là Don Diego Macri in. balìa dei flatti. per molto tempo , si attacca ad un barile, il quale cedendo all’onda ‘che lo solleva, è gettato icon esso a traverso una finestra di una delle case situate alla rive, in cui cadono ambedue : quà una donna è scagliata fuori dai flutti sopra un gelso alto» venti pie- di, da cui pende sospesa per molto tempò .con i piedi in aria; e il capo di sotto. E quì finisce la corta nota delle vittime risparmiate dalla morte ; sedici sole persone salvate di un in- tera popolazione ! Un quadro più spaventevole rimane ancora . Cosima giovinetta di rara bellezza, di una delle migliori famiglie della città , errava spaventata sulla spiaggia del mare nell’ istante dell’ inondazion generale . Il flutto disumano la rag+ giunge ; la circonda , seco la trascina in un solo e medesimo punto . Properzio , a cui era promessa sposa , giunse sulla stessa spiaggia : scorgendola involta nè flutti, accorre’ alle grida di lei, e dietro di:lei si scaglia . Dopo lunghi sforzi, il fortunato» Properzio ; giunto a salvare ciò che ha di più caro al mondo; trae Cosima alla riva , e per salvarla dalle onde la, solleva per 237 qualche tempo fra le braccia ; ma i flutti quasi irritati di ve- dersi rapir la vittima , si sollevano di nuovo furibondi , gli as- salgono , e gli trasportano . Cosima e Properzio si tengono con forza abbracciati : ambedue sono per molto tempo agitati dalle onde , e finalmente scagliati sopra uno dei massi di Scilla . Pro- perzio riceve l’ urto -.e la sola morte può staccarne le braccia dal corpo dell’ amante . Cosima credendolo svenuto si stringe a lui con forza maggiore , lo trasporta in luogo più sicuro; lo ricuopre di pianti e di baci; lo abbraccia ‘teneramente ; e fi- nalmente sì avvede , chele sue braccia e la bocca non strin- gono che un cadavere . L’ eccesso della disperazione , che con- fonde |’ umana ragione , raddoppia ancora la forza naturale ; la debole Cosima lo prova: impone silenzio alle proprie grida : solleva di nuovo l’ inanimato corpo ; lo porta sullo scoglio ; l’ abbraccia ; e cade con lui nell’ abisso , che si apre , e si serra sovr’ essi. Il Sig. de Gourbillon descrive la situazione dei «due scogli celebrati da Omero e da Virgilio, cioè di Scilla e di Cariddi, detta oggidì Calofaro con nome d’ origine Greca , e segue in ciò le orme particolar- mente di Spallanzani . Da Messina passando il Faro, visitò le rovine di Tauromenium presso la moderna città di Taormina, il fiume Aci presso la città di Jaci Reale, 2° isola e gli scogli de’ Ciclopi , noti sotto il bi. zarro nome di Faraglioni ai Siciliani de’ nostri giorni; il porto di Ulisse presso il borgo detto Ognina, e giun- se a Catania. Questa città è situata, secondo l’ autore, trentasei miglia di Sicilia lungi dalla sommità dell’ Etna: più ‘volte il Vulcano nelle sue eruzioni l’ha rovesciata ‘e di- strutta , ma nel 1669 la notte del 23 al 24 Aprile for- mò DA; essa un porto sul mare, impresa , che il go- verno indolente di quel tempo mai non avrebbe ten- lata . Si trovano in Catania tre musei , il primo de’quali appartiene al Principe di Biscari, il secondo è unito 238 alla chiesa, e convento de’ Benedettini; il terzo è pro- prietà del Cavalier Gioeni . Da Catania il nostro viaggiatore salì al Vulcano , e come si esprime egli stesso: per quattro giorni e tre notti calpestò quel pen che vomita fuoco ..... Le materie vulcaniche delle di lui eruzioni gli hanno alzata intoruo una montagna di forma conica, la quale sopra ina base di circa cento ventimiglia di circonferenza sorge isolata e perpendicolarmente fi- no alle più alte regioni dell’ Atmosfera . Questa base è ex x . . più prolungata dal lato del mare , nè vi si vedono che materie calcinate prodotte dalle eruzioni medesime . »» Situato al 38.° 51.’ di latitudine settentrionale, non lungi dalle spiaggie di quel mare , che bagna la costa occidentale della Sicilia, l Etna è in una temperatura media e dolce. La parte di esso , che è a piè della montagna , è nota sotto il nome di prima regione. Nissun luogo della terra presenta un più ricco; un più fertile, un più bel paese : ciascheduno og- getto vi brilla distintamente sotto an ciel puro, e sempre se- reno . I terreni ,i quali occupano questa parte della montagna son simili ad una vasta scena , che per un declivio insensibile e dolce discende di pianura in pianura , di collina in collina , fino alle rive del mare; le cui acque brillano per ogni dove sotto lo splendore di un sole fecondatore . Quivi l’inverno è tutto al più il sonno breve e leggiero di una quasi sempre at- tiva natura , la quale destasi tosto al rieder di primavera e cuopre di nuovo quella scena con verdura, con fiori, e con frutta. La temperatura dell’aria diminuendo quanto si allon- tana dalla superficie del globo, debbe naturalmente render più fredda la parte media della montagna, detta seconda regione . Quivi all’ombra delle foreste regna. la primavera, mentre la prima regione langue sotto gli ardenti calori estivi. La terza ed ultima regione , parte superiore della montagna , è la re- gione del freddo ; quella, in cui in mezzo alle stesse notti d’e- | state provasi il rigore de’ più aspri inverni, e spesso ancora l’as- siderazione glaciale dei climi più settentrionali ,, . Nella prima regione dell’Etna trovansi alcune pic- | i 239 cole città e borghi. Il nostro autore osservò ancora fiu- micelli, e torrenti e un terreno assai fertile per la mescolanza della sabbia vulcanica, in cui la lava spar- savi dal vulcano è ridotta , insieme con la terra vege- tativa. Trovò gli abitanti dei luoghi medesimi assai cor- tesi ed ospitali. Uno dei principali possidenti , il Sig. Gemetlaro detto naturalista, fin dall'anno 1806 ha fatto costruire a piè del cono del Vulcano la prima casa di ricovero che vi sia stata stabilita . Egli l’avea chiamata gratissima , ma essendo stata aumentata dal general Dunkin in tempo che gl’ Inglesi occuparono la Sicilia, fu poi nominata la gasa Inglese. Serve questa di stanza ai viaggiatori , sull’ altura del monte, sol che ‘paghino al padrone di essa una piccola retribuzione, la quale serve soltanto alla manutenzione della mede- sima . Giunto alla seconda regione il Sig. de Gourbillon colla mente ripiena della cantica di Dante, di cui ci ha promessa l'imitazione in versi francesi , trova una gran rassomiglianza fra un bosco che ivi s'incontra e la descrizione della selva del canto 13. dell’ Inferno . » Qui ( dic’ egli ) io credo di sognare : io son trasportato nella foresta del settimo cerchio dell’ inferno di Dante : i luo- ghi sono i medesimi : l’ orrore stesso mi circonda : Non fronde verdi, ma di color fosco , Non rami schietti, ma nodosi, e ’nvolti . Non pomi veran, ma stecchi con tosco . Colà mi sembra che dica il maestro : Sappi, che sei nel secondo girone , Mi cominciò a dire , e sarai, mentre Che tu verrai nell’ orribil sabbione . Io entrava in fatti nel secondo girone dell’ inferno dei Titani e come l’ Oinero Fiorentino , non ne doveva uscire , che per calpestar l’ arena la quale ricuopre la fronte del Vulcano. Nelle ricerche necessarie alla revisione dell’ opera inedita , a cui ho 240 fatto allusione nel principio di questo viaggio, non poteva sfuggirmi l’analogia veramente notabile, che esiste tra una moltitudine di particolarità del poema di Dante, e le loca- lità Etnee; ma ancora non sono potuto arrivare a sapere se questa analogia abbia effettivamente origine dai ragguagli , che il poeta avrebbe potuto attingere dagli autori , i quali hanno scritto sull Etna, oppure se nel corso delle sue ambasciate e precisamente in quella di Napoli , egli sia mai passato nell’ isola ed abbia veduto da sé i luoghi, ch'io miro presentemente . Egli è certo però che esiste. una sorprendente rassomiglianza fra certe località dell’ inferno del poeta Fiorentino , e quelle del Vulcano Siculo . Del rimanente in tutta la divina Comme- dia, Dante non ha parlato dell'Etna, o piuttosto non lo ha citato che in soli due passi (1). Questo silenzio affettato , riguardo ‘ àd un luogo tanto simile a quello da lui descritto , sarebbe egli forse una prova delle precedenti supposizioni ? ? Se giungerò mai a pubblicare il resultamento della mia fatica sopra Dante, forse diffonderò queste idee , più che non indico quì di volo” fat Noi non sappiamo dire , se le illazioni del Sig. de ‘Gourbillon sieno di tal forza, da poter indurre a cre- dere , che Dante sia stato mai in Sicilia ; ma poichè il nostro autore ha tanta predilezione per un poeta To- scano , non ci sarebbe discaro , che qualche dotto Fio- rentino, guidato dalla scorta di questo cortese viaggia- tore, si occupasse nel dilucidare tale articolo biogra- fico, e nell’ esaminare quanto dice il Boccaccio ( De Geneal. Deor. lib. 14. cap. XI.), cioè, che Dante fu in grande amicizia con Federigo d’ Aragona Re di quell’isola . Se tal asserzione è vera , può far supporre che il poeta si sia veramente portato presso quel So- vrano ; giacchè non è da congetturarsi , che l’ amicizia si fosse stretta fra due persone le quali non si fossero mai vedute ; nè si sà che il re Federigo sia stato mai sul continer te Italiano . (1) Yne Can. 14. Parad. Can. 8. 241 La grotta delle capre , la quale serviva ai viaggia- tori per passarvi la notte, prima che fosse stata eretta la gratissima, non trattenne il Sig. de Gourbillon , che per prendervi un rinfresco , e per denotare nel suo a/- bum di esservi stato . Sogliono i viaggiatori scrivere il proprio nome sulle quercie da cui quella grotta è cir- condata . Spallanzani non vi trovò il nome di verun italiano, e il nostro autore attribuisce ciò all’'essere gl’ Italiani poco bramosi di simil gloria . Nell’ approssimarsi alla terza regione , sentì il Sig. Gourbillon un cangiamento nella temperatura dell’aria, e fu assalito da un uragano e da un temporale , che lo accompagnò fino al cono del Vulcano ; a piè del quale ebbe stanza nella casetta più volte nominata ed eretta nel 1806. Ma nella notte medesima quantunque stan- co , egli ed i suoi compagni , dopo un breve riposo , si posero di nuovo in cammino verso le quattro della mattina , per giungere alla sommità del Vulcano a ve- dere il levar del sole. Muniti di grossi abiti di panno seguivano lun dopo l’altro la lor guida, in mezzo a’ monti di lava , prodotti dall’ eruzione del 1787 , per la lunghezza di una lega , da un ottavo ad un sedice- simo di larghezza , e profondi da 6 a 18 piedi. Men- tre oscurato di nuovo il cielo , comminavano con. gra- vissima pena, cadde il Sig. Gourbillon in mezzo alla la- va, ed ebbe tanta difficoltà di uscire da tale imbarazzo, che preferì di ritornarsene indietro alla gratissima, lasciando ai compagniiseguir il lor viaggiò , che riuscì inutile, giacchè per l’ oscurità del cielo non poterono vedere, che l’ ombra del gran Vulcano riflessa sull’ o- rizonte verso la costa occidentale della Sicilia . Sorto più alto il sole , e fatto sicuro dai pericoli scorsi la notte antecedente , tornò il nostro viaggiatore 242 per la via delle lave verso il cono dell’ Etna , ed im- piegò due ore a salire l'altezza perpendicolare di un terzo di lega; tali sono le tortuosità della strada, e la difficoltà del cammino or sopra ceneri, or sopra lave compatte , tali i pericoli provenienti dal declivio del suolo, e da’ massi che cadono da ogni parte. In oltre le ceneri sono ardenti , come il fuoco da lor ricoperto ; esse sole circondano l'abisso, dinanzi il quale ogni grandezza sparisce, e qualunque uomo è costretto a strascinarsi carpone sul suolo ad imitazione dei bruti . Il cratere dell’ Etna ha una estensione di circa tre miglia in circonferenza : la forma di esso è irregolare e piuttosto ovale : dividesi in quattro voragini separate luna dall’ altra da muraglie naturali più o meno alte e scoscese: dall’ interno di queste voragini s’inalzano vapori acido-muriatici, densi, e mefitici, i quali for- mano come un velo impenetrabile agli occhi del cu- rioso osservatore . Intorno ad esse vien formata, da un prolungamento esterno del cono, una diga più 0 me- no alta, a cuì sì riuniscono internamente le quattro altre divisioni, meno elevate di essa. La voragine più orientale e più grande fu visitata la prima dai no- stri viaggiatori, 1 quali avendo tentato indarno di di- scendervi, passarono ad esaminare l’ altro cratere me- ridionale . Essendo questo da molto tempo estinto si provarono a penetrarvi fino al fondo. La ripa era estre- mamenute scoscesa e quasi perpendicolare . », La guida tentò indarno, dice l’autore, con istanze e pre- dizioni funeste di farci rinunziare a questo disegno ; i di lei consigli non farono uditi, che per burlarsi del suo timore; nè potendo noi farla risolvere a seguitarci , la lasciammo indietro, che teneva levate le mani verso il cielo, e raccomandava l’ani- ma nostra a tutti i Santi del paradiso . Il caso mi procurò l’o- nore di avanzarmi ‘il primo: posto il piè nell’ abisso , non si 245 trattava più , che di inoltrarsi ad ogni costo , e grazie alle lave giunsi con qualche pena alla profondità di Di 3,0 290 piedi; il mio compagno di viaggio imitò il mio esempio con la stessa fortuna e facilità , Intanto il pendio della voragine diventava sempre più malagevole , le lave protettrici diminuivano a poco a poco in numero, ed in grossezza, e succedevan ad esse le scorie mobili e friabili . Qui il nostro buon umore sì calmò da per sé stesso ; successe alle facezie un silenzio spaventevole , come la causa che lo prescrive , silenzio del sepolcro , verso cui ci sen- tivamo trarre : una delle più enormi scorie cede tutto ad un tratto, e sdrucciola sotto i miei piedi; ed in vece di voltolare sul presunto pendio del cratere , la vedo cadere verticalmente; poscia la sento risuonar nell’ abisso , al cui fondo un \passo di più mi ayrebbe tratto con lei ..... i Di me non sò che ne fosse , nè cosa io sentissi ; ma l’im- pressione fu al certo-assai forte , perciocchè nello scrivere sento ghiacciarmi ancora da un sudor freddo . Quando rinvenni, mi trovai colla faccia in terra e/come confitto al suolo , in cui le mie mani si erano internate .... Intanto dal luogo in cui Vl’ ave- vamo lasciato , 1’ uomo, che ci avea servito di guida, si era accorto del nostro pericolo : le di lui grida ce ne aveano av- vertiti, ma non erano giunte fino a noi. Quando ci vide im- mobili, indovinò il motivo della nostra fermata , e con un raro sacrifizio di sé stesso esponendosi per soccorrerci , discese fino al punto, in cui ci erano incominciate a mancare le lave soli- de. Ma quel punto era lontano da noi ancora 50 passi , ed esi- stendo questa distanza , la di lui presenza era inutiie . Eppure quella presenza sola ci fece salvi, poichè risvegliando il nostro coraggio , rianimò la nostra speranza estinta , e ci fece ritro- vare le nostré forze . Giunti fino a lui ci credemmo salvati , e lo eravamo di fatto : un bicchiere di liquor prezioso finì di, renderci a noi medesimi : guadagnammo facilmente il punto , che non avremmo dovuto mai oltrepassare, e appena giunti sul rialto del cratere , ci, trovammo pronti ad incominciare di nuovo il viaggio, ma non per lo stesso camino ,, . Infatti per un sentiero più praticabile essendo di- sceso il Sig. de Gourbillon col suo compagno da un al- .tro lato, potè osservare il' medesimo cratere meridio- ‘nale , e riconoscere il masso, dal quale era quasi pre- 244 cipitato. Vide che era sopra una profondità di 7, @ 800 piedi, e riconobbe quanto è folle l’umana vanità , che per un folle amor proprio , e per la puerile soddi- sfazione di pubblicare un libro , lo aveva esposto a pe- rire senza meritare da niuno neppure compassione . Pose non per tanto memoria del fatto in un iscrizione sopra un pezzo di lava nel cratere medesimo , e passò al cratere settentrionale tutto ingombro di vapori, i quali gl’impedirono di molto inoltrarsi. Paragonando ciò ch'egli vide con la relazione dello Spallanzani, con- clude che quel cratere ha mutato aspetto , nè v'è loco d’assidersi come fece quel dotto viaggiatore, nè è possi- bile più distinguere la forma dell’ ampia caverna da lui veduta ; non bolle più nel di lui centro materia li- quefatta, non esalan più vapori dal fondo , ma dagli orli. Non fu più fortunato nell’indagare la quarta vo- ragine , o il cratere occidentale , il quale è più ingom- bro dal fumo ; e giudicando dal mugito che vi si sen- te , è il più attivo di tutti . Breve fu la discesa, facile il ritorno alla gratis- sima; ma restavagli ancor da vedere la Torre del fi- losofo , ed il nuovo cratere del 1819. La prima alla si- nistra di quella piccola casa consiste in alcuni vestigj di una fabbrica creduta dalle leggende l’ osservatorio di Empedocle , ed è stata visitata da tutti i viaggiatori precedenti ; del secondo il primo a parlarne è il nostro autore, da cui fu osservato il dì 11 ottobre dell’ anno medesimo quattro mesi e mezzo dopo l'eruzione , che lo produsse , incominciata il di 27 Maggio . ,» Quel giorno il cratere novello vomitò una prodigiosa quantità di scorie , lave , pietre , fumo , di fuoco , e di cene- re. Il dì 2 parve che il furore del vulcano prendesse un altro carattere : ne uscì una pioggia, o piuttosto dei torrenti di ce- nere, i quali formarono la montagna attuale . Finalmente il 2 ga ire ati bbectentrc nn rn de 245 Giugno seguente la boeca del vulcano vomitò di nuovo e fuoco, e fiamme , e lava liquefatta , e scorie ardenti: ne uscirono con scoppi orribili pietre , ceneri , sabbie : la loro successiva caduta ingombrò di ruine tutta l’immensa valle , al cui centro s’ inalza questo nuovo figlio dell’ Etna divenuto a vicenda un ignivomo e terribil colosso .... Al primo mirar che, feci l’ abisso ( così segue il nostro autore ) credei di sognar l’ inferno, e piuttosto io l'aveva presente. Il grido, che misi, era più che sorpresa: uscivano dal mio seno terrore ed ammirazione . Credei fosse quella la prima volta, ch’ io mirava un cratere, giacchè la ve- duta di questo mi fece obbliar tutti gli altri . Fu l’ impressione tanto viva, profonda , e vera, che senza poterne spiegar il mo- tivo , i miei occhi furon bagnati di lagrime , e si piegaron le ginocchia sull’ orlo dell’ abisso , che era al mio cospetto ... Tut- te le voragini del gran cono non mi avevano presentato che la bocca scolorata e fosca di un vulcano muto e tranquillo; ma quì tutto è in azione , o almeno sembra | ancor d’ esservi. Il | vulcano mormora e s’ agita, e dall’ angolo stretto, in cui sob- bolle la lava liquefatta , fino all’ orlo del cratere, in cui mi trovo, l’ estensione immensa del baratro presenta da ogni lato la più attiva scena , il più spaventevole , grande ,inaudito spet- tacolo. Lave calcinate e nericcie strappate dal sen del cratere han colà rotolato di nuovo nell’ abisso ; scorie massiccie e fu- manti qui sporgon fuori pendenti dagli; orli di lui ; e sopra le parti interne larghi strati di muriato d’ ammoniaca , di soda, e di ferro , usciti di fresco dalla fornace ardente, da cui sono sminuzzolati, liquefatti, e colorati, fanno risplendere agli occhi miei i lor colori rossi grigi, bruni , bianchi , rosei, violacei , verdi, azzurri, e neri; e distendonsi sopra larghi letti di zolfo or della fosca degradazione dell’ ocra , or del più chiaro, vi- vace , e rilucente giallo ; mentre una diga di ceneri e sabbie più nere dell’ ebano , vomitate parimente dal sen della vora- gine , circonda la tavolozza vulcanica con un ardente e vigorosa cornice . » Questa diga , o piuttosto queste ceneri ammassate , le quali ricuoprono la superficie estrema del cratere , hanno un pendio infinitamente più forte di quelle che cuoprono la superficie del cono dell’ Etna. La totale assenza delle scorie o lave solide , spiega, secondo me, questa particolarità : questi corpi più gravi che la cenere e Varena vulcanica , non hanno potute 246 trovar qui un declivio abbastanza dolee per soffermarsi su i fian- chi del vulcano ; le sabbie ancora più pesanti delle ceneri han sdrucciolato fino a piè del cratere , il cui cono in fatti non è coperto che di nerissima , minutissima , e per dir così, impal- pabile cenere . Queste sabbie , scorie , e lave ingombrano l’im- mensa valle , al di cui centro vomitolle il vulcano novello . »» L'orlo esterno del cono differisce parimente da quello delle altre quattro voragini. Esso è quasi da per tutto largo abba- stanza perchè due persone vi passino di fronte ; terminando in un angolo acuto e fatto in modo, che apre da qualunque siasi lato una via stretta poco sicura e sempre inclinata sia al di dentro sia al di fuori della voragine ; dal che resulta, che se non fosse la natura stessa della materia da cui la diga è rico- perta ; e la di lui facilità a cedere sotto i piedi, il cammino sarebbe quì troppo pericoloso , se non anche impraticabile affatto . 3 I vapori, che , come ho detto , si sollevano da tutti i lati dell’abisso , si mischiano in ogni direzione ,''son più densi ; più caldi degli altri, e più impregnati dell’odor soffocante del. muriato ammoniacale . Il calor delle ceneri è poi tale , che ci bruciava i piedi, nè ci sarebbe stato possibile di dimorare due secondi sul luogo medesimo : quelle che raccolsi dalla superfi- cie del terreno fecero ‘diventar rossa la carta, in cui le riposi, e quelle prese a' due pollici di profondità , braciavan la mano,;. Nello scender dall’ Etna e ritornare a Catania , la rassomiglianza del deserto con varie descrizioni dell’in- ferno di Dante si affacciò di nuovo all’immaginazione del Sig. Gourbillon; il quale cita varj altri passi di quella cantica . Il nostro autore finalmente dopo aver riferiti var) ragguagli di altri viaggiatori sull’ Etna, dà una serie cronologica ed istorica delle eruzioni di quel vulcano , delle quali si trova memoria. Divide questa serie in due epoche; sotto là prima ne conta undici an- teriori all’ era volgare: nella seconda ne comprende sessantasei dalla nascita del Salvatore fino al 1819. Le più terribili e disastrose furono , quella del 1537, quella del dì 8 marzo 1669 , la più orribile di tutte, quella 247 del 1693, quella del 1806, quella del 1809, e quella del 1811. E dopo aver riferiti i var) calcoli de’ viaggia- tori sull’altezza del Vulcano modestamente confessa , clie per vederlo i cinque giorni da lui impiegativi sono più che superflui, ma per conoscerlo appieno non ba- sterebbero cinque anni. F. G. Analisi dei viaggi del Signor Belzoni in Egitto ed in Nubia . 3 (Gontinnazione Vedi. Tom:3 pag. 412 Li (O. sl Geografia moderna. Varietà geografiche . ? if Geografia fisica. ® Wenti.1 venti regnano sul Nilo tutto l’anno. I battellieri Giza dei venti boreali per risalire il fiume, Il vento Kam- sini ® un vero flagello; comparisce in aprile, e si dilegua solamente 50, giorni dopo. Viene dal S. O. (dalla. Nigrizia) dura 4, 5, e Ggiorni senza interruzione ; alza mille turbini di sabbia, che penetrano nelle case, e. guastano tutto. Appena si mostra, le caravane non osano più d'entrar nel deserto; i battellieri si ‘arrestano, ed i viaggiatori si nascondono nei villaggi. Tutto si cuopre allora da bia Qualche volta i tntbibi accumulano in un punto una gran quantità di sab- bie s'e di piccole pietre , e le cangiano in una tromba di 60. a 70. piedi di diametro, folta come un muro, che si ravvolge intorno al proprio centro come una macina, e de- scrive inoltre'‘un arco di cerchio; dopo una mezz’ ora o un ora si rompe, e lascia tante piccole alture sul posto in cui si dilegua. i Iiusione ottica (a) . Il viaggiatore assetato , che percorre un deserto ingombro di sabbie , vede da lungi l’imagine di un bel. lago. Come non crederebbe ai proprj occhi, quando la vi- (a) Chiamo\così il fenomeno che i Francesi distinguono col nome di mirage, e gl Inglesi di looming, o apparenza, 248 sta è d’ accordo col desiderio? Il lago imaginario par sempre in calma, e riflette tutti gli oggetti situati sopra il livello del- l’acque. Quando il vento agita le piante più alte dell’ oriz- zonte, che produce l'illusione , ci pare da lungi che 1’ acque ne ripetano esattamente l’agitazione; quando il viaggiatore sì trova in un punto più alto dell’ illusione, 1’ acque sem- brano men tranquille, e meno profonde; perchè allora gli occhi s immergono nel vapore, che non è abbastanza fol- to per involare alla vista la terra, sulla quale domina. Ma quando il viaggiatore si trova. a livello dell’ illusione , la sua vista non può penetrare nel vapore, € l’acqua pa- re allora perfettamente chiara. Così il viaggiatore quand’ è sopra un cammello, e quando cammina a piedi, prova due illusioni diverse. Allorchè si avvicina; al vapore, il vapore si rischiara, pare agitato idal vento, come un campo di gra» no ; l'illusione diminuisce a poco a poco, e quando si giun- ge al posto del lago immaginario non si vede più. niente. . Trista illusione ! Le cavallette . Vengono i in Egitto a torme; quando passano , turbano la luce del sole. come le nuvole . Quan- do sì gettano sopra un campo coperto di grani o d’ Pini vegetabili, divorano.!o devastano tutto in pochi minuti. Gli abitanti che fanno molto rumore per allontanarle ,. non ot. tengono mai niente. I più ‘astuti se ne vendicano, cercando di prenderle, e le rnangiano. Le cavallette fritte sono. in Egitto un regalo gradito (8) . (5) E' sperabile che quest asserzione di Belzoni non passerà per un racconto di fate. Noi proviamo ripugnanza a credere che una specie di cavallette possa servir d’ alimento agli Arabi ed agli Egiziani; e gli Arabi provano una egual ripugnanza a credere che noi mangiamo i granchi i ranocchi i gamberi e le chiocciole. In tutte le città dell’ Arabia da SESIA deb sino a Bassora, gli Arabi infilano le cavattétie per por- tarle a vendere ai mercati come fra noi s° infilano i marro- ni. Strabone, Diodoro, Agatarchide, e Plinio fra gli anti- ehi, e fra i moderni il giudizioso Nieuhoff assicurano concor- 249 Miniere di smeraldi. Gli Arabi conoscevano le minie- «re di smeraldi dell’ Egitto, e le ponevano nel deserto, che confina con Assuan , nel centro dell’ enorme catena di monti, che orla la riva destra ‘del Nilo, e presso una gran rupe, ‘ che chiamavano karkascendah. Ne raccoglievano di quattro specie; 1°. lo smeraldo di un verde lucido , che passava per il più bello; 2°. lo smeraldo di mare che chiamavano co- sì, perchè lo vendevano ai popoli delle coste dell’ Indie e della China, fra i quali era infinitamente ricercato ; somi- gliava per il colore al verde delle foglie di mirto, 3°. lo | smeraldo d’ occidente, che vendevano ai Francesi, agli Spa- gnoli, ai Tedeschi, ai Lombardi, ai Russi; 4°. lo smeraldo sordo d’ un verde pallido e di poco valore . Secondo Ma- crizy cessarono di lavorarvi verso jil 760. dell’egira ( ver- so il 1370. dell'E. C.) probabilmente perchè la rendita non com- pensava la spesa. Gli Egiziani vi lavorano di nuovo fin dal 1818, per conto del Vicerè. Il monte in cui fanuw'oggi gli scavi si chiama Zabarah (degli smeraldi ). La miniera so- miglia le caverne di Gurnah ; è prodigiosamente lunga (a). x demente , che gli orientali non solamente mangiano le caval- lette, ma le mangiano con piacere. Gli Ebrei dell’ Yemen se ne nutriscono avidamente , e sostengono con viso intrepido, che gli animali, i quali servivano d’ alimento agli Israeliti nel deserto (si veda il cap. 16. dell’ Esodo ) non erano pernici co- me traduce l’ autor della Vulgata , ma vere cavallette, mentre gli Ebrei dell’ Italia, ai quali piacciono molto le pernici so- stengono gravemente, che mangiarono pernici anche nel deser- to. Nota del traduttore tratta dal vol. 2. (inedito) della sua geo- grafia universale . art. Arabia-animali- / Siriani più ingegnosi degli Egiziani scacciano le cavallette non colle grida ma coi turbini di fumo, bruciando nei campi l' erbe e la paglia. Geo- graf. vol. 1. pag. 141. a) Non bisogna confondere le miniere di zabarah sul con- tinente colle miniere di smeraldi che vide Bruce nell’ isola di Sibergeth nel mar rosso alle falde di un monte in 4. 0 5. bu- chi di 2. a 4. piedi di diametro che gli Arabi chiamano i poz- T. IV. Novembre 17 x 250 7 Topografia. Egitto orientale. Valle di Scbua . La valle di Sebua , o la valle del leone deve il suo nome ad una sfinge dal corpo di leone, la quale si trova presso le rovine di un tempio. È il più bel paese che si incontri da Assuan a Deer per le sue culture, Gli Arabi del. le valli di Sebua e d'Arab fanno un commercio esteso . Vrag-. gono da Berber a 8 giorni di distanza tutti gli articoli utili per i mercati di Sennaar. La strada che vi conduce è sem- pre frequentata. Vi passano ogni settimana tante piccole ca- ravane di 4, o 5, cammelli carichi. I negozianti di Sebua e d'Arab vendono all’ alto Egitto schiavi, avorio, gomma arabica, penne di struzzo, e cammelli, dei quali si provve- dono a Berber; e vi prendono in cambio gli articoli d’un e- sito più sicuro per l’ interno. Ogni anno nell’ inverno una caravana di 30, a 40, cammelli carichi discende da Sebua al Cairo. La città di Sebua è situata sulla riva destra del Nilo, ed è la frontiera dei due grandi rami de’ Barabras, che abi- tano nella Nubia. Deserto degli Ababdeh . La strada che conduce da Esnè al mar rosso passa per una valle incolta. Vi s’ incontrano solamente poche piante d’ acacia , pochi sicomori, ed una pianta spinosa , 7 basilZah , che serve di nutrimento ai cam- melli. Il suo frutto è grosso come un pisello. Il paese è popolato unicamente d’ Arabi della tribù d’ Ababdeh, la qua- le si estende dalla frontiera del territorio di Suez fino alla tribù di Bisharyn sulla costa del mar rosso. Un ramo di Ababdeh abita presso Fejum, e nel beniSuef, ove vive ne- gli agj fra numerosi armenti , e impiega i suoi cammelli per il commercio coll’ alto Egitto, e per il trasporto della sena. Si nutriscono unicamente di pan di saggina, di carne quasi eruda, e d’ acqua. Una capra anche magra è un gran regalo . Educano molti cammelli per venderli in cambio di zi di Zumrud Bruce descrive gli smeraldi dell’isola come un cristallo verde e trasparente ma fragile ; è lo smaragdus di Plinio. 251 saggina. I più industriosi tagliano le legne , ne fanno il car- / bone per portarlo sui cammelli ai villaggi del Nilo, ove si provvedono in cambio di saggina, sego, e tele da tende . Vivono sempre in guerra colle tribù d’Elmahas , e di ben- Hussy, le quali abitano nel deserto di Suez sino all’ Arabia interna , e sino alla frontiera della Siria. Egitto occidentale. Il territorio di Med net - el - fejum è coperto d’ alberi fruttiferi , di giardini e di rosa] . Vi raccolgono molto coto- ne . I suoi fichi secchi sono un articolo importante per il commercio col Cairo. La città è rinomata per l’acqua di ro- se, che vi distillano : ne vende al Cairo, e a tutto 1’ Egitto per l’uso dei grandi. Vi son molte vigne sulle rive del lago Meris ( oggi Kerun ). Le sue acque son di rado bevibili, e sempre sal- mastre . Vi pescano per conto del Vicerè. É popolato da un gran numero d’anatre selvatiche , e da una specie di grossi beccaccini . In qualche puuto vi cresce dentr’ acqua una gran quantità di giunchi , fra i quali si annidano in torme gli uc- celli aquatici . I pellicani vi sono a migliaja come sul Nilo. Fedmin-el Kunoa sulle due rive di un piccolo canale derivato dal bahr-yusef, che discende nel lago Meris, è divi- sa in 2 quartieri; uno è popolato di Cofti Cristiani , l' altro di musulmani. Il villaggio di Sedmin-el-Djabel all’ ingresso della pic- cola oasis è frequentato solamente dagli Arabi erranti (be- duini ) i quali vi si provvedono di riso e di datteri . — Il campo degli Arabi dominatori del deserto è situato alle fal- de delle colline vicine . Il villaggio d’el-Karak domina sopra una pianura ben coltivata ; la irrigano l’acque di un ramo del bahr-yusef . Gli abitanti vi raccolgono molta saggina e trifoglio. La valle del fiume senz” acqua deve il suo nome ad una tradizione, per la quale si pretende che vi scorresse in altri tempi un ramo del Nilo. Il generale Andreossi ha 252 osservato che il fiume senz’acqua è diviso dalla valle dei laghi di natrone solamente per mezzo d’una piccola fila di dirupi ; e che il Nilo prima di prendere la direzione attuale , man- dava realmente un ramo nel lago Meris , donde si diffon- deva nelle due valli, e nel deserto della Libia. È certo che vi s'incontrano pietre di quarzo, e di selce, gesso, e frantumi di diaspro, minerali che appartengono solamente ai monti dell’alto Egitto, e i quali per conseguenza non po- tevano discendere nelle due valli se non che per mezzo del Nilo. La valle d’e/- Cassar nella piccola oasi riunisce nel- le sue terre 6 villaggi fra i quali el-Cassar, da cui trae il nome, e Zabù. A el-Cassar tutte le case son di terra; v'è una gran piazza per la vendita dei cammelli e dei bestia- mi. Il territorio di Zabù è ricco d’alberi fruttiferi ; vi rac- colgono molto riso che è l’ alimento di tutti gli abitanti, Vendono molti datteri; tengono cammelli, somari, vacche, bufali, capre e pecore. Son sempre in guerra cogli abitan- ti d'el-Cassar, che è distante 3 miglia. La fonte d’ e/-Cassar ha molta analogia con quella, che Erodoto poneva presso il tempio di Giove Ammone. Bel- zoni trovò che l’acqua vi è calda dopo il tramontar del sole ; molto più calda a mezza notte; quasi ugualmente calda ver- so il Jevar del sole, e fredda a mezzo giorno ; di maniera che supponendovi 60 gradi di calore dopo il tramontar del so- le, ne ha 100 a mezza notte, 80 verso il levar del sole, e (o a mezzo giorno. Le variazioni derivano probabilmen-, te dall’ influenza dell’ aria esterna nell’ acqua, la quale è naturalmente limpidissima . Siccome scaturisce da un abis- so di 60 piedi di fondo, deve conservare per tutte l’ ore del giorno una temperatura quasi uniforme. Il calor della ter- ra non giunge per mezzo dell’aria fino all’ acque se non che al cader del sole; così l’acque non si riscaldano prima della notte. Secondo la relazione d’ Erodoto l’acqua della sorgente situnta presso il tempio di Giove Ammone era fredda a mez- zo giorno e a mezza notte, e calda la mattina e la sera; n 255 ma Erodoto lo disse sulla relazione degli abitanti, i quali potevano ingannarlo per ingrandire il prodigio . Del resto finchè non si esamineranno meglio le rovine di el-Cassar, e l’ oasi di Sihua, non potrà determinarsi se il tempio di Giove Ammone era nell’ el-Cassar, o nel Sihua; giacchè per le distanze convengono ugualniente ai due punti. L'oasi d'el-Haix a 3 giorni di distanza al S. O. d’el-Cassar è un arco di oltre 20 miglia; è un paese ricco di sorgenti lim- pide e fresche ; v'è qualche albero fruttifero , qualche cam- po di riso, qualche sicomoro. Le terre più interne son me- glio coltivate e meglio guarnite di verdura. Non vi man- cano nè datteri, nè mele di piccolo volume ma saporite , nè erbe per i Hai Vi raecelzono riso ed orzo per il bisogno . Città sul Nilo. Siut capitale dell’ alto Egitto sulla riva sinistra del Ni- lo è centro d’un commercio esteso col dar-Fure col Cairo. Le caravane del Fur vi vendono schiavi, penne di struzzo , «den- ti d’ elefanti, e gomme . Il vicerè sceglie ciò che gli con: viene sugli articoli he vi portano le caravane, regola arbi- trariamente i prezzi, e paga quando gli piace. Il Cairo ri. ceve da Siut grani fave lino seme di lino, una gran quan» rità di candele delle sue fabbriche, oltre :50 schiavi eunu- chi, che costano 150,000 piastre ‘@). Gli mutilano nel vil- laggio vicino di Zaviet-el-Deir; ne muore uno almeno sopra 100. Il vicerè d’ Egitto ne fece mutilare in una volta sola 200 per mandargli in dono al Sultano; gli trasse dal Fur. Dal Cairo gli eunuchi passano in gran parte a Costantino- poli .e nell’ Asia minore . n Kenneh sulla riva destra del Nilo fa un commercio e- steso coll’ Indie per la via di Kosseir . Il governatore tiene in armi 500. uomini per iscortar le caravane nel deserto fi- no a Kosseir. Vi comprano seta zucchero caffè di Moka , scialli del Cascemire e cotone. Le caravane che vanno alla (a) La piastra d’ Egitto corrisponde a > lire, 6 soldi . 254 Mecca vi si provvedono di viveri; quindi vi si riunisce mol- ta gente nella stagione dei viaggi. Il principe degli Ababdeh vende alle caravane i cammelli necessarj per il viaggio . I più bei vasi di terra ner tener fresca l’acqua vengono da Kenneh. Il Cairo, capitale di tutto l'Egitto è sulla riva destra dei Nilo. Iviaggiatori esagerano la sua popolazione. Le stra- de grandi son molto frequentate; ma nel resto è quasi deserta. Dacchè il vicerè ama e protegge gli artisti ed i manifattori d'Europa, vi fabbricano stoffe di seta, tele di cotone, polvere da munizione ; vi preparano sapone, vi raf- finano indaco e zucchero . Il villaggio d’ el-kalabchè sulla riva sinistra del Nilo nella Nubia è un gruppo di poche capanne di terra, o di pietre tratte dalle rovine. Quando l’ acque del Nilo son alte, gli abitanti costruiscono parecchi foderi di legno d’acacia , gli caricano di carbone in tanti sacchì di foglie di palma o di giunchi, e vanno a venderlo al Cairo, donde riportano in cambio saggina, sale, e tabacco. Deir capitale della bassa Nubia è ugualmente un grup- po di capanne di terra e di pietra ; fuori chele abitazioni de- gli amministratori, son tutte alte appena 8 0 10 piedi Fa un gren commercio di cotone col Cairo. Il suo territorio è ric- co di saggina , e di datteri. Il villaggio d’ Zbrim sulla riva destra del Nilo fa un commercio esteso di datteri preziosi con tutto l'Egitto; ne vende ogni anno da 1000,000. a 1200,000 libbre. Fschké sede del governatore della Nubia Egiziana è si- tuata in un territorio fertile e ben coltivato. Vi raccolgono sulle rive del Nilo una gran quantità di saggina e di cotone, che mandano al Cairo in cambio di tele sale e tabacco. Seconda cascata del Nilo. E'ingombra d'una moltitu» dine di piccole isole. Mainarty, Girarty, Ennerty, e Gene- sap son coltivate, e non mancano di datteri. Gli abitanti in numero di 18 o 20, vivono di saggina, e di datteri ; tengono poche pecore e capre , che gli provvedono di latte tutto l’ an- no, filano la lana delle pecore, e ne fanno una specie di 25à stoffe per cuoprirsi. I 6 isolotti di Nuba, Gamarty, Dukul- ly, Suckeir, Dordjé e Jubai son popolati da una razza d’ uo- mini, che vivono tuttora come i primi padri del genere uma- no; sono in tutti da 36 a 4o. Si nutriscono di saggina; ten- gono un piccol numero di pecore ; coltivano un poco di co- tone per farne le tele . Varietà . Commercio dei coralli di vetro. I coralli di vetro per corone o per vezzi servono in Africa d’ ornamento e di mo- neta; uomini donne e fanciulli, tutti ne portano al collo al- le braccia alle mani. Ne fanno un gran commercio a Shendy oltre Dongola . I più comuni son di legno , e gli fanno i tor- nitori nell’ alto Egitto, per venderli ai beduini. Ne fanno col nocciolo di un frutto indigeno soprattutto a Dendera, ove è la fabbrica più importante ; ma gli portano piuttosto per de- vozione che per ornamento , perchè gli credono dotati di qualità misteriose. Ne viene in Egitto una gran quantità da Gerusalemme ; son rossi e neri; gli amano molto in Egitto in Nubia, nell’ Abissinia, e nel Fur; gli mandano quasi tutti da el-Khalil, che provvede d’ articoli di vetro tutta la Siria inferiore, gran parte dell’ Egitto e dell’ Arabia. I più belli vengono di Venezia e di Boemia; gli ultimi son bianchi. Si vendono ogni anno al Cairo da 4 a 500 casse di coralli di vetro di Venezia, ogni cassa di 10 cantari, e costano da 4 a 8 luigi la cassa . I negozianti di Suakem portano a Shen- dy una specie di coralli da vezzi, che ricomprano a Shendi i negozianti del Kordofan jper provvedersi di schiavi. Con un miligliajo di coralli si dotati a Kordofan fin 6 schiave . A Dgeida un migliajo di coralli si paga 15 talleri di Spagna. Da Dgeida ne mandano di 10. o 12 qualità in tutta | Abis- sinia. Sono una specie di piccole palle di agate d’Indie, che le donne portano in vezzi ; i negozianti vi guadagnano molto . Arabi di Gurnah. Sono i Trogloditi dei nostri giorni . Vivono dentro le catacombe nei corridori fra il primo ed il secondo ingresso dei sepolcri, in tante capanne nere ed aflu micate come i nostri cammini. Gli animali, cammelli, bu 256 fali, capre, pecore, e cani, abitano più addentro la notte, e alla campagna il giorno. Due o tre figure mutilate, fra le quali si distingue sovente la volpe simbolo della vigilanza, ornano l’ ingresso delle magnifiche abitazioni. Il debole lume di una lucerna alimentato dal grasso di pecora, o da un poco d’ olio rancido sì diffonde da una nicchia sul resto dell’ edifi- zio; una stoja serve di sedia e di letto; qualche volta siedono sopra un monte di crani, e d’ossa. Si nutriscono di cattivo pane e di latte . La sera il capo della famiglia torna dalle sne spedizioni , siede gravemente presso la caverna , fuma una pi- pa coi compagni; la moglie gli porta una scodella di lenti e un poco di pane. Quando han guadagnato da 50 a 60 lire a forza di vendere antichità ai viaggiatori d’ Europa, prendon moglie . Il vestiario dei figli non costa niente , perchè gli mandano nudi, o gli cuoprono di cenci . Quando crescono in età imparano a guadagnarsi la sussistenza col mestier d’ an- tiquario. La mobilia della casa consiste in 3 0 4 vasi di ter- xa, in una pietra per pestare il grano , e in una stoja per dormire. La easa è preparata; basta entrare in una ca- verna e stabilirvisi. La pigione, e le contribuzioni non si ‘ pagano ; le spese di risarcimenti non cagionano nessuna in- quietudine; la pioggia non passa mai per il tetto; non v' è porta da chiudere, e non è necessaria, perchè in casa non v’ è niente da rubare ; quando l’ abitazione viene a noja, se ne sceglie un’ altra; ve ne son più di 1000 senza padrone . La popolazione di Gurnah è oggi appena di 300 anime; la valuta- vano in altri tempi a più di 3000; si ribellano sovente al governo , ed il governo gli fa massacrare. Una volta coltì- vavano la terra ; oggi non maneggiano la vanga senonché per iscavare antichità . Se i viaggiatori gli pagassero meno ge- nerosamente, tornerebbero all’ antico mestiero . Nuovo canale del Nilo. Il vicerè d Egitto apriva re- centemente un nuovo canale da Fuah fino ad Alessandria, per facilitare il trasporto delle produzioni del paese sopra i bastimenti d’ Europa; giacchè erano obbligati qualche volta a restar nel porto per 6 mesi a motivo dei banchi di sab- = 257 bia, i quali ingombrano la foce del fiume presso Rosetta ; e anche i piccoli legni Turchi dovevano fermarvisi non di rado per 3 mesi. Il nuovo canale è lungo 40 miglia . Secon- do le perizie non bastano 7000,000, lire per terminarlo. Nel febbrajo e nel marzo del 1819 v’ impiegavano 25000 uomi- ni ai lavori di scavo. {ai sarà continuato. Atlante dei Viaggi di BeLzoni ved. pag. 412. Nora. L’ Atlante che accompagna li due. Tomi del viag- gio del sig. Belzoni, è in foglio massimo e composto di 44 ta- vole , parte delle quali.in litografia, e parte all’ acqua forte eseguite e colorite in Inghilterra, sotto l’ ispezione dell’ autore per la maggiore esattezza. Per quanto tutte sieno del più grande interesse per l archeologia e per le belle arti, nulla- dimeno ammirabili sommamente sono quelle che rappresentano l interno dei templi, e delle tombe; scoperte dal nostro viag- giatore, per © monumenti di scultura gigantesca , e per la vi- vacità. del colorito delle pitture onde sono abbellite. It suddetto Atlante è di proprietà del direttore del gabi- netto scientifico e letterario , e si è dato la premura di prov- vederne il suo stabilimento per ‘sempre più soddisfare la curio- sità dei suoi associati , e far conoscere lefatiche e gli studi di questo celebre viaggiatore italiano. E Lul: Li 10, 6/LA Il fiore di Rettorica di, Frate Guinorto pA Bo- roGNA. Venezia 1821. uesta nuova edizione della Rettorica di Frate Guidotto è opera di quel medesimo Bartolommeo Gamba, che ha ripubblicato i Reali di Francia . Sic- chè bisogna rendergli grazie e lodarlo, poichè è sem- 258 pre intento a facilitar lo studio delle nostre antiche scritture. Nè ha egli adoperato in questa edizione della Rettorica , siccome fece ‘in quella de’ Reali di Francia; imperocchè di essi non vide alcun mano- scritto , e tre ne ha veduti della Rettorica , ìi quali si conservano nella Marciana, libreria notissima di Venezia . Il migliore, di questi tre codici è quello della classe X. contrassegnato N. 21, che era altra. volta del Farsetti, e che fu copiato nel secolo XIV. Onde il Gamba lo ha con ragione eletto per primo , con- frontandolo però sempre cogli aliri due codici, colla più antica stampa di detta rettorica, e coll’ edizione fatta dal. Manni in Firenze nel 1734. Mediante la quale diligenza gli è riuscito a fare una nuova edi- zione molto buona e lodevole. Ma è questa rettorica quella medesima volgariz- zata da Fra Guidotto ? È l’ edizione. del Gamba sì perfetta che migliorare non sì possa? Prima di rispon- dere a queste due domande , bisogna indicare 1 co- dici che si conservano nella Magliabechiana e nella . Riccardiana ; favoriti a me da?’ gentilissimi bibliote- cari Vincenzo Follini e Luigi Rigoli, e ignoti come sembra al Gamba. Nella Magliabechiana sono alcuni frammenti di essa rettorica , inseriti in varit manoscritti : e vi è poi un bellissimo codice, P. 4. cod. 123, di lettera nitida, e membranaceo , copiato verso la metà del secolo XIV. Principia con queste parole: Qui comin- cia la rettorica nuova di Tullio traslatata di gram- matica in volgare per frate Guidotto da Bologna. E poi seguita con ordine similissimo: a quello che è nel codice della Marciana, se non che mancano al- 259 cune pagine nell’ ultimo trattato, rispondenti all’ ul- tima linea della pag. 138. dell’ edizione del Gamba fino alla nona linea della pagina 150. Detto codice è pur simile nella dicitura a quello della Marciana ;_ ed ha le medesime varianti, che il Gamba ha sa- viamente rigettate ,, come per esempio. reizzale e no0- mora in iscambio di regale e di nomi. Ma però vi sì trovano di quando in quando alcuni modi del dire più chiari e più idonei: e vi è la rettorica divisa in quattro trattati, e vi è il titolo a quasi tutti i capi- toli, come pare che non sia nel codice della Marcia- na, perchè il Gamba dice nel. suo proemio: ho cre- duto non riprovevole arbitrio quello di distribuire il libro in quattro trattati , la quale divisione è ad- ditata dalla materia stessa, e di aggiungere quel titolo o quella dichiarazione di ogni paragrafo che con disordine soltanto stanno contrassegnati ne’ tre esemplari suddetti . Nella Riccardiana sono più codici di essa retto- rica . Il codice. 1638, che è cartaceo e del secolo XV, è quasi uguale a quello della Magliabechiana , se non che è di lettera meno antica e meno intelligi- bile. Ma è tutte-intiero , come il libro stampato dal Gamba ; € così principia: Qui comincia la rettorica nuova di Tuliotraslatata di grammatica in volgare per frate Guidotto da Bologna . Copiato per Piero di Niccolò di Forese. Similissimo al precedente è il codice 1639 , se non che sembra di qualche anno meno antico , e gli manca il prologo del terzo trattato. Principia esso pure così: Qui comincia la rettorica nuova di Tulio traslatata di grammatica in volgare per frate Gui- dotto da Bologna . 260 Nel codice 1642, membranaceo e del secolo XIV, si trova inserito tra molte altre scritture il prologo e il primo capitolo del primo trattato di detta ret- torica , come si leggono ne’ codici precedenti. E vi è pur detto in principio di queste poche pagine: Pro- logo di frate Guidotto da Bologna sopra la rettorica di Tullio . o Io ho trascritto tutti questi titoli de’ codici per dimostrare che mon variano mai . Sicchè il. titolo di questa opera è Rettorica nuova di Tullio volga- rizzata per frate Guidotto da Bologna; nè si può mutare senza produrre confusione , perchè il libro sì conosce da molto tempo e sì cita con questo. nome. Il Gamba però ha creduto di poterlo cambiare. Egli ben ragiona dicendo , che mal a proposito si è scritto la RerTORICA DI T'urtio, stantechè Guidotto si con- tentò di dare un immaginato compendio o ristretto de’ libri pe invanTIONE di Marco Tullio, compendio che neppur segue sempre le vestigia dell’ oratore romano. Ma benchè ciò sia vero, non ne conseguita la facoltà d’ innovare la comune consuetudine: e du- bito anche se buono sia quel titolo, che il Gamba sostituisce al primo. Egli dice che Za vera denomi- nazione V ha data frate Guidotto medesimo, il quale nel suo prologo scrisse : 10 Ho COMPILATO QUESTO FIORE DI ReTTORICA NELLA ORNATURA DI Marco | TurLio: e rammentandosi che i nostri antichi sole- vano usar questi titoli di libri, fiore di virtù , fiore di parlare, fiore di cavalleria ec., ha nominato l'o- pera , di che si parla , IL FIORE DI RETTORICA DI FRATE Guiporto DA BoLoGNA, POSTO NUOVAMENTE. IN LUCE nA BarroLommeo Gama, senza aggiungervi neppure quello che Guidotto vi aggiungeva, cioè rell’ orna- 4 ica 261 tura di Marco Tullio. Tantochè non si conosce più d’ onde. provenga questo fior di rettorica , e Guidotto sembra un originale scrittore. Volendo togliere uno de’ nomi dal frontespizio del libro, io non so se era meglio levar Tullio o Guidotto . Lo stesso Gamba dubita se quest’ opera , come or si legge ne’ manoscritti e nelle stampe , sia quale essa veramente uscì dalla penna di frate Guidotto. Quanto è a me, credo che ne sia tanto diversa, co- me era la lingua toscana del secolo XIV alla lingua che scrivevano i bolognesi nel secolo XII. Il libro è intitolato dall’ autore a Manfredi Re di Sicilia, che fu incoronato nel 1258, e ucciso nel 1265. Onde fu certamente scritto intorno al 1260: non però nel 1257 , come alcuni presuppongono, stantechè Manfre- di aveva allora la reggenza , ma non la regia corona . Tutti i codici poi, che ho sopra mentovati , ed anche quello della Marciana , hanno le qualità della scrittura fiorentma , come si usava nella metà del secolo XIV. Il che dimostra che sono stati tutti ricorretti. Nè man- ca una chiarissima prova , sì per dinotare l’ antica ori- gine di questa rettorica , e sì per palesare la sua nuova correzione. I vocaboli romora, reinale, e simili che quantunque rari, pur sì trovano ne’codici, sono indi- zio certo dell’ antica origine del libro . È il prologo, aggiunto dal copiatore al terzo trattato, poichè è simile nella dicitura al rimanente dell’opera, così è certissi- mo segno che il copiatore l’ ha tutta riaccomodata se- condo la sua consuetudine . Io trascriverò dipoi questo prologo ed altri passi della suddetta rettorica, aftinchè il lettore si persuada alla mia opinione. E gli trascri- verò con quelle variazioni che hanno i codici nostri, ponendo accanto ad esse in parentesi e in carattere cor- 262 sivo le parole che si leggono in vece loro nell’ edizione del Gamba, acciocchè sia pur manifesto che può essa migliorarsi coll’ aiuto de’ codici nostri . Intanto giova discorrere d’ un altro codice che è nella Riccardiana . Questo è cartaceo, contrassegnato N. 2338, e fu scritto da Filippo di Ser Gieri da Rabatta, come si vede nella pag. 32. Vi è aggiunta la notizia in principio del codice , che Ser Filippo di Ser Gieri di Ghino di Gieri viveva nel 1390. Ed è notato nella pag. 25, che questo libro era di Bernardo di Giovanni speziale, che viveva . nel 1410. Onde è quello stesso codice, che il Manni a- doperò nel fare la sua edizione del 1734, e che fu co- piato nel 1390, e non nel 1410. La rettorica è qui pure divisa in quattro trattati, ed ha i capitoli e i titoli quasi del tutto simili a quelli che si leggono nell’ edizione del Manni. Sicchè differisce molto in principio, e poi finisce in un modo simile all’ edizione del Gamba. Non vi è il prologo del terzo trattato. Ma vi sono in princi- pio e in fine alcune parole, citate solo in parte dal Man- ni, che bisogna alquanto esaminare. Si legge in princi- pio: questo libro tratta degli ammaestramenti dati da' dicitori che vogliono parlare con parola buona, com- posta, ordinata e ornata, e in sulle proposte saper con- sigliare, e lo detto suo piacevolmente profferere, reca- to a certo ordine per Messer Bono di Messer Gianbo- no, ad utilità di coloro a cui e’ piacerà di leggere. Ed in fine si dice: qui è finita la rettorica di Tullio, la quale Messer Bono Gianboni, giudice di legge e buon uomo , recò in volgare perchè n° avesser diletto , in quanto si potesse, gli uomini laici che hanno valente intendimento. La quale rettorica volgarizzata Fra Guido di Bologna si vantò, siccome si trova scritto che l’ aveva volgarizzata egli, e traspose la parte dî 2653 dietro dinanzi per diversi modi. Queste parole sono tutte scritte collo stesso carattere di F ilippo di Ser Gieri: e significano, a me sembra, o che la rettorica non fu volgarizzata per primo da Fra Guidotto, o che se ciò accadde, fu ben presto riaccomodata da Bono Giam- boni. Questi viveva nel 1291, ma non sappiamo se fosse allora giovane o vecchio. Sicchè mancano argomenti storici per affermare, come per negare che egli non po- tesse aver volgarizzato la suddetta rettorica trent'anni e più innanzi al 1291, cioè prima di quel tempo che si assegna all’ opera di Frate Guidotto. I nostri giudizi dipendono quasi sempre dalle poche parole che leggia- mo in principio ed in fine de’ codici. E il codice della Riccardiana (che è pure del secolo XIV) dà al Giam- boni ciò che altri codici danno a Guidotto. Onde io ri- peto che non è ben certo a chi de’ due appartenga il primo volgarizzamento di essa rettorica: essere certo bensi che se il Frate la tradusse, Bono la riordinò e corresse . E così un altro fiorentino debbe aver riacco- modato la medesima rettorica nel modo che vedesi ne- gli altri codici sopramentovati . Per rispetto a’ quali, prego il lettore che guardi bene al prologo del terzo trat- tato, poichè vi si dice che sono state omesse alcune parti della rettorica di Fra Guidotto: le quali non si sono finora ritrovate nel luogo loro in verun codice. Non è questa un’ altra prova, che noi manchiamo della rettorica vera di Fra Guidotto, e che abbiamo in iscam- bio una rettorica non sua, o accomodata almeno da’ suoi copiatori? Nè alcun manoscritto autografo di Guidotto è stato finor conosciuto . E nemmeno i suddetti codici non sono copie ritratte da un autogra fo suo, come dimo- streremo nelle annotazioni al prologo del copiatore . Si noti infine che il numero delle rettoriche tramandateci + 264 da’ nostri antichi è grandissimo, e che tutte variano luna dall’ altra: tantochè non è inverisimile che i co- piatori pigliassero poi da ciascuna quelle parti che più loro piacevano. Il che rende più difficile l’assegnarle a’ loro veri autori. Trascrivo adesso quelle parti de’ co- dici, che ho promesso . Pag. 1. Proemio. Nel tempo che signoreggiava il grande e gentile uomo Giulio Cesare, il quale fu il primo imperatore di Ro- ma, di cui Lucano e Sallustio et altri autori dissero (dissoro) alti e maravigliosi versi, nel quartodecimo e quintodecimo anno (nel AIIII anno) dinanzi alla natività del nostro Signore: in quel tempo fu un nobile e virtuoso uomo, cittadino nato di Capua del Regno di Puglia (cittadino di Capoa e del regno di Puglia) il quale era fatto abitante della nobile città di Roma, et aveva nome Marco Tullio Cicerone; il quale fu maestro e trovatore della grande scienza di Rettorica, cioè ‘di bene parlare, e trovò e or- dinò per lo suo gran senno (grande ingegno ) naturale questa scienza di Rettorica , la quale sormonta (avanza ) tutte le altre scienze per la bisogna di tutto giorno (tutto il giorno) par- lare nelle valenti cose, siccome in far leggi e piati civili e cri- minali, e nelle cose cittadine, siccome in far battaglie, e ordi- nare schiere, e confortare cavalieri nelle vicende degl’ imperii, regni e principati, e governare (con governare) popoli, regni, cittadi, ville , e strane e diverse genti come conversatori (1) nel gran cerchio del. mappamondo della terra. Et a contare brievemente la vita del detto Marco Tullio, voglio che sappiate ch'egli fu (che fu) uomo intento, della sua vita (2) amabile, co- stante di grazia (di sua grazia) e virtù, grande della persona, e ben fatto di tutte membra; e fu d’ arme maraviglioso cava- liero, franco di (del) coraggio , armato di grande senno, fornito di scienza e di (di grande) discrezione, ritrovatore di tutte le cose (tutte cose). Et io frate Guidotto da Bologna, cercando le (1) Nel cod. 1639 della Riccardiana è siccome conversano : nell’ edizione del Gamba è come si conversa. (2) Così è pur ne’ codici, ma è modo del dire insolito e oscu- ro: la lezione rigettata dal Gamba, cioò in tempo della sua vita, se uno è migliore, è almeno più chiara. 265 sue magne virtudi, sì mi mosse (emi m:0ss0) talento di volere alquanti membri del fiore di Rettorica volgarizzare di latino in nostra lingua, siccome appartiene al mestiero de’ laici, volgar- mente. Et come conteremo per innanzi in questo libro (per lo’nanzi), nel versificato che fece il grande poeta Virgilio, e nel tempo che fu Ottaviano imperatore augusto, figliuolo adot- tivo di Giulio Cesare, nell’imperio della sua dignitade, nacque Cri- sto glorioso (il glorioso) Salvatore del mondo (3): il quale Virgilio sì trasse tutto il costrutto dello intendimento della Rettorica, e più ne fece chiara dimostrazione (4imostranza), sicchè per lui pos- siamo dire che l'abbiamo ritrovata, e (2 abbiamo, e) conoscere la via della ragione e la etimologia dell’arte di rettorica; imperocchè trasse il gran fascio in piccolo volume e recollo in abbreviamento. Et io considerando te e la tua grande bontà, alto Manfredi Lancia Re (/ancia e Re) di Sicilia, siccome a diletto e caro signore nell’ aspetto de’ valenti principi del mondo, essere sopra. gli al- tri re grazioso, ho compilato questo fiore di rettorica nella or- natura di Marco Tullio, nel quale secondo il mio (secondo mio) parere, voi potete avere sufficiente et adorno ammaestramento a dire, per questo libro, in pubblico et in privato. Pag. 5. Prologo del primo trattato. Acciocchè la vita è corta, e l’arte è lunga e ’l mestiere e ‘1 bisogno, non potemo in tutto considerare pienamente il nostro volere, ma piglierenne (4) una partita brievemente, siccome nostro Signore Iddio ci donerà di grazia. Et diremo (siccome il nostro Signore ne concederà gra- zia, diremo) come l’uomo, per la virtù che gli è data dalla som- ma potenza di Dio nella lingua, di saper favellare, perchè avanzi tutti gli altri animali ..... pag. 6. Et io però veggendo (Et io veggendo) nella favella tanta virtude e utilità, sì misi tempo, e compilai in istudio per trarre a fine quest’ opera (tempo per compilare con istudio questa opera)... .sola la bella (solo la bella) favella . .. . pestilenza (pistolenzia) ......pag. 7. Ma se l’uomo ha in sè giustizia, cioè ferma volontà di voler le cose ben disporre, e dirittamente voler giudicare (giustizia e ferma (3) Tutto questo periodo è pur così ne’ codici, ma è oscu- rissimo: io sospetto che debba cambiarsi la punteggiatura, éo- minciando dal toglier via il punto innanzi £f come. (4) Cioè re piglieremo: nell’ edizione del Gamba è pigliarne. T. IV. Novembre 18 266 volontà di sapere le cose bene disponere a drittamente voler giudicare), sì gli fa bisogno di sapere bene favellare, acciocchè sappia le cose mostrare et aprire. Senza la favella sarebbe la bontà (bontà sua) come un tesoro riposto sotterra, che se non è saputo, più che terra non vale: e dacchè la favella è accom- pagnata in (4°) alcuna persona colla giustizia e col senno, si ren- de.sì (più) perfetto l’ uomo, che è tanto meglio che non (l’wo- mo che non) sono gli altri, quanto, questo v' ho mostrato di so- pra; sono gli uomini (sono gli altri. Ho mostrato di sopra quan- to sono gli uomini) per la favella meglio che gli altri animali : perocchè molto vale a sè medesimo, et è molto utile e caro ad altrui (@/tr7), sì al suo comune, sì a’ suoi amici e parenti, che sovente n° hanno (che n° henno) conforto ne’ loro fatti, e gran- dissimo consiglio e rifugio, quando è savio dicitore. Dunque qualunque persona vuole saper ben favellare e piacevolmente, sì si peni e pensi (piacevolmente si pensi) d’ aver sempre senno, acciorchè conosca e senta quello ch’ ei dice (che dice) . . . . . pag. 8. senta meco certi ammaestramenti ....e da che gli ha letti e bene impresi (impressi), sì usi (si zs7) spesse volte il dire (di dire)....senza usare non può alcuno essere (essere alcune) buono parlatore. pag. 103. Nel tempo che Roma aveva molti cavalieri fore- stieri, e ogni uomo stava rinchiuso in casa per paura, venne Sa- turnino, tutto armato di ferro, con un grande tavolaccio e con uno spiedo in mano, e con cinque grandi fanti, tutti armati com? egli; e subitamente (armati; e conv egli subitamente) entrò nella casa di Salomone, e a gran (Salomone, a gran) voce cominciò a gridare. Pag. 108. Di cotanto patrimonio così tosto non è rimaso (ron rimase) un testo, dove il fuoco potessi (potesse) portare. Prologo del terzo trattato.—Seguitasi ora nel libro di frate Guidotto un’altra volta dottrina sopra le sei parti della diceria: cioè sopra il Proemio , Narrazione , Divisione, Confermagione, Risponsione, e Conclusio- ne: ma io scrittore , esaminato e veduto chiaramente che innanzi al trattato dell’'Ornamento della favella egli quel trattato scrisse , e che tra questo trattato e quello è neuna differenza o di parole o di fatto, sì il 267 lascerò stare , e passerò al terzo trattato del libro. Ma chi pure il volesse come il frate lo scrisse, ciò non bia- simo , nè lodo. Non vorrei io, o Maestro Mella (1), ( tu t’avrai forse più presto la voce a riprendermi che Jo ntelletto a considerare s'io dissi vero ) che tu cre- dessi che s'io fossi a viso a viso col frate , ch’ io tacessi queste parole . E se tu di a che difetto 1’ apporrai? al Frate, o forse allo scrittore (2)? rispondo: allo scrittore no, che pure alcuna diversità è da quello dinanzi a questo, ma non che vaglia nulla. Se io dico che ‘1 frate (1) Le parole qui collocate in parentesi, sono pure del te- sto. Era necessario così disporle , affinchè s’ intendesse bene il significato del discorso. E perciò non ho a questo prologo ag- giunte le variazioni che leggonsi nell’ edizione del Gamba, stante- chè le avrei dovute porre anch’ esse tra parentesi, ed avrebbero arrecato confusione. Ma questo non importa, perchè il più di questo prologo è diverso a quello stampato; nè il Gamba poteva cor- reggerlo, essendo, com’ egli dice, in questo passo tanto il co- dice Marciano quanto l’ antica edizione poco intelligibili. In- fatti si dice in questo luogo: Nor vorre’ io da maestro mostrar- mi ...Ma tu ti avraît ec.: il che è contrarissimo a ciò che vo- leva dire lo scrittore, perchè questi ha inteso d’ apostrofare contro i maestrucci e i pedanti. Maestro Mella è al certo un nome derisorio. Mella può derivarsi da me/lone, e significare zucca: può essere sbaglio del copista (benchè sia ripetuto in due codici), e significare mela, cioè maestro tondo come una mela: e secondo il Du Cange significa altresì mespiluni, cioè nespola . (2) Questo titolo si riferisce evidentemente, non a quegli che trascrissero i nostri presenti manoscritti, ma a quello che aveva prima di essi trascritta la rettorica. Sicchè siamo pur certi che niuno de’ manoscritti sopra indicati (poichè hanno il medesimo prologo) non sono neppure una copia del manoscritto autografo . Che se da questo direttamente provenissero, non avrebbero i co- piatori fatto differenza tra ’1 rate (supposto autore) e Jlo scrit- tore. 208 era allotta ebbro, o dico che egli ignorasse quello che facesse , leggermente tu proverai il contrario: pure di- co che questo trattato due volte non bisognava . Perchè il facesse, nol so. Se tu, vertecchio (3), dicessi: quello fu sopra l’ ordine giudiciale come pare nella lettera, e questo dunque sarà sopra il diliberativo e dimostrativo. Rispondo: provoti a te non dire vero per le rettoriche di Tullio; colui non pone in questo trattato alcuna dif- ferenza per quelli ordini. E se tu ancora cinguetti , e dì: or furo tutti gli altri, che l'hanno letto, giechi ; e tu solo vedi lume? Rispondo: se tu non mi lasci stare, io ti dirò il peggio che io potrò, cioè che nè tu, nè gli altri non leggeste mai libro, se non come fanno i fan- ciulli di sei anni che ricorrono l'a, b, c, e'l Deus in nomine. Queste parole furono necessarie, acciocchè non paresse quello trattato essere rimaso in penna: ma l’or- dine è trasmutato. Antonio Benci Saggio sull’ uomo. Epistole di AvessAnDRO Pope tra- dotte da MicueLe Leoni. Parma, co’ tipi Bodoniani. Vie opera inglese è già stata più volte tradotta nel nosiro idioma, e da alcuni assai bene. Ma i pensieri del Pope sono di tale natura che ogni letterato brama, s° ei può, leggerli e meditarli nell’ originale scrittura. Quin- (3) Qui si dice nell’ edizione del Gamba: Se tu vorrai che io dicesse. Ma ne’ codici nostri, sì nel Magliabechiano, come nel cod. 1638 della Riccardiana, leggesi: se tu, Z'ertecchio, dicessi. E Vertecchio è un nome derisorio siccome mella, e vien forse da verticulum o da verticillus che significano fusaiolo . 209 di se il lettore è, come il Leoni, poeta; assume facil- mente il carico di ripetere que’ versi a’ suoi concittadini coll’ inteso e comune linguaggio. Ed è certamente un bene l’ aver molti e buoni traduttori, poichè se ne trag- ge lo stesso utile come da un viaggiatore espertissimo , il quale ritornando nella patria istruisce e diletta noi coll’ opportuno racconto de’ forestieri costumi. Ed è pur certo un bene l’ avere in molti modi diffuse le dottrine del Pope, imperciocchè ben dice il Leoni: « L’ assunto del Pope fu in quest’ opera meramente filosofico, quello cioè di considerar l’ uomo dentro e fuori di lui, d’ inda- garne le forze motrici, le relazioni, e per mezzo del ra- ziocinio determinarne gli effetti, Guidato dall’ amore del vero, penetrò nel più profondo dell’ uman cuore, e con occhio imparziale prese ad esaminare l’ impasto di questo mostro di grandezza e di miseria , d’ oscurità e di luce : e ciò colla mira di fargli conoscere qual grado egli occupi nella creazione ed a qual fine sia destinato. Combatte la stolta vanità di quelli che colla sola ragione sollevar vorrebbono l’ intendimento ad oggetti o del tut- to inutili o impossibili a sapersi; e condanna d'’ altra parte coloro, che reputando virtuosa rassegnazione l’ i- gnavia, il più comodo e il più volgare de’ vizii, non si curan neppure di percorrere il proprio campo anche là dove non è sparso di spine ». Noi pertanto abbiamo letto volentieri la nuova tra- duzione di Michele Leoni. Essa è stampata con bellis- simi caratteri, in nitidissima carta, e con somma accu- ratezza, e con la giunta di utili note. Del rimanente vo- glio che giudichi il lettore. Yo tradurrò litteralmente alcuni passi delle quattro epistole di Alessandro Pope; e vi aggiungerò i versi del Leoni. Così ognuno potrà meglio conoscere il merito di lui; farne confronto se 270 vuole cogli altri traduttori, e scorgere a un tempo come sia difficile il verseggiare nel nostro idioma con oltra- montani pensieri, massime quando sien metafisici. Lo mi servo dell’ edizione di Londra, printed for C. Ba- thurst ec. 1776. Ep. 1. IH. I Celo nasconde a tutte le creature il libro del Fato, tutto :/ libro fuorchè la pagina prescritta, il loro presente stato; a’ bruti nasconde quello che gli uomini, agli uomini quello che gli spiriti sanno. Altrimenti chi sopporterebbe l’ essere qui abbasso (quaggiù sulla terra). Il tuo gozzovigliar condanna l’a- gnello a versare oggi il sangue; avesse egli la Ragione tua, saltelle- rebbe egli e scherzerebbe ? Contento fin all’ ultimo, ei mangia il fiorito pascolo, e lecca la mano che s’ è giusto alzata per spargere suo sangue. O cccità benignamente data 4 noi per ri- spetto all’ avvenire, affinchè ognuno adempia il circolo disegnato dal Celo, che, come Dio di tutti, vede con occhio eguale morir I eroe, cadere il passerotto, atomi o sistemi precipitati in rovi- na, ed ora una bolla scoppiare, ed ora un mondo. Dell’ immutabil Fato il gran volume Chiude a’ viventi il Ciel: sol del presente La necessaria pagina lor mostra. Quel che ai bruti nasconde all’ uom discopre; Nasconde all’ uom quel che agli spirti svela. Qual, senza opposto vel, saria la vita? L’ agnello a morte il tuo piacer condanna. Se fosse in lui di tua ragion scintilla, Scherzar vorria? Pur sino all’ ultim’ ora Pago si pasce delle molli erbette, La man lambendo che a ferirlo è pronta. OL! del futuro provvida ignoranza, Oude la via compie ciascun prescritta Dal comun Padre, che con ciglio eguale Il passero perir mira e l’ eroe, Confusi andar sossopra atomi e sfere, Acqueo globo scoppiar, disfarsi un mondo. Ep. 2. II. Vedi, qualche strano conforto ogni stato atten- 274 dere, e l’ orgoglio compartito a tutti, comune amico: vedi, ad ogni età supplire qualche idonea passione ; la speranza viaggia sempre con noi, nè ci abbandona quando moriamo. Mira il fanciullo, per benigna legge di natura, contento d’un sonaglio, allettato da una pagliuccia. Poi qualche trastullo più vivace porge alla sua gioventù diletto, un poco più strepitoso, ma vano questo pure del tutto. Ciarpe, gerrettiere, oro, diver- tono la sua più matura età. E preci, e libri d’ orazioni sono le occupazioni della vecchiezza. Contento sempre di queste come di quelle prime crepunde, finchè lasso ei dorme; e la misera commedia della vita è giunta al termine. Intanto l’ opinione in- dora con cangianti raggi quelle dipinte nubi che abbelliscono 1 nostri giorni. Ad ogni mancanza di felicità supplisce la speranza, ad ogni povertà di senno l’ orgoglio. Queste passioni edificano di mano in mano e sì presto che la scenza può. distruggere. Nella tazza della follia ride sempre la vana gioia. Perduto un prospetto, sempre un altro ne guadagniamo: e niuna vanità è data invano. Anche il dispregevole amor-proprio diviene, per forza divina, la bilancia con che misurare i bisogni degli altri da’ tuoi. Vedi, e confessa, un conforto sempre nasce: e questo si è, che se l’uomo è stolto, Iddio è savio. Strana condizion qualche conforto Ritrova sempre nell’ innato orgoglio, Nostro amico comun. Siegue ogni etade Conforme passion che i petti molce : Vive coll’ uom la speme, e muor con lui. Il fanciullin rimira, a cui benigno Ciel di lieve pagliuzza offre trastallo : Più vivo ludo lo rallegra adulto, E in più maturi dì gli onori e l’ oro. Son dell’ età senil delizia e cura Picciol volume di devote preci, E corona cui dan -le rose il nome. Di frivoli sollazzi ella si pasce, Pargoleggiando, insin che della vita La misera commedia eterno chiuda Sonno di morte che ogni stato adegua. Con instabili rai sino all’ estremo Termin la nube opinion indora, 272 Onde il viver si abbella. Empie ‘1 difetto Della felicità soave speme, E °l gran véto de’ sensi innato orgoglio. Quel cui talor scienza a terra gitta, Le passioni a rinnalzar son pronte. Simile ad acqueo globo, entro la coppa Della follia ride la gioia. All’ una Speranza che si perda altra succede; Né fu a noi vanità CONTE indarno. Il proprio amor (mercè d’ Iddio) misura Divien de’ nostri con gli altrui bisogni . Il ver dunque confessa, e ti consola; Chè se stolto è il dabietal, è saggio il Nume. Ep. 3. I. O stolto omo; ha Iddio adoperato solamente per tuo bene, per tua gioia, tuo -passatempo, tuo vestire, tuo cibo? Quei, che per la tua mensa nutrica il dilicato daino, per que- sto pur benignamente apparecchia la fiorita pianura. Ascende (vola) e canta per te la lodola? gioia intuona la sua voce, gioia inalza le sue ali. Versa la gola sua (gorgheggia) per te il fanello? amori suoi proprii e trasporti di giubbilo gonfiano le note. Il saltante destriero, che voi pomposamente cavalcate, partecipa del diletto e dell’ alterigia del suo Signore. È sola tua la sementa, di che è sparso il piano? gli uccelli del celo ridomanderanno il lor grano. E tua l’ ubertosa messe dell’ aurata stagione ? Una parte ricompensa e giustamente il meritevol bove . Il verro, che non ara, e non ubbidisce alla tua chiamata, vive delle fatiche di questo signore di tutti. Sappi, che tutti i figli della natura partecipano delle di lei cure. La pelliccia che riscalda un monarca, ha già riscaldato un orso. Mentre l’ uomo esclama: ecco tutte le cose per mio uso! Un’ impinguata oca risponde: ecco l’ uomo per uso mio! E certamente înanca di ragione quegli che pensa essere il tutto fatto per uno, non uno per il tutto. Stolto ! avrà danque Iddio tutto creato Per tuo diletto ed ornamento ed esca? Quei che ‘1 cerbiatto alla tua mensa appresta, Per lui d’ erbe e di fiori ammanta i prati. Forse per te la Jodoletta il canto 273 Intuona della gioia, e batte l’ ale ? Echeggian del fanel per te le note? È il giubilo e l’ amor che le disnoda. Irrequieto quel destrier, cui preme Il suo signor pomposamente il dorso, Ne divide il piacer, di sè superbo. È ancor per te la cereal semenza Ne” campi sparsa? V’ han gli augei lor pasto. D’ anno ferace la dorata messe Intiera a te pertien ? Parte ne invoca Della dura fatica il bue compagno. Impotente al lavor, sordo alla voce, Il verro istesso per sol’ opra e cura Vive di te, che hai sulla terra impero . Sappi, che tutti di natura i figli Di servigi tra lor fan cambio e d’ atti. Riscaldò l’ orso in pria quella villosa Morbida pelle che l’ sovran riscalda. Mentre tutto a sè l’ uom vanta soggetto, Grida l’ oca, che ingrassa: A me l’ uom serve ; E colla sua ragion medesma ei pensa Allor che il tutto per un sol creato, E non l’ uno pel tutto invan presume. Ep. 4. I. O felicità! fine e scopo del nostro essere! bene, voluttà, agio, contentezza! qualunque sia il tuo nome: quel certo che, che sempre promuove l’ eterno sespiro, per cui sopportia- mo il vivere, o abbiamo animo a morire; che sempre a noi così vicina, pure è fuori di noi; trascurata, veduta doppia, (sì male osservata che sembra doppia), dallo stolto e dal savio. Pianta di celeste seme, se quaggiù cadesti, dì, in qual mor- tale terreno degni tu di crescere? Bella sbocciàndo al propi- zio splendore di qualche corte, o profonda tra’ diamanti nelle fiammeggianti miniere? Avvinta colle ghirlande che i lauri del Parnaso concedono, o mietuta nella ferrea messe del campo (di guerra)? Dove cresce? Dove essa non cresce? Se vana è la no- stra fatica, dobbiamo biasimare la cultura, non il terreno. Fissa in niun luogo è felicità sincera; non è luogo ove si trovi, o tro- vasi ovunque: non è mai da esser comprata, ma sempre è li- bera, e fuggita da’ monarchi dimora con te, o Bolinbroke. 274 Chiedi a’ dotti la via? I dotti son cechi. Questi consiglia il servire, e quegli lo sfuggire il genere umano. Alcuni pongo- no la felicità nell’operare, altri nell’ oziare. Quegli la chiamano voluttà, e questi contentezza. Alcuni ridottisi allo stato de’ bruti, trovano che la voluttà finisce in pena: alcuni gonfiandosi allo stato de’ numi, confessano vana anche la virtù; o indolenti, essi cadono in ogni estremo, credere ogni cosa, o dubitare di tutto. Quei che così la definiscono, dicono essi più o meno altro se non che la felicità è felicità? O tu, Felicità, dell’ esser nostro Oggetto e meta ! Ben, contento, gioia, Riposo, od altro, qual che sia tuo nome; Dell’ uom sospiro eterno, onde la vita Sopporta, e morte sfida: a noi vicina Ognora, eppur sempre da noi rimossa; Fuor di tua sede invan cercata, e al folle Non men che al saggio tal, che doppia assembri . Dimui, deh, pianta di celeste seme, Se quaggiù mai cadesti, in qual più eletta Parte dei mortal suol crescer ti degni ? Rudi tu forse di propizia corte Allo splendido raggio, o colle gemme In fiammante miniera occulta giaci? Sei tn fra i lauri del Parnaso avvinta, O sulle glebe dall’ acciar mietuta ? Dove, dove ti stai? Se vano è il nostro Faticar, del cultor, non del terreno La menda è sol. Felicità sincera Certo loco non ha: libera sempre, Non si cambia, nè merca; e in niuna parte Nasce, o dovunque: dai monarchi fugge, O Bolingbroke, ella con te dimora . La via ne chiedi al saggio? Il saggio è cieco. Servi all’ uom, dice questi; all’ uom t’invola, Quegli risponde : altri nell’ ozio intera Felicità ripone, altri nell’ opra; Chi nella volutià, chi nel contento, O nella fuga d’ogni pena, a belva Simìl, o novo onnipossente nume E n Ente La virtù stessa a vanità riduce; O indifferente alla più strana idea, Stassi di tutto in forse, o tutto crede. Solo per tai giudìci alfin si mostra; Ch’ è la felicità l’ esser felice. Y A. BENCI. Poesie del Marcnese GiuserpE ANTINORI Perugino. Pisa presso Niccolò Capurro 1821. — imbatterassi in queste poesie, o ne comin- cerà la lettura dal primo capitolo inviato al chiarissimo Cav. Luigi Biondi , letterato romano, non solo ricono- scerà nell’ egregio autore il felice traduttore de’ soavi e teneri idilli del Gessner (4), ma dovrà per grandissi- (a) Molti degl’ idilli di Gessner sono stati tradottiin bello stile, e pubblicati da molto tempo dal sig. Marchese Antinori, Prof. di lettere itali ane nella università di Perugia (1); e furono nell’ anno scorso riprodotti alla luce in Firenze dal Petrignani senza neppu- re renderne inte so l’autore, che non era alla distanza di millanta miglia da questa capitale. E’ pare che lo scrittore di un articolo inserito nel fascicolo d’ agosto 1820 della Biblioteca italiana, dando contezza d’una versione del Cav. Andrea Maffei, non cono- scesse affatto quella del Prof. perugino ; perchè fra le altre cose ei non avrebbe detto:,, Noi non manchiamodi traduttori di Gessner, eppure Gessner non poteasi ancor dire tradotto : e dobbiamo al solo Maffei se questo difetto fu in parte adempito (pag. 284) ,,. E al- trove:,, Noi abbiamo istituito i confronti coll’ originale, ma non mai co’ precedenti traduttori, perchè tra loro e il Maffei non potrà mai esser confronto (pag. 295). ,, Se quello scrittore avesse cono- sciuto il lavoro dell’ Antinori, siamo persuasi che non lo avrebbe confuso con quelli del padre Soave, e del Bertola. (1) Fra le annunziate poesie originali trovasi la versione, aggiunta alle altre, dell’Idillio intitolato la Navigazione, dove l'autore ci ha avvertiti doversi leg- gere nella prima strofa portar invece dì recar. 276 mo diletto continuarla sino alla fine. Perciocchè tale appunto è l’ effetto che dee necessariamente fare una poesia lirica, nella quale la proprietà e l’ecoromia delle imagini, la verità e la sceltezza de’ concetti va sempre accompagnata colla castità della lingua, colla vivezza e leggiadria dell’ espressione, e coll’ elegante e schietta semplicità dello stile. Molti sono i pezzi che potremmo metter sotto l’ occhio de’ nostri lettori, per comprovare partitamente il nostro giudizio: ma ne piace prescieglie- re tutta quella canzone ch’ ei compose per la morte dell’ abate Pellegrino Salandri , fra gli Arcadi Alceste Priamideo : e la prescelghiamo perchè in essa spiccano molte delle indicate qualità , e particolarmente |’ eco- nomia delle imagini e de’ pensieri, sì difficile a conse- guirsì ne’ lirici componimenti. I Pianto non abbia il cenere Di chi su carri alteri Insegnò primo a credere La cara vita a indocili destrieri. Per lui di sangue Enòmao Fe’ il suolo Eleo vermiglio; E cadde acerba vittima AI Nettunio furor Per lo spregiato amor—di Teseo il figlio. II. Te pur questa esecrabile Arte funesta e fera Te pure, Alceste, ahi misero! Alla fatal sospinse ultima sera. Esangue fra la polvere, Scosso da! cocchio infido, Giacer deforme e lacero Il Mincio ti mirò, E gli occhi si velò—mettendo un grido. =. — i) IMI. Le Ninfe sue l’ udirono, E alto ululato sorse, Che ratto il cielo Italico Del tristo evento nunciator trascorse. Tutta sen dolse Arcadia; E dalle fronti belle Strappar la fronda Delfica, E si fer onta al crin, Plorando il suo destin—le Ascree Sorelle IV. Ahi! dunque a che ti valsero Aurea di carmi vena, Sublime ingegno, e limpido Costume, e di saver la mente piena? La cieca urna volubile Move ogni nome, e Morte Del vile al par, del nobile, Del suddito, del Re Col freddo avaro piè—batte alle porte . V. Invan caro ad A polline Il puro umor beesti D' Ascra alla fonte, e lirico Cigno a sì eccelso vol chiaro t’ ergesti. Due volte no, non varcasi Il rio tacente e nero, Nè per versar di lacrime A noi ti renderà Ahi! sordo alla pietà—Dite severo. VI. Eppur poteo la flebile Fedel cetra amorosa Del figlio di Calliope Molcer l’ Inferno, e a lui render la sposa. Quetàrsi delle Eumenidi Le serpi sulla fronte; Nè il guado irremeabile A lui contese altier I lurido Nocchier—dell’ Acheronte. 278 VII E a te, Amarille, il Tracio Ebano in man risuona: Scendi all’ Eliso, e il fulgido Aer superno al buon Cantor ridona. Ben tu possente a volgere A tuo voler gli affetti Potrai gli Dei dell’ Ereho Cantando impietosir, E alla dolcezza aprir—que’ ferrei petti. VII. Col Vate al giorao riedere Potrai dal pianto eterno, E muto il piè lambendoti Verrà il trifauce latrator d’ Averno. Così de’ morti il popolo L’ indovina Cumea Per la notte terribile Coll’ aureo ramo in man Compagna al pio Troian—passar vedea. Il trattenersi a dichiarare come dall’ esame delle singole parti, e nella tessitura di questa e delle altre composizioni risultino pregevoli le qualità da noi ricono- sciute, perterebbe a una lezione accademica e non ad un articolo. Piuttosto, per avvalorare il nostro favorevole e libero giudizio, noteremo che nell’ Ode in morte del Ch. Ab. Saverio Bettinelli noi non ci soscriviamo all’ opi- nione dell’egregio scrittore, cioè che quell’ insigne lette- rato infondesse un tal nuovo spirto nella natìa favella, che più bella per lui si facesse (strof. 3.): che scorges- se i giovani poeti al miglior sentiero del bello e del vero poetico (strof. 5.): nè ch’ ei fosse grande immortal maestro di verso e maschio stile (strof. 8.). Noi con altri molti siamo d’avviso, che queste lodi non conven- gono ad uno de’ principali autori delle lettere virgiliane, nè alla sua manierata leziosa e ridondante fabbricazione de’ versi sciolti. UrzANO LAMPREDI. 279 BELLE ARTI SULLA PITTURA DEGLI ANTICHI. Discorso IV. Degli sperimenti che hanno servito di scorta a rico- noscere nelle reliquie che ci avanzano dell’ antica pittura le nature de’ colori in essa adoperati é Ar Prorzessor Mazzoni. V; ricorderete cred’io, ottimo mio collega ed amico, che esaminando insieme, pochi giorni sono, presso ad un gentile e cortese amico nostro (*) quella sua bel- lissima raccolta delle Pitture Ercolanensi illustrate } noi ci maravigliammo come in tanta copia d’ erudi- zione, di quanta sono sparse le annotazioni poste a di- chiarare quei monumenti, nè una parola pure vi allu- da alla ragione dei colori e al pratico magistero dell’arte presso gli antichi. Alla quale ricerca pare invero che lo studio di siffatte reliquie dell’ antichità avrebbe pur dovuto sin d' allora invogliare : tanto più che per que- sta via si sarebbero potute chiarire una volta tante di- sputazioni , intorno alle quali inutilmente si erano tra- vagliati per tutto un secolo eruditissimi uomini (a). (*) Niccolò Puccini , pistoiese ; giovane che non vuol man- care alla domestica gloria di amare e favorire le belle arti. E di queste , oltre ad egregj monumenti, ha pure una ricca e sceltissima biblioteca , ch’ egli viene aumentando tutto giorno , e di cui ‘sa conoscere il pregio + 280 Della risoluzione delle quali convien dire che fosse ser- bato il vanto alla presente età: nè, per quanto mi sem- bra , molto ci resta tuttavia a desiderare perchè si ab- bia oggimai una intera contezza dei colori di che gli antichi si valsero; e non della natura sola di questi, ma anche delle varie loro tempere e delle diverse ma- niere di dipingere, di che ci restano i saggi tra le reli- quie pervenute sino a noi dell'antica pittura. Di che noi dobbiamo veramente saper grado al potere che ha la chimica, nella presente sua luce , di scorgerci fino all’intima composizione di quasi ogni specie di corpi; e ringraziare quei sapienti, che tanto potere della scien- za han rivolto a ricercare in quegli antichi avanzi dell’arte le ragioni de’ colori e dei metodi in esse ado- perati . Se non che voi vi mostrate, mio virtuoso amico, non so se più maravigliato o sdegnoso , nel considera- re come sia fuggita di mano agl’ italiani una bella oc- casione di accrescer decoro alla comune patria, illu- strando con questa ,maniera di studi una bellissima parte delle sue antiche memorie . Stantechè il primo onore di queste ricerche lo si è tolto il cav. Vapy, egregio spirito tra quelli, di cui maggiormente sì ador- ni il presente secolo e l’ Inghilterra . Il quale , visitate nel 1814 le nostre antichità , e tornato in patria dal suo viaggio in Italia, diè subito nei volumi delle Zraz- sazioni filosofiche della R. Societa di Londra il rag- guaglio delle esperienze da lui fatte tra moi sw i colori degli antichi (6). E parve invero rapirci parte di no- stra dimestica gloria, che per men sollecitudine delle cose nostre lasciammo ch’ei preoccupasse. Ma quel che stà di continuo davanti ( e comun fato degli uomini è pur questo ) non invoglia all'esame, nè desta curio- 281 sità. E molti avran posto gli occhi, anche prima del cav. Davy su quelle reliquie delle antiche arti, senza pur concepire il divisamento che quel sagace spirito non sì tosto immaginò che trasse ad effetto . Degli sperimenti del quale ( perchè mi son pre- fisso in questi discorsi di non toccare altrimenti che di volo le cose già dichiarate dagli altri), io non dedurrò fuorchè le estreme conclusioni : bastando al mio argo- mento di notare i soli fatti che ne risultano. Nè perciò dove le osservazioni del cav. Davy fossero contradette in qualche parte da nuovi esperimenti , o dove questi avessero poste in chiaro delle particolarità non bene sviluppate per quelle da ogni ambiguità ed incertezza , io mì starò ( col rispetto dovuto a un tanto ingegno ) del riprendere in esame le sue conclusioni, e ritrarle a miglior sentenza . E in questo mio discorso farò ragione dei vari colori nativi o artificiati, di che si son trovate le tracce negli avanzi che tuttora rimangono dell’antica pittura. Dalle quali considerazioni è d’ uopo rifarsi per discen- dere a quelle dei metodi e delle varie pratiche di di- pingere che furono in uso presso gli antichi. Dei colori rossi dell’ antica pittura. I colori rossi adoperati nell’antico a fresco delle Nozze Aldobrandine , e in alcuni dipinti delle Terme di Tito, sì pe’ chiari come per gli scuri delle figure, sono stati ritrovati della natura delle ocre e delle ter- re rosse ; sostanze colorite dall’ ossido di ferro , combi- nato talor colla silice in stato.d’ idrato, e talvolta ag- glutinato da una terra argillosa o calcarea . E i rossi di maggior corpo e più vivaci , adoperati T. IV. Novembre 19 282 sugli orli dei panneggi, ed in alcuni accessori delle fi- gure, nei predetti dipinti delle Terme di Tito, sono stati riconosciuti come formati dal minio o #ritossido di piombo dei moderni . Un altra specie di rosso, di che si son trovate co- lorite le pareti d’ alcune camere di quelle terme , e in particolare la celebre nicchia del Lacoonte , è stata ri- conosciuta per cinabro ( solfuro di mercurio ); col quale si son trovati pur coloriti alcuni frammenti d’an- ico intonaco nei resti di vetusti edifizi presso al mo- numento di Caio Cestio . Di queste sole sostanze hanno dato indizio i colori rossi, tanto i cupi che i chiari, nelle reliquie perve- nute sino a noi dell’ antica pittnra . 1 quali, come ve- diamo , si riducono ai seguenti , e tutti d’ origine mi- nerale : 1.° rosso di cinabro o solfuro di mercurio: 2.°. rosso di minio 0 tritossido di piombo: 3. ocre e terre rosse ( di un rosso più o men carico ) colorite. dall’ iperossido di ferro . E questi colori son gli stessi che Plizio e Zitru- vio rammentano come adoperati comunemente ai loro tempi, notandone i caratteri e le qualità , e discor- rendo della loro origine, preparazione e natura (c). Dove è da avvertire che muzzizim presso di loro era quello che i greci chiamavano cinzabaris con vocabolo derivato dalla somiglianza del colore con la resina rosso-vermiglia del prerocarpwus,e milton con generico’ nome conveniente a qualunque color rosso florido , per cui stava la voce rubrica dai latini (d). E il minium di questi, 0 il cinnabaris minerale dei greci, è ap- punto il solfuro di mercurio, che con voce dalla greca non dissonante noi chiamiamo oggi cinabro . 1 qual colore era tenuto in grandissimo pregio dagli antichi, e ea $ 283 in particolar modo presso iromani (e): se ne tinge- vano le statue degli Dei , e la faccia dei trionfatori (f): le pareti delle più mobili camere erano tinte ed ornate con questo colore, adoperatovi un metodo di cui ter- remo parola a suo luogo , e che ha dato occasione di un curioso abbaglio al Reguero per soverchio desio di esaltare |’ antica arte degli encausti. E nei volumi e sulle lapidi destinate a conservare i più memorabili documenti, usurpavasi pure questo colore per le iscri- zioni e pe’ titoli (g). Ma gli antichi, commendando il pregio e la rarità di questo colore intendevano di certo loro sol/furo di mercurio nativo; che quasi are- na di vivace color di cocco incontravano tra le vene d’ argento in alcune cave o miniere di questo metallo; e pesata o macinata , col solo lavarla (e bene spesso alla prima ) ne avevano ottimo mirio 9 cinabro (kh). Minor conto facevan essi del so/furo di mercurio arti- ficiato , che ottenevasi ardendo nelle fornaci, e subli- mando con lerto fuoco i minerali più volatili, quali ch’ essi fossero , incontrati in certe miniere argentifere, e in alcune di quelle di piombo: men puro per verità, e verosimilmente frammisto agli ossidi di piombo , ma capace di esser raffinato al pari del nativo, cui non ‘ poteva rimanere inferiore in bontà se non che per men perizia degli antichi nell’ arte docimastica . 1l: quale essi chiamavano secondario minio , che pochi secondo Plinio sapevan distinguere dal naturale, e che spac- ciavasi non di rado in sludgò di questo ( i si Nel che sembrami aver preso errore il sig. Davy, che in questa seconda specie di cinabro daldi. antichi ravvisa la cerzssa wsta , formata dal calcinare a lento fuoco la miniera di piombo all’aria libera ; il qual pro- dotto risponderebbe al deutossido di piombo dei mo- 284 derni. Contro alla qual sentenza stà l’ autorità mede- sima di P/irzio ch'egli deduce e sulla quale si fonda (%): perchè il color rosso ottenuto a forza di fuoco dalle calci di piombo non è recato da Plinio se non che per esempio e similitudine del modo col quale dalle vene di mercurio frammiste a quelle d’argento e di piombo può ottenersi il minio o cinabro artificiale : oltre di che troppo ben ne dichiara la natura , notando come dal secondario minio possa ravvivarsi |’ idrargiro , o mercurio , e descrivendone i metodi ( / ) . E l'uno e l’altro cinabro ( l’artificiato , e il na- tivo ) ebber nome presso i Latini di minizm , scoperte le ricche miniere di questo metallo prossimamente al fiume Minio ( oggi Mirho ) nella Spagna , e abbando- nate o esauste quelle dell’ Asia minore d’ onde per l’innanzi traevasi (2) . Il qual nome trapassò dipoi al rosso di piombo, allorchè la maggior parte del mi- nium o cinabro del commercio si trovò falsato con quest’ ultimo minerale di minor pregio . L’ossido rosso di piombo fu conosciuto dai ro- mani sotto il nome di cerzssa usta . Plinio ne parla come di una sostanza ritrovata accidentalmente : es- sendo rimasta arsa dal fuoco nell’incendio del Pireo d’ Atene , la cerussa 0 bianco di questo metallo ( cur- bonato di piombo ) contenuta in alcuni vasi di terra. E di qui s' apprese a imitarla coll’ arte, ed ebbe poi luogo tra i colori della pittura (7) . Le terre rosse o rubriche degli antichi son ram- mentate da Vitruvio e da Plinio sotto diverse denomi- nazioni, che ricordano per lo più il luogo della origine o derivazione delle diverse loro varietà . E tra le nati- ve era la sinopide, di cui anmoveraronsi più specie, distinte pel grado di colore; trovandosene di vario 285 aspetto, dal rosso carico 0 pieno, sino al rossastro lan- guido. Le quali specie di nativa rubrica ritennero no- me dal luogo ove per la prima volta trovaronsi; ben- chè fuori del territorio di Stirpe , e particolarmente in Lemno, e nella Cappadocia ne fossero state incon- trate anco delle migliori (0). E la Zemzia cedeva per poco al cinabro o miniwm, adoperata ella pur come questo nei chiari delle dipinture ; e andava attorno in forme o pastelli contrassegnati con marchio , onde non fosse falsata per avidità di mercatante (p) . Pur con lei frammischiavano il minium o cinabro, e si lo adulteravano . Le altre men floride specie di rubrica eran pregiate anch’ esse e adoperate ; l’ egizia 0 affri- cana tra queste, che incontravasi nativa tra le vene di ferro. Dalla quale formavasi l’ ocra, abbruciandola o piuttosto arroventandola in vasi rivestiti attorno di luto, onde reggessero alla violenza del fuoco (9). Sic- chè tutti questi colori non erano in sostanza se non che altrettante terre colorite in rosso dal perossido di ferro: native alcune, come è la così detta ocra de’ mo- derni o idrato di silice e d’ ossido di ferro ; e com’ è altresì il minerale di ferro ossidato all’ estremo suo grado che incontrasi in filoni, masse o strati, aggluti- mato con una terra argillosa e calcarea : artefatte certe altre , come sono la maggior parte delle argille ferru- ginose. ricche di questo metallo , le quali esposte a un violento fuoco trasmutansi dal color giallastro bruno al rosso-carico , passando il ferro dallo stato di dextossido a quello di perossido . Le quali ocre ferruginose mescolate dipoi artifi- cialmente col rosso di piombv o cerussa bruciata , for- mavano il così detto sardice ; e con questo unito alla sinopide formavasi infine il rosso di Sciro (r). 256 Ma il rosso puro di ferro che ottiensi con disfare i] protosolfato di questo metallo infuocandolo in un cro- giuolo aperto tanto ch’ egli si trasmuti in perossido ( sostanza alla quale corrisponde l’ odierno rosso d’ Zn- ghilterra ), era verosimilmente ignoto agli antichi. Nè di lui fan certamente parola Plinio o Vitruvio. Bensì ricordasi in quelle loro memorie un color rosso o piuttosto vermiglio nativo , emulo del più acceso ci- nabro , e che al cinzabaris medesimo dei greci sem- bra aver dato il nome. Sulla di cui origine maravi- gliose cose , e non sì di leggeri da credere , scrive Pli- nio: ripetute poi e gravemente discusse dagli scrittori di naturale istoria , da Dioscoride sino a Cardano e ad Agricola : venir questo colore dall’ India : esser colà grossi draghi o serpenti in perpetua guerra con gli ele- fanti : avvinghiati questi e stretti con tenaci nodi all’in- torno dai primi, restarne uccisi ; ma opprimerli e schiacciarli con tutto il loro peso muorendo. Tanto chè il sangue dell’ uno e dell’altro animale frammi- schiansi ; e rappresi, bellissimo color ne risulta , sar- gue di drago denominato (s) . E in vero, recasi tuttavia di Levante una materia di color rosso-vermiglio chiamata collo stesso nome di sangue di drago: ma V’antica favola ha oggimai ce- duto il luogo all’ istoria , la quale c’ insegna non esser altro questo colore che una resina rossa che geme o distilla nei più grandi ardori estivi dalla pianta deno- minata pterocarpus ,e dracoena draco dai naturalisti. Questo colore fu adoperato e tenuto in gran conto le] dagli antichi. E parve appropriatissimo a imitar nei dipinti il color del sangue ; e fu usato dapprima come il cinabro nativo o il mizio d’ Efeso per le pitture mo- nocromatiche ; sebbene abbandonati lipoi l'uno e 237 l’altro in questo genere di pittura, come ritrosi troppo a trattarsi, e di poca stabilità nei dipinti (£). Onde non si è trovato vestigio di quella resina in veruna delle reliquie finora esaminate dell’ antica pittura . Dei gialli antichi . I colori gialli delle /[Vozze Aldobrandine son for- mati di ocre di questo colore ( idrazi di silice e di os- sido di ferro frammisti coll’ argilla o col carbonato di calce ) : di ocre parimente alcuni dipinti d’ una delle case di Pompeia . Un giallo cupo vergente all’ aranciato , di che era colorito un pezzo d’intonaco di alcuni ruderi presso al monumento di Caio Cestio, fu trovato consistere in massicot frammisto col minio ( protossido e deutos- sido di piombo ).. I medesimi colori, ocre, e gialli di piombo , sono stati trovati in alcuni vasi di terra nei sotterranei delle terme di Tito. Per quello che da Plinio e Vitruvio raccogliesi , gli antichi conoscevano molti colori gialli d’ origine minerale: nativi alcuni, gli altri artificiali o composti . Ochra i greci e sil i latini chiamarono dal colore, una materia d’ aspetto terroso , o quasi fango consoli- dato ch’essi incontravano nelle miniere argentifere (7): ottima quella che traevasi dall’ Attica e dalle Gallie, d’ un giallo splendente ; e adoperavasi pe’ i chiari: in- feriore ad ogni altra quella che traevasi dall’ isola di Syro e d’ Acaia, di un giallo più cupo e men lucido ; ond' ella era adoperata per l' ombre . E tutte erano di una notabil durezza e difficili a macinarsi . Le quali sostanze sì per l'origine loro e pe’ loro caratteri, 288 come pel rosso di piombo che se ne traeva calcinan- dole all’ aria aperta , indi estinguendole coll’ aceto e riardendole di nuovo (w), mostrano aver’ avuto gli stessi principi del gia/Zoliro , e forse del giallo di Na- poli de’ moderni : se non che quest’ultimo è tutto arti- ficiato; nativo il primo, come il .S77 dei latini (x) . Oud’ è manifesto che il nome di ochra presso de’ gre- ci denotava tutt’ altra sostanza che presso i latini: se- guendo i quali noi lo abbiamo tradotto alle terre colo- rite dell’ ossido di ferro con esse combinato o tram- misto . A4uripigmentum , quasi pigmentum auri ( onde orpimento ) dissero i latini ed arsericon i greci un color giallo d’oro nativo o di cava ( perso!furo d’ ar- senico ): e sandaraca o sandarache nomarono gli uni e gli altri un color digradante dal primo, foss’ egli più pallido o cedrino , o vergente piuttosto al color della fiamma; raramente nativo, più comunemente artefat- to (y). E l'uno e l’altro eran pure un protosulfuro, o un persolfuro d’ arsenico: e falsavansi col dewtossido frammisto al protossido di piombo , ricavati dalla ra- pida combustione della cerussa . Il prodotto della quale, secondo il vario grado di-calcinazione conte- Nendo più o men copia di deutossido, di piombo, ac- costavasi o al pallor del giallo , o al rosso-fiammante. Degli azzurri degli antichi. Di tutte le varietà degli azzurri che Teofrasto, Vitruvio e Plinio ricordano tra le materie coloranti adoperate ai loro tempi nella pittura, due sole si son fatte conte pe’ saggi che sin qui sono stati tentati dei cerulei e turchini conservatici nelle antiche reliquie 239 dell’ arte . Gli azzurri, come i più carichi e vivi, così i più pallidi e stinti, delle dipinture trovate alle terme di Tito, e tra le antiche rovine allato al monumento di C. Cestio, spogliati per mezzo degli acidi, delle so- stanze terrose e in specie del carbonato di calce con essi accidentalmente frammiste , si sono trasmutati iu una finissima polvere turchina , simile allo smaltino , oppure all’oltremare ; ruvida al tatto; che non per- deva colore infuocandola. E con i metodi d’ analisi adoperati per le pietre silicee si trovò composta di una notabil quantità di silice, di una minor d’ allumina, e di una piccolissima di calce combinate insieme, e tinte in azzurro dal rame . Di un’ altra specie d’azzurro, men vivace della descritta, ci han dato contezza le ultime osservazioni fatte sulle pitrure d’ Ercolano e di Pompeia . Ed esso è pure un’azzurro di rame, che separato dalle sostanze terrose straniere colle quali è accidentalmente fram- misto , si trova essere un puro carbonato di rame . E la calce caustica il disfà: sì che non potrebbe , come l’altro, essere adoperato a dipingere in fresco . Ond’ è da credere che fosse questa una sostanza affatto simile, seppur non la stessa, del ceruleo di monte, o delle ceneri azzurre ; colori nativi ambedue , conosciuti più modernamente sotto il nome di azzurro di Lamagna . Più difficile è a determinar la natura dell’ azzurro precedentemente descritto . Nel quale può ben ricono- scersi il colore artificiato che Teofrasto rammenta co- me inventato dapprima in Alessandria; ma non mai veruno degli azzurri o turchini de’ quali abbiamo al presente contezza . E Vitruvio ne descrive assai chia- ramente la composizione (3): ridursi in temuissima polvere arena nativa e fior dì nitro ( che oggi di- 290 remmo carbonato di soda ): mischiarsi le due sostan- ze, e impastarsi con grosse scaglie di rame : esporsi quindi , chiuse in vasi figulini coperti, ed in prima asciutte , a un’ ardentissimo calore. Pel quale artifizio ottenevasi ( com' egli dice ) bellissimo color ceruleo , che non la cedeva al più bell’ azzurro di rame ; se non che alterabile questo per l’ azione del fuoco , della cal- ce viva e degli acidi: inalterabile l’ altro, e però di tanto più pregio . E di questa composizione , soggiungono Plinio e Vitruvio stesso , ebbe il vanto dapprima I’ Egitto : indi ella fu nota in Italia ; e in Pozzuolo , il di cui azzurro gareggiò coll’ alessandrino , massimamente dappoi che Vestorio n° ebbe insegnata la composizione , e mostra- to come poteva passarsi dell’ azzurro d’ Egitto , adope- randone appena una piccola parte, o ricavando di là qualcheduno de’ suoi ingredienti , e in particolare del carbonato di soda (aa). . Ma il segreto di questa composizione, che certa- mente non è pervenuto a noi, parmi consistere unica- mente nella ignota natura dell’ arera che vi era ado- perata . Nè io mi starei in ciò alla opinione del cav. Davy che Vl ha creduta una pura arena silicea. Nè mi muove a consentire all’ opinion sua l’ esperimento da lui fatto per ritentare la formazione dell’ azzurro ve- storiano , fondendo insieme e tenendo esposte a un vi- vissimo fuoco per due ore quindici parti in peso di carbonato di soda, venti di pietre silicee polverizzate, tre di scaglie di rame: dalla quale operazione, dic'egli avere ottenuto una specie di fritta o di smalto, che ridotto in polvere dava un leggiadrissimo color celeste carico o azzurro. Stantechè questa esperienza, variata in quanti mai modi si poteva chiedere, pur non è riu- 291 scita sin qui ad altri ch'io mi sappia. E quando ella avesse avuto il più compiuto successo , non parmi che per questa via si sarebbe potuto credere ripristinato il ceruleo vestoriano o alessandrino di Vitruvio . Per- chè dove si ritroverebbe in questo moderno la calce e l’allumina trovate nell’ intima composizione di quell’ antico ? Ond' io porto opinione che queste sostanze si trovassero pur nell’ arena nativa di cui parlano Plinio e Vitruvio come adoperata per la composizione dell’az- zurro . Dal che potrebbe, a parer mio, con tutto il fondamento conchiudersi , che ella fosse una delle va- rietà di pozzolana che oggi pur conosciamo, formate generalmente di tre quarti di silice, di quasi un quarto d’allumina , e d’alcun poco di calce , oltre pochi atomi di potassa e di ossido di ferro: sia perciò fusibilis- sima anche di per sè sola alla lucerna dello smaltato- re, e più fusibile quindi se unita al carbonato di soda. E questa specie di arena era ben conosciuta anche in- nanzi ai tempi di Plinio in Pozzuolo, ond'’ ella prese persino il nome; e una simigliante doveva conoscer- sene in Alessandria , se stà quel che Plinio stesso sog- giunge, non differir molto dall’ arena puteolana la più sottile arena delle alluvioni del Nilo (00) . Del resto, oltre a queste due specie di cerz/eo, nativa l’ una , V altra artificiata, si trovano ricordate negli antichi scrittori non meno di dieci o dodici spe- cie o varietà di azzurri: native alcune ; artificiate certe altre : parte d’ origine minerale ; parte d’ origine vege- tabile. E tra gli azzurri minerali e nativi annoverano Plinio e ‘Teofrasto il cerzleo egizio e lo scitico : simili ambedue per gli esterni caratteri e le apparenze ad una specie d’ arena o di pietra silicea attrita : più pregiato però il primo : meno il secondo , e più leggero, e fa- 292 cilmente solubile. Il quale , disfatto in polvere, può cernersi , come dice Plinio , in quattro colori , cioè in azzurro cupo o turchino, e in cilestro chiaro ed aperto; e l’uno e l’altro di questi in colori di maggiore o mi- nor corpo. Ai quali azzurri nativi sottentrarono però , ed ebber pregio sopra di essi, i cerulei artificiati di Ci- pro e di Pozzuolo, e quello pure che cominciossi a com- porre in Ispagna falsando | armerium alla maniera della crisocolla ; sostanze di cui faremo parola in ap- presso . Ora, intorno a questi due cerulei nativi ram- mentati da Teofrasto da Plinio e da Dioscoride, grande è la questione che muovono gli scoliasti di quegli antichi scrittori. E il Salmasio in particolare , fondandosi sopra certe etimologie tratte dal greco e dall'arabo, volle che l’ uno e l’ altro di quei cerulei , e il verde-azzurrino denominato armerium dal luogo della sua prima origine, corrispondessero senz’ altro al lapis-lazzuli o lazulite dei moderni. La quale e in vero una bellissima pietra azzurra; ma niuna cosa ella ha di comune, sio grandemente non erro, con que’ due cerulei minerali nativi. Perchè, sebben di vivacissimo colore ella splenda, non è tuttavia un color proprio della pittura; ma dalla sua polvere solamente ( dopo averla in prima arroventata al fuoco indi spenta nell’ acqua per polverizzarla ) traesi il bell’ azzurro oltra- mare con un’artifizio assai diverso da quello col quale descrive Plinio ottenersi dal ceruleo nativo le ceneri azzurre , vale a dire, col solo lavar quel minerale e macinarlo (cc). E della diversità delle ceneri azzurre degli antichi dall’azzurro d’o/tramare dei moderni, ne sia prova non dirò la rarità di quest’ ultimo , supe- riore senz’ alcun confronto a quella delle prime , ma il 293 differir poco il valore di quelle dal prezzo effettivo del ceruleo nativo ond'’esse ritraevansi ; e l'essere assai più pallido e stinto il loro colore di quello del ceruleo me- desimo. Laddove |’ azzurro dell’ oltremare supera grandemente in prezzo il lapistazuli da dui ricavasi, benchè carissimo , essendo poca la quantità di colore che da questo si ottiene , ma di un tuono assai più vi- vace e più pieno di quello del lapislazzuli. Perlochè io tengo opinione che quegli azzurri minerali nativi ram- mentati dagli Antichi, non fossero altro che sostanze terrose naturalmente colorite in azzurro, e alcune in turchino verdastro, dagli ossidi e dai carbonati di ra- me (dd). E gli artificiati sembra che fossero in parte varie preparazioni di carbonati e di arseniati di rame : e in parte , sottili terre argillose e calcaree imbevute con i metodi che descriveremo in appresso , del colore azzurro tratto da alcune specie di vegetabili . * E una fecula azzurra è veramente in molte spe- cie di piante , nè fu ignota per certo agli antichi. Tra le quali sono da rammentare |’ isatis tinctoria da cui si estrae un bel colore azzurro ; e l’indigofera tincto- ria, che ne dà di una maggiore e suprema bellezza . L’ azzurro della prima di queste piante , indigena dell’ Europa , fu ben conosciuto dai greci e dai roma- mì : e isatin chiamarono i greci quella pianta , foss’ ella presso di loro silvestre o sativa: vitrum i latini dal colore del sugo espressone; e glastum dal nome ch'ella aveva nelle Gallie ov era comune ed usitatissima (ce). E la fecula colorante dell’ indigofera condensata in pastelli , era senz’ altro nota pur” essa agli antichi che l'avevano dall’ Indie. Di che non sapremo muover dubbio se porremo mente che i caratteri con i quali descrivesi da Plinio l’ indico de’ suoi tempi ; di divenir 294 nero nell’ esser macinato; di manifestare un color mi- sto di porpora e di ceruleo , stemperato in molt’ acqua; di accendersi, e di dare una fiamma o fumo porpori- no, convengono appunto all’izdaco de’ nostri di, e a lui solo fra quante altre simili sostanze conosconsi (/7 ); Dei verdi degli Antichi . I verdi cupi d’ alcuni ornati dei Bagni di Livia e delle terme di Tito; e i chiari delle Nozze Aldo- brandine, e dei frammenti d’ antico intonaco trovati presso al monumento di C. Cestio , sono stati ricono- sciuti come formati dagli ossidi e dai carbonati di ra- me . E i colori mescolati che contenevansi in un vaso trovato nei recenti scavi di Pompeia avevano diverse varietà di verde : tra le quali una che accostavasi al verde d’uliva, ed era una terra simile alla terra verde di Verona : l’altra di un verde pallido , che parve tn color minerale formato di carbonato verde di rame o malachite, frammisto ad alcun poco d’azzurro di rame. Il più pregiato tra i verdi degli antichi era quello cui davano il nome di crisocolla ( quasi glutirzm auri ) stantechè il minerale d’ onde proveniva e for- mavasi, era pure adoperato per ottenere la saldatura dell’ oro. E derivavasi esso principalmente dalle mi- miere di rame , e il migliore : di men pregio da quelle d’argento: nè in queste sole, ma incontravasi pure tra le vene dell’ oro, e nelle miniere del piombo ; tenuto però in minor conto che Vl altro (gg). Dalla qual so- stanza minerale nativa formavasi nel modo descr.tto da Plinio il color verde denominato di crisocolla . E Ste II ezine CERETTO la composizione di questo colore è chiara ed aperta per le parole di Plinio; tanto che non so comprendere co-. 295 me il Rosa ed il Davy non ne abbian cavato miglior costrutto. Perchè 110avy ne fa ragione che la crisocoll» nativa fosse nulla più che un carbonato di rame; e l’ar. tificiale un’argilla imbevuta di solfato di rame ( ch: la renderebbe azzurra )indi trasmutata in verde, rico- lorita per mezzo del lutezn o del giallo vegetabile de- gli antichi (Ah). E il Aosa tiene opinione pur egli che la crisocolla nativa fosse tra i colori verdi, e adope- rata pura e senz’ altra preparazione dagli antichi nel dipingere (i). Su di che bastano a chiarirci le parole di Plinio, purchè non ci triboliamo troppo a indovi- nare quel che ei non ha detto, e si applichino ai pochi e semplici suoì documenti le più ovvie cognizioni del- la chimica. Perchè quanto ei dice della crisocolla , e del modo con cui ella si genera nelle vene metalliche, la dimostra per un protossido di rame allo stato d’ i- drato . E questa sostanza di color giallo ranciato, se- condochè porta la sua natura , non poteva essere , così tratta dalla miniera , il bel color verde degli antichi : ma, come Plinio descrive, sottilmente pesta dappri- ma ; indi macinata e stacciata , scioglievasi in aceto ; poi nuovamente macinata , lavata ed asciutta , tempe- ravasi coll’ allume, e colla materia colorante gialla dell’ erba Zuteum . E allora mostravasi di un bellis- simo color verde (2). D’ onde appar chiaramente , che questo colore era in se una terra alluminosa impastata col carbonato azzurro di rame , e colorita in giallo ; e che dalle varie proporzioni dell’ una o dell’altra sostan- za risultavano diverse varietà di verde; tra lè quali era in altissimo pregio quella che porgeva un color d'erba lucido ed aperto (m272). Di. cui, secondochè narra Plinio, videsi per nuovo e inaudito genere di lusso tinta 'l arena intera del circo negli spettacoli dati in Roma 296 da Nerone principe . Nè la frode o l’ avidità dei merca- tauti si stettero pure dal falsare questo colore, bello altrettanto che raro, con un genere più comune e di men pregio: perchè dal paretorium , candida argilla cretacea , tinto in prima coll’ atramenzum o nero vege- tabile , e col ceruleo del guado , indi col giallo del Zu- teum, si ebbe una sostauza di color verde che l’ arte sostituì alla bellissima crisocolla (7272) . Di colori verdi nativi non pare che gli antichi conoscessero altri che una terra verde , di cui però non si valevano nella pittura se non dopo averla artìficia- ta, sì che venisse a falsare la crisocolla , e a questo co- lore artificiato davano il nome d’ appiano : e adopra- vanlo in luogo della crisocolla nei lavori di minor conto (00). E Vl armenium era pure un color verde nativo che nell’ Armenia, d’onde trasse il nome, incontravasi quasi sabbia o arena metallica. Ma non era essa ado: perata in questo stato ; nè come color verde nella pit- tura . Bensì trattata al modo stesso della crisocolla nativa prendeva un color azzurrastro, e così era po- sta in opera, e tenuta in altissimo pregio . Onde par verosimile ch’ ella fosse pur una delle molte varietà di carbonato di rame, framniste 0 combinate con diverse sostanze terrose , che pur oggi ritengono il nome di pietre d’Armenia dal luogo della loro pri- ma ed antica derivazione (pp) . Dei neri e dei bruni degli antichi. Alcuni resti o frammenti d’ intonaco coloriti in nero sono stati trovati nelle rovine presso al monu- mento di GC. Cestio : neri alcuni fondi nei comparti 297 menti delle minori camere .alle terme di Tito . Dai quali è stata distaccata una polvere scura ; inaltera- bile per qualunque azione di acidi e di alcali, ca- pace però di accendersi col nitrb: sì che aveva essa le proprietà di una materia carbonacea . E tale era la natura della maggior parte dei neri di che valevausi i romani ed i greci nella pit- tura, per quello che raccogliesi dagli antichi, scrit- tori. E si danno Poligroto e Micone come primi tra i pittori greci a far uso del nero tratto dalle vinacce bruciate; e 4pelle del nero d’avorio. Nè di queste sole specie di nero , ma si fa pur menzione in Plinio «di molte altre ottenute dal fumo della resina, o della pece bruciata , dalla fuliggine nuovamente arsa , dalle fecce aduste del vino , dalle tede o faci di pino (gg). I quali neri non sono altro in sostanza fuorchè ma- terie carbonacee più o men sottili, del genere stesso del nero di fumo che pur’oggi Gia "R varie mate- rie vegetabili ed animali bruciate . È per la loro te- nuità e leggerezza questi neri di fumo avevan d'uopo di un glutine atto a temperarli e legarli, affinchè po- tessero porsi in opera. Ond’ essi univansi alla gom- ma quando adoperavansi per uso d’ inchiostro da sceri- vere ( atramentum librarium ), e alla colla quando ponevansi in uso per la pittura sulle pareti ( atra- mentum tectorium ) (rr). Due altri neri descrivonsi da Plinio, diversi dai precedenti: l’ uno formato dal così detto fior nero che nelle officine dei tintori trovasi spesso aderente all’ in- terne superficie delle caldaie di rame, e di cui doppia è l'origine; provenendo esso in parte dalla spuma delle materie tintorie carbonizzate, e in parte da un idrato azzurro di rame che si forma, e che disseccandosi passa T. IV. Novembre 2@ 298 i spontaneamente al bruno cupo: l’ altro, un nero fossile nativo che or geme quasi umor dal terreno or dal ter- reno cavasi in forma solida servendo d’ indizio a ritro- varlo 1’ apparenza sulfurea delle .glebe (ss). Nei quali non saprei, per dir vero, riconoscere col cav. Davy una sorta di miniera di ferro o di manganese : bensi l’antracite, o il carbon fossile, e il litantrace, che pur somministrano non meno dell’asfalto o bitume giudaico, un color nero per la pittura . Finalmente ricorda Plinio tra i neri conosciuti al suo tempo l’ atramentum indicum o nero proveniente dall’ India, del quale confessa ignorar la natura. E parla pure del nero di seppia : di cui potrebbe credersi che fosse formato Vl atramento indico; ond’ egli risponde- rebbe all’inchiostro che diciam noi della China . Se non che o i Romani non seppero ch’ ei contenesse il nero di seppia, o Plinio ignorò che potesse farsi con questo un ottimo color nero per la pittura (t£). E oltre i neri, ebbero gli antichi dei colori bruni e più o meno scuri: per la maggior parte minerali. E molti di questi riconosconsi per vcre brune o terre co- lorite dal deztossido di ferro. Quella terra scura che Plinio denota col nome di cicerculum (nn) era forse colorita dal perossido di manganese: alcuni antichi vetri porporini si son trovati contenere quest’ ossido . Ma gli scuri delle dipinture de’ bagni di Livia , e delle nozze Aldobrandine non han dato indizio fuorchè de- gli ossidi di ferro: mentre le tinte brune di altri anti- chi dipinti hanno mostrato all’ analisi chimica di esser formate di ocre ferruginose frammiste ad una sostanza nera carbonacea . 299 Dei bianchi degli antichi. Dei bianchi che Vitruvio e Plinio ricordano, solo il bianco di creta rimane oggi, e riscontrasi vivace an- ‘cora, negli avanzi d’antiche pitture. 1 bianchi delle Nozze Aldobrandine si trovan solubili negli acidi con effervescenza, ed han tutti i caratteri del carbonato di calce . Gli antichi avevano un gran numero d’ argille e e di crete bianchissime di cui facevano uso per la pit- tura. Tra le quali il paretorio, così chiamato dal luogo della sua origine in Egitto, era stimata la miglior d’ o- gni altra per adoperarsi sugl’ intonachi. Falsavasi essa colla creta cimolia, infuocata prima e fatta più densa. E la creta annulare formata di varie candide crete, e di pietre alluminose e silicee ridotte in polvere e insie- me commiste, adoperavasi come più gentile e più aper- to colore per i chiari.de’ volti muliebri. Oltre a queste candide crete o argille (giacchè gli antichi non sapevan distinguere le terre alluminose dalle calcaree , ed appropriavano il nome di creta ad ogni sorte di fina polvere bianca), essi avevano la terra melina, così detta dall’ isola di Melo d’ onde proveniva, più comune e più anticamente conosciuta di qualunque bianco di cava. E tra i biarichi metallici era pur co- mune per essi, come per noi, la biacca 0 cerzssa (car- bonato di piombo dei moderni) (09). Ripensando ora alle varie ragioni e nature di co- lori, di cui gli antichi ebber contezza, e delle quali si è partitamente discorso fin qui sulla scorta di Vitruvio e di Plinio, forse che noi prenderemo ammirazione in ri- flettere al piccol numero di quelli tra i divisati colori 300 che l’analisi chimica ha saputo riconoscere negli avan- zi che tuttora rimangono dell’antica pittura. Ma è pur da considerare che troppo poco è quel che ci resta delle ‘opere d'’ arte degli antichi, a rispetto di ciò che abbia- mo perduto: che niuno de loro dipinti in tavola (ch’ es- si pur preferivano ja qualunque dipinto sulle pareti), niuna di quelle opere classiche che la Grecia per lo spazio di cinque o sei secoli, dalla batiaglia di Maratona alla rovina della greca libertà non si stancò mai di produrre, è arrivata sino a noi. E certamente noi avrem- mo ritrovato in queste la maggior parte dei colori, e dei più pregiati, di che Plinio e Vitruvio fanno ricordo; e molti ancora dei più comuni tra quelli che, sì come i bianchi di piombo, si trovano inetti alla pittura delle pareti. Dei quali ultimi però basterà) per semplice eru- dizione il sapere che gli antichi gli conobbero, e se ne valsero: ma dei bellissimi azzurri vestoriano e alessan- drino (per tacer ai altri), la di cui inalterabilità ci è attestata dalle reliquie che tuttor ne avanzano di anti- chi dipinti esposti ad ogni ingiuria d' elementi per lo spazio di sedici 0 diciotio pali; chi ci ristora ?. Perchè in quanto ai colori nativi, o a quelli che uu semplice e facile artifizio ritrae dalle sostanze minerali, noi non ab- biam certo di che portare invidia agli ‘antichi: ma sì di certi colori più artificiati, e tuttavia rimemorati come vaghissimi, la di cui composizione resta finora un’ arca- no. Tra i quali, mi avanza a far parola delle terre arti- ficialmente colorite daglrantichi, e soprattutto del più splendido e più celebrato dei loro colori, cioè il porpo- risso, prima di ragionare dei metodi e delle varie loro pratiche di dipingere, principale ed ultimo scopo di questi miei discorsi. | PeTRINI. 301 NOTE AL DISCORSO IV. (a) Vedansi il Galliani ‘ne’ suoî dottissini Commentati al VII di Vitravio ; il Regueno nella sua opera del ristabili- mentò dell’ antica arte dei Greci e dei Romani pittori ; il Rosa nelle già allegate sue. ricerché ‘sui colori floridi degli antichi. ‘» (5) Le osservazioni del Cav. ‘Davy su’ i colori degli anti chi furon pubblicate perla prima’ volta nelle Transazioni filo- sofiche della R. Società di Lendia »per l’anno 1815. $ (e) Dei coloti degli ‘antichi ‘ serissero' Vitruvio nel VII. de’ suoi Libri d’ Architettura, Plinio nel XXXIII. nel XXXIV, . emmel XXXV. Libro della sua Istoria naturale , oltre ‘quel che Teofrasto, Divscoride ye. Strabone ‘per ‘occasione di discorso ne ricordarono . E dopo di essi ‘molti altri scrittori han toccato , qual’ dî proposito ; quale per digressione, lo stesso argomento : i più ripetendo quasi a parola i detti di Vitruvio, e di Pli- nio ; pochissimi illustrandoli ; molti travolgendoli . (d) Plin. lib XXXIIH. cap. 7. ‘-- Milton vocant Gracci minium ; quidam cinvabari. = Vitrav. lib. VII cap.8. Foditur ( minium ) gleba quae antrax dicitur .... vena uti ferreo magis subrufo colore, habens circa se rubrum pulverem. Cum id Pochi cx plagis SRO un crebras emittit lacrymas argenti vivi . (e) Plin. XXXIII. 7. lducror itatem colori fuisse non miror: jam enim Trojanis temporibus rubrica in honore erat, Ho- mero feste, qui naves ea commendut ; ‘alias circa picturas DI pigmentaque rarus'. (f) Plin. ib. Wane inter pigmenta maximae auctoritatis, et quondam apud Romanos non solum magnae sed etiam . sacrae.... Iovis ipsius simulacri faciem minio illini solitam, triumphantumque corpora : sic Camillum triumphasse . “(g) Plin. XXXIII 8. Minium in voluminibus quoque scri- | ptura usurpatur , clarioresque literas vel în auro ; vel in mar- more , etiam in sepulchris facit . ar . (#) Plin XXXIII. 7. -- Reperiri ( minium ) in Hispania, sed durum et arenòsuni ; item apud Colchos: optimum vero supra Ephesum... Arenam cocci colorem habere; hane teri ; dein lavari farinam , et:quod subsidat iterum lavari , Diffe- 302 rentiam artis esse, quod alii minium faciunt prima lotura ; apud alios id esse dilutius, sequentis autem loturae optimum. (?) Plin, ib. Est alterum genus ( minii ) in omnibus fere argentariis , itemque plumbariis metallis quod fit exusto la- pide venis permixto : non ex illo cuius vomicam argentum vi- vum appellavimus ,.... sed ex aliis simul. repertis . Steriles etiam plumbi deprehenduntur suo colorè ; nec nisi in forna- cibus rubescentes erxrustique tunduntur in farinam . Et hoc est secundarium minium perguam paucis notum . Hoc ergo adul- teratur minium .... Sincero cocci nitor ésse debet . Secundarii autem splendor in parietibus sentit nigi Quamquam hace rubigo quaedam metalli est . (&), Plin XXXII. 8. Ex Psr zo invenit vita et hy- drargirum in vicem argenti vivi paulo ante dilatum . Fit au- tem duobus modis: acneis mortariis pistillisque trito minio ex accto ; aut. patinis fictilibus impositum , Jerrea concha , calice cooper, tum ; argilla superillita ; dein sub, patinis accen- sum follibus continuo igni . (2) Gli antichi come distinsero il cinabro, nativo dall’ ar- tefatto , così l’ 7drargiro dall’ argertovivo, che pur sono una stessa cosa . Argentovivo pu via «il mercurio , che si ot- tiene quasi spontaneo dal minerale : idrargiro quello che. si ottiene scomponendo col fuoco il cinabro.,0 solfuro di mercu- rio, e che diremmo mercurio ravvivato. E si supposero. nel primo qualità venefiche; non così nel secondo : della quale opinione , benchè falsa applicata al mercurio, puro, trovasi il fondamento nella impurità dell’ argentovivo conosciuto dagli an- tichi; come quello che tratto dalla miniera non di rado avrà contenuto qualche leggera. porzione d’ arsenico . (mm) Plin. XXXIII. 7. Mec fere aliunde ‘invehitur ad nos quam ex Hispania . Cceleberrimum ex sisaponensi regione in Betica , miniario, metallo vectigalibus pop. Rom. nullius rei diligentiore custodia . Ion fr ibi perficere, excoquique . Romam perfertur vena signata .... Romae autem lavatur . Vitruy. VII. 9. Minium et indicum nominibus, ipsis indi». cant quibus locis procreaniur . (2) Plin. XX.XV. 6. Usta casu reperta. incendio . Piraei cerussa in orcis cremata . (0) Vitr. VII. Aubricae copiose multis locis optimae\cxi- Pr | j Ù | È i i 303 muntur , sed optimae paucis: uti Ponto , Sinope et Aegypto: in Hispania , Balearibus, nec minus etiam Lemno . Plin. XXXV. 6. Sinopis inventa est primum , inde no- men, Sinope urbe .... optima in Lemno et in Cappadocia, ef fossa e speluncis + Quae saxis adhesit excellit . Glebis sttan color; extra maculosus, Hacque usi sunt veteres ad splendo- rem. Species stnopidis tres: rubra, et minus rubens ; et inter has media... Quae magis caceteris rubet , utilior abacis ., . pressior vocatur quae est maxime fusca : usus ad bases aba- corum . (p) Plin. ib. Rubricae genus in ea ( sinopide) voluere in- telligi quidam secundae auctoritatis ; palmam enim Lemniae dabant . Minio proxima haec est, multum antiquis celebrata... Nec nisi signata venundabatur , unde ct sphragidem appella- vere » Hac minium sublinunt , adulterantque* |, (9) Plin. ib. Ex reliquis rubricae gencribus, fabris uti- lissima aegyptia et africand; quoniam maxime sorbentur pi- cturis : nascitur autem et in ferrariis metallis. kx ca fit ochra , exusta rubrica in ollis novo luto circuitis ... Haec ( cerussa usta ) sì torreatur aequa parte rubrica admixta sandycem facit ... Inter factitios est et scyricum quo minium sublini dixi- mus. Fit autem synopide et sandyce mixtis . (r) Plin. ib. Sic enim ( cinnabarim ) appellant illi sa- niem draconis elisi elephantorum morientium pondere , per- mixto utriusque animalis sanguine. . Plin VII. t1.... Elephantes fert .... maximos Imlia : bellantes cum iis perpetua discordia dracones tantae magni- tudinis et ipsos, ut circumplexu facili ambiant , nexuque no- di perstringant . (s) Plin. XXXJII. 6. Neque alius est color, qui in pictu- ris proprie sanguinem reddat - (t) Plin. ib. Cinnabari veteres, quae etiam nunc vocant monochromata, pingebdant . Pinxerunt et ephesio minio; quod derelictum est, quia curatio magni operis erat . Praeterea utrumque nimis acre existimabatur. Ideo transiere ad rubri- cam et sinopidem . (&) Vitr. VII. 7. Primum exponemus ea quae per se na- scentia fodiuntur, uti quod Gracce ochra dicitur; haec vero .multis locis, ut etiam in Italia, invenitur; sed quae fuerat 304 i optima , attica .... Athenis argenti fodinae cum habuerunt fa- milias, tune specus sub terra fodiebantur ad argentum inve- niendum , cum ibi vena forte inveniretur, nihilominus uti ar- gentum persequebantur : itaque antiqui egregia copia silis ad politionem operum usi sunt . X (v) Plin. XXXIII. 12. In argenti et auri metallis nascun- tur ctiam pigmenta sil et caeruleum . Sil proprie limus est . Optimum ex eo quod Atticum vocatur; proximum marmoro- sum ; dertium genus pressum!, quod alit syricum vocant ex insula Syro. Jam quidem et ex Achaia , quo utuntur ad picturae umbras .... lucidum vocant è Gallia veniens . Hoc autem cet Attico ad lumina utuniur. Ad abacos nonnisi mar- moroso, guoniam marmor in co resistit amaritudini calcis Effoditur et ad AX. ab urbe lapidem .... postea uritur; pres- sum appellantibus qui adulterant . id. 13. Sile pingere instituerunt Polignotus et Micon ; at- tico dumtaxrat . Hoc sequuta actas ad lumina usus est : ad \'umbras autem syrico .... Teritur difficillime sil . (x) Plin. XXXV. 6. A ( cerussa usta ) et Romae cre- mate sile marmoroso, et restincto aceto. Sine usta non fiunt umbrae . id XXXIV. 18. Cerussa usta, si coquatir , rufescit. Vitr. VII. 11. G/eda silis doni coquitur ut sit in.igne can- dens: ea autem aceto extinguitur et efficitur purpureo colore. Caesalp. de metallicis Lib. II. 62. At de Sile alias regio nes recenset, cx quibus habebatur pigmentum pictoribus neces- sarium ad lumina et umbras : quod hodie paratur ex plumbo usto , vulgoque giallolinam vocant . ‘(y) Vitr. VII. 7. Auripigmentum , quod Graece arsenicon dicitur, foditur Ponto. Sandaracha item pluribus locis , sed optima Ponto prope flumen Hypanim .... Aliis locis ut inter Magnesiae et Ephesi fines sunt loci. unde effoditur parata, quam nec molere nec cernere opus est; sed sic est. subiilis quemadmodun si qua est manu contusa ct subereta . Plin. XXXIV. 18. Zrveritur ( sandaracha ) et in aura- riîs et argentariis metallis , melior. quo magis rufa .... fria- bilisque. Et arsenicum ex eadem est materia . Quod opti- mum coloris et'am in auro excellentius : quod vero palli- dius, aut sandarachae similis est ,.deterius coristimatur. Est et tertium genus, quo miscetur aureus color sandarachue. pe e Cpint a te . see ont ma ace 305 id. XXXV. 6. Fit et adulterina ( sandaracha ) ex ce- russa in Vornagé= coca . Colos debet esse flammeus.. (3) Vitr. VII. 11. Caerulei temperationes Alexandriae sunt primum inventae : postea item Vestorius Puteolis insti- tuit faciendum . Ratio. autem ejus, è quibus est inventa , satis habet admirationis. Arena enim cum nitri flore conteritur adeo subtiliter , ut efficiatur quemadmodum. farina,, et. aeri . eyprio limis crassis ut scobis facto immixta conspergitur ut conglomeretur : deinde pilae manibus versando efficiuntur ; et ita | colligantur ut inarescant: eae avidac componuntur in, i urceo ficuli : urceus in fornace ponitur : ita aes et ea arena ab ignis vehementia confervescendo cuni coarucxrint inter se i dando et accipiendo sudores .... caeruleo rediguntur colore . (2a) Plin. XXXII. 12. Nuper accessit.et Vestorianum ( cae- .ruleum ) @8 auctore appellatum . Fit ex Aegyptii levissima È parte . (25) ib. 13. Caeruleum arena est. Hujus genera tria fuere .... aegyptium quod maxime probatur : seythicam , hoc diluitur facile cumque teritur in quatuor colores. mutatur ; i candidiorem, nigrioremque ; crassiorem , tenuioremve . Prace- ) fertur huic etiamnum cyprium. Accessit his Puteolanum e£ hispaniense ,. arena idi confici cacpta. Tingitur autem omne , et in sua-coquitur herba bibitque succum . Reliqua confectura eadem quae. chrysocotlae . ( cc) ib. Ex caeruleo fit quod vocatur lomentum; perficitur id lavando, terenaoque ; et hoc est _caeruleo cundidius . Usus in creta; calcis impatiens. (dd) Plin. XXXIII, 12. Zn argenti et aeris metallis na- scuntur cliamnum pigmenrta sil. et caeruleum * . Tbénard -- Traité de Chimie -- Tom. II. Le cuivre azuré , .0u carbonate de ce metal, se rencontre dans toutes les mines de cuivre, mais presque toujpurs en petite, quan- en concrelions mamelonnées et: striées , en masses informes , pulverulent et melé avec une. certaine quantité de matière terreuse ; enfin disseminé dans certaines pierres quartzeuses et STI ces pierres prennent le nom de pierres. d’ Ar- i mente. Les terres quil colore en bleu s’appellent cendres bleues cuivrees : et on le nomme bleu de montagne lorsqu'il est en grains ou en masses . 306 (ce) Plin. XX. 7. Tertium genus est in sylvis nascens, isatin vocant ...., quarto infectores lanarum utuntur, quod glastum vocani ; simile est is lapatho sylvestri foliis , nisi quod plura habet et nigriora . id. XXI. 1. Simile plantagini glastum in Gallia voca- AN EN 4 1 (77) Plin XXXV. 6. Ex India venit , arundinum spu- mae adherescente limo ; cum teritur nigrum ; at in diluendo mixturam purpurae, cacruleique mirabilem reddit. Proba- tur carbone : reddit onim quod sincerum est flammam excel- lentis purpurae , et dum fumat odorem maris. Ob id qui- dam cx scopulis colligi putant . (gg) Plin. XXHI. 5. -- Chrysocolla Rumor est in puteis per venam auri dfluens, crassescente limo rigoribus hyber- nis usque in duritiam pumicis. Laudatiorem camdem in acra- riis metallis, et proximam in argentariis fieri. compertum est. Invenitur et in plumbaritis vilior ctiam auraria . In omnibus autem his metallis fit et cura multum infra natu- ralem illam ; immissis în venam aquis leniter .... dein sic- catis .. Nil aliud chbrysocolla esse quam vena putris. Nativa duritia maxime distat ; luteam vocant . (Ah) Some experiments and observations ( Philos. Trans. 1815. ) 1 (i )-Del porporisso , e dei colori chiamati floridi , degli antichi ( Mem. dell’ Istit. Ital. 1809. ) (22) Plin. ib. Ia quoque ( chrysocolla ) herba quam luteam appellant ; tingitur .... Tunditur in pila , detnde tenui cribro secernitur ; postea molitur , ac deinde tenuius sic cri- bratur .... Pulvis în catinos digeritur, et ex aceto maceratur ut omnis duritta solvatur. Ac rursus tunditur, dein lavatur in conchis , siccaturque. Tunc tingitur alumine schisto , et herba supradicta , pingiturque antequam pingat . (mm) Plin. ‘ib. Summae commendationis est. ut colorem herbae segetis laete virentis quam simillime reddat . Visum- que jam est Nervnis principis ispectaculis arenam circi chry- socolla sterni , cum ipse concolori panno aurigaturus esset s introducta opificum turba . (nn) Plin. ib. Luteam putant a lutea herba dic'am quam ipsam caeruleo subtritàam pro chrysocolia inducunt , vilissi mo genere , atque fallacissimo, Ni ee deli 307 ( 00) Plin. XXXV. 6. Sunt etiammuns novitii duo colores e vilissimis; viride quod appianum vocatur ; et quod chryso- collam luteam nventitur .... Fit em creta viridi ..... (pp) Plin. ib. Armenia mittit, quod ejus nomine appella- tur. Lapis est hic quoque chrysocollae modo infeetus . Opti- mumque est quod maxime viride, communicato colore cun caeruleo , (99) Plin. ib. Atramentum quoque inter factitios erit ..' Fit enim et fuligine pluribus modis , resina vel pice exustis . Laudaticsimum eodem modo fit è taedis.Adulteratur forna- cium, balneorumque fuligine , quo ad volumina scribenda utun- tur. Surit qui ex vini fece siccata ERCOQUANE Polignotus et Micon , celeberrimi pictores, e vinaceis fecere ; tryginon ap- pellant . Apelles commentus est ex ebore combusto facere, quod elephantinum wocant. \ (rr) Plin ib. Omne autem atramentum: sole perficitur; li- brarium \gumami , tectorium glutine admixto . (ss) Plin. ib. tt etiam apud infectores ex lore nigro qui adhaerescit aereis cortinis .... Est et terra geminae origi- nis . Aut enim salsuginis modo emanat , aut terra ipsa sul- phurei coloris ad hoc probatur . ( <) Plin. ib. Apportaturi et indicum ex India, inexplo- ratae adhuc inventionis mihi... Fit, et e tedis ligno combusto, tritisgue în mortario carbonibus . Mira in hoc sepiarum. na- tura; sed ex his non fit. ) (uu ) Plin. ib. £x AD venit ; cicerculum' appellant . ( vv) ib. Paraetonium nomen 1a habet ex Aegypto: spu- mam maris esse! dicunt solidatam: cum limo, et ideo conchae minutae inveniuntur in eo. Fit, et in Creta insula atque Cy- renis. Adul teratur Romae creta cimolia decocta , conspissata- que. E candidis coloribus pinguissimun et tenacissimum pro- pter laevorem . Melinam candidum et ipsum est: optimum in ‘Melo insula. In Samo quoque nascitur; séeil'eo ‘non utuntur pictores propter nimiampinguedinem . ...;». Cretulam amant, udogue illini recusant . Est et color tertius e candidis , cerussae; cujus rationem în plumbi metallis diximus. Fuit et terra per se inventa Smir- nae, qua pictores ad navium picturas ‘utebantur ; nunc omnis ex AT et aceto fit. L ‘n 308 Anulare quod vocant , candidum est j quo muliebres pi- sturae illuminantur . Fit .... ex creta .... admi'xtis vitreis gem- mis ex vnlgi anulis, unde et anulare dictum + J BELLE ARTI BIBLIOGRAFIA. Catalogo ragionato de’ libri d' arte e di antichità posseduti dal Conte CicocnarA. Vol. 2. in 8° - di pig. 830. compresovi un indice degli autori . Pisa 1821. presso N. Capurro, e in Firenze. al Gabinetto Scientifico e Letterario ‘di G. P. Vieus- i Seux . x piena si compiaccia di percorrere questi due vo- lumi si persuaderà agevolmente del pregio, in cui debbe tenersi la doviziosa raccolta del celebre conte Cicogna- ra, non tanto pel numero , quanto ancora pel merito de’ libri che la compongono . Una, ragguardevole colle- zione di 800 opere diverse; la. massima. parte delle quali arricchite di tavole e disegni d’ ogni genere per- tenenti tutte alle belle arti alla loro storia , all’an- tiquaria e a tutte le altre umane discipline che con quelle hanno una qualche relazione, forma una biblio-. teca che può a ragione consiilerarsi.come una delle più preziose di Europa , e degna di succedere inv credito a quelle che possedevano il celebre ab. Bianconi, è il coltissimo cav. Giuseppe Bossi, meritissimo segretario il primo dell’accademia milanese, l’altro esimio e dotto dipintore . i 309 Il conte Cicognara ha divisi i libri di questa sua collezione in due parti , la prima delle quali è più spezialmente destinata allo studio delle belle arti, la seconda a quello dell’ archeologia . Incomincia la prima parte con una serie di trat- tati teorici e pralici, preceduti o accompagnati dagli storici dell’ arte in generale ; ai quali tengon dietro gli scrittori di pittura, di disegno, d’intaglio, di scoltura ; le opere elementari per lo studio della fi- gura e dell’ornato, e quelle dell’ anatomia applicata alle arti. Ne vengono dipoii trattati di architettura, di prospettiva, di architettura teatrale, di tutti gli altri edifici e. macchine d’ ogni maniera , e di ciò che concerne al materiale per uso di edificare. I poeti, i favoleggiatori, che all’ interesse poetico uniscono il corredo di figure; gli scrittori sul bello, le lettere pittoriche, le orazioni accademiche; le feste, i trion- fi, gli spettacoli, i funerali , i costumi antichi e mo- derni, gli emblemi ; gli-autori di fisonomia; le col- lezioni di ritratti, i libri figurati, le vite istoriate , non meno che i dizionari e, gli abecedari completano questa prima parte. Nella parte seconda del catalogo contengonsi i libri di antichità in dele ahi quelli FPAIINOS: ai monumenti delle diverse nazioni, cioè gli arabi, gli egiziani, gli indici, gli etruschi, i romani, i greci, gli ercolanensi. Succedono dipoi i trattati di numismatica , di glittografia , le iscrizioni, le galle- rie, e le opere di pennello e di scalpello illustrate : Je illustrazioni di Roma ‘antica e moderna, le ve- dute e descrizioni di città e di monumenti , le così dette guide per le singole città, i cataloghi per ven- 310 dite di oggetti di belle arti, finalmente i libri che concernono la mitologia, le sacre immagini o i costu- mi religiosi . Non intendiamo però d’aver tutte raccolte sotto questi sommi capi le opere che in questo catalogo sono registrate; poichè molti libri di varia erudizio- ne, i quali però hanno sempre una più prossima 0 più lontana relazione colle belle arti, sono compresi sotto altre classi. Quindi è che il presente catalogo può essere utile non solo agli artisti eruditi, a’quali potrebber giovare le cognizioni che risguardano alle diverse diramazioni delle medesime, ma eziandio agli eruditi letterati e bibliografi , i quali, oltre le ssplici notizie dei libri e delle edizioni , troveranno un pascolo soddisfaciente nelle frequenti ed impor- tanti annotazioni che ai più pregiati libri per rarità di edizivne o per merito intrinseco sono apposte . È questo basti in quanto al generale merito di questo catalogo . Discorrendo poi in quanto al merito individuale di questa collezione potremmo citare moltissimi libri di gran pregio per la rarità, per la conservazione, per la bellezza, e per la provenienza loro, fra i quali un ragguardevol numero stati già della biblio- teca del Tuano , e posseduti in prima dal Villoison, dal M. Maffei, dal Mariette , dall’ Agincourt , dall’ab. Bianconi, dal pittore Giuseppe Bossi, e da’ medesimi arricchiti di importanti annotazioni ‘e pe- stille autografe. Ma ci limiteremo a notare che sono cinquantaquattro diversi esemplari di un solo autore, | cioè di Vitruvio, compresi nel catalogo dal numero 691, al 744, nelle diverse lingue lstidta, italiana , e Ri” D 31% inglese, francese , tedesca e spagnola . Fra questi ci sembrano notabilmente preziosi i seguenti, che de- scriveremo colle stesse parole dell’ illustre posssessore. 6gi. Virruvia ( Marci ), de Architectura libri decem. Codex membranaceus cum literis auropictis saeculi XIV. Il codice è composto di 124 foglietti; sonovi alcune po- che figure , e i vocaboli greci al margine . Fu confrontato ; e corrisponde , con piccolissime varietà non essenziali, a’ due principali deila Vaticana ; e per la sua bellissima conservazione, e prima legatura , e lettere aurate, e nitidezza di pergamene il riteniamo di non comune preziosità. 692. Virruvu. M. De Architectura libri tres . Codex membranaceus in fol. Questo codice, che non giunge se non a tutto il terzo li- bro, è stato cominciato col massimo lustro ed eleganza, es- sendo la prima pagina interamente scritta a lettere d’oro, e le due seguenti alternate in oro, in lapislazzuli, e in porpora. Tutto il resto del codice è in minio e in nero, e della massima bellezza, non è però anteriore al secolo XV. Era della biblio- teca Corsini . 693. Virruvn. L. Pollionis de Architectura li- bri decem; editio princeps . Nel principio è la lettera di Giovanni Sulpizio al lettore : segue l’ indice: poi la lettera del cardinal Riario a Giovanni Sulpizio : vengono i dieci libri di Vitruvio che finiscono. con una carta di errata col registro : infine Sexti Julii Frontini Consularis de aquis quae in urbem influunt, libellas mira- bilis: nell'ultima carta è il registro de’fogli. In fol. senza luogo ed anno . Questa è la più rara e pregiata edizione di quest’ opera , per esser la prima non solo, ma perchè il suo testo è bastan- temente corretto. Esemplare magnifico in vitello dorato . Era della biblioteca Corsini . 694. -- De Architectura libri decem . Sexti Julii Frontini de aquaeductibus liber unus: Angeli Pol- 312 ciani opusculum, quod Panepistemon inscribitur : An- geli Policiani in priora Analytica praelectio, cui ti- tulus est Famia . Florentiae impressum anno a Natali Christiano 1496. in fol. Non si puo indovinare l’ editore, nè lo stampatore di questo testo, in cui trovansi alcune poche varietà dell’edizione principale ec. Tre o quattro figure. di semplici quadrati non bastano a poter dirlo fra’ Vitruvi figurati :“alcuni erroneamente un tempo lo riputarono prima edizione. L’anno di stampa trovasi dopo il X. Libro , prima degli opuscoli e del Frontino. H testo è preceduto da due soli foglietti colle tavole dei capi- toli e il frontespizio . In tutto il volume sono 86 foglietti . Esemplare di bellissima conservazione . Succede a questa ‘al N. 695. un edizione del 1497. in fol. Venetiis per Simonem Papiensem di- ctum Bevilacqua , che oltre il Frontino e gli opuscoli del Poliziano contiene Cieonidae Harmonicum Intro- ductorium . AL N. 696 il Vitruvio emendato da fra Giocondo e stampato in Venezia da Giovanni di Tridino alias. Tacuino nel 15r1. in fol. Al 697. lo stesso stampato mel 1513. in Firenze da Filippo Giunti , con le correzioni autografe al Frontino del Marchese Poleni. AI Num. 698 il Vitruvio tradotto dal Cesariano e stampato a Como nel 1521, appar- tenente già al Tuano. Al 702. l’ edizione del 1523 senza luogo e nome dello stampatore, esemplare pre- zioso per le profonde e dottissime illustrazioni, corre- zioni e figure marginali fatte a penna , di scrittura del secolo XVI, le quali non trovansi in veruno dei com- mentatori che si conoscono, ma confrontano con le dot- trine palladiane in tutti i luoghi che coincidono sullo stesso argomento . Ne vi mancano altre edizioni e le varie delle più insigni traduzioni del Durantino , del Caporali, di Jean Martin, di Jean Gardet, del Per: vlc # Pei ne gie — e = | i 313 rault, del Rivio , di Ortiz y Sanz, del Galliani, di W. Newton, dell’ Orsini, di Wilkins: nè quelle colle no- -te e illustrazioni del Filandro, di Daniel Barbaro, di Gio. Laet , di Gio. Schneider e d’ altri che han seguiti e illustrati nelle opere loro i precetti del romano ar- chitetto, come il Fea , il Salviati , il Bertano , il Baldo, il Rusconi , 1 Ortis ec. Ma fra gli altri esemplari sembraci che sià nota- bile il seguente , 718. Vanno: M. I dieci libri tradotti e com- mentati dal Barbaro,. Venezia appresso il Franceschi _ 1567. in 4. figurato . Ecco come il suo possessore ne dà notizia . Questo è l’ esemplare autografo, sul quale studiò per di- versi anni Vincenzio Scamozzi, ed è tutto postillato di sua Ss mano con incredibile ricchezza di osservazioni critiche e pre- ziosissime: sonovi pagine intere d’ illustrazioni, e da questo pre- zioso manoscritto sarebbesi tratta una nuova e singolare edi- zione , in cui si sarebbero viste in conflitto le opinioni degli uomini più dotti. Leggesi in fine. »» Fine sia alla fatica fatta da me Vincenzio Scamozzi Vi- centino nel leggere Vitruvio commentato da Monsignor Daniele Barbaro TR patriarca d’ Aquileia, per la terza volta, con l avere notato tutte le cose notabili, ed in tutto ho trovato , come nelle apostille in margine si vedrà, per la prima lettura notato. E questo principiai li 9 Aprile 1574. fino al dì d’oggi 2 Luglio 1574, il che posso dire la prima volta ch’ io lo lessi haverlo udito, la seconda la quale fu-senza il comento del Zop- pino, haverlo goduto; e la terza che è questa haverlo giudica- to: nel che ho conosciuto quanto sia da seguirlo a chi vuole di tal fatica haver meritevol frutto ; e così ogni studio voglio iù esso pare , trovando che egli ha ragionato di tutte , o al- j meno le più difficili e bisognevoli parti dell’ Architettura e bi- © sogno dell’ Architetto , il che se molti conoscessero non così Erica si vanterebbero di essere. architetti che appena sanno quello che gli appartiene. Vincenzio Scamozzi Vicentino. L'ARI Novelhbre # 21 314 Questo esemplare appartenne all’ architetto Selva , dope la cui morte fu acquistato dal conte Rizzo Patarol, il quale veggendo che poteva con decoro illustrare questa nostra ‘ serie di vitruviane preziosità, ce ne fece con nobilissima munificenza il generosissimo dono , sebbene egli sia fornito d’ altre molte sontuosità in materia di libri i più ricercati . Forse taluno potrebbe desiderare che nel presente. catalogo si trovassero indicati i prezzi, se non di tutti, almeno dei libri più rari, e più preziosi che vi sono registrati; non tanto secondo l’ estimazione data .a quelli da altri bibliografi, quanto ancora giusta il va- lore dato loro dal possessore. Ma egli si protesta di non aver già preteso di offrire un catalogo completo dei li- bri d’arte ed antiquaria, ma solo di pubblicare l’elenco 2 dei libri da lui posseduti; e di porre sotto gli occhi FeLih b) degli artisti, e degli amatori delle arti vari oggetti non comuni, e forse in maggior copia di quel che non ap- pariscono ordinariamente nelle grandi Biblioteche . Quanto poi allo scopo , e alle ragioni che lo determinarono a formare queste raccolte egli così l’ espone nel proemio . Se mai avvi un momento in cui il sussidio delle lettere e degli studj arrechi sommo conforto , egli è certamente quello in cui l’imaginazione ed il cuore sono preoccupati da idee melanconiche nel fuggire degli atni ridenti , coll’ avvicinarsi il gelo dell’ età troppo matura'. E memore di quel detto di Cicerone , che simili occupazioni, oltre l’ alimento che danno alla gioventù e il diletto che porgono all’ età senile, anche zr adversis perfugium , ac solutium praebent, io mi diedi intero alle arti, alle antichità ed ai libri, con farmi di loro in tal modo scudo ed asilo contro la non lieta fortuna. Nulla adunque a me più caro di questi muti testimonj delle mie affezioni, raccolti nel l’ epoca che segna, il fine della giovinezza, e dà principio alla maturità : e se le varie annotazioni che per sola mia norma e soce )rso della memoria andai segnando sui margini del mio ca- talogo, ora comparendo alla luce riusciranno di utilità o di pascolo alla curiosità di qualche studioso , verrà in tal guisa r 315 : yeso anche un omaggio a questi compagni della miglior parte della mia vita, che m'’ ispirarono altresì la voglia di contribuire colle mie forze all’ onor dell’Italia, studiando di aggiugnere alle patrie glorie colle tenui opere mie . Troppo mi avrebbe incre- sciuto il rimprovero d’ uom neghittoso , dopo essere pienamente convinto della necessità che ognun debba contribuire , e nes- suno abbiasi a sgomentare, sul prestare il sussidio dell’ opera propria in qualche ramo di pubblico servigio e di utilità ge- nerale . Credetti doversi tenere a sdegno non tanto l’ orgogliosa jattanza , quanto |’ indolente modestia ; le quali servono talvolta di mendicato pretesto per ritirare chi non abbia infermo il corpo o lo spirito dall’ adempire a questo, sacro dovere . E molto meno in tal circostanza so contenere 1 amarezza che vienmi dal vedere alcuni preclari ingegni irritarsi e am- mutolirsi per certa opposizione, contro la quale sarebbe im- presa tanto onorata il resistere con generosa fermezza ; poichè non si avveggono che le diatribe, le sette, »e le rivalità di parte in cui studiansi di mantenere o dividere l’ italiana letteratura alcuni prezzolati aristarchi, è opera soltanto dei veri nemici sde- gnati della gloria del nostro nome . Il prender di mira e far guerra alle cose, d’ omeri troppo forti abbisogna , ed è perciò che con mercenario aecorgimento si assoggettano alcuni a muo- verla alle parole , affinchè si ritardi il progresso dello spirito umano col quéstionar sulle ciancie; dal che deriva che, oltre le divisioni imposte dalla natura, seguano tra i popoli che parlano la stessa lingua, quelle ancora delle elocuzioni . Quindi molti- plicandosi gli areopaghi, si attizzano le intestine discordie : e si serve alle mire d'ogni avversario della nostra grandezza, inalbe- rando lo stendardo delle tenebre contro quel della luce. Per la qual cosa non sarà da meravigliarsi che ogni straniero sogghigni scorrendo i giornali d’ Italia, ove sì poco trovasi di filosofia ra- zionale , di economia pubblica , di.milizia , di utili scoperte , e d’altre materie gravissime, che furono i nostri primi studj, e che ricevettero tanto oltraggio dalle persecuzioni e dalla forza | prepotente della popolare ignoranza, che schernì, o proscrisse ciò che non fu educata a conoscere e venerare . Il grado di onore che può competere alle nazioni, le quali pretendono a una certa grandezza, sarà maggiormente elevato, quanto sarà più eminente la loro coltura e la lor civiltà . Quindi è ginsto che facciamo voti, con ansietà di vederli esauditi , perchè tutti coloro verso i quali . sappiano fare de’ doni di quella lo stesso nobile uso. 080» È > » JIN Ù fu generosa la fortuna, in un modo o in un altro che far ne seppe il conte Cicognara, a decoro ed a pro della patria loro; e che diamo giusto tributo di Jode al discernimento ed al gusto che. distinguono il possessore di questa biblioteca . Prenderemo infine occasione di rammentare che il conte Cicognara non è già un oziose raccoglitore di libri, ma che ha arricchito le arti con varie opere che ci giova annoverare in questo luogo . a 1 Catalogo delle Opere del Conte Lroporno Utena 1 Storia della Scultura dal risorgimento delle belle arti in Ita- iia fino al Secolo di Napoleone . Vol. 3. in fol. con i81 tav. in rame . 1 2 Le belle arti: poemetto in tre canti con note ed alcune piccole incisioni dell’ autore . 3 Memoria intorno al quesito : se Simon Memmi fosse anche scultore . 4 Vita di S. Lazzaro monaco e pittore . 5 Memoria intorno all’indole degli scritti di Francesco Milizia. 6 Continuazione delle memorie istoriche dei letterati e artisti ferraresi . 7 Dell’ origine delle Accademie - died 8 Elogio di Giorgione . 9 —— di Tiziano. 10 di Palladio . tr —— di Antonio Foschini architetto . 12 Lettera sulla Polinnia di Canova . 13 De Propilei e de’ perni metallici. ; 14 Estratto del Giove Olimpico del sig. Quatremere. 15 Lettera sopra alcune controversie intorno al Panteon . 16 Opuscoli su i Cavalli antichi di S. Marco . 17 Relazione di due quadri di Tiziano . 18 Prose intorno alla grazia e all’acconciatara del capo . 19 Del Bello , ragionamenti . 20 Intorno al codice di Teofilo monaco. Mr e = iena air cia sr RI 317 BELLE ARTI 14 oyage pittoresque de Costantinople eci Piaggio pittorico di Costantinopoli, e della riva del. Bosforo sopra i disegni del sig MreLrrne, disegnatore e architetto della Sultana Hadidge soretta di Selim JII. pubblicato dai sigg. TreurieL e Vurrz. Due volumi in gran foglio atlantico, che uno di testo ed uno di tavole in numero di 62 nelle più grandi dimensioni; prezzo franchi 1560, Parigi 1821. (1) Dacca l’arte dell’ incisione è concorsa ad illustrare i videgi pittorici, poche contrade dell'Europa sono state trascurate da- gli artisti. La sola capitale dell’ impero Ottomanno, e le sue magnifiche adiacenze non erano state per anco disegnate, e frattanto niun’aliro paese più di quello interessare poteva il dilettante, e l’ artista, nè riunire in più piccolo spazio mag- giori rarità . Due parti del. mondo, ‘1’ Furopa e 1’ Asia, che si toc- cano: due mari, la Propontide, ed il Ponto-Euxino, che col mezzo di un largo, e rapido canale si uniscono: 1 aspetto di ridenti colline, di promontorj, di isole, di spiaggie, che placidamente scendono al mare;, a quel mare che a guisa di fiume lambisce un terreno sparso ‘di abitazioni, o di gruppi d’ alberi: la memoria dell’età trascorse: lo spetta- colo di usanze, di costumi, e di riti tanto dai nostri di- versi, formar deve un ‘complessò da fissar lo sguardo, e far nascere il desiderio di porne l’immagine sotto gli occhi di (1) Quest’articolo ci è stato rimesso prima degli ultimi avvenimenti, in conse- « guenza dei quali i Franchi han perduta quella tranquillità, di cui godevano in | Costantinopoli. Questi avvenimenti danno un maggior interesse al viaggio di cui rendiamo conto, inquanto che i nostri artisti non potranno ricuperar forse per lungo tempo frai Turchi lalibertà, la sicurezza, e la protezione che si richiede x per tentare altri lavori simili a quello a , a cui sì è consacrato con tanto suc- cesso il sig, Melling. Nota dell’ Editore 318 quelli che non possono personalmente recarsi a contemplare sì fatte meraviglie. Considerando a prima vista i diversi quadri a compor- re i quali tante bellezze concorrono, dobbiamo esser sor- presi come prima d’ ora non siasi pensato ad offrirne all'Eu- ropa una raccolta; e riflettendo d’ altronde alle difficoltà che i pregiudizi dei musulmani dovevano far nascere per chi avesse osato tentare simile intrapresa, dobbiamo essere grati al sig. Melling, che seppe superare tutti gli ostacoli, e che presentando al pubblico un viaggio pittorico di Costantino. poli e delle rive del Bosforo ha sodisfatto alla brama uni- versale dei dotti e degli artisti. Il sig. Melling abile artista francese essendosi trasferito fin dalla sua prima gioventù in Turchia, facilmente contrasse _ l’abitudine di conformarsi agli usi ed ai costumi degli orien-_ tali. Imparata la loro lingua seppe con tal mezzo inspirar loro fiducia, e così distrusse gli ostacoli i quali nascono dalla diffidenza che inspira nell'animo dei Turchi tutto ciò © che porta il nome di Cristiano, cosicchè egli giunse persino a cattivarsi il favore della corte ottomanna . La Sultana Za- didge sorella di Selim III. lo creò suo architetto, e affi- dò al medesimo l’ abbellimento dei suoi palazzi. Il Sultano stesso lo incaricò «di alcuni lavori per l’ interno dei palazzi» imperiali, e specialmente per il casino di campagna, chia- mato Beschik Tasck. Con tali mezzi il sig. Melling potè conoscere alcuni usi che fino a quel momento erano restati ignoti agli Eu- ropei. Egli disegnò con egual cura i luoghi misteriosi ove la metà del genere umano vive senza gustare le dolcezze della vita, ed i bei siti che trovansi nelle campagne che quei luoghi circondano; e mediante il suo lungo soggiorno in quelle contrade potè accuratamente scegliere i soggetti, e “dar loro la più gran perfezione. Dopo diciotto anni di assenza, ritornato in Francia, in- coraggito dai più illustri viaggiatori, dal conte Choiseul» Gouffier , € dal barone Vivant-Denon, si occupò nel pub- las 319 blicare le resultanze di sue grandi fatiche, e non ostante la immensità della spesa che simile intrapresa richiedeva, ebbe la soddisfazione di trovare i libvaj 7Y:cuttel e Wurtz disposti ad incaricarsi dell’ edizione di un’ opera superiore a quante ne erano mai state fatte. Il sig. Carlo Lacretelle assunse la re- dazione della parte descrittiva, e la sua penna elegante seppe dar vita alla composizione delle stampe eseguite dai più abili bulini, sotto la direzione del celebre sig. Nee, nella più gran dimensione , essendovene perfino di 34 FORD so- pra 18. Tralasciando ciò che potrebbe dirsi respettivamente al testo, ci occuperemo delle tavole, la collezione delle quali incomincia col prospetto dell’ Lol di Tenedos. Sebbene que- sta isola non sia interessante che per là memoria dei tempi antichi, pure il sig. Melling ha creduto far cosa grata, dan- done il disegno unito a quello della costa della Troade, che il viaggiatore vede sulla sua diritta, prima di imboccare lo stretto dei Dardanelli. L'isola Tenedos presenta è vero una comoda rada per i bastimenti che vengono da Costantinopoli, ma per poco che soffi con violenza il vento nord, esso gli spinge sopra un banco di sabbia; il che giustifica il detto di Virgilio stato malefida carinis. Soggetto di altre tavole so- no i forti destinati a difendere il passo dei Dardanelli. Co- struiti da Maometto II. per lungo tempo sono stati formi- dabili più per la loro fama, che per la realtà della loro forza. Uno di essi fabbricato sulla costa dell’ Asia per la vicinanza di una considerevole fornace da pentole porta il nome di Dehatak-Kalessy (castello delle pentole) 1° altra fabbricato in Europa sulla terra di Maydos (il Madytos di Xenofonte) ha il pomposo nome di Seddul-Bachr-Kalessy (argine del mare) ed è una torre merlata cinta da doppio muro, l’ultimo dei quali è fiancheggiato da altre due torri. In altre tavole si vedono i due forti che assicurano }in- gresso dello stretto dalla parte della Propontide. La veduta del castello delle sette torri succede naturalmente a quelle dei Dardanelli, Situata alla estremità della Propontide, que- 320 sta’ specie di cittadella di forma pentagona, ha ricevuto il suo nome dal numero delle torri che altre volte vi esiste- vano, e delle quali ora se ne vedono sole quattro. In una di queste si giustiziavano nel secolo scorso i grandi, che erano caduti in disgrazia, e quella che vedesi dalla parte di terra, per molto tempo. è stata il carcere degli ambasciatori esteri in tempo di guerra; ora non più, essendo i medesimi tra- sferiti nella casa del comandante del castello, ed il loro seguito alloggiato nei quartieri della guarnigione. Il gruppo delle isole dei principi, luogo esso pure di esilio, le quali in numero di quattro trovansi del pari nella Propontide, ha in seguito occupato il sig. Melling, il quale per meglio earatterizzarle, ha fatto entrare nel suo disegno un gruppo di isolani Greei che danzano al suono di un mandolino, e d'un flauto campestre . xi Un sito pittoresco: dei piacevoli casini di campagna: una dolce temperatura: una grande abbondanza di fiori, e di frutti: il vantaggio in fine di sfuggire per la sua oscu- rità alle risse, ed ai massacri, dei quali la città di Costan: tinopoli è spesso il teatro, ecco i soli avanzi dell’ antica Calcedonia, della rivale di Bisanzio, di fronte alla quale era costrutta, della città sede del culto di Venere; o per meglio dire ecco i pregi della terra di /ady Kiewi (borgo del cadì) ‘Dopo di aver dato il diseguo di questo villaggio lar- tista ci fa vedere in tutta la sua lunghezza il porto di Costan- tinopoli, partendo dal promontorio di Acropolin ora .Serai- Bournou (punta del serraglio) fino al sobborgo di £yowb, (l'antica Ebdome), ove i Patriarchi di Costantinopoli sacra- rano gli Imperatori, e dove il Gran-Signore va ancora a cingersi la sciabola, in forza della quale regna sulli Ottoman= ni. La veduta generale di Costantinopoli presa dalla torre di Leandro è ravvivata da una festa turca, 0 piuttosto cerimo- nia imperiale: il Sultano che con numeruso seguito attra- versando il Bosforo và alla moschea di Scutari: una gran quantità di grossi battelli formano il corteggio del medesimo, il quale in piccolo spazio di tempo dall’ Europa passa in "=" © 321 Asia, ove lo attendono giuochi, danze e mille altri diver- timenti adattati al gusto, ed ai costumi di quella nazione. Il sig. Melling esponendoci le cerimonie che si usano per il ricevimento di esteri ambasciatori ci fa conoscere parte dell'interno del Serraglio, e presentandoci la veduta del palazzo della Sultana Hadidge ci svela i più ascosi recessi dell’harem: vantaggio dovuio alla carica, alla quale questa Sultana lo aveva inalzato. Le tavole, che rappresentano 1’ arsenale, il quartiere di Top-Hanè, l’ippodromo, la fontana di Sarivery ec. meritano i più giusti elogi, ma quelle che pongono sotto i nostri oc- chi i bei contorni della capitale dell’ impero degli Osmanli destano meraviglia . | lì sig. Melling ha consacrato molti disegni a farci co- noscere le bellezze di Buyuk Derèe (la gran vallata) paese ameno in riva del Bosforo, che i Greci chiamavano Kalos agros (bella campagna) del quale i viaggiatori che hanno soggiornato in Costantinopoli parlano con entusiasmo . H villaggio di Buyuk-Derèe fabbricato in anfiteatro sul golfo che i Greci chiamavano Bathy-kolpos alla distan- za di quattro leghe da Costantinopoli, e di tre dal mar nero si compone di case regolarmente fabbricate, il piano superiore delle quali serve ordinariamente di abitazione al padrone, che passa una parte del giorno assiso sullo sporto del balcone sgloriatamente contemplando il sito sul quale la sua dimora si inalza. Poco lungi di là trovasi 1’ altro casale di Sari-Yeri, la vallata del quale è bagnata da due. sorgenti minerali. Seguitando le colline, che gradatamente si inalzano dietro questi villaggi, si giunge ad altezze con- siderevoli, dalle quali sgorgano le sorgenti, che mantengono perenne l’acqua negli acquedotti chiamati Beg.ek/e-Kenik. Questi acquedotti che vengono attribuiti a Giustiniano hanno dato all’artista francese bellissimi soggetti per i suoi\Wdisegni, Il terreno che i medesimi attraversano , e le‘arcate che gli so- stengono di mirabile lavoro richiamarono «una. speciale atten- zione del sig. Melling, il quale aveva troppe cognizioni per tra- 322 scurarli. Ze Beadn, o vaste conserve, che nella foresta di Bel- grado (la quale incomincia a quattro leghe da Costantinopoli 3 e che per uno spazio di 25 leghe copre le rive del mar nero , e giunge fino alla Croazia ) servono a riunire le . acque che discendono dalle adiacenti colline , e che per mezzo della comunicazione , che hanno coll’acquedotto di Bourgas contribuiscono a fornire di acqua Costantinopoli, hanno meritamente occupato l'artista. La più grande di es- se è un monumento dovuto al Sultano Makmud , che la fece scavare circa l' anno 1740. Essa è lunga 4oo piedi , larga 60 , e profonda 130. Le carte topografiche del Bosforo di Costantini dei suoi contorni meritano i più grandi elogi. Le fatiche degli ingegneri astronomi Kauffer, Lebrun , Coudn, Lafit- te, Clavé, Dumas, Bonneval, e di molti altri sono state po- ste a profitto, e le cognizioni di questi danno la certez- za di un esatto lavoro . Descrivendo le rive del Bosforo, e dimostratone i di- versi aspetti, ci fa comprendere l’autore il sistema di di- fesa stato adottato per rendere il passo di questo stretto per quanto si poteva impossibile. Il vero sistema di difesa per il Bosforo incomincia dal villaggio di ZRarapia presso del quale all'oggetto di proteggere Y ancoraggio di Buyuk Derèe è stata eretta una batterìa, mentre un’ altra copre in parte la punta di Kireteh-Bournou . Esse sono. state costruite nel 1807 sotto il ministero di 7chelebi- Effendi, colla direzione del colonnello del genio Boutin. Più lon- tano alle falde della montagna del gigante il forte di /ou- dja incrocia î suoi tiri con quelli del forte Y'eli- Tabie ele- vato nel 1795 sulla riva opposta: questi sono epera dell’ uf- fiziale del genio Mounier, il quale un anno avanti aveva aumentato i due Kassaks di Asia , e di Europa, inalzati nel 1783 dal construttore Toussaint, e che si legano a que- sto sistema di fortificazione. Questi forti che dominano la parte più stretta del canale hanvo rimpiazzato Je antiche fortificazioni dei Genovesi , Je quali erano state fabbricate 323 su quelle dei Bizantini , e dei Calcedoni. Seguitando il ca- nale, riscontransi due altri forti sulle punte opposte di Koro Jack-Atti, e di Fil.Bournou, che nel 1806 secondo il piano dell’uffiziale del genio Jousserant rimpiazzarono le batterie state inalzate nel .785 dagli uffiziali Lafette-Clavé, e Mou- nier. Vengono in seguito i castelli di Karibtche e di Poi- ras, la situazione dei quàli è fortissima: fondati nel 1773 dal barone di Toti sono stati successivamente perfezionati nel 1783, ed ultimamente nel 1807 mentre era ambascia- tore di Francia presso la Porta il Generale Sebastiani. I due forti detti Fanaraki ( fanali di Europa ) e Anaduli-Feu- cri ( fanali d’ Asia ) terminano questa doppia linea di dife- sa. Fabbricati da un’ architetto Greco , a diverse epoche sono stati migliorati, ma per la loro lontananza noa poten- do incrociare i loro tiri sono poco utili, ed è stato necessa- rio costruire due batterie più ravvicinate. Sebbene con essi terminassero le linee proposte, pure è stato creduto pro- prio prolungarle sulle rive del mar nero per prevenire non tanto l’ avvicinarsi delle flotte, quanto lo sbarco di truppe in prossimità della capitale. A tale oggetto è stato incluso nel sistema adottato il forte Ki/a, che con alcune batterie fra loro collegate protegge la spiaggia dalla parte di Euro- pa, come il forte Riva che guarda in egual modo la spiag- gia Asiatica. Costantinopoli stessa non è straniera a questo sistema : questa città che comprende circa a (00,000 abitanti (2), i quali per la maggior parte albergano in case di un sol piano , separate lune dalle altre da dei giardini, fabbricata sopra di una lingua di terra triangolare, è protetta da due parti dal mare , ed è difesa dalla parte di terra da un doppio muro opera degli Imperatori Greci , sicché ella presenta u- na difesa da poter dire esser ella fortificata più assai di quel- lo che comunemente si crede . Li . La . . È È (2) Noi daremo în un prossimo fascicolo del nostro giornale un altro artico- lo nel quale la ben problematica popolazione di Custantinopoli vien, valutata molto di più, 324 Terminiamo quì questa breve, e forse incompleta ana- lisî del viaggio pittorico, la quale per essere apprezzata quan to merita, sarebbe necessario che fosse sotto gli occhi dei nostri leggitori 5 ma confidiamo nel pensare, che se gli arti- sti non potranno fare acquisto di un opera così utile ma così | dispendiosa , potranno incontrarla nelle pubbliche biblioteche. j S. SCIENZE NATURALI M 1 Lettera del Marchese Cosimo Riporri al Professore Q. TaAppEI intorno ai nuovi fenomeni elettro-ma- gnetici, Firenze primo ottobre 1821. C.A. | pe de’ novi fatti-in appoggio de’ miei pensieri intorno ai fenomeni elettro-magnetici. Questi non son desunti da’ miei proprj esperimenti, ma iv parte da uno , spontaneo fenomeno naturale accuratamente osservato : dal P. Pictet, in parte da ingeghose ricerche, che la sa- gacità del sig. D. Poenitz sr e compire. Un fulmine caduto in Ginevra sopra una casa sprovvista di conduttore propriamente detto, ma mu- nita nella sua costruzione d’ una specie di gabbia me- tallica, che poneva ogni parte della travatura in comu- nicazione col suolo servi di prova dell’ efficacia di quel sistema a prevenire i funesti effetti del totrente elettri- co, e diede luogo a osservare in grande ciò che il sig. Moll avea artificialmente fatto vedere, cioè due furi ben è “ rape giò fr 325 distinti là, ove l'elettricità s° apre una via rompendo la continuità della superficie d'una lamina, e forinati da correnti che si miuavono in senso opposto perchè esibenti' un contrario rovesciamento nei loro bordi. 1l detto fatto si manifestò su d’ una lamina di latta ful- ‘minata nella circostanza indicata, e i due fori, de quali ciascuno ha un diametro d’ un pollice, vedonsi fra loro distanti di quasi cinque pollici . La natura s’ è dungue finalmente pronunziata da sè stessa , e sembra averlo fatto quando l’arte avendo penetrato un suo segreto rendeva inutile la cura gelosa, che ne aveva preso fin Qui. Il sig. D. Poenitz dal cante suo crede poter con- cludere, dietro gli esperimenti de’ quali vi darò un cen-, no che la forza magnetica , che il ferro acquista non è prodotta in questo metallo, ma gli è semplicemente comunicata; che il ferro si magnetizza per la corrente elettrica sola, perchè questa si cangia attese certe mo- dificazioni in una forza magnetica; che la corrente elettrica forma un sistema di forze magnetiche indi- pendenti dall’ azione terrestre; che finalmente |’ azio- ne magnetica terrestre consta d’ 74 doppia corrente, l’ una dal basso in alto producente il polo nord, l’altra dall’ alto al basso producente il polo sud. Da queste conclusioni si rileva essere il sig. Poenitz d’ opinione che il magnetico sia una materia sui generis, che en- tra col ferro in vera combinazione; che questa materia possa esser somministrata al ferro dall’ elettricità come dall’ influenza terrestre, e ammettendo due correnti in questa, forza è che ammetta pur due correnti in quel- la, che una di flido australe, V’ altra di fluidoboreale. Affinchè l’ influenza terrestre spieghi con molta intensità la sua forza magnetizzante su d'un ago di x“ 326 ferro o di acciajo, il sullodato fisico ha trovato che giova aiutarla con de’ processi puramente meccanici, i quali si riducono allo sfregamento, alla percussione, alla tem- pera, ed io direi piuttosto a un subitaneo raffreddamen- to. Egli pensa che questi agenti non son cause dello svolgimento del magnetico nel ferro, ta son mezzi che rendon quel metallo più idoneo a ricevere il magne- tismo dall’ influenza terrestre. E qui giova riflettere che 1’ oscillazione delle mo- lecule del ferro , o ben anche la commozione, ché la scarica della boccia di Leida può indurvi now debbon riguardarsi come cause della magnetizzazione degli aghi per l’elettrico, ma forse come circostanze o mezzi . favorevoli aila fissazione del magnetismo nel ferro. Il sig. Poenitz ha magnetizzati gli aghi per sfre- gamento facendoli pasaar per forza tra le branche d’ una tanaglia ; per percussione tenendone un estremo immobilmente fisso , e facendo oscillar con violenza l’altra estremità , avvertendo che questo metodo rie- sce più attivo, quando invece d' oscillar liberamente si fa urtar l’ ago contro un corpo duro ; colla tempera finalmente facendo provare all’ ago il più violento ab- bassamento di temperatura . Eseguendo queste opera- zioni ( che tutte intendo di designare d’ ora in avanti per brevità colla voce manipolazioni ) sopra degli aghi tenuti in diverse posizioni , ecco ciò che il sig. Poenitz ha osservato . Un ago tenuto in una posizione orizzontale dall’ est all’ovest non acquista polarità magnetica sotto‘ le manipolazioni. L’ Autore indica oe avvertenze per non esseré indotti in errore ripetendo quest’ esperien- za ,e quindi fa altrettanto parlando del modo di ma- gnetizzar gli aghi colla tempera. e dle CE one e 327 Un ago tenuto e manipolato verticalmente acqui- sta il polo sud nell’ estremità superiore , e quello nord nell’ inferiore . Rovesciando 1’ ago , e facendogli pro- vare le manipolazioni medesime , che si usarono per magnetizzarlo la prima volta, la sua polarità s’ inde- bolisce, poi ritorna allo stato di semplice ferro, e quin- dii poli si mostran di nuovo come prima, ma trovansi rovesciati respettivamente a’ luoghi che da principio occupavan nell’ ago . Un ago piegato nella sua metà in modo che for- mandosi in questa un angolo acutissimo i suoi due lati abbian gli estremi molto vicini fra loro, questi diver- fanno entrambi polarizzati sud, se saranno manipolati guardando essi il cielo , nord se guarderanno il suolo ; nè apparirà differenza dal manipolarli conlemporanea- mente o successivamente. Io ho veduto che un estre- mo può divenir sud , e | altro nord col manipolar quello nella prima posizione , e questo nella seconda . Inoltre mi parve che la magnetizzazione che chiamerò a poli d’ un medesimo nome sia passeggiera , e quella a poli di contrario nome sia permanente . Un ago piegato ad angolo retto, e avente uno de’ suoi estremi diretto al nord , l’altro alla terra, se venga manipolato, acquista in entrambi il polo nord. Un ago egualmente piegato, se guardi coi suoi estremi il sud ed il cielo, mostra dopo le manipola- zioni due poli sud . In questi due ultimi casi i poli più sviluppati son sempre quelli che guardavano nelle ma- nipolazioni la terra o il cielo , e i più deboli quelli sono che sì trovarono nella direzione nord o sud . Mi sono assicurato che un ago manipolato mentre era tenuto orizzontalmente nella direzione sud-nord si magnetizza ma debolmente , e che un ago piegato ad 328 angolo retto; del quale uno degli estremi guardi il cielo o la terra, e l’altro l'est o l’ovest, acquista polarità sud o nord nel primo , e resta puro ferro nel secondo . Nelle mie esperienze ho adoprato una tanaglia d’ ottone , e credo d’ aver così allontanato il sospetto di previa magnetizzazione in quello strumento, so- spetto di ben meschina entità tostochè la magnetizza- zione si mostrava egualmente colla percussione, a com- pier la quale nessuno strumento sospetto concorreva . Voi rileverete facilmente quanta analogia siavi tra le opinioni del sig. Poenitz e le mie, o almeno quanto le di lui esperienze e conclusioni s' accordino facil- ‘mente coll’idee sistematiche , che mi sono formato in- torno alle cose elettro-magnetiche ec. , } terna del’ Prof. Gazzerì alle riflessioni del Sig. MancHizse Costmo firporFi sulle sue lineaditiigti osservazioni e fatti riguardanti 1 i fenomeni elettro - magnetici . Vedi Antologia T. 3. pag. doo. SS T i i N el tomo 3. pag. 327. dell’ Antologìa prendendo io a, ristabilire nei. suoi veri termini alcune proposizioni emesse da me in aliro precedente scritto ( Antolog. ul. 1. p. 431. ) e che il Sig. March. Ridolfi aveva sostan- zialmente cambiate nei suoi Pensieri Antol. T 3. p. 84. ne tolsi occasione di discutere i, fondamenti del le nostre discordi opinioni circa i fenomeni elettro-ma- gnetici . Susseguentemente lo stesso Sig. Marchese in al- cune sue Riflessioni inserite nel T. 3. pag. 500. della stessa Antologia; confessando d’ avermi fatto dir cose i | "I : 329 ron solo-diverse ma contrarie a quelle che io aveva dette ( lo che troppo rigido seco stesso egli vuol che sia colpa, sebbene involontaria ) cerca poi con sottile indagine in quel. mio secondo scritto tutto ciò, che a lui sembri errato, ancorchè estraneo al vero oggetto delle nostre discussioni , ed all’ interesse della scienza. - Trovandomi così portato fuori del cammino che io mi era prefisso , e volendo ritrarmene decorosamen- te, m'induco per ng volta ad una risposta, dichia- rando che in seguito prudenziali riflessi potranuo con- sigliarmi al silenzio, auche nel caso del più intimo con- vineimento di ragione . Primieramente a pag. Sor. il sig. Marchese mi addebita perchè, dicendo che una causa sufficiente a produrre un’ effetto può essere insufficiente a pro- durne un’ altro, abbia io adottato un principio non affatto rigoroso ove si tratta di fenomeni che fra toro non differiscono se non nel grado, non già nell'es- senza . ) Ma, senza la pretensione di stabilire un principio rigoroso , io credo aver proferito una proposizione tan- to vera quanto è vero che la scarica d’ una bottiglia di Leida, la quale uccide un fringuello, non fa alcun sul ad un’ elefante . É poi illusorio il dire , come nella no- ta, che quando s’impieghino, forze d' indole simile, sì può sempre aspettarne effetti proporzionali , giacchè l’effetto che si otterrebbe nel caso che ho citato in e- sempio sarebbe , che quella scarica ucciderebbe il frin- guello nella proporzione del sì , ed ucciderebbe 1’ ele- fante nella proporzione «del nò . Lo che mi sembra es- presso più propriamente da chi dica che ucciderebbe quello e non questo , e che capace di produrre un’ ef- fetto sarebbe incapace di produrne un’ altro . T. IV. Novembre 22 330 Ciò mi fa ricordare che nei miei verdi amni, in gran parte perduti , chi aveva impreso ad insegnarmi filosofia , dopo avermi detto che all’azione è sempre eguale la reazione, aggiungeva che ogni qual volta una formica sì muove, l’intiero globo terraqueo corrispon- de a quel movimento con altro proporzionato . Poco atto a gustare queste sublimi sottigliezze , io non con- templo se non effetti materiali e sensibili . Il sig. M. Ridolfi a pag. 502. suppone sè avere usata e non avere io avvertita nella nota 10. del pre- cedente suo scritto una formula generale indicante la conoscenza e la persuasione in lui che i poli omologhi di due aghi magnetici possano restare in presenza in qualunque direzione , anche fuori di quella del meri- diano magnetico . i Beit giudicare l'intenzione 0 i pensieri , è per altro Svidéone che egli , usando d’ espressioni g cenerali, identifica il caso in ‘cui i due poli restano in presenza , colla circostanza d’ uno degli aghi in posizione ‘neces- sariamente rovesciata , la quite non sì verifica che nel meridiano. E l'espressione il caso în cui si vedono restare in presenza due aghi omologhi può ben voler ‘dire il solo caso in cui , ovvero qualunque caso în cui, ma non mai wno fra i casi în ci ec. Altronde quel periodo ‘avendo per oggetto il combattere ‘una spiega- zione del fenomeno, è evidente che in'esso sì appella o a tutti i casi o al solo caso in cui si supponga acca- dere il fenomeno . L'altro periodo : Zh farti se il Prof. Gazzeri ec. posto molto dupo , anzi in fine della nota , non può far variare l'intelligenza di quella, e molto meno esser riguardato come /a formula generale con cui venga espresso il fenomeno . Dopo avere io osservato che i poli omologhi di due 331 aghi magnetici, soliti respingersi, possono restare iù presenza ‘mediante l' interposizione d’un’atomo di fer- ro, il sig. M. Ridolfi osservo che essì vi restavano e- gualmente anco escluso l’ intermezzo del ferro, pur- chè posti ad immediato contatto fra loro . Io reputo questo fatto così importante e così degno della medita- zione dei fisici, io sono talmente persuaso che la co- gnizione della vera causa da cui dipende illustrerebbe grandemente tutti i fenomeni magnetici, che, non sa- pendo far meglio , credo utile avvertire le opinioni er- ronee che intorno a ciò sfuggano a chicchessia . E cominciando da me stesso, se io dissi il vero allorchè affermai che due aghi magnetici bilicati cia- scuno sopra il suo perno, posti a contatto reciproco jer i poli omologhi, formano un’ago solo, che non può muoversi perchè posa sopra due-punti, errai per aliro allorchè, senza consultar l’ esperienza , congetturai ed asserii che il fluido magnetico o la causa dei fenomeni magnetici sì distribuisce in questi aghi in un nuovo modo, esercitando la principale azione e le polarità ai due nuovi estremi. Di fatti ho riconosciuto per espe- rienza che la distribuzione del fluido vi rimane la stes- sa, eche l’ago presenta uno stesso polo ad ambedue gli estremi, ed il suo opposto al centro 0 al punto di riunione . Per altro quest’ ago formato di due, quando sia libero nei suoi movimenti , si dirige colle sue due estremità ai poli del mondo, contro ciò che sembra crederne il sig. Ridolfi, il quale. dopo aver. detto a pag- 503. che una verga magnetica, prima rotta in due parti, poi riunita nei punti stessi, che presentano poli di diverso nome , sospesa in equilibrio oscilla e si dirige-come un’ ago perfetto , aggiunge: ma quest onor file è il caso degli aghi dei quali stanno in presenza i poli omologhi . E più sotto ripete ,, due aghi riuniti pei poli omologhi e bilicati sopra un sol pernio non danno già un’ ago che si diriga . Ma se due aghi galleggianti sull’ acqua per mez- zo d’un poco di sughero o in altro modo si riuni- ‘scano pei poli omologhi, si vedrà che l'ago risul- tante si dirige ai poli del mondo , o si pone nel me- ridiano magnetico , prendendo così uno dei due aghi che lo compongono la sua natural direzione , ed ob- bligando l’altro a restare in una contraria . Mi sembra che questo fatto confermi in qualche modo l’altro già da me indicato, cioè che un’ ago magnetico , comunque delicatamente sospeso, rove- sciatine i poli, e condottolo così nella direzione del meridiano magnetico , vi rimane. Io riguardo questi due effetti come dipendenti da una causa stessa , che io credo finora ignota . Quella a cui il sig. M. Ridolfi attribuisce il re- stare uniti i poli omologhi “di due ‘aghi sembra a me non solo incapace di spiegare questo fenomeno, mà anche inconcepibile . Egli suppone che adibrgusalto si pongono in presenza i poli omologhi di due aghi ( dei quali la forza magnetica non è mai esatta- mente la stessa ) una dose di fluido magnetico dell’ago più forte eguale all’ intiera quantità del fluido dello stesso nome dell’ ago più debole neutralizzi questa , e che l'eccesso di fluido del primo ago agisca sopra il secondo come sopra semplice ferro . Ora io credo un’idea affatto nuova quella di due porzioni d’ uno stesso fluido, che si rewtraliz- zano fra loro. Questa espressione presa ad imprestito dalla chimica non si era mai applicata che a sostan- 338 ze diverse e in qualche modo contrarie , o come. al- cuni le, han dette antagoniste. Una porzione di flui- do vitreo o positivo ( come li dicono ) può neutra- lizzare ‘una corrispondente porzione di fluido resinoso o negativo, e viceversa, ma non saprei imaginare come due diverse porzioni d’uno di essi possano neutralizzarsi fra loro . Avendo io osservato che una calamita, comun- que forte, non poteva attrarre la più piccola por- zione di ferro a traverso d’ una lamiera dello stesso metallo , qualificai questo come coibente dell’ azione magnetica . Il sig. March. Ridolfi, negandogli questa proprietà, nella 1o. delle note apposte ai suoi per- sieri, attribuì il fenomeno alla grande avidità del ferro per il magnetico, per cui pochi grani di ferro sono attratti e sostenuti da una calamita con tutta la propria forza, di modo che non. può ulterior- mente sostenere altro ferro, almeno immediatamen- te. Avendo io prese quelle espressioni con tutta la propria forza nel loro significato ‘naturale, rilevai nelle mie osservazioni Antol og. T. 3. pag. 332. che l’asserzione del sig. Marchese era inesatta , giacchè una calamita, mentre non può attrarre altro ferro a traverso d'una lamiera che vi aderisca, può bene attrarne altre porzioni, che si pongano a contatto immediato con altri punti di lei diversi da quello o da quelli che toccano la lama. ._ Ora il sig. Marchese nelle ultime sue Riflessioni Antol. T. 3. p. 504., oltre a cercar di dare un sin- golar significato all’ espressioni ,, gusta Za sua forza ,, asserisce aver detto che questa è dalla calamita im- piegata sopra pochi grani di ferro in modo che a 334 i 7 traverso quel poco ferro non può attrarne altra porzione . Rinnuovando quì la protesta che io non ca giudicare la intenzione , ma solo l’ espressioni scritte, debbo rilevare che quelle’ usate dal sig. Marchese nella nota ro. apposta ai suoi /ersieri non sono tali, ma precisamente contrarie. Egli vi dice che pochi grani di ferro sono attratti e sostenuti da una ca- lamita con tutta la propria forza di modo che non può ulteriormente sostenere altro ferro , almeno im-° mediatamente . Ora attrarre e sostener ferro a étra- verso altro fer To; € sostenerlo immediatamente sono due cose opposte . Si supponga una barra magnetica sospesa verti- calmente, ed alla cui estremità inferiore sia appli- cato un pezzo di lamiera di ferro. Non potrà pre- sentarsi a questa barra un pezzo di ferro mediata- mente, o a traverso della lamiera, se non nella sua parte ilieriore» In ogni altra se le appresserebbe e verrebbe a toccarla imniadiaramente © Ne sarebbe at- tratto e sostenuto in questo caso , non lo sarebbe nel primo . Perciò quanto è vero ed esatto quello che dice il sig. Marchese nell’ultimo suo scritto , cioè che una GA non può attrarre altro ferro a traverso di quello che vi aderisca , altrettanto era inesatto quello che avea detto nel primo scritto, cioè che una ca- lamita sostenendo alcuni grani di ferro con tutta la propria forza non può sostenere altro ferro imme- diatamente , cioè applicato ‘alle parti di lei nude, diverse da quella cui i pochi grani aderiscono, ed alle quali sole potrebbe applicarsi immediatamente . DIL I Pe pu yo) Jo ‘poi credo essere egualmente giusto lodando ora le sue nuove espressioni, quanto. lo fui disappro- vando le ‘antiche, le quali non possono esser cam- ‘biate o samate da quelle. Ma la più singolare fra le accuse di cui mi ca- rica il sig: Piero è quella pa cui mi attribui- sce il più grave degli errori, civè di chiamare ipo- tetico quello che cade sotto i nostri sensi per ri- guardare come reale ciò che non apparve giammai. Si ponga a canto all’ accusa il corpo del delitto , o le mie proprie espressioni, e mi si giudichi . Vagli ia ammetto. gli effetti luminosi, cri ici, elettrici, ma- gnetici perchè reali, non la luce, il calorico, l' e- lettrico , il magnetico perchè ipotetici . Abtol: n° AME p. 333. Per poter trovar quell’ accusa, non dirò giusta in se stessa, ma almeno bd, in chi la produs- se, converrebbe supporre, che egli solo fra gli uomi- ni, senza aver mai osservato ide effetto Lisio, inlanifico» elettrico, 0 magnetico , avesse avuto poi il singolar privilegio di conoscere e maneggiare iso- dati e puri la luce, il calorico, l elettrico , ed il ma- ‘ gnelico . Opinando il sig. Marchese Ridolfi comporsi l'e- lettrico di calvrico e di magnetico , io opposi a questa opinione la difficoltà di spiegare la provenienza di quei due componenti ove le due elettricità ( positiva e ne- gativa ) si manifestano .0 appariscono formarsi, come allorquando si mette in moto una macchina elettrica a doppio conduttore , positivo e negativo. Rapporto a ciò egli; promettendo far conoscere in seguito una serie in- teressante di fatti, dice che riguarda come base di que- sta ricerca quella diretta a determinar la causa dello 356 sviluppo del solo calorico per semplice attrito , ricerca . che egli reputa egualmente difficile . Ma questa difficoltà , inerente all’opinione che egli professa, non sussiste punto in quella che io preferi- sco. Se a chi riguarda il calorico come una sostanza particolare riesce difficile rendere ragione dell’inesau- sta sua produzione o sviluppo da corpi che nulla per- dono, all’ opposto chi non riguarda il calorico se non come un particolar movimento delle particelle della ‘materia , ne scorge evidente la causa nella confricazio- , ne, la quale finchè duri, le particelle dei corpi non debbono cessare dal movimento impresso loro. Non convenendo io col sig. Marchese nell’ opi- nione che ovunqgne cessi l’ eccitamento elettrico , o le due contrarie elettricità si combinino, vi sia sviluppo di calorico, asserendo anzi e provando con qualche esperienza che non se ne sviluppa nemmeno nell’ordi- naria produzione della scintilla , aggiunsi che non mi sarebbe diflicile provare che i fenomeni più violenti, non esclusa la stessa fusione dei metalli operata per la scarica d’ una boccia o d’una batteria, comunque ener- gica, sono effetti meramente elettrici , e non calorifici. Ora il sig. Marchese mostrando ( non senza iro- nia ) di riguardar questo come un mio bello ed inte- ressante ritrovato, m'invita e quasi mi sfida a farlo conoscere, lasciando traspirare la persuasione che io dovessi ricorrere alla dottrina del ‘calorico sviluppato per fregamento , cadendo , secondo esso , in un circolo VIZIOSO . Ma anzichè dare di me questo spettacolo , confes- serò di buon grado che io usai confidentemente di quelle espressioni perchè mi era nata scrivendo l’ idea d’alcuni esperimenti, le risultanze dei quali potrebbero 337 dimostrare vittoriosamente il mio asserto. Io non ho fin quì avuto l’agio d’ eseguire questi esperimenti , i quali prendo formale impegno d’eseguire sollecitamen- te, e di farne noti con cardore i ;risultamenti, siano essi o non siano per esser tali quali io presumo .. Frattanto ecco in appoggio della mia asserzione alcuni argomenti d’analogia, dei quali potrà ognuno fare quel conto che più gli aggrada . La fusione d’un metallo non è sostanzialmente altra cosa che il suo passaggio dallo stato solido allo stato liquido ; nel quale ultimo stato è sommamente indebolita la sua coesione , o l’attrazione d’ aggregazio- ne fra le sue particelle, le quali ne acquistano una grande mobilità . Ora se questi effetti sono ordinaria- mente prodotti dal ‘moto calorifico, perchè in qualche caso non potrebbero esserlo egualmente dal moto elet- trico ? Molti fatti mostrando effetti simili prodotti da cause differentissime lo lasciano presumere . Il semplice contatto del mercurio freddo liquef à metalli dei quali la fusione per il fuoco esigerebbe al- tissime temperature . Chi d’ ua sale non abbia veduto operarsi che la soluzione nell’ acqua , appena potrà credere che senza l’ intervento di questo o d’ altro liquido il sale secchis- sìmo possa acquistare una perfetta liquidità per la sola azione del fuoco, provando quella che dicesi fusione ignea . All’opposto chi non avesse veduto passare un sale dallo stato solido al liquido che per mezzo di questa fusione , 0 per l’azione d’ un calor violento , mal sì persuaderebbe che 1’ acqua fredda potesse produrre un’ effetto analogo al fuoco ardente . Chi abbia veduto la cera , lo zolfo , una resina li- Pat 338 quefarsi per l’ azione del fuoco, stenterà a credere che le lissivie alcaline e lo spirito di vino possano respetti- vamente discioglierli anche senza il soccorso del calore. Se fosse permesso parificare gli effetti che presenta la materia bruta ed inorganica a quelli che si osserva- no negli esseri organizzati, aggiungerei che , sebbene l’ umore della traspirazione , o il sndore , sia ordinaria- ‘ mente spinto alla superficie del. nostro corpo mentre per violento esercizio 0 per causa intrinseca vi si svi- luppa più abbondante il calorico , pure. non è raro il vedere emanare sudore copioso da individui nei quali è affievolito il calor vitale . Per tal modo li stessi o simili cambiamenti poten- do essere indotti nei corpi da cause differentissime, non è strano il pensare che certi effetti i quali ordinaria- mente sono prodotti dal calorico, in qualche caso siano prodotti da un’ altro agente a lui tanto affine quanto è l elettrico. A. provare che alcuni effetti elettrici non sono pun- to calorifici, io aveva citato un mio esperimento, nel quale un sottile strato di cera non era stato fuso dal passaggio di più scintille elettriche vivacissime . Ora il sig. Marchese ci dice (Ant. T. III pag. 507) che ciò sé spiega assai meglio adattandovi le solite teorie del ca- lorico. Per altro egli non si compiace di dirci quali, e solo in una nota rammenta un fatto il quale, a senso mio, nulla ha che fare col proposito. Il fatto è il se- guenie. _ Se si prenda ‘un piccolo e sottil vaso di metallo, per esempio una cassa da orologio, e vestitala esternamente o nella sua parte.convessa d’ un sottilissimo tessuto, di lino o di'cotone ben teso, si empia internamente d'ac- qua e si sovraponga alla fiamma dell’ alcool, l’ acqua ei 339 non solo si riscalderà, ma bollirà ancora, senza che il tessuto risenta alcun danno dall’ azione della fiamma. Eccone la ragione. Sebbene il tessuto di lino o di co- tone sia di sua natura poco buon conduttore del calo- rico, pure la sua sottigliezza e l' essere esattamente ap- plicato alla superficie d un eccellente conduttore, qual'è il vaso metallico, fanno che egli non trattenga o non lasci accumulare in sè il calorico, ma lo trasmetta con sufficiente facilità e prontezza al vaso , il quale lo co- munica all’ acqua. Questa poi, com’ è sot; scaldandosi successivamente fino ad una temperatura corr isponden- te ai gradi 80 del termometro di Reaumur, entra in ebullizione, senza che possa ulteriormente elevarsi la sua temperatura, o combinarvisi altra dose di calorico, che vien tutto impiegato a vaporizzar l acqua . Rumford ha dimostrato che scaldando inferior- mente un vaso pieno d’ acqua , le particelle di questa che toccano il fondo, e che prime ricevono il calorico, «divenendo specificamente più leggiere si sollevano in alto, discendendo in loro luogo le superiori più fredde. E° noto. che può applicarsi impunemente la mano all’e- sterno del fondo d’ un paiolo o d'una piccola caldaia contenente acqua, tolta allora di sopra la fiamma. Ora cosa mai vi ha di comune fra il proposto espe- rimento ed il mio ? Il sig. Marchese Ridolfi non suppo- ne sicuramente che se il piccolo vaso metallico in vece d’ esser coperto di tela, fosse intonacato di cera, potesse l’acqua contenutavi scaldarsi e bollire senza che la fiam- ma sottoposta liquefacesse la cera , la quale si fonde a gr. 55 R. Altronde nel mio sperimento non vi è acqua nè processo d’ evaporazione che sottragga calorico, ma un semplice filo metallico in cui il calorico potrebbe 340 accumularsi anche fino all’ infuocamento, se fosse vera- mente esposto ad una sorgente onde emanasse calorico. Il sig. M- Ridolfi asserisce alla stessa pag. 507 che io accenno dubbi sull’ esperimento d’ Achard intorno allo schiudimento dell’ uova per l'elettricità ; del quale esperimento dice non essersi egli pure giovato che con diffidenza. Ma nè io ho accennato alcun dubbio contro quell’ esperimento, nè mi è sembrato che il sig. March. abbia mostrato nell’ ammetterne i risultamenti diffi- denza alcuna. Quanto a me, ecco le mie espressioni . Ma ammettendo questo risultamento della bella espe- rienza d’Achard, io sostengo che esso non è un effetto calorifico . Io non avrei chiamato bella esperienza quella di cui mi fosse sospetto il risultamento; io ho ammesso letteralmente questo risultamento, e ne ho discusso la natura e la qualità appunto perchè io lo ammetteva per vero. Debbo bensì confessare colla solita mia lealtà che io non l’ ho già ammesso perchè -la mia propria espe- rienza me ne abbia convinto, ma l ho ammesso come ognuno ammetie quei risultamenti che sono annunziati da fisici non sospetti, e che niuna ragione rende inam- missibili. Quanto poi al sig. Marchese io lo avrei creduto in diffidenza se, parlando dell’ uovo fecondato su cui si è diretta debitamente la corrente elettrica, avesse detto : Achard dice, asserisce, pretende, che quest uovo si schiuda ; avrei creduto all’ opposto che egli vi avesse fiducia quando si fosse espresso Achard lo ha veduto schiudersi; e l’ ho poi non solo reputato pieno di con- fidenza, ma supposto ancora ripetitore dell’ esperimento. con esito egualmente felice, quando ho letto nel suo scritto lo pediamo schiudersi a tempo debito. 341 Per non lasciare periodo del mio scritto senza. ri- prensione , il sig. Marchese a pag. 508 dice che io gli attribuisco V opinione che l’ elettrico non penetri i con- duttori, ma corra sulla lor superficie; opinione che egli aveva non solo letteralmente abbracciata, nei suòi Pen- sieri, ma che conferma nell’ atto stesso di quest’accusa, aggiungendo : è vero che io penso così. Alcune susse- guenti espressioni potrebbero far credere che il mio torto consistesse in averlo fatto autore di un opinione di cui egli non sia che seguace. Ma neppur questo ad- debito troverebbe giusto appoggio nei miei scritti. Leggendo i Pensieri del sig. M. Ridolfi, io non aveva compreso l’ andamento che egli assegna alle cor- renti dei due fluidi sul filo congiuntivo della pila, quale vestono, secondo esso, alla foggia di due semicilindri ; dei quali talvolta mi sembrava doverne ammettere, uno sotto, l’altro sopra al filo, tal’ altra, uno di quà, l’ altro di là ai due lati di lui. Egli ha: dichiarato nell’ ultimo suo scritto che la corrente vitrea passa lungo la parte» inferiore del filo, la resinosa lungo la superiore . In questa disposizione bisogna pensare che nell’ e- sperienza dei due fili congiuntivi che si attraggono e si respingono, secondo che hanno i poli dalla stessa parte o dalla contraria, egli abbia disposti questi due fili uno sopra all’altro, non uno a lato dell’ altro, come io aveva supposto, e come suppongo che usasse Ampere, cui dob- biamo un tale sperimento. Ma siccome io sono persuaso che anche in questa seconda disposizipne si verifiche- rebbero fra i due fili le stesse attrazioni e ripulsioni , è evidente che in tal caso o non si potrebbe ammettere quella distribuzione dei due fluidi, o almeno non si po- trebbero per essa spiegare i fenomeni nei due casî. Similmente allorchè il sig. Marchese Antol. 7 3. 342 pag. 103 trova naturale ‘e facile a spiegarsi che un’ ago posto traversalmente al filo congiuntivo si magnetizzi, perchè è per metà impegnato in una corrente di fluido boreale e per metà in una seconda di fluido australe, per trovar giusto questo ragionamento convien supporre che egli adatti al filo l'ago in posizione verticale. Ma siccome l’ ago si magnetizza egualmente posto a traver- so del filo congiuntivo in posizione orizzontale, come egli stesso ha meco osservato, è chiaro che quella spie- gazione non val più niente in questo caso, ove l’ ago sarebbe investito dalla sola corrente resinosa se posto sopra il filo, dalla sola vitrea se sotto. Io non trovo dunque la decantata chiarezza e facilità nella spiegazio- ne dei fenomeni. A pag. 509 lo stesso sig. Marchese avverte che la macchina ‘del museo da me minutamente descritta non è della miglior ‘costruzione. Ma egli è evidente che io ho solo voluto mostrare essere ella assai energica , seb- bene io sia persuaso che lo diverrebbe di piùper i per- fezionamenti introdotti dal Volta e da ‘altri; perfeziona- menti che non mi sono ignoti, come nemmeno mi è ignoto che possono talora trovarsi nei gabinetti di fisica apparati o strumenti imtaginati e costratti in onta ad ogni principio, e tali da far ridere i fisici che gli osser- vino. | ‘Ma ciò ché forse più d’ ogni altra cosa mi ha fatto torto presso il sig. Marchese è la non riuscita di due esperimenti da lui indicati nei suoi Pensieri. Quanto al primò per coi egli magnetizza un’ ago posto a traver- ‘sé d'un filo metallico che serve a scaricare una bottiglia di Leida (risultamento che io con i miei stimabili col- laboratori ‘non’'ho potuto ottenere) adduce in appoggio il testimonio di. Lehot e d'altri fisici insigni, che non Db x Ò 343 nomina, piuttostochè ‘illuminarci intorno alle cagioni del nostro non successo . , Quanto poi alla seconda, per cui avea magnetizzato un’ ago incluso in una spirale formata sopra d’ un filo metallico, che comunicava con uno dei suoi estremi al conduttore della macchina coll’ altro al suolo, egli ha fatto ora conoscere le condizioni necessarie alla riuscita, condizioni tali che i più dei fisici ameranno meglio con- cedere i risultati che ripetere 1’ esperimento , la di cui non riuscita potrebbe sempre attribuirsi a difetto d’ al- cuna delle condizioni richieste. Fra queste, oltre una macchina d’ una singolare energia, oltre il concorso dell’ aria secca e del cielo sereno , è specialmente da considerarsi quella di stazcar più persone che si \cam- bino assai spesso per mantener in moto il disco per il tempo di ore quattro . Se lo zelo cognito del sig. M. Ridolfi vuol che io creda avere egli avuto questa singolare costanza, mi sor- prende per altro che egli abbia Holità farla riguardare come una condizione ber tivdientà ed'ovvia in espe- rienze di questo genere, sicchè potesse attribuirsi in al- tri a difetto di sapere e destrezza V averla omessa, di- menticandosi d’ averne fatte altre volte meco stesso € e: «con altri più di quaranta in un’ ora. In simil guisa se alcuno dopo aver detto e mostrato ad altri come l’ acido fluorico corrode e trafora agevol- mente una pietra silicea, ed il nitrico una calcarea, ag- | giunga che l’acqua pura e semplice corrode e trafora l’una e l’altra ,'un buon’ uomo , qual’ io sarei, comin- cerà da dubitarne, e preso quindi a tentare l’esperimen- to in modo assai semplice, ed applicando l’acqua poco diversamente da quei due acidi , non otterrà ‘effetto al- cuno, finchè quegli che ha in petto il segreto lo disveli 344 e gli dica che per ottener l’ intento convien lasciar quel- _le pietre esposte per anni e per secoli allo stillicidio , poichè solo in tal modo accade che gutta capat lapi- dem. FILOLOGIA Ar Cavanier Vincenzo MontI. - Urzano LampreDI. 7 \ oi siete, mio pregiatissimo amico, molto simile a - colui, del quale ragionava il nostro treceutista Fra Gior- dano in una delle sue prediche ; voi siete, cioè, un graz parlatore, e parlate con enfasi grande. Ed a quest’ en- fasi appunto attribuisco non già quelle generose espres- sioni (con che mostrate d'aver non solamente preso in buona parte, ma eziandio con ischietta gratitudine accol- to quelle poche osservazioni da me inviate al mio dotto, ed'egregio amico Saverio Petroni), ma quelle altre loduti- ve, le quali non sono in alcun modo pr oporzionate alla tenuità sì del mio ingegno, come delle cose in pro delle lettere da me pubblicate. Voi già vi siete accorto che io intendo parlare di quelle lodi, che si leggono sparse nella vostra lettera, con la quale m' indirizzate i vostri due Errata corrige sopra un testo classico pubblicato dall’ Ab. L. Rigoli . Che tristo dono! Certamente se. io non vi avessi conosciuto a fondo per lo spazio d’ un lu- stro in Milano, dov’ ebbi campo di conversare assai fa- 3 a: È migliarmente con voi , avrei quasi sospettato, che l' in- viare a me Toscano e Fiorentino un opera sì fatta $ : 345 fosse un artificiosa, e raffinata maniera ...... ma no;. voi avete dato all’ Italia bastanti prove che ne’ letterarii combattimenti siete un vero Ajace, cioè tale che assal- tate il nemico alla scoperta, e che quando anche il vo- stro Nume Apollo spargesse delle tenebre intorno a voi, voi ve la prendereste forte con lui, e sclamereste alla guisa di quel greco capitano: Girve padre, deh togli a questo bujo I figli degli Achei, spandi il sereno, Rendi agli occhi il vedere, e poichè spenti Ne vuoi, ci spegni nella luce almeno. Abbiti (voi concludete la vostra lettera) abbiti 19 PERSONA TUTTA MIA Zi due errata corrige sopra detti ec. E in qual altra persona mai poteva io avermeli? chi non vi ravvisa subito al caldo dell’ espressioni, alla vee- menza de’ tratti , alla varietà degl’ ingegnosi concetti , all’ acerbità delle rampogne ? Queste risguardano il Sal- viati, il Lampana antico traduttore dell’ epistole Ovi- diane, gli Accademici della Crusca morti, e vivi, e fi- nalmente l’ Ab. Rigoli editore di quel Testo. Vediamo primamente se qualche cosa può dirsi in pro di tutti questi vitu perati (1). (1) Io prenderò seguentemente ad esaminare le magnifiche cose che si leggono nel a dello scorso settembre nel gior- nale Arcadico per rispetto all’ opera vostra, e confido che sa- rete contento ad un equo riducimento di quelle smodatissime | Jattanze di vittoria alla loro vera misura; ma qui parlando io di vituperati non posso nè deggio rimanermi dal sorridere , e sorriderete per avventura voi, stesso a quelle parole, che il vo- | stro libro non solo è dei più dotti, e pieni di vera filosofia che abbia l’italiana letteratura (alla qual sentenza io volentieri mi soscrivo); md che in fatto di controversia è anche il più GEN- TILMENTE scrITTO. To non saprei certo indovinare quale sia ‘il senso, che quell’ egregio compilatore dà a quelle parole genzi/- ARE Movembre 23 346 Voi, dopo aver fatto un bell’ elogio di que’dotti che richiamano alla vita le morte carte, soggiungete : « Nè tra queste alcuno vorrà che non sia da tenersi in pregio anche il presente volgarizzamento. Perciocchè, fatta separazione degli arcaismi e degl’ idiotismi, de’ quali è abbondantissimo (e conviene considerarli come frutti propri di quell’età, nella quale il più degli scrittori non unguem ponere curat, non barbam ....et balnea vitat), nel resto è da confessarsi che PIANO 0 soAVE È IL PROCEDERE DELLÀ SINTASSI, SINCERA LA PROPRIETA DELLE PAROLE, NATURALE LA LORO COMMETTITURA, QUALCHE VOL- TÀ SCELTA LA FRASE, e generalmente parlando, FELICE LA CONDIZIONE DELLO STILE,,. {l Salviati poi dello stesso volgarizzamento così semplicemente dice. « Le Pistole d’Ovidio crediamo che dal latino fossero volgarizzate, e anche MOLTO MEGLIO CHE NON COSTUMAVANOIN QUELL'ETÀ”. Sono di ANTICA, E PURA FAVELLA, EFFICACISSIMA E DI GRAN vivezza». Ora se alcuno confronta questi due elogi, quale comparirà il più magnifico? certamente il vostro : perchè se fossero d° egual valore il Salviati avrebbe il vantaggio d'aver detto l’istesso con troppo meno parole. Voi dite mente scritto; perchè voi stesso alla fac. 250 credete d’ essere in obbligo di fare una conversione delle due Errata corrige re- torica a chi sorgesse 4 biasimarvi dell’ aver voi usato parole di troppo spregio e disdegno contro il volgarizzatore non meno che contro il suo grande panegirista; e alla fac. 252 dite chia- ramente che come in letteratura voi non sapete demenza che ugzuagli quella di viluperare gli scrittori, che l’ universo pub- blico onora della sua stima; così credete viltà il parlar GFN- TILEZZA ai superbi loro vituperatori, tra' quali ec. Certo nes- suno vi taccerà di questa viltà, e quindi la proposizione arca- dica generalmente enunziata che il vostro libro è dei più gen- tilmente scritti ha bisogno di qualche restrizione, o almeno di spiegazione. 347 sincera la proprietà delle parole del volgarizzamento, e il Salviati dice essere esso d’ antica e pura favella, ed aggiunge esser questa favella e//icacissima e di gran vivezza, appunto per la sua sincerità e aienriaià. sle quali doti voi stesso riconoscete. In somma il Salviati non loda se non il materiale del volgarizzamento, cioè la favelta; e voi lodate la' sintassi, le commettiture, le frasi, e per fino la condizione dello stile. E come mai dunque ha potuto cadervi nell’ animo di fabbricare su questo fondamento una nova invettiva contro lui stesso, e contro l’ accademia, e rammentare la troppo ormai rammentata persecuzione contro il gran Torquato, la quale non fu se non l’ opera di pochi passionati, puniti abbastanza dal disprezzo de’ più saggi loro colleghi e con- temporanei, ed espiata da’ successori / È mancato forse ‘chi si levasse contro la vostra Proposta? Eppure ella vien accolta con piacere , ed onorata’ da’ più , e vivrà, cred’ io, nella nostra letteratura come un monumento, iù del bronzo durevole, del vostro amore verso le buo- ne lettere, del vostro spirito, e del vostro temperamento. Ma dopo un sì pomposo elogio voi soggiungete con la vostra solita vivezza: « Fatta ragione a tutte le sue lodevoli qualità (della traduzione del Lampana ) rimane a vedere se l'oro, che in codesta miniera potreb- besi razzolare , valga l’ affanno di purificarlo del molto loto in che si ravvolge. i più se quest’ oro sia suffli- ciente a pagar la nausea, e l'indignazione degl’ infiniti grossolani spropositi del sileinigaiora nell’ interpetra- zione del testo latino, e scusare l'’ abito vile in che di continuo ei traveste i più nobili sentimenti, così vile, così plebeo, che quella lode superlativa del Salviati si trova ad ogni voltar di foglio bugiarda » . Dal confronto già fatto della vostra lode con quella 940 del Salviati risulta chiaramente , che l’ aggiunto di sw- perlativa conviene alla vostra benissimo, e non alla lo- de del Salviati, la quale è una piccolissima parte della vostra , e perciò quanto maggiore fosse la quantità del loto, tanto più esagerato comparirebbe il vostro elogio; ma non vi mettete in pena per questo. Il loto che ave- te raccolto , e che potreste ancor raccogliere non è poi tanto, che dopo il giudizio del Salviati, e molto più do- po il vostro non si possano trovare dugento cinquanta granellini d’ oro (che tante, e non più sono le voci che voi dite essere state allegate dagli Accademici della Crusca di questo volgarizzamento ) ed anche trecento, e cinquecento , e mille, e millanta . E di queste sore era bramoso il razzolatore , il Salviati , e l' accademia della Crusca; mentre se il primo avesse dovuto star- sene al vostro giudizio avrebbe potuto razzolarvi esem- pli del piano e soave procedere della sintassi, di naturale commettitura delle parole, e d° una felice condizione di stile . Io vi protesto solennemente , mio caro , e rispettabile amico , che molto piacevole mi è stata , e nelle presenti angustie dell’ animo mio mi è la lettura dei vostri»due Errata corrige: ma quando io m’ incontrava a leggere quelle vostre bellissime terzine nelle quali traducete alcuni distici d’ Ovi- dio ; oh! diceva fra me stesso : oh se questo vivacissi- mo sessagenario Poeta , che quale stella dell’ Italico Cielo più sembra brillare , quanto più s’ accosta al tra- monto , se in cambio di battere l’aria e le nuvole, battendo il Rigoli e il Lampana, si fosse occupato nella traduzione dell’ Epistole Ovidiane , quanto avrebbe più meritato dalla patria letteratura! ! Ne vo dicendo que- sto perchè io giudichi che le vostre osservazioni criti- che non siano giuste , utili , e dilettevoli, ma perchè 349 non le giudico opportune. Infatti senza voler presup- porre che un qualche segreto e poco generoso motivo siaci stato che vi abbia spinto a si fatti lavori , vi dirò francamente , che voi li fate mosso da falsa credenza . Ed a sì fattamente giudicare mi muovono queste vo- stre parole : » Prima adunque di raccomandarlo ( il volgarizzamento del Lampana ) AI BRAMOSI DEL BELLO SCRIVERE sia permesso d’ esaminarlo ,, a pag.230. E al- trove pag. 253. soggiungete : « che se il Messere, o taluno de’ suoi divoti dirà , che anche gli spropositi possono essere ornati di bella lingua , e farsi utili a chi ° vi studia; rispondere mo, di nuovo che L’ ANDARE A SCUOLA DI BFLLA ELOQUENZA sotto la disciplina di Mae- stri a lunghi orecchi non può essere proponimento che d’uomini accostantisi alla natura del precettore; di- remo, che l abbassar la ragione a pescARE in così fatte pozzanghere , l’ eloquenza torna lo stesso che l’af- fannarsi a mortificare l'ingegno, e a tarpargli le ali ». E più sotto pag. 254: « Ma qual diletto , qual utile , qual severità di discorso, QUALI SPIRITI D' ELOQUENZA si possono sperare in libri, che in lingua tutta lorda d’idiotismi ci presentano d’ ogni parte errori sì nau- seanti e mostruosi ? » Voi dunque credete ‘che si conservino, si com- mendino, e si leggano queste antiche, e se volete, rancide scritture , perchè servano di norma al bello scrivere, e di bella eloquenza: anzi da esse se ne distil- lino gli spiriti i più sottili , 0 squisiti? No certamente, e voi stesso dovete convenirne. Non si tengono già na- scosti , e non si condannano all’oblivione od alle fiam- me le antiche tavole dipinte de’ bassi tempi della Gre- cia , e quelle di Guido da Siena fino a Giotto e più ol- ire ancora, ma sì mettono in bella mostra nelle pri- 350 vate, e pubbliche Gallerie, perchè gli amatori vi os- servino gli umili principii, e i lenti progressi dell’arte; e si propongono ai giovani non per modelli di bel di- pingere , 0 perchè ne traggano delle copie ad abituare la mano e l’immaginazione al bello di quest'arte mede- sima , ma perchè scorgano i difetti che debbono evi- tare, e quante difficoltà si sono dovute superare per passare dal quadro di Guido, e d’ altro di quel torno, alla trasfigurazione del divino Urbinate.. Anzi cotali scritture sono molto più proficue all’ arte dello scri- vere per l’ amatore della lingua , che le antiche tavole per l’amatore della pittura: perocchè nelle prime si trova quella, che voi stesso ammirate ancora nel da voi anatematizzato Bocca di Lampana, sincera proprietà di vocaboli, sceltezza di frasi, e di modi, ed altre belle cose. Ma voi sclamate con l’ usata enfasi vostra : » cotali scritture sono piene di nauseanti spropositi , e d’ errori mostruosi dei Menanti ec. onde il consumare il tempo nello svolgerle è lo stesso che studiarsi di passare dalla classe de’ ragionanti a quella de’ bru- ti, e voltolarsi, come i porci nel brago». Io non dirò che ancor voi scrivendo i due errata vi siete voltolato nelbrago del ZLampana; ma che avete abbrancato questo bragoa piene mani, e con veementissimo slancio gettato in faccia al Rigoli e agli Accademici ora residenti , che hanno munito il volgarizzamento del suggello della loro approvazione. Ma gli Accademici se ‘la ridono, perchè sanno benissimo in generale l’ esistenza di questo brago in tutti i codici, e quando ci s’incontra- no lo saltano a piè pari, contenti di raccoglierne , co- me Virgilio dal brago d’ Ennio, alcuni granellini d’oro cioè nupi vocaboli e modi; molti de’ quali tro- vansi spesse fiate nella miniera strettamente uniti col È I LT a Big: un 20 3 351 piombo , o con altre inferiori sostanze ; ma queste o si lasciano sepolte, o se si producono alla luce, non si mettono in corso perchè servano agli usi della società degli uomini, ma si collocano in bell’ ordine ne° musei per curiosità ed anche per istruzione degli amatori . Or che direste d’ uno che visitando un di questi musei di mineralogia si sdegnasse in veder l’ oro e l’ argento mescolato con altre sostanze , e gettasse que’ catolli in faccia del mineralogo raccoglitore di essi ? Per questa , e per altre considerazioni ch’ io trala- scio ; il buon Ab. kigoli dovrebbe rispondervi, esser lui uno di questi raccoglitori di miniere letterarie , e che ordinando uno scafale del musèo , cioè, pubblicando la traduzione del Lampana si è regolato presso a poco co- me la maggior parte de’ precedenti editori di testi di lingua, e com'e’ si regolano presentemente. E di fatto vi ‘ sarà per avventura caduto sotto gli occhi la prima edizio- ne d’un pezzo di storia di G. Cavalessd: intitolata ,, della Carcere dell’ ingiusto Esilio, e del trionfal ritorno di Cosimo Padre della Patria ,, pubblicata non ha molto da un erudito Fiorentino, posseditore del MS., dal quale è stato tratto; ed avrete osservato che lo stile della nar» razione è si piano ; semplice , e non privo di quella na- turale eleganza ; che tanto piace ne’ nostri trecentisti , ma vi sarete a un’ora incontrato in alcuni luoghi dove la sintassi è alquanto oscura , in altri ivintelligibile af- fatto ; ed oltre a ciò in voci alterate da metatesi, da cangiamenti di vocali, 0 di consonanti ec. E per re- è carne un esempio de’ più palpabili alla faccia 4 leggesi », E diceva ( Cosimo P. P. ); che la parte si deve met- »» tere a non calere per lo consravamento del tutto , e » per questo dava .l’ esempio del braccio sinistro, che » per difender la testa mette se a non calere contro : 352 »» tagli delle mortali spade, e questo fa per lo conserva- ,; MENTO del tutto : così adunque Cosimo si metteva a: ,», non calere per utile e conservamenTO del comune ,; Pertanto potete voi mai credere , che l’ editore di que- sta narrativa non abbia scorto che quel brutto mostro consravamento era uno sbaglio del copiatore , o d’ al- tri, specialmente a causa delle seguenti ripetizioni della stessa voce nel medesimo senso ? Eppure lo ha religiosamente consravato , come ha conservato esemz- pro , sinestro e altrove , prebe , laulde , grolia, esem- bramento in cambio d’assembramento e cento altri gioielli di questa fatta; perchè appunto sì egli, come quasi tutti i letterati Toscani di vecchia data, portano tant’ oltre il rispetto ela venerazione verso i vecchi ma- noscritti , che rei cred erebbonsi di lesa Crusca , se il diritto si arrogassero di correggere sì fatte sconciature , nate dall’ ignora nza de’ tempi, e de’ copisti. Che se quella storia del Cavalcanti fosse stata pubblicata da un letterato più critico , e meno scrupoloso , o vogliam dire fisicoso, ella è certamente suscettiva di molte emen- dazioni e correzioni sì nelle voci, come nella sintassi , ‘ e con queste la lettura ne riuscirebbe sempre dilette- vole e interessa ntissima. Sarebbe ormai tempo che questi signori cambiassero stile, e che l’edizioni degli antichissimi codici si facessero con un poco più di cri- tica e di buon senso, ma rispetto agli Accademici, 0 letterati di vecchia data, come ho già detto, gli è un ‘vero predicare a’ porri (dò). E presupposto ancora che (b) PS. Quando dico Accademici e letterati di vecchia data non intendo a significare alcuni che vivono tuttavia in onorata vecchiezza , e piena di vero merito letterario, qual’è fra' primi l’ egregio sig. Ab. L. Fiacchi, e con simili pregi fra’se- : i 353 si volesse. aver. riguardo alla loro opinione , cioè , che quelle alterazioni, e storpiamenti di voci, e quelle oscurità di sensi non si debbono toglier di mezzo , ac- ciocchè non perdasi la traccia del progressivo perfezio- namento della lingua ne” primisecoli,pure in tale ipotesi ancora non ca forse più sano consiglio mettere il testo in miglior forma, emendando. le voci, e raddi- rizzando i sensi ( sempre però con la debita discrezio- ne ) e mettendo le voci straziate, e isensi talvolta inin- telligibili, spesso oscuri al piè della pagina ? E pare di fatto che molte almeno di queste correzioni sieno state fatte del vostro illustre genero Conte Perticari in quéi pezzi d’antiche scritture non toscane, ch’ei riporta nel quarto volume della vostra Proposta, e che perciò compariscano in abito migliore ad avvalorare le sue conclusioni, delie quali non è questo nè il luogo nè il tempo di parlare . La malignità, ed anche la bizzarria della ceca sorte avendomi ultimamente costretto a partir di Napoli, ed a ripatriare in Firenze , qui mi è capitata nelle mani una risposterella in difesa dell'Ab. Rigoli, nella quale si ad- duce a un dipresso in sua discolpa la stessa ragione da me qui sopra riportata. ,, Il Bottari ( dice l’ Apologista, ed io mi prendo la libertà di cambiare la sintassi del periodo perchè difettosa ) (c) nella pubblicazione delle eondi lAb. Michele Colombo ec. ec. ma certi Filologi che stanno servilmente attaccati alle antiche massime, e nella pubbtica- zione degli antichi Testi mostrano più zelo, e passione, che gusto CE avvedutezza . (c) Nell’allegata risposta si legge così . Il Bottari nella pubbli- cazione delle lettere di Fra Guittone non imaginò di darle per modello di bene scrivere , nè tanti altri che pubblicarono an- | tiche scritture; ma ebbero in mira di fare ec ec. 354 jettere di F. Guittone, e tanti altri che pubblicarono antiche scritture, non immaginarono di darle per mo- dello di bene scrivere ( e per modello di dere scrivere qui deve intendersi ciò che voi chiamate Scuola di bella eloquenza ) ma ebbero in mira di far la storia della lingua , della trascuraggine de copiatori, di schia- rire le voci che un dì furono in uso , le storpiature ed altro ec. ec. ,, Veramente il fare la storia della tra- scuraggine de’ copiatori non è fare una storia molto utile e interessante , e le storpiature si chiariscono to- gliendole'di mezzo ; ma gli è sempre vero , e voi con- verrete che una gizzdiziosa edizione de’ testi di lingua, e delle antichissime scritture è il vero materiale della storia d’ una lingua utilissima alla nazionale lettera- tura, e che perciò non disconviene che queste vecchie carte ( ben nette, e ripulite , e quindi non più, come voi dite, insensate ) si riporgano divotamante sull’al- tarè dell’ Accademia della Crusca; mentre nel me- desimo tempo si svolgeranno dagli Accademici i subli- mi dialoghi di quel sommo intelletto del Tasso, e le. altre sue nobilissime prose vestite con tipografica ma- gnificenza dal Prof. Rosini di Pisa : e quivi essi attin- geranno i modi, e gli spiriti più squisiti della bella eloquenza , che invano cercherebbero ( e non hanno mai cercato ) nelle pozzanghere di quel Lampano scia- gurato (Prop. Vol.15/P.L°fac: 25! )il quale ad al- tro non servirà che a mostrare donde si siano cavati dugentocinquanta vocaboli allegati nel Vocabolario . Se mai vi fosse capitata , 0 vi capitasse nelle mani quella risposterella in difesa dell’ Ab. Rigoli non la credete, come non la credo pure io, dettata da lui stesso. Perocchè tal’ egli è di fatto quale voi lo descrivete, cioè per chiarezza di dottrina , e per santità di costumi, e | 355 per altri bei titoli venerando . Tali pertanto essendo le sue qualità intellettuali e morali, queste non gli a- vrebbero fatto asserire di aver seguito le tracce del be- nemerito Mons. Bottari, che ha illustrato con utilissimi lavori e con buona critica il Decamerone, e moltò me- no si accordano col desiderio di darvi una comparsa criminale perchè quando comparve la vostra Proposta, non sapevate che le Pistole erano già pubblicate; nè si accordano coll’ augurio d’ ur altro codice di critica che vi bruci le spalle, nè col confondere i sacrifici che voi dite d’ aver fatto su/l’èra dell'amicizia co’ be- nefici di cui parla Seneca nel suo trattato ; nè final- mente con quel suo scandalezzarsi d’ un certo vostro sonoro Per Dio, la quale esclamazione certamente si trova ancora nel Petrarca, nel Tasso, nell’Ariosto ec. ec. ma com’ ei vi dice, ron si trova nella morale, nè in S. Agostino. Sembra che l Apologista ‘non abbia sa- puto , o non abbia voluto distinguere |’ esclamazione , o interiezione classica dalla formola d’ asserzione o di giuramento usata da’ Mercatini sì di Firenze che di Milano . Insomma io sostengo che quella risposterella non sia del deco, Ab. Rigoli, ma d’un cotale che por- rebbe offendere, e che non sa come difendersi con di- gnità . | E il fin qui disputato sia in pro del Salviati mor- to, cotanto da voi vituperato , e del Rigoli vivo da voi punzecchiato non leggermente . Il primo vi parrà per avventura , sagace e leale qual siete , ( almeno in que- | sto caso particolare ) meglio difeso che il secondo, ma io non ho nè lo scudo d’ Atlante, nè la lancia d’ Astol- fo, nè altre armi fatate dai prestigi di calda e lussureg- giante eloquenza , con le quali voi tenete il campo; onde in questione di tal genere 356 . Sia per mia gloria assai Il pria dir che contro te pugnai. Ma che potrò io dire in pro degli Accademici mor- ti, e de’ viventi della Crusca ? Rispetto a’ primi voi avrete senza dubbio lette e ponderate le cause addotte da Rosso Martini circa 80 anni fa, degli abbagli , e im- perfezioni delle tre precedenti edizioni del Vocabolario dopo la quarta ed ultima fatta dall'Accademia nel 1739 e quanto a questa egli ancor dice,, In progresso di tempo » » renduti ( gli Accademici ) più accorti dalla esperien- »» za, e convinti della necessità’ che vi era di esami- ») nare più accuratamente ed a parte a parte l’ Opera », tutta per correggere i difetti che di mano in mano 33 Vi sì scoprivano, con diligenze più intense e laborio- ,; Se supplirono, PER QUANTO POSSIBIL FU, alle passate », mancanze. Ma perciocchè il torchio incalzava , non 33 vi fu tempo di considerar tutto minutamente, fade »» non piccola messe di emendazioni , nel primo tomo »> Specialmente resta per avventura riserbata alla quin- ,» ta edizione ,,. Voi pertanto vi siete presentato a’ let- terati d’Italia carico di questa messe, e avete bociato con quanta lena ayete ne’ polmoni ( e certo non ne a- vete poca ) contro 1 morti Accademici che, come qui sopra abbiamo veduto ne conoscevano bene l’ esisten- za ; e contro i viventi, sì perchè ron sì ardiscono an- cora ( sono parole dello stesso Russo Martini nel' di- scorso soprallegato ) a por mano, a criticare e con- dannare le fatiche de’ loro maggiori , ma le produ- cono alla luce delle stampe con tutte le loro scorrezio- ni, errori, e male interpretazioni, come ha fatto il Rigoli; sì perchè in opera di tanta lena e pericolo ( qual’ è quella della riforma del Vocabolario ) in opera che domanda il concorso di tant’ ingegni, e di tanti # 357 ecchi non è da lodarsi il rifiuto dell’ amichevole con- federazione , a cui l’ Istituto Italiano sotto alti auspi- ci invitava i reverendi custodi della favella ( Prop. vol. 3. p. 1. fac. 299. ). Quanto alla prima causa delle vostre amene rampogne , voi vedete da ciò che di so- pra ho discorso , che siamo perfettamente d’ accordo . Egli è tempo oramai ; che una critica più fina ed av- veduta , che una diligenza più scrupolosa persuada gli edierni Accademici, che un lavoro fatto da uomini L comechè valentissimi, ha bisogno di correzione e di severissimo esame, sì nella pubblicazione de’ loro testi di lingua , come nella scelta , nell’ aumentazione , nel- le definizioni ec. ec. de’ vocaboli che debbono entrare nel tesoro della lingua . Quanto poi alla seconda causa, il trattarla pare a prima vista periculosae plenum opus aleae,per dirla con le parole d’Orazio, conciosiacosachè i fondamenti, o veri principii d’un tal rifiuto non debbano per avventura cercarsi in riguardi e convenienze sola- mente letterarie . Ciò non ostante in un altra mia let- tera mi propongo di communicare con voi ; e col pub- blico il mio avviso sopra il rifiuto, del quale vi dolete, all'invito che voi chiamate ossequioso , liberale , sin- cero e fratellevole dell’Istituto Italiano.Intanto, ripren- dendo la consueta forma del Dialogo,aggiungerò a questa mia lettera certe osservazioni,per altro di poco momento, che ho fatte alle correzioni ed aggiunte da voi proposte nella prima parte dal terzo volume. E dico di poco momento, perchè io, e tutti coloro che non sono mossi da studio di parte nè da bassa invidia, debbono confes: sare che di mano in mano che andate progredendo nel vostro cammino non solo non allenate, ma con passo più misurato e sicuro rimovete gli sterpi e le spine, che impedirebbero ogni altro, e il volterebbero a ri- tornare . :358 RAGGUAGLE SCIENTIFICI LETTERARII E BIBLIOGRAFICI. Atlante medico-pratico e nosologico distribuito in tavole sinot- tiche del Dottore di Medicina Vito Merletta, e pubbli- cato in Palermo dalla tipografia reale di Guerra nell’ anno 1819. Vol. uno in fol. Prima di occuparmi del medesimo, mi sia permesso di presen- tare alcune considerazioni intorno ai quadri nosologici in generale . I. Sieno cauti i Giovani ad adottarli senza previo maturo esame, ed a dare soverchio peso alla loro utilità ; essa è limi- tata, poichè chi conosce la scienza non ha bisogno di essi: chi non la conosce, ivi non l’apprende: di fatto è noto, che abilis- sini Nosologi sono stati sovente molto imbarazzati al letto de- gl Infermi in qual genere o specie della loro classazione collo- care una data malattia . II. In simili quadri la natura si trova coartata quasi che , mi si condoni |’ espressione , nel letto di Procuste , poiche gli scrittori di Nosologie , costretti dai limiti che si sono imposti, qualche volta considerano l’ indole ed i ca- ratteri delle malattie più come conviene alle sistematiche loro idee, che come realmente si osservano in pratica: di fatto è ov- vio il trovare un dato male collocato da un Nosologo in un ge- nere, e da un altro in un genere molto diverso. III. Simili Clas- sazioni, talora per un soverchio laconismo nell’ esposizione dei sintomi, talora perchè non si è proceduto con sufficiente ma- turità e rigore nella distinzione dei morbi , in vece di rendere più esatte e chiare le idee degli Allievi le rendono più confuse, e qualche volta erronee. IV. Ci sembrano utili questi quadri no- sologici, se sieno ben fatti, principalmente per gli autori di es- si, giacchè per comporli hanno dovuto lungamente riflettervi , e con precisione coordinare le loro idee: onde possono sempre ser- vire di esempio a chi ama, nella scienza che professa , di ben classare le proprie idee. V. Riescono pure utili agli Scolari, che sieno prossimi a prendere gli esami, giacchè raccoglie loro in più stretti limiti le cognizioni che già hanno acquistate, le rav- viva alla loro memoria, e facilita ad essi il ritenervele. Premesse queste poche riflessioni sui quadri nosologici in generale , -ve- niamo adesso a considerare più particolarmente quelli del Sig. 359 Dottore Merletta, a noi sì tardi pervenuti per causa dello stato deplorabile, in cui si è trovata la Sicilia dopo la loro pubblica- zione . Nella sua classazione delle malattie egli ha seguito le trac- ce di uno dei medici più filosofi della Francia, o per meglio di- re dei nostri tempi, del celebre Pinel. Nell’ introduzione enco- mia l’ utilità delle tavole sinottiche , appoggiandola principal- mente al riflesso, ch’ esse, presentano al giovane Medico una .guida per condursi nell’ intricato laberinto dei mali . Segue l'indice delle malattie contenute nel suo Atlante, e quindi l'esposizione dei quadri nosologici : essi sono contenuti in 12 tavole. La 1. comprendela Classe I. Febbri Ordine I° Febbri dette primitive. 2. comprende la Classe II. Filemmasie Ord. I-° Flemmasie cutanee continua Det. Det. Det. Det. più Det. Det. Ord. .II.° Flemmasie del tessuto muscolare , fibroso, e sinoviale. Ord. III. Flemmasie delle mem- brane sierose. i. ‘comiinua Det. Det. Ord. FV.° Flemmasie delle mem- brane. mu- cose. continua | Det Det. Det. Det. più Det. Det. Ord. V.° Flemmasie del tessuto cellulare degli orga- ni parenchi- atosi, (26) & 360 6. comprende la Clas. III.. Emorràgie Ord. I.* Emorragie 7 delle mera- brane mu- cose. più la Clas. IV. Idropisie Ord. I. Idropisie del sistema i linfatico . 7. comprendela Clas. V. Nevrosi Ord. I. Nevrosi dell’ udito. Ord. II. Nevrosi delle fun- zioni cere- % brali. Ord. IMI. Nevrosi y della vista 8. continua Det. Det. Ord. IV. Nevrosi i cerebrali , ed aliena- zioni men- tali. Ord. V. Nevrosi della voce. g. continua Det. Det. Ord. VI. Nevrosi della loco- mozione . Ord. VII. Nevrosi Ord. VIII. Nevrosi della circo- lazione . 10. eontinua Det. Det. Ord. ‘IX. Nevrosi delle fun- zioni nutri. tive . Ord. X. Nevrosi dei genitali - dell’ uomo e. della donna. , 361 vs comprende la Clas. VI. Lesioni Ù organiche Ord. I. Lesioni or- ganiche generali . 12. continua Det. Det. Det. Det. più Det. Det. Ord. II. Lesioni or- i ganiche particolari. Avrei gradito di aggiungere copia di uno dei quadri noso- logici, ma non me lo permettono i limiti imposti ad un giornale; DIS P È Ss onde indicherò soltanto i titoli iniziali delle varie colonne nelle quali sono divisi i suddetti quadri . ‘In principio di ogni tavola Classe Ordine Quindi Specie — Nomi delle malattie — Predisposizioni e cause eccasionali. — Invasione — Sintomi — Durata — Varietà — Fine — Complicazioni — Prognostico — Cura interna — Cura esterna — Autopsia cadaverica —. i Non possono mai bastantemente lodarsi l ingegno, l’ ordine , e la chiarezza d’ idee dell’ egregio-e benemerito Autore dell’ 4- tlante medico-pratico nosologico , lavoro che eminentemente si distingue fra molti altri consimili . / Fr. T. Osservazioni sulle riviste scientifiche e letterarie che si pubbli cano .in Inghilterra . \ Estratto dalla Rivista enciclopedica Francese. \ \ Siamo fortunatamente in un secolo, in cui tuttociò che può dirigere i passi dello spirito umano, e favorire i progressi delta cultura sociale vien ricercato avidamente dai popoli culti. Sic- come i giornali scientifici filosofici e letterarj son particolar- mente destinati a dare una direzione più sicura, un’ impulso più rapido ai lavori utili in ogni genere, è necessario d’ esami nare se le principali opere periodiche, le quali si propongono questo nobile scopo, vi adempiono religiosamente ; e se mostran- do all'Europa instruita le ricerche letterarie delle contrade, on- d’è composta, le apprezzano tutte come si conviene. Bisogna T. IV. Novembre ‘e 24 362 pg premettere che tutte le riviste contengono quasi, in ogni nune- ro articoli interessanti. Gli uomini, che son curiosi di conosce- re i progressi del sapere umano nelle diverse parti della terra non saprebbero leggerle con soverchia attenzione. Fra quelle che si pubblicano nell’ Inghilterra la rivista di Edimburgo, la rivista trimestrale ( quarterly review ) la rivista Britannica, e la gazzetta letteraria tengono i primi posti (2). Lo scopo natu- rale di quest’ opere periodiche è l’ esame critico dei libri più interessanti che si pubblicano tra i popoli culti, e che meritano di richiamare l’attenzione o per il soggetto che trattano, 0 per le vedute che presentano, o perchè svelano errori non per an- co notati, o verità tuttora nascoste dall’ ignoranza o dai pre- giudizj . L'incarico di far. questo esame è spesso affidato nel- l'Inghilterra ad uomini di talenti sì segnalati, e d’erudizione sì profonda , che l’ analisi di libri anche meno pregevoli diviene fra le lor mani una dissertazione giudiziosa ed istruttiva . Pure noi temiamo che i Francesi, i quali vogliono leggere le riviste Inglesi, in conseguenza della riputazione di cui godo- no, restino in gran parte sorpresi, e fors'anche si sdegnino nel trovarvi censure esagerate e parziali sopratutto contro i libri che. non sono scritti in Inglese. Una falsa direzione data a ciò che chiamano male a proposito spirito nazionale gli rende eviden- temente ingiusti Questa disposizione, che degenera sovente ne- gl Inglesi in spirito di partito, d’ intolleranza d’ esclusione , os- cura il discernimento degli uomini più istruiti, e fà loro ve- der gli oggetti nel solo aspetto che lusinga le passioni, onde son dominati. Per un Inglese tutto è meglio nella sua patria che altrove; pare intimamente persuaso che la sua nazione sia superiore a tutte l’ altre non solo nel governo le leggi le isti- tuzioni i costumi il commercio le ricchezze , ima pur anche nelle scienze le lettere e l’arti- L’ amor di patria è un senti- mento sì nobile che si prova dispiacere, vedendo derivare da una sorgente sì pura pretensioni tanto ingiuste e ridicole; ma (a) La gazzetta letteraria non merita tutti i rimproveri che facciamo all' altre riviste Inglesi. Qualche volta i suoi redatto- ri si divertono alle spalle dei letterati Francesi; ma nelle loro osservazioni critiche v'è più gajetà maligna ( humour ) che bile ( splcen ) scientifica, e amara; son garbati, benchè non siano francesi . E ie Ge i e, e 1 rat e sl ei "Sia Pe ia RI Sa n 365 bisogna pur convenire che quando il sentimento malinteso del- l'amor patrio ci rende tanto ingiusti da non vedere ciò che vi è di buono tra gli stranieri, da diminuirne il merito e la glo- ria per far piacere ad um orgoglio puerile , e da togliere ad al- tri la palma per attribuirla a noi stessi, questo sentimento ces- sa d’ essere onorevole , e pare che debba procurarci piuttosto disprezzo che ammirazione . Vidi I lettori che accordano una stima più estesa alle dotte ri- viste, delle quali parliamo', sono particolarmente disgustati di veder tanto spesso qualche satira ingiuriosa contro i Francesi, e non sanno indovinare la causa di tanta ingiustizia e di tanta amarezza. Sarebbe forse una conseguenza di quell’antica -rivali- tà di forze di ricchezze di bravura di civiltà e d’ industria, che regna fra i due popoli? Non possiamo indurci a crederlo . Un sentimento di gelosia non esiste senza motivo, e gli autori de- gli articoli ingiuriosi , che noi prendiamo di mira, ci assicura- no che non trovano niente da invidiare alla Francia. Checchè ne sia, l’ ingiustizia dei loro giudiz} e delle loro pretensioni non è meno deplorabile. Non esiteremo per altro a perdonarla , pen- sando quale impero esercitano anche sugli uomini ragionevoli le piccole illusioni dell’ amor proprio, e le passioni che nascono dall’interesse personale; e ricusando di porre in uso le facili rap- presaglie , che potrebbemo adoperare verso censori più malinco- nici che innocenti, scuseremo volentieri la loro debolezza . A questo riflesso lodevole e veramente liberale si deve at- tribuire il silenzio, che han creduto di dover tenere i dotti Francesi sui numeri 64, e 69, della rivista di Edimburgo, e sui numeri 45, e 49, della rivista trimestrale ; giacchè tutti han pen-' sato , come noi , che la nostra patria ha altri compensi che quel- lo di rispondere colle censure alle censure dei suoi vicini . Vi ri- sponde gloriosamente, per quanto pare, quando procura al mon- do dotti e letterati, i quali accrescono ogni giorno la riputazio- ne non dubbia dei nostri padri. Noi torniamo dunque francamente a far l’elogio delle rivi- ste Inglesi , e le raccomandiamo senza temere che qualcuno ci accusi di mancare di spirito nazionale , perchè le troviamo di grande interesse , e sarebbe dispiacevole che le ingiustizie, delle quali le rimproveriamo, c’ impedissero di valutarne i pregi . Siamo persuasi che i nostri lettori, e gli autori i quali fos- sero irritati da questi traviamenti dei nostri vicini non cerche= 24° 364 ranno di farne caso. Il silenzio è più degno del carattere france- se; giacchè per rispondere vi sarebbero unicamente due mezzi : 1.° di rendere accusa per accusa; ma provando che gl’Inglesi non vagliono più di noi, proverebbemo molto male che siamo miglio- ri: II.° di confutarli lodando noi stessi, ma ciò sarebbe imitarli; e abbiamo già notato che quest’ eccesso d’ amor proprio può ren dere una nazione ridicola . Così legghiamo pure i buoni scrittori inglesi, studiamone le savie istituzioni, lodiamone altamente le qualità pregevoli ; profit» tiamo dei lumi che ci offrono, facciamo plauso ai lor progressi nell’ arti, all’ impegno che mostrano onde migliorare lo sta- to sociale, al desiderio che hanno d’ introdurre la cultura tra i popoli barbari. Sarà anche questa una vendetta, ma niuno se ne troverà offeso , Ti: Lettera scritta dal sig. A. Van-Beek il 18. agosto 1821. ai re- dattori della Biblioteca universale di Ginevra, per correg- gere un errore attribuito male a proposito ai fisici di Fi- renze ] Mi affretto ad informaryì , che in una serie d’ esperienze in- traprese per determinare tutte le circostanze nelle quali l’ acciajo si calamita per mezzo dell’ elettricità ordinaria, ho osservato realmente che gli aghi d'accinjo collocati fuori d' una spirale di rame, per la quale sì fa passare la scarica di una bottiglia di Leyda , si calamitano in senso contrario a quelli, che son collo- cati dentro . E l’ esperienza riesce ugualmente anche senza porre un ago nella catena spirale; cosicchè , per quanto pare ; |’ ago in- terno non ha veruna influenza sul saliti ai che fa | ago posto al di fuori, come lo pensano i fisiei Italiani. | Sebbene non abbiamo potuto peranche ottenere questo feno- meno per mezzo dell’ elettricità Voltaica , V identità riconosciuta di quest’ ultima coll’ elettricità ordinaria non lascia quasi verun dubbio in proposito. Per conseguenza vi prego, se non avete pubblicato la mia ultima nota , di toglierne tutto l’ articolo : ciò che i fisici Francesi ec. Se , come credo , non siete più in tempo sompiacetevi di far menzione in una nota della prima parte del iii ad ao "acne a Vi j i e 365 eontenuto della presente. To devo questo omaggio alla verità ed al merito dei dotti fisici Italiani(1). Ty Pe Lettera del Sig. Saulnier figlio alla seconda classe dell’ In- stituto (2) sul trasporto del Zodiaco del tempio di Tenti- ra in Francia . Credo di adempire a un dovere annanziandovi che il zodiaco circolare del tempio di Tentira è in nostre mani,.e son sicuro che è già arrivato a Marsilia. Permettetemi di narrarvi breve- mente le circostanze di questa operazione ardita, la quale puo forse recar sorpresa. Vi è nota la protezione che accorda Mo- hammed-aly vicerè d'Egitto a tutti i viaggiatori Europei, i quali vanno ad esplorare le antichità della Tebaide . Con questa specie di seduzione ei cerca di determinar gli Europei, dei quali ap- prezza i talenti, a stabilirsi in Egittò , in cui regna oramai felice- mente dopo averlo tolto al dispotismo dei mamelucchi, Istruito di queste disposizioni del vicerè dai miei corrispondenti, e dal- (1) Pubblichiamo tanto più volentieri la leale dichiarazione del sig. A. Van- Beek, in qnanto che avevamo inserito con dispiacere, e solo perchè volevamo conservarlo nella sua integrità, il rapporto trasmessoci , contro il quale abbiamo ricevuto una replica , oramai superflua . Ma per.rendere più completa giustizia al dotti fisici di Firenze , profittiamo di questa circostanza per far noti due fenome» mi magnetici interessanti , la scoperta dei quali è dovuta ad uno di lovo , al prof, Gazzeri. 1.° che il ferro è in certe circostanze un coibente, o non conduttore del- Ja forza magnetica; 2:° che quando si colloca un ago di bussola esattamente nel piano del meridiano magnetico , fissando il polo N, al 5. o reciprocamente, l’ago resta immobile , e non ritorna nella sua situazione naturale se non che facendo deviare un poco il suo asse dall’una o dell’altra parte del meridiano. Quest’ espe- rienza che abbiamo ripetuta con tntto il successo è un fatto suscettibile di spiega- ‘zione in tutte le teorie . Nota dei redattori della biblioteca universale di Ginevra ( settembre 1821). \ (2) I sig. Saulnier figlio era conosciuto per le sue utili ricerche sulle anti- chità Egiziane . Aveva raccolte in Egitto le più belle mummie, e varie statue di granito . La sua nuova conquista è anche più interessante . Non si trattava u- nicamente di concepire l’ idea d’ involare il zodiaco dal tempio di Tentira , ma di determinare inoltre i mezzi onde porla in ‘esecuzione, e vi voleva poi tutto il coraggio d’ un uomo intrepido per condur l’ intrapresa a buon fine . I sigg. Saulnier e le Lorrain hanno dunque ugual diritto alla gratitudine di chi ama l’ arti e le scienze , in quanto che senza soccorsi stranieri son giunti ad otte- mere ciò che si proponevano. i ‘ 366 le relazioni dei viaggiatori, mi proposi fin dall’anno-decorso di trarne profitto; ma pensai nel medesimo tempo di non esporini all’ esito incerto degli scavi. Quand’ anche vi fossi riuscito, non poteva ottenere altro che di accrescere il numero dei monumen- ti magnifici sì, ma uniformi, che ingombrano ormai tutti i musei dell’ Europa. Pensai che conveniva trascurar le copie , e rivol- gersi a qualche originale. Mi cadde in mente il planisferio scol- pito in rilievo sulla volta del tempio di Tentira . Mi pareva il monumento più curioso , che restasse in Egitto Lo avevano per la prima volta presentato alia attenzione pubblica i dotti della commissione , e dopo era stato |’ oggetto di mille discussioni scientifiche , le quali non sono ancora terminate . Riflettei che sa- rebbe utile di toglierlo ad una nazione barbara , e da un paese re- moto , e quasi inaccessibile, in cui era minacciato da tante cause di distruzione ; e che questo solo acquisto ci ricompenserebbe del tempo perduto da noi, mentre gl’ Inglesi si erano arricchiti di tante altre antichità della Tehaide . La possibilità dell’ operazione era per. me dimostrata nelle carte disegnate già dalla commissione d'Egitto. Per mia disgrazia un affare inaspettato m’impedì di partire , e poteva impedirmelo per lungo tempo. Confidente del mio progetto e testimone del dispiacere che io provava per do- vervi rinunziare; Lelorrain mostrò desiderio di incaricarsene . Ac- cettai con piacere l'offerta, sapendo ch’ ei riuniva tutte le qualità necessarie per riuscire nell’ intrapresa . Siccome era certo che non troverebbe in Egitto gl' istrumenti dei quali aveva bisogno, feci fare in gran fretta una quantità di seghe di diverse dimen- - sioni, per distaccare il planisferio dal palco, dei martinetti per sollevarlo, e una treggia per trasportarlo sul Nilo. L'idea di questa treggia di una figura ingegnosa e nuova appartiene a Le- lorrain ; e io riguardai il merito dell’ invenzione come un preludio sicuro del buon successo del suo viaggio . S’ imbarcò nei primi d’ottobre 1820 per Alessandria , vi giunse pochi giorai dopo, passò al Cairo, e si presentò al Vicerè, che lo accolse cortese- mente, gli accordò senza riserva la permissione di lavorare nel tempio di Tentira, e per un atto di cortesìa più speciale gli consegnò anche una lettera per suo figlio, che governa l’ alto Egitto. Quando giunse a Tentira la vista del tempio gli di- mostrò che il progetto formato a Parigi non era chimerico. Il zodiaco si trovava sulla volta d’ una dala nel piano superiore del tempio. Il tetto che cuopre il tempio era ingombro di rovine. mi) 567 d’ un villaggio che.vi costruirono probabilmente in tempi remo- ti i coltivatori Arabi per sottrarsi agli attacchi dei beduini, e dei mamelucchi . Un terrapieno di declivio assai dolce nasconde- va una parte della parete laterale; ed io aveva ‘pensato che il | planisferio si potrebbe portare abbasso appunto per mezzo di -quel terrapieno . E realmente tutto fu eseguito presso a’ poco nel modo previsto. Lelorrain fece sgombrare le rovine del vil- laggio, che cuoprivano il planisferio, lo tagliò, e lo portò fino a terra per il declivio del terrapieno; e gli riuscì quindi ‘ages , volmente di trascinarlo in treggia fino al battello , sul qua'e a- veva risalito il Nilo. Doveva sperare , che l’ operazione fosse quì terminata , e che oramai potrebbe godersi in pace del ri- poso che gli era necessario dopo tante pene , e tanti disagj, ai quali si era esposto nel mese di maggio , quando il sole era ar- dente. Ma un ostacolo più forte lo attendeva al suo ritorno al Cairo. Voi sapete quali odj violenti ha eccitati in Egitto la ri- cerca delle antichità fra gli Europei . Le descrizioni , che ne hanno date i viaggiatori son pur troppo fedeli ; e Lelorrain era sul punto di divenirne la vittima. Si era sparsa al Cairo la nuo- va del buon esito della sua operazione , prima ch’ei vi giunges- se; e tuîti gl'investigatori d’ antichità si erano posti in agita- zione. Uno di costoro, che non voglio nominare perché non a- mo le discussioni personali , tentò d’ involargli il premio d’ uma operazione , di cui non si sentiva capace. Sotto pretesto di ave- re ottenuta prima\di Lelorrain la permissione di fare scavi sul- la base del tempio di Tentira, dimandava la consegna del pla- misferio , il quale era stato tolto dal tetto. La pretensione era ingiusta; ma si doveva temer molto dal grado e dall'influenza personale di chi la poneva in' campo. Imaginate la situazione del nostro disgraziato viaggiatore, il quale si aspetta tremando d’ essere spogliato di ciò che ha raccolto con tante pene ! For- tunatamente ad onta del credito del rivale , la sua agitazione non durò molto . Il Vicerè , a cui fu reso conto della contro- versia, non esitò un momento a deciderla in favore di Lelor- rain ; prova luniinosa dell'equità che lo dirige nelle sue deci- sioni, e della benevolenza , con cui sono accolti i Francesi in Egitto. Tutti gli ostacoli eran tolti.» Lelorraîn si portò ad Alessan- dria , ed imburcò il zodiaco in un bastimento , che fece vela po- ‘@hi giorni. dopo per Marsilia . Così uno dei più: pregevoli mo- / 368 numenti dell’ antico sapere Egiziano si trova oggi in Francia. Non ho bisogno d’ aggiungere cl se la Francia vuol conser- varlo , non le sarà sicuramente tolto . Checché ne avvenga, tut- ti coloro che amano le arti si congratuleranno in sapere, che. questo monumento è stato involato alla solitudine, in cui resta- va da tanti secoli ignoto , e che ormai è al sicuro dalle muti- lazioni dei barbari. Del resto io. devo alla commissione d’ E- gitto la prima idea dell’ operazione , di cui vi ho reso conto , e e attribuisco tutto l’ onore a Lelorrain, che l’ ha eseguita con tanta abilità. | G.ReP. Società geografica in Parigi. Si è formata in Parigi una società ad oggetto d’ estendere l’impero della geografia . La società si propone di dare alla. luce per mezzo delle stampe tutte le memonie scientifiche, le quali ne saranno riconosciute degne , di pubblicare carie geografiche, di distribuir premi , e di pagare le spese dei viaggi, che saranno ne- cessarj per i progressi della scienza. Nella prima adunanza che eb- be luogo il r.ottobre , i soc} approvarono un regolamento provvi- sorio . Fan parte di questo pregevole instituto Barbier di Boca- ge , il baron di Bougainville, Bruè, i due Champollion-Figeac , Depping, du-Petit-Thouars, Eyriés , il baron Fourrier, Jau- bert , Jomard, Langlés, Lapié, Laplace , il barone Lescalier, Le- tronne, Malte-brun, il marchese Pastoret, Rossel ,' il vice-am- miraglio Sidney-Smith , Walckenaer, e molti altri dotti di prim ordine . Il numero degli associati cresce rapidamente , e tatti gli amici della scienza gareggiano in prender parte ad una intra- presa tanto utile. Quanto più avrebbe bisogno di un simile insti- tuto l’Italia, in cui la geografia è oggi una scienza quasi. dimen- ‘ticata! G. R. P: Spedizioni Russe per il N. O. e per l'Oceanica. JI bastimenti Russi Blagonameronnoi e Otkritie, che erane partiti da Cronstadt il 15 luglio 1819. sotto il comando di Vasi- lieff per un viaggio di scoperte son giunti al porto Jakson ( nuo- va Olanda) il 1. marzo 1820; e si son diretti il 27. al Kamtciatka, “iti SO pi ntsc ini x 369 Lo scopo di questa spedizione è di scuoprire un passaggio al N. dell’america per lo stretto di Behring. Qualora incontrasse ostaco- li invincibili alla navigazione prescritta deve inoltrarsi sui ghiacci quanto più potrà. A quest’ effetto ha seco una specie di bat- telli di ‘nuova invenzione, i quali possono far le veci di traini , ed esser guidati da pochi nomini. Oltre questa spedizione ma- rittima è partito un distaccamento per terra con ordine di av- vicinarsi quanto può alla costa, dello stretto di Behring . Queste due spedizioni che agiscono, di) concerto con quella del capitano Parry raccoglieranno senza. dubbio molte notizie interessanti per la geografia della costa settentrionale dell’ america . Un’ altra spedizione Russa che è partita ugualmente da Cron- - stadt il 15. luglio 1819. con due bastimenti sotto il comando di Billinghausen è incaricata di riconoscere minutamente le isole San- dvich, e le altre isole del grand’Oceano. Si è arrestata due vol- te al porto Jakson il 1. aprile e il 2, novembre 1820. G. R. P. Descrizione di alcune medaglie greche del Museo particolare di sua ALTEZZA REALE Movnsic. caistIANO FEDERIGO, prin- cipe ereditario di Danimarca ; per Domenico SESTINI . Firenze presso GUGLIELMO PIATTI, in 4° di 27 pag. con 2. tavole. 1821. Lettere e dissertazioni numismatiche sopra alcune medaglie rare della collezione Ainslieana , e di altri musei , per DomENICO SESTINI. Tomo V. edizione seconda, accresciuta e corretta. Firenze 1821. presso GUGLIELMO PIATTI in 4° di 85 pag. con due tavole . E' così noto a tutti gli amatori della Numismatica quanto sono preziose le indagini e gli scritti del celebre Sig. Sestini , che inutile sarebbe il dilungarsi sul merito di questi due volu- mi recentemente prodotti dall’ instancabile sua penna : basta dunque ie annunziargli al pubblico per. richiamar l’attenzione + di quelli a cui simili libri possono essere utili. Vedasi d'altron- de il vol. Il. pag. 484. della presente raccolta . 370 Continuazione de racconti del vecchio Daniele, destinati ad istruire e dilettare la gioventù. Prima nt dina dal- l'inglese sulla settima edizione di Londra. I. Vol. in 12. Pisa presso Seb. Nistri e in Firenze al Gabinetto Lettera- rio; prezzo paoli 3 3. — Nel volume 11. pag. 328. di questo giornale annunziammo la pubblicazione del primo volume di questi racconti, dei quali il presente è la continuazione . Saremo sempre solleciti a dar notizia dei libri utili, e con tanta maggior cura e piacere quan- do vengono pubblicati presso di noi. I buoni libri elementari da leggersi dai giovinetti son tanto rari fra noi, che dobbiamo al volgarizzatore di questo esser grati , il quale pel desiderio di provvedere d’ un’ utile e piacevol lettura i fanciulli ha volu- to sottrarre qualche momento alle sue più gravi occupazioni , ed occuparsi seriamente di una versione che avrebbe potuto considerare come un semplice passatempo . Scrivendo per de’ fanciulli, a’ quali è necessario esporre l’ idee e i fatti colla maggior semplicità e chiarezza , bisognava che il buon vecchio facesse i suoi racconti senza pretensione e con tutta la bona- rietà possibile ; e questa forse era la maggior difficoltà che in- contrar doveva il volgarizzatore, essendo naturale che un let- terato italiano abbia maggior familiarità collo stile classico, che col linguaggio popolare degl’ Inglesi, del quale ultimo si è ser- vito l’ autore originale di qesti racconti. In ‘conclusione il no- stro volgarizzatore ; il quale per modestia non ha voluto appor- re il nome al suo lavoro, ha saputo rendere un segnalato ser- vigio a’ padri di famiglia. Non possiamo trattenerei dal far dei voti perchè di tali libri se ne veggano sovente riprodotti in Ita- lia, perchè se ne vedano parto di penne italiane , il che sareb- be ancor meglio, e perchè finalinente si vedano fra le mani dei giovanetti piuttostò che certi meno edificanti romanzi che pur troppo sono lor dati a leggere con danno anzi che con vantag- gio della loro morale educazione . Collectio Latinorum Scriptorum cum notis. Collezione dei clas- sici latini, con note e commenti. Torino presso la VED. Pom- BA E FIGLIO 1821. Finalmente la patria di Cicerone , di Virgilio, e d'Orazio, RT e E E ARTI PI e LE : —x de nn Do E e e n c“ 371 1’ antico. domicilio delle lettere e delle Muse latine, non dovrà più ricorrere agli oltramontani per provvedersi delle più stu- diate edizioni dei suoi classici Scrittori. La famigerata collezio- me di questi fatta sul cadere del passato secolo a Due-Ponti , rinnuovasi ora (e pare anche con maggiore scelta e consiglio ) dalla tipografia della ved. Pomba a Turino. E ciascun Classi- co comparirà adorno delle note ed illustrazioni dei filologi, cui per universal consentimento è dato il primato in questa sorta di studi. La scelta delle quali, non meno che quella dei testi e la loro emendazioné e correzione, è confidata a vari dotti Professori di lingua greca e latina; i quali faran pure alle no- te quelle giunte che crederanno conferir meglio all’ intelligenza degli autori , e che dalle più recenti osservazioni e scoperte in fatto di filologia saran loro consigliate. Di che porgeranno opportuna occasione gli egregj lavori fatti in questi ultimi tempi sopra i Codici palimpsetti di due delle più celebri Biblioteche Italiane dal dotto ed infaticabile Mr. Angelo Mai, pe’ quali ci sono stati fatti conoscere nuovi e preziosi frammenti e molte smarrite scritture d’ antichi Clas- sici. E gioveranno pure al proponimento della presente edizio» ne gli studj del genere stesso intrapresi da altri benémeriti let- terati, fra i quali non è da tacere l’ egregio Sig. Miehbur. Saranno questi i pregi particolari ed intrinseci della edi- zione che annunziamo . Ma noi possiamo anche sperare che non anderanno essi disgiunti dai pregj di una notabile eleganza e precisione tipografiea, facendone argomento dagli otto volumi che sin quì ne sono comparsi in luce . Stantechè ci piace in questi la forma, e il sesto convenientissimo a questa fatta di libri ; la distribuzione del testo , delle varianti, e delle note comodissima pel leggitore , la buona carta, i chiari e puliti ca- ratteri : dei quali vien promessa la rifusione dopo un certo nu- mero di volumi, da ripetersi di tempo in tempo, affinchè là col- lezione , mantenendosi freschi i caratteri, riesca tutta d’ ugual bellezza, dal primo al centesimo volume ; che di tanti per lo meno ella sarà composta. E la pubblicazione di otto di questi per eseguirla nel giro di non molti mesi , e la promessa di dar fuori i consecutivi presso a poco di mese in mese cì danno dimostrazione di molta alacrità di procedere in questa lodevole impresa . Nè altro che moderato ci pare il prezzo sta- bilito per la medesima e ragguagliato a 20. centesimi per ogni 372 foglio di 16 pagine in grande ottavo, considerato non solamen- ‘te a rispetto di quello delle consimili edizioni oltramontane , una delle quali stà pure eseguendosi in, Parigi, mh anche rela- tivamente al merito e alla gravità dell’ assunto per corrispon- dere al quale vuolsi molta intelligenza, cura, e fatica. Perlochè noi auguriamo all’ impresa ottima fine, e lo desi- deriamo \ad onor delle lettere , e dell’ [talia . E in nome di que- ste noi ringraziamo la vedova Pomba dell’ opportuno suo divi- samento ; e la confortiamo a proseguirlo con quella stessa diligen- za e alacrità, colla quale vi ha posto mano; sperando che il favo- re con cui merita di essere accolta questa sua bella collezione dei Classici latini, possa impegnarla com’ è general desiderio a prepararne all’ Italia una pure dei principali Classici greci. , Giornale delle lezioni pubbliche , che si danno dai professori di giurisprudenza, belle lettere , e istoria in Parigi; compilato da una società di letterati, e di avvocati . Parigi 1821. Estratto dalla rivista enciclopeilica . L’ insegnamento: pubblico , che nacque in Francia per ope- ra di Francesco I. e, progredì rapidamente per il favore dei suoi successori è una istituzione che onora più di molt’ altre il nostro paese in faccia agli stranieri. Il, collegio reale , la facol- tà delle lettere , la facoltà delle scienze , e venti altri stabili- menti di questo genere non sono aperti per i soli Francesi ; la gioventù studiosa di tutte le nazioni viene, a confondersi quì colla gioventù Francese , per istruirsi seco nella morale la let- teratura e l’istoria . I nostri professori h:n resa ormai tanto in- teressante l’ istruzione pubb'ica per ricerche profonde, per savj principj, per merito letterario, che non solo i giovani accorrò- no in folla ad mndirne le lezioni, ma anche gli uomini d’ età matura non sdegnano di divenire. nuovamente. scuolari, ed i dotti e i letterati vanno ad arricchirsi alla nuova sorgente del sapere . Una buona analisi di queste lezioni è utile ai giovani, i quali si occupano seriamente di studj letterarj ; è utile sopra- tutto a quelli, che non posono assistere personalmente alle lezio- ni, ed agli studiosi d’ ogni nozione fra cui manca un istituto simile . E’ utile infine all’ uomo istruito, che ama di conosce» [ 373 re i progressi dello spirito umano, progressi che dipendono più di tutto dall’ istruzione perfezionata della gioventù . Non deve dunque recar meraviglia, che i nostri professori, i quali son sempre pronti a volere tutto ciò che è utile, abbia- no di buòf grado comunicati i loro manoscritti ai redattori di questo giornale , per divalgarli . Il giornale, che annunziamo , comprende l’ analisi ragiona= ta delle lezioni di ciascun professore , e sovente vi si riportano per l’intero i discorsi più pregevoli per sublimità di pensieri o per sellezza di stile. Le lezioni del sig. de Portets sul diritto di natura, sul diritto delle genti, e sul diritto pubblico generale tengono il primo posto nell’ analisi, come lo tengono nelle scuo- le; perchè bisogna sapere su quali fondamenti posano le leg- gi prima di esaminarle; ed è necessario , che i giovani imparino quale dev’ essere la legge prima di vedere qual’ è . Succedono a queste le lezioni del sig. Degerando sulle leggi amministrati- ve ; quelle del sig. Poncelet sulle leggi Romane , del Sig. Dau- nou sull’ istoria, del sig. Tissot sulla poesia latina , del sig. La- cretelle il giovane sull’ istoria di Francia , del sig. Guizot sul- Y istoria del governo rappresentativo, del sig. Pierrot sull’ elo-- quenza francese . Tutta l’ opera dev’ essere composta di 8. volanìi in 8.° Ogni eorso è distribuito in r2 numeri , che formano un volume di cir- ca 400 pagine ; si pubblica un numero ogni mese(1); i primi 8 sono già pubblicati . fi, Pi Ocuvres completes de Rollin. Tutte l’ Opere di Rollin. Nuo- va edizione corredata d'’ osservazioni e di schiarimenti storici del Sig. Lerronne membro dell’ Istituto . 30 volu- mi in 8° 2 con Atlante. Parigi, presso Firmin Didot padre e figlio. Prezzo 7 franchi il volume (sono già pub- blicati 10 Volumi). Sono tanto meritamente tenute in pregio le Opere di Rol- lin, che ora inutile si renderebbe qualunque lode che da noi se ne facesse . Il suo Trattato degli studj sarà sempre quel fonte da cui si trarranno le idee le più giuste, e le più sane (1) Quest’ opera si trova al Gabinetto scientifico e letterario dell’ Editore dell’ Antologia , a disposizione degli associati . 374 dottrine sulla istruzione della gioventù. La sua storia anticà, e la sua storia romana son rimaste le due più belle storie che abbia la lingua francese . Da lungo tempo si conosce il bisogno d’un’ edizione di queste opere , in cui si possan trovare le os- servazioni e gli schiarimenti che sono oramai necessari alle pre- senti cognizioni, come già ad un illustre letterato era caduto in pensiero ; nè possiamo abbastanza dolerci , ch’ egli non l’ab- bia potuta fare ; poichè allora la Francia avrebbe avuto una e- dizione classica di Rollim, che pur le manca. E’ noto infatti da molto tempo che Rollin in alcuni luoghi della sua Storia , di cui egli è stato cortese alla Francia, non fu molto accurato scrittore: nè potendo sempre internarsi con bastante attenzione il senso di passi astrusi, che avrebber richiesto un profondo e- same , egli si è affidato talora a ‘versioni infedeli, egli ha so- vente dati per certi alcuni fatti fondati o su deboli fondamen- ti, o su false interpetrazioni. Gli è mancato il tempo per ve- der tutto da sè , e per andar sempre alla sorgente ; e talvolta s' è veduto costretto a mescolare nella sua opera gli altrui la- vori fatti innanzi a lui, senza sottoporgli a nuovo esame . Ei rinnova con franchezza e con ingenuità ben cento volte questa confessione nella sua storia ; tanto mostra temere che .non gli sì attribuisca l’ altrui opera ; nè si stimi più dotto di quel ch' ei non credeva d’ essere . Non dee dunque recar maraviglia che l’ opere di Rollin racchiudano una moltitudine di errori di par- ticolare , senza quelli derivati dallo stato in cui era la scienza mentr’ egli scriveva ; perciò pare impossibile che ora si pensi a phibblicene una nuova edizione delle sue opere , senza unirvi. gli schiarimenti , e le correzioni omai necessarie . E' oramai tempo di pubblicare dopo tutte quelle ristampe , nelle quali si è avuta la maggior cura di riprodurre i difetti delle preceden- ti, un’ edizione in cui i testi degli antichi autori sieno rivedu- ti e di nuovo esaminati , e che nel dare intatta l’opera di Rol- lin, abbia nei luoghi difettosi esatte spiegazioni ricavate dalle medesime sorgenti della Storia. Ecco lo scopo che si sono pre- fissi in questa edizione gli editori . Il sig. Letronne , membro dell’ Istituto 8 è voluto assumer l’incarico di questo lavoro . Il nome di questo dotto uomo ci assicura della profonda eru- dizione , e della critica, che guidano questa revisione dell’ ope=, re istoriche di Rollin. Le sue osservazioni poste in piè di.pa- gina d’ ognì volume , hanno principalmente in mira di correg» | 375 ger gli errori nel particolare ; che possono esservi nella narra- zione di certi fatti, di dichiarare , o confermare i fatti oscuri o dubbj, di correggere ; mercè le ricerche dei moderni critici } tutte le valute delle misure antiche, delle quali se ne faranno alcune dimostrazioni alla fine dell’ Nirit Le note del Sig. Le- tronne sono segnate - L ; e le giunte o correzioni da esso fatte alle note marginali sono chiuse in parentesi. L’ Atlante di d’ Anville, che per lo più accompagna le opere di Rollin , sarà pure unito a questa edizione : ma molte di quelle carte saranno corrette sulle notizie che or’ abbiamo sotto la direzione del sig. Letronne . Sarà arricchito questo Atlante col piano d’ Atene, e con quello delle battaglie di. Maratona, delle Termopili , di Satamina , e di Platea . In una parola nulla trascurano gli edi- tori di quello che può accrescer l’ utile e l’ interesse della nuo- va edizione dell’ opere di Rollin, per renderla degna del nome del loro celebre autore. IMPERIALE E REALE ACCADEMIA DELLE BELLE ARTIIN FIRENZE uesta Accademia propone agli Artisti di qualunque Na- zione nel concorso che riapre pel 16 Settembre del 1822 i seguenti Programmi , ai quali aggiunge le condizioni, che osservar debbono i concorrenti. Prima Classe == ARTI DEL DISEGNO PITTURAÀ. Soggetto. È noto che Alessandro essendosi con teme- rario valore lanciato nella città degli Ossidraci, fu da un In- diano gravemente ferito , e sottratto alla morte dal co- raggio dei suoi guerrieri , venne trasportato nella sua ten- da. Dubitavano i Medici, e fra gli altri Critobulo, il più \ 376 esperto fra loro ;' di togliere la saetta altamente penetrata nelle viscere del Rè, perchè ogni più lieve moto che egli in quell’istante facesse, potea riuscirgli fatale . Alessandro. ordinò al medico incerto , e ricusante d’estrargli il dardo, assicurandolo che malgrado il dolore di questa operazione ei sarebbe, senza che alcun lo tenesse , immobile rimaso. Il Pittore sceglierà questo momento nel quale può e- sprimere l’intrepidità nel volto dell’Eroe, e sulle sembianze dei prodi, i quali lo circondavano, la paura, il dolore, la speranza che doveano manifestarsi nel pericolo d'una vita a lor così cara. Vedi Plutarco e Q. Curzio lib. IX. Il Quadro sarà in tela largo braccia tre fiorentine, os- sia cinque piedi parigini , pollici 4, linee 8 e > ed alto braccia due e 3, ovvero piedi quattro, linee 6 e 3. Premio. Una Medaglia d’ oro del valore di sessanta zecchini . SCULTURA Soggetto. Veti che trafuga dall’antro Emonio Achille addormentato, e ajutata dalle Nereidi lo pone sul cocchio marino, per sottrarlo alla morte che inevitabile gli sovra- stava sotto le mura di Troia. Leggasi il secondo libro del- l’ Achilleide di Stazio, quantunque in’ questo Poema nor sieno alcune particolarità volute dal Programma. Il Bassorilievo sarà in gesso, largo braccia due fioren- tine, ovvero tre piedi parigini, pollici 7, linee 1 e è, ed alto braccia uno, soldi sette, ossia piedi due, pollici 5. Premio. Una Medaglia d’oro del valore di cinquanta zecchini . i ARCHITETTURA. Soggetto. Uno Spedale per gli esposti. Si richiede nel Disegno di questo Edifizio, oltre tutto quello ch'è di pri- ma necessità , una Cappella pubblica, un Giardino , due Scuole, una per le lezioni d' Ostetricia e l’altra per quelle intorno alle malattie dei bambini: dovrà pure esservi un le tua RIT ASI A pere ra 377 eale appartato per l’Ospizio detto della maternità. Spetta al criterio dell’ architetto il non omettere nulla di quello che si domanda dallo scopo, e dalle note leggi di così be- nefico, e così celebre istituto. I Concorrenti dovranno presentare due Piante, una del pian terreno, l’altra del superiore, e due alzati, cioè: la facciata principale, quella da tergo, e due tagli. Premio . Una Medaglia d’ oro del valore di quaranta ‘zecchini . DISEGNO. Soggetto. Il Petrarca incoronato in Campidoglio. La brevità di un Programma non concede che si descrivano i particolari di questa funzione : ma si possono ricavare dai Biografi del Poeta , il De Sade, il Baldelli, e sopratutto dal ragguaglio datone da' Luigi Monaldeschi, il quale vi fù presente, e ne lasciò scritto nel suo Diario, impresso dal Muratori nel XII. Tomo della sua collezione di Scrittori di ‘cose Italiane . Premio . Una Medaglia d’ oro del valore di quindici zecchini . Seconda Classe— MUSICA. / Soggetto. Comala. Componimento Drammatico di Ra- nieri de’ Calsabigi. Veggasi il Tomo I. delle sue Poesie. In questo Dramma sono quattro Interlocutori: Fingallo, che potrà esser tenore , Comala soprano , Desagrena con- tralto, Idallano basso. Bardi, o cantori, ossia coro di Te- nori, e Bassi. L’accompagnamento dovrà essere a piena or- chestra . Questo componimento , in cui s’ incontra vivacità di espressione , e varietà e dolcezza di metro, somministra al- l autore bella occasione di far sentire la forza dei diversi affetti, e di distinguersi con melodie varie ed eleganti . Premio . Una Medaglia d’ oro del valore di quindici zecchini . 378 Terza Classe — ARTI MECCANICHE. MECCANICA, Soggetto. Non essendosi avuta risposta soddisfacente al Quesito dato pel concorso dell’ anno 1816, si propone di nuovo . I Mulini mossi dall’ acqua corrente o da qualunque al- tra forza, come ancora le macchine Idrauliche destinate al- l’ irrigazione sono per l’ordinario composte e congegnate in maniera da appresentare molti difetti, i quali dipendono dal soverchio attrito della mole e peso eccessivo delle macine ec., ma sopratutto hanno quello di non economizzare quan- to dovrebbesi l’acqua, di cui senza frutto quasi generalmente si abusa, mentre ben risparmiata potrebbe ad altri usi con sommo vantaggio anplicarsi. Dornandasi dunque la correzione di tutti gli attuali di- fetti spiegata in una descrizione chiara e distinta, ed ac- compagnata di più da un modello proporzionato in tutte e singole le sue parti, che sia intorno al sesto della misura della macchina in grande; cosicchè con tal mezzo si con- seguisca l'intento bramato , cioè che alla massima sempli- cità del meccanismo unitasi la minima forza motrice, venga a ottenersi il massimo effetto . Per maggiore incoraggimento dei concorrenti l' Accade- mia accoglierà volentieri dentro i termini stessi assegnati al concorso qualunque altra invenzione meccanica, che posta in pratica riescisse di notabile utilità a qualche importante manifattura, e specialmente a quella dei Lustratori , difet- tosissima coi mangani attuali in tutta l’ estensione del Gran- Ducato: imperocchè, se mancasse o non si trovasse degna del premio la prima macchina riguardante i mulini ec., vi sarebbe luogo a premiare la nuova scoperta corredata del suo modello, conformemente al merito della medesima . 379 Premio . Una medaglia da oro del valore di quaranta zecchini . C Hyl MICA. Soggetto. I vasellami di terra cotta destinati a conte- nere sostanze liquide o molli, ed in ispecie gli alimenti , sogliono rivestirsi nella superficie di uno strato di materia detta comunemente vernice , e ch'è una specie di smalto composto principalmente d’ ossidi metallici, fra i quali è quello di piombo. Mentre nelle porcellane , e nelle altre ter- raglie fine, le buone qualità dell’impasto terroso, il grado di cottura, e la durezza che ne deriva fanno che la coper- ta 0 vernice aderisca tenacemente alla sostanza del vaso e la difenda efficacemente dall’ azione dei liquidi , e d’ altre materie ; all’opposto le qualità molto diverse delle terraglie ordinarie fanno sì che la coperta o vernice se ne distacchi | con facilità , lasciando il vaso non solo deformato, ma pu- re atto ad imbeversi delle materie liquide e specialmente untuose che la terra riiiene tenacemente. La mediocre cot- tura e la poca aderenza di questo smalto sono poi cagione che talvolta una porzione dell’ ossido di piombo contenuto- vi sia parzialmente disciolto specialmente dalle materie gras- se, acide , o altre, ed introdotto nel corpo umano vi pro- duca sconcerti anche gravi . Però |’ Accademia offre un premio a chi le comuniche- rà il miglior modo per cui si possa facilmente e sicuramente : rivestire la superficie delle terraglie ordinarie di una coper- ta vetrosa aderente alla iterra, inpermeabile all’ acqua , ed alle sostanze grasse. L” Mbiaderia apprezzerà maggiormente quel metodo che alle due accennate condizioni di rigore riunisca l’altra d’ un aspetto e d’un colore piacevole . Dovranno unirsi alla descrizione del metodo da tenersi alcuni ‘saggj di terraglie, che per esso siano state rivestite del richiesto strato o coperta vetrosa . Premio. Una medaglia d’ oro del valore di trenta zecchini. (N 330 CONDIZIONI. Le opere dei concorremi dovranno essere consegnate aî Segretarj delle respettive classi prima del dì 1. Satenibie del 1822. Quelle che non verranno consegnate nel detto termine , non saranno ricevute in concorso , esclusa qualunque olii ficazione sul ritardo. Le Segreterie dell’ Accademia non s° incaricano di riti- rar le opere , quantunque ad esse dirette, nè dall Ufizio del- la Posta, nè dalla Dogana. Ciascuna opera dee essere accompagnata da una deseri- zione, che spieghi la mente dell’ autore, e contraddistinta da un'epigrafe ripetuta nella sopraccarta di un biglietto si- gillato, entro il quale si legga il nome, la patria, e il do- micilio del concorrente. Prima che siano esposte all’esame dei professori le ope- re presentate, se ne verificherà innanzi ai latori il buono o cattivo stato anche _con atto pubblico, quando pel loro to- tale deperimento rimanessero escluse dal concorso . Il Giudizio che su diesse pronunzierassi, risulterà dal voto- ragionato in iscritto degli Accademici Professori a ciò destinati in ciascuna classe , e sarà manifestato colla stampa . Tutte le opere dei concorrenti rimarranno esposte al Pubblico per otto giorni dopo il giudizio . Le premiate si distingueranno col nome dell’ autore , e diverranno proprie- tà dell’ Accademia. L’altre si restituiranno coi fogli e bi- glietti che le accompagnavano, dei quali sarà inviolabile il gillo . L’ Accademia non risponde della conservazione del- l’opere non premiate, qualora dagli autori non si recupe- rino dentro lo spazio di sei mesi. GIOVANNI DEGLI ALESSANDRI Presidente. Gio. Barista NiccoLini Segretario della I. Classe . Vincenzio Broccai Segretario della II. e III. Classe. ANTOLOGIA N XII. Dicembre 1821. DI SCIENZE MORALI E POLITICHE LEGISLAZIONE CRIMINALE. Dela Justice etc. Della Giustizia Criminale in Fran- cia, del Sig. BerenGER ec. Parigi in 8. Observations etc. Osservazioni sopra vari punti im- portanti della nostra Legislazione Criminale, del sig. DuPin; Dottore di. Legge e Avvocato alla Corte Reale di Parigi. Parigi giugno 1821. Un vol. in 8.° Des Vices etc. Dei Vizj e degli abusi dell’ instru- zione criminale in Francia, e dei mezzi di ri- » mediarvi, del sig. Trugard , Avvocato alla corte . reale di Rouen , ed antico Magistrato . Parigi 1821. De lAdministration etc. Dell’ amministrazione del- la giustizia criminale in Inghilterra e dello spi- rito del Governo Inglese, del sig. Cottu Consi- gliere alla Corte Reale di Parigi, Segretario ge- nerale del Consiglio della Società Reale delle pri- } gioni e del Mbnaigue speciale delle prigione di Parigi . T. IP. Dicembre 23 i È È 382 v Observations etc. Osservazioni sul Giurì di Fran- cia, del sig. LEGRAVERAND maestro delle va pliché Recherches etc. Ricerché istoriche sul Giurì, del sig. Guermon DI INANVILLE, Dottor di Legge, È: alla Corte Reale di Caen . 7 De la procedure etc. Della procedura pei giurati in materia criminale: del sic. pe RemusaT. Coup d’ ocil etc. Colpo d’ occhio sul Giurì qual è , e quale potrebbe essere, di M. B. seconda edizione. Considerations etc. Considerazioni sul potere giudi- ziario e sul giurì, del sig. pe Monricnr Consi- gliere alla Corte Reale di Bourges. è» Des pouvoirs etc. Deî poteri e delle obbligazioni dei Giuri, di Sir Riccanno PHitips, tradotto dall’in- glese, da M. Comte. TL. vera scienza criminale può dirsi di creazione mo- derna , se si considera creata una scienza allorchè n° è formato un sistema, ossia una concatenazione com- piuta di parti. Fra i Greci, ed i Romani ( passo sotto silenzio gli altri popoli dell’ antichità ) niun trattato, niun professore aveano abbracciato i principj e le di- ramazioni di questo studio. La materia specialmente delle prove e degl’ indizj era maneggiata soltanto dai retori, i quali si contentavano di raccogliere osserva- zioni e precetti al ammaestramento dei difensori ; e considerata sotto quest’ aspetto sì riferiva, non all’ arte di trovare la verità , ma a quella di persuadere altrui esser verità quel ché giovava alla salute dell’ accusato , o al trionfo dell’ accusatore. Quindi della teorìa delle | | la] ii EE EE I Lola SMISE n 333 prove , che è la parte la più difficile e la più impor- tante della scienza criminale , non si leggono fra gli antichi se non alcuni suggerimenti pratici, dati agli Oratori, come particolarmente si scorge leggendo la ret- torica d’Aristotile , le opere di Cicerone, o le istitu» zioni di Quintiliano . Il Cancellier Bacone da Verulamio , quegli che tanto vedde e tanto insegnò sull’estensione ed accre- scimento delle scienze, e che per la sua condizione me- desima era in grado di avvedersi più d’ogni altro di siffatta lacuna , classificando le discipline tutte, e no- verando quelle eziandio che non erano ancora nate , tacque su questo supplemento che potea farsi all’ in- segnamento umano : e pare strano, che si contenti di fare qualche parola d’ una materia sì essenzialmente legata ‘alla scienza sociale, in proposito unicamente dell’ arte oratoria . Il primo a svegliare su duesr articolo l’attenzione dei pensatori fu l’autore dello spirito delle leggi. Al- cuni tratti che colpirono il segno, avvertirono ove poteva arrivarsìi , quantunque il sistema universale su cui sì regge quell’ opera fosse più atto a disanimare , che a incoraggire gli amici dell’umana specie . Fortu- natamente però quel fatalismo, che vuole subordinata la perfettibilità umana alla natura del clima e alla for- ma particolare del governo di ciascun paese, cedè il luogo ben presto a dottrine più consolanti . Migliori ri- flessioni in fatti convinsero , che non i diversi climi, ma il diverso grado d° istruzione è causa della superio- rità d’ una nazione sopra d’un altra, e che perciò ogni nazione può aspirare al maggior punto di felicità acce- lerando l’ universale cultura, e che qualunque sia la 334 | i forma di governo adottata , sia in..mano di un solo , 0 di più l'autorità legislativa, le leggi possono essere e- gualmente buone , quando siano tali da condurre allo scopo del ben essere universale . Questo principio per- «suade a trattar la scienza delle leggi, astrazion fatta dalla considerazione di chi sia destinato a porla in pra- tica ; insegna il mestiero senza curarsi chi sia abilitato ad esercitarlo . Il vero padre della nuova scienza fu il Marchese di Beccaria . Il libretto dei delitti, e delle pene fu un punto luminoso, ove l’autore concentrò mille verità, co- me Archimede aveva riunitiin uno specchio i raggi del sole. Una folla dì scrittori filantropi quasi da lui chia- mati a raccolta , corsero sotto quella novella bandiera a combattere la barbarie delle antiche leggi , e special- mente poi quelle vecchie pratiche inventate dall’ igno- ranza , sostenute e difese dalla pigrizia inumana dei criminalisti . La loro assurdità diventò presto evidente per tutti quelli che non volean chiuder gli occhi alla luce del vero. o Ma finchè le nuove verità rimanevano negli scritti dei filosofi, trovavansi esposte ad esser chiamate teorie astratte e ideali, sistemi fantastici, o sogni degni di Platone . La voce della filosofia giunse però sino ai Troni con una velocità senza esempio. Fino dal 1767, vale a dire tre anni appena dalla pubblicazione in Italia del libro dei delitti e delle pene , e un anno dopo la tra- duzione fittane in Francia, }' Imperatrice di tutte le Russie Caterina Il. pubblicando un’ istruzione per la deputazione da lei convocata per la confezione di un codice di ieggi, vi avea trasfusa la sostanza di quel 335 libro . E l’immortale Leopoldo , fatto prima l° esperi- . mento accurato e giornaliero delle riforme , avea data alla Toscana la legge criminale del 1786. In questa aurea legge dettata dallo spirito dell’ u- manità la più pura, l’ Europa tutta lesse con senti- mento di venerazione e di riconoscenza , che la legisla- zione d’allora era derivata da massime stabilite nei tempi meno felici dell’ Impero Romano, o nelle tur- bolenze dell’anarchia dei bassi tempi (a). Vi trovò abolita per massima costante la pena di morte, co- me non necessaria per il fine propostosi. dalla so- cietà nella punizione dei rei (b) perchè l’ oggetto della pena deve essere la sodisfazione al privato ed al pubblico danno , la correzione del reo, figlio: anch’ esso della società e dello stato, della di cui emenda non può mai disperarsi , la sicurezza nei rei dei più gravi ed atroci delitti che non restino in libertà di commetterne altri, e finalmente il pub- blico esempiò ;' e perchè il. Governo nella punizione. dei delitti; e nel ‘servire agli oggetti, ai quali que- sta unicamente è diretta , è tenuto sempre a valersi dei mezzi più efficaci col minor male possibile al reo; e tal efficacia e moderazione insieme , si ottiene più che ‘con la pena di morte, con la pena dei lavori pubblici, i quali ‘servono di un esempio con- tinuato, e non di un momentaneo terrore , che spesso degenera in compassione , e tolgono la possibi- lità di commettere nuovi delitti, e' non la possibile speranza di veder tornare alla società un cittadino utile e corretto (c). Vi vedde eliminata affatto dal (2) Proemio. (5) Proemio. (c) Art. 51 386 catalogo delle pene la confiscazione dei beni dei de- linquenti, come tendente per la massima parte al danno delle loro innocenti famiglie che non hanno complicità nel delitto (d) ed abolito perciò quel si- stema introdotto forse più per avidità d’ impinguare il Fisco, che per le vedute di-ben pubblico , mentre la persona del reo è la sola, che per sodisfare al delitto è soggetta alla legge ed alla pena, ed i di lui beni non possono essere giustamente obbli- gati che per la refezione dei danni di ragione do-. vuta a chi li ha sofferti, 0 per qualche multa pe- cuniaria nei casi nei quali non giunga l’afflittiva; ragioni tutte che avean mossa quell’augusta mente a riguardare la confiscazione dei beni che il più delle volte non ferisce che l’ innocente famiglia e gli eredi del delinquente , come una vera violenza e ap- propriazione illegittima che fa il governo della proprietà delle sostanze altrui (e). | Vi trovò tinalmente sbandita datla legislazione la moltiplicazione dei delitti impropriamente detti di lesa maestà con raffinamento di crudeltà inven- tata intempi perversi ( f) e per conseguenza tolte e cassate tutte le leggi, che con abusiva estensione hanno costituiti e moltiplicati i delitti detti di lesa maestà , come provenienti nella maggior parte dal dispotismo dell’ Impero Romano e non tollerabili in veruna ben regolata società (g) . Così la barbarie delle vecchie scuole era fulminata dall’ alto del Trono, e il 387 dispotismo e 1’ oppressione designati all’ abominazio- ne del genere umano dalla sacra bocca del Regnante. filosofo . Ma la giustizia gi ha due parti. La prima misura la pena col delitto, onde chi è tentato di mal fire trovi una forza repulsiva di ugual momento; 1° al- tra ricerca, che niun colpevole. fugga alla pena col fin- to velo dell'innocenza, e niun innocente subisca il gastigo dovuto al reo . i Questa seconda: parte è assai più difficile della prima , e |’ errore n° è immensamente più funesto . La pubblica sicurezza riposa tutta intera sull’ esatta riso- luzione di quel problema, che questa seconda parte della scienza si propone di sciogliere. Un reo scam- pato dalla spada della giustizia getta lo spavento nei cittadini pacifici pel timore della violenza privita ; un innocente sacrificato fa temere a tutti la violenza giu- ridica. Questa sicurezza pubblica è il più forte, e direi quasi. il solo debito del Governo , perchè con essa sola la pros perità timiversale s' alimenta e s' accresce . Le verità luminose degli scrittori filosofi avean fatta sentire l’ importanza del soggetto , e la necessità di occuparsene . 7 Ma quali erano i principj da stabilirsi, e come dovean ravvisatsi quei sistemi che si erano formati nel sonno della mente umana ? | Una farraginosa casistica ‘opprimeva ancora la pratica criminale, come avea diretta la morale teologica. L'autorità vi te neva luogo della ‘ragione, come avea fatto in addietro nella filosofia e nelle lettere. I veri sono tutti connessi, e fra loro si ajutano ad espellere i falsi. TI criterio di verità nell’ investiga- zione dei delitti non poteva essere diverso da quelio ‘388 che la logica ordinaria somministra in tutti di altri .casì della vita . i Animo scevro da passioni seduttrici, intelletto non preoccupato da prevenzioni, desiderio di trovare la verità da sè medesimo senza riposarsi sulla fede d'altrui, ecco ciò che conduce |’ uomo a ragionar. giu- sto . Quindi l’ aitenzione di non omettere veruna delle 4 ricerche conducenti allo scopo è il mezzo più acconcio per isperare di pervenirvi . Applicando questi principj al problema politico che ci occupa, ognun vede che la situazione delle persone che delirio contribuire alla formazione e alla risoluzione dei giudiz} criminali è importante quanto la regola per le ricerche , affine di ottenere i} risultato della garanzia individuale congiunta colla sociale. E perciò non potea dirsi compita l’ opera finchè tutte. le parti del vecchio sistema non erano rimontate, € il modo d’ investigazione non era a tale ridutto da allon- tanare il più possibile il pericolo dell’ errore . A tanta riforma però non potea pervenirsi in En- ropa in quei primi momenti nei quali lo spirito degli uomini pensatori € dei Sovrani filosofi sì diresse a quest ‘oggetto . Il vecchio sistema fu liberato dagli abu- si i più manifestamente dannosi, ma la tei ne fu conservata . Il legislatore prudente seguita e non pre- viene il progresso dei lumi. Li sa che l'errore. nelle ‘ discussioni scientifiche è utile ancor esso; perchè sve- gliando la contradizione , e impegnando Y.esame ; l’ur- to; e la confricazione delle opinioni contrarie fa scin- tillare più presto la-verità ; mentire all’ opposto ;un er- rore in legislazione può esser fatale al corpo politico. In Francia, dove i filosofi avevano tanto scritto , sussistevano hon pertanto nella loro integrità gli abusi ve i 389 tutti, quando l’ Assemblea costituente atterrando con un sol colpo il vecchio edifizio ebbe il coraggio di co- struirne un ‘nuovo. L’ impresa era rischiosissima , come lo sono in legislazione tutte le innovazioni totali, quantunque nessun momento potesse: esservi più oppartuno di quello, in cui circostanze. straordinarie avean disposti gli spiriti alla riforma universale di tutte le instituzioni arrugginite dal tempo. Mancava un punto d’ appoggio nell’ esperienza domestica ; ma fortunatamente un popolo vicino , il popolo inglese, erasi educato a libertà civile \e politica , a potenza ed a gloria nazionale cen un sistema fondato su basi totalmente diverse da quelle dei sistemi del conti- nente . Una grande anzianità , la mancauza di veri la- menti suì suoi inconvenienti, in un paese ove la liber- tà della stampa, e lo spirito pubblico distintivo del carattere inglese, non potean far sospettare un silenzio siffatto esser figlio della compressione o dell’ indiffe- renza pel ben pubblico ; tutto questo parlava a favore di quel sistema . L’ assemblea lo trapiantò in Francia. Felice effetto della filosofia ; la quale non conosce riva- lità o inimicizia di nazioni, e adotta il buono e’ l’utile ovunque lo trovi! Questo trapiantamento però , come abbiamo ac- cennato, non doveva essere senza inconvenienti. Pri- mieramente trattavasi di un sistema conosciuto sola- mente in massa per mezzo degli scrittori, che ne avean tramandata la notizia all’ Europa, ma di cui mancava la cognizione quanto a quelle specialità d’ esecuzione che non possono sapersi. se non per pratica. In secondo luogo, il passaggio subitaneo dal vecchio al nuovo metodo dei giudizj trovava gli ani- mi non preparati al gran rinnovellamento , onde l’in- 390 Ra | esperienza per una parte, e la contraria abitudine per l’altra nelle persone per. mezzo delle quali do- veva attivarsi e mantenersi, potean produrre incon- venienti. non preveduti., e far nascere sfavorevoli pregiudizj. Finalmente le procelle rivoluzionarie che rapidamente successero. a. quell’ anrora. di rigenera- zione legislativa ; resero la. parte più delicata della nuova instituzione , anzichè una salvaguardia della li- bertà civile, uno strumento piuttosto di vendetta. e di perdizione nelle mani delle fazioni che a vicenda usurparono la somma delle cose . Siffatti disordini resero al tornar della silice problematica per un momento 1’ utilità dell’ insti- tuzione medesima. Una mano ferma la fissò, ma la volle modificata a seconda del. principio. su cui volea modellate tutte. le altre instituzioni che il nuovo ordine avea create sulla distruzione dell, antico . Da questo punto partono: i. pubblicisti francesì che si occupano di questo ramo della scienza sociale, ora specialmente che i mali, che hanno afffitta la Francia nelle varie epoche della sua rivoluzione, han- no fatto sentire più vivamente ai Francesi il bisogno della perfezione nelle leggi giudiciarie, nel tempo che l'abuso fattone dalle fazioni a vicenda domi- nanti ne ha più facilmente scoperti i difetti e sug- gerite le correzioni , nella guisa appunto che la me- dicina ha occasione di far maggiori scoperte: quanto più infieriscono le malattie. Le basi del Codice d’istruzion criminale pubblicato in Francia nel 1811 e tuttora vigente in quel regno, la loro conformità col processo inglese, o la for dissomanza da quello, i difetti che l'esperienza vi ha fatto ravvi- A 391 ‘ sare, l'importanza di spogliare le forme salutari racco- mandate dai lumi del secolo di quanto vi avea fram- misto d’ impuro l’ interesse del dispotismo, tutto è esa- minato in opere che giornalmente si succedono in Fran- cia, e specialmente in quelle annunziate in testa di quest’ articolo . L’ osservazione e 1’ esperienza sono le guide che conducono gli autori nei loro ragionamenti. Perciò l’ utilità di quest’ opere non è ristretta al paese per cui sono scritte; ma si estende a. tutte le nazioni in- distintamente . Lo spirito del secolo presente è spirito di ricerca. La scienza criminale, la quale nella sua prima epoca, in cui combatteva per l’ umanità contro la bar- barie la più rivoltante, avrebbe potuto chiamarsi scien- za di sentimento; nell’ attuale; in cui la volontà di ben fare non domanda altro che lumi, è diventata una vera. scienza sperimentale . Con questa veduta essa deve oggi essere studiata e professata. Gli scrittori filosofi che ci hanno preceduti, sono stati intrepidi guastatori che ci hanno appianata la strada . Non è già che non meritino riconoscenza coloro , che non si stancano di riprodurre, ove e quando lo tro- vino d’ uopo, quei principj per cui combatterono i no- stri primi maestri, e sì studiano di dimostrare con nuo- va forza di argomenti anco quelle verità che son divenute fondamentali, e fuori di controversia . « Nelle scienze morali e politiche, dice Condorcet, vi è sempre una gran distanza fra il punto a cui i filo- sofi hanno portati i lumi, e quel termine medio cui son pervenuti gli uomini che coltivano il lovo spirito, la dottrina dei quali forma quella s specie di credenza gene- ralmente adottata, che chiamasi opinione ». Fra questi poi e gli altri uomini la distanza è immensa. 392 i Gli scrittori che sì consacrano a diminuire queste distanze, ad estendere il dominio delle verità conosciute, a combattere con nuove armi gli errori, sono il vero soc- corso di cui abbisogna la causa dell’ umanità. In considerazione di quest’oggetto santissimo sono perdonabili anco le ripetizioni. Quando uno parla a dei sordi si trova facilmente a dover ripetere la stessa cosa. Le passioni, gl’ interessi individuali, lo spirito di corpo, l’ abitudine, la presunzione del proprio sapere, l’ affetto per gli studj già fatti, sono tante barriere che oppon- gonsi per lunghissimo tempo alla penetrazione delle ve- rità nuove nelle menti umane. Il Gartesianismo fu acerrimamente difeso contro le dottrine di Newton e di Locke da quei medesimi corpi scientifici, i quali nella generazione precedente lo \aveano perseguitato. e punito come ribelle al trono legittimo d’ Aristotile. Ma il vero omaggio si deve a chi rimuove i confini della scienza. Le osservazioni parziali sono ottimi ma- teriali, ma l’opera fondamentale reclamata dai bisogni dello stato attuale delia società, non è ancora comparsa. Gli amici dell’umanità desideravano di veder trat- tata la materia dell’ istituzioni giudiciarie da quel genio veramente superiore dell’ età nostra, dal sig. Geremia Bentham, chiamato a ragione il Bacone della scienza le- gislativa. I suoi trattati di legislazione civile e penale e le altre opere di questo sublime pensatore presentava» no finora una lacuna su quest’ articolo che niuno meglio di lui avrebbe potuto riempire. Abbiamo ora negli annali di legislazione e di giu- risprudenza che si pubblicano a Ginevra l annunzio che il Sig. Dumont si occupa della redazione sui mano- scritti dello stesso Sig. Bentham (*)di un trattato molto (*) La singolarità del carattere del Sig. Bentham è spiegata | 393 esteso sull’ organizzazione dei tribunali, e sulle prove giudiciarie . | Facciamo voti perchè possa esser condotta a fine una sì utile impresa. Questi due nomi, che la repub- blica letteraria è avvezza da lungo tempo a vedere uniti, ci assicurano per sè soli, che troveremo in quest’ opera fissati una volta i veri principj , analizzati i vantaggi e gl’inconvenienti di tutti i sistemi, e decise le questioni più importanti che hanno fin qui divisi gli scrittori anco i più illuminati. Il sig. professor Pellegrino Rossi, a cui si devono quegli annali, vi ha pubblicato ultimamente per saggio di questo trattato un capitolo comunicat oli dallo stesso sig. Dumont, in cui è trattata la questione della pubbli- ‘cità dei giudiz) , e risoluta per l’ affermativa. Noij da- remo queste capitolo per intero ai nostri lettori in- sieme colle note di cui 1’ ha corredato il sig. Rossi, le quali contribuiscono a spargere una maggiore chiarezza in poche parole dal sig. Dumont nel discorso preliminare ai trattati di legislazione civile e penale ,,ardore a produrre e in- differenza a pubblicare; perseveranza nei più gran lavori, e di- sposizione ad abbandonarli al momento di terminarli ,, I suoi più sublimi concepimenti sarebbero perduti, se il suo amico sig. Dumont non avesse supplito col suo ingegno, e colla facilità del suo stile a quel che manca all’ autore . All’ instancabile amici- cizia, e all’amore per. l’ istruzione pubblica che animano il sig. Dumont siamo debitori dei suddetti trattati della teoria delle pene e delle ricompense, della tattica delle assemblee legislative dei sofismi politici e dovremo ancora l’ opera di cui ho parlato. Crediamo di far cosa grata ai nostri lettori comunicando loro a questo proposito qualche notizia sulla vita, e sugli scritti di quest’ uomo celebre che onora tanto l’età nostra. La biogra- fia degli uomini viventi ci consola almeno col farci conoscere le ritchezze che possediamo prima che siamo costretti a piangerne la perdita. 394 su questa materia che è forse la più interessante fra tutte quelle che possono sottoporsi attualmente all’ e- same dei pubblicisti filosofi . Giusti. DI Il sig. Bentham è nato a Londra verso il 1749. si destinò al foro, ma un organo debole , e l’antipatia estrema per l'elo- quenza verbosa degli avvocati delsuo paese ve ‘lo distolsero ben _ presto. Studiò allora i principj delle leggi, e i loro rapporti eoi governi, cogli uomini e coi costumi. Si pose quindi a viaggiare , e dimorò qualche tempo in Crimea . Tornato in In- ghilterra pubblicò alcune operette anonime che fissarono 1’ at- tenzione per l’arditezza , e per la viva e ferma dialettica . Nei suoi frammenti sul Governo ( 1778. in 8. ) attaccò di fronte oracolo della giurisprudenza inglese , Blackstone ; quindi at- taccò ill Codice stesso inglese nel suo piano di un Codice Pe- nale, di cui non furono tirati in principio altro che 60. esem- plari . Nel 1787. pubblicò alcune idee morali stabilite da più secoli nella proibizione dell'usura, e l'introduzione ai princi- pi della morale, e della legislazione, nella quale sviluppò il suo sistema di rjforma . Fu combattuto vivamente , ed egli ha passato dipoi il restante della sua vita a difendere i suoi prin- ‘cipj, e a disporli in sistema. Nel 1791: pubblicò il suo Pano- ptricon in 3. vol in 12. opera filantropica sul governo delle prigioni da lui ideato per higliorare i rei detenuti piuttostochè depravarli,, Volete voi sapere ( scriveva egli a questo proposito », a un membro dell’ assemblea legislativa di Francia ) fin dove » arriva la mia persuasione dell’ importanza del mio piano di » riforma, e dei gran successi che possono aspettarsene ? Mi 3» si permetta di costruire una carcere su questo modello , e » 10 sarò il carceriere . Questo carceriere non vuol essere pa- »» gato , e non costerà niente alla nazione ,, . Nel 1802. com- parve a Parigi la sua opera classica dei Trattati di Legisla- zion Civile e Penale, nel 1811. la sua Teoria delle pene e delle ricompense , nel 1816 la sua Tattica delle Assemblee le- gislative seguitata dai sofismi politici . Nel 1793. avea scritta una lettera alla Convenzion nazîo- male sulla necessità di dichiarar le colonie indipendenti . 395 Nel 1790. pubblicò un @550zz0 d’un nuovo piano per l'or- ‘ganizzazione della giustizia in Francia . | Vi sono di lui una traduzione del foro bianco di Voltai- re, una Chrestomatia , 0 sia nuovo sistema generale d’ istru- zione , un opuscolo sulla libertà della stampa e sulla di- scussione pubblica ( 1821. ) varj articoli negli Annali di Agri- coltura d’° Artour Young , i piano d’una riforma Parlamen- taria ( 1818), Riforma radicale (1819) Consigli alle Cortes e alla nazione Spagnuola , ove prova il pericolo di stabilire una camera alta ec. ed altre lettere inedite a varj amici di Spa- gna sulle cose di quel regno ec. . La Biografia nuova dei contemporanei dalla quale abbiamo tolte in gran parte 'le presenti notizie , termina così la pittura di quest’ uomo ,, Il sig. Bentham gode ancora, benchè in età di 72, anni, di tutte le sue facoltà, e d’ una salute eccellente . Sem- bra essere sempre in tutto il vigore del suo talento , e gli anni non hanno in nulla alterato il calore della sua anima. Nessun uomo è stato giammai così spogliato dei pregiudizj nazionali, che tendono ad allontanare i popoli dalla stima reciproca e dalla buona intelligenza , che assicureranno forse un giorno la loro tranquillità. Deve considerarsi il sig.. Bentham come uno dei pa- triarchi di questa famiglia Europea , che si aggrandisce col pro- gresso delle sane idee politiche e che in mezzo alle divisioni seminate dagl’ intrighi efimeri della diplomazia , fraternizza in una eterna pace , e corrisponde dai punti i più lontani del glo- bo col linguaggio universale della ragione . Egli è un vero filo- sofo cosmopolita: ogni uomo che ama la libertà , e che desi- dera la felicità della specie umana, è suo compatriotto . ,, ? GIUSTI. - 396 GEOGRAFIA E VIAGGI Viaggio per lo scuoprimento di un passaggio Nord- Ovest dall’ Atlantico al mar Pacifico del Capi- tano GuerieELMo EpvarDo Parrv. (Continuazione, V. pag. 118.) [DA allora il 7 settembre, ed il termometro s'era ab- bassato a 25.°, il mare vedeasi coperto di vasti massi di ghiaccio, e le notti erano sì oscure dalle ore dieci fino alle due, che in quell’ intervallo si rese assolutamente necessario di trattenere il corso alle navi: nondimeno siccome il Capitan Parry comprendeva che il compi- mento del grande oggetto del viaggio principalmente dipendeva dal progresso che essi farebbero nella presente | stagione, per quanto breve, egli determinò di avanzarsi a fronte di tutti gli ostacoli, e di estendere più che fosse possibile le sue operazioni . Il ghiaccio che cuopriva il lido permetteva soltanto di spinger le navi in una più difesa situzione in vicinanza della riva , onde porsi in sicuro dalla pressione del gran corpo di ghiaccio , che allora si scorgeva dirigersi verso di loro. Essi per buona fortuna riuscirono a ricovrarsi tra due di quelle vaste masse, le quali alla distanza di circa braccia 300 dal lido si approfondavano circa a dodici braccia nell'acqua, e dai venti ai trenta piedi circa, sopra la superficie . Così poterono evitare che quella immensa mole venisse ad urtare nella nave, la quale, se ciò accadeva, sarebbe stata inevitabilmente sbalzata sul lido, ed infranta in minutissimi pezzi. Un masso dalla parte occidentale investendo un angolo di quello, entro cui l’ Hecla si era — dite 397 osto in salvo, la fe volgersi intorno come sopra un ’ P perno . | Il 14 settembre mentre invano tentavano di an- dare all’ occidente , il termometro scese.fino a 9°; un abbassamento di temperatura così subitaneo non era da loro atteso; fino da questo giorno, come quindi si ve- drà, può cominciarsi a contare il principio del loro inverno. Rimaneva allora leggiera speranza di fare ul- teriori progressi, mentre il ghiaccio profondo era ade- rente al lido, e i pochi angusti stagni di acqua vedeansi coperti dal ghiaccio recente, onde le navi potevano muoversi con difficoltà, anco coll’ aiuto di un forte vento; esse difatti si trovarono in balia delle grandi masse, che le spingevano in varie direzioni a seconda dell’ urto. Possiamo formarci una qualche idea della loro perigliosa situazione da ciò che segue: Allora ci accorgemmo di esserci introdotti in un immenso corpo di ghiaccio, che ci precedeva verso l'occidente; e quindi un altro vasto campo di ghiaccio, che fin allora non si era ac- costato al lido se non alla distanza di dugento o trecento braccia videsi avvicinarsi a noi rapidamente: e finalmente all’ occidente del luogo ove era stata calata l'ancora dell’ Hecla, un profondis- simo volume di ghiaccio, che per modo di distinzione noi chia- mammo montagna, sporgeva dal lido alla distanza di circa a cento e cinquanta braccia. Le navi per buona sorte erano state obbli- gate a recarsi da una all’ altra parte della montagna sporgente, poichè alle otto pomeridiane il campo menzionato venne ad urtare precisamente dalla parte opposta con un terribile strepito, ammas- sando grandi frammenti di ghiaccio nel modo il più spavente- vole, ed orrendo; quest’ urto parve che diminuisse la forza, con cui il ghiaccio era spinto; forza che quasi si direbbe incalco- labile, come potemmo osservare dai nostri alberi maestri. Noi allora eravamo lontani dalla parte percossa pel tratto di cento braccia, onde avemmo giusta ragione di congratularci con noi medesimi per avere evitato un pericolo dal quale niuno umano | potere, o industria sarebbe stata valevole a salvare le navi dalla loro imminente distruzione. T. IV. Dicembre 26 398 Li Il Griper fu adunque velocemente spinto sul lido; e siccome la di lui situazione era al sommo pericolosa, il capitan Parry inviò a prendereil luogotenente Liddon, che allora si trovava nello stato della maggior debolez- za, onde trasportarlo a bordo dell’ Hecla: questo giovane ufliziale animato dal vero spirito d’un marinaro inglese, ricusò di profittare della di lui cortese esibizione, volle esser trasferito sul ponte, ed assiso sulla sua sedia dette gli ordini opportuni, dichiarando che sarebbe |’ ultimo dell’ equipaggio ad abbandonar l3g6éua nave . Tosto per buona ventura, al ritirarsi del ghiaccio, e al sorgere del flusso, il Griper videsi galleggiare sull’ onde. Pur si co- nobbe ad evidenza che una più ostinata perseveranza riuscirebbe inutile, e probabilmente avrebbe cagionata la distruzione di ambedue le navi, e dell’ equipaggio ancora: era oramai sopraggiunto il 20 settembre; nel quale giorno il più alto punto del termometro segnò 21.° e il più basso 10.° 3. La stagione avanzata, l’ apparenza del ghiaccio dalla parte di aiar che minacciava perigli, e il rischio con cui si era effettuata la navigazione per alcuni de’ giorni trascorsi, facil- mente m° indusse, osserva il Capitan Parry, a concludere esser ormai arrivato il tempo, in cui assolutamente faceva d’ uopo prendere i quartieri d’ inverno. Fra le circostanze, che rende- vano questa navigazione più del consueto perigliosa, e la spe- ranza di un successo in proporzione minore, niun oggetto dava più ragionevol fondamento di tema quanto l’ incredibile rapidità, con cui andavasi formando il nuovo ghiaccio nell’ intiero corso del giorno. Si conosceva chiaramente, che solo ai venti gagliardi potevasi attribuire, che aveano poco fa dominato, se il mare non era allora del tutto agghiacciato, poichè ogni volta che non soffiava un vento fresco, tosto l’ acqua si iva e il ghiac- cio avanzava con tal sorprendente rapidità; che se il tempo avesse continuato ad esser tranquillo per più di ventiquattro ore di seguito, credo per certo che noi saremmo stati obbligati a pas- >. sar l’ inverno in quella mal sicura situazione. 399 Fu ben avventuroso che il capitan Parry prendesse questa risoluzione, mentre un sol giorno d’ indugio’ sa- rebbe stato fatale alla spedizione, imperocchè arrivati a Winter Harbour, davanti alla baia dell’ Hecla, e del Griper, l’intera superficie fu trovata per tal modo co- perta di nuovo ghiaccio, che essi furono obbligati ad aprire un canale per mezzo d’ istromenti onde intro- durvi le navi: operazione che occupò la maggior parte di tre giorni, giacchè la profondità del ghiaccio fu cat- colata sette pollici, e la totale lunghezza del canale 4082 braccia, ossia circa a due miglia e un terzo. Nell’ ulti- mo di questi giorni (il 26 settembre ) il mercurio del termometro discese a un. grado sotto zero, e il giorno successivo dalle montagne si scorse il mare gelato fin dove l’occhio poteva estendersi; e da quel tempo non fu più veduta acqua aperta . Compito adunque il canale, le navi furono poste ne'loro quartieri d'inverno, e l’equi- paggio, dice il capitan Parry, attendeva l'evento con un aspetto tranquillo e sereno (1). Giunti allora, continua egli, alla dimora, ove noi eravamo destinati a rimanere probabilmente pel corso di otto, o nove mesi, per tre de’ quali non avremmo avuta la consolazione di mirare la faccia del sole, rivolsi di subito la mia attenzione a (1) Con assai differente sentimento, ed invero in circostanze molto diverse lo sventurato (Barentz, ed i suoi compagni nel medesimo parallelo sulla costa della nuova Zembla fecero in- gresso in quel funesto luogo, ove, dice lo scrittore, noi fummo obbligati a rimanere per tutto quell’ inverno fra i rigori del fred- do, ed afflitti dalla miseria, e dalla carestia. La paziente rasse- gnazione, con cui questi infelici sopportarono i loro patimenti, l’ordinata condotta, il buon umore, anzi la letizia che esterna- rono ne’ più calamitosi avvenimenti, e la semplicità con cui è raccontata la storia di questo disgraziato viaggio forma una delle - più interessanti narrazioni che siano state mai pubblicate. 400 i varj importanti doveri. Soprattutto si occupò di porre ‘in opera i più efficaci mezzi per la sicurezza delle navi, delle provvisioni , e delle vettovaglie , e pel. manteni- mento del buon ordine, e della nettezza, che tanto con- tribuir dovevano alla salute, ed al sollievo dell’ equi- paggio pel corso di un inverno lungo , ed orrido , che loro si parava davanti. La prima operazione, dopo aver depositati sul'lido gli attrezzi, e il legname affine di rendere il ponte meno imbarazzato per l’ esercizio , si ' fu di situare le navi, e di cuoprire il tetto con una ten- da impenetrabile, quale si usa per difendere i carri; procurò altresì di trovare un riparo contro la neve che ormai giungeva alle catene delle sarte; e di mantenere le stanze calde , ed asciutte mediante un’ apertura, ed una stufa. Per giungere a un tale scopo peraltro si do- vetter superare' alcune difficoltà, che non potevano in verun modo prevedersi. Quando la temperatura dell’a- tmosfera si fu abbassata considerabilimente sotto zero di Farenheit , il fumo, che si sollevava dalle caldaje, come pure l’ alito, e gli altri vapori, che si sviluppava- no dalle parti abitate della nave si videro condensarsi in gocciole sopra le travi, e sopra le pareti a tal punto da mantenerle costantemente umide . Per qualche tem- po una corrente di aria rarefatta si trovò efficace a Pan sciugare una gran parte dell’ umidità, ma quando il freddo divenne assai più intenso , s’ accrebbe ne’ dor- mentorj per modo da destare un serio timore, così che parve espediente nel più rigoroso inverno di non impe- dire al vapore di fermarsi ai lati delle navi a guisa di solida lamina di arido ghiaccio. Quindi ebbe egli premura di regolare la distribuzione delle provvisioni ad oggetto di schivare lo scorbuto come la più terribile fra tutte le malattie, che si posson soffrire 4o1 in mare, mentre la carne salata, la mancanza di nutrimen- to vegetabile, e di esercizio, il freddo, e l’ umidità sono troppo notoriamente riguardate come sue cause predispo- nenti. Le regole stabilite su tal proposito appariscono ec- cellenti, eisoccorsi, che vennero apprestati alla spedizione non potevano somministrarsi con più criterio. Relativa- mente al combustibile, fu necessario adottare un sistema della più austera economia. L'equipaggio fu partito in di- visioni, a ciascuna di cui presiedeva un ufiziale, il quale era responsabile della loro personale nettezza, e della. proprietà, e mantenimento del loro vestiario : La ciur-. ma era passata in rivista mattina e sera , ed una volta. la settimana particolarmente visitata dai medici così che al minimo indizio di scor buto, si potesse immedia- mente apprestare i rimedj per estirparlo. Dopo colazione era a tutti con cesso di andare a far moto sul lido , op- pure, se il tempo nol permetteva, si facevan correre in- torno, al suono d’ un organo, o al canto della lor propria voce. PIA Dopo il loro arrivo a /Winter Harbour furono spe- dite delie partite di cacciatori in cerca di rangiferi e di francolini, ma prima della fine d’ ottobre tutti questi animali avevano abbandonata l'isola Melville, lascian- do solamente 1 lupi, e le volpi a tener loro Vos DADA nel corso dell’ inverno. Il '17 e il 18 si osservò una nu- merosa quantità di cervi far da quel luogo partenza dirigendosi sul ghiaccio, verso la costa d’ America, e quindi non se ne vide che uno, o due. I lupi. quasi per tutto l’inverno si recavano in vicinanza delle navi, e le femmine allettavano i cani a seguirle ; alcuni de’ quali non più ritornarono , ed uno di essi tornò in- dietro barbaramente lacerato per aver forse avuto un incontro con i maschi. Fu presa una volpe al laccio ; 408 era ella perfettamente bianca. Un solo orso fu vedute poco dopo il loro ingresso nel porto; ed un altro fu sen- tito appunto quando essi erano per partire ; e non ap- parve che un sol vitello marino. i; Una compagnia di cacciatori spedita a predice aven- do trascurato l’ ordine di ritornare prima del tramontar del sole, destò molta inquietudine per riguardo alla Joro salvezza . Gli effetti che leggonsi nel seguente estratto sono precisamente simili a quelli, che occorsero ad un distaccamento dell’ armata francese spedita una notte da Wilna . Giovanni Pearson marinaro appartenente al Griper, il quale fa l ultimo che ritornasse a bordo, siccome era imprudentemente partito senza guaati, ed armato d’un moschetto, sofferse assaì nelle mani rimaste perciò gravemente danneggiate. Una parte del nostro equipaggio dopo molte ricerche lo ritrovò, benchè la notte fosse oscurissima, precisamente allorchè egli era caduto in un ammasso di neve, e cominciava a sentire quel grado di torpore, e di sonnolenza, che se non si\scuota, inevitabilmente riesce fatale. Allorchè fu portato a bordo, i suoi diti erano affatto assiderati, e piegati in quell’atteggiamento, con cui aveva tenuto il moschet- to: e il gelo avea talinente distrutta la vitalità nei diti di una mano, tti nonostante tatte Je cure, e l’ attenzione prestata dai medici, dopo breve tempo si rese necessario di fare a tre |’ am- putazione. L'effetto prodotto dal rigoroso freddo in assiderare non meno le facoltà della mente, che le membra del corpo era assai commovente in quest’ uomo, come pure in quei due giovani che ritornarono a sera avanzata, e di cui eravamo stati solle- citi di far ricerca malgrado la premura che si avea per Pearson. Quando io gli feci venire nel mio ‘gabinetto, essi vedevano in | confuso, non parlavano distintamente, ed era impossibile di trarre da loro una ragionata risposta ad alcuna delle nostre interroga- zioni. Dopo breve tempo che furono tornati a bordo, videsi che a grado a grado le facoltà mentali'riprendevano il loro esercizio al tornare della circolazione ; così che allo spettatore sembrava che si riavessero dallo stato di ubriachezza . Queste escursioni servivano mirabilmente all&eser- Teen De DSS ® e: SA print : 403 cizio, e al sollievo dell’ equipaggio, ma il Capitan Parry desideroso di trovare un rimedio all’ ozio , e alla noia, che provavasi nelle ore disoccupate, propose agli uffi- ziali di erigere un teatro provvisorio a bordo dell’'Hecla come il più pronto, e adattato mezzo di mantenere nel lungo spazio che gli rimaneva a trascorrere, quella alle- grezza, e quel buon umore, che fin allora avevano dimo- strato. Essi di subito assentirono a tal proposizione; ed io stesso, dice il capitan Parry, di buona voglia entrai a parte di questi sollievi, riflettendo che nelle circostanze, in cui ci trovavamo, il porgere esempio di una gioia sin- cera interessandomi in tutto ciò, che poteva contribuire a'svegliarla, non era la meno essenzial parte del mio "dovere. La damigella da marito fu la prima rappre- sentanza; e fu eseguita il 5 novembre, giorno in cui il sole si nascondeva sotto l'orizzonte per non risorgere se non dopo tre unesi di tedio. Tale rappresentanza fu ac- colta con applausi di entusiasmo, e di sincerissima gioia ; e fu sì palese il sollievo.che da simile tratteni- mento ne ritrasse l’ equipaggio, che fece determinare il Capitan Parry a ripeterlo ogni quindici giorni durante V corn stagione. Anche la cura di erigere il palco, e quindi disfarlo prima, e dopo qualunque recita era sog- getto di nion lieve importanza, poichè io temeva, dice il Capitan Parry, la mancanza di occupazione, come uno de’ più gravi mali che ci potesse accadere. Siccome poi i drammi che s1 avevano a bordo erano in troppo scarso numero, i nostri autori, soggiunge, si applicarono ‘ ad inventarne, e riuscirono a ‘comporre un musicale trattenimento, a guisa di quelli di Natale, espressa- mente adattato alla nostra udienza, ed avente rapporto al servigio, cui eravamo impeguati. Noi abbiamo mo- tivo di supporre che lo stesso Capitan Parry ne fosse 404. I autore; per vero dire quest’ ufiziale sembra fornito di un, gran numero di doti, che ben di rado vedonsi riu- nite in una sola persona Questi divertimenti senza dubbio tenevano appli- cati gli ufiziali, e l'equipaggio; ma il Capitan Parry ben distingueva ho facea d’ uopo di un oggetto più interes- sante alia di distrar lo spirito dei primi dalle troppo profonde riflessioni sulla loro attvaie situazione; per la qual cosa egli suggerì il progetto di pubblicare una set- timanale gazzetta, che dovea chiamarsi he MNortk Georgia Gazette and Winter Chronicle, di cui il Cap. Sabine imprese ad esserne il compilatore ; ed io posso con certezza asserire , osserva il Capitan Parry,; che questi scritti periodici produssero |’ effetto felice di, impiegare a un tempo le ore di ozio di coloro che gli stendevano, e di divertire lo spirito di ciascuno dall’or- rido prospetto; che talorà avrebbe fitta impressione anco sulla persona la più intrepida: anzi fece di più, poichè occupò , e servi di sollievo non solamente allo spirito degli esterisori, ma di coloro altresì, i quali per diffidenza ne’ loro propri talenti domandavano di essere dispensati dal somministrare quei brevi articoli, di cui venivano ogni settimana richiesti ; perchè anco essi (dice il Capitan Latry) erano premurosi di leggerlì , e si.mostravan più pronti a censurare di coloro i quali sapevan trattare la penna; sebbene tal censura palesava quel carattere urbano che non si permette di recare of- fesa. Questa gazzetta continuata fino al num. XXI. fu stampata dagli ufiziali per sodisfare alle brame de’ loro, amici: e quando si consideri che gli ufiziali di marina sono mandati in mare nella più fresca età (generalmen- te agli undici, 0 ai dodici anni) e che 1’ educazione che essi rice vono a bordo non può esser diretta col migliore, eli In ARTE | - 405 e più esteso sistema, noi ci lusinghiamo che molti arti- coli nella Worth Georgia Gazette saranno trovati di gran lunga superiori a quello, che potevasi attendere, e tali da non far disonore ad uno scolare che abbia fatto ì suoi studi in regola, o ai più pratici scrittori. Gli ufiziali si divertivano generalmente per una 0 o due ore sulla metà del giorno, quando il tempo lo permetteva, in andare a diporto sul lido anco nella più oscura stagione, quantunque, come si può facilmente immaginare in quelle passeggiate poco si trovasse da interessare, o recar sollievo allo spirito. Essi nondime- no vi si portavano di frequente come se ne avessero con- tratto l’ abito, anco allorchè il termometro segnava 30.° e 40° sotto zero, e purchè non soffiasse vento, senza neppur,,provare grave incomodo malgrado l’ intenso freddo; ma il più leggiero venticello rendeva la tem- peratura insopportabile anco quando il termometro se-. gnava molti gradi sopra zero. Il Capitan Parry così de- scrive la tediosa , e molesta monotonia dei giorni, che pei nostri navigatori andavansi succedendo: Dalla parte di mezzogiorno vedeasi il mare coperto di una superficie non interrotta di ghiaccio uniforme nella sua abba- gliante bianchezza , e solo in alcune parti poche prominenze ele- vavansi al disopra del generale livello . Il paese non presentava maggior varietà essendo quasi affatto coperto di neve , eccetto che in alcune eminenti situazioni. scorgevansi più quà, e più là alcuni oscuri pezzi di terra scoperta, ove il vento avea im- pedito alla neve di fermarsi. Quando dalla sommità delle cir- convicine montagne ‘in uno di quei giorni sereni, e tranquilli, che non di rado sursero durante l’‘inverno si girò attorno lo sguardo ; il prospetto che ci si offerse non inspirava che rifles- sioni della più tetra malinconia . Nulla si presentava su cui l oc- chio potesse lungamente trattenersi con piacere ;se non quando ci rivolgemmo al luogo ove giacevano le navi, e dove era stà- bilita la nostra piccola colonia. Il fumo che indi sorgeva, por- gendo sicuro indizio della dimora di*uomini invitava ad una ‘par- 4067 “ ticolare allegrezza ; é il suono delle voci, che per motivo della fredda stagione si faceva sentire ad una molto maggiore distan- za del consueto, serviva a rompere il silenzio, che regnava in- torno a noi, silenzio di gran lunga differente da quella piacevo- le tranquillità, che si sente in passando da una terra coltivata ; era egli il lugubre silenzio della più spaventevole desolazione , cagionato dalla totale mancanza di esseri animati. Difatti era tale la scarsità degli oggetti, che si offrissero al guardo, e che sollevassero lo spirito, che una pietra di non ordinaria grandèz- za che appariva al disopra della neve nella direzione del nostro cammino , divenne tosto il segnale, su cui si fissarono i nostri occhi, e verso cui ci avanzammo senza avere uno scopo . Spaventevole quale necessariamerite dovea essere un tale prospetto, non poteva nondimeno dirsi affatto privo d’ inte- resse, specialmente quando alla particolare nostra situazio- ne si associava l’ idea dell’oggetto che ci avea colà portati, e della speranza che sebben languida pur talora si svegliava di passare una parte del prossimo inverno nel clima più omoge- neo delle Isole del mare del Sud. Forse i nostri pensieri ,, ben- chè niuno di noi azzardasse di confessarlo , saranno stati talora involontariamente rivolti verso la patria, ed avranno istituito un paragone tra il rustico aspetto della natura in questa deso- lata regione; e quello più ridente del felice paese ,,.che aveva- mo lasciato dietro a noi. Così occupati , gli sorprese senza che se ne ac- corgessero il più breve giorno, o parlando più cor- rettamente il punto medio di quella lunga notte. Un poco prima, e appresso il. mezzogiorno di quel dì, goderono tanto splendore, che avrebbero. potuto leggere piccola stampa voltandosi verso 1’ orizzonte dalla parte meridionale , e passeggiare con piacere pel corso di due ore. Quaniunque il sole si avan- zasse lentamente verso l orizzonte, la sola idea che egli si volgeva incontro a loro, facea rinascere la più vivace allegrezza ; e il giorno di Natale sebbene provassero un iniensissimo freddo, lo festeggiarono col éelebrare i divini uffici, e con un pranzo di n 407 compagnia, in cui non furono dimenticati i loro a- mici d’ Inghilterra . L’anno cadente terminò con un tempo piace- vole; ma nel mese di Gennaio si fe sentire il freddo il più rigoroso: il termometro non sali giammai a zero, e generalmente segnava dai 30.° ai 40.° sotto quello . 11 dì 3., dice il Capitan Parry, ricevetti per la prima volta il dispiacente rapporto che fra noi appariva qualche indizio di scorbuto. Il Sig. Scallon cannoniere dell’ Hecla fu la prima persona attaccata, e la malattia ai non equivoci sintomi del paziente si manifestò di un carattere piuttosto grave. S'impiegò dai medici la più premurosa attenzione , ma l’infermità continuò per qualche tempo a dila- tarsi ; coll’ uso abondevole peraltro di. rimedi anti- scorbutici si calmò, e finalmente per buona ventura venne a cessare . Forse nulla contribuì maggiormente a questo effetto quanto la giornaliera amministrazio- ne di fresca senapa, e di crescione , che il Capitan Parry immaginò di seminare nel suo gabinetto in cassette ripiene di terra ,e disposte attorno alla stu- fa: coi quali mezzi potè in generale assicurare anco nel più rigoroso freddo una raccolta. dopo il sesto, o settimo giorno da che avea gettato il seme. Quan- tunque scolorito , atteso la mancanza di luce, pure era altrettanto acuto , ed odoroso quanto quello, che cresce all’ aria aperta . | L’ 11. di Gennaio il termometro era a 49. sotto zero, nondimeno il tempo si. manteneva perfetta- mente tranquillo , e gli ufiziali passeggiarono sul lido senza provare alcuno di quei terribili effetti, che da alcuni i quali hanno scritto sul clima di Siberia vo- glionsi attribuire al freddo intenso, giacchè lo dicon 408 tale da produrre una dolorosa sensazione sopra i pol- moni come se fossero lacerati a brani. Ciò mostre- rebbe invero, che l’ umana costituzione è capace di resistere e al caldo , e al freddo, e che può speri- mentare senza danno un cambiamento dall’uno all’al- tro molto più rapido , e violento di quello, cui l’e- quipaggio nostro andò ‘soggetto . Il Capitan Parry as- sicura , che nella più rigida stagione neppur. uno fu assalito da male inflammatorio, ‘benchè egli, ed i. suoi compagni nel passare dai‘ gabmetti all’ aria a- perta, e vice versa fossero costantemente esposti per alcuni mesi a soffrire una variazione di. temperatura dagli 80.° a 100.°, e talora a 120.° in meno di un minuto . Il 3. Febbraio mediante il potere refrangente dell’ atmosfera , essi cominciarono a scorgere una lu- cida traccia del lembo superiore del sole , e il 7 egli fe vedere il suo intiero disco sopra l’ orizzonte . Que- sto fu il seguale almeno per dar principio ai prepa- rativi per la seguente campagna, quantunque non ignorassero , che molti mesi di tedio dovrebbero an- cora trascorrere ‘prima che le navi fossero prosciolte dalle loro. catene di ghiaccio. L’adunar pietre per le stive, di cui ne ammontarono circa a settanta + botti, fu la prima operazione , la quale servì ad oc- cupare poche ore del giorno , allorchè il tempo era bastantemente tranquillo da permettergli di operare senza il rischio di rimaner danneggiati dal freddo ; lo che non accadeva che di rado, meutre per Vin- tiero mese di Febbraio sperimentarono un. freddo tale, che' per l’avanti non avean provato il maggio- re: lo spirito nel termometro il di 15. discese a — 50° e si mantenne per quindici ore non più alto 409 di -- 54°, da cui nelle successive quindici s’inalzò gradatamente , al crescere di un venticello fresco, fino a -- 34. ma anco nel massimo freddo , purchè ‘ fosse calma, non provavano alcuno inconveniente esponendosi all’ aria aperta . Noi ci applicammo, di- ce il Capitan Parry, alla divertente occupazione di congelare alquanto mercurio durante la fredda sta- gione, e .di batterlo sopra un’ incudine antecedente- mente ridotta alla temperatura dell’ atmosfera ; per questa esperienza si venne a conoscere che consoli- dato in tal guisa non era molto malleabile , giacchè ordinariamente veniva a rompersi dopo due, o tre colpi di martello . : Non molto dopo l’arrivo a Winter Harbour, era stato eretto sul lido un osservatorio fornito di orologi, della macchina per osservare il passaggio de’ pianeti, del pendolo e degli altri stromenti . Il 24. Febbraio il termometro. segnando da -- 43.° a — 44- sì scoperse che questo adifio era in preda alle fiamme. Tutti immediatamente si posero all’o- pra per estinguere il fuoco ammassandovi sopra la neve. L’apparenza, dice il Capitan Parry, dei no- ‘stri volti davanti al fuoco era alquanto curiosa , poi- chè il naso, e le guancie d’ognuno, per l’azione del gelo, erano divenute affatto bianche appena tra- scorsi cinque minuti che ci trovavamo esposti all’aria aperta; così che parve necessario ai medici, ed agli altri destinati ad assister coloro , che attendevano ad estinguer l'incendio di aggirarsi incessantemente in- torno , e stroppiciar colla neve le parti affette , onde eccitare il principio vitale. Malgrado tutte le pre- cauzioni, molti rimasero danneggiati ; e non meno ‘ dì sedici persone d' ambedue le navi furono inscritte 410 sulle liste de’ malati . Colui che maggiormente sofferse fu il domestico del, Capitan Sabine, cui accadde di trovarsi entro l osservatorio insieme col sargente Mar- tin allorchè s’ apprese la fiamma. Eta egli fuggito senza ì suoi guanti per la premura di salvare |’ ago d’ inclinazione ; ed in conseguenza i suoi diti nel corso d’ una mezza ora rimasero così assiderati , e la vitalità per tal modo sospesa , che avendo immerse le sue ma- ni in un bacino d’ acqua fredda , la superficie fu tosto coperta di ghiaccio atteso l’ intensità del freddo a quella in tal guisa comunicato : e nonostante la pre- murosa , ed indefessa attenzione dei medici, fu neces- sario di ricorrere all’ amputazione di una. parte dei quattro diti di una mano, e di tre dell’ altra . L'ambiente del mese di Marzo fu assai più mite, così che il ghiaccio solido , che per ‘qualche tempo avea vestito le pareti delle navi cominciò a liquefarsi . Nondimeno fu giudicato opportuno di porsi a raschiare questa superficie di ghiaccio ; nè a tutti sembrerà cre- dibile, osserva il Capitan Parry , che noi in quel gior- no ( 8. Marzo ) si giungesse a distaccarne circa a cento pieni catini , oguuno de’ quali conteneva dai cinque ai sei galloni ; tanta era la quantità che erasene formata nello spazio di non intiere quattro settimane ; e questa immensa quantità era principalmente il prodotto dell’a- lito dell’ equipaggio , e del fumo, che si era sviluppato nel preparare le loro vivande . Questo ghiaccio forma- to in una maniera particolare contornava le teste dei chiodi di ferro , che ben presto conducevano il freddo esterno , così che veniva ad accumularsi una specie di montagna di ghiaccio in miniatura ad ognuno di essi . La cagione dello scorbuto, che allora afflisse pochi in- dividui sicuramente deve attribuirsi all’ umidità dei 4II dormentorj , e gli ufiziali, ed i medici ne rimasero sì pienamente convinti , che furono abbassati i camerini a bordo, ed i comuni si ricovrarono nelle brande ; si- stema sui era stato generalmente adottato nelle navi quando erano impegnati nella scoperta , e fu posta co- me ulteriore riparo contro il freddo una fodera di su- ghero bruciato tra le pareti delle navi , e le interne ta- vole di abeto. Si giunse alla metà di a senza alcun sensibile scioglimento di ghiaccio . Il 30. peraltro: accadde una sì diga variazione nella temperatura dell’ atmosfera ? che il termometro s' inalzò al gelo, 0 come forse più propriamente può in questo clima appellarsi, “al punto dighiacciante , essendo la prima volta che egli era sa- lito così alto nel corso di otto mesi. Per questo au- mento di temperatura pareva che si godesse il clima d’ estate, così che fu necessaria l’ autorità del Capitano per impedire all’ equipaggio di gettar da parte le sue vesti da inverno. La differenza in venti giorni fu da — 32. a -{- 32. ossia di 64. Il 12. Maggio fu veduto il primo ptarmigan, e il giorno appresso le prime tracce de’ rangiferi , e de’ bovi muschiati , le quali indicavano il loro cammino diretto al settentrione. Fu osservato che essi avean fatto ritorno al primo apparire della bella stagione , cioè quando si cominciò a godere la luce del sole. Quindi di giorno in giorno gli uccelli , ed i quadrupedi si fecer vedere sempre in maggior numero , e perciò si ripresero le abbandonate partite di caccia. La neve co- minciava allora a disciogliersi rapidamente , e il 24. ebbero essi il contento di veder cadere una forte piog- gia . Era sì lungo tempo , dice il Capitan Parry, che non avevamo veduto acqua nel' suo stato naturale , ed 412 eravamo tanto insoliti a mirarla cader da’ cieli, che un tal fenomeno divenne oggetto di particolare curiosità , ed io credo che niuno dell’ equipaggio tralasciasse di recarsi sul ponte per esser testimone di un avvenimen- to sl inusitato , ed interessante . i Piacque allora al Capitan Parry d’ detta prelle un viaggio nell’ interno dell’isola , e determinò di par- tire il dì 1. di Giugno. Impiegarono in questo viaggio cinquanta giorni avendo attraversato }' isola fino alla sua estremità settentrionale senza scorgere nè al set- tentrione , nè all’ occidente ‘alcun paese più lontano . Il terreno essendo quasi affatto coperto di neve , dan- neggiava assai la vista ; avvicinandosi peraltro alle navi trovarono che l’acetosa avea spuntate le sue foglie con vigore, e che il ghiaccio del porto era interrotto da innumerabili stagni d’ acqua . Il ghiaccio allora an- davasi sciogliendo con tanta rapidità , che il 20 di Giu- gno sul terreno nelle difese situazioni videsi più quà, e più là spuntato il domestico porporino fiore della Saxifraga oppositifolia che al dire del Capitan Parry parve cambiasse in più lietò , e vivace il già orrido e lugubre aspetto di quel paese. Cervi, e bovi muschiati, lepri, anatre, e ptarmigans scorrevano in folla, je tutto indicava l’ avvicinamento dell’ estate. Alla metà di Luglio il termometro segnava dai 56.° ai 60.° ; ma non fu che il 1. di Agosto che il ghiaccio si trovasse a ba- stanza disciolto per permettere alle navi di uscire da Winter Harbour; e quindi ben presto si avvidero che loro s’ offriva solameute un angustissimo canale per cui incamminarsi verso occidente tra la terra , e il ghiaccio. Trovarono per altro il ghiaccio più profondo a misura che si avanzavano a ponente , ed' ambedue le navi furono bene spesso in imminente pericolo di es- x î x Ì | ; I î ì | : 413 sere infrante in minutissimi pezzi. Una volta un corpo voluminoso di ghiaccio approssimandosi verso il lido venne ad urtare in un angolo della superficie di ghiac- cio vicino alla quale le navi si erano refugiate . Egli si ruppe a traverso , dice il Capitan Parry , in varie dire- zioni con un forte strepito; e subito dopo noi ne ve- demmo una parte del volume di parecchie centinaia di botti in peso sorgere lentamente , e con maestà .co- me se fosse elevato con una macchina , e posarsi da un altro lato della superficie da cui era stato infranto ; fu * calcolato della profondità di quarantadue piedi . Tutti i loro sforzi riuscirono inutili per avanzarsi oltre all’ estremità sud-ovest dell’ Isola Melville. Qual. che cagione particolare in questo punto impedisce al ghiaccio di distaccarsi dal lido , come si è separato in ogni altra parte del viaggio ; forse ciò deriva dal non trovarvisi più paese, oppure i venti settentrionali che vi dominano, han forse spinto in avanti l’ immenso corpo di ghiaccio, e lo han posto a contrasto fra le iso- le. Giunti ormai al di 16, e il Griper essendo stato un’ altra volta gettato sul lido con' poca probabilità di potersi salvare , il Capitan Parry si determinò a ritor- nare dalla parte di levante lungo il margine del ghiac- cio coll’ intenzione di profittare di qualche apertura che potesse incontrarsi per andare dalla parte meridio- nale, e per approdare , se era possibile , sulla costa di America . Il più lontano punto, cui' essi arrivarono nel mar Polare fu lat. 74.° 26’ 25”, e long. 113, 46 43” 5. Solo il di 26 le navi trapassarono il capo Provi- dence , e quindi il canale sì dilatò in maniera da per- Sitorli di avanzarsi mediante un buon vento fresco con tal rapidità , che in sei giorni essi giunsero alla vi- T. IV. Dicembre 27 414 sta dello stretto di Lancaster ; ed. avendo ‘ imolire gua- dagnata la baia di Baffin, si trattennero lungo il lido occidentale colla mira di osservarlo minutamente , giacchè era stato imperfettamente esaminato nella pri- ma spedizione . Essi lo trovarono interrotto da diverse profonde baie , o passaggi simili al fiorder sulla costa di Norvegia. In uno di questi prossimamente alla lati- tudine 70.° 22° s' incontrarono in una tribù ‘di £'sqri- mau , di un carattere assai più stimabile di quelli veduti sulla costa del vecchio Groenland nella spedi- zione del 1818. Il Capitan Parry espone brevemente l’interessante ragguaglio di questo popolo ne' termini seguenti : In generale questi popoli possono considerarsi provvedati d’ogni cosa necessaria alla vita, anzi della maggior parte de’sol- lievi, e de’ comodi che possono godersi in un così rozzo stato di società . Considerata la situazione, e le circostanze , nelle quali si trovano gli Esquimaur di North Groenland sentesi viva compassione pel misero stato, in cui apparisce esser quivi ridotta l’ umana natura ; stato per pochi rapporti snperiore a quello degli orsi, e de’ vitelli. marini che essi. uccidono per provvedere alla propria sussistenza . Ma riguardo a questi è impossibile di non provare il più piacevole sentimento :, regna nella loro generale condotta una rispettosa decenza , che ci fece un’ impressivue assai differente da quella provata in vedere gli altri Esquimaux privi affatto di cultura : nelle loro persone non appariva sì ributtante quella lordura per cui tali popoli gene= ralmente si distinguono. Ma ciò per cui essi si meritarono maggiormente la nostra stima si fu la perfetta onestà che si M1) in ogni contratto . Nelle due ore , che - i' equipaggio rimase a bbndo , e nelle quattro, o cinque ore; nelle quali sus'egrentemente scendemmo fra loro sul lido , malgrado che la tei:tazione di derubarci dovesse (essere assai forte, e non gli mancassero i mezzi , e l’ opportunità di; eseguirla ,, pure non occorse, a mia notizia, un solo esempio di furto anco del più piccolo oggetto . E’ dolce cura il narrare un fatto non meno singolare in se stesso , che onorevole a quel popolo semplice .. Ba Vo IST TT ——r o EE, i Il 26. Settembre , il Capitan Parry prese final mente congedo dal ghiaccio ; e senza alcuna avven- tura, che meriti particolare notizia, arrivò nelle Tha- mes circa la metà di Noyembre . Fu sì prospero , egli dice , lo stato di saluté , che noi in questo tempo continuammo a godere a bordo dell’ Hecla, che durante tutta la nostra navigazione da /Vinter Harbour fino alla costa della Scozia , vale a dire pel corso di tredici setti- mane , niuno dell’ equipaggio fu soggetto a infermità, se si eccettui una , o due indisposizioni di leggiero carattere ; ed iò ebbi la fortuna di osservare che ogni uffiziale , ed ogni co- mune ;a bordo delle due navi ( ad eccezione di un solo tra no- vanta quattro persone ) ritornava al suo nativo paese in così robusta salute come quando lo avea lasciato , dopo un’ assenza di presso che diciotto mesi, nel qual tempo noi possiamo as- serire di aver salvata la vita mediante le nostre proprie risor= se . P. ( sarà continuato ) FILOLOGIA Saggio intorno ai sinonimi della lingua Italiana di GiusepPE GRASSI. Torino dalla Seri Reale 1521. i Cone per la quinta edizione del gran Vocabolario Italiano, alla quale vanno dirigendo ‘i loro lavori gli Accademici della Crusca sarà per essere di grandissima utilità l’opera del Cav. V. Monti, e i trattati che ella contiene , del Conte Perticari ; così di non minore per avventura sarà quella del Sig. Grassi , illustre letterato | Piemontese , s’ egli avrà tempo, agio, e volontà di «condurre in avanti il trattato de’ sinonimi Italiani, del-quale ha pubblicato il Saggio che annunziamo , ' 416 al quale saggio noi crediamo che possa con fiducia ap- plicarsi quell’ onorevole motto ab ungue leonem (a). Questo sagace e pulito scrittore conviene che l’az- torità la più universalmente ammessa in questa parte dell’ eloquenza è l'uso , ma sarebbe stata (egli soggiun- ge ) presunzione $ anzi temerità ad uno scrittor non toscano il dettar canoni sull’ uso corrente delle voci italiane , lontano da quella felicissima contrada ( del- la Toscana) nella quale per giusto privilegio di cir- costanze fisiche, e morali scaturiscono perenni le pu- rissime fonti della lingua parlata , e si conservano le vive testimonianze della scritta . Ad evitare pertanto queste sconvenienza mi i fu mestieri farmi da più alta ragione nelle mie ricerche, che quella dell’ uso non è; nè altra maggior può trovarsene se non quest una, la natura stessa della voce , non soggetta mai a nes- suno dei tanti cambiamenti da' quali sono perpetua- mente agitati i soi significati usuali. STENTI Due considerazioni noi faremo sopra queste parole del Grassi . La prima si è che parlando qui ed altrove in alcuni articoli di questo saggio, del Giusto privile- gio ec. ee. della Toscana, sembra, ch’ ei non tema di contradire alle opinioni di quelli eletti spiriti ( Monti e Perticari ) ai quali il congiunge non solo questa nobile comunanza di studj, ma un legame indissolubile di riconoscenza, e di tutto affetto cc. ec. E di fatto il (a) Riceviamo in questo punto la notizia , che il signor Ab. Romano tiene in pronto una laboriosa , e compiuta opera sopra i sinommi italiani che speriamo veder presto comparire alla luce a grandissimo onore dell’ Italia, e delle lettere italia» ne , essendoci d’ altronde noto esser lui valentissimo nel fatto della teorica grammaticalea 417 Monti nel volume quinto recentemente pubblicato della . sua Proposta ne assicura, all’ osservazione sulla voce nuovo, d’aver già sott'occhio questo saggio del Grassi, e ne fa opportunamente un bell’elogio, al quale noi ci so- scriviamo , dicendo : esser opera di maraviglioso giu- dizio, che in pochi fogli t' insegna il processo della scienza analitica delle parole, ed accenna luminosa- mente le vie che sole possono guidare a buon partito la riforma del Vocabolario. È siccome ( e questa è la seconda considerazione ) per quanto il chiarissimo Autore protesti di non volere attenersi all’ autorità , Za più universalmente ammessa, dall’ uso , pure spesse volte si trova nel caso d’ aver questa sola , ch’ egli sta- bilisce in quel fortunato paese , ove Monna Sandra e Messer Pippo sono i migliori maestri di certe proprietà della lingua ( saggio fac. Go. ) così può ra- gionevolmente concludersi che il Monti eziandio am- metta e riconosca quest’ autorità di Monna Sandra e di Messer Pippo , cioè di quel sozzo Camaldoli , e del sì sbertato Mercato vecchio di Firenze (0), e giudichi (3) Il lodato sig. Grassi racconta a questo - proposito con ‘molto garbo e ingenuità due lezioni avute da persone del basso popolo di Firenze ;je del Contado. “ Camminando io ( egli dice fac. 60 ) tutto assorto nelle fiere memorie che risvegliavano dentro di me quelle strade ( di Firenze ) que’ palazzi e que’ mo- numenti della Toscana grandezza , urtai col piede in uno sca-. | glione che dalla porta d’uma bottega sporgeva sulla via, e ri- sentitomi pel dolore gridai ,, Uh! maledetto gradino ! ,, il lin- guicciuto padrone che stava a sportello ghignando mi ripi- gliò ,, Za dica pure scaling, perchè qui non siamo inChiesa.) E alla faccia 134. maeconta così ,, Di questa differenza { fra le voci paura e timore ) ebb’ io una graziosa lezione in quella contrada ove il popolo non potrebbe , volendo , errare 418 | opera maravigliosa il servirsene , e il chiamarla in soc- corso in molte occorrenze (c) pe’ bisogni della nuova e- dizione del Vocabolario . E da'itutto cià credigtdordì tirare una giustissima conseguenza , dicendo , che gli spassionati Italiani debbono andar persuasi che la bra- mata riforma del Vocabolario deve farsi in Firenze, e che a questa debbono tutti presedere colla loro critica, ed ingegno, mentre gli abitanti serviranno loro di si- cura scorta con la pratica , e l’uso . Noi terminiamo quest’ articolo con una osserva- zione critica sul sagg io del sig. Grassi, e con offrirne poi un centellino ai mostri leggitori pei sempre più si confermino nella presunzione della sua squisitezza . Pare a noi'che in alcuni luoghi non sia compiuto ” nella proprietà de’ vocaboli , voglio dire nella Toscana . Un accidente mi obbligò ad arrestarmi per pochi momenti in Bar- berino , terra posta sulla via de’ colli ; ‘che mette da Firenze a Siena >» appena sceso dal legno si fece ad incontrarmi una gentil contadina profferendo con tutta modestia il suo ajuto : le pen- deva dal collo un rosato fanciullo , ed io volendola par ricam- biare della sua cortesìa . .. le lodai il bambino , e gli stesi la mano per accarezzarlo ; ma egli stizzito mise un grido , e na- scose il capo in seno della donna : ne rimasi mortificato, e dissi : spiacemi d’ avergli fatto paura; ma ella accortasi del mio rossore, e volendo scusare il fanciullo , rispose subito, con bel garbo. £° timore, non è paura . Io sfido tutti i filologi a fare un complimento con maggior grazia della villana di Bar- berino . ,, (c). Noi non pretendiamo con ciò , che si debbano ammet- tere o ritenere dal vocabolario molte sconcie o strane, o inin- telligibili voci del Pataffio, del Burchiello ec., ma sostenghia- mo col Grassi, che nella sola Firenze , e suo Contado si può, consultar l’ so, e trovar la proprietà de’ vocaboli da dimo- strarsi poi, se così piace , per la loro natura ed origine . 419 il numero delle voci da paragonarsi per assegnarne le differenze . Così riportando .l’ Autore i verbi finire e terminare dopo averne fissate le diverse relazioni ' nell’ uso comune, e dopo avere opportunamente notato l’uso del verbo finire rispetto alle arti liberali, ei conclude , che finitezza è l'esatto ed ultimo finimen- to d'uma cosa, lo squisito compimento d’un lavoro . Da questa dichiarazione risulta, che il verbo compire ha una strettissima affinità col verbo finire, e che an- cor questo dovea mettersi nel croggiuolo , per farne la separazione . Così a noi pare che agli aggettivi altero e superbo debbano unirsi altri come grorfio, borioso, pettoruto, vano ec. che agli astratti superbia,, arro- ganza , insolenza , presunzione debba aggiungersi im pertinenza, soverchierìa, oltracotanza ec.ec. A vero, e veritiero l’afline verace ec. E ci pare finalmente che ai vocaboli gradino , e scalino si dovesse aggiungere sca- glione del qual termine si serve l’autore stesso, quando nel suo racconto qui sopra riportato alla nota (4) egli dice che zrtò col piede in uno scagLione ec. Ed a que- sto proposito giovi l’annotare , che nell’ uso la voce gradino esprime sempre secondo la sua desinenza la piccola altezza del grado ; e perciò si dice con più di proprietà i gradini dell’ altare che i gradini del Duo: mo , dicendosi per questa e simili fabbriche piuttosto scalini, e quando sono molti si dice scalèa , scalera come le scalere della nostra Badia ec. ec. Ma queste sono insensibili macchioline in opera che spande , e spanderà tanta luce di critica e di filo- sofia nella parte la più importante della Filviogia Grammaticale, come vedrà ciascuno dal seguente arti: golo dell’opera che abbiamo promesso . Urzano LampreDI. 420 DurAnTE — PENDENTE. Egli è pur troppo invalso da qualche tempo in uà lo strano abuso di valersi indifferentemente dell’u- no, e dell’ altro di questi due participj attivi in forza di proposizione , che indica il periodo di tempo delle cose . Nè ad altra cagione puossi questo sconvenevole mescuglio riferire, se non alla bassa imitazione de’ mo- di francesi, perchè esaminando la natura delle due voci la prima vien da durare , e trae con sè il tempo come idea fondamentale , e la seconda vien da pendere,e le tien dietro per traslazione l’idea dell’ incertezza . Non vw ha dunque nella lingua nostra nessuna cognazione 0 famigliarità di sorte fra l'una e l’altra di queste voci ; ma tanta e tale è la forza delle straniere invasioni , che le lingue istesse de’ popoli soggetti ne ricevono la ver- gognosa impronta , e le macchie della favella sono pur troppo indelebili segni di servitù. Sentirono gl'Italiani suonar lunga pezza alle orecchie loro il pendant que, pendant la guerre, pendant le tems de’ Francesi , e non arrossirono d’ imitare simili modi torcendo a que- sta inusitata significanza il vocabolo pendente , e di- mentichi affatto del mentre che, durante la guerra, durante il tempo ec. ec. Hogan da tutti i buoni au- tori in questo significato. A volersi pertanto sgabellare una volta dal misuso della voce perdente giovi il por mente a’ suoi retti significati così naturali come figu- \rati; eccoli . . Pendente partie. att. del verbo pendere : chè Pe . Es. “ Roccia pendente . ,, Dante. Cortine i pendenti ,, Bocc. ,, Anelli, catenelle , pendenti , vezzi di perle. ,, Firenzuola . * i 424 2. Metaf. che dipende. Es. “ Tutti altri Re e Reami erano quasi pendenti da questi due. ,, Tes. Brun. 3. Dubbioso, irresoluto, indeciso , sospeso . Es. ,3 Il suo successore trovati i processi perdenti , assol- ,» vette i detti grandi cittadini . M. Villani “ Lasciai il ,) giuoco pendente , e venni via . ,, Lasca . € Si rimise + la questione qual fosse il vero erede del padre , in » pendente , ed ancor pende . ,, Boccaccio . Da questi esempj l’ accorto lettore , deducendo la natura del vocabolo , vedrà che nessuno de’ significati, di pendente trae seco in italiano l’idea della durata del tempo, e che esso non può nè segnar l’ epoca d'’ u- ‘ ma cosa, nè sostituirsi mai a durante, come erronea- mente si fa (d). i (d) Si osservi che il chiarissimo Autore ha dimostrato e- gregiamente il misuso della voce pendant dall’ uso fattone da- gli scrittori Toscani, Egli ne rimprovera giustamente gl’ Ita- liani in generale , ma se venisse in Toscana non la sentirebbe certamente sonare franceseamente nelle bocche del nostro por polo . . 422 SCIENZE MORALI E POLITICHE Histoire etc. Istoria filosofica e - politica degli sta- bilimenti e del commercio degli Europei nelle due Indie, di G. T. Raynal, nuova edizione corretta e aumentata sui manoscritti autografi dell’ Autore, preceduta da una notizia biogra- fica, e da considerazioni sugli scritti di Ray- nal, del sig. A Jay (1) e terminata da due vo- lumi supplementari contenenti la situazione attuale delle Colonie , del sig. Peuchet. Pacigi 1820, e 1821. Vol. XII. in 3. Ti scoperta dell’ America , e del passaggio all’ Indie pel capo di Buona Speranza, fissa, si può dire, la vera epoca che separa l’ età degli antichi da quella dei mo- derni. La cognizione del globo che abitiamo, e delle modificazioni apportate alla specie umana dalle cause naturali e dalle instituzioni sociali , ed infinite nuove relazioni che ne son nate, hanno prodotta una rivolu- zione nel commercio, la quale ha dato un nuovo incen- tivo all’ industria e alla navigazione , e per conseguen-* za a tutte le scienze , ed a tutte le arti . L’ Istoria filosofica e politica degli stabilimenti, e del commercio degli Europei nelle due Indie dell’ Ab. Raynal fu destinata a farci conoscere questi resultati. Egli riempì un vuoto che esisteva fino al suo (1) Siamo dispiacenti di non aver trovata unita alla copia di quest’ opera che è a noi pervenuta, questa rotizia bdio= grafica e queste considerazioni , il che c’ impedisce di darne l’ estratto. tectiti fait scatti nine I | 423 tempo. ,, Dopo che l’uomo con la sua bussola ( dicono gli autori dei secoli letterarj della Francia ) s' era aper- ti tutti i mari, il commercio aveva abbracciato nelle sue speculazioni tutte le parti cognite del globo: ma _era difficile di riunire l’ immensità di fatti e di rela- zioni che avea prodotti, da fondare questi fatti tanto vari nella loro natura quanto nei loro resultati su principj costanti e uniformi . Il commercio avea can- giato, e modificava ogni giorno la sorte dei popoli, e nessun popolo ne conosceva l’ istoria. Raynal la scrisse e la pubbiicò . Un'opera ove presentavasi per la prima volta al genere umano, e con un pennello ardito , il suo stato di situazione , il bilancio dei suoi affari, il censimento della sua popolazione , il conto delle sue idee politiche e religiose; un opera la quale, al merito di presentare il quadro delle cognizioni le più dispa- rate univa quello di essere scritta con una prodigiosa facilità e con una rara eloquenza , non poteva mancare di fissar l’attenzione di tutti glì spiriti. Così venti edizioni o contraffazioni si succedettero. senza interra- zione , e quasi senza intervallo, e furono nel momento ‘esaurite . Nessun libro fu mai più letto di questo , e nessuno dette una più forte impressione agli spiriti. ,, L’ edizione che ne annunziamo ha il pregio di es- sere una nuova opera originale piuttostochè una ri- stampa . L’ Autore vi avea fatte molte correzioni ed aggiunte. Nel testamento avea lasciato per legato i suoi manoscritti alla città di S. Geniez nella quale era nato; Il Consiglio Municipale li ha venduti ai librai Amabile Costes e C. che sono gli editori dell’opera . Le correzioni ed aggiunte però dell’ Autore stesso non sarebbero state, sufficienti per noi. Da quando Raynal posò la penna , grandi cangia- 424 menti sono accaduti nel governo delle colonie, e né commercio che esse fanno colle loro saetiogoli +» Se quanto al tempo ( avea detto l’Abate de Pradt ) non vi sono che alcuni anni d’ intervallo fra Raynale noi, quanto ai fatti vi sono dei secoli. Egli stesso non si ri-, troverebbe più in quel mondo in cui i suoi scritti ci avevano introdotti, e il pittore non riconoscerebbe nulla al proprio suo quadro. ,, - Era dunque necessaria una nuova Istoria da quel tempo in poi,e questo è ciò che ci ha dato il sig. Peuchet. in due volumi i quah, portano per titolo » Stato delle colonie e del commercio degli Europei nelle due Indie dal 1783. fino al 1821. ec. (2). Il dare in ristretto il quadro delle notizie di fatto che contiene quest’ opera sopra ciascuno degli stabili menti dei quali tratta , sarebbe difficilissimo pel gran numero di fatti positivi che vi son raccolti. Dall’ altro canto non presenterebbe altro che notizie troppo aride ed imperfette , perchè mancanti di quegli opportuni sviluppi che si trovano nell’ opera , e che converrebbe (2) Compartendo la dovuta lode agli editori, che hanno arricchita la repubblica letteraria con questa loro intrapresa , non possiamo però dispensarci dal far loro un rimprovero d’es- sersi contentati di riprodurre quello stesso vecchio atlante che accompagnava l’ opera di Raynal, e che è insufficiente a farci conoscere le variazioni accadute, e i nuovi stabilimenti creati da quell’ epoca in poi. Oltre di che |’ esecuzione . n’ è anche un po’ troppo rozza e trascurata e non corrisponde in modo alcuno alla nitidezza ed al gusto che formano in tutto il resto il pregio dell’ edizione. Questa inavvertenza diminuisce il me- rito di un’ impresa che siamo persuasi essere stata animata da tutt'altro spirito che da quello d’una sozza e meschina specu- lazione libraria . ‘429 sopprimere . E’ necessaria la lettura dell’ opera intera per chi vuol conoscere a fondo lo stato attuale di que- sta parte di mondo . In generale l’autore cammina con la scorta dei buoni principj; egli conosce ed insinua che quella soprab- bondanza di prodotti che le attuali vicende hanno con- glomerati nei mercati europei necessita il conoscere la situazione precisa del nostro globo, e i vantaggi che sì possono ricavare dalla tendenza giornaliera di nuove nazioni ad entrare nella .5rau famiglia del mondo in- civilito . 1 Facendo il quadro dello stato delle colonie Euro- pee nell’ Indie, l’ A. si è astenuto , com’ ei si protesta; dal dipingere le scene, delle du il nuovo mondo è è ‘attualmente il teatro . Non già che un soggetto sì grande ( egli dice ) avesse nociuto al merito dell’ istruzione che abbiamo in vista, ma perchè sarebbe stato difficile di rispettare le passioni di gelo- sia e d’odio nelle particolarità in cui fossimo entrati. L’ Eu- ropa che dà movimento al resto del mondo , che ne regola i destini, e vi mantiene la ‘guerra e la pace a seconda dei suoi capricci , non è abbastanza d’ accordo con se medesima perchè possano presentarlesi princip) di condotta da seguitarsi nei suoi stabilimenti coloniali ; il suo orgoglio e la sua imprudenza respingerebhero dei consigli ch’ ella crederebbe accattati dallo spirito di partito, benchè non fossero altro che il frutto dell’e- sperienza e della meditazione . Del resto tutto annunzia che l’ impero Europeo sulle due Indie va a finire. Sul nuovo continente E e si svi- luppano con una vistosa attività tutti i sintomi d’“una prossima scissione; non giù che un pieno successo possa essere il resul- tato d’ un primo tentativo; ma ogni giorno ne annunzia la conclusione; ogni giorno fa vedere che se è possibile di tenere .. degli stabilimenti insulari nella suggezione d’ una metropoli, non lo è però che questa\ metropoli tenga regni e continenti, interi incatenati ai suoi piedi . 426 Ma queste grandi scissioni produrrann’ elleno delle monat- chie ? Sarann’ elleno l’ origine. di nuove costituzioni fondate sulla sovranità dei popoli e sulla libertà personale ? Ecco ciò che non dovrebbe far dubbio , e ciò che nonostante ne fa mascere nello spirito degli uomini i più giudiziosi ,, Nostro disegno non è di risolvere una siffatta difficoltà , e molto meno lo è ai pre- vedere qual sarà la condizione dell Europa dopo un cangia- mento di tal sorte . Quello che vi è di più probabile è che le nazioni dell’an- tico continente, prive di queste rieche possessioni e dei van- taggi che ne ricavano l’ industria è la classe dei non proprie- tar) , sentiranno quel malessere, e quei movimenti sediziosi fi- gli della miseria , e più pericolosi ‘di quelle esplosioni che fa si spesso scoppiare nei nostri giorni |’ amore della libertà . Gli stati soli che avranno saputo prepararsi delle grandi colonizza- zioni insulari potranno rimanere esenti da questi nuovi perigli. Ma forse allora gli Europei, racchiusi in limiti troppo angusti getteranno finalmente gli sguardi sull’ antico dominio che loro rapirono i feroci. figli di Maometto . La Turchia Eu- ropea invoca dei liberatori ; essa offre culture , ricchezze , ri- sorse ; sfoghi all’ attività, dell’ occidente ; il mediterraneo po- polato d’ isole che furon già potenti repubbliche può indenniz- zare la Francia , la Spagna, l'Olanda , delle perdite dell’ Ame- rica, nel tempo che può restituire alla civiltà , alle arti, alla libertà, queste belle contrade dell’ oriente . Allora questi stati moltiplicheranno il numero dei consumatori , troppo al dì d’oggi sproporzionato ai prodig] della riproduzione , e al perfeziona- mento del lavoro in Eur opa Ma per un bisogno sì grande vi vogliono unione , spirito pubblico , e quel ca d’ elevatezza pu opinioni Pnnte che con rammarico rayvisiamo soltanto sopra . alcuni punti , per alcuni interessi temporar] . Non possiamo trattenerci da. estrarre dall’ in- troduzione dell’ opera del sig. Peuchet un’ istoria che non può esser letta senza interesse dagli amici della specie umana . Ella ci mostra nel tempo stesso quan to deve pregiarsi quello spirito, di associazione sì fe- B i 427 condo d’ imprese utili , il quale forma il distintivo più bello del carattere inglese . L’ abolizione delia tratta, dice l’A. ha cangiato il sistema coloniale : ci sembra dover ella coatribuir sempre più al mi- glioramento delle sue diverse diramazioni , e la lotta che pro, va tuttora per consolidarsi non servirà ad altro certamente g che a renderla più completa mercè i mezzi di repressione ado- perati contro coloro che in disprezzo delle leggi vi cercano be- nefizjì colpevoli , e i pericoli che li accompagnano . Ù Ma di tutti i mezzi proprj a distruggere questo male nella radice , non ve p° è forse alcuno più efficace e più durevole di quello che ha pe” oggetto il diffondere la civilizzazione in Af- frica, tentativo già praticato in qualche stabili; nento , sotto l’ influenza dell’ onorevole società stabilita a Londra per questo grande ed importante disegno . Entriamo in qualche partico- larità . Da più anni alcuni uomini pieni di zelo, di lumi; e di giustizia, contando, è vero, assai poco le Pt odi della cu- | pidigia dei piantatori (1) Americani eransi occupati a raccogliere dei fatti sul commercio degli schiavi. Non solamente: hanno fatto conoscere mercè le loro ricerche la. condizione. deplorabile dei negri alle isole e sul continente d’ America , ma hanno provato di più che il sistema che avea dato nascimento a questo com- mercio degli uomini sulla costa d’ Affrica era tanto contrario all'interesse pubblico quanto lo era all’ umanità . | Per giungere a una dimostrazione più completa di questi principj, hanno procurato di gettare sulle coste d’Affrica i germi della civilizzazione e dell’ agricoltura ; dal che quella interes- sante colonia di Sierra - Leone, la quale ad onta delle contra- | rietà che ha sofferte, non solamente si sostiene, ma anco dimostra che non solamente i negri son capaci. di applicarsi al lavoro, e sono suscettibili di abitudini morali, ma che il continente da cessì abitato può dare agli Europei uno smercio per le produ- zioni dell’ indostria e delle , derrate , onde supplire a quelle che fossero per essere ricusate dalle colonie . \ (1) Planteurs, ossi piantatori , chiamansii proprietarj «delle piantagioni di prodotti coloniali. Nota del tradutt. 428 In fatti alcuni viaggiatori che hanno percorsa lì Affriol 0c- cidentale si maravigliano che siasi potuto per sì gran tempo trascurare un oggetto di tanta importanza . Ne attribuiscono , non senza ragione , la causa agl’ interessi dei proprietarj delle isole,i quali interessi hanno prevalso nei consigli degli stati co- loniali, ed hanno impedita 1° interdizione del commercio degli schiavi, o hanno fatto si che la coltura dell’ Affrica non fosse incoraggita tanto da nuocere alle speculazioni. dei piantatori Ra i Fra gli uomini che hanno richiamata |’ attenzione dell’Eu- ropa sopra una condotta si strana , sono da presentarsi alla ri- conoscenza pubblica il sig. Wadstrom Svedese , e il D. Smea- thman Inglese . Nei quattro anni che quest’ ultimo è riseduto alle Isole di Bannos in vicinanza della Sierra-Leone , ha fatte molte corse nell’ interno del continente, e vi ha riconosciuto la possibilità di farvi degli stabilimenti coloniali . Il suo zelo 1’ ha portato a farne la proposizi: one coll’ intenzione di aprir nuovi sbocchi al commercio del suo paese, quanto ancora d’ esten- dere l’ incivilimento in Affrica , e sopra tutto d’ abolir la tratta. Le ricerche e le fatiche di questi uomini stimabili ri- chiamarono l' PARTA pubblica in Inghilterra fino al segno che l’ università di Cambridge propose nel 1785 di discutere la questione della schiavitù e del commercio della specie umana ( sono le sue espressioni ). Ottenne il premio il sig. Clarkson , quel medesimo che vedremo fra poco governatore della nuova colonia di Sierra-Leone - Ei dimostrò con una evidenza senza replica |’ inumanità del commercio dei negri, rispose ai sofismi della cupidigia , e fece vedere che l’ interesse ben inteso di tutti i popoli era ‘ d’ interdirlo per sempre . Bentosto il sig. Wilberfoce adottan- do le stesse idee si mostrò nella camera dei comuni partigiano della stessa dottrina , e fu imitato dai sigg. Carlo Fox, Grey, e finalmente da Pitt medesimo sil quale era troppo illimitata per, avere un’ opinione contraria . Le cose erano in questo stato quando nel 1788 un vir- tuoso filantropo, il sig. Granville-Sharp, fece partire a sue spese un vascello carico di provvisioni e di materiali con 39 coloni, eoll’ oggetto di stabilire una colonia a Sierra-Leone . i Ma le facoltà d’un solo particolare essendo insufficienti, alle spese d’ un impresa come questa , ei formò nel febbraio rien Cn sr 429 r7go un associazione di 21 persone di cui conosceva i princi- j. Questa socîetà, divèntàta numerosissima in pochi mesi, ottentie dal parlamento un atto col qnale fu autorizzata a for- mare tina compagnia , che avrebbe cotiservato pér 31 anni il suo privilegio , a cominciare dal luglio del 17gt. Il primo atto di questà compagnia fu quello di sthidelt dal suo seno ogni individuo interessato alla tratta de gli schiavi . Tommaso Clatkson sì giustamente celebre ed onorato per lo zelo che impiegò e pel successo che ottenne a fare abolir la tratta, fu nominato governatore, del nuovo stabilimento . L’* amministrò con attenzione ed assiduità tale, che li merita- rono la stima dei suoi compatriotti , e la riconoscenza di quella colonia. Non la lasciò che nel dicembre 1792. Prima di separarsi da quelli che avea governati con fermezza, giustizia, e modera- zione, Clarkson credè dovere esortarli a- vivere in pace , a se- guitar le regole che avea date loro per la prosperità della co- lonia. Fece sentir loro che il timor di Dio era la miglior re- gola» di condotta che potessero seguitare per prosperare e per esser felici. Si fece quindi a dipingere i difetti ai quali erano più sottoposti, e che consistevano principalmente in una trop- pa vivacità di carattere e in una inclinazione troppo grande al malcentento , e alla diffidenza verso i loro capi. Li esortò a eorreggersi; e terminò il suo discorso con una preghiera al cielo per la felicità e pel miglioramento morale della colonia . Esortazioni come queste fecero una felice impressione nell’ ani- mo di tutti gli uditori . Clarkson ha tanto maggiormente meritati elogi per la con- detta che ha tenuta in tutto il tempo della sua ‘amministrazio- ne , in quantochè dovè sormontare numerosi ostacoli, in specie nei primi tempi - Non era agevol cosa il mantenersi in pace coi capi delle nazioni negre vicine, nelle quali doveva infondere diffidenza , e timore lo stabilimento d’una colonia sì numero- sa. Queste difficoltà erano accresciute , e provocaté ancora dai commercianti di schiavi, interessati ad attraversare un im- presa di natura tale da nuocere al loro traffico . Costoro po- sero tutto in opera per eccitar timori, e far nascere allarmi . Fortunatamente , per la condotta savia e illuminata del gover- natore , la pace , una volta ristabilita , si mantenne con tutti i vicini, ed egli stesso si fece-rispettare ed amare dai re o capi dei negri coi quali aveva da trattare . 430 sa) 4 — Dawes successe a Clarkson. nell’ amministrazione della, co- lonia , nel. dicembre 1792. Questi dovè provare . ostacoli, anco maggiori che il suo antecessore , e sicuramente per le cause medesime.Gli armatori, quelli che facevan la tratta yedevano, con. questo stabilimento inceppate le loro speculazioni; i piantatori. dell’ isole erano , o si credevano essi pure interessati ad attra- versare lo stabilimento . Queste cause ,. ed altre ancora ne ri- tardarono il successo , e contro .l’ espettativa. di tutte le per-. sone che vi s’ interessavano , l’ hanno tenuto per lungo tempo. in uno stato. poco florido . Vi è luogo anco di credere che il cattivo sistema di governò . adottato in principio dalla colonia, s’ opponesse ai suoi progressi. L’ introduzione di misure op- pressive , e che erano in contradizione coi sentimenti e coi pre- indizii degli abitanti, è stata sul punto più volte di tutto distrug- gere . Molti degli abitanti negri i più industriosi l’abbandonaro- no: altri cercarono un rifugio nel territorio dei loro antichi, capi , alcuni si ritirarono nelle montagne. Volevansi obbligare , i coloni negri in istato di portar le armi a diventar soldati o marinari , e ad essere trasportati , secoudo , gli ordini del go-. vernatore , in qualunque parte dell’ Affrica. Queste tarbolenze furono poi pacificate ; ma la colonia ne sofferse per lungo tempo . Altro pericolo la minacciò . Ardendo la guerra. nel 1794. fra l’ Inghilterra e la repubblica Francese , il comandante d'una squadra francese attaccò lo stabilimento , e le massime della | repubblica non poteano far supporre la volontà di distruggere un’ instituzione consacrata a favorire i princip) liberali; ma una malintelligenza fatale , di cui deesi incolpare il gabinetto. di Londra fece tutto il male, e il comandante francese attaccò e distrusse la nuova città e le coltivazioni circonvicine . ._ I principj, che aveano animata la creazione della colonia, furono abbandonati; essa. languiva allorchè nel 1808 la com- pagnia di Sierra-Leone cedè lo stabilimento al governo Inglese. Gli affari furon fatti con mistero, ed in modo di non portar ombra agl' interessati nel commercio d'Affrica, e ai piantatori delle co- lonie, La spopolazione continuava sempre ; alcuni nuovi rigori esercitati contro i coloni gli avevano inaspriti, e un buon nu- mero se n'era allontanato . Con intenzione di ristabilir l’ordi- ne , il governatore pubblicò il seguente proclama che non ebbe tutto l’ effetto che ne attendeva, ma che fissò la polizia della colonia . LI 431 » Abbiamo finqui differito ( dice il proclama ) a nome det Re della gran Brettagna d’ ordinare Ì' applicazione delle pene pronunziate contro coloro, i quali ricusassero di prestare il giu- ramento prescritto da un atto del governatore e del consiglio della nostra colonia di Sierra-Leone portante la data del 20. novembre 1811, supponendo noi che i cittadini, i quali si tro- van compresi iu quell’ atto sarebbero ritornati' da loro mede- simi a sentimenti più conformi al loro dovere ; ma questa in- dulgenza per parte nostra , in luogo di produrre i salutevoli effetti che ce n’ eravamo augurati Ha prodotto anzi su molti de- gli abitanti un risultato afiatto contrario . ,, »» Noi abbiamo perciò , secondo il parere del nostro capitan generale e governatore in capo, e secondo aùcora il parere del nostro consiglio della colonia , giudicato conveniente d’ e- mettere il presente real proclama » pubblicare , e’ dichiarare , allow ggetto di provvedere alla sicurezza immediata egualmente che alla sicurezza futura di questa colonia nascente , che tutti coloro che sono contemplati nell’ atto predetto, o quelli che sono dai 13. ai 60. anni , i ‘quali ricusando di prestare il detto giuramento di milizia, hanno dato di più ai loro figli, e ai loro sottoposti Ii esempio! della disobbedienza ,, e dell’ insubordina- zione , hanno perduto qualunque diritto e titolo a qualsivo- glia specie di proprietà , sì mobile che immobile, e som in conseguenza in conformità della prima e seconda sezione dell’atto ETOA dichiarati fuor della legge . L’ indalgenza che abbia- mo loro accordata per principj di umanità , e che essi non hanno avuto bastante gratitudine per apprezzare e per ricono- scere, è ora al suo termine. Sia noto dunque che appena sarà passata la stagione delle piogge , o sia a datare dal 20 del pros- simo novembre è nostra dolo che qualsivoglia persona pas- siva dell'atto di milizia , e che persistesse nel suo rifiuto di confermarvisi , o di sottomettersi a qualunque altra legge im- posta ai nostri sudditi, debba cessare di fare la sua begMenza in verun luogo della penisola di Sierra-Leone . ,, |» Non volendo allontanarci però da quei principii di dol- cezza e di moderazione che ci hanno costantemente diretti uélle misure di govefno della nostra colonia , e nei quali qual- cuno degli abitanti non ha voluto vedere o che debolezza o timidità , ci piace dichiarare che la Principessa Carlotta , 0 qualche altro dei nostri vascelli condurrà colle loro famiglie 432. . su quel punto della costa che stimeranto proprio d’ indicare , quelle persone che saranno malcontente del nostro regime at- tuale . ,, RI Questo proclama non fece che irritar gli spiriti . La ‘nostra ritenzione , diceano gli abitanti di Sierra=:Leone, non è mai stata quella di sottrarci all’ obbedienza che dobbiamo al go- verno . Verseremo fino all’ ultima goccia del nostro sangue per la difesa della colonia; ma siamo wuiti d’ affetti colle nostre donne , e coi nostri figli, e non possiamo sopportar l’idea di contrarre un impegno che potesse dividerci un giorno da questi oggetti del nostro amore . ! ati Queste ragioni tanto più meritavano di essere valutate , in quanto che gli abitanti della colonia, specialmente i mars roni o negri fuggitivi che eranvisì rifugiati , hanno mostrato sempre vigore e buona volontà ogni volta che è stata minac- ciata la sicurezza della colonia . Essi sono naturalmente affe- zionati alla libertà , e vedono con orrore quei regolamenti della disciplina militare che sottopongono il soldato alla pena della sferza, la quale aborriscono tanto maggiormente da che hanno avuto occasione di vederla praticare sugl’ infelici schiavi negri nell’ Indie occidentali . l E’ facile il concepire che con tali sentimenti dovevano quei eoloni trovare repugnanza a sottoporsi ad un giuramento lche impegnavali come marinari sopra bastimenti , i quali se il ser- vizio del Re lo avesse richiesto , avrebbero potuto ricondurli fors' anco in quelle medesime Indie occidentali; e riporli che nuovamente sotto la verga *dei loro carnefici «. Ma il Governo Inglese persistè in queste misure rigorose senza, riguardo al- cuno ai sentimenti dei coloni. a La spopolazione andò perciò sempre scemando . Più di cento lotti, o porzioni dì terra furono abbandonati: le case di quei disgraziati che eran fuggiti furono segnate di lettera R (ribelle); le messi che avean fatte nascere in quei pic- coli quadrati di terreno ch’ erano stati loro compartiti , furono spietatamente distrutte e saccheggiate dai reggimenti affrica- nì, e dai negri prigionieri . ‘Frattanto il Governo cereò di nuovo di richiamare i fug- gitivi, e di ottener da loro la prestazione del giuramento ; gli riuscì anco riguardo al maggior numero , mediante una pro- messa di non abusarne per costringerli ad espatriare . Questa 433 riconciliazione però non distrusse il rale nella sua radice ; lo stesso spirito di malumore e di malcontento si è conservato nella colonia; e durerà, e frapporrà ostacolo ai progressi di lei finchè quei regolamenti non saranno cambiati . La capitale di Sierra-Leone si componeva nel 1814 di due mila negri atti al ‘lavoro , senza comprendere in questo numero gli schiavi presi in mare , che sono stati resi liberi dalla corte dell’ ammiragliato, e che formavano una popola- zione di circa tre mila individui. Attualmente la capitale 1ac- chiude dentro le sue mura oo case, valutate 26 mila lire sterline. Nel mese di aprile 1820. non vi eran meno di sei mila negri catturati, che erano stati inviati nella colonia dopo la soppressione della tratta nel 1807. dai vascelli di guerra in- glesi . Al loro arrivo, quelli che hanno l’età conveniente sono mandati nei villaggi vicini ; assegnasi ad ogni famiglia una casa. e una porzione di terra, e sono mantenuti a spese del Guverno per un anno ; spirato il quale sono obbligati a prov- vedere da sè medesimi ai proprii bisogni . I faneiulli catturati sono mandati ancor essi nei villaggi), ove restano alla scuola fintantochè non sì maritano , il che segue sempre presto . Alla testa di ogni villaggio è un missionario pagato dal Governo , il quale vi esercita la doppia incombenza di pastore , e di maestro di scuola . p Qui l autore dà varie notizie sulla cultura , e sul commercio attuale di quel paese, dopo di che riprende la sua. narrazione. » La società degli amici che si è formata a Sierra-Leone nel 1813. per le premure e per lo zelo del capitano Paolo Cuffee , e che è composta di quanto vi ha di più distinto fra i.coloni ha per oggetto d’incoraggire il commercio e l’indu- stria degli abitanti. Incaricasi ella stessa di tutto quello che concerne l’esportazione dei prodotti della cultura ; ma per riu- seire in questo disegno è stato necessario di principiare da stabilire relazioni dirette con l’ Inghilterra. Una società fa dun- que formata a Londra da Clarkson, la quale potesse corrispondere con la società degli amici. La colonia con questo mezzo fa pas- sare a Londra del riso , del legno di campeggio, dell’avorio, dell’ olio di palma, del caffè ec. Tutti questi oggetti son venduti dalla società di Londra, la quale manda in baratto ai coloni della peni- 434 sola altri oggetti a loro uso, eccettuata l’ acquavite, la pol- vere da cannone, e gl’ instrumenti da guerra soli oggetti esclusi per ora da questo commercio. I berietizj risultanti da tal permuta sono rilasciati alla co- lonia. Di più siccome i coloni trovano spesso difficoltà ad ot- tenere dai capitani di nave il trasporto dei loro carichi in In- ghilterra , la società di Londra ha noleggiati dei bastimenti per quest’ oggetto . Il fine che si propone la società è meno quello di facili. tare le operazioni mercantili di coloni, che. quello .d’ animarli alla cultura delle produzioni che possono essere vantaggiosa- mente esportate - ; Dopo contrarietà ed accidenti in gran numero , questo sta- Hilimento consacrato al. più stimabile. dei progetti, quello cioè di facilitare |’ abolizione della tratta, gettando il germe della civilizzazione nelle contrade occidentali dell’ Affrica , non può dunque a meno di prosperare, € di coronar di successi i desi-- derj dei suoi generosi autori. Alcuni vizi nella sua organizza- pi politica e morale avean bisogno d’ esser riformati : l’ atto l’ organizzazione avea lasciato troppo poche facoltà al \gover- GA queste eran divise tra sette capi che componevano il consiglio privato . Resultava da tal disposizione , paco pratica- bile in una colonia nascente , e formata di persone poco illu- minate , che per difendere quel che chiamavasi suoi privilegj perdevansi dei momenti che avrebber potuto essere impiegati al bene generale . Un altro inconveniente di questo difetto di unità nel potere era quello di dar nascimento a una specie d’ aristo- crazìa , tanto più fatta per indisporne i muovi coloni ia quanto che la ricordanza della loro antica condizione di schiavi gli ren- deva più irritabili contro tutto quello che presentasse 1’ appa- renza del disprezzo , e avesse il carattere d’ una superiorità disdegnosa ed altera. E che nasceva da questo conflitto ? Che le misure più savie prescritte dal governatore non potevano essere se non imperfettamente eseguite, come per esempio la divisione dei lotti di terreni promessi ai negri venuti. dalla nuova Scozia dal momento in cui sarebbero arrivati nella pe- nisola . Importava molto alla pace e al ben essere della colonia, nascente che questa sistemazione fosse fatta immediatamente ; iuttavolta i capi componenti il consiglio non cessarono di ap- porvi ostacoli e di contrariare il governatore . Un inconvenien- 435 te di questa fatta non si rimovellò , perchè furon fatti alla co- stituzione della colonia dei Canti che accrebbero il po- tere del goverhatore , ‘ed ei ne profittò per riparare il male ch’ era stato fatto, ma non potè giungere a cancellare intera- mente le tracce di quell’ anarchia primitiva, e specialmente a distruggere il germe delle dissensioni , e del malcontento che avea fatto nascere . Quest’ inconvenienti però , come abbiamo , visto, non ‘scoraggirono lo stimabile sig. Clarkson, e quand’ ei lasciò l' amministrazione della colonia all’epoca ‘da noi indicata, ella andava visibilmente a uno stato di prosperità, e di mi- glioramento che non ha ‘fatto dipoi che aumentare . A questi fatti aggiungiamone alcuni altri che facciano cono- scere. lo: stato morale della colonia ; gli prendiamo dalla me- moria del sig. Davves governatore , rimessa ai direttori dell’ /st;- tuto affricano stabilito a Londra . 33'Il numero dei malcontenti o dei perturbatori datisi all’in- temperanza , o alla' dissolutezza , ascende al più a una ventina nella colonia ; il resto. degli abitanti tiene una condotta sag- gia e laboriosa . Questi uomini che siamo avvezzi a riguardar con disprezzo ,.non mancano nè d’ intelligenza nè d’ industria ; pajono soddisfatti della loro condizione , e mostrano in gene- rale del gusto , e dell’ inclinazione per le abitudini morali ,, . 3, E’ stato osservato che in generale i negri della nuova Scozia , senza essere precisamente viziosi , avean tuttavolta con minore rapidità degli altri coloni, fatti progressi nell’ incivili- mento ; questa differenza può spiegarsi riflettendo al loro an- tico stato .. Uomini che hanno tuttavia i segni della schiavitù non ‘possono’ inalzarsi ad un tratto ai sentimenti degli uomini liberi. Ora la schiavità dei negri nella nuova Scozia è anco più abjetta e più degradante che nelle altre colonie europee.,, Queste osservazioni non sono le sole che pel miglioramento ‘della razza Affricana, la società degli amici abbia fatte passare a quella di Londra . E’ stato notato di più che la maggior parte delle punizioni giuridiche pronunziate nella colonia cade- vano su dei marinari negri ; la classe dei coltivatori s’ è mo- strata più morale , è più illuminata ne’ suoi doveri . La pena della fustigazione , inflitta per la repressione dei delitti, non dà che due esempj dallo stabilimento della colo- nia secondo il rapporto del governatore medesimo ; uno d’ una donna maritata che subì questo gastigo per delitto d’ adalte- 436 rio , l’ altro d’ un colono nero che s'era ubriacato , e in’tale stato si era reso colpevole di più violenze condannabili ..L'u- briachezza è diventata rarissima, egualmente * che l’ abitudine di bestemmiare comuni fra i negri nei primi tempi dello stabi- limento . Questi uomini son dunque in generale buoni e fedeli sudditi, e non si distinguono meno per buone qualità dome- stiche SEA buoni vii; e sposi affezionati alle proprie fa- miglie . Esiste fra loro una costamanza che dovrebbe essere imitata anco in altri luoghi . I fanciulli di poca età divenuti orfani per la morte dei loro genitori , sono subito adottati dai loro compari e dalle loro comari , i quali li raccolgono in casa loro , e li educano come proprj figli . Hanno molto trasporto per lo cerimonie religiose . Amano il canto degl’. inni, o dei cantici secondo l’ uso della religion riformata che professano : osservano, con regolarità le' darsena. che e le feste. La colonia possiede una Chiesa di questa co- munione , la quale è frequentatissima senza contare diverse assemblee religiose che hanno per direttori ; e ministri Cv gelici dei dolani negri . i L’ istruzione pubblica quantunque poco ‘avanzata finora ;. offre ciò non ostante delle risorse agli abitanti ‘per imparare gli elementi della lettura , della scrittura; del calcblo , e della religione ; yi si contano più scuole per i fanciulli che ‘perte fanciulle , e la società affricana non perde di vista questo gran mezzo di adempire ad uno degli oggetti della sua lodevolein- stituzione . Alcuni spiriti mal disposti, come pure alcuni uomini. inte- ressati alla conservazione del commercio dei negri, hanno at- taccata questa interessante colonia : l’hanno accagionata d’ aver fallito il suo disegno , e di non presentare verun risultato per l’ incivilimento interno dell’Atfrica . Vorrebbero che in qualche anno fosse conseguito ciò che mon può esser altro che l’ effetto del tempo e dei progressi lenti e successivi delle istituzioni po- litiche . Ma quand’ anche Sierra-Leone non fosse stata tanto utile all’ abolizione della tratta quanto .l’ aveano sperato i suoi generosi fondatori, non ayrebhe meno contribuito per questo a mantenerne l’idea ed il desiderio, e a sostenere gli amici dell’ umanità in questo nobile progetto . Non cerchiamo in questo momento di sapere se tale aboli- zione fu o no una misura politica per parte del governo brit. è PE OOEN 437 tanico., un punto di alta convenienza pel suo. commercio , e una previdenza dei pericoli che avrebber potuto incontrarsi per eontinuarla nel sistema opposto, che faceva ogni giorno nuove conquiste . La società, o instituzione Affricana di cui abbiamo parlato è stata il punto di riunione dei lumi e der fatti che potean concorrere a questa misura, e il governo inglese ne ha sempre favorite le operazioni con premura e costanza . Quest’ instituzione ha fatto quello che non potea fare il parlamento: non solamente ha creati stabilimenti e mantenute relazioni per agevolare 1’ abolizione della ‘tratta, ma quando quest’ odioso commercio fu proibito ,. vegliò sull’ esecuzione dell’.atto del. parlamento che lo proibiva , facendo processare a sue.spese chi era trovato in contravvenzione , e facendo di- chiarare dal parlamento queste contravvenzioni fe/lonia, vale a dire delitti capitali. Questa società rende annualmente conto dei suoi lavori, e riceve da tutti coloro che vogliono indiriz- zargliele ; notizie pel grand’ oggetto delle. sue cure . Essendo composta d’ uomini distinti per talenti, e per ricchezza , riu- nisce il, doppio potere dello zelo e della considerazione ; il suo disinteresse , le sue vedute elevate , il suo nobile Essi : sono; mallevadori della purità delle sue mire , e non lasciano luogo. alcuno di sospettare che una bassa gelosia contro le altre nazioni l’.abbia portata a secondare il governo per operar la royina delle colonie straniere . Abbiamo riportata questa piccola istoria, non so- lamente per dare un saggio del merito di questo lavoro del sig. Peuchet, ma eziandio per mostrare viemag- giormente l’ nh da noi accennata qui sopra , «di presentare , colla ristrettezza propria di un giornale, un' analisi accurata e perfetta dell’ opera intera. Non ometteremo tuttavolta di ripigliare in appresso que- st’ ALGOMERIO,, onde i nostri lettori abbiano contezza delle cose più importanti che vi sì leg ggono . G. FILOLOGIA TE , ‘CENNI SULLA LINGUA ROMAICA. Lu, 0 =) 34 . A coloro che sanno quanto abbia la lingua greca contribuito alla formazione di quasi tutte le lingue ,eu- ropee, cosicchè qualche cognizione di quella è essenzial- mente necessaria per istruirsi profondamente nella pro- pria lingua, deve pungere l'animo un desiderio di ricer- care che sia divenuto quel fonte ricchissimo al. quale tutti hanno attinto , se siasi questo corrotto .;;0 se; siasi imaridito ; e a coloro che conoscono quale affinità abbia la lingua col carattere d’ una nazione, onde questo da quella possa in certo modo seoprirsi, deve una tal ricerca riuscire tanto più interessante in questo momento, che tutti gli occhi stando rivolti alla terra classica, nutrice di Genj e di Eroi, deve provarsi curiosità di sapere qual lingua ora si parli ove parlava un tempo Demostene, ise i condottieri animino ? loro seguaci alla pugna, nella lingua dei Leonida e dei Milziadi, e se il grido di guerra e di vittoria echeggi ancora con lo stesso suono sulle labbra de’ novelli guerrieri . Queste considerazioni m inducono a credere che non del tutto privi d'interesse sieno per riuscire alcuni cenni sulla lingua de’ moderni Greci. E’ assai comune sentenza il Hi che la lingua greca detta comunemente moderna, e che il dtakha romaica differisca dall’ an- tica ossia ellenica nel modo stesso che l’ italiana dalla latina, e questa circostanza deve tanto più invitare gl’ Italiani che come i Greci discendenti di un gran 439 popolo hanno veduto da varie vicende cangiarsi il loro stato politico non solo, ma ancora la propria lingua, ‘a indagare se simili dan piena abbia ancora la lingua greca subiti, quella lingua gli scrittori. della quale Fine no maestri de’Latini, e di poi e per successione, e diret- tamente, maestri de’ moderni Italiani. Se si pensi che i Greci furono per lungo tempo provinciali romani, e perderono puranco il proprio nome, che furono successivamente invasi da tante nazioni bar- bare, che videro tutti i popoli dell' Europa passare al tempo de’ Crociati sulle loro terre, e che da var] secoli gemono sotto il giogo de’Turchi, e non hanno più patria propria vivendo con quelli frammisti,; non facilmente mi si ‘presterà fede se dico che hanno talmente conser- vato il genio della loro antica lingua, da render falso il paragone che si fa delle alterazioni di questa, con quelle che'la lingua latina subì al declinare dell’impero d’Oc- cidente. Per pienamente mostrare la verità. della mia ‘asserzione; richiederebbesi una minuta analisi delle ‘quattro lingue; il‘che mi trarrebbe in un labirinto d’in- dagini filologiche poco adattate a formare un articolo di giornale: dovrò dunque contentarmi di accennare bre- vemente alcuni punti di differenza che distinguono le rivoluzioni delle due lingue madri. Se taluno che conosca la lingua ellenica prenda in mano un libro scritto in lingua romaica, dal tro- vare molte parole affatto simili , altre alterate , altre fi- | nalmente del tutto muove, caderà a prima vista nella ‘comune opinione che quelle due lingue hanno fra loro i rapporti medesimi o forse più remoti ancora che l’ ita- liana ha con la latina; ma un più attento esame gli farà conoscere quanto sieno questi più forti fra le due, prime lingue, che non fra queste ultime. 440 Infatti non deve esaminarsi una lingua soltanto, dalle parole, le quali non ne sono che i materiali;.ma: devesi formarne giudizio dal modo di adoperarle; sia se- paratamente nelle loro inflessioni, sia unite nella, loro costruzione. La lingua italiana ha un gran numero di parole derivate dalla latina, ma assai piccolo è il.numero di queste comuni del tutto alle due lingue , e ciò dipende dalle terminazioni , perchè affine di dare maggior gra- zia se dolcezza alla loro lingua hanno gl’ Italiani voluto che.sogni parola si terminasse in vocale. Hanno ben essì conseguito il loro scopo, ma hanno perduto il. vantaggio de’.casi che tanta chiarezza e precisione aggiungono alle lingue , e l'introduzione degli articoii, e de’ segnacasi mal .li compensa di questa perdita. Essi. non hanno il mezzo di distinguere un nominativo da un accusativo, ed a quanti equivoci possa questo dar luogo, (è per.sè,, manifesto. JI Greci oltre l’ uso degli articoli hanno con- servate le inflessioni de’ casi, e questo, fa sì che la lins: gua loro possiede un grandissimo numero di voci affatto» inalterate da’ tempi d’ Omero in poi. E° ben vero che. nel parlare e talvolta nello scrivere sostituiscono ad.al- cune inversioni de’ nomi , l’ uso di qualche preposi»; zione, ma questo non è tanto difetto nella lingua ‘me-/ desima, quanto in chi mal ne fa uso, ed. i migliori au-, tori moderni rigettano la maggior parte di queste inno- vazioni. (nota I.) Forse può riguardarsi come una conseguenza dell’a- ver rigettato le terminazioni latine, che la lingua ita- liana è rimasta priva del genere neutro. Infatti quando giunse questa a non ammettere se non voci chein vocali. si terminassero ed avendo di più rigettati i dittonghi in fine delle parole, queste terminazioni furono ridotte a sì 441 poche che dovettero gl’Italiani contentarsi che'servissero a distinguere il mascolino dal femmimnino, il plurale dal sitigolare , e si trascurò il genere neutro. E° vero che molto essenziale non apparisce questo genere nella for- mazione delle lingue moderne (*), ma non però devono meno pregiarsi i Greci i quali hanno conservato il ge- nere neutro che tanto è usato nella loro lingua , e questo distinto del pari e dalle inflessioni e dall’ arti- colo: (nota II.) Nelle coniugazioni de’ verbi, i moderni si sono al- lontanati assai dagli antichi Greci, e non può negatsi che in questa parte i cangiamenti introdotti ne abbiano sbandita quella tanto ammirabile forma. Non voglio qui far l'analisi comparativa delle coniugazioni anti- che e moderne:; ma citerò per esempio; che i romaici formano l’indefinito colla particella yy aggiunta alla persona che'è il soggetto del verbo; e il futuro è il mo- do ‘condizionale col verbo ausiliario volere. E° assai singolare che in questo la lingua romaica ha qualche analogia con l’inglese, ma io penso che ambedue riceves- sero questi modi dalle nazioni germaniche, e si avvalora' questa opinione dal riflettere quanto sia grande il rappor» to nel genio delle due lingue greca e tedesca (nota III.). Mai Greci hanno almeno conservati non pochi tempi intieramente inalterati, mentre ne’ verbi italiani ‘non trovasi quasi traccia delle coniugazioni latine e I’ uso dei verbi ausiliarj è molto più frequente fra di essi . Questo in particolar modo apparisce ne’ verbi passivi, che propriamente dir mon si può che esistano nella grammatica italiana, essendo formati dal solo participio \ (*) I Tedeschi che hanno questo ico v’ incladono da fem- mina vat Whib. 442 del verbo unito .al verbo ausiliario essere. Gonvien però, dire che non tutta de’moderni è la colpa, e che.i verbi passivi de’ latini sono sotto questo. rapporto assal im-. perfetti. Non così quelli de’ Greci; le loro coniugazioni passive sono altrettanto perfette quanto le attive , e la formazione de’ tempi, e la distinzione de’ modi e delle persone sono in questi.ammirabili. 1 romaici non ne osservano; è ben vero, tutte le regole, e ne’ verbi prin- cipalmente si ravvisa la corruzione della lingua el- lenica; pure non tutti gli scrittori ugualmente si allon- tanano dalle antiche coniugazioni. (nota IV.) Non mi tratterrò più a lungo intorno alla parte etimologica della grammatica greca, avendo accennate le principali variazioni che hanno subite i nomi e i verbi che ne formano la parte più interessante , e farò piuttosto alcune brevi osservazioni, sulla pronunzia, or- tografia e costruzione della lingua romaica. (nota V.) In quanto alla pronunzia non entrerò nelle lunghe contese che dividonoi letterati su questo punto. Se si at- tende alla prosodia, il metodo di seguire la quantità delle vocali non curando gli accenti o i dittonghi, apparirà pre- fevibile, ed è ben degno d’ osservazione che i Greci at- tenendonsi a questi, gustar non possono l'armonia dei propt; versi; ma peraltro molte considerazioni debbono indurci a credere che i moderni Greci son quelli che meglio pronunziano la lingua de’ loro maggiori. Ma siccome questa questione principalmente riguarda i dittonghi, fa d’ uopo osservare che. mentre gl’ Italiani hanno rigettati la maggior parte de’ dittonghi che tanto “ servivano alla formazione delle voci latine, i Greci hanno conservato tutti i dittonghi antichi, e li usano nel me- desimo modo, onde risulta che l'ortografia è la stessa nelle due lingue ellenica e romaica. (nota VI.) 7 443 Ma dove gl Italiani si sono intieramente discostati dai latini si è nella costruzione, e più non godono dei vantaggi d’una libera disposizione delle parti del di- scorso secondo le regole dell’ armonia e del gusto . Non pertanto nego che Ù perdita di tali vantaggi sia in gran parte ricompensata dalla maggior chiarezza che ne rice- ve la lingua, togliendosi di mezzo molte ambiguità d’e- spressione; ma non però deve meno sentirsi in questo il pregio della lingua, greca, che senza uva costruzione tanto intralciata quanto la latina, può far uso di tali trasposizioni di parole da renderla oltremodo armonica senza punto alterarne la chiarezza ; e questo pregio è tale che a questo e all’ uso di varie particelle riempi. tive più che al suono particolare delle parale, deve a mio parere attribuirsi quella impareggiabil dolcezza, e quella armonia incantatrice, che in ogni tempo formarono Vl ammirazione di coloro che: conobbera quella lingua, e che la rendono ancora a tutte le altre antiche e moderne superiore. La lingua romaica ha in gran parte conservato un tal pregio, ed è suscettibile d’ ogni eleganza sì nello scrivere che nel parlare, e di qui può dedurre la gran differenza fra le due lingue italiana e romaica parogonate Qeparatanventa alle loro lingue madri. La lingua italiana è talmente dalla lati na distinta che cade in ridicolo colui che pretende nel suo stile, e molto più nel suo linguaggio accostarsi a quella j'e l’usare:latinismi è quasi: difetto si grande come I usargallicismi , germanismi 0 espressioni proprie di alcuna altra lingua moderna. Tanta pbi ‘pel contrario :è ancora ll analogia fra la lingua romaica/led’ellenica, che il far ‘uso di diciture classiche non si condanna in uno scrittore romaico , e appena si riprende‘in chi le usa ancora parlando, e |’ EAAeviCesy mon si trae dietro quel i 444 ridicolo , fuorchè nel linguaggio famigliare, che il lati- pizzare si merita fra gl’Italiani. Ben so che da molti si è fatto querela ad alcuni scrittori romaici per avere ap- punto fatto uso di uno stile troppo ellemico, ma ora che tutto tende a ricondurre la greca letteratura nel pristi- no stato di gloria, chi sarà che riprenda gli sforzi che fanno i dotti di ridurne la lingua ancora all’ antico suo ‘ grado di splendore, mentre questa vi è ancora tanto vicina che piuttosto che una lingua distinta, deve un corrotto dialetto apparirne ? Dico che la lingua romaica, è piuttosto un dialetto della ellenica, che una lingua distinta; e da questo si comprenderà perchè non vanti scrittori di alto grido, come l'italiana in si maravigliosa copia ne possiede , Quando per le vicende che agitarono per tanti secoli la misera Italia, essa lottava contro le tenebre del barba- rismo che pur l’ ingombravano ; e quando pur questo velo cominciò a poco a poco a dileguarsi, la lingua latina aveva già sofferti tali cangiamenti da essere quasi im- possibile il renderla nuovamente generale in Italia ; eppure gli sforzi de’ dotti a questo principalmente ten- devano, e sembra che denominando volgare la nuova favella volessero distogliere dal coltivarla gl’ ingegni italiani. Invero ‘sembra che meppure i maravigliosi scritti di Dante e del Boccaccio bastassero a far carigia- re questa quasi universal tendenza al latino, e il Pe- trarca stesso aspirava all’ immortalità più con.le sue opere latine che con.le italiane. Eppure non meno a lui che ai suoi due predecessori va debitrice la lingua italiana mon solo peri leggiadri modi di cui 1 arricchì; ma più ancotarper l’ universale entusiasmo che per essa quasi contro sua voglia eccitò in dtalia, e per la folla d’imitatori che si suscitò . Intanto la cattedra stabilita £ 445 în Firenze per spiegare Dante non permetteva più che sì trascurasse lo studio della nuova lingua, e quantun- que molti grandi uomini o per antico pregiudizio, o per naturale predilezione continuassero a scrivere in latino, la lingua italiana salì ben tosto a quel grado d’ onore che per la sua bellezza si meritava. Evento, al quale si cercherebbe invano un parallello negli annali di qual- | siasi nazione antica e moderna, che un popolo oppresso, lacerato da civili fazioni non meno che da forze straniere, ridotto nella più profonda barbarie, obbligato a dimenti- care l’ antica gloria, l’ antica letteratura, 1’ antica lingua, sorga poi di repente qual fenice dalle sue ceneri con nuova gloria, con nuova letteratura, con nuova lingua, e con tanto splendore da spargere i suoi raggi in tutta 1’ Europa, senza temere d’ essere ecclissato nè dal lustro de’ proprj maggiori, nè da quello di qualsiasi antica na- zione. La sola Italia vanta fin qui sì portentose vicende; ma a chi non gode l’ animo nel rafligurarne in un vi- cino avvenire un secondo esempio nella rigenerazione de’ Greci? Ma queste considerazioni mi condurebbero troppo lungi dal mio soggetto principale, e torno ad osservare che il caso è divari per i ‘moderni scrittori romaici . Infatti dopo aver i Greci cercato di mantener pura la lingua loro e in Alessandria e in Bisanzio, vedendo che pur corrompevasi hanno cercato di modellare il proprio stile su quello degli antichi, ammettendo al tempo stesso 1’ uso di tali voci, e modi di dire che il desiderio d’ es- sere intesi dai loro compatriotti, e la propria abilità o il proprio gusto suggeriva loro. Non possono dunque esser- vi fragli scrittori romaici autori classici, tali cioè dietro ai quali debbano gli altri formare il loro stile, ma tutti ricorrono alla primitiva sorgente, e gli autori dell’ an- T. IV. Dicembre _ 29 446 tichità sono quelli ché si prendono di norma. E questo serva di nuova incontrastabil prova che la lingua ro- maica è figlia imitatrice della madre lingua Ardea e tende a riunirsi alla medesima. Se miglior consiglio sia di secondarla, e tornare a scrivere l’ antica lingua nella sua purità o se debba seguitarsi a scrivere come ‘adesso in una lingua più o meno a quella vicina, secondo il genio dello scrittore, o se finalmente determinando re- gole fisse e invariabili, sia bene l’ imprimere un carat- tere deciso e distinto alla lingua romaica; sono que- stioni che troppo dividono in questo momento i dotti Greci perchè io voglia entrare nell’arringo a discuterle. Mio parere è bensì che si continuerà per lungo tempo . a scrivere come ora si scrive; senza il desiderio di ren- dersi del tutto imitatori degli antichi, e senza la riso- luzione di rendersi del tutto riformatori e fissare un limite inviolabile fra le due lingue. (nota VII.) Terminerò queste mie osservazioni sulla lingua de’ moderni Greci, adducendo in appoggio di quanto ho detto, l’ opinione su di essa espressa dalla Società lette- raria di Bucharest ; (nota VIII.) opinione la quale, ben- chè in alcune parti si ravvisi dettata dall’ amor nazio- nale, è però in generale fondata sulla verità. SE La lingua che ora si parla (dicono quei dotti), non è moderna come la denominano gli Europei, ma è Y antico dialetto, detto ; Kcey}, il che si prova dall’ uso degli scrittori, aper. alla grammatica, ed in vero ha una grande ipa con l’antico jonico. E' una lin- gua nazionale ni ha da molto tempo sofferti de’ grandi cangiamenti, prodotti da circostanze politiche, e l’ idio- ma della quale non è inferiore all’ attico. Laonde non, v'è in essa nulla di barbaro , o che sia da rigettarsi , fuorchè alcune espressioni barbare cioè straniere, che 447 sono state introdotte dalla comunicazione con varie al- tre nazioni. Benchè i patimenti de’ Greci sieno stati più severi di quelli deg’ Italiani, la lingua ellenica non ha tanto sofferto quanto la latina, la quale ha cessato di essere parlata in Italia e si trova soltanto frai dotti , mentre che la prima abbenchè per tanti secoli inculta. si parla ancora da un intiero popolo » . | Avendo procurato in tal guisa di esporre qual sia lo stato presente della lingua greca, e avendo accennato in che principalmente consistano i cangiamenti che ha subiti nella forma paragonati a quelli che subì la latina, credo che si riconoscerà meco per falsa 1’ opinione che la lingua romaica stia alla ellenica, nel rapporto mede- simo che l’ italiana alla latina. NOTE NOTA 1. 1. Una delle principali variazioni che hanno su- bite le declinazioni de’ nomi greci, è la sostituzione dell’ accusativo con la preposizione js @ in luogo del dativo, sostituzione che ha luogo ancora nella lingua italiana riguardo al dativo de’ latini. Così nel discorso ‘del dotto vescovo Ignazio riferito nella nota VII. sì legge sis Toe didurxéAss in vece di 7075 dvderndirs: 2. Ancora il nominativo e l’ accusativo plurali fem- minini sono espressi comunemente col dativo plurale degli antichi, il che certamente è una barbara corru- zione, ma felicemente non è generale, ed i buoni scrit- tori se ne astengono, come può vedersi nel citato di- scorso dove l’ antico nominativo gj M&re: non è stato cangiato in 7a76 Mégr&ts- i 3. Più generale è l’uso di formare 1’ ablativo dall’ accusativo , aggiungendovi la preposizione &wò da 448 i e talvolta il genitivo ancora sì esprime in simil modo; se ne trova un esempio nel citato discorso ove leggesi* a'tò Eva T67ov peydA0y yipov - 4. Alcuni nomi ancora che presso gli antichi erano “ nel caso accusativo|si usano da’ moderni nel caso nomi- nativo come ; yuvaixa, ) velpida, invece di j yu), Y alpi, ma questo errore non appartiene che al parlar comune e allo scrivere familiare e nel citato discorso leggesi 7) velpis. 5. Quello veramente che hanno del tutto abban- donato i Greci, si,è il numero duale; a molti sembrerà forse questo un perfezionamento anzichè una corruzio- ne nella lingua greca; ma sia che una certa venerazione per tutto ciò che è classico ‘c’ induca a rispettarne gli stessi difetti, sia che ricorrendo alla mémoria alcuni bei squarci in cui venne usato, ci dolga non poterli ve- dere imitati dai moderni con ugual leggiadria, sia final- mente che pregiabile si fosse in sè stesso l’uso che di quel numero fecero gli aurei scrittori antichi da Omero in poi, a me duole che siasi intieramente abbandonato. NOTA II. i A molti adiettivi neutri terminati anticamente in ov come yaxov dyabòv, ec. si è tolta la v, dicendosi naxò &yebò, ec. ma questa alterazione, che d’ altronde non è generale, non appartiene ai tempi moderni, ma se ne trovano esemp)j in Aristofane . NOTA III. ATOP Un gran punto d’ analogia fra la lingua greca e la tedesca si è l’ uso delle paroie composte. Non v° è bi- sogno di dimostrare qual sia il vantaggio di una lingua la quale in una parola può esprimere ciò che per espri. mersi in altre richiedesi_una intera frase. Ben lo sanno i traduttori d’ Omero quanto sia difficile il rendere nella 449 propria lingua gli epiteti da lui usati, nè deve condan- ‘ marsi il tentativo che il Cesarotti e il Monti hanno fatto d’ introdurre tali epiteti composti nella lingua italiana. E' da notarsi che questa proprietà appunto che i Greci e i Tedeschi hanno comune, è quella che rende questi ultimi del tutto indipendenti da quelli, anche in tutte le parole tecniche che le altre lingue moderne hanno formate e formano sulla stampa greca. NOTA IV. i Molte, è vero, sono le alterazioni che hanno subite fra le mani de’ Greci moderni le coniugazioni de’ verbi ; ma siccome queste non sono nè da tutti adottate, nè ugualmente, è impossibile il darne un esatto ragguaglio. Accennerò soltanto che il numero duale, ed alcuni tem- pi sono stati soppressi; e che altri verbi non solo, ma ancora alcune particelle sono state introdotte come au- siliarie per formare varj tempi e per distinguere i modi. Così per es. l’imperativo si forma colla particella xs ; il verbo juopa che presso ai romaici equivale al dsvoua degli antichi serve alla formazione del modo potenziale , e |’ interiezione %07es che Corrisponde all’utinam de’ latini serve a distinguere il modo otta- tivo ec. ma come ho sià osservato tutti gli scrittori mo- derni non adoprano questa fraseologia, e: nel citato di- scorso si trovano molti verbi usati nel modo stesso che dagli antichi praticavasi.. NOTA V. Non posso trattenermi dal far menzione della voce 6, la quale anticamente non usavasi che come avver- bio di luogo, ed ora ha la forza di un pronome relativo che dai romaici si applica tanto alle persone quanto alle cose, e corrisponde al che degl’ Italiani. Mavi buoni scrittori la rigettano, e gli antichi pronomi sono ancora 450 in tutta l'antica forza, come si può vedere nel citato discorso nel quale non è mai usata tal voce ma sono posti in opera i varj pronomi relativi . NOTA VI. Non dispiaceranno alcuni cenni sul modo che dai Greci pronunziasi la loro lingua, dai quali apparirà quanta maggior grazia debba acquistare nello loro boc- ca, che non in quella degli Italiani. Il 6 pronunziasi come un © italiano e non come un d; onde fB:BAfor, leggesi vivlion e non diblion. V' è però ragione di credere che anche i Romani pronunzia- vano come gl’ Italiani questa lettera, perchè in tutte le voci tolte dal greco nelle quali trovavasi, l’ hanno scritta in ano col db. | Il y pronunziasi con un suono at cartuidia ma con molta dolcezza tenendo un suono medio fra il gh e li degli Italiani, ed è assai simile al g tedesco. Ind pronunziasi come il #h dolcissimo degli Inglesi, o come se sì volesse pronunziare il d appoggiando la lin- gua ai denti superiori anzichè al palato; riesce per altro assai difficile per gl’ Italiani il ben pronunziare questa | lettera. Il {ha il suono della 2 italiana pronunziata con molta dolcezza, o piuttosto della s nelle y foci elemosina, misero ec. Alla 2 italiana pronunziata con forza come nella voce lezione corrisponde il 7%. L’y si pronunzia come un i. Gl’ Italiani pronun- ziandola come un e lungo, hanno l'autorità de’ Latini che hanno usato le nelle voci derivate dal greco nelle quali trovavasi questa lettera. E qui noterò che sì suonano indistintamente come l’i italiano le lettere y, ‘, v (vocale) e i dittonghi e, or. I19 suona come il #h degl’ Inglesi. Non so se i Ro- 454 mani la distinguessero dal # nella pronunzia , come la distinguevano nell’ ortografia scrivendola sempre &. Gl' Italiani hanno trascurata l'una e l’altra distinzione. Il 7 si pronunzia ordinariamente come il p italia- no; fuorchè quando è preceduto dalla 4, e prende allora il suono del 6, come yurpé suona imborò. - It 7 parimenti quando è preceduto da un y suona come il 4 italiano come w4y707s, pandote . Lu ho già detto pronunziarsi dai Greci come un i e non come un « secondo l’ uso degli Italiani, onde £/06 leggesi xilos, e non xulos. Qui pure sembra che i lati- ni pronunziassero come i moderni Italiani . Il x è un suono gutturale che non ha corrispondente in italiano, e suona esattamente come il ss de’ Tedeschi. I Romani latinizzando le voci nelle quali trovavasi la scrivevano con ch , e probabilmente ne distinguevano la pronunzia, ma gl’Italiani ne hanno perduto la pro- nunzia propria pronunziandolo come il x greco. In quanto ai dittonghi ho già detto che i due e, 0, sì pronunziano come l'? italiano; il dittongo 2: suona come l’ ai francese cioè come un e aperta, e il dittongo ov come l’ x italiano; nei dittonghi 2v, vl’ w suona co- me il © italiano. Ma gl’ Italiani ed altre nazioni Euro- pee usano di sciogliere questi dittonghi pronunziandone separatamente le vocali, onde per esem. auAvPAdolr Boro daX4ocys d Omero, suona presso i Greci poliflisvio thalassis, presso altri popoli, polufloisboio talasses . NOTA VII. AI ragguaglio della moderna letteratura greca dato nel passato volume di questo giornale , potrà servire d’ appendice il seguente estratto tolto dal giornale ì in- glese Rivista Degas cerato luglio 1820. « I Greci di Giannina sono celebri per le loro co- 4ia gnizioni letterarie . Vi “sono due stabilimenti. d’ istru- zione, uno diretto da Atanasio Psalida che è consideràto. come uno de’ capi della moderna letteratura Greca; l’altro è destinato ad alunni più giovani, e presieduto da. Valano, che succedè al padre suo autore di alcuni trat- tati mattematici. Il medico Sakalario ha pubblicate varie opere originali come pure alcune traduzioni . Koletti altro medico ha stampato un trattato chimico sulle moderne teorie del calorico, ed ha tradotto la geome- tria di Legendre, e l’ arimmetica di Biot. Nella 'Tessa- lia i Greci godono certi privilegj nella loro situazione», 5 5) e nel loro commercio che danno ad essi maggior agio per applicarsi . Gli autori della moderna geografia greca erano nativi di Melies, e lo è pure il Gazi, il direttore ‘ dell’ E piaùs 6 A6v10s in Vienna. Filippidi da nativo di Melies ha pubblicato la traduzione dell’ astronomia di Lalande e della logica di Condillac, e Kayra di Am- ‘pelachia ha tradotto l’arimmetica e l’ algebra di Eulero, e gli elementi di storia dell’ Ab. Millot. NOTA VIII. Di questa società e delle scuole di Bucharest sotto: la direzione della medesima si è fatto cenno in questo giornale. Queste scuole contenevano nel 1810, 244 sco- lari, ognuno de’'quali veniva ammaestrato in:alcuni dei seguenti rami d’ istruzione cioè: mattematiche , filoso- fia morale, fisica, chimica, ichnografia, storia naturale, belle lettere, storia, archeologia, come pure nelle lingue ellenica, latina, francese, tedesca, italiana, e russa . Di queste belle istituzioni delle quali ora forse non esisterà più traccia in quella città, ne andava in parti- colar modo debitrice la Grecia al dotto e rev. Vescovo Ignazio, 11 quale sempre animato dall’amore patrio, con- tinua adesso nella nostra Toscana a incoraggire e diri- = 453 gere gli studj della gioventù greca, che studia du no- stre Università . ‘In un esame degli alumi delle scuole di Bu- charest, il dotto Vescovo, pronunziò il seguente di- scorso, che ho creduto opportuno di qui trascrivere: per dare un idea più completa della lingua romaica. “Kipio MaIyTai Toolo td cisnua, rep lopa PAatwels et Tjv Z yoAny dtv eîva: YXX0, wapà pooiptov eusivwv, dcwyr pela Taola uérasi và yivwri Adv Cale: dAzo wàp oper el ju Ewt- asia piroworia, Vwrolay) ele Tods didaradaove, $ 48 xousà, did vd nalacabaTe dEi: swwado) Tic DiAoropiac. AùT) 5 detsà, Ts rh spov èvAoye? Tae rpo6dac gui, Béaci ads cspavbon piav iutpav pé dk@vyv. Ai Motoa: déy ancpsvyoar Tv aaraiào Twvxalosmiar, Toy O Avptov, Thy reprecobv. (Eus) Bfauv wdauv Bwuepite: Uospor èwò Eva Torov peyzAov vipov, Svirep tnapav sis Tv Edpéwyv: Ay ci Mabyla) Tîs Biayias salwriv inavo) và Tàs cuvipopivawrmmtwesnei, omola dita wicvios BiAes siva dv dults w wirov méya n aéos dà Tyv Bahayiav. Zeis ju mopelle vd ivonacrhiTe dingiws tvluygers, Eweidà tygele vi dvalpéEnTe #1 S&diov T6rov A@urpdv, 0 wee ci rpoyevicspoi Gac dev Td serbo yrav. DeroTianFiTe Aowsdy và Pavile dios Tie spavia Taulys dwpeds, Tie wpocacias % Tav jpeTipwv xigwy. H'raTps weocpéve: wàp opuiv Tjv PsaTiwaivIys, xd oi yovirs wrpogmévegi wspi Fawn eîs Td yijpas Twv. O nowos, # i mitica vpi, Ee1 Td pubvov pero» Tò duvk - faevoy auonalasionai Ups eUyvispmovas à si6 Tu ralpide Di sis Ts vovers iuav . 454 Ele và os id 4) walpis piaviuipar da GrnpoparTas. Ei$e và A&fiwri did Eds oi yoveis # oi cuumodila: cds Tv diav Yaper è suyappenciv jvaep sakuBavov bddoTe oi vovete nè cunwodila: Toy "OAUUTIONKOI . Signori studenti! « Queste istituzioni che ora vedete nella scuola, altro non sono che una preparazione a quelle che vi si stabiliranno in seguito. Altro nonsi richiede da voi se non diligenza, assiduità, sommissione ai maestri, e buo- ni costumi per divenire degni seguaci della filosofia . Questa destra che oggi benedice i vostri progressi vi co- ronerà un giorno di alloro. Le Muse non dimenticarono l’ antica loro abitazione l’ Olimpo e il Parnaso. Ivi tor- neranno dopo sì lungo giro che hanno fatto in Europa. Se gli studenti della Valachia saranno in grado di ac- compagnarle colà , qual gloria immortale sarà per essi e qual lustro per la Valachia! Voi potete a ra- È gione chiamarvi fortunati perchè avete da percorrere una carriera sì luminosa quale non l’ ebbero i vostri antenati. Gareggiate dunque per apparir degni di que- sto dono celeste, del nostro patrocinio, e delle nostre premure. La patria attende da voi la sua prosperità, e i geni- tori vostri attendono da voi consolazione nella loro vec- chiezza. La fatica e la diligenza vi offrono il solo mezzo di mostrarvi grati e alla patria e ai vostri genitori. Possa la patria vostra vedervi un giorno coronati d’ al- loro; possano i genitori e i concittadini vostri ottenere da voi la stessa gioja e contentezza , quale altra volta ottennero i genitori e i concittadini dei vincitori Olim- pici. È LLENOFILO 455 GEOGRAFIA, VIAGGI rc. COSTANTINOPOLI Estratto dal giornale inglese Literary Gazette. IL. circostanze de’ tempi hanno reso la Turchia, e la sua capitale per tal modo interessante , che abbiamo giudicato opportuno di esibire il più completo prospetto ‘ di Costantinopoli, che ci sia caduto sotto gli sguardi. Le seguenti notizie pertanto sono tratte dall’ opera di Ju- cherau Revolutions de Costantinople ec. pubblicata a Parigi nel 1810; ed è inutile l’ osservare che nelle at- tuali vicende. somministrano vasto campo alle più gravi riflessioni . Costantinopoli situata a 41. latitudine nord, e 28° 59 longitudine est, è fabbricata all’ estremità di un naturale baluardo, che forma parte di una catena di alte montagne, che si estendono lungo i lidi del Mar Nero , del Bosforo , e della Propontide, e serve a con- giungere il monte Emo al famoso Rodope. Osservando la geologica figura di questa catena di montagne appa- riscono esse rapide verso il nord dal lato del porto, e sì prolungano insensibilmente al sud verso la Propontide, così che tre quarti delle case di Costantinopoli godono la veduta del mare. Diversi ampi burroni formati dalle pioggie , che danno passaggio alle acque, dividono il luogo ove è costrutta la città in sette colli, e perciò. la situazione di Costantinopoli in qualche modo rassomi- glia a quella dell’ antica Roma : Questa città sì celebre ne’ tempi antichi sotto il nome di Bizanzio, divenne ancor più importante, e po- 456 polata allorchè nell’ anno 330 l’ Imperator Costantino, ravvisando gl’immensi vantaggi della sua situazione, vi stabili la sua propria-residenza ; e la sede dell’ Impero Romano. Costantino denominò la città Nuova Roma onde ella potesse partecipare della gloria e de’ vantaggi dell’ antica dominatrice del mondo; ma fu universal- , mente appellata Costantinopoli, ossia città di Costanti- no, e questo nome è stato ritenuto dai Persiani, dagli Arabi, ed anco dai Turchi; poichè nel linguaggio offi- ciale del governo ottomanno , e sulle monete dell’ im- pero, la città non porta verun altro titolo se non quello di Costantiniah . Le montagne sulle quali è fabbricata la città, le superbe imperiali moschee coronate da immense cupole, e circondate da elevati mzirarets, (1) le abitazioni dipin- te a var) colori, e intersecate di giardini con piante di cypruses , e di altri alberi sempre verdi, gli edifizj di- sposti a forma di anfiteatro, la vista del porto ravvivata da migliaja di gondole, e di vascelli di ogni grandezza, il paese distante adorno di florida vegetazione, presenta in complesso il più bello ed imponente colpo d’ occhio del mondo. Il prospetto peraltro di questa città, osservato da lungi, produce all’ occhio un’ illusione simile a quella che prova lo spirito all'idea del vasto impero, di cui Co- stantinopoli è la capitale. Il viaggiatore colpito dall’am- pia estensione de’ dominj ottomanni, e dalla riflessione della loro gloria, s' immagina di dover traversare uno de’ più ricchi, e potenti stati d' Europa; ma a misura che egli si avanza, trova solamente debolezza, disordine, {1) Torri molto elevate, sulle quali salgono i ministri del cul- io per chiamare i fedeli alle préghiere. anarchia, e tutti i sintomi di rapida decadenza. L’incan- to della veduta di Costantinopoli nello stesso modo sva- nisce. Un sentimento malinconico assale lo spirito del ‘viaggiatore allorchè dopo aver ammirato l’esterno aspet- to di questa capitale, che la natura destinò ad essere la regina delle città non trova se non strade anguste, cla- morose, luride, e mal selciate; case di legno, di mattoni, o di loto coperto di stucco; e finalmente una folla di uomini, il di cui tetro ed impetuoso contegno appalesa l’ orgoglio che lì predomina, o il timore che gli assale, e che di rado offre quella piacevole letizia , che si legge in volto ad una persona felice e contenta . Costantinopoli è situata di fronte alla meridionale estremità del canale del Bosforo, che essendo allivellato tra le due parallele catene di montagne, l’aria è obbli- gata a seguire il rapido movimento dell’acqua; ed in tal guisa la città gode il doppio vantaggio di un’atmo- sfera continuamente rinnuovata, e del trasporto del l’ac- qua piovana, e de’ canali per mezzo delle correnti, che scorrono dal porto nel mar di Marmora . Vicino alla città non vi è terreno paludoso; la sua temperatura è assal mite, non essendo giammai più fredda che dai ai ai 5. sottozero di Reaumur, nè più calda che 26°; le varia- zioni meteorologiche, che essa prova nel corso dell’anno sono presso a poco le seguenti: 64 giorni piovosi, 5 ne- vosi, 5 caliginosi, 20 freddi, 36 variabili, 15 tempestosi, e.220 perfettamente sereni. | I venti settentrionali, e meridionali, il di cui corso vien determinato dalla situazione delle custe, e de’ mari, sì succedono l’un l’altro a vicenda. Il vento Nord è prodotto dalla dilatazione dell’ aria, (che è più grande durante l’ estate sul mare dell’ Arci pelago, che sul mar Nero) e predomina quasi senza interruzione dal mese 458 di Aprile fino al termine di Settembre. Iv vento Sud che succede al Nord. per pochi giorni, soffia solamente quan- do i vapori accumulati sull’ isole dell’ Arcipelago hanno condensata l’aria, e diminuito il calore della tempera-. tura; in conseguenza il vento Sud è sempre umido, e frequentemente tempestoso . I venti Est, Ovest, e Nord-Ovest dominano soltanto durante l’ inverno, quando le alte montagne della Tur- chia Europea sono coperte di neve. Questi venti perciò son sempre freddissimi, ed accompagnati dalla neve. Riflettendo ai vantaggi meteorologici di Costanti- nopoli si direbbe che la città dovesse esser libera dal contagio, che domina sempre più ne’ tempi freddi, ed umidi, e che probabilmente deve la sua origine, ed an- co il suo risorgimento ai luoghi umidi, e paludosi nella vicinanza di Damietta nel basso Egitto, d’ onde si è propagato per tutte le provincie dell'impero ottoman- no. Ma la trascuratezza del governo, il predomiuio del fanatismo, e il cieco attaccamento agli usi stabiliti, con- | serveranno i germi di questa desolante malattia finchè Costantinopoli continuerà a languire sotto il giogo della sua presente barbarie . I suburbj di Fener, e di £ tv formano una parte di Costantinopoli, da cui son separati solamente per le mura che circondano la città. Ambedue son situati all’ estremità del porto. Il suburbio di Zenar è abita- to dal patriarca, dalle principali famiglie Greche, e dal numeroso treno de’ loro sottoposti, e de’ loro servi. Il suburbio di £yzb è abitato solamente dai Turchi, e contiene la celebre moschea, ove i Sultani ottomanni; al loro inalzamento al trono, ricevono dai capi degli Emirs la spada del comando, che è il simbolo della militar s0- vranità. I suburbj di /Zassekni, Hassen_Pasà, Galata, e 459 di Zophana son tutti situati dalla parte settentrionale del porto. Il primo è abitato dagli Ebrei , il secondo dalle persone impiegate nell’ arsenale, il terzo dai mercatanti di tutte le nazioni, e il quarto dai cannonieri, dagli ar- tiglieri, e dalle loro famiglie. Questi suburbj che giac- ciono alle falde di una montagna sono meno salubri che le altre parti di Costantinopoli, e non fanno godere co- me Pera, e S. Dimitri che sono situati ad un più alto livello, i venti salubri, e piacevoli che sorgono dal mar Nero. Il suburbio di Scutari è situato deliziosamente sulla costa dell’ Asia; l’aria è sempre fresca e pura, e fertili i suoi contorni . Scutari è il punto della partenza e dell’ arrivo per le caravane, che traversano |’ Asia Minore onde recarsi in Persia, nella Siria e all’ Indostan. La sua popolazione si calcola di sopra a 30,000 anime. Costantinopoli e i suoi suburbj contengono 14 mo- schee imperiali, 200. moschee comuni, circa a 300 messgids, 40 besestins, oltre a 500 fontane, e da 100,000 abitazioni. Le vaste moschee, le di cui magnifiche colonne sono state quasi tutte tolte dai templi rovinati dell’ an- tica Grecia , sono edificate sul modello della Chiesa di S. Sofia, che è una fabbrica imponente per la sua gran- dezza , e per l'altezza delle sue cupole, ma meno ele- gante dei templi di Roma antica, e moderna, e meno ° interessante delle Chiese di gotica architettura. Le pic- cole moschee, ei messgids si distinguono dalle case private solamente pei loro minarets, d’ onde i nezzins ordinano ai Mussulmani di pregare. Tutte le private abitazioni sono costrutte di legna- me a rozzo lavoro . Per conseguenza esse sono tasià soggette agl’ incendj come la condizione politica degli uomini, che le abitano. Se per buona ventura non ven- gono distrutte dal fuoco, decadono naturalmente , e 466 | vanno in rovina dopo un’ esistenza di trenta anni. Poi-. chè le costumanze dell’ oriente esigono una separazione tra gli uomini , e le donne, le case son divise in due parti che comunicano solamente per mezzo di un cor- ridore angusto. Una parte adunque della casa serve di harem, (2) mentre l’altra è destinata a ricevere gli amici,e gli stranieri. Malgrado gli elogi prodigati dagli storici greci alla bellezza di Costantinopoli prima della sua caduta, egli è probabile che non avesse un più bel materiale di quello che si vede presentemente, poichè i Turchì che adottaro- no il costume degli abitanti di Costantinopoli, e che det- tero alle loro grandi moschee la forma della Chiesa di S. Sofia, avranno altresì imitato 1’ architettura » dei Greci nell’ edificare le loro private abitazioni. Siccome poi poche fabbriche in Costantinopoli ; ad eccezione ‘ delle Chiese, possono contare una data più antica del secolo decimosesto, si può ragionevolmente supporre che ls greche abitazioni, che Maometto Ii. sì riserbò come sua porzione nella conquista della città , fossero per la maggior parte, fabbricate di legno, e che essendo rimaste distrutte dal fuoco, siano successivamente state ricostruite colla stessa forma esterna, e con quelle di- mensioni, che avevano innanzi la presa di Costantino- poli per parte de’ Turchi. Le Besestins, ossia i pubblici mercati, sono cor- ridori lunghi, angusti, e poco luminosi, le di cui mura essendo di pietra, servono a proteggere dal fuoco gli og- getti mercantili che sono affidati alla cura degli uomini destinati a custodirli. I mercanti di tutte le classi son se- parati secondo le respettive nazioni, e i propri traffici. I (1) Appartamento delle donne. 461 Turchi, e gli Armeni di rado tentano di defraudare, ma i compratori si debbono mettere in guardia dalle astu- zie degli altri mercanti, e debbono per lo meno ridurre alla metà il prezzo richiesto dagli Ebrei . Poche piazze irregolari presentano quà, e là degli spazj aperti framezzo le abitazioni. Le due più consi- derabili sono l’ Ippodromo, e Y Etmeidan, ossia piazza del macello, ove i Giannizzeri sono assuefatti a portare le loro caldaie, ed a tenere le loro assemblee, allorchè si risolvono di destituire i ministri, o di deporre il Sul- tano . L’ Ippodromo, che adesso, come a tempo dell’ an- tica Grecia, è destinato alla. corsa de’ cavalli, è lungo quattrocento piedi, e cento largo; le sue dimensioni non sono state alterate ne’ tempi moderni, poichè una pira- mide di pietre tagliata, ed una colonna di bronzo sussi- stono tuttora nella linea centrale della piazza, e ad eguali distanze dalle sue due estremità. I Turchi traendo partito dagli acquedotti costruiti dagli Imperatori Romani, hanno eretto un gran numero di fontane in Costantinopoli, le di cui varie forme piut- tosto che a quello dell’ Europea, s’ accostano allo stile dell’ architettura Chinese, o Indiana. La necessità di provvedere in ogni quartiere della capitale abbondevoli sorgenti di acqua per i bagni, e le frequenti purifica- zioni dei Mussulmani hanno reso i Turchi premurosi della costruzione delle loro fontane, che non sono per verun riguardo inferiori a quelle, d’ Europa . I loro ac- quedotti, e piramidi idrauliche sono invigilate con pre mura, ed intelligenza. Ma provvedendo soltanto al pre- sente senza curarsi del futuro; i Turchi hanno trascurato le numerose cisterne, che edificarono i greci Imperatori, affinchè Costantinopoli in caso di assedio non mancasse di acque; ed hanno tollerato che la basilica, di cui il T- IV. Dicembre 30 462 generale Andreossi ha pubblicata una minuta , e dotta descrizione, fosse trasformata in un edifizio per la mani- fattura delle funi, e de’ cordaggi. Il preciso numero degli abitanti di Costantinopoli è incerto. Resta impossibile di determinare, se non per un calcolo approssimativo, la popolazione di una città, in cui non si tien verun registro delle nascite, e delle morti, e dove i viaggiatori di oghi nazione sono ammessi senza passaporto . . Alcuni viaggiatori hanno ARA a Costantinopoli ed ai suoi contorni una popolazione di 500,000 anime; altri pretendono che gli abitanti di questa città e de’ suoi suburbj oltrepassino 1000,000. Il giornaliero consumo del frumento può solo servirci di scorta per determinare all’ incirca il numero degli abitanti di questa capitale. Mille cinquecento Kil/ots di farina (che equival- gono a 840,000 libbre) escono giornalmente dai pubblici magazzini, ove tutto il frumento destinato per la sussi- stenza degli abitanti di Costantinopoli, vien depositato per conto del governo, e quindi consegnato a cento dei - principali fornai della capitale . Su vieni che il gior- naliero consumo di ciaschedun individuo (compresi gli uomini, le donne, e i fanciulli) sia di una libbra di farina (che è una quantità considerabile qualora non s’i- gnori che i Turchi consumano molte frutta, e vegeta- bili) la capitale dell’ impero Turco, secondo questo cal- colo, dovrebbe contenere 840,000 anime. Se aggiungia- mo a questo numero sopra a 30,000 individui che trag- gono la loro sussistenza dal serraglio, ed un numero di abitanti proporzionato al giornaliero consumo del fru- mento che viene furtivamente introdotto, avremo un resultato di circa 900,000 anime; che costituirebbero la popolazione di Costantinopoli. 463 Altri calcoli fondati sulla consueta mortalità allor= chè la città non è afflitta dalla peste, o da altro conta- gioso malore, porgono presso a poco i medesimi resulta- menti. Questa popolazione è divisa in 120,000 Greci, 90,000 Armeni, 50,000 ‘Ebrei, 2,000 Franchi, e 630,000 Maomettani. Gli individui di tutte queste nazioni abitano separati quartieri della città, portano un vestiario distinto, e praticano usi diversi. La forma de’ cahook , ossia cappelli, e il colore degli stivali, che son gialli per i Mussulmani, rossi per gli Armeni, neri per i Greci, e blù per gli Ebrei, servono a primo colpo a distinguerli fra loro . Gli Osmanli , e gli Armeni, Asiatici di origine, non differiscono tra di loro riguardo agli usi ed ai costumi. Le loro donne vivono ritirate, e non com- pariscono giammai per le vie senza velo . Il tetro quadro della gelosia orientale esposto da alcuni scrit- tori Europei è al certo esagerato. I Turchi, e gli Armeni in generale sono teneramente affezionati alle loro mogli. Le donne Maomettane , ed Armene sono mogli i fettudse ,e madri eticeltetiti } poichè non hanno altro oggetto in, mira se non di compiacere ai loro mariti e di educare premurosamente la loro prole. Le amabili qualità, di cui universalmente vanno adorne, rendono il bel sesso così sacro agli occhi de’ Turchi, e degli Armeni, che un marito, che percuota la sua consorte, è riputato il più vile, e il più dispregevole de’ mortali . Le donne Greche sono più libere, ma forse non tanto austere ne’ loro costumi. I loro figli non son custoditi con tanto impegno , e questi a vicenda trascurano talora i loro genitori. Sorgono frequente- mente domestiche contese, e i Greci mariti vedonsi 484 percuotere le loro mogli senza eccitare l’ indignazio- ne de’ loro concittadini . 7 i i Gli Ebrei venuti dalla Spagna, han conservato gli usi del loro paese misti ad una morale rilas- sata, e ben sovente a quella depravazione , che suo- le accompagnare l’amor del guadagno, quando è preferito ad ogni altra umana considerazione . I Franchi vivono a Costantinopoli come nel loro nativo paese. Essi non hanno che temere nè per parte delle leggi, nè per parte del potere delle locali autorità, in forza di convenzioni che gli pongono e-- sclusivamente sotto la dipendenza de’ loro respettivi ambasciatori : laonde essi vivono con poche restri- zioni, e portano francamente il costume Europeo, dacchè i Russi hanno insegnato ai Turchi a rispet- tare le nazioni Cristiane d' Europa. Il suburbio di Pera, che è abitato dagli stranieri ministri offre un adunamento di popolo di qualunque nazione , ed in questo suburbio si porta qualunque costume, e sì parla ogni linguaggio. Quivi le persone si salutano , sl prendono scambievolmente la mano, e si. abbrac- ‘ciano come nelle differenti città d’ Europa . Le bot- teghe, ed i magazzini de’ mercanti sono accomodati nella stessa foggia di quelli di Londra, e di Parigi.(1) I Francesi, i Russi, gl’ Inglesi, gli Austriaci ec., i quali son tutti compresi sotto la generale denomi- nazione di Franchi , evitano il minimo segno di rancore, o pregiudizio nazionale; si visitano, e vi- vono insieme nella più amichevole familiarità . ‘Per la fraterna armonia che regna in questo piccolo di- (1) Sarebbe più esatto il dire di quelli di alcune piccole sittà di Francia. i 165 stretto, fra i sudditi de’ più grandi sovrani d’ Euro- pa; si potrebbe asserire che Pera è simile ad un i- sola ove splende la civilizzazione Europea in mezzo alla barbarie Asiatica. Il porto di Costantinopoli che dall’ Est-sud-est sì dirige all’ Ovest nord-ovest, porge ai vascelli lun- go la sua intiera estensione un’ ancoraggio facile , e sicuro. Le navi di linea della maggior grandezza possono accostarsi alle due spiagge sì da vicino da toccare le abitazioni colle loro antenne . Abbenchè questo porto sia il ricettacolo d’ogni sozzura , e delle fogne che sgorgano dai sobborghi di Eyub, Hasseke- ni, Hassan-Pashaw, Galata, e Tofana, come pure da una parte di Costantinopoli , nondimeno non accade verun ristagno. I dispendiosi lavori per la nettezza de’ porti che si impiegano nella maggior parte delle città marittime d’ Europa, non sono necessari a Co- stantinopoli , giacchè la natura stessa provvede a que- sta occorrenza. Le acque di due ruscelli il Cydaris, e il Barbyces che al loro confluente son conosciuti sotto il nome di fiume di acqua fresca, unendo la loro corrente a quella del Bosforo, recan seco dal porto di Costantinopoli al Mar di Marmora la terra, e le soz- zure che trovansi nel suo letto , e presso le spiagge. Dalla: parte settentrionale del porto tra i suburbi di Galata , e di Hassakeni è situato il grande arsenale per le navi. Intorno al piccol molo in pria chiamato Galley - port ergonsi 1.° l'abitazione del Zersanè - emini , ossia soprintendente della flotta ; 2.° uno spazio aperto contiguo alla montagna , su cui è fabbricato un vasto palazzo , residenza del Capitan - Pashaw ; 3.° le ampie, e magnifiche baracche per i galiondgis, ossia marinari, che furono costruite sotto la direzione del \ ti ”, 466 8, celebre grand’ ammiraglio ZMassan - Pashaw, 4.° il Lock-yard , ed il bacino , di cui la Porta va debitrice al sig. Rodè ingegnere Svedese . All’occidente dell’ abi» tazione del Tersanè emini , vedonsi i magazzini, e le. spiagge , presso cui d’ ordinario vi sono stanziati circa a trenta vascelli. di linea , che costituiscono la forza. navale della Turchia . AI di là de’ magazzini marittimi, in una situazio- ne bassa , ed umida, vicino alla montagna, su cuì è costruito il palazzo del Capitan-Pashaw trovasi il tetro bagno, ove l’uomo è ridotto alla più lacrimevole mi- seria , ed avvilimento ; ove il prigioniero di guerra è rinchiuso col malfattore , ed ove le minaccie , e le per- cosse delle guardie , e de’ carcerieri unite ai gemiti , ed alle esecrazioni de’ detenuti richiamano al pensiero V immagine delle infernali regioni . Il Sultano Selim, che mostrò un piùvivo impe- gno pel miglioramento, e per la gloria del suo impero che nel procurarsi i piaceri, e i sollazzi della vita , avea ceduto per uso della flotta l’ edifizio che per l' a- vanti formava il suo seraglio di Airali-Cavak ( il ca- stello degli specchi ) palazzo prediletto del Sultano Acmet III. ove quel principe soleva compiacersi ri- guardandosi colle sue schiave negli ampj specchi che il Veneto Senato gli avea offerti in dono dopo il trat- tato di Passarowitz . Grandiosi lavori furon già in- cominciati in questo edifizio, ma la deposizione del Sultano Selim fu causa della sospensione del nuovo or- dine ; e il Gran Signore ha preso nuovamente possesso di questo vacillante palazzo , che probabilmente non sarà mai più abitato per cagione delle enormi spese, che sarebbero necessarie per riattarlo . Vicino all’ estremità occidentale del suburbio di 469 Hasse-Keni è situata la scuola degli ingegneri militari. Essendo questa giudicata troppo piccola , il Saltano Selim destinò ad uso degli scolari il palazzo della Sul- tana sorella di suo padre, la quale non più l’ occupava già da parecchi anni. Ma dopo la caduta di Selim gli alunni ingegneri furono obbligati ad abbandonare il serraglio , che minacciava rovina , e ritornare al loro antico , e limitato stabilimento . La magnifica baracca dei bombardieri è situata vicino al mare di fronte alla scuola degli ingegneri . La sua vasta mole, la sua eleganza, e gli elevati mi- narets della sua moschea i chio questa baracca uno de’ più belli ornamenti dell’ estremità del porto . Ne” suoi contorni vedonsi le fornaci per fondere i mor- taj , e le officine per la costruzione de’ respettivi carri, Il suburbio di Tofana , che giace all’ est di Ga- lata , e di fronte al seltisglioi contiene le ampie barac- che de’ cannonieri, e di tutti i grandi stabilimenti pel materiale dell’ artiglieria . Il Sultano Selim aveva erette magnifiche barac- che per i /Vizam - gedittes a Scutari, a Zevend- Tchi- flick , e vicino a Pera. Gli edifizj di Scutari, e di Levend - Tchiflick furono distrutti dai Giannizzeri dopo la morte di Mustapha - Bairactar; ma quelli di Pera furono risparmiati , poichè essi non erano intera- mente compiti al tempo dell’ ultima riv oluzione . Î palazzi degli ambasciatori Europei . , Che sì ap- pellano serragli , in Europa sarebbero riguardati come semplici abitazioni di cittadini . La residenza dell’am- basciatore francese , che è situata sulla pendice orien- tale della montagna di Pera, gode un bel prospetto, ed ha un giardino assai spazioso. Fu fabbricata dal 468 Barone di Breves sotto il regno di Enrico IV. e riat- tata colla direzione del Barone di Tott durante V am- basceria del Conte di Saint-Priest . Il palazzo del Ve- neto ambasciatore ha una bellissima facciata . I pa- ‘ lazzi delle ambascerie Inglese , Russa , e Svedese non si distinguono che per la regolarità , e l'eleganza della loro architettura. Il palazzo Russo è piccolo , e mon- tato senza sfarzo se si riguardi come residenza di un ambasciatore . L’ abitazione del ministro. Inglese , che è stata recentemente costruita sulla pendice meridio- nale di Pera è un edifizio di forma quadrata le di cui facciate si vedono obliquamente dalla porta d’ ingres- so.. La disposizione interna nondimeno non offre tutti “quei comodi , che si potrebbero supporre in vista della sua estensione . Il terreno gu cui posa il palazzo fu re- galato all’ Inghilterra dalla Sublime Porta come un attestato. di gratitudine per la liberazione d’ Ègitto . Il Canale di Costantinopoli, ossia del Bosforo , dà passaggio alle Aeque del Mar Nero, che scorrono rapidamente verso il Mar di Marmora o della Propon- tide ; e quindi verso il Mar dell’ Arcipelago per mezzo del Canale de’ Dardanelli altrimenti Ellesponto . Il Canale di Costantinopoli che separa l'Europa dall'Asia . trascorre fra le due parallele catene di montagne. La sua profondità diversifica ‘dalle quindici alle venti braccia , ed offre un sicuro ancoraggio per tutta la sua estensione . Il Golfo di Lwywkderre, ove il canale di- venta più largo estendendosi verso la vallata di tal nome , presenta una favorevole stazione a quei va- scelli, che sono prossimi ad entrare, o a partire dal Mar Nero. Il Canale del Bosforo è difeso , vicino al suo ingresso nel Mar Nero , dai due castelli. di Fanar . 469 Questi due forti , che sono situati ad una. considerabil distanza da ciaschedun altro , non servono all’ oggetto cui furono destinati . Ma î nuovi castelli di Poyras, e va Caribehe , che furono costruiti dal Barone di Tott, vicino alla parte angusta del canale , possono con vantaggio sostenere un attacco atteso la loro vicinanza a ciaschedun altro, per la loro situazione elevata, e, per le ben munite batterie . -I forti di Roumily - Cavac, e di Anaduli - Cavac , che furono riattati , e. condotti a termine dai Sigg. Monier e Fontaine hanno le batterie a livello dell’ acque , e non sono coperte . Situate esse ai piè di una montagna , il di cui declive viene intersecato da una gran muraglia , queste batterie in caso di attacco sarebbero esposte al fuoco dell’ artiglieria posta all’ alta ’ fila de’ vascelli di linea, e diverebbero il ricettacolo delle palle , che fossero lanciate dietro alla muraglia . Sono state costrutte diverse batterie sulle spiagge di Buyukderrè per impedire alla squadra nemica di calar l'ancora anco benchè avesse passato la parte su- periore del canale, malgrado il fuoco delle opere di difesa . I Castelli di Rowmily-Hissar,e di Anaduli Hissar che furono edificati nel decimoquinto secolo , due le- ghe nord-est da Costantinopoli , poco tempo prima della presa di quella capitale, tuttora rimangono nel loro primitivo stato . Per quanto formidabili potessero allora riguardarsi ai vascelli che veleggiavamo per quel canale , adesso non sarebbero sufficienti ad opporsi ai grossi vascelli , attesa la piccola mole delle loro batte- rie , e l’angustia delle loro piatteforme, che non por- «gono spazio comodo ai cannoni di grosse calibro .. As- / / 470 | sai di frequente è stata rappresentata alla Porta ) im-.. portanza di questo punto di difesa ; i Turchi facil- mente volgono in ridicolo ogni proposizione che venga fatta pel miglioramento delle opere costrutte da Mao- metto II. il soggiogatore de’ Monarchi , e il conquista- tore di Gostantinopoli . Il Sultano Selim III. avea non- dimeno ordinato il miglioramento di questi castelli, che sarebbe stato mandato ad effetto senza la caduta di quel monarca , il di cui spirito era superiore ai pre- giudizii del suo paese . Costantinopoli sembra destinata dalla natura per essere la metropoli del mondo', poichè è situata in una posizione centrale , che la pone in comunicazione con ogni altra parte mediante il Mar Nero , il Mar di Mar- mora, l’ Arcipelago, e «il Mediterraneo . Qualunque sia la sua futura sorte, Costantinopoli malgrado tutte le rivoluzioni, e i cambiamenti politici sarà sempre considerata una delle prime città dell’ universo . Ma oltre ai suoi vantaggi politici , e commerciali, Costantinopoli facilmente può rendersi una delle piaz- ze più importanti del Continente . Essendo fabbricata sopra un promontorio triangolare , due lati del quale son bagnati da acque profonde, essa non può essere assalita che da una sola parte . Questa parte formando una linea retta, goderebbe tutti i vantaggi di un siste- ma di bastioni a vaste mezze-lune. I suburbj di Pera, di S. Dimitri, e di Galata mediante la loro unione potrebbero formare una forte ed importante barriera per sostenere Costantinopoli . Le Joro frontiere passan- do sopra ai cimiterj Turchi vicino a Pera , attraver- sando il Pleteau, vicino a S. Dimitri, e finalmente l Okmeidan , potrebbero terminare da una parte al 471 Bosforo dietro a Dolmabakche , e dall’altra al porto di Costantinopoli tra Massekerti , e il serraglio di Airali- Cavak . f Se, mediante un felice cambiamento, che appena può sperarsi , gli impératori Ottomanni acquistassero insieme colla brama di civilizzare i loro sudditi , il ne- ‘cessario potere per porre in esecuzione sì grandi, e difficoltosi disegni; oppure se tutti i monarchi Cristia- ni formassero una coalizione per cacciar dall’ Europa l’ indomabile barbarie che occupa uno de’ suoi più bei paesi , Costantinopoli libera dagli schiavi che rendono affatto vane le sue naturali risorse , ed impediscono la sua prosperità , diverrebbe ben presto la più ricca, la più popolosa , e la più potente città del mondo. P. LETTERATURA POESIA EnzIDE DI VirciLio Marone, volgarizzata da Michele Leoni tomi 2. Pisa, presso Sebastiano Nistri 1821. \ 7 uando ne venne alle mani il manifesto che annun- ziava il volgarizzamento dell’ Ezzeide per opera del sig.* M. Leoni, ci corse tosto all’ animo l’ altro della Geor- gica, commendata già nella Biblioteca italiana, e illu- minata non poco dai confronti che se ne fecero con quella, che reputavasi fino allora la meglio verseggiata, se non la più esatta. E sebben fosse vano il dissimulare a noi medesimi la difficoltà massima di vincer non pure , ma di agguagliar in complesso il lavoro e più la 472 fama del Caro, pensammo tuttavolta, che se il sig. Leo- ni seguito avesse il disegno adottato nella Georgica, ayrebbe almeno procurato all’ Italia una traduzione da | potersi por tra le mani di chiunque amasse di vedere in essa il testo il più da vicino possibile, e vestito di tutte le forme comportate dal-nostro linguaggio. Nella qual opinione ci confermammo in legger lo squarcio del libro VI. annesso all’ accennato manifesto, e subito da noi confrontato ; e più gli altri da noi riportati nel qua- derno num. 5. di quest’ Antologia. Ma non essendo per mala sorte raro il caso di veder l’intutto d’un’ opera di- scordante dal saggio messo avanti, aspettammo a dare al nostro giudicio una consistenza positiva, al comparir del lavoro. Ed effettivamente è venuto in luce poc’ anzi insieme colla ristampa della Georgica .) Chi pretendesse negare esser la traduzione del Caro la più disinvolta, la più ondosa, e la più ricca in fatto di maniere di lingua mostrerebbe inopia di gusto e un’ anima a tutt’ altro temperata che al sentimento di una splendida Poesia . Chi sostenesse poi, che oltre a simili pregi i quali valsero a quel leggiadro scrittore sì alto gri- do, egli trasfuse nel suo lavoro il meglio che si potea, le forme del testo,conservando le minime e soavissime tinte, che rendon cotesto poema inarrivabile per quanto con- cerne lo stile e la dilicata testura de’ concetti e delle * parole, darebbe chiaramente a divedere o di non cono- scer Virgilio o di non aver mai fatto il più leggiero con- fronto . Tralasciando la prima parte che il sig. Leoni può aver forse appena avuto in animo di emulare, crediamo di mal non apporci, giudicando, esser le ragioni addotte da noi nella seconda, quelle che per avventura lo de- terminarono all’ ardua impresa . 473 Che rimanesse nel volsarizzamento dell’ Eneide aperta una nuova via di bella gloria anche dopo il Caro’ lo mostrò l'opinione di quegli scrittori (e alcuni asso- lutamente non dispregevoli) che dopo di lui diedero opera a un simil tentativo.‘ Lo credè lo stesso Alfieri, quantu nque ammiratore caldissimo di quel bell’fn gegno. Cercò in fatti di accostarsi al’ testo un po’ più di lui. Ma non avendo.l’anima; direm così, Virgiliana', e la’ sua scabra forma di verso essendo agli antipodi rispetto a quella del buon Marone, la riuscita fu minore delle sue forze, comechè non difforme dalla sua tempra. E. noi daremo una prova di reverenza verso quel Grandis- simo col non chiamar qui il suo lavoro a confronto. L'Algarotti, il quale certamente non mdticava rid di belle dottri ne;'nèdi'cogiizion de Letini, nè di‘ gusto; fu tra i primi, ‘ché Si sollevasserò: contra il'Caro. E gli. esempi, da lui posti sott’otelio ‘a sostlgho ‘del 'suoò giu dicio, son ‘tanti e così mnanifesti; Ché si direbbe, non: avere il Caro tradotto Virgilio nella più parte de'luoghi, se non a un di presso, e aggiugnendo o' tralasciando 7 come più lo pottava a fare la disposizion' d’ animo in cui sì trovava. (1) © VOCE AIA, ASTRO Venne appresso il Bondi, che'nella prefazione alla ' sua version dell’Eneide , cercò di farsi strada ‘all’ opi- nion de’ lettori, con declamar contro al Uaro a tutto’ potere , e mostrarne a’ medesimi i difetti anche prima‘ di far loro conoscere come aveva egli supplito' Ma con | tuttociò il volgarizzamento del Bondi, avveguachè nofi' senza merito di'una maggior fedeltà, restò sempre in fe- riore a quello del'Caro; e appena l’opinione degl'Itàlia! ìu \ ni concede al suo lavoro, il secondo: posto . 1 10/0! VibsiNi % .. . % à Lo RON IVO - LI (1) Vedi Lettere di Polianzio ad Ermogène nelle. 01 he STA ag l’Algarotti, presso Carlo Palese tom. VII. a p.'a5g.) 12 Srmuosia x 474 Più sano fu a nostro avviso, il modo col gialle il sig. Leoni nel suo breve proemio, si disimpegnò dal far parola de’ suoi predecessori , abbandonando affatto alla sentenza del pubblico. Dal poco, che quivi ha detto sembra però che la sua fede nel suffragio degl’ Italiani ; sia specialmente riposta in coloro, che porranno i suoi, versi ad agguaglio col testo, dal quale dichiara di non essersi mai dipartito nemmeno per leggerissima circo- stanza. La qual cosa, che per verità ne parve incredibi- le alla prima lettura della sua versione, abbiam con sor- presa verificato noi stessi in qualunque parte , in cui ci cadde l’occhio . E diciam con sorpresa, perchè riputam- mo assunto di una malagevolezza infinita il conservare un'adesione al testo così scrupolosa, come praticar si potrebbe in prosa, senza nocumento del verso, che ha sembianza di esser di primo getto. Diremo di più. Sem- bra che il sig. Leoni abbia qui voluto dar prova d’aver profittato del consiglio d’alcuni, che nella sua foggia di verseggiare, d’ sltmude piena di gagliardezza e d’armo- nia, notarono una certa troppo costante uniformità, che, singolarmente negli sciolti, non è oggidì approvata da tutti. Del qual iter ito iadò ‘del certo debitore in gran parte al testo, per lo proponimento di seguirne con rigorosa fedeltà i periodi anche nelle divisioni, in apparenza le men concludenti: tanto è vero che i clas- sici antichi, fonte di ogni eleganza, ajutar, possono i moderni eziandio nella parte materiale , comechè forse la più generalmente negletta . E perchè gli esempi affurzino l’ asserzione, presen- teremo a’ nostri lettori alcuni squarci di questo volga- rizzamento, paragonandoli con altri del Caro e del Bon-. ‘ di, e ponendo a piè di pagina le nostre annotazioni. E siccome sì tratta di lavoro che noi vediam d’importan- 475 minar la maniera, con che van tradotti gli i,e în qual foggia sì ‘posson traspiantar le bellezze sti, idioma ì în un aliro, così dichiariamo di esser pron-. ti a dar luogo i in quest Antologia a qualunque osser va- zione, che gli studj de’mostri lettori li ponessero in rita. di fave %uand' anche fosse contraria alla manife- stata nostra sentenza . Lib. I. v. 211. cc. Jlli se praedae accingunt , dapibusque futuris: Tergora diripiunt costîs et viscera nudant. Pars in frusta secant , veribusque trementia figune. Litore ahena locant alii, flammasque ministranti. È@©|—|—©@&»% Tum victu revocant vires : fusique per herbam Implentur veteris Bacchi pinguisque ferinae. 6. TRADUZIONE DEL CARO. » Fecer tutti coraggio ; € di cibo avidi, » Già rivolti alla preda, altri le tergora » Le srelgon dalle coste, altri sbranandola » Mentre è tiepida ancor , mentre che palpita, » Lunghi schidoni e gran caldaje apprestano , »n El acqua intorno e’) fuoco vi ministrano. » Poscia d’ un prato, e seggio e mensa fattisi, »» Taciti prima sopra l’ erba agiandosi, » D'opima carne e di yin vecchio eipiendosi 33 Quanto puon lietamente si ricreano+ 33 10 (À) DEL BONDI. i » Essi Ze mense a preparare intanto di Si accingon pronti: aprono 22 cervi il ventre, (A) Avvertito il lettore, che Ie parole delle versioni segna- te in corsivo, non sono nel testo, noterem quì di Piisaio ; “dhe i versi sdr uccioli , frammisti agli sciolti, fanno il più brutto sen- tire che mai. Il primo, verso del Caro non ha niente a che fare col te- sto. Manca il viscera nudant; secare in frusta non è propria- mente sbranare Ù Quell acqua (che non si trova nel testo); sarà in ogni caso dentrò la caldaja, non intorno. Il figunt , il litore e il victu revocant vires son tralasciati. | 476 r ,3 E della pelle snudano le coste . i ti ce ,» Parte gli sbrana in varj perzi, e parte... È pi si Ne’ lunghi spiedi palpitanti ancora ma » Le calde carni infila, altri di rame sy Urne capaci, apprestano sul lido, ©. î | ,»» L’ acqua dentro versandovi , e di legne 133 Alimentando la supposta fiamma . , Indi su l'erba d'ogni intorno sparsi. ,»» Lietamente si assidono , di opima 33 Carne e vin vecchio a ristorar le forze ,,. 12 (B) DEL LEONI. ; ss Ad apprestar la preda ed i futuri Gibi lo stuol si accinge . Altri le coste ,» De la pelle dispoglia , e nude ‘mostra ,; Le viscere de' Cervi: in varj brani ,) Altri membri ne tronca, e ancor tremanti ,» Negli spiedi gl’ infilza » altri sul lito ;» Le caldaje prepara, e il foco nutre : ,3 Indi le forze colle dapi avviva , ‘ ,»» E sull’ erboso suol , d’ annoso vino », S'empie, e di pingue salvaggina l’ epa ne 10 (0) ] Ivi, v. 402. Dixit; et dvertens rosea cervice refulsit , Ambrosiaeque comae divinum vertice odorena Spiravere: pedes vestis deflurit ad imos, Et vera incessu patuit Dea . Ille, ubi matreni Agnovit, tali fugientem est voce sequtus: Quid natum toties erudelis tu quoque falsis s (B) Il primo verso del testo non è qui tradotto che all'in» circa. Aprono il ventre non è l’ istesso che nudant viscera . 1l bondi ha poi tolto quì al Caro lo sbrana i lunghi spiedi , l acqua (mon intorno ,, ma dentro ) e il lietamente: le quali cose non sono in Virgilio . pet! a) (G) Troviamo , che le cose, aggiunte qui dal Sig. Leoni, non fanno alcun difetto, ove non si vogliano reputare necessa rie a render chiaro il senso; solamente alcuni potrebbero non lodare quel nude mostra per nudant. $ 477 Ludis imaginibus ? cur dextrae jungere dextram Non datur , ac veras audire ct reddere voces ? Talibus incusat , gressumque ad mocnia tendit. 9 TRADUZIONE DEL CARO... » Ciò detto, nel partir, la neve e l'oro E le rose del collo e delle chiome , Come l aura movea , divina luce , E divino spirar d’ ambrosia odore : E la veste, che dianzi era succinta , Con tanta maesta le si distese Infino a’ piè , che a l’ andar anco e Dea 3 Veracemente e Zenere mostrossi . 3) Poscia che la conobbe , e la sua fuga » O fermar , o seguir più non poteo, ») Con un rammarco tal dietro le tenne : 3) Ahi! madre ancor tu sì ver me crudele ? : A. che tuo figlio con mentite larve Tante volte deludi ? A che m'è tolto Di congiunger la mia con la tua destra ? » Quando fia mai ch’ io possa a viso aperto Vederti , udirti, ragionarti, e vera. Riconoscerti madre ? Egli in tal guisa - » Si querelava , e verso la cittade » Se ne giano invisibili ambidue ,, 20: (D) DEL BONDI. » Così diss’ ella; e nel girarsi in fianco » Lampo improvviso folgorò strisciando Sulla rosea cervice; e dalla chioma Divino odor d’ ambrosia si diffuse . Giù fino ai piedi maestosa cadde » Sciolta la veste, ed all’ aspetto , al passo , 33 Verace Dea si palesò . Confuso 3, La genitrice ei riconobbe; e vòlto Ù bb] t (D) Questo squarcio , nitido , semplice , e tutto soavità nel testo , è quì sfigurato dalle giunte , e da un nuovo impasto « d’idee, scaturite dal cervello del traduttore : talmente che nove versi di Virgilio furono stemperati in venti . T. IV. Dicembre i ; 3I uo 33 AI luogo ov ella sparve + ah, madre, esclama , »» E tu pur anco e tante volte.in queste ‘ 3» Mentite forme il figlio tuo deludi ? »» Perchè fuggir? perchè vietar ch’ io stringa », La tua con la mia destra , e senza velo 3» Udirti io possa, e favellarti , e gli occhi » Saziare e il cor del tuo divin sembiante ? , Così mesto querelasi , e pensoso 3) Con lento passo alla Città s’ avvia . 17. (E) i DEL LEONI. ». Disse: e in partir roseo rifulse il collo, » Ed un divino odor l’ ambrosia chioma », Spirò : la veste sino ai piè si stese ; » E vera Diva al portamento apparve . »» Quando la madre ei ravvisò , col grido »» Lei fuggente seguì: Perchè il tuo figlio , 3, Crudel tu stessa con mentite larve » Tante volte deludi, e destra a destra », Unir non m’ è concesso, e veri accenti », Udir a replicar? così l’ accusa : i » E volge intanto ver le mura il passo ,, 11. (F) Ivi ira >: Ille, ubi complexu Eneae colloque pependit , Et magnum falsi implevit genitoris amorem Reginam petit . Haec oculis, haec pectore toto Hoeret : et interdum gremio fovet , inscia Dido. Insidat quantus, miserae Deus. At. memor ille Matris Acidaliae , paullatim abolere Sichoeum Incipit ; et vivo tentat praevertere amore Jam pridem resides animos desuetaque corda. 8. n (E) Avertens è tutt’ altro che girarsi in fianco. Non è ‘il lampo , che fo/gorò strisciando sulla rosea cervice; ma è la rosea cervice, che semplicemente rifulse . Qui maestosa : e il Caro con tanta maestà . (F) Nessuno vorrà negare ehe questi undici versi a fronte de’ 20 del Caro , e de’ 17 del Bondi, non rendano parola per parola i nove dell’ originale . e 479 TRADUZIONE DEL CARO. \ | Poichè lunga fiata umale e dolce Del non suo genitor pendè dal collo , »» E finse di figliuol verace affetto , Si volse a la regina. Ella con gli occhi, Col pensier tutto Zo contempla e mira , Lo palpa e ’Y bacia e 'n grembo lo si reca Misera ! che non sa quanto gran Dio S’ annida in seno. Eî della madre intanto . Rimembrando il precetto, a poco a poco De la mente Sicheo comincia a trarle , Con vivo amore ; e con visibil fiamma Rompendoli del core il duro smalto, E introducendo il suo già spento affetto . 13. (G) d DEL BONDI: Egli, dappoi che lungamente al collo D’Enea pendendo con amplessi e baci i Saziò del finto genitor |’ affetto , Si volse alla regina . Ella con gli occhi E col desio par che il divori : al seno »» Lo stringe , il dacia , ahi misera! che ignora Qual Dio le sieda in grembo . Alle preghiere Pensando allora di sua madre amore , A poco a poco alla regina in seno Scaltro comincia a cancellar Sicheo, E nuovi affetti risvegliando , tenta L’ alma sopita e il cor da lungo tempo »» Già disavvezzo alle amorose cure . 13 (H) (G) Altro è eontemplar cogli occhi e col pensiero ; altro haerere oculis et pectore; imagine tanto più viva e gagliarda ! Fovere non è nè palpare , ne baciare . I due ultimi versi sono sciupati . i (H) Il Bondi ha preso anche qui dal Caro il lungamente, o lunga fiata , il bacia , il desio 0 pensiero, ed oltracciò il quarto verso tutto quanto . //oeret non si può tradurre con un divori, nè il guantus (che qui è di grandissima forza ) con uno snervatissimo qual . 480 Da DEL LEONI. s) Poichè questi dal collo e dagli amplessi »» D'Enea fu sciolto , ed il mentito. padre » Di un grande amore empieo , si volge a Dido . , In lui co’ lumi e coll’ intiero petto 3, È la regina affissa, e con lusinghe 3; Il molce : nè la misera s’ avvede »» Quanto possente Iddio le sieda in grembo . 3, Ma memor ei dell’ Acidalia madre , », A torle dal pensiero a poco a poco » Sicheo comincia ; ed occupar di vivo » Affetto cerca la da lungo tempo 3; Alma oziosa e ’1 disusato core ,,. 12. (I) Lib. HI. v. 192. Postquam altum tenuere rates, nec jam amplius ullae Adparent. terrae ; caelum undique et undique pontus : Tum mihi cacruleus supra caput adstitit imber , Noctem hiememque ferens ; et inhorruit unda tenebris . Continuo venti volvunt mare, magnaque surgunt Aequora . Dispersi jactamur gurgite vasto . Jnvolvere diem nimbi, et nox humida coelun Abstulit , ingeminant abruptis nubibus ignes . Excutimur cursu, et caecis erramus in undis, . Ipse diem noctemque negat discernere coelo , Nec meminisse viae media Palinurus in unda . 10. TRADUZIONE DEL CARO. » IM andavamo a vela ‘33 Con second’ aura ; e già d’ alto mirando 3» Non più terra apparìa, ma cielo ed acqua 3) Vedevam solamente , quando oscuro >» E denso e procelloso un nembo sopra », Mi stette al capo , onde tempesta e notte », [Ve si fece repente, e di più siti », Rapidi uscendo imperversaro i venti ; » S' abbujò l’ aria ; abbaruffossi il mare; » E gonfiaro altamente e mugghiar l onde, (1) Veggano i nostri lettori se qui’ ha nulla da togliere o da aggiungere. A noi pare di no . 4381 », Il ciel fremendo in tuoni, in lampi, in folgori » Si squarciò d’ ogni parte . Il giorno notte » Fessi, e la notte abisso ; e l'un dall altro 33 Non discernendo , Palinuro istesso . » Della via diffidossi e della vita ,,. 14 (K) DEL BONDI. », Poichè in altò fur giunte , ed alla vista » St nascosero i lidi , ed altro omai » Che cielo e mar più non apparve intorno , » Apportator di notte e di tempesta » Geruleo nembo ne vien sopra , e tutta »» D’ orrido e fosco vel Vl onda s’ oscura . » Sgruppansi a un tratto 7mpetwosi venti », A sconvolgere il mar; quà e Zà balzando »» Per flutti immensi le disperse navi . » Velano i nembi il ciel: fra l’ombre avvolto »» IL dì s° ammorza, e dalle rotte nubi » Striscian con fosca luce i spessi lampi . » Noi, dal corso torcendo erriam confusi ,» Fra l’ onde cieche ; e Palinuro istesso » Nè più distingue dalla notte il giorno , »» Nè la smarrita via dubbio ricorda ,,. 16. (L) DEL LEONI. » Poichè furo su l’ alte onde le navi, » E già non apparia più terra alcuna, »» E. tutto ciel, tutto era mare attorno, » Cerulea pioggia a me sul capo stette, \ (K) Questo squarcio , evidentissimo nel testo, è come ap- parisce , di tutt’ altra tempra nel Caro.. E per verità noi non sapremmo donde cominciar .le annotazioni ; perchè i concetti sono tutti sfigurati da capo a fondo. (L) Si nascosero i lidi alla vista non rende precisamente il nec jam amplius ullae adparent terrace. Quel flutti im- mensi è un po’ troppo per gurgite vasto . Nox humida coelum abstulit è ben diverso dal fra ? ombre avvolto il dì s° am- morza . L’ excutimur cursu non è torcer dal corso, ma esser gettato fuor del cammino . (82 si SAL portando insiem notte e procella ; ,, Ed orrido per l’ ombre il mar divenne . » Repente i venti agitan |’ onde, e grandi », Surgono i flutti. Per lo vasto gorgo ,» Sparsi, siam tratti il dì coprono i nembi; E dall’ umida notte il ciel n° è tolto . Striscian frequenti dalle rotte nubi __ ; I lampi fuori del cammin sospinti , Per l’ onde cieche erriam: la notte e ’1 giorno Più non discerne Palinuro istesso ,» lu ciel} nè in mezzo al mar la via rimembra . rò. (M)_ Ivi, ve:.564. Tollimur in caelum curvato gurgite et idem Subducta ad. Manis imos desedimus undas . Ter scopuli clamorem inter cava saxa dedere | Ter spumam elisam et rorantia vidimus astra . Interea fessos ventus cum sole reliquit ; Ignarique viae Cyclopum adlabimur. oris . Portus ab accessu ventorum inmotus, et ingens Ipse; sed horrificis juxta tonat Etna ruinis, Interdumque atrum prorumpit ad acthera nubem, Turbine fumantem piceo, et candente favilla ; Adtollitque globos flammarum, et sidera lambit : Interdum scopulos avulsaque viscera montis Erigit eructans , liquefactaque sara sub auras Cum gemitu glomerat; fundoque exaestuat imo. Fama est , Enceladi semustum fulmine corpus Urgeri mole hac, ingentemque insuper Hltnam RI Impositam ruptis flammam expirare caminis , i Et fessum quoties mutat latus, intremere omnem Murmure Trinacriam , et caelum subtexere fumo + 19 TRADUZIONE DEL CARO. 3, € l mar sorgendo; ,» Prima al ciel ne sospinse ; indi calando , (M) Neppur qui la più severa critica troverà la minima eccezione da fare intorno alla viva e nobil versione del sig. Leoni . 483 Ne l’ abisso ne trasse . In ciò tre volte Mugghiar senzimno i cavernosi scogli , E tre volte rivolti in ver le stelle D’umidi spruzzi e di salata schiuma Il ciel vedemmo rugiadoso e molle . » Eravam lassi ; e ‘1 vento e ’1 sole insieme Ne mancar sì , che del viaggio incerti Disavvedutamente alle contrade , De’ Ciclopi approdammo . É per sè stesso » A’ venti inaccessibile , e capace » Di molti legni il porto ; ove giugnemmo Ma sì d’ Etna vicino , che ? suoi tuoni E le sue spaventevoli ruine Lo tempestano ognora . Esce talvolta Da qnesto monte all’ aura un’altra nube Mista di nero fumo e di roventi Faville, che di cenere e di pece Fan turbi e gruppi, ed ondeggiando a scosse , Vibrano ad or ad or lucide fiamme _Che van lambendo « seolorir le stelle: » E talvolta le sue viscere stesse Da se divelte, immani sassi e scogli Liquefatti e combusti al ciel vomendo, 3 Infin dal fondo romoreggia e bolle . ., E' fama; che dal fulmine percosso E non estinto, sotto a questa mole Giace il corpo d’ Encelado superbo ; E che quando per duolo e per lassezza Ei si travolve , o sospirando anela , Si scuote il monte, e la Trinacria tutta : E pel ferito petto il fuoco uscendo, »» Per le caverne mormorando esala, » E tutte intorno le campagne e ’l cielo » Di tuoni empie e di pomici e di fumo. 35. (N) (N) Il curvato gurgite è omesso. Il sentimmo , che non è nel testo, indebolisce l'evidenza dell’ imagine . E chi può non sorridere del buon umore del Caro , che per questo verso , Ter spumam elisam et rorantia vidimus astra 484 DEL BONDI. || 1 4 ;; Infino al Cielo »» Ne spinge il gonfio sollevato flutto , ++ Ed agli abissi ne profonda e cala 3, L’ onda, che aperta si sottrae .. Tre volte » Muggir sentimmo i cavernosi scogli, | » Tre volte è spruzzi delle dianche spume, » Rotte fra i sassi risalir vedemmo, 3») E A LENTE STILLE RICADER DAGLI ASTRI. 3, A. noi stanchi frattanto il vento amico E tutto a un tempo il sol mancò. Smarriti, » E del cammino ignari alle vicine », Spiagge approdammo de’ Ciclopi . È il porto Comodo e vasto, e dal soffiar dei ‘venti © Difeso assai; ma dell’ orribif Etna Troppo agli incendj, ed al tonar vicino Nube tato dall’ empia bocca ei getta Di pece mista e ceneri e faville; E turbini di fumo ed ignei globi Spinge a lambir le scolorite stelle . Scogli talora e liquidi macigni, E le divelte viscere del monte » Spande eruttando ; e calcinati sassi Alto lanciando aggrappa, e ognor dal fondo / »» Con fremer cupo romoreggia e bolle . 7) 2” ee ne regala tre dilavatissimi ? » E tre volte rivolti in ver le stelle, 3» D’ umidi spruzzi e di salata schiuma > Il ciel vedemmo rugiadoso e m20//e . E non è vero, che andasse Enea disavvedutamente alle contrade de’ Ciclopi. Vi fu tratto, perchè non avea lume alcuno di guida. Liquide fiamme non è il globos flammarum . Liquefatti e combusti ? Altro che combusti , se son liquefatti ! Semustum non è il ron estinto . Si travolve è ben altro che mutat latus. E veggano i nustri lettori , che. per tre versi - del testo , il Caro ce ne dona DIECI; e contuttociò non tra- | . duce interamente il latino : tanta è la zazzera di, che adorna Virgilio ! 485 ; Fama è , che sotto la pesante rupe , Il falminato Encelado superbo , Vivo giaccia e sepolto , e che dall’ ampie ,» Grotte aperte dell Etna il foco esali; , E qualor stanco, o addolorato il fianco »» Va rivolgendo , la Trinacria tutta , Con DIST, fragor crollando scuota , » E d’ atro Htiso! il ciel copra ed ingombri ,,. 32. (0) DEL LEONI. » Dal curvo gorgo »» Spinti al ciel siam; ed'‘ai profondi mari ge DI quinci la sutnratta onda ne abbassa . 3, Tre fiate un clamor tra i cavi sassi 3» Fuor mandaron gli scogli ,, e tre la rotta 3) Spuma vedemmo e roride le stelle . (P) 3» Noi faticati abbandonò col sole »» Frattanto il vento; e del cammino ignari, », Ci appressiam Wehei de’ Ciclopi ai lidi . ,, È dall’ urto de*venti immoto il porto » E vasto: ma con orride ruine 3, Tuona l’ Etna da presso , ed atra nube », Talor di piceo turbine fumante > E d’ardenti faville all’ aere scaglia , . » E globi alza di fiamme e gli astri lambe. (Q) (O) Anche il Bondi ha tralasciato il curvato gurgite. Bello invero quel calare dopo il profondare! E dal Caro ha preso pure il senzizizo , i cavernosi scogli, gli spruzzi , e. più giù le scolorite stelle, e ’?l romoreggia , e l approdammo, che ron è l’ adlabimur : le quali cose non appariscon nel testo . Difeso assai, è meno d’ immotus . Erigit non è spande. Cum gemitu e semustum son tralasciati. Urgeri non è nè giaccia , iiè sepolto vivo . Il Caro aggiunse del suo cor duolo ; e il Bon- ci, addolorato. Rivolgendo per iîntremere ? Dopo aver detto pra ; potea per verità lasciar da parte l’ ingombri } (P) È notabile l’ esattezza, con che son qui tradotti i cor- rispondenti due versi del testo . a (Q) Questo verso rende letteralmente e mirabilmente quello d. Virgilio, rigirato sì male dal Caro e dal Bondi. 486 » Eruttando talor gli scogli ih; » E le divelte viscere del monte, (R) . Aa liquefatti massi in alto addensa 3» Con gemito , e nel fondo imo ribolle. 3» E’ fama che d’ Encelado sul corpo 3» Mezzo dal falmin arso , una tal mole » Si aggravi, e fuor delle fornaci infrante > Gran fiamma il sovrapposto Etna tramandi : 3; E quante volte lo spossato fianco s, Muta , con suon tutta Trinacria tremi 3» E "1 ciel di fumo ingombri . 25. ($) E per non lasciare mancare ai nostri lettori un altro squarcio di questo lavoro del sig. Leoni, ove l’ affetto abbonda più che ne’ già riportati, produr- remo quel mirabil passo del quarto libro , nel quale avvien la catastrofe dell’infelice Didone . ,, Ma rabida Didone, e per le immani 3» Opre feroce , le sanguigne luci 3, Movendo attorno , e le tremanti gote » Di macchie sparsa, e per vicina morte 3) Pallida il volto , nelle interne soglie 3 Della reggia si ptt , e l'alto rogo », Furente ascende , e la Dardania spada », Fuor tragge , che a quest’ uso in don non ebbe . 3» Qui poichè ragguardò le Iliache vesti , » E ’l noto letto , col pensiero e ’l pianto ») Si ristette , e sul talamo si giacque , 3) E fuor mandò queste parole estreme : (R) L’istesso verso ha il Bondi: e par che non si posse tradurre diversamente il Latino. (S) Non dubitiam d’ affermare, che questa descrizione, stupenda in Virgilio, mon perde punto mella versione, ch' è letterale, evidente e nobilissima , così in fatto di lingua , che di verseggiamento . E si noti, che i 19 versi dell’ originale, ‘ voltati in 35 dal Caro e in 32 dal Bondi, sono renduti dil sig. Leoni con soli 25. ‘ 437 ; O sin che ai fati ed a’ Celesti piacque, » Dolci spoglie , accogliete omai quest’ alma, » E me traete dagli affanni. Vissi , Ed il corso compiei, che la fortuna M°’ avea concesso . Andrà sotterra or grande L’ imagin mia. Città preclara alzai; Le mura vidi, vendicai lo sposo , E pagar feci al rio germano il fio: » Felice! Oh! assai felice , ove soltanto 2, Non avesser giammai Dardanie prore », Toccati questi lidi! -- Ella sì disse : ,» E sovra il letto riposando il volto, » Morrò inulta , gridò ; ma pur si mora : 3) Così giova , così, scendere all’ Onbre . 33 Di quest’ incendio là dall’ alto mare » Le pupille il crudel Dardano pasca ; »» E seco del mio fin porti gli auguri . » Disse : ed in mezzo a voci tai , sul ferro »» Lei caduta rimirano le ancelle, »» E spumante di sangue il ‘nudo acciaro , » Ed intrise le man. Ne’ gran cortili » Si diffonde il clamor: per la commossa Città la fama infuria, e di lamenti Freme e di femminili urla e di pianti La reggia, e d'alti omei l’ etra risona, Qual se Cartago tutta, o Tiro antiqua S’ inabissasse de’ nemici in preda , E furiose fiamme per le case Scorresser de’ mortali e degli Dei . 22 2 Anche qui è renduto con rigorosa fedeltà il testo, ‘e così sono tutti i dodici libri. Per tal modo il signor Leoni ha distrutta l’ opinione d’ alcuni, che dalla mor- ta versione del Salvini traevano argomento, non po- tersi tradurre Zetfteralmente , conciliando insieme la robustezza , nobiltà ed armonia del verso . Talchè osiam d’ asserire , esser questo il lavoro del sig. Leoni, che va sopra ad ogni altro . E chi d’ ora innanzi vorrà 488 UA conoscer Virgilio in isplendidi e fedeli versi italiani dovrà ricorrere alla versione , che annunziamo . P. N. FILOLOGIA DIALOGO SULLA PROPOSTA DI ALCUNE CORREZIONI ED AGGIUNTE: AL VOCABOLARIO DELLA CRUSCA T. III. PAG. I. (1) L. Bios: dopo due lustri ravvicinato a voi di circa 300 miglia. Ripigliamo, se vi piace, i nostri ra- gionamenti sulla vostra Proposta . M. E donde questo ravvicinamento ? Ho udito tante, e sì varie cause .... £. Ma non la vera ed unica forse... A suo tempo la scoprirò nuda e vera a voi, e ad altri molti amici miei. Tutti avranno un nuovo esempio di quanto possano nelle vicende particolari della vita le passioni dell’uomo mobilitate dalla per- turbazione de’ tempi e delle cose. Distragghiamo- ci per ora dalle nostre malinconie co’ soliti chic- cheri chiaccheri \etterarii . M. h! h! si vede bene che tu se' ritornato sull'Arno natio . .. L. Sì; ma tu ben vedi ancora che fo un uso più (+) V. Ant, T- II. p. 344: 489 opportuno de’ nostri motti popolareschi . Tu’l fai per dileggiarci , ed io per dir la cosa scherzevol- mente mel mio dialetto tal qual’ ell’ è . Comin- ciamo dunque senz’ altro prea mbolo, ed esami- niamo la tua osservazione alla voce Zabbia . Nel Vocabolario si legge: LABEIA . Faccia, aspetto. Dant. Inf. 25. Quante bisce egli avea ( il Centauro ) su per la ‘groppa infino ove incomincia nostra labbia . M. Ebbene; credi tu ch'io rimproveri a torto la L. M. L. Crusca di non aver sempre seguito nella regi- strazione di simili voci il cHe del Magalotti? No, davvero; ma: credo che tu la rimproveri a fto: quando asserisci che l’ accademico compi- latore zon intese. bene il concetto di quest’ e- sempio . Se l'avesse bene inteso, avrebbe veduto che 720- stra labbia qui è tutt’ altro che rostra faccia, o nostro aspetto, PRESO ASPETTO PER VOLTO PIbiop, aero.) Tu dunque supponi che l’ accademico prendesse aspetto per volto ; e s° egli ti rispondesse che non l’ha preso? Certamente allora il tuo rimprovero sarebbe ingiusto . Inoltre con questa supposizione tu vieni a confessare che aspetto può significare qualche altra cosa . . Sì, può significare qualche altra cosa; ma nella dichiarazione si unisce aspetto con faccia , e fac- cia non significa altro che wolto . Infatti leggi nel Vocabolario . ( FACCIA. La parte anteriore dell’uomo dal- la sommità della fronte alla estremità del men- to. Viso, volto . 490 L. Va bene; ma io osservo, che quivi si dichiara faccia per viso, volto non già per aspetto ; il che parmi voler dire che l’ accademico non ha inteso che qui si confondesse aspetto con faccia in quanto che faccia significa NEL cORPO UMANO propriamente il viso, il volto, come piace di confondere a te; ma che in questo luogo si prendesse faccia, per quella | parte della superficie di tutto il Centauro, che è umana, perchè poco sotto si legge che faccia si- gnifica ancora parte di superficie d’ una cosa . Ma per mettere questo bicchi bichiacchi in più chiara luce e con meno e più autorevoli parole, biso- gnerebbe , che fosse venuto in mente al sagace sig. Grassi, nostro. comune amico , di parlare “mel suo saggio de’ sinonimi Italiani, delle differenze fra le voci volto , viso , aspetto , sembiante , labbia nel senso Dantesco ec. Pertanto a passare o fuggir la mattana , benchè nec Dis, nec viribus aequis mi ci proverò io, ricorrendo, com’ eì saviamente ado- pera , alle asneftave origini . . E primamente mi pare che di tutti questi no- mi il solo faccia determini più propriamente d’ogni altro, come dice il vocabolario , la parte ante- riore dell’ uomo ec. perchè la dignita del corpo umano essendo composta di molte facce differenti, quella che apparisce sempre scoperta, e ch'è la più nobile come sede di quattro sentimenti meriti in modo peculiare ( o come i Greci dicevano Cat'exo- chen) questo nome,e comprende perciò fronte,occhi, guancie, bocca, mento, ec. Ma questa faccia chia- masi ancora viso dal verbale latino visus, 25 , il quale altro non significa in sè stesso che l'atto 0 facoltà di vedere. Or questo senso , chiamato , co- 491 me dice la crusca , latinamente viso, onde il no- stro Dante cantò Oscura profond’ era e nubilosa Tanto che per ficcar lo viso al fondo i I° non vi discerneva alcuna cosa . Inf, 4. avendo la sua sede , ed essendo una parte impor- tantissima e principale di questa faccia, si pren- de per dessa stessa per estensione di significato . Volto poi viene dal vltus , o volutus, us dal ver- bo volvere, e significa l’ atto o facoltà di voltarsi P girare ec. perchè per fare uso spezialmente' dell’ oc- chio possiamo voltar la faccia in giro facendo un circolo perfetto ; or questo movimento circolare è fatto ancora dall’ occipite, e dal sincipite , ma Vuzi- lità principale è della facoltà di vedere , ossia del piso , e perciò si prende pel piso stesso , ‘cui rende 1 officio ad ogni momento , e quindi per la faccia . Aspetto viene ancora dal verbale aspectus, us, che vale l'atto, o facoltà di guardar verso, onde di questo può dirsi quanto abbiamo detto di visus : con questa differenza però , che aspetto si prende eziandio per la forma o apparenza della cosa guar- data , e non mai viso , nè volto, usandosi per con- trapposto di questo nome vista . Ma non sì, che paura non mi desse La vista che m’ apparve d’un leone. Inf. 1. il qual nome significa ancora e più comunemente il senso , o facoltà di vedere :. E quinci fien le nostre viste sazie Inf. 18. restando il nome viso , che alla maniera latina si- gnifica lo stesso , alla poesìa . Da più lontana origine la voce sembiante trag. ge il significato di faccia , volto , viso ,e da mena 492. % lontana quella di aspetto, in quanto che quelle si- gnificano sempre e solamente /a parte anteriore dell’uomo dalla sommità della fronte fino al men- to; e aspetto significa, come ho detto, sì questa parte, come tutto ciò che apparisce alla vista ; perchè io sono d’ avviso che i Franchi dal similare latino facessero semzier , e per l’ affinità del è con la me con la 2, ve lo introducessero per agevolarne la pronunzia ( come gli Spagnuoli da homo fecero hombre, da costume costumbre ec. ) e pronunzias- sero sembler; e che poi gl’ Italiani lo abbiano ri- preso così alterato da’ Provenzali, e ne abbiano for- mato l’ antico semblare , e por cambiato per più di ‘dolcezza la 2 in è sembiare e quindi sembiante, cioè simigliante . W E poichè nulla ci ha che tanto si assimili ‘a’ sensi, e disposizioni dell’ animo, e le rappresenti quanto il viso, 0 aspetto umano ; quindi anche la voce sembiante fu da’ poeti sostantivata, e propria- mente usata per significare Za perte anteriore dal-. la fronte al mento; giusta ciò che dice il Passa- vanti.,, Non solamente per operazione di fuori , ma per uno SEMBIANTE , per uno mutamento di viso, si avvedrà l uomo Fi pensiero , e dell’ affezione , ch'è dentro ;, (a) dimodochè il sembiarte,altro non (a) Volendosi , per esempio ; dichiarare quel luogo dove Dante usa sembiante e non volto, o viso, o faccia ec. là dov'ei canta Io pur sorrisi, come l’ uom che ammicca : Perchè l’ ombra ( Stazio ) si tacque , e riguardommi Negli occhi, ove il sembiante più si ficca . dovrebbe dirsi per avventura che , Dante accennando col suo i 499 significa che il simigliante a ciò che sente l'animo, cioè il volto ; quando questo non sia d’ un Giaso- ne, o d’un Tartuffo . Venghiamo finalmente al /abbia Dantesco . Come i latini estesero l’ os significante per sè stesso l'apertura della bocca a significare eziandio l’aspet- to esteriore dell’uomo , e specialmente la faccia; onde Ovidio cantò che Dio Os homini sublime dedit, coelumque tueri. Jussit et erectos ad sydera tollere vu/zus: così gli antichi nostri poeti fino al Poliziano estesero la labbia, cioè il labia latino, a significare la stessa cosa , essendo che alla bocca possa adeguata- mente sostituirsi il /abbro, senza il quale non si possono pronunziare le così dette /abiali . E questa sorriso di voler dire qualche cosa , Stazio lo guardò negli oc- chi, dove più si ficca il sembiante , cioè dove meglio si colloca la somiglianza del segno esteriore del sorriso col sentimento o affezione dell’ animo . Difatto dopo averlo ben ben guardato uegli occhi , soggiunge E se tanto lavoro in bene assommi, . « . perchè la faccia tua testeso Un lampeggiar d’ un riso dimostrommi ? Stazio dunque lesse in quel sorriso di Dante qualche cosa di simile ad un interno sentimento, che Dante non osava espri- mere , e ch’ egli ignorava: cioè Dante non voleva dire , e Sta- zio ignorava, che quel Virgilio cotanto da lui esaltato era quel desso che stava in loro compagnìa . E nel terzo del paradiso ognun sa che Dante dicendo specchiati sembianti intende significare che ricevendo dallo spec- chio lunare per la vista certe debolissime impressioni di facce a parlar pronte non le stimò anime ivi esistenti, ma simi- | glianze , 0 imagini d’ altre anime, e perciò egli ne dice Perch’ io dentro all’ error contrario corsi A quel che accese amor tra l’uomo e il fonte, T. IV. Digembre 32 494 sostituzione dell’os latino, e del labbia italiano a significare l’ aspetto umano era ancor più natu- rale che quella del viso , perchè se questa è la fa- coltà di vedere che abbiamo comune con le bestie , il labbro è un priacipale istrumento di quella del parlare , la quale è caratteristica del solo uomo : chiamato perciò da Omero Meropos , vale a dire , che ha il dono della parola, o del suono artico- lato ad esprimere i suoi sentimenti ; il qual dono le bestie non hanno. Per la qual cosa la abbia x- mana , come | aspetto umano ora può significare viso, 0 volto , 0 faccia , cioè la parte anteriore ec. ed ora l'apparenza, o figura esteriore dell’ uomo , e il vocabolario somministra esempi per l’ una e per l’altra significazione . Infatti gli esempi regi. strati sono 1 seguenti ° I° credo ben che al mio Duca piacesse Con si contenta labbia sempre attese . Inf. 19. Qui Zabbia significa viso, faccia, dice il Lom- bardi 2.° Quante bisce egli avea su per la groppa Infin ove comincia nostra labbia. Inf. 25. Nostra labbia vale nostra umana forma , no- stro umano aspetto , chiosa lo stesso Lombardi ° 3.° Questa favilla tutto mi raccese Mia conoscenza alla cambiata labbia. Purg. 23. E qui il Lombardi-spiega alla sformata fac- cia; nel qual luogo primamente non piacemi la lezione ch’ egli adotta del codice Caet., di favella in cambio di favilla ; perchè parmi che la favilla che raccese a Dante la conoscenza di Forese fosse appunto la voce ond’ei gridò ,, che grazia m'è questa . Nè piacemi in secondo luogo che qui /ab- 495 bia significhi faccia o viso. perchè quando in que- sto luogo della Cantica il poeta vuol indicare la par- te anteriore dalla fronte al mento non usa labbia, ma faccia o viso. Infatti udiamo lui stesso Ed ecco dal profondo della testa Volse a me gli occhi un ombra , e guardò fiso , Poi gridò forte; qual grazia m'è questa? Mai non l’ avrei riconosciuto al viso : Ma nella voce sua mi fu palese Ciò che l’ aspetto in sè avea conquiso . Questa favilla tutta mi raccese Mia conoscenza alla cambiata Zabbia , E ravvisai la faccia di Forese. Or se Dante avesse voluto dir labbia per faccia, e’ non avrebbe ( parmi ) posto subito dipoi, e ripe- tuto la race faccia nello stesso significato, pel quale di sopra ha detto viso: e credo perciò che ‘ancor qui cambiata labbia significhi cambiata fi- gura ; conciosiachè la magrezza e la trista squa- ma di quell’ anime non le conquideva solamente ‘nel viso, ma in tutta la persona . 4° Vedendo la mia Zabbia tramortita. Rim. 9. Siccome il tramortimento, com'è spiegato nel trattato del Crescenzi , induce angustia de’ mem- bri d’ entro, e si manifesta in tutte le parti del corpo , e spezialmente nel viso, perciò parmi che ancor qui /abbia possa significare la figura o aspetto di tutto l’uomo , e se vuolsi, anche la sola fa6cia . 5. Veder mi par della sua /abbia uscire Una si bella donna che la mente Comprender non la può. Rim. ant. G. Cay. 65. 6.° E qual’ uom è di sì sicura labbia Che fuggir possa il mio tenace vischio. Poliz. St.1.24 496” Non avendo io nè tempo , nè comodo , nè vo- glia di esaminare i contesti di, queste due ultime allegazioni, ti lascio in libertà di. decidere se la bella donna del Cavalcanti esca dal volto , 0 se la faccia sicura sia quella che possa fuggire il tenace vischio d’ Amore ec. ec. Ammainiamo dunque le vele , e concludiamo che l’ accademico, il quale ha registrato la voce labbia, ha realmente commesso negligenza non an- notando che la voce abbia fu solamente usata da- gli antichi poeti , e ch’ ella è veramente morta in senso di faccia , o d’ aspetto : ma bisogna conclu- dere ancora che tutti gli esempi riportati sono op- portuni e bene scelti, a dichiarare chel’ antica voce Zabbia significa ora faccia, ed ora aspetto. M. Ma tu stesso hai detto; e il vocabolario dichiara che la faccia è la parte anteriore dell’uomo dalla sommità della fronte fino al mento. Or quandò l’accademico spiega Zabbia per faccia , aspetto, vuole che aspe tto si prenda nel senso dî fatcia')'0 volto , e perciò dissi ao aspetto per volto . l L. Non è, parmi, necessario presupporre che "1 volés- se. E aaa pur fosse così, ho già notato , ‘che qui faccia dee prendersi nel senso del S. II. > . El’ accademico avrebbe dovuto avvertirlo . Anche in ciò hai ragione. Anzi dirò di più, che l’ accademico dovea riportare in due paragrafi se- parati gli esempi di Zabbia per faccia o volto , e quelli per la forma o apparenza esteriore delle persone , come ha fatto alle voci aspetto, viso , sembiante', vista, visione ec. Ma passiamo ad altre ghiarabaldane, gimmengole, è pantraccole gram- maticali Urzano LAMPREDI. ne ' six) al 497 FILOLOGIA n_—_ Prose E RIME INEDITE DI 7 rncenzo FiricArA, D'ANTON Maria SALVINI, è D'ALTRI. Firenze 1821.‘ Considerazioni intorno ad alcuni usi ed abusi della lingua italiana. e prose e rime sono state pubblicate dal canonico Moreni, e intitolate val. marchese Paolo Garzoni Venturi in . congratulazione dello sposalizio di sua figlia col marchese Ginori. Onde ecco un nuovo esempio di buon proponimen- to, che arreca onore a chi loda, e a chi le lodi riceve. Nè , al certo ‘noti si disconviene al marchese Garzoni il titolo d’ un' Jibro ‘che annunzia inediti. manoscritti , imperciocchè eglivama le lettere, e con somma diligenza custodisce alcuni «buoni. codici, che per opera sua medesima sono stati ritratti dille: laide isoffitte ove a poco a poco perivano. Che se il ‘. Moreni.ha inserito in questo suo libro orazioni e versi re- citati, in. morte del Filicaia, neppure ciò non si disdice a feste nuziali; poichè gli encomi fatti giustamente agli e- stinti ricordano a’ nuovi sposi quanto. sia necessario il ben costumare-i figliuoli, affinchè s° acquistino in vita, e morti conservino la benemerenza del pubblico. E per rispetto al Ginori ed alla sua consorte sono gli elogi funebri del Fili- caia un lieto augurio di ciò che ‘all’ avvenire sarà renduto a’ lor figli; perchè da padri buoni com’ essi nasceranno lo- devolissimi figlioli . i IL’ intenzione dunque del Moreni (1) è stata in ciò moralissima : e noi facendogli plauso disamineremo alquanto le opere da lui pubblicate, perchè sono d’ uomini intelli- (1) Egli ha. pure pubblicato i sonetti del Varchi per la infermità e guarigione di Cosimo 1. , in occasione della ricu- perata salute di S. A. I. e R. Ferdinando II. 5 4 498 genti della favella italica. Nel proemio; che è del Moreni, egli avvisa il lettore del modo come ha pubblicato queste opere; le quali principiano con due orazioni recitate nell’ ac- cademia della Crusca per la morte del Filicaia nell’ anno 1708. La prima è brevissima e introduttiva della seconda, la quale fu recitata dall’ accademico "l'’ommaso Buonaventuri. Costui fu giudicato dal Bottari come ignorantissimo del no- stro idioma; ma volesse il celo che le nostre moderne scrit- ture somigliassero alle sue. Il discorso, ch'egli fece intorno. al Filicaia, è ben di trenta pagine: il ‘sno stile è elevato è i punti son rari: e pure si legge in pochi minuti, e chiara» mente s'intende. L’ orazione così principia. Se mai la morte d’in grande e nobile e wirtuoso uomo fu da coloro, chè rimasero, giustamente compianta, è con gemiti e con:sin> gulti' accompagnata, bene abbiamo noi oggi onpe \amara». mente è con pietoso pianto e dirotto querelarci, avendo pere duto il maggior lume della nostra accademia, il più vivo splendore della città nostra, il senatore Wincenzo da di), licaia. Ognuno può conoscere da sè medesimo la bontàle bellezza di questo esordio. To prego il lettore di guardare, alla parola orde, che qui è benissimo collocata, ‘e che i amor, derni scrittori abusano. i of I. Un vocabolo non può avere due significati contrarit; Se indica una' causa efficiente, non può indicare altresì. una. causa finale Se onde si adopera nel senso del vocabolo lati» no undegda cui si deriva, non piò adoperarsi nel senso-di; ut congiunzione. Sarà benissimo usato come avverbio di luo- go, o di relazione a luogo, a persona, e a cosa, 0 in iscambio de’ relativi di che, con che, del quale, e si- mili, come pur talora invece di talchè, sicchè, per la qual cosa; ma non mai sarà idoneo a significare affinchè , vac- ciocchè, per, secondo l'abuso di qualche moderno scrittore. È ben detto per esempio io non ho onde nutrirmi, cioè di che nutrirmi; ed è mal detto io vengo qui onde nutrirmi, ove bisognerebbe dire per, 0 a fine di nutrirmi , Vale abuso però debbe esser provenuto dalle scritture de’ nostri classici | 499 medesimi, negligentemente imitate. H Salviati diceva: ciascu- na via e ogni occasione veggendo chiusa onde farlo (oraz. 7. 9); e altre ragioni, onde solver questo dubbio, ci si parano avanti (avv. l. 2. e. 12): ne’ quali esempli non è dub- bio che il discorso si sostiene egualmente, ancorchè si ponga per, o a fine di, in iscambio di onde. Ma è vero altresì che onde qui significa con che: e questi modi del Salviati, benchè possano aver datò origine al mentovato abuso, non sono ‘contrarii all’indole del linguaggio, e indicano oppor- tunamente: fin dove può estendersi l’ uso buono del vocabolo onde , allorchè supplisce a’ pronomi relativi. III Nel passo citato del Buonaventuri onde significa di che. Ed il rimanente della sua orazione può giovare mol- tissimo a ‘chi studia nel nostro idioma ; massime perchè di- mostra quanto sia grande l’ opera della favella, e quanto studio si ricerchi per poter gugnere a far sì, che le pa- role sicno atte a spiegare la grandezza de’ sentimenti . Queste parole diceva il Buonaventuri toscano nella toscana ac- cademia della Crusca: e soggiugneva, ‘che lo stesso Filicaia erasi affaticato moltissimo per apprendere il copioso e ornato parlare, ed esercitarsi nello stile ; in cui si richiede, per for- marlo buono, lunghezza di tempo e opera continuà . Il Fili caîa però attese principalmente all’ arte poetica: e le sue poe- ‘sie (canzoni e sonetti) ora pubblicate dal Moreni non oscu- rano la di lui già chiarissima fama. Bella è per esempio la prima canzone, che ha per titolo all’ Europa, e sì ‘comincia. Europa, Europa, e non è spenta ancora Col sangue tuo la face, La gran face che i Regni arde e divora? E ancor fumante di civili incendi Struggi te stessa, e accendi sl Già di tua ‘mano il rogo ? Ed esser puoi Sì re’ tuoi mali ambiziosa e audace, Che i troppo lenti e tardi Perigli affretti, e guardi Se ancor son giuoti, e qual pria giunga o poi? » 5oo Na avran gli sdegni tuoi MENA ITTIVURtE "Termine, o l’avran solo allor ch’ al focd i Manchi la fame, o manchi l’esca e ’l loco?! IV. Ma le prose del Filicaia, benchè non sieno dispre- gevoli, non. hanno sempre quella purità e quel sapore ur- bano, che dovrebbe essere il primo e necessario segno delle Marlin scritture ._ bat Nel suo breve ragionamento, per Za generale adunan- za dell’anno 1704, ei ben diceva a’ suoi colleghi: /urgi, lungi di quà ogni mistura di luce illegittima; la quale;:se nelle altre men luminose accademie sarebbe luce, in questa nostra tanto più luminosa sembrerebbe un fosco barlume . Ma nello,stesso tempo usava certe locuzioni, che, a me-pare, offuscassero la legittima luce della sua accademia. Vi; sì legge infatti nel principio: questa generale adunanza... EsIGE da me ammirazione e parole: e poi, sono‘i difetti e le imperfezioni (perdonatemi questa volta la novità del voba bolo) un infelice 4ppannaccro della mostra umanità: ‘e ‘poi, qual mai rigorosa Pensione impose natura sopra le belle e riguardevoli cose, che debbano con tormentosa vigilia star sempre in, guardia per non cadere in. vecchiezza, ‘0 vesser derise e quasi mostrate a dito se invecchiano ?e poijwoi pure (accademici) cor venerazione la riguardate; e ne» siete ambiziosi vagheggiatori; ed è ben giusto che ro srareranco più. : Vilcis I nostri antichi hanno sempre usato il verbo esigere nel significato di riscuoter denari, o richieder cose per'lawia della giustizia. Onde con siffatto verbo è oramai congiun- ta quella spiacevolezza che nasce in noi dalle vessanti esazioni: e quantunque l’ usarlo in altri casi in iscambio di richie- dere non sia forse un modo difettoso, perchè i latini pure così l’ adoperavano; dee nondimeno esser da quello opportu- namente distinto. Nel vocabolario della Crusca si legge: esi- gere vale ancora richiedere con autorità o con forza una cosa come dovuta: e si cita questo esempio del Salvini : avuta considerazione all’ amor proprio, che con violenza LI 501 in qualche parte l esige. Ma violentia è vis, maior, secon do il Forcellini; igfrza fatta a danno altrui, secondo il Buti. Dunque secondo la definizione del vocabolario, dicen- ‘do il Salvini esige con violenza, avrebbe egli voluto signifi- care richiede con forza conforza: il che sarebbe uno strano pleonasmo. Sembra dunque che.il Salvini abbia male anch'e- gli adoperato il verbo esigere, usandolo del tutto nel signi- ficato di richiedere: perocchè è certo ch’ ei poteva esprimere lo stesso. pensiero, togliendone cor violenza, 0 dicendo che con. violenza richiede. E perciò pure mi sembra che. tale «esempio non risponda alla definizione del vocabolario . Il Fi- licaia. poi, avrebbe dovuto usare il verbo. richiedere, e non esigere nella sopradetta orazione ; perchè gli accademici , con gentilezza, enon già con forza; chiedevano a lui, am- mirazione e, parole . Io non starò. quindi a esaminare il terzo esempio del Eiliaio, ove. è il vocabolo pensione in un senso oscuro, non ‘Amitabile, forse in iscambio di peso o gravezza: modo non s usato frequentemente neppur da’ latini. Ma voglio bensì fer- ismarmi nel. secondo,.esempio, ov’ è quell’ infelice, veramente nsinfelice, appannaggio. Questa parola è tutta francese, e si- \ognifica nel proprio senso l’ assegnamento fatto da’ Principi vaî loro) secondogeniti, Nè in questo significato possiamo noi onigettarla, benchè non se ne trovi esempio appresso i nostri antichi. Ma 1’ usarla nel senso figurato, come si legge nel !sFilicaia,. e come l’ usava pure il Salvini, a me pare un modo \ improprio della nostra lingua, e tanto più disconvenevole in ‘quanto che non si sa come interpetrarlo. Io ben intendo i nostri classici e antichi scrittori, i.quali solevano dire: che i difetti eleimperfezioni appartengono alla nostra umanità: ovvero che sono proprii di essa. Ma quando il Filicaia mi dice che sono un appannaggio della nostra umanità, io non so se voglia significare quello medesimo che i nostri antichi dicevano; o se prenda del tutto l’uso francese, an- che nel senso figurato, sentenziando cioè che i difetti sone 502 BS, Una conseguenza o attenenza (suite ou dependance). della. nostra umanità. Mir Che se il Filicaia stesso conobbe l’improprietà di que. sta locuzione, soggiungendo perdonatemi questa wolta la novità del vocabolo ; ciò si perdona nondimeno malvolentieri, e tanto più malvolentieri quanto è più erudito l’uomo che sì parla: imperocchè gli manca il pretesto di non saper pen» sare ed esprimersi come si conviene alla sua favella, e l’esem- pio suo è troppo più imitato da chi non vuol durare fatica nello studio. Per questa ragione, senza curare l'analogia del nostro idioma, e traducendo pigramente dal francese dicono i nostri contemporanei : senti” / influenza, in iscambio di sentire gli effetti: uomo influente o dominantè , per \uomo autorevole: a misura, per di mano in mano: stabilirsi in un luogo; in iscambio di fermarvisi, © fermarvi-lar sede: carattere, per indole e qualità; e caratterizzare ; periqua- lificare : erede presuntivo, per erede presupposto : postansii in un luogo, invece di prendere il luogo: postarsi in ag- guato, per porsi o riporsi in agguato: organizzare ; per ordinare? rimpiazzare , per sostituire: solennità , per for? malità + teatro della guerra , per sede della guerra: pren=; der parte, per intromettersi , accedere, 0 partecipare»: malgrado l'ordine, per contro l'ordine: reclutare spet supplire: chiamare davanti ‘al Tribunale, pér ‘citare al Tribunale : tanto più che, in luogo di massime 0 massima: mente perchè: ed infine , oltre molti altri abusi ; quello frequentissimo di in seguirò per dipoî, che non ha analogia nè colla nostra, nè colla lingua latina. Questo modo avver- biale si è preso dal francese ensuite, che proviene dal verbo ensuvire e non da suivre. E ensuite, e ensuivre si derivano da’ vocaboli latini ‘nseguenter, e insequi: al primo de’ quali risponde nella nostra lingua l’avverbio seguenztemente , usito per dipoi come i latini usavano insequenter. V. Da simili cagioni è forse derivato ancora l'uso mo- derno e frequente di porre la particella, ossia il pronome +/, 503 o Zol\cob verbo essere ; nel modo appunto chelo adoprò il Filicaia nell’ ultimo de’ sopra citati esempli . I francesi usano le in luogo di celà, anche col verbo étre. Ma i nostticlas- sici antichi non hanno mai usata questa maniera del dire; di cui appena se ne indica un solo esempio (che non so pure quanto sia certificato) nella vita della Maddalena. Tal chè Bernardo Davanzati traducendo gli ‘annali di Tacito non disse già den lo fu, come direbbero i moderni; ima sol tanto den fu, nel seguente esempio del 1. 4. $. 66: che. co- stui... la seguitasse, non fu miracolo; ben fu, che com- pasno' alla spiagione gli fosse Publio. Di | Questo esempio del Davanzati è utile eziadio a far co- noscere una delle ragioni, perchè i nostri antichi non usarono siffatto imodo del dire. La'*#tgione si è, perchè detto modo non è netessario al discorso! Ed ognuno vede che nelle sur- riferite-parole tanto vale den fu, quanto den lo fu varrebbe appresso i moderhi. ba seconda ragione deducesi dall’ esempio' del Filicaia : essi è, perchè tal modo non è proprio nè convenevole. I mo- derni infatti ‘pongono spesso /o in iscambio ‘di più idonee particelle. E ‘nel discorso del Filicaia: ne’ siere ambiziosi vagheggiatori , ed è ben giusto ‘che lo siate anco più: era meglio ripetere re ove trovasi lo. La terza ragione è in queste parole del Salviati : quando son.pronomi il, lo, e la, in altro caso, che nell’ accusativo del singolare, non si trovan posti giammai, Dimostreremo appresso , che il Salviati ha detto il vero. Onde ‘è contro le regole della lingua il suddetto uso moderno, perchè #7} 0/0, sì. troverebbero spesso di necessità in caso retto: ;0 \nominati- vo, come si vede ne’ seguenti esempli : egli sarà guarito y ma se nol fosse: egli è brutto,,ma presupponiamo che non lo sia: ove lo è in caso retto y perchè è posto invece del par: ticipio guarito, o dell'aggettivo drutto, i quali non possono essere in caso obliquo, dappoichè debbono concordarsi in ge- nere, numero e caso col nominativo egli. Ognuno poi vede che anche in questi esempli /o non è necessario al discorso. 504 VI: Ed ora, per dimostrare quanto sienò Vere Tè parole: del Salviati, cominciamo da vedere 1’ origine e 1’tso proprio delle particelle 2, /o, Za, nella nostra favella. Esse'e le ali tre li, gli, le, sono veri articoli: ed i veri pronomi sono egli, ella, eglino, elleno, a’ quali non è stata mai sostituita, al- cuna particella monosillaba nel nostro idioma, perchè tali pronomi si usano in caso retto, e non possono essere mai affissi al verbo... | i Che se ad egli sostituiamo spesso ei , ed e’, e se i nostri antichi vi sostituivano anche e/; neppur questi non sono mai affissi, e provengono da egli per sincope, ed appartengono piuttosto al linguaggio poetico, quantunque si usino ‘anche nelle prose fino da’ tempi antichi. \ Ma agli altri pronomi che indicano i casi torri poichè possono seguire il verbo ed essergli affissi, così è stata: loro sostituita alcuna particella monosillaba per agevolare siffatti modi del dire. Talchè i veri pronomi ne’ casi. obliqui'isono lui, leî, loro: e le particelle ad essi sostituite sono 1/, ‘ld; la, li, gli, le. E tanto è vero che queste suppliscono a quel: li, in quanto che i nostri antichi le hanno sempre chiamate vicepronomi; accennando cioè un pronome è non un nome. Quindi però bisogna esaminare in quali casî precisameéti* te suppliscono i detti vicepronomi a’ respettivi pronomi. .//; e lo supplisconò soltanto a Zu, caso accusativo. E /a soltanto a lei, nel caso medesimo. Onde ecco intanto dimostrata la ragione di ciò che diceva il Salviati. Che se nel vocabolario (2) trovansi più esempli, ove #2 è posto in primo e in terzo caso; è facile il dimostrare che debbono esserne levati. Tutti quelli, in cui trovasi ; nel pri- mo caso, appartengono forse alla voce e/, che i copiatori 0 gl’interpetri de’ manoscritti avranno scambiato in il. E quello poi del Boccaccio, ( nè vi è altro che questo), in cui egli dice: £ se woi rx porrete ben mente nel viso, egli è an- {R (2) Io mi servo del Vocabolario della Crusca ; ristampato e accresciuto dal Cesari. Ci £ 505 eora, mezzo ebbro: questo esempio, dico, non. mostra il in terzo ma bensì in quarto caso; siccome ognuno può da sè miedesimo conoscere , guardando alle voci por mente, ove’ si trova l’accusativo dopo esse in molti esempli (3). . VII Oltre di ciò vengono pure citati moltissimi esempli, in cui sembra che /a sia posta in caso retto in iscambio di ella. Ma ragionando sopra questo particolare, vedremo che non sì è fatta finora un’ opportuna distinzione, e che il Sal- viati. ha ragione ;in quello ch’ ei dice. ‘0 Tra le opere, che il Moreni ha ora pubblicate, ve n° è una, del Salvini intitolata Censura d’ una Censura d? autore incognito intorno alla nuova edizione del vocabolario del- la Crusca. Nella quale, a pag. 217, il Salvini così discorre. 16 Quando il Salviati disse, che di Za per e/la si trova- vanò pochi esempli , intese degli autori del buon secolo d’oro, cioè del, 1300, non del secolo di rame, che seguì appresso, e nel, quale scrisse il Segretario fiorentino (4). Che nelle com- medie\ del. Firenzuola (che voi chiamate in romanesco Fi- renzola) ciò si trovi, non solo in quelle del Firenzuola, ma in altre di buoni autori si troverà, perchè in quelle imitandosi il parlare delle donne, de’vecchi e de’ servitori, è fatta scappare qualche piccola licenza. Ma trovimisi un poco nelle altre opere Mita | (3) Il Cesari ha avuto il buon accorgimento di mettere questo esempio del Boccaccio tra quelli, ove porre mente regge il quarto caso: ma non lo ha tolto, come avrebbe dovuto toglierlo , dal medesimo vocabolario alla voce i, terzo caso. Aggiungo qui gli esempli seguenti, per farli conoscere a chi non ha il voca- bolario del Cesari. Gr. S. Gir. 59. Perchè poni tu mente la pa- glia nell’ occhio del tuo fratello, e nel tuo ‘non vedi la trave? Ser Brun. ec. Pori mente la qualità dell’ animo. E. 276. Poni mente i sepolcri pieni di bruttura. (4) Spero che il lettore non guarderà a questa denomina- zione di secoli. Che se le scritture del Macchiavelli pertengono al secolo di rame! a qual secolo apparterranno quelle del Sal- vini? A qual secolo le nostre? 506. del Firenzuola, come nell’ Asino, e nelle alte serie degli autori, che l'avranno usato nelle commedie. Quante maniere usa Plauto, quanti verbi a rovescio di quel che usano tutti i buoni scrittori latini; che un fanciullo, che se ne servisse nel latino, toccherebbe dal maestro delle spalmate! ? Bisogna p Stai gli autori, le opere, i secoli, ne’ quali sono fio- 3 le maniere. Non essere nell’errore, nel quale sono buo- na Da che credono che quando l’accademia cita un autore, lo canonizzi per d'autorità infallibile nella lingua; e che tut- te le voci che vi son messe, come in un tesoro, sieno della medesima lega. » “a, Nel vocabolario della Crusca poi si legge: « nel caso retto Za per ella, come le per elle non pare assolutamente da usarsi; benchè o per iscorrezione di testi, o per fretta di dettare se ne leggano forse alcuni pochi esempli di scrittori autorevoli. >> Al che il Monti soggiunge ( Proposta vol. 3. ‘par. 1. pag. 1. ): « con questa sentenza la Crusca condanna la più gran parte degli scrittori, massimamente i toscani . . .. i quali hanno seminato tanti Za e Ze per ella e per elle ne? lo- ro scritti, che non ha tanti tarli il buratto del gran frullone. L’uso di questa aferesi comunissima di antica mano a tutti gl’ italiani rimonta nelle carte classiche fino a’ tempi di Dante, e ne fa fede il suo amico Cino da Pistoia che disse ec: »> Ma piacesse al celo che tutti i tarli del buratto fos- sero di simil fatta. Non ha ragione il Salvini, dicendo che tali modi del dire sono licenze, imitandosi il parlare delle donne, de’ vecchi, e de’ servitori. Nè il Monti ha ragione, allorchè dice così generalmente che i nostri scrittori hanno usato Za e Ze per ella e per elle. E ciò che si dice nel vocabolario è del tutto vero, se non che i citati esempli non sono opportuni. Tanto in questi esempli, quanto in quelli che il Monti arreca, vedesi Za usato in caso retto, ma non per supplire al pronome e//a che ivi non è necessario , nè per imitare il discorso delle vecchie e de’ servi; ma bensì 507 per ripieno ad ornamento della frase, siccome avviene* tal. volta alla parola egli; o come ha dipoi soggiunto il Monti, per leggiadria e per graziosa proprietà della lingua. Solo nelle osservazioni raccolte dal Cinonio trovansi tre esempli, in cui parrebbe che /a fosse di vero in luogo di ella. Due di questi esempli sono tratti dalle storie de’ Villani: e il terzo dallo Specchio di penitenza del Passavanti. Ma si noti che un’ e precede sempre a /a: essendo nel pri- mo esempio, che la si deliberò: nel secondo, se la non fosse femmina: e nel terzo, acciocchè la dica. Sicchè po- trebbe esservi Za per iscorrezione di testi o per fretta di dettare, come si dice nel vocabolario della Crusca. E certo èche ne’ codici si trova spesso chela , sela, ec. in iscambio di ch ella, s' ella, ec. E certo è pure che questi esempli del Cinonio (quantunque sembrino a me scorretti ) sarebbero al vocabolario più opportuni che non quelli ivi citati. In tutti gli altri esempli del Cinonio leggesi Za, usato per ripieno. E io dubito che mai non si possa porre in luogo di e//a, quando questo pronome è veramente neces- sario. Se dopo aver detto, zo ho veduto la moglie e il marito ; soggiungessi, Za è bella, egli è brutto: farei ridere anche le vecchie del nostro mercato. E sì elle dicono volentieri lè bella, quando potrebbero dire semplicemente è della. E quando parlano ad una persona, aggiungono sempre ella, o lei, (cioè lei per idiotismo in iscambio di e//a), dicendo la dica ella, 0 lei; la risponda ella, o lei; l'è bella ella, o lei, e simili; il che non farebbero se /a supplisse ad ella. Errava dunque il Salviati, allorchè parlando di /e vicepronome, diceva non essere stato mai posto in altro caso che nell'accusativo del singolare? Non concluderemo noi che /4 vicepronome è diverso da Za ripieno ? VIN. Ma d’ un’ altra cosa mi occorre ragionare, a fine di togliere o diminuire il biasimo che troppo largamente è dato a’ toscani per l’uso di certi modi che sembrano e sono idiotismi; ma idiotismi quasi necessari senza che se ne ae- 508 eorgà chi noi ne biasima. Io ‘voglio dire dell’uso di metter gli in iscambio di ad esse, e ad essi, ovvero di a Zoro. Abbiamo già veduto che :, Zo, la, li, gli, le, sup- pliscono a lui, Zei, loro, casi accusativi. Ma gli altri casi obliqui de’ medesimi pronomi richiedono pure un particolare e idoneo vicepronome, che possa quando giova affiggersi al verbo. E poichè la nostra lingua non ammette le varie de- sinenze come nell’idioma latino, così non è facile aver tante particelle diverse che suppliscano a tutti i casi. Vedasi dun- que l’artificio de’ nostri antichi. Essi abusarono i vicepro- nomi plurali accusativi gl#, Ze, usandoli pure nel singolare ma in caso dativo invece di a lui, @ lei. Quindi abusarono la particella ne vicepronome di moi, per supplire agli abla- tivi ed a’ genitivi in amendue i generi e i numeri, ponendola cioè in luogo di da lui, di lui, da lei, di lei, da loro, di loro. E tutti questi abusi o artifici non eran forse idio- tismi, quando furono dapprima usati? Nondimeno, per causa della loro utilità, sono stati ammessi nella buona consuetu- dine tra le regole grammaticali. Un caso però del pronome non ha ancora il suo vicepronome. E questo è appunto il dativo plurale a Zoro sì mascolino che femmiuino. La quale mancanza produce per necessità un abuso. Ne conseguita cioè quell’ idiotismo, a noi rimproverato, di sostituire glî al dativo Zoro. Io non intendo d’approvare questo idiotismo: ma è pur certa cosa che noi, stando alla grammatica, non abbiamo un vicepronome per usarlo in questo caso, siccome affisso al verbo. IX. Si biasimino dunque piuttosto quegl’ idiotismi che non sono utili, e che anzi generano confusione, siccome per esempio wolse in luogo di volle. Io trovo questo abu- so nella critica d’ Anton Maria Salvini al sonetto del Filicaia, che principia No che non furo i tuoi rigor, nè sono ec. Questa critica precede alla sopra citata Censura d’ una Censura nell’ edizione del Moreni: ed innanzi ad esse è pure. 509 la difesa d'un-sonetto-del Filicaia fatta da Salvino Salvini, e un'altra. difesa fatta da Lorenzo Bellini. wI letterati. solevano fare questi discorsi per leggerli nel- le accademie!, a'fine di ricreare ed istruire gli uditori. Onde :son sempre utili, quantunque non arrechino forse al presente. il':medesimo diletto; perchè Ja filosofia è cambiata da que’ tempi in poi, e le orazioni debbono contener. pen- sieri e nonsole parole. Mi dica il lettore, come gli piace que- sto principio. Meditava il fabbricatore del recitato sonetto la morte , morte non già particolare e determinata d’un qualche solo uomo, ma mor te indeterminata, morte gene- ralmente intesa: meditava il morire umano. E poichè il morire umano ; ovvero il termine del vivere nostro, egli è unitermine; da cui si parton duc strade, tutte e due le_ quali portano ad una eternità; ma l’una, che è a man de- stra, porta ad una eternità ‘d’ infinito bene ; e l’altra, che è alla sinistra, porta ad una eternità d’ infinito male; ed a questa cternità d° infinito. male tramanda i tristi uomini il loro morire, e passaggio a quell’ cternità d' in- finito bene è la morte de’ buoni, sperò il nostro contem- | planteec.. .. Così incomincia la suddetta difesa fatta da Lorenzo Bel- linî,. Ed io l'ho trascritta per aver occasione di ridire alcune parole di Antonio Cocchi, il quale ha ben giudicato dello stile del. .Bellini, e delie consuetudini di quel tempo. Il Cocchi dunque, nella. prefazione alle opere del Bellini, dice che questi aveva voluto creare nell’ animo de’ suoi uditori la maraviglia piuttosto che la scenza: che lo aveva reso va- go dell’ applauso popolare la consuetudine in lui inveterata dalla prima gioventù di cercar lode parlando in pubblico : che nella poesia dava la preferenza all’ ebraica sopra la greca: e che nella prosa, per la fecondità e prontezza del suo spirito non potè adattarsi ad imitare la nobile sempli- cità di stile che ha fatto tanto onore al Redi suo maestro ; ma s'invaghì piuttosto dell’ ammirazione che per tanti se- coli PRATO incontrata tra gli uomini gli scritti di Platone. T. IV. Dicembre 33 Sio. Si osservano in questo filosofo due modi, di pensare e di dire: l’ uno semplice e naturale, chiaro, facile ) estre- mamente grazioso ed ameno, che ispira nel lettore. mede- simo urbanità e gentilezza, col quale ei suol fare le intro- duzioni e le digressioni de” suoi dialoghi, e trattare per lo più ciò che non è filosofia o suo principale argomento : l’ altro elevato, sovrabbondante , allegorico , e come egli stesso lo chiama diritambico, pieno di piccoli artificrosi in- ganni, e che oscura apposta il soggetto e devia la mente dell’ uditore, col qual modo ei suole spesso entrare nel più profondo della sua materia . Fra? motivi poi che ebbe il Bellini d’ amare l’ estasi di questa bizzarra eloquenza, forse vi fu quello di spargere con essa sopra la sua mente un giocondo oblio delle sue proprie circostanze, per le quali egli fu stimato da molti infelice. Noi sappiamo per le lettere scritte di sua mano da noi vedute, e per li suoi sentimenti accompagnati al- cuna volta da patenti lacrime, che ci sono stati fedel- mente ridetti da chi ben lo conobbe, quanto egli era af- fitto nell’ animo per la troppa negligenza che di lui mo- strava la sua garbatissima patria . Il Cocchi scusa poi questa negligenza de’ fiorentini verso un loro sì rispettabile cittadino e grande anatomico, dicendo: che /a città di Firenze, sopra ogni altra italica feconda di grandi ingegni, ha per vecchio costume il possesso di sempre trattare colla stessa familiarità gl’ illustri suoi figli venerati per tutto altrove, somigliando anco în que- sto, come in molte lodewoli particolarità, l’ antica Atene che fu tanto gentile. Dalle quali parole può trarre frutto chi di sè troppo presume: siccome dalle precedenti possono î giovani imparare il modo di studiare le opere del Bellini, attendendo cioè a' di lui insegnamenti, piuttostochè allo stile ed all’ ordine delle sue elocuzioni. E perchè i giovani si rammentino che è wopo studiare la lingua ne’ buoni scrit- tori, voglio qui riferire eziandio una. parte del discorso del Buonaventuri sulla lingua Toscana. Questo discorso è Sis i) penultimo dell’ edizione del Moreni. Ed il Buonaventuri è quegli stesso, che abbiamo sopra lodato. Ei dunque sì dice. ce Fra le opinioni, da cui possono essere i meno avve- duti dallo studio della nostra nobilissima favella frastornati, io non so se altra ve ne abbia più perniciosa di quella, che ha preso ciglio vigore, non ha gran tempo; la quale se non si combatta e s’ atterri, invano sarà stato il savio accorgimento de’nostri legislatori, che questa accademia istituirono, acciocchè ella al conservamento della purità e schiettezza di nostra lin- gua sollecitamente vegliasse: invano le loro incessanti fati- che in fornirla di tante regole, in arricchirla del vocabolario, in abbellirla con tante diverse maniere de’ loro leggiadrissimi componimeti . . . . Affermano alcuni, per avventura troppo amatori di novità, che essendo la nostra lingua lingua viva, per adornarla ed arricchirla (come essi dicono) debbano usar- si le voci forestiere e le maniere proprie d'altri linguaggi; e non istar legati al rigore di quelle voci che sono state adoperate dagli scrittori del buon secolo , da’ quali si dee prender l’uso e la norma del parlar nostro; ma valersi con libertà di quelle parole che la moda e la novità sommini- strano in'larga copia. Co” quali sentimenti, approvati dal corrotto gusto di molti, adulterano essi la purità ed offuscano il'candore di nostra lingua col mescolamento di barbare locuzioni, di voci affettate e straniere, e di maniere e costru- zioni sregolate ed improprie: e quel ch’ è peggio, il più delle volte lasciano la vera e significante voce toscana per inserirne in quella vece senza bisogno e senza grazia una pretta forestiera, non s° accorgendo che non è questo un ab- bellire ed arricchire una lingua viva, ma un impoverire, anzi un distrugger del tutto una favella nobilissima su- . periore ad'ogni altra delle viventi, ed eguale a qualunque si sia delle già morte ....Questi tali pretendono d’ avere dal canto loro la ragione, e par loro d’ aver vinto, subito che essi dicono che nelle lingue vive dee l’uomo governarsi con l’uso che corre di presente, e che sempre le' parole si rinnuovano in quella guisa che gli alberi alla stagion novella le vecchie bia foglie lasciando, si vestono delle nuove. E tutto giorno han- no in bocca le parole d’ Orazio: licuit semperque.licebit si- gnatum praesente nota producere nomen. I quali per ve- rità, accecati dalla passione che gl’ inganna, non s° avvedo- no quanto essi vadano errati; perchè egli è vero che le lingue si governano coll’ uso, e che come dice Quintiliano, la consuetudine è certissima maestra del parlare... ed è, auche verissimo che talvolta è permesso il potere innovare a tempo e con giudizio. Ma deesi ,perciò in questo fatto pro- cedere con gran riguardo, ed osservare di non prendere un grave errore in determinare quali sieno quelle persone che facciano l’ uso, e con quali regole debbansi fare le forma- ‘ zioni delle voci nuove. Quintiliano s° accorse benissimo che qui si pigliavano degli sbagli, che di gravissimi danni erano poscia vera cagione. Però se gli fa loro incontro, dicendo nel primo libro delle istituzioni oratorie che bisogna dapprima stabilire che cosa sia quelta che noi chiamiamo consuetudine. Ed acciocchè non possa veruno cadere in errore, stabilisce che ‘il consenso degli eruditi fa la consuetudine del par- lare, siccome il consenso de’ buoni fa la consuetudine del vivere. Dal che si vede chiaramente con quanta poca ragio- ne questi amatori di novità vadano dicendo, ‘esserci in oggi così l’ uso corrente, perchè questo (quando pur sia vero che i più lo facciano, che io però non concedo) non uso, ma abu- so dannoso e cattivissimo si dee nominare » X. Questo discorso del Buonaventuri, benché recitato fosse nel 1703, è del tutto idoneo a’ tempi presenti, imper- ciocchè non mancano, anzi sono cresciuti i licenziosi innovatori, e gridano sempre e vituperano i purist7, come se questi e non i primi fossero i sovvertitori e abusatori dell’ idioma. Ed aggiungono talora, che la deilezza dello stile, non la bontà della lingua, rende le scritture pregevoli. Io confesso che non so separare la buona dicitura dalla bellezza dello stile. Sem- brami che il bello stile, sia il complesso di tutte le buone, qualità d’ uno scrittore: e non so quindi intendere come i pu- risti si meritino alcun biasimo : almenochè non si compren- i 513 dano sotto questo nome quegli scrittori che osservando le re- gole della lingua istruiscono e dilettano i contemporanei, ma bensì que pedanti che imitano sole le più antiche scritture . Nel quale caso,avrebbero i gridatori ragione, perchè le scrit- ture debbono essere pure, ma non dettate nel linguaggio de’ morti. Una persona domandavami negli scorsi giorni, ripe- tendo le altrui parole: come in tanta e sì lunga disputa tra puristt e antipuristi non ‘si sia fatto uso d’ Orazio,che sì molto ne ha parlato? di Oraziò principe degli antipuristi. La domanda è inutile. Orazio è sempre citato dagli uni e dagli altri: e le sue sentenze, spartitamente, giovano ad amen- due. Io mi rimetto volentieri ad Orazio. Egli vuole che l’uso sia maestro, ma non intende già dell'uso corrotto, bensì,di: quello che è simile ad un veemente, liquido e puro fiume chè ricchezze apporta: Vehemens, et liquidus, puroque simillimus amni, Fundet'opes; Latiumque beabit divite lingua. E dichiara ‘ardita impresa il giungere alla meta, dovendo il giovane sudar nel cammino, molto fare, molto soffrire, sobrio e casto . Qui studet optatam cursu contingere metam, Multa tulit fecitque puer', sudavit et alsit, Abstinuit Venere ct vino. Se i. giovani, attenderanno a queste due sentenze d’ Orazio, poco male ritrarranno dall’ udire i consigli degli antipuri- sti, e de’ puristi pedanti. E per rispetto alla lingua non si scordino mai ‘i giovani toscani di queste parole del Salviati: siccome Firenz zè, siccome questa patria, siccome questo po- polo meglio e più leggiadr amente ch? alcuno altro favella, é siccome ella ha dato gli autori alla lingua; così più in Firenze che in alcun parita lungo, alla sua pulitezza, alla sua candidezza, al suo esaltamento, tutto giorno s ’attenda. Allora sì che noi.la vedremo fiorire, e render frutto per altra guisa che al presente non fab Lv) i Antonio BencI 514 _ SCIENZE MORALI E POLITI CHE SAGGIÒ POLITICO SUI POPOLI DELLA NUOVA SPAGNA. Mentre gli abitanti della nuova Spagna, imitando. 1’ e- sempio delle colonie vicine, corrono all’armi, non sarà tiputato inutile un quadro politico dei diversi popoli, i quali si dispu- tano il vanto di conquistarsi una patria nel gran pianoro di Messico. Ci servirà di guida il saggio politico sulla nuova Spa- gna, opera dell’ immortal barone di Humboldt , che è E) ignota in Italia . I censimenti eseguiti per ordine del governo nella nuova Spagna diedero per il 1793. ‘una popolazione . dimostrata di 4,483,529. abitanti. Ma accadde allora colà ciò che suole accadere anche fra noi. Il, popolo riguarda. i censimenti come presagj funesti di operazioni di finanze . Temendo.un, aumento di tasse, ogni capo di famiglia cerca di diminuire .il numero de’ suoi dipendenti . Chi tenne dietro minutamente allo spoglio. dei registri pensò , che bisognava aggiungere per lo meno un decimo alla popolazione cn e portarla per conseguenza a 4,934,880. abitanti. D’ altronde è dimostrato dai Vietri di nascite e di morti , e dal confronto del numero dei morti colla popolazione vivente, che senza il concorso di malattie;:di guerre, di carestie, ‘di flagelli straordinarj, la popolazione. della nuova Spagna doveva crescere di j4f100, nell’ intervallo di 10. anni,, Anche limitando 1 aumento ‘a 3fr0. nel. 1803. doveva ascen- dere a 4,400,000. abitanti, e nel 1813. a.8,300,000., Non è dunque esagerazione l’ attribia irgliene anch’ oggi 8,000,000. che repartitì sopra un territorio di 682,432. miglia Sei danno appena 12 abitanti per miglio quadro . hi La popolazione degli Stati Uniti crebbe con dna rapidità più prodigiosa . Nel r790. ‘vi contavano solamente 3,177,089. abitanti, e nel 1817. 10;405,547. Ma ‘i Messicani oppressi nel. 14.° secolo dal dispotismo «dei principi nazionali, nel \ 15. dall’a» varizia brutale dei primi conquistatori ; odiati dappoi dalla na- alone dominatrice , e negletti sempre dal Capo supremo dello 515 stato } che risiedeva a 6,000. miglia di distanza , non potevano moltiplicarsi al pari d’ un popolo libero ; protetto dalle leggi, e dall’ amore de’ suoi capi i La nuova Spagna è popolata , 1.° di Messicani indigeni, 2. di Spagnoli nati in Europa , o nella nuova Spagna , 3.* di ne- gri ‘schiavi nati in Africa, e di negri liberi, o schiavi nati in America ; 4. di meticci figli d’ un bianco e d’ una Messicana , oppure di un Messicano e d’una bianca, 5* di mulatti figli d’ un bianeo e d’una negra, 0 d'un negro e d’ una bianca , 6.° di zambos figli d’ un Messicano e d’ una negra, o d’ un negro e'd'ina Messicana . I pochi Malesi e Chinesi originarj delle Filippine , chesi sono stabiliti ad Acapulco non meritano d’en- trar nel computo . © I Messicani ‘indigenti , a dispetto dell’ oppressione in cui son tenuti , invece di diminuire , si moltiplicano sensibilmente da più di 190. ‘anni: Si può assicurare che formano oggi più di 2/5 della®popolazione. del regno, 0 chesono più di 3,400,000. Nell’in- tendenza ‘€’ Oaxaca fra 100 abitanti 88 son Messicani ; nel Gua- naxuato 45, nel Valladolid 40, nel Puebla 65. L’istoria ci spiega | perchè se'ne'incontrano pochi nelle provincie superiori, e quasi punti nelle provincie interne. Quando gli Spagnoli conquista- rono' il Messico , le provincie superiori servivano d’asilo a due popoli nomadi , ‘quindi poco numerosi, i Chichimechi e gli Otoîniti L’ agricoltura ‘colla civiltà era concentrata intera- mente nei *pianori situati sulla riva sinistra del Rio Grande, e tra la gran valle del Messico e la provincia d' Oaxaca. I Mes- sicani'èoltivatori naturalmente affezionati al suolo in cui vive- vario”) soffrirono tutti i cattivi trattamenti per parte dei con- quistatori, piuttosto che abbandonarlo ; mentre nelle provincie superiori , ove-si trattàva. di lasciare solamente’ una terra di pascoli, gli abitanti indigeni si determinarono senza ripugnanza a'tornare sulle belle rive del rio Gila ; sul Zaguanas , e nei monti di Grullas . I Messicani somigliano molto nella fisonomia é' nei linea- menti i popoli del Canada, della Florida, del Pèrù, del Brasile. Co- lorito bruno come il rame, capelli stesi e lisci, poca barba, cor- poratura ‘grossa e corta, occhi lunghi coll’ angolo voltato verso le tempie , gote prominefti,, labbra larghe , nella bocea |’ es- pressione della dolcezza ,"che sta in opposizione collo sguardo tristo ‘e severo ; tali sono i tratti che gli confondono a prima o 516 vista coll’ altre nazioni indigene del nuovo mondo . Ma chi sta lungamente coi Messicani si avvezza a poco a poco. a. ricono= scervi un’ aria di famiglia, che gli distingue da tutte, I Messicani vivono Lin pricach di Coltivatoti pacifici, av- vezzi ad abitare nei villaggi ta più di Goo anni, non han .pro- vate le vicende dei popoli nomadi o cacciatori del, Mississipì e del rio Gila. Obbligati:. a. mutrirsi uniformemente , e quasi sempre di. vegetabili , giungono quasi, tutti all’ età senile , quando non si alterano la costituzione , coll’ uso. eccessivo dei liquori .1 nostri viaggiatori chie. giudicano solamente dalla fiso- nomia , non ammettono la lunga vita dei. Messicani; perchè a dir vero senza consultare i registri delle parrocchie , che son divorati dalle tarme ogni 20 ‘o 30 anni, non si saprebbe. indo- vinare l’ età dei cRabiglisi nazionali, mentre non; divengono mai canuti. È più facile di trovare i capelli bianchi in un negro che in un Messicano - e d'altronde la poca barba dà al secondo un’ aria perpetua di gioventù. Le grinze nella. pelle sono. ugual- inente più rare, nei Messicani. A. mezza costa ve. nelle regioni della zona torrida giungono sovente \al.roo anni, sopra tutto le donne. L’ età senile non è incomoda , perchè il Messicano. con- serva la sua forza musculare fino alla morte. Nel 1803 morì nel villaggio di Chiquata un uomo di 143. anni: si era unito in matrimonio a 53 con una donna ; che morì di 117 ami. Fino a 130 anni faceva ogni giorno 3 o 4 leghe. a piedi 5 di- venne cieco 13 ammi prima di morire , e di 12 figli lasciò sola- mente una femmina di 76 anni . Le nostre deformità son quasi ignote. tra i Messicani ; i guerci gli zoppi i monchi son vere :rarità . Il famoso gigante. Salmerone, che era: alto 6 piedi e 10 pollici, nacque; da una Mes- sicana e da un meticcio nel villaggio di, Chilapa. Cercheremmo inutilmente di determinare l’ estensione;delle facoltà morali dei Messicani, nello stato, d’ oppressione in cui vivono. Gli uomini delle classi distinte , i quali mon mancava- no sicuramente nè di cultura nè di sapere, i mimistri del cul- to , custodì dell’ istoria nazionale, perirono quasi tutti per l’ar- mu degli Spagnoli. Le pitture ed i geroglifici,..che ., potevano perpetuarne vin qualche guisa la memoria, divennero preda .delle fiamme . Il popolo sopravvisse alla idistruzione ; ma obbligato a vivere o a morire nelle miniere o nei canipi, come mai po- leva pensare ad istruirsi ? Auche le nazioni dell’ Europa cad- 5an dero nell’ ignoranza ‘e nella barbarie, quando le orde erranti dell’ Asia centrale inondarono le sue belle contrade . Come,non dovevano cadervi i Messicani? Non restavano della nazione altre classi che i poveri coltivatori , gli artigiani, i facchini, che veni- vano trattati dai conquistatori, come tra noi gli animali da so- ma. Vi restava sopratutto una moltitudine di mendicanti , che si affollavano fin dal tempo di Cortez nelle strade di tutte le grandi città dell’ Impero. Come giudicar quindi della forza pri-. mitiva della nazione e del grado di civiltà, a cui era giunta dal 12.° al 14.° secolo ? Del resto non possiamo negarle una civiltà assai inoltrata , quando si considera che gli Aztechi costruiva- no fin dal 12.° secolo città , strade, argini, canali, piramidi gigantesche ; che conoscevano la vera. durata dell’ anno, e in- tercalavano il gran ciclo di 104 anni più esattamente dei Greci, dei Romani e degli Egiziani ; che scrivevano a perfezione in geroglifici ; che conoscevano. il sistema feudale , la gerarchia civile, militare, e sacerdotale , la distinzione delle classi in no- bili popolo e clero, il governo dispotico ed il governo repub- blicano ,:e professavano: una religione nazionale; e un culto pub- blico e solenne. Tuttocio è ignoto ai popeli barbari . Il Messicano ‘nel ‘suo stato. attuale MI: nè mobile nè ar- dente, come i popoli delle regioni equinoziali dell’Africa. Il suo sangue freddo è in perfetto contrasto colla vivacità impetuosa del negro di Congo. Bisogna vederlo come è serio, melanconico, e «taciturno , quando non è riscaldato dai liquori! La. serietà si mostra perfino nei fanciulli , i quali a 4.e 5 ami manife- stano più intelligenza, che i figli dei bianchi. Il Messicano è misterioso anche nelle più piccole azioni; quindi non mostra mai nei lineamenti del viso le passioni violente che l’ agitano . È terribile quando passa all'improvviso dalla calma a una col- lera impetuosa . Il suo carattere piuttosto che energico è ru- vido ; e la ruvidezza si mostra più che in altri negli abitanti di Tlascala, i quali ad onta dell’ avvilimento in cui son tenuti conservano sempre un’ aria di fierezza ; che gli fa riconoscere per gli antichi rivali di Montezuma . I Messicani come «tutti. i popoli, che. gemono da lungo tempo sotto il dispotismo. politico , conservano colla più decisa ostinazione gli usi, i costumi, i principj nazionali . La dolcezza sola dei religiosi missionari giunse a persuadergli di sostituire D alla religione antica il culto Cristiano , Amano le cerimonie, 518 perchè le amarono sempre; trovano nelle nostre feste di ché rallegrarsi. I canti di Chiesa, i fuochi d’ artifizio , le illumi» nazioni , le processioni, alle quali assistono danzando , gli diver- tono oltremodo .. Del resto avvezzi da. più di 600 anni.a servire, soffrono con rassegnazione i cattivi trattamenti, che ricevono dai bianchi. Si contentano di fingere , e celano odio sotto |’ apparenza d’un’ anima insensibile . Quando non possono vendicarsi. sugli Spagnoli, si vendicano sugl’ inferiori. I villaggi Messicani son governati dai nobili nazionali. Il governatore opprime e spo glia, perchè è sicuro di restare impunito . L’ oppressione cor- rompe dappertutto la morale . I Messicani appartengono quasi tutti alla classe del popolo. Non bisogna cercar fra loro per conseguenza l’amore e la pra- tica delle belle arti, che fan la delizia della vita tra i popoli culti. Quando ricevono una educazione più scelta, mostrano una gran disposizione ad imparare , uno. spirito. aggiustato , buon senso naturale , una attitudine singolare a confrontare. gli 0g- getti, e a notarne le differenze ; ragionano freddamente e con metodo; ma non h la mobilità d’.imaginazione ; il. colorito, del sentimento , l’atti@®di èreare, onde son dotati i popoli dell’ Europa, e della Persia. La musica ed il ballo partecipano della serietà naturale della nazione . Il canto è piuttosto melanconi» co - Le donne che son più vive degli uomini; ballerebbero.e canterebbero con più anima; ma condannate fra i Messicani come fra tutti i popoli poco culti al lavoro. e .alle privazioni ,,; sì contentano d’ assistere .ai. divertimenti. degli uomini, e di., provveder di liquori la brigata . i I Messicani conservano sempre un gusto deciso per la pit tura , e la scultura in pietra ed ‘in lagog . Non si saprebbe imaginare in Europa ciò che fanno con uncattivo coltello, e con un pezzo di legno il più duro. Si esercitano volentieri in di- pingere imagini, e in fare statue di Santi; ma imitano servil. mente da tre secoli i modelli, che. riceverono dall’ Europa al .tempo della conquista. I giovani educati nei collegi o nell’ ac- cademia di pittura si distinguono più per applicazione che per talenti ; e senza mai dipartirsi dalle traccie. dei modelli, mo- strano molta abilità nell’\arti d’ imitazione ; e più ancora nell’ arti puramente meccamiche . Il gusto dei fiori che trovò Cortez nel Messico non è di- 519 minuito ; e dimostra che la nazione sente vivamente il bello . Nel gran mercato di Messico non si vendono nè pesche , nè ananassi , nè legumi , nè liquori, senza che la bottega sia ornata di fiori , che si rinnuovano ogni giorno. I frutti son collocati in mezzo a una siepe d' erbe fresche, sopratutto di gramigne dalle foglie delicate . Mille piccoli mazzetti disposti con simme- îria fra due ghirlande parallele di fiori danno a tutto il recinto l’ apparenza di un tappeto fiorito . I frutti son distribuiti\con una eleganza ed un ordine inimitabile in tanti graziosi panie- rini di legno leggiero come il vetrice. I frutti ne occupano l’ interno; la superficie del panierino è tutta di fiori odorosi . I Messicani dei nostri giorni discendono o dagli ‘antichi plebei, o dalle grandi famiglie, che ricusando di'confondersi coi conqui- statori, preferirono di coltivar le proprie terre , che davano pri- ma a'coltivare-ai vassalli } Son divisi ‘per conseguetiza in due caste, di plebei tributarj, e “di nobili. Gli ultimi, per le leggi spugnole;, devono godere dei privilegj della nobiltà Castigliana , ma' si distinguono ‘appena ‘dai ‘primi . H nobile per la sempli- cità del vestiario, e per l’ aspetto di miseria, che preferisce al fasto, si confonde facilmente coll’ womo della classe ‘del popolo. Mail popolo non 'manca di mostrargli lil rispetto , che esige- vano le ‘antiche costituzioni politiche dell'Impero . Le famiglie dei ‘nobili ereditarj , lungi dal *protegdere il popolo , 1’ oppri- mono . Siccome governano i villaggi nazionali, e sono incaricati di stabilire ‘i tribati, non si contentano di secondare ’ avidità dei bianchi ; ma esigono mille ‘piccole tasse anche per proprio conto. D’ altronde i nubili Messicani son rozzi incivili ed igno- xanti come ‘la moltitudine. Entrano di rado nella carriera giu- diciaria o militare. ‘Quando’ gli Spagnoli conquistarono il Messico ; il popolo gemeva mella \miseria , e nell’ avvilimento . Tutte le terre più fertili appartenevano all’ Imperatore ai principi ai nobili ai mi- nistri del‘culto . I'mendicanti si riunivano a torme sulle grandi stradé ; la mancanza d’ animali da soma ne determinava più migliaja a farne le veci, e ad incaricarsi del trasporto delle derrate . La condizione del popolo divenne ‘anche peggiore dopo la conquista; si tolsero i coltivatori dai campi per trascinarli nelle miniere ; molti dovettero seguir ‘l’armata , e portarsi addosso pesi enormi tra'i monti ed i ‘precipizj. Tutti i beni apparte- | nevano al vincitore. Una legge assegnava ai vinti solamente un 520 piccolo campo intorno alla Chiesa. Così il Messico si spopolarà rapidamente . La corte di Madrid volle rimediarvi. L’ avarizia «ed i raggiri resero inutili le sue buone intenzioni. Introdussero il sistema delle commende.. I Messicani. divennero schiavi, più legalmente - Si divisero le. terre del paese. soggiogato; si re- ‘partirono gli abitanti in tribù di più centinaja. di famiglie, e vennero posti in balìa dei soldati vincitori, e degli uomini di legge , che la corte mandava a'governar le provincie . I. Mes- sicani costretti a vivere eternamente sul suolo , in cui si tro- vavano per così dire incatenati , lavorarono solamente per i com- mendatori . Le sciagure dei Messicani: durarono fino al. 18.mo secolo . Molte famiglie di conquistatori erano estinte... Il governo non distribuiva le commende. vacanti . I governatori delle. provincie presero interesse per la, nazione ,, la quale acquistò. allora più libertà e più agj . Carlo 4.° aboli le commende, e proibì | uso detestabile dei ripartimenti , per cui i corregidori disponevano delle braccia dei poveri coltivatori, e gli provvedevano a prezzi enormi di cavalli muli e vetture. Lo stabilimento : dell’ inten- denze fu un dono prezioso per i Messicani ; le wéssazioni che ‘ provavano i coltivatori per parte degli amministratori Spagnoli diminuirono a poco,p'1pabonpor la vigilanza degli intendenti , e; la nazione cominciò a refpirarie ; ed a godere del favor delle leggi . rr In nessuno Stato d’ Europa v'è tanta ineeniglinia come ia Messico nel reparto dei beni, al pari che nell’agricoltura,‘nellatpo+ polazione e nella civiltà. L’interno del regno ha quattro città po- polate di 50, 70, 80, e 160,000, abitanti. Il. pianoro (centrale; da Puebla a Messico , e da Messico a Salamanca. e Xalaya nè co- perto di villaggi e di casali; come ila, Lombardiai;. e sulle coste s'incontrano appena 12 abitanti per lega. quadra . Men- tre nella capitale l’ architettura degli edifizj,. l’ eleganza della mobilia. e degli equipaggi, il lusso delle donne , il;;tuono delle, conversazioni ‘annunzia un raffinamento prodigi nell’ alte classi, il popolo è ignorante e materiale . Le differenze si esten- dono anche alla nazione..indigena. I Messicani son rilegati nelle terre men fertili ;. quindi vivono nella miseria . Indolenti per carattere e. più anche , per motivi politici; vivono giorno. per giorno. E intanto le fortune colossali non son rare anche nell’, ultime classi del popolo, Nell’ intendenze d’ Qaxaca e di Val 521 ladolid , nella valle di Toluca, e nel Puebla si trovano molti ricchi Messicani, che han l’ aspetto della miseria . Una donna oscura di Cholula lasciò ai suoi figli una tenuta d’ agave , che costava 360,000. lire. L’agave è la ricchezza di molti tra i Messicani . Gli abitanti del Cholula son tutti sobrj , e di costu- mi dolci e pacifici . I Tlascalani vicini pretendono di discendere dalla più distinta nobiltà, son grandi amatori di liti, e dispu- tano perpetuamente . Le famiglie dei ricchi vivhan sovente un capitale di 800,000, a 1,000,000 di lire : godono d’ una grande stima tra gli inferiori; e non ostante vanno ‘a piedi nudi, e portano una veste ordinaria come l’ultimo del popolo , ») La popolazione della nuova Spagna , scriveva al Re il ve- scovo di Mechoacan nel 1799, è composta di bianchi, di Mes- sicani, e di razze miste. Quasi tutte le terre, e le ricchezze del regno si trovano nelle mani dei primi. Quindi i bianchi ed i Messicani sì odiano reciprocamente, come un padrone che possiede tutto, ed uno schiavo che non possiede niente . Quindi le discordie, le gelosie, i raggiri, i furti e l'inclinazione a nuo- cere ai ricchi, che regna! fra i Messicani: e quindi l’ arro- ganza, l’ insensibilità , ed il desiderio ,di abusar sempre della: debolezza dei poveri, che regna tra gli Spagnoli. I mali che derivano dall’ ineguaglianza delle condizioni si fan sentire dap- - pertutto, ma son più terribili in America , perchè non v° è mezzo termine fra i ricchi ed i miserabili, fra gli oppressori e gli oppressi, fra gli uomini illustrati o avviliti dalla legge, o dall’ opinione . I Messicani e le razze miste sono ‘in uno stato di umiliazione estrema ..Il colore, l’ ignoranza e la miseria gli pongono a distanza infibita dai bianchi, che tengono il primo posto . I privilegj che accordano le leggi alla nazione indigena son puco utili, o piuttosto nocivi. Una antica legge gli obbliga ‘ad abitare in tanti piccoli villaggi di 1600 metri di circon= ferenza ; gli priva del diritto freni di proprietà ; gli co- stringe a coltivare i beni comuni . Quindi lavorano mal volen- tieri, perchè non hanno speranza di godere i frutti del la- voro . Lo stabilimento delle intendenze gli priva dei soccorsi, che ricevevano dalla cassa comune, perchè vi vuole una per- missione espressa del collegio delle finanze. I beni comuni son'dati in affitto. dagl’ intendenti ; la rendita si versa nelle casse reali, ove gli agenti della corona ne tengono un conta a parte sotto il titolo Sai proprietà de’ villaggi. Ma i villaggi Mn > non han più proprietà, perchè gl’ intendenti non proteggono più la nazione; perchè sono stanchi di. chieder soccorso; men+ tre è ricusato. Il collegio delle finanze vuole il parere del fiscale e dell’ assessore del Re. Si passano i mesi e gli anni in aceumular suppliche; e in fine. niuno risponde; e il de- naro dei villaggi passa intanto in Europa. ;, L’intendente di Valladolid vi mandò nel 1799 quasi 1,000,000 lire accumulate in 12 anni. E rappresentò al Re che era un: dono dei. Messi cani di Mechoacan, e che lo facevano per aspiatio a conti muar la guerra contro gl’ Inglesi. Ed ecco come s’ ingannano i Re!,, Nel 16.° secolo si discuteva seriamente, sei Messicani doves- sero contarsi fra gli uomini o fra i bruti; e si credè di trattarli su- periormente al merito, considerandoli come pupilli, ponendoli in perpetuo sotto la tutela dei bianchi, e dichiarandoli inabili a con- trattare per più di 15. lire. Così i Messicani, finchè vivono sotto il governo Spagnolo, non potranno mai migliorar condizione, e pro- curarsi qualche agio coltivando la terra, o esercitando le arti. Quindi trae origine l’indolenza ed il sangue freddo, che di- stingue i Messicani; resi insensibili al male non provano più ‘| nè la speranza nè il timore. Una legge barbara gli divide per sempre da tutte l’ altre caste; che popolano la nuova Spagna, proibendo ai bianchi di stabilirsi nei villaggi dei nazionali , ed ai nazionali di stabilirsi fra gli Spagnoli . Così si perpetua l'odio tra le due razze. Là nazione è governata dai suoi nobili; tutti i ma- . gistrati son Messicani; sono scelti. per governare, o perchè ap- partengono ad una famiglia illustre, o perchè hanno comprato il governo . I capi dei villaggi non hanno altra occupazione che di mantenere l’ ignoranza, i pregiudizj, e la barbarie nel popolo. Otto o dieci vecchi vivono così in ogni villaggio nell’ ozio ‘a_ spese di tutti gli altri abitanti . Ma in fine che si sperava d’ ottenere separando i Messicani dai bianchi, e tenendogli nella miseria ? Che si lasciassero frusta- re pazientemente e per sempre alle porte delle Chiese? Non è forse noto; che sanno agire quando lo vogliono ? Nella gran ri- voluzione suscitata mel 1781; poco mancò, che il Re di Spagna non perdesse tutte le provincie interne del Perù, mentre la gran Brettagna perdeva quasi tutte le sue colonie del nuovo mondo . Quando Tupac Amarù si mostrò alla testa d'una armata davanti a Cusco, tutto il popolo lo riconobbe come discendente dei suoi an- . 523 tichi Re, e come figlio del sole. Trasse nel suo partito i meticci ed i creoli, giacchè non odiava altri che gli Europei; i Peruviani esterminarono nemici e alleati. La ribellione durò due annì. Gli Spagnoli giunsero a porre in catene Tupac Amarù, e lo squarta- rono con tutta la sua famiglia in Cusco; ma quando lo conducevano - al supplizio, gl’ indigeni si prostravano a terra per adorare il figlio del sole. Gli orrori commessi nel 1781. e 1782. sull’Ande si rinnuo- varono in parte 20 anni dopo nel pianoro di Riobamba . I Messicani non sono esenti dai tributi. Tutti i maschi fra i 16 edi 50. anni pagano un testatico, che'nel 1600 ascendeva a 36 reali, e che ridussero dopo in qualche intendenza fino a 24. e a 8. Nella diocesi di Mechoacan e in quasi tutto il Messico pagano oggi 16. reali. IL Vescovo di Mechéacan nel 1799. contava 8105000. famiglie di Messicani, ed altri uomini di colore nella nnova Spa- gna . Nelle elassi più agiate una famiglia spende per vivere da 300. piastre all’ anno; nelle classi inferiori 60. La prima classe è composta di-un 3°. della popolazione totale . Se invece del testa- tico si obbligassero i Messicani e gli altri uomini di colore a pa- gare l’ alcavala del 14 per cento come i bianchi , lo stato ne trar- rebbe una rendita annua di 5000,000, piastre, mentre non ne trae col testatico neppure un quarto . Così l'abolizione del testatico , unita all’ abolizione della legge, che divide i Messicani dai bian- chi, porrebbe un termine alle sciagure ed all’ avvilimento dei pri- mi., ed accrescerebbe le rendite dello stato . I bianchi tengono il primo posto tra gli abitanti della nuova Spagna in ragione di ricchezze, mentre son padroni di quasi tutte le terre , ed il terzo in ragione di numero, giacchè sono appena un 5°. della popolazione totale. Nel 1793 contaronò 103090, bianchi sopra 398,000 abitanti nel Guanaxuato; 80,000 sopra 290,900. nell Valladolid; 63,000 sopra 638,000 nel Puebla; 26,000 sopra 412,000, . nell’ Oaxaca; per conseguenza nelle quattro intendenze vicine alla capitale si trovavano 272,000 bianchi sopra una popolazione tota- le di 1738,000 abitanti. Sopra 1oo abitanti nel Valladolid 27 erano dunque bianchi, nel Guanaxuato 25, nel Puebla 9, nell’Oaxaca 6. Quasi 600,000 bianchi risiedono nelle provincie interne, e 1000,000 nel resto del regno. Nella nuova Biscaglia niuno paga tributo , perchè tutti si tengono per bianchi . I bianchi nati in Europa si distinguono col nome di capetoni; i bianchi nati nella nuova Spagna e nelle Filippine di creoli : gli Spagnoli delle Canarie si tengono tra i primi. A Messico sopra 524 1oo abitanti 49. son creoli, 2 capetoni, 24. messicani e 25% di razze miste. I capetoni son pochi; ne contavano. appena... 2500. nella capitale nel 1803; non oltrepassano 100000 in tutto... il regno; mentre i creoli sono sicuramente 1500,000. Così i cape-»\ toni stanno ai creoli come 1. a 15. Gli'uni e gli altri sono. uguali: in faccia alle leggi; ma gli amministratori che odiano irreconci=,. liabilmente i creoli trovano mezzo d’ eluder le leggi, e di distrug-., gere una uguaglianza, che offende troppo 1’ orgoglio Spagnolo», Tutti i grandi impieghi toccano agli Spagnoli d’ Europa, e da, qualche tempo anche tutti gl’ impieghi dell’ amministrazione del . tabacco e delle dogane . Un miserabile Spagnolo senza educazione ; senza cultura di spirito si crede superiore a tuttii creoli del mon. do; sa bene che gli Spagnoli d’ Europa non mancheranno di pro teggerlo , e che col favore della fortuna e delle circostanze in un paese; in cui i tesori si acquistano e si disperdono rapidamente, potrà giungere a un grande impiego , il quale sarà sempre ricu=}, sato ai creoli, benchè molto più pregevoli per talenti cognizio- nie morale. La venalità dei magistrati è un gran motivo di spe- ranza; perchè nel paese dell’ oro si compra tutto coll’ oro. Quin- di ha preso origine l’ odio inestinguibile, che fin dal,1810.,pose, V armi nelle mani de’ creoli per cacciar gli Spagnoli d° Europa dal) la nuova Spagna . E quindi pure fin dali’ epoca «della rivoluzione, degli Stati uniti i creoli dicevano sovente ;in aria di fierezza; i0,,, non sono Spagnolo, ma Americano; parole che manifestano, un odio,}. lungo profondo . PONE Gli Spagnoli in America son più inoltrati nella cultura, ins), tellettuale che gli Spagnoli in Europa. Le mattematiche, la chia. mica, la mineralogia, la bottanica sono studj familiari al Messico, a, Santa Fè, a Lima. Per tutto.i giovani creoli spiegano un talento,, singolare per le scienze. A. Quito ed a Lima son dotati d’uno,, | spirito più mobile, e d’ una imaginazione più viva; al Messico son più perseveranti nello studio. Non v'è città in America che riuni- sca tanti stabilimenti scientifici come Messico. La scuola delle miniere , il giardino nelle piante l’accademia di scultura e pittura, figurerebbero degnamente anche nelle nostre capitali d’ Europa., L’ Apollo di Belvedere, il gruppo di Laoconte, e cento statue an- che più colossali si trovano oggi riuniti sotto la zona torrida e in un pianoro più alto del gran S. Bernardo, e vi son giunte per una strada montuosa ed angusta come quella del gran S, Gottardo. La collezione delle piante che esiste all'accademia costò più di 200, 525 000 lire. L'accademia delle belle arti ha una rendita di 125,000 lire; me dà 60,000 il governo ; 25,000 il corpo dei proprietarj di miniere , e 15,000 son pagate d ai negozianti della capitale. L’acca- demia esercita una grande influenza vien gusto della nazione. Ne fan prova la bella architettara degli Licia la perfezione con' cui son tagliate le pietre, gli ornamenti dei capitelli, i rilievi di-.stue- co. I belli edifizj che si vedono a Messico a Queretaro a. Guana- xuato costarono quasi tutti da 1000,000 a 1500,000 lire; e non starebbero male nelle più grandi strade di Parigi, di Berlino, e di Pietroburgo. La statua equestre di Carlo 4.° ‘fas in bronzo da Tolsa professore di scultura a Messico non’ha rivali in Europa per la purezza di stile, e la perfezione delle forme, se si eccettua il Marco Aurelio di Roma. L'accademia delle belle arti riunisce . giornalmente più centinaja di giovani , e ciò che reca più meravi- glia in un paese, in cui i pregiudiz] di caste e di rango sono ine- stinguibili, i i giovani d’ogni razza, d’ ogni colore, d’ ogni classe , d’ ogni stato. d’ ogni professione vi si confondono insieme , per modo che il Messicano ed il meticcio si pone a lavorare accanto al bianco, e il figlio di un povero artigiano vi disputa il premio al figlio d’ un ricco. Dopo la fine del regno di Carlo 3.9 lo studio delle scienze naturali ha progredito rapidamente in tutte le co- lonie Spagnuole. Niun governo d’ Europa ha fatti tanti 'sacrifizj per estendere le cognizioni dell’ istoria dei vegetabili. Tre spe- dizioni bottaniche nel Perù, nella nuova Granata, nella nuova Spa- gna costarono 2000,000 lire. Le ricerche di 20 anni procurarono alla scienza più di 4000 specie di piante nuove, e sparsero il gusto dell’istoria naturale tra gli abitanti. I principj della nuova chimica son propagati nella nuova Spagna più che altrove. Fin sui confini della California si ragiona di chimica. La scuola delle - miniere ha un laboratorio di chimica, una ricca collezione di me- talli e di minerali, un gabinetto di fisica con superbi istrumenti costruiti da Ramsden, da Adams, da Lenoir, e da Berthoud , e una quantità di modelli fatti nella capitale col più bel legno del paese. Le mattematiche sono insegnate con gran precisione nella scuola delle miniere. Vi studiano anche il calcolo integrale e differenziale. Il gusto dell’ astronomia è assai antico nel Messico. Velasquez, Gama, ed Alzate vi si distinsero verso la fine dell’ ul- timo secolo. Quasi tutte le grandi riechezze della nuova Spagna appar-, tengono alla razza dei bianchi, Son distribuite nel Messico più T. IV. Dicembre 34 526 inegualmente che a Caracas, ed a Cuba. A Caracas i più ricchi proprietarj han 200,000 lire di rendita; a Cuba anche 600,000. L’ agricoltura rende più a Cuba che le miniere nel Messico e nel Perù. A Lima pochi proprietarj contano una rendita di 80,000 lire; quasi nessuno di 130,000. Nella nuova Spagna + v'è qual- the famiglia, che senza le miniere .si trova una rendita di 1000, 000 lire. La famiglia Valenzana, che è divisa in tre rami, gua* dagna sulle miniere di Guanaxuato 2200,000 lire all’ anno, ed ha inoltre per 25,000,000 lire di terre sulle Cordigliere. Il conte di Regla fece costruire a sue spese nel. porto della Havana due bastimenti di prim’ ordine in legno d’ acagiù e di cedro per do- narli al Re. Con una sola vena di metallo nel distretto di Som- brereta la famiglia Fagoaga guadagnò in 5 a 6 mesi da 25,000,000 lire. L'ultimo conte di Valenzana traeva sovente dalle sue mi- niere fin 6000,000 lire all’ anno. Negli ultimi 25 anni non gli resero mah meno di 2 a 3000,000. Non ostante morendo lasciò solamente un capitale di 10,000,000 lire ; perchè |’ ma si ac- - cumula al Messico rapidamente, e si consuma anche più presto. Lo scavo delle miniere è un giuoco di sorte. I ricchi proprietarj per arricchire di più, profondono tesori immensi ai ciarlatani , che cercano nuove miniere in paesi lontani. Vi vogliono sovente 2000,000 lire per aprirne una sola. L’ esecuzione i: un progetto chimerico assorbisce in pochi anni tutta la rendita di una ricca miniera. Il disordine che regna nell’ amministrazione domestica delle grandi famiglie va talvolta sì lungi, che un capo di fami» glia si trova nell’imbarazzo con una rendita di 500,000 lire. Le, miniere son la ricchezza principale del Messico. Molti proprie- tar) ne traggono buon partito , impieg gando i metalli in com- prar terre, e diveltarle. Ma vi sono anche molte famiglié ricche senza miniere. La famiglia Monteleone originaria della Sicilia, a cui appartiene oggi il marchesato della valle, come erede dei Cortez, ha una superba tenuta nell’ Oaxaca, che rende 550,000 lire all'anno. Le spese di amministrazione gli costano più di 125,000 lire, ma gli amministratori vi arriechiscono subito, Dopo tutto ciò non devono recar meraviglia i tratti gene- rosi che si citano dei grandi del Messico. Il corpo dei proprietarj delle miniere prestò dal 1781, al 1787, 4000,000 lire a una so- cietà, che voleva intraprendere un gran lavoro, e mancava di denaro. La famiglia di Fagoaga prestò gratuitamente 3500,000 lire ad un miserabile, che arricchì per quest’ atto di beneficenza. Î 927 La costruzione del tribunale delle miniere costò 3000,000 lire. S’ immagini quanto costano tutti i belli edifizj costruiti ultima- mente nella capitale. L’ineguaglianza delle ricchezze si estende anche al clero. Mentre qualche ecclesiastico vive nella miseria , qualcun altro è più ricco di molti principi d’ Alemagna. Tutto il clero della nuova Spagna non oltrepassa 10,000 tra preti secolari e religiosi ; mentre in Spagna il solo ordine monastico di S. Francesco è com- posto di 15,000 individui. L’arcivescovo di Messico ha 130,000 piastre di rendita, il Vescovo di Puebla 110,000, di Valladolid 100,000, di Guadalaxara 99000, di Durango-35,000, di Monterey 30,000, di Yucatan 20,000, d’ Oaxaca 18,000, di Sonora 6,000. Tutto il clero non ha più di 15,000,000 lire di rendita; ma i suoi tesori in capitali d’ipoteche sui beni dei privati vanno a 44,500, 000 piastre, o a 234,000,000 lire. Si esagera molto in Europa la profusione, con cui i bianchi impiegano nel Messico l’oro e l’argento in vasellami , in mobilia, in vasi da cucina, finimenti » chiavi, toppe e gangheri da porte. Ma ì viaggiatori sanno che non v è più abondanza di metalli preziosi nelle case del Messico, che in Portogallo ed in Spagna; e che se vi fanno più uso di bicchieri, e di piatti d’ argento , che nell’ Inghilterra ed in Francia » ciò accade, perchè è estre- mamente difficile di trasportar le porcellane nell’ interno, per la natura delle strade ; e d’altronde in un paese in cui il com- mercio è molto limitato, è indifferente il tener qualche centi- najo di piastre in numerario, o in vasi d’argento. Del resto è ridicolo a vedersi il popolaccio di Messico , il quale passeggia per le strade a piedi nudi, ma con grandi sproni d’ argento. Vi son pochi negri nella nuova Spagna, e quasi punti schia- vi. Si gira per la capitale senza incontrare un sol viso nero. Vi sono appena 6oo0 negri tra schiavi e liberi in tutto il regno, e da 10,000 schiavi indigeni, i quali risiedono quasi tutti nei porti d’ Acapulco e di Vera Cruz. Le leggi non permettono di fare schiavi gli Americani indigeni. Pure gli Spagnoli della fron- tiera si divertono a perseguitare i selvaggi indipendenti dei paesi vicini per incatenarli , e trascinarli a Messico , ove gli pongono in carcere, per quindi condurli a lavorare a Vera Cruz, ove periscono poco dopo per il cangiamento del clima. Tra i 74,000 ne- gri, che vengono annualmente dall'Africa nelle regioni equinoziali ‘dell’ America e dell'Asia e i quali costano da 120,000,000 lire, — 528 appena ne comprano un centinajo sulla costa: del mar:del Messico: Del resto al Messico gli schiavi son più protetti che nell’altre colonie. Le leggi s’ interpetrano sempre in favore degli schiavi; il governo desidera di veder crescere il numero dei negri libe- ri. Uno schiavo, che ha acquistato un poco di denaro a forza d’industria può obbligare il padrone a liberarlo, pagandogli da 1500, a: 2000 lire, anche se è costato il doppio. Uno schiavo maltrattato si libera senza spesa, quando il giudice ne conviene; Le razze di sangue misto formano nella nuova Spagna (una popolazione di 3000,000 d’anime. Per un raffinamento di vanità si sono inventati 5, o 6 nomi per distinguere le gradazioni dei colori, i quali derivano dall’ alterazione del color primitivo... Il figlio d’ un bianco e d’ un Messicano indigeno si chiama mebicol. Il suo colorito è quasi perfettamente bianco, e si distingue più per la trasparenza della pelle , la poca barba, la. piccolezza delle mani e:dei piedi, e una certa obliquità nella direzione degli occhi, che per la qualità dei capelli. Se un meticcio si congiunge ad un bianco, la seconda generazione nom differisce: quasi più dalla razza ;d’ Europa. I meticci sono 17/8 di tutta la; razza mi- sta. Godono la riputazione d’ un carattere più. dolce che i ma- latti figli di bianchi e di negre, i quali riuniscono vigore d’ani- ma, violenza di passioni, ed una singolare speditezza di lingua. I discendenti di negri e di Messicane portano a' Messico a-Lima ed anche alla Havana il bizzarro nome di Chinesi; sulla costa di Caracas, e nel resto della nuova Spagna gli chiamano zam- bos. Il nome di zambos si estende anche al figlio’ di/ un) negro e d’ una mulatta, o d’un negro e d’ una Chinese. Distinguono il zambos comune dal zambos negro, che è figlio. dì un negro e d’ una zambos. Le razze di sangue Africano conservano, \l.in- grato odore , che distingue anche le due razze primitive. I figli d'un bianco e d’una mulatta si chiamano quarteroni; i figli d’'una quarterona e d’un bianco portano il nome di quinteroni ; il figlio d’una quinterona e d’un bianco somiglia pesvanie i bianchi per il colore. La quantità di sangue Europeo, che scorre nelle vene d’un uomo di razza mista , e il colore più o meno chiaro della sua pelle decide di qual grado di stima deva godere nella società, e in quale opinione deva tenersi. Un bianco che monta a ca- vallo a piedi nudi per maneanza di scarpe, crede di appartenere alla classe dei nobili più illustri; il’ colore rende ‘uguali due 29. > uomini, i'«quali in- paesi. men culti prenderebbero piacere a di- scutere.le prerogative di grado , o d’ origine. Quando un plebeo disputa con un. grande, gli dice sovente: vi credereste forse più bianco di me? V’è dunque. un. grand’ interesse a valutar con precisione la quantità di sangue Europeo, che scorre nelle vene d’ogni casta. Secondo i principj stabiliti dall’ uso sì .ac- cordano ai quarteroni 3,4 di sangue bianco e 1,4 di negro; ai quinteroni 7,8 di bianco, e 1/8 di negro, ai zambos comuni 1/4 di bianco, e 3/4 di negro, e ai zambos negri 1/8. di bianco e' ‘7,8 dì negro. Potrebbe esistere nelle razze miste e. mulatte qualcuno che per il. colore, la fisonomia, ed i talenti si confondesse co- gli Europei; ma la legge gli tien tutti nell’avvilimento e nel disprezzo. Dotati. d’un carattere energico ed ardente, odiano i bianchi, e l'odio gli porta non di rado a spargerne il sangue. Le famiglie, sulle quali si ha sospetto che appartengano alle caste. di razza mista riescono spesso a procurarsi dall’ alte corti di giustizia \un \decreto, che le dichiara bianche; qualche volta anche i mulatti assai bruni giungono a farsi imbiancare ( co- me ‘dice il. popolo ) a forza di argento. Quando gli occhi si oppongono. evidentemente alla dimanda , i giudici si esprimono nella decisione in termini problematici, e autorizzano il suppli- scante a riputarsi bianco. Gia G. R, P. URAGGUAGLI BIBLIOGRAFICI; CORRISPONDENZA Ec. ‘000 Lettere di Pamjftlio a Polifilo sopra l’ Apologia del libro della Volgare Eloquenza di Dante. Firenze 1821. (Articolo co- amunicatoci dal Sig. Ahate Giovanni Pagni). Tre sono queste lettere, che annunziamo agli amici della nostra lingua, e della verità; nel principio della I. l’autore si propone di far qualche nota alla nuova Apologia del libro di Dante della Volgare Eloquenza, non per combattere coll’ illu-. stre Apologista, ma per esaminare le sue ragioni, e non come avversario, ma come amico. Nè di tutte viene all’ esame; ma di quelle sole , che a lui paiono essere quasi il fondamento , ovvero la somma di ciò, che l° Apologista intende di provare. ‘E dopo averle nella I. e II. lettera, e in gran parte della III, nobilmente e. solidamente ribattute fa vedere, e toccar con. ma- 530 no al suo Polifilo, che ogni lingua comincia. dall’ esser di alette e diventa comune per adozione di altri popoli . Quindi, passa a dimostrare che, non si può togliere a Firenze la gloria di aver coltivato il suo linguaggio particolare, e quello perfezionato in modo che tutti gli altri popoli Italiani adottarono quello come, divenuto più nobile per gli eccellenti scritti, che in esso erano stati composti. La chiarezza e l’ordine con che sono esposte dall’ erudi=, tissimo Autore le più certe e stabili dottrine intorno alla for- mazione delle lingue non potrebbe desiderarsi maggiore ; e la. giustezza , la copia, la forza delle ragioni, con le quali egli con futa i pensamenti dell’ A pologista, rendono questo scritto un mo- dello nel genere di quelli, che diconsi di controversia. E se per modestia è piaciuto all'Autore di nascondersi col nome di Pam- filo; questo suo libro veramente aureo lo fa ben, conoscere, Pien di filosofia la lingua e il petto e dottissimo nelle lettere Greche, Latine , ed Italiane. Molta finezza di giudizio si scorge nelle sue osservazioni, sopra i passi di Dante, i quali dichiara nel vero, e proprio sen-. so ; ritorcendoli poi opportunamente contro l’ Abi : e il tnallo ; che tiene nel rilevare le contradizioni del Muratori e del, Tiraboschi intorno all’ origine della nostra lingua , non può essere. A nè più: savio nè più rispettoso. Schiettezza poi, e proprietà soMmMA SI, ravvisa nelle maniere e forme del suo dire scelte dal buon se-. i colo; le quali danno a vedere, che l’ oro del trecento da ana mano esperta si può affatto purgare d’ogni ruggine d’ antichità, e darglisi tutta la foggia che vuole il nostro tempo. Anche lo stile di queste Zettere è convenientissimo al genere chiamato | didattico, sempre clezpnta e corretto, ma senza essere affet- tato, pregio assai raro a’ nostri tempi, sempre agevole e piano, e che talora sente di quella piacevole negligenza solo propria di chi ba fatto lungo studio nelle opere de’ migliori Toscani. Una quistione , nel lungo corso di tre secoli tanto agitata, può dirsi finalmente decisa, e ridotta oggi all’ evidenza dal no- stro Pamfilo: e chi in fatto di lettere è più amico della ve- rità che degli amici, leggendo ‘il nostro Autore, confesserà , che è vinta l’ Apologia del libro della Volgare Eloquenza di Dante , ma vinta in maniera che allo stesso Conte Giulio Per- ticari applaudito autore della medesima non sarà discaro, l’ es-. 531 sere stati tosì civilmente dichiarati gli abbagli per esso presi nell’ indicato suo argomento. Godiamo di sentire, che in Milano il Chiarissimo Sig. Ottavio Morali già Professore di Lettere Greche , ora vicebibliotecario di Brera, ed in Bologna altro Letterato di grandissima autorità, ed in Lucca S. Ec. il sig. Marchese Cesare Lucchesini, tanto erudito nelle antiche e sibi Lingue d’ Europa, abbiano di questo libro dato lo stesso giudizio , che noi. Del quale ul= timo giovi qui riportare l’ autorevole parere, come trovasi espresso nella lettera, che segue scritta ad un suo Amico in Milano . AB. GIOVANNI PAGNI Amico, e Padrone stimatissimo. Sono in villa, dove domenica in ora tarda ricevei le lettere di Pamfilo a Polifilo sopra |’ Apologia del libro della volgare eloquenza di Dante. Le lessi subito, ma non potei il dì se- guente avvisar Lei di averle ricevute, siccome fo adesso. La causa della lingua Toscana bersagliata da alcuni con gran calore è stata difesa in queste Lettere con sì forti ragioni, che, a mio giudi- zio, non si può desiderare di più. La vera critica domina in tut- to, quanto il libro, ed incalza sempre l’ applaudito Autore della Apologia, talchè non gli lascia modo di replicare ragionevolmente. Aî molti, e validi argomenti , che I autore adduce , ed alle incon- trastabili risposte da lui date alle obiezioni, mi permetta d'ag- giungere una osservazione fondata nella esperienza propria. Si oppone l’ esempio del Petrarca, il quale di sette anni fu co- stretto ad abbandonar la Toscana, dalla quale poi visse quasi sempre lontano. Esule in così tenera età non potè (secondo gli oppositori ) conservar la' memoria della lingua natia, e perciò la lingua da lui adoperata nelle sue rime non può essere Toscana , ma sì la comune d’ Italia. Io nacqui in Lucca di Padre Modenese, e di Madre Lucchese , e di cinque anni fui condotto a Modena. Di sette entrai nel Collegio di quella Città, dove i superiori che mi reggevano , i maestri che mi erudivano, i fanciulli che mi erano compagni, e i camerieri che mi servivano tutti parlavano la lingua Modenese , e solo iv co’ miei due fratelli parlammo sem- pre Toscano. Lo stesso è avvenuto a tutti quanti sono i Toscani »- che prima o dopo noi sono stati in quello, o in altri Collegi di Lombardia. Niuna maraviglia è dunque, che ciò sia accaduto an- che al Petrarca, il quale non in un Collegio, ma vivendo fra le 532 domestiche pareti, e spesso con gli altri Ghibellini Toscani colà rifuggiti aveva modo di conservar la memoria del linguaggiò natio. "Torno per poco alle lettere di Pamfilo. To non le commendo solamente per la giusta critica, che in esse si scorge, ma .an- cora per la moderazione , con cui sono scritte, per la chiarezza, e per la purità della lingua. In somma il libro è aureo in tutte le sue parti. Tale è la mia opinione, e tengo per fermo, che Ella non dissentirà da me. Mi ami, e mi creda uan $S. Pancrazio 26 Luglio 1821. rpg 143. (391 Suo Devotiss. Servitore ed ;Amice CESARE LUCCHESINI. Enrori bI PAOLO GIOVIO NELLE STORIE ; ir sli Br WEDETTO VARCHI tratta da un codice della gia Libreria Mestiere di Firenze . ados Questa operetta del Varchi è stata ritrovata in un codice Rin da Vincenzo Follini , bibliotecario. della Magtiabe+ china, e diligentissimo indagatore di tutte le cose che pentene gono alla patria . Quindi ei 1° ha inserita «in quella collezione d' opuscoli che pubblica il Cav. Francesco Inghirami!.mella Ba- dia di Fiesole . Dopo di che noi crediamo che ogni! tibraiò, che ristampi la storia fiorentina del Giovio , dovrà aggiungervi que» ste considerazioni del Varchi. Noi ne citeremo alcune perdi» mostrare quanto il racconto o le opinioni del Gioxio. fossero diverse allo stato vero delle cose . tir (8209 3; Quando il Giovio dice che Luigi Geticaiazdini rgonfalot es de; era desideroso’ della libertà , questo non è semplicemente vero;; perchè prima è dubbio , anzi si crede per molti/che egli tenesse il piè in due staffe, poi egli non amava la libertà, essendo dalla parte de’ Medici , ma lo stato alquanto più largo ,,. ,5 Nota dove discorre sopra la natura del popolo finrentino, ini pare che metta troppa mavza , perchè i fiorentini per lo più sono come gli altri uomini degli altyi paesi; e brevemente i particolari si possono in molte cose biasimare , ma l’ univer- sale per mio giudizio è di grandissima lode quasi in tutti. E quando egli dice che tengono un modo di vivere stretto e as- segnato , non so se vuole lodargli o biasimargli . E. quando se guita alla manicra degli antichi greci , de’ quali essi som i 535 Reati ;;non.$0 id’'onde cavato s’ abbia che i fiorentini sieno. di- scesi» da’ greci:» so bene che discesero da Fiesole ab antiquo, e da’soldati di. Silla. E quando racconta le discordie loro e , l’ uccisioni: dice vero; ma il medesimo hanno fatto quasi tutte 1’ altre repubbliche , e Roma più che tutte insieme » 3; Dice qui che la calamità di Clemente avrebbe tratto vere e pietose lagrime da uomini ancora stranissimi; e al- trove e nella vita del cardinale Colonna dice , che a niuno in- cresceva di Clemente , perchè avea offeso tutti , ponendo a’ preti decime , ritenendo i danari degli uffizi, e levando il salario ea’ dottori ec. ,, ,, È pur da ridere quando il Giovio dice : Clemente VII. osservando il titolo della pietà cristiana, ed avendo com- passione alle miserie d’ Italia , ec. : come se ciò avesse fatto per pietà e compassione , e mon per ira e sdegno; per non dire furore e rabbia . E più è da maravigliarsi quando seguita: la nobilissima città di Firenze era oppressa dalla vitupe- rosa e \gravissina tirannia de’ popolari e degli uomini igno- ranti ec. chiamando tirannia quello ‘stato ch’ era tenuto libero, . se bene era più licenzioso del dovere ; e' lo stato de’ Medici, che: era tirannia, usa chiamare libertà . ,, --il Queste ed altre cose par che giustifichino la sentenza del Varchi , allorche diceva : i Giovio non intendeva nè gli umori di Firenze; ‘nè la potestà de’ Magistrati , nè l’ ordine della repubblica. E il Varchi poteva ben proferire sì franco giudi- 2i0;, poichè aveva sommamente studiato negli uomini e nelle cose prima di comporre la sua storia ; siccome ne avverte lil Follini nella. sua dotta prefazione , citando gli studi originali fatti dal Varchi, che si conservano nella Magliabechiana . Il Varchi soggiunge pure le seguenti parole che mostrano evidentemente quale fiducia debbasi da noi riporre nel Giovio . 3; Non voglio lasciar qui di dire, come avendo il Giovio lodato nella storia Alamanno de’ Pazzi... e fatto menzione an- cora di Piero, chiamato Pieraccione Capponi : questi due, mentre che si stampava quel foglio dove si faceva. menzione di loro, se n’ andarono a *rovare il Giovio che era in Firenze, e'con brusco viso e buone parole, mescolandovi però alcune quasi minacce , gli dissero in somma che a patto niuno. non volevano essere menzionati nelle sue storie, e tanto fecero e dissero ; che. hisognò che egli facesse stracciare il foglio ch'era 534 di già stampato, e gli levasse . E questo fu manifesto. a molti. Ed io ne posso fare pienissima testimonianza , perciocchè il Giovio si dolse con esso meco oltra ogni misura ; e questo fa- cea più che per altro, penso io, perchè era usato che gli altri, i quali volevano essere in sulle sue storie , lo, pregassero e lo presentassero; come so io d’ alcuni : e costoro ja chi a lui pareva aver fatto questo piacere e favore in dono , l’ aveano» rifiutato, e tanto più che a lui pareva di lodargli grandemen- te:.... Ed io mi ricordo mentre che egli gridava ‘infino al cielo. poco meno che gittandosi via per questo fatto che io gli domandai ( se bene io lo sapeva ), dicevate voi il vero? Ed egli rispose., come , nol sapete voi? Perchè io ‘soggiunsi , bene, io per me non gli avrei levati. Ed egli rispose : voglio che me ne preghino . E come avvennero queste ; così si può pre- sumere che ne siano dell’ altre avvenute, quanto al levare @ al porre ora questi ed ora quelli delle sue storie ,} hi Il Varchi stesso però ha mancato alcun poco di critica nel seguente discorso . ,; Quando il Giovio racconta |’ orazioni fatte da’ »giovàni per cagione della milizia ; mostra bene che favellava” a caso. E nel vero, se niuno s° intendeva | poco delle lettere toscane , egli era quel desso , perchè, oltta a quello ‘che gli sentii dire io più volte ( come dire ; che il. Morgante era sì bello; e forse più dell’ Ariosto; e cotali altre sciocchezze ), le > lettere sue volgarmente scritte , delle quali io ho parecchie } lo mostrano. Ma che più ? Non dice egli nella vita di Niccolò: Macchiavelli} che il suo stile è più bello di quello ‘delle ‘no* velle'del Boccaccio ? Cosa tanto vera quanto che egli serivesse le storie con verità » favello sempre delle Blireniiani > che dell’ altra voglio lasciar dare il: giudizio ad altri ;; . A me pare che sia una vera scincchezza il ‘paragonare ; | non che l’ anteporre , il Morgante all’ Ariosto. Ma ‘mi sembra pure una sciocchezza il credere lo stile del Macchiavelli meno bello dello stile del Boccaccio . Amendue sono ottimi nella va- ria maniera delle loro composizioni: E chi detterà la storia, imiterà il primo : chi scriverà movelle , studierà' nel secondo . E le opere del Varchi, tuttochè ottime sieno‘, sarebbero lette con più piacere , se egli avesse imitato alquanto la maestosa è giudiziosa breviloquenza del segretario Fiorentino . CVA: BENCI BE | 535. VAI Sig. Edit. dell’ Antologia. Livorno ne’ 7. Dec. 1821... Non so se più debba ringraziarvi, 0 meco stesso dolermi per la premura con cui avete stampato il mio ,, Ragionamento sullo stato presente della lingua Greca ;, perchè avrei desi- derato farvi varie alterazioni ed aggiunte delle quali vi accen- nerò solo le seguenti. | La prima alterazione ed essenzialissi ma sarebbe stata quel- la della voce Romaica voce che non so come ‘indotto dall’ e- sempio. degli oltramontani mi sono lasciato stuggire dalla penna, e che è voce impropria riguardo alla lingua, perchè indica una distinzione dalla lingua antica ossia Ellenica che realmente non esiste , ed è servile riguardo alla nazione , come, quella che dai Romani fu, imposta ai Greci come denominazione di dipendenza e di servitù . Avrei ancora voluto in una nota parlare di alcuni Greci moderni i quali sparsero in Italia i lumi delle lettere come. di.un Argiropulo.,.di un Lascari , di un Crisolora , di un Ga- za 4 di, un Calcondile edi altri molti, e fra i viventi di un Foscolo, che di tante opere ha arrichita la letteratura Italiana ; ed..ora la sparge fra gl’ Inglesi in va rj giornali letterarj., e di una Angelica Palli che Livorno ha la. fortuna di possedere ; e che nel fior degli anni già riconosciuta per una delle prime poetesse| estemporanee d’Italia, ora s’inalza a più durevol gloria seguendo la carriera del Sofocle Artigiano , e che da due tragedie il Tieste e la Giulietta , date alle scene porge all’.Ita- lia speranza di veder sorgere un nuovo e valido sostegno della sua gloria drammatica . Forse queste aggiunte sarebbero state estranee al soggetto principale , e potrò con maggior proprietà trarne materia per altro articolo ; ma la soppressione della voce Romaica mi stà. a cuore , onde vi prego se in altra maniera mon potete appa- garmi di far conoscere almeno questa mia ansietà . Credetemi intanto . | Vostro devot, serva E. ELLENOFILO. Errat. pag. 441, nota. vat Z7ib - leggasi. das Veil. 536 Bibliotheca Classica. Graeca , cur..\typoth: gerr:Ga fl. Schaefero . 8. min. Lipsiae ap. J. A. G.. Ieigel. th Nel num 11. pag. 370. di questo Giornale noi abbiam data contezza «ai nostri eruditi Lettori della nuova Raccolta dei Clas- sici Latini, che si va pubblicando a Torino presso la vedova . Pomba e figlio ; ed applaudimmo ; come ragion voleva , all' ot- timo consiglio da essa preso di porgere con tal mezzo ogni più facile ed. opportuna occasione ai buoni studj, e contribuire alla migliore intelligenza di quelli scrittori , che ne formano il principalissimo oggetto, somministrando dei Testi. emendati e corretti non solo, ma forniti ancora delle più utili ed impor- tanti osservazioni e scoperte , che in fatto di Filologìa son state fatte in questi ultimi tempi per opera di eccellentissimi inge- gni sì Italiani, che Oltramontani. Ma se gran lode si. debbe al saggio divisamento di questa nostra. egregia. Italiana,, , non minor plauso egli è giusto che sia fatto, eziandio aì prestantis. simo Sig. Giovanni Augusto Amaddio ‘Weigel. di Lipsia,, che ultimamente ha intrapresa la stampa di. una Biblioteca, Glas- sica. Greca , nella quale egli viene a raccogliere l’intera serie de’ Greci Scrittori. Quanto possano e debbano gli eruditi ri- promettersi dalle dotte cure del Sig. Weigel. mon è a dirsi,; perciocchè i suoi meriti, ed i vantaggi recati alla letteraria re- pubblica, per tante belle, magnifiche, e. pregiatissime. Edi zioni di Greci Autori, finquì da lui procurate, sono oggimai sì conosciuti ed universalmente encomiati ,, che non\abbisognano di ragionamento , o d’ elogio. Pel fatto poi di questa, raccolta basti il dire; aver ella fino dal suo incominciamento , ottenuti pienissimi suffragj, e in Alemagna , e fuori , di essa, appresso ogni culta e civile Nazione . Lo stesso celebre . Coray ha, di recente assaissimo lodata , e raccomandata: ai Greci suoi com» patriotti, come cosa che può moltissimo contribuire appresso loro al ristabilimento de’ buoni studj . Quindi nulla si tralascia dall’ egregio Editore , affine di assicurare a questa sua impresa una verace e durevole riputazione . Ed otterralla di fatto : per- ciocchè nulla è a desiderarsi quanto all’ emendazione dei Testi, essendosi prese per norma le più celebri ed accreditate passate impressioni ; nulla quanto alla correzion tipografica , avendone assunta la cura il dottissimo Prof. Schaefer, sì benemerito dell’ antica Letteratura; nulla finalmente, quanto a’ pregj estrin- + seci della stampa, poichè questa. Raccolta verrà buttaquanta n "539 compresa in volumetti di piccola mole , agevolissimi all’ uso, di carta nitida, e caratteri non solo di forme bellissime , ma ancora chiari, distinti, ed a leggersi facilissimi . Nè questi soli vantaggi adorneranno la nuova Biblioteca Classica ‘Weige- liana ma sarà ella ancora viepiù commendabile per le molte recensioni e'collazioni di Codici Manoscritti , le quali sono state già fatte nelle più cospicue Biblioteche d’ Europa da Letterati espertissimi , affine di rendere più emendato e corretto il Te- sto con buone e giudiziose lezioni. A ciò si aggiunga , che in molti Scrittori si è avuta la diligenza di conservare il numero delle pagine delle Edizioni anteriormente citate , e di notare il numero de’ versi negli scrittori di Poesia ; e in quelli di Prosa sonosi ai luoghi opportuni posti argomenti latini, dimodochè ogni riscontro può farsi colla massima facilità . Andrà poi unita a questa Biblioteca una nuova collezione di Scolj Greci. Il primo volume di essa conterrà quelli di Proclo sul Convito di Platone illustrati con note del Ch. Sig. Boissonade ; ed ecco come essà verrà a ‘mobilitarsi anche per il pregio della critica e'della' ‘erudizione . Parecchi volumi di questa Biblioteca sono già ‘pubblicati, e possono ancora , ( ciò che conferisce mol- tisstitio al vantaggio degli studiosi ) aversi a prezzi, quanto miai moderati‘ e discreti. Rispetto alle Opere di Platone ; ché sono già sotto il torchio , saranno divise in otto Volumi, ed àvrinno il corredo di un Apparato Critico, che ‘da dieci dnnî csi ‘sta ‘preparando dall’ Editore, che, a dire il vero, fon tisparmia! né cure, nè spese di sorta alcuna, affine di Weder ‘condotta all’ esito il più felice questa sua letteraria int trapresa. Ma perchè il tutto fia più chiaramente maniféstò7 porremo ‘sotto gli occhi dei nostri leggitori l’ indice degli Au- tori, che sono stati finquì pubblicati . ‘Poctae ‘Tom. I. Aeschylus . — II. Theocritus; Bion èt Moi ‘schus — III Poetae gnomici. — IV. Callimachus. — V! Anacreontica cum ‘aliis Lyricis. — VI. Apollonius Rhodius-. — VII Orphica. — VIII. Hesiodus. — IX. Sophocles. X. XI. Aristophanes 2 Tomi. — XII. a XIV. Euripides e rec. A. Matthiae. — Tom. XV. a XVIII. Homerus. Scriptores Prosaici. — Tom. I. Aeschines. — II. Xé- nophontis Cyropaedia. — III. Oeconomicus ete. — IV. a VI Pausanias, e nova rec. Siebelis. — Tom.®VII. a IX. Herodotus'. = X. Xenophontis Expeditio Cyriì: = XI- Histo- - 638 l ria graeca. — XII. Mensorabilia. — ‘XIILOpuscula polit. equestr. et ven. — XIV. XV. Thucydides. 2 Tomi. — XVI a XXIV. Platarchi vitae parali. cogn. Schaeferi. Tom. I. a IX. — Tom. XXV. Herodianus. — XXVI. Plato. T. I. Scholia. — Tom. I. Procli Scholia in Platonis Cratyl. ed. et-not. adi. Boissonade . D'F. NOTIZIE DI ARCHEOLOGIA ORIENTALE Antiquitatis Muhammedanae Monumenta varia. Explicuit C. M. Fraehn Theologiae , et Philosophiae Doctor , et AA. LL. Magister. Petropoli ( Pietroburgo ) 1820. Questo libretto di 76 pagine in 4.9, non compresevi le quat- tro al Lettore, contiene un giudizioso Commentario sopra due Iscrizioni Arabiche in caratteri Cufici, che portano i titoli seguen- ti/ Epitaphium Cuficum Melitense , et Onyx Cuficus' Sorano- Neapolitanus. Sorprendono veramente , il.ricco apparato di Arabica erudi- zione , e Ja sagace critica , onde si conduce il chiarissimo Autore di questo Opuscolo , alla retta , e genuina interpetrazione di due Monumenti difficilissimi. Egli vince con questi mezzi, efficacis- simi in tal materia , tutti gli ostacoli, ove inciamparono , tentando la stessa cosa, i Signori Tychsen, Adler. ed Italinsky, fra gli altri, benchè d’altronde dottissimi, e delle cose Orientali cono- scitori profondi; per non parlare della sfacciata impostura del- l’ Abate Vella. Costui fece credere al suo Sovrano il Re di Napoli, che dall’ Iscrizione dell’ Onice di cui parliamo, aveva ricavato, che questa era stata fatta incidere da Rogero Normanno, fondato- re del Regno di Sicilia , nella solennità delle sue nozze; mentre non-contiene altra cosa che una bella sentenza morale tratta dal Korano. La quale impostura scoperse prima d’ oghi altro il bene- merito della Filologia Orientale Signor Professore Hager, della savia critica , e della schietta verità sostenitore caldissimo. Tanto è vero, come già disse l incomparabile Orientalista Signor Silvestro de Sacy , nella sua Memoria sopra alcune Iscri- ‘zioni Arabiche esistenti in Portogallo , che per ispiegare con buon successo le Iscrizioni medesime, ed altri Monumenti dello stesso ‘ genere , non basta avere una perizia anche profonda della lingua 539 iù cui sono scritti; ma. bisogna aggiungere a questa indispensabile coguizione , anche quella del genio, delle idee , delle opinioni re- ligiose , e dei pregiudizii medesimi della Nazione , alla quale ap- partengono tai Monumenti ; bisogna conoscere le formule. che le sono più familiari, avere irnparato a distinguere quelle che sono più specialmente appropriate a ciascuna specie di Monumenti , ed essersi finalmente addimesticato cogli avanzi dell’ antichità me- diante un lungo esercizio ; senza questi studii preliminari , e ben diretti all’ oggetto che prendon di mira , la sagacità natnrale, non serve spesso che a farci smarrire , sostituendo alla realtà un’ ap- parenza più brillante che solida. Che il chiarissimo Signor Fraehn possegga eminentemente tutte le qualità sopra indicate , deducesi abbastanza dall’ Opu- ‘ scolo che ora annunziamo , e di cui daremo in seguito un estrat- to analitico. Giovi intanto avvertire , che questo. libretto. può servir ad un tempo per Modello di urbanità , in fatto di criti- ca, osservando la rispettosa maniera usata dal nostro Autore, verso quei dotti, che prima di lui andarono errati, nel deci- frare i ‘Monumenti in questione. \ D. V. «AVVISO Dacchè il giornale dell’ Antologia ha incominciato ad essere composto essenzialmente d’articoli originali, mi sono avveduto di avere presso di me una quantità di traduzioni inedite, che mi era procurate anticipatamente per il miglior successo dell’ intrapresa. Cedendo alle istanze di diversi ami- ici mi son determinato a pubblicare in un volume a parte le più interessanti di queste traduzioni , sperando che i miei associati non ricuseranno di fare acquisto di questo volume , il- quale può considerarsi come il complemento dell’ Anto- logia per l’anno 1821. Pure non darò esecuzione al pro- getto, finchè i miei associati non vi avranno acconsentito, mandandomi la loro firma, e accettazione. Appena avrò riunite 250 firme, sarà posta mano alla stampa. 540 Questo volume porterà il titolo di Sepplemento al. VP Antologia per l’anno 1821, Sarà composto di 15 fogli, e stampato in carta e ser sto dell’ Antologia, e in carattere filosofia. Il prezzo è fis» sato a paoli 5 per gli associati dell’ Antologia, e paoli 6 per gli altri. Sarà pagato alla consegna del volume. I non associati riceveranno contemporaneamente un frontespizio col titolo: Raccolta di opuscoli letterarj tradotti ec, Con- fido che la mia proposizione sarà gradita. VIEUSSEUX. Fine del Tomo Quarto. Indio Delle materno corterus® r7e/ quarto WAimo | dz e Moral > Foltifcho dsserva Dt I Uulle 10 Se iena che è (efferato chose pufilicano AS sgliltara 5 bag. 36} (onfinazione de racconti Adelvee - Pero Minie 0.3 è. 370 fina dello giri peabblriha Ze brogerini dr Varigi ILA sirio e. eg r0r2) Adell Gpere 9 Golia PREDA: OM (egifaziino crimiralo (Giu}.3%1 Irugior Slavia & poltitia% CAI 9 Bayral( jd], 422. pi polisito Jar popo della nuo. ve (pagra) di Samfill (£ #9)51n VAZZZZA di NaotB Giors r2ello Sr 16) ca, 10% B Varchi, (A Bene) + 532 Seografo e Vizggi Line meloro ale cole? aovabili AS (a/eniino e Dellh9 Valla FT: Serra? CD) (CA. Benci}. 66 20; Se OT oo Vaggi 4, ; LFagguagli PA eraggi 9 (uillawd ro SUA n 17% Vluovo craggià di Scoperte rel'Gfua Jelég1S2. Laggueglt de ‘raggi di Burchell Pell if; meridionali «18% Via gg: erifteo all’ fa Or goal 3) 229. ) del crg (0 de Belzori in (i ZA o MIubiso Ia (LBI) + 283 Vasporié del 7Pizio N Vempi di Ir. 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(Crt /u/165 Srgus agree) Elrofiz 3€ Lelio 2A GHANA pere + Sonora) | 535 I,2/099 SUNDI pregpota? di ai covregosoni 9 aggiunte © 2/1 Voca: Solaris dell (puro fl {amp 9) hh More etimo 19 QIO UIL iaia del Sala Fal A. Berzi), L977 (bralilerazioni rrtterro hd alteri gii po. abiti lb Sgrò 1 Grana E Bordh9} Lebérso % Sami o 20 So1444 Sogrd l'Avolog1A? del (7870 deffa dogaro e/0gu era. 2A 2i Darrn®. (ra bag) 7 529 OZIVAZZA CA 0/4, ay 1029 die, pene ro, puliti. vi Apia I CISA Billisgrazai Note perio crificho 9: fra fisco. sihiio Irrità, MN AG 404. sel /. brad) i a Prehai Soranusy 0/1/1720 40 VAZZZOZI Ca/27% NEI, OR iso al 100atord deltty Bible MAG: VELEZ, . 167 (Gaa/350 regional dei (ji Dartie D'arntiibis@ postedat dali (iogrrara) TED, 30% (affezione di casier lelfai delle? I 02) Fl 643 Wario 370. otte dell edito dell'ontilgio 939 P 076/72) I (bo zero dell'Irad® Pagsaze HH Ugo Ines) ki 0/4 VEZZE pPpoenzAI Li Bagnoli II ar. 60/0 . Barr) 735. (Grzjò yareh in praterie di bi nia Ir/ueci Gosrd +6 I ag co Sul torto. Gy i146125 dI fogge. Sad VE a A Berne) 20%. Prendi Hel AM 04: SA (4 lamp). 205: (rel Ai leg. 16 0 009 Ss DI Air bel Let PN) Mili pr VAZ4RIZZO, (fire) MERE: o. Sprrron® Varano (0 mussed D' Los. Liri (4g, La i Urrtardd Dibiri Akita Pr: VA, A Pesi) di AI UIZIAZA Ei de' Rediii- GA Here) AA Ste pirase Agi ‘ arri. Dire. AMA la i 279 Viggo pisacco Di Corraniinopot TE Aefg (ALI, MAr, Sregramezi del Acc&adenzia» ANO Del BK gal 1522. SI ele ar rare nove Eh numilmarica) N pro Aeluzi . PIRRO b3. Morino Di Wrcheslizia Aien 7 t Sl. (2. 2) # PE | OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’'OSSERVATORIO XIMENIANO DELLESCUOLE PIE DIFIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 201. OTTOBRE 1821. CMATIENA NA DRE SS SO SSA ci gi w Wi Ca -T9|tL8 3 2.5 Fenomeni :8 5 DI &|8/8S EB 9.3 E - 3 3 (2 d 2 Ca di vario genere Ò e Ò (e) î c, Dei poll: lin. d Pali FAO ) i 1/28. 0,1 | 1159 $:0/90 Maest. {Sereno Calma 2128. 0,3 | 11,4 9d|92 Scir. . |Ser. con nebb.jCalma 3/28. 1,1 | 12,3, 11,9|90 Scir. |Ser. con nebb. Calma 428. 1,4 | 13,1| 11,990 Scir. |Ser. con nebb. Calma 14 0,4 | 14,0] 13,482 Scir; | Nebbie Calma 6|28. ‘0,4 | 13,1] 12,8[90 Scir. RINO Calma i 7|28. 2,1-| 14,0] 14,2|199]11358(Gr. Tr. | Pioggia Calua, piov. nella notte. 8/28. 2,1 | 14,0] 14,7|100].1,45/Lev.. | Piovoso Vent. Piog. nella notte i 9528. 1,4 | 14,5] 14,8|190/ 0,03/Scir. |Nuvolo 10|28. 1,4 | (3,0 14,9/90 bev.. . {Nuvolo 1128. 0,1 | 14,0] 13,0 90! + |Gr.Tr. Mistò ‘Ventò. è 12 25., 0,4 {4459 13,3 90! {Gr.Tr. Misto Vento 1328. 2,0N 13,1] 11 71/99 Scir. |Sereno ‘Gata - 1428. 2,9 14,91 11,9|93| Scir.. ‘Sereno Calma” 195/28. ‘1,5 | 15, ol 12,4 100 0,18 Levan. Piovoso' Ven. -Piog. e tuoni nella” | | | | notte. 16/27. 11,0 | 14,0 wa vo O) 64 Ostro Piano Calma 17|27- L13O|'I2,KE LI35 ;8 Lev. |Sereno Calma :18]27. 10,7 | 12,3| 11, s|90 Scir. ‘Coperto Calma 19|27. 10,55! 11,4| 10,418 Tr Misto Ventic. neve ai monti 120|27 10,5 | di 10, (as Lev [Séreno Calma LA RNA EU 21127. 9,6 | 11,4] gi Li Scir. |Sereno Calma 22 27. 8,1 | 12,7, 12,0 90 Scir. |Nuvolo oscuro Venticello 2327. 10,0 | 11,4 8, o 100. 0.60 Scir. |Nebbie Galma 24123. 0,0 | 11,0 9,0 100 0,02 Lib. | Nebbioso Galma 125/27. 97 |1 (a) 10, idr 0,61 Gr.Tr. Piovoso Calma 126/28. 0,0 | 10,6 11,6 80 Tr. Ser. con nuy. | Galma 27/28. 1,1 | 11,0 11,6 88 0,04 Tr. Nuvoloso Vento 2828. 2,1 | 11,0 10,5 80, Tr, Sereno Vento orte 12928. 3,2 | 10,1 10,5 75 dint Ser. limpido | Vento 30 28. 2,6 8, 3 8,9 70 G. Lev Sereno Calma É ini 1,7 | ro,1} 7,0 80 Sc.Lev Sereno Calma | Termom e ie S Ma | = \d \3 Ei SOR RRCRE E; He; IS (a es 3 im. sf S È o Di 9 Di NEO . |poll. lin. È di, 1|28: 0,3 | 13;t| 14,5/70 (2128. 0,6 | 12;7| 19,079 1 3/28. 1,2 | 14,0] 16,979 1 4128. 1,5 | 15,0 17,380 5/28. 0,45! 14,5) 10,487" | | tI | | É 6la8. Po 13 $ 15,5 9: 14 n 2; si 14,0 tate 94 123. 2,15, 14,5] 10,9 94 | 9/28. 1,4 | 1959] 17,7:85 ui” 1,4 | 14,5 E: 1128. 0,3 frie 16,483 12/23. 1,2 | 14,5. 17,9 80 (13.28. 2,3 | 145 16,403 14/28. 2,55 15,0 dei M15/28. 0,6 | 19,3) 16; ASA (I IRAN 116,27 11,3 | 12,3 3" 1452 slo B°7 11,6 | 13,1" 15,3 #9\27. 11;5 | 12,3 O {19/27 10,05) TT ci ri D) 34 o” 10,75) 12,3} 13, 9|79 È 21|27. 9,6{T isol r1,8/87 P2/27. 8,6 | 12,7] 12,2/100 (23/27. 11,55| 11,4 128/94 fo4|27. 11,0 | 11,05 12;1]94 (25/27. 10,35 o t0,4187 Mi. ® N26 28. 0,0 srigl38 I wc | 7 127 29: 14 tuo] 13,8 184 pe3 23. 2,5 | 11,44 12 (A 73 | 2928. 3,t | 11,44 #3 8] 61 fi :3038 2,25) 12,3{ 12,0/54 È 1/28 eg ui ‘13;6172 Mii | I MEZZOGIORNO a tris ho > w n Mi, sE > S SE Fenomeni Laici co ce) ù a) a î Re. nti, 5 È A di vario genere ' Gr. Tr.|Sereno Calma Os. Sci. Caliginoso Venticello Lib.° |Ser. con nebb. Calma Seir. |Ser. calig. | _ (Calma Seir. | Ser.con nuvol | Wenticello ì Greco INavoto Neb. | Venticello 0,03 Gr.Le. ‘Provisò 0,04| Se!Levi Nuvolo Piov. TriGr. | Mistò Greco |Coperto lore melito Tr. Gr. Nuvoloso i Tr. Gr. Sereno Pr. Gr. Sereno py fig) 0,14 Gr. Tri Pìsvoso Tr. !Ser.connuv. Po.Lib Piovoso Gr. Tr. Misto Gr. Tr. Sereno Scir. lser: con cal. 0,54 Sc.Lev-Pioggia 0,26 Scir. | Piovosb |Lîb. I Nd calig. cl IT | Ti. Gr. Tr. Gr: Nuvoloso ‘Tr Gr: TrGri Tr'Gri MPiGr. Ser. limpido Sereno .calig. “Sereno | Calma i Calma Ser. con nuv. Ser. con nuv. Venticello Venticello Venticello Vento piùttos. gagliardo j Calma, Sole pallido ii Calma iÙ Venticello | Calma Venticello Vinticello Calma Venticello. Venticello Venticello Verticello | Venticello | | pi Venticello Venticellb Veérto forte Vento forte : Ventitelld | | Wenticellò I | Lee | 3 | SERA A ORE TE { ti 2,25 II A, 11,4 PI DI om. {| tg > i devi ARE RI. O | ' S = | SH i; Fenomeni | 5 1 E |R/S81 SE 5° vii | 7 3 | 3 i 3, 8 È di vario genere | e ——___———__—_ _ —_——_ _— _—<6€“__ ——_ ——Iiij 0,4 “da inizio Scir. nel sereno | Venticello il . 0,9 | 14,0 13,6 80 Scir. ‘Ser. con nebb.! Venticello . . 1,4 | 15;0 14,9 90 Ostro Ser. con nebb. Venticello | . 0,7 | 15,5 14,5 go], |Lib. ‘Ser. connebb. Calma | Lot dai a di Hai eo con nebb. Calma : il | | | Î e e e eek e lÒh;oxo,_. _x._o]_xkpkkl,],},.... ._._.._@ttmmmmmu.| {il | | | ; Il 1,2 | 14,5| 15,0 100 Gr. Tr. Nuvoloso Calma , | 2,3 | 14,5| 15,0,94 0,15 Lev. Pioggia Calma Ill 1,6 | 15,0 15, 0 100 Scir. Nuvolo Calma | ty: ito 15,0 90 Gr. Tr. Nuvolo Venticello H-(l 0,2 | 15,6| 15,0 90| ir Nuvolo Venticello | | | \ Il 0,3 | 14,5 14,088 Greco |Nuvolo Venticello Il 1,4 | 15,0| 14,0 90 Lev. |Sereno Venticello | 2,7 | 15,0: 13,6 89 Gr. Tr. {Sereno Venticello |R 2,0 16,0) 15,0 100 Lev. _|Misto Calma Il 0,6 165, 14,0 100] 0,02 Lev. |Coperto Calma | . 11,1 } 14,0 12,7/90 _ {Gr.Lev. Vario Calma Ì - 11L |14,0 12,3 85 ‘Gr. Tr. Misto Calma i 10,7 12,3 11,4 190 'Lib. . Nuvolo Calma 10,3 | 11,0 9,7 84! Gr. Tr. Sereno Venticello | o 9,6 | 12,3. 10,6 it (Gr. Tr. Sereno Calma | a | ì Con I 27. 9,0 | 12,7: 12,3 90! Scir.L. Coperto Venticello i 9,5 | 12,3 12,3 100. 0,02 Scir.L. Coperto Calma i) + ‘169 11, 9,7 95 0,12 Scir. ‘Sereno Calma 10,1 { 11,4 11,4 100 @,13 Lev. Piovoso Calma . 11,4 | 10,6 11,4 80 0,03 Gr. Tr. Nuvolo Vento | Vita) | peo i | 26 28. 0,0 | 11,4 11;0/90 #1 Nuvolo Vento ‘27 28. 1,7: 11,9 11,4 80 Tr. Gr. {Sereno Vento | 128 28. 2,7. 11,9 11,4 80 Tr. Gr.| Sereno Vento 29 28. 2,7 | 11,4 11,4 80 Tr. Gr. | Sereno Vento 30 28. 1,6 10,6 93 70 Scir. L. Sereno Vento ‘31,18. (Greco |Sereno Calma | OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO DELLESCUOLEPIE DIFIRENZE WIN Alto sopra il livello del mare piedi 201. NOVEMBRE 1821. ese di INovembre anno 1021 ci MATTINA A ORE 7 Termom. = di da = Di CSO F : Ei 2 Pigi Le Î = 0,5 enomeni Di 5. O NI = = id 3.3 (cHe) ® © Mep O Si x 4 ; ue S 4 | 5 x Di di vario genere Pi 5 S ba] © Q © De) ° c e | ì Fi mel | L i polllin, dl ol. 0 1'128. 3,0 | 10,2 5,7! Sy Scir. |Sereno Calma | 2,28. 3,6 | 9,7 5,3. 87 Scir. |Sereno Calma + [730206 (453.1 gg 5,7, 92 Scir. pr Calma 4 28. 2,5 | 10,6 9,7; 93 Se.Lev Nuvolo Venticello 5 27. 9,1 | 11,3| 11,9] 88 Ostro .Piovoso Vento forte | . 6128. 0,75) 7,9 6,6! 85 LI TOCCTRE - |Ven. neve alle alt. adiac.'‘3| | 7|28. 2,9] 7,5) 5,7| 77 Os.Lib | Sereno Venticello 11 8128. 3,5] 7,9] 6,2] 76 Greco |Sereno Venticello 928. 3,6 | 7,5] 5,5) 81 Tri Sereno Vento 10/28. 4,0 | 7,5] 5,7| So “De Sereno Venticello a 45 | 7,0 ti 9I de Tr. Sereno Vento 1238. ‘3,9% 0,2) ‘2,3 90 Scir. ‘Sereno Calma. Brinata D3 BI 3 5,0. 2,1} 94 ‘Sc.Lev Sereno Venticello. Brinata 14.28. 4,89 7,7! 5) 95 Scir.L. Ser. con neb. Calma a Pon. | 8,6 ; i Do, ga (AE Nebbioso | Venticello cal. ai monti $ A ; #16 28. 4 | ca 88 dl Gr. Tr. iNcbbioso niet perfetta 17 28. 3,8 | 10,2 9,3 97 Tr. 'Nebbioso Calma perfetta {13 28. 4,7 {10,6 10,2! 97 Ostro Nebbioso |Calma perfetta #19 28. 5,2. 11,1 \Ir,1 GO) Os.Sci. Nebbioso Calma i 2028. 4,6 1; Il;t si ‘Lev: TASADIa ‘Calma | 12,4 12,4 90 Tr. PORPRUGR Calma 22 28. 2,4 | 11,9 10,6 97 G. Lev Nebbioso Calma 23 28- 1,4 | 12,4 (11,1 90 Ostro | Nebbioso Venticello 24138. 1,1 (|MLLd 953:100 Tr. ‘Ser. conneb. Venticello 'Ost.L. Nebbioso | Venticello } 2628. 0,9 | 11,5 881 08 \Ostro (PIECE Calma Neb. al piano 2723. 0,5 | 11,1] 8,8 100! Os.Lib Nebbioso Calma. Neb. al piano | i o) Scir.L. Nebbioso Venticello. Neb. al piano. Ostro Nebbioso Calma. Po.Lib Neb. foltiss. | Calma il : MEZZOGIORNO i: 20 28. 4,55 06 13,7! 55 Gr. Tr. er: Nebb. ;Calina + LL | e. Termom. | =| + > 1, | lo S TESI A LE E oi Fenomeni aa RE ES deo | id D © T |o|° 5 di SE edi {= 9 È S|S Ei 3 su i vario genere I A I) a Ms È 5 o |o ) ] ct | URRA ER I lin. | | i 1|28: 2,9 {11,9 it, 8| 79 Scir; !Sereno calig. Venticello 2/28. 3,6 '11,I 14) 77 Scir.. Sereno Calma 3/28. 4,2! 9;7| 8,9) 97 Scir. Sereno Calina 4128. 2,0 ! 10,3 12,8| 80 Os.Lib Nuv. calig. Calma (al g;1 ! 11,5] 11;1| 83 0,07 Maest. Piovoso | Vento Los e DA 6128. 1,4 | 84 84 76 Tr. Gr, Nuvolo Vento m38.3;2 8:2)09;3' 70 Tr. Gr. Ser. con nuv. | Vento 828. 3,55% 8,21 8,4 73 Tr. Gr. Ser. con nuv.! Vento 9!28. 3,65) 8,6) 9,1 74 Tr. Gr.: Ser. con cal. | Venticello di 44 | 8,8 DI 70 Ri Venticello 1 ME | Pni28. 4,5 | (7,910:6/4 83 Po.Lib Ser. con neb. Calma ‘12 28. 4,0,| 6,3. 6,6 85 Tr. Gr. Ser. con neb. Calma ‘13 28. 4,75] 6,6 7,3 si \ Tr.Gr. Ser. con neb. Calma 14 28. 4,6 | 7,9 rugg iTr. Nuvolo Neb. Calma se 44 chi 12,4; si Die dis. Venticello i | |- 16 28. 3,7 | su seni 93 Lev. Caliginoso. Calma i 117.28. 4,0 | 10,4, 12,2 93 Os.Lib Nuv. Nebb. Calma Miro 28. 5,1 | 1:,t 134 92 Lib. {Nuv. Nebb. Calma perfetta | 1928. S,i | 11,7] 14,2, 87 Lib. 'Nuv. Nebb. Calma | Î 13,7 si Ostro pad Nebb. !Venticello 2128. 2,7 | 12,6! 22.28. 2,3 | 12,6 13,7 8 Lib. {Nuvoli rotti | Venticello 423.28. 1,5 12,4 12,6 so Po.Lib Nuvolo ; Venticello / ta: 28. 1,3 | 12,4 12,4 90 Lev. Ser.connuv. Calma A i 12,6| 12,2, 9 Po.Lib Pioggia Galma | Os.Sc. Caliginoso Venticello Scir. Nuv. Nebb. |Venticello Po.Lib Sereno Venticello Sc. Lev Nuv. Nebb. Calma Os.Lib Nebbia Calma 127 29. 1,4 | 11,t|11,7 95 25 28: 2,2 | 113) 11,5 94 ‘29-28. 2,5 10,4] Ii,t, 92 98. 106 9,7 "i 96 726 28. 1,2 la 92 | | [eo] . dl yi > D È la) i O| paraggi fat SCE RE o Fenomeni is È 3|4#|8/55| 83 dA5 È 3 Sil RUS A 9a di vario genere 9 S| Upea Pic le cai “ui ua nn =. dee. 3,9 Lusi $rl 5i Scir. |Sereno ‘ Calma i 7 28. 3,6 9,3| 7,9 87 Scir. \Sereno |Calma ; :28. pa do) 10,2 ga ar Feiniga cre 27. II tI,I| II,I) 66 1b. er.con nuv. Venticello 9,27. 10,2 7,9 Bal 82) 0,15 Greco Nuvoloso |Vento impetuoso fia | | | | | | I 628. 2,71 79) D1| 77 \Tr..|Ser. con nuy. Venticello 1728. 3,75 739 6,6 73! Lev. {Sereno Venticello 1828. 3,6 | 84 6,6 77 Tr. |Sereno Venticello 9 28. 4,0 | 7,9 6,6 77 Tr. Sereno Venticello 1028. 4,7 | 7,95 5,7 $0 Scir. furia Vento Dl pot | | 1128. 3,9 05! 53. 87 Scir. |Sereno Vento 12 28. 3,9.| 6,6..(5,3!. 88 Sc.Lev Sereno Venticello. Neb. al piano 113 28. 4,95 Via 6,2 92 Sc.Lev Sp. di Neb. !Calma ‘114 28. 4,6 | 8,8| 9,7 92 Sc. Lev Sp. di Neb. |Calma 15 28. 4,1 {10,2 7,9 89 Os.Sc. (Mebiona Calma IL Clo a i ae | 16 28. 3,9 | 10,6 10,6 gs Os. Sc. Nebbioso Calma 17 28. 4,6 10,6 11,1 97 Scir. Nebbioso Calma 18 28. 5,25 11,9 11,9 95 Ostro | Nebbioso Calma i 1928. 5,1 | 11,9 12,4. 95 Os.Lib Nebbioso Calma .. 120 28. 4,0 | 11,9, 12,4 92 Lib. |Nebbioso Calma Li) ri I Î | 21/28 237 tu 11,9. 97) 0,02 Soir.L: Nebbioso 7 |Calma, piog. alle or. 5 22 28. 2,0 | 12,4 11,9 89 \Ostro | Nebbioso Vento 23 28. 1,5 { 11,9 11,5 96 Sc. Lev Nebbioso Vento 2428. 1,35! 12,4) 11,9 90 Sc. Lev; Nebbioso Venticello 95 Calma 5 16 11,5) 1,30 vai 9,7 SERA A ORE II Site te en —_r———————+€+“ _" ——__________ y————__m0mtt@———_——ÉÉ—m@ÉÈ@_@oò0'@@t17umw- | Ostro A ebbioso NIVITRAN DR: « È L- i \ co inovel to li sil A i Pi raster. afro ina soprabito citi È g'eitoraban ab. napo laheo2ofgt ito litandi ogisito 190103, Igo hi iòrro db Lite is" ovieita cito di 907 Li or dann ta nipoti “Hom silloge ‘9Inbsogeoo è 0006 IPUII | ‘Re OI dd TITO, it i "A io gras sinsisdarib c! lf Finto cdolaaprib o RT ATI olagmete vatitogeiahe ri sia vo “pontino iii pot va aly dipiasni o pio) sferica feb oloniva. 4 iaia lino Safimonionrt » p'onsorgi mito ivignilia Born pas a dlò gina ssb'rciga» papi vt 9 da Da) sent Ds Sel sile cisti Teti nova suse soit sseonp ss jeoq ifft cat olespp roquastazone Lilbianizzoo. invero ibnivores ccodaoreiagà Giupr: O oignaios litononi Sirasv ini. 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