"rd x » ur. di i ble SISI p si è Roe Tie Li ANTOLOGIA GENNAJO, FEBBRAJO, MARZO. 1623. TOMO NONO FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXXIII. tari so aama ent (oi pui Mia o o ? E & META II a, 04 4 o TNA DAIAL. n Mc sd No ta sa E 2A ASIAN Lia : 0 d'elite hindi Tn BA: A’ Sigg. Collaboratori , corrispondenti e associati | all'Antologia . mi oi «Due. anni di già trascorsero da che per. opera nostra furono pubblicate le prime distribuzioni deli’ Antolo- gia, che si tennero dietro di, mese in mese senza inter- rompimento ; così che il pubblico ha potuto ancor meglio formar giudizio nel 1822 che nel 1821 dei titoli che aver possiamo per. meritarci la sua tiducia. Per corrispo ndere alle sue speranze i nostri sforzi aumentarono, ed. ebbero la loro ricompensa nella sollecitudine dei letterati a scri- vere pel nostro giornale; e;inun motabile accrescimento nel numerodegli associati. Grazie per noi si debbono agli uni ed;agli altri, e in tanto più sincere, in quanto che me- diante queste favorevoli disposizioni, noi possiamo far pa- lese che persistiamo nella nostra impresa, e che raddoppie- rà il mostro zelo affinchè l’ Antologia diventi degna: d'un ‘epoca in ogni genere di anos pati cotanto, feconda, Facemmo osservare l’anno decorso, che gli autori, del. VAntologia, senza trasandare alcun ramo di letteratura, avrebbero nulla di meno dato la preferenza, aquelli argo; menti che sono della giurisdizione, delle scienze. morali e politiche, e che tutto ciò che può tendere, ad ; istruire gli uomini su i loro-più preziosi interessi, doveva.occu- paàrvi il primo posto. L' educazione, l’ economia politica, da.legislazione essendo scienze che di per sè abbracciano tali interessi, noi abbiamo premurosamente fatto tesoro di tutto quello che in questo proposito ci hanno sommini- strato 1 nostri collaboratori, ‘ed abbiamo avuto la .conten- tezza di vedere che il pubblico ce ne ha saputo buon grado. Quindi non-esitiamo a raccomandare ai nostri amici, che hanno e dumi e disposizioni filantropiche per trattare no- 1. bilmente tali subietti, di volgere in ispecial modo la lo- ro sollecitudine verso tutto ciò che può contribuire a pro- pagare utili verità, ispirando amore agli studi solidi , e distruggendo i pregiudizi e le male abitudini che vi re- sistono. Per effetto di questi stessi principi abbiamo inserito nell’ Antologia, e vi inseriremo ancora più di frequente in progresso, alcuni articoli su i metodi di reciproco insegna- mento; ma non dobbiamo perder di vista, che se è oppor- tuno lo studiarsi di far valere il merito d’un metodo anzi che d’un altro, sirende essenziale ancor più di far sentire generalmente la necessità dell’ istruzione anche per le classi lé più povere, e i pericoli e gli inconvenienti che seco porta l’ ignoranza; di farlo sentire in particolar ma- piera a coloro che pel loro stato sociale, pe’ loro mezzi ed esempî possono soli efficacemente promuoverla e difon- derla; e di far loro vedere, che essi per questo vi devono essere vie più impegnati, perchè nel movimento genera- le che ha preso lo spirito umano, l’ educazione morale e religiosa, l'istruzione solida e adattata ai bisogni partico- lari, l'esempio dei possidenti, e le buone istituzioni pos- sono soli mettere un argine all’ urto veemente delle pas- sioni e dell’ egoismo. I nostri collaboratori e corrispon- denti vedono adunque da ciò, senza che scendiamo ad altri particolari, quello che i nostri associati devono spe- rare dal loro amore per la verità. i Seguiteremo a tener volta la nostra attenzione all scoperte, alle opere nuove, e alle ricerche d’ogni sorta che possano accrescere il patrimonio delle nostre cognizioni nelle scienze geografiche, storiche, statistiche ec. ed ‘avre- mo da ciò occasione di far sovente ritorno nel campo delle scienze morali e politiche. L’ Egitto che risorge sotto: il regime vigoroso d’ un Mehemed Ali; le repubbliche in- dipendenti dell’ America meridionale che stringono li- bere relazioni d’ amicizia e di commercio con quelle pa- HI, tenze europee con le quali era loro vietato di comunicare. la Grecia che ritorna famosa; i neri restituiti alla dignità dell’umana condizione, e l’infame tratta dovunque perse- guitata; l’isole oceanitiche che ricevono colla luce evan- gelica i benefizi della civiltà; la stampa che moltiplica i buoni libri alla nuova Olanda, a Calcutta , ed all’ estre- mità dell’America, ugualmente che sulle rive del Tamigi; uno stuolo d’ intrepidi viaggiatori che siaddentrano nei deserti dell’ Affrica di mezzo, ed altri che proseguono le loro ardimentose ricerche sotto i ghiacci eterni del polo; la speranza di vedere il più illustre fra i viaggiatori diri- gere i suoi passi verso il pianoro centrale dell’ Asia, e con- durre ad effetto la più bella idea di viaggio che cadesse in mente umana; quale immenso campo di meditazioni e di piaceri per gli uomini tutti che hanno il sentimento dell’ eccellenza della loro natura! Noi abbiamo più volte esternato il desiderio che la storia naturale fosse più coltivata fra noi, e che i tosca- ni ad esempio degli elvetici formassero una società che a ciò mirasse principalmente. Tanto basta per supporre che da noi non sarà lasciata indietre occasione veruna ‘per riandare questo argomento, e che riceveremo con animo grato tutte le aperture e tutti gli scritti che a ciò riguardassero. Del rimanente il ramo delle scienze natu- rali e quello delle scienze fisico-meccaniche riceveranno per l'avvenire maggiore trattazione nell’ Antologia , se possiamo vedere uscire ad effetto le promesse fatteci dai nostri ragguardevoli amici. E speriamo che a tal. propo- sito farà dolce violenza alla loro modestia 1’ irresistibile amore del pubblico bene; e che quindi il nostro giornale diventerà ricco delle loro meditazioni, e delle loro dotte fatiche. Non potremmo troppe volte ripeter l’ invito ai savi agricoltori toscani di farci parte delle loro osservazioni agrarie, e dei frutti delle loro esperienze. La nostra peni- Iv. sola in generale e la IT'osbatià in | particolare. essendo un nese essenzialmente agricola, ognun vede con quanta cura dobbiamo accogliere tutto ciò che può indurre ‘un miglioramento ueiisi nostra cultura territoriale , ed ac- crescere quindi la nostra ricchezza. vifi» Le bellelettere e le belle arti che lungo tempo avanti agli altri popoli d’ Europa ci fruttarono tanta gloria , e ci condussero per fiorito sentiero alla gentilezza dei co-' stumi ed alla civiltà, e il Teatro che è sci vera scuola del popolo, entrano ancora nella giurisdizione dell’ etica ‘e della politica in riguardo agli effetti che aver possono sul- la pubblica morale; ma non pertanto continueremo an- cora a parlarne in particolare. Noi rendemmo conto del- la nostra ultima esposizione all'accademia di belle arti; e - quell’ articolo eccitò dei clamori in senso diverso; pe- rocchè alcuni trovarono ehe forse non avevamo rendato: ai mostri artisti l’ intera giustizia che meritavano, altri che anzi trattati gli avevamo con soverchia indulgenza } ed altri finalmente che troppo avevamo lodato la scuola fiorentina e le scuole italiane in generale, e riprodussero in tale occasione il rimprovero, da noi per avventura ta lor meritato, cioè di menar troppo vanto delle memorie, del passato, è di riposar sonnolenti sugli allori colti dai nostri padri. Ma le persone disappassionate applaudirono in generale a Mps primo saggio d’ una critica letteraria insolita fra noi, e ci incoraggiarono a continuare-per 1’ ‘avi venire sì fatte disquisizioni. E noi accettiamo l’ invito di buon animo, dichiarando altresì che ammetteremo con piacere nella nostra raccolta qualsivoglia scritto opposto ai nostri giudizi, purchè sia dettato da spirito di modera- zione da cui non vogliamo giammai scompagnarci, e pur- chè possa essere utile agli artisti per animare il loro co- raggio, ed eccitarli sempre a ben fare (e lo illuminarli egli è un combattere i tristi effetti del loro amor proprio) e al pubblico aiutandolo arender ragione a sè stesso de’ suoi v. giudizi, ad affinarli, e a rettamente proferirli. Non dob- biamo poi mancare -d’ avvertire ch’ è rimasta per noi affatto intatta la questione di precedenza fra le seuole ita- liane ed oltramontane, e nominatamente fra quelle e la scuola francese, e che parallelo di sorta alcuna non è sta - to da noi su tal punto istituito. Per farlo in modo accon- cio e imparziale era di mestieri avere alcuni dati che per anco non possedevamo , e sopra tutto faceva d’ uopo risalire ad alcune cause morali che esigerebbero tali di- squisizioni da suscitar clamori d’ùn altro genere, che at- tualmente è inopportuno di risvegliare. Che che ne sia noi ci stimeremo fortunati ogni volta che annunziar po- tremole glorie o le fondate speranze delle varie scuole che enorano la nostra Italia, e preghiamo perciò i nostri cor- rispondenti a metterci in grado di farlo sempre senza ri- tardo e con cognizione di causa. La speranza che abbiamo espressa di veder sorgere fra noi un teatro nazionale è vicina a compiersi; e i com- pilatori dell’ Antologia non mancheranno di rammen: tarsi, che uno stabilimento di tal natura e di tale impor- tanza abbisogna, per aggiungere al suo scopo, di stare continuamente sotto gli occhi della critica giusta, mode- rata ed intelligente. Nei primi tempi in ispecie la scelta degli attori, il gesto, il modo di declamare, le azioni sceni-. che da eleggersi, la loro moralità, nulla sfuggir deve allo sguardo indagatore di chi assumerà l’incarico di renderne conto nel nostro giornale. Si tratta di veder formare in Firenze, vale a dire nel centro della lingua italiana , un teatro nazionale degno d’ Alfieri e di Goldoni, che sia al tempo stesso una scuola di costumi, d’ educazione e di declamazione, e un’ arena dove i nostri autori drammatici correranno a contrastar dell’ onore, e dove le corone non saranno dispensate fuorchè dal suffragio del pubblico in- telligente, e perciò non cingeranno se non la fronte dei più meritevoli . VI. Troppo lungamente l’ Italia, e singolarmente la To- scana e la Lombardia presentarono il ridicolo spettacolo di fratelli che battagliano di parole con fiele e con ira, e muovono pretensioni che poco rilevano , e nulla servono ad immutare la vera condizione delle cose. Due anni di esperimento ci hanno messo in istato di conoscere su tal proposito l’ opinione della parte sana della nazione ; e crediamo quindi dover dichiarare, pel vantaggio del no- stro giornale e per quello dei nostri associati , a tutti co- loro che volessero farci il favore di scrivere nell’ 4nto- logia, che noi non potremo dar corso agli articoli che tendessero a rinnovare sì fatte questioni , che mai non avrebbero dovuto insorgere, perchè non fanno che disu- nirci, perchè ci sono dannose nell’ opinione degli esteri , e perchè non possono che servir di sfogo all’ offese, o appagare al più l’ amor proprio di qualcheduno. Cerchia- mo di scrivere con proprietà e con eleganza il nostro bel- lissimo idioma; procuriamodi farci leggere eon piacere da coloro singolarmente che sono membri d’ una stessa fa- miglia con noi, e che mai non avrebbero dovuto diventare nostri antagonisti. Cooperiamo unanimamente ad arrichi- re l’istoria della nostra lingua di nuovi documenti, e per tal modo gioveremo alle lettere , e saremo degni ad un tempo della gratitudine della patria . Ma se dobbiamo evitare di disputar di parole (e tali dispute non ponuo essere di qualche momento che a po- chi abitatori della nostra penisola , 0.a pochi membri di qualche società letteraria ) non è la cosa medesima in ri- spetto a certe opinioni che interessano ogni italiano in particolare, ed ogni uomo in generale. Noi combatteremo adunque l’ errore, la mala fede e l'ignoranza ovunque li troveremo, e lo faremo senza passione e senza inurbanità, ma lo faremo a un tempo stesso senza timore di vedere sinistramente interpretate le nostre intenzioni, perchè la nostra coscienza ci fiancheggerà VII. Sotto’ usbergo del sentirsi pura, e perchè d’ altra parte riceveremo sempre con docilità le giuste avvertenze, alle quali, contro la nostra mente, i no- stri scritti potessero dare occasione. Questa professione di principî, nonostante la nostra matural repugnanza a diriger la critica contro qualunque altro giornale, non ci permesse di tacere allorchè vedem- mo uno scrittore toscano interpretare sinistramente ; e metter quasi in ridicolo la giusta venerazione e l’ entusias- mo che può inspirar agli Italiani di alta mente e d’ alto cuore forniti lo studio di Dante. E qui ne sia lecito il di- re che in quell’ autore più che in qualunque altro dei classici nostri noi troviamo quella filosofia e quegli au- steri ma veri principî, che fanno sì che gli uomini non tran- sigano mai nè coi loro doveri, nè colla loro coscienza 4 in qualsivoglia condizion di fortuna si trovino dalla sor- te collocati. p Tali osservazioni preliminari per noi si dovevano ai nostri lettori, per rammentar loro a quali oggetti e con quali rette intenzioni è volto il nostro giornale, che la fi- ducia del loro suffragio ci porge animo di proseguire ala- cremente. VirussEUX Direttore e Editore i csasinaiy oddl'illoo $i psi ki cauò Alla cnivoni 1 ; id ib ea | u î iu iaetevoneti jon ant) dal vil T abs sleiniciy: f Xogtaninn vw ci SOMA trsoibs x NOI ANTOLOGIA den? XXV. Gennajo 1823. ° Histoire du Jury, ec. fiori del Giun: del signor A1GNAN, membro dell’ istituto TORO LO coll’ epigrafe: Contra periculosissimas hominum. po- tentias conditioni omnium civium providisse, Judices ; videamini. — Cic. pro Coelio. — Parigi 1822. in 8.° (Gontinuazione, ved. tc VII. pag: grati Nina repubblica d’Atene, come l’iniziativa e la direzio- ne delle leggi appartenevano al senato, l'iniziativa e ‘la direzione della giustizia appartenevano agli arconti. Nel caso ‘di doglianza in via civile 6 criminale, il motivo e le circostanze’ n’ erano esaminate’ dal magistrato che ‘teneva vr udienza, e'che era otdinariàtiente uno dei: sei arconti Chea detetE o in ‘caso d’ ‘impedimento , uno degl’inspet- tori' dei ‘lavori pubblici. Il dolente era chiamato a di- chiarare se i suoi testimoni erano all’ ordine , ose ne aveva altri da indurre; V imputato per proporre le sue difese e le' sue eccezioni. Quest” esame preparatorio dice- ‘vasi anacrise! La causa, così ‘preparata, era rigettata 0 ammessa dal TAO , e solamente crd la sua am- missione il dicastero n° eta investito. Ogni ateniese, di 30 anni compiti, d’ una vita ir- Heprnaipnte: e non ‘aebitone del tesoro pubblico , era abile alle funzioni di dicaste. La sorte decideva a qual dicaste- to ei doveva appartenere, perchè gli ateniesi ne avevanb di più spetié. i 4 Quattrorerano instituì PI sole cause difomicidj. Uno giùdicava gli omicidj.i ari, l’ altro quelli che l’ accusato pretendeva esser giusti, il terzo quelli gli au- tori dei quali erano ignoti, il quarto finalmente gli omi- cidj imputati a’ banditi. L,membri, di quest’ ultimo dica- stero sedevano sul lido, l’ accusato stava sul suo vascello, e di là pronunziava la-strarttifesr Ma il più impor tante di tutti era l Melieo, o dicas- sero degli Heliasti , i quali gii dicavano le cause GUIA © le criminali, e e prendevano, il. oro nòme, dal sole, perc sedevano all’ “aria aperta. Questo | tribunale - era. | composto di 500 ta numero che nelle cause gravissime aperta” vasì spesso a 1000, a 1500, e qualche volta. a. 2000. per l’aggiunta d’ uno, di dué, o di tre'altri dicasteri; e sem- pre cercavasi di. porre un}.unitàal,di sopra di questi nu- meri, affin di rompere l’ eguaglianza dei voti, dei quali un solo di più portava; la. condanna; Socrate, "di condan- nato per due soli ‘01 ORIO SIE OTHER Ecco come facevasi la xepart rapiti a Cau «frasi tribunali. Ogni dicastero portava per inscrizionejuna let- tera dell’ alfabeto; e ogui, cittadino faceva parte di questo o di quello , secondo la lettera corrispondente che, avesse estratta, a sorte, Una tavoletta marcata del suo nome ,ì e unà bacchetta portante sell del. ‘tribunale erano; li;.at- tributi della sua dignità... subigido \ Avendo obbligazione i i creme di conoseer. c.da legge, e di eseguirla, i I prytani erano, tenuti di sceglier, fra Jonoji nomotheti , o commissarj incaricati di, metter:le. leggi in armonia fra loro, edi | proporte al. popolo l’abmogazione di quelle che non potevano più sussistere. 35 Lì oticizaioa Ayanti di procedere all’ istruzione della causa per la quale erano riuniti sotto la; presidenza, del magistrato, gli Heliastì, posta la mano sulle cose sante, cioè sull’, altare, o sulla vittima (ogni assemblea pubblica cominciava con sacrifizj 0 imprecazioni ) pronunziavano un,:giuramento 5 solenne ,la'cui lunga ed enersica formula ci è stata con- servata ‘da’ Demostene nella sua érazione contro Timocra- te } da questo! giuramento” prendevano il nome di omomo-è coti; ossia di' giurati. “n Prestato'il giuramento, prendevan posto, e quando. erano assisi, il magistrato faceva guardare da alcuni offi- ciali il luogo della seduta, il quale di più era circondato da una corda di 50 piedi di lunghezza per separare il giurì da ogni estranea comunicazione. ‘00 Erano quindi sentiti i testimoni. Apparisce da più passi ‘d’ Eschine e di Demostene, i quali raccomandano ai giurati di non aver riguardo ad alcuni testimoni cor- rotti; che i giurati dominavano colla loro intima con- Vinzione tutto il morale come tutto il materiale della causa . Dopo ‘1’ audizione dei testimoni, gli:‘oratori dell’ ae-. cusa e quelli della difesa dispiegavano tutte le risorse del lor talento in quella misura di tempo che era loro respet- tivamente assegnata per mezzo della clessidra. Questa limitazione di ‘tempo era specialmente la ra-. gione ‘per cui, quando gli oratori s’ allontanavano dalla causa , era dovere del presidente di richiamarveli. Ogni loro divagazione sarebbe stata un furto fatto all’accusato. | Vi è luogo di credere (congettura l’ A.) che i giurati ostinano successivamente nell’istrazione del processo le fanzioni di giurì d'accusa e quelle di giurì di giudizio. . Infatti bisognava bene che l’ accusa fosse in principio giu- dicata da loro, perchè era rigettata e l’aceusatore pu- nîto d'una multa di 500. o mille dramme (35, 0 70 fran- chi), secondo la gravità della causa , se non riuniva in suo favore ‘il quinto de’ voti: Ora ciò suppone necessaria- mente una deliberazione, mentre la condanna o 1’ asso- luzìone} che operavasi tif maggiorità delle voci , ne. suppone necessariamente un’ alba: Platone fa ‘dire a So- crate nella sua @pologia che se non fossero stati gl’intrighi 6 d’ Aristo e ‘di Licone, non solamente avrebbe evitata © l'accusa di Melito, ma questi avrebbe anzi pagata la multa di mille dramme, perchè non avrebbe avuto a suo favore il quinto del dicastero. Così quella prima ammissione della, causa fatta dal magistrato non constituiva un, cittadino altro che in stato di semplice imputazione. Terminate le arringhe, un araldo, d' ordine del pre- sidente, chiamava gli omomocoti a diga i loro voti; il che facevano per mezzo di due psephos, o palline di bronzo, una traforata, l’altra piena. La decisione del giurì era pronunziata dal presidente, il quale applicava la pena . Nei casi di sollevazione o di diserzione, il dicastero era costituito sotto la presidenza dell’ arconte polemarco assistito da strategi, o generali di tribù. Questa era una specie di corte marziale, la quale però non era priva di giurì . i I membri dell’ Areopago rivestivano nel tempo stes. so le funzioni di giudici e di giurati nelle cause di parri- cidio, d'incendio, di veneficio seguito da morte, di as- sassinio , di ferite fatte con premeditazione . Quando 1’ uccisore non avea comprato il perdono della legge componendo colla famiglia del defunto, l’ accusatore giurava davanti l’ Areopago, colle imprecazioni le più terribili, ch’ ei si presentava come parente della vittima. S' ei non otteneva il quinto dei voti, l’ accusa era riget- tata e la multa incorsa, nello stesso modo che al tribunale degli heliasti. Dopo i dibattimenti e le arringhe contradittotie; che spesso occupavano più sedute, il tribunale dava la sua sentenza colla via del psephos. In caso d’ eguaglianza di voti, un araldo poneva una palla di più nell’urna della pietà (ciò chiamavasi il voto di Minerva), e l’ accusato era assoluto. Il condannato era gettato nei ferri ad atten» dere il suo supplizio. Ma nell’ intervallo dalla prima alla 7 seconda udienza, vale a dire dopo l’ ammissione dell’ ac- cusa ei poteva prevenire la sua sentenza colla fuga: allora i suoi beni erano confiscati. ‘L’Areopago giudicava all’aria aperta, e giudicava di notte per paura d’ esser sedotto dalla vista degli accusati. Gli Ateniesi avevano inoltre 4o dicasti ambulanti, i quali percorrevano le borgate, e giudicavano definitiva- mente le piccole cause. Ecco qual era quel famoso dicastero d’ Atene, il quale meritò, anco sotto il dispotismo d’ Alessandro, li elogj d’Aristotile. Da più d’un secolo era in vigore, quan- do uno dei più abili corruttori della moltitudine, Pericle, rovesciò l'equilibrio dei poteri stabilito dalla saviezza di Solone, disarmò a poco alla volta della loro potenza e della loro autorità , il senato, l’ arcontato e l’ areopago , e fece cadere il dicastero nell’ ochlocrazia. Per giungere a questo, esentò i ricchi dalla multa incorsa per la loro as- senza, e attaccò un salario alla presenza dei poveri, il qual salario ricavossi dai depositi che dovean fare i liti- ganti al principio delle cause civili e criminali , propor- zionato all’ importanza di esse, e che il succumbente perdeva in pena della condanna. Così l’attributo più bel- lo, il dovere più santo del cittadino, quello di rendere la giustizia, fu convertito in un mestiere, che i poeti co- mici poterono render ridicolo; e li ateniesi illuminati, allontanatisi da una funzione avvihita, lasciaronla in preda all’ ignoranza e alla turbolenza dei peggiori demagoghi. In Roma, i re godevano col loro consiglio d’ un auto- rità dispotica. Romolo riservò per se la cognizione delle cause grandi, e deferì il resto al senato. Creata la repubblica, il senato parve in principio non aver rovesciato Tarquinio , se non per porsi nel suo posto. Valerio che meritò il soprannome di Publicola fece proclamare una legge portante che all’ avvenire il con- g. sole rion potrebbe dare verima sentenza capitale. concer- nente un cittadino romano; senza: l'ordine espresso del, popolo, il quale sceglierebbe i i giudici, e pronunzierebbe poi in appello nei gran comizj; mostrò così che ai citta- dini soli apparteneva il poter della spada. Un tal potere però non. giungeva a punir di morte un cittadino ; Il ga- stigo stesso dell’ esilio non nacque che col dispotismo di un solo. Da principio il bando di un cittadino era l’effetto della sua propria determinazione!, 0 vi si decidesse prima della sentenza per iscampare! alla confisca e jall’ altre pene, o essendo privato, per pubblico decreto, dell’acqua, del fuoco e del tetto , fosse ridotto da questa scomunica terribile a cercare un atelo meno inumano. ò I romani distinguevano tutte le loro cause in pri- vate e pubbliche i Le prime erano 1.° Le cause. civili, giudicate, ioni i casi, dal pretore o dai centumviri; 2.° Le piccole cause criminali nelle quali il riposo dello stato non era-diretta- mente compromesso. Esse avevano per giudici i triumvi- ri, 0, quanto alle civili, il, pretore solo, giacchè i suoi tre assessori non aveano allora voto decisivo. i Tutte le altre eran chiamate. pubbliche, o. capitali, o sì trattasse d’un gran delitto politico 0. privato, la pena del quale attaccasse lo stato di cittadino romano, 0 non vi fosse da decidere che.sulle condizioni che costi. . tuivano un tale stato. Così la causa del. poeta Archia; il quale litigava per la sua qualità di cittadino romano, era una causa pubblica; Cicerone vi poneva con ragione l’im- portanza di una causa capitale, perchè la significazione di una tal parola, presso i romani, non era relativa alla perdita della testa, ma a quella dei diritti di cittadino. Per loro, la vita era poca cosa, la condizione della vita era tutto . Le cause pubbliche erano silliiniisininta giudicate ad’ forum, e ‘perciò all’ aria scoperta, le altre in MA o basiliche, ‘aperte a tuttii cittadini. Ecco come instruivasi ogni causa pubblica . La direzione appartenevane al pretore, o al suo sup- piente, in qualità, non di giudice, ma di magistrato. L'accusa non apparteneva al ministero pubblico se non nel caso di flagrante delitto, nel quale era redatta dai triumviri, i quali s'erano assicurati della persona del colpevole. Eccetto questo, era sempre fatta a nome della parte lesa assistita da tre soscrittori, o paraninfi. L’ac- cusatore , un giorno di mercato, montava alla tribuna, con permissione del magistrato, e citava l’accusato a com- parire a giorno fisso davanti il pretore , il quale, secondo la natura della causa, accordava un termine più o meno lungo per preparare l'accusa e la difesa. Se più accusatori presentavansi in concorrenza , era preferito. quegli. che domandava un tempo più breve, salvochè il magistrato non avesse avuto ragion di temere qualche collusione, come avvenne nell’ affare di Verre. Queste accuse finte destinate ad attraversare la vera sono uno strattagemma nato nei tempi della corruzione di Roma, quando le accuse pubbliche, una volta esercitate dai personaggi più rispettabili, divennero, ad eccezione di rari e coraggiosi esempj, un traffico vergognoso, ed un vile mestiere . L'atto d’ accusa, ordinariamente disteso da un giu- reconsulto ( Cic. pro Coec.), dovea indicare la legge in virtù della quale l’accusato era chiamato in giudizio, ossia specificare il delitto. Su questo doveva esclusiva- mente cadere !’ esame. Era permesso all’ accusatore, non solo di apporre da sè stesso i sigilli alla casa dell’accusato, e di visitare tutti i suoi effetti e le sue carte (Cic. Z. Yerr.) ma di esten- dere eziandio le sue perquisizioni anco in qualunque altra casa (ZI. Verr.) Queste ricerche, quando 1’ interesse 10 pubblico le comandava veramente, erano protette dai co- stumi ancor più che dalle leggi. L’accusatore però rice- veva dall’ accusato un inspettore che vigilasse acciò non intraprendesse nulla d’ illegale. Presentata la doglianza, il pretore faceva un decre- to, o per rigettarla (izterdictum), o per ammetterla ( actio ). Ammessa, ne dirigeva da sè l'istruzione , o la faceva dirigere dal suo questore; quello dei due ché eser- citava questa incombenza dicevasi giudice della questio- ne; ma i voti si davano, come oli Atene, da cittadini eletti temporariamente , chiamati gidici, e che poi pre- stato il giuramento prendevano il nome di girati, i quali erano in numero assai minore che i dicasti in Atene. Nei primi secoli della repubblica furono presi esclu- sivamente fra i senatori, che il pretore designava ogni anno in numero di 450. divisi in tre decurie, le quali entravano una dopo l’altra in esercizio . Nel 7.° secolo; C. Gracco fece passare la legge Sempronia che trasferì le funzioni di giudici dall'ordine dei senatori a quello dei cavalieri . La legge Servilia divise poi il giurì per metà fra i cavalieri e i senatori; la Glauciana lo restituì intero ai cavalieri; la Livia lo ripartì nuovamente fra i due ordi- ni raddoppiando il numero dei giurati , il quale arrivò a 600. Finalmente la legge Plautia vi aggiunse 15. plebei presi da ciascuna delle 25. tribù ; il che formando un ag- giunta di 525. plebei fece ammontare il numero a 1125 giurati. Silla rimesse i senatori nel possesso esclusivo del giurì, e abolì gli appelli alla maestà del popolo; dal che vennero le proscrizioni e le atrocità di quell’ epoca. Dopo la sua ritirata dalla dittatura, Aurelio Cotta, che non era nè senatore nè cavaliere, fece passare una legge portante che i giudici o giurati sarebber presi fra i senatori , i ca- valieri e i 200. tribuni del tesoro , i quali rappresenta- vano l’ordine dei plebei. atei 11 La legge di Cotta fu continuata da Pompeo il quale favoriva il popolo, e distrutta da Cesare. Antonio poi trovò comodo di sostituire ai tribuni del tesoro gli ufiziali d’una delle sue legioni. Queste vicissitudini ebbe il giurì romano a seconda delle vittorie delle fazioni che si contrastarono la supe- riorità . In qualunque modo però fosse secondo i tempi com- posta la lista, la forma con cui procedevasi era questa. Alle calende di gennajo il pretore faceva la sua scelta per la formazione della lista dei giudici ‘o giurati che potevano esser chiamati nel corso dell’ anno. Su questa lista annuale il giudice della questione e- straeva a sorte , in presenza dell’ accusatore e dell’ accu- sato , per ogni causa , la lista particolare dei giudici o giurati che dovevano conoscerne. Il numero dei giurati inscritti sulle liste o annuali o particolari, variò secondo itempi, e secondo la latitudine che presentava la lista generale. Furono 51 i giurati fell’ affare di Milone, e 32 solamente in quello d’ Appianico . L’ accusatore e l’ accusato avevano a vicenda: la facoltà di ricusarne un certo numero, e al rimpiazzo dei ricusati provvedevasi con una nuova estrazione . La seconda lista era definitiva . Nella causa di Milone però i ini o giudici ricu- sati non furono rimpiazzati. Il giurì era di 81. membri, i quali furono ridotti a 51 per le ricuse , e questi resta- rono soli giudici della causa. Asconio ci dà il calcolo del resultato dei voti. Condanna Assoluzione Senatori 12. 6. Cavalieri. 13: 4 Tribuni del tesoro 13. s. —— ——— 38. 13. totale di 12 Il giorno fissato per la causa, gli araldi del pretore proclamavano all’ udienza i nomi dei giudici e dell’acca- sato , e quelli degli oratori ‘che dovevano parlate . Allora presentavasi da una parte l’accusatore coi suoi paraninfi e coi suoi testimoni , dall’ altra 1’ accusato coi sudi.testi- moni, se ne aveva, e coi Zaudatori, che erano persone di riputazione indotte per attestare della sua buona condotta’ in generale ; e scortato ancora dai suoi parenti , dai suoi protettori e dai suoi amici ( @dvocati ) , tutti vestiti ‘a lutto per muovere la pietà dei giudici. Dei laudatori un accusato non poteva decentemente produrne un numero! minore di dieci . I giudici assenti erano scusati per motivo legittimo; ma l’accusato che non compariva incorre: a p>ne gravis- sime, perchè tradiva la fiducia pubblica, la quale aveali lasciata la sua libertà . L’ accusatore otteneva dal magi- strato un decreto che lo metteva in possesso dei suoi beni, e se nell'intervallo di 30. giorni dopo la presa di possesso l’accusato persisteva a non presentarsi , |’ accusatore ne provocava la vendita , il che portava per lui disonore, per- chè chi diffidavasi in cotal guisa delle leggi liberali del suo paese, era riguardato come condannato da sè medesi- mo; perciò era cancellato dal numero dei cittadini, ed era morto civilmente. L’accusato non potea rilevarsi da tal condanna, se non mediante l’appello ai tribuni , i quali portavano la causa in ultima istanza avanti il popolo. Aprivasi la seduta col giuramento che prestavano i giurati di non accordar niente nè al favore nè alle preghie-: re ( il timore non si reputava possibile in un romano), e di dare religiosamente la loro dichiarazione con rettitudi- ne e verità . Dopo l’ esposizione della querela erano introdotti i testimoni. L’ accusato avea diritto d’ interrogare i testi- moni dell’ accusatore. Quindi incominciavano le difese . Spesso più oratori difendevano la stessa causa ; uno LI 13 faceva l'esordio, e la perorazione, un’ altro dava le prove, e qualche volta un terzo confutava quelle dell’ avversario. Gli oratori erano talvolta, 1. primi Magistrati .. Ci- cerone, da, pretore, difese Cluenzio,al tribunale di Naso- ne suo collega ,.e da, console difese Rabirio: davanti al popolo. Ammirabile costumanza la quale rispettava tanto i diritti dell’ umanità da assicurare agli accusati, colla la- titudine concessa alla loro scelta , i, indipendenza dei. .di- fensori b Qual, differenza fra, questo principio magnanimo, e le miserabili ‘ordinazi oni dei tempi moderni, nei. ‘quali ;l ministero del difensore è è. ristretto quasi dovunque fra i cancelli di una condizione ‘particolare nella società.,-reg- gimentata e suddivisa a capriccio, e nei quali 1’ uomo ve- ramente pubblico , quegli che. colla voce e colla penna è destinato dal,suo. genio a combattere le false passioni, e a far trionfare lo spirito di giustizia, ha, bisogno d’ altra; vo- cazigne che di quella del.suo talento, della» sua Virbù , e della richiesta d’ un infelice | CS Il. foro; «moderno ha dato esempj Rn ci oratori che, hanno saputo sacrificare al dovere della verità, lo. stato loro. medesimo . Ma la; igloria che han perciò conquistata accusa, quelle instituzioni che, richiedono .l’ eroismo..da+ gli uomini per, l'adempimento del loro dovere, .... Ma la- sciamo le riflessioni, e.ritorniamo:all’ istoria +}; .,,; Il primo a parlare | era l’ accusatore; lj accusato ri- spondeva . Qualche volta gii oratori permettevansi vio- lente escursioni sulla vita, privata degli avversari, sul loro carattere Sulla loro, probità ,.e.sui delitti.che avessero, anteriormente commessì; i giudici però non avevano di- ritto,di, sghiarire, questi, accessori ‘della causa, ma doveano ristringersi, al, fatti, che costituivano l’atto di accusa. Le ‘arringhe. si Jerminavano, con..la, parola Dixi è ho, detto R Prima di questa ‘parola nessun pete avrebbe ardito in- terromperli.., .., Dopo,l' attacco e la dlifata la prima azione era ter- minata , e la causa aggiornata a due giorni dopo per la seconda azione, nella quale intendevansi le nuove prové somministrate per l’una e per l’altra parte , é le repliche contradittorie degli oratori . Non poteva esser proferita veruna sentenza , se non dopo che questa doppia azione avesse avuto îl suo corso. Tèrmiîtati tutti i dibattimenti , i giurati davano le loro note secondo il loro intimo convincimento . Per lun! go tempo ciò fu fatto ad alta voce; ma l’anno 605. di Ro- ma, due anni dopo che il Tributo! Gabinio avea fatto sta- bilir l’uso dello squittinio per 1’ elezione dei magistrati; questo modo, sulla proposizione del tribuno Cassio fu adot: tato anco per le sentenze . Ogni giudice gettava in un ur- na una tavoletta dove era scritto absolvo, o condemno . Il condannato aveva, come abbiam detto, la'risorsa dell’ appello al popolo . ; i Questo fu uno dei punti ammirabili della costituzio? ne dei romani. Un pretore e dei giurati potean decidere se un tal cittadino era colpevole di un tal delitto ; il po- polo solo erà competente per giudicare se quest’ uomo non sarebbe più cittadino . Tal’ era il priacipio della legge, la quale voleva che il popolo solo , riunito nei comizi ; potesse: condannare alla morte , ‘vale a dire ‘alla degraddo zione, un cittadino di Roma, e che in conseguenza | “costi tuiva il popolo giudice in tltida istanza di tutte le cause pubbliche . | bali: Il popolo era convocato per centurie , dopo che la causa era restata affissa per tre giorni di mercato , vale a dire a sei giorni di distanza ‘l'uno dall’ altro, ‘e ‘ch’ era stato lasciato alle parti il' tempo necessario‘ per preparare le loro difese. I dibattimenti ‘avean luogo davanti il po? polo nella stessa maniera che davanti i i piidtici ed il de tore . Per conoscere i voti , alcuni rogatori erano incari- cati di disporre ciascuno nella sua centuria'. ‘Alcuni di- 15 stributori ( diribitores) rimettevano ad ogni votante tre biglietti. Sopra uno eravi un A (absolvo), sull’ altro un C (condemno ) sul terzo Ni L. ( non liquet ). Dopo di che tutti i cittadini passavano su ponti di tavole strettissime, che Mario fece ristringere anco di più, perchè non vi po- tessero stare che pochissime persone nello stesso tempo, e dei quali ponti ve n’ era uno per ogni centuria. I biglietti erano stati consegnati ai votanti all’ entrare sul ponte ; all’ escire gettavano nell’ urna quello che esprimeva il lo- ro voto, alcuni custodes vigilavano al buon ordine di questa operazione , e lo spoglio facevasi con precauzioni estreme . Se nel corso di queste diverse istruzioni l’ accusatore desisteva dalla sua querela , era essa riguardata come non avvenuta; se l’accusato preveniva la sua condanna con un esilio volontario, non soggiaceva a nessuna confisca e non erali inflitta veruna pena . x Queste furono le istituzioni giudiciarie di Roma li- bera; la corruzione degli ultimi tempi le indebolì nell’o- pinione comune , il dispotismo imperiale ne conservò in principio l’apparenza, poi le spense del tutto. I popoli che invasero l'impero romano, i germani specialmente, in mancanza della garanzia della legge, che è quella dei popoli inciviliti , avevano la garanzia scam- bievole degl’individui. Lo stato di guerra in cui viveva- no, e il difetto d’ instituzioni protettrici ne facevano loro | un imperioso bisogno . La patria era per essi , non come pei vecchi romani , nella gloria , ma nell’ indipendenza ; non nell’ orgoglio della città, ma nella libertà dei boschi. Come tutti i popoli primitivi, distinguevano essi lé guerre pubbliche dalle spedizioni particolari. Le prime non erano intraprese se non col voto della nazione adu- nata, e niuno uomo in stato di portar l’armi non poteva, senza impedimento legittimo, sottrarsi alla leva in massa ordinata in quelle gravi circostanze . Quanto alle altre 16 guerre , niuno intervento, nazionale. non: le:dirigeva,; Chi riuniva uomini associati alla sua. impresa ‘poteva, iptra- prenderle a suo rischio e pericolg. Questi compagni, co- mites , dai quali è derivata la denominazione, di conti, erano la stessa cosa che quelli che ACCO PARRA AR i re barbari della Grecia . i ommsasì Da questa distinzione resultava tutto il sistema giu- diciario dei germani. La viltà, il. tradimento, erano delitti pubblici, ostilità nazionali, ch’ erano punite da un pronto supplizio militarmente ordinato:. Quanto agli omicidj, spogli , o altri disordini interni , erano questi é secondo loro , intraprese particolari delle quali la nazione non.si mescolava ; e la vendetta delle. quali. fino all’ estinzione delle forze era il diritto e il punto d’onore delle famiglie. Questi costumi sussistono ancora presso i montanari scoz- zesi, e presso altri popoli europei fra i quali le leggi e la civiltà non sono interamente penetrate . Ma siccome questa trasmissione ereditaria di vendet. te avrebbe .sovvertito e spopolato: lo stato, furono i in pro» cesso di tempo ammesse delle ApamorizionA o multe tarif- fate secondo le persone e le circostanze , a xantaeRip della famiglia, e della città. Pel mantenimento d’ un tal ordine di. cose LT ‘capo proclamava un dando col quale era garantita, la pace di ogni cittadino . Chi imputato d’un omicidio ‘0, altro delit- 1 to si fosse sottratto alla composizione esi fosse ostinato a continuare la guerra particolare, era escluso dalla space ossia dal bando dello stato ; era bandito. La sua situazio- ne diventava la stessa che quella del romano citato e non comparente i Chiunque senza eccettuare la moglie oi parenti ,, li. avesse dato ‘allo gio o cibo, era condanna- to a gravi multe . Così egli era bandito , e costretto a la- sciar la sua patria la quale interdicevali il fuoco e l’acqua. Chi poi.sottometteyasi all’ azione delle leggi era giudicato nell’ assemblea del popolo , alla quale ,, come i 17 c'ibsegna Tacito , erano! portati gli affari criminali | Vi erano portati anco gli affari civili, se non che nello stato di disordine e di violenza in cui lc società vivevano allora mon è eravi ‘veruna controversia civile che non fosse crimi- nale vel tempo stesso , e la cognizione di tutte appar te- néeva necessariamente al popolo intero, perchè il principio. della società era la garanzia di tutti verso ciascuno. Talvolta le parti erano ammesse a purgare la lor questione colla via dell’armi; e spesso ancora amici co- muni arrivavano a conciliarle: fuori ‘di questi due casi, il' giudizio pubblico pronunziava contro il condannato il" uti ; 0 applicavali la composizione . ib *Ma' quando i grandi stabilimenti che nacquero dalle irtuzioni dei barbari nell'impero romano , ebbero fatto. loro' profittare dei vantaggi d’ una nascente civilizzazione, là solidalità individuale, il cui esercizio era allora troppo. diflicile, fu rimpiazzata dalla garanzia dei borghi, centene e decanie. Ogrii borgo 0 città divenne la Né d una as- sociazione bkiegtaso, totti i membri della quale essendo: responsabili del'danno catisato da uno di loto avevano © un înterésse personale a scuoprire il colpevole , cà più. forte ‘ragione, a non favorire la sua impuanità. Da ciò nac=* que il costume universalmente introdotto d’ ammettere l'imputato a purgar'?’ accusa per mezzo del suo proprio’ BIEFINGRINO, e di quello di più uomini liberi i quali at- | testassero la sua innocenza . La legge voleva saviamente clie ‘il numero di questi | conjuratores o compurgatores almentasse secondo la gravità della composizione, acciò la'eortuzione dei'testimoni costasse più della pena . | Se l’autore del'delitto era ignorato, quegli a cui ap-° parteneva ‘la composizione avea diritto di ‘scegliere net commune fino ‘a ‘7. persone sulle quali facea cadere la sua’ afetàsa, le quali erano tette a puùrgarla, ciascuno con ‘il dici congiuratori. 3 e quando questi mezzi mancavano , 0° erano 'giadicati‘itisuflicienti , ordinavansi., è îl Belbatet: T. IX. Gennaio 2 18, mento giudiciario , oppure le prove , ossia 1 il giudizio , di Dio. fi AS elTORA 19 Una conseguenza naturale di questa | nuova demars cazione della responsabilità sociale fu la. divisione delle, giurisdizioni; quindi alcune cause furon conosciute dai, piccoli placiti , 0 assemblee di contea , altre dalle assem., blee della nazione presedute dal re. iosa * I piccoli placiti erano formati sul modello dei gran- di, componevansi cioè di tutti gli uomini liberi, della, contea, i quali dopo avere uditi i testimoni e i compurga», tori, giudicavano conformemente alla legge, ;il che; chia-, mavasi dire la legge. La funzione del conte era di epilogare; il fatto, di porre la questione , di raccogliere i i votiy;e di pronunziare la sentenza, la quale eseguiyasi;in suo nome., Tutti i monumenti che restano di questa vecchia, “giuri sprudenza concorrono a dimostrare che il conte. non avea | voto deliberativo. }calibiftib Quando nell’ intervallo dalla tenuta ss. placiti » qualche causa esigeva che ne fosse convocato, qualcuno, straordinario, bastava che il conte fosse assistito da ,sette,., uomini liberi , o rachimburgi nominati.,da lui. Ciò non, toglieva la facoltà agli altri cittadini, di prender, parte, al» giudizio: però essi poco ne usavano, perchè l’eserzizio ne, diventava sempre più oneroso per loro, attesa la compli, canza degl’ interessi sociali, la difficoltà delle comupica», zioni, € specialmente poi attesi, i pericoli annessi., alle, funzioni di giudice, giacchè in quella barbara giurispru, denza il condannato poteva chiamare a icausa il suo,giur, dice, provocare contro di, lui una multa ,,.e sfidarlo; anco a duello. Anzi i conti diventarono:a poco.a: poco i soli dispensatori della giustizia , per l’attenzione che,avea, vano di concentrare la scelta: dei loro assessori in un;pigy, col numero di loro devoti, e siccome sovente, facevano, pagare agli altri l'esenzione dal, servizio , raccoglievano un doppio vantaggio da quest’ abuso ;;lo scandalo del qua;, 16 le non'premeva loro più nulla, da che non eran più essi medesimi nominati dal pupole: Per reprimere un tal disordine, i re fecero formare delle: liste di cittadini istruiti.) chiamati Scabini ( da scabellum, dal che echevins) tra i quali i conti ‘erano obbligati a scegliere i loro rachimburgi, senza che quelli potessero ricusare. Questa instituzione protettrice attri- buita a Carlo Magno non cangiò nulla alle forme della procedura. Ma ad onta delle precauzioni, una confusione regnava, inseparabile da una’ società ‘fondata ‘dall’igno- ranza e dalla conquista‘, e dopo Carlo Magno una gratì rivoluzione politica preparata da lungo tempo, rovesciò il sistema giudiciario delle nazioni germaniche, aggravò il male invece: di apportarvi rimedio ; e organizzò: la ‘ra- ina sotto il pretesto di reprimerla. Questa fu il feudalismo ; quando cioè i re crearono i benefizj < e le dotazioni a favore dei loro compagni ; 0 uo- mini d’ arme, le resero ereditarie, vi annessero ‘condizioni di fede e di omaggio , le quali (cose cangiarono per ultimo i magistrati in signori, e gli vomini liberi in vassalli. Chi resist fu%oppresso in ritto guise, ‘chi aderi fu' onorato e arricchito ; sicchè tutti cederono Tadita fo; e .il foniate: smo fu esteso sull’ Europa intera. TI giudizio del paese disparve; i conti GN il più orga di della decisione dei ‘giudici; ma'soli giudici essi medesimi ; e i vassalli che ‘erano chiamati/, ‘lo erano solo‘ per' istrùirlo coi loro consigli: Allora non'vi furono più ‘congiuratori, nè prove per giuramento. Goti la soli- dalità ‘dei cittadini ‘era disparsa ‘la potenza annessa a quelle instituzioni; tutti i dubbj risolvevansi colla: sen- tenza assoluta del despota e per la sua incapacità acri solverli*, ‘colla’ spada, la quale diventò in PURO uan deplorabili la sola giurisprudenza: ia | Disordini di questa fatta potean'trascinare ben presto 20 la dissoluzione della società intera .. Per. combinazione nacque dall’ eccesso del male un qualche bene. I vassalli che continuavano ad esser chiamati alla corte del signore ottennero facilmente dalla sua indolenza 0 dalla. sua incapacità , ch’ essi medesimi si giudicassero tra loro; senza che il signore concorresse, altro che con la sua autorità , alla sentenza ; la quale solamente sarebbe. stata pronunziata a nome suo. Insensibilmente quest’ abitu- dine prevalse , e fu convertito in principio generale , specialmente dopo il regno e, per l’ influenza di S$. Luigi, che nessuno non sarebbe giudicato fuorchè dai suoi pari, giudizio diverso da quello del paese., ‘perchè all’ eguaglianza politica erano sostituite le categorie, ma che vi rassomigliava per la forma, e ne presentava al- meno un’ immagine benchè imperfetta, In questo, l’ono- re, la vita, gli averi degl’ individui conservavano forti garanzie nella reciprocità del potere, nella facoltà delle transazioni, nella pubblicità dei. giudizj, nell’ esercizio gratuito della giustizia. Ma presto queste ancora disparvero quando le corti di giustizia furono convertite in tanti tribu- nali permanenti, e quando il dovere di giudicare diventò. una prerogativa, una condizione , uno stato. Allora non vi fu più reciprocità nel potere , ma autorità assoluta da. una parte, sommissione passiva dall'altra; non vi farono più ricuse , perchè i giudici essendo cherici, cioè uomini dotti, non vi poteva esser modo di rimpiazzarli con altri, oltre di che i padroni non si ricusano. Cessò ancora la pubblicità nell’istruzione e nel giudizio, perchè l’interesse degli uomini che attiravano a sè stessi il monopolio della giustizia era d’imbrogliare, di complicare , d’ eternare i processi , e sopra tutto di cuoprir l’ arbitrario delle .sen- tenze col velo impenetrabile delle processure segrete . Auzi per ottener meglio l’ intento , fu introdotto to stile d’ istruir le cause in latino come lingua del clero. Fi- | | | | | 21 nalmente non vì fu più giustizia gratuita , perchè era necessario che quelli che ne facevano una professione vi ritrovassero un lucro. , I tempi che seguono sono vergognosi per la aaa umana in tutta |’ Europa continentale .- Volgiamo lo sguardo verso un’ isola, la quale ci mostra da lontano fra tante tenebre un raggio di luce. | G. Giusti ( Sarà continuato ) PerrarQque ET Laure: di madama la contessa di geNLI 8. Parigi 1821. . (*) 1] Petrarca dotato di un animo capace de’ più nobili affetti , e al tempo stesso di alcune piccole passioni del- l’ umana natura, non avendo trascurato di notar ne’ suoi scritti le une e gli altri, ci ha lasciati i materiali per una delle storie le più interessanti , quale è quella d’ un uo- mo di talento: ma tuttavia desidera, ciò che pochi hanno avuto la fortuna di trovare , un uomo di talento per suo Istorico . » Io non ho rispiarmato, dice madama di Genlis , nè lettura nè indagini perchè questo mio libro fosse per la parte istorica tanto completo, quanto poteva desiderar- si... e se talvolta, pavlando solamente della sua bella Lau- ra, mi allontano alcun chè dalla storica fedeltà , spero trovar perdono se introduco qualche finzione nel raccon- tar gli amori d'un poeta ,,; in conseguenza ella crede, che (*) Mentre i giornali francesi c italiani stanno occupandosi d.:1 commento fatto al Petrarca dal Biagioli, e del suppesto viaggio del Levati, crediamo far cosa grata ai nostri lettori facendo co- noscere colla traduzione dell’ sino inserito nel quarterly review come discorre quell’ accreditato giornale inglese, quando si tratta di erudizione, del romunzo pubblicato da madama de Genlissutto i titolo di Laura e Petrarca. Nota dell'editore . lo Di del suo libro dovesse qualche poco somigliare a quello d’un poema. DFAE Un libro che nel tempo stesso sia istoria , romanzo e poema è qualche cosa di straordinario, perchè esige con- temporaneamente opposti sforzi per raffrenare e BPFODALE l’ im magigatiga , e corre il perigola di non riuscire nè un’istoria, nè un romanzo , nè un poema, ma un genere non descritto , che troverà lettori finchè avrà l’ incanto della novità . In quelle parti del libro che potrebbero chiamarsi istoriche, mad. di Genlis adempie i doveri d’istorico, ci- tando in piè di pagina le autorità con le seguenti parole; istorico , senza nome veruno di scrittore ; le sue lettere, senza indicar quali; è suoi sonetti, e qualche volta ; vedi tuttii suoi sonetti. Obbedienti a quest’ ultimo comando abbiam letto più della metà delle poesie del Petrarca ; ed ab- biam potuto in soli cinque o sei sonetti trovare appena qual- cheombradirassomiglianza con alcuni fatti narrati da mada- ma; forse l’avremmo trovata nell’altra metà che non abbia- mo letta: ma una riflessione generale sulla storia del secolo XIV basta per convincerci ad ogni pagina che il talento in- ventivo dell’autrice ha preso il di sopra alle sue buone in- tenzioni, e che ella ci ha fatto il dono pericoloso di una serie di errori sotto il nome di materie di fatto, anco nel tempo che si protesta non esserle mestieriricorrere alle fin-. zioni: comincia il suo racconto colle seguenti parole . », 1l Petrarca nacque nel 1304. In quel tempo Pe- tracco suo padre , di parte bianca , opposta a quella dei neri, era in Firenze, e vi sostenne una sanguinosa batta- glia. L’ esito fu con perdita della parte bianca che erasi riunita a quella dei guelfi: essi furono cacciati da. Fi-, renze ,, . Ma non vi è fatto più certo del'seguente . Il padre del Petrarca fu bandito nel 1302; era in Arezzo nel 1304; i bianchi erano i ghibellini sotto altro nome; i neri era- i i 23 no ì guelfi; finalmente non i guelfi ma i ghibellini furon cacciati da Firenze nel 1302; non dopo una sanguinosa battaglia , ma per ‘opera di calunnie, e pe’ tenebrosi pro- cessì di un tribunale d’ inquisizione . - Quest operà non può mancare di produrre i suoi effetti sopra i giovani i quali conoscono il Petrarca soltan- to per la sua gran fama , per aver letto superficialmente alcuno dei suoi sonetti , e per le favolose tradizioni del suo amore. Sventuratamente coloro che lo conoscuno non tanto vagamente, non possono dai loro appunti dedurre certi fatti da dar luogo a finzioni: e se dovessimo sceglie- re fra il poeta, che elegantemente e candidamente ha e- spressa la sua passione, e il novellatore che l’ha colorita ‘con tutto lo sfoggio dell’arte: se troviamo che il primo di propria mano nel lungo corso della sua vita scrisse volumi di lettere familiari, ove tutti i suoi pensieri, le sue tenerezze, le: sue azioni, anzi le più minute circostanze corrispondono a ciò che ha espresso ne'suoi versi ; se finalmente conoscia- mo che ci ha fatto fortemente sentire , profondamente ri- flettere ed ammirare in lui un essere della nostra specie, ma diverso da chiunque altro, e la cui singolarità è reale, amabile , interessante: è quasi impossibile il non lo pre- ferire, e il non trovare freddo e inconcludente un roman- zo, sebbene ordinato e composto maestrevolmente. Pure concederemo di buon animo che madama de Genlis rie- sce talvolta a far nascere piace volissime illusioni; ed ab- biam letto con piacere la narrazione del primo incontro del Petrarca con Laura. , Il Petrarca tornando da’ suoi solitari diporti, dopo aver passato la notte in una capanna di pescatori, il sesto dì d’aprile, lunedì della settimana santa, a sei ore di mat- tina trovossi alle porte di Avignone senza sospetto che quel mattino formar dovesse l’epoca piu interessante del- la sua vita. Secondo il suo pio costume quando per tempo rnava alla città, volle andare in una chiesa a dir le sue 24 preci, ed entrò in quella. di S. Chiara che rimaneva sulla sua strada . Essendo incominciata la settimana santa, la’ chiesa, secondo l’uso del tempo, era parata di nero; ed una dolce melanconia fu la prima sensazione che provò il Pe- trarca entrando in quel santuario, ove l'animo suo arden- te e delicato traveder doveva i più interessanti misteri della sua vita avvenire. Il nostro destino è tutto compre- so nelle affezioni del cuor nostro: il Petrarca conoscerà in breve qual sarà il suo; e (tristo presagio! ) tutto ciò che ha intorno a sè non si rammenta che idee solenni di un gran sacrificio e della morte. Erasi di poco inginocchiato, quando volti gli occhi a destra vedde pochi passi avanti a sè un oggetto che richiamò tutta la sua attenzione. Era questa una giovine donna inginocchiata, ma non potendo vederla in volto, ammirò con viva emozione la bellezza della persona , del collo, de’ biondi capelli el’ elegante abbigliamento . ll suo vestire era di un verde , suo color prediletto , sparso di brune mammolette, il più umile fra i fiori, ma il più venuto in grido e il più usato dopo la recente istituzione dei giochi sia . Ornavale il collo una filza di perle e di granati , e le sue treccie bionde ri- saltavano sotto una corona di filongrana d’ oro e di gem me. Egli ardentemente bramava di il volto della giovine sconosciula rispondesse alla bella persona e al vestire; ed anzi non dubitando, impaziente aspettava che ella si ri- voltasse ; e questo caldo desiderio divenne una violenta ipquietezza: tutti j presentimenti pareva che il dispones- sero a ciò che soffrir doveva. Ma quando la sconosciuta rizzossi in piedi e a lui si appressò per uscir dalla chiesa sentì cheeranvi delle impressioni delle quali la più poetica e più ardente immaginativa non saprebbe concepire l’idea. Immobile, inginocchioni tuttavia , colle man giunte, con gli occhi fissi in lei , la contemplava con inesprimibile ambascia . S' incontrarono i loro sguardi, e la donna, che tante volte udito aveva parlar del Petrarca, lo riconobbe, 25 sì scosse ed ‘arrossì ; e in ‘suo pensiero ne ripetè il nome. Quel nome ch’ ella render doveva immortale s° impronta per sempre nel suo cuore . Pian piano da lui si allontana senza osar di rivolgersi. La seguiva il Petrarca con gliocchi, e il suo pensiero l’accompagnava per la strada che far dove- va. Suo fratello venne a svegliarlo da questo dolce delirio« . Nulla vi è d’incredibile in tutte queste particolarità; e possiamo: pure concedere che Laura quando la prima volta s’‘appresentò:agli occhi del poeta, non fosse ancor maritata. Ma poi madama de Genlis soggiunge:« quant’ar- te non ‘adoprò per far paghi i secreti desideri de’ due amanti l’ amabile Isoardo di Roqueville ; quanto non: fe- ce il cardinal Colonna ad oggetto che il merito di un gio- van. poeta , orfano , senza averi , senza esperienza e di oscuri natali venisse ricompensato con un illustre matri- monio.! ,; Alla ripugnanza ‘ed alla alterigia della madre di Laura, gli amici del Petrarca avrebbero potuto opporre ‘le speranze della sua futura gloria ; cioè proporre che Laura restasse zittella finchè il poeta colle sue rime fosse venuto in, fama tale da eguagliar la diseguaglianza della sua nascita e della loro fortuna. La madre simulando di acconsentire condusse via da Avignone la figlia; e la co- strinse a divenire contessa di Sade. Il conte poco dopo morì, e il Petrarca ne ebbe la nuova a Napoli . Per com- parire più degno agli occhi di Laura andò a Roma a pren- derci la corona di alloro . Ritornato a Avignone trovò nella chiesa di S. Chiara il funerale di Laura ,, . Quest’ ul- ma scena è benissimo lavorata , e l'interesse dello scio- glimento fa obliare la noja della via che è necessario per- correre per arrivarci. Sonovi alcune altre descrizioni che in parte compensano la povertà dell’ invenzione: ma col fare inginocchiar troppo spesso il Petrarca ai piedi di Laura, col farlo ballare e cantare colle belle, madama di Genlis dissipa tosto le illusioni da lei fatte nascere . Pure in qualche circostanza sarebbe troppa severità -26 incolpare una donna per avere esagerato in materia di amore. La stessa signora Dobson, che nella vita del poe- ta toscano dichiara di seguir le Memorie dell’ abate ‘ite Sade, devia talvolta dalla storica verità . « ‘Il Petrarca, ella dice ,, ricevè dalla natura un:dono molto periglioso . Le sue sembianze erano tali da eccitar 1’ ammirazione di tutti. Si vede nel suo ritratto un maschio aspetto , due occhi. pieni di fuoco , una carnagione sanguigna ed una fisionomia che palesa il talento. e la fantasia che brilla ne’ suoi versi. Nel fior dell’ età sua.era tanto ben formato della persona, che ovunque compariva era oggetto di be- nevolenza « . Ma il Petrarca descrive sè stesso diversa- mente . « Senza esser bello , egli dice, il mio aspetto in gioventù ebbe qualche cosa di piacente; la mia carnagio- ne fu delicata e di un bruno vivace, i miei occhi animati; la mia capigliatura divenne grigia prima che io avessi 25 anni. Mi confortava pensando che rassomigliava ai grandi uomini dell’ antichità : come Augusto mì spaventavano i tuoni; e Cesare e Virgilio avevano i capelli grigi essen- do tuttavia giovani « . Il suo ‘aspetto , anco in gioventù era venerabile, di che n’ andava alcun poco superbo: in- quietavasi se i capelli si scomponevano , vestivasi di ric- che vestimenta , e condannava i suoi piedi a crudeli pati- menti per labili ica della calzatura . È dubbio se alcuno dei ritratti del Pegultoi che ci sono restati, fosse dipinto lui vivente . Comunque siasi è possibile rappresentare in quelli V elevatezza della sua mente , il fuoco della sua immaginativa e la pensierosa malinconia dell’ animo suo . Ma niuno si è arrischiato a rappresentarcelo con un cappellino ornato di piume, con un mantelletto , e con tutti i più eleganti abbigliamenti dei trovatori provenzali , come ce lo descrive madama de Genlis, e la signora Dobson, di quella più grave scritto- re. Il Petrarca educato alla corte del Papa fin dalla pri- ma gioventù vestì da ecclesiastico , e continuò a vestire = in tal guisa finchè visse . Inoltre madama de Genlis dà al suo eroe quelle qualità «principali, che ella si figura a- ver. comuni con lui. Candidamente ella. confessa nel suo libro di avere le opinioni; l’ immaginativa e tutta Vanima di lui . ,; Inferiore , ella dice, in tutto al. Pe- trarca pe’ talenti, pure ho sempre trovata uniformità fra me e lui pel carattere ; pel modo di vedere e sentire ; per l’amore allo studio , alle solitudine e all’arti; e per l’ uso abituale e regolare ch’ ei fece della sua vivace immagina- tiva, onde consolarsi ed esser felice. Quindi è che ho do- vuto dipingere con verità le scene ideali che compongono tanta parte della sua storia; quindi è che nulla ho scritto con pari interesse, piacere e facilità (ep. dedic. ). Questo paragone forse esatto per altri capi, non è tale in un pun- to' essenzialissimo , poichè l immaginativa del Petrarca, lungi dal condurlo alla felicità:, Vi rese affatto infelice , credendo che la noia e il abita di tutto fosse inerente alla sua anima. E van istorica ha per oggetto d’ insinuare chele più violente passioni possono trovarsi insieme con la più pura virtù ; e che si può lasciar tutto il freno al l’immaginativa, senza indur l’animo in una guasta tene- rezza, e in desideri di sensuale indulgenza . L’ esempio dell’amante di Laura è stato recato in campo per cinque secoli a sostenere cotale opinione. Ma se il Petrarca si stu- diò di gettare un: bel velo sulla figura di amore, che i greci, ei romani rappresentarono sempre nuda, questo velo è tanto. diafano che ne lascia trasparire le forme naturali . Senza discorrere sulla origine e sulla natura di amore come concepivansi nelle scuole platoniche, ci limiteremo a fare alcune poche osservazioni sull’amor del Petrarca, sulle sue poesie tanto facilmente ammirate e tanto difficilmente in- tese;(*) e sulla sua mente e sul suo carattere, il quale più (*) In Inghilterra può essere; « ciò non vale certamente per l’Italia. 28 N agevolmente e più accuratemente conosceremo mercè l’at- tento. esame de’ suoi scrittti, che da quanto ne narrano co- loro che-ne scrissero la vita, ‘Fra le rarità della libreria Trivulzi di Milano dell bono esservi tuttavia due copie, colla data del 1372, d’ un opera scritta da un domenicano , nella quale è riportata la seguente storiella. « Francesco Petrarca a’ dì nostri ancor vivente amò una spiritosa donna cui debbe tutta la gloria propria. Morta lei fece grande spendio in limo- sine alla chiesa per far dire delle messe; cosicchè s° ella avesse vivuta la più rea vita, scampata sarebbe dalle mani del demonio » . Così la filosofia e la religione cospiravano colle maniere cavalleresche del tempo a lusingare ed ab- bellire quella fra le umane inclinazioni, cui è più diffi- cile resistere. La facilità di cedere all’ amore: era certo indizio d' animo cortese. La costanza , il disinteresse e la sommissione al bel sesso eran la più sicura prova di pro- dezza e di valore: nè le bellezze poetiche palesavano il talento del poeta, ma la violenza della passione che lo ispirava. Beltà , grado, domestiche virtù non avevan me- fito se l'adorazione d’un amante e la passione d’un poeta non le rendeva chiare ed illustri. A’ tempi del Petrarca Agnese di Navarra contessa di Foix scrisse alcuni versi di. amore a Guglielmo Machaut poeta francese. Eine venne geloso; ed ella mandò a lui il proprio confessore a dolersi degl’ingiusti sospetti, e a giurargli che gli era sempre fede- le. Ella chiese inoltre al suo amante che scrivesse e pubbli- casse in versi la storia de’loro amori, e nonostante conser- vò il carattere e il nome di virtuosa principessa agli occhi del marito e del mondo. La riputazione, e forse le virtù del bel sesso, erano protette dalle corti di amore le quali per due secoli fiorirono in tutta la Francia. Erano queste a un tempo stesso scuole e tribunali ove erano decretati premi ai migliori poeti e agli amanti più fedeli, dove ve- nivano sciolti problemi di amore e di galanteria, ove si 29 procedeva e si condannava. Ivi le gentili donne facevano l'ufficio di giudici senza appello. A: dispetto della ridico- lezza di cotali istituzioni, la vanità e la moda fece sì che furono cercati e temuti questi tribunali, cui talvolta pre- sedevano delle principesse , e presso ai quali non veniva permesso ai mariti di portar querele contro l’ indifferenza delle loro mogli. La contessa di Sciampagna figlia di Luigi il giovane sentenziò dal suo tribunale « che in amore . tutto è grazia, in imenco tutto è necessità; e in conse- guenza che non può esservi amore fra i coniugati » . La regina, cui fu appellato contro tal decisione rispose : « A Dio non piaccia che noi siamo tanto andaci da contradire alle decisioni della contessa di Sciampagna ;, : In seno della Francia ove vigevano tali costumanze; disposto ad esser virtuoso ma inqueto e impaziente di venire in fama, con una immaginativa disgustata del- l’attuale condizione del mondo ed assorta nel ‘concetto d’ una immaginaria felicità , il Petrarca nell’ età di ven- ticinque anni innamorossi di Laura ; che appena ne avea compiti diciannove» Facil cosa è.il notare i progressi e il descrivere la natura della sua ‘passione esaminando tutte le circostanze , che ci suggeriscono ‘i diversi componi- menti poetici da lui a Laura indiritti, essendo egli spe- zialmente accurato nell’ osservare l'ordine de’ tempi, e nel disporli secondo le, occasioni che nascere li facevano, eccettuati soli cinque o sei. necessari a render completa la storia della sua tenerezza, e da lui posti in principio sebbene scritti in età provetta. La raccolta de’ suoi versi sopra Laura offre il progressivo interesse di un racconto a quei pochi, i quali mercè la lettura delle sue opere latine sono al fatto delle circostanze dell’ amor. suo ; ma; molte di queste circostanze sono di sì lieve momento in ‘sè stesse, che difficilmente richiamano l’attenzione di ‘un lettore riscaldato dal fuoco dei suoi pensieri, dalla varietà: 20 delle sue immagini, dalla ‘elevatezza de’ suoi concetti ; dalla dolcezza della sua versificazione. i) ©1300 |. Diffidando il Petrarca nella sua gii ‘del pro- prio talento , erasi disgustato del mondo e delle cure ne- cessarie a prendersi per vivere con un minor numero di mali, fu sbigottito per l’ incertezza ed insufficienza ‘delle umane cognizioni a segno che era sul punto di abbando- nare lo studio delle lettere per sempre; e chiese il consi- glio d’un suo vecchio amico. « Lascerò ‘io lo studio e prenderò altra strada? mio caro padre abbiate pietà di me. » Ma se faremo osservazione che pochi mesi: dopo la data di questa lettera si accese di Laura ; possiamo pre- stargli fede più volentieri quando egli dice che sperava aver trovata in lei ogni felicità terrena j che era essa la mo- trice e il soggetto .di tutti i suoi studi; ch’ ei bramava gloria solo per acquistarsi la stima di lei ; ch’ ella aveagli insegnato a desiderar la vita e a volgere i suoi pensieri al cielo; e che. se la sua passione per lei era stata una volta. una fiamma colpevole e divoratrice , si era dipoi conver- tita in una luce per purificare e illaminar la sua anima , per fissare la sua mente, e per mettere in armonia quelle fa- coltà che altre volte erano state in preda alle perturbazioni. Da un ricordo che tuttora esiste scritto di pugno del Petrarca è manifesto che Laura fu: sepolta mella chiesa: de’ frati minori di Avignone. Nell’ aprirsi-vuna sepoltura della famiglia di Sade nel 1533 fu trovata uma medaglia di bronzo fra alcuni frantumi di ossa; | e una ‘pergamena con alcuni versi i quali indicavano ‘esser quelti savanzi: dell’ oggetto dell’ amor del Petrarca. Due secoli doporesa> minando gli archivi di sua casa; l'abate de Salle trovò: e pubblicò un numero di testamenti e di contratti; i quali portarono :a conchiudere che gli avanzi trovati erano di Laura ; che.essa era figlia di Audiberto di Noves , e che’ in età di diciotto anni era stata unita in matrimonio con 2-3 31 U go di: Sade, ll Petrarca la; soasbpe due anni: ca il che timonio ditleiza cat inisa i. itictoni Ma ciò che abbiam uusletiuatoci in teri là shibiira perduto in illusione , che una-ingegnosa autrice ha tenta to invano di far rivivere. Non insisteremo sulla ‘autenti- cità di antichi documenti ; dopo:che 1’ autore del Saggio» istorico critico ‘sulla vita.\e carattere del Petrarca, stampato a Edimburgo nel 1812 li rifiuta come falsità del secolo XVI; ma noteremo che.gli stessi argomenti, le stes- se disquisizioni grammaticali , le ‘stesse citazioni tratte. dal Petrarca,che.egli adduce, onde persuadere che Laura fosse zittella.,. portano alla conclusione ch’ ella fosse mo- glie. e madre di vari figli. Il nodo della questione sta im; una abbreviatura trovata in alcuni manoscritti di» ‘'opere| latine del Petrarca nelle quali dice di Laura corpus: ejus cretris PT'BS exhaustum.Se questa abbreviatura si do-. vesse\interpretare \per. perturbationibus, come vorrebbe: quel. dotto scozzese, dovremmo supporre che: la‘salute di- Laura fosse stata rovinata da continue afflizioni;' e ‘che’ il; Petrarca.non|meriterebbe imputazione‘ veruna' di: avere» amata.la moglie altrui. Ma per. mala ‘sorte la più:retta in- terpretazione di P T'S è partubus; e le parole cretris: corpus exhaustum.combinano meglio} esprimendo ‘che la sua salute era sì spossata pei frequenti parti. Le parole mulier e foemina colle quali il.suo amante la rammenta in latino, invece di servirsi»delle parole virgo, puella , e quelle di donna e madonna in italianòd'indicano una donna maritata, piuttosto che upa'zittella. ‘Coriverremo che donna è una espressione generale, e che. venendo, da domina è è usa- ta in poesia come, titolo.,di rispetto.;, ma‘ quando è usato in opposizione di giovine», vergine: , donzella ‘significa strettamente donna'maritata : è nissutio ha posto mente a quel verso del poeta , in cui dice di Laura La bella giovinetta che ora è donna; (pars n can. 15.) Dapprima il Petrarca?vedde in esiti la più bella fra

sce con calmi: I: religiosi sentimenti di lei ebbero un’ i+ dole di serenità e di fidanza più ché quelli del suo amante. In tutte le sue azioni seppe dominar sè. stessa più per na+ tura che per arte. Fu pieno di dolcezza il suo conversare, di prudenza e di.senno, ‘il ‘chie forinava un vittorioso con- trapposto. all’ entusiasmo del poeta. \Apparisce avere ella; sempre pensato che la modesta e la stima di sè stessa fossero i più: bei, pregi, che adornar: possano una donna. A Parla spesso il Petrarca della nobiltà della casata}. e dalla magwficenza ed eleganza del vestire di lei sembra ch ‘ella possedesse beni ed.averi, eguali al. suo grado. Pure non bramava di essere troppo, conosciuta nelmondo.. Super ba come .era dell’ affetto che aveva meritato, e della cele- brità che aveale procurata, erasi più consacrata alle cure della propria famiglia che alla letteratura e alla poesia : ‘**“E non curò''gitimmai ‘rime’ nè ‘versi. paxtole pure la sua, domestica condizione non, fu felice ;. poi chè suo marito, ch’ ella istituì suo, erede lasciandogli in cura. tre figli e sei ficlie, si rimaritò dopo sette Mesi » mentre tuitavia era 10 lutto per lei, Benchè il Petrarca se pa immagini. tanto vivamente 36 da farci credere che ella difatto lo amasse, leggendo le sue opere chiunque resterà convinto che non le uscì mai dal labbro veruna confessione, e che seppellì seco il suo se- greto , il più importante si anzi essenziale alla felicità del suo amante. L’ indole delicata e pensosa del suo ca- rattere esprimeva al vivo un animo ea di soffrire senza dolersi. Quando realmente una passione avesse vinto il di lei cuore, come si dava a credere il poeta, e che ella fa- cesse un continuo sacrifizio di sè e del suo amore a’ propri doveri, il pertinace silenzio di Laura, e le alternative di- mostrazioni di severità e di tenerezza verso il Petrarca , dovevano meno ascriversi ad un sagrifizio che al costante sforzo di ascondere i sentimenti che essa poteva temere che fosse pericoloso il manifestare , e che non era in poter suo di saggiogare , Pur mi consola che morir per lei Meglio è che gioir d’altra . . +... Ma questo è ciò che suppone un amante: perchè seb- bene possano la passione e la virtù trovarsi insieme, come due amici, in un animo femminile, non signoreggiano mai per lungo tempo con parità di potere, e in breve una di loro prender deve indispensabilmente predominio sul- l’altra. Un amore che non può esser soggiogato in venti anni da una risoluta virtù, e una virtù non vinta dall’ a- more è un fenomeno che si può concepire soltanto quasi come un possibile ideale. Sembra però molto confaciente alle più frequenti contradizioni della natura umana, che Laura senza amar l’uomo, blandisse la passione che avea- gli ispirata. Evvi un raffinato piacere nella vanità di pos- seder vezzi che son fatali a chi li ammira, ed è piacere anco pei buoni, perchè è addolcito da un cortese senti- mento di pietà per chi soffre. La stessa confessione del Petrarca ci convincerà tosto che Laura usò in tutto il tempo della sua vita la dissimulazione di una donna lu- 37 singhiera ad oggetto di tener viva l’illusione del suo aman- te al tempo stesso che figuravasi di esser virtuosa, e che coll’ esempio del suo pudico contegno lo guidava nella via del cielo. Mentre egli tollerava questa misera perples- sità che consuma ed umilia ai propri occhi ogni uomo il quale ama con nobiltà e con costanza, la speme di essere un giorno o l’altro un amante felice lo adescava credendo che Non è sì duro cor, che lacrimando, Pregando, amando talor non si muova. Questi versi furono scritti pochi mesi avanti la mor- te di Laura , e furon gli ultimi che ei scrisse lei vivente. La beltà di lei aveva sentiti 1 danni delle malattie prima che quelli dell’ età. Essa era giunta appena ai trentacin- que anni, quando il Petrarca in una delle sue opere più gravi scrisse: « Se io avessi amato solo la sua persona, avrei cangiato già da gran tempo ». Gli amici suoi si maraviglia- vano come una appassita beltà continuar potesse ad ispi- rargli un sì caldo affetto. « E che vuol dir ciò ? ei rispon- deva loro, se l’ arco non può più ferire, la ferita già fatta non cessa di versar sangue » . Nel corso de’ seguenti dieci anni scrisse la seconda parte delle sue poesie, nelle quali si duole di una spezie di fatalità che lo condanna a nutrir tuttavia inutili de- sideri : Il desir vive ,, e la speranza è morta: e il crudel dubbio di non essere stato mai amato da Laura non lasciava di lacerargli il cuore. Finalmente più di dieci anni dopo averla perduta, quando egli stesso presso al fine del viver suo era in istato di pensar di lei con mente più tranquilla, manifestò il suo cuore , i suoi principi, e la condotta di colei che fatta aveva tutta la felicità e la miseria del viver suo. Ella gli apparve in sogno, e por- gendogli la mano, sospirando gli disse: Riconosci colei che prima torse I passi tuoi dal pubblico viaggio, Come il cor giovenil di lei s’accorse. 38 e ‘mentre Te isue lacrime attestavand, il i nmrinne di a- verla perduta, gli soggiunse: 0 000.0 Lr gii Ma | mentre al valgo dietro wai,. dig ra» ito Ed all opinion sua cieca e dylan Sisto dall’ - Esser felice non puo’ tu glaramai. ui di st La morte è fin d’una prigion oscura Aglì animi gentili, e agli altri è noia, Ch? hanno posto nel. fango ogni lor lcuraia ! 0 ortrorg Ed ora il mio morir, che sì t'annoia. Ti farebbe allega, .se tu sentissi. Pere “La millesima parte di mia,gioia., . } ...,) {boe Così parlava, (e gli occhi ave, val ciel fissi 7 Devotamente Die agata Ù Notandole il Petrarca” che le angoscie delle , infermi. ci! Gr) tà, e le torture inventate da tiranni amareggiano ben so- : #88) vente È agonia della morte , essa gli rispose : : ‘Negar a OI posso che i ì mai ib e ue ‘Che va innanzi al morir non doglia forte, an ' !* E più la tema dell ‘eterno Bssncti 8 SU ONci ORI it (et Ma purché l’alina in Diovsi'riconforte i su iiminr \ {ie «EIcor, che ‘n sè niedesmo,;forse è lassozani n ob Che altro che un sospiîr breve è la morte?‘ ì PRICE IRON TFR... (05, .' Og Ce a DINT È "© è Ji quand” io fai nel mio pl ‘hello ‘stato val Della ‘età mia più verde; a ite più cara, SU AI Chea dire, ed a pensar asmolti ha dato ji | ste .| Mi fu la vita poco men che amara, ; Podi È rispetto di quella mapspeta . \ivig uigob Il î E dolce morte ch'a’ mot tali è rara; lobes fo Che ‘n tutto quel mio passo, er’ io più. lieta fl Che qual d’esilio al dolce albergo. riede, ; n ATO da Se nos che mi stringea sol di te pietà. : DoD su K Segue il poeta: ye dob soil ! Deh Madonna, diss’ io, pet quella fede!” 1612_R4G ‘Che vi fa credo 'alitempoò manifesta 1) ud fil Or più nel,volto di [chi tatto. wede,.., |.) ,onelomm Creovvi amor pensier mai nella testa... .. i Tenta D’aver pietà del 1îio lungo, martire , Non lasciando vostr’ alta impresa onesta ?, Appena dette queste parole vide lampeggiare que 39 dolce riso che ‘ der] serenità: su ’ mali ‘suoi e con un so- ipiro' gli difese CE AE POT Mesa: Mai diviso Da te non fu ’l mio cor, né giammai ia Ma temprai la tua fiamma col mio viso. Perchè. a salvar te e me null’ altra via Era alla nostra giovinetta fama. — ; i9 4911 Quante volte diss’ io : - questi 1 non ama . Anzi arde; onde convien ch’a'ciò provveggia! E mal può. provveder chi teme ed ama. Quel di fuor, miri, e quel dentro - non veggia. Piùdi mille fiate ira dipinse PARVE reitiovolto mio, ch*amore ‘ardeva il coré: 0 | Ma: yoglia in me ragiongiammai non vinse . \.i:y Che se vinto ti vidi dal dolore, Drizzai n te gli ‘ogchi allor soavemente,... Salvando la tua vita e il nostro onore. n E se fu passion troppo POSSEnte ze creo PR INTor re divine E la fronte: e la voce ;a-salatarti. | Mossi, or timorosa, ‘ed, 59E dolente., Questi fur teco mici ingegni. ed arti, Or benigne accoglienze; cd | ora sdegni; i ì . . . ». . . » ® . . . . Ho VCHi vidi alblecti tuoi saba sì prega \ JU Di lacrime; ch'io, dissi: Questi Je renna "fiala ut JouAjmorte, non;.l? aitando:: d’ yeggio i isegni. - Allor provvidi d’ onesto soccorso : i ' Talor ti vidi’ tali sproni al fianco,” n ; “ch'i dissi; qui ‘convien più durò MOPSO: E isla ‘Così \éaldo, vermiglio, freddo‘è biafico | (| i O SISIBIABRET: r tristo or lfeto: infin: quit’ ho. condutto. di prete ‘io mi allegro, benchè stanco...» iti Allora il poeta piangendo e tremando le disse che se quan- to ella gli diceva potesse credere, vi troverebbe gram com- penso al suo passato soffrire. Alle quali parole. accenden- dosi in volto Laura rispose: i Di poca fede : or io,-se nol sapessi, Se non fosse ben ver perchè ’l direi? . . . . . . . . % . 4 . . . » CI So Se al mondo tu piacesti agli occhi miei Questo mi taccio: pur quel dolce nodo Mi piacque assai, che intorno al core avei. E piacemi il bel nome (se ’l ver odo) Che lunge e presso col tuo dir m’ acquisti Nè mai ’n tuo amor richiesi altro che modo. Quel mancò solo: e mentre in atti tristi Volea mostrarmi quelch’io vedea sempre, Il tuo cuor chiuso a tutto il mondo apristi. Quinci il mio gelo . . . . Fur quasi eguali in noi fiamme amorose, Almen poi ch’io m’avvidi del tuo foco Ma l’un l’appalesò, l’altro l’ascose. Infine il poeta domandò a Laura sei tosto o tardi l’ a- vrebbe seguita, ella si partì da lui dicendogli : + » «+ « » Al creder mio, Ta stara’ in terra senza me gran tempo: egli le sopravvisse ventisei anni. Questi versi, che dalle ultime parole sembrano scritti quando il Petrarca era già vecchio, e cui, secondo la data nolata nel suo manoscritto, terminò di comporre quattro mesi prima di morire, sono riportati come un episodio ne” suoi #rionfi , che sono altrettante allegoriche visioni del potere dell’amore, della castità , della morte, della fama, del tempo e della Divinità. L’idea è presa da’ poeti pro- venzali, i componimenti de’ quali erano per la più parte visioni e poesie d’immaginativa e costantemente descrit- tive. Sono dello stesso genere il sogno (the dream), il fio- re e la foglia ( the fiower and the leaf ), la magione della fama (the House of fame ) , opere del Chaucer suo contemporaneo . Considerava il Petrarca questo suo lavoro come una grande opera cui temè non potere per l’ età sua condurre a fine. Nulladimeno perseverò nella sua intrapresa ; ma lasciò l’opera tanto sfigurata dalle varie lezioni, che per completarne una copia dopo la sua morte fu di mestierì , 41 supplirci molte cose per conghiettura: solo ove egli parlò di Laura in questo poema, il suo cuore partecipò al fuoco. del suo talento, il quale languiva più che perl’ età , pel disgusto di vivere. i Pare ch’ei nascesse per creare e a vicenda distrugge- re da per sè stesso le illusioni a lui necessarie , e per pa- gare in tal guisa a caro prezzo i favori de’ quali era stata tanto prodiga con lui la natura, la fortuna e il mondo, sen- za il consueto compenso di grandi sventure - « La corona d’ alloro, egli dice, da me ottenuta nulla aggiunse al mio sapere, molto bensì al mio scontento e all’altrui invidia » . L’ Africa poema epico da lui scritto in versi latini , nel quale discorre le imprese di Scipione , dopo avergli pro- curata la corona tanto ambita da lui, fu cagione di molte segrete umiliazioni, che studiò invano nascondere se quel poema ‘venivagli mentovato . Il grande scopo della sua ambizione fu quello di ricondurre all’ antica purità le let- tere e il linguaggio del Lazio: pari alla magnanima im- presa ebbe il talento e l’ardore ; e gli riuscì di correggere il gusto in Europa a segno da acquistarsi e.conservarsi il titolo di restauratore della classica letteratura . Sei si fosse rimaso'dallo scrivere i suoi versi italiani, la posterità non avrebbe con tanta gratitudine rammen- ‘ tati i meriti letterari di questo grand’ uomo ; eppure egli non fa mai menzione delle rime italiane-nella sua lettera alla posterità. Confessa a’ suoi amici ch’ e’ vergognavasi per aver mal usati i suoi talenti a divertir le femminelle e i giovanastri innamorati. Ma i suoi componimenti era- no omai tanto sparsi per le mani di tutti, che riusciva im- possibile il ritirarli in tempi nei quali dominava la mania pe versi d'amore . I cantori di mestiero mentre facevansi merito col recitare i versi del Petrarca in occasione di fe- ste, praticando le corti, spesso glie li rubavano, e sovente ne attribuivano a lui degli apocrifi. Alla fine ei prese la risoluzione di farne una scelta, e rifiutò quelli che gli par- 42 vero indegni del suo. nome . Il piacere di riviverquasi ne’ suoi Vepidi anni; di trovare il nome di Tratita' ‘ad'oghi verso ; di riandarée. la ‘storia del proprio cuore’) è forse. la conoscenza , che soprattutto seduce gli autori Hispittar al meglio dello opere loro, indusse il Petrarca già Vecéhio a dare a’ suoi versi amorosi quella perfezione, cui finora'oti tenuta non aveva verun’altro poeta, e che lo. stesso ‘a ùto: re crede che non avrebbe potuto portar più avanti. Se tuttavia non esistessero gli sbozzi di sta mano'; sarebbe impossibile ATE ppt cura usata da Tui rel: l’ emendare i propri versi . |» nie fano allora Sogna Sono questi un peregrino monuntento , benchè. nom palesino il segreto che abilitò quésto poeta a spargere’ ‘con lungo studio e meditazione tanti vezzi sulla propria poe- sia, la quale sembra nata spontimea da'una immediata e irresistibile ispirazione . MAVITOR enti. Ecco il sunto de’ successivi Fiordi notti da Tuù: în latino in testa d’ uno de’ suoi sonetti. | | dieliuigiienliace ,; Cominciat per comando del'miò signor ro sets tembre , all'alba, dopo le mie preci snictitogi fendi » Bisogna rifare questi due versi Van e taipor tarli: a ore 3. ava. 1g: ottobre.» UU | »Questo mi piace : 30: ottobre ato ore di' piatt. » »No: questo: non mi piace: 20'dicembre, la serà (e în mezzo a questa correzione ‘posando' la ‘penna sori ve)! hi- sognerà che cì ritorni isopra; mi chiamano afcenà."! ela 18 febbraio , verso» mezzodi; ora ‘sta bene”, pufe bisogna riguardarlo:. » è i Dr ) . Quando venivagli alcun' pensiero , notava fra miezzo! a’ suoi versi: ,, ciò va esaminato; ho qualche idea di trà- sportar questi versi, e di far-primo l’ ultimo , ma non l’ ho fatto. per. rispetto all’ armonia, perchè il primo'sa* rebbe più sonoro, e'l’ultimo meno; il che è contro'le. re: gole: la fine vuole essere più armoniosa del principio » In qualche luogo.propone a sè medesimo di ripetere le 43 stesse bardi piuttosto che gli stessi pensieri ;‘in altri pen- sa ‘esser meglio il non moltiplicar le idee ma amplificarle con altre espressioni: attende in hoc repetitionem verbo- rum, non sententiarum ec. Ciascun verso è cambiato in maniere diverse. Sopra ogni frase, ogni parola pone spesso una espressione equivalente , per FAP di nuovo : e ciù esige profonda intelligenza dell’italiano per iscoprire che diva tanta e tale perplessità , finisce’ ta per a- dottare la più armoniosa ela più propria fra tntte le altre parole, che a ‘prima vista sembran sinonimi. i Queste laboriose emendazioni fecer ‘nascer opinione fin da quando viveva il Petrarca ‘essere i suoi versi l’ o- pera' più del poeta che dell’uomo innamorato . E fuor d’ ogni dubbio che' allotquando una passione è veramente Violenta, non'ci riesce tanto facile il descriverla . Ma 'Yuo- mo di talento suole ordinariamente con più forza sentire e più fortemente soffrire d? un'altro ve perciò quando! l’in- tensità della sua passione va éalmandesi; ritiené per “em lungo tempo la rimembranza ‘di ciò che fu', e ‘può più isevolaante figurarsi ‘d’esser tuttavia sotto l'influenza di. quella - Così Topi è in ispecia] modo détato detti ficoltà di ‘osservare le secrete operazioni ‘della natura umana, e quanto essa prevalga sul proprio', e sul cuore altrii Col nie'uomo sente ciò che chrunque' altro è capace chi' sentite; ma come uomo di ‘talento sente più intensamente, e più vivamente ranîimemora : e soccorso dalla propria imma- ginativa può (descrivere le umane passioni e. {rasfonderne il sentimento nell’animo de’ suoirlettori. jon colloNiun.autore;a:dir vero può farcisoffrire ciò che'non ha egli stesso sofferto; nè può neltènape:che soffre esami: nar le operazioni.del propr i0 cuore; ‘o quelle del.cuore de- gli altri. Ma. le poesie liriche, del Petrarca che comoda mente leggonsi nello spazio diidue! o tre giorni', furono scritte ‘in' epoche diverse e distanti , e. comprendono la storia diiciò ch'e’ sentì per tutto il corso di sua vita,inco- \ 44 minciando dal primo suo incontro con Laura . È fuor d’ogni dubbio che il maggior numero de’ suoi componi- menti furono concepiti nel tempo in cui trovavasi sotto l'immediata influenza della sua passione, ma che furono a perfezione condotti molti anni dipoi : e se la mente di lui goduto non avesse di qualche intervallo di calma, mal potuto avrebbe dare effetto a quei concetti, ed ancor me- no correggerli . Così, sebbene l’ armonia , l eleganza e la perfezione de’ suoi versi sieno il sani Hdi eianzio di lunga me- ditazione, le sue calde ed affettuose concezioni nascon sempre dalla subitanea ispirazione d’ una reale ed anima- ta passione. Dalla lettura delle tante cpistole del Petrarca possiamo come cosa certa dedurre, ch’ egli di continuo volgendo in mente lo stesso pensiero, ed anzi dandosi tut- to in preda al medesimo, i suoi sentimenti, le sue rifles- sioni presero un indole ed un colorito di gran forza ; e se gli riusci talvolta di sopprimerli si ravvivarono in lui più ridenti di prima; che per tranquillare l’agitata sua mente incominciò dal comunicare a’ suoi più intrinseci amici i suoi pensieri , i suoi sentimenti in modo libero e schietto; che quindi ripetè cotali narrazioni con miglior ordine de- scrivendoli ne’ suoi versi latini; e che alla fine gli abbellì con profusione d’ imagini e di armonia in que’ versi ita- liani , il comporre i quali serviva di palliativo a’ mali suol: «+ «+ Non ho se non quest’ una Via da celar l’ angoscioso pianto. In tal modo si potrà intendere l’ accordo che trovasi ne’ suoi versi fra la natura e l’arte, fra la veemente passio- ne e la tranquilla meditazione, fra la profondità e la chia- rezza, fra l’esattezza del fatto e la magia dell'invenzione. Appunto perchè la poesia del Petrarca nacque origi- nalmente dal cuore, la sua passione non appare mai fredda o simulata a malgrado della eleganza dello stile, e della metafisica sublimità de’ pensieri. Nel muover degli occhi di Laura gli par di veder una luce che l’indirizzi al cielo : | I 45 Gentil mia dopna, io veggio , Nel muover de’ vostr’ occhi un dolce lume, Che mi mostra la via ch'al ciel conduce : egli esclama che la beltà di lei esisteva nel concetto di Dio prima ch'e’ creasse l’ universo: che il cielo e la natu- ra adoperarono insieme per mostrare in Laura la più bella opera loro ; ch’ ove ella si avvicini , l’aria si fa lucida e ridente: ch’ essa fu ornata di tutte le virtudi dal pianeta ove abitò pria di scendere in terra: che l’aere respirato da lei vien fatto puro dal celeste raggio del suo portamento: e che fissando lo sguardo in lei ogni basso desiderio resta spento, L’aer percosso da’ suoi dolci rai S’ infiamma d’ onestate. Basso desio non è ch’ivi si senta ; Ma d’ onor, di virtude . Or quando mai Fia per somma beltà vil voglia spenta? Pochi amanti possono aver concepiti tali pensieri; ma il fuoco e la facilità colla quale sono espressi si rendono co- muni e familiari all’immaginativa d’ ogni lettore . I poeti che precederono il Petraaca adornarono le o- | pere loro colla filosofia dell’ amore i ma si studiarono di essere piuttosto ammirati che intesi . Guido Cavalcanti > l’ intimo amico di Dante, dichiara che non aspirava ad es- sere letto se non da uomini di mente elevata . Perch’ io non spero ch’uom di basso core A tal ragione porti conoscenza . Questa canzone che comincia, Donna mi prega, ebbe va- ri celebri commentatori , e fra gli altri Pico della Miran- dola; ma non per questo divenne più intelligibile. Dante stesso commentò i propri versi amorosi, e Lorenzo de' Me- dici seguì tale esempio due secoli dipoi . Se certi passi del Petrarca sono oscuri , il lettore non ha il tempo di fermar- Visi, tanto ne è trasportato lungi dalla focosa passione del- l'amante. Le idee più astratte a ppariscono ispirate dalle soprannaturali bellezze di Laura, piuttosto che dalle me- tafisiche teoriche della filosofia: e se talvolta sembrano stravaganti, le ascriviamo più all’a ppassionata inimaginati- 46 va dell’ amante, che all’ invenzione del poeta: sono visio- ne di cui non possiam ridere, e alle quali dobbiamo dar facil credenza, perchè sono le visioni del cuore. |‘ Niuno scrittore ha saputo tanto celatamente insinuar o si ne’ più reconditi ripostigli del cuore, quanto il Petrarca. Egli ci fa risovvenire d’ ogni più lieve circostanza delle nostre passioni : le pene, i piaceri, le speranze, i ti mori; e spesso con una sola ‘parola risveglia nella mente di chi fu amante una. quantità di sentimenti quasi impercettibili M o non osservati , o dimenticati . Il sublime del suo stile, l’elevatezza de’suòi pensieri invece di allontanarei cì at- trae; come s' egli adoprasse per farci a suo talento spetta- tori e compagni delle sue felicità, e delle sue angustie : Qui cantò dolcemente, e qui s' assise; Qui si,rivolse, equi ritenne il passo; Ji ‘ Qui co’ begli occhi mì trafisse il core . Qui disse una parola, e qui sorrise,; i Qui cangiò ‘1 viso. In questi pensier, lasso! Notté é dì tiemmi il signor’ nostro, Amore ! Ma specialmente nell’ esprimere il proprio affunno il Petrarca sa mirabilmente commuovere il cuore altrui . La leggiadria dell’ espressioni, la delicatezza del senti- mento, l'estasi platonica, tutto cede alla violenza del suo cordoglio: enel maggior novero delle ‘poesie indirizzate a Laura dopo la morte di lei trovasi il più forte conflitto della natura con-la disperazione, della passione con.la re» ligione.. La rimembranza del suo amore, il rimorso de’suoi bassi desideri gli laceravano il cuore; e talora lo vediamo, risoluto alla propria distruzione. Ma trattenuto dalla sola ra tema di passare da un male ad un male maggiore: Con le mie mani avrei già posto in terra Queste membra dogliose e quest’ incarco : Ma perch’ i’ temo che sarebbe un varco Di pianto in pianto, ed' una in altra guerra ; La raccolta di questi versi per Laura finisce con una delle sue più belle canzoni alla Vergine , nella quale con un’ affetto cui niun poeta seppe mal agguagliare, implora 47 il patrocinio di. lei, onde cessare ne’ suoi vecchi anni dal versar lacrime sulle ceneri di lei che avea piena la sua vita. di pericoli ed affanni. Quando egli chiede conforto al cielo , al genere umano, e a qualunque oggetto che lo circonda, la nostra tenerezza per l’uomo ci fa dimentichi dell’ ‘ammirazione ch’esige da noi come poeta ; poichè lo vediamo; ‘pari ad ogni uomo sommamente infelice ; im- maginarsi di aver colla piego afflizione commossa l’ ine tera natura :.. ] Vago auigelletto, chia itato vai, i Rei, piangendo il tuo tempo passato, Ù ‘Vedendoti la notte e ‘1 verno a lato, «pipi VE 1 dì dopo ‘le spalle e i mesi gai; Sara CU ata giù Se come i tuoi gravosi affanni sai, . sinti Così sapessi il mio simile stato, " « Verresti in grembo uesto sconsolato tu 55 ell A partir seco i dolorosi guai. I non so se le parti sarian pari; Gir ‘+ Che quella che tu piangi è forse in vita, vs cr | Di che a me. morte e il ciel son tante avari: » Ma la stagione e l’ ora men gradita pù, Col rad A a de’ dolci anu i, e degli amari A: parlar teco con pietà m' invita . (*) WE parlando delle canzoni; abbenchè questa specie di poesia sia stata in uso: presso i siciliani, e i provenzali per ba: Mi Poor ci poro bird, that poùr "st iby lay: “Or haphis mournest the sweet.season gone; As chilly night and winter hurry on: ij Anddaylight tiel and summer flies away; Ifus the cares that swell thys‘liltle throat, Thou knew” st alike the woes that wound my rest, Oh, thou would'$t house thee in this kindred treast, And mix with mine dA melanchol y note, ‘Vet liltle know ? ours are kindred ‘ills: ‘She still may live, the object of thy song : Not so for me stern death or heaven wills! ‘ But the sad season and lep grateful hour, And of past joy and sorrow thoughts that throng, Prompt my fall heart this idle lay to pour. (Fersione di Lady Dacre ) LE | 48. più di due secoli, e Dante abbia scritto la canzone, sorta di ode maestosa, la di cui forma e carattere appartiene esclusivamente sà italiani, nondimeno il Petrarca ne’tem- pi susseguenti la portò a tal perfezione, che niun altro è stato valevole ad approssimarvisi. Il sistema della musica italiana per mezzo del contrappunto fu inventato tre se- coli prima dei tempi del nostro autore da Guido d° Arezzo, quantunque allora le di lei regole non fossero così raffi- nate ed astruse come lo sono iidiakno, La poesia non era in quei giorni il semplice caput mortuun della musica , e la voce umana, invece di essere subordinata all’ orche- stra , trionfava come parte principale , ed era accompa- gnata dagli stromenti solamente come suoni adattati a sostenerla , e a regolare le sue modulazioni. La poesia mista alla musica non poteva allora colpir l'orecchio con tanto effetto, ma parlava con ma ggiore energia al cuore ed allo spirito. Il Petrarca cantava i suoi carmi al suono della sua lira, che egli quindi lasciò in legato ad un suo amico, e la sua voce facevasi udir dolce, flessibile, e di non ordinaria estensione. Niun poeta italiano possiede in pari grado il pregio di mantenere, e nel tempo medesimo di variare l’ armonica cadenza de’ suoi versi ; la loro me- lodia è costante , nè mai accade che ci rechi fastidio. Le sue canzoni contengono talora stanze ‘prolungate fino a venti versi, ma egli nondimeno gli ha per tal modo col. legati, che mentre posa la voce al fine di ogni tre o quat- tro di loro, bene adatta la ricorrenza della medesima rima, e della stesse musicali note per intervalli giustamente di- scosti onde evitare la monotonia, eppure non tanto che non conservino l’ armonioso concento. Laonde di buon grado prestiamo fede a Filippo Villani, allorchè ci assi- cura che la musicale modulazione della poesia , che il Petrarca indirizzava a Laura era così soave , che s' adiva sulle labbra di tutti. ( Sarà continuato ) 419 o ‘Almanacco ‘agrario compilato per ‘istruzione de’ gio- © vani, da Carro sy ano —_ gp preso il | Selvestri Y in 1600 ‘@ ‘Onde questa commozione , che apparisce nel tuo: folio? » mi chiede, eritrando ad ora tarda di notte ‘nella. mia ‘solitaria cameretta ‘un ‘giovane amico. « Forse da' qualche patetica istoria contenuta ‘nel libricciuolo; che ti' veggo fra mano? » Io lo guardo alquanto ’ 'iblvidaratto + e per tutta risposta gli presento il frontispizio del hibeeo ciuolo medesimo, ov’ ei legge il titolo , che qui sopra ‘ho. ri ferito. Quindi meravigliato ei soggiunge : « un almanac- co ‘agrario? . ... può questo adunque toccarti |’ animo ;' come farebbe qualche compassionevole caso d’amore, o qualche esempio di rara virtù ? ... . no no, tu sei occu-. pato d’ altro pensiero , estraneo alla materia del Larag? libro ; e cerchi di occultarmelo. » su « Sedi , io gli dico, e mi ascolta. Ogni volta che; riandando le cose dell’ antica Roma, ti avvieni in quei: famosi, che dall’ aratro passavano al governo della repub-: blica, e dal governo ritornavano all’ aratro , puoi tu a tale memoria tenerti indifferente ? Ma quella loro sublime semplicità era anzi de’ loro tempi, che de’ loro particolari | costumi, onde la tua ammirazione è divisa; e tanti secoli interposti fra essi e te le danno piuttosto la forza di una veduta intellettuale, che di un vivo sentimento. Qui ti sì offre un contemporaneo , chiaro per molti pregi suoi pro- prj; erede d’ uno de’ cognomi più cari alla tua patria, poi- chè le richiama l’idea de’talenti utili e delle civiche virtù; in quale, dopo aver seduto , in epoca su cui la storia non può esser muta , col primo corpo politico dello stato , e aver quindi retto il timone dello stato medesimo in bre- ve ma burrascoso periodo (+), meritando prima la fiducia, (1) Senatore nel regno italico ; indi presidente della regger- zà fra la caduta di questo e la formazione del Lombar do-v enelo, 'T. IX. Gennaio 4 50 4 poi il lungo desiderio de’ suoi concittadini , cerca. ora.fra ‘campi meno l’ onesto riposo della vecchiezza , che un nuo- vo mezzo d’ esser utile a tutti . Non è il suo ritiro quello dell’uomo abbandonato dalla fortuna , disingannato dei piaceri e della grandezza, crucciato dalla malvagità degli © ‘altri uomini , È il ritiro del saggio, per cui la natura ha. sempre conservato le . sue attrattive ; è il ritiro del filan- tropo , che chiede alla natura nell Ag sua prima e fe-. dele amica, gli ultimi favori ,, onde ancor begglicaia la so- cietà. Viggilio, Dante, il da. tutti i sommi poeti,. tutti gli uomini altamente ingegnosi e appassionati, nulrirono fra le varie agitazioni della vita, e gli elevati concepi- menti del loro intelletto o della loro im maginazione , un gusto.per la campagna, che traspira da mille passi de’ loro. scritti, ove. l’anima trova una freschezza di sentimento, e direi quasi un istinto, di bontà , che veramente consola. Ma chi volesse esser rigido con parecchi di que’ grand’uo- mini, potrebbe domandare, per avventura, se stanchezza o dispetto, o desiderio di consecrar tutto il loro tempo alla, propria rinomanza non sì mischiasse a quel gusto per sè medesimo tanto ingenuo ? Il conte Verri, a cui l’ età e le sostenute fatiche renderebbero pur leciti gli ozii cam- pestri da lui sempre vaghegg iati; a cui sarebbe così facile il condirli coll’ esercizio di vari Ben e il farli servire a, quella che il buon Pindemonte chiama ultima debolezza. degli animi non volgari ; e che obliando sè stesso presen-. tasi laborioso istruttore a nostri giovani possessori , e con quell’ autorità , che a lui dona l’ esperienza (2), si fa con (2) Egli quindi ha posta al suo libricciuolo quest’ epigrafe , tratta da Columella : nos autem artium magister doluit ‘usus. E comincia di questa forma : L° esperienza è grande maestra, e chi lungamente vive ha lunga comodità per approfittarne. Ma, sebbene tutti gli uomini vedano, pochi, anche vivendo assai, san-” no osservare , pochissimi imparzialmente riflettere e ragionare. Nasce da ciò che molti vecchi rimangono sempre nulli, indolenti ed ostinati negli errori popolari uditi nell’ infanzia, e che pochi, di- i dR- o. semplici almanacchi a comunicar loro le pratiche più sa: Wie della coltivazione (3)., ci commove oltre quello che, ‘ bia facile imaginarsi. Leggi , leggi tu pure queste poche ‘ parole del suo proemio , e dimmi ciò che ne senti in tuo, ‘euore, « Nei miei giovanili.anni , allorchè la società di- Stingueva certe classi d’uomini, considerandoli quasi di spe- * tie diverse, era vergognosa ‘ed ineducata cosa. fra nobili ‘e.civili persone il parlare de’campi,dell’aratro, delle viti, de’ gelsi, e di qualunque opera o prodotto, d’ agricoltura ;, | tanto possono i pregiudizi di pessima educazione, nata fra, l’avvilimento e P errore... Ora che molti colti giovani, possidenti e nobili:, di special lode meritevoli , l'utile ab diletto assogiando; lasciati gli ozii, con zelo e con attività i ì loro pensieri all’ arte ditigonos io di buon grado per essi, ‘vò di tempo in tempo pubblicando i miei pensieri , e l’ e- sperienza che molti anni di vita mi somministrano. sN oltrepassare ; senza fermarviti , questa parenesi finale: « siate. (o giovani) paghi del vero, quale a me lo manifesta, la pratica: io ve lo partecipo con ingenuità e senza preten- sione. Seguitemi colle esperienze , rettamente pensate ed eseguite: così molto gioverete all’ arte , e nelle piacevoli occupazioni, dimenticate molte vanità y Vivrete onorati e felici. "» ‘ Qui io mi accorsi che il mio giovane amico , pieno delle idee, che sì rimarchevol linguaggio è è fatto per, risve- gliare, provava egli stesso quel sentimento, da cui mi vi dei compreso , entrando nella mia camera, « Oh questi stinguendosi dal volgo rettamente ragionando , o giungono o si accostano alla scoglefta del vero . Ciò si scorge nell’ arte di go. vernare nella pubblica e privata economia, nelle arti tutte,.e sin- golarmente nell’ agricoltura. sm i (3) Il isla. specialmente ; sul sovescio #4 4) ci Vera dh giustifichi questa nostra espressione . Gli agronomi , i quali hanno tuttavia presenti le opposizioni fatte. in tal proposito al conte Verri dal sig. Jaubert, lo leggeranno con interessamento . 52 Verri, egli esclamò, sono veramente per noi una famiglia. di ftaturali propugnatori ‘del santo impero della ragione Io non posso ricordare senza tenerezza quel buon Pietro (4); che quasi primo si presentò nella patria nostra colla face della filosofia a rischiarare la metafisica, l’istoria, la scien- za economica e amministrativa (5) , traendo dal suo amo- re pel vero il coraggio c che gli era necessario’ per combat- tere la nostra indolenza e i nostri pregiudizi È Alessandro; quantunque non affatto immune da questi, gettò uno sguar-' do profordo ne’ sepolti avanzi della mostra antica gran dezza , ed evocando l’ ombre ‘solenni de’ più magnanimi figli di Quirino, ci fè dolere di noi medesimi in faccia ad! esse , e palpitare per nuovo desiderio di risalire a quella duale; d'onde eravamo caduti. Ora questo Carlo ; unico superstite di tre illustri fratelli, dopo aver ARITIES quan- to gliel consentirono i tempi, il prosperità della patria ne’ pnbblici maneggi, promove coll’ opera e cogli scritti i più utili studi, e fa vergognar di sè stessa l’ ignavia super- ba, se ancor sì alligna fra noi, onde i sapienti debbono ap- plaudirgli , e i buoni riguardarlo con affettuosa ricono- scenza. , « Certo, io soggiunsi, ove non si possa dalle sue du rette, scritte fra gli umili lavori de’ campi estrarre Zes pensees à l'usage des siecles, come si esprimeva madama Staél riguardo a quelle dettate dal suo famoso genitore nel ritiro di Coppet, se ne possono derivar norme agra- rie (6), che sempre saranno importanti, finchè qualche (4) Anch'’ egli discese dalle sue gravi composizioni a quella d’ almanacchi in apparenza leggeri, dei quali, per altro, dopo tre decenni ancor dura la memoria, e quasi dissi la celebrità . (5) Le sue meditazioni sull’ economia politica ebbero pur recentemente insigni lodatori, Say e Sismondi . (6) Quelle, in Cu che riguardono la cultura de’ gelsi, ven- gone oggi proposte dai georgofili francesi come lè più sicure di quinte se ne condscono ; e 1’ accademia d’ agricoltura di Lione fa eco al loro giudizio . -_ 53 strano rivolgimento della’ natura non cangi la faccia del mostro suolo , e sopratutto un petali imuitalile in qual siasi età.. ” 4 ; "E ORA M. n Rupporto degli studii accademici dell’ anno 1821 1822 letto nella solenne adunanza dell’ I. e R. Accademia ‘dei Georgofili del dì 29 dicembre 1822. dal profes- “sore Giuseppe Gazzeri. Se egli è vero che lu uomo per la sua struttura privi- legiata, per la sua organizzazione maravigliosa , e soprat- tutto per quella che lo anima celeste favilla , emanazione purissima del fonte d’ ogni esistenza , sia l’opera più per- fetta fra quante uscirono dalle mani del sommo artefice); egli è vero altresì che il- maggiore fra i suoi pregi , il più nobile fra i suoi attributi, quello per cui egli è fatto. in qualche modo partecipe della potenza creatrice, è l’inde- finita sua perfettibilità , o l’ attitudine ond’è dotato di render sè stesso e l’ esser suo sempre migliore, perfezio- nando le intellettuali e fisiche sue facoltà , e per |’ eserci- zio illuminato di queste dirigendo, modificando, e facen- do utilmente servire ai suoi bisogni, ai suoi comodi; ai suoi piaceri quanto altro vi ha di creato. In fatti molte e grandi differenze distinguono dal- l’uomo della natura quello delle odierne civili società . Ora siccome empio insieme ed assurdo sarebbe il pensare. che l’uomo divenendo migliore e più felice, faccia onta a chi gli diè l'essere ed i mezzi per divenirlo, forza è conchiudere per lo contrario essere sopra d’ ogni altra opra degna dell’ uomo, conforme alla nobiltà della sua natura ed ai fini del creatore qualunque tenda a migliorarne sotto qualsivoglia rapporto l’ essere e la condizione, ad accre- scerne edassicurarne la prosperità. Al quale nobilissimo scopo se riuscirono talvolta u- 7 54 tili le premure individuali d’ aleuni uomini caldi dell’a- more -dei loro simili ,;vi concorsero assai più efficacemente. gli studii. concordi di quelli che raccolti insieme ; animati da uno stesso spirito , guidati dalli stessi principi, con- fortandosi e giovandosi a vicenda, diressero ad un ogget- to connme facoltà e mezzi diversi. |» ti DEI Tal fu l'origine , tale è lo scopo di quelle filantro- piche società, che le più culte fra le nazioni videro suc- cessivamente fdt nel loro seno sotto la special pro- tezione dei lor reggitori. Fra le quali questa nostra , quasi primogenita alle altre, occupatasi prima come società agraria dei più as- soluti bisogni dell’uomo, estese poi come società economi- cai suoi studii ad ogni ada connesso colla pubblica, prosperità. val i Di che occupandosi ella indefessamente'i in ogni tem- po è , rende poi e riceve annualmente in questo giorno sox Jlerine pubblica testimonianza dell’avere ella degnamente corrisposto alla gloriosa sua vocazione, o Onorato io d’ua tale incarico, lo assumo di buon grado; bastandomi ricordare i lavori pregevoli dei miei. valorosi colleghi a render manifesto che , coerentemente: al nostro istituto, essi furono tutti diretti alla. prosperità della nostra specie, al maggior bene fisico .e. morale \del- l’uomo, ad ottenere il quale tante e sì diverse condizioni richiedonsi, e. a danno di cui tante avverse cause cospi- rano fino dal:nascer suo, prevenendone perfino alcune e) .contrariandone il nascimento. In fatti a quanti individui della nostra specie fa. tomba il seno materno! di quanti altri |’ uscita sover-, chiamente o ritardata o laboriosa cagionò la morte! quanti non aprirono gli occhi al dolce lume di vita. se non estin-. guendo quella di chi li avea procreati , privati così dei, teneri e necessarii uffici di quella, che madre non solo. ma doveva esserne nutrice, custode, compagna, e gui- - 88 darne amorosa’ i primi infcerti Bra nel ‘difficil sentier della vita! Alle quali lacrimevoli Frobitare volendo in qualche modo soccorrere quei che professano l’arte salutare; ima- gìnarono un gran numero di strumenti e di proessti . onde venne a comporsi quella branca di chirurgia che è detta ostetricia, della quale , perchè spesso inutil+ mente crudele, si ‘ehe a dubitar per alcuni se più danno che benefizio arrecasse alla nostra specie, stando per la più sinistra opinione i men frequenti protoni nelle spe- pi dei brùti . “Ul perchè i i più saggi e più prudenti fra gli ostetrici, risata i processi operativi a qualche raro caso ‘di ve: ramente disperata necessità , limitano le cure loro , vera- mente benefiche , ad Lian e secondar la natura. Ma | Come pochi ed’ itfcerto o scarso effetto eramo i farmaci a did fim qui destinati, è da riputarsi prezioso l'acquisto che l’arte ha fatto recentemente d’un nuovo ) per quanto | sembra, ‘singolarmente efficace. rei segale ( secale cereale) fra le piante farinacee una delle più nutrienti dopo il frumento; è soggetta ‘ad una particolor malattia, per cui i di lei semi , PATO una grande tudstazione: prendono l’aspetto di cornetti scuro: violacei, ‘che talvolta acquistano la lunghezza di 15, 0 18 linee. In questo stato è detta segale cornuta, e dai fran- | cesi anche ergote. Una tal malattia si ‘conosceva non solo da lungo tempo, ma era anche noto che i semi per essa viziati introdotti nel corpo umano vi cagionano notabili sconcer- ti, e specialmente convulsioni e dolori. Qualche analogia fia questi sintomi e quelli che accompagnano il parto na- turalmente felice, fece congetturare che una discreta e prudente TRI di questo seme, nei casi pur troppo frequenti di debolezza e di languore, svegliando in un colle doglie corrispondenti vive e risolute contrazioni ‘ 56 ® uterine, ‘potrebbe ‘condurre, «a buon fine quella, funzione importante , la quale fu già decretato dover esser. .l’ ‘pera del dolore. .:.. 1... - In fatti i primi tentativi ni E Parigi Faroe coronati dal più felice successo. Di che appena giunse uo- tizia fra noi, il benemerito dott. Bigeschi nostro socio corrispondente professore ostetrico e direttore dell’ Ospi- zio di maternità si affrettò a farne esperimento nelle pri- me occasioni che se gli offersero , sicchè fu presto in grado di comunieare alla società nostra l’istoria di ben 16 casi nei quali la segale cornuta, da lui congruamente ammi- nistrata , valsera rianimare le languide doglie del parto, eda procurare la naturale e facile espulsione del feto. h I quali risultamenti se Lig ulteriori osservazioni sie- no dimostrati costanti, com’ è da sperare, potrà l’uma- “nità rallegrarsi che l’ arte abbia rimosso il primo e spesso fatale inciampo che l’uomo incontrava sullo stesso limitar della vita . | Se non che, scampato appena da questo , lo attende o lo minaccia un secondo, più generale, nè men terribile. Parlo di quel morbo crudele che recato dall’ Arabia in Europa, per ben dieci secoli , nei quali vi restò senza fre- no, fè sì aspro governo della nostra specie ,.che non pago d’ aloni vittime, lasciò raramente quei che sfuggi- vano a morte senza le note miserande di sconcia deformità. Nè per un’ altro secolo lo provarono men feroce se non alcuni fra quelli, che, spiatane l’ opportunità , se gli of- fersero vittime volontarie, consigliati dalla quasi moral certezza di soggiacervi con maggior danno. Finchè piac- que a natura pi porre in facoltà dell’ uomo stesso il pre- munirsi da tanto male, rivelando a Jenner il mistero della vaccizza. Dono prezioso e direi quasi divino, chel’ u- manità riconoscente non può dimostrar meglio i apprez- zare condegnamente che profittandone a propria salvezza. ‘ Nel che mentre han posto e pongono ogni maggior 57 cura, non solo quelle fra le Ìmazioni che han fama di mag- gior civiltà, ma quelle ancora che diciam.-barbare ; po- trem noi senza dolore, ed anche senza vergogna’, con- « fessar, com’ è dritto, che questa nostra, maestra un tem tessar, com é ’ q po a tante altre quasi in ogni ramo del sapere, e riputata tuttora sede d’ ogni ragionevole ed utile disciplina , si sia mostrata e si mostri nell’universale sì poco premurosa in profittare di tanto beneficio, nè la muova il veder tratto tratto rinnuovarsi in mezzo a lei le nei: di Lala flagello sterminatore . Ma anzichè dare a sì gran danno uno sterili com- pianto, con miglior consiglio 1’ accademico dott. Tartini prese ad indagare le. cause di sì fatale indifferenza, e se- gnalatene le principali, suggerì i mezzi più atti Pe ovvi. arvi ed a porre in maggiore onore e render. più comune fra noi quella pratica salutare. Quanto alla rimanente caterva dei mali che afflig- gono o minacciano l’ uomo, la società nostra assai debitamente quell’arte vai che ne prende cura; non ne fa ella oggetto speciale dei suoi studii , e sebbene conti fra i suoi membri i medici. più ibi non, ne ascolta letture di medico argomento se non raramente ; ed.in specie allorchè si riferiscano alla filosofia della me- dicina ed alla critica dei sistemi , i quali il buon medico vuol tutti conoscere onde coglierne il buono, senza farsi schiavo d’ alcuno. Così furono udite con interesse le due memorie degli accademici dottori Gallizioli e Gherardi tendenti a porre nel suo vero lume, scevri egualmente da ogni pregiudicata opinione, i pregi dell’ odierna, dottrina medica italiana. «Non meno della die. che prende ci cura della salute corporale dell’ uomo ee il suo ben essere e la prosperità generale ogni iiionia o disciplina tenden- te a formarne il cuore , a coltivarne lo spirito , a. svilup- r ? 59 parne e perfenioniarnie l’ industria; a prata Barile ageeseg Lar rbinmnatiini -zesr dia A > Mentre ‘una' tal verità, vivamente sentita dai'veri | miivitci bene gli anima ovunque a fondare, favorire, promuovere stabilimenti destinati alla morale e' fisica i- | struzione del popolo, non può vedersi senza dolore che a molti fra gli uomini ne paia ‘altramente , e che essì ri guardino tali istituti, o come sicuramente dannosi, 0 al. men tali onde sia gravemente minacciata sr sicurezza‘ e | la quiete dell’ intera società. ROSARIA Contro il qual pregiudizio, se egli è pur cali più utilmente che la' ragione, cui non ‘tutti egualmente sono usi a cedere, dee valere l’ esperietiza irrecusabile di popoli che per somiglianti istituzioni sieno divenuti migliori e più felici. Fra i quali insigne esempio offre il popolo della Scozia. Abitatore d’ un paese aspro, montuoso ed'ingrato, fu lungamente povero non' solo ma turbolento ed inquie- to ; agitato :e diviso da furiose' guerre civili. Oggî questo - popito stesso emula nel commercio la potente Inghilter- ra; la pareggia nell’ eccellenza delle manifatture, la vince mell'agricoltnzai e beato d’ una ‘mediocre agiutezza, frutto della sua industria, è fra quanti compongono il regno . unito‘della Gran-Brettagna'il più morale, il più treanquil: lo, il più amante dell’ ordine , il'più sommesso all’ auto: rità. i Se il lasso di circa un secolo, in'cui si baci un dì grande e sostanzial cambiamento, è troppo breve per ‘non riguardarlo come maraviglioso , un altro secolo' trascorso dappoi , e che ha veduto non solo conservarsi ma accre- scersi le virtù e la prosperità di questo popolo esemplare, è troppo lungo' per lasciare ‘alcun‘dubbio ‘intorno al pregio delle istituzioni alle quali è dovuto ‘ùn tal cambiamento. Del quale avendo alcuni uomini sommi impreso ‘ad indagare le cause, hanno concordemente segnalato come 59 principalissima la somma cura dell’ educazione ed istru- ‘ prg del'popolo. . ®© Basti nominare il cav. Siniclaie ed*il sig. Biot, del dei dei quali .l’ accademico dott. Tartini ci fece cono- scere un’opera eccellente comprensiva tutto ciò che ri- guarda quel paese e quel popolo, come l’accademico dott. Cioni ci comunicò le importanti osservazioni del secondo; che animato dal desideriò di far partecipe dei benefizi degl'istituti scozzesi il suo' puese', vele pubblicò in una sua ‘bella memoria inserita nel Journal des Savans, che si stampa a Parigi. | Fra gl’ istituti ordinati all sducadione ed all’istra- zione del popolo è singolarmente celebrato quello che da | aleuni anni il sig. di Fellemberg ha formato ad Hofwill, ed ove non lungi dall’altro in cui le prime classi della società ricevono un’ educazione ed un'istruzione adeguata alla ‘loro destinazione ; molti ‘individui della classe infima tolti all’ ozio , alla miseria, alla‘dissipazione, mentre for- . mano il cuore e coltivano adeguatamente lo spirito , ap- prendono le pratiche d’ un’ agricoltura illuminata, e quelle | fra le arti meccaniche le quali DE ‘strettamente ivi si ri- | feriscono . data L'utilità ed i pregi del quarti istituito avendo non solo destata 1’ ammirazione di tutti quelli che lo han vi- «sitato, ma indottine i più a predicatlo come modello uni- co a cui debba in ogni parte rigorosam'ente conformarsi chiunque ed ovunque miri ad ‘un medesimo fine, l’acca- «demico marchese! Ridolfi dopo averne con occhio intelli- gente ed esperto osservato e studiato ogni particolarità, «distinse avvedutamente nei sistemi e nelle pratiche ivi seguite ciò che per pregio intrinseco ed inseparabile sia per esser utile in ogni luogo ed in ogni circostanza, da ciò che legato a particolari condizioni locali, personali, o al- tre, debba riuscire meno utile ed anche impraticabile alteote' LU Ma qualche differenza. nei metodi d’ educazione e d’istruzione, ove sia consigliata da ragionevol.motivo,.an- zichè impedirlo;; rende più sicuro il conseguimento del fine importantissimo al quale ‘intendono, quello ‘cioè di sviluppare, perfezionare, rendere attive le facoltà. dello spirito e del corpo , e quindi atti gli uomini all’ utile eser- cizio delle arti liberali e meccaniche. Delle quali le prime sebbene meno strettamente leghte al nostro istituto, pur non ne sono affatto estranee, prestan- do alcune validi aiuti. alle arti meccaniche, ed essendo, altre quasi cardini o fondamenti della macchina sociale, che senza esse non potrebbe sussistere. Però, avute in pregio da ogni saggio governo, Sonori a vicenda (variamente presso varie nazioni ) soggetto;di. leggi e di misure protettrici e regolatrici. Quanto sia importante una tal parte della legistagio» ne, e quanto lontana ancora da quel grado di perfezione Ma annie cui potrebbe giungere, lo mostrò l’ accademico dott. Giusti in una sua prima memoria intorno alla scien- za della legislazione relativa alle professioni liberali, nella, quale espose i principii dell’ economia politica concer- nenti i lavori che son detti immateriali, premessa un’.in- dicazione del sistema che si è prefisso per la continuazione da lui promessa di questo lavoro importante , di cui lasciò: vivo desiderio negli uditori. SGRITE L’ agricoltura prima fra le arti meccaniche ed duiafico to più speciale dei nostri studi , porge più frequentementè materia alle letture pane cera In un paese, come. il nostro formando ella l’ occupazione della più gran, parte, del popolo , diviene interessante ogni indagine riguardan-, te i costumi e le abitudini di questa, ed.i varii sistemi se-. condo i quali il proprietario ed il lavoratore percepiscono respettivamente il frutto della proprietà e dell’ industria.. La questione intorno all’ utilità o al danno che ri- sulti dal lusso dei contadini, discussa già nello scorso an- Gi no'in due opposte memorie, ed in qualche modo compo- sta per una terza, fu anche în una delle letture di quest”, anno ulteriormente rischiarata ‘con nuovi argomenti di fatto. Il socio corrispondente Sabatino Guarduccî, illumi- nato e studioso agente di campagna , vissuto sempre in mezzo ai contadini; e però cognitore profondo delle loro. buone o viziose qualità , dimostrò che quanto concorre a svegliare l'industria agricola un moderato’ e ragionevole amore d’un miglior nutrimento e d’ un miglior vestiario, altrettanto rende effeminati, schivi dei lavori campestri, ed anche viziosi il soverchio dratisieaito al lusso frivolo. ‘Però distinti i contadini in tre classi, cioè buoni , mediocri, e cattivi, insegnò a riconoscerli dalle vesti, affermando essere i migliori quelli che vestono mediocre- mente , mediocri quelli che egualmente tenaci di tutto ciò' che è antico, sprezzano ogni ragionevole innovazione non meno nelle pratiche dell’arte che nei costumi e nel vestiario, e finalmente pessimi quelli che in un vestiario. elegante ed affettato offrono chiari segni della loro cor- ruzione . Quanto all’ altra questione « se nelle particolari cir- costanze della Toscana sia più utile dare i beni rustici in affitto o a colonia,, la deputazione di ciò inearicata aven- do giudicato doversi premiare una delle due memorie concorse , la quale fu poi trovata appartenere all’ accade- mico avvocato Paolini, e fare onorevol menzione della seconda spettante al lodato socio corrispondente Sabatino Guarducci, l’accademico marchese Gino Capponi rela- tore della deputazione lesse un giudizioso e ragionato rap- porto a ciò relativo. Siccome la memoria coronata con- cludeva in favore degli affitti, specialmente in vista dei vantaggi derivati all’ agricoltura toscana dal sistema dei livelli, promosso e favorito dal Granduca Leopoldo , di- chiaravasi in quel rapporto che se l’amore dei buoni prin- 6a I cipii sviluppati nella, memoria, e sempre professati .dal-. Y accademia avevano indotta la deputazione a .coronarla,. non vi erano per altro bastantemente distinte le: circo-. stanze e le condizioni. dei livelli da quelle di, nuovi sistemi; e patti da farsi fra il padrone e il contadino, ferma stante; l’attual. divisione della terra in poderi. Vi si faceva anche attenzione alla circostanza poco comune fra noi di conta- dini capitalisti , circostanza necessaria nel sistema degli, affitti.o livelli ,, e si distinguevano debitamente. quelle, varti del nostro territorio ove il prodotto degli alberi.sor- passa quello dei cereali da quelle ove accade l’ opposto. Per le quali e per altre simili avvertenze, mentre si faceva plauso all’invocata moltiplicazione dei livelli, sì. volle impedire che il favore per questa maniera di contratti facesse presumere approvati dall’ accademia alcuni altri modi che, presentando qualche analogia, contenessero. sostanziali differenze. , Intorno al soggetto stesso l’ accademico avvoc. Ser- gardi fece intendere alcune osservazioni discordanti dalla conclusione della memoria coronata . L’ accademico dot. Ferroni matematico regio, riguar- dando come sommamente importante per i nostri agrono-, mi il conoscere qual proporzione serbino fra loro le due masse dei prodotti cereali e non cereali dell’ intiera To- scana, eccettuate le isole, all’ oggetto di rivolgere opportu- namente i loro capitali e la loro industria verso la ripro- duzione o degli uni o degli altri, annunziò coll’ appoggio di fondamenti autorevoli che un anno per l’ altro il va- lore. a contante dei cereali equivale presso a poco a quello di tutti gli altri prodotti dell’erbe, arbusti, ed alberi d’ogni specie e varietà o silvestre o domestica, Stabilì ancora altri fatti importanti egualmente dedotti, fra i quali questo, che qualunque sia il sistema nel quale convengono fra foro il. proprietario ed il lavoratore per la cultura delle singole parti del sbiniiazio ‘toscano , la parte domenicale di tutto insieme il raccolto equivale un anno per l’ Vie alia palio che si rilascia allavoratore per l’ opera suae Loti Lo stesso accademico; esposto in altra lettura: lo sta- to fisico del fiume Arno dalla sua origine fino al.suo.sboeco: in mare, coll’ appoggio d’ una relazione inedita dell’ insi- gne matematico Tommaso Perelli, non meno che del ta+ gionamento e dei fatti, dimostrò erronea l’ opinione del- l’altro matematico Vincenzio Viviani che ragguagliava a .. tre braccia per secolo il rialzamento progressivo del letto. di quel fiume, ridotto giustamente dal Perelli ad un brac- cio. per secolo. Il nostro accademico mostrò corifermata | dal fatto la più giusta opinione del Perelli; sebbene a fa- vorire in qualche modo quella del Viviani, oa farne: aw= ‘ verare il tristo presagio fossero concorse dopo. lui. circo- stanze disgraziatamente opportune ;, benchè da lui:non . prevedute, cioè il quasi generale diboscamento degli: Ap- .. pennini, e la forzata e male intesa coltura di molte pendici spogliatesi così della terra che le cuopriva; e che le acque ruinose hanno portata al fiume in quantità immense uni- tamente a piccole e grandi masse pietrose. rimaste scoperte e sciolte, rialzandone o ingombrandone il letto . . Rilevò poi che questo rialzamento; e quindi il pericolo delle inondazioni, sarebbe anche minore se oltre al rin-: selvamento degli Appennini, raccomandato dai ben veg- genti ed incoraggito da questa stessa accademia coll’offerta; dei suoi premi, si promovesse la pratica delle serre ai bo- tri più scoscesi , degli arginamenti traversi nelle valli ri- strette, e delle colmate regolari nelle più vaste pianure ;; | se le lavorazioni agrarie in collina. fossero condotte gene- ralmente con più ìntelligenza arandosi per traverso e nom alla china, come tuttora si pratica dai più, e se si molti- plicassero ai coltivazioni a ripiani ed a ciglioni con som- mo vantaggio dell’ agricoltura. Alcuni perfezionamenti reali che quest’ arte nata col- 64 Fiomo ha ricevuto modernamente facéndo credere a molti. che.i più antichi popoli non 1 abbiano esercitata che roz- zamente, li rendono incuranti del saperne le pratiche ed’, i ‘risultamenti, la cognizione di cui potrebbe riuscire di qualche utilità. Persuaso di ciò l’ accademico eav. Fab-. broni produsse molte curiose notizie risguardanti Vagri- coltura dei Giudei, tratte con vasta erudizione dai più în-. | signi scrittori sacri e profani. } numero e la forza di quel popolo, l’.estensione del.paese che egli passò ad occupare dopo l’ emigrazione dall’Egitto;}a natura ela fertilità del. stuolo; le specie di piante che vi si collivavano,i sistemi e. le pratiche ‘agrarie che vi erano in uso, gli strumenti che vi s'impiegavano, la quantità di seme che si spargeva so- pra una data estensione di terreno, il prodotto che se ne ottenevayle misure di superficie e di capacità che vi era- no in uso, il valore delle terre, il prezzo degli affitti sono alcuni dei dati che il dotto accademico dilucidò colla scor- ta d’ autorità irrefragabili. Fra le pratiche agrarie d’ altri popoli meno antichi Y accademieo dot. Tartini prese a considerar quella per cui dgli abitanti della Rezia gallica poco prima dei tempi di Plinio credettero render più comodo l’uso dell’ aratro ap- ponendovi sul davanti due ruote . Siccome intorno ad una tale aggiunta si era da diversi diversamente ragionato, predicandola alcuni come vantaggiosissima, mentre da al- tri era dichiarata inutile ed anche dannosa; il nostro ac- cademico fece conoscere una soluzione plausibilissima che di tal questione ha dato recentemente il sig. Dombasle - presidente della società d’ agricoltura di Nancy, soluzione dedotta dai principii della dinamica, e per la quale è reso evidente essere gli aratri semplici da preferirsi ai composti. Rilevò bensì l'accademico stesso qualche omissione nella soluzione del sig. Dombasle , ed indicò altri soggetti di ricerche importanti che potrebbero offrire ancora l’aratro stesso ed altri strumenti campestri. | | | 65 Fra questi ultimi il seminazore del sig. di Fellem- -berg ‘noto fra noi solo di nome , non: lo era ancora per i uso'pratico. L’accademico marchese Ridolfi avendone’ Sttenuto uno , informò in una privoa lettura Paccademia degli esperimenti comparativi da sè con esso intrapresi, promettendo farne poi'conoscere i risultamenti, e frattanto: comunicò alcune sue importanti osservazioni relative, ri-' levando ‘non solo i pregi intrinseci di questo strumento, ma ancora 1 molti vantaggi indiretti che se ne potrebbe ricavare introducendolo nei nostri campi . ‘ Dalle quali considerazioni prese occasione di fare 0s- servare quanta sia l’imperfezione dei nostri aratri e dei nostri erpici , quanto danno risulti alla nostra agricoltura’ dal non fare ‘uso d’alcuna specie d’ estirpatore per le cat- tive erbe, e richiamando in fine l’ attenzione dell’ accade- mia verso una questione importantissima ,, sebben poco» studiata, cioè ,, se i solchi che si usa fare nei nostri cam- pi sieno più utili risparmiando alla sementa qualche dan- no per parte dell’ umidità, di quello che riescano dannosi con far perdere una grande estensione di superficie pro- duttiva. » | Succeduta. poi , epoca della raccolta, egli fece noti’ per una seconda lettura i risultamenti delle sue esperienze comparative, concludendo come ed in quali casi possa 0’ tenersi notabil vantaggio dall’ i impiego di quest’ingegnoso' strumento . Una delle più importanti fra le faccende agrarie, praticata diversamente in diverse provincie, somministrò all’ accademico dot. Chiarenti il soggetto d’ un’interessan- te lettura. Egli, rilevata la sostanzial differenza fra il siste- mia secondo il quale si. eseguisce la potatura specialmente delle viti e degli alberi nelle campagne fiorentine e quello che si segue nelle pisane, e rintracciatene le cagioni , ne indicò una plausibile nelle diverse condizioni locali . malgrado delle quali dimostrò non andar esente da sifone T. IX. Gennao 5 66 i nè l’ uno nè l’altro sistema, per essere il taglio troppo parco nel pisano , troppo sfrenato nel fiorentino . Però commendò come giudizioso ed utile un terzo sistema me- dio introdotto dal rinomato agente Baccetti nostro socio, corrispondente nella fattoria di Coiano del sig. mar. Gar-, zoni Venturi nostro degnissimo presidente , del qual si- stema l’accademico Chiarenti asseri aver riconosciuto l’u- tilità per le proprie esperienze , che variate a suò senno l avean condotto a qualche ulteriore e più vantaggiosa modificazione di cui dette ragguaglio i Lo stesso accademico comunicò in altra lettura i ì ri- sultamenti di alcune sue esperienze dirette a verificare se una debol soluzione di solfato di rame , predicata come rimedio efficace contro quella malattia infesta al seme del, grano che si conosce sotto il nome di volpe 9 carbone, go- da veramente di questa utile proprietà . Egli nei suoi e- sperimenti opportunamente variati avea non solo trovato inefficace il preservativo, ma era stato condotto ad altre curiose ed importanti osservazioni che comunicò. Il sottoporre così al cimento d'’ esatte e ripetute espe-, rienze qualunque nuovo ritrovamento è il solo mezzo di verificarne l’ utilità e di farne adottare la pratica. Quindi non si potrebbero commendare abbastanza quelli stabili- menti che il buon senso e la filantropia d’ alcuni agrono- mi hanno destinati a quest’ oggetto importante . Ne rilevò singolarmente il pregio l’ accademico avvocato Rivani in un suo estratto ragionato d’ una memoria manoscritta relativa alle masserie d’ esperimento agrario promosse con tanto impegno dal celebre sig. Iohn Sinclair membro del parlamento inglese, e perfezionate dal sopra lodato sig. di Fellemberg nel suo istituto d’Hofwill . Era data in tale. estratto chiara notizia d'una serie di nuovi edi ingegnosi strumenti ed attrezzi agrarii diretti ad ottenere con eco- nomia di spesa i migliori risultamenti nella cultura dei campi . } | 67 rt, AL cimento.stesso dell’ esperienza, e di tale esperien- za in cui tutte concorrano le. condizioni e vantaggiose e simistre che dovrebbero, accompagnare d’ intrapresa , me- siterebbero d’ esser sottoposti quei processi , dei quali l'c- sempio:d’.un felice successo ottenuto altrove fa da alcuni, raccomandare l’ introduzione presso di noi , reputata da altri non praticabile con vantaggio dipendentemente da circostanze. particolari e diverse, . : Un processo di questo genere è quello dell” illumi- nazione a gas. L’accademico prof. Taddei reduce da un viaggio fatto in Italia ,.in Svizzera, in Francia ed in In- ghilterra., e però testimone dell’ effetto di questo modo d’ illuminazione, specialmente in Londra , tornò a racco», mandarne l’introduzione presso di noi, proponendo di de- stinarvi materie di tenue prezzo ;, ed indicando come dppertuna.: a quest’ oggetto la contiguità di tre pubblici 1 ira, cioè lo dia di S. M. Nuova, e i due teatri della Pergola e Nuovo. Attivandosi un tal progetto per opera di volontarii contribuenti 0.in altro modo, o un prospero successo im- pegnerebbe a renderne permanenti ed estenderne i van- taggi, o un’ esito men felice facendovi rinunziare con fondamento, ci purgherebbe dalla taccia di disprezzare, per indolenza o per inerzia ciò che altri trovano utile e pregevole . Ma tornando all’agricoltura o piuttosto agli oggetti che, vi si riferiscono; sono sicuramente dei più Importanti fra essi gli animali domestici. La contrattazione di que- sti essendo un bisogno quasi giornaliero dell’ agricoltura, ed essendo altronde frequente soggetto di frode , di mala- fede, o almen di litigio, vi è noto che l’ accademico mar-. chese Ridolfi aveva fino dall’ anno 1820 assegnato un pre- mio a chi indicasse i mezzi più atti a render facile e sicura la contrattazione dei bestiami, e vi è egualmente noto che 68 sodisfece al quesito e meritò in premio una memoria del- l’ accademico dot: Vanni, In appendice alla qual memoria in una delle adu- nanze di quest’ anno egli comunicò alcune osservazioni ed alcuni fatti, che rendono più evidente la necessità di ri- stringere l’ eccessiva latitudine accordata all’ azione redi-. bitoria dalle leggi romane, in questa parte tuttor vigenti nè modificate fra noi, come è stata notabilmente ristretta dalla legge presso molte nazioni. Un’ altro genere d’ animali interessa pure 1’ agricol- tura, non solo in quanto ella ne prepara il nutrimento , ma in quanto sono ordinariamente affidate ai coloni le cure delicate e sollecite dell’ altrettanto breve quanto preziosa lor vita. Dopo le istituzioni pubblicate dal conte Dandolo l’educazione di quest’ insetti ha ricevuto un’ insigne per- fezionamento . Ma in vano si spererebbe di coglierne i vantaggi, se i coloni , naturalmente tenaci delle antiche pratiche, e nemici d'ogni innovazione, noù sieno stimolati e diretti da amministratori intelligenti, o piuttosto dagli stessi proprietarii . Già il nostro socio corrispondente dot. Zauli vi fece conoscere gli ottimi risultamenti da lui otte- nuti in una bigattiera da sè eretta a Modigliana , confor- mandosi ai precetti del conte Dandolo . Altri socii corri- spondenti, i fratelli Lambraschini, hanno in quest’ anno fatto altrettanto alla loro tenuta di S. Gerbone presso Fi- gline. I risultamenti che ha offerto loro la nuova bigattiera da essi diretta, e che ci furono comunicati dall’accademico dot. Passerini, sono così lusinghieri da fare sperare che resì noti, sieno per stimolare ogni proprietario ad impie- gare un’egual cura per ottenerli conformi . Ma il più grande fra i benefizi che l’ agricoltura a- spetti dalla scienza è quello che deve provenirle da una più ragionevole amministrazione degl’ ingrassi. Già da qualche tempo l' attenzione degli scienziati e dei pratici è egualmente richiamata verso quest’oggetto importante. 69 Fra le léiture accademiche di quest’ anno tre lo hanno preso di mira. Il socio corrispondente Sabatino Guarduc- ci, rilevati alcuni errori nella pratica comune, ha indicato quella che a lui sembra la più conveniente . L’ accademi- co avvocato Rivani ha anch’ egli comunicato alcuni meto- di da sè praticati con profitto , alcune sue esperienze ed osservazioni relative. L’accademico ‘prof. Gazzeri, autore d’ una memoria già pubblicata nel 1819: e nella quale, e- sposta con qualche chiarezza la teoria della vegetazione e la parte che vi hanno gl’ingrassi, si dimostravano coll’ap- poggio del ragionamento e di numerose esperienze i vizi dei metodi generalmente praticati, ed il bisogno di rifor- marli, presentò in quest’ anno all’accademia una tal me- moria , accompagnandola con altre sue conformi osserva- zioni, e dichiarando che ve lo avevano indotto una miglior disposizione nell’ universale ad accoglierne i principii me- no gustati in addietro, i suffragii d'’agronomi rinomatissimi, come del sig. di Fellemberg, del sig Carlo Pictet e d’altri, e la lusinga d'udire in breve adottati e predicati i princi-. pii stessi in quelle memorie chericeveranno in questo giorno stesso il premio e gli encomii dell’ accademia. Il numero, la varietà , l’importanza dei lavori acca- demici dello scorso anno , dei quali ho qui rozzamente abbozzati i soggetti , mi sembran tali da non lasciare al- cun dubbio che gli studii concordi di questa società non han cessato d’ essere costantemente ed efficacemente ri- volti al nobilissimo fine della sua istituzione, all’ aumento della pubblica prosperità . è G. GaAzzeRI 70 Viaggio al lago di Como di DEA Ben rovolfi i Un mi 8° Comò 18ar. sidro Macon 1q Per regr unt ron stesso due vol: tn; Milano pesi ) i : PR br SIL sitonp 3 Quello! Pa ci è sempre font soproradio ogni «altra cosa nelle varie: opere pubblicate dal sig. Davide Bento, lotti ; si è di avere in tutte Lrovato l’intendimentoidizia» nire e di porre incommercio fra loro la letteratura; ‘e quella: che chiamasi buona società; le quali sembrano» di» sgiuate in Italia da una certa scambievole; avversione; con danno infinito di tutte due . Certo si.è che la massi. ma opposta è la cagion principale che manchi talvolta au- éhe ai più dotti fra gli italiam | arte di far libri, ossia, di rendere accetti ì loro pensamenti a molti lettori, e di;guar dagnarne:alcuno al di là di quel numero sempre ristretto di persone le quali leggon per istudiare. Siechè per. quano to noi abbiamo sicuramente al pari di ogni altra. mazione dei libri che c’istruiscano, sca rseggiamo poi di quelii che ci divertano,, e chi non vuole, altro che vincer la. noja è obbligato a ricorrere ai francesi per delle letture . E ile doune non sanno che. cosa leggersi.in italiano; ;e son così nell’alternativa, o.di rinunziare alle grazie della cultura, o di rischiar che si, sperda in loro il marchio della naziona; lità, educandosi a dispregiare, le cose nostre... Ma la.lette, ratura, che ècosa sterile, se, non provvede ai bisogni del proprio paese, e del proprio tempo , non dee disdegnare talvolta di seguir l° emblema d’ Elia, il quale, quando eb, ‘ be a risuscitar quel bambino, rannicchiò il proprio corpo fino a farlo combaciar col cadavere , 1n cui dovea rinfon- der la vita. E noi non abbiamo mai trovato che cosa lo- dare in quel letterato francese , che mentre gli bruciava la casa, non volea smuoversi dal pesare gli assi-romani, o dall’ interpretar le parole greche. 2A; Per questi riflessi noi speriamo che le due operette di cui diam contezza, abbiano ad incontrare buona acc 4 glienza dagli italiani, ed anche dalle gentili italiane . La quale accoglienza l’ A. ha studiato di meritarsi, tanto pel modo ditrattar gli argomenti, come per l’arte di maneggiar e lo stile. Noi non vogliamo asserire , che tutto sia egual- mente lodevole nella maniera di scrivere del sig: Berto- lotti. L’intenzion dello stile è certamente buona , e mo- stra un animo gentile , una:leggiadra immaginazione , e un colpo d’ occhio franco e vivace; ma è vero altresì che la voglia di esser grazioso lo fa cadere talvolta nel manie- rato, e che egli adopra troppo sovente delle inversioni, le quali essendo straniere alla indole della lingua nostra , è da dubitarsi , che possano mai aggiungerle una vera ele- ganza . Talvolta anche vi si incontrano dei modi strani di dire, e dei neologismi non necessari accanto a delle parole antiquate ; in somma degli ornamenti un pò discordanti fra loro, i quali tolgono allo stile quel carattere deciso e uniforme, il quale faccia comparir ch’ esso sia l’ espressio- ne spontanea e sincera di una maniera originale di ve- ‘der le cose. Con tutto ciò questi libretti saranno letti vo- lentieri , ed è bene ch’ essi le siano, poichè i sensi ch’essi contengono son degni di trovar facile la via per insinnarsi nell’ animo di molti lettori . E ciò clie loro manca è im- putabile, noi lo ripetiamo, al poco commercio che vi è in Italia fra Ja lingua della conversazione, e la lingua dei li- bri, per cui so scrittori di questo genere son costretti ad andar tastone , e difficilmente trovano ove appigliarsi , e troppo spesso vanno a cercare l’ispirazione negli scritto- ri stranieri . ‘Ambedue questi libri contengono le deserizioni di alcuni luoghi belli e memorabili della ‘parte più setten- trionale di Lombardia e della contigua pendice di Svizze- ra, sotto la forma di viaggi raccontati in modo da dare alla descrizione un aspetto drammatico, e framezzati spesso da delle riflessioni morali , le quali sono anche abbellite da molte sentenze di autori illustri, ‘bene scelte da varie 72 lingue, e bene appropriate. Tratto tratto vi sono inseriti dei romanzetti di un genere quasi sempre patetico , e. i quali non mancano di spirito nè di affetto, ma si rassomi.; ghano un po troppo fra loro nell’andamento, e nella fiso- nomia dei. personaggi, 1 quali so posti in azione; il qual, difetto comparisce. principalmente nelle Peregrizzazioni, ed è una delle ragioni per le quali noidiamo la preferenza, al Viaggio al lago di Como, che è anche lavoro meglio stu- ciato dell’ altro. La parte storica è ben trattata, tanto ;da destare il rammarico , ch’ essa lo sia brevemente , poichè pochi lampi che vi si incontrano bastano per annunziar, che LA. partecipa di quella maniera franca e schietta, di osservare, la quale vede con gli occhi stessi le cose di, lutti i Lempi, e giudica con animo antico le cose moderne,, e col. moderno criterio le antiche . Del che noi daremo un saggio, trascrivendo qui alcuni tratti intorno a, un il- lustre italiano dei nostri tempi, il duca Melzi . Is « Ingiusti furono il più sovente i giudizi recati del Meizi. Quali che in un,grande di Spagna pretendevano di rinvenire un. Trasibulo , grandemente andavano errati ; quindi essi lo morsero, nou meno di quelli , che in un uomo di generoso animo speravano di trovare uno schiavo, codardo al pari di loro. Melzi amava la. grandezza id’ I- talia. Svegliato d’ intelletto , integerrimo , fermo , alle virtù d’uom pubblico forse una sola mancavagli, quella di meglio conoscere gli uomini; beneficentissimo, usi cage lissimo, le virtù private avea tutte. Leggiadro dicitore, e manieroso quant’ altri mai, egli vincea colla favella,, e col tratto gli animi che conciliati già s° era colla soavità dell’ aspetto. Ben a ragione si dolse la signora di :Stael che muta siasi rimasa la patria sopra la tomba di così rag guardevole: personaggio ». Sarebbe desiderabile che l’ Halia ubiiauia di derit di questo genere. Essi le procurerebbero fra le altre cose un materiale di osservazioniintorno ai tratti caratteristici, 73 dei costumi delle varie parti di essa; il che quando fossé fatto collo spirito con cui lo ha fatto il'sig: Bertolotti, la lascerebbe mieno esposta ich’ essa non lo è alle false rap? presentazioni di alcuni viaggiatori stranieri , i quali giu- dicaron con leggerezza ciò ch’ essi. non poterono «cono: scere a fondo. Non però gli italiani debbono disprezzar Y opinione ch’ essi hanno fatta nascer di loro presso le altre nazioni , nè opporvi. delle prevenzioni più appassio> nate di quelle delle quali essi si dolgono. Essi debbono esser gelosi nel rivendicar dalle ingiustizie ‘degli stranieri que’ fatti che importano alla gloria nazionale, e intorno a ciò che riguarda i costumi distinguere i rimbrotti che ga> stigan le colpe, dai sarcasmi che abusano della debolezza. E questi ribatter con dignità , di quelli tacersi , e farne senno , Ella è cosa caratteristica dell’avanzamento morale di un popolo il sapere in che conto debbon tenersi ; e le ingiurie, le quali non ponuo esser tolleratesenzavavvilitsi, e le riprensioni, le quali .mon ponno esser disprezzate; sen- za rinunziare alla speranza di esser. migliori. Le nazioni: sono state più sovente adulate nei tempi di decadenza; jche in quei di virtù , e nelle età che noi ammirianto si 'udi< vano sgridar delle colpe; delle quali ci.mancaibrossore ; solo perchè ne è sparita da noi fin la coscienza. ib» 10 Il primo volume delle Peregrinazioniha'in alici il ritratto dell’;autore, cavato da un quadro dipinto con evi- denza di, somiglianza dalla. gentil donna milanese» Ma- rietta Bellerio . , srsgue 199 io 99 ibi o STITOTIONI 140) ) ol je TO LOTTI Db A Tuotconoi Novella di Coxusoi Gaienmit penne ‘secon: (da — Milano, presso Fertario ; 1821 ritviriad onsbillib ibrig cosd di 09 Quando nella letterattra: a una nazione si ‘manifé- sta, a troppi segni, una nuova tendenza che indica riella nazione medesima qualche muovo ;bisogno) sembra ‘ché 74 varrebbe la. pera l'esaminar questo nuovo bisogrio, per decidere di quella tendenza. Il gridare addirittura contro di essa io so bene ch’ è d’ assai più comodo; poichè non solo un esame richiede sforzo o fatica, ma anche reca ti- more, per l'incertezza del suo risultato: Quindi parecchj si affrettano (e non solamente in materie. letterarie ) a tacciar di follia tutto quello, di cui potrebbe loro nuocere che si vedesse la ragionevolezza. Nulla, peraltro ; di ciò, che è, cessa d’ essere perchè non si vorrebbe ; e posta l’e- sistenza d’ una causa, riescono inevitabili le sue conse- guenze. I giornali, che fecero qualche parola dell’ Ilde- gonda del sig. Grossi, quando comparve nel 1820, la trattarono, se ben mi ricordo, molto cavalièrement ; i zelanti del gusto classico generalmente non le furono più cortesi ; ed essa intanto corse per le mani di tutti, com- mosse tulti; e in breve giro di mesi ne bisognò una ri- stampa , che qui annunciamo. Se questo non indichi una diametrale opposizione fra le sentenze de’ letterati e il sentire del publico , lascio che ciascuno il consideri. Ma da qual parte crederemo noi che stia la ragione; da quale il torto? I letterati hanno spesso de’ canoni arbitrarj, delle prevenzioni; il publico ebbe più volte un gusto pervertito, di cui egli stesso:col tempo fu costretto beffarsi. Finchè la disptta si: restringe al mi piace o non mi piace, non può argomentarsi in verun modo che quel che piace sia buono , quello che:dispiace sia cattivo. Quale criterio'ado- preremo;noi per sapere, se il pubblico approvando } è i letterati disapprovando sentano dirittamente ? “A dir vero, ove si consideri lo stato presente della società italiaria», parmi:che si abbia piuttosto motivo di diffidare dei letterati di professione: che mon del pubbli- co. Il buon giudizio di questo osservo che progredisce eol secolo ;;.il sennoidi:quelli veggo!chie ‘procede assai più len- to ,,se.pure non, fa: talvolta:; anche ‘contro l'andamento universale, dei passi!retrogradi. Il pubblico , se non. co- rieti dii 79 nosce: certe delicatezze d’ arte negli scritti, di cui sente più viva l'impressione , non prende però oggi il'mamieris- mo per la bellezza, lo strano pel sublime ;'come nel se- colo decimosettimo; i letterati si attengono tenacemente ad ‘alcune forme ricevute; in cui non ‘ammettono modi- ficazioni da cui‘non’vorrebbero deviazione. Il pubblico in gorizia è oggi tanto portato verso le; cose utili e vere, che non può compiacersi se non di quella poesia, ‘ove si trovi molta verità , ed uno scopo mon del tutto vano; i letterati hanno ‘ancora tantà propensione per certi doh trastulli del lorò ozio erudito, che sono spesso tentati di dare la pre ferenza a tutte le firenze che a quelli si ras* somigliano , e di biasimare cose migliori , cir harino altra sembianza: " Quando infatti voi udite censurar l’Hdegonda,. come deboli assai lunga e in quattro canti (cito i soli giudizii che mi son novi): e come tratta dalla storia de’ bassi tém- pi (prediletta alquanto esclusivamente da un partito let- terario , il quale non è ancora ben inteso, perchè forsè non intende ancora bene sè stesso ); 0 come tutta: piena di disperazioni e di terrorij mal non vi apponete' imagi- nando che dai censori si pensi piuttosto a camoni e'a temi di cui fu nutrita la loro adolescenza nelle scuole, o a gaje storielle, di cui furono conditi i loro passatempi, che non alla ragione delle cose: Nulla di'più facile, per veri tà, che iltrovare vecchi esempj' ‘in’ giustificazione’ dei Movi ; ma questa ai nostri occhi mon è giustificazione, è quindi labbandonianio a chi' può accontentarsenie. Osser: veremo peraltro , ‘o ‘piuttosto ricorderemo (datehè il'non pensarvi' è in molti ostinatezza , nb picciolezza d’intent- BERAST che ‘ad'un poco di PPETR Idellè ‘cose giù! fatte ad un po’ d'istinto lasciato libero noi dobbiamo l Divina Commedia, il Decamerone,, 1’ Orlando Furioso ;. e, che dire ad c ogni proposito: quello e. questo, de’ nostri frei, hanno scritto in altra guisa equivale al dirè; sesil: genio 76 degli scrittori sentì in'passato l'influsso de' tempi, non lo ha da sentir più;.se si distinse per qualità proprie e individuali, non si ha da distinguere più; se gli imitato- ri furon già gregge servile, giusta la nota frase di un poe- ta, che con pochi altri sta a capo d’ una letteratura quasi tutta d'imitazione , ora sono gli unici, a cui possa attri» buirsi buon senno. Gran. che! In tutte le arti Lulle si applaude ciò che reca diletto , e serve alle presenti opportunità , senza cu- rar troppo se il bisogno de’ nostri avi richiedeva da esse cose diverse; e di 8 arti della parola si vorrebbe che si servisse a Miuiagi che più non esistono, anzichè ad altri che il tempo ha'‘loro sostituiti. Si.ammira, per esempio, il genere di dipingere di Wood o del nostro Gozzi, e si disputa su quello di poetare di Thomson, o di Delille. Ciascuno , anche de’ letterati, vorrebbe un quadretto del- l’ ingegnoso Migliara (1); e poi esita a dare un po’ di lode a questi quattro, che possiamo parimenti chiamar quadri, della novella del Grossi. E non a caso ho parlato del Mi- gliara; poichè se avvi qualche somiglianza fra. pittura e poesia ;, nessun pittore e nessun poeta sì accostano tanto, come il pittore della storia di Comingio, dei sepolcri de- gli Scaligeri, dell’ Abelardo ed Eloisa, e l’autore d’ Ilde- gonda. Io non dico già che questi aggiunga , scrivendo , quella forza e quella bellezza , onde l’ altro ci fa sì dolci inganni, adoperando il ratio Parlo piuttosto del ge- nere di composizione, che ambidue prediligono ; ; della luce, o per meglio dire dell’ ombra ch’ essi amano porre ne’ loro quadri diversi; della verità che, in questi do- mina, e dell’ effetto, morale che ne risulta. Quindi mi FAGIONA piuttosto SOMAPIACEI TO che sorpsesa , entrando un Ò) Egli è in Italia ciò che il sig. Granet è in Francia: ile peintre d’ intérieurs par excellence. E vale pur moltissimo nei paesetti, specialmente in miniaturà, ove sono da lui rappresentati i più magici effetti della luce. 77 giorno nella gallerietta d'un mio giovane ‘amico (2) , il vedere quattro de’ più toccanti soggetti della novella del Grossi; Ildegonda, cioè ; venuta sul verone del domestico giardino per dare all’ amante l’ultimo addio; la sua uscita dal sotterraneo del Monastero Maggiore fra i crudeli sa- telliti, da cui l'amante più non riesce a difenderla ; la sua prigionia nel monastero medesimo ; e la sua morte, disegnati dal Migliara all’ acquerello bravissimamente . Ove mai il valoroso artista trattasse questi soggetti in pit- tura, non solo vedrebbe raddoppiata la solita folla , che circonda ogni anno le sue composizioni, quando si aprono al publico; per la grande esposizione , le sale della regia pinacoteca milanese’; ma udrebbe'per le bocche della folla medesima, e massime delle pas pai i versi del- l’ Ildegonda, chie vi sono relativi. Se, per caso, a noi ruvido sesso migliore potesse parer dubbio il merito del Grossi , che tutti ripongono principalmente nell’ espressione degli affetti , riportiamo- cene pure , non dico al giudizio , ma al suono della voce, onde ripetono alcune sue ottave quelle dolci creature, per cui gli affetti sono la vita , giacchè intorno ad essi così di rado s ingannano. Io mi pensava di avere fin qui serbato un tal sentimento del linguaggio della natura, che ovun- que il Grossi meglio lo adopera, dovessi gar mio cuore esserne bene avvertito. Ma come creder più alla forza e ‘ingenuità del proprio sentimento , ove sì ascoltino dalle labbra di una vergine innocente questi soli versi dei pri- mi delirj della minacciata Ildegonda? Ch’ io t'abbandoni, dicea spesso, ch’ io Giammai ponga in altr’ uom gli affetti mici? Deh! per pietà non crederlo, cor mio, Che nè manco volendo io lo potrei: (2) Il nobile sig. Antonio Chiesa, dilettantissimo dell’ arti del disegno, a cui consacra quella porzione d’ozii e di ricchezza, che altri dell'età sua crederebbe di dover dare ai piaceri. 78 Ti giuro, 0 mio Rizzardo, e sallo Iddio , 1... Siccome a me tu necessario sei : Ei che il segreto mio gemito ‘ascolta Sa ch'io di duol” ST se ti soh tolta. ! ‘La madre?... Oh! la dolente madre mia, pIp Ja dolce madre, io l'ho pur sempre in core: lub . Sai di che amore io l’ami, e tuttavia ,, i Quel, che a te porto, è più possente argore: Tutta in pianti pregavami la pia, Che cedessi al voler del genitore ; ©’ ‘Con'cari nomi mi pregava ; ed era» 00. Rifiutata per me la sua preghiera. E il linguaggio vero degli affetti è quello forse, che, fece della novella del Grossi una poesia popolare; a che mirava l’intenzione dell’ autore non diversa da quella, d’ altri nostri giovani scrittori , di cui.ci avverrà forse in, qualche altra occasione di far parola. Questo desiderio di popolarità gli consigliò di prescegliere lo stile più facile e più usuale, quantunque ci sembri ch’ egli lo abbia con- fuso talvolta col triviale ; il che non conveniva. Ma l' e- sercizio , e una più intima domestichezza co’ nostri più candidi e più gentili poeti, della quale certo egli avrà il buon senno di riconoscere la necessità, gli faranno fare, una distinzione , che finora non sembra aver fatta, e gli daranno un colorir più vago, più lucido , più armonioso , il quale contenti ogni più squisito sentire. Chè certo non i soli giovanetti e le fanciulle, ma quanti sono fra noi di, più educato ingegno penso che leggano con singolare di- letto ( appena offendendoli qualche locuzione meno pro- pria ) queste ottave : Era sereno il ciel, splendea la luna Ridente a mezzo della sua carriera, Sicchè da lungi in armatura bruna Vedea (3) un guerrier, calata la visiera: ‘(è a (3) Ildegonda dallo spiraglio d’ un sotterraneo del monastero maggiore , che dava la vista sugli spaldi di Porta Vercellina in Milano. = 7 le 79 Nessun fragor s’ udìa, voce nessuna; ( - Sol quella universal quiete intera D’improvviso venia rotta talvolta Dal grido dell’ allarme d’una stolta. S'inalza un canto: ,, Errante, pellegrina (4) »» E pur segnata della croce il petto »» La regal casa abbandonò Fiorina »» Per seguitar l’amato giovinetto : s» Combattendo al suo fianco in Palestina. 3» Fu il terror de’ credenti in Maometto: . »» Da valorosi insiem caddero in guerra, »» Dormono insieme in quella sacra terra. yy Era d’autunno un bel mattin sereno, » L'ultimo ch’ ella si destaiva all’armi! — »» Fiorina ah! non voler, diceale Sveno, », Non voler nella pugna seguitarmi: > lmmensa strage s’ apparecchia ; oh! almeno » Il diletto tuo capo si risparmi, — i ss Non l’ascoltava: insiem caddero in guerra, i sy Dormono insieme in quella sacra terra. ‘ , I cadaveri santi fur trovati », Nel campo ove la strage era maggiore s Tenacemente insieme ambo abbracciati 33 In atto dolce di pietà e d’ amore: »» Riposano gli spiriti beati 3» Nella pace ineffabil del Signore; »» I corpi come già caddero in guerra, » Dormono insieme in quella sacra terra. Tacque, ma non fu il suon del tutto spento, Che in quell’ alto silenzio trascorrea; Però che dalle mura del convento Le triste note l’eco ripetea, E mormorare un flebile lamento ù Per la vasta campagna s’intendea, (4) L'avventura (nota l’autore) dei due amanti Sveno e Fio- rina , i quali fuggiti di nascosto dalla loro patria seguitarono la prima crociata, e morirono insieme combattendo, veniva ricordata al tempo delle crociate posteriori con un senso di religiosa pietà e ammirazione. Questo Sveno dell’ amante d’ Ildegonda è il me- desimo, la cui morte vien deseritta dal Tasso nel canto vil della Gerusalemme . 80 Che a poco a poco,manca ‘e si confonde Col sussurrar dell’acque e. delle fronde. Fu il suo Rizzardo a riconòscer. presta : La bella. solitaria innamorata ; E la memoria lusinghiera e mesta . De la coppia, che il canto ha ricordata , Invitandola al pianto ‘in cor le desta H desìo della prossima crociata) A. che Rizzardo contra il suo volere Dalla città fa assunto cavaliere (5)... E se altrove.il diletto degli uomini colti è ‘minore; deve. ‘piuttosto attribuirsi a difetto dello stile, che ad altra cagione qualunque. Perocchè della continua mestizia anzi doi ‘che regna nel componimento, noi che siamo pur di quelli a cui il piarger giova, ci sentiamo inclinati a ringraziarlo; e, per quanto sia grande l’umana frivo- lezza , crediamo -che pochi vorranno dargli biasimo, ossia che al cuore piacciano le pietose commozioni, che sono le più profonde e anse che gli rivelano la propria bontà , (5) Quit di città della Lega Lombarda ( nota qui pure l’autore, citando il Denina ) fecero la pace coll’ imperatore Fe- derigo secondo, il papa Onorio terzo , che ne ebbe il compromesso e ne dettò le condizioni, obbligò Federigo ‘a partire per l’ impresa di Terra Santa ; e le città collegate offersero dal canto loro un certo numero :d’armati ; che doveano accompagnarlo. Da questa: annotazione il lettore si : accorge a qual teinpo ap- partiene il soggetto della novella, che qui non crediamo dover rife- rire nemmeno in succinto, essendo la novella medesima già assai divalgata, e facilissima a procacciarsi da chi non l’abbia ancor ve- duta. Del resto quel.solo.; che se ne vien ragionando nell'articolo, indica bastantemente che trattasi d’una povera fanciulla innamo- rata a cui rion'si lascia che l'alternativa del chiostro o del sa- grificio de’ proprii «iffetti. Com? ella resiste , il padre la maledice, la miadré le muor d’ambascia, il fratello le ordisce un orribile inganno , la cui fine è il supplizio dell’ amante ( bruciato come “eretico ) , e la morte della infelice; preceduta da tali strazii del- l’aniva, che ben può do:riandarsi;a chi legge: “ E se non piangi di che piarger suoli? 81. ‘ssia che testimonio d’ infinite sciagure l'odierno. mondo sia più disposto a rattristarsi che a rallegrarsi. Vero è, co- me ho pur udito dagli amici del Grossi , che si bramereb- be nella sua ‘novella qualche maggior varietà di tinte, qualche più vivo contrasto di luce coll’ombra, così per risalto degli oggetti, come per conforto dell’animo addé- lorato. É agi come. ne’ dipinti del Migliara, il cui colorire è di quella forza che tutti sanno, quasi sempre al di là delle oscure volte per cui. si. prolunga il nostro sguardo; o de’ funerei monumenti, fra cui mestamente si aggira P nd si presenti un colle FRRAVDE un verde albero , un po’ di cielo sereno, onde la vista si consola e l animo si rialza , quasi fiderei che nel più profondo abbatti- mento è ancora sperabile qualche sollievo, e che fra i mali onde ci opprimono i tempi e gli uomini, può rima- nerci un rifugio nel-benigno seno della natura. E un altro avvedimento mostra il Migliara , di cui quind’innanzi non vorrà mancare nemmeno il. bravo Grossi, quello cioè di ricordarsi che scopo dell’ arti imitative è il bello, il quale mai non può comporsi coll’ orribile , massime vci - mente prolungato, Questo nostro riflesso cade principal- mente su quel delirio dell’ infelice Ildegonda, a cui par vedere l’ amante (che avea giurato di apparirle ove a lei premorisse ) fra i tormenti de’ reprobi , imaginati dal Gros- sì con dantesca fantasia, ma tale che la nostra non riesce a sostenerla. Non era dunque possibile al suo talento poe- tico guidarci al funesto esito della visione con nostro mi- nor raceapriccio ? . Ma se esitiamo a lodare questa visione, punto non esitiamo a lodar le cose che la preparano, fra cui citere- mo quella che immediatamente precede, la lettura cioè d’ un’ esempio di certe cronache sacre, fatta da Ildegonda nella sua cella solitaria la sera del giorno de’ morti, dopo le tante funeste narrazioni ascoltate coll’ altre suore in T. IX. Gennaio 6 82 una predica del gusto de’ suoi bag , cioè a dire tutta stranamente spaventosa. Pb » Altro esemplo dell’ira del Signore, |. ©’ pos »» Se al confessor:si taccia alcun peccato. »» Renzo Brancaleon da san, Vittore, .;, .. , »» Sendo dal mal di morte travagliato », Mandava fuori per un confessore ; » Veniva al letto e scoltava il malato ;3 Il reverendo padre Anton da Nesso; | vuialon > HI laico stava nella stanza appresso», |. gh ie s» Di sante preci il frate soccorrea 3 Quel penitente alla tremenda andata; 33 ll cor gli confortava nell’ idea »» Della prossima sua vita beata. ,; Poi levata la destra lo sciogliea , ,) Benedicendo , delle sue peccata ; , Gh’ei non sapeva come quel perduto | _.__ ‘ 3) Un glie n’avesse in confession taciuto. ,»» Ma il fratel laico, che dal loco ov era ,, Scorgea il morente e il letto e ogn’altra cosa, »» Vedea dall'alto fuor della lettiera i 3 Lenta sbucare una mano pelosa; »» Scarnata, lunga lunga, nera, nera, »» Che calava calava minacciosa i i ,, E respingea la consacrata stola, TRUE 3° E abbrancava il malato per la gola. »» E già strozzato esala il maledetto, (00. (0. ;, Nell’ira del Signor l’ultimo, fiato, , E due demon} balzano, sul letto; hà Guinea il fronte dal crisma segnato , E gli strappano l'anima dal petto, ri 7, anima imputridita nel peccato, » E fuggon tra le fiamme. — Il laico intanto ;; Vedeva il tutto; perchè gli era un santo, + Qui ’1 vento cigolar fece la porta: Schiudersi lenta lenta essa (6) la vede, E, come forsennata la trasporta Il terror, getta il libro e sbalza in piede; © | Ma la lane a quella malaccorta ERI I VRGTO, tuij (6) Ildegonda. 83 Nel subito attorrovesciar succede: ' Le tenebre leraccrescon lo spavento, È stramazza ‘boccon sul pavimento. ec. |» Fu arte o piuttosto ingenuità de’ nostri vecchi novel- latori il dare a yarj personaggi de’ lor racconti il linguag- gio proprio delle.loro condizioni, e fino il loro. particolar dialetto , di che non; è'a dite. quanta vivezza ed evidenza consegua al dialogo. L’intese Shakespeare; che tante cose intese dei veri secreti” del discorso, onde chiunque per prevenzione 0 altra causa. non lo ria bisogna che il legga con una,specie:di passione. Fra;i nostri poeti nou ricordo chi abbia fatto sentire distintamente le'differenze del linguaggio; nè'potrei citare in'tal proposito altro che qualche passo del Poliziano in certe sué canzoni pastora- li, e qualche scherzo de’ canti carnascialeschi. Solo ho presente, che in-un.poema troppo, presto obliato (7) di quel Calugo, che fù tanto amico del sommo: Alfieri, notai dodici o quattordici anni sono certi amori d’' Ermoldo e di Mafalda, cantati da Ermoldo medesimo, ch’ era poe- ta, in fondo al lago della fata Candida,.e di uno stile mezzo ossianesco, il quale.mi parve esprimere benissimo non so qual maniera di poetare introdotta ,'dopo la com- parsa del famoso Galedonio , da’ nostri giovani, che po- sponevano alla novità la PITT (8). Lo stile delle crona- che sacre imitato dal Grossi ha in sè vie Rpaggior verità , ed è di un effetto singolarissimo. L'esempio pur dianzi addotto potrebbe altresì basta- re a porgerne idea del talento descrittivo dell’autore , che non è il meno riguardevole de’ suoi talenti. Ma ft ne, dacchè siamo sicuri di far piacere, qualche altro. (7) Masino, scherzo epico d’ Euforbo Malesigenio. Brescia, Bettoni; 1808. | (8) Intendo (e lo noto per iscanso di equivoci)la natura no- stra, o la nostra maniera di sentire fra il promontorio erculeo. 1n punta allo stivale @ l’alpi retiche e cozie. | 84 È il dì de’ morti: taciturna e nera! Regna la notte ancor nel firmamento, Addormentata è la natura intera; Sol con lo squillo lamentoso e lento Invita dei defunti alla preghiera La campana maggiore del convento : AI primo suon le monache già deste Il cilicio si cingono e la veste; E un picciol lume nella man raccolto, Uscite dalla povera celletta, Ad una, a due, a tre col vel sul volto Passano i foschi corridori in fretta , Mormorando preghiere , e tutte han vòlto Il cammino alla casa benedetta, Ove del monaster le antiche suore Riposan nella pace del Signore. Era la vasta sotterranea stanza Da una lampada in mezzo rischiarata : Tutta ‘d’ossa e di teschii in ordinanza La parete lunghissima è celata: Solo nel fondo poco spazio avanza Ov’ è la mensa mistica inalzata: Biancheggia il suol di sepolcrali sassi, E rispondon le tombe sotto ai passi. In corte file spesse ed ordinate , A destra si vedevano ed a manca Le monache per terra ing ginocchiate, Curvato il volto sulla nuda panca : Ma con le braccia al petto incrocicchiate , Macera il volto dall’ etade e bianca, Sola nel mezzo in alto seggio nero L’ austera madre sta del monastero. Hldegonda coll’ altre si prostese Pe’ suoi cari defunti Iddio pregando, Ma il pensier di Rizzardò la sorprese Novellamente , ogn’altro dissipando : Nè degli di il suon; nè i canti intese Delle sorelle, nè s’accorse quando, Ogni fragor cessato, in basse note Celebrò i gran misterj il sacerdote. Poi che l’ augusto rito fu perfetto 85 Tacite uscir di chiesa le sorelle, E con le braccia incrocicchiate al petto La vecchia madre uscì dopo di quelle, Che già di mezzo al ciel lucido e netto Vedevansi sparir l’ ultime stelle, E l’albor diffondeasi lento lento Su perla bruna torre del convento. Ma la fanciulla, che non s’ era accorta Come sola l'avessero lasciata , Ne’ suoi pensier profondamente assorta Stavasi tuttavolta al suol prostrata, Quando, sentendo stridere una porta, Dal pavimento alza la faccia e guata AI loco d’ onde quel rumor le viene, E scorge la mestissima [delbene. Quest’ ultimo nome, che è quello d’ una monaca gio- vinetta, la quale, forzata qualche anno innanzi dalla pre- potenza de’ parenti a consumare un sagrificio odioso al cielo, vorrebbe preservare da simile sciagura l’ infelice Ildegonda, ci ricorda quanto il sig. Grossi valga anche nella pittura de’ caratteri. Dopo quello d’Ildegonda, in- nocentissima e sventuratissima fanciulla , il carattere d’I- delbene è certamente il meglio tratteggiato della novella, e forma con l’altro un commoventissimo contrapposto. Perchè Ildegonda ancor nuova al dolore; troppo ardente per potervisi piegare senza resistere , o piuttosto sorpresa - da troppi dolori, per poterli tutti insieme sostenere ; com- battuta fra un primo veementissimo amore, e la sua cre- dulità, la sua timidezza, il suo filiale rispetto, sirazia l’anima indicibilmente. Idelbene, di più mansueia in- dole, o vittima già rassegnata , spira più dolce mestizia , ed ha in sè tutto quello che giova a farne una vera con- solatrice. Chi può esprimere di che conforto sia quest’an- gelo a quella desolata negli ultimi momenti, i quali per altro, come i più desiderabili per Ildegonda, sono dipinti dal sa con tinte più soavi che mai? Oh grazie, grazie buon Grossi, che ci abbi fatto sentire come ne’ più grand 686 orrori della vita resta ancora ‘per conforto .la simpatia della virtù e della sventura — e la vicinariza dell’ eterno riposo. Anche Migliara, disegnando la morte d'’ lidegonda, ha sentito l'ispirazione del posta, e sollevandosi oltre il suo usato magistero (9) ci ha dato un vero quadro di pas- sione, che ci sembra mirabile. E voi pensate o lettore che il discatli di cui parlo, dice propriamente quello che dice e poesia : In atto di pietà la moribonda i Levò le luci al ciel senza far motto, Quindi alla gioja che nel sen le abbonda Cedendo, -diè in un piangere dirotto: Incurvata del letto in sulla sponda Seco lei piange la sua fida, e sotto I rabbassati veli la badessa Tacitamente lagrimava anch'essa. Il commosso ministro sulla pia. i ì | De’ morenti la prece proferendo, "7 "PRRESET Devotamente ad or ad or la gia dis Nel nome di Gesù benedicendo, Finchè "1 tocco feral dell’agònia Fra ’l sopor che l’ag ggrava ella sentendo, Balzò SOIMMAREA è girò gli occhi intorno, E domandò s’ era spuntato il giorno. Le fu risposto esser la notte ancora; Ma che indugiar però più lungamente Non puote ad apparir nel ciel l'aurora, Chè già svanian le stelle in oriente: Tale di riveder la luce allora Surge desìo nel cor della morente, Che fè schiuder le imposte, e fu veduta Guardar gran tempo il ciel cupida e muta. > Si scosse finalmente, e vista accesa Starle la face benedetta accanto, Le preghiere ascoltando della chiesa, Che ripeteale quel ministro santo, (9) La prospettiva, in cui nessuno forse fra noì riuscì più eccellente , è lo scopo primario de’ suoi quadri. Le figure sono ordicaziamente per lui un oggetto secondario 0 ausitiatà) 87 E la campana funerale intesa , Che di squillar non desisteva intanto, Dolce alzò gli occhii ad Idelbene in viso, Ed: ecco, le dicea con un sorriso, Ecco l’ istante che da lungo agogno. — Ma un affanno improvviso qui l’oppresse , E levarla a sedersi fu bisogno , Che riaver l’anelito potesse. — Oh me contenta! questo non è un sogno Disse, poichè il vigor glielo concesse, Chè il dì de’ morti rammentava, quande Spirar tranquilla si credea sognando. E furon queste l’ ultime parole: Il capo a guisa di persona stanca Lene lene inchinò , siccome suole Tenero fior, cui nutrimento manca. Le sorge a fronte luminoso il sole, E quella faccia più che neve bianca Col primo raggio incontra, e la riveste D’ una luce purissima celeste. Chi trova ridicolo l’ incontrarsi del primo raggio so- lare colla sacra ostia sollevata dal missionario in Atala troverà pur tale questo scontrarsi col volto dell’ appena estinta vergine e rivestirlo di luce..I cuori impietositi , però , egualmente che i cuori infervorati sentono ne’ più fortuiti incontri alcune, direi quasi misteriose relazioni , che altri non saprebbe imaginare; e al poeta ciò basta. Il sig. Dussaulx chiamò già in un luogo del giornale delle controversie ( des debats ) forzata e meschina l’idea di Chateaubriand; ma poi ritrattò il suo gitdizio con una ingenuità che lo onora. E un altro critico di grido, cen- surandola come ricercata, e quindi contraria al sublime, confessò almeno che era ingegnosa. Minor lode d’ingegno avrà il Grossi per la sua , poichè alquanto meno origina- le; ma anche minor biasimo di ricercatezza da chi avesse pur animo di non riconoscervi naturalezza bastante. Se non che , ove si proceda nelle cose della fantasia col re- golo di una fredda ragione, dubito che possa trovar grazia 88 Y istesso cigno di Valchiusa , che narrando la morte della sua donna, così fa dire alla schiera delle compagne venuta intorno al casto suv letto per saper s' esser può morte pietosa: ;,, 4» Lo spirto per partir di quel bel seno Con tutte sue virtuti in se romito Fatt' avea in quella parte il ciel sereno. Certo nemmeno questa imaginazione si presenta facil- mente allo spirito ; ma quegli che ebbe Laura per vera mortal dea; che la credè colta da morte come il più bel fiore del mondo, nor già per odio ma per dimostrarsi— più chiaramente nelle cose eccelse ; l innamorato Pe- trarca insomma potè figurarsi il portento , di cui canta la sua terzina. Rimarrebbe a dirsi alcuna parola dell’ effetto morale della novella; ma noi crediatno che ciascuno il senta ab- bastanza ; e che, per quanta voglia si abbia di imprimerle il marchio d'una setta letteraria poco benevisa, si farà gran differenza fra essa e l' Eleonora di Btirger, ed altre siffatte fantasie boreali , atte soltanto a fomentare le po- polari superstizioni, mentre l’ Ildegonda ha piuttosto efli- cacia di correggerle. Ma questo veramente è il minore suo pregio. L’ epistola d’ Eloisa ad Abelardo del Pope; quella d’una monaca al re di Danimarca del Pindemonte (che non si vorranno, credo, chiamare composizioni romanti- che ) dipingendo il contrasto di religiosi doveri e di uma- he passioni, e facendo trionfar gli uni sopra le altre, la- sciano nell’anima la persuasione della sua forza in quegli incontri stessi in cui sarebbe più scusabile il credere di non possederla. L’ Ildegonda rappresentando il sagri- ficio dell’ innocenza alle avare o ambiziose ragioni di famiglia; le quali traggono dalla religione un aiuto , che questa abborre di prestar loro, fa sentire il prezzo de' lu- mi, che impediscono sì orribili attentati, e mentre alle famiglie risparmiano delitti, preservano ciò che avvi di 89 più venerabile in sulla terra dalla più indegna profana- zione. Se non che, prescindendo da ogni altro vantaggio, credo che mai non sia vano il commovere gli animi a profonda pietà ; e pare che in queste commozioni , qual che ne sia la causa, il secolo si compiaccia. Quindi il sa- lice piangente, sotto cui il sig. Grossi è uso di prendere le sue poetiche ispirazioni, è non tanto l’ albero de’ genj malinconici, come de’ genj più cari alle Muse, e il com- pagno quasi indivisibile del decantato alloro. M. Ragguaglio dei progressi delle arti e manifatture pre- sentato all’ adunanza solenne dell’ I. e R. accade- mia dei Georgofili il di ag. gennajo 1822. Un uomo; il quale colla guida del proprio genio s° a- vanzi nel diflicil cammino delle scoperte per via delle quali niun’ altro abbia segnate le prime tracce, è un uomo prodigioso, un dono rarissimo della natura, alla quale tal- volta piace il mostrare di quanto può ella esser prodiga . D' ordinario i grandi uomini si formano sui modelli che le precedenti presentano sempre alle età successive , e in quest’ imitazione accade pur che quei modelli sien supe- rati, che i nepoti perfezionino le opere dai loro avi inco- minciate. Perciò tutte le nazioni celebrarono le virtà dei migliori cittadini onde coll’ esempio il loro numero si au- mentasse. E noi imitatori di si bella costumanza sogliam ‘ rammentar con onore annualmente i più utili ritrovati che alle cure o agli studi degli abitanti di questo nostro paese si debbono, e facciam che molti trovino spesso va- levol soccorso nei risultamenti delle fatiche di un solo . Nè scarsa materia offrimmo giammai al publico, che anzi irovammo sempre motivo di consolazione nel riandari frut- ‘ti copiosi dell’ industria toscana. Dei quali frutti qual sia 90 il pumero in quest’ anno raccolto , e qual ne sia la bontà sarà qui dimostrato . E primi saranno enumerati 1 osi dei coniperimati quell’ istituto, di pubblica utilità nel quale gli scenziati, e i manifattori insieme concorrono, laonde dai primi ricevan precetti salutari i secondi per applicarli alla pratica, e per far poi noti i risultamenti dell’ esperienza . Una macchina per immergere nel bagno i cavalli 0 altri quadrupedi in caso di malattia è stata imaginata»dal sig. prof. Focacci, al quale si debbon pure je invenzioni di un ponte amovibile per i canali di gran larghezza , di un torchio in cui si esige una forza minore che nei comuni per bollar la carta a secco, e di una macchina per assodare e lusirar le cuoja 0 altro genere di pelli meglio che coi metodi ordinarii .. sù Per la concia delle quali cuoja. dimostrò di qual uso possa riescire il sommacco della Virginia (Rhus Thyphy- num) il segretario dell’ Istituto sig. prof. Antonio Targio. ni. Riferì egli medesimo gl’ insegnamenti dei sigg. The- nard e pda per render duttile e malleabile la lega di stagno e rame invitando i, suoi colleghi a farne esperi- . mento . Fra i quali colleghi il sig. Felice Gori ha ripetuti gli esperimenti dei sigg. Thenard e Darcet , ed il sig. Ca- lamandrei ne ha spiegati i risultameuti . Il sig. prof. Targioni ha esuminato più completa- mente un nil uso estesissimo che ha il rame nelle arti allorchè somministra dei colori alla pittura, fermandosi particolarmente a considerare il così detto celeste di Brunswich . Dei tappeti tessuti a similitudine di quelli del Tirolo, ma più belli, più forti e men costosi ha esibiti il sig. Nan: nei dalla fabbrica istituita sotto la sua direzione nella Pia Casa di lavoro di questa città . Il sig. Calamandrei ha indicati vdrii processi descrit- ti dal sig: Dubuc di Rouen per dar la salda alle tele con 9 varie bozzime, e specialmente con alcune nella composizio- ne delle quali s' impiega, il muriato di calce... Una sega circolare che può adoprarsi per ogni sorta di legname, e un’altra, più, particolarmente destinata .al taglia delle doghe da botti, sono state presentate dal sig. F She Gori. Infine dei iapoihili teatativi ha fatti |’ “Billa sita sig. Benvenuti, per riprodurre fra noi l’arte antica di ri. durre duttile e malleabile l’avorio prima di lavorarle. Speriamo, di poter nel prossimo anno annunziare con cer- tezza i risultamenti delle esperienze incominciate in un ramo sì interessante d’ industria. Ai quali, miglioramenti menzionati negli atti della società per le manifatture, altri. ancora possiamo aggiun- gerne di non minore importanza + Egli è qualche tempo, che il sanese Vegni pensò di far. depositare con facile artifizio il carbonato di calce di cui son cariche le acque dei bagni di S. Filippo, sopra for- me di zolfo esposte agli spruzzi di esse , e ottenne.che le ‘suddette forme restassero coperte d'un’ incrostazione di carbonato calcareo, la quale porta in rilievo le forme stesse che erano impresse nello zolfo. con la più esatta verità. Colla perdita dell’ inventore di quest’ arte ingegnosa non è mancato chi resti ad esercitarla, dappoichè un abile scultore, il sig: Pagliari di Genova, vi si è con:successo dedicato . , Nè dee. tacersi dell’ alimento che a variì rami d’ in- dustria somministrano largamente i minerali della pro- vincia sapese . La fabbricazione della potassa vi è attivis- sima, e arreca utilità come ne arrecano le allumiere del Massetano , e la preparazione del Borace. Non possiam però dispensarci dal far qui osservare, che sarebbe della più grand’ importanza il porre in bilancia i vantaggi della fabbricazione della potassa, e i danni che potrebbero de- rivarne, se per essa fosse dato luogo a un troppo esteso 0 92 i mal regolato diboscamento . La soluzione di questo difficil problema meriterebbe ben gli studi dei migliori nostri e- conomisti, e potrebbe grandemente influire sul ben essere di una gran parte della Toscana pei tempi avvenire. Fur sempre tenuti in pregio i cappelli di feltro del- le fabbriche di Siena ove qu&sta manifattura è oggi ridot- ta a maggior perfezione, sicchè se ne fabbricano dei così «detti impermeabili , e vi si ricevono commissioni di ‘molto valore . In Siena istessa risorge un’ arte da lungo tempo ab- bandonata, quella della lana, la quale offre- occupazione e lucro ai ricovrati nella Casa dei poveri , uno di quelli stabilimenti di beneficenza nei quali con providi regola- menti si conseguisce completamente l’intento cui s'intende mirare nella loro istituzione . È Ben più grandi avanza menti ha però subiti quest’ar- te nella manifattura del sig Mazzoni di Prato, il qual giovine ricco di cognizioni teoriche , e sagacissimo osser - vatore delle pratiche altrui, ha messe in azione macchine da sè costruite per il lavorio delle lane , come altre volte avea poste in azione quelle per la cliiiuna e filatura del cotone con felicissimo successo . Anche nella nostra Firenze fu di recente aperta una grandiosa manifattura di lana sotto la direzione del sig. Tommaso Coppi ove questo prodotto dallo stato greggio si ottiene filato per mezzo di macchine appropriate, delle quali una serie è di costruzione del conosciutissimo toscano cav. Morosi , un’ altra del fiorentino Parodi . ; Di non piccol vantaggio all’arte farmaceutica riesci- ranno i metodi coi quali il sig. prof. Taddei ha classata la collezione di materia medica esistente nel R. Arcispedale di S. Maria Nuova.Ha egli data ai materiali del regno ve- getabile, i più numerosi nell’ arte farmaceutica, una divi- sione , la quale invece di esser fondata sui caratteri bota- nici dietro il sistema di Linneo, il metodo di Jussieu, è 93 desunta dai caratteri chimici di ciascuna droga, classifica» zione la più utile, e la più conforme ai bisogni del medice e del farmacista. Il principio predominante di una:droga, ossia quella sostanza che spiega a preferenza delle altre le sue proprietà medicamentose suli’ economia animale, for- ma il carattere generico o il tipo su cui è basata la classe . Così l’ orzo, il riso, l’avena, la tapioca, la smilace ec. son tutte riportate nella classe fecuZa «amilacea. perchè tutte contengono la fecula o l’ amido superiormente agli altri principj e agiscono nel modo stesso sull'economia animale, essendo riguardate a giusta ragione sotto il nome di nutri- enti o farinacei , appunto perchè son ricche di fecula ami- Lacea . In egual. modo sotto la stessa ‘classe col titolo di Olio volatile essenziale ha egli riportate tutte le droghe ‘ricche di questo principio, e ché in grazia di esso soltanto agiscono. Tali son la cannella , i garofani, i pepi, lai noce moscata ec. Per la qual ragione istessa la malva, l’altea, il lichene, i semi di lino e di:cotogna son sotto ‘da lui ri- portati alla classe gomma 0 mucillaggine, perchè tutti contengon questo principio col quale rt la loro a- zione sull’ economia animale. d N Con tale artifizio conosceranno PRI i farmaci? sti come debbon trattare. una data droga se con acqua fredda, o calda, se con alcool, 0 se siano ‘nel tempo stesso abili nell’ uno e nell’ altro di questi liquidi. Ed è vero che quanto utile era agli studiosi della scienza dei vege- tabili e della loro fisiologia una classazione desunta: dai sistemi adottati dai botanici nell’esame di una pianta dal- la sua radice fino alle foglie e dai frutti , altrettanto po- co vantaggiosa riesciva nella materia medica o in farma- cia, ove di alcune piante si usan le sole radici, d’ altre la scorza, d’ altre i fiori ,, e d’ altre finalmente i frutti; | D’altri miglioramenti indotti nell’ arte farmaceutica fra noi siam pur debitori al nostro collega sig. prof. Tad- dei . Ha egli messo a profitto il bel ritrovato di Proust, il 94 male ‘conobbe che ‘il'parenchima dell’ orzo conteneva ol- ‘e l’amido e gli altri: principi già Moti, uno pa réieplire che agli chiama ordeina je rilevò che questa sostanza huova vea' la’ proprietà di rimanere. insolubile! nell’acqua ‘alla temperatura dell’ebollizione nè diveniva solubilelin que- sto liquido'se non dopo'le modificazioni impresse nel se- ie dal processo della germinazione . Ora! il sig! Taddei prima di farne il decottorconverte ‘in fecula ‘tutta 1 ordei! na' sottoponendo il seme che'Ta contiene dlla'germinazio: nel; ed'uffre'in'tal Modo an più nutritivo decotto ai suoi amimelati; consumarido tina dosè comparativamente mi nored’'orzo. i ici» $ro19 otmuiqge ; tsssnisst o 1915 i OIAI inbstro» dotto:corrispondenteilsig. cav. prof. Pit ctet siam ‘debitori di importautilricerche sul barometro, è dell’ibvenzione di uno di talivstramenti!comoda mente portabile; e come! è da lui chiamato’,va bastone! Ora un altro dei mostri ‘colleghi, il sig. Ulisse Novellucci, è Viavitore d'uùbingegiiosa’ maechinetta | destinata» come! il barometrodaj imdicaré le'variazioni:del peso dell’ atmosfera; ma chè hiacsopita il barometro il'vantaggio di essere di pic- colissime dimensioni , e per ‘conseguenza più portatili Gonsist@ questa in. ùnnvaso»di reristallo ierttdticamente chiuso ripiemo d’ aria:di ‘densità ‘e téimperature conosciute; la. qualesmestà «divisa. dall’ aria esterna» per ‘mezzo di’ un diafiiginià di' mercurio. Delle: oscillazioni "di ! questo dia» fragmasham luogo tutte le volte che‘ è rotto l’egilibrio fra la pressione dell’ aria dell'atmosfera e 1° élasticità di quellà contenuta mel vaso: or questo ‘equilibrio può esser rotto 0 du una:variazione mella temperatura e quinili hell’ elasti! cità dell? aria ‘interna del'vasò’,'o da ‘una variazione di peso nell’ atmosfera 0 dall’ unione li queste: due cause? Un termometro chiuso meb'vaso somministra ‘i dati. neces: sari.per calcolare qual parte abbia ‘avuta nel determinare una data pscillazione del-dia fragma la variazione di tem- peratura dell’aria contenuta mel vaso, quindi resta a con lidi as i - 05 cludersi la variazione avvenuta nel peso. dell’ atmosfera . Quest’ ingegnoso! ritrovato del sig. Novellucci. diventerà importantissimo qualora teplitnte esperienze confermino la certezza dei resultati”. Restano ultimi ad essere enumerati i miglioramenti indotti nel corso del presente anno nella prima fra dé arti meccaniche , quella chie forma il’ principale oggettò ‘ ‘degli studj di:questa nostra accademia . Importantissitii precet- ti ‘circa ad una saggia amministrazione degli i ibgrassi ‘ha! dettati il nostro collega sig. prof. Gazzeri, e utilissime os- servazioni ed esperienze sull istesso ireidol si attendono da coloro i quali hanno aspirato all’ onore del gran pre- mio dall’accademia proposto. Così la ' teoria degli avvi- cendamenti sì poco conosciuta e men praticata fra noi, e l’ altra non meno importante della cultura della vite pro- grediranno, poichè riceverà premio da noi chi renderà Vu- na'o l’ altra ‘di essa più ricca!di precetti ‘appropriati alle circostanze della Toscana. Intanto però: che il migliori modo di coltivar la vite è quasi tuttora un problema , la manifattura del prezioso prodotto di quella pianta divien sempre più perfetta fra noi. Le Buone regole prescritte dal sig.march. Ridolfi son praticate da molti, cosicchè eccel- lonvi vini si trovan frequentemente i in questo paese . Pe. raltro un’ aggiunta interessantissima ai consigli del sig. march. Ridolfi ha fattà ‘il'sig. Ulisse Novellucci, aggiun- ta che. sarà rammentata negli annali della nostra-indu- stria. Pensò il sig. Novellucci che i vini ben fabbricati in principio divenivan migliori invecchiando; perchè con un determinato periodo trovavansi esposti alle alte e basse temperature dell’ estate e dell’ inverno} e' volle esperi- mentare se un ‘artificiale avwicendaménto di alta e bassa temperatura a brevi intervalli potea in minor tempo pro- durre quell’effetto che inassai più lungo naturalmente otte- nevasi. Fur felici.i risultamenti delle sue esperienze dalle quali ottenne in pochi mesi dei vini spogliati di ‘colore, e 96 squisiti di gusto quali appena potean sperarsi in molti an-, ni, Come però accade spesso che le replicate prove indi-) chino vie più facili, così il sig. Novellucci ha trovato che inutile era 1’ alternazione del caldo e del freddo,, e. che, per fare invecchiare artificialmente il vino, basta il tenerlo esposto per qualche mese ad un elevato grado di tempe- ratura costante per es: di 28. avvero 3o gradi R. in. vasi ermeticamente chiusi ., Ma questo limite della temperata». ra cui può tenersi esposto il vino per ottenerlo invecchia: to artificialmente senza pericolo di alcuno sconcerto, non è stato determinato fin quì, con sicurezza dal sig. Novel- lucci . Forse la possibilià di aumentar la temperatura per-. metterà una diminuzione nel tempo . L'autore di que-; st’ingegnoso artifizio, o altri che ripeta le sue prove, deter-, minerà facilmente questi elementi.. Intanto due. proprie- tarj distinti non tardi mai a porre in pratica i.buoni precetti, i sigg. march. Ridolfi e Tempi ,, hanno ottenuti dei vini preziosi in brevissimo tempo col processo del signor No- vellucci. Lia Bastano. tanti al -gomenti a provare con qual cura sieno dai toscani esercitate le arti e le manifatture ; e a darne coraggio, a sperare sempre maggiore utilità dai, mi- glioramenti che necessariamente debbon, tener chietrerd al già conseguiti . FerDINANDO! Tanti SALVATICI. È Inno ad Urania del conte Folchino Schizzi. — Uretestoà 1822, gran foglio velino ct La poesia., che emana dal cuore , può mancare di cer- ta bellezza d’arte, ma ha sempre in:sè una bellezza di. senti. mento, che è la prima di tutte le bellezze. Quest’ inno del ‘ conte Folchino Schizzi per la ricuperata salute del suo, pocanzi maestro, or dolce amico, il conte professor Rovida di Milano, ove sia giudicato dalla critica severa, non si troverà forse conforme alle più precise regole del gusto .. Si accuserà .in esso ,, per av- | | J | 07 ventrira, un’ esùberanza d’ imaginaziòne giovanile, e talvolta una bizzarria di traslati e di modi, che nuoce; senza che il poeta se ne avvegga, all’ effetto da lui propostosi.. Taluno gli dirà , per lusingarlo, che di tale accusa: può agevolmente ‘lusingarsi, dacchè la temperanza; e l’aggiustatezza dello scrivere viene cogli anni; la riechezza;e il fuocò è un raro. privilegio di felice natura , che invano si. aspetterebbe dal teo poy e il cui eccesso è ancor degno d’ invidia. Noi gli diremo più veramente che quasi ei non ci la- scia pensare, al magistero de’ suoi versi, trasportandoci a più allo considerazioni calle slancio affettuoso del suo animo - Ei volge il canto ad. Urania. come ad animatrice della natura; 0 come .a co- lei phe! si | gra iva nima critical ‘indiero 4 Compasso armò di Dio ta destra, quando ; Il grand’ arco curvò dell’ emisfero , o di cui il matematico suo amico è fervoroso cultore . A_noi pia ce sentire,nel volgersi ch'egli fa a tal-diva un pensiero segreto e sublime, che sempre gi porta: nelle più vive e pietose commo- zioni dell’animo verso una potenza superiore e protettrice, o ver- so un ordine sovrumano di cose, corrispondente all’ ingrandimento che allora acquistano le nostre interne facoltà . Certo è è che tutti i nobili e i teneri sentimenti si legano fra loro, come è certissimo che l’ uomo non è mai, più “ene 3 più pronto a tutti gli affetti, onde si conforta la nostra mortal condizione, come quando è è già da alcuno di tali affetti fortemente occupato. Ce ne fa prova la patetica fine dell’ inno, in cui il conte Schizzi, assalito da un mesto pensiero della genitrice. languente , le prega ferventissimo quella salute che, già rifiori le sembianze del suo Rovida (1). Un ottimo figlio, un caldo amico non vale forse un buon poeta ? O. piutto- sto. non ha già nell’ anima i semi della miglior poesia chi ha la santa amicizia e la filiale pietà ? | M., Quali sono i vantaggi e gl’ inconvenienti respettivi degli Ospe- dali e dei soccorsi al domicilio degl’ indigenti malati? Quati ‘miglioramenti potrebbero introdursi nel regime di questi sta- bilimenti. Memoria d’ Isid. Poliniere-— Lione 1821. L’ Accademia di Lione hà voluto colla soluzione di questi que- siti fissare le idee sul modo di soccorrere gl’ indigenti ammalati. , (1) Di queste sembianze , espresse in un ritratto somigliantissimo, volle il giovine poeta adornare Ja stampa signorile della sua composizione: T. IX. Gennaio 7 93 Moltiuomini rispettabili, fra i quali merita particolare ricordanza l'illustre Cabanis, avevano pensato che l’indigente ammalato dovesse curarsi a pubbliche spese al suo domicilio per non troncare le sue relazioni domestiche e familiari, é non gettarlo in una specie di solitudine di cuore adatta più d’altro ad abbatterlo e perderlo: è pe- rò da dire che egli confessava non potersi assolutamente mancare di ospedali per alcuni casi particolari. Altri scrittori più veementi vo- levano che questi sacri asili dell’ umanità languente fossero svelti dalle fondamenta. Il Sig. Poliniere mostra chie sono necessari per le. malattie d’alta chirurgia e per li mali cronici, acuti e contagiosi, e si può aggiungere per cl insuficienza dei soccorsi domiciliari, i quali però egli crede giustamente preferibili alla cura d’ ospedale nelle piccole malattie; ed io penso chie. in questo caso questi soccorsi siano anche di risparmio alla società. Il N. A. esamina quindi le objezioni avanzate contro gli ospedali. Sono accusati d'essere per sé medesimi una sorgente d’ aria malefica e però una causa di contagio e di ma- | lattia, ma ciò non è certo da temere ove mon vi si moltiplichino in eccesso i malati, e si usino venlilazioni e fumigazioni e cure di Lubiana convenienti, e siano situati in una posizione tale, che un'aria pura possa eireolarvi e rinnovarsi continuamente, e questa circolazione sia favorita dalla ua della fabbrica ‘composta’ di molti corridori a un solo o al più a due piani disposti a raggi at- torno ad un centro che serva alla ventilazione; alla ispezione ed agli uffici comuni. Vediamò con piacere adottato per gli ospedali con leg- giera modificazione il disegno proposto per le carceri dalla illastre società per il miglioramento delle prigioni di Londra dopo molti esa- mi e molti tentativi, come il più favorevole ‘alla salute, alla ispe- zione e ai lavori dei detenuti; e le cautele» proposte da Coste nel ce- lebre dizionario delle scienze mediche. Gli ospedali sì danno come “dannosi alla wmamità per le sfavorevoli tavole di mortalità che pre- sentano, ma il N. A. mostra coi f«tti che queste tavole si esagerano, e veramente non eccedono nei nostri buoni ospedali il 4.0 5 per cento. Sarebbe importante il conoscere una ad una quelle dei nostri ospe- dali d’Italia, per quanto come avverte lA. la mortalità negli ospe- dali si deva anzi alla qualità delle malattie ed all’ indugio nel tra- sportarvi gli ammalati, che ad altre cagioni. Così non è vero che gli ospedali aggravino le malattie o ne producano delle nuove. Si aggiunge sotto varie forme che gli ospedali moltiplicano i mendican- ti e gli avvezzano alla pigrizia; ma ciò non si applica agli ospizj de- stinati a ricevere gli ammalati: e se questo rimprovero è stato fatto da qualche economista inglese alle case dei poveri vecchi, è poi 99 certo che questa ultima speranza meschina non si desta nel cuore ell’ nomo che quando le istituzioni del suo paese gli tolgono ogni ‘ altro rifugio. Dopo avere confutato ogni altra objezione contio gli ‘espedali, a proposito dei quali con ùn abuso di logica molto co- vaune si dà come vizio della cosa quello che è particolare! difetto dell’ amministrazione, viene all’ ultiina di tutte per cui questi asili di misericordia soné accusati di sciogliere i vincoli familiari. Il N° A. sente tutto l’ orrore che ispira un figlio un padre un marito che, si. scioglie da ogni dovere col gettare in un’ospizio di carità i più venerabili oggetti delle sue cure, ma l’ abuso di pochi sani non' dee: torre i soccorsi ai poyeri ammalati. Io vorrei però ché si trovàsse un mezzo per cui l'assistenza dei parenti potessè am- mettersi e incoraggiarsi ed anche premiarsi negli ospedali; e credo che. la pubblica morale e la stessa economia locale vi guadagne- rebbero moltissimo. I vincoli di famiglia in conseguenza di queste cure si stringerebbero sempe più dolcemente, e |’ aminalato ché troverebbesi ricreato dalla dolce compagnia dei suoi e sollevato iti ogni maniera di bisogno, prenderebbe animo sempre maggiore, non risentirebbe gli effetti della solitudine riconosciuti per funesti da tutti. i medici filosofi, e sgraverebbhe così con somma sol'ecitudine l’ospizio del suo mantenimento sollecitando la sua guarigione. Così i vantaggi degli ospedali sono grandi per i mendichi, grandissimi perle scienze mediche che senza di essi mancherebbero di mezzi per istruire:cormparativamente e in un sol punto di vista i giovani, e per addottrinare ogni dì maggiormente i vecchj coll’ osservazione e colla esperienza . «Viene quindi lA, alla soluzione del secondo quesito, € stabi- lisce le condizioni di migliore ospedale possibile, nell'essere — Som- mamente salubre —Abbondantemente fornito di mezzi e soccorsi terapeutici—In sommo grado atto all’istruzione. S’adempie al primo ‘oggetto fabbricando gli ospedali sul metodo di Petit superiormente anmunziato, siechè Varia secondo i consigli dell'ottimo Hovvard non ristagni, e procurando che non si alzi la fabbrica a molti piani, poichè nelle parti alte d’ un ospedale vi è sempre maggiore mortalità per la volatilità somma dei principj deleterj, e facendo sì che nulla man- chi delle cure di proprietà necessarie-- scegliendo la situazione nei subborghi e vicino alle acque, e particolarmente evitando d’ammas- sar gli ammlati -- avendo degli ospedali speciali e distinti per al- cune specie di malattie -- vegliando estremamente sulla interna po- lizia secondo le dotte osservazioni di Casse e di Roussille Chamsera, e finalmente avendo un perfetto sistema d’ amministrazione e di 100 ispezione, sul che il N. A. parla per disteso. Adempiano il secondo oggetto medici liberi nelle loro cure, spesso riuniti, ajutati da in- servienti capaci e penetrati dalla santità de’ loro doveri; e da'‘ùna farmacia perfetta nei materiali e nella direzione, non meno che da tutti i soccorsi e da una vigilanza somma sopra gli abusi. Serve fi- nalmente al terzo oggetto una scuola chimica presieduta da’ ‘uomini maturi d’anni e di quella esperienza onde è ricco chi ha osservato con riflessione, ed è diretto ad osservare e seguire esattamente la storia dei fatti e dei tentativi, ed a verificargli con tutti i soccorsi dell’ anatomia patologica . 4 ps Passando al soccorsi. domiciliari, si credono utilissimi dall'A; ove si amuninistrino dalle commissioni degli ospedali e formino ‘con essi un solo sistema di beneficenza, e si riserbino alle malattie mi- nori ed alla convalescenza. Debbono questi soccorsi essere diretti per modo che gli ammalati abbiano assistenza di medici illuminati e caritativi; medicamenti d’ ogni genere; oggetti di letto, di bian- cheria, di cura; alimenti salubri e scelti, oltre i soccorsi straordi- Dar] determinati da straordinarj bisogni. WC Di queste e d’ altre belle e filantropiche osservazioni è ricca questa memoria. Io desidererei però veramente che alcuno assumes- se a dire, per sciogliere a perfezione il secondo quesito ,, Quali sieno veramente i miglioramenti che possono ricavarsi a favore degliam- malati dalle scienze morali. Da Ippocrate a Franck si è sempre parlato della somma relazione tra il fisico e il morale dell’uomo che Cabanis ha poi messa in pienissima luce. Non è egli vero che gli ammalati hanno bisogno di maggiori soccorsi morali che quelli i quali ordinariamente loro si apprestano? La consolazione, la di- strazione, le attenzioni d’ogni maniera non dovrebbero essere un ar- ticolo di cura? E la convalescenza, e per la sensibilità di questo stato e per la tenacità della memoria di ciò che si impara in que- ste circostanze, non sarebbe ella un tempo adatto a riformare l’uo- mo con una istruzione piena di dolcezza, sicché nel riacquistare la salute egli ricevesse in\cuore suo i germi fecondi della virtù? ... Uomini benefici e religiosi! Ecco un vasto argomento è dolci meditazioni ‘ FILANDRO 110 LA SCIENZA DEL DIRITTO COMMERCIALE TERRESTRE. | E MARITTIMO , COSTITUITO È COSTITUENDO: Idea generale dell’ opera ; e prodrgmo delle due ultime parti. ( Vedasi il Compendio Istorico del diritto Commerciale, in- serito, nell’ Antologia Tomo, VII. pag. n e, Tomo VIII. pag. pi 324. e Lg ) "RL LAI ALI ag 20 quia. 9 € principal divisione dell’ opera . N Pet Ad è il numero: dei libri che diffusamente , e sotto vario aspetto trattano del diritto commerciale : il celebre sig. pro- fessore Pardessus ne ha compilato un ampio catalogo , che tro- vasi in fronte alla più recente edizione del suo corso dî diritto commerciale : I titoli delle opere da Ini registrati ascendono a mille settecento ventinove , e non ostante egli ci avverte che si è occupato esclusivamente , psi diritto commerciale in ciò che ha tratto ai privati interessi ,, tralasciando tutto. ciò che riguarda alla istoria del commercio , ed alla ‘Politica economica , e nep- pure ha notate le sulle dissertazioni toccanti questa ma- teria, che veggonsi disseminate nelle opere de più insigni giu- scvgnslti moderni ; nè le Decisioni delle Rote di Roma ,di Fi- renzeye di Genova ,nè quelle delle corti di giustizia di ria di Olanda, e d’ Inghilterra . — Oltre di che tacere non devesi, che. alcune, opere anteriormente. pubblicate sono sfuggite alle diligenti ricerche di quell’ erudito professore ,.ed. altre sono comparse posteriormente alla pubblicazione del citato Elenco . (1) Aggiungansi per ultimo le mercantili consuetudini ognor suscet- tibili di variazione e di aumento , e che occorre perciò rilevare dalla pratica giornaliera. de’ commercianti, anzichè dai libri de’ giureconsulti . Di tutti. questi elementi è formato il GIUS com- MERCIALE SPETTO O. Ma vari, e talvolta ancora discordi compariscono i Msc delle ordinanze e statuti , varie le opinioni degl’ interpetri, va- rie le costumanze de’ mercanti e de’ nautici, varie le- massime insegnate dai \trattatisti , e sostenute dai forensi , o proclamate dai tribunali. In mezzo a tanta discrepanza conviene ricercare i veri principj del gius commerciale, segregandoli dagli errori, a ‘cui vanno pùr troppo frammisti ; per discernere il vero dal (1) Vedì in fine la nota seguente A ari A0d;c siva a falso , il giusto, è dall’ copta fa d nopo indagare accuratamente î rasi. rapporti introdotti dal commercio e dalla navigazione fra gli uomini, e de’ quali | le leggi presentar dovrebbero costan- temente la esatta ed ingenua espressione (2). Ne Ho studio di questi naturali rapporti consiste appunto il DIBATTO CONNER- CIALE CONSTITUENDO . E di questo finalmente ,-e del costituito si ‘ooimponie. la SCIENZA DEL DIRITIYO COMMERCIALE . La medesima considerata nella sua maggior latitudine ab- braccia non solo i rapporti. naturali e | positivi , che passano frà gl individui ip seguito dell’ esercizio della mercatura e della navigazione ; ma quelli eziandìo che le cause stesse ‘produ- cono frà î governi ed i sudditi (3) e frà: un popolo e l’ altro (4). Però il diritto commerciale, propriamente detto, si sostanzia nel solo DIRITTO PRIVATO , perchè ,i rapporti di qualunque specie esistenti fra i governi ‘ed i sudditi dipendono ben piuttosto dal Gius pubblico : Ag Economia Politica , e quelli frà Mare e mazione spettano più direttamente al gius delle gen- . Scrivendo iò adunque della scienza det gius commerciale , sa limiterò'al gius privato, siccome già ‘fecero: De Zevia, Beavves , De 1typrto: » Pardessus , e tanti atti; nè escirò dai li- miti che mi sono prefissi, se non quando ciò ta necessario ‘alla retta e piena intelligenza del mio discorso . Determinato così e circoscritto i subietto dell’ “pere che (2) Cicero. de Legibus Lib. 1. ,, sed omninm, quae in hominum doctorum s» disputatione versantnr , nihil est profeeto paestabilius, quam plane ,s intelligi mos ad justitiam esse matos #eque opinione ‘sed nalua con- yo sstitutum esse jus ».. Jam vero stultissimum illud. ezistisnare omnia 3» justa esse, quae scita sint in populoram istitutis , aut legibus . Etiamne ss si quae sint tyrannorum leges imponere voluisset , aut si omines s» Athenienses delectarentur tyrannicis legibus, num idcirco ea legis jussa ss habentur ? nîhilo credo magis illa, quagi interrex noster tulit:, ut Di> » ctator , quem pellet civium indicta causa impune posset occidere » est cuim noum jus, quo devincta est hominum societas, et quod lex sy constituit una, Quae lex est recta ratio imperandi, atque prohibende s» quam qui ignorat, is est injustus, sive est illa scripta uspiam , sive 3 DUSquam 3). (3) In questa categoria debbono riporsi le leggi sulla libertà del eommercio interno je quelle restrittive di essu , è regolamenti di disciplina may rittima , quelli sulla navigazione dei fiumi e canali , sulla polizia sanitaria ec. (4) A questa classe appartengono i trattati di commercio , le leggi sulle prede , quelle sui bastimenti neutri , sui dazj d’ importazione @ ese portaziene dei diversi generi ec. 103 stò componendo , non mi tratterrò a dimostrarne 1° importanza ; confidando anzi, che se da molti mi verrà rimproverato di es- sermi-accinto ad un opera troppo ardua ed inadeguata alle mie forze, mon vi sarà alcuno che possa tacciarmi di aver pre scelto un tema frivolo e scevro di qualunque utilità . Conscio ad un tempo della gravità sua e delle difficoltà che ‘presenta , ho stimato salutare consiglio il sottoporre al pubblico il disegno del libro da me concepito , affine di. rettificarlo e. renderlo meno imperfetto dietro gli avvisi, di cui, spero ; vorranno es- sermi.cortesi i giureconsulti, i commercianti , i dotti, e tutti in- somma gli amici disappassionati del vero; dai lumi dei quali attendo con fiducia soccorso alla mia impresa. Ecco pertanto la principal divisione dell’ opera : Parte I. Compendio istorico del diritto commerciale ter- restre e marittimo . Parte II. Esposizione de principj universali e particolari del diritto commerciale , terrestre. e marittimo COSTITUITO. Parte lII. Teorie del diritto commerciale terrestre e ma- rittimo COSTITUENDO , «pplicate al miglioramento delle leggi esistenti . { 1 Ciò che mi ha suggerito questa generale distribuzione delle materie , si è stato il bisogno, da me profondamente sentito, di basare le mie teorie sopra dati certissimi , e di proceder quindi sempre dal noto all’ignoto, metodo, da cui non può scostarsi p TO . . e? a ‘chiunque prenda a spiegare una scienza in un secolo che sal viamente disprezza , ma non forse ancora abbastanza » le inge- g nose ipotesi. ed i brillanti speculativi sistemi . La scienza del diritto commerciale costituito altro in sostanza mon è che un complesso di nozioni di fatto, cioè di leggi e ‘consuetudini rettamente intese © interpetrate. Essa comprende un numero presso che infinito di disposti , di pratiche e di precetti , opera di molti secoli e : di molte contrade . Chi pre- tendesse ordinarli e desumerne un tutto regolare senza |’ aiuto della storia e dell’ analisi, tenterebbe per certo l’ impossibi- le ; ma chi dell’ aiuto loro si vale, può ben nutrire la fondata speranza di un favorevole successo . La storia gli svela ogni sorgente più recondita del com- merciale diritto , gli manifesta 1’ indole delle differenti leggi, le circostanze politiche, ìl carattere e i costumi dei popoli in seno a cui nacquero; gli serve di guida nel seguitare. le aber- razioni della giurisprudenza e stabilirne le epoche le più in- teressanti e normali, e gli fa scorgere in somma con un 104 solo colpo d’ occhio 2° origine ; i satrapo , e le vicende ua Gius . sibe in centrato saprei ci l celtici 3 © trova omai: preparata la mates ria,nè altro le resta che distribuirla e ordinarla . Congiunge essa opportunamente , o separa i disposti verienti sopra’ oggetti analoghi o discrepanti ; afferra in mezzo ad una moltitudine di massime accessorie i fondamentali. principj ; ne desume-le definizioni e le regole gencrali , di cui nota pui /e cecezioni’, nè le une con le altre confonde ; consulta i commentatori ed i pratici, senza mai però giurare in verba magistri ; và studio- samente in traccia delle decisioni e degli esempj , non già per imitarli ciecamente, ma per esaminare /a ‘legge posta in'azione, e conoscere a quali casi si. estenda , e fin dove ricusi. di ag- giungere . Qualora tutte queste operazioni. sieno eseguite con paziente ed assidua attenzione , e con legale criterio 3 parmi che ottenere sì debba per resultato immancabile una sicura e pie- ru cognizione. del gius commerciale costituito. x Coerentemente a queste idee ho voluto, che LA PRIMA MARTE del mio lavoro fosse puramente isiorica , e LA SECONDA anali- tica; ma non posso dissimulare a me stesso, che 1’ esito dipende principalmente dal modo dell’ esecuzione, ed acciò riesca meno imperfetta , vado ognora ed ovunque, lpdicade documenti e consigli . teli 38 a lag PARTE TERZA è anche aria scabrosa . Non: più sì tratta di verificare e classare dei fatti , trattasi di dettare i canoni legislativi sulla scorta del naturale diritto . Chiunque sì accingesse a questa indagine senza il consueto appoggio: dell’ Istoria e ‘dell’ analisi», correrebbe gravissimo rischio di. smar- rirsi per via; ma chi al contrario le prende per: guida., può con qualche fondamento sperare di Spree alla meta ;-se non di toccarla. . i i sui tiat stat, La legislazione è a parer mio una scienza puramente lina mentale, poichè ha per oggetto di determinare 7 veraci rap- porti derivanti dalla natura delle cose , (5) e’ questi. possono più facilmente e più apertamente svelarsi a chi osserva; ana- lizza e confronta gli effetti, che non a chi meditando e \cal- colando presume di rinvenire o indovinare /e cause. Questo refl:sso applicato al gius commerciale costituendo ci addita il sentiero che batter si deve. Il commercio. e la navigazione hanno prodotto infiniti rapporti fra gli uomini , che senza un (5) Cic. L. citato, Montesquieu Esprit des Lois etc. t05 tal soccorso esistiti non sarebbero giammai: dessi talvolta sì sono per sè stessi manifestati } da loro sono nate /e consuetu- dini , e dalle consuetudini /e leggi. Se la manifestazione di tali rapporti non ha indotto in errore o in equivoco gli osservatori; se le consuetudini ehe me sono derivate sono state ai rapporti stessi pienamente conformi ; se i legislatori infine han religiosa- mente sanzionate queste consuetudini stesse , qual dubbio , che il gius positivo non coincida con il gius naturale, e che in conseguenza ogni qualunque riforma debba piuttosto falsare le leggi naturali , che rivendicarle ?.... Ma se la malizia o l’ igno- ranza han travisati i primitivi rapporti; se gli abusi hanno usur- pato il nome e la forza delle schiette e regolari consuetudini; se gli statuti sono stati dettati dal capriccio, dalla parzialilà o dalla prepotenza ; allora sì che al legislatore incumbe |’ onore- vole incarico di ripristinare le leggi di natura, e di consaerarle ne’ codici novelli . Quali adunque sono le Zeggi sosfitiztei che corrispondono più facilmente alle leggi costituende ? studiamo di tutte la de- rivazione e 1’ indole particolare , risalghiamo ai rapporti che lc pr :dussero , compariamo le rine con le altre , vediamole poste in azione, esaminiamo senza prevenzione alcuna quale di esse sia più 0 meno conforme alla buona fede, all’equità ed alla giustizia distributiva, quale presenti più facilità nella sua ap- plicazione ; quale sia meno incompleta , quale più diffettosa o ‘meno ‘ridondante d’ inutili o inopportuni dispòsti , quale più osenta e incomposta , e quale più intelligibile e ordinata .. Non ci stanchiamo nel confrontare , nell’ interpetrare', nell’ esempli- ficare ; ripetiamo insomma ‘e’ diversifichiamo gli esperimenti brit mai si può; e confidiamo, che la verità non sdegnerà finalmente di presentarsi ai nostri occhi . ù i Questa è la norma, e questo il fine, che mi propongo nello ‘scrivere la TERZA PARTE conseerata Gontersidient al diritto commerciale costituendo , e ad un tale effetto sarà per certo sommamente giovevole il prospetto de’ fasti già ‘classati istori- camente, cd analiticamente disposti nelle DUE PRIME PARTI, ‘offrendomi ampia materia ‘onde eseguire gli opportuni confronti, ‘e penetrare. lo spirito e il carattere delle leggi e costumanze ‘mercantili , mon meno che delle regole adottate dalla giuri- sprudenza consolare . Ma per far conoscere .più particolarmente e con la mas- sima precisione il metodo del quale non ho dato fin qui che una generica idea, è tempo omai di sottoporre ai miei leg- 1906 gitori il PRODROMO DELLE DUE ULTIME PARTI , poichè LA PRI- MA è già stata in questo medesimo giornale inserita quasi nelta sua integrità, e si è renduta abbastanza palese , perchè portar se ne possa da ognuno un ponderato giudizio. | PRODROMO Della parte seconda riche conterrà l’ esposizione la principj universali e particolari del diritto commerciale , terrestre € marittimo costituito + ART. I. De principj universali; Le nozioni acquistate mediante il premesso compendio isto- rico ci pongono in grado di rintracciare 1 FONTI , e distin- guere gli ELEMENTI del gius commerciale costituito . H medesimo deriva.0 dalle leggi scritte, o dalla pratica mercantile , 0 dalla giurisprudenza consolare . Le LEGGI SCRITTE o sono fondate sulle consuetudini , 0 sono arbitrarie : la legge Rodia de jactu , il consolato del ma- re , le ordinanze olandesi e francesi intorno al gius cambia- rio ec. sono leggi tutte essenzialmente corisuccudinarie . Quelle antiche ordinanze francesi, che imponevano vincoli , condizioni e formalità all’ esercizio della* mercatura e delle arti, le san- zioni di tutti i popoli antichi. e moderni circa i fallimenti e le bancarotte , i regolamenti sulla procedura de’ tribunali di commercio ec. queste sono tutte leggi scritte arbitrarie . La PRATICA MERCANTILE ‘comprende tutti i vari usi de’ com- mercianti e de’ nautici regolarmente verificati onde risolvere le contestazioni che insorger possono fra i medesimi . Questa pratica mercantile è principalmente in vigore nella Gran Bret- tagna ; ed è conosciuta sotto il nome di Zea Mercatoria.. La GIURISPRUDENZA CONSOLARE finalmente altro non è che la consuetudine di giudicare invalsa ne’ tribunali mercan- tili, ed appoggiata principalmente all’ autorità de’ culti e de’ pratici, e quiudi variabile secondo d’ ondulazione delle legali teorie e delle opinioni forensi. Questa giurisprudenza supplisce alla deficienza di leggi positive , siccome è lungamente avve- nuto in Italia ; ed in specie nello scorso secolo . Quest’ ultimo fonte del gius commerciale costituito non và bensì confuso con l’interpetrazione usuale , che pure si desume dalla consuetudine de’ tribnnali e dalle opere de giureconsulti anche ne paesi ove esistono /eggi scritte che intorno ai di- versi casi pienamente dispongono ; perchè in tali paesi la giu- risprudenza «el foro non ha forza di legge, e solo si consulta per meglio intendere ed applicare i codici esistenti. Così è aw- i 107 venuto, ed avviene in Francia sotto l’ impero delle due celebri ordinanze del 1673, e del 1681, sotto quello del codice di commercio che le ha rimpiazzate . i gt Queste avvertenze sono indispensabili per non confondere ciò che è diverso tanto per la sua indole quanto pe’ suoi effetti, e per non separare all’ opposto ciò che forma un solo corpo di scienza, comunque disseminato in molti volumi . Distinti così i varj fonti del gius costituito , conviene por- tare la nostra attenzione sugli elementi ‘ che lo compongono, e troveremo che questi sono generalmente uniformi e quasi identifici , perchè tutte le ‘leggi e consuetudini commerciali esprimer debbono pur sempre gli stessi o almeno somiglianti rapporti generati tutti egualmente dal commercio o dalla navigazione , se non che le leggi e consuetudini antiche non contemplano parecchi oggetti o contratti, la di cui invenzione è moderna , ed anche fra quelle leggi o consuetudini che per- cuotono gli stesst oggetti , esiste pur sempre qualche discre- panza derivata da circostanze , opinioni o pregiudizj locali . Art. II. De principj particolari del gius constituto . Considerando tutti î particolari disposti e principj,di cui si compone il gius commerciale costituito , ci accorgiamo tosto - che una tal materia è naturalmente e ‘necesariamente tripar- tita ; poichè comprende . /. 7 gius commerciale terrestre . IM. Il gius commerciale marittimo. III. La procedura de’ tribu- nali commerciali . Seguitando questa natural divisione , mi pro- pongo di esporre IN ‘TRE LIBRI DISTINTI tutti î principj parti- colari del gres costituito Ù che dalle accennate fonti derivano . Ogni LIBRO sarà diviso in più capi ; i capi in varj titoli ; ì titoli in sezioni, e le sezioni in $$, secondo che il subietto lo richiederà. — Incomincierò sempre dalle leggi , 0 consuetudini più antiche indicando le concordanze o astenga , sì di esse come delle più moderne : non ricorrerò all’ interpetrazione , che quando 1’ oscu- rità , o ambiguità del testo lo esiga ; nè sarà se non dopo esposte con semplicità e concisione le disposizioni respettive , che scen- derò a riferire i casi e' le questioni, cui le leggi istesse o costu- manze dan luogo . Soverchiamente prolisso riescirechbe il prospetto di questa seconda parte qualora indicar volessi oltre i Zibrî, i capi ed i titoli , in cui sì dirama, anche le sezzoni , e i paragrafi , e l argo- mento del respettivo loro contenuto ; d'altronde le persone ver- sate nella scienza giudicheranno agevolmente dalle rubriche de’ li- bri , de’ capi, e de’ titoli quali debbono essere le sudalterne di- 108 vistonî del.trattato, e per coloro che sono affatto digiuni di tali nozioni ; n a enimmatica ogni qualsivoglia sommaria indicazione . Passo senza ùulteriori. preambuli a sottoporre ai “lettori il disegno, o per meglio dire lo scheletro di questa pirtsi del mio lavoro .. Ligro I. Del diritto Raid terrestre . Cap. I. Delle persone . : Tit. I. De commercianti. Tir. II. De’ commessi o fattori de’ commercianti . Tr. IM. De’ sensali, 0 mezzani + Trr. IV. De- gli spedizionieri » Tir. V. De’ vetturali per terra e per acqua. Cap. JI. De’ contratti mercantili in genere . Tit. I. Della loro sostanza. Tur. II. Della loro forma . Tir. II De Zoro effetti . Cap. III. De’ contratti mercantili i în specie. Trr. I. Delle società mercantili. Tiw. II. Della compra € vendita . Trr. III. Del mandato . TIT. IV. Delle lettere di cam- bio . Tit. V..De° pagherò. Trr. VI. Delle ipoteche , pegni , e pri- vilegi . Tir. VII. Delle prescrizioni. CAP: IV. De’ fallimenti , e delle bancarotte . Tir. I. De’ fallimenti. Tir.II. Della cessione de’beni, TrTs INIT. Delle concordie . Tir. IV. Delle bancarotte colpose . 'Lvr. V. Delle bancaròtte dolose . Lisro II. De/ diritto commerciale marittimo . Cap. I. Delle navi . Cap. II. Delle persone .. Tir. I, De’ proprietarj delle navi. Tir. I. De banana padroni . Tur. III. Degli uffiziali e marinari. Cap. III. De contratti, e quasi contratti marittimi in genere + Ti. I. Delle obbligazioni de’proprietari pel fatto de’ capitani o padroni , e quindi dell’ Azione Esercitoria . TiT.II. Delle obbli- gazioni de’ proprietari 0 padroni pel fatto de’ marinari e pas- seggieri , e quindi dell’ azione Nautae ut recepta restituant , et furti adversus nautas . CA». IV. De’ contratti , e quasi contratti nautici in speeie . Tir. I. De’ contratti di società e di accomandita nautica , e simili Tr. II Del contratto di noleggio e delle avarie . Ttr. II. Del contratto di cambio marittimo . Tir. IV. Del contratto di as- sicurazione + TIT. V. Delle ipoteche o privilegi. CAP. V. Delle prescrizioni ed eccezioni perentorie ( fins de non recevoir ). Lisro MI. Della procedura commerciale . po Cap. I. De tribuuali commerciali . Tir. I. De tribunali composti di commercianti. TIT. In De tribunali composti di giureconsulti. Trr. III. De? tribunali misti. Tit. IV. Della giurisdizione de’ Consoli nelle piazze e porti esteri . i Cap. II. Della procedura avanti i tribunali commerciali - | Ca. III. De’ compromessi . Tit. I. De compromessi volontari. Tr. II De compromessi necessari + | Cap. IV. De’ giudizi commerciali d'appello . eri, Cap. V. Delle esecuzioni reali € personali in materia com-. merciale . “Tir. I. Delle esecuzioni reali in materia com merciale ter restre . Tr. Il. Dell’ esecuzione reale in materia commerci all marittima. Tr. III. Dell’ arresto personale . CAP. VI. Di alcune procedure particolari . Tir. I. Dell’ esecuzione parata nascente dalle cambiali 0 pagherò . Tir. II. Delle procedure ne’ giudizi di concordia, di cessione di beni ; e di sindacato . Tr. IMI. Del giudizio di a- varia . Tit. IV. Del | di distribuzione del prezzo delle navi . | PRODROMO. Della parte terza , che conterrà : Le ‘teorie del gius commer- ciale ‘e marittimo costituendo Sperile al miglioramento delle leggi esistenti. Art. I. Teoria generale del diritto commerciale costituendo . ‘Derivando il diritto commerciale, o dalle leggi scritte , dalla pratica mercantile , o dalla giurisprudenza consolare , n PRIMO PROBLEMA che necessariamente si affaccia a chiunque si oceupi del diritto costituendo , ha per oggetto di determinare a quale di questi tre fonti debbasi preferibilmente ricorrere ; e qui è ben facile il conoscere che se alcuno degli ultimi due pre- valere dovesse, superfluo si renderebbe l’ affaticarsi nel rintrac- ciare e disporre generali teorie legislative , perchè la mercan- tile consuetudine e la giurisprudenza del foro emanando , la prima da fatti, e la seconda da opinioni perpètuamente ondeg- gianti e variabili all’ infinito , impossibile del tutto si read: rebbe impor loro alcun freno, o prescrivere norma alcuna . Ma dopo di avere pacatamente ponderati i respettivi var- taggi o inconvenienti della legge mercatoria, della giurispru- denza consolare, e delle leggi scritte , credo indispensabile lo scendere nel sentimento che a quest’ ultime attener ci dobbia- 210 mo, non omettendo bensì di attingere dalle altre. due sorgenti ‘del gius commerciale tante proficue nozioni, che pel migliora- mento de’ codici esistenti ricavare se ne possono . Il principale vantaggio della pratica mercantile, ossia lex Mercatoria, quello si è di essere appoggiata a de’ fasti positivi emergenti dall’ uso giornaliero de’ mercanti e de’ marimà nel * trafficare e nel contrattare frà loro; e noi abbiamo: veduto nel compendia istorico: del diritto commerciale che appunto dall’uso de’ mercanti e dei marini ha il medesimo mutuati per la mas- sima parte i suoi. principi ; ma rammentare ci dobbiamo ancora che non da efimere costumanze, ma da quelle bensì comprovate da una diuturna esperienza , esso è stato universalmente: desun- to , e che non si compone già di tante singolari decisioni atte a provvedere ad altrettanti casi pratici. che pur sono infiniti. , ma ben piuttosto di massime. generali e coordinate , che alla resolu- zione de’ casi pratici servono d’ invariabile norma. yi E altronde il sistema del Giurì praticato in Inghilterra fa dipendere |’ adozione delle respettive regole di Figlia mercan- tile dal deposto nor già di un intero rispettabile ceto; o de’ più imporanti suoi membri , siccome fecero gli olandesi nel compi- lare molte delle loro ordinanze, ma invece dalle dichiarazioni di pochi individui , a cui il giorno appresso aleri pochi indivi- dui succedeno:;, i quali tutti non possono’ essere. imbevuti. delle opinioni’ stesse , “ assuefatti alle: stesse pratiche ,. e scevri, egual- mente di pregiudizi , ed anche pur troppo di mire ed’ interessi indiretti che tradire lor facciano il dovere e la verità . E se , come alcuni giureconsulti brittannici han. proposto ,. si dovesse appr endere per irrettrattabile qualunque dichiarazione di Giurì dalle certi di giustizia approvata , rigettandosi qualunque do- manda giudiciaria di nuovi esperimenti. e verificazioni (6), par- mi che allora verrebbe a denaturarsi. la: pratica mercantile , as- sumendo piuttosto caratteri della consolare giurisprudenza ; ma come ella è ,. non credo che renunziare si debba al gius scritto per seguitare la legge mercatoria , che. per sua indole particolare è necessariamente incerta , nè legge incerta può dirsi mai giu- sta.,, siccome appunto ci insegna wr celebre inglese filosofo » legis » tantum interest x ut certa sit, ut absque hoc nec justa esse » possit ; si enim incertam vocem det. tuba!, quis! se. parabit ad sa bellum.? similiter si incertam vocem det. lex. quis se, parabìt », ad parendum ? Ut moneat igitur oportet, priusquam feriat,., ( Francisci Baconii legrun leges Aphos.8. ). (6) Ved. in fine nota B. n ti? Questo radicale difetto , /a incertezza, è pi comune alla giurispradenza forense , che ha inoltre il grave inconveniente di essere appoggiata piuttosto alle opinioni che ai i fatti , se hon che a compensare lungamente questo sva ntaggio ricordare si deve un pregio che le è proprio, quello cioè di arricchirsi delle teorie del gius civile ,e de’ lumi che pure in gran copia scaturiscono dai tanti volumi de’ giureconsulti e dalle decisioni de’ commerciali dîca- sterj . Conchiudasi che nella formazione delle leggi ‘scritte aver si debbono ognor presenti i resultati della mercantile consuetudine e della giurisprudenza consolare , accoppiandone indefessamente To studio'a quello delle leggi scritte antiche e moderne 3 quasi che concorressero al perfezionamento de’codici commerciali tre persone diverse , il filosofo , il giureconsulto e il negoziante 4 Le leggi scritte emanano per lo più , siccome ho dimostrato ; dalle costumanze de’ mercanti, e de” nautici ; si può dire anzi con franchezza che molte di esse altro non sono “el la genuina neces- saria espressione di altrettanti rapporti naturali, che debbons; quindi rispettare e seguitare religiosamente . Tali sono quelle che hanno per oggetto i contratti di cambio marittimo e di si- curtà, le lettere cambiali, il getto al mare, e.simili ; esse non sono emanazioni delle leggi civili , e molto meno sono il frutto delle in- vestigazioni de’ giureconsulti o de’ filosofi, ma sono invece crea- zioni del bisogno e della industria , che L: hanno poi secondo le contingenze estese e perfezionate ni segno di produrre que’ van- taggi e que’ mirabili effetti che sono a tutti palesi. Chi preten- desse di alterare l’ essenza di queste consuetudini , già trasfuse da una in un’altra legge commerciale , non solo adoprerebbe ingiu- stamente,, ma tenterebbe ancora-lo male. perchè il commer- cio e la navigazione riconoscendo omai per loro sostegni e molle indispensabili questi medesimi contratti e pratiche inveterate, sde- guerebbero o eluderebbero qualunque legge proibitiva o vin- colante . Quello bensì che può e deve farsi ‘da qualsivoglia nuovo le- gislatore si è di ricercare quale: delle ordinanze o degli statuti antichi o moderni si sia meglio uniformato ai, principj derivanti dall’ indole istessa e dallo scopo di queste consuetudini , e pren- dere quindi da ciascun corpo di leggi ciò che sia più confacente alla materia , e più consentaneo alle massime dell’ equità che debbono pur sempre aversi presenti. E qui la pratica mercantile e la giu- risprudenza riescono di un grandissimo soccorso , poichè la prima ei svela i progressi delle consuetudini, e la |seconda ci presenta un 112 "A DI numero infinito di casi € .di questioni , manifestandoci così e luna e l’altra fin dove sì estendono i disposti delle leggi già stabilite , e dove richiedano modificazioni, o. aggiunte. . Mapell esaminare appunto i resultati della pratica mercan- tile e della consolare giurisprudenza, venghiamo pure a scoprire molti abusi e molti disordini ai quali conviene ostare 0 che devon reprimersi.E questo è appunto l’ufficio delle leggi arbitrarie, nelle quali il legislatore emancipandosi saviamente dalle regole e dagli abiti de’ mercanti , detta quelle sanzioni di ordine pubblico , e quelle disposizioni coercitive, che la mala fede 0 la licenza di mostrano necessarie . Le sicurtà dette per via di scommessa erano pure diventate d’ un uso frequente e giornaliero ; e potevasi invo- care a loro favore la pratica cf agli Ri ; ma esse infrangevano i i precetti della morale , aprivano l’ adito a molte ingiuste preten- sioni, e dayano forse occasione a delitti; onde ben fecero;i leg isla- tori a sopprimerle . I fallimenti dolosi , € le più dolose ir hanno talvolta sovvertito il giusto e regolare andamento de’, com- merciali negozj,; lode pertanto , lode a quei saggi, che per mezzo di semplici e. forti leggi han combattuto e combattono i mostruosi Lg che altrimenti anderebbero inosservati Co) impuniti , i Ma qual deve essere il Zinzite oltre il quale trascorrere noù debbono le leggi arbitrarie ? Anche qui l’esperienza, aiutata dalla sana ragione, ce lo dimostra « Allorchè taluno ardì proclamare in Francia quell’ assurdo dettato : le drort de travailler est royal , et démanial , egli offese e contristò qualunque amico della indu- stria e della URTO nazionale , nè vìi fu bisogno di molto inge- gno per conoscere, che in tal guisa imponevansi iniqui ceppi al commercio , anzi che reprimerne gli abusi ; ma quando nella Francia stessa nell’ anno 1776 comparve un regio editto basato sulla seguente massima ben dall’ altra diversa Ze droit de travailler est le Bro de tout homme: cette propriet est la premicre, l la plus sacrce , et la plus imprescriptible de toutes , allorà i saggi applaudirono, il commercio infranse le sue catene , e solo si dol sero alcuni fanatici o interessati alla LE AIDi cain di quell’ op- pressivo sistema (7) - Si riconosca adunque per assioma fondamentale del gius mer- eantile costituendo: che i suoî disposti debbonsi attingere dalle consuetudini , e sopra tutto da quelle invalse da lungo tempo, è che non debbono portarsi leggi arbitrarie se non quando ciò sta, dimostrato indispensabile da qualche grave abuso o serio incon- vemente,. (5) Voltaire Qeuvres completes ( 1985 ) Tom. 64. pag. 436. ————_————————_——————_———_——_——————— e gent 133 Ma questa cognizione non può. ottenersi , questo. giudizio non può con sicurezza formarsi , se. non che dopo il più accurato e meditato confronto di tutte le antiche e moderne leggi scritte, mon meno:che del gius non scritto , ossia lex mercatoria , e della giurisprudenza degli autori e tr Papali di commercio . a proce- dere a questo confronto è neeessario ur metodo , ed ecco quello che ardirei suggerire .. ART. I. Applicazione delle delli reg teorie al miglioramento delle leggi esistenti . Il Codice di commercio dei francesi è la legge mercantile la più moderna , la più completa , e se non erro, la meno im- ‘perfetta. Ma questo triplice vantaggio su le altre leggi è pro- prio dell’opera considerata nel suo complesso , ma non già di ciascuna sua parte ; essendo che alcuna di esse mi sembra infe- riore a diverse corrispondenti ordinanze o statuti, e d’altronde «anche dopo la pubblicazione del suddetto codice , non poche fra queste leggi commerciali sono andate soggette a frequenti correzioni e cangiamenti , e nel tempo stesso la pratica mor- cantile e la giurisprudenza del foro hanno seguitato il loro corso sinuoso . Per queste ragioni io sono d'avviso, che il paralello pro- posto instituire si debba sempre di fronte «al codice francese , contrapponendo al medesimo i correspettivi disposti delle al- tre leggi , e le massime teoriche e pratiche del gius mercantile ; acciò ravvicinando questi elementi omologhi, si venga adjottenere per ultimo un codice di diritto commerciale , che meglio d’ogni altro corrisponda ai dettami del gius naturale , e sia più capace di conservare o di far rinascere quella dona 9 , che è pur l’anima della mercatura . Si vedrà dal seguente prospetto con quale ordine io penso che la comparazione di cui si tratta debba essere condotta . CONFRONTO Dei piincipj e disposti del codice di commercio dei francest con gli altri principj e disposti del diritto commer- ciale . | Lis. I. Confronto de’ principj e disposti gencrali . Cap. I. Della mancanza di alcune essenziali materie . Cap. II. Della ridondanza, o superfluità di altre . Cap. III. Della erroneità , o ingiustizia di altre . Lin. Il. Confronto de’ principj e disposti particolari . Cap. I. Della mancanza di alcuni essenziali disposti . Cap. II. Della ridondanza , o superfluità di altri . T: IX. Gennato ls] 114 Cap. III Delle erroneità, o ingiustizia di altri . Ligro III. Dell° ordine e distribuzione delle materie e di- sposti . Cap. I. Dell’ordine e distribuzione generale delle materie Cap. II. Dell’ ordine , e distribuzione particolare de’ di sposti . Lis. IV. Della redazione. I confini di questo mio preparatorio lavoro non mi per- mettono di-estendermi più oltre , e qualunque breve spiegazione riescirebbe pur troppo insufficiente ed oscura; ma se taluno mi richiedesse più speciali dettagli onde sussidiarmi con i suoi con- sigli, mi affretterei di buon grado a compiacerlo ; siccome sarò sempre pronto a ricevere con riconoscenza ogni qualunque critica ragionata , e ogni amichevole suggerimento di correzione o aggiunta al mio piano. Prego soltanto ognuno a comportare con indulgenza le frequenti mende occorse nella redazione e nella stampa di quest’ articolo e dei precedenti. Queste mac- chie , che io stesso il primo ravviso , spariranno , lo spero , al- lorchè sarà esposta alla luce quell’ opera , di cui non ho dato fin quì che una imperfettissima idea è Av. GIO: CASTINELLI. NOTE (A) Elenco di opere di diritto commerciale - non comprese nella Bibliothèque de Jurisprudence commerciale compilata dal sig. prof. Pardessusm Becman ( Gust. Bern. ) De obligatione mandantis . Zalae Magdeburgi 1747. Belloni, Dissertation sur le commerce composée en italien et traduite en frangais . Vezise 1757. Bodini ( Henr. ) De libris mercatoram suspectis . Malae Salicae 1750. Bodini ( Mathaei ) Tract. de Cambiis . Bont ( Wilhelm ) Tract. de Usuris . Bruckmaher . De Muliere cambiante. Malae Magdeburgi 1734. Bruneri . Mashaci ) 'Tract. de cessione bonorum . Byel ( Sabini) Notae ad Nicolai Oresmi Trat. de Monetis. Carli ( Presid. ) Delle Monete ec. 40!’ Aja 1758. Cavatii ( Joan Bapt. ) Tract. de Cambiis. Chiodini ( Conte ) Dell’ aumento della moneta . Modena . 1730. v 225 Consolato de’ Marinari per lo stato Veneto . Venezia 1757. Crumbrecht ( Gaspat. Arnold ) De jure mercaturae 1726. e senza indicazione di luogo ) Dinneri Tract. de justo rerum praetio . Escobar ( Franc. ) De ratiociniis administratorum, et com- putationibus variis aliis | Francofurti 1618. Estrivier (-Avocat ) Observations sur le projet du code de eommerce . Ferretî ( Juliù ) Traot. de jure et re navali. Venetiis. 1959 Frinckelthausii ( Sigismundi ) Disputatio de moratoriarum prescriptione . Heeckneurus ( Joan. Feder. ) De literarum cambialium in- dossamento . Lypsiae 1707. Huiristner ( Gothofr. ) De menstrua et annali prescriplione literar. cambial. Zypsiae 1717. Kellinghasun ( Henr. ) De discrimine tempestatis marinae,. Halae Magdeburg 1809. Klugman Dissertatio de lege Rhodia de Jactu. Gottingae 1817. Dejorio Instruzioni di commercio; Mapoli 1804. Lavistà ( Dott. Dionigi ) Esposizione della legge Rodia de jacta . Napoli 1961. Locke ( Gio: ) Ragionamenti sopra le monete , e 1’ interesse del danaro , trad. dall’ Inglese con un discorso sopra il ginsto prezzo delle cose ed il commercio de’ romani. Firenze 1751. Lupi ( Hier. ) Tract. de Cambiis. . Marrè (Gaet. ) Corso di diritto commerciale. Genova 1822. Merulace. "Tract. de Mari. Molinaci ( Caroli ) Tract. de Commerciis et usuris. 7..0- vera omnia Paris 1608. Passeribus ( De ) Tract. de libris mercator . © Peri ( Gio: Dom. ) Il negoziante. Venezia 1660. Detto. I frutti d’ Albaro. Trattato del commercio . Zene- zia 1650 De Puteo ( Parid. ) Baldi de Perusio. Angeli de Perusio. Cataldini de Buoncompagnis. Amede Justini. Dulceti Augustini Venetiis 1571. Privilegj , immunità ed esenzioni accordati in vari tempi alla città e porto di Livorno. Livorno 1795. Reale. Del diritto commerciale e marittimo secondo le Tract. de syndacata. n— -< —_—° T_ — 116 leggi austriache. Pavia 1822. “ Acbuffi ( Petri ) Tract. de literis moratoriis . ejusd. De mercatantiis minutim vendendis . Rendinii ( Scipionis ) Receptar. Sentent. de Mercatura . Ressi ( Adeodato ) Breve esposizione di alcuni principj intorno alla scienza del diritto mercantile. Pavia 1818... . |. Rulandii ( Rutger. ) De Praemiis Assecurat. .. \{_. |; ciusd. De Commissionib. eiusd. De fructib. et interesse. Hamburgi 1608. evi Rademin. ( Henricus ) De Bodemeria . Hale 1695. Santesni ( Petri ) Tract. de Usuris. Ichele ( Mart. sus. ) De instrumento assecurationum vulgo Polizza .Helmstadt 1707 . Schvvendendorfferiù ( B. Leon ) De privilegiis mercator. Jenae . Statuti De’ mercanti della città di Lucca, Zucca 1581. IVeitsen . De Contributione . ZWitte ( Michael. ) De judiciis ad literas Camb. solvendas. Halae Magdebowrg 1715. / eda observations sur les faillites. Marseille 1807. (B) Blaekstone ( Comentaries on the lavvs of England . Introduction Sect. 3. ) allega in proposito della Zegge mercato- ria. Il dettato legale ,, cuilibet in sua arte credendum est ;, . Ma il suo annotatore Ed. Christian sottopone a questo passo le seguenti osservazioni ,, Ma queste espressioni hanno frequente- 3; mente indotti i commercianti a supporre che ogni lor nuova usanza o ritrovato divenga immediatamente legge del paese, ;, sentimento che è stato forse incoraggiato pur troppo dalle no- 3 stre corti. I negozianti dovrebbero ricever le loro leggi dalle corti , e non già le corti dai negozianti, e quando la legge trovisi inadequata ai bisogni del commercio, ricorrer si do- », vrebbe al parlamento per rettificarla . Ciò è consentaneo all’o- » perazione del sig. giudice /orster , il quale sostiene, che Za ,, consuetudine de’ mercanti è legge generale del regno, e che », pereiò non si dovrebbe far dipendere da un Giurì , dopo che »» € stata una volta stabilita da giudiciali determinazioni . , 2) » 2) 117 ‘Vaccina . Notizie estratte dai processi verbali delle adunanze della società per la diffusione del me- todo di reciproco insegnamento . ' Firenze 23. dicembre 1822, Il segretario degli atti sig. march. C. Ridolfi comunicò la seguente lettera a lui diretta dal sig. Giuseppe Lami gonfaloniere della comune d’Empoli , in data del dì 4. ottobre 1822. ‘Eccomi a descriverle l’ origine, progresso e stato attuale della vaccinazione in questa comunità , coerententemente alle sue gentilissime ricerche. | Si conosceva appena in Empoli l'uso della vaccina, quando or sono presso a poco diciotto anni vi comparve il celebre prof. Sacco per apprestare un sì prodigioso rimedio. In tale occasione i vaccinati furono circa a 20 . Fu allora praticato d’ invitare i vaccinabili per mezzo del suono di una campana , e questo costume si estese alle adiacenti parrocchie allorchè nel tratto successivo vi si portavano per il medesimo oggetto i professori . Le persone più rispettabili ecclesiastiche e secolari furono sollecite ad introdurre nelle loro famiglie l’uso della vaccina, e questo tanto propagossi, che nei primi tempi del governo fran- cese il dott. Ciampolini medico di questa comunità intrità di ot- tenere il premio destinato a chi in Toscana si fosse maggiormente distinto nell’ applicazione di questo soccorso. | Quindi il vaiolo arabo portato in Empoli or corrono due an ni da due famiglie livornesi che ne avevano infetti cinque in- dividui, non potè diffondersi presso questi abitanti . Due em- polesi soltanto ne rimasero attaccati - Gli attuali professori hanno gareggiato in zelo e fatica . Nell” anno 1820 il numero dei fanciulli vaccinati ascese a 226, nel successivo 1821 fu portato a 334, ed a 168 è giunto a tutto set- tembre dell’ anno corrente . Questo magistrato civico, grato in vedere risparmiate tan- te innocenti vittime in questa comune mentre inerudeliva' il va- iolo arabo nei territori limitrofi , ha poc’ anzi decretato ai suoi ‘professori condotti un’ aumento di annuo onorario per questo titolo. Mai fu impiegata una somma per una causa ‘migliore, 118 Avche senza l’eccitamento «dato con pari saviezza e filam- tropia dal governo , tutti i fnciulli conduconsi spontaneamente a vaccinarsi ; ed appena si potrebbe contare qualche eccezione indipendente dalle cause speciali che indacono a sospendere l’u- so di questo rimedio . Da tal ristretto quadro ; se non vorrà dedursi in favore di questi abitanti la prova di una sufficente cultura di spirito , si potrà almeno «discernere che non sono usi a. riguardare cop oc- chio bieco e sospettoso , le scoperte , che tendono al soccorso del- l’ umanità . i La prego sig. marchese a gradire i sentimenti ‘ec; Il segretario del comitato del nuovo metodo sig. march. Girolamo Lucchesini aggiunse la lettura del l’in- ieressante memoria che qui sotto riportiamo per intiero . Mi è rade volte avvenuto, o signori, d’ assistere alle nostre adunanze senz’ avere nuovi motivi di lodare il senno , con cui - procedono le vostre deliberazioni al perfezionamento delle scuole del reciproco, insegnamento aperte da privata liberalità al pub- blico vantaggio. Quantunque sin dalle prime le cure de’ bene- meriti fondatori fossero molto fortemente indirizzate al prefisso scopo, niuno di voi ha mai presunto , Che îl tempò e 1’ esperien- za non potessero al bene già operato dar succedere anche mag- giore utilità. Infatti non son molti giorni che si esaminavano hell’ adunanza della cura sopra il metodo, alcuni provvedimenti sull’ ammissione di nuovi alunni nelle due scuble' di eenta città . Sciolto il bre- ve congresso ed uscito io di casa , m’ incontrai in un fanciullo dì Pan cinque anni, sul viso € negli occhi del ‘quale erano an- cor fresche le ingiurie d’ un vajolo confluente, da cui temevano i genitori non rimanesse sfregiato il volto e indebolita, ciò che più monta, la vista del figlio. Mi tornarono alla alla mente i computi fatti nel passato inverno sulla mortalità accaduta nella” città di' Firenze, ove gpe- sta peste infierì, e raffrontai questo stato di cose con un vicino paese , d’ onde il vajolo già sono parecchi anni, per le pubbliche previdenze, andò in bando, così che-s’ ode talvolta implorato dal volgo , come rimedio alla soverchia fecondità de’ miseri (*) . Io sò (*) Nella terra di Viareggio, ove la provida separazione delle acque salse dalle dolci, ha contribuito alla salubrità dell’aria , in modo che nello spazio di 6o enni la popolazione ha raddoppiato , si è talvolta udito mettere questo strano lamento. | 119 che il vajolo non s° appiglia all’ uomo sano, se non quando ne prorompe la materia sulla cute. Il perchè non è certameute da temere che se un fanciullo venisse nella scuola, compreso anche dalla febbre che precede talvolta di poche ore .l’ apparimente delle pustule, i suoi condiscepoli fossero per contrarne il contagio. Ciò nonostante io mi sono oggi determinato, o signori, di sotto- porre al purgato vostro giudizio certo mio divisamento su questo proposito . L’ opinione dell’ universale in Toscana sull’ utilità del reci- proco insegnamento, ce la palesa la spontanea concorrenza a que- ste scuole gratuite di sì gran numero di -fanciulli di tuttii gradi della società . Il profitto che ne ritraggono è certamente la più dolce ricompensa delle cure poste nel superare que’ pregiudizi, i quali siccome di cose muove, s’ erano forse mostrati avversi a’ no- stri disegni. Or questo genere di modeste e. pacifiche vittorie da voi conseguite direttamente coll’ introduzione in questa beata terra del metodo di reciproco insegnamento , non si potreb)’ e- gli dilatare affrontando, senz’ uscir delle nostre scuole, la pregiu- dicata dannevole ripugnanza di tante e tante d’ adottare con- tro la strage che fa nel mondo il vajolo naturale , il salutifero contrapposto della vaccinazione! Ma nella cura de’ mali della mente, forse anche più di quelli del corpo, è savio consiglio porgere &- spersi di soave licor gli orli del vaso a coloro che si voglion ridurre a sanità, e non commettere sopra tutto che ignoranza o l'invidia se ne avveggano . Perchè io porterei opinione , che si avesse a stabilire per legge: Miun fanciullo potersi ammettere per l’ avvenire nelle nostre scuole , il quale , 0 non avesse supe- rato il cimento del vajolo naturale, o non avesse supplito l’ arte coll’ inserzione dell’ arabo o del vaccino : chei maestri, cui spet- terebbe verificare il fatto per l’ ammissione dei nuovi concorrenti, cogliessero volentierosi quest’ opportunità d° illuminare i parenti sulla sicurezza, il tenue dispendio , e le brevissime brighe del- la vaccinazione paragonata al più benigno tra’ vajoli naturali . Che se da questo provvedimento ci venisse poi fatto di ren- dere a poco a poco e spontaneamente più popolare un sì be- nefico ritrovato, pel quale già incominciansi a dimentire i computi desolatori sulla morte della metà delle nascenze nel primo anno della vita, non ci parrebbe egli,o signori, d'avere anche inj ciò ben meritato col genere umano? E mi sia finalmente lecito per l’amore che io porto grandissimo a questo -paese, ove ho incon- trato sì generosa e gentile ospitalità, di manifestarvi il desi- derio , che mentre i vostri maggiori si possono più particolarmente 120 chiamare coll’astigiano , d’ ogni altra cosa insegnatori altrui, se la natura volle privilegiar 1° Inghilterra della scoperta del vaccino, voi vi compiacciate di raccoglierla tutti e favorirla con quella benevolenza, che le vien dimostrata in altre parti d’Italia. La società applaudendo ai suggerimenti del march. Lucchesini all’appoggio deì quali veuivano mirabilmente i fatti osservati a Empoli, decretò che si dovesse adottar la massima di non ammettere alle sue scuole quei fan- ciulli i quali non potessero far costare di aver avuto il vaiolo arabo o vaccino. In tal circostanza la società accettò l'offerta fattale da uno dei suoi socii relativa alla fondazione di un posto, di medico a vantaggio degli alunni delle sue scuole, e no- minò per cuoprir tal impiego il sig. dottor Antonio Lupi- nari, ingiungendoli l’onere di visitare ad ogni ammissione e mensualmente gli alunni tutti, onde accertarsi che sia con puntualità eseguito quanto essa dispose relativamente alla sofferta eruzione del vaiolo arabo o vaccino, ed ov- viare al contagio di qualunque altra malattia cutanea la quale potesse manifestarsi fra gli alunni medesimi. Volle di più che il suddetto medico curasse dalle sopravvenienti malattie i miserabili concorrenti alle sue scuole. C. Ripori, Sec. degli Atti. * Memoir of the operation ec. Memoria delle operazioni delle armate alleate sotto il principe Schwarzemberg ed il Ma- resciallo Blucher durante la fine del 1813 e l anno 1814. Dell’ autore delle prime campagne del duca di Wellington in Portogallo e Spagna. 8. Londra 1822 . Se la precedente pubblicazione dell’ opera mentovata nel ti- tolo intorno alle campagne del Duca di Wellington diede credito al nome di Lord Burghersh, attual ministro plenipotenziario di S. M. Britannica presso |’ I. e R. corte di Toscana , deve la presente portarlo giustamente al più alto grado di estimazione; perocché in pochi altri moderni autori abbiamo; ritrovato quella impar- ziale testimonianza; e quel chiaro e lucido stile, che giustifichi: 121 con superiore efficacia il difficil carattere di un militare anna- lista, nel cui parlare onesto possa l’ istoria degnamente fondarsi. L'importanza dell’ opera che abbiamo sotto gli occhi tende ad aumentare la sodisfazione per la quale è nostro debito l’ ap- prezzare le lodevoli qualità passate dall’ animo dello scittore nel suo lavoro. Un grande capitano o i suoi partigiani son presti a' dare al mondo una narrazione, per avventura, diversa delle stesse memorabili campagne (1): laonde di gran momento è l’ aver già una verace narrativa degli stessi eventi dettata da un tale indi- viduo come Lord Burghersh, la cui autorità può valer non poco a rifiutare o confermare qualunque altro pubblico racconto possa esser fatto. Sarebbe certamente cosa ingiusta il dubitare @ priori della fedeltà delle relazioni francesi ; ma, anche senza attendere alle potenti cause di propria illusione , o di volontari inganne- voli palliamenti delle cose, deve essere sicuramente un bel sub- bietto di congratulazione agli amatori del vero , che sia stato già messo a luce un testo , mediante il quale possa aversi un franco giudizio , od una più compiuta conoscenza dei fatti . Per questi motivi noi ci arrischiamo di pronunziare , essere il prc- sente volame uno dei più importanti finora pubblicati, qual do- cumento istorico dei più alti affari che abbiano mai cimentato i destini del genere umano - L’autore ebbe ampli mezzi per pro- eurarsi le migliori informazioni; ed egli ha usato de’ suoi mate- riali in un modo sì apertamente candido da porre il convinci- mento della sua propria veracità in ogni petto . Avendo per tal modo detto abbastanza intorno al merito ge- nerale di queste memorie, del loro gran valore come autori- tà, e per conseguenza della loro estrema importanza, ripetendo le parole stesse di uno dei più accreditati giornali inglesi the literary gazette, (2) noi ci auguriamo di vedere quanto prima vol- tita nel nostro idioma un’opera sì commendabile , come lo fu l’altra soprammentovata dell’ istesso autore sulle campagne del duca di Wellington (3). E potranno allora i leggitori italiani mag- (1) Si allade principalmente alle memorie dettate da Bonaparte : delle quali sono stati pubblicati due volumi in Parigi al principio di quest anno col titolo ,, Mem. pour servir è 1’ hist. de France sous Napoleon écrits à S. He- lene . Paris 1823 (2) V. N: 307. 308. 3og. 310. dove il giornalista ha dato in quattro sepa- rati articoli un ragionato estratto di tutta ΰ opera, concludendo esser dessa de- | gna dell'autore e del suo paese, grato allo stesso per averla pubblicata . Wortby of its author , and of his country, gratoful to him for having produced it. (3) Ragguaglio delle prime campagne del duca di Wellington in Portogallo e in Ispagaa, tradotto dall’ inglese da Michele Leoni. Firenze 2820. 122 giormente convincersi quanto per l’ evidenza delle cose, la giu- stezza de’ concetti, la chiarezza dello stile , e la ben connessa. e- sposizione delle vicende della guerra sia una tale opera da pre- giarsi, come un bel distinto e diligente commentario de’ grandi mutamenti pe’ quali fu cangiato l’ aspetto dell’ Europa, e questo di tratto in tratto frammischiato con nuovi documenti autenti- ci (4), buon numero di aneddoti del pari curiosi, notabili e rari., ll libro di pagine 341. è diviso in nove capitoli principali ed un appendice: con belle carte geografiche e tipografiche che servono a illustrare i movimenti degli eserciti, le principali bat- taglie ed altre imprese militari. Il cap. 1.° comprende il periodo corso dai progressi di Bo- naparte in Germania , e dalla battaglia di Lutzen fino alla riti rata dell’ esercito francese al di là del Reno, ed alla liberazione della Germania. II.° Dall’ unione delle. armate alleate sulle rive del Reno fino al passo di quel frume sulle frontiere della Svizzera , e l' occu- pazione di questo paese . III.° Dall’ invasione della Francia fino all’ accampamento dell’ armata del principe Schwarzenberg lungo le rive della Senna da Fontainebleau a Merry. IV.° Comprende le operazioni dell’ armata del maresciallo Blucher dalla battaglia di Brienne fino all’ unione di questo ge- nerale.a Merry, coll’ armata del principe Schwarzenberg , che aveva dato in dietro verso Troyes . V.° Dalla ritirata del principe. Schwarzemberg da Troyes inverso Bar-sur-aube e Chaumont, fino alla muova fermata del suo esercito nelle posizioni lungo la Senna e 1’ Aube. VI° Ripiglia le operazioni del maresciallo Blucher dal mo- mento della sua separazione dall’ armata del principe Schwar- zenberg a Merry ; fino alla battaglia di Laon e il riacquisto di Rhceims fatto dall’ armata francese, e l’unione di questa sulle rive della Marne, presso Chalons ed Epernay. VII? Dettaglio delle operazioni del principe Schwarzenberg dal periodo della mossa di Bonaparte verso la sua armata dalle rive della Marne , fino alla di lui unione cblla guardia del ma- resciallo Blucher presso Vitry . VII. Si narrano i movimenti dei corpi francesi lasciati so- pra l’ Aisne in osservazione del maresciallo Blucher, l’ avanzamento (4) Notabilissima fra questi é una lettera dell’imperatore Alessandro al re di Baviera. ” 123 degli alleati verso Parigi, la battaglia data a fronte di quella capitale e la sua occupazione . IX-° Seguono le operazioni di Bonaparte da S. Dizier fino alla riunione della sua armata a Fontainebleau: si descrivono le generali posizioni delle opposte armate dentro la Francia, le nc- goziazioni a Parigi, la conseguente abdicazione di Bonaparte, e il termine delle ostilità . Ragguagli geografici ; e notizie di viaggiatori . Viasgio di Ruppe? in Egitto: Compendio di lettera diretta al barone di Zach dal Cairo il 3. aprile 1822.—Vi mando le os- servazioni, che ho fatte qui ed alle piramidi di Ghizé .... Secondo le misure prese da Kabisteh viaggitore tedesco , la base della piramide di Cheops è di 803 piedi inglesi, e 1’ altezza perpen- dicolare, compresa la punta rovinata, di 535 piedi ... Parto di- mani l’altro per Suez, donde anderò per terra ad Akabé sulla’ costa del mar rosso . Niun earopeo ha visitate finora queste con- trade: mi han detto che correrò gran rischio viaggiando con tutti i miei istrumenti; ma ìl vicerè mi ha promesso che non'sarò mole- stato. Inîricompensa ho preso l’impegno di fargli una‘ relazione fedele delle miniere che si troveranno in quel paese + Hò inten- zione di percorrere tutta l'Arabia petrea, e ne'ho gini la ic missione espressa nel ‘firmano. 18801 Gordon, capitano di marina inglese, è ‘sul pas di partire per le ‘sorgenti del Nilo: porta seco un ‘sessante con ‘cui ‘si propone . di osservare le latitudini nell'Africa interna. Dio lo preservi dalla sorte de’ suoi predecessori ! To anderò l’anno prossimo a'Sennar, e pàsserò suctessivamente nell’ Abissinia, «nella Nubia , nel-Cordofan ec. Viaggio di Rippel nell’ Arabia Petrea. Compendio di let- tera scritta al barone di Zach il 31. Luglio 1822:—Pattii per Suez il 17 Aprile con sei arabi della ‘tribù d’Iamaran, coi quali soli si puo viaggiare per l'Arabia Petrea, La strada dal Cairo ‘a Suez è poco interessante, e d'altronde ben conosciuta. Vi ho trovato delle grotte tagliate dentro le rapi al nord delle rovine di Kolsum sulla costa: niun viaggiatore, per quanto è a mia notizia, ne‘hà parlato finora: sicuramente servivano di sepolcri: l’acque del ma- re ne cuoprono il fondo in tempo di flusso; cosicchè le pareti sono icrostate di sale. Partii da Suez il 21. Aprile. Il vento di sci- rocco, benchè debole, riempiva l’aria di vapori densi: il termome- 124 tro di Réaumur sulla riva del mare ascendeva all'ombra a ‘27° 172. L’esalazioni delle paludi rendevano il caldo anche ‘più insoffri- bile. Dopo le paludi viaggiai una buona mezz’ora nel letto del- l’antico canale, che doveva unire i due mari: è largo circa cento piedi, ma non apparisce più vestigio dei suoi argini. Lasciando il canale; mi diressi all'oriente, passai per una pianura paludosa alla fine: della quale incontrai un deserto di sabbie mobili, e lo attraversai in cinque ore e 8 quarti. Il 22 giunsi al profondo torrente Bab- beh allora inaridito: quando piove in abbondanza nei monti al N. E. ove prende origine, si alza fino a sette piedi: si perde in una palude d’acque salse al nord di Suez. Seguii per tre ore il Babbeh venendo da una direzione contraria al suo corso, e giunsi alle falde delle colline; le attraversai, e discesi nella valle fertile di Kubab, che termina ai monti di Koros. L’acque delle pioggie vi sì arrestano per mancanza disgorgo: tutta la valle è ingombra di rovi e di paludi: per tutto scavando la terra si trova acqua dolce a pochi piedi di fondo: ma gli Arabi, che non vogliono pren- dersi la briga di scavare, vanno a provvedersene a mezz’ora di distanza in due cisterne murate : ve ne sono due altre tagliate nella viva rupe. Due o tre famiglie della tribù araba di Hoadat risiedono nella valle. Dopo un viaggio di sei ore tra i monti mi arrestai nella pianura di Sehemè, l’ultima prateria che s’incontri fino al forte di Neghelè: verano sulla strada parecchie greggie di capre: ma gli Arabi appena ci videro, le cacciarono verso i mon- ti. Costoro mostravano sempre poco desiderio di avvicinarsi a noi: ciò accadde solamente due volte in tutto il viaggio da Suez a Akba: solamente si davano gran premura di mostrarci le loro armi, che erano sempre vecchi fucili arrugginiti. Dalla pianura di Seheméè si arriva in tredici ore a Neghelè passando per una pianura ar- gillosa sparsa di colline di creta mescolata con pietre da fucile. La terra è completamente sterile e ingombra di ciottoli. Il forte di Neghelè è un parallelogrammo cinto di mura , sulle quali domi- nano sei torri: la sua porta è difesa da due cannoni di ferro ar- rugginiti. Il vicerè vi tiene in guarnigione trenta mogrebini, e un governatore. Un viaggio di nove ore ci condusse il 25 nella pia- nura di Goros, dove lasciai la via tenuta dai pellegrini che vanno alla Mecca. In tre quarti d’ora giunsi al torrente Tamat, ove tro- vai alle falde d’un gruppo di colline d’argilla un pozzo d’acqua eccellente scavato a quindici piedi dentro terra fra le sabbie. In quattro ore tornai sulla strada dei pellegrini. Le colline dirupate di Bagelè, interrompono la trista uniformità del deserto: son pe- ricolose a passarsi per icammelli: la divozione dei musulmani vi 125 + ha fatto aprire nella rupe una strada di duecento piedi: un’orda d’Arabi masnadieri della tribù d’Heivat infesta i contorni. Disce- si per una valle piena di tamanschi nella pianura di Darfurek, c scuopersi in .lontanza una catena di monti, le cime dei quali pre- sentavano l’ aspetto di vulcani estinti. Dopo percorsi un paese ste- rile tra i frantumi di granito: arrivai il 27 alle prime colline della catena che in principio è un gruppo di altrure isolate: vi trovai con mia gran sorpresa un lago creato dall’acque di pioggia lungo quasi mezz'ora di viaggio , e largo cinquecento passi, di parecchi piedi di fondo: lochiamano Ras-el-sat: secondo le mie guide, non manca mai d’acque quando non mancano, di pioggie i monti vicini nel- «l'inverno. Il paese del Ras-el-sat è un alta valle, dalla quale sì discende per 1500 piedi andando verso il mare per un. sentiero estremamente ripido. Si scuoprono di là le cime azzurre dei monti di granito d’ oltre Akaba: a destra il mare, di faccia rupi appun- tate e nere sparse di rupi giallastre, a sinistra il torrente Araba che serpeggia tra i rovi, i boschetti e le siepi che spiegano la più magnifica verdura. Impiegai più di cinque ore per discendere fino alla costa. Dopo un'ora di viaggio accanto a una palude salsa, giunsi presso le rovine d’Eilah, che chiamano oggi Gelena. Il letto inaridito dell’ Araba le separa dalle abitazioni abbandonate d’una città più moderna, che sono sparse fra le palme : vi si arrestano qualche volta gli Arabi nomadi della tribù d’Hamaran. Infine giunsi sano e salvo al forte d’ Akaba: è un quadrato regolare con mura benissimo conservate e con torri ottagone ai quattro lati: il vicerè vi tiene quaranta uomini di guarnigione. Le lettere di racco- inandazione ei doni che vi aggiunsi per condimento, mi procura- rono ila migliore accoglienza del mondo. Burkardt dice che il golfo d’Akaba termina con due baje; ho verificato che non è così: ho fatta una escursione sul golfo: a una buona mezz’ora da Akaba ho incontrato le rovine d’un forte di costruzione araba, il quale probabilmente era destinato per difen- dere i pellegrini che vi passavano per andare alla Mecca. Di là ho veduta gran parte della costa orientale del golfo: dopo ho fatto espressamente il giro di tutta la costa occidentale, e non vi ho trovato nè anse nè haje. Il mare vi è ricco di pesce e di coralli, fra i quali si distingue uno di superbo colore di rosa, che tratto fuori dell’acque, prende subito il colore giallo bruno. Mi assicurarono che nei monti all’ oriente d’ AkaDa esistono ‘molte belle rovine, ma i feroci abitanti del paese non permettono di esaminarle: mi vantavano sopra tutto i magnifici portici d’Araba a un giorno e mezzo da Akaba. Vi è un pozzo d’acqua eccellente ad 126 Akaba, e si trova qui acqua bevibile per tutto. Quando dopo il ‘riflusso si scava la terra a un piede di fondo, il buco si riempie subito d’acqua dolce e deliziosa. Gli Arabi della tribù d’ Hama< ran che abitano nei contorni son perfidi e traditori : i solamente in apparenza il vicerè d’Egitto. Viaggio sulla costa dell’ Africa superiore. Il capitano Smith ha esaminato e disegnato tutta la costa dell’Africa da Alessandria a Jerba sopra una linea. d’oltre 1300 miglia. La precisione ;, con cui ha determinate le latitudini è le longitudini di tutti i punti più interessanti di quella eosta finora quasi ignota e delle sue isole, ci porta a credere chè la pubblicazione della sua carta sarà un dono prezioso per le scienze geografiche e nautiche . Spedizione per l’ Africa interna. Una nuova spedizione inglese per l’Africa interna si è riunita nel novembre decorso a Tripoli» lo dirige il maggior Denham. Il reggente di ‘Tripoli aveva date le disposizioni necessarie perchè la caravana partisse per il Fezzan in febbrajo : deve viaggiare con una scorta fino al di là :di Burmù Hl professore Ondenoy resterà a Burmì col vice-console brit- tannico . Tutti sperano buon esito . La geografia dell’Africa non ha sinora guadagnato che poche mi- glia di terra. La questione più importante, quella delle sorgenti del Nilo e della sua comunicazione o vera o falsa col Niger è restata indecisa, mentre Cailliand era sul punto di scuoprire il gran mistero. H viaggio di Valdek, che doveva farci conoscere 5000 miglia di paese nell'Africa è restato nell’ chlio: ci verrebbe la tentazione di crederlo una chimera. Viaggio di Langsdorf al Brasile . Langsdorf, che ha già fatto due volte il giro del globo, si è imbarcato a Brema sul prin- cipio dell’ ultimo inverno con una colonia di badesi per istabilirla nelle sue vaste tenute al Brasile , ove è ministro della corte di Russia . Arrivò. felicemente con tutta la colonia il 5 marzo a Rio Janeiro; e sulla proposizione che gli fece quel governo di prendere una parte dei suoi coloni, consegnò tutti quelli. che avevano tenuta cattiva condotta nel viaggio . ; Langsdorf vuol fare un viaggio per V America australe in compagnia del naturalista Menchier di Parigi, del pittore di. paesi Regendas d’ Augusta, e dell’ ecclesiastico Baver di Vurtemberga. Viaggi all’ oceano artico. Compendio di lettera scritta dal commendatore Krusenstern al barone di Zach, da Asce' nell’ E- stonia il 31 dicembre 1821. JI barone Vrangel, tenente nella marina russa, fu spedito verso 127 i primi del 1820 sulle coste dell’ oceano artico, per farvi delle osservazioni astronomiche , giacchè nella famosa spedizione del capitano Billing, che durò otto anni, niuno si prese la pena di determinare la situazione dei punti importanti per i quali passarono . Vrangel si è inoltrato fino alla punta N E- dell’ A- sia, ed ha verificato che il capo Shalat-koi è a 70.° 04’ di la- titudine e a 172.’ 10° di longitudine all’ oriente del meridiano di Greenvich, vale a dire al 169.° 50° del meridiano di Parigi . Consecutivamente fece una escursione su i ghiacci, per cercare il continente sognato da alcuni marinari ignoranti ; e percorse una linea di 50 miglia dalla foce del Kolyma. Al 70.° 50’ ri- tornò indietro , non trovando il più piccolo vestigio di terra. Così il viaggio del Cosacco Deshnef è vero ed autentico, e l’ opinione di Burney , il quale crede che l'America si congiunga all’ Asia, e che lo stretto di Behring sia una baja, non ha fondamento... La spedizione che partì nel 1821 per lo stretto di Behring sotto la direzione di Vasiltef, doveva mandare ad esaminare per terra le coste dell’oceano artico, secondo le istruzioni partecipate al capitano Kotzebue . Se il capitano Parry non ha potuto inol- rarsi molto all’ occidente , bisognerà fare esaminare la costa dal capo Jcy fino alla foce del fiume Mackensie per la via di terra: non v'è altro mezzo per assicurarsi se esiste realmente una co- municazione tra l’ atlantico ed il grand’ occano .... Il capitano Franklin ha passato l'inverno del 1821 al 64.° 12 di latitudine e al 112. di longitudine occidentale, e vi ha provato un fred- po molto più vivo che Parry nell’ isola Melville , dieci gradi più in vicinanza del polo . Spedizione di Parry. Nel maggio decorso fu trovato sulla riva del mare presso Donegal nell’.Irlanda una bottiglia con un fo- glio scritto in sette lingue , in cui si diceva: gettato in mare dal bastimento il Fury in luglio 1821 alla latitadine di 62. 05°, e a 62. 47’ di longitudine occidentale. L’ Z/ecla di conserva . G. Parry capitano. È la prima notizia che si sia ricevuta in Europa della spedizione . Il punto designato si trova nel gran canale di Davis - Spedizione francese di scoperte. La corvetta la conchiglia è partita da Tolone gli rt dicembre decorso per una spedizione di scoperte. Deve andare al capo di Buona Speranza, pussare nell’ oceanica , esaminarne le isole più interessanti , riconoscere i punti della costa occidentale della nuova Olanda che ven- nero esaminati da d’ Entrecateaux e Baudin, approdare a qual- cune fra l’isole scoperte da Bougainville e da Cook, infine tor- 128 nare in Francia per la via del capo Horn . Duperrey che co- manda la spedizione , è incaricato di fare diverse osservazioni relativamente alla figura della terra e all’ inclinazione dell’ ago “magmetico ; per il che ha ricevute le opportune istruzioni dal l’ accademia delle scienze e dall’ ufizio delle longitudini . L’ e- ‘quipaggio è composto di marinari scelti. La spedizione è mu- nita di lettere di raccomandazione per gli amministratori degli stabilimenti stranieri, nei quali le occorrerà di arrestarsi. . Viaggio in America. Il giovine Mollien, conosciuto per il suo viaggio in Africa, vuole intraprendere un nuovo viaggio in America : si propone di percorrere l’ America spagnola dall’ istmo di Panama fino alla nuova California, ove resterà per più an- ni, onde raccogliere tutte le notizie che potrà sulle colonie fondate recentemente dai russi, dagli americani degli Stati U- iti, e dagli inglesi in quei paraggi È Viafgio in Asia. Il giovine di Montulé , che ha pubblicato nell’ anno scorso an viaggio in America, in Italia e in Egitto, è nell’ intenzione di fare a proprie spese un viaggio nella Russia asiatica, nella Tartaria , nel Tibeto , donde passerà secondo le circostanze, o nell’ India o nell’ Indo-China. Montulé riunisce in grado eminente tatte le qualità necessarie per viaggiare utilmente. Viaggio nell’ impero Birmano e alla Cocinchina. Cravford autore di un opera intitolata, |’ arcipelago indiano, deve partire di commissione del marchese d’ Hastings , già governatore gene- rale dell’India inglese, per esaminare l’ impero Birmano e la Co- cinchina relativamente al commercio che si potrebbe intrapren- dere in quei due stati. La Francia ha spedito ultimamente il sig. Cochereau nella Cocinchina in qualità di console . Società geografica di Parigi. La società si proponeva di farei inci- dere sui diplomidarimettersi ai soci dodici medaglie coi nomi di Co- lombo, Magellano e Gama come autori delle prime grandi scoperte moderne per mare; Marco Polo, Pallas e Niebuhr, modelli nell’arte di fare scoperte per la via di terra; Tasman, la Perouse e Cook na- vigatori abili nell’ arte di perfezionare e terminare le scoperte già fatte; in fine la Condamine, Saussure e Danville come rappre- sentanti la geografia matematica, fisica e istorica. Il sig. Suer Merlin; uno dei soci, nell'adunanza del 27 maggio 1822 lesse una memoria diretta a fare aggiungere alla lista anche il nome di Cassini, e nella adunanza del 31 Maggio la società accolse la proposizione. Quando i geografi di quella rispettabile società leggeranno le re- lazioni dei quattro viaggi d’Amerigo Vespucci coll’attenzione e la sagacità, con cui gli ine letti i compilatori del giornale Mort4 129 ‘Amientan review, (2) può darsi che acconsentino a porre anche il ‘mome di Amerigo fra quelli di Colombo e di Magellano. Il signor Merlin prova vigorosamente, che la famiglia Cassini non meritava di essere dimenticata. L'Italia dovette al genio di Domenico Cas- sini la meridiana di San Petronio, edifizio che guadagnò al suo fondatore l'ammirazione di tutti i dotti del tempo, el’ affezione dî duc grandi Sovrani, Luigi XIV. e Cristina di Svezia. L'Europa dovette dappoi al primo Cassini il risorgimento dell’astronomia , La' misura del meridiano della Francia da Dunkerque a Perpigna- no fu eseguita dal primo e dal secondo Cassini. Cesare France- sco, degno erede della gloria del padre e dell’avo, pose mano alla gran carta della Francia nel 1744, e vi lavorò col proprio figlio per quaranta ‘anni. Per chi vuol giudicare dell’ immensità di que sta intrapresa, basta il sapere che vi concorsero seco solamente trenta ingegneri subalterni, e che giunsero ad accumulare 4oo di- segui originali, 50,000 copie di tavole di distanze dal meridiano, 60 valumi d’osservazioni di grandi triangoli , 400 volumi d’osser- vazioni e registri. d’ingegneri , 600 quaderni di calcoli , 500 di cen- simenti. La fama lo ricompensò col titolo di creatore della topografia. -. La società geografica di Parigi, creata con favorevoli auspic), è tuttora nell’ infanzia. Gli amatori delle scienze geografiche attendono tuttora inutilmente il quinto volume della geografia di Maltebrun, e il dizionario geografico. Il primo era sotto il torchio fin dal gennajo dell’anno decorso : il secondo doveva pubblicarsi un mezzo volume al mese. B'4 G. R. PAGNOZZI. Ci giunge la notizia che il sig. Caillaud dopo di aver risa- lito lungo il Nilo fino al decimo parallelo at nord dell’equatore, e dopo di avere scoperti numerosi monumenti nella Nubia, è arrivato a Marsilia, ove fa quarantina, in compagnia del sig. Le- torzecc. Siamo ugualmente istruiti dell’ arrivo del sig. Bonfigli Rossignoli , il quale ha visitate le contrade medesime percorse dal sig. Caillaud. Egli è in procinto di pubblicare la relazione del suo viaggio per godi ripartire alla volta di Tripoli, d’ onde ha in mente di traversare il deserto e di penetrare fino al Niger. (a) V. antologia Vol. 7. p. 357. TTD Gennaio 9 230 Viaggio d'un anno dall’ Ottobre 1821 all’Ottobre 1822. Firenze, Piatti, 1822 in 16° di pag. 165. Coloro che visitano paesi esteri con l’ idea di scri- vere e pubblicare la relazione di ciò che hanno veduto viaggiando, dovrebbero porsi in questa disposizione, d’in- traprender cioè il loro viaggio con animo lieto e inclinato a benevolenza verso i loro simili, e spogliato affatto dai' pregiudizi e dalle predilezioni di patria; per cui accade d’ ordinario , che si fa centro del proprio paese e a quello si circoscrive tutto ciò che altrove 8’ ode o si vede, prontissimi a valutare sempre davvantaggio ciò che da quel punto meno si discosta . Dovrebbero considerare che siccome nell’ aggregato dei popoli vi sono nazioni grandi , industriose , potenti , culte ,° bene ordinate e fe- lici , bisogna necessariamente che ciascuna di dette na- zioni abbia meriti intrinseci e vantaggi reali da contrap- . porre ai nostri; che la provvidenza avendo variato i cli- mi, i prodotti, Ì’ indole, le abitudini, le costumanze ec. ha messo quindi una gran varietà nei mezzi di conseguire l'utile e il diletto, che sono i due gran moventi d’ ogni umana associazione ; e che siccome gli uomini amano tutti generalmente la loro patria, vi deve essere un fon- damento ragionevole a questo loro affetto. Bisognerebbe oltre a ciò che i detti viaggiatori fossero forniti d’un cor- redo di cognizioni atte a ben valutare ed a porgere in un punto di vista conveniente le leggi, la religione, la mo» rale, la lingua, la storia, gli usi, le pratiche, le opinioni, il carattere , le ricchezze e l'industria dei popoli che in- tendono descrivere ;je per riuscirvi bisognerebbe che cercassero di conoscere e di familiarizzarsi coi riti, colle feste, coi giuochi , cogli spettacoli, coi ridotti ; e princi- palmente di addomesticarsi colle famiglie, e di penetrare nell’ interno delle case, cominciando da quelle della plebe fino a quelle degli ordini più elevati. Bisognerebbe _———_______——_—t—t—_—_tîcatît1-1--__t—-.---< 13r altresì che ogni’ qual. volta nòn, si trovassero ‘d'animo perfettamente tranquillo e di mente serena si'astenessero dal prendere qualunque appunto , o dal formare dei giu- dizj , perocchè questi verrebbero allora non sinceri allo spirito, come viene all’ occhio non sincera la luce che passa per un vetro colorato . Se tali precauzioni si adope- rassero dai viaggiatori si avrebbero certamente meno re- lazioni di viaggi » ma riuscirebbero queste più istruttive e più vere; nè si darebbe altrui così spesso occasione di lamentarsi d'essere stati mal DNA Unser ignoranza 0 per mala fede. Ora avendo noi nel passato volume dell’ Aatologia pag. 299 parlato con forza contro la leggerezza di certi fatui viaggiatori , che si fanno lecito di decidere dei no- stri costumi, dei nostri usi e del nostro stato ‘sociale sen- za cognizione di causa, ragion vuole e giustizia, che colla stessa franchezza e collo stesso amore per la verità, noi riproviamo ciò che è stato ultimamente pubblicato da uno dei nostri viaggiatori nel libro sopra annunziato Viaggio d° un anno ec. Per verità gl’ Italiani in generale hanno finora meno degli altri meritato il rimprovero di voler portare deci- sione dei popoli da loro visitati, e di rado si arrogarono essi questo diritto anche in tempi più felici, quando avrebbero con ragione potuto chiamar barbaro il costu- me delle altre nazioni in confronto dell’ antica italica ci- viltà : e queste è non lieve argomento di savia circospe- zione e di prudenza, in contrapposto alla vanità ‘che spesso invade l’ uno e l’ altro sesso in altri paesi di pub- blicare il diario del proprio viaggio, lo che fa dar corso a tante falsità, a tante osservazioni ingiuste, a tante calunnie e a tante puerilità , che muovono ora a sdegno ora a riso il lettore imparziale. Ma il viaggio d'un anno è un’ opera tale, che merita fra simili scritti ( e ci è forza il dirlo ) d’ essere registrata ; e per ogni Mime ci 132 duole di doverla riconoscere per prodotto d'autore italiano, perchè troppo si dilunga da quella saviezza rammentata di sopra. In fatti il tacciare in generale , e partico- larmente in iscritto, una nazione, se non è sempre ingiustizia, è però sempre imprudenza. E l’ autore a- vrebbe dovuto riflettere, che lo strapazzo non può esser ricevuto con pacifica acquiescenza, e che quindi egli sì esponeva a dispiacevoli osservazioni. E tutto ciò per aver avuto il meschino gusto di vilipendere i Marsiglie- si, di villaneggiare gli Svizzeri, di mal ragionare sulla cose d’ Inghilterra, e di sminuire perfino quelle d’ I- talia. Perocchè d'altra parte, senza quelle invettive, quel suo volumetto di poche pagine e di poca sostan- za sarebbe nato in silenzio, e sarebbe passato inosser- vato nei vastissimi stati della repubblica letteraria come un fuggitivo. Per buona sorte gl’ insulti sono così grosso- lani, così poco misurati, così poco ragionati, e così mami- festamente dettati dalla passione, che a prima vista i let- tori si accorgono che lo scrittore in quel punto era preoc- cupato o da disgusti personali, o da cattivo umore, che non gli lasciarono luogo ad esaminare con pacatezza e a giudicare sanamente. Oltre a ciò il nostro viaggiatore par- tendo da Firenze nell’ ottobre del 1821. per Bologna, Mo- dena, Reggio, Parma, Piacenza, e traversando il Pie- monte, la Savoia e parte della Francia dal settentrione al mezzogiorno , e di nuovo dal mezzogiorno al settentrione , varcò la Manica per correre a Londra; e ripassando il ma- re, ricorse la Francia dal ponente al levante, e di là pene- trando nella Svizzera superò di nuovo le alpi, e discen- dendo in Italia ripatriò nell’ ottobre del 1822; vale a dire che nel breve giro d’ un’ anno egli vide tanto paese quan- to è quasi possibile in sì corto spazio di vederne, e ne di- stese una rapida relazione di sole 165 pagine di grosso carattere e di piccolissimo sesto; lo che suppone che egli andasse con tanta fretta , e osservasse le cose con tal ce-. 133 lerità , che non si deve poi dar tanta fede ai suoi accele- | ratissimi giudizi ; poichè si può dire che egli ha veduto i paesi dallo sportello della sua carrozza, e che anzi dal suo letto ha esaminato gli Svizzeri. In fatti egli ci dice che a Berna cadde malato , e che i soggiorno che suo malgrado fu costretto a fare in cotesta città lo pose in caso di osservare il carattere de’ suoi abitatori , che presso a poco è quello di tutti gli Svizzeri. E qui restano distrutti nell’ animo del nostro viaggiatore tutti i prestigi di quel paese, che suol presentarsi alla nostra immagina- zione con i colori e cogli abbellimenti della poetica fan- tasia. Ma sulla fredda mente dell’ autore del viaggio d’un anno niuna impressione eccitò nè il contrasto degli orrori che regnano sulla cima delle altissime montagne colle scene ridenti di quelle sottoposte vallate, coll’ amenità dei siti e della prospettiva, nè la guerra continua dell’in- gegno e dell’arte col genio della natura selvaggia, nè la in- dustria e la cultura di quei popoli poveri ma laboriosi, semplici nei costumi e nelle maniere ma educati , istrui- ti, liberi, e talmente affezionati alla patria, che lo starne lungi è per loro grandissimo sacrifizio : tutto ciò è passato d’ occhio al nostro rapido viaggiatore, che nel suo mal’ umore ha sentenziato amaramente su quella povera con- trada , di cui però non ha veduto che la linea retta che traversa cinque o sei soli dei ventidue cantoni; e tal sen- tenza così ingiusta e così inumana, non ha probabilmente per fondamento che qualche personale dispiacere ricevuto da qualcheduno degli albergatori di Berna. Che che ne sia, senza allungarci maggiormente su quest’ opera , a giustificazione della nostra severa censura cì ristriugeremo a riportare in questo luogo alcuni passi di quell’ opera che più vivamente ci colpirono, e che ci | Imposero il dovere di rompere il silenzio, che ci era pur caro di poter osservare. Noi gli sottoponghiamo all'esame di tutti i viaggiatori che visitarono quell’ istesso paese per- 134 corso dal nostro compatriotta , e ad ogni onesto è delicato lettore ; unite alle riflessioni d'un Italiano oriundo della Svizzera, imparziale osservatore delle cose d’ ambedue» i paesi, e del pari amante geloso dell’onore e della incon rità del V una e dell’ altra nazione. b Noi non dubitiamo che alcun altro individuo alt wi . abbia interesse, non sia per fare la cosa medesima per ciò che concerne Îa Francia, l' Inghilterra e V Italia. (1). suyi i Xi LISI Osservazioni. lang iv Ci muove a riso l’ affettazione stravagante di icer- ti viaggiatori, che nulla sanno vedere di buono, di bello, di sublime e di pittoresco se non dal momento che giungono sul territorio della Svizzera ; e che insensibili a tutto ciò che la natura spiega di grande ; per esempio, nel Tirolo 0 nell’ alta Italia, si fermano, pongono piede a\terra, e vanno in estasi subito che il vetturino gli aw- verte ch’ essi calpestano la terra elvetica . Tal prevenzio- ne; tal sensibilità convenzionale e di moda , di cui siamo stati, alcuna :volta testimoni, sono realmente ridicole; ina per vero. dire sì scorge facilmente nelle espressioni del nostro autore 1’ effetto di una prevenzione opposta; d'tuna ignoranza dei fatti e delle cose, e d’ una assoluta (1) Noì chiediamo scusa all’ Autore per il dispiacere. che senza dubbio gli cagioniamo; ma dacchè egli ha reso di pubblica ragione il suo libro , ei s'è sottoposto al tribunale dell’opinione; e noi abbiamo l'orgoglio di credere, che il pubblico’ non con- dannerà quella chè è stata da noi manifestata . E con ciò sia chè viene così richiamata l’attenzione dei nostri lettori sopra la Sviz- zera, noi pensiamo che non riuscirà loro disaggradevole la noti- zia, che per uno dei prossimi numeri dell’ Antologia andiamo preparando un ragguaglio d’ un opera pubblicata di recente , la quale somministra una lettura molto piacevole ed istruttiva , e ci sembra seritta nel tempo stesso con imparzialità e cognizione di causa. 135 insensibilità , che devono comparire straordinarie a tutti coloro che hanno percorso quel paese. Ma lasciando ad altri la cura di trattare dei vantaggi, fisici e morali della Svizzera, basti a noi di rilevare quelle asserzioni che nel viaggio d’ un anno offendono l’ onore di questo paese. Jl nostro viaggiatore arrivato a Berna vi si ammalò; il lungo soggiorno che mio malgrado fui costretto a fa- re in cotesta città, egli dice, mi pose in caso di osserva- re il carattere dei suoi abitatori, che presso , poco è quello di tutti gli Svizzeri. Sono ben dolente di non potere fare eco alla vantaggiosa opinione di essi gene- ralmente concetta, ma la verità mi obbliga a delineare él quadro preciso dello stato morale di quella nazione . Poffare! signore , che vista aquilina! Ghe penetrazione ! Che sagacia! poche settimane di soggiorno in una città (e ‘forse quasi sempre rinchiuso nella vostra camera) vi ba- starono per giudicare tre nazioni diverse, che parlano tre ‘lingue differenti francese, tedesca e italiana, distribuite in ventidue cantoni distinti, riunite da un solo vincolo fede- ‘derativo egli è vero, ma diverse però tanto nel morale ‘quanto nel fisico a segno , che il sig. Ebel dopo molte edi- ‘zioni consecutive aumentate e corrette del suo fimoso ‘itinerario della Svizzera, non ha creduto di avere esaurito quest’argomento !!! odio essa da ogni studio, continua l’autore, ‘dalla cultura delle belle arti, insensibile a qualunque nobile passione, priva dei piaceri e dei comodi della vi- ta e della società, rassembra nella sua apatia alle gelate ‘cime dei monti che la circondano . Quegli animi di ghiaccio si aprono soltanto al vile sentimento dell’ inte- ‘resse; questo è il solo nume a cui porgono incenso ; e se viaggiasi con sicurezza per le strade di quel paese, ‘ciò si deve alla repartizione delle fortune ed -all’ eini- grazione dei sIsognosI all’ estero: niuno peraltro può mettersi al coperto della espoliazione domestica, esi- 136 gendo essi così negli alberghi come nelle caseparticolari con villane maniere prezzi raddoppiati ed eccessivi di ogni oggetto , quand’ anche sia questo a vil mercato venduto; onde può bene asserirsi che non vi è paese al mondo , ove lo star male si compri a così caro prezzo , Se l’ autore conoscesse solamente i primi rudimenti del- la storia della Svizzera ; se avesse visitato i campi di battaglia di Morat e di Sempach; se sì fosse imbarcato sul lago dei quattro cantoni, d’onde il più semplice barcaiolo gli avrebbe con giusto sentimento di orgoglio fatto saluta- re lo scoglio e la cappella di Guglielmo Tcl; se avesse ve- duto le ruine ancora fumanti dei villaggi dei piceoli can- toni ch’ egli sdegnò di visitare, ei di cui abitanti uomini, donne e fanciulli si fecero massacrare per rispingere l’in- giusta aggressione dei francesi; e se passando dai fatti sto- rici alle circostanze attuali della Svizzera fosse disceso ai particolari dell’ amministrazione delle città e delle cam- pagne, ed avesse osservato quanti stabilimenti filantropici e di pubblica istruzione vi esistono, e quanti lo spi- rito di associazione ve ne prepara per l’ avvenire ; se egli avesse potuto o saputo conoscere l’ oggetto nobile ed utile dei lavorì della società elvetica di scienze naturali; e se un titolo qualunque siasi, facendolo penetrare in una delle solite annuali adunanze a quel corpo letterario, lo a- vesse messo in istato di giudicare quanto è grande il nume- ro degli svizzeri che hanno meritato tale onore , egli non avrebbe certamente tenuto il linguaggio, che l’ urbanità e la decenza non permettono di Hielificnie i Sarebbe per noi cosa facile il presentare un quadro assài curioso dei passatempi degli Svizzeri, della loro so- ciabilità, e dello spirito di compagnia che in mille forme diverse mostrasi in quel. paese: Ma non volendo dipar- tirci dal nostro proposito, osserveremo soltanto. che da Svizzera, componendosi di: piccole città , non può pre- sentare ai forestieri che vi si fermano i molti mezzi ‘137 di divertimento. che offrono le grandi capitali come teatri, balli; eorse, brillanti conversazioni, e tutti quei piaceri che tanto seducono la vanità e la dissipazione, e sono tanto comodi per l'ignoranza; ma mella Svizzera trovasi per tutto più o meno e genio per la società, e riu- mioni talor numerose che hanno per base e per principale ornamento l’istruzione solida, la franca e cordiale amici- zia, la perfetta armonia ; e singolarmente la più rispetta- bile unione di famiglia. Certamente la grande varietà di costumi e d’abitudini in un paese che offre nei suoi di- versi cantoni ora uno stato tutto agricola, ora tutto com- merciale ec., deve presentare una diversità notabilissima nei differenti quadri della società, e l'estrema semplicità che regna in alcune di esse, può muovere a riso la vanità di un viaggiatore presuntuoso. Ma se tal viaggiatore si fosse degnato di trattenersi maggiormente nelle principali città di quel paese ch'egli ora maltratta, e se si fosse premuni- to di buone commendatizie, avrebbe trovato anche in alcune conversazioni della Svizzera il raffinamento della civiltà; ed il gusto, le grazie e quella urbanità, di cui è affatto priva la relazione del suo viaggio. Passando a quel che riguarda la carezza del vivere e ch'eglisi compiace appellare espoliazione domestica; con- viene far qui alcune riflessioni. In Svizzera, come in o- gni paese del mondo, i locandieri fanno spesse volte pagare un poco più caro del solito quando hanno molti concorren- ti; e siccome vanno cento volte più viaggiatori in Svizzera che in qualunque altro luogo, e si scrive e si parla dieci volte più della Svizzera che di ogni altro paese, un locan- diere che ti scortica a Berna oa Zurigo, acquista una ce- lebrità mille volte maggiore che ua locandiere d’un altra mazione, ancorchè questo ti prenda per la gola come uno svizzero 0 più: ed. ecco spiegata la fama della carezza dei prezzi nella Svizzera , carezza che è però ampiamente ri- compensata,, checchè. ne dica, l’autore , ( le. eccezioni 138 non formando mai una regola generale in nessun luogo ) ‘ dalle cure, dalle attenzioni e dalla buona tavola .. (© Egli ci narra alla pag. 134 il fatto seguente: Za strada che si percorre fino a Vevai , piccola ma ri- dente città sul lago di Ginevra è assai piacevole y e più ne avrei goduto, se un accidente che trovo qui in accon- cio di raccontare onde porre maggiormente in chiaro il carattere di quella nazione, non mi avesse alquanto tur- bato. A Mouton ( egli ha voluto dire Moudon ) grosso villaggio non lontano da Kevai, il vetturino che'ci ac- compagnava mi obbligò per alcune mancanze a far ri- corso al giudice di pace ; era già sera, nè fu possibile rinvenirlo, onde convenne presentarsò al di lui sostituto;, questi si mostrò così parziale per il vetturino e si mala- mente mi accolse, che soscrissi all’ ingiusto accordo da lui proposto ; la mattina seguente portai lagnanza al giudice di pace contro l'operato del sostituto , cd egli convenendo meco dell’ ingiustizia, disse che era un cat- tivo soggetto, e che riuniva a molti altri difetti uso poco decente di passare le intiere serate alle taverne ‘in compagnia deì vetturini, e gente di simil fatta; ma che era inutile ogni rappresentanza al governo perchè a- veva necessità di tali persone, nè mai V avrebbe rimosso. Ciò basterebbe per giudicare gli Svizzerici loro sistemi. Ma in coscienza s'ha da eredere che l’ autore parli qui sul serio? Prescindiamo dal basare ch'egli fa le sue con- clusioni generali sopra un fatto wrico; supponghiamolo vero, e vediamo, prendendo a rigor di lettera questo fatto, a cosa mai sì riduce. Il governo del canton di Vaud, ‘e non quello della Svizzera in generale , ha bisogno d’un uomo vile e forse di più d’uno, e non vorrebbe o non po- trebbe disfarsene; (perocchè la frase può ammettere que- sti due sensi, peraltro differentissimi ). E che perciò ? Ogni governo che avrà una polizia e delle spie dovrà dunque per questo solo veder processata l’intera nazione 139 ch’ ei regge? Come starebbero tutte le nazioni d’ Europa se l’autore volesse applicare ad esse le regole della sua logica ? Da questo solo esempio sì scorge abbastanza con che sorta di ragionatore l’abbiamo da fare. Eccoci finalmente ad un passo, il quale ancorchè meriti una giusta critica, mostra almeno un tal quale sentimento generoso. L' autore , seguitando il citato bel ragionamento a proposito del vetturino, esclama: ma che più! non. vendono essi la propria libertà ed il sangue a chiunque voglia comprarlo, siccome le masnade del me- dio evo, le quali si offrivano in prezzo a chi più le pa- gava;, combattendo egualmente amici ed inimici? Indiffe- renti ad ogni altra veduta fuorchè a quella dell’ihteres- se; asi per la inaggior parte protestanti, servono în qualità di soldati il capo della chiesa cattolica; altrove salariate milizie del potere assoluto, benche si vantino libere; in America coloni sotto qualunque legge e gover- no, ovunque dell’ interesse solo idolatri, non degradano essi il carattere nazionale agli occhi di tutto il mondo? Non v'è alcuno che più di noi deplori i funesti prin- cipf i quali fanno che così spesso ì diritti della guerra sonò violatori del diritto delle genti, e compianga le sciagure che derivano dalle istituzioni militari dei popoli che si vantano d’ essere i più colti. Dio volesse che gli uomini non armas- sero mai ib loro braccio che per difesa della patria, e mai non fossero obbligati o spinti a. versare il proprio sangue per cause estranee al loro sacri doveri! e certo ogni svizze- ro deve sentire la gravità dell’ accusa e )’ acerbità dei rimproveri che per un lato sì fanno alle istituzioni milita- ri della sua patria. Ma ciò nonostante bisogna ragionare sul fatto, e parlarne con cognizione di causa. Nell’epoca in cui le milizie svizzere vendettero odiosamente i loro ser- Vigi ora ai francesi ora agl’imperiali, l’ Italia ed altri pae- sì d’ Europa ancora , erano desolati da guerre civili ben più odiose, e da bande ben più scandalosamente venali 1/40 ed era questo uno dei tristi effetti del feudalismo; ma non di meno in mezzo a sì dolorose vicende gli Svizzeri acquistarono una costante riputazione di bravura; e quan- do poi i costumi europei generalmente s’ ingentilirono , ottennero dal pubblico.consentimento il vanto di fedel- tà, che tuttora conservano. E in vero non è piccola lode quella che resulta dalla premura con cui ricercansi i loro servigi in tutta l’ Europa; talmentechè non solo per il mi- litare, ma benanche per altre correlazioni sociali, il titolo di svizzero è una raccomandazione all’estero per tutti quei Bisocnosi, all'emigrazione de’ quali dal suolo elvetico il .no- stro censore pretende che si debba la sicurezza delle pubbli- che strade in quelle contrade(2).Ma chiedendo d’essere escu- sati per questa disgressione, e proseguendo il nostro ragiona» mento, diremo che noi, come deputati francesi, olandesi, o spagnuoli, saremmo i primi a protestare, che non ci abbi- (2) Questi disognosi che emigrano dalla Svizzera sono i mi- litari, de’ quali abbiamo parlato , i negozianti, gl institutori, i coltivatori, e i servitori. Nulla abbiamo da aggiungere su i mi. litari; i negozianti svizzeri sono generalmente stimati per capa- cità e per lealtà , e contano fra loro molte delle più cospicue case di commercio in Europa. La Russia, la Germania, 1° Olan- da e l’ Inghilterra cercano in Svizzera giornalmente institutori ed institutrici per l’ educazione dei loro figli d’ambo i sessi; e que- sta premura degli esteri è appoggiata sull’abilità e sulla moralità, che formano il distintivo degli institutori svizzeri. Quanto ai ser- wvitori ed ai coltivatori, non può rivocarsi in dubbio che la loro fedeltà e il loro amore per la fatica non siano i motivi che fan- no dar ad essi la preferenza, ‘e che la qualità di svezzeri. non serva loro in tutte le parti del globo di commendatizia per trovare da impiegarsi ; e siccome gli individui dell’ ultima classe, cioè i coltivatori, sono quelli che più generalmente si imbarcano per le colonie , la loro buona condotta gli fa prosperare in quei luoghi medesimi ov’ altri trovarono la miseria e la morte. Ecco le per- sone che emigrano dai cantoni elvetici, e che secondo il viaggio d’un anno dovrebbero esser considerate come ladri o come assassini, perocchè egli ci assicura, che senza tale emigrazione, non vi sa- ebbe sicurezza nelle strade della Svizzera. ifi sognano questi estranei; nè potremmo tampoco come sviz- zeri dolerci del loro commiato; ma nè il francese , nè l’ olandese o lo spagnuolo più geloso del proprio onore‘, e più disdegnoso di queste soldatesche estere e mercenarie , non potrà mai negare di render giustizia al loro valore e alla loro fedeltà. E chi potrebbe contrastare in fatti una corona di gloria a quei magnanimi che tutti sì fecero mas- sacrare per difendere lo sventurato Luigi XVI! (3) Del rimanente i governi dei cantoni della Svizzera, in virtù di trattati regolari, autorizzano altri governi ad ave- re degli Svizzeri al loro soldo; ma sempre con la clausola espressa, che queste truppe non saranno mai chiamate a combattere contro altre truppe dell’istessa patria; lo che senza renderle passivamente vendute alla nazione che le assolda, accomunale soltanto alle truppe di quella contro il nemico. In ciò non vi è nulla perchè la morale abbia mo- tivo di risentirsi; e finchè la guerra non verrà considerata (3) Il dì ro d’agosto non è la sola epoca recente in cui giasi distinta la fedeltà degli Svizzeri. Lasciando da parte il pas- saggio della Beresina in cui col maggior sangue freddo e con un coraggio imperturbabile soffersero tutti i mali che oppressero l’esercito francese, vediamo come essi si diportarono nel 1815 in Francia, allorchè quasi circondati dalla guardia imperiale di Napo- leone negarono di prestar giuramento , per non violar quello che già prestato avevano al re: condotta tanto più onorevole , quanto più quei reggimenti erano affezionati a Napoleone ed all’armata francese , con la quale erano stati in comunione di pericoli e di gloria. Essi seppero resistere ad ogni allettamento. e a qualunque esibizione, nè temettero di esporsi all’ effervescenza che produsse ne’ soldati di Bonaparte il loro magnanimo rifiuto; così che ih mezzo ad una armata piena d’entusiasmo pel ritorno del suo capitano, dichiararono di non poter più servire, e se ne tornarono alla lor patria. Ed avrebbero fatto l’ istesso nel 1814 in favore di Napo- leone, se egli abdicando all’ impero non gli avesse sciolti «dal loro giuramento . La patria riconoscente, per avér essi ben meritato dell’ onore elvetico , distribuì loro una medaglia in, memoria d’ un’ azione così generosa . 142 come un delitto (e ciò sventuratamente non accaderà forse mai), saranno degni di scusa coloro che la fanno sotto cer- te insegne, come altri la farebbero sotto insegne diverse . Non è dunque vero che gli Svizzeri combattano indistin- tamente amici e nemici; perchè anzi i medesimi non combattono mai che i nemici dei loro amici . | Questo nostro viaggiatore dovrebbe inoltre sapere, che i soli Svizzeri cattolici sono ammessi al servizio di Roma e. della Spagua. Ora quand’anche ciò non fosse, considerando la cosa militarmente, non vi sarebbe da farne le maraviglie,. nè sarebbe questo il primo esempio di soldati protestanti che militarono in favore dei cattolici. Egli aggiunge, altro- ve salariate milizie del potere assoluto benchè si vanti- no libere. Un governo è egli di sua natura assoluto per. essere servito dagli Svizzeri? e perchè questi non potreb- bero servire un governo che era già servito dai propri; sudditi? In fine egli rimprovera ancora agli Svizzeri: d’ essere in America coloni sotto qualunque legge e go- verno. Ciò è veramente degno di riso. Come! voi diga te coloni in un altro paese! cioè voi avete rinunziato alla . vostra patria, e voi siete tanto vile da adottare le leggi della nuova? Ecco il ragionamento dell’ autore. Se egli trova un rimprovero da fare a quegli che diventando co- loni piegano alla necessità di espatriare, perchè non lo fa egli ai coloni di tutte le nazioni del mondo che in simil caso subiscono l’ istessa necessità ? Altre riflessioni potrebbero aggiungersi a ribattere proposizioni tanto oltraggiose; ma crediamo che le pre- cedenti siano anche di soverchio , e dobbiamo rispettare i nostri lettori per non tediarli, saga a confutare altre inezie. 143 Hombre monstruoso de Macao ete. ossia Uomo mostruoso di Ma- cao. Notizia pubblicata con una figura in rame; Madrid 1822. presso D. Luis Munoz y Vilches. ( Comunicatoci dal Sig. Prof. Gallizioli ) Si annunzia in questa notizia , e si rappresenta poi nell’an- nesso rame la figura di un chinese di Macao, di circa 23 anni di età, bon conformato in tutte le sue parti , e che si guadagna la sussistenza col far mostra di un fenomeno non comune che porta sul proprio corpo. Consiste questo nell’ avere pendulo alla parte inferiore del petto, e superiore dell’ Addome un altro individuo che presenta la figura e le dimensioni di un feto ace- falo, e che è adeso all’ individuo ben conformato per la parte posteriore del tronco . Questo acefalo manca di ano , e non ha perciò veruna escrezione di materia intestinale ; ma si osserva bensì che allorquando l’ adulto orina, orina pure l’acefalo pel piccol balano che si osserva al suo luogo naturale ,/e nella sua situazione ordinaria. La sensibilità esteriore è comune tanto all’a- dulto, che all’ acefalo ; colla singolarità però che qualunque contatto di questo ultimo è meno sensibile rispetto all’ adulto ; nel mentre che il feto sembra privo di qualunque siasi movi- mento volontario, quantunque i suoi membri godano della mag- gior flessibilità , e che il calore sia uguale in ambedue questi individui . % I filosofi de’ tempi andati studiando il mirabile magistero della riproduzione degli animali piuttosto nei fervidi concetti della lor mente , che nella. natura medesima , assegnarono per causa delle mostruosità che tratto tratto incontravano nella ri- produzione della specie umana, o il concorso fortuito degli atomi , 0 l'unione criminosa dell’ uomo coi bruti, o l’opera e la mediazione del diavolo , o il contrario influsso degli astri, o | finalmente l’ impero della immaginazione della pregnante sul feto rinchiuso nell’ utero . Dappoichè per altro i più recenti scrittori della natura, poste da parte le ipotesi, si volsero con miglior senno ad indagare la vera causa della mostruosità degli animali nella loro fisica or- ganizzazione, ebbero bando dalla medica filosofia le idee bizzarre degli antichi, e mercè un prezioso tesoro di osservazioni cumu- late da uomini indefessi, sì giunse a ritrovare la ragione fisica di' qualunque siasi mostruosità ‘o nel difetto, o nell’eccesso di nu- trizione delle parti primordiali dell’ embrione . Quindi si fu condotti a stabilire , come assioma, che ogni te] mostruosità consisteva , o nel difetto , o nell’ eccesso di alcune \ 144 parti, e nella varia toro situazione , diversa da quella che loro assegnò la natura nel prototipo della specie . Al primo e più numeroso ordine di quella classe. de’ mostri costituiti da eccesso di parti si referì appunto la riunione di più feti che or si fece pel semplice mezzo della pelle ; e quindi poterono i due individui goder la vita anco per parecchi annì dopo la nascita , come accadde alle due gemelle di Ungheria Elena e Giuditta adese fra loro per le reni e vissute -per:22: anni ; non che alle due sorelle di Verdun unite pure per le re- ni e vissute sette anni; oppure ebbe luogo per la suzione e per la immedisimazione di due individui in uno sole’, cosicchè l’ in-. dividuo superstite ebbe in retaggio un numero di membra mag- giore di quello che competa ad un solo uomo ; o fu infine co-- stituita dall’essere un individuo rinchiuso totalmente , o in parte in un altro , o dall’avere seco lui una comunicazione tale, per la quale avvenisse, che sebbene l’ individuo imperfetto non ‘go- desse dei moti volontarii , pure poteva conservare tuttora un. certo grado di sensibilità; e sembrava eseguire ‘certe funzioni organiche , le quali per altro, a più propriamente parlare, do- vevano unicamente referirsi alla vita dell’ individuo perfetto. | Non parleremo in questo luogo del giovine Bissieu di Ver- meuil,, nel di cui addome furono troyate molte parti e molti organi di un feto ; nè della bambina di Danimarca estratta dall’ utero di sua madre e contenente nel suo interno un altro feto ; nè di Joha Har morto all’età di 18 mesi e portante nel cavo del ventre un altro. feto ; nè di una’ simile osservazione fatta recentemente dal P. Fattori di Modena . Rammentere mo” piuttosto ,, come molto analogo al. caso no- stro , quell’ individuo delineato e descritto da Parco , e dalla di cui parte anterior dell’ Addome pendeva un feto , che sembrava nascondervisi col capo; la giovane descritta da Wihclore dell’età di 12 anni cui pendeva al fianco sinistro la metà inferiore del corpo di un’ altra femmina , che di tanto in tanto rendeva delle feccie dall’ano, e che aveva la sensibilità a comune coll’ individuo perfetto ; ed altri fatti simili che si trovano in Moreau de la Sarthe , in Haller, in Mekel, in Schenkio, in’ Bencirenio, in Bartolino , in Colombo , in Langio, e nel Montano , il quale fra le altre riferisce l’ istoria d’un individuo che portava adeso un altro piccol corpo , che eseguiva 1’ escrezione dell’ orina . Non dissimile appunto da questo ci sembra potere essere l’uomo mostruoso di Macao, nel quale probabilmente evvi co- municazione dell’ apparecchio orinario fra l’ individuo perfetto e } 145 i acefalo ; comunicazione la quale, rigualmente che quella de- gli intestini, si suole spesso osservare giusta. ciò che scrive il Prot. Mekel , in quei casi ove avvi SUO di due, uno de co sia rimasto imperfetto h Aspettiamo con impazienza le verificazioni, che la società medica di Cadice ( cui si deve la pubblicazione di questo fatto importante . ) ha richieste ai suoi corrispondenti all’ Isole Filip- pine ; come quelle le quali. vanto divenire molto efficaci per î progressi della fisiologia . alt” ‘ D. P. B. è e x f O "I: i IM. Tuxru Ciceronis ide re publica, quae supersunt , ponte: ‘ANGELO Maro. Romae 1322. iu; i i À - Quell opera, che Cicerone dettò con sommo studio e intenso ardore a fine di ritrarre le cose pubbliche de’ romani, che in quel tempo declinavano , alle prime e prospere istituzioni, da lui opportunamente dichiarate : quell’opera, che provenendo da famoso autore con utile | argomento e!splendida locuzione ebbe subito applauso e progredì laudata nel Lazio, difesa pur da Svetonio contro | Didimo Galcentero che l’ aveva oppugnata,: detta .opera, celebre eziandio ne’ susseguenti secoli, addotia per esena- pio da molti scrittori, dipoi smarrita e cercata invano. per amolti luoghi e,tempi, sicchè il Petrarca stesso, nè Poggio Bracciolini, nè altri solleciti.inves tigatori delle cose an- tiche non poterono soddisfare, al Pisidia di leggerla, è stata alfiné scoperta, interpetrata ed esposta con laboriose «ave, è magistrale dottrina, da, Angelo Mai. Ed oh! gli avesse; la fortuna conceduto, che tutti intieri ei ritroyasse @discorsi.di Tullio intorno alla. repubblica! Imperocchè ii nostri! voti sarebbero stati allora compiuti , ricevendo iquesio presente da uomo siflatto, che può garantire per- ifetto, il domo colla scenza e Lib: indole sua . Il Mai, già «benemerito per. altre indusiri fatiche; non ha poiuto her | (SO riacquistarci se mon una quarta parte de’ libri tulliani, re I. IX Gennaio 10 146 la quale ha rinvenuto. in un codice palimsesto, N.° 5757, che dapprima apparteneva al monastero di S. Colombano di Bobbio nella Liguria, e che fu poi trasferito e colloca- to, siccome otgfita nel secolo XVII, nella libreria del Vaticano in Roma. La superiore scrittura del palimsesto è giudicata anteriore al secolo decimo, e dinota il com- mento di Agostino sopra i salmi. La scrittura inferiore , grandissima e quasi quadrata, apparisce più antica della dissoluzione del romano impero. Di tutte queste cose, della paleografia del codice, e del modo di leggere e oblio i palimsesti, ha il Mai esplicitamente parlato nella ‘sua prefazione: con idoneo consiglio. Talchè i lettori dovranno meditare ne’ di lui precetti: e trarranno giovamento altresì dalle cospicue note, che egli ha aggiunte al testo, per ‘esaminare 1’ ortografia del manoscritto , per render più chiaro il senso degli spar- titi discorsi, e per facilitare l’intelligenza di tutta l’opera con istoriche o comparative considerazioni. Ognuno , che ami e intenda l’ idioma latino , debbe invogliarsi a legge- re il libro pubblicato dal Mai. E poichè non solo inutile, ma pur arrogante sarebbe il mio subietto, se presumessi a lettori tanto valenti additare ciò che Tullio e il Mai di- scorrono: così mi astengo qui da’ particolari ragionamenti, i quali ora non satellite utili nemmeno a chi del tutto ignora la lingua del Lazio, stantechè il trattato della re- pubblica non è ancora volgarizzato. La mancanza di questa traduzione ha indotto molti a desiderarla: e confortando essi me acciocchè la facessi, vi ho disposto l’ animo, non senza timore di mal rispon- dere alle altrui speranze. Di mano in mano, che sarà tra- dotto il libro di Cicerone, comparirà nell’ Antologia : e comunque riesca il mio lavoro, sempre i lettori di questo, giornale mi dovranno ringraziare, perchè darò loro un discorso di Tullio in iscambio di quelle mie dicerie poco pregevoli, che soleva ad essi offerive. Quindi nell’ impreso i 147 volgarizzamento farò diligenza, notando ciò che mi occ ra alla proposta materia. Il che spero uon sia dispiacer al gentilissimo Angelo Mai, perchè senza dubbio ridon.. rà in suo'bnore l’ esame de’ suoi avvertimenti. | ‘Tullio, siccome fece Polibio nel compilare la storì: volle mostrare con quali ordini; con quali forze e cur, quali costumi’ il popolo romano avesse acquistato l’impe, del mondo. E perciò stando egli nell’ amena sua villa c, Cuma per riposarsi alquanto dall’ ufficio d’ oratore e di. pubbliche.a lui comuni sollecitudini: attempato di 2» cinquantaquattro, e settecento anni dopo la fondazione .. Roma, essendo consoli Domizio Enobarbo je Claudio Vul ero: meditò e cominciò. il suo trattato della repubbl.c. deliberando di; seriverlo a guisa d’an dialogo. Nè a im filosofo era ignoto ; quanto incresca a’ presenti udire b.., simo della loro condotta: essere, più efficace e prudenti: ammonizione il ricordare Ja bontà degli avi: massime è, un popolo che aveva edificato il tempio dell’ onore ni vestibulo del tempio della virtù e della gloria. Sicchè mon dare offesa a’ contemporanei, elesse a’ dialoghì . quel tempo, in cui era stata la città più florida: tera; e, a’ giorni suoi già passato, ma non sì lontano che £vs.c viventi fuori d’ ogni memoria. Cicerone dice nelle iu. lane : essere state buone le istituzioni di Roma fin du! principio ,.ed aver poi esse fatto mirabile progres: corso incredibile verso ogni eccellenza , dappoichè 1. pubblica fu liberata dal dominio de’ re. Onde con « savio discernimento egli fermò i suoi pensieri nell’ c. Scipione Emiliano, scegliendo pur lui a primo inte «tore ne’ dialeghi della repubblica. In quell'età i ; tornavano trionfanti al Campidoglio dall’ Illivia, Macedonia , dall’ Acaia e dall’ Affrica: ilmome lat. titolo d’ impero in gran parte della terra: veniva: mai dotti della Grecia: ed i costumi non erano « ancora corrotti. Talchè Scipione, fatto censore; cu: 148 i cittadini a non pregare come solevano gli dei, perchè accrescessero, ma bensì conservassero le cose romane. Il tempo preciso del dialogo è l’anno 625 di Roma, durante le ferie latine , negli orti dî Scipione. Il disegno dell’ opera fu spesso mutato , ed alfine così disposto, che ripartito il dialogo in sei te , potesse in tre giorni essere compiuto. Di questi sei libri bia ritrovato il Mai gran parte del primo, assai più gran parte del secondo, poca del terzo, pochissima del quarto e del quinto, niuna del sesto. Ma avendovi esso congiunti con buona lezione i fram- menti ritrovati dagli altri, abbiamo ora almeno la terza parte di tutta l’opera. Gr interlocutori sono Scipione, Lelio , Filo, Manilio, Mummio , uomini provetti, e Tuberone, Rutilio, Scevola, e Fannio, d’età giovanile: intorno a' quali giova qui ri- petere alcune di quelle notizie che il Mai ha saviamente epilogate nel proemio , per dare a conoscer quelli che poi udiremo parlare. Scipione, figlio secondogenito di Lucio Paolo Emilio che aveva trionfato di Perseo, e nipote adottivo di Publio Cornelio Scipione che aveva vinto Annibale in Zama e conseguito perciò il soprannome d° Affricano , ebbe a maestri Polibio, Panezio e Metrodoro! Sicchè fu moltissi mo erudito ‘delle’ lettere greche ; conte delle ‘latine! ‘Ed esperto altresì nell'esercizio dell’ armi, con. prudente consiglio in guerra , distrusse Cartagine e' Numanzia! Da» onde ebbe i nomi e i titoli di Pilblio Cornelio Scipione Emiliano ,: Affricano minore; e Numantino. Fu due volte console: fa censore: fu atisure. E morendo»di'anni cinquantasei, pochi' giorni dopo il‘ tempo che Cicerone prefisse al suo dialogo; non dubitò Lelio di dire nell’elo- gio funebre ‘di lui : doversi ringraziare ‘gli dei ‘che’ aves- sero fatto nascere! Scipione “in Roma , imperocchè vdove fosse un uomo sì grande, ivi pur doveva essere l'impero del mondo. Lifivo | | 149 Caio Lelio fa console, augure, ed oratore illustre , cognominato da’ romani sapiente. E con queste virtù con- giunse animo sì retto e fermo, che Scipione operò sem- pre co’ di lui consigli, e Tullio lo elesse a primo interlo- cutore nel dialogo dell’ amicizia. Lucio Furio Filo fu anch’ esso console, oratore elo- quente , e studioso pure dell’ astronomia. Trattò le cose di Roma in Spagna. .... Manilio, console, sembra a molti essere quello stesso Marco Manilio, che aveva gran nome nella giurisprudenza. ... «Spurio Mummio, fratello di Lucio Mummio Acaieo, ‘professava la dottrina degli stoici, aveva mediocre elo- ‘quenza ma piacevoli costumi , ed era amico di Scipione , di Lelio , di Filo, e di Rutilio. Quinto Elio Tuberone , nipote di Paolo Emilio , fu amico di Lelio fin dall’ adolescenza : ruppe amicizia con Tiberio Gracco, allorchè questi travagliava fa repubblica: fu console, o almeno console surrogato: esperto nella dialettica e nella giurisprudenza : poco o nulla eloquente: e duro e | severo per disciplina stoica , da ostentare povera condizione ancor quando rendeva gli onori funebri all’ Africano suo 210; di che fu punito con esser degradato della pretura. Publio Rutilio Rufo , che dipoi fu celebre come o- ratore, come storico e come capitano , era cdi giovanissima età nel tempo del preseute dialogo . Quinto Muzio Scevola fa chiaro per giurisprudenza, ‘per forte memoria, e per somma destrezza ne’ giochi della palla e de’ dadi. Fu console nell’ anno di Roma 637: ed a lui, quando era augure, fu Cicerone condotto dal padre dopo aver presa la toga virile. Sua figlia si sposò con Lu- cio Grasso oratore, e desso è tra’ primi interlocutori ne' li- bri di Tullio intorno all’ oratore . «Caio Funnio era genero di Lelio, ma più aspro ne’ costumi e nel favellare . Costui e Scevola non interloqui- scono în que’ frammenti che il Mai ha pubblicati. 150 ; DELLA REPUBBLICA DIMARCO TULLIO CICERONE 3 è Leste LIBRO PRIMO I... Nè Marco Cammillo dal furor de’ galli; nè fanio Curio, Caio Fabricio .e Tiberio Coruncanio dal- impeto dî Pirro (1); nè Caio Duilio, ed Aulo Attilio; e sucio Metello dal terrore di Cartagine , non avrebbero li- verata Italia. Non i due Scipioni avrebbero spento col ingue loro il nascente incendio della seconda guerra pu- ‘nica: e questo poi suscitato con maggiori forze, non sareb- he stato disnervato da Quinto Massimo , nè compresso da Viarco Marcello , nè disvelto dalle porte di questa città e pinto entro le mura nemiche da Publio Affricano, A ‘arco Catone quindi, che tutti noi studiosi delle medesi- me cose trae com’ esempio a virtù e industria, essendo di stirpe ignota e nuova, era pur lecito goder dell’ozio in Tu- sculo vicino e salubre luogo: ma uomo stolto , come pen- (1) Il Mai conoscendo molte pagine mancare al }rimo libro s rimanere interrotto lo stesso senso del discorso, presuppone (ed a me sembra, ragionevolmente) che Tullio avesse qui connumera- to altri romani, benemeriti alla patria e famosi nelle precedenti ‘guerre : talchè le parole scritte in carattere corsivo potrebbero forse supplire ad una parte dell’ originale perduto , secondo lo stesso Mai. Quale poi fosse la cagione filosofica , premessa da Cicerone , e per cui tanti uomini a sì molti pericoli esponevansi, può esser dedotta per avventura dalla conclusione del medesimo paragrafo : cioè la necessità della virtù , e l’ amore a difendere ia comune salute. Nel primo libro delle Tusculane , paragrafo 37, così dice Tullio : quante volte , non solo i capitani nostri, ma gl’ intieri eserciti a non dubbia morte concorsero ? Che se colla temuta fosse, non sarebbe Lucio Bruto morto in battaglia per impedire il ritorno a quel tiranno che egli aveva scacciato: nè si sarebbero i Decii esposti a? dardi del nemico , pugnando l padre co’ latini , il figlio cogli etruschi , il nipote con, Pirro: è avrebbero visto cader per la patria in una sola guerra , la pagna gli Scipioni, Canne Paolo e ,Gemino, Venosa Marcello, latini Albino, cd î lucani Gracco . a51 sano costoro, poichè non era da niuna necessità costretto; volle essere in queste onde e tempeste agitato fino all’ e- strema vecchiezza , piuttostochè vivere in quell’ ozio e tranquillità giocondissimo . Io tralascio innumerabili uo- mini, ciascuno de’ quali arrecò salvezza a questa citt: e m’astengo da rammemorare quelli che non sono lungi della memoria all’età presente , affinchè niuno si lamenti esser egli o alcuno de’ suoi pretermesso. Questo solo diffinisco: aver natura dato all’ uman genere tanta necessità della virtù, e tanto amore a difender la comune salute, che tal forza vince ogni blandimento della voluttà e dell’ozio. JI. Però non basta aver virtù, quasi un’ arte, se non l’adoperi; poichè un'arte, quando non l’eserciti, può esser nondimeno ritenuta nella scenza: ma la virtù consiste tutta nell’ uso di sè medesima; e uso massimo di lei è governar la città , e compier di fatto , non col discorso, quelle cose stesse che negli angoli vociferan costoro. Im- perocchè non si dice da’ filosofi alcuna cosa , la quale pur si dica rettamente e onestamente , che non sia stata pro- dotta e raffermata da quelli che hanno alle città “compar- tito ed assegnato i dritti. Infatti , onde la pietà? O da chi la religione ? Onde l’ ius delle genti , o quello stesso che appelliamo ius'civile? Onde la giustizia , la fede, I’ e- quità? Onde il pudore, la continenza? Onde lo sfuggir la PAAPERGHIA, (€ appetir la lode e 1’ onesto? Onde la fari tezza ne’ travagli e ne "pericoli? Certamente da quei, che di tali cose iiifititatà da’ filosofi colle discipline , alcune raffer- ‘Îmarono col costume, altre stabilirono per legge. Anzi raccontano che Senocrzte , filosofo nobile tra’ primi , così , rispondesse a chi lo domandava di ciò che conseguissero i suoi discepoli: far loro spontaneamente quello , cui son dalle leggi costretti . Pertanto quel cittadino, il quale col- l’impero e col gastigo delle leggi obbliga tutti a fare ciò . che i discorsi de' filosofi possono a pena persuadere a pochi, @ a questi che disputano intorno a quelle cose, è agli stessi 152 dottori anteponibile . Imperocchè , quale orazione di co- storo tanto ésquisita, quale è è da anteporsi ad una città ben costituita per pubblico ius (1) e per costumi? Per certo; in quel modo ch’ io stimo le città grandi e imperiose, co- me le chiama Ennio, preferibili a' borghetti ed a’ castelli così quegli uomini che ad esse città presiedono coll’ auto- rità e consiglio, giudico doversi molto anteporre nella sa- pienza stessa , a quei che non partecipano in verun pub- blico affare. E poichè siamo fortemente tratti ad accre- scer la potenza del genere umano , e co’ nostri consigli e fatiche studiamo di Fantin la vita degli uomini più sicu- ra ed opulenta; alla quale voluttà siamo incitati dagli sti- moli della natura medesima: teniamo quel cammino ; in cui fur sempre gli ottimi, e non ascoltiamo gli strumenti ehe suonano a raccolta, per richiamare eziandio coloro che già erano avanti nel corso. III. A queste ragioni tanto certe e cospicue , quelli, che incontro disputano, oppongono dapprima le molestie che ha da sofferire chi difende la repubblica: lieve impe- dimento invero all’ uomo vigilante e industre; e da sprez- zarsi non solo in cose di tanta ‘importanza, ma altresì ne’ mediocri o studi, o uffici, o anche negozi. Quindi \ag- giungono i pericoli della vita : e turpe paura della morte adducono quegli uomini forti , i quali sogliono giudicare più misera condizione, esser consunti dalla natura e dalla vecchiezza , che non aver opportunità di dare principal- mente alla patria quella lor vita, che pur deggiono rendere alla natura. Credono poi copioso e persuasivo il loro di- (1) Nota il Mai che la prima lezione del palimsesto è iure, la qual parola è stata poi accomodata e scritta iuri . Talchè se- guendo questa lezione, da lui eletta , bisognerebbe tradurre ad una città ben costituita, al pubblico ius, ed a’ costumi. A me sembra più vera la prima lezione: e non credo esser sempre mi- gliori le correzioni fatte nel codice medesimo: poichè neppure il Ii non le seguita sempre . 153 scorso , quando enumerano le calamità degli uomini illu- stri e le ingiurie ad essi imposte da’ cittadini ingrati . Ci- tano perciò gli esempli famosi, e questi appresso i greci. Milziade vincitore e domator della Persia, non sanate an- cor le ferite che in chiara vittoria ebbe da fronte , dovè gettar la vita, restata illesa a’ dardi del nemico, nelle pri- gioni della sua città. E Temistocle bandito e fugato dalla patria ch'egli aveva liberata, non ne’ porti della Grecia salvi per opera sua, ma in seno a’barbari da lui afflitti, ‘ebbe rifugio. Nè della leggerezza degli aicniesi, e della loro crudeltà verso i cittadini grandissimi, non mancano al certo esempi: i quali natie frequentati appresso loro, di- ‘consi nella città nostra, sì d’assai più grave , eziandio ri- dondati. E rammentano l'esilio di Cammillo , o 1’ offesa fatta ad Ahala, o l’invidia verso Nasica , o l’espulsione di Lenate, o la condanna d’ Opimio, o la fuga di Metello , o l'acerbissima sciagura di Caio Mario , le stragi degli otti- mati, e le rovine di molti altri che poco dipoi occorsero. Nè sì astengono già dal nome mio .'E credo che sì lTa- mentino del mio infortunio con maggior forza e più amore, ‘perchè opinano sè conservati in quella vita e in quell’ozio dal mio consiglio e pericolo . Ma non petrei dir facilmente, perchè passando eglino il mare a fine di apprendere e VEdERS .....(1) IV... ch'io lasciando il consolato giurassi in pubblica concione, ripetendo il popolo romano questo medesimo giu- tamento: esser salva la repubblica per opera di me solo (2): % (1) Mancano due pagine nel palimsesto . (2) Queste parole in corsivo, tratte dall’orazione di Tullio in Pis. HI, trovansi nelle note del Mai per supplire in qual- che parte alla mancanza del testo. Cicerone lasciando il conso- to, non potè giustificare l’ opera sua innanzi al popolo; perchè gli fu-proibito, che parlasse, dal tribuno della plebe . Soltanto gli fa permesso .di giurare : ed ei fece allora il suddetto giura- mento , che tutto il popolo ripetè approvando . 154 facilmente compenserei (+) la cura e la molestia di tutte le ingiurie. Sebbene i casi nostri ebbero più onore che travaglio, e non tanto di molestia , quanto di gloria : traendo maggior letizia dal desiderio de’ buoni, che non dolore dalla letizia de’ malvagi. Ma se altrimenti , che ho detto, a me avveniva; in che modo querelarmi potrei ? non essendomi nulla improvviso, nè più grave che io aspettava , per tanti miei fatti accaduto. Imperoc- chè desso io fui, che potendo , o più d’ altrui prendere frutto dall’ ozio mediante la varia soavità degli studi , ne’ quali aveva fin dalla puerizia vivuto ; o se alcun’ av- versità sopraggiupgeva all’ universale , non rimanere a precipue condizioni della fortuna , ma pari con tutti gli altri, sottoposto; non dubitai di portarmi incontro: alle gravissime tempeste e quasi agli stessi torrenti per salva- re i cittadini, ed acquistare ozio comune agli altri con mio proprio pericolo. Stantechè Ja patria non ha generato o educato noi con questa legge: che quasi niun alimento aspettasse da noi, e solo a’ nostri comodi ella servendo , un sicuro asilo ed un luogo tranquillo per la quiete all’o- zio nostro porgesse: ma bensì, che impegnate fossero ad utile suo le più e le migliori parti dell’animo , dell’ inge- gno e del consiglio nostro ; tanto a noi rilasciando per | l’uso nostro privato , quanto a lei soprabbondare potesse. | V. Or quelle scuse, cui essi rifuggono affinchè più — facilmente godano di tutto l’ ozio , non sono per certo da | udirsi. Poichè dicono: concorrere agli uffici della repub- | blica uomini per lo più indegni d’ alcuna cosa buona, con cuì deturperebbe il venire a confronto, e co’quali poi l’aver || conflitto sarebbe cagione di miseria e di pericoli, massi- me quando la moltitudine è concitata. Onde non essere da uomo sapiente: il pigliar le redini, quando frenar non. (1) Forse dovrei tradurre compensai ovvero ho compensato: ma non conoscendo la prima parte del discorso, ho volgarizzato litteralmente la voce latina compensarem . REI 155 possa gl’ indomiti e insani impeti del volgo ; nè da uomo liberale, lottando con impuri e brutali avversarii, sottoporsi alle percosse delle contumelie , o aspettare ingiurie non comportabili al sapiente : quasichè i buoni e forti e dotati d’animo grande: abbiano altra cagione più giusta per in- gerirsi nella repubblica, che quella di non ubbidire a'mal- vagi, e non tollerar che sia la repubblica da essi lacerata; mon potendo più allora , ancorchè il bramino , dare a lei soccorso . VI. Quell’ eccezione poi, che essi fanno, da chi final- mente può essere approvata ? Imperocchè negano che il sapiente abbia da imprendere alcuna parte nella repub- blica, eccetto quella, cui non sia dal tempo e dalla neces- sità costretto . E potrebbe forse ad alcuno occorrere neces- sità maggiore di quella che a me intervenne ? Ed allora, che cosa avrei potuto adempire, se non fossi stato console? Ed in che modo esser console poteva , se non avessì pre- so fin dalla puerizia quel corso di vita, ond’ io , nato nel- l’ordine equestre , a quell’ amplissimo onore pervenissi ? Dunque non hai quando è tempo, o quando vuoi, la facol- tà di soccorrere alla repubblica, benchè ella sia in urgen- te pericolo , se già non sii tu in quel grado , per cui ciò far ti si conceda . Talchè ne’ discorsi degli uomini dotti questo in particolare suol darmi maraviglia: che coloro, ì quali negano di poter governare in mare tranquillo, per- . chè non hanno ciò imparato nè mai curarono di saperlo, proferiscano poi d’ assumere il governo negli alti é tem- | pestosi flutti . Essi infatti sogliono dir pubblicamente, ed anche molto gloriarsi, che nulla mai appresero nè inse- gnarono intorno al modo di costituire e conservare la re- pubblica ; e pensano che la scenza di tali cose debba concedersi, non agli uomini dotti e sapienti, ma a quelli che sono in tal genere esercitati. Quindi che convenienza è nel promettere l’opera sua alla repubblica allor final- mente se sieno da necessità costretti? quando non sappia- »56 no, il che è molto più facile, regger la repubblica senza ne- cessità urgenti. Certamente, ancorchè fosse vero che i sa- pienti non sogliano di lor volontà inchinarsi alle cure della città, e che infine poi non sieno per ricusare un tale ufficio allorquando vi fossero da’ tempi costretti: nondi- meno crederei , che non avessero da trascurare questa scenza delle cose civili, imperocchè dovrebbero appa- recchiare tutto ciò , di cui non sapessero se fosse alcuna volta mai necessario l’ uso . VII. Le cose precedenti sono state dette da me con moltissime parole a causa che in questi libri ho istituito e impreso a disputare della repubblica: la qual disputa perchè non fosse giudicata vana, ho dovuto prima toglier i dubbi intorno all’ingerirsi nella repubblica . E però se vi è qualcuno che si usi muovere all’ autorità de? filosofi, dia opera alquanto e ascolti quelli che hanno somma au- .torità e gloria appresso ogni uomo dottissimo ; i quali benchè non abbiano alcun di loro amministrata la repub- ‘blica, nondimeno poichè della repubblica indagarono e scrissero molte cose, io gli estimo come avessero esercitato qualche pubblico UBicio!. Que? sette poi, che i greci so- pranominarono sapienti, quasi tuiti gli vedo in mezzo la repubblica occupati . Poichè non.vi è cosa alcuna, per cuì tanto 8° approssimi la virtà degli uomini alla potenza divina , quanto il fondare nuove città , o le già fondate conservare . LE VII. Delle quali cose, poichè a noi è occorso di con- seguir noi medesimi e qualche fine degno di memoria nell’ amministrare la repubblica e una certa facoltà nel dichiarare le ragioni delle cose civili, non solo per uso ma anche per istudio d’ apprendere e d’ insegnare possiamo essere autori (1); mentre de’ precedenti , altri furono or- (1) Il Mai opina ‘essere in questo luogo qualche errore del copista : e presuppone , o che manchi alcun vocabolo o alcun membro al periodo ; o che debba omettersi la parola quoniam, € 157 natissimi nel disputare, de’quali però non troverebbesi al- cuna gesta; ed altri, lodevoli nelle opere, nel discorso imperi- ti. Nè però sarà da noi istituito un ragionamento nostro nuo - vo eda noi ritrovato: ma ridurremo a memoria una disputa fatta da uomini chiarissimi e sapientissimi della nostra eittà e d'un’età medesima; la quale fu esposta a me e a te, allor giovanetto (1 )» da Publio Rutilio Rufo in Smirne, quando fummo quivi per più giorni insieme; e nella qua- le giudico non essere stato quasi nulla omesso di quanto in somma alle ragioni di tutte le cose appartenga . far punto fermo innanzi a rec vero. Ma se io non m’inganno, il discorso è chiaro e compiuto senza bisogno d’ altri vocaboli . nè si potrebbe togliere la congiunzione guoniam. Bensi proporrei di cambiare la punteggiatura . Ecco. il testo pubblicato dal Mai. bere de rebus, quoniam nobis contigit, ut idem et in geren- a re publica aliquid essemus memoria dignum consecuti et ita explicandis rationibus rerum civilium quandam facultatem non modo usu sed ctiam studio discendi et docendi essemus auctores; cum superiores alii fuissent in disputationibus perpoliti, guorune res gestae nullae invenirentur ; aliî in gerendo probabiles , in | disserendo rudes: nec vero nostra quaedam est instituenda nova ‘et a nobis inventa ratio, sed unius actatis clarissimorum' ac sa- pientissimorum mostrae civitatis virorum disputatio repetenda memoria est ceto Or dunque stimerei che si dovesse toglier la virgola dopo congigit e metterla dopo facultatem , facendo, altresì punto. fermo ‘innanzi rec vero per maggior comodità non per necessità del periodo. In questo senso ho io fatta la traduzione; la quale sottopongo volentieri al giudizio del Mai , che io venero e rispetto . (1) Non è noto! chi» fosse questo giovanetto. ll Mai gel tra, Attico c' Quinto Cicerone : e noi, guardando alle ragioni da lui prodotte, incliniamo a credere che fosse Quinto , fratello et autore . » Antonio Benct. sl 158 1. e R. Accanemia pri Groneoriti. Adunanza solenne del dì 29 dicembre 1822. Il segretario degli atti prof. Gazzeri lesse un estratto ragionato (ved. pag. 53 del pres. vol.) di tutte le me- morie recitate avanti la società nel decorso anno. Il se- gretario delle corrispondenze sig. marchese Ridolfi espose in un diligente e ben tessuto rapporto tutto ciò che nello stesso periodo aveva prodotto la corrispondenza accade- mica. S' intese quindi la relazione dell’ esperienze ed 0s- servazioni fatte nell’ orto sperimentale dal direttore dì esso prof. Targioni Tozzetti. In seguito di che il segretario degli atti onorò in due brevi elogii la.memoria dei due . socii cav. Nobili e dott. Mannaioni mancati di vita prima che spirasse l’anno accademico, e ricordò con dolore la grave perdita che l'accademia aveva fatta posteriormen- ie nella persona dei cav. Giovanni Fabbroni. Dopo ciò il sig. avvocato Paolini membro e relatore della deputazio- ne lesse il giudizio di questa intorno alle memorie che avevano concorso ai premi accademici. S' intese per esso che delle due memorie pervenute all’ accademia relative al soggetto degl’ingrassi era stata giudicata degna del pre- mio di zecchini cinquanta quella che aveva la seguente epigrafe « Ex aliis alias reparat natura figuras » e meritevole che se ne facesse onorevol menzione, e che sì stampasse unitamente alla prima, l’ altra coll’ epigrafe « Graces è V heureux moyen ec. » Aperti i respettivi biglietti sigillati, dai quali le me- morie erano accompagnate, e su i quali era ripetuta l’ epi- grafe rispettiva , fu trovato appartenere la prima al sig. Giuseppe Lambruschini di S. Cerbone presso Figline , ed esser opera la seconda del sig. prof. Taddei. Una sola memoria era stata inviata al concorso per il premio di zecchini 20 offerto dal sig. marchese Gino È ”*. i Éeo | | | | | 159 Capponi al migliore scritto intorno alle rotazioni agrarie; ed a questa memoria, non per difetto di concorrenti, ma | perchè trovatane pre) era stato aggiudicato il detto premio. Apertosi il biglietto corrispondente , se ne conob- be autore il sig. Simone Mannozzi Torini di S. Giovanni in Valdarno di sopra . Finalmente il sig. dott. Tartini Salvatici espose come negli anni precedenti in un ragionato rapporto i più im- portanti fra i progressi che, nel decorso anno accade- mico, ha fatti l'industria toscana, specialmente nelle arti e manifatture ( ved. pag. 89. del pres. vol.). x TE sii È : PER TAO , Lettera del sig. M" “* collaboratore, al sig. Vigusseux direttore dell’ Antologia. Poichè il sig. Molini ha preso in così buona parte quella mia tenetia > intorno ad un luogo dell’ Ottavia d’ Alfieri (1), della sua edizionetta elegante ; mi persuado che non debba dispiacerli, ch’ io gliene additi un altro del Saul che anch’ esso indispensabilmente va cangiato. Che significano , di grazia , nella scena prima dell’ atto quinto, ove Davide parla a Micol dell’ infelice stato del re affin di ottenere che non lo abbandoni, quelle paro- le: « dolcezza alcuna pur gli fa d’ uopo al mesto antico»? Trovate nell’ edizione famosa del sig. Didot esse già trop- pe volte passarono in altre, mentre il ridurle a miglior lezione era sì facile. Ed io veramente non mi aspettava che ricomparirebbero col vecchio errore , che le rende inintelligibili, in una ristampa fatta, come sofia del Mo- lini, con si amorosa diligenza . Ma ho dovuto accorgermi come l'errore , anche più manifesto , divenga col tempo autorevole. Poichè avendo proposta a qualche letterato (1) Vedi Antologia vol. 8. pag. 335 e pag. 565 160 L unica lezione che mi par giusta , ed è anche, la più ov- via ; mi è toccato di sentir difendere quella che non ha ragionevole difesa. —Se non che i letterati , dirà taluno, son gente bizzarra : il pomifer (cito esempio ancor recen- te ) avrebbe fatto ad ogni fanciullo leggere autumnzs in alcune lettere mezzo cancellate di certo codice scoperto pochi anni addietro; e un uomo dottissimo si figura un avulnus , che nessuno sa indovinare cosa sia. — Ma se ho trovato Eiiradicinte chi sa troppo in mio confronto, per poter vedere le cose colla mia semplicità , ho trovata ar- rendevolissima. la società de’ classici italiani, la quale , malgrado la sua precedente edizione dell’Alfieri in ottavo, ha. posto.a..mia.istanza nella. sua piccioletta in sedice- simo, appena finita di pubblicarsi : « dolcezza alcuna pur gli fa d’uopo al mesto arimo » . La qual sostituzione, imaginabile da chicchessià, era già fatta; quando voglioso ur di vedere se a nessuno de’ tipografi o di quelli che talvolta gli assistono fosse venuta in pensiero prima che a me; trovai con piacere d’ essere stato i prevenuto dai SÌ | gnori, Del Majno di Piacenza e Vignozzi di Livorno , 7,9. da chi li consigliò. Che se mai ad essi va aggiunto qual ch' altro, il non saperlo mi scusi del non farlo ; come l’amore pel nostro gran tragico mi sia ( prego ) di scusa dell’ essere entrato in minutezze che aborro. c.... Ho piacere. come dite che si traduce la Repubblica di _ Cicerone? Ma, con questa versiohe (dopo che avrà arricchito là vostra Autologia) qua into. ci sarebbe caro d’avere anche il testo in un. comodo formato di;poca spesa € di cer ta eleganza; due cose che i soli PRMPRIOA, toscani sanno. u- nir così bene, ed alle « ir ove aggiungano (generalmen- ie parlando ) maggior correzione, non sara in Italia chi possa paregg iarli ! Con tanto gus sto di caratteri ‘e di composizione , con tanta bellezza di carte ed altre oppor tunità, è veramente peccato che nella terra dei Giunti e de’ Torrentini non si 161 pubblichino tutti i buoni libri possibili, massime di scrit- tori toscani. D’ alcuni di essi veramente sì sono fatte edi- zioni al di là, forse, della probabilità dello smercio; d'al- tri parmi che nessuno curi, con molta ingiustizia e molto detrimento delle lettere . ... Non voglio; per ora, nominarvene se non uno; ed è Gio. Batista Doni. Com’ egli quasi in ogni genere di stu- di fosse dottissimo, i dotti lo sanno; e mi persuado che dallé sue opere tutti qualche cosa abbiano da imparare. Quelle, che trattano di musica, riprodotte , non sarebbero inutili ai maestri per confermarli nel miglior gusto , e ai dilettanti per stabilire il loro giudizio in tanto ondeggia- mento d’ opinioni sull’arte di esprimere colle ritmiche melodie gli umani affetti; frase che il Doni avea presa da Aristotele , Ma il menò, che di questo ingegnosissimo fiorentino siasi veduto , è.ciò che abbiamo in istampa. «Molto e. più che molto (anche solo riportandoci a quanto ei ne dice allo Scioppio in un opuscoletto , che sta nel terzo volume delle cose musicali) debb’ esser rimasto ine- dito ; e cotesti signori eruditi ne hanno pur da sapere al- «cun che. In mezzo a tante cure e della Toscana e del- l’ Italia tutta , per compiere il nostro vocabolario , come non si cerca almeno di fare uscir fuori quel suo Onoma- stico il quale, fin da quando ei scriveva allo Scioppio medesimo , era in gran parte ridotto a termine per ciò che riguarda i vocaboli militari, economici, di agricoltura, e di cucina? Gran maestro doveva pur essere questo Doni della nostra lingua ; e tanto più grande , che sapeva di tant’ altre lingue, e di tante cose diverse. Oh di quali imbarazzi. ci leverebbero; parmi, le sue opere italiane raccolte insieme! E la loro purgatezza e gentilezza (a giu- dicarne da quelle che si conoscono) quanto gioverebbe a tutti gli studiosi di materie non vane, che sentono la ne- cessità di dar propria e pulita veste ai loro pensieri; e T. IX. Gennaio II 162 sì affliggono di non trovare generalmente ; a questo riguar: do che esempi di barbarie, ne’ libri a ‘cui sono costretti di aver ricorso per attingere la scienza! Mi piacerebbe che il nostro Benci , sì staz della purezza e del decoro delle letiere italiane, potesse darsi qualche pensiero ‘della collezione che propongo. £ mi sarebbe pur piaciuto grandissimamente che avesse potuto darselo con lui il povero Petrini (he mremosinor ! )che a più riguardi mi parea camminare sulle tracce del Doni, avanzandosi, come portava il secolo, più di lui negli studi fisici e matematici , se gli stava alquanto addietro in quelli d’ erudizione. Ma egli era ancora tanto fresco, e di tanta prontezza d’ingegno e costanza nélla fatica, da doversene aspettare ogni cosa . Ed io non cessava di additarlo a; tutti, come una delle preziosità ritrovate in Toscana . Ma mai non avrei pensato di dover così presto piangerlo ra- pito alle nostre speranze . Il caro Giordani, che mi scrive ‘di salutarvi, sì duole anch’ esso di tanta perdita . Anch'es- so loderà ( ne son'certo ) chiunque sì prenda cura d’una raccolta o scelta delle cose italiane del Doni, uno:degli serittori, ch'io gli ho sentito celebrare più di frequente. Se ‘potessi esser io costì, e farmene editore, vorrei; per sfogo del mio cordoglio , dedicarla: alla memoria. dell’ onorato Petrini. Amatenn e state sano . Milano 25. gennaio 1823. 163 Lettera al sig. Marchese Cesare Lucchesini. Firenze 16 del 1823. Leggendo i documenti uniti alle Memorie per servi- re alla storia del ducato di Lucca pubblicate dall’ ac- cademia lucchese, mi sono imbattuto nel diploma del- l’imperator Carlo IV nel quale concede al vescovo di Lucca vari considerevoli privilegi l’anno 1355. ( V. T. IV. pag: 61): ho creduto degne di riflessione le seguenti parole relative alla creazione dei notari imperiali . . ... Scribet, leget ct faciet scripturas illas, quas debuerit in formam publicam redigere in membranis, et non ins carthis abrasisec.Supponendo, come sembra ragionevole, ‘che queste parole, fossero il formulario antico col quale dalli imperatori concedere soleasi un tal privilegio, sì viene a rilevare che non i soli monaci, ed i copiatori de’codici o li- ‘brari ebbero ricorso all’infelice mezzo di procacciarsi le car- .tapecore radendo le antiche già scritte, per riscrivervi le ‘cose che ad essi premeano di più; ma che se ne fece un’ ‘esterminio per provvedere al bisogno de’ notari, i quali ‘per risparmio le compravano , come in oggi molti pittori comprano le tele di vecchj quadri lavate, per ridipinger- le ; ed il cielo volesse che non fosse rinnuovato spesso anche nelle pitture il caso de’ codici, di levare il buono | per sostituirvi il peggiore. In quanto alle cartapecore scrit- ‘te l'invenzione della stampa e più ancora l’altra della carta bombicina e di straccio, hanno rimediato all’ abuso; in proposito poi delle pitture siamo tuttavia nel pericolo; e sò d’ avere più volte liberati dal fare questo fine dei qua- drì di valenti pittori , e fra gli altri uno di Lodovico Ca- raccìi acquistato per tre paoli in una massa di tele dipinte destinate al bucato. 164 Ma venghiamo alla conclusione: nell’ archivio vesco- vile di Lucca si conservano migliaia dì vecchie cartapecore dal secolo VI al XIII, fino al quale dalle riportate parole possiamo credere che durasse l’ abuso, e probabilmente fino all’invenzione come dissi della carta comune e della stampa. Vorrei dunque che Ella nell’ occasione della pub- blicazione di quelle cartapecore, o in un esame a bella posta fatto , procurasse di consigliare che si tenesse d° oc- chio alle medesime per vedere se, quando furono scritte, erano membrane, cioè cartapecore nuove e non mai state . scritte, ovvero cartapecore scritte e poì lavate e rasate, 0 come grecamente si chiamano oggi palimsepsti. Questa distinzione l’apprendiamo dal citato diploma; in guisa che scrittura in membrane significava fatta in cartapecora vergine; in ‘charta abrasa, voleva dire in cartapecora già stata seritta; talmente che carta, quantunque pro- ‘priamente si chiamasse così quella pura e non scritta , nondimeno per metonimia si intendeva, come anche in oggi s'intende, della scrittura, e della carta scritta;ionde ‘in membranis intendevasi in cartapecora nuova .e pura, in chartis abrasis in scritture, o fogli scritti rasati ; seb- bene fossero di membrana. Chì sà che estendendo le os- servazioni anche a questa classe di vecchie. scritture su- perstiti in Italia, in Francia, in Germania ed in, Inghil- terra, non possano trovarsi dei frammenti d’ antichi classici scrittori che diano pascolo alla curiosità degli eruditi . i i Intanto mi ami e mi creda piceno di rispetto e di | stima suo Devotiss. Affez. serv. ed amico Sesastiano Ciampi. ì ni f4 ti i È 7. mat. mezzog. II Ser: o i 7 mat. mezzog. II sera 7,mat, >, mezzog. ri sera OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE GATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO DELLESCUOLE PIE DIFIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. DICEMBRE 1822. :L'’orazioregi i polli lio, 127. 9,3 (27. 10,0 DI TI 27. 11,5 Dm. Termometro 27. 27. 27. 27. 27. . 27. II sera ‘mezzog. | x sera Ki 7 mat. | mezzog. li sera 27. 27. 01} -QUIOIAN]J ord i -00S0W1dU Y 95 e Nuvolo. 96 o,10 Pon. |Pioggia. 85| 0,19 Scir. |Nuv. rotti. |Grec. ‘|Misto. Stato del cielo Ventic.|]f Ventic.|i Ventic.{i Ventic.|f 96| 0,08 Sc. Lev|Piov. con sole. Ventic.li Os. Sc. Nuvolo. ‘QI ‘0,02! Scir. |Novolo, 93 Sc. Lev|Biovoso. 5 | 95 0,24;( Os. Nuvolo. 101| 0,85 Lev. | Pioggia. 99 0,36 Scir. |Piovoso. 99| 0,09 Scir. |Nuvolo. Gr. Tr.|Nuv. neb. Tram. |Ser..con nuv. |Gr. Tr.|Sereno. Tram. Ser. ragnato. Tram. Calig. alta, 85 0,04|Tram. Piovig. OL 85 0,04|Tram. ;Nuvolo. A 0,01 Tr. Gr.Piovoso. Vento |É V. burr.|î Ventic.]i ‘Vento | Ventie.li Vento } Calma {f Vento È Vento |Ji Vento ji Vento 0/08) dia n. |Nuvolo. cn Tram. |Ser. con nuv. V.fortis: 5 Termom. da È: > 2 5 ti O |ed4| yy 2 S as 3 E) - 5 |de 55 tato del cielo 7 Sava: P8 7 BV te ò TAZZA: 7 mat. |27. :1,7 731 7,1} 80 Tram. {Nuvolo. Vento 8| mezzog. |28. 0,6 7,3 7,8) 80 Tram. |Coperto. Vento 11 sera |28. 27 67| 6,7| 32 Gr. Tr.|Nuy, rotti. Vento |} 7 mat. |28. 2,6 731 7,1) 50 Tram. {Nuv. rotti. V. forte | 9| mezzog. |28. 3,1 8,0 9,3] 75 Tr. Gr. Nuvoloso. V. forte|f 11 sera |28. 3,7 7,9 7,6! 82} o,or|Grec. |Ser. con nuv. Vento |} 7 mat. |28. 34 7,9 6,71 54 Lev. |Ser. rag. Calma | 10| mezzog.|28. 3,3 8,6 9,8) 78 Tr. Gr.|Bel sereno. Vento {j ri sera |28. 3,6 8,4 8,0] 84 Grec. |Sereno. Vento |j 7 mat. |28. 2,4 739 6,7| 78 Gr. ‘Tr.\ Sereno. V. forte r1| mezzog.|28. 3,0 9,0 10,2] 68 Tram. |Belsereno. Vento Ir sera |28. 3,1 8,0 7,9). 70 Gr. Tr.|Sereno. Vento 7 mat. |28. 3,0‘ 8,4 mi} 80 (Gr. Tr. Sereno. V. forte! 12|] mezzog. 28. 2,6 7,6 7,1 74, Gr. Tr. Ser. con nuv. Vento | 11 sera |28. 2,7 8,4 6,7| 80 Gr. Tr. Ser. neb. Vento | 7 mat. (25. 2,4 6,2 5,3| 75 Grec. |Sereno. V. forte] 13] mezzog.!28. 2,6 6,5 6,4| 74 Tr. Gr.|Sereno. V. imp. rr sera 28. 2,5 5,3 4,0] 75 Tram. |Sereno. Vento | 7 mat. Re 1,8 | 44 3,61 78, Gr. Tr. Nuvolo. V. forte 14| mezzog: 28. 1,6 44 4,0| n5, Tram. Nuvoloso. Vento 11 sera |28. 1,9 3,9 2,71 75) Tram. Ser. neb. Vento qomat. |28..1,0 |..,:3,1 2,0) | 72 Grec. fteata Vento 15| mezzog.28. 1, | 3,5 3,6| 70 Tram. (Sereno. “V. forte ri sera ;28....0,9 | + 3,1 1,8). 75 Gr. Tr. Sereno. V. forte 7 mat. |28. 0,6 Baal. 1,3 75 !Gr.Lev Ser. bellis. —Ventic*| 16| mezzog.|28. 0,9 3,5) 3,6. 74 Tr. Gr. Sereno. Vento | ri sera |28. 1,0 3,9, 2,4: 80 Grec. Sereno. Ventie. 7 mat. {28. 1,0 3,1]. 09) 85 Lev. Ser. calig. Calma 17| mezzog.|28. 1,4 | 3,3 | 3,51 74 Tram. Sereno. Vento ri sera |28. 2,0 RL. 89| 1,3] 89 Tram. |Sereno. _V. forte 7 mat. , |28. 1,6 1,8 1,5] >» 75 T = |Gr. Tr.[Ser. velato. Vento 18| mezzog.|28. 1, 18 2,7 3,1 69 ‘Tr. Gr.|Ragnato. Vento rr scra |27. ‘18 2,2 0,9) 71 Tram. |Sereno. Vento | 7 mat. (27. 10,5 Hel 1,0). 76 Grec. |Velato. V. forte | 19} mezzog.|27. 10,7 2,6! 3, r| 75 Grec. |Misto. V. forte ! i 11 sera {27. 10,5 I 8| o DI 79 | | ui Termom. a no P | n tri Ò (ce) |e Ora 3 El S 8 |Fs| "2.8 Stato del Cielo qu d co o (a Si n E g 3 Pa Pla | Ò H (ci) o ° I L | - 1,3 0,0 80| lor. Tr.|Sereno. V.imp.|f l20| mezzog. |27. 10,9 10 1,1} 770,20 Gr. Tr.|Misto. V. forteli | { rrsera |27. 10,5 1,3 1,3) 90 Gr. Tr.|Nevischio. V. forte w 7 mat. |27. 11,5 1,8 1,8} 95) 0,03|Tram. |Nevoso. V.imp. 21| mezzog. |27. 11,8 2,2 3,1] 95 Gr. Tr.|Piovoso. V. forte | | II sera |27. 11,7 3,6 44| 86]0,05|Gr. Tr.|Piovoso. Vento | 7 mat. |27- 11,3 44 6,2| 95) 0,02 Lev. |Navolo. Calma [22| mezzog. fn 11,6 44 6,2| 102| 0,01 Os.Lib'Nuvolo. Calma | rrsera |27. 11,8 5,3 6,2| 82 | Tram. |Misto. Ventic.|} Î Q 7 mat. 27. 10,0 5,8 6,2| 85 ‘Gr. Tr.|Nuvolo. Vento 23] mezzog. 27. 9,0 7,1 8,9| 84| 0,06 Tram. |Coperto. Vento | II sera 27. 11;3 6,7 8,9| 80] 0,02 Tram. |Nuvolo V. forte|| FI 7 mat. |27. 8,3 731 7,5) 90 Tram. |Nuvoloso. Ventic.|{ 24] mezzog. |27. 8,3 7,1 7,3] 86 Gr. Tr.[Nuv. neb. Vento | sr sera |27. 8,7 6,2 4,9] 84 Gr. Tr.|Ser.con nuv. Vento | 7 mat. |27. 11,0 pie) 359]. ‘85 Tram. |Sereno. Vento |25| mezzog. |28. 0,2 5,3 4,9] 70 Tram. |Nuvolo.® V. gagl. i) ri sera |27. 10,4 44 2,2| 79 Gr. Tr.|Nuv. rotti. Vento Hi | 7mat. [28. 1,9 0,9| 80 Tram. | Sereno. V. fortelf #26] mezzog. |28. 3,0 3,6 2,7| 72 Tram. |Bel sereno. Vento |É : il ri sera |28. 2,I 3,1 1,9] 75 Gr. Tr. Sereno. V. forte!| MU | 7 mat. |28. 3,2 1,8). 04, 74 Tram. |Sereno. Ventic.il {jj2:7| mezzog. |28. 3,0 2,9 die DI Gr. Tr. Bel sereno. —Ventic.ià NW | rrsera |28. 3,r 3,1 0,9] 71 |{Lev. 'Ser. ragnato. Ventic.|f uil 7 mat. 128. ‘2,0 2,3 vol 80 Gr. Tr.|Sereniss. Calma! È ||28| mezzog. |28. 2,6 9; 2,9 70 Gr. Tr.| Bellis. ser. Ventic Î | dl ri sera |28._ 1,8 2,7} + o,4| 85 Gr.Lev|Sereno. Calma |f {la 7 mat. |28. 1,0 1,3] — 0,9] 91 Sc. Lev|Sp.di den.neb.Calma |f \{29| mezzog. |28. 1,2 1,9] 470,6| 74 Gr. Tr.|Ser. nuv. V. forte) { Ni | 1: sera |28. 1,5 0,9] — 1,1] 80 Gr. Tr.|Sereno. Calma |f Il ‘| 7 mat. (28. 0,6 0,9] — 0,9| 79] . |Tram. {Nuvolo. Vento |j Jil | mero 28. 0,0 0,9] + 0,9] 78 Tram. ! Misto. V. forte, } ff | risera |27. 11,9 0,91 — 0,91 79 Tram. | Nuvolo. in tell. 7 matt. (28. 0,0 0,9| + 0,0] 79 Tram. |Sereniss Ventic. ti{St| mezzog. |28. 0,2 0,9] + 0,4| 74 Tram. |Bel sereno. Vento |f if/(4 ri sera |28. 1,4 0,9! —0,9| 75 Grec. {Ser. velato. Ventic.li 4 Piena grossissima in Arno. 17 Neve ai monti, circonvicini. ia É caduto‘ qualche poco di neiihii verso mezzogiorno. (21 Nevata generale. In città non si (29 A 10 ore antimeridiane Fi “co (di neve...» | 30. È nevicato ai, monti” circonvicimi per tutto il giorno. è fermata che alcun poco sopra i tetti. e verso le 5 ore della sera è caduto art fia Mi fo PROSPETTO METEOROLOGICO i i | î DELL'ANNO 1822. | age, Termom. medio| Colt Giorni véhto n mensuale bla È | me d'a 2 TROIS ) | sit Inter. | Ester È RI 8 | Sereni |Piovesi dominante || (n SMENTITA | ESITARE E BET Remi: venraanonso DI Tri o i ‘ Gennajo 28... 039 76 | 2,91 15 II Greco | ‘Pebbrajo | 28. ‘3,8 81 |o,00| ‘20 o | Greco Trami ! Marzo 28. 3,1 78 |0,48| 22 4 | Tramontana \ i Aprile an !t1,7 79 | 1,91} 7 ii | Greco Trami Maggio 28... 00 | 78 | 1,32 10 5 'Tramontan: a | : Giugno 28. 153 78 | 0,00 25 o Ponente Lib f Luglio 28... 0; 71 | 3;98} 22 7 | Ponente Lib - Agosto 28. 0,9 55 |2,53| 19 II Scirocco |. | : Settemb.-| 28. 0,7 8114,64| 9 13 ‘| Ponente Lil ‘ Ottobre, | 28. 3,9 86 |5,64| 20 12 | Scirocco | : Novemb. | 28. .2,t 92 |3,14| 10 14 | Scirocco | si Dicembre 1 27. 10,8 Br poz12| 10 14 | Tramontan Ì 1 (ai Sacra = 20 f- if eee === sio = — “ Sarometro ma ssimo 29, 6,6 il 1 marzo Termom. massimo 265 in agosto A minimo. 127. 6,7.il 6 genn. minimo — I Medio dituttol’anno. 28. 1,2 Totale dei giorni piovosi 102; dei sereni 200; della pio ggia poll. 28,677 32 il 26 dicem medio ditutto l’anno 12,9 si ne là n san ANTOLOGIA" A d e : ; FSE Ri si Li opta oto i ro ol intesi + fera ib svertpo N NAVI ebbro, 1823. nera tela q Pa) to) bwdani fto iis odori) | 1° prote î 1 | ‘ni 08 gegottit ont E DI Sb + toni “sui Sfosstioni b tognboi fs 4 ia osti Li Pini E Lai; di pila di Genlis. Patigi 1820. tV [29 CU Ca n (et | ri: VI imtii, vedi la di del din Voli ) AL i i db Lui Milia: per lusingare iglii gia PA musica ‘edi il pubblico» de suoi giorni, e per secondare:la delicatezza» del sud. gusto, ha limitato il proprio. linguagg io, ‘e la sua» versificazione dentro i confini di un così ristretto numero) di termini, di frasi;e di cadenze, che compariscomo sem-% pre le medesime; e la sua poesia spesso produce: l’effetto» d'un musicale istrumento, che non esprime le idee; ab- benchè lla ‘sua melodia riesca dilettevole. Per l'oppositorita Petrarca ha. posto interamente in opera, ed usato con gui stoy ditutto il.riccò, ‘patrimonio delle parole, di. tuttà lalvat a rietà del-ritmo, di tutte le grazie dell’italiana favella. Nel; lo stesso tempo che impiega i materiali. de’quali abbonda ;x apparisce creatore di ‘nuovi; lo che era. per lui ad un tempo e natio e straniero. All’età di soli otto anni fu tra- sferito i in La, ove Pao tutta la sua gioventù, e e la più La (07. usciva. dalla fanciullezza. Ne’ ci viaggi.che egli fi cevn'Italia, dimorò ovunque per lungo spazio di tempo: fuorchè ‘a Firenze, ove non risiedè più di tre ‘0 quattro » settimane. Tutte le poesie di tema amoroso de’suoi 1 prede*? PATEL Cessori, se si eccettuino quelle di Dante e di Cino, manca-, «ncedi soavità di favella, e di ritmo, ma la dolcezza deve USL; T. IX. Febbraje - è | del Petrarca è accompagnata da una varietà e da un tale ardore, che lo stesso Dante e Cino mai non conobbero . Relativamente a formarsi uno stile che fosse suo proprio, egli ci assicura che non volle giammai possedere una co- pia del gran poema di Dante, il di cui stile mostrava di non interamente approvare. Giunto all’ età matura , ei si dolse di aver dedicato i suoi studi all’antico linguaggio, in cui vi erano già tanti scrittori indegni d’ imitazione, in luogo di coltivarne un nuovo, in cui poteva aver lasciato modelli di ogni sorta di composizione (1). Il suo gran va- lore difatti in un idioma, che avea si poco coltivato è uno di quei segreti maravigliosi effetti, che il genio opera; sen» ga che se ne accorga quel medesimo soggetto che fia il - wantaggio.di possederlo; a guisa delle semenze che, a caso eparse in qualche terreno confasiente, vengono talora a germogliare spontaneamente più rigogliose di quello che. si sarebbero sviluppate in un suolo men favorevole, ancor- chè l’arte la più industriosa le avesse coltivate . Quanto alla facilità di formare nuove ed evidentiim-. magini dalle idee più familiari, e anco dall’ astratte per mezzo della metafora, il Petrarca è del pari felice che ori- ginale . Per esprimere il pensiero tolto da un oggetto co- mune, che la sua poesia e la bellezza di Laura sarebbero rimembrate dopo la morte, egli dice : Ch’io veggio nel pensier, dolce mio foco, DI Fredda una lingua, e due begli occhi chiusi Rimaner dopo noi pien di faville. ed è stato in ciò imitato da Gray, il quale seppe unire gran severità di gusto a grande arditezza di espressione: (1) Se le'lettere del Petraca fossero state scritte in italiano, noi avremmo posseduto indubitatamente alcune prose inimitabili del pari come lo sono le sue poesie. Due lettere vergate di sna propria mano ora esistenti nella libreria di Lord Holland , sono ! soli saggi che noi abbiamo veduto, e forse gli unici che esistano della sua prosa italiana, il quale è non solo mancante in purità, € io eleganza, ma altresì nell’esattezza grammaticale . ‘ rv " in our. r aches ite their. Ftortted oe. Se il Petrarca non avesse troppo frequentemente ripe. tuto le | sue. le favorite iperboli, se ;bFODp9 sovente non avesse paragonato Laura al sole, i suoi numerosi plagiarj non sa- rebbero stati. imputati di' strana ricercatezza; nè Salvator Rosa, nelle sue satire attpala avuto motivo, di dig a si che le' loro meta fore put pila dii tag 1, (+. il sole han consumato . È Quel continuo scherzare sulla parola bi una Laura, la metamorfosi di Dafne in Zauro ec. quei giuochi di pator. le e ‘di spirito, che Madama de Genlis giiulica tanto. pia- cevoli, sull’ autorità di un de' più celebri critici.d’ Italia. hanno trovato; è vero, molti ammiratori. Noi peraltro. nou ossiamo se non dolerci che un:gran poeta, dotato di tale ia ed ardore di spirito , e di un criterio si pene- trante e raffinato, abbia potuto compiacersi di simili. fredy de affettazioni. Ma anco il Petrarca dovè compiere il tristo dovere di quasi tutti gli scrittori, di sacrificarecioè il loro proprio gusto a ‘quello de’ loro contemporanei. Piacquegli d’ innestare ne’ suoi versi le agudezzas, ternuras y con- ceptos de’ poeti spagnoli, e fu meritamente accusato di plagio. Noi anticamente possedemmo, dice uno storico di Valenza, un famoso poeta nominato Mossen Jordi; e il Petrarca, nato un secolo dopo, si fe lecito di approfittarsi delle sue rime, e traslatatele nell’italiano idioma, le spac- ciò al mondo comesue proprie: la qual cosa, s0gg iunge, po- trei, se pur volessi, provarlo con molti esempi; nondime- no basterà all’oggetto il citarne solamente poichi versi. Mossen Jordi. E non he pau, e no tinc quim guerreig; Vaie. Vol sobre l' ciel,.et nom’ movi de terra; °°’. E no estrench res, e tot lo mon abras -- Oy he de mi, e vul a altri gran be — Sì no es Amor, doncs azò que sera? Sì Petrarca è Pace non trovo, se non ho da far: guerra? - E volo sopra il cielo, e giaccio in terra; E nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio — ( Son. 103. pag. è Ed ho in sio me stesso, ed amo altrui, — S’amor non è, che dunque è quel ch’io sento? ( Son. 101° p. 1. Se il Petrarca, oltre a questo plagio, siasi avvilito a pre- fittare di altri squarci spagnuoli, non è per noi possibile di francamente deciderlo. Certo si è peraltro aver egli in più luoghi inserito varie idee notoriamente prese in pre- stanza dai poeti provenzali, ed abbenchè assai di frequen- te le abbia ingentilite, nondimeno non recano diletto pre- cisamente perchè non sono in armonia col sublime, pro- ‘ fondo e patetico tenore del suo proprio stile. Il seguente sonetto, in cui se il Petrarca non si appropriò i pensieri, al- | meno imitò gli amorosi lamenti de’ trovadori francesi , porgerà forse una meno imperfetta idea della loro poesia, pat può esser paragonata ad un mosaico di antitesi , | S'una fede amorosa, un cuor non finto, Un languir dolce; un desiar cortese ; ‘ S' oneste voglie in gentil foco accese, S’ un lungo error in cieco laberinto; Se nella fronte ogni pensier dipinto, Od in voci interrotte a pena intese, Or da paura, or da vergogna ‘offese: Sun pallor di viola,, ed amor tinto; . 8' aver altrui più caro, che sè stesso;. Se lagrimar, e sospirar mai sempre, Pascendosi di duol, d’ ira, e d’ affanno; S’ arder da lunge, et agghiacciar dappresso , Son la cagion, ch’amando i mi distempre ; Vostro, donna, ’l peccato, e mio fia ’1 danno. Le imitazioni del Petrarca nondimeno sono in con- fronto pochissime, ed assai facili a distinguersi dai pensie- ri, che originalmente provengono dal suo intelletto. Tolse egli ben poco dai classici; ed i pochi passi che. s’incontra- no appartenenti a Virgilio, a Ovidio e ad Orazio, furono piuttosto a lui suggeriti dalla memoria, di quello che egli ‘ 6 proponesse d’ imitarli. La viva passione che arde nei 5 versi di Saffo cambjasi in galante gaietà in quelli di Ora. zio : Dulcem ridentem Lalagem amabo Dulce loquentem. Il Petrarca benchè non leggesse il greco, nè i frammenti di Saffo fossero discoperti, restituisce a queste immagini quel fuoco, che Orazio avea alquanto diminuito, e coll’aggiun-. gere gli sguardi al sorriso e alle parole, mostra che Saffo non avea compiuta la pittura. | Non sa come amor sana e come ancide, Chi non sa come dolce ella sospira ‘E come dolce parla, e dolce ride. Il sensual carattere dell’ amore dei romani e de’ greci è ben lontano dal tenero sentimento della poe- sia del Petrarca. Molte delle sue più belle imitazioni son tolte dalle sacre carte, lo che ignoriamo che alcun critico abbia fin qui osservato, benchè possa a chicchessia riuscir facile di scorgere quanto gli affetti del suo cuore si nutri- scano di sentimenti direligione. ., {i : La sua pietosa elevazione però sullo poesie di tema amaroso confina prossimamente col profano . Per dissipar difatti la gelosia di Laura, egli paragona la difficoltà a tro- var la di lei somiglianza ne’ volti di belle femmine, alla divozione di un pellegrino, che va a mirar l’immagine del Salvatore . Movesi ’1 vecchierel canuto e bianco Del dolce loco ov’ ha sua età fornita. ‘ E dalla famigliuola sbigottita Che vede ’l caro padre venir manco: Indi traendo poi l’ antico fianco Per l’ estreme giornate di sua vita Quanto più può col buon voler s’aita Rotto dagli anni, e dal camino stanco: E viene a Roma seguendo’! desio Per mirar la sembianza di colui Ch’ ancor lassù nel Ciel vedere spera. 6. Così lasso putin vo cercand’ io Rue Dorina, quant è possibile,” in ‘args La desiata vostra forma vera. Fa di mestierî però osservare che le forme sublimi e maestose, sotto cui l'Amore vien rappresentato dai poeti italiani; appartengono più alla filosofia mistica y che alla popolar mitologia degli antichi. [Il Tasso, che bolide poe- sie.amorose cede RIE al Petrarca, e che possiede in maggior grado la facoltà di generalizzare le idee, ‘ha»ri- stretto in pochi carmi l’ immagine. «d’ Amore, qual venne esibita dal filosofo Platone : Amore alma è del mondo: Amore è mente | Che volge m ciel per corso obliquo il sole; E gli eiror de’ pianeti, e le carole LsInog Vam di; sua lira: al suon. veloci e lente... POS ne iL aria, l’ acqua, la terra, il foco ardente , i Daga — Misti alle forme dell’ i immensa ‘mole’ POLE: ‘dite lil: stto'spirto, e s’ uom 's’ allegra, e ‘dale a 4 tf st) AR 43) 7 LOL a J 3 È ì 24 OI LO A Opra;i è d'amore; '0'speri anco 0 abbinati; fah ail RR) ion Amore sin! ‘questa descrizione, non è un fanciullo bendatà, la. di cui.molle leg ggiadria Anacreonte ed Orazio mostrano di dileggiare, ma una divinità di tutta possa,.la di. cui vista.è acuta e chiarissima; idi cui dardimon son scoccati a caso y 0 per capriccio, e che fata darpnpiagine zione, giacchè alii ‘eseguisce quelle leggi } cui fil cielo e la terra varino egualmente soggetti: |. ol il la lob sn Dura a legge d’ Amor! ma benchè. obliqua, bb ufieitovib Servar conviensi; però ch’ ella aggiunge Di cielo in terra, io 47 antiqua. o Trionf. d’ami e. 3. Molti, scrittori ‘ha agon ‘quasi’ esatrita' la | , propria fan- tasia e la popolar tradizione a ‘cé celebrar” il ritiro ea sfigu- rare la passione del Petrarca . Ù ‘Gli abitanti del. sobborgo di Valchiusa accennano l aliara; su, cui era situato il ca- stello di Lauraj ida. cui essa poteva ‘intertenersi col di lei amante per mezzo di cenni; e ‘l’‘abate Delille discuo- pre la stessa grotta, “Ché | porgeva ù un segreto rec s$0, e l’al- bero, che offriva grata ‘ombra a questa coppia; lice* VU teylnè SER 7 Une gratte écartée avait frappé mbe yeox. Grotte sombre, dis-moi si tu les vis heureux! M' écriai- je! Un vieux tronc bordait-il le rivage? ‘Uaure avait reposé sous son antique ombrage! Jardins, ch. 3. Una Dama, i di cui versi han generalmente riscossa lode in Francia, s'inoltra anco più avanti del Delille: Dans cet ‘antre profond, où, sans d’ autres témoins Laure sut par de tendres soìns De l’amoureux Petrarque adoucir le martyre; Dans cet antre où l’ amour tant de fois fut vainqueur, Il exprima si bien sa peine et son ardeur. Que Laure, malgré sa rigueur, L’ ecouta, plaignit sa langueur, Et fit peut étre plus encore. — Mod. Deshoulieres. Ep. sur. Vaucluse. Lorsqu’ on le fait passer, tout passe, dice la Fon- taine. Ma il fatto è che Petrarca era si lungi da incontrar Laura a Valchiusa, che anzi ivi si ricovrò nella speranza, come egli dice, di estinguer per mezzo della solitudine e dello studio la fiamma dii lo andava crucciando. Sven- turato il odio rimedio non servì che ad accrescerne li , angoscia, In un’ altra lettera scritta. da Valchiùsa egli così s'esprime— ,, Quivi i miei occhi che troppo sì bearo- no ‘nella bellezza di Avignone, nient’ altro scorgono che cielo rupi ed acque; quivi è intieramente cambiato il pascolo di tutti i miei sensi, Non più dolci parole diletta- no le orecchie— non odo che il muggir delle belve — da una parte il gorgheggiar degli augelli, dall'altra lo strepi- to o il mormorio dell'acque. Nu Îla può esser più delizioso de’ miei due giardini. Sfido a trovarne alcuno simile a loro fuorchè nel bel soggiorno d’Italia. Ma la vicinanza di Avi- ‘ gnone attossica tutto! Allorchè io penso di lei; e quand” è che noi vi peusi?—Giro lo sguardo intorno alla mia solu- tudine, ed i miei occhi si bagnano di lagrime: do ‘accor- ‘ go spit uno di quegli esseri sventurati, iin;cui la sola memoria basta a nutrir gli affetti;;che non ha altra conso- lazione se nom il sto piavito; ma Mi può desiadi ua gere solò"” ot AA i.#0 i. fit > «FX Pur La s itudine, chie bei" sovente” svés Tia egli animi accesi daar nte. ‘passione delle 1 inìmagini i sublimi, atte ad eccitare il,dolore egualmente, che la gio. a, nomsserviva che. ad acorescere ed. a funestare i tristi pensieri del Petrarca: e se ‘egli tentava di profittare, degli intervalli di distrazio-.. ne per contemplare la misera condizione dell’umana vita, il. suo Coke diveniva più intenso ‘sti. gui | Di pensier,’ in agg ‘di monte in’ ue Mi-Buida' Affiftof?. 19 pa upid e amisgzo HM ‘Per alti monti è’ per selve aspre trovo!‘ Qualche riposo; ogni abitato loco ; si, E' nemico mortal degli. occhi miei; Pal 44 ‘Ad ogai passo nasce un pensier nuovo Della mia, donna ,..che Savena in gioco ali - Gira il tormento . siti spl Or potrebb' e esser vero?’ or come? or “quarido «F orse sarà ‘negata fede alle ; mie parole, mà ciò $ ehé'io to POL LI SUS son per narrare non è che un troppo verace Taccont ‘0. S (E gio { ni s so in appartati recessi, quando m' immaginava. ì trovar- ded si: Le FREE ei iLogri fe tr DA veduto la mia donna, apparirmi un tronco, RU EEDO fi al vano d’una caverna, ‘da una be a non crd în q fili A bero, saprei qual'oggetto—il timore mi i ficeva ‘tratténe del luogo—io 1 non so cosà ‘accadà di n me, nè dove rivolge wi 1 as sì. » Altre } fiate la medesima qillusione l lo | dilettava | in Lr da rapirlo dai sensi; ed' egli già sì reputa va ammesso ‘agli eterni godim nti del paradiso, vi pareagli c che i suol occhi. si abba la {essero ne e luci d di Laura, © ed ei le sett eva {ii 10 spl: identi dun sorriso, d: ‘amore, situazione | che egli ha de- As 1 scrittein tre soli “versi, ma di cui ì ‘indarno chicche essia,sì lu- singherebbe di rendere la bellezza in ‘traducendoli, e î à quali 1 la critica più raffinata si trova costretta a tributare encomio : tato) N Pace tranquilla senza clcni Ds gico i sioe Li (Simile a quella ch’è ' nel ‘cièlo’ eterna VIP. S03 n tg} ae) ail 143 :;..0 1 Move dal loro innamorato riso =:P. canz. to stodioni " dass) ‘9 Inwno di questi momenti di delirio ‘vide Laura ‘sorger dalle chiare ‘onde del Sorga ; riposarsi sulle di lui rive, € farocggiant ‘su)quei correnti cristalli : xeno, li iii + Oraviniforma di' ninfa, o d’ altra diva 100 cin (Che, dal più chiaro Sade Sorga esca siasi si gl, pongasi a sedere in su la riva; ho veduta su per l’ erba fresca bretielia zi Calcare i i fior come una donna viva, P.2. son. 90 Ma il fosco vel della notte dissipava queste visioni : U Pr ‘Ma lasso ! ogni dolor che il dì m * adduce Cresce qualor s’ invia 1 voti Per partirsi da noi l’eterna luce; “Vi e la sua disturbata immaginazione , nelle ore della sot litudine e dell’oscurità, vestiva d’orrore quegli ogget- ti che lo avevano rallegrato colla loro bellezza , nel. corso del giorno —. « Tre volte la ‘vidi nella notte , é le mie membra si gelarono di spavento. Io sursi tremante coi primi albori della mattutina aurora, onde abbandonar quella dimora, ove ogni oggetto m’ispirava terrore. M'ar- rampicai per alte pendici , calpestaì spineti , guardando per ogni parte se l’immagine che avea disturbato il mio riposo seguiva i miei passi—Io, non trovava in verun luo- go salute ;,,. Noi abbiamo tradotto questo squarcio da una - delle sue opere latine; ma quando egli esprime la mede- sima cosa ‘in italiano ns, ‘ùn salò verso è sufficiente. a destar la sensibilità di ogni dae che ‘abbia provato 1A gg pissioni fra gli orrori della solitadine. LEI Tal paura ho di ritrovarmi solo. ‘©’ P. i. son.. 198. olor Un forte: sentimento: di religione. mantenne nell’ a- mimo del-Petrarca un continuo ‘contrasto. colle suè pas- sioni; ed acquistando forza col resistere, serviva solamen- ite ad irritare il suo amore, e a disturbare il suo spirito, le di cui facoltà erano piuttosto veementi, che vigorose. Le azioni più ovvie, le più indifferenti circostanze erano ba- stevoli.;ad immergerlo in una successiva concatenazione di reflessioni è di angoscie, le quali egli procurava di cal- 20 mare versandole in seno agli amici. Sentendosi un giorno esausto di forza, prima che egli potesse giungere alla som- mità di una montagna , cui anelava di poggiare , egli scrisse ad un amico: « Io paragono lo stato dell’ animo mio che desidera di salire al cielo, a quello del mio cor- po ; che incontra tante difficoltà niet guadagnare la cima della montagna , malgrado la brama che lo spinse a ten- tarne l’impresa . Queste reflessioni m° ispirano maggior forza e coraggio. Se, vado dicendo , ho sostenuto tanto travaglio e fatica, perchè questa mia salma potesse rav- vicinarsi più d’ appresso alle stelle, quali ambasce non dovrò io tollerare , onde il mio spirito possa colà perve- nire » ? In alcune dell e sue opere sembra che tenga ragio- namento con. sè. medesimo quasi tema di aprire il suo cuore agli altri; ma subito che si sente inclinato a fami- liarizzarsi » diffondesi colla più facile schiettezza — « Se apparisco a’ miei amici , dic’ egli, gran parlatore, ciò de- riva dal non vederli che di rado , onde parlo di soverchio in un giorno, quasi per compensare il silenzio di un an- no. A giudizio di molti di loro mi esprimo con chiarezza insieme e con forza; ma per quanto ne penso io stesso , il mio linguaggio è è debole ed oscuro, perchè non posso addossarmi l’incarico di adoperare eloquenza nel fami- liare colloquio. Jo non fui giammai amante de’ pranzi , ed ho sempre riguardata cosa gravosa ed inutile l’ invi- tare od essere a quelli invitato; ma nulla porge a me più gradito piacere, quanto che aleuno partecipi della mia parca mensa ye non mi vi son giammai assisò solo se non costretto», Il di lui amore però verso.i suoi amici | maggiormente si appalesava quando essi erano assenti, di quello che quando stavangli.d’appresso;; e fino nella sua gioventù, quando il. cuore si apre con moggior confiden- za, ed egli stesso bramava realmente di passar la vita con essi, era sempre.timoroso di discuoprire i loro difetti. — Nelle sue frequenti gite.in Italia, egli andò sempre a ri- 1a covrarsi in una,specie.di eremo , ove non ,cessava di ap- \ plicarsi a scrivere interi volumi ;, affermando che perdeva ‘ il suo tempo, ma che gli conveniva di stare occupato per ‘ dimenticar sè medesimo. — Sulla tavola, egli dice, men- tre refocillo il mio corpo colle vivande, e da una parte del mio letto tengo tutti. gli stromenti necessari a scri- vere; ediallorché, mi.sveglio nell’ orror della notte vado scrivendo, abbenchè la..mattina seguente mi resti im- possibile di leggere ciò che ho scritto.(1) — Negli ultimi anni della sua, vita; egli dormiva sempre con una lampa* da accesa presso di sè, e sorgeva costantemente a’ mezza- notte.—« Simile, egli aggiunge, ad uno stanco viaggiatore, affretto il mio passo in proporzione che mi approssimo al termine. della via. Io leggo-e scrivo notte e giorno —que- sta.è l’unica mia consolazione. Sento i miei'occhi aggra- vati dall’ applicare, la mia mano è stanca per lo scrivere, ma il mio.cuore non: s’infievolisce giammai. Bramo che il mio nome passi, famoso alla posterità ; e se fia che ‘non l’ottenga, sarò conosciuto nell’: età in cui vivo; ‘0 almeno da’ miei amici. Riuscirà a me di sodisfazione l'aver cono- Sigiene: medesimo, ma indarno di ciò mi lusingo .» La politica servì ad. amareggiare i suoi. giorni ogandi mente che l’amore e la gloria . Spinto da ardente deside- rio di, ingerirsi. de’ pubblici affari, disperò di riordinarli, perchè non poteva rendere i suoi concittadini. simili a quelli de’ tempi di Scipione., Al suo rincrescimento per non esser nato in età più; remote ; noi dobbiamo: il suo: in- cessante, ‘studio. sull’ opere degli, antichi ;.fra/quali godeva di vivere almeno in spirito , onde poter,più efficacemente distaccarsi dai degeneri, coetanei; Ogni: volta.che egli scri- vea Lodovico;, a Francesco,:0,;a, Lelio di-Stefano suoi più oa amlici,;0, ‘quando, egli parla di. loro; senaipre gli: ap- MIA Questo! passo è preso dilla quattordicesima di quelle let- tare) ché 'mònosi ‘trovano tra; le' opere ‘del Petrarca. Il manoscritto si':conserva nella :Bibliotecà: di;S. Marco al Venezia: (VU! 12 pella Socrates, Simonides e Lelius; ed egli stesso pro- babilmente sales adottato il nome di alcun celebre an: tico, se la medesima vanità che gli faceva ambire 1’ am- mirazione del mondo, non gli avesse altresì incusso ‘il ti more di rendersi ridicolo. Allorchè Cola di Rienzo, figlio di un :locandiere riuscì a sollevare il popolo di Roma, e prese il titolo di Niccola il Severo, e il Clemente + di Tribuno di libertà, Pace, e Giustizia—d’illustre libera-. tore dèlla Santa Romana Repubblica, il Petrarca non gli. fu parco di elogi e di avvertimenti . Trascorsi appena po- chi mesi, egli provò l'umiliazione di sentire che il suo eroe, avendo fatti uccidere alcuni de’ magnati, e ridotta alla fame la plebe, era fuggito da Roma come un codardo e un traditore. Ei ricevette questa nuova mentre era in cammino per l'Italia, e la lettera che egli scrisse in quel-. l'occasione fa più onore al suo patriottismo, che alla sua. saviezza. ,, La lettera del Tribuno, egli dice, mi colpùòco-. me un fulmine. Da qualsivoglia parte io mi rivolgessi non sapea vedere che oggetti di disperazione— Roma lacerata in pezzi— Italia disfatta! Che accaderà di me in questa pubblica sventura? Altri le esibiscano le loro ricchezze, la loro possanza, i loro avvisi—quanto a me non posso offrir- le che le mie lacrime. » \Allorchè successe questo avvenimento Petrarca con- tava il quarantesimoterzo anno dalla sua nascita, ed egli non poteva tollerare che l’età în cui viveva avesse grande- mente contribuitoa precipitar l’Italia in quello stato d’inat- tività e di avvilimento, dal quale non sapeva risorgere. I papi e gli «imperatori avendo abbandonato questo paese pel corso di sessanta anni, l’aveano lasciato in preda agli intrighi della Francia ; i guelfi non molto dopo presero le armi sotto l’influenza della Chiesa per mantenere i popo- lari diritti contro i feudatarj dell’ impero!; i ghibellini quindi fecero alleanza cogl’ imperatori onde conservare i privilegj dei grandi proprietari del paese; i nobili erano 13 stati estirpati; piccole repubbliche governate da mercanti; o dai capi delle fazioni , che senza antenati da imitare, privi di generosità di sentimenti, senza educazione militare, s ‘ap- propriavano i feudi de’ loro distretti col mezzo della ca- lunnia e della confisca; ed ai loro esterni nemici non opponevano che delle truppe mercenarie; i papi e i car- dinali premurosamente attenti ad Avignone, favorivano talora per forza, ma ;spesso volontariamente gl’ interessi della Francia, la quale per usurpare più che ella poteva nel mezzogiorno d’ Italia, eccitava le fazioni de’ guelfi a- ‘commettere tutti i più stravaganti eccessi della democra- zia. I principi francesi regnavano a Napoli, ed erano gli arbitri del Mediterraneo. Le montagne dellà Savoia non- dimeno non poteansi sì facilmente traghettare, mentre agli imperatori di Germania era possibile di penetrare in Ita- lia per le gole del Tirolo, e i condottieri della fazion ghibellina erano insufficienti a conservar la loro prepon- deranza in Lombardia. Venezia stessa, malgrado la sua democratica costituzione, che avea goduta per nove secoli, essendo cresciuta in ricchezze mediante il commercio , cominciava a reggersi per governo aristocratico: circon- data essa dal mare, era esente dalla necessità di affidare le sue armate ad un solo patrizio, il quale mentre la di- fendeva dalle invasioni straniere , l’ avrebbe potuta sotto- porre al giogo di una militar dittatura — dittatura, che nell’ età del Petrarca si era resa perpetua ed ereditaria in tutti gli stati settentrionali d’ Italia. Le altre contrade d’ Europa erano esauste dalle crociate che appunto allora cessavano ; la superstizione avea ceduto il luogo al fanati- smo, e quindi la più rilassata morale avea corrotto ogni classe o ceto di persone, le quali abusavano di tutto per sodisfare le proprie passioni. Le nazioni benchè scontente non erano in grado d’ intraprender rivoluzioni. ‘Gli stati s'ingrandivano più cogli scaltri raggiri, che colla forza, e i loro governatori usavano meno sfrenata violenza ma più 4 abominevol perfidia. 1 delitti sfacciati dele” bestie PA | trascorse fecero strada gradatamente agl’ insidiosi vizi della” , civilizzazione. La cultura delle lettere avea generalmente corrotto il gusto; che vedeasi combinato colla erudizione ‘5 ma;nel tempo medesimo avea snervata la gagliardìa e di, riginalità del naturale talento; e coloro i quali sarebberò” , stati. incomparabili scrittori nel loro. proprio. linguaggio , sì ‘compiacevano di consumar la loro vita a divenire pe-' danti imitatori de’ Latini. Tali sono in conciso gli annali». d'Italia durante il mezzo secolo dalla morte di Dante dl quella del Petrarca... | Abbenchè veruno abbia fin quì uguagliato in bellez- za l’ode, che Petrarca indirizzò ai principi d’Italia, quan- do essi mostravansi. pronti a spargere il loro sangue per i l ingrandimento di straniere potenze ; 5 d Italia mia, benchè .il parlar sia indarno;— | — (i a i tuttii poeti italiani, per cinque secoli, hanno ciguandi ii co me loro preciso dovere di scrivere sopra lo/stesso soggetto, . e di opporre al più imponente apparato di eserciti ordinati. le loro lagnanze e le loro imprecazioni. Si sono peraltro: astenuti dall’ imaitar la franchezza del Petrarca nel di> pignere coi più tetri colori gli abusi delle più cospicue: dignità;.per lo che si mertò biasimo presso i francesi, e- quiadi approvazione dopo..due. secoli dai protestanti. Il: padre del Petrarca, benchè ghibellino, si era ricovrato. ade | Avignone nella speranza di ottener benefizi dalla chiesa. pel suo figlio; ma il Petrarca non cessò. mai durante la sua! vita intera di compiangere e lamentarsi. che egli nom» avea per patria, se non un paese di esiglio ove.i minibtrò. di Dio erano tenuti in prigionia à (918, Petrarca dapprima entrò in casa del cdrdinal Colonè na come suo cappellano, ma ben tosto fu considerato co, me uno degli amici più familiari; e lo stesso Stefano Co lonna capo della famiglia, uomo: del più esteso potere a' Roma, e della maggiore influenza ad Avignone, lo riguar- 15 dò come suo proprio figlio. L'influenza del nostro poeta sopra i grandi è uno de’ più straordinari ed inesplicabili tratti del suo carattere. In tutti i suoi scritti non si riscon-' tra una sola espressione servile; e se mai profonde elogi ai potenti, è solo in replica alle lodi, che eglino hanno a lui per l’avanti tributate. Sovente, e per sino quando era in gioventù, diresse severe doglianze ed avvisi a’ suoi' benefattori, persone venerabili pel loro grado ed età . Era tenacissimo del vero, che egli non poteva tradire a costo del suo medesimo orgoglio. Quantunque noi possiamo con- getturare che ogni momento si trovasse in circostanza di. acquistare l’ amicizia de’ più illustri personaggi, tutte le azioni della sua vita attestano, ed egli medesimo asseri- sce, che se i grandi bramavano la sua compagnia, dovea- no accomodarsi al suo temperamento; e che egli nutriva sempre un altiero disprezzo per le ricchezze. I principi d’ Italia spontaneamente gli procuravano degli ecclesia- stici benefizi, e ricercavano la di lui opinione sopra og- getti di politica. Egli non si reputò giammai insufficiente» a ‘dar loro avvisi; ma innanzi che umiliarsi alle loro bra-: me, ed ai fini d’ una corte, si dimostrò sempre pronto a rinunziare alla sua promozione. Egli non volle giammai impegnarsi ne’ sacri ordini, onde non sì esporre ad accet- tar vescovadi; e ricusò l’ impiego d’ apostolico segretario sotto ambedue i pontefici Clemente VI, ed Innocenzio» VI. In una bolla, nella quale il primo di questi papi gli conferiva un altro benefizio, trovasi espressamente dichia- rato che il Petrarca non ha fatto istanza per ottenerlo; per la qual cosa il poeta estimò di non essere vincolato: da veruna obbligazione, per contenere la vemeenza della sua penna. Apparve egli sempre più pronto a conferire che a ricevere favori; eil Boccaccio fu tra quegli amici, che, sperimentò gli effetti della sua liberalità. Quando acca- deva che i suoi regali fossero ricusati, ei vi annetteva al- cuni versi, che obbligavano i suoi amici ad accettarli ; 16 e distribuiva le isue italiane poesie come in donovai ni, matori .ed ai (cantori di professione. Visse sempre moderazione, ma allorchè salì a'stato d’agiata fortuna, aumentò ancora il numero de’ servi e degli. amanuensi | che conduceva: seco ne’ suoi viaggi; e mantenne più. cal valli per trasportare i suoi libri. Questo doviziosoreorredo? di libri lasciollo al senato di centi: e an il fondatore» “ della. Biblioteca di S. Marco... s isotta los a ; « Gontuttochè possedesse un’ abitazione in quasi ogni. paese, ove godeva un benefizio ecclesiastico; pareva now-' dimeno che non ne avesse alcuna, e sempre anelava al. suo eremo di Valchiusa. Ei visse quivi, se sì escludano * pochi intervalli, pel corso di dieci anni vivente Laura; © e spesso fece ivi ritorno dopo la di lei morte. L'ultima» volta vi risiedè per due anni, e quivi egli scrisse la sua! lettera alla Posterità, che egli chiude con queste paro=* le:—«Io mi trovo nuovamente in Francia, non già per» vedere ciò che ho di già cento volte osservato, ma per dissipare. la noja e Y inquietudine, che penso di delu» , dere col' cambiamento di luogo.» Ogni minimo sospetto di turbolenza di guerra, o di epidemico contagio gli of» friva un pretesto per giustificare la sua abitudine di an-' dar così. vagando pel mondo.« Non è per evitar la mor-. te, che io vado così errando: soprà la terra, ma per cer-: care se siavi un angolo, in cui possa godere tranquilità». La sua avversione alla medicina, che appalesa con mi nore indifferenza di Montagne; e con meno motteggi di» Molière, ma con maggior veemenza, è una prova suffi-* ciente che egli non avea un attaccamento pusillamime; alla ‘vita; mentre aspirava al cielo, non era però indif> ferente per questo mondo . Allorchè egli si lagnava che gli uomini correvano dietro a lui, non poteva ignorare che il costume di abbandonar frequentemente un paese, e quindi farvi ritorno, dovea porgere occasione a ram- mentare il suo nome, e ad eccitar la curiosità di cono- -. / 017 scerlo;. e che l’unico mezzo di cui.un “autore può valers # per. non esser disturbato dagli altri, si è di far parlar oco, di sè medesimo. Le lcitete, che il Petrarca scrisse allorchè | viaggiava nella sua gioventù, meritano di esser collocate fra quelle de’ più moderni, e più illustri viag- giatori d° Europa; e noi tuttora godiamo il benefizio delle medaglie ' e de’ classici, che egli discoperse ne’ conventi della alt e della Germania. Ma avanzandosi a più matura età s'immerse più profondamente nella con templa- zione di sè stesso. Paragonando lo stato del genere umano colla perfezione alla quale aspirava, reputò gli uomini indegni dello studio di quello; ma fa di mestieri che egli nondimeno annettesse una qualche importanza all’ uma- na specie, perchè se egli fosse stato capace di re calmenie disprezzarla, non svhebbe provata quella costante procli. vità di cambiar di dimora; di appart arsi nella solitudine; e di compiangere la follia e l'ignoranza della società, e i legami coi quali la natura ci ha vincolati tutti alla vita ; La morte di Laura, e degli amici della sha gio- ventà — la vergognosa caduta di Cola di Rienzo — la corr uzione del ga la pestilenza che desolava il nuez- Zogiorno d’ Europa, tutto concorse ad opprimerlo d ‘alli, zione nel corso di pochi mesi. Da quel tempo le sue me- ditazioni sull’eternità occupavano interamente i suoi pen- sieri, e lo disposero a seguire un sistema di filosofia non analogo al suo spirito sempre attivo. Egli s' immaginò — 9 per apprestar rimedio a tutte le sue sventure gli era d’ uopo studiarle notte e giorno — che per continuar con fermezza, e compiere Minto questo progetto, gli convenia rinunziare a qualunque altro desiderio — e che unico mezzo di giungere alla totale oblivione della vita, era ‘quello di riflettere perpetuamente alla morte. La for- za di eseguire le sue risoluzioni non era pari al suo ardo- re nel o e le sue facoltà venivano ad esaurirsi da T. IX Lebbraio 2 18 impulsi opposti. Dopochè egli si fu assuefatto a guardar la morte senza timore, gli apparve nuovamente sotto terri- bili forme. — Egli ci assicura, che rimase talora colpito da subitaneo letargo che lo rendeva affatto insensibile, e per lo spazio di trenta ore il suo corpo appariva simile ad un cadavere. Quando tornava in vita, attestava di non aver provato nè terrore, nè pena. Ma per la sua eccessiva meditazione sulla morte come cristiano e come filosofo, spinse quasi si direbbe la natura a privarlo della giocon- dità che essa desiava concedergli—di morire in pace. «Io mi corico nel mio letto, come in una funebre coltre—im- provvisamente mi levo in frenesia—parlo a me stesso— mi struggo in lagrime, fino al punto da destar il pianto in coloro che son testimoni della mia condizione ». Qua- lunque cosa che egli vedesse o udisse nel tempo di que- sto accesso di dolore, gli cagionava tormenti d’ infer- no—-a grado a grado poi trovava diletto nel pascersi colla considerazione delle sue disgrazie; e l’ orgoglio del dolore lo seduceva per far parlare il mondo della sua debolezza, delle sue virtù, e del suo sistema di perfezione. Una celebrità, cui forse niuno autore mai possedè in sì alto grado quanto il Petrarca nel corso della sua vita, lo indusse a figurarsi, che tutto il genere umano fosse oc- cupato de’ suoi privati intéressi. Gli uomini i più distinti di ogni paese erano con lui in corrispondenza; ed egli ben tosto si avvide, che nulla è più importante, e nel mede- “simo tempo reca maggior imbarazzo, quanto il mantenersi un’ estesa riputazione . Alla franchezza imprudente delle sue opinioni egli aggiunse talora una pedantesca affetta- zione, ed un ala modestia, che oscura il candore delle sue lettere. Mentrechè si contenta di appellarsi un sem- plice individuo dell’ uman gregge, spesso si paragona in- direttamente ai più gran personaggi della storia, e non può informarci dell’ ‘antichi della sua famiglia senza prendere in prestanza le parole di Augusto. Egli si serve Ù 19 «della sua estesa riputazione per sodisfare alla necessità in cui si era collocato di esporre ogni suo pensiero, ogni suo sentimento; ed afline di sostenerlo, egli umilia colle più veementi declamazioni i nemici che egli stesso ha provo- cati. Il suo patriottismo ed il suo ereditario attaccamento ‘al partito dei ghibellini, gl’ ispirò un qualche rispetto per i militari dittatori delle città di Lombardia; e fu precisa - mente nel secolo decimoquarto che i governi tirannici in- ‘cominciarono ad inculcare a’ loro successori in Italia di ritenere alla corte gli uomini di lettere, onde valersene per ingannare il mondo. La venerazione, che questi despoti af- fettavano pel Petrarca, e forse anco il terrore della loro crudele vendetta, lo indusse a corrispondere con adula- zione alla loro adulazione. Ma l'animo suo non poteva riposar con fermezza nel suo centro; un subitaneo impul- so lo spingeva agli estremi, e si risolvea di abbandonar come veri abissi d’ infamia e di pericolo gli stessi palazzi, ‘ove poco avanti avea sperato di rimettere in vigore la moderazione e la giustizia . Il sig. Sismondi è in errore quando racconta « che il Petrarca nella sua carriera politica non cessò di essere un trovatore ; e che tutti i tiranni d’ Italia , col lusingare la sua vanità , ottennero da lui in ricompensa una vile adu- lazione, estesa talora fino al punto di condurlo a commet- tere azioni contrarie a’ suoi principi ed al suo dovere co_ me cittadino di Firenze, e come guelfo. L'impegno del sig. Sismondi di sostener nella sua storia la causa della democrazia, gli fa dimenticare che il Petrarca, e la sua famiglia è stata esìliata da Firenze dal- la guelfa fazione — che questa non propose al poeta di far ritorno alla sua patria, se non quando era giunto all’età di anni cinquanta — che i guelfi continuarono sempre a | ritenere il suo confiscato patrimonio — e che finalmente glielo restituirono solamente per l'oggetto di ottenere un gran numero di stranieri a Firenze , onde stabilirvi un’ u- TA 20 niversità sotto la di lui direzione. Il Petrarca gli ricolmò di ringraziamenti e di elogi in una lunga lettera che. egli scrisse da Padova, e di lì immediatamente se ne tor- nò a Valchiusa . Il Tiraboschi dominato da principi eda in- teressi affatto differenti da quelli del sig. Sismondi, scrive come conviensi al carattere di gesuita e di bibliotecario del duca di Modena, ed ha quindi le sue giuste ragioni per dissimulare la fierezza delle espressioni che il Petrarca usò contro il clero e contro i magnati , e per esagerare lo stesso difetto in Dante. La poesia’ amorosa, la quale sola fra tutte le opere del Petrarca leggesi universalmente , è al sommo adattata all’oggetto del collegio dei gesuiti, poi- chè ella inspira affetto ale sottigliezze mistiche , e lusin- ga quelle passioni, che snervano lo spirito della gioventù: quella di Dante per 1’ opposto produce 1’ effetto contrario, ed è bandita dalle scuole. Dall’ aneddoto che Dante fu scacciato da Verona per una sola espressione che ei si fè lecito usare riguardo al trasporto che Can della Scala nu- triva per i buffoni, il Tiraboschi conclude che se egli conti- nuò a viver povero e ramingo, deesi. imputare al poco rispetto che mostrava verso i regnanti . Quest’ aneddoto è stato conservato dal Petrarca; il quale, mentre impiega la sua fortuna ed i suoi studi a rendere più illustri i suoi contemporanei , rammenta più tosto gli errori che le vir- tù di Dante, e usa l’artifizio di frapporre il di lui nome senza distinzione con quei personaggi , le di cui opere fu- ron cagione di esser eglino posti in oblio : Ma ben ti prego che in la terza spera Guitton salati, e messer Cino, e Dante, Franceschin nostro, è tutta quella schiera, Ecco Dante, e Beatrice, ecco selvaggia Ecco Cin da Pistoja, Guitton d’ Arezzo, Ecco i due Guidi. ,, Il Boccaccio sbigottito dal merito e dalla celebrità del- le poesie di Dante e del Petrarca erasi determinato di da- re alle fiamme le sue, mail Petrarca lo distolse da questa 21 risoluzione colle gentili espressioni che gli usò, le quali nondimeno racchiudono un tuono umiliante poco compa- tibile col carattere di un uomo , il quale non professa ipocrisia. « Voi siete filosofo e cristiano , dic’ egli, eppu- re vi dolete di non essere un gran poeta! Poichè ur altro ha occupato il primo posto; siate contento del secondo, ed. io prenderò il terzo. vEgli altresì non si astiene dall’aggiun. gere « che prima dell’ età sua l’ italiana favella era un campo caduto in cattive mani, e che tuttora rimaneva da coltivare ». E questa autorità giustifica tutti 1 francesi fino a madama Genlis, per avere ripetute le parole del abate De Sade: « L'italiano idioma era rozzissimo quando il Petrarca lo inalzò all’ onore di sceglierlo per linguaggio della sua musa » Il Boccaccio era di differente opinione. Egli spedi il poema di Dante al Petrarca, e lo pregò che non volesse sdegnare di lesgere l’opera d’un grand’ uomo, il cui esilio e morte immatura gli avea carpito il serto di lauro. « Leggetela ve ne scongiuro; il vostro genio si su- blima al cielo, e la vostra gloria sì estende oltre alla terra; ama riflettete che Dante è nostro concittadino ; che egli ha sviluppata tutta la forza del nostro linguaggio ; che la sua vita fu infelice ; che egli intraprese e sostenne tutto per la gloria; e che ancor siclià tomba è perseguitato dalla ca- lunnia e dall’ invidia. Se sarà da voi encomiato , rende- «rete onore a lui—farete onore a voi stesso — farete onore all’ Italia, di cui voi siete la gloria maggiore e l’ unica spe- ranza. » Il Petrarca nella sua risposta lascia scorgere il suo dispiacere che egli possa esser riguardato geloso della ce- lebrità di un poeta, la di cui favella è rozzissima , ben- «chè i suoi concetti siano vigorosi . « Voi gli dovete vene- «razione e gratitudine , come al primo splendore della «vostra educazione, mentre io lo vidi solamente una volta e da lontano nella mia tenera infanzia. Egli fu cacciato in -bande nel medesimo. giorno col padre mio , ma questi si sottomise al-suo destino , ed impiegò tutte le sue cure in 22 allevare il suo figlio. L’ altro al contrario s’ oppose, seguì il sentiero che si era scelto, sebben glorioso, e mise in non» cale ogni altro oggetto . Se egli fosse tuttora vivente, e se il suo carattere fosse al mio somiglievole , quanto lo è il‘ suo genio , egli non avrebbe un più intimo amico di me » Questo breve estratto della citata lettera , che è resa troppo prolissa dalle contradizioni, dalle ambiguità, e dalle indi- rette apologie, è sufficénte a convincerci , che il Petrarca benchè esamini tutte le debolezze del suo proprio carat- tere e le confessi candidamente , protesta invano e ripete» lo stesso sentimento nella sua avanzata età , « che V’ in- vidia non ha mai trovato luogo nel suo cuore. » Quella: passione è rimasta sopita, perchè niuno fu bastante a ri svegliarla . Questi due uomini straordinari nel creare la lettera- tura italiana , furon guidati da un genio differentissimoy seguirono diversi sistemi, crearono due differenti linguag= ‘ gi e due scuole di poesia , ed hanno esercitato fino ‘al tempo presente una diversissima influenza. Le immagini ‘ della poesia del Petrarca sembrano graziosamente deli- neate da un delicatissimo pennello ; esse piuttosto dilet- tano la vista col loro colorito , di quello che colle loro forme . Quelle di Dante sono figure ardite , e prominenti di un alto rilievo , che sembra che quasi noi le possiamo toccare , ed in cui l’ immaginazione ben presto supplisce a quelle parti che sono ascose agli sguardi. Il Petrarca pro- cura incessantemente di abbagliare la nostra immagina- zione cogli ornamenti del suo stile , e prende in prestanza le sue metafore dai più alti fenomeni della creazione!; mentre le metafore di Dante ci obbligano a riflettere profondamente , perchè esse derivano meno dall’ attuale apparenza , che dalle più interne e fino allora sconosciute qualità di ogni oggetto che egli descrive . Invece di sce- gliere , come fa il Petrarca, le frasi più eleganti ed armo- niose , Dante spesso inventa nuove parole, e spigne'il suo 23 linguaggio a valersi di tutto per rappresentare non solo le immagini da lui create, ma i più arditi concetti, le più famigliari avventure dell’ umana natura, i vizi de’ malva- gi, le virtù degli eroi, le più astratte idee della filosofia, e i più astrusi misteri della religione. Il gusto del Petrarca è tale, che appena egli ha impiegata una parola, che anco adesso non venga scritta con affettazione dagli italiani . Da un’altra parte, benchè molti de’ termini di Dante siano andati in disuso, la sua elocuzione è sempre sorpren- dente : niuno ardisce imitarlo , perchè s° accorge che lo stile di un ardito genio creatore, appartiene esclusivamen- te a lui. Egli spesso sacrifica la dignità e l’ eleganza, e talora la re e la perspicuità; ma ciò serve sempre a presentare con più fedeltà ed energia le sue pitture , o a dar maggior profondità alle sue Lis . L’ armonia della Lou iaia. per cui tanto risalta il Rana , è meno sensibile nell’ altro poeta, ma essa non è è condotta © con minor arte . Il Petrarca si era proposto di produrre ne’ suoi carmi un concento musicale ispirato dall’ amore; mentre Dante nel passare da pittura a pittura, da affetto a ‘affetto, mirabilmente adatta i numeri e le cadenze d’ogni verso in guisa da aggiunger forza a quelle sensazioni che egli intende ni risvegliare ; e varia il suo tuono. colla stessa i rapidità, con cui egli cambia il suo soggetto . Relativamente agli effetti morali di questi due gene- ri di poesia, sì può osservare che il Petrarca agisce sopra i nostri cuori col destare le più, molli e le più dolci illusio- ni, coll’indurci ad amare un’oziosa malinconia, a nutrire il nostro spirito , e a sollevarci al di sopra di tutti gli es- seri del mondo . Dante fa agire tutte le facoltà del nostro i spirito , e ci obbliga a uliare profondamente sopra.i differenti caratteri degli uomini, e sopra la vera condizio- ne e le varie vicissitudini dell’umana vita. « Io trovo, dic’ egli, in una lettera a Can della Scala, l’ originale del mio inferno nel mondo che abitiamo ». La corona degli 24 imitatori del Petrarca dopo 1’ epoca di Léohe XxX , può attribursi all’ esempio di quei dignitari e di quegli uomi- ni saggi , i quali per giustificare la loro famigliarità col- l’altro sesso , hanno preso in prestanza il valo platonico della poesia Riza a Laura. Ma lo spirito del se- colo ha èccitate altre passioni , e Dante è quindi com- | parso infinitamente più grande del Petrarca , i di cui seguacì sono rapidamente diminuiti, mentre quelli ‘di Dante sì accinsero a scriver poemi per svegliare il pub- blico spirito degli italiani. Dante applicò la sua poesia alla storia della propria età, quando la libertà l'angnente contendeva contro la tirannia , ed egli scese ‘Alla tomba cogli ultimi eroi del medio evo . Petrarca visse tra colo- ro, che lasciarono al proprio paese la non gloriosa eredi- tà di una lunga servità . Sembra ‘ché la fortuna abbia cospirato colla natura a far risaltare tra questi due caratteri la più sensibile di- versità: riguardo a Daute, dopo aver vissuto nell’ affluen- za e nella dignità, fu cacciato in bando nel suo trentesi- mo settimo anno, ed obbligato a quasi mendicare il pane: mentre il Petrarca nato in esilio ed allevato a tenore delle sue testimonianze nell'indigenza, fu dai grandi successi va- ‘mente reso facoltoso, finchè egli si trovò in ‘gràdo' di” non dc- - cettar nuovi favori. Egli si dimostrò più pronto adi intrapren- der lunghe opere, di quello che fosse costante a mandarle a compimento. Fu per naturalé collerico ; ma' se ‘egli non di rado si lasciava traspor tare dall’i ira, apparve NATo a di- “ménticare le i ingiurie . Sembrava fitto per ‘amare e per essére amato; fu benevolo senza ostentazione; ma la' stia vanità diminuì il suo merito agli occhi ‘ dé suoi amici. Sì immaginò di esser destinato a fedolit là politica de’ prin- cipi e delle mazioni. — Andrea i patidulb: doge di Vene- ‘zia, gli scrisse — « Mio amico, spiegateci come atcada che un nomo, cui Dio ha dato 1 eloquenza è la‘saviezza per istruir gli altri a ben operare, vada sempre cambiando di 25 dimora ? La qual cosa sembra dover esser dannosa ai vo- stri studi. Noi vi rendiamo grazie po averci esortato a far la pace coi genovesi ; 3 ma ci conviene intraprender la guerra » Se la nostra risposta alla vostra studiata Îettera ‘sembra breve, attribuitelo alle circostanze de’ tempi, ih ‘esig fono da noi fatti e non parole ».. Dante al contra- rio fù, come Milton', uno di que rari individui i quali son sù ge iori al ridicolo, e la di cui naturale dignità vien esal- tata 4; ico dagli urti della malizia . Ne” suoi amici ispirava meno-commiserazione che timore, ne’ suoi nemici timore ed odio ;, ma non mai disprezzo. Senza ‘scendere a scol- parsi, si; rimetteva alla sola posterità , guardando per l' a- dempimento delle sue profezie, all’ avvicinamento della schiavitù de suoi faziosi concittadini . i olo «Taci, e lascia volger gli anni: Sì ch’ io non posso dir se non che pianto Giusto verrà di retro a’ vostri danni. Par. c. 9g. Uno può facilmente riscontrare il suo ritratto in questi versi: pre Egli non ci diceva nni cosa : Ma lasciavane gir solo guardando, sii A guisa di leon, quando si posa. > Purg. c. 6 1. Questo silenzioso orgoglio era avvalorato dal suo co- ‘stante contrasto: coll’ indigenza ; la sua collera. inesorabile accendeva il suo genio , e così continuava a scriver la ‘grand’ opera‘col gettare infamia sopra i suoi-calunniatori; iecol godere anticipatamente la speranza di una vendetta lenta; ma durevole. Essi perseguitarono' la sua memoria lungo tempo dopo la sua morte; la sua tomba fù scomuni» ‘cata; e le«sue ossa disotterrate .. Il Petrarca terminò il corso rdella: isua» vita colla riputazione di santo ; ‘peri cui il cielo operava. miracoli . È nondimeno probabile. che fosse più infelice di Dante, il quale non mai provò le angosce di un animo irrequieto e perplesso, per cui il Petrarca concepì -tlisistima di sè medesimo , e lo fece. esclamare negli ulti- mi giorni della sua vita, « Nella mia gioventù disprezzai f4) 26 | tutti gli oggetti del mondo fuorchè me stesso—nella mia virilità disprezzai me stesso — ora io disprezzo ‘entrambi il mondo e me stesso , e temo coloro che io amo. Se Dan- te e il Petrarca fossero vissuti nello stesso tempo e con’ ia corispondenza, il primo avrebbe posseduto sopra 1° altro quella superiorità che tutti gli uomini , i quali agiscono per una risoluzione ferma e predeterminata, go- dono sopra coloro i quali cadono facilmente agli ila variabili e momentanei. La Recrn4 GrovannA, Tragedia di Gro. BATISTA Marsuzi, Romano. Roma 1821, presso de Romanis. Il primo verso di questa tragedia incomincia con un modo di dire (1) il quale noi dobbiamo confessare che ci produsse subito una cattiva impressione intorno allo stile di essa. La quale impressione, quantunque sentita in vari modi da vari, crediamo però che abbia a destare in ciascu- no l’idea che l’A. abbia voluto farsi largo con la novità nel dire; il che ci sembra divisamento infelice in tutti quelli scritti che abbiano importanza nell’argomento, e difetto poi grande nelle tragedie, alle quali non basta ch’esse sian let- te, ma devono esser parlate, e ascoltate. E noi dobbiam con- fessare, per quanto il facciamo di malavoglia, che questo difetto il quale si annunzia subito, ricomparisce poi troppo spesso in tutta la tragedia, perchè non abbia a offuscave i pregi di essa, e far comparir meno bello quel bello ch'essa contiene. Egli è veramente doloroso il vedere che uno scrit- tore, il tuale non manca talvolta di poesia vera e genui- na, e che; ha de’tratti non volgari di quel vigore; dal qua- le, in oggi si giudica più che da altra cosa il merito di una (1) Ecco il sen del castello, ecco la meta, In questo regio penetral, secreta ec. Anche dall’ aver fatto rimare il verso secondo col primo, può'trar- si una prova di poco felice manìa di novità. x tragedia, e che ha saputo trovar de’versi di tanta: natura-. lezza, come questo, oh quanto i S’intende mal, di chi non s’ama, il cuore! p- 68. Che questo stesso scrittore sia andato poi a cercar de’ mo- di del genere de’seguenti, che noi accenniam per saggio, e il correggere i quali secondo la nostra maniera d’ inten- der lo stile della poesia tragica, ci par necessario : pur ti riveggo, o mia...non mia...oregina. p. 7 + +» + OVe sono io? io non sono io. p. 3o: o. come questi altri, coi venti allor mi mischierò, ed a proda l'amata nave io spingerò. p° 12. Quanta paura uscia Dai lenti sguardi, a cui cadevan sopra le pieghe della fronte! vb p- 48. Intorno a’ quali ultimi versi noi dobbiamo fare osservare all’A. che le pieghe dellu fronte possono bensi adombrar gli occhi, ma non mai cader sopra agli sguardi . Noi non avremmo certamente incominciato il no- stro esame da questi particolari, nè ci saremmo fermati so» vra essi, se non fossimo persuasi che tali modi i quali av- ventano alla prima, ed a tutti, sarebbero occorsi alla mente di chiunque avesse letta questa tragedia , ed: avrebbero forse fatto pensar troppo male del nostro gusto, se noi non gli avessimo rammentati. Noi vogliamo dunque che si fac- cia distinzione, quanto allo stile, fra la maniera di senti- re, che è propria dell’ A., e quello che ci pare essere in lui spirito di sistema, e che con questa stessa denomina- zione, noi condanniamo per falso. Ma è vero altresì, che questo spirito di sistema, nel quale si cade facilmente in tutte quelle cose, le quali non sono abbastanza ben' deti- nite, potrebbe dirsi sventura la quale minacci chiunque sì mette ora a scrivere in italiano, piuttosto che colpa, la quale sia tutta imputabile particolarmente al sig. Marsuzi. / 58 ' Poichè questo disputare intorno alla lingua, che si fa ora in tutta l’Italia, e questo dividersi in sette, impedisce ai più che lo scrivere riesca cosa spontanea, e che la lingua serva di docile istrumento al pensiero, come quella di cui sì pone in controversia l’ indole non solo, ma il nome perfino. E questa difficoltà è anche maggiore che altrove. nella tragedia, la quale rifugge per sua natura da ogni ricercatezza, e dai soverchi ornamenti, e vuole che si parli in essa lo stretto, e incalzante linguaggio della vita atti- va, e de’ grandi affari ‘e. de’sentimenti forti, mentre al contrario la letteratura italiana è stata trattata per tanto’ tempo solamente come un bello e onorato modo di oziare, e le amplificazioni e gli ornamenti del dire sono stati cer- cati in essa come la:cosa principale, e come ne fossero la sostanza. E la lingua è stata di rado fatta ministra di maschi sensi, e più spesso adoprata ad esprimere le pas- sioni private, che non le pubbliche, sopra le quali si deve pure aggirare in gran parte la tragedia, se è vero che essa debba rappresentare, secondo la definizione di Aristotele, i casi de principi infelici. E V' Alfieri, il quale è venuto sì tardi, benchè egli abbia fatto, che necessariamente deb- ba guardare in lui chiunque si pone a scriver tragedie, pure non è bastato a fissare un sufficiente numero di ele- menti della lingua tragica italiana, ne’ quali tutti abbiano a convenire; e ciò per quella certa diflicoltà di esprimer- sì, che.egli trasse dall’aver dovuto studiare l'italiano, qua- si.come, una lingua straniera, e dal bisogno ch’ ei sentia di combattere a tutta sua possa la snervata verbosità dei suoì predecessori, e forse anche dalla natura del suo inge- «gno, il. quale par che mancasse di una vena abbastanza darga; per dare un ;corso placido e maestoso ai concetti -della,suà mente. Sicchè per questo suo difetto, si teme da ‘alcuni di somigliargli quanto allo stile, mentre altri tra- ssportano nell’imitazione anche il vizio, e spesso con pre- .dilezione. Ma questa certa durezza nello stile dell’ Alfie- (29 ri, o nodosità, o stento, che: voglia dirsi; è pur. sempre maturalezza, in quanto che in lui le parole non sogliono comandare alle idee; ed è però preferibile di gran lunga a quella ricercatezza affettata, la quale nasconde i veri attori, e sostituisce spesso in luogo loro la persona del reto- re che gli fa parlare. Ma basti il fin qui detto quanto allo stile . i i Per quanto si sia disputato intorno alle unità tragi- che, ed ai vari generi di esse, non può negarsi che vi sia una certa unità necessaria, essenziale, la quale dipende dal primo concetto che,si è formato l’autore, quando si è scel- to il soggetto, ed è x) punto al quale devan convergere le varie parti della composizione, l’ idea morale ch’ei vuole imprimer negli uditori. A questa son secondarie tutte le altre unità, le quali ebbero nome.tennico e-furon discusse nelle drammaturgie, e per quanto possa esservi diversità di opinioni suì modi i più acconci a render più forte que- | sta impressione, non ve ne sarà mai che una sola sulla ne- cessità di far sì, che gli elementi onde ‘essa è composta non sian discordanti fra loro; e non vengano l’un l’altro a distruggersi. Questa condizione essenziale si ritrova più o meno nei drammi applauditi di tutte le nazioni, e di tut- ti i tempi, e nell’intenzione di tutti gli autori; e anzi che soggiacere alla varietà del gusto, pare invece che l’adem- pimento di essa dia la misura del merito fondamentale di ogni composizione di questo genere, e dell’effetto, ch’essa è capace a produrre. Li antichi ristringeano la tragedia den- tro confini più angusti che non facciamo noi , limitandola per lo più a rappresentare un fatto compassionevole. 1 mo- derni prendono più volentieri a subietto principale di essa o una situazione morale piena di contrasti, o il carattere di un uomo celebre, del quale si cerchi di indovinare ,,;e di dipingere al vivo le sfumature; talvolta anche l’ inten- dimento primario par che sia quello di mostrare i, costu- du mi, e le idee correnti in una epoca critica della storia 30 sulla quale influiscano più le opinioni, o gli interessi do- minanti in quella epoca, che non il carattere prepotente di un solo . La maniera più ovvia di porre in iscena Giovanna “prima regina di Napoli si era quella di fondar la tragedia sulle tempeste del di lei animo, di farne cioè una Cliten- nestra ambiziosa. Una regina che uccide o lascia uccidere il marito, meno spinta da un altro amore, che insofferente delle seconde parti nel consorzio del regno: è questo un carattere a cui nulla mancava per aggirarvi sopra una in- tera e vera tragedia. Ma il sig. Marsuzi ha avuto ragione. di temere, lasciandosi guidare da questa idea, di divenir troppo seguace di tanti esemplari famosi, ed anche di ac- cumular troppo orrore sopra Giovanna, porehè il drudo di ‘lei, Luigi di Taranto, non ha lasciato di sè un nome al quale si supponga attaccata ogni scelleratezza, tanto da farne un Egisto, rappresentandolo come primiero autore, ed istigator del delitto. Di qui però è venuto, che non «solamente il re Andrea, ma la regina anche e Luigi siano ridotti in questa tragedia ad esser passivi, e 1’ azione di- ‘pende, e la catastrofe succede per opera di due perso- naggi secondari, un uomo di corte, e un uomo di stato, tirano Capanno, e Niccola Acciajuoli, i quali per mo- tivi politici spingono la regina a permettere l’uccisione di suo marito. Sicchè lo scopo morale della tragedia, essendo diviso fra le passioni della regina, e i raggiri dei due ‘con- siglieri di essa, 1’ effetto generale s’ infievolisce; e siccome il carattere di Giovanna non si mostra altro che debole, ‘ed essa dal principio alla fine è dominata dalla politica di ‘Capanno, e di Acciajuoli, la tragedia si riduce a dover essere considerata secondo questo concetto principalmen- te, come una tragedia politica. E 1’ effetto generale è di- minuito da ciò, che la debolezza dei primi attori fa sì, che le ragioni del fatto tragico abbiano a cercarsi nei consigli dei secondari, il che ha reso vacillante il nostro — 31 interesse nella lettura, e ci ha impedito di prendere una decisa passione, o d’odio, o di amore; o di compassione, per alcuno dei cinque interlocutori . Giovanna annoiata dai modi rozzi, e dalle abitudini nordiche dell’ ungaro re suo marito, fa venire nascosta- mente in corte dall’esilio l'antico amante che essa prefe - riva, Luigi di Taranto. Essa vuol fuggir con lui in Pro- venza, prima che la coronazione del re Andrea fissata per l'indomani, aggravi la suggezione, ch’ ella aborriva. Ca- panno segreto autor del di lei consiglio vuol persuader Luigi fino dalla prima scena a guadagnarsi colla uccisione del re, Giovanna, ed il trono: ma questi rigetta l’ empio partito. Acciajuoli, che entrando dalla regina, vede uscir- ne di soppiatto l’ amante, lo denunzia ad Andrea. Andrea punto, più che altro, di gelosia, lo fa venire avanti a sè, in presenza della moglie, lo minaccia, e lo dà in conse- gna a Capanno. Questi si ristringe con Acciajuoli, e di accordo inducono la regina a scrivere il suo nome sotto alla lista de’ congiurati: Luigi interviene alla congiura senza mostrarsi nè affatto innocente, nè colpevole affatto. Dopo di ciò Andrea si abbocca con la regina, le parla .il linguaggio di marito amoroso, e contendandosi di ricac- ciare in bando Luigi, le promette futura concordia, pur- chè essa gli corrisponda in amorevolezza. Giovatna vacil- la, e sopraggiungendo Capanno, gli ingiunge in presenza di Andrea, e in termini misteriosi di desister dall’ opra, Capanno, e Acciajuoli si preparano a compierla senza al- tro intervento di lei. E° notte; la regina temendo che i congiurati non facciano il colpo, esce a spiare fuori delle sue stanze. Incontra Capanno, si avvede di ciò che si pre- para, vuole impedirlo, ma questi dopo di aver tentato di guadagnar di nuovo il suo assenso, la inganna, e sentendo sopraggiungere il re, la induce a ritirarsi. Esce il re, il mo- mento concertato arriva. Esso muore. Sopravviene Gio- vanna inorridita, maledicendo, e minacciando gli autori 32 x della uccisione: Luigi che stava a guardia di una porta, entra alla testa di un drappello” di, ‘congiurati . È fi Questa concisa analisi della tragedia del sig. Mi arsuzi servirà a far conoscer ch’essa non manca di un mov men! to rapido, incalzante, nè di semplicità nella esposizione nè di calorenella catastrofe; ma mostrerà altresì quel d difet- to che ci è sembrato dominare in essa, quello cioè per cui l'interesse degli ascoltatori non trova HR: dove' po! sarsi, e per cui le bellezze tragiche perdono assai del Torò effetto, per non esser tutte tivolle a una direzione fissa costante. Nè può resultare dall’i insieme una completa istru- zione morale, non essendovi fra i cinque personaggi più uno, il quale animato da uno scopo degno e sublime,‘ si a Li ri l'ammirazione, e inviti a EU o che agitato da pas sioni tiranniche e violente , predomini nel ia aborriré un vizio o. compatire a un errore. Giovanna, come si è vel duto, nè ama profondamente, nè è profondamente ambi- iosa; essa si è avvilita chiamando appresso di sè Y antico amatore, di che qual motivo più addurre quando essa vo- leva fuggire? Ed è peggiore la favola ch’ella inventa prima ad ATA) e poi.al marito, fingendo Luigi amante di una sua ancella, e quindi venuto in corte A proprio im- pulso, e senza concerto con la regina; la quale scusa è troppo al di sotto della dignità. tragica, perchè noi non abbiamo a desiderar che lA. vi sostituisca altra cosa, in una seconda edizione. Ed anche essa dice troppo di amar Luigi, il qual sentimento noi vorrenimo che mostrasse più la sua forza per la compressione, e che li spettatori lo in. dovinassero piuttosto che udirlo, svelatamente annunziato a parole con qualche offesa della decenza. Quanto a Luigi, egli è nullo affatto, egli si mostra troppo freddo, perchè: si abbia a parlar delle sue passioni, e edè, sempre un istrumentò passivo ed inutile quasi , nelle, mani de veri autori del mi- sfatto. Se I’ A. ci avesse dato il suo. parere sulla condotta i della tragedia, confesserehbe egli Stesso, che, questo Luigi, b 33 introdotto in essa per necessità storica, vi è però un per- sonaggio del tutto sacrificato. Andrea è buono, ed amante della moglie, il che nella sua qualità di marito tradito potea facilmente farlo cader nel risibile, come ha lasciato scrit- to l’Alfieri del suo Agamennone. Il qual pericolo è stato as- sai bene schivato dal nostro A. coll’attribuire a lui qualche tratto di risolutezza, la quale impedisce ch’ ei possa ‘esser mai sprezzato. Ma appunto questo carattere mite d'Andrea si convien poco con ciò che forma, o fomar dovrebbe il nodo della tragedia, come tragedia politica. Tiranno, e ti- ranno straniero, e perciò reso peggiore da più sospetti, ve- nuto da un paese lontano a prendersi come dritto patrimo- niale il governo di uomini più ingegnosi di lui, circonda- to di guardie semibarbare, di Unni, esosi per la lingua, e pei costumi: come mai avrebbe potuto un principe espo- sto a tanta avversione trovare nelle sue stesse virtù pri- vate un compenso che bastasse per farlo amare? Costretto a difendersi col terrore, egli cercava nella sua incorona- zione un mezzo per prevalere sulla regina, e tutti i prov- vedimenti che egli prende in questa stessa tragedia, dimo- strano abbastanza ch’ei si sentiva spinto dalla necessità a governar duramente: le storie contemporanee raccontan di lui, ch’ egli avea fatto dipinger sul suo stendardo il | Ceppo, € la mannaia, come per annunziar da principio i modi futuri del suo governo. Or come combinar tutto ciò quanto all’ effetto drammatico , con quella bonarietà, la quale gli è qui attribuita? (2) Ed egli è appunto alla discor- | danza di queste due facce, le quali sì ravvisano nel per- I sonaggio di Andrea, che noi vogliamo attribuire di veder | (2) L. A. che mostra di aver sentito l’imbarazzo di questa si- | tuazione, fa rendere da Andrea ragione alla moglie con questo ver- | so dei nuovi provvedimenti ambiziosi : | Sol per regnar su te, regnar vogl’ io. | Ma Andrea sì sarebbe presto accorto quanto poco potesse spe- \ rare il suo amore da questa specie di lenocinio. T. IX. Febbraio 3 34 tolto alcun che al valor dei consigli del guelfo Acciajuoli, il quale ha tanto in sè che promette un personaggio im- portante, ma poi nel corso dell’azione rimane al di sotto di ciò che si aspettava da lui. (3) Ed egli, e il suo com- plice Capanno sono peraltro generalmente ben tratteg- giati. I modi tenebrosi di una corte corrotta, tirannica, ed in sè discorde sono espressi in de’ versi tronchi, avvi- luppati, i quali vi spargono sopra un orrore ben conve- niente al soggetto. Non mancano certamente in questa composizione elementi tali, che siano atti a produrre un grande effetto; manca a parer nostro una idea dominante, che gli costringa tutti sotto di sè, e ne fissi la direzione verso la loro maggiore efficacia . Noi conosciamo di essere stati severi nel giudicar la condotta di questa tragedia. Ma nel rilevare i mancamen- ti di essa così a lungo come abbiam fatto, noi non abbia- mo voluto torre all’ A. parte alcuna di quella lode, la quale gli spetta indubitatamente per le molte bellezze ch' essa contiene. E la coscienza di ciò ci assicura da qualun- que imputazione di mal animo contro al sig. Marsuzi, nel quale noi dichiariamo di riconoscere buona dose d’ inge- (3) Se fosse completamente vero intorno all’Acciajuoli cio che ne ha scritto il Sismondi , egli sarebbe stato trattato ingiusta- mente dal Sig. Marsuzi. Ma il Sismondi si è lasciato sorprendere intorno a lui da qualche specie di prevenzione, poichè per quanto il valor di Niccola Acciajuoli non andasse disgiunto da alcune vir- tù, pure la storia della sua fortuna non è tale ch’ei possa mai es- ‘ser qualificato, come uomo puro ed irreprensibile. Il che sia detto con quel rispetto che merita questo storico così altamente bene- merito della Italia, e se questo suo concetto è falso, non dee ciò trovarsi strano trattandosi di fatti nè quali si vidde con tanta ver- gogna benedetto il vizio, e consacrato, da ogni autorità il delitto. Anche il Giannone si è mostrato parziale riguardo a Giovanna, la quale presso di lui, non comparisce colpevole. Non so se intorno a questi avvenimenti potrebbe trovarsi una testimonianza più an- tentica, e più sincera di quella di Giov. Villani- L. XI. e 50. e 8e85- \ | | Î | 35 gno, e di quell’ ingegno ch'è propriamente fatto per la tragedia. D’ altronde si sono spesso veduti ‘anche i tragici più famosi esaminar con occhio severo le opere loro più celebrate, é confessar dei difetti nella condotta chie essi non sono stati abili ad evitare; e lamentarsi della impos- sibilità nella quale si sono spesso trovati, di raggiunger quel grado di perfezione, che essi concepivano nella loro mente, ma al quale si opponevano gli angusti confini fra i quali vanno ristrette queste opere difficilissime dell’ inge- gno umano. Lai tragedia del sig. Marsuzi non manca di tratti patetici, e ne contiene assai che meritano di esser ricordati per la forza tragica. I personaggi tutti anche quando son posti in delle situazioni non favorevoli, espri- mono sentimenti tali, che non li lasciano mai cader nel volgare. Le sentenze son molte e buone, e mostrano che al sig. Marsuzi non manca quella dote principalissima, che aver dovrebbe ogni scrittore, quella di pensare, e di sentir nobilmente . E se non fosse il timore di oltrepassar que’ confini i quali convengono a questo articolo, noi potremmo appli- car tutto il fin qui detto ai particolari, facendo parte di lode, e di critica e quei vari pezzi, i quali ci hanno più specialmente colpito. Ma non possiamo fare a meno di lo- dar l'atto quinto il quale ci sembra combinato con sin- golare artifizio, e tale da dover produrre un terribile ef- fetto sulla scena. Nel cuor della notte, dentro‘a una orribile reggia, in mezzo ai due appartamenti ove vegliano da un lato la paura, e la tirannia, dall’altro la SRI, e il delitto, lo spettatore vede due cupi, ed arditi cortigiani preparar freddamente un misfatto profondamente com- binato da lungo tempo. Suona l’ora sesta, che era l’ ora di morte, e la regina, tremante di pentimento, esce a ve- “der se tutto è tranquillo intorno alle stanze del suo mari- to; incontra Capanno, e teme più che mai; vede una fiac- 36 cola accesa su di una foggia ( ch’era il levi ai congiu- rati di fuori ), e domanda ; Giov. . . + Che accenna Quell’acceso doppier? Cap. Nulla.— Giov. Sia tolto. T'’indugi?., Io stessa. ed osi? (Zo toglie ella stessa, e lo spenge.) . È spento, Cap. E’ visto. Giov. D’onde? perchè? da chi? Parla .. Cap. Regina, Non ti caglia di ciò. Taci, ed approva. Nostro è |’ oprar, come fu tuo l’ imporre; Fù .... non è più, ec. Questo pezzo è è vera tragedia. Ma dopo di ciò Capanno non può più ragionevolmente ingannar la regina, facen- dole credere di aver rinunziato al misfatto. E quando es- sa, sentendo sopraggiungere il re, si ritira, e lo lascia a morte manifesta, per quanto parecchie cose possano dirsi in difesa di questo partito, noi non troviamo da liberare il suo carattere dalla taccia di una soverchia irresolutezza. Qualche dubbio potrebbe anche muoversi sul modo con cui l’ A. ha immaginata l’uccisione di Andrea trafitto nel tempo stesso da persone appostate dietro la scena, e da Capanno che fino allora era sugli occhi agli spettatori. Ma noi non vogliamo soffisticare intorno a ciò, riconoscendo la difficoltà che vi è quasi sempre a combinar la cata- strofe in modo, che resti agevole agli attori di eseguirla con una evidenza che persuada, e che produca il suo effetto. Daremo fine a questo articolo riportando due passi, i i quali facciano giudicare ai nostri lettori della maniera di scrivere del sig. Marsuzi. Nella scena 3. dell’atto terzo, che è quella della congiura, Acciajuoli ha proposti de’mo- di cauti. Luigi non vuole adoprarne che degli arditi. Luigi. Tradire. Vincer, domare, opprimere si vuole, E non tradir..... . + Ai più concesso dunque Panirlo sia, ma a forza aperta. Mentre N’ andrà doman nel maggior tempio a porsi rape * Non sua corona sul reo capo; quando A lunghe tratte si mesca la calca Entro confusion torbida, ai nostri Daremo il cenno dell’assalto ; i ferri Si traggano dai manti: altri il tiranno Trafigga, altri i seguaci, e un punto sia Assalire, ferir, svenare. E” nostro Il popol tutto; e se verranno all’armi Questi stranier, che sono a noi minori, Fuor che in baldanza, ed unione, in tutto ; Come al suonar del vespro di Palermo, Il combatter fia corto. Acc. Un gran cuor mostri | Non senno, o giovin troppo. A forza aperta, O molti, e certo è il traditor fra molti. O son pochi, e non bastano. Ti affidi In corrotta , servile, instabil plebe ? Pognam questi sien vinti, e qual fia schermo Contra gli altri Unni poi, che inonderanno Ingordi d’oro, e di vendetta, il regno? Guerra è lor arte, e fra i cavalli, e l’armi Cresciuti, dai lor padri hanno in retaggio Le reliquie dell’ itala rapina. Lor terran fronte i guerrier nostri . . ec? Nella scena 1. dell’atto 4. Andrea lamentandosi ad Acciajuoli, ch’ei crede fido, che il nuovo regno gli abbia fruttato di viver sempre in mezzo a sospetti, sospira la Lg ch’ egli ha lasciata, e il viver quieto in mezzo ai And ...O dei lontan disio. Patria, quanta aria, quante acque, quante alpi Son fra noi poste; un ciel nubilo, e greve Ma riposato vivere sereno E' sempre in te;.. .. Teco restò la pace mia..O dolente Memoria, e cara! o madre, amata madre, Che pianto il volto ti rigò il dì ch'io Fea la mala partita! Intorno d’alto Romor di servi a diverse opre intenti, Di strepito di carra, di nitriti Di destrieri, di sibili di sferze, 38 ) E di tumulto familiar, la corte Romoreggiaya della reggia; A tardi Passi sorretta da ftebili ancelle Sui gradi del vestibolo discese La venerata regnatrice. Stette Ogni romore al suo apparrir, sommesso Scorse un bisbiglio, e si converse in pianto. Fra gli amplesi iterati, e fra le miste fa alterne , in prolungar l'estremo Bacio di madre, fa, diceami, o figlio, -Pria che questi occhi ottenebri la morte, Fa ti rivegga . .. il cor qui se le strinse . : ec. Ci resta da esortare il sig. Marsuzi a progredir nello scriver tragedie, ed a cercarne degli altri soggetti nella no- stra antica istoria, che n’ è si ricca . o: Poesie e prose del cav. Lui LamsertI Reggiano , Milano; Silvestri 1822, un volume in 16. Il raccoglitore di queste coserelle del Lamberti fa loro precedere una breve notizia della vita di lui, tratta da quel comodo magazzino , che ha per titolo biografia uni- versale (1 ) , ove sì dice che l’ opera sua più importante è la greca edizione d’ Omero, famoso monumento , ad un tempo , dell’ ingegno Vr del Bodoni. Noi non ab- biamo che replicare al giudizio pronunciato nella notizia; ma ci è lecito, parmi, un atto ammirativo ,, pensando al- l’accorgimento con cui sì è qui presentato. Chi vorrà più leggere le prose, e specialmente le poesie d’ uno scrittore, il quale, per tacito avviso di quel medesimo che le ristam- pa , non ebbe maggior merito che di buon gramatico ? (1) E osserva lettore, come d’ uomo lombardo , vissuto in Milano forse vent’ anni e qui morto, si ha bisogno di ricevere da Parigi un cenno biografico, onde sapere ciò ch’ egli fece pocanzi. a noi, 39 Questo, per verità, fu in Lamberti non comune; e chi non sa più che tanto nè del suo Omero, nè delle sue Osserva- zioni sopra Omero ( che sono in molta parte i documenti relativi alle lezioni da lui prescelte per la sua edizione dell’epico greco) sa delle sue aggiunte al Cinonio, il che gli basta. Ma pur troppo gli studii grammaticali, che per alcuni pochi non riescono disutili all’intelletto, facendo loro scor- gere meglio le fonti e le analogie delle idee , smorzano il calore dell’ immaginazione , opportuno al prosatore e più che necessario al poeta . Dissi smorzano , essendosi pur dato il caso d’ ingegni fantastici, cacciatisi almeno ad tem- , pus nelle gramatiche, siccome il nosiro Alfieri, che già a- dulto volle sapere di greco, di latino e d’ italiano quello, che non avea appreso nella sua sventatissima gioventù . E potrei citare , come più gran meraviglia , il vecchio e cieco Pougen3 , “ee fa glossarj spaventosamente dotti e romanzetti a leggersi molto piacevoli. Ma, in generale, è verissimo che chiunque si elegge înel vasto campo della letteratura le occupazioni dei gramatici non è destinato a scrivere—cose che non sieno gramatiche — poichè tutti i trattati elementari possono portare questo nome. E ricor- domi che nella mia adolescenza correva per le mani fan- ciullesche una gramatica geografi ca (2) ed una grama- tica universale delle scienze, a cui poscia si sostituirono corsi, trattati, enciclopedie, dna sono pur sempre g gramati- che . Questo dico , perchè nessuno mi opponga nè i sa- pienti di Porto reale, nè i Du Marsais, nè i Condillac, nè i Tracy . Sebbene , l’ opposizione sarebbe affatto fuor di proposito , poichè quei signori ebbero di mira tutt’ altro che gramatica , non trattandola che incidentemente , pel suo legame coll’ altre parti dell’ istruzione giovanile , o (2). Recentemente pure è uscito a Londra : The British em- pire in 1822; being a popular grammar Sf british geografy in the four quarters of the world di quel sig. Goldsmith, che qualche anno fa publicò una gramatica di geografia rase: jo coi progressi dell’ umano pensiero. Obbiezione più vera potrebbe trarsi dall’ esempio del nostro Monti, che, dopo avere sostenuto molt’ anni il primato del Parnaso italiano, da qualche tempo sembra che non aspiri se non al vanto di riformatore lessicografo . Ma, chi ben guardi , il Monti nella sua proposta è per un terzo ancora poeta; per un al- tro terzo è filosofo , che indaga le ragioni universali del parlare , e i diritti di tutti gli italici ad una lingua comu- ne; e per quel terzo che propriamente è gramatico ; lo è come il coreografo è danzatore , come l’ architetto è fab- bricatore di case o di palagi . Lamberti invece deve dirsi principalmente e quasi unicamente gramatico ; non solo perchè le sue opere più pregiabili furono gramaticali ; ma perchè anche nell’altre il meglio, che si trovi, è ordina- riamente la gramatica—eccetto il gelo mortale di questa, che non dovrebbe avervi luogo . È Quanto alle sue poesie la cosa è troppo sensibile, e , credo anche troppo nota, perchè vi si spendano parole. Io, veramente, non mi ricordava di aver letto fra esse al- tra poesia chè, quella intitolata è Cocchj , la quale com- presi poi come il fosse la prima volta che mi venne alle mani l’ Ippolito coronato d’ Euripide. Lamberti. giovane si trovò in Roma , quando il giovane duca Lante cadde d’ un phaeton o d’ altro carrozzino alla moda, e pagò col- la vita uno de’ gusti più perdonabili ai pari suoi, che dal- l’ educazione non ne ricevettero altri migliori . Obbligato ad essere poeta ; perchè più o meno in gioventù lo è cia- scuno di noi; perchè in collegio , quando ancora non sap- piamo fare una lettera, sappiamo accozzare de’ versi; per- chè forse egli era uno de’ pastorelli d’ Arcadia , ove si saranno recitati in suono querulo monologhi e amebei sul caso funesto ; perchè come gramatico avea studiato o stu- diava i poeti delle due lingue dotte e della nostra indotta, che perciò si chiama volgare; Lamberti uscì fuori col suo: Pera chi osò primiero 4a | F'idato a briglie e a mal sicuro ingegno Dell’ indocil destriero. Aggiogar la cervice a debil legno, che sarebbe cominciamento veementissimo (3), ove altro vi si sentisse che la virtù delle reminiscenze , Voi già (se la voce rauca del buon Fidenzio non v’intronò invano le ancor tenere orecchie ) avete qual- che. pratica, lettor mio caro , del: vostro Tibullo e del vostro Orazio; e però non ve ne dico di più. Ma può pia- cervi d’ intendere come fu continuata l’ ode dal nostro Reggiano . Qual bravo ellenista, latinista, purista o poeta arcade , ei sapeva come si componevano spesso le odi da quel di Tebe , da quel di Venosa e dal loro imitatore di Savona. Bisogna confessarlo: quella mitologia—-oggi quasi più di nessun uso era pei poeti un gran bel comodo. Prima di tutto essa era poesia bell’e fatta , lasciando ap- pena la fatica de’ versi a chi volea adoperarla; poi serviva mirabilmente per tirare avanti ogni volta che non sapeasi che dire. Questo parve il caso del nostro Lamberti , o re- almente non vi fosse nulla, o egli non trovasse nulla da cavarne una mezza dozzina di strofe . Dunque: mitologia aiutami, proprio alla chiabreresca , all’ oraziana, alla pin- darica. Se non che l’ adagiarla nel componimento , e il ben verseggiarla è sempre cosa che dà qualche pensiero; e nell’occasione, di cui si ragiona, Lamberti dovea sentirlo più grave, poichè avea cominciato il cantar suo sopra un tuono alto, a cui non era avvezzo. Or eccogli un soccorso inaspettato , per cui avrà a fare poco più che tradurre . Fra gli altri dell’ antica razza eroica (da cui sempre; giu- sta i buoni canoni, derivar si debbono di preferenza i poetici esempi ) fra gli altri, dico, di tal razza precipitati - (3) Veementissimo diciamo quanto alla forma , non quanto alla sostanza ch’ è frigidissima ; dacchè il gran colpevole, contro cui si scaglia l’ imprecazione Jlambertiana , perì (vogliamo sperare non di morte violenta ) chi sa da quanti secoli . fa da cocchi, e periti infelicemente nel più bel fiore dell’età, nessuno più celebre del figlio di Teseo. È vero ch’ ei non fu balzato per poca pratica del guidare o altra ordinaria cagione, come il povero duchino, il qual correva poc’ an- zi sue. giù fra.il palazzo di S. Marco e porta del Popolo ; mia l’ orribil toro, spintogli incontro da Nettuno fuor del- l’onde saroniche, gli spaventò i destrieri., onde s° adempì contro di lui 2° irnfazsto voto paterno. Non importa : am- bidue rimasero uccisi cadendo dal cocchio, e qui non trattasi che di poter dir male de’ cocchj. Altronde io non voglio rinunciare all’ opportunissima descrizione del mes- so , il quale narra la morte d’ Ippolito nella tragedia di que- sto nome in Euripide, preferibile e perchè. greca , e per- chè di prima mano a quelle imitate, che si trovano in Ovi- | dio e in Seneca il drammatico. Via via la cosa è fatta: io metto in endecasillabi e settenari rimati quei giambici i che più mi accomodano del testo greco , e la mia ode va alle stelle . — Infatti, o la stampasse egli allora, o sol- tanto la recitasse , gli encomi de’ grecisti ed altri intelbi- genti, dovettero assordarlo. E anche i non grecisti, e non intelligenti, per quell’affetto, che nell’anime ben temperate produce sempre ogni lampo di vera poesia , avranno pa- gato il loro tributo di plauso al genio d’Euripide, credendo pagarlo all’autore dell’ ode. Qualche galantuomo frattanto un po’ meno facile a lasciarsi sedurre avrà detto : che giu> dizio è quello del sig. poeta di far differenza fra un cava- lierotto , che sbizzarrisce sul corso in un carrettino ‘pom- poso, e si ammazza; e un povero ragazzo, che fugge da Trezene ad Argo, poichè il padre lo minaccia e la matri- gna lo perseguita ( non volendo ritenere del racconto’ mi- tologico se non quanto è credibile ), e per improvviso ter- ror de’ cavalli è rovesciato dalla. sua misera biga , e con essa, fra 1 sassi della spiaggia marittima ; fatto a pezzi? IL’ uso e l’ abuso de’ cocchi ; un infortunio cercato e uno fatalmente incontrato , non andavano confusi; e se Parte 43 de’ poeti è questa di tutto confondere , l’ arte de’ poeti è una cosa ben pazza . So che gli sì sarebbe potuto rispon- dere: la passione non distingue, non ragiona; e la passione è il vero stato poetico dell’ anima , la vera essenza della poesia . Se non che egli avrebbe replicato : qual passione supporre in uno scrittore , che mi salta a piè giunti l’og- getto che deve averlo sommamente commosso, per bal- zare ad Enomao e a Troilo, e fermarsi in Ippolito? — E a voi, lettore, non isfuggirà certamente questa singolarità, che il povero Lante non è dal Lamberti nella sua ode pur nominato; che da lui non si accenna verun fatto, on- de mova il suo poetico sdegno; sicchè, ove non ci chiaris- se l’ ancor fresca tradizione, mai non indovineremmo a che proposito ei si fosse tanto riscaldato contro i cocchj (4), sembrando pressochè ridicolo un sì improvviso trasporto, per la sola rimembranza degli antichissimi casi ch’ egli compiange (5).— Non avea dunque ragione quel siffatto, a cui andò a presentare a Parigi il suo Omero, di dirgli ciò che gli disse, riguardo al non occuparsi che di vecchie avventure e di favole, consigliando lui — e consorti — a prendersi pensiero di cose vere ?(6) In un lungo componimento di ottave (lasciando gli (4) Tibullo (elegia X , lib. I.) grida contro l’ invenzione del- l’armi e la milizia , perchè sforzato ad avvolgersi fra i perigli di Marte, quando vorrebbe godere gli ozii delle Muse ; Ora- zio (ode III, lib. I. ) detesta la navigazione, ma per tema che riesca fatale al suo caro Virgilio , il quale veleggia alla volta di Atene . — Fino l’ ode contro l’ aglio (la 3 del libro V.) ha il suo motivo pungente e presente . — Così la passione appare verosi- mile, sed ha. forza ciò ch’ essa detta . (5) La pacata natura del Lamberti non ci lascia credere di lui niente. di somigliante a quello che ci racconta il Sacchetti del suo Coppo di Borghese, che per una storia letta nel Tito Livio sali in tanta furia, che mandò al diavolo fino i manovali, che gli muravano la casa rimpetto a’ leoni , ove ora in Firenze è la zecca. (6) Veggasi la notizia premessa, a queste poesie e prose . k4 ì altri leggeri o di circostanza ) in cui Lamberti ebbe il buon senno di celebrare l’ opera più benefica di un re- gnante oggi ancor vivo, la popolazione di Santo leuce (7), due volte particolarmente ho creduto ch’ ei si sollevasse dal suo solito nulla a qualche cosa di profondamente sen- tito, quando cioè diede segno di slanciarsi in sull’ oceano dietro il. naviglio , che trasportò in America Gulielmo Penn; e quando si fece a maledire la tratta de’ negri , contro cui Pitt, dietro le proposte del virtuoso Wilberfor- ce, facea sentire ad un tempo nel parlamento brittanico una voce eloquente, di cui il congresso di Vienna dovea - un giorno verificare i presagi e coronare il trionfo (8). (7) Fondata nel 1773 da Ferdinando IV. di Napoli, il quale ne fe- ce in seguito pubblicare in proprio nome la storia e i regolamenti. (8) L° accademia francese, nella sua seduta publica dei 24 agosto dello scorso. anno, ha destinato una medaglia d’ oro del valore di 1500 franchi, in premio del miglior componimento poetico (in lingua nazionale già s’ intende) sull’ abolizione della tratta de’ negri, che nel 1823 le verrà presentato . Se non che sventuratamente l’ abolizione è piuttosto ordina- ta che osservata. Le coste occidentali dell’ Africa sono tuttavia frequentate da crudeli mercanti, la cui maggiore circospezione, in grazia del pericolo che corrono come contravventori alla leg- ge , è una sciagura di più pei miseri che rapiscono sulle loro navi. Quel venerabile inglese , che dal 1787 al 1806 mai non cessò di riproporre annualmente dinanzi ai rappresentanti della sua nazione un atto di giustizia, che primi in Europa essi alfine decretarono, ha ultimamente diretta una lettera eloquentissima al- l’ imperatore Alessandro, perchè interponga il suo potere a pieno eseguimento di ciò che, riguardo alla tratta, fu da lui sancito cogli altri sovrani europei nel congresso viennese . Nessun poeta , che prenda a soggetto de’ suoi versi quello proposto dall’ accademia francese, vorrà certamente dimenticare la commovente perseveranza dell’ ottimo e sempre onorando Wilber- force ; ma un . poeta italiano dovrebbe pur ricordarsi che quel Leon X, onde ha nome il secolo più brillante della nostra let- teratura, fu uno de’ più vecchi e più acri nemici dell’ oltraggio fatto , nelle persone de’ negri , alla comune fratellanza di tutti gli nomini . 45 Oh!se Lamberti avesse avuto anima capace di forti com- mozioni , quali dovrebbe provarle il poeta, destinato ad abbellire colla magia de’ versi, e a far sentire potentissimi tutti gli affetti più generosi Sa umani; se Lamberti non fosse stato privo d’ anima affatto, noi conteremmo almeno cinque o sei ottave da citarsi , per mostrare che non sì ristampano a caso le sue poesie . Invece ne è forza con- fessare che , ad eccezione di qualche frasetta, o se vuolsi anche di qualche strofetta, o altra divisioncella di diverso nome secondo la qualità dei metri (9), in esse non è pro- priamente nulla, di cui non dobbiamo vergognarci sen- tendone menar vanto . E già l’ istessa squisitezza della fra- se, onde i più odore nti il Lamberti, è cosa molto noi a contradizione . Che le parole , da esso accolte ne’ suoi versi, sieno tutte passate pel legislatore buratto, nol vorremo contrastare ; che sieno ‘tutte ben scelte, ben appropriate, e specialmente armoniose e poetiche, ecco ciò che con migliaia di prove potremmo negare (10). (9g) Come la prima quartina del sonetto al sepolcro del Petrarca : 4 « Vate gentil, che ne’ tuoi tardi giorni, Dopo un lungo vagar di terra in terra, In questi alfin venisti ermi soggiorni La pace a ritrovar d’ ogni tua guerra . ,, (10) Erecheremmo queste prove, se il frutto ne compensasse il fastidio - Ma basta bene che manchi alle rimate inezie, di cui si parla, quello spirito poetico , il quale solo potea farle vivere, perchè sembri vanissima impresa il volerle risuscitare dall’ oblio, in cui caddero appena nate . Purezza di lingua, aggiustatezza di modi , ed altre doti che il Lamberti non ha; valsero forse a mantenere in fama di poeti Ghedini, Lazzarini , Zanotti , Rolli, Rosamorando , Tartarotti, e nemmeno Manfredi, a cui fu s} lar- ga l'ammirazione de’ contemporanei, e non può mancare del tutto la stima de’posteri ? Molti altri nomi potrei citare, che non val- gono i primi, e che tuttor si pronunziano dalla plebe degli studiosi intorno alle più basse falde del Parnaso, ma che ben ‘presto giaceranno in eterno silenzio . Gli editori di cose poetiche facciano preventivamente i loro conti . 46 Quindi si argomenta , senza bisogno di pure udirlo da noi, che anche l’ artificio della sua versificazione deb- b’ essere assai meschino. Appena infatti si distingue esso per certa dolcezza in qualche componimento di genere umile, massime imitato dal greco o tradotto. E già le ver- sioni del Lamberti sono, fra le sue poesie, le uniche a cui si convenga questo nome (11). Esse però (non favellando ora d’intrinseci pregi; ma solo di quelli che si rilevano più immediatamente per via dell’ udito) trovansi ben di- suguali fra loro . Perocchè ove trattisi, a cagion d’ esem- pio, di qualche idilio di Teocrito o d’ altro bucolico, siamo quasi sicuri d’incontrar versi facili e soavi , se.non di quella soavità, che tanto ci alletta nel Gessner del nostro Maffei, di quella almeno , di cui avrebbe potuto compia- cersi il candido autore delle canzoni pastorali. Ma quan- do il Lamberti ci traduce i canti militari di Tirteo, 0;al- cuna cosa di Pindaro o di Simonide, allora vien meno al cimento; e il fuoco di que’ poeti squagliando , per così esprimermi, il loro ghiaccio , si estingue. Noi non voglia- mo lamentarci dell’ editore , che ci abbia risparmiato nel- la raccolta il volgarizzamento dell’ Edipo re di Sofocle. Ma poichè la ragione, ch’ ei neadduce, è l’ avere il Bellot- ti recato questa tragedia nella nostra lingua con miglior arte che il Lamberti, potremo domandargli , perchè non ci risparmiò anche l’ inno omerico a Cerere, ben più ele- gantemente tradotto dal Pagnini e dal Pindemonte , o il nido degli amori del cantore di Teo , assai più graziosa- mente raccolto sulla loro cetra da altri italiani? Anzi, giac- chè il vediamo su risparmi, ci permetterà di meravigliarci d’una specie di prodigalità non attesa , quella d° inserir due volte nella sua raccolta gli stessi componimenti, cioè l’ ode di Erina alla fortezza, applicata a Roma nelle poe- sie originali; e l’epitalamio d’ Elena di Teocrito, applica- (11) I Cocchj ho detto più sopra ch° io li riguardo come una specie di traduzione . 47 to a nobili nozze fra quelle poesie medesime , corì lievis- simi cangiamenti. Fu il Lamberti certamente miglior prosatore che poeta; ma più per castigatezza e decoro di locuzione che per altre doti . L’ editore chiama eloquente un discorso di lui intorno alle umane lettere (ch’ è la prima delle prose di questa raccolta) ; benchè in esso, a dir vero, voi non troviate che quell’ eloquenza , di cui brillavano dà un se- colo tutte le orazioni inaugurali de’ nostri professori di retoriche; gli stessi pensieri, le stesse figure, e tratto trat- to le stesse puerilità. Ne distingueremo, peraltro, la con- chiusione , ove incontrasi un parallelo fra la Grecia anti- ca e l’Italia al principio di questo secolo; da cui appari- rebbe che non mancassero alla seconda , oltre i privilegi della natura, molti di quelli della sorte, per cui le lettere crebbero sì splendide e vigorose nella prima; parallelo da non guardarsi rimpetto a quello fra la Grecia medesima e l’ Italia verso la metà del quattordicesimo secolo, onde incomincia il quarantesimo secondo capo delle repubbliche del Sismondi; ma pure scritto con qualche non solita vi- vacità. In tutto il rimanente del discorso non si esce una volta dai luoghi comuni più ordinari, onde provare la bon- tà e la necessità degli studi delle lettere gentili. Ma poi- chè una classe d’ uomini , degna per ingegno di sentirla vivamente , pare che pochissimo vi rifletta , onde sì veg- gono più che mai orride non che rozze quasi tutte le scien- tifiche scritture (12); citeremo fra que’luoghi comuni un (12) Non per Jusinga ma per. giustizia noteremo che alcuni toscani, di cui ci piacerebbe recare i nomi, se l’ Antologia non gli annoverasse fra quelli de’ suoi collaboratori (mentre ciò scri- vevamo l’ egregio Petrini era ancor fra vivi) mostrano chiara- tamente di ricordarsi che Galileo ed il Redi credettero il bene scrivere opportuno compagno al ben pensare. Risucitando l’ e- sempio: di quei, grandi, essi potranno meritare non poco di tutta Italia, a cui fra l’inondante barbarie non bastarono poche pagine 48 passo, che può:dirsi racchiudere dottrina-tuttavia non comu: ne. « Pallade, ne avvisa il Lamberti, rappresentataci dagli antichi , siccome Dea del sapere ; quanto sdegnava di por mano ai profumi e agli unguenti, e di farsi specchio degli oricalchi od anche dei limpidi fiumi, altrettanto bramava di coltivare i biondi capelli con 1’ olio della sua pianta di- letta, e di costringerli con un pettine tutto d’oro ; ed osò pure concorrere di bellezza colla stessa Vende! per le quali i imaginazioni si volle, cred’ io , significare chue" se la vera sapienza ha da sfuggire i troppo studiati e togioli ab- bigliamenti ; essa però non dee presentarsi in un vestire rustico soverchiamente ed inculto , ma sforzarsi di com- parire avvenente, e di allettar l’ animo e gli occhi di tut- ti con qualche semplice e dignitoso ornamento . » Chi di ciò non fosse appieno persuaso , faria pur bene di leggere i primi capitoli del trattato dello stile del Pallavicino, ove, s’ egli ha punto di gentilezza nell’animo, quello, di che il lasciassero dubbio gli addotti argomenti, gliel proverebbe efficacissimamente l’ esempio dello scrittore. Viene appresso al discorso, di cui pur ora si ragionava; la celebre Zettera, che uscì già col greco nome di Cleva- ste Parresia (13) agli autori d’un giudizio sopra alcune opere italiane , intorno alla quale schiveremo di tratte- nerci, essendone ancor fresca di tanto la memoria; che o- gni breve motto potrebbe risvegliar liti appena sopite. Di- remo soltanto di essa, che ci pare fra tutte le prose del Lamberti la. più ingegnosa, e , come d’ uomo che per la prima volta forse in sua vita-scrive adirato , la più friz- zante; se non che ferisce , per avventura fuor del segno di Palcani 6 qualche libro di Spallanzani , perchè i suoi scien- ziati si vergognassero di sapere ogn’altra cosa, fuorchè esprimere convenevolmente quel che sapevano . (13) Che a noi suonerebbe ( vedi giudizio ancor più scarso Sla cortesia ! ) libero derisore . i. 49 da lui propostosi, ond’egli anche oggi fra molti plus invi- diae quam laudis habet. Succedono i piccioli articoli , che già si lessero con più o meno piacere nel Poligrafo, giornaletto, come o- gnuno sa, compilato da letterati un po’ litigiosi, che Lam- berti peraltro lasciava combattere, godendosi più tran- quillamente il regno, che con loro insieme si era arrogato. Osserveremo ( poichè qui se ne offre occasione ) in propo- sito di un articoletto ultraerudito sovra un passo di Ero- doto , che la questione intorno all’.oro bianco, ond’ erano composti per la più parte i semiplinti o mattoni offerti da Creso al tempio di Delfo , è stata molto probabilmente definita dal cav. Mustoxidi , il quale, nelle sue note al primo libro del padre degli storici, reca a lungo le ragio- ni, per cui crede quell’ oro misto all’argento, lasciando a parte l'ipotesi del platino, la quale non sembra aver bastevole appoggio. L’ articoletto intitolato Morale, come tratto dal comento di Wieland alle satire ed epistole di Orazio , vuole esso pure venir da nvi ricordato, onde pre- gare alcuno fra i molti cultori della letteratura alemanna, che oggi sono in Italia; e specialmente in varie parti della Lombardia e della Venezia , di far conoscere un tal com: mento (14) ai tanti che ne vivono desiderosi; ciò che di- spenserà i nostri retori e i loro eredi dallo stampare altre meschinità scolastiche sugli scritti più originali di un poeta , che non ammette per giudici ed interpreti se non i filosofi e gli uomini di mondo, fra i quali soltanto è pos- sibile di trovare gli uomini di vero gusto. Lamberti non ha nell’articoletto, di cui parliamo, quasi altro merito (14) E quello pure sulle epistole di Cicerone, riordinate crono- logicamente , di cui parla nel n. XXIV della nostra Antologia il se rone Ugoni, ragguagliandoci di quanto si va stadio e stampan- | l’antichità. T.IX. Febbraio 4 | sen vil Miogna d’altro che dell'udito nelle slo sui cn e sul-, | 50 che di un’ elegante versione; dico elegante, avuto riguar- do alla nostra general consuetudine di’ scrivere; aliena, pur troppo, non che da ogni eleganza , dalla gramaticale esattezza. Poichè, quanto a spirito e proprietà. della; lin- gua, il Lamberti stesso deve. sembrarci molto addietro , solo che si voglia far confronto d’ una parte dell’ articolo, qual è la favoletta che il compie ; con alcuni passi analo- ghi o del Sacchetti o del Firenzuola o d’altro de’ classici toscani. Di che si caverà quest’ utile avviso , che nessuno studio deve mai reputarsi bastante, per conseguire quel- l’atticismo , il qual si sente più che non possa dirsi ove consista , e da cui ricevano infinita grazia le cose dome- stiche e usuali, come le nobili assai maggiore bellezza. E chi potesse ( vo io ripetendo a chi soffre di ascoltarmi per queste spiaggie ove Alboino si fermò co’ suoi) nella prima. gioventù vivere alcuni anni colla gente più spiritosa del popolo e massime del contado di Firenze, ne tornerebbe forse, nel proposito di cui sì ragiona , vie meglio ‘istruito che da lunghissima attenzione posta ne ‘libri( 15). Perocchè quel sentirsi continuo nelle orecchie i più casti, i più e- spressivi, i più gentili modi del dire, che oggi sienonisati al mondo; quel poterli applicare, senza pericolo di errore, che rado si schiva leggendo, ai veri oggetti a cui si rife- riscono , deve operar si che in poco tempo si acquisti un | tal senso pratico della lingua, distintissimo dalla cogni- zione teorica, e più prezioso di essa in quanto che nessuno studio può supplirvi abbastanza ; senso squisitissimo , cui | (15) Simile cosa (perchè nessuno si meravigli della mia opi- , nione) fu pronunciata dall’Alfieri, che non isdegnò prendere a mae- ‘stre della lingua le villanelle di Val d’Arno. Confesso di aver porta- to in Toscana opinione ben diversa, e combattuto per essa ragio- rando finchè ho potuto; ma ascoltando fui. costretto di cangiarla- Del resto non pretendo che da un mio fatto particolare si deduca veruna regola generale; e desideroso che si studi da tutti la miglior loquela, appena ardisco dire come io credo che più sicuramente possa impararsi . 51 offenderebbero vivamente, senza potergli nuocere , le im- proprietà degli uomini dotti anche toscani, per non dir nulla delle bestemmie, come le chiamava Machiavelli , de’ dialetti lombardi , onde risuona generalmente quanto basta il nostro più corretto italiano. ° Io parlo per ver dire Non per odio d’ altrui nè per disprezzo. Brio e maestria di comporre, non che sapore di lin- gua, mostra il Lamberti nel dialogo ; che ha per titolo il Genio e le Regole; secondo ed ultimo ‘de’ suoi combatti- menti pro aris et focis, e quindi secondo ed ultimo dei suoi scritti alquanto risentiti. Più vivaci dialoghi, certa- mente, in materie anche meno vive offerì Vr volte ai lettori un giornale più recente del Poligrafo , la Bibliote- «ca Italiana (16); ma questo pure è da tenersi in pregio, come bell’ esempio di quella maniera socratica, la quale di contradizione in contradizione conduce l’avversario a non aver’ più che rispondere, e a doversi dare per vinto. Quanto alla sostanza, non potendolo chiamare nè molto filosofico nè molto profondo; il loderemo almeno di saviez- za e di gusto sincero. Egual lode non ci è lecito attribuire ‘all’ articolo intitolato Poesia latina scritto per officiosità © per amicizia, 6 più probabilmente per altro impulso, non per amore benchè minimo di verità. Dall’ avere al- cuni greci sapienti ridotto , per maggiore efficacia, in pochi ‘versi a tutti intelligibili i precetti. morali e le leggi nella loro epoca molto semplici ; come mai potea venirne che il professor Gagliuffi , riducendo in versi latini gli artico- li del codice napoleonico , facesse cosa egualmente utile e ‘commendevole ! Per me non avrei commendato il ridurli in versi volgari ; tanto la moderna legislazione parmi a- ‘borrire dal linguaggio delle muse. Che dir poi dell’ avere ‘aggiunto alle difficoltà della versificazione quelle di una C) (16) I dialoghi del cav. Monti, 5a lingua da tanti secoli non più parlata, onde travisarli del tutto e renderlì enigmatici? Veggasi , infatti, se per nes- suna forza d’interpretazione o d’ingegno, atrat vo: Lasa distico: ì Lex quae caesareo resplendet publica nutu ti Ilicet est omnes vincere certa plagas, d cavarsi il senso del primo articolo del codice: « Le leggi hanno esecuzione in tutto questo territorio , in forza della promulgazione fatta dal re? » ovvero se in quest’ altro Quam Caesar celebrat , provincia tota videtur Post prope venturam lucida facta diem, riescasi ad intendere che: « La promulgazione fatta dal re dovrà ritenersi conosciuta nel dipartimento, in cui risiederà il governo, un giorno, dopo quello (17) della - promulgazione? » Che il sig. Gagliuffi molto af- fezionato alla lingua del Lazio, si divertisse .a trovare in essa modi poetici più o meno atti ad esprimere ' concetti del legislatore, spendendovi forse quel tempo, che altri avrebbe dato al giuoco o al diporto, non è per noi soggetto nè di censura nè di ammirazione. Che il cav. Lamberti credesse ciò ottimo ed utilissimo consiglio, e si persuadesse che i versi di quel professore potessero esser (17) Qui nella stampa silvestriana è corso errore, leggendosi quella invece di quello. Il Lamberti, per assicurarsi quanto più fosse possibile dell’ esatta correzione del suo Omero, voleva ch’esso portasse impressi in calce i nomi di quanti vi aveano cooperato nella tipografia del Bodoni; ciò che questi mai non gli consentì. I nomi de’ correttori, peraltro, saria pur bene che si aggiugnessero în ogni libro a quello dello stampatore (supposto che ogni stampa- tore adoperi correttori ) onde avere’, come parmi che si esprima Brunet nel suo manuale librario, un doppio pegno di scrupolosa precisione, l’ onore e l’ onoratezza. Egli cita due edizioni di Enrico Stefano, che danrie l’ esempio di un costume, che ciascuno vedreb- be volentieri universalmente introdotto , ni 2 dini III A TI Tn 53 dati nelle scuole , come esemplari di scelta latinità (18), è;come mezzo d’ imprimere profondamente nello spirito de’ giovanetti le massime della legge , non sappiamo ima- ginarlo, e quindi ci fa compassione ch’ ei 1’ abbia scritto. |. La sua breve e precisa descrizione dell’ Apollo fra le muse, dipinto in una volta della real villa in Milano dal cav. Appiani, vi conduce col pensiero al Parnaso, dipinto dal cav. Bossi nella villa Melzi sul Lario, di cui può ve- dersi i in Milano stessa un cartone non finito presso i suoi eredi. Non è di questo luogo l’ istituire confronto fra in- venzione e invenzione dei due artefici eccellenti; ma certo chi avesse a farlo troverebbe in quella del Bossi altro che varia disposizione di figure o diversità di atteggiamenti , per attribuirle merito di originalità. Il solo pensiero d’in- trodurre nel quadro l’ antica Memnosine , tutta raccolta in sè stessa, ravvolta in ampio panno, e ,sedente assai presso al Nume fra le giovani figlie brillanti e vivaci, (18) Di ricercata latinità era frase più propria quantunque indulgente; e il Lamberti lo sapea bene, come sapea che il codice messo ne'più bei distici del mondo sarebbe stato utile quanto i versi delle cabala. Ma egli volea fare per ogni via la sua corte È, quello, a cui, scrivea nella lettera sopra alcune opere italiane, in tutte le nostre azioni dobbiamo con ogni cura studiarci di pia- cere. Il suo zelo, intanto, dovea pur essere compensato con pre- ferenze ed ‘onori, e questi dovevano fare di lui medesimo un picciolo idolo. Ecco il suo segreto in un articoletto sopra un passo d’ Ora- zio ,, Egli (il Venosino) non ignorava come a/l’ottimo suddito sia legge d’aver in riverenza coloro, che sono favorevolmente ricevuti nell’ opinione del monarca; e che se questa legge è sempre da os- servarsi , allora poi anche si fa più debito e riesce dolcissimo l’os- servarla, quando nel propizio giro dei cieli, come a lui avvenne, e a noi pure è avvenuto, ve si conceda di vivere sotto l’ imperio di un Sire, che, nel riconoscere e nell’ apprezzare il vero merito savissimo sia. ,, Preghiamo il lettore a pesar bene le conseguenze generali più ancora che le particolari di siffatte parole. A noi han- no fatto perdere quel poco di buon umore, con cui avevamo in- minciata questa nostra diceria. 54 portando veramente espressa in fronte la memoria de” se- coli; ci sernbrà bastante per caratterizzare agli occhi di chiunque nol conoscesse iù pittore filosofo. Oh come sen- tiamo rinnovarsi il dolor nostro , che dalla morte gli sia stato impedito di mostrare ‘al mondo quanto ei potesse, allorchè leggiamo ‘per ultimo , fra queste prose del Lam- berti , il ragguaglio ‘ch’ ei porge con molto buon garbo dei freschi di Appiani in quella sala del reale palazzo, che vien chiamata del trono; freschi ‘di cui la fàma già tanto ha parlato, che ormai più non fa d’ wopo che il nominarli! Bossi avea pure ingegno e studi per giugnere sì'alto; ma, secondo ‘che da tutti si va ripetendo, mon aveva ‘a tal uo! po ancor sì bene preparato il pennello come lamatità (19). Perchè mai la capricciosa fortuna gli negò quel tempo, di cui fu giustamente cortese all’ Appiani? Perchè ad ambi- due questi lumi dell’ arti lombarde non fu concesso egual- mente di risplendere quanto da ‘ciascun di Toro dovea a- spettarsi ? Ma il compianggre Bossi degnamente, e il lodar degnamente Appiani, piuttosto che a noi, si conviene ai due egregidipintori(20) chiamati oggi dalla. munificenza sovra- na'a mostare nel regale palagio, che l’arte, da quegli insigni maestri tanto ‘nobilitata, è ancor fiorente e onoratissima fra noi . Così possano mantenersi quelle che il Lamberti coltivò con successo non volgare, e molto più le altre, in cui fu maggiormente apprezzabile l’intenzion sua che non il suo riascimento ! nei Ai M. (19) Ed è da leggersi la cagione, ch’ei solea recarne, in que’ver- sì che il Belotti scrisse per la sua morte al Berchet, il qual gli - rispose con altra epistola poetica. Il colorir suo, peraltro, andava di giorno in giorno facendosi più lucido e più vero : di che si han- no testimoni in Milano alcuni ritratti, anche per ciò tenuti ca- ‘ rissimi da chi gli possiede. (20) Hayez e Palagi. 55 Storia della guerra de’ trent’ anni scritta in lingua te- i. desca da FepeRIGo Semrrer, e tradotta in. lingua italiana da Antonio Bencr: vol. 2. in 8.° Firenze ‘1822, al Gabinetto scientifico e letterario. ‘. In un precedente articolo sopra lo studio della lette- ratira straniera (vedi Ant. vol. 5. p. 356) abbiamo accen- nato quanta utilità potrebbe per noi derivarne per ciò che alle scienze fisiche: e alle morali appartiene , e fra queste ultime abbiamo presa principalmente di mira l’ educazio- ne della gioventù . Non ci cadeva allorà in pensiero che il dotto collaboratore al quale rivolgevansi le nostre os- servazioni ; ci avrebbe non molto dopo mostrato quanto dalla comunione de’lumi fra le diverse nazioni , potesse ancora presso ciascuna ricever vantaggio quella scienza conservatrice della sperienza de’ secoli, istitutrice dell’ uo- mo, la storia . Necessario è per tutti coloro che bramano con istitu- zioni straniere perfezionar quelle della propria nazione, di aprire prima di tutto le storiche memorie de’ popoli che si propongono ad imitare, onde poter in esse rintracciare le cause e gli effetti di quelle istituzioni medesime . Ap- prenderanno da esse come le vicende politiche , come la religione ; i costumi, le facoltà fisiche ed altre cause di sommo rilievo e tutte varianti nelle diverse nazioni, deb- bono esser :considerate ne’ loro rapporti, e nella parte che debbono avere nella formazione di un nuovo edifizio mo- rale presso un popolo di diversa. natura: apprenderanno a paragonare i vari bisogni di «oloro per i quali furono quelle istituzioni introdotte , e il fine di quelli che le promossero ; ne esamineranno l’ influenza ; e ne dedur- ranno per loro stessi la. ‘probabilità del conseguimento del proprio scopo ; apprenderanno finalmente a non co- piar servilmente , a non acclamar ciecamente ogni stra- niero istituto, a non credere senza esame superiori le altre 56 nazioni per. tale tal’ altra innovazione ; a non biasimare la. propria perchè non l'abbia Qta fi applicata a sè stessa. Ol» quante volte avrebbero i popoli evitati inutili tentativi, e quante più, volte ancora non avrebbero avuto a piangere sul troppo successo dei medesimi , se avessero a questi fatta base la storia! quante volte il corso progressivo de’ lumi, certo e costante per sè stesso quanto quello.de’ secoli, non avrebbe schivati que’ colpi terribili, che se non retrogrado pure. stazionario lo: hanno reso talvolta! | oa Se al lettore sembrasse che vinti door nie proprie riflessioni , ci lasciamo sfuggir di vista i volumi che‘ab- biamo sott'occhio , speriamo ottenerne-perdono, mentre l’opera alla quale siamo per richiamare la sua attenzione è tale, che meditandovi sopra, gli si desteranno forse nel- l'animo idee non dissimili a quelle con le a valanga aperto il discorso . sh 06 Il nome dello Schiller che porta in fronte non è sco- nosciuto a’ lettori italiani di cose drammatiche (1); ma essi forse non sanno che come autore tragico, era ancora lo Schiller ‘critico ‘sagace , storico eloquente, filosofo pro- fondo, lirico sublime, erudito filologo ; che era in somma uno di quegli uomini che hanno sparso sulla Germania un lustro immortale , e che sembrano nati a smentire la comune sentenza , e vera il più delle volte , che un solo oggetto deve l’uomo proporre a sè stesso, mentre in un so- lo può avere speranza di riuscire . Brevi e.interessanti notizie della vita dello Schiller sono state ‘raccolte dal traduttore , e poco soddisfacente pe’ nostri lettori potrebbe riuscire un estratto; ci basterà per dare un'idea degli immensi studi di quell’ uomo, l’ac- cennare come egli l’ uno all’ altro li collegasse. Dava egli (1) Abbiamo veduto tradotte in prosa italiana, le tragedie di Maria Stuarda, di Don Carlos, di Guglielmo Tell, di Gio» vanna d° Arc, e della sposa di Messina . «n mano alla sposa di Messina? — ed ecco uscivano al tempo stesso dalla sua penna dotte dissertazioni sullo stato della Sicilia ne’ tenebrosi tempi a’quali riferiva l’azione. — Scri- ; veva egli il don Carlos? e rintracciando tutti gli annali | | della Spagna e de’ Paesi bassi dava insieme alla luce una grandiosa opera sulle guerre che assicurarono l’ indipen- denza. di questi ; componeva finalmente il Vallenstein? e mentre il suo genio poetico si abbandonava ai più alti concepimenti , pur ritornava a meditare sullo stato della intera Europa , e arrichitasi la memoria delle grandi vi- cende che agitavano in que tempi l’ Alemagna, le tra- mandava poi alla più remota posterità per mezzo dell’ o- pera che ora si è fatta italiana . . Nè deve però far maraviglia se, per tà guisa compo- ste, abbiano le storie dello Sihillac talvolta forma dram- malica, La mavrazione d’un poeta non può esser. fredda e minuta, e chi abbraccia con fervido pensiero, e con fuoco ricorda le vicende degli anni e de’ popoli, non facilmente si presta a, determinare con matematica precisione il luo- go e l'ora delle varie \azioni.—Ma non pertanto è da credersi che lo Schiller tradisca la storica verità, e se per lo più confidato nella sua straordinaria memoria non ha ingombrati di citazioni i suoi libri, più agevol fatica sarà per i suoi difensori il supplirvi, che non per i suoi nemi- ci l’ arrecare prove contrarie alle sue asserzioni . Della importanza dell'opera non è da farsi ipo perchè se la.grandezza delle cause , se la potenza delle parti combattenti, se la fama de’ principi e de’ generali, se la rapida successione degli avvenimenti, e finalmente l’influenza dell’ esito costituiscono un epoca importante nella storia politica, non sapremmo accennarne molte al- tre negli annali delle. moderne nazioni più meritevoli della generale attenzione , che l’ epoca illustrata dallo Schil- | ler. La guerra de’ 30 anni ebbe per causa la religione non meno che la politica , per combattenti quasi tutti i 58 i popoli dell’ Europa, per duci gli Adolfi, i Valleristein , i Tilly e moltialtri guerrieri immortali, per'esitò lo stabi- limento dell’equilibrio politico e religioso in "Germania . Vano non pertanto sarebbe il tentare di offrire al lettore una analisi dell’ opera | — La storia dell’ Alemagna simi- le a quella dell’ antica grecia e delle italiane repubbliche è tanto complicata, e di tanti elementi composta , che do- ve s ° imprenda a clar conto di qualsiasi fatto di qualunque importanza, sì presentano tante cause da' investigare è tan- ti interessi da combinare, che la loro esposizione deve ne- cessariamente riuscire 0° tediosa o imperfetta Per tali considerazioni abbiamo risoluto di 'limitarci ‘ad alcuni e stratti che mentre faranno conoscere il merito dell’ atto- re, spingeranno il pubblico a volersi far Lig 1 ag sè stesso di quello dell’ opera intera‘. Abbiamo nominato Vallenstein come uno de’ princi- pali personaggi che figurarono in quella guerra. Quest” uo- mo straor dimerio aveva con la propria influenza è quasi a proprie spese raccolta un armata formidabile in sostegno dell’ Imperatore Ferdinando; ma’ le violenze esercitate da luì per mantenerla e i progetti d’ ambizione: che sviluppa- ronsi nell’animo suo, resero pur necessario che Ferdinando | cedendo alle lagnanze di tutti i principi a lui congiunti, ed anche ai propri timori, glienie togliesse il comando . I piani di Vallenstein non erano ancora assai Bagni. | per- chè egli potesse far resistenza . i Quindi egli tornò a vivere da privato, ma mon aveva già l'animo alla quiete rivolto. Con regia pompa egli stava nella solitudine , d’ onde pareva, insultare alla sentenza; che ilo aveva abbassgto . Sei porte davano l’ adito al palazzo che egli abitava in Praga ;. .. cavalieri delle più nobili famiglie aspirayano. emu- landosi a seat: ed alcuni ciamberlani imperiali restituirono la chiave all'imperatore, per fire il medesimo cortigiano: uffizio appresso Vallenstein . Il suo maggiordomo era un illustre perso- naggio. Sessanta erano i suoi paggi, che istruire faceva!da ec- cellenti precettori: e la sua anticamera era sempre guardata da cinquanta lanzi: nè aveva mai la mensa sua meno di cento vi- l | | | | 59 vande . Allorchè viaggiava, la corte. sua lo seguiva in’ sessanta carrozze con altri cinquanta cavalli amano : e cento carri tirati da quattro o sei cavalli ne portavano il servizio e gli equipaggi. Il lusso, le livree; le carrozze e gli ornamenti ‘delle stanze erano con eguale magnificenza ordinati , sci baroni ed altrettanti cava- lieri dovevano stare di continuo pronti a fare ciò che egli accen- nava. E perchè la mente sua sempre pensosa abbisognava di silenzio, dodici. pattuglie facevano sempre la ronda intorno al palazzo per allontanarne ogni rumore: non dovendo alcuno stre- pito di carri quivi sentirsi, ed essendo sovente chiuse con catene le strade. La sua conversazione era quindi muta come l’accesso . Cupo. e recondito risparmiava le parole più che le sud ricchezze; e nel breve discorso era’ ributtante ed aspro. Mai non rideva: ed alla. seduzione de’ sensi resisteva col-frigido suo temperamento. Talchè sempre ‘occupato , e mosso da vasti disegni, dispregiava tutti que’ vani divertimenti che il prezioso tempo consumano . Egli scriveva da sè medesimo le lettere, quantunque carteggias- se con moltissimi per tutta l’ Europa: e di suo proprio pugno scriveva la maggior parte delle sue minute per confidarsi quanto meno poteva nell’ altrui segretezza. Alto di. statura e magro, carnagione gialliccia, corti ‘e rossigni capelli, occhi piccoli e scin- tillanti. E la fronte avea sì formidabile serietà , che, incutendo terrore; gli.altri da sè alienava . Tantochè sole le grandi ricom- pense potevano la tremante schiera de’ servi appresso lui ritene- re.— Con quésta vita dunque oscura e piena d’ ostentazione a un tempo, tranquillo ma non ozioso Vallenstein aspettava il gior- no della vendetta e della prospera fortuna : di che presto vide l’alba foriera, stantechè il corso di Gustafo Adolfo in Germania era wittorioso e rapido. Vol. I° p. 161-162. Questo re di Svezia aveva causa sufficiente di guerra in ciò che l’Austria aveva soccorso i polacchi contro i suoi svedesi, nè aveva alle sue querele ricevuta altra risposta, se non che « l’imperatore aveva troppi soldati e doveva soccorrere i suoi buoni amici » . Intanto con la mediazio- ne della Francia erano venute in pace la Svezia e la Po- lonia, onde potè Gustavo rivolgere le sue mire alla Ger- mania . L’ odio ‘contro Ferdinando, il zelo de’ protestanti, il favore dell’ Inghilterra e della Francia promettevangli prospero successo, ma più che in altri poteva Gusta vo nel oprio genio affidarsi. 60 Gustavo Adolfo fu senza dubbio il primo capitano. del suo secolo , ed il più valoroso. soldato dell’ esercito svedese che egli stesso avea formato. Conoscendo perfettamente là tattica de’ gre- ci e de’ romani , egli. inventò quella migliore. arte» militare, che ne’ tempi susseguenti è servita di norma a’ più grandi gene- rali .... Tutta l’ Alemagna ammirò la disciplina, per cui gli eser- citi svedesi acquistarono grandissima fama ne’ primi tempi che in Germania militarono . Tutte le insolenze erano severamente pu- nite; e colla massima severità la bestemmia, il furto; il giuoco, il duello. Le leggi della Svezia proibivano il lusso ; ed anche nel campo, non .eccettuata la tenda regale, nè oro nè argento vedevasi - I generali attendevano colla stessa diligenza sì a’ co- stumi che al valore de’ soldati . Ogni reggimento doveva radu- varsi la mattina e la sera appresso il suo predicatore, e far la preghiera a celo scoperto ; essendo sempre Gustavo il primo a darne l’ esempio . Vivo e sincero timore dell’ Ente supremo dava al suv grande animo viemaggiore ardire . E non occupato dal- l’ empie massime che tolgono il necessario freno alle feroci bra- me del barbaro : nè indulgente mai all’ abietta ipocrisia, come Ferdinando, che umiliavasi qual verme. davanti alla divinità e conculcava altiero le umane cervici: Gustavo fu sempre uomo e cristiano anche nella ebrietà della fortuna , ed eroe e monarca nella divozione . Egli sopportava i disagi della guerra come fosse l’infimo dell’esercito. Nelle più cupe tenebre della battaglia rag- giava nel suo spirito mirabil luce : e dappertutto presente. col- l’ animo, sempre accorreva dove più grande era il cimento; trop- po spesso obliando di riguardare al suo ufficio di general coman- dante , talebè infine ebbe la tomba nel campo di battaglia. Ma questo prode capitano era seguito da’ valorosi e da’timidi nel cammino della vittoria : ed a lui non sfuggiva alcuna delle eroi- che azioni, che tratti dall’ esempio suo gli altri facevano . Onde la gloria del monarca infiammò la nazione di nobile entusiasmo: e gloriandosi del suo sovrano, il contadino di Finlandia e di Got- landia dava contento i pochi frutti de' suoi campestri lavori, mentre il soldato spargeva lietamente il proprio sangue. Ed il grande incitamento , che questo egregio principe diede alla sua nazione, continuò lungo tempo dopo essere egli estinto. i Vol. 1. p. 168. 170. ) Vediamo adesso Gustavo in mezzo al suo popolo, poichè lo abbiam contemplato in mezzo al suo campo. Dopo avere ad ogui cosa provvisto, quando già tutto era 61 apparecchiato per la ‘partenza, a dì 20 di Maggio 1630 fintervenne alta dieta del regno in Stocolmia per dare solenziomente I’ addio agli stati provinciali. Gustavo aveva condotta seco la figlia Cristi- na, giovanetta di soli quattro anni e fin dalla nascita eletta a suc- cedere al padre: e prendendola esso in braccio , la presentò agli svedesi come loro futura sovrana, volle che le rinnovassero il giu- ramento di fedeltà, presupponendo ch’ei più non ripatriasse, e fece . di poi leggere ad alta. voce, con che ordine sarebbe amministrato il regno durante la sua assenza o nella minorità della figlia. Talchè tutta l’assemblea proruppe in pianto, e lo stesso monarca. ebbe alquanto bisogno di ristoro. Composto poi l'animo, e preso il, ne- cessario contegno, diede al suo popolo 1’ addio,.così parlando alla dieta . i I Non senza consiglio avventaro me e voi a questa nuova e pericolosa guerra: e l’onnipotente Iddio m’ è testimone che io non, per mio piacere combatto. L'imperatore mi ha gravemente offeso- oltraggiando i miei ambasciatori: egli ha dato a’ miei nemici soc- corso, perseguita i miei amici e fratelli, conculca nella polvere la mia religione, e stende le mani alla mia corona. Gti oppressi mem- bri dell’ impero germanico a noi si rivolgono con pre murose sup- plici istanze: e se Dio lo concede, noi daremo ad essi aiuto. Noti mi sono i pericoli, cui sarà la mia vita esposta. Io non gli ho mai fuggiti, e sarà difficile che del tutto ne scampi: peroc- chè se l’ onnipotente mi ha finora salvato, io morrò al fine per di- fesa della patria. Vi lascio dunque sotto la protezione del celo . Siate giusti, siate probi, operate rettamente, e ci rincontreremo nell’ eterno soggiorno s A voi mi rivolgo dapprima, o miei eonsiglieri di stato. Villu- mini, e v’infonda sapienza Iddio, per consigliar sempre il bene del mio regno. Voi,gentiluomini valorosi, raccomando al favore divino: continuate a mostrarvi degni discendenti di que’prodi e animosi go- ti, pel cui valore cadde l’antica Roma in polvere. Voi, ministri della chiesa, ‘esorto ad.essere facili e concordi: date voi stessi l’esempio di quelle virtù che predicate, e non vi abusate mai della vostra autorità sopra gli animi del popolo mio. Per voi, deputati delle città e de’ villaggi, io-imploro la benedizione del celo, lieta messe alla vostra industria, ubertà nelle vostre capanne, e copia di tutti i beni della vita. Per voi tutti, assenti e presenti, io porgo sinceri voti al celo. Io dico a voi tutti teneramente addio, e ve lo dico forse per poRpRe. Vol. I p. 172. 174 Il primo gran Susiprale che venisse incontro a Gusta. 62 vo fu Tilly, il quale erasi distinto nelle guerre de’ Paesi- Bassi, d’ Ungheria e di Boemia, e che poteya gloriarsi di non aver perduta alcuna battaglia. Dopo il ritiro di| Val- lenstein, egli avea ottenuto il comando di tutte le armate imperiali, e nell’indole cupa e asta somigliava, a suo predecessore . nun Essendo Tilly feroce di sua natura, diverine sanguinario persecu- tore per zelo di religione, ed incuteva ne’ protestantì grande spa- vento. Alla quale indole fiera ben corrispondeva ‘la strana ed orri- bile sua figura: piccolo, scarno, guance smunte, naso lungo, ampia e rugosa fronte; folti mustacchi, mento appuntato ...la sua figura dava rimembranza del duca d’Alba, flagello de’fiamminghi: e poco mancava che È azioni sue non VoniteriaHanero questa lor somi- glianza . A giustificare quieto carattere basti la suina sce- na di orrore nella quale descrivesi la distruzione di Ma- gdeburgo,una delle più floride città dell’AJemagna, presa d’ assalto dalle sue truppe e da quelle del suo colloga Pappenheim. -Per marrare l’esterminio, che allora fu fatto, non ha la storia elotuzioni idonee, nè la poesia idoneo stile. Nè l’innocente infanzia o la vecchiezza imbelle, nè la gioventù 0. il sesso, nè il grado o la bellezza, non frenavano la rabbia del vincitore. A. piè delle ma- dri furono le figlie oltraggiate, ed in braccio de’mariti le mo li: LI vittima d’un doppio futore il sesso inerme. Niun rifugio, niun asilo, nè in parte segreta, nè in sacrosanto luogo ; dappoichè gli avidi soldati tutto ricercavano, tutto esploravano. Ciniquantatte donne furono in una chiesa decollate. I croati si divertivano gettando nelle fiamme i fanciulli: ed i valloni di Pappenheim avevano diletto nel trafiggere i bambini lattanti al seno delle madri. ‘Tantochè alcuni ufficiali della lega sdegnando sì orrido spettacolo osarono di ricor- dare a Tilly che facesse cessare la. strage ,, Tornate tra un ora,, fu la sua risposta: ,, vedrò allora che partito ho da prendere. Bi- sogna concedere qualche cosa a’ soldati per via de’loro pericoli e delle loro fatiche.,, Onde seguitarono le violenze atroci con in- cessante furore, finchè non le interruppe l’universale incendio. Fin dal principio deli’ assalto erano stati arsi alcuni luoghi della città per accresecre il disordine e render vana la resistenza de’cittadini: ma sorto di poi un impetuoso-turbine, si distesero ovunque rapide Je fiamme. Sicchè orribile era allora la calca tra’l fumo, i cadave- 63 ri; torrenti di sangue, le spade ignude, e le precipitanti rovine. L'atmosfera ardeya: e l’ignea insopportabile vampa costrinse an- che quegli sparvieri a ripararsi nel campo. Quindi in meno di dodici ore fu ridotta in cenere quella forte, popolata e grande città, una delle più belle della Germapia.: illese rimanendo sole due chiese ed alcune capanne .. ....+. . Infine a dì 13 di maggio comparve Tilly è nella città, dopochè le strade principali erano state da’rotta- mi e. da’ cadaveri purgate. Ed allora ben gli fu noto, in che misera condizione avesse ridotto i magdeburghesi, Atroce, spaventevole, orrido spettacolo! Vivi che si strisciavano fuori da sotto i cadaveri: fanciulli che erravano chiamando i genitori con dolorose strida: par- goletti che delle madri estinte le mammelle sneciavano! Più di sei mila cadaveri furono gettati nell’ Elba per disgombrare le vie; ol- trechè moltissimi e morti e vivi erano stati dalle fimmme cansunti. Nell’ eccidio di Magdehurgo trenta mila cittadini sii ? p- 199 200. ‘Gustavo Adolfo trattenuto da vari ostacoli non ave- - va potuto giungere in tempo per salvare Magdeburgo, ma sì potè vendicarla nella famosa battaglia di Lipsia, e co- me dice lo Schiller« la libertà germanica risorse dalle ce- neri di Magdeburgo». L’ na Giovanni Giorgio di Sas- sonia erasi dopo lunga incertezza unito a Iliviono: e la mattina del 7 settembre 1631 vennero in fronte le due armate pressochè uguali di numero, ascendendo ciascuna a 34 0 35,000 uomini, Ma se pure un milione d’ uomini avesse contro un milione pu- gnato, non poteva essere quella giornata nè più sanguinosa, nè più importante. Per venire a questa battaglia aveva Gustavo Adolfo passato il Baltico, correndo dietro a pericoli in lontani paesi, e rimetterido alla volubile fortuna la sua corona e la vita. I duc più grandi capitani d’ allora, amendue fino a quel giorno invitti, do- | wevano fare della loro virtù l’ultima prova, combattendo finalmente insieme dopo aver sì lungo tempo fuggita la pugna. Uno di essi doveva perdere la sua gloria sul campo di battaglia. Talchè le due fazioni della Germania erano. da gravi timori angustiate, vedendo quel dì fatale appressarsi: e tutti i contemporanei pieni d’ ansietà aspettavano la sera di dt giorno, che. dalla tarda posterità sarà benedetto 0 pianto : Cannoneggiando Po due ore diedero principio alla pugna. Il mento spirara da ponente; c da’ campi adusti e di recente arat 64 spingeva dense nubi di polvere e di famo contro gli svedesi. Onide il re comandò che l’ esercito voltasse la fronte a settentrione; e gli svedesi fecero questa mutazione con tale rapidità che il nemico non ebbe tempo d’ impedirla.. Finalmente Tilly abbandonò la collina, facendo il primo as- salto contro gli svedesi. Ma per la veemenza del loro fuoco volta tosi a destra, urtò i sassoni con sì gran furia che ne ruppe gli ordi- ni e vi pese grande scompiglio. Tantochè l’ elettore stesso non si riebbe dallo spavento, se non quando fu giunto in Eilenburgo; e l’ onore sassone non fu salvato che da alcuni reggimenti, i quali pugnando con gran valore sostennero per qualche tempo l’impeto . del nemico. Disordinati poi ancor questi la banda de’ croati corse al saccheggio, e fu spedito un corriere per recare la bissiigi della vittoria a Monaco ed a Vienna. Dall’ altra parte però, cavalcando Pappenheim con tutta la cavalleria incontro all' ala destra degli svedesi, gli svedesi non pie- garono affatto. Quivi comandava Gustavo Adolfo, e sotto di lui il general Banner. E benchè Pappenheim rinnovasse sette volte l’assalto, sempre fu egli respinto, e dovè prendere infine con grave perdita la fuga, lasciando il campo di battaglia al vincitore. Intanto Tilly che aveva del tutto fugato i sassoni, condusse le vittoriose sue schiere contro l'ala sinistra degli svedesi. Ma Gu- stavo Adolfo di presentissimo consiglio mandò quivi tre nuovi reg- gimenti subitochè si accorse del disordine de’ sassoni, affinchè per la loro fuga non rimanessero scoperti i fianchi dell’ala sua sinistra. E Gustavo Horn, che da questo lato comandava, sostenne con forte animo l’ assalto de’ corazzieri nemici, adoperando i moschettieri in- terposti tra’ cavalli: tantochè il nemico già principiava a perdere il vigore, quando comparve il monarca di Svezia per terminare "n battaglia. L’ala sinistra degl’ imperiali essendo posta in rotta; l’al destra deg'i svedesi non aveva più nemici a fronte, e poteva essere più utilmente adoperata altrove. Onde GustavoAdolfo fece voltare l’ala destra ed il grosso del suo esercito verso la sinistra, ed assal- tò le colline, ov’ erano le ‘artiglierie nemiche; le quali essendo in breve tempo occupate, furono gl’ imperiali percossi da’ loro ‘stessi cannovi . Battuto pertanto ne’ fianchi dalle artiglierie, e con gran furia assalito di fronte dagli svedesi, si sbandò alla fine il non mai vinto esercito: nè altro scampo rimase a Tilly se non una pronta ritirata» la qaale pure non poteva egli fare se non aprendosi la via tra le schiere nemiche. Quindi fu grandissimo scompiglio in tutto l’eser- cito imperiale, fuorchè in quattro reggimenti di veterane milizie? 65 che dal campo di battaglia non erano mai fuggiti, e che neppure in quella funesta giornata non vollero prender la fuga. Strettamen- te addensati passarono essi tra le ordinanze del vittorioso esercito, e sempre combattendo pervennero ad un boschetto, ove si riordi- narono e sostennero l’ urto degli svedesi fino all’imbrunir della se- ra, rimanendone soli seicento in vita. Dipoi fuggì tutto l’esercito imperiale, e cessò la battaglia . Sul campo stesso, tra’ feriti e i morti, Gustavo sila s'ingi= nocchiò: e l’ ardente gioia dell’ animo suo proruppe in vive pre- ghiere, ringraziando l’Onnipotente della riportata vittoria. Poi fece seguitare il nemico dalla sua cavalleria, finchè non fu impedita dal- le tenebre notturne. Ed al sonar le campane a martello si mosse la milizia paesana di tutti i cirtonvicini villaggi: e guai all’infelice che dall’ avversa sorte era condotto in mano de’ contadini irati! Quindi il monarca di Svezia col rimanente dell’esercito si accampò tra ’l luogo, ov .era seguita la battaglia, e la città di Lispia: non essendo, possibile. assaltare questa città nèlla medesima notte. Set- temila imperiali morirono sul campo: quasi cinque mila rimasero prigionieri o feriti: e circa a cento bandiere e stendardi, tutte le lorò artiglierie, e tutti i bagagli furono presi dagli svedesi. I sas- soni perderono due mila uomini, e gli svedesi non più di settecento; mentre la sconfitta degl’ shibegiali i fa sì grande, che nella loto fade verso Alle ed Mberatadia Tily non potè raccogliere più di seicento uomini, e Pappenheim non più di mille e quattrocento. Con quanta rapidità fu distrutto quel formidabile esercito, che di recente aveva messo spavento in tutta l’Italia ed in tutta 1’ Alemagna ! ! Mpl.éI,p- 217-220» Tutto ‘cedeva a Gustavo dopo questa vittoria, e già crollava .l’ impero; ma questo era appunto il gran mo- mento atteso‘ da Vallenstein. Ferdinando con grandi pro- topa il tichiama, e creato Duca di F biedlan dia, esso ‘iprende il ‘comando di eserciti che quasi per magico incanto con lui, risorgono. Un nuovo periodo della guerra ha principio, e lo Schiller con quasi profetico ardore, che non' però molto lodiamo in uno storico, brevemente ac- cenna' i grandi avvenimenti futuri : Quindi nuovo vigore s infonde nella quasi spenta potenza au- striaca; ed il’ rapido cambiamento ‘delle cose disvela che una mano | ferma le conduce. Tantochè all’assoluto re di Svezia sta ora in- ID contro un capitano del pari assoluto: un eroe vittorioso . incontro T. IX Febbraio $ i 66 ad un invitto eroe. Ed \amendae le forze pugnano di nuovo in dubbio conflitto, e Gustavo Adolfo che aveva già per metà con- seguito il premio della guerra, debbe nuovamente. acquistarselo icon aspre battaglie. Pertanto, dinanzi a Norimberga ‘s’accampano i due minacciosi eserciti, come due nubi pregne di fulmini: ed en- trambi si stanno con gran riguardo incontro, poichè ciascuno re- puta gagliardo il suo nemico: ed amendue bramanoe ‘temono di venire a campale giornata. Tutta l'Europa, o curiosa ‘0 temente, rivolge gli occhi a questo guerriero apparecchio; e l’angustiata Norimberga presume di dare il nome ad una battaglia più impor- tante che quella di Lipsia. Ma le nubi si dileguano repente dalla Franconia, e la tempesta scoppia nelle pianure sassoni. Non'lungi da Luzen cade il fulmine che aveva minacciato: Norimberga:; e la battaglia già quasi perduta dagli svedesi, morendo il re; viene intorno al cadavere suo riaccesa e vinta. ec. i Vol. II.-p. 8. Noi ci affrettiamo di trasportare i ‘nostri lettori sul- le pianure di Luzen; e della memorabile pugna che ne ha eternato il nome, "ipa o un breve ragguaglio. Dopo aver descritta la posizione delle. due armate che di sera accamparonsi l’una dell’altra a fronte; così prosegue lo storico: Finalmente sorse le temuta aurora: (2) ma una nebbia den- sa e tetra, che sopra tutto il campo di baftagha, diffondevasi, ri- tardò sino a mezzogiorno l’assalto. Gustavo però fece subito le mattutine preghiere, inginocchiatosi alla fronte dell’ esercito ; e nello stesso tempo prostrandosi tutti i soldati intonarono un devoto inno commoventissimo, mentre la musica. militare accompagnava il canto. Quindi il re montò a cavallo, e vestito solamente d’un abito di pauno e d’una corazza di cuoio (non potendo portare l'armatu- ra pe: ferite in altre occasioniricevute) percorse le file, ispirando, ne’ suoi guerrieri quella fiducia che egli non aveva nell’animo suo , pieno allor di funesti presagi. Dio con noi era la parola degli svedesi: Gesù e Maria quella degl’ imperiali. Verso le ore undici cominciò la nebbia a dileguarsi, ed il nemico divenne visibile. Nello stesso tempo fu veduto arder Luzen, mandata a fiamme per or- dine del duca di Friedlandia, affinchè di quivi non fossero le linee sue dal nemico sopraffatte. Ed allora facendo Gustavo Adolfo so- (2) A di 16 di Novembre 1632. 67 nare a battaglia; la cavalleria spronò contro il nemico, mentre i Fanti si mossero verso le fosse. p. 103. Sono varcatele fosse, conquistate le bari e tosto ri. volte contro il nemico; le due prime brigate di Vallenstein sono rovesciate, e già è in fuga la terza; ma rapido come il lampo accorre Vallenstein a sostenerle, e tre reggimenti di cavalleria riconducono contro il nemico i Mberitivi . Più micidiale è la pugna; uomo contr’uomo combatte, all’arie succedendo il furore; finalmente cedono gli svedesi, gl’imn- periali riprendono le batterie, già ii i di cadaveri cuo- prono il campo, e non è stato ancora acquistato un palmo di terra. Intanto Gustavo alla testa dell’ala destra premeva vincitore il nemico; ma all’udire che il resto dell’armata cede, abbandona il posto della vittoria al prode generale Horn, ed accorre con alcuni squadroni di cavalleria verso il punto ove più ferve la mischia; ma pochi cavalieri , fra i quali il Duca Francesco Alberto di Sassonia Lavemburgo, possono tenergli dietro. Un moschettiere nemico prende contro esso la mira, e lo ferisce, e quando stanno per rag- giungerlo i suoi squadroni odesi la voce: « il re è ferito,,- « Non è nulla, grida Gustavo , seguitatemi,,! Pur cedendo al dolore, prega il Duca di Lavemburgo che di nascosto lo tolga dalla pugna; mentre è da questi condotto, riceve Gustavo una seconda botta da tergo che lo priva totalmente di forze. Onde volgendosi con moribonda voce al duca di Lavenburgo: ;, fratello! gli dice, la vita mia è com- piuta, cerca di salvare la tua,,: e cadendo da cavallo, e da più ‘botte ancora trafitto, spira tra le rapaci mani de’croati, abbando- mato da tutti i suoi compagni . Ma la cavalleria svedese vedendo fuggire il di lui cavallo voto e cosperso di sangue, subito presup- | pone esser caduto il suo signore , e furibonda avventasi per to- gliere questa sacra preda all’avido nemico. Talchè intorno al re- gal cadavere si accende un micidial combattimento, per cui lo sfigurato corpo viene sepolto sotto una montagna di morti. Quindì 68 la fama del tristo caso corre per tutto l’esercito svedese; ma non toglie già l’ardire alle bellicose schiere, che anzi le infiamma di nuovo, feroce, ardente fuoco. Nè il vivere ha ormai più prezzo , dappoichè la più sacra vita è spenta: nè la morte arreca più ter- rore agl’infimi, quando non risparmia i pribcipie Più infuria la pugna; Bernardo duca di Vimaria;il { gio vine eroe dell’ Alemagna «s1 fa capitano all’ esercito sve- dese, e lo spirito di Gustavo conduce ‘ancora le vittoriose sue schiere »; sono presi i cannoni postati dietro i mulini di Luzen che avevano disordinata V’ala sinistra svedese; il loro fuoco è diretto adesso contro la destra nemica, mentre Bernardo e Kniephausen riconducono il centro a traverso delle fosse e riprendono l'opposta batteria; e per compiere la sconfitta de'nemici, si appende il fuoco a’ loro cariaggi di polvere. Onde l’esercito di Vallenstein, sbigottito da questo avvenimento, teme di essere assalito da tergo, mentre si trova a fronte delle brigate svedesi; e tutti i soldati imperiali perdono il bellicoso ardore ; vedendo la loro ala sinistra in rotta, l’ala destra in punto di fuggire, e le -_ artiglieri ie in poter del nemico. ‘Sicchè la battaglia è al termine vicina , e l’ esito pende ora da un solo istante ; quando ecco ap- parisce Pappenheim sul campo di battaglia co’corazzieri e coi dra- | goni. Tutti i conseguiti vantaggi sono perduti, ed un combattimento nuovo principia. Pappenheim alla testa di otto. reggimenti di, caga le. ria urta l’ala destra svedese, acceso dil pensiero d’incon- trarsi a fronte con Gustavo, ch'egli credeva la comandas- se tuttora; e vi rinnuova la ri, ove) Dopo il repentino arrivo di Pappenheim riprende animo anche l’infanteria imperiale; e il duca di Friedlandia:non trascura I’ op- portunità di riordinare tutto l’esercito: tantochè ‘i, battaglioni, sve- desi sono con fiera pugna respinti al di là delle fosse, e la, bat- teria già due volte perduta è di hel nuovo ripresa . Il reggimento giallo, migliore di tutti quelli della Svezia che fecero eroiche prof dezze in quella sanguinosa giornata x era tutto estinto e giaceva sul campo di battaglia con quella stessa bella ordinanza con| cui aveva intrepidamente :pugnato . E nella stessa condizione | era il reggimento turchino che aveva sostenuto con sommo valore} 69 gli assalti del generale Piccolomini (3) preposto al comando della cavalleria imperiale. Questo animoso generale aveva sette volte rinnovato l’assalto: sette cavalli gli erano stati sotto uccisi: e sei palle di moschetto lo avevano ferito : e pure non si partì dal cam- po di battaglia, se non quando si ritirò tutto l’esercito e seco il trasse. Nè il Duca di Friedlandia non mostrò minore ardimento, poichè sempre esposto a’ colpi del nemico cavalcava per mezzo la gente sua, rampognando i vili, confortando i prodi, e soccorrendo a chi pativa: ed al fianco suo cadevano esanimi i suo soldati: ed il suo mantello era da molte palle traforato. Ma i vindici numi di- fesero in quella giornata il suo petto, per trafiggere il quale un altro ferro' affilavasi. Sopra il letto, in cui Gustavo Adolfo era spirato, non doveva Vallenstein esalare l' anima sua impura. V. II. p. 108-109 : Non tale fu la sorte di Pappenheim; trasportato da cieca brama d’incontrarsi con Gustavo , fu ferito da due palle nel petto, e bisognò a forza condurlo fuori del campo; ma in udire la morte di Adolfo, lieto vide appressarsi la propria . Con nuovo e più disperato furore infierisce il combattimento, e 1’ armata svedese movendosi a dare l’ultimo assalto, passa per la terza volta le fosse, e le batterie per la terza volta conquista. Al tramontare già inclina il sole or che le due schiere di nuovo s’ncontrano: ed avvicinandosi il fine della battaglia, diviene più ardente la pugna. L'estrema forza coll’ estrema combatte, e ciascuno adopera quanto può l’ ardire e l’ingegno per ristorare in questi ultimi preziosi istanti l’intiera giornata perduta. Ma invano la disperazione eleva l’ani- mo de’combattenti: niuno sa vincere, niuno sa cedere: e la tattica fa qui maraviglia, perchè l’arte faccia colà non mai appresi, non mai praticati colpi maestri. Finalmente la nebbia e la notte fan- no cessare la pugna, che i furiosi guerrieri continuare vorrebbero; e dal combattere il soldato desiste perchè non trova più il nemico. Sicchè amendue gli eserciti si ritirano con tacito accordo : suonano \rallegrando le tromb:: e dal campo ciascuno si dilegua dichia- randosi invitto. Ma Vallenstein abbandonando subito il campo e po- (3) Il conte Ottavio Piccolomini toscano fu mandato in aiuto di Ferdinando II: imperatore da Cosimo IL. granduca di Toscana «+ «+ + (nota del traduttore). 70. co dopo Lispia , el’ intera Sassonia j lasciò a Bernardo l’ onore della vittoria . Rita Non vogliamo seguir l'andamento della storia, mentre ne abbiamo soltanto accennati alcuni avvenimenti per dar luogoad estratti che già sono assai numerosi e bastantia dare idea de’meriti dell’autore, e diremo anche di quelli del tra- duttore. Di questi ultimi non vogliamo ragionar lungamen- te, ma ben diremo che di somma fatica deve essergli rius- cito il suo lavoro, comea colui che volendo fermamente atte- nersi a classiche locuzioni italiane, doveva rivestire di quel- le uno scrittore il di cui fervido spirito aiutato da una lin- gua sopra ogni altra moderna abbondante di ardite espres- sioni, non trascura mai di farne uso . Che però se coloro i quali hanno sotto gli occhi l’ originale , troveranno che da questo si è alcune volte dipartito il N. T. non potran- no accusarlo di averlo fatto senza motivo , mentre trove- ravno questo o nella chiarezza maggiore, o nella impossi- bilità di modellare un periodo italiano sopra un periodo tedesco; e ciò diciamo per il più delle volte ; mentre in alcuni luoghi crediamo essere stato il N. T. trattenuto da soverchio timore nel ricusare di seguir l’ orme dello scrit- tore tedesco più d’ appresso di quello che ha fatto. In quanto all’aver egli fatti italiani i nomi propri delle città, non possiamo movergliene querela , mentre in un indice alfabetico posto in fine dell’ opera si danno i re- spettivi nomi originali; ma certo che strano deve riuscirne il suono a coloro che sapendo la lingua tedesca , cono- scono la formazione della maggior parte di quelle deno- minazioni ; così a p. 197 vol. 1: dove si parla delle forti- ficazioni di /Veostadia, V osservare in nota che /eostadia significa città nuova non è esatto, perchè Meustadt e non Iceostadia è la voce tedesca; ma queste sono considera- zioni di poco momento, e che nulla tolgono al pregio del- l’opera .— Più volentieri commendiameo il sig. Benci per aver corredata la sua traduzione con varie notizie in- x È 71 torno agli avvenimenti che precederono la guerra de’ 30 anni, ed alla pace di Westfalia che ne fu la conseguenza. Tutti coloro che conoscono la celebre storia di Carlo V. scritta dal Robertson , leggeranno con interesse l’ opera dello Schiller che ne forma per certo modo la continuazio- ne; e.mentre il lettore italiano ne trarrà diletto e istru- zione, e che il filosofo: mediterà sopra gli avvenimenti, poco è da temersi che la letteratura ne soffra per esser dettata quell’ opera con metodo e stile non conformi alla classica severità della storia, imperocchè non sarà fra gl’ italiani chi voglia imitare uno Schiller, mentre/può ri- salendo a’ propri maggiori prendersi a maestri un Livio o un Tacito, un Machiavelli o un Guicciardini. E. Della storia, dei costumi, e della favella d’ alcune nazioni indiane dell’ America settentrionale. Epitome degli atti di una accademia americana. (*) La società filosofica americana residente in Filadel- fia, metropoli della Pensilvania, è divisa in varie classi , come sarebbe di matematica, di fisica, e di storia natu- rale. Fra queste classi una ve n’ ha aggiunta di recente alle altre, tutta dedita alla letteratura ed alla storia pa- tria, la quale pubblicò nel 1819 il primo velume de’ suoi atti. Le materie che lo riempiono pressochè intieramente sono dovute ad un solo scrittore per nome Giovanni Heckewelder, inglese di nascita, ma stabilito i in America, il quale giunto all’ età di settantacinque anni, ne conta trenta almeno, in cui, nella qualità di missionario, ha vissuto e soggiornato fra i popoli indiani. (A "Transactions of the historical etc. literary committée of the american philosophical society beld at Philadelphia, for pro- moting useful knowledge. Vol. I. Philadelphia 1819. 72 La classe storica e letteraria ' intenta massimamente a raccogliere notizie sulla geografia , sulla) storia; sulle antchità delle contrade americane, e sulle favelle dei primi loro abitatori, col mezzo del suo segretario Pietro Duponceau , fece invitare 1’ Heckewelder a contribuire a suo potere nelle ricerche a cui erasi applicata , ed a sov- venirla di sua opera e di suo consiglio. Il missionario Heckewelder corr ispose di buon grado ad un tale invito, e descrisse in una relazione storica divisa in ‘44° capitoli quanto egli aveva potuto apprendere per udita , 0 per ve- duta , nella sua lunga dimora fra le tribù selvaggie della Pensilvania. Nel tempo stesso mantenne un. frequente carteggio col nominato segretario , tutto relativo all’ esame dell’indole e delle forme delle favelle indiane, con che lo abilitò a fare una speciale relazione all’accademia su questo nuovo e recofidito argomento. Colla pubblicazione di queste relazioni e di questo carteggio, la classe storica e letteraria ha dato a’ suoi atti un assai splendido cominciamento, e ad un ora ‘ha fatto fede della verità delle cose dall’ Heckewelder riferite. La fiducia adunque che ad esse compete, non che il diletto che porgono come cose pellegrine e remote dalle consue- tudini europee , sarebbero bastevoli eccitamenti per sol- lecitare altrui a darne conto in questo giornale italiano. Laonde, non sarà opera perduta recare le molte cose in poco , ed esporre sommariamente un ragguaglio della sto- ria , dei costumi, e della favella d’ alcune nazioni india- ne dell’ America settentrionale. Storia. A’ tempi che l’ America settentrionale non era anco suddita dell’ Europa, una nazione d’indianì, che abitava nelle parti d'Occidente, si mosse dai luoghi della sua dimora , per cercarne una nuova nelle regioni orientali. Queste genti nominate Lenzi Zenapi (che è quanto dire uomini originari) incontrarono nel corso della loro emigrazione un altro popolo d’ indiani nominati Mer 73 gui , i quali venuti di paese lontano, andavano essi pure dietro a nuove fortune. Queste due nazioni confederatesi in una, si approssimarono a’ laghi del Canadà, ed alle rive del Mississipì , ove trovate le contrade popolate di numerosi abitatori , fecero impeto contro di essi, e ne gli discacciarono dopo un lungo contrasto. Allora le due na- zioni vittoriose , divenute padrone di più paese che ad esse non bisognava, , lo si divisero di concordia. I Mergui si stabilirono intorno ai grandi laghi del settentrione , ed i Lepapi calarono quali a destra, quali a sinistra del Mis- sissipì, e quali si dilatarono fino alle marine atlantiche lungo i fiumi Potomalk, Susquehann , Hudson, e De- laware. I Lenapi, o che fossero originalmente in maggior numero, o come che s’ andasse , tanto crebbero e molti- plicarono , che ben presto avanzarono i Mengui. Nè bastò la separazione de’ luoghi, nè la formazione di novelle tribù in cui s’ erano iti di mano in mano suddividendo per minorare la loro potenza ; imperciocchè era usuale fra gl’ indiani che le tribù consanguinee sentissero fra loro quasi una carità di famiglia, per cui non dimentiche del- le loro prossimità ne conservavano i gradi , intitolandosi l'una tribù avola, Valtra tribù madre, la terza tribî figlia, un’altra tribù sorella. Ciò contribuiva mirabil- mente a mantenere fra esse una perpetua alleanza, e spegneva assai sovente le dissensioni e gli odj. Ma la ‘potenza crescente dei Lenapi generava nei Mengui invidia e paura, e la memoria dell’ espulsione dei primi abitatori del paese suscitava un sospetto che fosse serbata ad essi la stessa sorte , per mano dei loro medesimi confederati. Erano i Mengui una generazione di barbari astuta, sleale ed inumana, ed i Lenapi per lo contrario avevano spiriti generosi ed animi ben disposti. Questa diversità nella indole dei due popoli era non piccolo argomento di scam- bievole avversione; imperciocchè se i Mengui covava no 74 l’astio contro ì lemina i. Lenapi facevano palese di avere . a schifo i Mengui. Fra le-varie cagioni di tanto abborri- mento v'era quella che i Mengui si pascevano colle car- ni dei loro prigioni , Ja qual cosa destava un raccapriccio fra i Lenapi; onde era comun detto fra questi , che i loro vicini non fossero uomini al certo, ma d’una cotale spe- cie partecipe della natura umana e della ferina. Le cose stavano in questi termini fra le due nazioni, quando i Mengui, avvisando ognora più il pericolo vero o supposto che loro sovrastava , meditarono di schermirsene in oc- culto colla frode, da che non ardivano d’ usare in palese la forza. Essi si studiarono di commettere dissensioni fra le tribù Lenapie, ad oggetto di dividerle , infievolirle, e spingerle alle armi l’una contro l’ altra. Assai volte le loro macchinazioni turbarono la concordia degli altri popoli indiani, i quali per effetto di maligne istigazioni, e per supposte ingiurie,.corsero al sangue ed allo scambievole eccidio. Pure alla fine la verità si rendè manifesta , e di- scoperto l' inimico comune , deposero questi popoli i mal concetti sdegni , e si riunirono fra loro , per rendere una giusta retribuzione dei danni sofferti a coloro che ne era- no stati la prima cagione. Fu allora che collegati i Lenapi colle prossime tribù, recarono ai Mengui una guerra mor- tale. | In tutti i tempi le guerre fra gl’indiani erano lun- ghe ed ostinate, ed il comporle era più malagevole che altri non crederebbe. Due ne solevano essere gl’ impedi- menti. L'uno che reputavano disdicevole e vituperoso avere le armi in mano, e domandare la pace. L'altro che portavano opinione non tenessero i patti imposti colla forza. Per le quali cose rade volte la guerra avrebbe avu- to altro fine che il totale sterminio d’ una delle parti, se non fosse rimasta una sola via alla riconciliazione, la qua- le era tutta riposta nella pietà delle donne. Queste face- vano l’ onesto ed amoroso ufficio di frapporsi fra le na- . 75 zioni nemiche, e con preghiere, con pianti, col ricordare gli estinti, col deplorare le vedove, gli orfani, e le madri orbate di figli, ne sopivano l’ira, ed erano operatrici di tregue e paci fra i popoli biibincio Ora il furore e la pertinacia che questi popoli mettevano per costume nelle loro guerre, furono maggiori del consueto in questa, che arse buon tempo fra i Mengui ed i Lenapi. In essa furono vari gli eventi, e lungo il contrasto , ima alla fine non ne pareva più dubbia la riuscita , imper- ciocchè i Lenapi a tale l’avevano recata, che gli stessi Mengui sì tenevano fuori d’ ogui «perio; e miravano prossima la loro ultima ora. Ma nel tempo che ambe le parti contendevano pel supremo potere fra i popoli indiani, nuove genti venute dalla lontana Europa erano là, per levare di mano al vincitore i frutti della vittoria. Gli olandesi, gl’inglesi , ed i francesi arrivati in America, ed accolti come ospiti , già vi si stabilivano come posdeen Non occorre dire di quanto corruccio fosse cagione agli indiani il vedere il loro paese occupato da forestieri, e come in più luoghi oppo- nessero all’ invasione una gagliarda difesa. Qui solo è me- stiere di narrare, come i Mengui trovassero modo, nella comune sciagura di liberarsi dalle strette in cui erano stati messi dai Lenapi. Essi cominciavano dal dire a’ loro avversari, che assai era durata la guerra; che era pur tempo che cessas- sero gli odj; che lo stato degli indiani veniva ognora più pericolando ; che infine la continua discordia altro effetto non aveva avuto che fare gli europei allegri de’ loro mali. Quindi dimostravano , come la sola unione de’ popoli in- diani poteva essere un riparo all’ ultima rovina, e come a mantenere cotale unione dovesse essere efficace lo statuire fra loro un’ autorità conciliatrice , la quale fosse tutta in- tenta al mantenimento della concordia. Questa a uto 96 offrivono di rimettere nelle mani de’ Lenapi, a patto che essi, contenti del primo onore fra le nazioni indiane, do- veysero sotterrare le loro armi, e non ingerirsi mai più nelle cose di guerra; o sia come dicevano nella loro favella, a patto che essi diventassero donne. I Lenapi , per loro contraria ventura , credettero sincere le parole dei Mengui, e sia che l’ interesse comune gli determinas- se, ovvero che si tenessero per onorati del grado che ve- niva loro:conferito, accettarono il partito a’ termini get posti : È | Questo accordo pattuito da una parte con troppa sem- pricità, e dall’ altra con somma malizia, mutò le condi- zioni dei due popoli, e rendè i Lenapi , ‘riguardati” ‘come donne, al tutto dipendenti dei Mengui. É cosa incredibile come questi si abusassero dell’ acquistata potenza. Non così tosto l’ un popolo ebbe deposte le ‘armi, che 1’ àltro ricominciò ad infellonire , ed a procedere verso il primo come per lo avanti. Poco era incitare contro di esso le altre nazioni indiane , esporlo a frequenti oltraggi ed im- pedirne il risarcimento, con richiamarlo all’ obbligata fede dell’ astenersi dalle armi. Assai di più ebbero a sop- portare dai Mengui i mal arrivati Lenapi, allorchè que- glino acquistata la dilezione degli inglesi stabiliti in Ame- rica ; sì fecero forti del loro patrocinio. Sembra che a questo popolo europeo fosse accetta per due cagioni l’amicizia dei Mengui; in primo luogo perchè erano nemici acerrimi dei francesi; in secondo perchè tenevano in suggezione i Lenapi, i quali stavano sul sua confine, ed erano gli antichi padroni del paese. I Mengui adunque non tardavano ad arrogarsi un assoluta sovranità sui Lenapi, e per fino a aid pure gli averi, con vendere le loro terre agli inglesi. Essi spacciavano che i Lenapi erano stati soggiogati colla forza delle armi, che erano divenuti donne per necessità, e non per libero consenti- mento, e che perciò era confacente trattargli come fem- N / 77 mine poltrone. I Lenapi'a loro difesa adducevano più ve- re ragioni, protestavano d’ essere stati traditi..ma non vinti, e s'angegnavano ad ogni modo di levarsi .da dosso l’infamia: Gl'inglesi udivanio le loro, querele , e mon ne facevano nè più; nè meno. Di ciò per, altro s’ ebbero. a pentire in progresso di. tempo, imperciocchè i Lenapi stanchi alla fine di tante gravezze. che mon. sapevano più comportare; agognando l’ occasione meditavano vendette, nè prima la si videro porgere ché nona lasciarono fug- gire. Questa occasione fu data loro da’ francesi verso il 1756; nella guerra che s’ accese. fra essi e gl’ inglesi. I Lenapi a quell’ ora, senza dare indugio ; presero animo- samente le armi , si unirono agli, uni con grave, danno degli altri, ‘ed entrati a furia sulle frontiere della Pensil- vania ne disertarono le terre. Nel.tempo stesso formarono una lega di dieci nazioni indiane ‘al:solo oggetto di dare addosso a’ Mengui, e ridurgli ‘al niente. Questo. proponi- mento , se non ebbe il suo ‘intero efletto., bastò niente di manco per iscuotere la potenza de’ Mengui, e per dimo- strare ad'essi che i tempi erano.cangiati: Venti anni dopo, durante la guerra dell’'indipendenza degli Stati Uniti,,..i Mengui intendevano ancora di ,regolare, e prescrivere le azioni dei Lenapi. Questi negarono di obbedire a’ loro or- ‘dim troppo' solenni; € ‘significarono ad ‘essi, che. se per addietro erano stati‘considerati cone donne, al presente erano uomini ,-avevano;armi daluomini, e volevano mo- strare la fronte come uomini. Il termine della guerra del- l'indipendenza dettè l’.ultimo'crollo alle pretensioni dei ‘Mengui; imperciocchè il congresso americano fece ragio- ie ‘a’ Lenapi, ‘col‘ riconoscere in essi il, pieno arbitrio di disporre delle loro terre. Alla fine i Mengui scemi di au- torità e ‘di forza, rimorsi del passato, e timorosi dell’av- venire, vennero;da lor posta nel momento del pericolo , e fecero'Y espressa diclriarazione che i, Lenapi erano ;uo- ‘mini, é non ‘donne. 78 | Quì termina la storia dei Mengui, e dei Lenapi. E Mengui sono conosciuti in Europa col nome d’ Irrocchesi, ed i Lenapi con quello di Delavari. Così gli uni furono chiamati da’ francesi, e-gli altri dagl’ inglesi. Dei Mengui non occorrerà più perire Tutto quello che verrà in ap- presso concernerà a’ soli Lenapi , presso i quali l Rini, welder rimase sopra trent’ anni. ‘ Costumi. I Lenapi vengono considerati fra gl’ iddio ni come capi di tutte le tribù, che sono congiunte ad essi per discendenza o per 0419 Al La loro nazione è tenuta come l’ avola; le altre come figlie, come nipoti, o come tribù adottive. Ogni nazione è governata se- paratamente da’ suoi anziani, ai quali l’ età, la prudenza, ed il buon nome conferiscono il potere. Ma negli affari comuni di pace e guerra , la sovrana-autorità è confidata alla nazione dei Lenapi. Presso di essa risiede ciò che chiamano il gran focolare del consiglio nazionale, cioè il seggio del governo generale. Gotal nome deriva dal costume degli indiani di sedere raceolti intorno ad un fuoco acceso, per trattare delle cose pubbliche; laonde, per focolare del consiglio s'intende sempre la sede del governo, ove i capi di ciascuna tribù fanno le loro riu- nioni. i Questi capi governano senza leggi, colla sola norma del bene comune, delle buone consuetudini, di una co- scienza pura, e di una lunga esperienza. Essi ,usano di consigliare piuttosto che comandare, e cercano di ottene- re fiducia per trovare obbedienza. In ciò facilmente rie- scono, perciocchè la docilità nell’ obbedire non è rara fra gl’indiani, ma va congiunta in essi colla somma riveren- za che serbano ai Wocohi , pe quali hanno tanto amore e rispetto, che dell’eguale pochi altri popoli si potrebbero gloriare.\Un tal sentimento, ispirato da’padri ne’ figli fino dai primi anni, è mantenuto collo stimolo dell’ambizione; imperciocchè i fanciulli di nulla ricevono tanta lode, quan- I I | I I 79 to dell’assistenza che porgono a’ vecchi, nè tantò biasimo, quanto dell’ offendergli o molestargli. Nell’età più adul- ta i giovani conservano per essi il medesimo osséquio , gli sostentano, e gli procacciano ogni specie di sollievo. Se vanno alla caccia gli conducono seco , e largiscono ad essi la miglior parte della preda. In tutte le occorrenze domandano il loro consiglio, ‘ascoltano con attenzione le loro parole, e non gli schertiscono mai se ‘troppo loqua- cemente rispondono. Non usino di contraddire ad essi, nè perfino di essere i primi a parlare nella loro presenza. Tal fiata è accaduto, che alcuni indiani , viaggiando colla guida di uno de’ tinti vecchi, abbiano smarrita la strada, perchè i giovani più pratici del cammino non hanno vo- luto rendere palese il suo errore, di che ha fatto fede più di un missionario, il quale per avventura era in loro compagnia A È superfluo il dire che chi oltraggiasse un vecchio ne pagherebbe la pena; o che chi l’uccidesse surebbe messo a morte sul fatto. Ma senza parlare di pestighf, o di sup- plizi, spesso avviene ‘che la memoria di un’ ingiùria reca- ta all’ età cadente dià cagione altrai d’um acuto rimorso. Di ciò basterà un esempio. Un indiano uccise in rissa un suo nemico. Dopo che la sua ira fu sedata, si ricordò che quegli aveva uma madre assai vecchia, ed immaginando quanto dovesse essere il cordoglio di lei, non trovò pace fin tanto che presentatolesi davanti, non le offerì la pro- pria vita, perchè la si togliesse‘a soddisfazione della mor. te di suo figlio. La donna disse, che della sua vita non sapea che si fare, ma che piùttosto riparasse al suo dan- no, con darle un fanciullo che egli aveva, il quale essa avrebbe tenuto per figlio, in luogo dell’ estinto. Allora V ‘indiano rispose, « Mio figlio non ha che dieci anni, e ti darebbe più fastidio che aiuto. To sono più buono di lui a sostenerti. Se mi eleggi per figlio non ti mancherà 80 cosa alcuna in tutto il PERA di tua vita. La. donna con- $ sentì, e lo adottò per figliuolo . » I. vecchi per parte loro trattano i giovani senza au- sterità nè durezza. Contro i fanciulli non sono adoperate le rampogne, le minaccie, o la sferza, ma le parole af- fettuose e le placide ammonizioni. Perciò, questi crescono con animo libero da soggezione e da avversione verso i loro maggiori, e rimembrano l’amore con cui furono allevati. Della benevolenza che passa fra vecchi e giovani non è minore la concordia, con cui gl’ indiani di tutte le età vivono fra loro. Essi schivano di contendere con parole, e più ancora con fatti, sono facili ed arrendevoli, sono costanti nell’amicizia, non accattano brighe, sì con- donano ì falli e le offese involontarie, non garriscono, dicono delle facezie, ma s’ astengono, de insulti. In fine i modi urbani che usano l’ uno vérso l’altro, sono più da genti incivilite che da selvaggie . Ma se questo è il tenore “di vita degl’ indiani di una stessa tribù, bene altrimenti procedono co’ loro nemici. In tempo di guerra stimano lecito qualunque mezzo che gli conduca alla vittoria, e cercano di vincere per sete di vendetta,. Studiano d’ ogni maniera ingannare il i nemico prima e dopo d’. aver prese. le armi. Se gli mandano. L) ne ricevono ambasciate , usano domande ambigue .e_ri- sposte perplesse, e tentano d’ ingannarlo per coglierlo alla sprovvista» Delle loro astuzie. sarebbe lungo il parlare . , Ora vorranno esser creduti in maggior quantità che non sono, urlano , PF: moltiplicano fuor di misura le voci 7 Ora vorranno ‘esser creduti i n minor quantita, evitano pi siti erbòsi e, le terre palustri, per. timore che le traccie de'to. ro piedi. non diano il vero indizio del loro, numero vese non hanno altre vie, camminano iù modo che gli uni ri- calcano le orme degli altri. A” nemici che uccidono trag- gono la pelle da’ crani; e la sì recano in trionfo; e quante 81 più ne fanno , tanto è maggiore l’ onore . Sembra comu- ne opinione fia ‘gl indiani essere questa la giusta ricom- pensa del valore , ed il guiderdone dovuto alla vittoria. Imperciocchè è general costume fra essi di conservare sulla testa rasa un ciuffo di capelli , dal quale , se mai cadono in guerra, sia datoal vincitore di sospendere la pelle del loro cranio. Trattono crudelmente i loro prigioni , e gli fanno morire martoriati , se credono di avere giuste ragioni per non cessare troppo presto dalla vendetta . Se ne sono sazi gli lasciano in vita, e gli aggiungono alle loro tribù per riparare alle perdite sofferte nella guerra. A tale effetto, scielgono quelliche hanno mostrato non temere i minac- ciati strazi, ma queglino che hanno dato segno di paura è raro che scampino la morte. Delle guerre fra gl’ indiani varie sogliono esser le cagioni. Un’ offesa ricevuta, ed una soddisfazione negata, fanno cessare la buona intelligenza fra due tribù, ancor- chè benevole ed amiche . Se un indiano è ucciso da quelli d’ un altra tribù , la sua ne prende comunemente una subita vendetta , col mandare di soppiatto a commettere alcuno omicidio sulle terre nemiche. Fatto il colpo , co- loro che 1’ eseguirono lasciano una clava presso il cadave- re, e vengono via speditamente. Questa clava è un segno ‘con cui rendono manifesto a quale tribù essi appartene- vano, acciocchè non ne cada il sospetto sopra un popolo ‘innocente. È altresì una dinunzia agli avversari o di pu- mire i rei del primo misfatto, o di venire a guerra rotta. _.. Sono cagione di discordia per alcune tribù indiane i diritti che inssidund di avere sopra i luoghi delle loro caccie, ed il proibire altrui di penetrare là dentro per uc- cellare, o inseguire le fiere. Laonde accade che se alcuni rompono un tal divieto , in prima gli fanno avvertiti a non ei tornare, ed alla fine giungono a rimandarnegli col naso e con gli orecchi mozzi. Recherà maraviglia udire, che per sì lieve trasgressione condannino a questo enor- T. IX. Febbraio /6 82 me castigo, ma se ne comprenderà la ragione ove si noti, che gl’ indiani ritraggono dalla caccia il loro alimento migliore, ed assai sovente l’ unico loro sostentamento . Queste genti per loro costume vivono a speranza dì per dì , e trascurano di fare provvisioni una stagione per l’altra, o per improvvidenza dell’ avvenire, o per disprez- zo soverchio delle superfluità, per la qual cosa sono spesso ridotti a grandi stenti dalle careslie inaspettate ; e mon trovano altro riparo che nella caccia. Fanno uso dei frut- ti, degli erbaggi, del grano, delle patate, e dello zucchero, ma lasciano alle donne la coltivazione della terra ; la quale stimano cura più ignobile della caccia. È verisimile che la cagione per cuì queste genti so- no poco inclinati all’ agricoltura , sia questa sola: che la terra è fra loro una proprietà comune . Essi abborriscono quanto gli europei di nudrirsi colle carni di molte specie di animali, come di cavalli, di cani, di gatti, di volpi, e patiscono la fame piuttosto che mangiarne. Dalla caccia traevano un tempo il loro vestimento, coprendosi colle pelli di fiere e colle penne di uccelli. A- veyano l’ arte di rendere morbido il cuoio più sodo , ne cucivano insieme vari pezzi, e ponevano cura che il pelo ne fosse tutto per un verso , acciocchè a' tempi umidi la pioggia ci scorresse senza penetrare di sotto ; e nei tempi freddi ed asciutti erano soliti di portare la parte velluta sulla carne . Delle piume degli uccelli intessute con fili di canapa , facevano giubbe assai bizzarre , e questa era ‘opera lunga e iediosa in cui lavoravano le donne vecchie, fatte inabili a maggiori fatiche. Al presente vestono pan- ni poco diversi da quegli degli europei, ma le loro attilla- ture hanno del barbaro e dello strano. Le donne usano vesti di più colori, come di rosso, turchino e nero , e s’or- nano con nastri, fibbie,, e collane, con penne d'’ istrice, e spilloni d’argento. Tengono delle campanelle intorno a’ fianchi con eni | | Di 83 tintinnano ad ogni passo , e così fanno per essere guarda- te. Gli uomini ancora portano dei pendagli intorno al còllo, dei braccialetti e delle piastre d’argento, e delle un, ghie di cervo attaccate alle loro gambe. Ma di siffatte usanze la più stavagante è quella di tingersi e pitturarsi la faccia. In ciò le donne sono meno capricciose, degli uomini, perciocchè le più oneste temono che l’ andare troppo lisciate nuoccia alla buona riputazione . Ma gli uomini si travisano a loro arbitrio, e non è raro vedere sul loro volto. l’ effigie di un uccello ,.0 di un - pesce, sopra una guancia il rostro di un aquila, e sull’ al- tra il muso di un luccio. È. volgare opinione che gl’ india- ni, i quali hanno la pelle diversa da quella de’ bianchi, ed un colore simile al rame, ne diversifichino altresì nel- l esser privi affatto di barba sul mento, ma questo è un abbaglio che proviene dalla diligenza con cui la si strap- pano, per potersi all’ uopo meglio dipingere il volto. Per adornarsi a questo modo , adoprano tinte labili , le quali facilmente si portano via, ma fra essi se ne dà che im- prontano e marchiano tutto il loro corpo con figure che mai non si cancellano, le quali rappresentano per lo più atti di valore , che altri compì in tempo di sua vita. In pas- sato avevano l’uso di tagliare le loro orecchie a strisce ‘pendenti, ma ora lo hanno dismesso, o pel dolore dell’o- perazione, o perchè accadeva che nell’ inverno loro si ge- lassero e del tutto si recidessero , ovvero perchè nel cam- minare per le macchie rimanessero attaccate a’ cespugli. Il maggiore studio degli indiani nell’ acconciarsi è allorquando si preparono per andare ad un ballo. Le loro danze sono di varie sorti. Quelle che fanno per loro sol- lazzo sono assai piacevoli a vedere. Non così le danze guerresche , le quali sono una specie di esercizio ch’ essi fanno colle armi in mano, attorno ad un palo. In queste non che dilettare , studiano di sbigottire i riguardanti. Vengono vestiti a tal uopo, s’atteggiano come se avessero 84 in faccia il nemico, fanno gesti minacciosi, e tirano botte contro il palo. Un tempo invece del palo si esercitavano contro i loro prigioni, e gli mandavano a morte con lento supplizio. Queglino allora facevano vista di ridersi de’ lo- ro carnefici, gli dileggiavano, e gli vilipendevano; con che speravano que’ miseri d’ attizzargli, e di ricevere il colpo mortale. Gl’ indiani prima di andare ad una spedizione incominciano una danza intorno al palo, e tutti quelli che entrano in ballo sono poi tenuti a marciare. Questo ‘ è il modo del loro arrolamento . Hanno pure gl’indiani canzoni di guerra, e. certe cantilene con cui recitano le loro prodezze a suono di tamburo. Comincia il più vecchio, e continuano gli altri in ordine di età , e quando l’ultimo ha finito , il primo torna da capo, finchè ognuno in più volte abbia raccon- tate le sue. Hanno canti flebili che usano in varie occasio- ni, come nel prender commiato dai loro congiunti ed a- mici per andare alla guerra. Cantano ancora per diporto, uomini e donne, e formano due cori separati che avvicen- dano il canto, ma di quando in quando si uniscono insie- me, e diventa uno solo . Da principio s° ode una voce, le altre entrano in tempo ad una ad una, e finalmente can- tano tutte unite. Non è costume fra gl’ indiani. allorchè ricca di prendere moglie, spendere troppo tempo in amore, ed. es- . sere lunghi corteggiatori; ma quando incontrano una don- na secondo il cuor loro, le propongono un matrimonio, ed ottenutone l’ assenso, la menano seco senza sposalizie. La loro unione non ha voti, nè obbligazioni, ma è un sem. plice legame che può sciorre il marito o la moglie, quan- do loro rincresce di più vivere insieme. Si direbbe che l’ indiano pensa di torre moglie a prova, coll’intenzione di non abbandonarla mai se ha prole da lei , e se ella si rende meritevole dell’ amer suo. L’ indiana pone ogni cura per guadagnare l’ affezione di suo marito, massima. 85 mente se trova in lui un uomo valoroso che la prétegga; ed un buon cacciatore che mantenga lei ed i suoi figli; i quali nel caso di divorzio le rimarrebbero fino agli anni della discrezione, in cui. banno l’ arbitrio di scegliere a lor posta di stare col padre , o colla madre. È raro che un marito contenda colla moglie ancorchè n’ abbia giuste ragioni, ma quando stima doverla correggere este di casa senza far parola, e rimane fuori una o due settimane, tan- tochè l’ adduca in forse, se egli intenda o nò di lasciarla in abbandono. Per concludere un matrimonio non occor- re stabilire innanzi le condizioni, imperciocchè da ambe le parti sono bastevol mente conosciute. Secondo il consueto, tocca al marito fabbricare la casa, fornirla degli utensili d’agricoltura; e procacciare un battello ; e la moglie è te- nuta ‘a recare le masserizie da cucina ; ma delle poche suppellettili che mettano insieme, ciascuna delle parti ri- conosce le sue . Il debito dell’ uno consiste nell’ andare «giornalmente alla caccia per sostentare la famiglia . Le cu- re 'dell’.altra sono di coltivare la terra, di fare le raccolte, idi. tritare .il grano ;;di estrarre lo zucchero , di tagliare le ‘legna; di preparare gli alimenti, ed altresì di vendere; o cambiare le pelli degli animali uccisi dal marito. È pure “dovere della moglie allevare la prole con ogni cura: yj ed ‘ansegnare ‘alle figlie le opere femminili. (0 ii us è! Talvolta la moglie accompagna il marito'per'alcuni -giorni alla caccia, e porta un fardello sulle spalle , che «contiene comunemente una coltre, una pelle di cervo, un ‘paiuolo , ed alcun «altro arnese di cucina, oltre il viatico ‘che’ può.bisognare . In queste occasioni che escono tutti -di'casa; gl’indiani non sogliono serrare l’ uscio a'chiave, «ma lasciano fuori un segnale che indica non esservi al- ‘cuno , tanto poco hanno a temere di un rubamento. Al tempo della gravidanza, il marito è attento nel soddisfare ‘tutte le brame di sua moglie, e se ella appetisce alcuna . cosa che non è a mano, non tarda a fare 40,0 50 miglia 86 ove speri poterla rinvenire. Niente di meno parrà forse che le donne sianò condannate ad un vivere troppo ope- roso , laddove gli uomini mon facciano che menare lieta vita, e darsi buon tempo coll’ esercizio della caccia .. | Mala cosa è bene adtrimenti, imperciocchè le opere delle donne sono interrotte e di breve durata; ma quelle degli uomini sono incessanti e penose, e gli astringono in qua- lunque stagione ad andare in cerca del vitto giornaliero. Oltrechè le fatiche della caccia logorano il corpo più. che l’assuefazione al travaglio manuale , da cui gl’ indiani sono obbligati ad astenersi , perchè le loro membra: non irrigidiscano, ma si conservino snelle, ed atte agli eserci- zi del cacciatore. I quali esercizi non solo sono violenti} ma spesso ancora pregiudiciali, come sarebbe allorchè per inseguire ùna fiera debbono valicare stagni e fiumi; ed immeggersi grondanti di sudore nelle acque correnti ; 0 fra ghiacci paid gianti, senza aver l’ agio di osservare se per essere il sanigùe troppo acceso potrà soffrirne la loro salute ..Da ciò proviene che-gl’ indiani sono sovente offesi dalla tisichezza ‘e dall’ artetica:, contro le quali usano? dei rimedi che non hanno sempre: un pieno effetto. Essi sono capaci di sostenere all’ uopo maggiori fatiche de’ bianchi, ima durano meno; onde è che facilmente un indiano ta un intero cervo Sulle spalle mel tornare dallavcaccia; e quairdo edifica; solleva senza sforzo de’ ceppi:d’ albero, che pochi bianchi saprebbero muovere dal suolo; ma per l’op- posto se si mette all’agricoltura, o ad altre opere di mano, ci regge poco, e ne rimane infiacchito. Sembra. che per mesi il continuo esercizio gli renda capaci di fatiche straordinarie; é|che per l’altro loro non sia dato di perse- verarne;; siccome uomini che'vivono intemperantemente, ora mangiando senza misura ,;ed ora nutrendosi alla peg- gio, passando dì e mesi nell’ inv Sono pure un effetto del cattivo alimento Ie malattie Verminose che uccidono in ‘gran copia i loro fanciulli , _———— 87 a’ quali, per mangiare troppe fave, poponi , e cose simili, viene gonfia la pancia ‘per modo che ne muoiono. Non sono conosciuti fra gl’ indiani alcuni mali , a cui sono esposti i bianchi , come la renella; le scrofole , e la poda- gra . Sono soggetti alle febbre biliose, e ad un male che essi chiamano il vomito giallo, il quale ne fa perire assai, non più tardi che dopo il secondo o terzo giorno da che sono ammalati. Per curare gl’ infermi hanno medici d’ ambo i sessi, che conoscono le proprietà de’ semplici, delle radici , e delle scorze delle piante , e ne compongono medicamen- ti di molta efficacia . Adoperano vomitatori e purgan- ti, ma hanno la fantastica opinione, che pegli uni occorra attingere l’ acqua verso la sorgente di un ruscello, e pegli altri verso lo sbocco; perciocchè avvisano che indichi la natura quella essere più atta ad agire di sopra , e questa. di sotto. Ma il principale errore della loro arte deriva da questa massima, che delle cose buone maggiore è la quantità migliore è l’ effetto, onde sono troppo incauti nel regolare le dosi de’ loro medicinali. Usano i salassi, ed hanno chi- rurghi peritissimi nel sanare le ferite , tantochè, salvo lle naturalmente incurabili , guariscono tutte le altre . Ma il rimedio preferito in molti casi dagl’ indiani consiste nell’ uso delle stufe sudatorie, delle quali ogni vico ha le sue, sì per gli uomini, che per le donne. Degl’indiani che vivono con sobrietà, i più Furini «no. Ne arriva fino all’età di settanta a novant’ anni b} pochi fino a cento, ma le donne sogliono campare più | degli uomini. È qui; parlando della durata della vita u- mana , gioverà l’ avvertire, che nel computo del tempò non ‘dividono l’anno in mesì e giorni, ma in lune ed in notti. Per la memoria dei trapassati hanno somma’ vene- razione; ed i loro morti vengano sotterrati con riti fune- rei, e talora con assai pomposo mortorio, conforme le 88 facoltà ed il grado del defunto . Imperciocchè fra gl’ in- diani eziandio , dove la terra è un bene comune ; l’ indu- stria accumula i suoi guadagni , e la parsimonia i suoi ri- sparmi; e dove non sono cariche per nascita, o dignità che rendano l’ uno maggiore dell’altro, la bontà, il valore ed il senno hanno niente di meno la meritata preminen- za. Laonde, alla morte di un ricco, i suoi averi sommini- strano quanto fa mestiere per uno splendido funerale ; ed alla morte di un potente, la mestizia ed il compianto u- niversale ne rendono solenni le esequie. Quando esce di vita un capo degl’ indiani, s’ ode per tutto il loro vico un lamento luttuoso di donne, che comincia intorno al:morto, ove giorno e notte stanno le prefiche a gemere e singhioz- zare, e a dibattersi , dandosi la muta finchè il cadavere non sia sepolto. Questo ufficio di piangere. il morto lo fanno tanto alle persone povere. ed oscure, come alle ricche ed alle potenti; ma solo diversifica il nume- ro de’ piagnenti, che è ora più ‘ed ora meno. Soglio- no parare la bara con ogni cosa che il defunto ebbe cara in vita, lo addobbano con tutti i suoi migliori arredi, gli lisciano e pitturano la faccia. Nell’ ora che'è tratto alla sepoltura , le prefiche non. pongono fine alle loro querimonie, ed al momento che lo calano: giù' nella fossa , v ha chi lo piglia per le braccia; e chi pe’ piedi; e sal, « sorgi , sorgi; vieni con noi, non paptiii non e} lasciare » . Il funerale termina con un banchetto, e con uta di- stribuzione di doni a tutta la comitiva. Non è da dimenticare un costume che si osserva da- gl' indiani, di fare un buco in capo al feretro, al fine, se- condo che dicono, che lo spirito del defunto possa escirne a sua posta, per andare a cercare la sua futura sede ; ed altresì d’ imbandire delle vivande sull’ avello all’ imbru- nire della sera per alcune settimane; dopo le quali sup- pongono che la possa avere ritrovata . 89 Questa credenza che lo spirito si diparta dal corpo per passare ad un’ altra vita, va congiunta in essi alla co- gnizione di.un Ente supremo, che chiamano il grande spirito , il quale riguardano come loro creatore , ed a cui danno gli attributi di bontà, sapienza ed onnipotenza . Adorano la sua provvidenza pe’ beni che concedè loro nel passato;gli rendono grazie del presente, e ne implora- no la continuazione nell’ avvenire. Tengono per suoi doni la forza, il valore; e le doti intellettuali per cui l’ uomo è privilegiato fra gli altri animali. In fine credono che tutti i beniemanino da esso; o da spiriti inferiori ad esso sogget- ti, e che il male provenga ‘da uno spirito malefico, il sb invidia agli uomini le loro contentezze . Questa religione assai semplice , e lontana da. paga- nesimo, e da idolatria, è difformata da alcune superstizio- se, opinioni » che. gl’indiani hanno per indubitate. Per esempio, loro insegnano antiche tradizioni, che la specie umana ebbe la terra per comun madre ;'nel cui ‘seno \ essi/si s ;ascinarono sotto forma di serpenti, di testùggini ed altri, animali, finchè la volontà del loro creatore non gli levò sù. a vivere come uomini , gen à vedere: la luce del giorno...;f, ofet A imola 1 Da.ciò proviene nen le tribù ingl prendono la loro denominazione da quelle specie di animali , a.cui presente avvisarono di attenere. Un. altra universale superstizione assal dannosa ne’ suoi effetti è quella di-temere le malìe , e di credere che si diano fra loro fattucchieri intendi fini i quali ab- ‘biano facoltà di togliere altrui, pace, sanità, e vita. ‘Questa opinione è bastante per incutere negli animi più intrepidi terrori puerili, e per avvilirgli fino al segno, che se va ad.essi per la mente un sospetto d’ essere stati ammaliati ,.sembrano quasi cambiare natura , perdono il coraggio, e credono vedersi la morte innanzi agli occhi. Essi sono condotti a cotale vaneggiamento d’ imma- 90 ginativa , dal pensare che altri abbia il potere d’ avvele- narli con una sostanza mortifera per mezzo dell’ aria, del vento , o del semplice fiato, con modi che non intendo- no e dee non sanno . Da ciò consegue che sé taluno peri- sce di male occulto, o langue per incurabile infermità , non tardano a dire , che si consuma per fascino. Mr | Per rimediare a questa sciagura, hanno ricorso a cer- ti loro ciurmatori, i quali facendo profitto del poco senno altrui, spacciano un sapere arcano ed un arte di*guarire, mediante loro scongiuri e magisteri, quegl’ infermi che da’ medici non potrebbero essere risanati. A cotesti astuti ingannatori prestano gl’ indiani troppa più fede er non sì meritano . Ne sono alcuni che hanno il concetto di dbligorre filtri per indurre ad amare , altri che insegnano‘ segreti a’ cacciatori poco pratici per fare buona presa , e taluni pure i quali si danno vanto di avere la virtù di Regine dere la pioggia . Un'altra superstizione degl’ indiani è quella’ di in- fatuare i fanciulli , e di perturbargli la mente ; per ren: dergli atti ad udire in visione i documenti degli ‘spiriti celesti. A tale effetto gli ubbriacano con droghe e con bevande, e gli avvezzano a frequenti digiuni, finchè i fan- ciulli affascinati facciano nella notte Lon sogni che n ni promettono il giorno . Fg TO Ma circa il fare digiuni, non è da ommettere che fra gl’ indiani, oltre i fanciulli, anche gli uomini s' astengono dal mangiare nel prepararsi a’ loro riti , più per purifica- zione che per penitenza, come.pure usano di recere è di purgarsi per essere liberi da qualunque immondizia . Lia loro religione è predicata da uomini, i quali ‘spes- so annunziano d’ aver ricevuta dal grande ‘spirito la loro missione, Gotesti predicatori o'profeti, hanno un potete senza limiti neglianimi degl’ indiani, e se ne servono ora in bene, ed ora in male. Alcune volte coi ‘loro ‘sermoni. gu hanno suscitatigl' indiani contro gli europei, ma da prin- cipio non furono: buoni a tenerli collegati per far fronte al pericolo comune. Meglio hanno saputo usare del loro credito per im- pedire i progressi dei missionari , a’ quali in ogni tempo sonosi parati davanti. Uno ne fu, il quale contava d’ es- sere stato sollevato fino alle regioni superbe, e d’ aver vi- sto che i cieli erano tre, l’ uno pegli indiani, l’altro pe’ne- ri, ed il terzo pe’ bianchi Il migliore era quello degl’in- diani, ed il peggiore era toccato a’ bianchi, in pena d’avere usurpato agl’ indiani le loro terre , non meno che per scontare la colpa di trattare i neri come bestie, di batterli spietatamente, e venderli al mercato; siccome fossero ca- valli. Se accade a cotesti predicatori di parlare delle scrit- ture, dicono, che il grande spirito diede un libro a’ bian- chi, ed insegnò loro a leggerlo, perchè v' imparassero a correggere la loro indole viziosa, a fare il bene, ed a fug- gire il male; ma che agl’indiani non ne fu mestiere, per- ‘ciocchè portavano scolpiti nell’ animo tuttii loro doveri. ‘Sovente rinfacciano con dolore agl’ indiani d’avere de- pravato i loro costumi nel frequentare i bianchi ; e di tralignare bruttamente da’ loro maggiori ; e però gli esor- tano a tornare al vivere antico ed alle virtù obbliate. -Ed'in vero se così favellano, e se per ciò si condolgo- no , essi hanno di che, nè sempre a torto accagionano la venuta dei bianchi della: degenerazione degl’ indiani. Im- «perciocchè se a queste nazioni rimane alcuna lode di virtù, ella è tutta loro, e dei loro maggiori, e se neloro costu- mì sono venuti peggiorando $ buona parte del biasimo ne cade sugli europei. Furono dessi che le allettarono a vizi ‘che per addietro non avevano,e che le spinsero a colpe, a cui prima non erano assuefatte . Gl”indiani non conoscevano l’uso dei liquori, finchè gli europei non offrirono loro questa esca} da prima per 92 cattivarseli , di poi per affascinarli nell’ ora dei trattati; ed appropriarsi agevolmente le loro terre ; infine colla mira di fraudarli nelle compre delle loro derrate, come delle pelli, e di altro , o almeno per ingordigia d’ averle a miglior mercato. Dopo che queste genti selvaggie gli ebbero gusta- ti, troppo piacquero ad esse, e tanto se ne abusarono, che assai ne perirono ; come ne periscono ancora per gli effetti micidiali delle bevande spiritose . Oltrechè per cagione d’ ubbriachezza più spesso accadono omicidi tra'loro; i quali non di rado sono cagione di nimicizie fra una'tri> bù e l’altra. Non minor danno ha recato ad essi il»vaiolo, e quel malore, che in Europa è creduto d’ origine ameri- cana, laddove gl’ indiani affermano non averlo mai cono- sciuto, innanzi che fosse loro trasmesso dall’incontinenza europea. Per queste cagioni, per le continue guerre; e per l’ emigrare frequente da un paese all’ altro; la popolazione degl’ indiani s'è andata menomando ; tantochè” se per sì fatto modo procedono, vanno a rischio di:ridursi al niente. In prova di tanto sperperamento; usano.dire i loro vec- chi, « più eravamo migliaia y;che ora. non siamo'centina- ia», e rammemorano una genérazione di uomini più sana e più numerosa che quella .d’ oggidì, la Jena videro nella loro fanciullezza . od 6 016 Dopo aver parlato del abian che i vizi degli europei hanno fatto tra gl’ indiani, il peggio rimane ancora a dire, per dimostrare come furono in più modi i loro corruttori. In antico il proferire menzogne, era stimata una colpa assai grave fra gl’ indiani, ed il rubare era un delitto assai raro; ora l’ esempio degli europei ha fatto icrescere questi vizi. Un tempo presso queste nazioni erano inviolabili gli ambasciadori, ma ora non più, come fu manifesto da un caso assai recente , cioè dall’ omicidio accaduto nel 1792. di tre legati americani, che recavano agl’indiani proposte di tregua e di pace, ed i quali furono da essi con -— SIIT . rr—PTlg 93 somma crudeltà trucidati. Se è loro domandato qual ca- gione gli determinasse a dipartirsi così malvagiamente dal loro antico costume, protestano averlo fatto per retri- buire agli europei un’ offesa, che assai volte hanno da essi ricevuta. Nel parlare dei Mengui e dei Lenapi, è stato già detto come gli europei dessero alimento alle discordie fra una tribù e l’altra; ora basterà aggiungere (cosa assai facile ad intendere), che con questo procedere non fecero che sospingerli al loro corrompimento . È noto che nella guerra dell’ indipendenza degli Stati Uniti d'America pre- valse da una parte lo scellerato consiglio di muovere l’ una contro l’altra le tribù indiane, e di far venire alle prese con un popolo incivilito una gente che guerreggia senza mi- sericordia, cui asseta il sangue de’ suoi nemici, e la quale è tanto avida di sbramarsene, che incrudelisce fino sui vinti. Tali sono gl’ indiani in tutte le loro guerre, e così fecero in cotesta congiuntura, dopo che vennero stimolati a prendere le armi ; ma la colpa fu di coloro che glie le misero in mano. Fra gli emissari impiegati dagl’ inglesi ‘a sollevarli ne furono taluni di una natura così perversa, che talvolta l’ ira degl’indiani non fu-bastante a seconda- re la loro. * È cosa più vera che credibile alcuni esserne stati fra.costoro i quali dopo avere somministrato agl’indiani ‘ogni arme che loro poteva occorrere , come gli avevano riuniti; recavano ad essi un bue per macellarlo ed arro- ‘stirlo, ed incitavangli a fargli attorno una danza guerresca. «Alla quale si univano ancor essi, e gridavano in mezzo al tripudio , « accoppatelo , scannatelo ; così farete a’ vostri memici ». Di poi ne prendevano un brano, attaccavanci de’ morsi, e dicevano « così mangerete la loro carne » . Quindi l’andavano succiando, e proseguivano a dire, « così berrete il loro sangue. In fine non ne lascerete re- spice, come se foste volpi intorno ad un carcame ». Fuv- ì 94 vi un antico condottiere d’ indiani, il quale ‘disse, che al certo era loro comandato di uccidere gli uomini , non già le donne ed i fanciulli. N’ebbe risposta di non rispar- miare alcuno, « perchè lendini fanno pidocchi ». L’'in- diano udito questo comando , non volle più padre a combattere. Accadde che una volta fu presa una donna, la quale aveva un bambino al petto, da un drappello d’ indiani, che facevano una scorreria colla guida di un bianco. Que- sti propose incontanente di uccidere il bambino, perchè le sue grida non gli facessero palesi. Gl’ indiani non vollero dar mano a lauto maleficio, ma egli senza curare il loro ribrezzo , diè di piglio al Dash i per le gambe, e dopo che l’ ebbe divelto dal seno di sua madre , non cessò di picchiarlo contro un albero, finchè non gli vide schian- tate le cervella . Ma lo scrivere ed. il leggere siffatte cose , è risicare uno sfinimento di cuore , né lo spaziare più cdi per es- se darebbe alcun profitto. Perciò non dovrà essere discaro il passare repente all’ esame della favella degl’ indiani, senza altro udire de’ loro costumi menati.a guasto dagli europei. ; “avella . L’ idioma de’ Lenapi diversifica nella sua indo- le dalla maggior parte delle lingue conosciute del mondo antico per una proprietà particolàre , di cui conviene al- quanto distesamente parlare. Questa proprietà consiste nella composizione dei vocaboli, o sia nell’ unione delle diverse parti dell’ orazione , le quali si trovano nella lin- gua lenapia in forma semplice e complessa . Così per e- sempio , il nome si compone col nome; il pronome col nome ; il nome coll’ avverbio; il verbo col nome , col pronome e coll’ avverbio ; il participio col pronome. Per comiciare dai nomi, il vocabolo indiano ackgook(*) *) Questa voce indiana, e tutte le seguenti sono scritte col- l'ortografia inglese. Era cosa malagevole recarle all’ italiana . 95 significa « serpente » . L’aggiunto suck significa « nero ». Da queste due voci deriva amekachgook , cioè « serpente nero ». . Ooch, significa « padre ». ha lettera 7. aggiunta al prin- cipio, tien luogo del pronome « mio » , onde z00ck « mio padre » . Un epiteto che gl’indiani sogliono dare a Dio è elu- siwlik , che significa « il più buono », e deriva da allo- wiwi « più » , e da wulik « buono ». Le voci Wwnipack « fronda » , nach « mano » , e quim « coccola », compongono #urachquim « ghianda», ossia « la coccola dell’ albero, le cui foglie somigliano ad una mano 30 hanno l’ impronta di una mano » . Il verbo si compone col nome, come nella voce nad- holineen, la quale è un imperativo, che significa « reca- ci il battello » . La prima sillaba nad deriva da naten , che significa « recare » ; la seconda hol deriva da amoc- hol che significa « battello » ; le ultime ineen formano una desinenza nel numero del più. Questa voce radholine- en, che è adoperata nel chiamare il battello per passare un | fiume, ha il suo verbo coniugato per tutti i tempi e modi. Il verbo ahoalan , che significa « amare » , ha la coniugazione semplice che segue. N’ dahoala K° dahoala Ahoaleu Io amo "Tu ami Egli ama N’ dahoalaneen —’ dahoalohhimo Ahoalewak «© Noi amiamo Voi amate Essi amano Ma ciascuna delle persone di quésto verbo si com- pone coi pronomi me , te , lui, o lei , noi, voi e loro, e dà origine alle seguenti forme compresse . | To K’dahoatell N’dahoala K’dahoalohhumo N'daholawak Ud amolte.... lui, leù ..... . voi | Tu K'dahoali K'° dahoala K' dahoalineen K'dahoalawak Ami me . . lui, o lei .. . . . noi IR ACOMORO cRILORERE, © 100 96 Egli > tb AAA N’ dahoaluk K’ dahoaluk Vv’ darli Ama mei telicanae ee lui W' dahoalguna IW° dahoalacuwa HW daboalawk Ama noi ........ volate dal dari loro Noi K’dahoalenneen N'dahoalawuna K’dahoalohummena Amiamo te ...... lap die ei voi N Pahoalbxawwna «+ = . loro Voi K° dahoalihhino K° dahoalanewo K° dahoalihhena Amate me ....... LL (e AI ta rt noi |‘ K° dahoalawawak ; + loro Essi N’ dahoalgenewo K' dahoalgenewo VW’ daholanewo Amano me... teri lui N’dahoalgehhena K’dahoal gehhimo W'dahoalawawak Amano noi ....... mal ice - loro E similmente in tutti gli altri Piena e modi. Ora tutte queste derivazioni semplici e complesse del verbo amare sì ricompongono coll’favverbio «non », e formano due coniugazioni di questa forma: N’ dahoalawi . K'tahoalowi | Io non amo Io non amo te Questo avverbio « non » è pure compreso nel passi- vo del verbo aholan come sarebbe in IV? dahoalgussivi « lo non sono amato ». si | Dallo stesso verbo aholan deriva ahoaltin., che si- gnifica , « amarsi l’ uno l’altro » , il quale si compone coll’ avverbio « non », ed ha la coniugazione positiva, e negativa. Esistono ancora dei verbi, i quali comprendono due pronomi , come il seguente, Elan Elak © EUlek Elachgup Quello ch’ io dico a te a lui a voi a loro \ 97 Per dare a divedere fin dove arrivano le proprietà del verbo nell’ idioma de’ lenapi è da notare che si danno verbi di due generi, gli uni che sono referibili a cose ani- mate, e gli altri a cose inanimate. Così MNolhatton e IVol- halla significano egualmente «io posseggo »; ma se vuoi dire che possiedi una cosa inanimata , dovrai usare /Vol- hatton , se animata MWolhalla . Per esempio /Molhatton achquiwanissal significa « Io posseggo delle coltri », Nechenaunges nolhallu « io posseggo un cavallo » . Ma il cambiamento di Nolhalla in Nolhallu dà luo- go a indicare una nuova proprietà del verbo . La sostitu- zione dell’ x in luogo dell’ a serve per indicare la com- posizione del pronome «Esso» col verbo «io posseggo »; onde rechenaunges nolhallu significa propriamente « un cavallo io posseggo esso ». È proprietà del verbo di la- sciare i nomi nel caso retto , e di supplire al quarto caso mediante la sua composizione co’ pronomi . Per esempio Getannitowit n’ quitayala significa « Io temo Dio », ov- vero secondo la maniera indiana « Dio temo lui » . Il nome Getannitowit non ha patito alcuna declinazione, mercè della sillaba ala contenuta. nel verbo , per cui n’ quitayala significa « Io temo lui ». Presupposto che in latino Zeorzem video fosse il medesimo che Zeo ewm «video , basterebbe comporre il pronome col verbo , e dire Zeo videum per avere una forma al tutto simile al- ‘l’ indiana . A Del rimanente i nomi come i verbi hanno due ge- | ‘meri, l’ uno delle cose inanimate , 1’ altro delle cose ‘animate , ma mancano del mascolino , e del femminino. ‘Giò si rende manifesto dall’ uso del. pronome . Per e- sempio rekama lenno significa « quest’ uomo » e reka- ‘ma ochqueu « questa donna », ove il pronome nekama è comune per ambo i sessi. Finalmente il verbo ha due plurali , uno generale , e 1’ altro particolare, ma di un uso più esteso del duale de’ greci. Un plurale generale T. IX. Febbraio ” 98 sarebbe 4” pendamaneen cioè « noi tutti abbiamo udito»; un particolare n° pendameneen « noi altri abbiamo udi- to » . Per meglio comprendere la differenza, conviene av- vertire , che nell’ indiano sono due pronomi kiluna , e niluna , che corrispondono al « noi » ed al « moi altri » dell’ italiano, i quali entrano nella composizione del ver- bo , e formano due plurali . Per parlare dei participi, basteranno due esempi . Il participio plurale elumiargellatschik corrisponde al lati- no-morituri . La prima parte elumi deriva dal. verbo n° dallemi « io sono per andar via » . La seconda angel deriva da angeln , che significa « morire ». La terza atsch indica il tempo futuro . La quarta 4 è la desinenza plurale . Dal verbo wu/amalesseshen « felicitare » ne nasce il participio ww/amalessohaluwed « me felicitante »., che dà origine ai seguenti participi, in ciascuno de’ quali è compreso un pronome . Wulamalessohalid. Quegli che felicita me, 0 felicitante me. Wulamalessohalquon . . . . .te . . .. te. Wulamalessohalat... .. + . lui... dui Wulamalessohalquenk . . , . e noi i Mace di ibatoia Wulamalessohalqueek . . . . . voi . . . voi. Wulamalessohalquichtit. . . . .loro . . , loro. Questi participi di persona terza hanno i corrispon- denti nelle altre persone, come wu/amalessohalian «tu che feliciti me » , 0 « tu felicitante me » . Ma nel parlare di questo verbo cade in acconcio dare un esempio della diramazione etimologica dell’ i- dioma lenapio , per dimostrare come esso possiede la qualità propria delle madri lingue, cioè di possedere molti vocaboli derivati da poche radici primitive . La voce wulit , da cui proviene il verbo sopradetto corri- sponde al xaAo0 de’ greci, ed è una radice di feconda figliazione , .wuliken . . » 99 Da essa derivano tutte le seguenti parole. aulik ni. meda ba bic wulisso . wulapeyu . . wulitehasu. . . wulatenamuwi . wulatenamoagan . wulapensowagan (ONES PRIVO wulamoewagan . wulantowagan 3 wulissowagan . . Walapen!") ". 0.0. wulandeu ) ‘wuligischgu ) wulatopnamick . wulatopnachga . wuliechsin . . . wulilissin . . . wulamallsin . wuliwiechinen . wuliwatam . . . wulelendem . wulatonamin wuliachpin . . wulinaxin . . wulilissu . . . Mepabittot 00, wulihilleu . . . wulamoyeu bi ie wulemileu . . wulineichquot i wulilissik . . Non concede maggiore spazio , buono meglio bello _ retto ben tagliato felice felicità contentezza verità grazia leggiadria bel mattino bella giornata buone nuove buona parola parlar bene far bene star bene riposar bene aver buon senno rallegrarsi esser felice essere in un buon sito essere di buono aspetto quegli è buono queglino sono buoni quello è buono quello è vero quello è mirabile quello è da vedere quello cresce bene conducetevi bene questo breve sunto 100 per dare più minuti ragguagli dell’ idioma de’ lenapi . Gioverà dunque far fine col recarne un ultimo saggio nella formula lenapia dell’ orazione domenicale, e posta a confronto con una versione italiana . Paternostro in lingua lenapia Ki wetochemelenk talli epian Tu Padre nostro ‘colà dimorante awossàgame , machelendàsutsch. ktellwunsowagan, oltre le nuvole, sia lodato il nome tuo, ksakimowagan peyewiketsch, ktelichewagan il tuo regno venga, la tua volontà lèketsch . yun' uchquidhackamike elgiqui sia fatta qui ‘sopra tutta la terra, così leek talli awossàgame . Milineen come colà oltre le nuvole . Dacci eligischquik —gunagischuk achpoan, —woak oggi il quotidiano pane ; e miwelendammauwinecn n° tschannauchsowagannèna, rimetti a noi . i nostri fallì, elgiqui niluna miwelendammauwenk nik così come ‘ _—noi | gli rimettiamo a coloro i quali tschetschanilawequengik j — woak katschi hanno offeso noi ; e non lasciare n° pàwneen li aChquetschiechtowaganink ; noi venire a tale che ©’. cadiamo in tentazione ; shuckund Ktennincen. © untschi medhicking, ma Iiberaci i; + a+ da ogni male; alod knihillàtamen . ksakimowagan , poak perciocchè ate appartiene _——iltuoregno, |, i ktallewussoàgan , poak ktallwilissowagan la sovrana potenza , ‘ ed ogni magnificenza ne wuntschi hallemiwi è ‘nanne leketsch da antico ‘ in sempiterno ‘© amen. Per procedere a parlare. generalmente, ma in bre- vi termini delle lingue d’ America, viene ora in acconcio il ripetere le conclusioni del Duponceau , quali si leggono a un di presso nella-sua relazione all’ accademia di Fila- delfia. Esse ‘sono, le sesuenti : 101 1. Che le lingue dell’ America, dalla Groenlandia fino al capo Horn, sembrano avere la proprietà di com- porre le parti dell’ orazione, e di riunire semplici voca- boliin forme complesse, ovvero come è solito di chiamarles di essere lingue polisintetiche , e polisillabiche . 2. Che di queste voci e di queste forme sono assai ricche le lingue di America, e che nella loro complica- ta costruzione , procedono. con regolarità e con ordine grammaticale . 3. Che queste forme sembrano diversificare affatto da quelle delle lingue antiche e moderne dell’ altro e- misfero . A queste conclusioni arriva il Duponceau per ar- gomenti e per fatti, e con autorità bene appropriate. a rendere plausibili le sue opinioni. Egli si aiuta colle testimonianze di missionari e di viaggiatori, e con al- legare le opere di vari scrittori, che hanno pubblicato grammatiche , dizionari, o semplici notizie delle lin- gue originarie dell’ America . Le lingue da esso enu- merate e riconosciute come polisintetiche , o complesse, sono : nella parte settentrionale dell’ America la lingua de’ sroenlandesi , degli eskimoni, dei delavari, degl’ ir- rochesi, e degli uroni. Nella parte media la lingua dei poconchi , che è parlata nella provincia di Guatimala , e le lingue dei messicani. Nella parte meridionale le lingue dei caribi, e degli araucani . Egli appella alle medesime testimonianze , per di- mostrare come queste lingue siano bene ordinate e ricche soprammodo di voci, e riporta le parole di certo scrittore, il quale avvisò che i vocaboli degl’ indiani fossero sen- za numero, da che essi hanno l’ arbitrio di comporli senza fine . Quanto alla loro differenza dalle lingue del mondo antico, la sua migliore autorità è quella del Vater con- tinuatore del Mitridate di Adelung, di quel famoso libro 102 in cui tutti gl’ idiomi conosciuti sono esaminati e’ con- frontati, il quale afferma, che con quante lingue ha posto al paragone quelle di America, non ha trovate di somi- glianti ad esse che tre sole, cioè la lingua cantabra in Europa; quella degli Tschuktschi in Asia, e la lingua del Congo in Affrica . La prima è parlata da poche migliaia di montanari della Biscaglia; la seconda da un popolo errante che vive al settentrione dell’ Asia nel punto più orientale e più vi- cino all’ America; e la terza da un popolo nero della co- sta occidentale dell’ Affrica. Queste sole lingue sembraro- no al Vater avere le stesse proprietà di quelle dell’ Ame- rica, e potersi ad esse paragonare; ma circa la lingua del Congo, v'è qualche ragione per credere che non sia la sola in Affrica dotata di cotale somiglianza, ma che manchino i dati per giudicare delle altre . Nel progresso di questa discussione, dice maraviglie il Duponceau delle doti singolari delle lingue americane, ed in vero sembra averne ben onde; ma qualunque volta chiede ragione a sè stesso del modo, con cui a quelle sol- tanto di una parte di mondo venne l’ attributo di com- porre senza fine le voci, e come fra popoli selvaggi pos- sano esistere favelle a paragone delle quali perderebbero di pregio molte lingue di nazioni colte ed incivilite, egli nulla risponde a soddisfazione di sua richiesta. Ora pro- testa che la formazione di siffatte lingue desta in esso cotanto stupore, che non se ne sa riavere in altra guisa , che coll’ ascrivere cosa tanto mirabile alla prima cagione del tutto, cioè a Dio; ed ora, che egli è chiamato a racco- gliere fatti e ad avverarli, non già ad immaginare teorie. Alla prima sentenza risponderà ogni filosofo, essere fuori d’ ordine e di luogo il nominare Iddio come causa prima in simili questioni, ove altri non rinvenga le cause seconde, da cui deriva un dato effetto . All’ altra anzichè rispondere, sarebbe mestiere sup- 109 plire al\difetto della relazione del Duponceau, e prendere a fare una investigazione che egli reputò troppo astrusa, o alla quale non si credè competente. Ma l’obbligarsi a simile ricerca, riuscirebbe troppo larga promessa; e tale se ne profferirebbe volonteroso man- tenitore, che nel mettersi all’ opera ne rimarrebbe sgo- mentato. Perciò senza andare troppo lungi in questo esa- me, qui solo dal processo di pochi argomenti, si vuol de- durre una cougettura, che viene all’ uopo nella presente questione . Ogni ragione fa credere, che gli uomini uella primi- tiva formazione delle lingue, procedessero dalle grida inar- ticolate all’ uso dei monosillabi, e che con questi formas- sero le parti dell’ orazione; che quindi a poco alla volta unissero una sillaba coll’ altra, e formassero le parole, e che infine ricomponessero le parole semplici, e formasse- ro delle parole complesse . Effettivamente fra le lingue oggidì conosciute, alcu- ne sono tutte formate di monosillabi, come la uo de” chinesi, e dei popoli ad essi vicini. Alcune altre verisimilmente cominciarono dai mo- nosillabi, passarono alle parole di due, tre, o più sillabe, ed arrivarono eziandio a ricomporre la parola. Di questa specie sembrano essere l’ ebraica e la greca, nelle quali ricercando l’ etimologia delle parole, non di rado si gian- ge a radici monosillabe. Queste due lingue sono altresì bene avanti nella ricomposizione delle parti del discorso. Ciò tutti sanno della greca, ed è pur facile riconoscere nell’ ebraica senza osservare altro che la continua compo- sizione del pronome col nome, e col verbo. Un altro esem- pio da notare circa il progresso delle favelle da’ monosil- labi alle voci di più sillabe, sembra essere la lingua slava, nella quale ( secondo una grammatica recentemente pub- blicata ) tutte le radici appaiono di una, due, o al più di tre sillabe. 104 Quanto al progresso delle favelle fino alla ricomposi- zione della parola, ne danno esempio anche quelle che per essere di origine moderna non hanno cominciato da’ mo- nosillabi, e non hanno in sè la loro etimologìa, perchè derivano da lingue più antiche. Di queste l’ esempio più ovvio è quello della lingua italiana, la quale fino dalla sua prima età incominciò ad apporre gli affissi a’ verbi, come in dirovvelo, doneretemela, recherottelo, o all’ antica di- rollovi, doneretelami, recherolloti; a comporre alla latina la preposizione col pronome, come nelle voci meco, #eco» seco, nosco, e vosco; ed era sul punto di arrivare alla composizione del nome col pronome, come lo dimostrano le voci fratelmo, fratelto, matrema, e simili . Alcune lingue finalmente come quelle dei popoli sel- vaggi dell’ America, paiono avere toccato l’ultimo segno a cui possa giungere una favella ne’ suoi progressi, sia nella formazione dei polisillabi, sia nella ricomposizione delle parole semplici in parole complesse. Secondo il Vater allo stesso punto sono giunte il cantabro in Europa, la lingua degli tschuktschi in Asia, ed in Affrica quella del Congo, e forse ancora molte altre delle sue favelle. Ora è da notare: 1.° che la favella chinese, la quale vige da tanti secoli, e che rimasta a’ monosillabi è così po- vera anche oggidì, che sembra quasi insufficiente alle u- mane occorrenze (*), è quella lingua che forse fino dalla (*) Le poche parole che hanno queste lingue monosillabiche, propriamente parlando non sono parole, ma materia soltanto per farne parole, son rozzi suoni radicali, pei quali non si possono in. dicare né relazioni, ossia idee relative, nè idee intermedie. Così per esempio Co suona ai chinesi come il radicale 7/25 dei tedeschi, sol- tanto colla differenza che da questo 7745 si fanno haben, avere; ich habe, io ho; du hast, ta hai; vir haben, noi abbiamo; ich hatte, io aveva; habend, avente; die habe, la sostanza che si possiede ; all’ opposto quella rimane inalterabilmente radicale, e bisogna o non far conto dell’idee intermedie, ovvero circoscriverle con isten- to. Mentre nel piccolo numero di suoni radicali debbonsi molti- Ì 105 più remota antichità, ha avuto segni e caratteri, e la quale per tempissimo fu consegnata allo scritto . ‘2. Che la lingua greca , ben ‘ricca e doviziosa ebbe tardamente un alfabeto; e-dopo che già in Asia era stato inventato, come lo dimostra l’ origine orientale dei nomi delle lettere greche. (*) 3.° Che le favelle americane, ricche come esse sono e capaci di comporre le voci all’ infinito, non sono state mai scritte, e sono arrivate dalla loro prima origine fino a’ presenti tempi senza caratteri, nè ‘alfabeto. Lo stesso dicasi del cantabro, della favella degli tschuktschi, di quella del Congo, e forse ancora di altre favelle dell’Af- frica . Da tutte le cose anzidette sembra potersi dedurre un probabile supposto: plicare assai le spiegazioni figurate, nelle quali tutti questi popoli per la loro fantasìa ardente prendono uno slancio che sovente dal- l’europeo non si può comprendere; allora il tuono ossia l’ accento con cui il vocabolo in ogni senso è pronunciato supplisce, per quan- to è possibile alla oscurità. Che le lingue così povere e difettose, le quali soltanto offrono le più necessarie idee principali, e queste slegate senza relazione fra loro, aprono nella vita socievole un va- sto campo di oscurità e di dubbiezze; e che siano affatto inutili al- l’ idee scientifiche apparisce chiaramente; quindi è che que’ popoli ancora che le parlano rimangono perpetuamente fanciulli nell’ in- telletto, e non possono usarlo malgrado di molte buone attitudini meccaniche: Il chinese, può fare qualunque tentativo; ma fino a tanto che rimane negli stretti confini della sna lingua, è impossi- bilitato ad appropriarsi le arti e le scienze degli europei. 3» Biblioteca Germanica, Adelung, Mitridgte. Maggio, e giugno, Padova 1822. ,, (*) A5fa poco diversifica dall’ ,, Alef,, ebraica, Beta da ,,Bety Gamma da,, Ghimel,, Delta, da,, Dalet,, Tea, da,, Ted,, Tota, da 7, Tot,,Cappa da,, Caf,, Lambda da,, Lamed,, Pi, da,, Pe.,, Ee Tau sono comuni a due alfabeti» I nomi delle altre lettere, non escluse le aspirate, hanno pure qualche somiglianza . 106 Che la ricchezza ela complicazione delle favelle, stanno in proporzione colla durata del tempo, in cui andarono senza ritegno per le lingue degli uomini, ‘e non furono fissate dallo scritto . RArrAELLO UziELLI. Precetti d' Educazione di Luigi Boneschi. Lodi, presso Orcesi. 1822, tomi 3, in 16. L’ educazione è una scienza sperimentale come tut- te l'altre , e fiîora alquanto meno avanzata che la più parte di esse. Quindi parmi che, volendo passare dalla teoria alla pratica, se ne possono proporre delle norme, anzichè dare de’precetti. La smania di dogmatizzare e di comandare era quella de’nostri buoni vecchi. Noi scredi- tati moderni siamo un poco più modesti di loro; poichè una più lunga esperienza (la nostra cioè aggiunta a quel- la ch’essi ne lasciarono in eredità) ci ha insegnato che, prima di poter dire: una cosa è o debb'essere così, bi- sogna che molte generazioni la guardino per molti versi, e nessuna si affretti di conchiudere, onde la generazione che vien dopo non l’ accusi di leggerezza o di arroganza. Il signor Boneschi ha soggiunto nel frontispizio della sua operetta al titolo di precetti quello di trattato; ma a me non sembra che l’ uno concordi troppo esattamente col- l’altro. Trattare d’ una materia qualunque è ragionarne, esaminarne i principj; e il risultato di un buon esame, parlandosi d’ educazione, peno a credere che sia il dar precetti. Io veggo una società novellamente istituita in Parigi per l'esame de’ metodi di educazione, che nelle varie parti del mondo si vanno provando; e tal società annovera nel suo seno alcuni de’'primari filosofi della no- ei 107 str’epoca. Questo solo fatto ne dice; che oggi un trattato d’educazione non può essere che un saggio d’educazione, che una raccolta d’ osservazioni sopra di essa. Al tempo dell’istituzione dell’ accademia del cimento era abbastan- za l’ottenere i saggi di naturali esperienze. 1 corsi com- pleti di fisica non potevano aspettarsi che qualche secolo più tardi. Il sig. Boneschi dichiara d’ aver derivato quanto dice ne’ suoi tre volumetti dagli scrittori più rinomati in proposito di educazione; e ne riferisce d’ordinario o let- teralmente o per transunto le parole. S’egli nelle sue let- ture si fusse condotto un poco più innanzi e sino cioè al- l’ opere che parlano de’ sistemi di Pestalozzi e di Fellen- . berg, e delle varie applicazioni che se ne sono fatte da altri, si sarebbe avveduto, che se mai era lecito trenta o quarant'anni addietro l’ uscire con de’ precetti d’edu- cazione, oggi assolutamente non lo è più, dopo che tali uomini ci hanno avvertito col loro esempio della neces- sità di far nuove ed accurate esperienze, prima di potere stabilir nulla di positivo. E qui desidero che si faccia una distinzione fra la certezza di alcune massime fondamen- tali in proposito d’educazione, che nessuno revoca in dub- bio, e la maniera di pervenire più sicuramente, più spedi- tamente, e più compitamente a quel fine che l’ educazione deve proporsi; maniera, che si è forse vicini a trovare, ma che per un pezzo nessun sayio ardirà di prescrivere Ciò io doveva notare, perchè certi poveri di spirito potrebbe- ro chiedere sio intenda, l’anno 1823, mettere in dubbio i principj del più comune buon senso, che regolarono gli educatori dacchè nel mondo si conosce civiltà ? Del resto le cose contenute nell’operetta del sig. Bo- neschi ci sembrano generalmente giuste, e (considerando la rozzezza e i pregiudizi di molta parte della società ) non mediocremente importanti. Ma perchè, io domande- ? 108 rei volentieri all’ ottimo uomo (1) tecni un ope- retta, che serva a dirozzarla e ad illuminarla, incomin-, ciar da una declamazione, di cui taluni potrebbero pre- valersi, onde chiamar inutile la sua fatica? Se è vero, com cali asserisce con frase un po’ rancida, che oggi sia tanta la generale depravazione; essi diranno forse jche il rimedio non dipende punto da un libro in qualche mo- do filosofico, da un libro diretto a far' sostituire qualche cosa di nuovo all’ educazione comune. Il rimedio ch’ essi vorrebbero al male che si figurano, e di cui il sig. Bone- schi ammette un po facilmente l’esistenza, sarebbe il ri- torno a tutte le vecchie jdee, a tutte le vecchie pratiche d’ educazione indistintamente, proscrivendo come causa di disordine tutti i miglioramenti introdotti dalla filoso- fia. Vegga egli dunque vt chi si fa alleato colle sue paro- le, mentre nica fatto si unisce agli uomini più probi e più illuminati, che riconoscono un andamento progressi- vo in tutte le umane cose, e credono che nell'educazione possa farsi assai meglio di quello che finora si è fatto . Come poi ha egli cuore di chiamarci sì guasti, che poco poco si proceda in questa nostra corruzione, lo stato sociale debba andarne in rovina? Gli uomini d’ altre età per essere un po’ più duri, o ignoranti o simulati, erano forse più buoni di noi? Io lascio che la storia faccia qui la risposta. Solo insisto che ove ben si rifletta a tutto quello che oggi si fa per migliorare dovun que la condizione mo- rale degli uomini, dici ad adempievei i fini per cui sono posti in società, rendergli rispettabili a sè medesimi,ed utili (1) Dopo aver militato co’ nostri valorosi, quando l’Italia, sotto un capo guerriero, tutta risuonava di guerriere istituzioni , egli ora consacra il suo riposo all'istruzione de’fanciulli, pei quali, ci si dice, mostra una sollecitudine di padre. Questo fatto potrebbe suggerir forse qualche felice idea per una composizione da con- trapporsi al Militare Agricoltore, ultimo romanzetto del benemerito. Sig: Jussieux. : i | | | 109 ciascuno al rimanente del genere umano, deve sembrarci indecente non che ingiusto il ripetere che i costumi sono perduti, e i fondamenti dell’ ordine publico minacciati. Certo io convengo col sig. Boneschi, che da nient'altro al mondo può aspettarsi tanto bene come dall’educazione. Quindi io pure la credo il primo de’ nostri bisogni, ma non già per ricondurci con essa ad uno stato antericre as- solutamente più morale del nostro, che ignoro se abbia mai esistito; bensì per farci progredire del vero incivili- mento, della qual parola suppongo che da nessuno de’leg- gitori si sbagli il significato. Sarebbe forse a dirsi qualche cosa della distribuzione delle materie nell’operetta di cui parliamo; distribuzione della quale l’ autor medesimo ha ‘sentito l'inconveniente. Le norme generali della prima educazione essendo egual- mente applicabili ai due sessi , bastava soggiungere a luo- go a luogo alcune avvertenze particolari relative all'uno o all’altro, senza aggiungere un intero volumetto sull’ al- Jlevamento delle fanciulle, ov’era inevitabile (non volendo riuscire incompleto) il cadere in ripetizioni. Queste e tutte le prolissità possono ne’ libri parer tollerabili, se non an- che piacevoli, quando siano condite da molte grazia d’in- gegno, da molto garbo o splendore di elocuzione. Ma nel- l’operetta del Sig. Boneschi, la quale forse per sua natura non ammetteva troppo squisiti ornamenti , si fanno pur troppo desiderare anche i più comuni. Pur egli parla precettivamente dell’esattezza e dell’eleganza dello scrive- | re,a cui è d’uopo avvezzare le giovani persone; argomento ‘che fa onore alla sua AREA e tanto maggior Mi a chi sa valutare le sue rette intenzioni. Tolga il cielo ‘che noi vogliamo (e le parole usate fin qui dovrebbero di- spensarci da questa dichiarazione) menomargli la più pic- «ciola parte di quel merito, ch’eeli si è acquistato colla sua q D S fatica. Ma l'obbligo d’essere sinceri, e la necessità di av- vertire chiunque voglia veramente ‘co’ suoi sm rpriuscir 110 utile, di non trascurar quello che fa valere tutti gli altri, ci sforza a dirycose, che più volentieri avremmo taciute . Il mancar d’arte nello scrivere è mancanza tanto grave, che non solo toglie pregio ad ogni composizione, o ne in- debolisce l’effetto; ma talvolta fa vile ciò che per sè me- desimo è decoroso, e sconcio quello, che non solo è onesto; ma dettato da zelo di onestà. Di che non potrebbe recarsi maggior prova del capitolo de’costumi, l’ultimo del primo volumetto del Sig. Boneschi, nel quale un delicato lettore, che si fermerebbe sulla importanza d’alcune idee, ove fos- sero accennate cun più destrezza, o rivestite d'un velo gen- tile, quasi ne distrae la mente per verecondia (2). Se il sig. Boneschi avesse nella sua operetta preferito l’analisi ai precetti, poteva anche calcando le orme stra- niere, rendere almeno quest’onore all'Italia di esaminare ciò che nel suo seno fu in altri tempi, e prima che in qual- siasi altro paese praticato di più filosofico per ciò che ri- guarda l'educazione. Gli esteri (e qui ci basti nominare Ginguené e Jullien)non cessano di ammirare il nostro Vit- torino da Feltre, che imaginò con spirito tanto superiore all’ età in cui visse quella sua celebre Giocosa di Mantova, e presentò in essa, come si esprime il secondo de’ succitati scrittori, quasi un perfetto modello dell’istituto pestaloz- ziano. Noi dalle discipline di un tant’uomo non trarremo una sola veduta, un solo esempio, un benchè minimo mo- tivo di compiacenza; non faremo di lui la più breve parola? (2) Speriamo che l'Orcesi (editore dell’opera di cui si ra- giona) il quale ha già in pronto vari materiali per una Bibliote- ca d’Educazione si persuaderà egli pure che il ben pensato è di poco momento se non è anche bene scritto; anzi che niente di ciò ch’è male scritto può veramente dirsi ben pensato. Quindi, oltre al curare molta purgatezza e precisione in que’ volgarizzamenti che vorrà darci d’ottimi libri d’altre nazioni, abbia per massima di non ammettere nella sua raccolta opere italiane, in cui unitamente al buon volere e ai buoni principj non si manifesti ingegno e cultura che passi almeno la mediocrità. Ii Oh sconoscenti sempre verso i nostri più benemeriti! Oh > malcuranti delle cose nostre! Quanti di noi, a cagion d’esem- pio, sanno che il grido della natura, fatto sentire sì poten- temente dal filosofo ginevrino nel suo Emilio in favore di tanti cari innocenti, a cui era negato il materno seno, ri- suonava da due secoli in un capitolo del Tansillo (3), a cui se manca bellezza di verso, non manca certamente calore, e quella che chiameremo unzione dell’ umanità ? Fortunati sua si bona norint ! viene ad ogni proposito vo- lontà d’ esclamare di noi Italiani. Non già che siamo tanto ricchi di domestica sapienza da dover disprezzare l’altrui; non già che, dopo avere sì a lungo dormito, non abbiamo bisogno di ricorrere a chi frattanto vegliò. Ma certo (la- ‘Sciando star la vergogna del non conoscere il nostro patri- Îmonio, e l’ingratitudine dell’ obliare i nostri maggiori che cel radunarono) questo patrimonio può. ancora fruttarci tutto quello che ci manca, pel solo eccitamento che il ben considerarlo deve dare alla nostra emulazione. M. Le odi ismiche di Pindaro, traduzione di Giuseppe Borghi. Pisa, presso Niccolò Capurro, co'caratteri di F. Didot. 1822. in 8. All’ annunzio d’una traduzion nuova di Pindaro saranno ‘alcuni , i quali ricordando quei notissimi versi d''Orazio Pindarum quisquis ec. presagiranno al tradut- tore l'infelice sorte d’ Icaro . E questo fatale presagio si avviseranno di poter confermare con quelle parole del- l’ Heyne nollemus vanam consumi operam in transferen- do eo poeta, qui nullo modo alia lingua reddi potest (1) (9 La ‘Balia (1) Pref. in Pind. p. 53. edit. sott. 1796. r12 Altri diranno essere inutile lo affaticarsi in questa difficile impresa, quando si ha già una buona traduzione, siccome è quella del ch. sig. prof. Mezzanotte. Ma risponderei vo- lentieri a'primi, che Orazio, quantunque facesse quella ter- ribile minaccia; imitò Pindaro, e.lo emulò : anzi talvolta ne tradusse ancora qualche breve.tratto. Se poi lo vinces- se non è da me: il deciderlo, 0 piuttosto non è da nessuno: chè; periquanto‘io estimi, que’ due, sommi lirici sono d’in- dole così diversa , che non ' può in yerun modo fra loro farsi paragone. E se 1° Heyne scrisse le parole testè alle- gate volle soltanto ricordare, vana essere la speranza d’u- guagliar traducendo quel grande originale, di cui la lingua troppo è lontana dai nostri volgari. Ma ivi medesimo do- po poche linee.cenfortò anzi ad, imprendere sì fatta fatica, dalla quale:confessa poter derivare molto vantaggio, alle moderne lingue ‘ed. alla.lirica, poesia. Direi ai secondi, che può ‘uno ‘scrittore volgarizzarsi i n più modi; massimamen- te se d’ un' poeta sì tratta : € diversamente volgarizzando può alcunò ottener plauso , benchè altri l’abbia già otte- nuto, correndo il medesimo arringo . Il che se è vero ri- guardo agli altri poeti, molto più dovrà asserirsi di que’poe- ‘ti; i quali. , siccome Pindaro, offrono maggiori difficoltà . Molto\poi dee piacere, che ‘parecchi sì adoprino di darci nel volgar nostro le opere degli antichi greci e latini, ve- ri maestri del bello scrivere, di che non può non derivare sommo vantaggio alle lettere italiane. Per le quali cose io reputo degno; di molta, lode il sig. Borghi, che con ge- neroso ardimento si è accinto all’ impresa, dandoci ora per saggio le sole istuiche , nè si è lasciato spaventare dalla difficoltà della, medesima, 0 dal grido del suo precursore. Anzi giudico; che debba confortarsi a continuarla con sot te animo . i Niuno i ignora , quanto sia difficil cosa il Mit. un poeta con fedeltà e in buoni versi di metro regolato . E niuno ignora ugualmente quanto si accresca la difficol- —_ | | | ‘ È 113 tà volgarizzando certi poeti come Pindaro ed Eschilo per quelle maniere proprie loro, e lontanissime da’ nostri usi e dalle moderne lingue. Il N. T. però non si è disanima- to per questo ; e si è proposto d’ usar sempre metro rego- lato, con versi tutti rimati tranne gli sdruccioli, e al tem- po stesso esser fedele senza ricorrere al comodo e facil ripiego di stemperare i sentimenti dell’originale in una parafrasi. Le quali cose avendo egli osservate, vuolsi dar- gliene molta lode. Volendo però esser fedele fra gli altri scogli, che possono incontrarsi, anzi frequentemente s’in- contrano, uno ve n° ha difficile ad evitarsi. Voglio dire certi epiteti, o aggiunti, i quali in una voce sola dicono in greco ciò che, se si vuol trasportare nella nostra lingua, se ne richiedono molte. La qual cosa se puo talvolta riu- scir non ingrata, ove quell’aggiunto richiesto sia dal con- testo , difficil cosa è che tale non riesca , ove niuna rela- zione abbia col medesimo . Di questo ho parlato un' altra volta in un altro giornale, ma giova ripeterlo. Se il sig. Borghi tutte vorrà tradurre le odi di Pindaro gli avverrà di trovarne parecchi: ma nell Ismiche ve n’ ha uno solo. Comincia Pindaro la settima ode così. Per quale de’ pa- trj tuoi preteriti vanti, o beata Tebe , si rallegra mag- giormente l’ animo tuo? Forse quando producesti l’ am- pio-chiomato Bacco compagno di Cerere bronzo-strepi- tante? La quale ultima parola allude al correre della Dea percuotendo cembali e sistri in traccia di Proserpina. Questo aggiunto quanto è hello in greco yeAxoxpévor , e solo basta a richiamare alla memoria quell’avvenimento, ‘altrettanto è spiacevole nel nostro volgare bronzo-strepi- «tante, nè poteva il N. T. volerlo usare. Egli dubque es- «sendosi proposto d’ esser fedele , nè volendo trascurar ‘quell’ aggiunto ha detto così. Qual d’ ogni tuo bel vanto Cui plause età passata, Qual mai più dolce incanto, T. IX Febbraio (Ce) 114 O Tebe avventurata Pur ti risveglia in cor ? Forse il natal di Bromio Dai crin sul collo erranti, Fido compagno a Cerere, Che desta coi sonanti Metalli alto fragor? “ Niuna relazione ha quell’ aggiunto nè coi vanti di Tebe, nè con Bacco, ed è inutile: ma finalmente in greco è una parola sola , ed un poeta dell’indole di Pindaro non può frenarsi , e misurare ogni parola. Ma quando a tradurre questo aggiunto inutile si richiedono due versi mi pare, \che il difetto si renda assai più sensibile , e crederei; che in simili circostanze fosse più savio consiglio l’ esser me- no fedele, e tralasciarlo. Forse Pindaro non se ne dorreb- be . Altri per avventura giudicherà altramente . Un altro rimprovero di soverchîa fedeltà farò al ‘signor Borghi . Comincia la seconda otle così . Trasibul mio, quante fur viste un giorno Bell’ alme al canto usate Volar sul carro adorno Delle Camene dalle bende aurate , E farsi altere innante La divina tentando arpa sonante ; Pei garzoncelli di vaghezza ornati, La melodìa celeste Vibrar dagl’ inni alati Cantando quel che nelle forme oneste D’ autunno il pomo avea Grato forier dell’ Acidalia Dea . Pindaro dice: gli antichi uomini, o Trasibulo, che sa- lirono sul cocchio delle Muse dall-auree-bende , moven- do coll’ inclita cetra , dardeggiarono spesso inni dol- ce-sonanti pe' fanciulli, se alcuno, bello essendo, avesse il soavissimo frutto autunnale pronubo di Venere dal bel trono . Ho detio frutto autunnale , perchè tale è il significato, che universalmente si dà alla voce dxépe 125 E così pure la spiega il chiarissimo signor Giovanni Co- sta nella sua bella traduzione latina, dicendo così: Vittas gerentum crinibus aureas Antiqui in altis Pieridum rotis Occurrere arguta solebant Cum cythara, Thrasibule, vates, Statimque amoris\mella vibrantibus Stillare chordis, pulcher ubi puer Monstrasset autumnale pomun Et roseo monuisset ore, Adesse Divam , quae ciet edita . E sede blandi vota cupidinis. Io credo, che 67%pz non sia solamente frutto autunna- le, ma qualsivoglia maturo frutto di qualunque stagio- ne. Di questo però ragionerò in fine di questo articolo, facendo quasi un’ appendice, affinchè le sofisterie gram- maticali non rechino soverchia noja a quei molti, che non le amano . Ove però ancora si dovesse assolutamente negare a questa voce il significato , che io gli do, con- siglierei almeno un traduttore , che gliele desse di suo arbitrio. Imperciocchè , parlando della età dell’ uomo o della donna , il frutto autunnale risveglia idee lontane troppo dal conciliamento di Venere . Orazio d’ una gio- vinetta dice: i Motus doceri gaudet Jonicos Matura virgo, et fingitur artubus, i i lam nunc , et incestos amores | De tenero meditatur ungui , Lib. 3. Od. 6. E altrove, Tandem desine matrem Tempestiva sequi viro . Jd. Od. 23. x DI LN . . . x , . . ‘Questa è l’ età, che Pindaro indicò ne’ suoi versi, e que- sta bisogna esprimere nella traduzione , ancor se si do- ‘vesse esser meno fedeli al rigoroso significato delle pa- role . Il sig. Borghi l’ha espressa , dicendo, grato forier dell’ Acidalia Dea ; non però nominando il frutto au- i ‘#unnale . Lo stesso dicasi degli altri, ché hanno seguita i” la stessa via. Se queste considerazioni sono giuste, quan- | |. | 116 tunque si reputassero troppo severe, credo che non di- spiaceranno all’ egregio traduttore : che finalmente è un bel difetto l’ esser troppo fedele, e raro è che altrui se ne debba far rimprovero . Poche altre mutazioni di questo , o d’altro genere gli avverrà forse di voler fare in una nuova impressione: ed essendo valorosò poeta saprà trarne occasione per rendere vie più nobile ed elevato lo stile, e degno di Pindaro quanto è possibile. Così a c. 13. dove dice : nego i VARERIOlE Gui volle sacra in Filace A te, Protesilao, l’Acaica prole forse non conserverà la voce mole, che non pare conve- niente pel tempio di Protesilao ; perchè piccioli erano i tempj degli eroi. Credo altresì che sarebbe opportuna qualche mutazione anche a c. 24 dove si legge: Ma levar dessi con gentil favore Quei pur, che gl’ inni dona. È il poeta , che dona gl’inni, cioè Pindaro stesso, e non mi pare , ch’ egli abbia qui voluto parlar di sè. Egli dice: X ph dè uwudfovr® ayavats Xapirsoci Pastacai. Le Grazie, X4pres sovente sono in Pindaro le Muse, la poesia, i versi. Si veda Ol. I. 48. VI. 128. VII. 19 e al- trove. Kww&dgs da lui si adopera , parlando di quel fe- steggiamento , 0 vogliam dire processione accompagnata da balli, suoni, e canto, che il vincitore del giuoco con- duceva quasi in trionfo; e in questo senso l’ ha spiegato il N. T. nell’ Ismica 7. p. 5g. Nè in altro modo lo spie- gherà nella Nemea 9. v. 1. e nella 10. v. 64. Dove è da osservarsi che nel primo e nel terzo di questi luogls si distingue apertamente il ballo dal canto. Dice Euripide Herc. Fur. v. 179. che vinti i giganti gli Dei menaron trionfo, nel quale Ercole rèv x@AAfvinov. perà bedy' txvuece, cioè ballò il callinico cogli Dei in quella solenne {rocessione, o forse ne fu egli stesso il condottiero. Il - 117 participio xw&$wy si dice e del conduttore del coro, e di quelli che lo formavano, e finalmente del vincitore ; nel quale ultimo senso l’ usò il poeta Ol. 9g. v. 6. Piz. 4. v. 3. Nem. 11. v: 36. E in questo senso credo, che debba in- tendersi ancora in questo luogo; talchè é0Aèdv, e rwudtorra indichino la stessa persona , cioè il vincitore, oppure il primo sia l’ uom prode in generale, e il secondo il vin- citore . Ad ogni ode il signor Borghi ha aggiunte alcune brevi annotazioni : le più storiche o mitologiche, e le altre indiritte a dar ragione del suo volgarizzamento. Fra le prime merita special ricordanza la quarta dell’ ode ottava. Leggesi in Pindaro Zsthm. 8. v. 93. che le nozze di Teti e Peleo dovevansi celebrare nel ‘plenilunio. Che questo fosse giorno d’ augurio felice per le nozze, e da questo luogo di Pindaro, e dal v. 717. dell’ Ifigenia in Aulide d’ Euripide si deduceva chiaramente. Ma nè i comentatori di questi due poeti , nè altri, che io sappia, ne avevano indagata la ragione. L’ ha bensì indagata il-N. T. felice- mente. Egli osservando le cose dette da Esiodo intorno ai giorni di buono augurio o di reo con molto ingegno mo- stra, che secondo le greche superstizioni era quello il tempo reputato più acconcio per generare prosperamentg” prole maschile. Non sarei però del suo avviso riguardo #. un’ altra.annotazione, voglio dire la prima dell’ Ismica seconda, quantunque egli abbia a sè favorevoli l’ antico scoliaste greco , e tra” moderni lo Shmid con altri. Dice lo scoliaste, che avendo Pindaro colla Pizia sesta cantata la vittoria, che Senocrate riportò ne’ giuochi Pizj , non ne fosse da lui rimunerato ; e che celebrando ora la vit- toria dal medesimo ottenuta negl’Ismi gliene faccia un rimprovero. Quindi il poeta comincia dicendo, che gli antichi cantavano senza mercede. Poichè non anco di guadagni amica De’ fiori ascrei mercato Ficea musa pudica ; vt POTRAI Nè mellite canzon d’inargentato Volto, e di molle stile Vendeva ancor Tersicore gentile. come ben traduce il sig. Borghi. Ma ora ( prosiegue Pin- daro ) giova , ovvero la musa concede, che sì osservi quel veracissimo detto: ell’ or, solo nell’oro è l’uomo in- tiero. A me pare, che tutto questo discorso non sia accon- cio per chieder danari, ma sì a biasimare coloro, che vendono i lor versi turpemente. E in questo avviso mi conferma quella sentenza pur ora allegata, che l’ uomo non è altro che l’ oro. Questa sentenza disse un eerto Ari- stodemo , il quale divenuto povero fu, come spesso av- viene, dagli amici abbandonato ; e perciò con quelle pa- role rampognò coloro , i quali pregiano in altrui solamente le ricchezze che possedono. Ed io, giudico, che mal si ap- ponessero Michele Apostolio ne’ proverbj Cent. 20. 83. e Suida v. Xpiuer &vip, i quali applicano quel detto a co- loro che menano vita piacevole. Per le quali cose io credo, che Pindaro volesse qui mordere l’avarizia di qualche poeta. Chi sia il poeta non saprei dirlo; se pure non vo- glia sospettarsi di Bacchilide, cui Pindaro punse alcuna volta. Non credo poi che il vincitore Senocrate si di- mostrasse meschino e gretto col poeta suo lodatore, che anzi se ne commenda a Cielo la splendidezza , mella qual virtù non mai per contrario vento fu costretto a ripiegare le vele come si legge ne’ versi 58 e seguenti. Nè credo pure, che Pindaro fosse d’ animo così basso, ed avido tanto del danaro; che volesse adoperare queste arti per chiedere una mercede , o ripigliare altri per non averla ottenuta. Non mi si opponga collo Scoliaste, che anche Gerone gli aveva promessa una cetra d’ oro, e poi non gli tenne la data fede ; per la qual cosa vuolsi, che Pin- daro nel principio della prima Pizia nomini appunto una cetra d’oro. Basta gettare uno sguardo a quel principio 119 per vedere , che ivi si loda la poesia nè v’ ha traccia della favoletta mal creduta dallo Scoliaste, e forse inventata da Artemone da lui allegato. Resterebbe a parlare d’una questione mossa da al- cuni, se la terza e quarta ode sieno due odi diverse, o debbano formarne una sola. Il sig. B. l’ ha decisa col fat- to dividendole; chè a suo favore stanno tutti i traduttori, e il maggior numero degli editori. Io lascerò questo esa- me, che richiederebbe lungo discorso, e poco o niun frutto se ne ritrarrebbe: e senza più recherò la prima ode Istima, affinchè ‘i leggitori da questa facciano con- gettura delle rimanenti, e si uniscano a confortare l’egre- gio traduttore , che prosegua la ben cominciata impresa. Vi aggiugnerò poi poche e brevi annotazioni ricavate da quelle del traduttore. Ad Erodoto di Tebe O madre mia dall’ aureo F Scudo, o Tebe famosa, ogni tuo vanto, Fra quante idee m’accendono, Io stimerò più forte invito al canto. Nè meco irata mostrisi L'alpestre Delo de’ miei studj obietto (1): Qual cura in alma ingenua Vince pei santi genitor l’ affetto ? Cedi , o terren d’ Apolline ; Ambo, se gli astri mi saranno amici, Ambo al segnato termine Trarrò cantando gli onorati uffici. Dirò l’intonso Delio Tra cittadine danze in Ceo marina: Ma pria da me si celebri La rinchiusa dal mare Ismia collina. Ch’ ella di Cadmo al popolo Ne” chiari ludi sei corone offriva (2), (1) Pindaro per fare quest’ode sospese il lavoro d’un inno, che faceva per gli abitanti di Ceo. (2) Erodoto e con lui altri giovani Tebani colsero nell’ Ismo le sei corone qui rammentate . 120 Di leggiadra vittoria Onor leggiadro alla paterna riva. Quivi d’Almena il candido Fianco sgravossi del fanciullo audace, Per cui tremò l’ orribile Di Gerione un dì veltro mordace. Ma fabbricando a Erodoto Pel cocchio volator lode sincera, AI garzoncel, che reggere I freni ricusò con man straniera (3) ; A lui saprò di Castore, O adattar d’Iolao gl’ inni canori In Tebe e in Sparta ei nacquero Tra i sommi eroi di cocchi agitatori.- Spesso in palestra nobile Gustando il frutto del conteso alloro, Le patrie soglie ornarono Di tripodi, lebeti, o vasi d’oro. Nè men gagliardi a splendere Muovean sudando nello stadio ignudi, E nelle cose armigere, Infra il rimbombo de’ percossi scudi. Quali apparir, se trassero O disco, o telo, vibrator possenti! Chè ogni opra avea suo premio, Nè cinque a torlo si chiedean cimenti (4) Per tante palme il fulgido Crine ricinti della spessa fronde, Gli eroi famosi apparvero E di Dirce e d’Eurota appo le sponde. O chiaro figlio d’Ificle, Che in Sparta avesti di spartan l’onore (5); | O tra gli Achei Tindaride Dell’ altera Terapne abitatore, Io vi saluto. Al'cerulo (3) Erodoto guidò da sè il cocchio. Molti si servivano d’altro abile guidatore. (4) A tempo di Iolao e di Castore non era in uso il pentalio. (5) I Tebani e i Lacedemoni vivevano in tanta relazione fra loro, che si prestavano vicendevolmente la cittadinanza. Perciò le lodi degli uni come degli altri dovevano esser grate ad Erodoto. < 121 ‘Signore, e al divin Ismo inno celeste Per me frattanto adornasi, Ed alle spiagge della bella Oncheste. Erger pur voglio all’ etere Infra le laudi, che preparo al forte, Del genitor magnanimo Asopodòr la gloriosa sorte. Celebrerò d’ Orcomeno Il patrio. suol, che lo raccolse in grembo Dall’ onde immense; naufrago Quasi perduto nell’orribil nembo (6). Ma risalir pur mirasi Al: primo vanto sua natia fortuna: Chi sventurato giacquesi, Vigil nel seno accorgimento aduna, Qualor fatiche, ed utili ‘Tesor virtù profonde, ai degni prodi, Scevre d’invidia, debbonsi Corone offrir di meritate lodi. Chè a stabilir la pubblica . Sorte con lieve don perviene il saggio, Ai sudori magnanimi Spesso facendo d’aurei detti omaggio. Varia mercè la varia Vita richiede. Il condottier d’armento, Il cacciatore, il ruvido Bifolco, e chi dal mar tragge alimento, Tutti lor forza adoprano A discacciar la fame tenebrosa : Ma chi nell’ agon ‘bellico, O nei ludi acquistò gloria famosa, Costui, se onesta laude Gli aleg ggi intorno, ampia mercede ottiene , Dei carmi il fior, nel patrio Lido sonanti e nell’estranie arene. Su dunque, inni al Satarnio Nume inalziamo scotitor del suolo (7), AI vicin Dio benefico (6) Asopodòro padre d’ Erodoto per dure circostanze dovette faggire da Tebe, e ripararsi per qualche tempo ad Orcomeno. (7) Sì accennano i luoghi dove Erodoto riportò le sue vittorie. 122 Rettor dei eocchi, e dell’ equestre volo. Nè tacerò tra i cantici Tua prole, Amfitrion, nè il bel soggiorno Di Minia, ovver dell’ inclita Gleusina signora il bosco adorno. Dirò l’ Eubèa , dov agili Ruote guidò l’eroe: dirò la mole Cui volle sacra in Filace A te, Protesilao l’Acaica prole. Ma rimembrar d’ Erodoto Pei focosi destrier le palme spesse, Cui delle gare l’ arbitro Cillenio Nume al suo valor concesse, Dell’ inno a noi la rigida Breve misura or vieta, e suole in petto Sovente anzi discendere Da leggiadro tacer maggior diletto. Deh! alfin sull’ali splendide Ei sollevato delle Dee canore, D’Olimpie frondi e Delfiche (8) Armi la mano e a Tebe accresca onore! Ma chi nell’ arche taeite Tesor raduna occulti e altrui dileggia, Non sa, che d’onor povero Con l’avaro Pluton l’ alma patteggia. Dopo d’ avere fin qui dato contezza di questo nuovo volgarizzamento mi sia ora concesso d’esaminare il signi- ficato della voce érwpe , di che sopra ho dato un cenno. Questa voce propriamente significa azéuzr0, e principal- mente il principio di questa stagione, che, confinando coll’ estate, male da lei si distingue. Per ciò Esichio la spiegò per 0épos, che veramente è l'estate. Si adopera però ancora per tutto l’ autunno, in vece di wsròrwpoy che ne è il colmo, e di PHrdrwpor che ne è il fine. E siccome l’ autunno è la stagione più feconda di frutti, per ciò sì usa ancora per frutto autunnale. Esichio dice, che si dice dell'uva, ma si estende ancora agli altri frutti d’ ogni (8) Si augura a lui la vittoria ne’ giuochi Olimpici. 123 | maniera : chè così spiego le ‘parole er) rov ZAAwy 2xpo- dpdwv. Longo sofista nel celebré frammento conservatoci in un testo a penna della Laurenziana parlando d’un frutto di primavera usò l’aggettivo 07wpsv6s. Il dottissimo signor cavaliere Ciampi ben se ne accorse, e lo disse aper- tamente (9), mostrando che il dono fu fatto di primave- ra. Il romano editore di quel frammento in luogo di p7A€ òrwpivè, che è nel manoscritto corresse u@AÀ@ wpe70y, forse avvisandosi, che quella voce si usi de’ frutti d’ au- tunno solamente. Ma sì fatta emendazione non è oppor- tuna, e quel valoroso grecista se ne sarebbe avveduto, se avesse portato lo sguardo a un altro passo di quello scrit- tore. Lunperdiocilià: non guari dopo il luogo in cui devesi collocare quel Grapstese nto si legge: era già il termine. della primavera e il principio dell’ estate . . . . soave era il canto delle cicale, dolce la fragranza de’ frutti, tijs drWpas (10), dove questo nome si dà ai frutti di quella stagione. Luciano de Salt. $. 56. chiamò con questo nome i'pomi dell’ Esperidi, ed Erodoto usò il verbo 6rwpi$w per raccogliere i frutti delle palme (11). Anzi 0r6p@ si adoperò ancora per ortaggio. Iseo nell’ orazione per l’ eredità d’A- gnia novera il danaro lasciato da Stratocle, e il grano, e il vino, e l’olio, ed érép&s (12), dove pare che non si deb- ba intendere de’ soli frutti, ma anche de’ prodotti del- l'orto. E in questo senso l’usò Demostene contro Nico- strato (13); e forse nell’ orazione della corona, quando disse che Eschine era stato 67wpév4s, volle intendere venditore ortaggi, o certamente almeno venditore di frutti : (9) V. la sua lettera posta innanzi allà traduzione fatta dal Raro, Crisopoli (Pisa) 1814. a c. XXIX. , (10) Long. Past. p. 18. ed Lut. Par. 1778. | (11) Hei: I. 4. cap. 172..et 182. (12) Orat. Gr. Reiskii T. 7. p. 294. (15) Dem. Reiskii p. 1253. 124 d’ogni genere (14). Nè altramente intesero i settanta la - i parola é76pa, il che si vede dal modo, in cui usarono il derivato 6rwpo@vAdxsov, cioè in significato di quelle ca- supole, dove notte tempo sì riparavano i custodi degli orti per impedire i furti. Leggesi in Isaia cap. 1. v. 8, De- relinquetur filia Sion, sicut umbraculum in vinea, ( cinlunàh bemiksciàh) sicut tugurium in cucumera- rio, e i settanta la parola meluràh, che è quella casupo- la che ho detto; tradussero per orwpo@vAazioy. Così pure al cap. 20. v. 24. In Michea al cap. 1. v. 6. dove si ha, ponam Samariam (lenghì hasadèh) in acervum agri, e al cap. 3. v. 12. e nel Salmo 79. v. 1. usarono la stessa voce per tradurre ( rghi ) acervum, perchè, siccome nota il Drusio (15), de’ sassi raccolti pe’ campi, e quindi am. mucchiati si facevano que’ miseri e instabili tugurj. Or se 0Twpo@vAdziov è la casa del guardiano rv 6rwp@v, ed i settanta l'usarono per quella del guardiano degli orti, convien dire che 6rwp si adoperasse per orfaggio, come ho mostrato che si usava ancora per frutto d’ ogni manie- ra e d’ ogni stagione. Ma bastino ormai le cose dette, colle quali ho forse anche di soverchio deviato dallo scopo di questo articolo. CesARE LuccuHESINI (14) Ibid. p. 314. (15) Crit. Sacr. T. 3. p. 1201. Errori tipografici accaduti nel fascicolo XXMI Vol. VII. pag. 354. l. 10. gl’ occhi correggi gli occhi p. 359. l. 14. di dentro dentro p.. 360.1. 6. lanisti lassisti p. 367. l. 4. Fiosofia Filosofia p. 370. $. VII. pensisro pensiero dda 125 .. Estratto di una memoria , relativa all” alfabeto dei .. GrrocLirici Fonetici Eciziani, comunicata all’ ac- cademia reale d’iscrizioni, e belle lettere di Parigi il 27. settembre 1822.— Dal sig. J. Cramporuion LE Jeune (*)(Zraduzione delsig.D.VaLeRIANI.) I monumenti egiziani coperti d’ iscrizioni in diversi | caratteri, si sono moltiplicati moltissimo in Europa, dopo la spedizione dei francesi in Oriente . L’ illuminata atti- vità dei viaggiatori, e la munificenza dei governi:; l’ una togliendo alla distruzione quei preziosi , e spesso anche fragilissimi avanzi di una antica civilizzazione , 1’ altra facilitando il loro studio, col deporli nei pubblici stabili- menti, dovevano produrre necessariamente dei resulta- menti felici per l’ avanzamento delle cognizioni storiche, e condurre in fine a delle idee esatte sulla natura genera- le, sui rapporti, e sull’ andamento, proprii dei differenti sistemi di scrittura, usati presso gli antichi Egizii. \ Mai più importanti di questi materiali, erano certa- | mente, la triplice iscrizione della pietra di Rosetta, ed Î î manoscritti sul papiro , incisi dopo il 1812 nella grar | descrizione dell’ Egitto. I dotti lavori del signor de Sa- \ cy, di Ackerblad , e del signor dottor Young, su questi ' diversi oggetti, hanno dimostrato ad un tempo, e le dif- | ficoltà inseparabili da un tale studio, e la ricca supellettile \ idi nuove cognizioni, che se ne poteva sperare. Io sono sta- | to forse abbastanza fortunato dal canto mio, da pervenire | a dei dati positivi, su di una materia divenuta esclusiva- \‘imente l'oggetto speciale delle mié ricerche . | Risulta dalle diverse memorie, delle quali 7° accade- (*) Il traduttore si propone di pubblicare nei numeri seguen- | ti dell’ Antologia una serie di osservazioni da lui fatte, sulla pre- | tesa scoperta del sig. Champollion le jeune, e sul di lui sistema | circa i Geroglifici fonetici . | 126 mia di belle lettere, ha udito la lettura negli anni 1821, e 1822, che gli egiziani avevano tre sorte di scrittura. 1. Za scrittura geroglifica, che procedeva alla pittura immediata delle idee, col mezzo di caratteri presentanti la forma più, o meno esatta degli oggetti fisici ; caratteri , che erano presi, ora in senso proprio , ed ora in senso fi- gurato . Gli antichi li chiamarono, nel primo caso; Gero- glifici ciriologici, e nel secondo Geroglifici tropici , 0 e- nigmatici. La scrittura geroglifica , quanto alla forma dei segni soltanto , era di due specie : primieramente la geroglifica pura, i di cui caratteri erano una imitazione, spesso ricercatissima , degli oggetti fisici; impiegavasi spe- cialmente nelle iscrizioni tracciate sui templi, sui palazzi, sui sepolcri , e generalmente sui monumenti pubblici; in secondo luogo la scrittura geroglifica, che io ho chiamata lineare, perchè i segni, che la compongono, formati di li- nee semplicissime, combinate spesso ingegnosamente, of- frono anche l’immagine riconoscibilissima degli oggetti fisici. Si è confusa a «torto quest’ ultima scrittura colla scrittura Seratica . a. La scrittura Jeratica,o sacerdotale, i di cui ca- ratteri sono per la maggior parte arbitrari, e conservano appena nelle loro forme; delle deboli traccie dell’ imita> ‘zione degli oggetti fisici. Questo secondo sistema è una semplice tachigrafia del primo. La maggior parte dei ma- noscritti trovati nei ein egiziani, sono in scrittura «Jeratica, destinata specialmente alle materie religiose. 3. La scrittura demotica N ( popolare ) , 0 epistolo- grafica, che era impiegata negli usi civili, e nelle materie -private . Questa scrittura, che è quella del testo interme- dio della pietra di Rosetta, formava un sistema a parte : è vero che ella fu composta di segni presi ad imprestito senza alterazione, dalla scrittura jeratica; ma la scrit- tura demotica , li combinava spesso con delle regole , e ad uno scopo, che le erano IpuLerapnente proprii . | 127 Questi tre sistemi di scrittura erano puramente ideo- grafici , vale a dire che eglino rappresentavano le idee, e non già i.suoni, e le pronunzie di una lingua. Il loro an- damento generale però era molto analogo , o per dir me- glio era calcato su quello della lingua egiziana parlata . Ma poichè i tre sistemi di seritture egiziane non e- sprimevano i suoni delle parole, era importante di sapere per qual modo gli Egiziani poterono consegnare ai loro scritti, è nomi proprii e le parole appartenti alle lingue straniere, che spesso erano costretti a richiamare nei loro testi ideografici, principalmente nella durata dei diversi periodi della servitù dell’ Egitto, e dei re di razza stra- niera . È questa questione, interessante ad un tempo, e per l’ istoria, e per la filologia, ho tentato io di. sciogliere nella memoria, che ho avuto l’ onore di sottoporre al giu- dizio dell’ accademia di belle lettere, nella seduta del 27 settembre ultimo’ passato, e della quale darò qui un rapi- do estratto . ) Il testo demotico dell’ iscrizione di Rosetta, parago- nato col testo greco, ci ha condotti a riconoscere, che' gli Egiziani si servivano in questo terzo sistema di scrittura, di un certo numero di segni ideografici, che spogliandosi ‘del loro valore reale, divenivano accidentalmente dei se- gni di suoni, o di pronunzie . Nel testo demotico dell’ i- scrizione di Rosetta, sono scritti con questi segni i nomi proprii dei re, Alessandro, e Tolomeo , e delle regine, Berenice, Arsinoe, e quelli dei personaggi privati, Aetes, «Pirra, Filino, Areja, Diogene, ed Irene . Un altro te- ‘sto demotico, vogliamo parlare di un manoscritto sul Pa- \piro , recentemente acquistato per il gabinetto del re, e che è un atto pubblico del regno di Tolomeo Evergete JI, contiene altresì , nel suo protocollo , di cui abbiamo «provato a fare la traduzione, i nomi di Alessandro; di T'o- lomeo, Berenice, Arsinoe, e di più quelli di Cleopatra, ed Eupatore; ed in fine i nomi di Apollonio , Antioco, 128 ed Antigone che sono quelli di ufficiali pubblici ; o di semplici particolari . La comparazione di questi | nomi gli uni cogli altri, ha confermato pienamente: ; ciò che il testo demotico di Rosetta ci aveva già insegnato; l’ esi- stenza nella scrittura ideografica popolare di una, serie ausiliaria di segni destinati ad esprimere i suoni dei no- mi proprii , e delle parole straniere alla lingua egizia- na. Noi abbiamo dato a questo sistema ausiliario il nome di scrittura fonetica.I diversi nomi scritti con questo meto- do, tanto sulla pietra di Rosetta, che nell’atto pubblico sul Papiro , essendo ravvicinati gli uni agli altri, ci hanno mostrato il valore certo di tutti i caratteri , la di cui riu- nione forma l’ alfabeto , o piuttosto sillabario demotico, posto nella seconda colonna della tavola che: accompagna questo estratto . Riconosciuto una ‘volta l’ impiego dei caratteri fone- tici nella scrittura demotica 3 0 popolare; era necessario assicurarsi , se esisteva anche nelle scrittura geroglifica una serie di segni egualmente fonetici, impiegati all’ uso medesimo ; asrenito la scoperta di questo alfabeto pro- durre collo sua applicazione alle numerose iscrizioni gero- glifiche, di cui abbiamo delle copie esatte; dei nuovi risul- tamenti ; positivi , e della. più. alta importanza per la storia . Il testo geroglifico dell’ iscrizione di Rosetta. avreb- be potuto egli solo decidere questa curiosa questione ; e darci altresi l’alfabeto quasi completo dei geroglifici fone- tici, se quel testo fosse giunto in. Europa nella sua integrità. Ma disgraziatamente la pietra non presenta chele ultime quattordici linee di questo testo; ed il nome geroglifico di Z'olomeo , racchiuso come tutti gli nomi proprii gero- glifici, in una specie di cartello , è il solo di tutti quelli, che sono stati menzionati nel testo greco dell’ iscrizione , che sia sfuggito ad una total distruzione. Questo nome è formato di sette, 0 otto caratteri geroglifici; e siccome il 129 nome grecò IITOAEMATOE contiene dieci lettere, non poteva stabilirsi alcun, rapporto sicuro tra i valori degli uni, e degli altri, nulla autorizzandoci d’ altronde a con- siderare finidalnicata il nome geroglifico di Tolomeo, sem composto di. segni i fonetici. ‘© Un nuovo monumento è finalmente venuto a soglie xe tutte. le incertezze a ‘questo riguardo , e ci. ha condotti ‘in ‘una maniera certa ai più numerosi risultamenti » e di ‘ciamolo pure , più inaspettati. rl ol’ Obelisco egiziano, che il signor Belzoni 4% tra- ‘sportato dall'isola di File a loud, era legato ad uno zoccolo che. portava. in.lingua greca, una supplica dei Sa- cerdoti d’ Iside a. File , diretta al re Tolomeo E vergete II, e So regina Cleopatra sua sorella. ‘Io riconobbi in effetto nell’iscrizione geroglifica, che ieloztoo le quattro facce dell’ Obelisco , il nome geroglifico di Tolomeo; assolutamente simile a quello che porta il testo geroglifico di Rosetta ; e questa circostanza, mi con- dusse lad osservare , che il secondo cartello posto, in, que- ‘sto obelisco , presso quello di Tolomeo, e i di cui ultimi caratteri; che terminano anche i nomi proprii di tutte le Dee egiziane, sono;i segni ideografici del genere femmi- nino, conteneva, sempre conformemente. all’ iscrizione -greca' dello zoccolo, il nome della regina Cleopatra. Se fosse stato! velica così, questi due,nomi gera- glifioi di Tolomeo, e di Clempatra, che nel, greco hanno alcune lettere simili » potevano servire ad. un ravvicina- ‘mento comparativo dei segni geroglifici, che compongono l'uno, el'altro ; e se Je lettere simili in due nomi, greci ‘erano espresse nell’ uno e nell'altro cartello egiziano, con un medesimo geroglifico, egli diveniva costante allora : «che nella scrittura geroglifi Ca, esisteva , come nella de- ‘motica, una serie di segni fonesici, cioè , rappresentativi di suoni , o di pronunzie. esta, ipotesi è subito divenuta una certezza per cx IX. Febbraio 9 130 questa semplice comparazione ‘di quei due nomi: gerogli* . fici : il secondo, il terzo, il Saida it il quinto carattere del cartello di Cleopatra KAEOITATPA 3 e che. rappre- sentano il A, 1 E, O,edil IT, sono in fatti perfetta mente rica ,s al LA , al desto, ‘al terzo, ed: al. primo carattere geroglifico del nome Tolomeo} che: rappresen- tano parimente il.A, lE, il dittongo AI, lO, edvil II di questo medesimo nome FITOAEM IO x; Fu abete ; facile il dedurre il valore dèi caratteri ‘che: ‘differivano nell’ uno , e nell’ altro nome, e questa analisi‘ci diede la più gran panna di un alfabeto geroglifico fonético;. che . non trattavasi più che di verificare; applicandolo: ‘ad altri cartelli , e di completare cile tito atrata batimzaraca medesima . Così il nostro alfabeto percltificoi si è ce, rogressiva mente, e ne è risultato L'alba: enerale che ) prog 8 forma la terza obaipl it della tavola qui annessa. Noi presenteremo qui molto ‘sommariamente gl’ in- - teressanti risultamenti fornitici da una rapida. applicazio- ne di questo alfabeto alle iscrizioni geroglifiche dei monu- menti egiziani, risultamenti, che si riferiscono prete ramente al periodo della storta di Egitto. vi legge i in fatti: °-Il nome di Alessandro il grande , scritto AAKZ- ‘ aa sugli edifici di Karnak a Tebe. V. Roo de l- pg Va font: vol. 3. tav. 38. n. 13, e 15. ‘D JO ° Il nome di Tolomeo, comune a tutti i Lagidi i Barito ‘IITOAMHS , e TIAOMH®, sui temp] di ‘File " d’ Ombos, d’ Edfou, di Tebe , di Quous, e di Dendera. V. Dese. dell’ Egitto, Aut. vol. 1. tav. 12. n. 10,e 11. tav. 43. n. 1. tav. 60. n. 7, e 8. ec.ec. Questo nome è ordina- riamente seguito , nel cartello medesimo, dalle leggende ideografiche',.sempre vivente; caro a Phtà , e caro ad Iside . 3.° Il nome della regina Berenice , scrito BPNHKZ, 4 131 due; volte. nella soffitta della gran porta t trionfale del mez- zogiorno Ù a Karnak. Desc. dell’ pastina Aut, vol. ch cav. So. RA. IIATPA sull Qbelisco di File, ,e sul tempio i Déndera, (e. KAAOIATPA.; el anche KACIIIPA, sugli edifici di Ombosz di Tebe, e di Dendera. 10:52" Il nome di Tolomeo ‘soprannominato Alessandro, seritto IIT OAMHE- APKENTP®, a Dendera, e ad Ombos. “6° Il nome di un altro. Tolomeo appena. conusciuto nell’ ristoria del figlio di Giulio Cesare , e della regina Cleopatra: ‘»,Cesarione , il di cui cartello reale, scolpito a Dendera,,, presso quello di sua madre, contiene la pre- sente leggenda, ] IITOAMHZ soprabnominato N HOKHEPE, “L'olomeo sopre annominato nuovo Cesare , sempre vivente caro ad Iside, Mail nostro alfabeto geroglifico si è ‘applieato anco- ira, , senza sforzo. e. senza alcuna specie di modificazione, tanto nel valore , che nelle disposizioni dei suoi segni i una serie molto più numerosa di nomi gero glifici di su- Wrani, scolpiti sui, monumenti di Egitlo, La loro lettura ci ha, fatto riconoscere, «contro ogni espettazione, sui bassi rilievi dei temp), i titoli yi domi, ed i soprannomi d’Im- (peratori romani , scritti in lettere geroglifiche , ma in lingua greca ; tali sono: . Ia ;Il titolo AYT OKPATOP, coll’ ortografia AOTO- KPTP, AOTKA , ed AOTARPTP, ‘tracciato isolatamente sugli edifici, di File, di Deudera ec., e seguito, dagli. epi- teti ideografici, sempre viyentey caro a Phtà, o caro ad Iside .. sat «Questo titolo imperiale è inciso altresì al basso di una delle leggende geroglifiche perpendicolari, che circonda- «no una.gran figura di donna, in rilievo rotondo, collocata accanto allo Mifizc circolare di Dendera; e sulla se- conda pietra di questo monumento. i... A titolo di KAIZAP, KAIZAPOS, scritto, KHIPS, d;; 132 e HKZAE , accompagnato dalle qualificazioni medesime, che lo precedono, e riempiendo da sè solo un cartello. 3. Il nome dell’ imperatore Augusto, nei due car- telli accoppiati, che formano la leggenda AOTOKPTP » KHEPZ, sempre vivente, caro ad Iside, è ripetuto sei volte cali cornice del tempio dell’occidente a File } ed è da notarsi che questi due cartelli contengono testual- ‘mente la sola leggenda che portano le prime medaglie d’Augusto coniate in Egitto. 4. Il nome dell’i imperatore Tiberio, scritto TBHPE, ‘e' più spesso ancora TBAHS, si legge freuehtidsiinamien. te sulle mura, e nella ballerià del tempio dell’ occidente a File; due cabbetti accoppiati contengono l’ intera ‘sua Du così concepita: AOTOKPTP » TBPHZ KHZ EBZTE, l’imperatore Tiberio Cesare Augusto; ma” più SPE e AOTOKPTP»TBAHZ KHZP®, sempre vi- vente. Quest’ ultima è ripetuta nove volte sit fregio . Vel medesimo tempio. rità 5. Il medesimo edificio di File porta anche in ‘due cartelli accoppiati , i titoli dell’ imperatore Domiziano in questi termini, AOTKPTP »TOMTHNZ EBITE, mà que- ‘sta leggenda più estesa, ricomparisce ‘molte vale: ‘sugli edifici di Dendera, ove i cartelli geroglifici trascritti danno AOTOKPTP KHEPE, sempre vivente TOMTHNE, soprannominato KPMNHKE , Germanico, che è in'effetto la leggenda delle medaglie di Domiziano coniate in Egitto. 6. Abbiamo letto il nome del medesimo imperatore sull’ Obelisco Pamfili a Roma. I due cartelli interni della faccia settentrionale, portano, lettera per lettera AOTKPTA » KHEP® TMHTENE EBETZ /’ imperatore Cesare Domiziano Augusto; e la leggenda KHZPE TMH- TIHNZ, Cesare Domiziano, è contenuta più volte néi cartelli delle altre facce . debile. 7. Il nome dell’ imperatore TYajaro si legge sui muri dell’ intercolurnio dell’ edificio dell’ Oriente di Fi- 239 le; due cartelli geroglifici accoppiati, e posti davanti alla figura dell’ imperatore adorante la Dea Iside, ed il Dio Arueris, portano AOTKPTP KHXP»TPHNS, l’im- peratore Cesare Trajano. Il fregio del edu! inter- colunnio è composto di nove cartelli; quello del centro porta TPHNZ, Trajano sempre vivente; I cartelli da destra, letti due, a due, danno le leggende KHZPZ, Ce- sare, germe eterno di Iside KPMNHKE KHZPX, Ger- manico Cesare, KHEPE TPHNZ, Cesare Trajano sem- pre vivente; E quelli da sinistra AOTKPTP, l’imperatore, sempre vivente EBZT , Augusto, sempre vivente; AOT- KPTP KHEP»TPHNXZ, l’imperatore Cesare Trajane , sempre vivente. Infine i due cartelli incisì sul gran tem- pio di Ombos, danno la leggenda AOTOKPTP KHZA NAOA » TPHNX soprannominato KPMNHKX THKKZ , l’imperatore Cesare Nerva - Trajano soprannominato Germanico Dacico; leggenda, che si ritrova in fatti sulle medaglie di Tenno coniate in Egitto. 8. L’Obelisco Barberini presenta il nome dell’ ina- peratore Adriano. Il gran cartello, che lo conteneva nella prima faccia di questo monumento è sparito pet effetto di una frattura, ma fortunatamente il nome imperiale è ripetuto nel cartello posto sul piramidio della quarta fae- cia, e davanti alla figura in piedi di Adriano faciente un’ efforta al Dio Phrè, (che è il sole ). Questo piccolo car- tello porta HATPHNZ KHEP, Adriano Cesare. g. Non può rimanere A dubbio sulla lettura di questo cartello , poichè lo stesso Obelisco , porta , faccia prima , una leggenda ideografica , ove ho riconosciuto i geroglifici esprimenti le idee , parimente la regina sua sposa grandemente cara ad Iside; ed immediatamente dopo un cartello la di cui lettura dà, ZABHNA, Dea vi- vente, virtuosa; e senza interruzione , un secondo car- tello portante £BITH , Augusta, Dea sempre vivente. 10. Finalmente il Zîforio di Dendera ci offre spesse ripetuti dle cartelli accoppiati, e elio danio' Ta leggenda AOTOKPTOP»KEPEANTONHNE, Soprannominato sem- pre vivente ; l’ imperatore Cesare Antonino: © > © Altri monumenti, ed altri studi daraîno ancora ‘altri nomi, e confermeranno senza dubbio le, nostre PERE sco- perte . Risulta dalla loro somma : 1. Che nella scittura geroglifica, come nella scrittù- ra demotica degli antichi Egiziani , esisteva un certo nu- mero di segni dotati, i in certe circostanze, della facoltà di esprimere i swoni ; noi li abbiamo chiamati geroglifici Sonetici . a. Che Rel scelta dei segni geroglifici dicenudi rappsesentalivi, dei suopi, gli Egiziani parevano essere stati guidati da un principio costante : eglino hanno preso per segno di una vocale , o di una consonante 31 geroglifico che rappresenta va un oggetto , il di cui nome, in lingua egiziana , cominciava per il suono, od silicola sione che si trattava di rappresentare: noi comprendiamo quindi, per esempio ; perchè l’uso di una mano, in lingua egiziana tor, tot , è divenuto il segno fonetico della consonante Fi Sietche l’immagine di una bocca, chiamata p9 , r0, è ps, il segno deli consonante greca p ; una patera BpRe berbè, è ZENO il segno della consonante B ; una siringa, od un flauto di Pane CHBI , sebdì, il segno del, Z,ec. e dietro questo medesimo sistema, diveniva co- me indifferente, di rappresentare, per esempio , la conso- nante T , o per il segno ideografico dell’ articolo egiziano femminino 7, ovvero, T, o TI, la, 0 per l’immagine di un livello. di MERO Tòpt, ne A poichè la prima ar- ticolazione di ambedue queste parole era un T: questa cir- costanza;cì spiega nel medesimo tempo, perchè la mag- gior parte delle vocali, o delle consonanti dell’ alfabeto geroglifico fonetico , sono ognuna , indifferentemente re- se per molti segni eni) ; 3. Che malgrado l’ esistenza di questo alfabeto ge- . 235 ‘=moglifico fonetico,gli Egiziani non rinunziavano per questo all’‘uso: antico , e generale delle scritture ideografiche, 4. Ghe i due sistemi di scrittura fonetica , la gero- glifica, e la demotica, erano cosi intimamente legate fra loro;come, lo erano i tre sistemi di scritture ideografiche; poichè i.caratteri demotici, rappresentanti delle vocali , | delle consonanti , o delle glishii: non seno che gli equi. « walenti , în stile jeratico, dei gerog glifici esperimenti le ‘ medesime vocali, le medesime consonanti, o le medesime sillabe: di più questa concordanza sembra provare da sè - sola, che i segni fonetici della scrittura sacerdotale, non -: potevano differire in nulla, da quelli della scrittura vol- Sat o popo lare.; e che infine, se esistevano realmente ‘tre specie di scritture ideog isivhak «come. crediamo di + avere:stabilito, non vi furono però in peri che ba spe- . cie-di scritture fonetiche 3 o 5. Che l’ impiego più comnne dei segni geroglifici, e fonetici , fu per iscrivere nei testi purameute ideogra- fici, monunenti, e manoscritti, i titoli, i nomi proprii, ed :..» soprannomi delle persone, estranei alla lingua egiziana, ...non meno che le parole prese in prestito dalle altre lingue. 6. Che il numero di questi segni, conosciuto oggi, dà l’ equivalente di ventuna delle lettere dell’ alfabeto ! per compresovi un gruppo sillabico . |< ® +. 7: Finalmente, che ciascuna delle lettere greche po- | tè avere per sinonimi omofoni, molti segni geroglifici, e | ne abbiamo esposta la ragione , egualmente che l’ origine | di questi segni, ed il motivo che potè fare scegliere cia- | scuno, o più fra essi, per corrispondere a tal lettera , 0 & tal suono dell’ alfabeto greco. | ù Domenico VALERIANI. Nel presente fascicolo viene pubblicata una copia ‘esatta de] rame che accompagnava nel Journal des Savans la memoria del sig. Champollion. . | Nota dell’editore. pis Î 36 ‘Risposta del Cav. Nomu alle considerazioni del. sig: Pnor. Gazziri intorno alla Meccanica. later Ma- FERIA (1). Prima che io mi accingessi all’ impresa di trattare eon un nuovo metodo i vari rami della fisica, resi chiaro conto de’ motivi che mi determinavano a battere un cam- mino differente dall’ ordinario ; ma nulla o ben poco io dissi a favore dei due principi attivi dell’ attrazione e del- la ripulsione che io sceglieva a base di ogni mia dottrina; perchè, seguitando in ciò le massime della filoso fia new- toniana, ESISTA, di non incontrare da questo lato ve- runa sorte di resistenza. Ora per altro che veggo nell’ e- gregio prof. Gazzeri un fisico, disposto sì dalle sue medita- zioni a riconoscere la necessità di una riforma generale nello studio della scienza , ma nello stesso tempo persua- so, che la riforma debba cominciare dai due principî ch'io ho conservati, mi farò qui ad esporre le ragioni che non mi permisero di spingere le innovazioni al di là dei con- fini segnati dal maneggio delle forze attrattive e ripulsive. Questo è il punto principale della questione che il sig. Gazzeri promuove nelle sue considerazioni sulla mia Meccanica della Materia: sviluppato che sia un tal pun- to di dottrina, non riuscirà forse dif&cile di: ridurre al giusto loro valore le obbiezioni secondarie del non meno dotto che gentile mio oppositore . | Non vi ha scrutatore della natura il quale non abbia meditato sull’ arcano meccanismo della gravità, e cercato pure di strappare il velo con cui piacque alla gran madre degli esseri di coprire una delle sue più importanti ope- razioni. Fra i diversi modi che sì concepirono per ispie- (3) Antologia Vol. VIII pag. 432. Do Ì 137 gare la gravità, il più ragionevole è senza dubbio quello di fare avvicinare i corpi gli uni agli altri col mezzo delle pressioni esteriori esercitate contro di essi da un fluido sottile sparso da per tutto. Lo stesso Newton quando vol- le spingere le sue speculazioni al segno di render ragione della gravità, cadde in questo mododi vedere, che sembra pur quello del sig. Gazzeri , e che sarà l’ unico che noi esamineremo in questo luogo, riputando del tutto inutile la cura di analizzare le altre meno plausibili supposizioni. Sia dunque in mezzo all’ immensità dello spazio dis- seminato en fluido , un etere quanto si voglia sottile , e capace, coll’ esercizio della propria pressione , di spingere i corpi gli uni contro degli altri; e sieno quelle spinte (sup- poniamolo almeno per un momento) tali appunto quali convengono alla legge della gravitazione. Ma questo fluido, questo etere premente per qual virtù preme desso ì cor- pi? Li preme perchè è di sua natura elastico: non sì può rispondere differentemente . Ma che cosa vuol egli dire un fluido per sè stesso elastico ? Vuol dire un sistema composto di particelle tali di lor natura da allontanarsi le une dalle altre , ogni qualvolta non sieno ritenute al lor posto da pressioni esteriori, cioè a dire nel caso nostro da altre particelle dotate della medesima facoltà . Ecco dun- que in quelle particelle per sè stesse elastiche scolpito ben chiaro il principio della ripuZsione: principio, come dissi altre volte, inconcepibile al pari dell’ attrazione , e da cui non si può in verun modo prescindere dal momen- to che vi si cade dentro nell’atto stesso in cui vuolsi evi- tare il principio antagonista dell’ attrazione. Ma vi è di più . Infatti perchè i corpi terrestri avessero, gettati in a- ‘ ria, a ricadere costantemente come fanno , dovrebbe Y e- tere , cagione di questo effetto , essere distribuito intorno alla terra a strati sempre più densi a misura che si va più lontano; giacchè senza un siffatto aumento di densità man- cherebbe quell’ eccesso di pressione, che è pur necessario "138 di c conservare "dal Jato sùperiore dei ‘corpi , quandò si pre: tende ‘che questi cadano abbasso in forza di un fluido: che li preme da tutte le parti. E difatti il fluido gravifico, che . Newton i immagina intorno alle grandi masse, è deutro di jueste masse d’ una certa rarezza ‘, e fuori d’ una densità che va ‘indefinitamente crescendo yi Ora se necessaria è questa scala di densità a chi vuole sopprimere il princi- pio occulto dell’ attrazione ;} dimanderemo noi da quale non occulta cagione dipenda] la Tegge di quell’inspessimento? Egli, è facile da vedere che mentre si toglie dal centro de’gra- vi l ordinari ia ‘attrazione , vi si sostituise un’ altra »forza non meno occulta nè meno costante, poichè debbè; col- l’ addossare gli uni sugli altri gli strati del fluido univer- sale, renderli capaci di spingere i corpi dalla circonferen- za al centro, dal luogo, cioè delle maggiori densità a quello delle più piccole. Dunque nemineno da questo lato ‘non si guadagna nulla ad abbandonare la causa dell’ attrazio- ne. Io dico poi che vi si perde moltissimo, quando si pensa che la pressione esercitata da un fluido qualunque sopra d’un corpo è regolata dalla superficie , mon *già dalla massa del corpo premuto ; su chè non si sapréb- be in alcuna guisa conciliare colle leggi generali de’flui- di il principio di fatto , che la gravita è unicamente’ pro- porzionale alla quantità di materia contenuta ne "corpi . Non solo dunque , a parer mio, s illudono coloro, i quali credono di ridurre ad un principio concepibile gli effetti della gravità, col farli procedere dalla pressione d’ un fluido sparso universalmente; ma di più parmi ‘che | troppo essi confidino nel giuoco di quelle pressioni , dal momento che i gravi cadono con una legge indipendente affatto dalla maggior parte di quelle complicatissime con- siderazioni che strascina seco il problema d’ un corpo che si muove dentro ad un fluido. Aggiungerò in oltre che si (2) Neavton. Optice. lib. TII. quaestio XXI. Sea i 139 può. bene Imostrare il p più | grande ribrezzo ' per le azioni newtoniane a distanza, e negarle a anche col labbro, dicen- do d’ammettere , se, non un assoluto e generale contatto, un parziale. almeno fra le particelle del fluido ‘gravifico; ma ogni qualvolta i io vorrò penetrare nelle viscere di que- ste espressioni , troverò sempre ( che il fluido in discorso | dee formare, per essere gravifico, un sistema composto di parti non solo di facile disunione , ma separate affatto; perchè di lor natura ripulsive « e disposte sopra strati, la cui distanza va diminuendo a misura che essi s° allon- tanano dal centro dove hanno da cacciare î corpi. Togliete a quegli elementi il naturale loro elaterio, cioè la ripulsio- ne, e non saranno più prementi; poneteli tutti a contatto, e farete una massa incapace di smuovere i corpi dal loro posto, benchè formata di parti per sè stesse elastiche, poi- chè quest’ elasticità sarà la medesima tutt’ all’ intorno de’ corpi che ne risentano l’ effetto . Da altra parte come mai potrebbero i corpi farsi largo in mezzo ad un fluido del tutto incompressibile come sarebbe l’etereo composto di particelle a reciproco contatto ? Dopo questo lascerò alla Sagacità del prof. Gazzeri la scelta di quel partito che più gli aggrada, e poi non e- siterò un momento a prendere lui ig per giudice del torto che io gli feci , allorchè. badando più alla sostanza delle idee .che al suono delle parole, ritenni che il suo fluido gravifico, fosse formato di elementi a distanza ; co- «me lo suppone Newton, e come parmi. danae che ‘sia, seppure vuolsi che in qualche modo risponda alle vi- ste di chi gli addossa l’incarico di generare la gravità . Ma non più su questo argomento; che bastano le ri- flessioni fin qui esposte a persuadere che la natura ha fis- sato un limite alle ricerche de'suoi interpetri, i quali sin- tantochè concepiranno il movimento come un effetto | prodotto da quell’ ente di ragione che chiamiamo forza, 4 aggireranno sempre intorno allo stesso circolo d’ idee, e ao | sempre saranno dalla necessità condotti ad arrestare la loro speculazioni : alla barriera di principî se non eguali, conformi almeno nello spirito a quelli che la lunga me- ditazione, più assai che l’ autorità della scuola newtonia- na mi fece adottare sin dalle prime linee della mia mec- canica . Giustificata in tal modo la scelta dei pltaior fonda- mentali, passerò senz’ altro indugio all’ esame delle obie- zioni, che il sig. Gazzeri promuove contro ‘alcune delle prime conseguenze ch’ io deduco da quegl’ istessi' principî. Cercherò d’ imitarlo , se non in tutti i pregi che distin- guono i suoi ragionamenti, almeno nei due che riguardano la chiarezza, e la socratica urbanità . Prima Obbiezione. Sull’ indole dei gaz permanenti. In natura non vi ha (secondo i miei principi che sono in questo conformi alle massime generalmente rice- vute ) che due qualità di materia, l’ attrattiva che com- pone i corpi ponderabili, e la ripu/siva che compone i fluidi per sè stessi elastici contrassegnati comunemente col nome d’ imponderabili. Ma se non esistono , riflette il professor Gazzeri , che queste due differenti qualità di materia , a quale delle due ascriveremo noi i corpi cono- sciuti sotto il titolo di gaz permanenti? All’una ed al- l altra in pari tempo; perchè una molecola, p. e., d’ossi- geno allo stato aeriforme , non è altro che una particella di materia attrattiva circondata tutt’all’ intorno d'un certo numero di strati di calorico ( materia ripulsiva ), equili- brati secondo l’ ordine delle serie alterne, e tali che for- mano a quella particella una specie di piccola atmosfera che si fa tanto più voluminosa e rara quanto minore è il numero di tali melecole dentro un dato spazio (3). (3) Mobili. Introduzione alla meceanica. Cap. H. Art. I. @ TII. | | | fi dl ben prevedendo ij sig. Gazzeri ch’ io avrei senza alcuno sforzo registrati i gaz permanenti nel novero dei sistemi composti in parte di materia attrattiva e în parte di ripulsiva , cioè di calorico , soggiunge che mal si sa- prebbe attribuire al calorico l’ espansibilità di quei gazj perchè egli è è certo che un gaz permanente , sgravatò ad un, tratto | dalla pressione atmosferica , si dilata in un ba- leno, così presto cioè che il calorico del corpi circonvicini non entra per nulla nella vicenda di quella così sollecita rarefazione: Io sono ben lungi i dal negare e il fatto del- l espansione , el’ ‘altro del termometro, ‘che coll’abbas- sarsi posteriormente alla medesima espansione, ‘dimostrà che il calorico del mercurio “non arriva in tempo da figul rare in ‘quella dilatazione; ma nemmeno‘ per tutto questo io temo di dover rinunciare alla costituzione’ dei’ gaz , quale risulta dall’ equilibrio idrostatico che prende‘il calo rico intorno alle singole molecole attrattive. Imperciòcchè ciascuna di ' queste ‘moletole è, secondo quell’ equilibrio, ‘circondata da una piccola” atmosfera di calorico , la quale sì ‘dilata subito che può, e senza avere] sul momento, «bi- ‘sogno di mendicare : soccorso dai corpi circonvicini. Si dice sul momento. > poichè il finale equilibrio di un gaz rare- fatto i in mezzo ad ùn ambiente qualunque importa sem- pre un impiego di calorico maggiore di’ quello che ‘si ‘esi- eva nell’ ‘equilibrio del' ‘ gaz concentrato ‘in ‘un 'iinore ‘volume ; come dimostra ben chiaro lo sviluppo di ‘calo- ° ‘rico cffe' si Osserva allorquando sì comprime rapidamente vr aria atmosferica dentro * \acciarino prieumatico: i Nons so con quanta chia. Za possano spiegarsi questi ‘accidenti colla dottrina ‘ordinaria ‘del calorico combinato latente e libero; ma so bene che le piccole atmosfere di calorico che i miei principi assegnano alle molecole ‘dei gaz, offrono, non meno al fisico che al chimico, buon ni- mero di risorse , affatto perdute nell’ penna modo di vedere, e tali da meritare pure una certa RARA, per- id dle da. | considerazioni, puramente. je niche n indipendenti, del tutto da quell’i involuto giro ‘d'ide ce ce quale si è. sin’ ora insegnata la dottrina dol calorico’ (4). o) dissi nella mia introduzione che le continue oe posizioni, e decomposizioni che. osserviamo nei stre Regni della natura, procedono infallibilmente dall’ azione dellà materia, repulsiva ( calorico, elettrico , e Het ‘sull’att trattiva. Non sarebbe, questo ‘propriamente’ i il luogo ‘di ‘da mostrare, che una, tal, ‘massima non ammette rt - na so1 DI 5 di restrizioni ; ;, pure, poichè - il sig. “Gazzeri, pei n 9 + PAN iL chimici arrivino a spiegare i. fenomeni. dovuti a por delle, così dette allinità elettive senza ricorrere Pai one | di forze ripulsive , smi, permetterò. una breve dig ressione sul canone chimico che a separare due corpi DE basta l'intervento d'un terzo corpo. avente per, ‘uno’ dei due primi un’ affinità superiore a quella che tenevalo 1 unito all’altro. Decio .. Abbiasi un prodotto « chimico A B composto di due elementi A, B congiunti, insieme « con pna forza | Co pres-. sa, ex:.gr: dal numero 10; € G sia, un terzo elemen- to che abbia un affinità. 20. con uno dei. due elementi A.e B, per esempio. col primo,. A. Senza dubbio” Ca i tre elementi C,. A, B fossero sopra, T, istessa ‘linea 1.00 eguale distanza l'uno dall’ altro, ; sì ‘vedrebbe ]’ elemen- to. centrale A correre piuttosto, verso (o) che lo tira A sè con una forza 20, che yerso B. che lo chiama con una forza eguale soltanto. a. 10. Ma questo non è | punto il caso dei lino Nel corpo A, B l elemento Ai è più con. una, certa forza attaccato a B.,. e «qualunque, sia Val finità di C sopra di A, questa. non arriverà mai di per sè a distaccare. A. da B, non valendo sola a produrre. altro effetto.che,quello di formare il prodotto ternario Gi A, B; poichè mentre G.tira a sè A, A. vi andrà in compagnia di (7) AVobili. Trattato del calorico. vii rara sd de. tali; end si, ‘compiono, quando” E sostanza composta A_B e la semplice ( C, trovabsi disciolte dal dis- solvente universale, .il calori ico. Lgli è è questo dissolvente che. rompe. colla sua forza espansiva i vincoli che tengono, nel corpo A. B, unito |’ elemento A coll’ ‘elemento PRC che. dispone con tale rottura l' elemento . Aa ‘congiungersi in Seguito, con €. Non vi è altro modo che questo di con- cepire il giuoco delle. affinità elettive: il prescindere” in questo! ‘giuoco. dall’ azione, del c ‘alorico porterebbe alla strana conseguenza che due dischi attaccati insieme ‘con uh mastice:d’ una. certa tenacità, dovessero distaccarsi al- l'avvicinarsi d’ un terzo disco; coperto d’ un | mastice più tenace di quello ghe CONgIUNEA: i primi due. i coni ita Obbiezione. Sull slasrigità dei corpi solidi. 9 08 AL Y Lqoti : | Quando ebbi ai cfissar; le ida sull plain: del ‘corpi solidi sma'appigliai al. partito di Newton e di altri filo- sofi, i quali dissero che elastici son quei corpi solidi le | cui\parti cedono alla forzu che, li comprime senza di- staccarsi dai respettivi. luoghi di, congiunzione (5). Ma questa: definizione , benchiè chiara, non era tale da com- pretidersene a dirittura lo spirito; ond’ io l’ accompaguai i del. ‘seguente. esempio, colla. buio di. nt con esso a preiengna altra, mancanza. |, RIA vi Immaginatevi ; io dissi, ‘una corona bea, tonda, di ot- llibialenale: cubiche, sensa insieme, spigolo a; ‘spigolo coll':ordinarià lorosforza d'attrazione; e, poscia riflettete che tali molecole così simmetricamente distr ibuite for me- ranno un sistema. perfettamente equilibrato, Cougepito cover deci un TRA e pine un gola, «momento , la È (3) past PRE PRE Cap. I. fia: H. vi — TREO vostra corona di molecole ; e vedrete queste molecole'che la compressione spostò dal loro luogo d’ equilibrio , ritor- narvi subito , oltrepassarlo in grazia dei gradi di forza acquistati nella’ restituzione ; e schiacciar la corona'inel- l altro senso diametrale; appunto come succede‘ad'un cerchio d’ acciaio che sia reso ovale con una pressione; ‘e poscia lasciato in libertà. |" Ue Leo Questo è il confronto con cui credeva di'far'‘com- prendere il giuoco dell’ elasticità dei'corpi solidi; ma il professor Gazzeri riflette ‘che all'atto dello schiacciamen- to della corona alcune molecole #"avvicinano ‘colle’ loro faccie , mentre alcune altre s’ allontanano ; sicchè , appli- cando a questo caso la ‘legge d’ ogni attrazione !che di- minuisce col crescere delle ‘distanze , le molecole che si accostano sotto la compressione, dovrebbero, ‘piuttosto che restituirsi al primitivo loro posto d° equilibrio, preci- pitare l’ una sovra dell’ altra ; e mandare così a ‘vuoto il disegno di chi pretende che abbiano ad oscillare tutte in- sieme a foggia d’un anello elastico. L’ obbiezione ‘è spe- ciosa , e ‘merita tina risposta da ‘non ‘lasciar luogo a nuovi dubbi. © 102. ARI ISIS da cita dl, Si sa che i liquidi‘ ridotti a piccole masse si. confòr- mano in altrettanti globettini tanto più perfetti, quanto sono più piccoli. Si sa ‘inoltre che appena si schiaccia una pallottolina , ex gr., di mercurio, essa ripiglia immediata- ‘mente Ta sua ‘forma sferica! Onde ciò? Le particelle! di mercurio , che formano la piccola palla , si attraggono le une Te altre‘; ‘ed è quest’ attrazione che le dispone à sfera ‘e che lé fa ritornare a ‘questa forma , quando uno schiac- ‘ciamiento qualinque' le aveva spostate dai luoghi del pri- ‘16 loro equilibrio. Le pallottoline dunque di! cui si;parla, ‘appartengono alla classe dei corpi elastici ; evi apparten- gono Così bene; che' esse rimbalzano dai piani'su cui si:la- sciano cadere, nòn diversamente di quel che facciano le palle di avorio. Ed è veramente curiosa ‘cosa’ il vedere LAINO I IRTIIIIAZZI e — eni 145 come que” rimbalzi si ripetano più e più volte allorquan- do spremendo, da una pelle o tela ben fissa, del mercurio, questo guizza fuori in altrettanti fili composti di minu- tissime sfere, le quali appena arrivano sopra un piano qualunque, saltano su, e formano quasi sempre una serie di bellissimi archi, decrescenti a guisa degli occhi d’ un ponte che si disegni in prospettiva. Non si può alla vista di questo: fatto non riconoscere l’indentità di meccanismo con cui i globetti di mercurio e le palle d’avorio eserci- tano la loro elasticità. Tanto i primi quanto le seconde si schiacciano egualmente contro gli ostacoli , ed egualmen- te, dopo il cangiamento di figura , sì restituiscono da sè a quella di prima .. \ ‘Non vi ha dunque alcuna ragione per dubitare che quell’ attrazione la quale richiama alla prima loro forma le sferette di mercurio appena si schiacciano , non sia pur la causa di ciò che nasce in tutti gli altri corpi ove s° os- serva lo stesso modo di schiacciarsi e di restituirsi. Ma sebbene l’ esempio delle pallottoline di mercurio, ove è così evidente il giuoco dell’ attrazione , sciolga dalla sua radice la quistione relativa al meccanismo interno dei corpi elastici, pure non tralascerò d’osservare che l’esem- pio speculativo della corona è sostenuto dai principi della scienza non meno di quel che lo sia l’altro reale di cui abbiamo parlato sin ora. Imperocchè non basta mai, nelle quistioni di questo genere , considerar l’ azione di mole- cola a molecola : bisogna pur anco aver riguardo all’ azio- ne che ciascuna particella soffre per parte di quel certo gruppo di molecole che cascano dentro la piccola sfera dell’attrazione efficace , attrazione che i fisici distinguono col nome di molecolare. Le otto molecole cubiche della nostra corona rappresentano uno di siffatti gruppi: cia- scun gruppo ha un centro verso cui tendono le particelle che lo compongono , ed a cui non vanno perchè sono at- taccate insieme; ma se non ci vanno, si premono bene T. IX. Febbraio 10 146 l’,una l’altra, e in modo (per. non parlar, che del .caso simmetricò della nostra corona ) che il giusto loro equili. brio ha luogo soltanto quando i centri delle otto, molecole i trovano disposti sulla circonferenza dello stesso circolo, serale in allora le pressioni sono esercitate sopra i lati di in poligono regolare , inclinati tutti egualmente gli uni agli altri. Collo schiacciare la corona si altera questa rego- larità ; le pressioni laterali divengono disuguali , e il st stema abbandonato a sè medesimo ritorna all’ equilibrio di prima: supposto, ben inteso, di non averlo schiacciato al segno di determinare un nuovo ordine di cose, come succede p. €., quando una palla di mercurio si divide in due sotto l’ azione d’ un dito she la comprima con una certa energia. Del resto ciò che si dice d’un gruppo regolare di mo- lecole, si applica ad un irregolare, e poscia a qualunque corpo d’ estensione finita, col dividerlo in altrettanti grup- pi e col considerare che l’ elasticità generale del sistema è una conseguenza necessaria dell’ elasticità de’ singoli gruppi che lo compongono. So che molti fisici hanno tentato di richiamare l’ e- lasticità dei corpi solidi sotto il dominio del calorico, principio per sè stesso elastico e che entra da per tutto. Io invece ho sempre pensato che l’ elasticità dei solidi sia di tutt’ altra indole che quella dei fluidi elastici; nè per fermarmi in questa opinione ho mai avuto lisina di ricorrere che a queste due osservazioni. La prima che l’ elasticità dei gaz non è circoscritta da verun limite, mentre quella dei corpi solidi è limitatissima , e vincola- ta alla condizione della stvuttura interna del torpo , la quale struttura debb' essere tale da permettere alle mo- lecole di far deì piccoli movimenti intorno ai luoghi delle loro congiunzioni (6). La seconda che mentre col calore (6) Nobili. Introduzione. Cap. IN. Nota al N. 105 147 i ‘cresce’ dlasticità dei ‘Gaz; si diriinuisce l'altra dei dpi solidi. È troppo noto come l’ acciaio si stempri col fuoco , per doverlo rammentare in questo luogo. gd Pe i sostenitori dell’ attrazione invecè di ‘ritro- 9 vare nell’ elasticità dei corpi solidi uno scoglio da supe- rare } vi scontreranno sempre una luminosa conferuia della loro dottrina. Diranno sempre che come veggono nelle sostanze aeriformi indispensabile la presenza d’un principio ripulsivo che le renda elastiche ; così trovano egualmente necessaria l’esistenza del principio attrattivo nelle sostanze solide, se non fosse per altro che per fornire a quest’ultima classe di corpi que’ certi gradi d’ elasticità .cheil principio ripulsivo, il calorico, distrugge in essi ogni qualvolta vi penetra in grande abbondanza. Terza Obbiezione. Sulla forza di coesione dei corpi. In una verga di ferro, osserva il prof. Gazzeri, essere la tenacità così grande che non si riesce a superarla che con una forza enorme ; mentre poi segata in due parti la verga stessa , e ridotte all’ ultima politura le due super- ficie formate dal taglio della sega, si trova che queste due superficie non aderiscono di sorte veruna, benchè poste al più immediato contatto. Giusta è l'osservazione, e giusto il pensare, come fa l’ illustre professore, che per quanto s' immagini il numero de’ punti di contatto fra le super- ficie levigate, diminuito in confronto- di quello che esi- steva fra le parti della verga continua, non può questa I diminuzione di punti attraentisi efficacemente render | conto della differenza che passa fra una resistenza nulla, I e l’altra rappresentata da più migliaia di libbre. E. per | certo, se non figurasse in questo caso che l'attrazione, ì comesiè sin ora supposto, dovrebbe la tenacità delle due | superficie levigate, le quali pur si toccano in un certo | mumero di punti, riuscire eguale, non già a zero come | 248 dimostra l’esperienza, ma ad una certa aliquota della tenacità rappresentata dal peso che rompe la verga. Ma quest’ obbiezione ( non so come non se ne sia avveduto il professor Gazzeri ) non colpisce punto i miei principî, i quali, interrogati che sieno in questa circostanza, rispon- dono che le superficie di tutti i corpi sono ricoperte d’una piccola atmosfera di calorico , e che sta in queste atmo- sfere , di lor natura elastiche , la cagione che non solo ar- riva ad elidere l’attrazione delle parti ad effettivo con- tatto, ma che qualche volta giunge al segno d’ impedire questo contatto medesimo. Bisogna sempre ricordarsi che io ho nel mio calorico, nella mia materia ripulsiva, ciò che il sig. Gazzeri, ed altri fisici hanno in un fluido etereo che riempie tutto lo spazio. Non è quindi da credere che io voglia richiamare tutti i fatti al solo principio dell’ attrazione. L’ altro della ripulsione figura assai di più, e per modo da conciliare in moltissimi punti la mia maniera di vedere con quella dei fisici che confidano la somma delle cose all’ azione d’ un fluido etereo sparso universalmente. Per questi fisici la tenacità de’corpi sarebbe un effetto analogo a quello che la pressione dell’aria produce sui ben noti emisferi di Magdeburgo. Ma questi emisferi si distaccano senza la minima fatica tosto che il più piccolo pertugio permette all’ aria esterna di penetrare entro la loro cavità . Ora i fluidi sottili non penetrano essi dentro le viscere di tutti i corpi, e se vi penetrano , come mai otrebbe la coesione dei corpi stessi nascere da uno di ue’ fluidi ? Potrebbe forse dirsi, come già disse Newton, che il fluido sottile è più raro dentro de’ corpi che fuori (7). La coesione sarebbe in allora il resultato della differenza esistente fra la pressione del fluido esteriore più denso , e la pressione dell’ interno più raro. Ma chi giustifica una (7) Newton. Optice. Lib. III. quaestio XXI. 19 tale supposizione ? Non per certo la svista che commise il filosofo inigleser) allorchè pensò che 1’ ascensione del- Y' acqua ne’ tubi capillari dipendesse dall'essere in que’ tu- bi l’aria più rarefatta, cioè meno premente che quella al di fuori (8). Ma non ci perdiamo in digressioni, e concludiamo col ‘ seguente dilemma : o il fluido etereo penetra entro le vi- scere de’ corpi, o non vi penetra . Se vi penetra non può da esso nascere la resistenza che oppongono i corpi alle potenze che tentano di romperli, cone non ne nasce ‘veruna negli emisferi di Magdeburgo pieni di aria al di dentro come al di fuori . Se poi non vi penetra, può esso fluido essere la causa della coesione. Ma guai a chiudere ai fluidi sottili l’ ingresso ne’ corpi! Ogni edifizio fisico poggia sulla proprietà che hanno i fluidi sottili di passare liberamente attraverso i meati de’ corpi : l’impedire ad essi un tale passaggio porterebbe , almen così credo , alla dura necessità di non parlar mai d’interpretare un fatto in verun ramo di fisica . Quarta obbiezione. Sulla trasparenza dei corpi. Una pila di palle opache, (diceva io nella mia intro- duzione) regolarmente costrutta è pur dessa opaca in qua- si tutte le direzioni , non trasparendo debolmente che là dove cade l’ allineamento dei vuoti che le palle ond’ è composta , lasciano fra di loro ; e questo succede egual- mente con palle grosse che con piccole , perchè sotto qualunque impicciolimento sussiste mai sempre la mede- sima pr oporzione fra le parti vuote e le piene della pila. Questa osservazione unita a parecchie altre mi fece con- chiudere che la trasparenza dei corpi non poteva dipen- dere che dalla trasparenza delle molecole integranti . (8) Hypothèses de Newton sur la lumiére, et la pesanteur. ( Bibliot. Univers. Tom. XXI. An. 1822. i Questa conseguenzà, ne convengo volentieri, strasci-. na all’idea singolare che il piccolo edifizio d’ una mole- cola integrante sia più vuoto che massiccio . Ad.onta per altro di questa singolarità, non saprei così facilmente ri- solvernai, col sig. Gazzeri, a rinunciare all'idea d’un vuoto che mi sembra dimostrato da una moltitudine. di fatti, massime di quelli che si presentano all’esame del fisico: nello studio della cristallografia e della: chimica . Del re- sto io non intendo d’ entrare su questo proposito in veru- na discussione;perchè quandoil mio illustre oppositore avrà esaminfto il mio trattato d’ ottica , vedrà. che 10 do in quello tal definizione della trasparenza da conciliarmi coll’ opinione di tutti i fisici, che riconoscono, al pari di noi due , nel principio delle vibrazioni il. principio che regola i fenomeni della luce, come regola quelli del suo- no. Ecco.in fatti quella definizione, diafani son quei cor- pi le cui interne cavità alloggiano un sistema: di mate ria sottile abbastanza ito ui trasmettere attraverso di sè le vibrazioni della materia esteriore (9): Ghe poi, per una tale libertà, bastino i soli pori ordinari de’ corpi, come inclina a. credere il sig. Gazzeri o che siano pur an- che necessari, come io penso, i vuoti interni delle mole- cole integranti, è questa una. quistione che nou interessa lo spirito delle mie dottrine e che io posso abbandonare del tutto senza che ne soffra veruna parte del mio edifi- zio fisico. Quinta obbiezione. Sul principio del magnetismo ter- restre . Gira la terra intorno al proprio asse , e girando cac- cia in massa il fluido sottile disseminato nelle sue viscere dall’ asse di rotazione verso l’ equatore , ed i paralleli. Si # (9) Nobili. Trattato d’ ottica. Art. II. J a5r genera” per ‘tal’ fuga lungo quell’ asse un gran vuoto di materia sottile , il quale nell’ essere riempito dalla ma- teria circostante determina una corrente continua che passa entro la terra da un polo all’ altro , e fuori si ripie- ga in guisa da ritornare sulla via dei meridiani al luogo che serve d’ ingresso alla corrente medesima (10). Tale è la circolazione che i0 vidi per lo passato intorno alla terra, e da cui partii come da principio fondamentale per ispie- gare i fenomeni magnetici ; I ‘discorso poi che il prof. Gazzeri fa intorno a que- sto principio, è è diretto a provare , che la forza centrifuga della terra può ben generare sull’ asse terrestre il vuoto, di cui parlo, ma che questo vuoto si riempirà appena che si forma, e che per quanto si rinnuovi , e si riempia non potrà mai darsi che nasca tal mossa nel fluido sottile da traversare in colonna l’asse della terra , e circolare nel modo da me stabilito . Gli argomenti ch’ egli adduce in prova dell’ impossibilità di questo movimento, son tutti giustissimi , e ben degni della sua penetrazione . Io mi sono realmente‘ingannato nel modo di concepire la gran circolazione magnetica intorno alla terra; ma questo è un errore tutto mio e niente affatto de’ miei principi, i quali reclamano nel ramo del magnetismo uno sviluppo diffe- rente di quello ch’ io loro assegnai . Le ultime interèssantissime scoperte del sig. Ampère e del sig. de la Rive (figlio) intorno all’azione che il nostro globo esercita sopra le correnti elettriche , m’ aveva già esuaso chie la circolazione da me immaginata non .era quella ‘della natura , e che conteneva per appunto tutti que’ difetti che la sagacità del sig. Gazzeri ha Siputo scuo- prire a priori. Ma mentre le nuove esperienze m ’ illumi- navano da questo lato , io mi pesuadeva sempre più che non bisognava abbandonare le risorse che offre, nel ma- (10) Nobili. Trattato del magnetismo. Art. IL 15a. gnetismo, la forza centrifuga della terra. Inviterò quindi. i fisici a sospendere il oo giudizio sulle mie dottrine magnetiche intanto ch’ io le presenti di nuovo con quel- - le modificazioni che mi sono state suggerite in questi ul- timi tempi. È questo un lavoro già molto avanzato e che non tarderà gran fatto a comparire alla luce . Io intendo di pubblicarlo in forma d° altrettante questioni , sia per risparmiargli la taccia di scritto dogmatico, sia per ren- deré meno sensibili le digressioni che conterrà. sullo spi- rito della dottrina. del celebre Ampère . Perciò che con- cerne il modo di trattare gli altri tre gran rami della fisica, quali sono quelli della Zuce, del calorico e della elettrici- tà, continuo ad essere del sentimento che manifestai nel- la mia meccanica . Queste tre parti offrono alla sagacità dei fisici un vasto campo d’ osservazioni : attenderò. con piacere quelle che saranno per comunicarmi ; e di questo sarò grato ad essi come lo sono di presente verso il sig. Gazzeri, in cui ho la soddisfazione di riconoscere uno di que’ pochi uomini che sanno d’avere una mente destinata a giudicare col proprio e non coll’ altrui giudizio . Reggio li x2. Febbraio 1823. LroroLpo Nomui. Rime pi M. F. PetRARcA . Firenze presso Giuseppe Molini in 12. La splendida edizione delle rime del Petrarca esegui- ta in Padova per opera del sig. prof. Antonio. Marsand ha meritamente ottenuto tale favorevole suffragio per parte dei dotti e del pubblico, che per Ja sincerità del te- sto, e per l’accuratezza e correzione della stampa viene ad ogni altra anteposta . Il benemerito professore vi ha spe- so tante cure e sì diligenti che, secondo il giudicio univer- sgle , è giunto. a fermare la vera lezione del Canzoniere 158. quale dal. Petrarca medesimo ci fu lasciato .. Imperoc- chè egli ha tenuto a riscontro quasi tutti gli antichi testi a stampa, ponderandone ciascuna lezione minutamente, e appigliandosi con ottimo criterio a quella delle tre più distinte fra le edizioni del Canzoniere, cioè della Patavi- na 1472. per Martino de septem arboribus , dell’ Aldina 1501. eseguita colla soprantendenza del Card. Pietro Bem- bo ,.e della Veneta.1513. stampata dallo Stagnino, come tratte tutte tre o da Autografo del poeta , o da scritti dal poeta medesimo riveduti. Ma l’ edizione del sig. professor Marsand, eseguita con magnificenza di tipi. e di rami, e perciò assai costosa, se è attissima a costituire come un monumento al nome di quel gran lirico, non può servire però al comodo di ogni sorte di lettori. Quindi con utile consiglio il diligente tipografo sig. Giuseppe Molini, che ha preso a pubblicare con somma accuratezza la Bibliote- ca dei principali classici italiani in prosa ed in versi, ha stimato opportuno di facilitare al pubblico il possesso del testo Marsandiano, riproducendolo in piccola forma, ma con iscrupolosa esattezza. Alla. prefazione e alla vita del Petrarca , quali nella edizione del sig. Marsand si trovano, egli ha ag- giunto le brevi ma stimabilissime annotazioni, dell’ ab. Sebastiano Pagello, che comparvero per la prima volta in Feltre nell’anno 1754. inserendovene alcune delle nuove ove credè che. fossero convenienti ad una più completa illustrazione del testo, e cambiandone alcune poche ove a . ciò l’‘obbligava.la diversa lezione dal Pagello adottata . ‘Le note aggiunte sono state sugosamente dedotte da quel- ‘le dei più giudiziosi comentatori., singolarmente dal Ga- stelvetro, che tuttora sugli altri, primeggia .. E per far fe- de della sua riconoscenza al sullodato sig. prof. Marsand, ‘con i consigli del quale si è diretto in questa impresa; il ‘sig. Molinì ha giustamente intitolato al medesimo la pre- sente ristampa, la quale al comodo, all’ eleganza e ad una , / LI IR somma’ corrézione | ‘accoppia così il: pregiodi’coritenere in breve tutti' gli ' ‘schiarimenti che'sono necessari per leggere con ‘intellisenza e con frutto le rime del Petrarca. E qui Sottrai che le dette ‘annotazioni a tutto: ‘quanto il Canzoniere comprendono | poco più che cinque fogli di «stampa, e sono pure sufficientissime all’ uopo di quuder chiaro'il testo petrarchesto ad ogni lettore naediocremente istruito ; ci sarà lecito di condannare’l’ eterna verbosità d’ alcuni comentatori , che si diffondono in mibutissime chiose, per lo più pedantesche , che ad'altro' non'riescono che a fastidire il lettore e spesse volte a confonderlo. Da ciò ne nasce anche ‘il torto che'gli esteri ci finno di sti: mare iîl Petrarca un autore privilegiato soltanto! per alcu+ ne persone dotte, e inaccessibile a tutte ‘le altre» Questo rimprovero è stube affacciato anco ultimamente! dall’ auto> re dell'articolo critico pubblicato nel giornale dei Debats all’ occasione dei comenti fatti al Canzoniere dal sig. Bia- gioli; perocchè secondo le espressioni di quel recente e- spositore , sembrava che il gustare le rime del principe delle lirica italiana non fosse dato che a pochi intelletti peregrini : e per tal modo queste esagerazioni gratuite, invece di dar rilievo alla nostra'letteratura, altro non .fan- no che metterci in'discredito agli esteri, i quali giudicano da queste ‘asserzioni , e si ‘astengono dallo ‘studio dei libri che sì vogliono da‘noi far passare come inintelligibili 0 si- billini'. Ma tali iperboli si debbono considerare: piuttosto come usate dai chiosatori a ‘dar credito ai loro laboriosi volumi , che riguardarle come vere; perocchè dal fatto spesse volte si viene in chiaro della loro fallacia , mentre d’ ordinario gli anzidetti chiosatori non'fanno: che.ripro- durre sotto nuove forme una qualche antica sposizione. E ciò sia detto' senza‘ ‘defraudare d’ altra parte il sig. Bia- gioli dî quella lode che gli può competere per le cure ‘che egli ha poste nell’illustrare il Petrarca ed altri classici italiani con nuovi comenti: AR. 155 aber gin DantESco da poter servire ad ‘ogni edizione della ‘Divina Commena:; ossia V’ Inferno, il Pur- gatorio e il Paradiso composti dal sig. Giovanni Flaxman, già incisi dal sig. l'ommaso Piroli, ed ora rintagliati dal sig. Filippo Pistrucei:, con ag- giunta di una breve descrizione e spiegazione delle dite Milano presso Batelli e Fanfani 1823. in 4. bislungo . I disegni dei soggetti della Divina Commedia , com- posti già. dall’ inglese scultore Giovanni Flaxman ed in- cisi a contorni da Tommaso Piroli , furono fino dal loro comparire in luce accolti con lode dagli studiosi di Dante , e ricevuti dagli artisti con. aggradimento + Coloro che erano familiari. con quel poema:videro con piacere espresse in figure le poetiche imagini’ che in for- me analoghe si erano presentate alla loro mente in leg- gendolo; e coloro pure che piena notizia non possedevano dei pensieri danteschi, applaudirono al vederli. figurati in disegni, per mezzo dei quali agevolmente acquistarono l’ idea iconografica della Diviria Commedia‘. Gli artisti poi arrisero‘a quel lavoro e per lo spirito della. composi> zione e per la felicità dell’ esecuzione ; e ne trassero non lieve avvantaggio per aggrandire la loro immaginazione, specialmente pel lato de’concetti fantastici e ideali de’qua- li abbonda quel primo pittore delle memorie moderne; perocchè' avvezzi pel solito ai soggetti della ‘storia e a quelli tratti dall’ antica mitologia , sì-trovarono con |’ au- torevole scorta di Dante aperto un libero campo a nuovi voli della fantasia nelle vaste regioni ‘del maraviglioso. Ma gl intagli del Piroli erano oramai esauriti, nè più si trovavano in commercio; e però il sig. Antonio Fortunato È Stella editore ne ha con ottimo divisamento procurata una nuova pubblicazione . E mirando anche più special- mente all’utile e al comodo universale, egli non si è con- 4 156 | tentato semplicemente di riprodurre gl’intagli dei pensieri del Flaxman, ma con l’ opera d’ un abile italiano, al tem- po stesso felice cultore delle muse e dell’ arti ; cioè il sig. Filippo Pistrucci , vi ha aggiunto sette nuove incisioni molto convenienti a completare quelle del Piroli ; e di più tre tavole rappresentanti la pianta dell’ Inferno, del Purgatorio, e del Paradiso quali da Dante furono imagina- ti. Ha fatto poi precedere a questa importante raccolta una breve descrizione e spiegazione delle tavole con mol- ta intelligenza eseguita . Così l’ intera collezione ha pre- so giustamente il titolo d’ ArLanTE DantESGO , il quale essendo in un solo volume può servire ugualmente al co- | modo degli artisti , e a quello di chiunque possegga una qualsivoglia edizione della Divina Commedia e sia bramo- so di accompagnare il poeta nel suo misterioso viaggio. Poche per vero dire sono le edizioni anche di lusso che vadano adorne di rami eseguiti secondo la mente dell’au- tore. (1), e niuna ha tolto per anco Ja fama ai lavori del Flaxman . Parmi perciò ‘che il sig. Stella pubblicando l’ Atlante Dantesco abbia reso un servigio reale agli arti- sti ed ai letterati, E di fatti lo studio bene inteso di Dante è di altissima importanza a coloro. che si volgono alle ar- ti del disegno, non meno che a chiunque vuole attingere ai nuovi fonti del bello e del mirabile , dischiusi dal di . lui ingegno al moderno Parnaso. Dante è per noi ciò che Omero fu peri greci; nè il Flaxman poteva meglio mette- re in contrapposto co’ suoì disegni dell’ Iliade, che quelli della Divina Commedia . Quest’ ultimo poema è di fatti per ogni lato un fenomeno straordinario nel. secolo deci- mo terzo , e il più grande concepimento. della moderna n (1) Fra queste è notabile la magnifica recente edizione fio- rentina in 4. vol. in foglio. Vi sono parecchi rami felicemente imaginati e bene intagliati: quelli particolarmente del paradiso disegnati dal sig. Nenci, ed incisi dal sig. Lapi sono di un bel- lissimo effetto. 157 poesia ; come 1° Iliade fu uno straordinario fenomeno dei secoli antichi e il più grande concepimento delle greche muse . Sarebbe da desiderarsi che da chi avesse forza ed ozio per trattare un simile argomento, si imprendesse a mostrare l’ influenza somma che esso ha avuto su i vari rami della nostra letteratura ; perocchè a nostro avviso esso ha contribuito al risorgimento delle lettere e a rav- vivare fra noi la sacra scintilla dell’ingegno, forse non me- no che le cure del Petrarca e del Boccaccio, e dipoi quel- le del Bracciolini e la munificenza Medicea per la ricerca degli antichi codici , e per rimettere in onore il greco e latino sapere . Non vuolsi negare che lo studio dei classici non sia stato vantaggioso e non abbia di molto arricchito la moderna letteratura ; ma dopo il poema di Dante, an- che senza l’ajuto di quelli, noi non saremmostati forse men grandi e certamente stati saremmo più originali. Imperoc- chè le regole di Aristotele e d'Orazio incepparono gl’ingegni nel secolo X V. e XVI. Le greche e latine lettere risorgendo posero in bando la letteratura occidentale europea , che aveva una indole tutta propria , come l’ ha presso tutte le colte nazioni che da sè crearono una letteratura propria , nè la ricevettero da altri popoli. Questa indole tutta nazio- nale restò quasi soffocata,e prometteva di divenire così gran- de annunziandosi colla Divina Commedia! Ma questo poema dette però tale impulso al suo secolo ; che non ostante il richiamo degli studi classici, non poterono affatto cancel- larsi le idee che esso impresse a quell’epoca. Non è da porre in dubbio che Dante non avesse lo spirito addottrinato an- che della sapienza degli antichi; ma conservava però un tal fondo di carattere così proprio, e direi quasi una fisonomia intellettuale così distinta , che in nessuno autore si sentì mai l’ imitazione meno che in lui . Egli chiama Virgilio suo maestro, ma in tutto il suo poema vi sono pochissime imitazioni poco essenziali dell’ Eneide, e niuna su ciò che riguarda l’ orditura del suo lavoro . L'influenza 158 i che gli scritti di Dante ‘esercitatono sull’ingegno degli italiani è stata poi magg iormente sentita. allorchè con i progressi della ragione si sono abbandonate anehe in poe- sia le nude parole, i concetti e le antitesi per cercare la sostanza delle cose, e spargerle del lume della verità; che è un vero bisogno dell’attuale generazione. : Ma Danie; fu il primo ancora ad accorgersi che gli an- tichi poeti avevano con felice successo mescolato nella poesia le imagini del loro culto; e volle perciò tentare questo miglioramento, coll’ introdurre la nostra credenza religiosa e quasi col fonderla ne’suoi versi; e con ciò i suoi concepimenti acquistarono e forza ed elevatezza e il pre- stigio dell’ ideale e del maraviglioso, Onde per questo lato egli ebbe un’influenza anco più diretta e più stabile sulle belle arti, che specialmente nei soggetti sacri presero a seguitare cotanto maestro. Secondo la testimonianza di Leonardo Aretino, accurato e giudizioso biografo del nostro poeta, egli di sua mano egregiamente disegnava ; ed egli medesimo nella sua Vita Nuova ‘accenna che dilettavasi di pittura. Ma sommo pittore egli fu veramente nel suo poema, in cui per tutto campeggia quella finezza d’osser- vazione del fisico e del morale, e quella evidenza chiama- ta dai greci energia, che pone in atto le cose, e te le fa vedere e sentire come se alla tua presenza accadessero. Quindi la stima grande che in ogni tempo i sommi arti- sti fecero dell’ Alighieri, che non sdegnarono di prendere a loro maestro. Giotto fu l’amico di Date: e si ha dal Va: sari, nella vita di quel pittore, che le storie dell’ Apocalisse ch’ egli dipinse nella chiesa del monastero di S. Chiara in Napoli furono invenzione dell’ Alighieri, come per av- ventura furono anche quelle tanto lodate di Assisi .. E noto altresi che in una chiesa di Padova egli espresse in un superbo dipinto una grandiosa idea della cantica dell’Infer- no. Andrea di Cione Orgagna imitò l’ Inferno di Dante in un affresco che su tal soggetto esegui nella Cappella degli 159 Strozzi in S.,M. Novella; pittura che dai padroni di detta cappella fu. poi ristorata nel,1738. Bernardo Orgagna fra- tello del suddetto imitò pure l’ Alighieri in una pittura ch'egli condusse nel campo santo di Pisa, e diversi altri pittori di quel tempo non si discostarono da quel tipo in altri lavori su tale argomento, come può vedersi in S. Pe- tronio in. Bologna; ed altrove. Posteriormente Vincenzio Borghini che ideò i pensieri per la cupola della cattedrale fiorentina , prese la figura di Lucifero dalla descrizione che ne fa Dante nel canto 34 dell’ Inferno. Bernardino Poccetti disegnò in quattro gran fogli l’ Inferno dell’ Ali- ghieri, e tal disegno fu inciso dal celebre Callot e dedica- to al Granduca di Toscana Cosimo II. nel 1612. Anche Federigo Zuccheri figurò con ardite immagini in bei di- segni, parte in matita e parte all’acquerello, i pensieri delle Divina Commedia , e tal pregevole lavoro. si conserve nell’ I. e R. Galleria di Firenze in un volume in cui é trascritto ancora il poema . Altri disegni della Divina Commedia fatti dallo Stradano si possono vedere nella biblioteca Mediceo-Laurenziana.È noto che il gran Miche- langiolo nei margini d’ un esemplare del poema di Dante ne aveva disegnati i principali soggetti; prezioso lavoro, che con grave jattura per le arti rimase preda dell’ onde del mare . il fiero ingegno del Buonarroti mirabilmente simpatizzava con quello dell’ Alighieri, il quale può dirsi con verità essere stato la sua musa , come con verità fu detto che quegli nelle sue statue e nelle sue tavole dan- teggiava. Non citeremo, a persuadere i nostri lettori, che il suo maraviglioso dipinto del giudizio universale nel- | la Sistina. Anzi tanta era la stima e amore di Michelan- | giolo per il poeta suo concittadino, che egli con al- ‘ i tri nobili fiorentini si intromesse presso il pontefice Leone X. per ottenere le sue ceneri dai Revignani, ed esibì | l’opera sua per erigerli un decoroso monumento in patria, sebbene i suoi voti e così generoso pensamento rimaness: ro 160 poscia delusi . Il gran Tintoretto sentì certamente le bellezze della terza cantica di Dante nella maravigliosa pittura del Paradiso da lui condotta nella sala del gran Consiglio a Venezia . Finalmente ai nostri tempi l’ im- mortal Canova , per tacere di altri , ancorchè dissimile, per indole d’ingegno, dal fare dell’ Alighieri, in una let- tera in cui gli occorse parlare di questo grand’uomo, lo ‘chiama il nostro primo poeta che io venero e corono so- pra tutti gli altri. Le testimonianze e l’ esempio di così eccellenti arti- sti mostrano senza altre considerazioni quale amicizia e relazione debba esister sempre fra le arti poetiche e quelle del disegno, e di quale importanza sia per gli artisti lo studio dei poeti , e specialmente quello dell’ autore del €. 00% + + + + + Poema sacro « Al quale ha posto mano e cielo e terra», perocchè ivi, come Leonardo Aretino dichiara « concorre descrizione del mondo , descrizione de” celi e de’ pianeti , descrizione degli uomini, meriti e pene della vita umana, con varietà e copia mirabile , con.scienza di filosofia, con notizia di storie antiche, con tanta cognizione delle storie moderne, che pare ad ogni atto essere stato presente. Nè mai fu chi imprendesse più ampla e fertile materia da potere | esplicare la mente d’ ogni suo concetto, per la varietà de- gli spiriti loquenti di diverse ragioni di cose, di diversi , paesi, e di vari casi di fortuna. » A. R. 161 MIA E LARVA TO Di CEORGOFILI. Adunanza ‘ordinaria del di 16. febbraio 1822. n sig. dot. Gherardi lesse V hc o estratto ragio- nato d’ un’ operetta molto ‘ interessante scritta in francese dal sig. Poivre verso la metà del secolo decorso, intitolata « Voyages d'un philosophe » e nella quale l’ autore de- scrivendo con esattezza e criterio i vari paesi e popoli ‘d’ Affrica e d’ Asia da sè visitati, le loro legsi, istituzioni 2 55 b) È) costumi e religione , fra molte giudiziose osservazioni re- lative presenta quella importantissima, che meutre l’agri- coltura e le più necessarie fra le arti prosperano e fiori- ‘scono là dove leggi ed istituzioni protettrici ed umane ‘esercitano la tato ia influenza, all’opposto sotto leg- i ed istituzioni contrarie, unitamente al langeuore ed an- 2 ‘che ‘all’ assoluta mancanza d’ ogni industria, non s’incon- trà che miseria e barbarie. Il sig. cav. Aldini socio corrispondente dell’ acca- deniià nel presentarle in dono la sua opera sui Fari , di- chiarò che, sebbene stampata , ella non era ianata an- cora a divenire di pubblica ragione, ma ad esser comuni- cata alle potenze marittime , ai magistrati di mare, alle società dotte, ed agli uomini illustri della marina, per im- pegnarli ad aiutare coi lumi e coi suggerimenti loro l’ au- tore , onde porlo in grado di condurre a fine un trattato completo sui fanali di mare . ‘Indicò frattanto i diversi articoli nei quali aveva di- visa l’ opera, ed il modo in cui li aveva trattati. Così par- lò della costruzione dei fari, che vuol’ essere varia a seconda dei varii modi adottati per illuminarli. Fra i quali modi affermò doversi abbandonare quello, ancora in uso in molti luoghi, che consiste nella combustione del carbon fossile . Quindi, parlando dei fari Mia ad olio, annunziò potersi ottenere un'illuminazione brillantissima sostituen- T. IX. Zebbraie II 162 ; ! do alle ordinarie alcune lucerne d’ Argand molto ampie ed a più cerchi concentrici , suggerite modernamente dal sig. Fresnel. Commendò l’uso del gas per l’ illuminazione dei fari, e specialmente del gas ricavato dall’ olio , su di che annunziò essersi egli molto diffuso nel suo saggio. Essendo costosissimi i riverberi di metallo , dette contezza d’ alcuni tentativi da sè intrapresi, non senza successo, per averne di terraglia con coperta metallica color d’ argento vetrificata , nd esternò il desideriv che nell’ insigne fabbrica Ginori s’ imprendesse a farne di por- cellana con coperta simile: Fece sentire l’ importanza somma del rendere in- termittente , o del manifestare ed occultare alternativa- mente la luce dei fari, a produrre il quale effetto sug- gerì due nuovi mezzi , uno dei quali consiste nel far produrre i richiesti movimenti dalla rarefazione dell’ a- ria cagionata dal lume stesso, l’ altro nell’ applicazione d’ una leva idraulica di sua invenzione, e di cui mostrò all’ accademia un modelletto.in azione, nel quale bensì la leva era doppia ed a doppio effetto, mentre basterebbe semplice per l’ uso suddetto. Di molte altre cose fè cenno relative al soggetto stesso , come della convenienza di regolare le tasse di lanternaggio, dell’ inviolabilità di cui dovrebbero godere i fari in tempo di guerra , dell’ utilità che produrreb- be una farografia o un manuale ad uso dei piloti, for- mato di tavole, nelle quali essi trovassero a colpo d'occhio, di tutti i fari esistenti, il genere d’ illuminazione, l’ al- tezza della torre, la luce fissa o intermittente , la di- stanza da cui si rende visibile in mare, ec. A formare le quali tavole e a raccoglierne i materiali è sua intenzione di stampare una modula in fogli volanti da inviarsi ovunque si trovino fari . G. GAZZERI. 163, Sopra il giuramento d’ Ippocrate, discorso premesso alle lezioni di medicina teorica dell'anno 1822-23 dal Dot. Stanislao Grottanelli professore della me- desima nell’arcispedale di S.Maria Nuova di Firen- ze, socio d' alcune accademie e membro del Collegio medico Fiorentino. Firenze 1823, con approvazione. ‘I’ oggetto del presente Discorso è di proporre ai gio- | vanì medici non tanto un esemplare imitabile di s cienza medica, quanto un modello di moralità e di virtù, che non deve andar disgiunta dall’esercizio dell’arte salutare.E in ciò non poteva loro presentarsi più grande esempio e più luminoso di quello del filosofo di Goo, del divino Ippo- crate, che con special giuramento volle obbligarsi ad. es- sere virtuoso invocando sopra il suo capo la maledizione celeste, se tal solenne promessa avesse posto in dimenti- . canza. Nè poteva trattarsi dal sig. professor Grottanelli un più importante argomento con maggior dottrina ed elo- quenza; e noi ci faremmo un pregio di riportar per intero la sua orazione, se le forme strettamente accademiche che egli ha seguite non ce ne facessero astenere, come poco | comportabili coll’indole e coll’andamento del nostro gior- nale. Gi limiteremo perciò a qui riferirne alcuni brani del- | la seconda e della terza parte, che più tendono a far cono- I scere il giuramento ippocratico, e lo,scopo morale preso di | mira dal valente professore . II. La società è fondata su la reciprocanza dei servigi, nella | mutua collaborazione a rendere la sodisfazione dei bisogni più fa- cile, l'uso della vita più sicuro e piacevole. Distribuiti gli uffici | e stabilite le leggi, nascono i doveri positivi e quelli negativi, e | nell’ adempimento di tutti questi consiste la probità, come là co- | gnizione di essi fa parte della saggezza . i La morale ha molti punti di contatto con la medicina, e se un filosofo del secolo decimottavo avanzò scherzando ,, non esser- | wi massima morale della quale non siasi fatto un aforismo in me- | dicina 4 nè aforismo in medicina dal quale non si sia’ tratta una | massima «morale ;, egli ha detto una gran verità relativamente & : | | | 164 quella parte di medicina dagli antichi sommamente coltivata, ciog vr Igiene, la' quale occupandosi d’investigare, tra le altre cose che prende in esame’, la natura ed effetti delle umane passioni, non può a meno di metter sotto gli occhi dei cultori della medesima i doveri reciproci, ed i mezzi onde l’uomo, raffrenando,' mediante la ragione, le naturali passioni e quelle sociali, tragga poi da esse _ il maggior bene possibile . . ..... La reputazione poi della quale goderono Tessalo e Dracone figli d’ Ippocrate, e Polibio di lui genero fanno conoscere come adempisse i suoi doveri a riguardo di questi. Nè è da dubitarsi che questo padre sollecito, fosse meno affettuoso e rispettoso fi- glio, riferendoci li storici che nella sua gioventù seppe resistere al desiderio di viaggiare, nulla ostante che lodevole ne fosse il fine, a riguardo dei suoi cadenti genitori. Sposo affezionato, e premu- roso custode insieme della propria moglie, diede con l’ esempio a conoscere qual rispetto egli avesse per i doveri coniugali, e per gli altrui diritti. 45 omni injuria voluntaria inferenda, così si protesta nel suo giuramento, et corruptione cum alia, tum prae- sertim operum venereorum abstinebo liberorumve aut servorum corpora mihi contingerint curanda . Qual lezione più edificante di questa per una classe di perso- ne alla quale |’ esercizio dell’ arte può somministrare frequenti oc- casioni per tentare efficacemente, ed esser tentati, alla trasgres- sione dei doveri sociali, senza che altrui ne giunga notizia! ma qual virtù più pregevole della continenza in mezzo all’ occasione di conculcarne impunemente le leggi ? Non si creda però che questa virtù in Ippocrate fosse appunto somma, perchè la fedeltà coniugale era virtù dei tempi, nè si era ancor giunti a cambiar nome all’ adulterio. I vizi sono stati pro- pri di ogni età, e se non questo, altri ne dominarono nella Gre- cia. Ippocrate però coltivò le virtù dei tempi, e si astenne dai vizi, che il pubblico si era assuefatto a riguardare con indifferenza. Il suicidio e l’ aborto procurato erano anch’ essi, jcome può argomentarsi dal tenore della protesta del padre della medicina, delitti non rari Sembra anzi che i medici si prestassero a favorire il termine della vita in coloro, che sorpresi ne venivano dalla noia, o che per effetto di vizioso raziocinio si determinavano per il sui- cidio, sapendosi che quest’ atto di furore, presso dei Greci, si con- sumava con il veleno a preferenza di altri mezzi. Ippocrate però riconosciuto avendo, qual uomo saggio, che quest’atto era indegno dell’ uomo, si protestava, qual probo cittadino, che non avrebbe mai consentito a cooperarvi, o ad approvarne l’idea in qualsivo- 165 glia (ta ‘neque vero, così sì esprime ’ o tilbius preces apud me adeo validae fuerint ut venenum cuipiam sim propinaturus, neque etiam ad hanc rem consilium dabo. . .. .... 0% Quale fosse poi d’Ippocrate la prudenza nella vita sociale ( giacchè la prudenza nell'arte medica appartiene piuttosto alla saggezza anzichè alla probità) e quale l’idea che egli concepì della delicatezza di un tanto dovere, meglio non si può rilevare che dalle di lui stesse parole. Quaecumque vero inter curandum videro vel audiero, immo etiam ad medicandum non adhibitus in communi hominum vita cognovero, ea siquidem efferre non contulerit, ta- cebo et tamquam arcana apud me continebo. Sì, giovani ornatis- simi, tanto facile è il passaggio dal parlare di cose poco rilevanti, che pur riguardano l’ altrui fama o interessi, al rivelare quelle che possono nuocergli grandemente, che non si saprebbe esser mai troppo cauti nel tacersi su le medesime . È gran disgrazia che sia stato frequente peccato tra i medici l’ indiscretezza a riguardo dei confratelli, siane qualunque la ca- gione, essendo questa il più potente mezzo per mettere in discre- dito |’ arte stessa.,, Quel medico infatti, dice Hufeland, che pro- cura di avvilire i suoi colleghi, avvilisce la professione, e sè stesso... essendovi molte ragioni perchè i giovani medici debbano rispettare i vecchi, e perchè questi debbano stimare i giovani; ma non è mi-. nore ingiustizia che colui il quale chiamato a soccorrere un infe- lice che languisce, a caso, 0 avvertitamente, anzi senza alcuna riser- va, venne messo al fatto dello stato morale ed economico di una famiglia, giunga a tradirla per propria imprudenza. È necessario adunque assuefarsi di buon ora a vigilare su i moti della propria lingua, e persuadersi che la prudenza è una virtà di dovere, una virtà di somma utilità, e più preziosa sempre di ogni ricchezza . Che anzi le ricchezze stesse acquistate per altra via, fuorchè per. quella che si apre all’ uomo saggio e probo, ad altro non servono che a depravare la morale dei privati e del pubblico . La generazione, presente inoltre è abbastanza illumiminata da saper distinguere che la reputazione di ottimo medico non può accordarsi fuorchè ad un uomo probo, e che le funzioni di mi- nistro della natura sono incompatibili con un vile interesse per- sonale di colui che l’esercita. Noi chiamiamo medico, diceva Pla- tone nel libro primo della sua repubblica , colui che guarisce, e non già quello che raccoglie tesori. Se però i medici si sono tro» vati talvolta ‘come trascinati dalla corrente nel seguitare i costumi delle nazioni alle quali appartennero, passando dalla semplicità 166 della'vita alla molezza ed al lusso, noi non possiamo meglio mirare” che'in' Ippocrate, il quale non solo inculcò dovere il medico ‘are’ riechirsi delle qualità del vero filosofo per resistere ai desideri disordinati,‘ ma si mostrò egli stesso, come si dimostrò ogni di lui vero seguace, disinteressato per gratitudine , per grandezza di animo e per delicatezza di affetti a segno di meritare in iscorcio quel grand’elogio Pecuniarum ‘penitus contemptor, moribusque san- ctis praeditus. Ed ecco il mio discorso là giunto, ove in questo probocittadino incominciasi a riconoscere un medico veramente pio. III. La contemplazione, la venerazione e 1” amore del Facitore Supremo, l’amore verso del prossimo, che da quello del comun Creatore si parte ed a lui si riferisce, formarono sempre la base ‘ di una vera pietà. Poichè però il Divino Artefice e sommo Nume manifestar non si poteva direttamente ai sensi del nostro frale, volendo all’uomo far copia di sè, e dell'ineffabili sue grandezze, trascelse dei mezzi la di cui mercè salir potesse la mente nostra a riconoscerlo quale Egli sia in sè, quali le immense sue perfe- zioni e venerarle. La contemplazione della macchina mondiale , quella di ciascun essere che entra a comporre il gran teatro della natara, sia per la bellezza, come per la grandezza del lavoro, servì sempre a sollevare l’intelletto per. riconoscere ed adorare una ca- gione saggia e potente che il tutto creò, il tutto regge e governa. Ora niuno potendo meglio sollevarsi a tale contemplazione di colui che delle create cose diventi perito, senza esser pregiudicato di mente, come avvertiva il cantor di Laura, o aver corrotto 11 cuo- re da ree passioni, il Padre della medicina, saggio e prubo quale egli era, e persuaso, come ci si annunzia nel libro de decenti or- natu, che lo studio della medicina guidava alla riverenza del Nu- me Supremo, doveva esser pienamente corivinto della sapienza in- finita del Creatoré, dell’ immancabile di lui provvidenza, e di ogni altro divino attributo. L'alta idea infatti che aveva Ippocrate della divina giustizia è chiaramente da esso espressa nel suo giuramento, guanao rivolto al cielo egli invoca il premio delle sue fatiche, *se fedele sarà alle promesse; si assoggetta al castigo, se non farà di tutto per adem- pire ai suoi doveri, e menar santamente la vita. Così è, miei Signori, l’uomo saggio si mantiene fedele a Dio ed in Lui confida perchè lo conosce, e perchè lo conosce è for- zato ad amarlo ed essergli grato; l’ignorante obbedisce alle leggi fintanto che è compreso dal timor del castigo: ma che resta a trat- tenerlo nella via dell’empietà quando abbia superato un timore, I 167 che ègli ignorava esser giusto? guai a chi ama l'ignoranza: è certo che questi ama i veri delitti. (*) . . .... ll medico debbe esser certamente ricompensato, come lo debbe essere ogni individuo, appartenente a qualunque classe di persone , che impiegano ad altrui vantaggio quel tempo che altri mette a proprio profitto; e colui che spese e spende per rendersi utile alla società, ba diritto di esser remunerato: ma poichè incombe a cia- scuno sollevare l’indigente ed il meschino, a chi più facile riuscir può l’adempimento di un tal dovere, che a colui il quale non ha ragione per dispensarsi dal soccorrerlo , almeno nelle infermità ? se ricusiamo infatti, per la moltiplicità delle incombenze, l’ opera nostra ad un grande, questi troverà mille altri pronti ad assisterlo : ma il povero che invocò in vano il nostro soccorso, mancando di mezzi, mancherà forse ancora di coraggio per dimandarlo ad altri. Convinti noi inoltre dalla quotidiana esperienza che |’ elemosina , fatta alle persone sane e vaganti, diviene per lo più una pratica atta a mantenere l’amore dell’ozio e della dappocaggine, e spes- so ancora la furberia e l’ immoralità, dobbiamo esser persuasi per altra parte che non vi è circostanza nella quale tanto con- venga sottrarre qualche cosa a sè stessi, quanto durante l’ in- fermità dei miserabili; momento in cui ci è permesso esser cari- tatevoli senza pubblicità e senza fasto, nascondendo ancora, se così piace s la mano che benefica, onde il cuore apprenda a tutto fare in grazia di colui che tutto dona: indipendentemente cioè dalla speran- za di gratitudine per parte degli uomini, o dell’estensione della repu- tazione. L Questo fu sempre il vero carattere della carità verso il pros- simo in un womo saggio, della pietà in un cittadino probo, e que- sti furono i veri mezzi onde poter meritare, come lo meritò Ip- pocrate, il nome di medico pio: virtù tutte per le quali questo grand’uomo ottenne di essere amato e venerato dai suoi concittadini e dalle vicine nazioni, essendosi queste\fatto un dovere, come gli Ar- givi, i Tessali, e gli Ateniesi di ascriverlo alla dì loro cittadinanza, di sornministrare nel Pritàaneo gli alimenti a di lui discendenti, e di accordare alla di lui memoria onori quasi divini. \ (*) In thesauris sapientiae intellectus et scientiae religiositas, execratio autem impiis sapientia: Eccles. cap. v. 168 i M. Tutrn Ciceronis de re publica, quae supersunt, pri ‘edente ANGELO Maio. Romae 1822. VASARI PIRO Dopo aver fatto stampare il prodshibà del primo libro della ‘repubblica, da me volgarizzato , mi giunse il, fascicolo XXVII dell’ Effemeridi letterarie di Roma, in cui sono inserite alcune annotazioni del professore Francesco Orioli e di Giacomo Leopar- di intorno alle lezioni del palimsesto vaticano. Sicchè non essendomi stato possibile usar dapprima i loro consigli, me ne varrò all’av- venire , per migliorare , ove sia necessario ; la mia traduzione. Per la qual cosa attenderò pure alle altre. note che gli womini dotti pubblicheranno, ed a’ suggerimenti. che sogliono a me dare i miei provati amici. E poichè da questi ho già ricevuto qual- che opportuno avviso ; così. non indugio a fare le indicate cor- rezioni. Vedasi pertanto il fascicolo precedente dell’ Antologia, ove si trovano le pagine qui numerate. P. 151. v. 6. Io ho tradotta la lezione del testo, com’è data dal Mai, . cioè ron sono lungi etc. Nel codice però non è la parola non: questa è stata supplita dal Mai, il quale pure ha soggiunto che forse è meglio ometterla. Quindi l’Orioli opina che non vi debba essere supplità; poichè non trovasi nel palimsesto . Ed invero è buon. consiglio: attenersi al codice . Ma i copisti, quantunque sieno diligenti ; tralasciano spesso e lettere e parole. Il che mi par veramente» esser in questo luogo accaduto. Onde non fo qui per ora niuna correzione . E simil cosa dico per rispetto al v. 19. della. mede-. sima pagina , ove pure è la parola ron, supplita nella lezione del codice dal Mai, come a me sembra b pprstpnamiante : P. 151. v. 32. e seg. Parmi che sia più conforme al testo il tradurre come segue . Pertanto quel cittadino , il quale col- l’ impero e col gastigo delle leggi obbliga tutti a fare ciò che i discorsi de’ filosofi possono a pochi ed ancora a chi ne dispu- ta persuadere a pena, è agli stessi dottori anteponibile . Impe- rocchè, quale orazione di costoro è tanto esquisita, che sia da anteporsi ad una città ben costituita per pubblico ius e per co- stumi ? P. 152. v. 14. Il testo dice : neque ea signa audiamus , quae receptui canunt . Quindi mi è stato rimproverato , perchè io abbia tradotto : e non ascoltiamo gli strumenti che suonano a raccolta : quasichè avessi voluto tradurre signa colla parola strumenti . Ma io non ignorava che signa significasse i suoni de- gli strumenti. Voleva bensì conservare a suonare a raccolta È 169 che risponde sì bene e mobilmente a receptui canere . Poteva io dire cantare a raccolta : il che dinoterebbe il canto de’ mieti- sori? E poteva dir forse que’ suoni degli strumenti che suonano? Che se avessi usato i modi del dive, batter la ritirata e simili, non sarebbero tati poco convenevoli a questo stile ? Io so bene che una pa- trola può sempre usarsi quando è opportuna : ma credo pure di dover attendere all’ idonea, scelta de’ vocaboli. Onde mi si con- ceda quella piccola libertà che ho ardito prendermi , e cui non saprei rinunziare . Nè credo che la mia locuzione possa far na- scere il dubbio , che vi fossero. strumenti proprii al suono delia ritirata ; poichè ho detto gli e non quegli strumenti etc. P. 152. v. 22: e seg. Nel testo si legge. Adiunguntur pericu- la vitae, turpisque ab his formido mortis fortibus viris opponi- tur : quibus magis id miserum videri solet , natura se consumi et senectute, quam sibi dari tempus, ut possint cam vitam quae tamen esset reddenda naturae, pro patria potissimum reddere. Ognuno sa che i filosofi ‘e i retori (e Cicerone stesso in altre sue opere più volte il dice ) giudicavano glorioso e beato il mo- rir per la patria. Onde mi piaceva che Tullio avesse qui collo- cato un’ opportuna ironia , dicendo , che questi filosofi, uomini forti, che sì giudicano, adducono poi la paura turpe della morte. Talchè aveva così tràdotto. Quindi aggiungono i pericoli della vita.» e turpe paura della morte adducono quegli uomini forti ; î quali sogliono giudicare più misera condizione, esser consunti dalla natura e dalla vecchiezza , che non aver opportunità di dare principalmente alla patria quella lor vita, che pur deggio- no. rendere alla natura . Ma gli uomini dotti pensando altrimenti, io loro consento, traducendo così. Quindi aggiungono i pericoli della vita , e turpe paura della morte oppongono agli uomini forti: cui suole anzi sembrare più misera condizione etc. Intorno allo stesso proposito noteremo che altri latinisti du-. bitano che .turpis si riferisca a mortis e non a formido : e. che ab. his sì riferisca a pericula . Tantochè per lasciare a tutti il medo d°’ intendere questo periodo , come vogliono , sì in italiano che in latino, si potrebbe forse tradurre così. Quindi aggiungono i pericoli della vita , e oppongono della morte turpe paura agli uomini forti : cui suole anzi sembrare più etc . P. 153. v. 19. E credo che si lamentino. È meglio così. £ credo, si lamentino . P. 154. v. 20. Il testo dice: sutum perfugium otio nostro suppeditaret , et tranquillum ad quietem locum. Io aveva tra-. dotto : un sicuro asilo ed un luogo tranquillo per la quiete al- 170: l’ozio nostro porgesse. Ora mutò sodi luogo tranquillo per ta quiete e sicuro asilo all’ ozio nostro porgesse . In questo modo è meglio conservato l’ andamento del discorso di Tullio Di; si è tolta la ripetizione della parola un che è monotona e più neces- saria alle lingue oltramontane che non alla nostra .. P; 155. v. 13. Cui non sia mutisi in cui siz. Il primo mo-! do non è erroneo, ma è sembrato oscuro a qualcuno: e se il lettore non blend, è quasi sempre colpa dello scrittore . P. 156. v. 2. e seg. Il testo dice . Eguidem, ut verum esset sua voluntate sapientem descendere ad rationes civitatis non solere ; sin autem temporibus cogeretur, tura id munus denique non recusare ; tamen arbitrarer etc. Io aveva tradotto. Certa- mente , ancorchè fosse vero che i sapienti non sogliano di lor volontà inchinarsi alle cure della città , e che infine poi non sieno per ricusare un tale ufficio allorguando vi fossero da’ tem- pi costretti: nondimeno crederei etc. Ma mi sembra meglio tra- durre così. Certamente, ancorchè fosse vero che i sapienti non sogliano di lor volontà inchinarsi alle cure della città, ma che se poi vi sieno da’ tempi costretti , allor infine non ricusino un tale ufficio; pur crederei etc . P. 156. v. 12. Tullio dice: quae disputatio ne frustra ha- beretur . Io aveva tradotto : /a qual disputa perchè non fosse giudicata vana . Parmi dover dire: la qual disputa perchè non si facesse invano . P. 156. v. 17. Apud doctissimos homines: dice il testo. Ed io traducendo: appresso ogni uomo dottissimo : ho dato troppa generalità al significato delle parole latine . Ma ciò feci, perchè nel discorso conseguitava il relativo 7 quali, e non voleva far na- scere il dubbio che si riferisse ad uomini dottissimi . Pertanto se questo dubbio non v'è , sostituisco volentieri; come vuole il testo, appresso uomini dottissimi . P. 156. Nota 1. Il testo di Tullio, considerato in questa nota, sembra tuttavia oscuro a qualcuno. Quanto è a me, potrò du- bitare che manchi forse qualche parola latina del testo vero di Cicerone, ma non posso dubitare di quello ch’ ei qui dire in- tendesse. Ed ho avuto molto piacere; leggendo nell’ Effemeridi letterarie di Roma che l’ Orioli ed io nel tempo medesimo, sen- za saper l’ uno dell’ altro , interpetravamo questo passo in uno stesso modo . Spero che il dotto e gentilissimo Mai (da cui altra volta ho rice- | vuto grande aiuto a’miei studi) mi gioverà pure al presente, concor- rendo anch'egli ad avvertirmi degli errori miei. Che se io m’ ardisco - 172 di disputare intorno ali opera sua, egli è certo ch'io non iii d’a- ver ben giudicato s' ei non approva. Nè minore il merito suo, nè più lieve diventa l’ obbligo nostro con lui, perchè si trovi alcu- na cosa da notare nella prima edizione di questo libro che ci erà a tutti ignoto. So ben io quanto ne sia difficile sola la tradu- zione, che ora continuo. IX. Publio Affcienoti figlio di Bidlos avendo sta- bilito ch’ ei sarebbe negli orti (1) suoi dsl le ferie la- tine (2) ( mentre erano consoli Tuditano ed Aquilio): e gli amici di lui familiarissimi avendo detto che spesso lo visiterebbero in que’ giorni: al cominciar delle ferie, la mattina, primo di tutti venne Quinto Tuberone , figlio della sua sorella , cui Scipione volentieri vedendo e cor- tesemente appellando , come sì di buon’ ora, gli disse, 0 Tuberone ? poichè invero queste ferie ti davano facoltà opportuna a spiegare i tuoi volumi. — Quindi Tuberone: a’ libri miei qualunque tempo è libero, perchè non sono essi mai occupati: ma il trovar te ozioso egli è un gran caso, massime in queste commozioni della repubblica(3).— Scipione soggiunse : certamente mi trovi ozioso, ma a fè, più d’ opera che d’ animo. — E quegli: è uopo che tu ri- posi ancora l’animo: molti perciò siamo apparecchiati ( come è stabilito e se ciò può farsi senza tuo incomodo ) ad usare teco tutto quest’ ozio. — Volentieri , Scipione ri- (1) Gli orti ,, o.giardini de’ romani erano quasi sempre su- burbani. E quelli di Scipione erano al certo fuori del pomerio della città, perchè lo dice Tullio medesimo nel suo discorso in- torno alla natura degli Dei, l. 2. $. 4. (2) Non sembra che le ferie latine fossero celebrate sempre in un medesimo tempo dell’anno, poichè Livio le. mentova nel I. 4r. c.. 16, nel I. 44. c. 22, e nel l. 45. c. 3, dicendo dappri- ma che furono celebrate nel mese di maggio ; dipoi nel mese di aprile , e poi in novembre. In questo mese forse eran le ferie la- tine a' tempi di Scipione, poichè Tullio dice nel susseguente dia- logo che era la stagione dell’ inverno. (3) Le commozioni della repubblica provenivano da Caio Grac- co, che era allora tribuno. 192: spose, affinchè si faccia alcuna volta ‘menzione de’ filoso- fici studi . Ma X. Dunque o Affricano, disse Tuberone, poichè in certo modo m' inviti e dai di te speranza, vuoi tu che noi dapprima, innanzi che gli altri vengano, esaminiamo che sia di questo secondo na , annunziato in. senato? poichè non essendo pochi nè di une conto quei che dicono aver visto due soli, non tanto non è da negare il fatto, quanto è da cercarne la ragione. — Quindi Scipione: oh! così fosse con noi Panezio nostro, il quale è solito investi- gare e con sommo studio sì le altre cose come queste del celo. Quantunque io (poichè a te, o Tuberone, dirò apertamente ciò che penso ) in tutto questo genere non troppo acconsento a quel nostro amico, il quale così af- ferma tutte quelle cose , che noi possiamo a pena conget- turare quali elle sieno, come se le avesse davanti agli. occhi , o le toccasse proprio con mano. Io soglio anzi tan- to più sapiente giudicare Socrate, il quale depose ogni cura di tal fatta , e dichiarò le investigazioni della natu- ra, o superiori agli sforzi della ragione umana , 0 non at- tenenti affatto alla vita degli uomini. — Allor Tuberone: io non so, Publio Affricano , come sia venuto a nostra memoria , che Socrate rigettasse ogni questione di tal sor- te, e che fosse solito disputare soltanto della vita e de’ co- stumi. Imperocchè trattando di lui , quale scrittore è da lodarsi più autorevole di Platone? ne’ cui libri e in molti luoghi Socrate sì parla, che quantunque disputi de’ co- stumi, delle virtù, e infine della repubblica, si studia altresì di congiungervi i numeri , la geometria e l’ armo- nia , secondo l’ uso di Pittagora. — Scipione rispose : così è , come tu dici. Ma avrai pure, io credo o Tuberone , udito che Platone dopo la morte di Socrate andò prima in Egitto per desio d’ apprendere, e poi venne in Italia e in Sicilia per ben conoscere i ritrovamenti di Pittagora : ch’ egli fu molto con Archita di Taranto e con Timeo di - r—it=tacoeseraitt eee 173 Locri: che rinvenne i commentarii di Filolao: e che si diede a’ pittagorici ed a quello studio, poichè vigeva in quel tempo quivi il nome di Pittagora. Ond’egli, che amava singolarmente Socrate e voleva tutto a lui attri- buire, congiunse la venustà socratica e il sottile ragiona- mento colle oscurità di Pittagora e con quella gravità di moltissime scenze. XI. Avendo Scipione ciò detto , vide venir repente Lucio Furio; e salutandolo amichevolmente lo prese per mano e collocò nel suo letto (1). E poichè era venuto in- sieme Publio Rutilio, il quale è appresso noi autore di lauto discorso, Scipione lui pur salutò, e seder lo fece ac- canto a Tuberone. Quindi Furio disse : in che vi occupate? L’ esser noi sopravenuti ha forse interrotto alcun vostro discorso ? — No invero, Affricano rispose : poichè tu sei | diligente investigatore di quel genere di cose , delle quali Tuberone ha. poco prima cominciato a domandare. Ed anche il nostro Rutilio era pur solito simili cose indagar meco talvolta sotto le stesse mura di Numanzia. — Ma finalmente , di che parlavasi? soggiunse Filo. — E quegli: di cotesti due soli, intorno a cui bramo udire da te, o Filo, ciò che tu pensi. XII. Dopo aver esso proferito queste parole, un servo gli annunziò che Lelio, già uscito di casa, a visitarlo ve- niva. Onde Scipione , presi i calzari e la toga, andò fuor della camera; e avendo fatto qualche passo avanti nel portico , salutò Lelio che arrivava , e quegli che insieme venivano, Spurio Mummio da lui amato fra’ primi, e Caio Fannio e Quinto Scevola generi di Lelio, giovani dotti, e già in età da essere questori. I quali tutti avendo egli salutato , voltò addietro nel portico, e mise Lelio in mezzo: poichè nella loro amicizia fu questo a vicenda (1) Non ho creduto dover mutare questa parola. Ognuno sa che i romani, o conversando o mangiando , stavano adagiati sopra una specie di letto. ‘174 ‘osservato quasi per legge, che in guerra Lelio venerasse ‘Affricano come un Dio per la sua gloria insigne, ed in casa Scipione onorasse Lelio come padre , perchè gli era d'età maggiore. Dipoi, quando ebbero favellato alquanto, in sù e in giù passeggiando: essendo la lor visita gioconda e gratissima , e la stagione d’ inverno: piacque a Scipione che sedessero ove più era il praticello aprico. Intanto ven- ne pure Marco Manilio , uomo sapiente e a tutti loro pia- cevole e caro , il quale salutato amichevolmente ‘da Sci- pione e dagli altri si assise vicino a Lelio. i XIII. Allora Filo disse: a me non sembra che ‘dob biamo cercare altro discorso , perchè questi sieno venuti; ma bensì trattarlo con più accuratezza , e dir parole degne d'esser da loro udite. — Qui Lelio: di che si trattava 30 a qual discorso noi siam sopravenuti? — Fio. Scipione ha domandato com’ io pensassi intorno a ciò che è noto, essere stati visti due soli. — Letro. Dì veramente, o Filo, abbiamo noi esplorato ciò che alle case nostre, ciò che alla repubblica pertiene, poichè indaghiamo ciò che av- venga in celo? —Fixo. Non credi tu forse appartenga alle case nostre il saper ciò che accada e ciò che si faccia in casa , la quale non è quella che cingono le nostre pareti , ma tutto questo mondo ; il qual domicilio e la qual patria ci hanno data gli Dei comune a loro? quando principal- mente se queste ignoriamo, molte e grandi cose ignorare sì debbano. Ma di vero a me diletta, e per certo a te pure o Lelio, e a tutti coloro che sono avidi della sapienza , il conoscere e considerare siffatte cose. — LeLio. Non im- pedisco , massime perchè siamo in dì feriati: ma possiamo noi qualche cosa udire , o tardi giungemmo ? — Fito. Nulla si è finor disputato: e non avendo il discorso avuto principio , concedo ben volentieri che sia da te , 0 Lelio, assunto. — LeLro. Anzi noi udiremo te, se pur Manilio non giudica dover proporre alcun interdetto fra’ due soli, affinchè possedano il celo così, come l’ uno e l’altro lo 1795 avran posseduto. — Al che Manilio: passi tu ora, Lelio , a motteggiar di quell’ arte, in cui più vaglio , e senza la quale niuno può sapere quel che è suo, e quel che è d’al- trui ? Ma ciò dipoi: ora ascoltiamo Filo, il cui consulto già vedo richiesto in cose maggiori, che non il mio © uello di Muzio Scevola. XIV. Allora Filo: io non vi dirò nulla di nuovo, nè cose da me pensate o ritrovate; poichè ho a memoria che Caio Sulpizio Gallo, (uomo dottissimo, come voi sapete ) udendo questo medesimo essersi veduto (1), e trovandosi egli per caso appresso Marco Marcello che era stato con- sole con lui, fece trar fuori quella sfera che l’avo di Marco Marcello , presa Siracusa , aveva tolto a quell’opulentissi- ma ed ornatissima città , niente altro in casa sua portando di sì cospicua preda. Della quale sfera benchè avessi udito sovente il nome a causa della fama d’ Archimede, pure in vederla non molto l’ammirai; perchè dicevasi comu- nemente esser più bella e più nobile quella fatta dal me- desimo Archimede, e collocata nel tempio della virtù dallo stesso Marcello. Ma quando Gallo cominciò ad esporre scientemente la ragione di quest’ opera , giudicai essere stato in quel siciliano maggiore ingegno, come non sem- brava il potesse la natura umana produrre. Imperocchè diceva Gallo: essere antico il ritrovamento di quell’ altra sfera solida e piena. Averla Talete Milesio per primo fatta rotonda. Poi sopra essa medesima aver descritto gli astri fissi in celo Eudosso di Gnido, discepolo come narrava di Platone. Quindi, dopo molti anni, tutti questi ornamenti e i disegni presi da Eudosso, essere stati da Arato illu- strati con versi, per certa sua facoltà poetica, non già ch’ ei fosse partecipe dell’ astrologica scenza. Ma non es- (1) Il Mai ci avverte che Cicerone parla qui forse del pare- lio osservato l’ anno trigesimo quarto innanzi la morte di Sci- pione Emiliano. ©2796 | sersi potuto inchiudere(i)in quella sfera solida quest'altro ‘genere di sfera ; ove fossero indicati i movimenti del sole e della luna, e di quelle cinque stelle (2) che erranti e quasi vagabonde appellansi. E doversi in questa ammira- re il ritrovamento d’ Archimede, perchè egli pensò come in sì dissimili moti un solo giro conservasse i corsi delle stelle inequabili e varii. Movendo poi Gallo questa sfera , ‘accadeva che la luna succedesse per tanti giri al sole in quella macchina di rame, per quanti giorni essa a lui succede nel celo stesso: onde e nel celo e nella sfera (3) .sì faceva la medesima eclissi del sole, e veniva la luna a quella meta , che era l’ ombra della terra, allorquando il sole dalla regione (4).... | o sl XV.....fu, perchè io lo amava, e perchè aveva conosciuto essere sthito egli tra’ primi caro e provalo amico a Paolo mio padre. Io mi ricordo > quando si campeggiava in Macedonia , mio padre nane , lo giovanetto , essere (1) Il Mai seguitando il codice ha scritto finiri , Poi nelle note aggiunte ha proposto scriver fierî. Ma mi sembra che si debba (e così, dicono l’ Orioli e il Leopardi ) seguire il codice: nè però non sarebbe gran differenza se si scrivesse fieri, il che nella mia traduzione farebbe cambiare inchiudere in fare, senza molto mutare il senso del discorso . (2) I pianeti. (3) Nel palimsesto si legge : ex quo et,in caelo sphaera so- lis fieret eadem illa defectio etc. Il Mai suppone o doversi umet- tere la parola sphaera, o scrivere eaeli sphaera. L’ Orioli vuole che si legga come è nel palimsesto , cioè caelo sphaera ; e così dichiara queste parole : in eo caclo , quod sphacra simulabat, vel potius in caelo sphaerae (nel cielo rappresentato dalla sfe- ra, o nel cielo della sfera). Ma io penserei altrimenti. Alla le- zione del palimsesto non mi pare che manchi se non un ez, cioè: ex quo et in cacelo et sphaera fieret etc. Poichè è evidente che Tullio dinota in questo luogo, accadere nella sfera d’ Archimede le stesse cose come nel celo . (4) Mancano otto pagine nel palimsesto. E nel paragrafo sus- seguente, che pure è mutilo, parla Scipione dello stesso Sulpizio. VPI stato il nostro esercito perturbato da superstizione e da timore , perchè la luna splendiente e piena oscurò di su- bito in notte serena. E Sulpizio, che era allora nostro luogotenente, quasi un anno prima che fosse dichiarato console, non dubitò il giorno appresso d’ insegnar pub- blicamente nel campo : nori esser questo alcun prodigio : esser in quella notte accaduto , ed a certi tempi dover sempre avvenire , quando si trovi il sole sì collocato, che non possa colla luce sua toccar la luna. — È poteva egli insegnar queste cose, domandò Tuberone, ad uomini quasi rustici ? osava egli dir questo a gente imperita ? — Scipione. Certamente e con grande (1)..........nè insolente ostentazione, nè discorso disdicevole ad uomo gravissimo ; poichè ottenne questo grande effetto, di to- glier via ad uomini perturbati la vana superstizione e la paura . XVI. E simil effetto ancora quel Pericle, il quale era principe della sua città per consiglio autorità ed elo- quenza , ottenne in quella massima guerra che 1 lacede- moni e gli ateniesi fecero con somma animosità tra loro. Imperocchè , essendo fatte le tenebre per subita oscura- zione del sele , e gli animi degli ateniesi occupati perciò da grandissimo timore , dicesi aver egli ‘insegnato a’ suo! concittadini quello che aveva ei stesso udito da Anassagora suo precettore: dover ciò accadere necessariamente e in certo tempo , quando la luna si trovi tutta sottoposta alla sfera del sole: e non poter ciò avvenire che in certo tem- po dell’ interlunio, benchè non ad ogni interlunio occorra. Il che avendo Pericle insegnato con disputarne e colle ra- gioni , liberò dalla paura il popolo : essendo allora ignota e nuova la ragione ; che il sole opposto alla luna eclissare solesse ; il che , dicesi , aver visto per primo Talete Mile- (1) utile e salute del nostro esercito: supplisee il Mai. Man- cano almen due pagine nel palinsesto. T. IX Febbraio 12 178 sio. Nè ciò dipoi non sfuggì al nostro Ennio, il quale ha scritto che nell’anno CCCL o circa (1 )idojis la fonda-' zione di Roma, nelle none di giugno, al sole la luna si oppose e la notte (2). Ma in questa cosa è tanto buon ordine e diligenza , che dal suddetto giorno (il quale è notato appresso Ennio e negli annali massimi (3) ). tutte sono state registrate le precedenti eclissi del sole fino a' quella che regnando Romolo occorse alle none quinti- lie (4): duravte le quali tenebre, benchè la natura traes- se Romolo al fine della vita, dicesi però che la virtù lo inalzasse al celo. XVII. Quindi Tuberone ; pensi tu ora forse; o Affri- cano, quello che poco innanzi a te altrimenti sembra- va , (5). < - +... Scizione . . . . che gli altri vegga- no. Ed invero, quale delle cose umane sembrerà illastre a chi abbia ragguardato (6) i regni degli Dei ? O quale durevole a chi abbia conosciuto ciò che sia eterno? 0 qua (1) Il Mai ci avverte che le tre prime lettere del numero CCCL sono state aggiunte dalla seconda mano nel palimsesto : e ‘ehe intatti detta eclissi di sole accadde, secondo Petavio, in que- st’ anno (4310 del periodo giuliano) , ma nel mese di settembre, (2) Soli luna obstitit et nox . Parole d’ Ennio . (3) Cioè gli annali consacrati dal pontefice massimo, in cui erano registrate anche le osservazioni del celo. (4) Cioè alle none di luglio , il quale prima de’ tempi di Giulio Cesare appellavasi Quintile, siccome quinto mese dopo " nese di marzo, da cui principiava allora l’ anno .' (5) Mancano due pagine . Il Mai giustamente significa ; al- luder qui 'Tuberone a’ dubbi mostrati da Affricano nel paragrafo X intorno alle asserzioni degli astrologi. E Affricano , rispon- dendo a Tuberone, gli avrà forse detto che non dubitava di tatti i. loro argomenti, ma sol di quelli fondati nelle congetture . Nè al certo non disprezzava le osservazioni del celo: ma da vero fi- losofo ne deduce morali sentenze, come si legge nel susseguente discorso . (6) Questo verho ragguardare sembrerà antiquato, ma io mon mi ricordo di altri che ben rispondano con’ esso al latino perspicere , 179 le gloriosa a chi abbia visto come la terra è piccola , essa tutta insieme , non che quella parte che è abitata dagli uomini, ed in cui speriamo si distenda e voli ampiamen- te il nome nostro, benchè siamo fermati in una minima sua parte ed ignotissimi al più delle genti ? Quegli poi che non suole reputare nè chiamare beni i campi, gli edi- fizi, i greggi, e l’ immenso peso dell’ argento e dell’ oro, perchè gli sembra di tali cose lieve il frutto, pochissinto l’ uso, incerto il dominio, e spesso ancora immenso quan- to ne posseggono i malvagi ; oh quanto è desso, a parer mio,da reputarsi felice (1) ! A cui veramente è lecito di- chiarar sua ogni cosa , non per gius de’ quiriti ma -per di- ritto de’ sapienti, non per gatto civile ma per comune legge della natura , la quale proibisce che niuna cosa sia d’ alcuno se non di chi la sappia trattare ed usare: di chi giudichi gl’ imperi e i nostri consolati esser nel numero delle necessarie, non delle desiderabili cose , e dover im- prenderli per adempir l’ ufticio, non desiderarli per ca- gione del premio o della gloria: e di chi possa infine as- | serir di sè quel medesimo che Affricano mio avo era solito dire (conforme scrive Catone), cioè non fare egli mai tan- to come quando nulla faceva, e mai non essere meno solo che quando solo ei fosse. Chi pomehha; invero giudicare: aver più fatto Dionisio quando tolse a’ suoi concittadini la libertà , sì molte insidie apparecchiando: che non Archi- (1) Il testo pubblicato dal Mai è il seguente. Agros vero et acdificia et pecudes et immensum argenti pondus atque auri qui bona nec putare nec appellare soleat , quod earum rerum videatur ei levis fructus, exiguus usus s incertus dominatus , saepe’ etiam teterrimorum hominum immensa possessio . Quam est hic fortunatus putandus, cui soli vere liceat omnia non Quiritium sed sapientium iure pro suis vindicare! Ma seguitando questa punteggiatura, a me non riusciva trovare il senso del discorso. Sicchè ho messo punto e virgola innanzi a guam , e punto am- mirativo dopo putandus. E questa piccola mutazione mi ha date - una sentenza bella, chiara e moralissima . 180 mede di lui concittadino, mentre pareva nulla operare, ed effettuò quella sfera, di cui or si parlava ? Chi non stime-'_ rebbe : essere più soli quelli che nel foro e in mezzo la turba non trovino con cui piacia aver colloquio: che non quelli che senza alcun arbitro o seco stessi ragionino, o si dilettino colle scritture e co’ ritrovamenti degli uomini dottissima , quasi fossero al concilio di questi presenti? Quale altro poi e da chi reputato sarebbe , o più ricco di quello, cui nulla manchi di ciò che la natura desidera? o più potente di colui che ottenga: tutto ciò che brami ? o più beato di chi libero sia da ogni perturbazione dell’ a- nimo? o di più stabile fortuna che non chi posseda quelle cose, le quali ( come dicono) anche dal naufragio ei possa seco portare in salvo? Poichè qual impero , qual magi- stratura , qual regno può essere di tanto pregio, quanto aver l’ animo intento sempre nelle cose divine e sempi- terne , disprezzando tutte le umane e stimandole infe- viori alla sapienza ; avendo inoltre ‘per certo , gli altri chiamarsi nia quegli soli essere uomini, che sieno adorni delle arti proprie all’ umana specie ? Tantochè mi sem- bra elegantissimo quel detto di Piatone ( o se altri pure il disse): che spinto egli dalla tempesta a terre ignote e in deserto lido, vedendo gli altri impauriti per non co- noscere i luoghi, ed avvisando nell’ arena descritte alcune geometriche figure , di subito esclamò a’ compagni: di buono animo siate, imperocchè io scorgo vestigia umane. La quale interpetrazione sua non proveniva dal vedere i campi seminati, ma bensì da’ segni della sapienza . Laonde a me sempre, o Tuberone, piacquero e la sapien- za e gli uomini eruditi e cotesti tuoi studi . XVIII. Allora Lelio disse: io non oso al certo, o Sci- pione, di queste cose parlare; nè tanto te, quanto Filo, o Ma- milio (1). . . . +... nella di lui paterna stirpe fu quel (4) Mancano due pagine nel palimsesto. Il Mai nota qui gop ragione, che Lelio riprova ciò che avevano gli altri detto 184 nostro amito, degno d’ essere da costui (1) imitato, Sesto Elio, uomo d’ animo egregio e d’ ingegno acuto (2), il guado era e fu detto da Ennio d'animo egregio e d’ inge- gno acuto, pon perchè indagava quelle cose che mai non avrebbe rinvenute, ma perchè dava tali risposte che to- gliessero gl’indagatori di quelle cose da siffatte occupa- zioni e cure . Ed egli, quando disputava contro gli studi . ‘di Gallo, aveva sempre in bocca ciò che dice Achille nel- I° Ifigenia : che osservazioni son queste sio nel celo, -quando sorga la capra o lo scorpione o qualche al- tro nome E: belve , segni degli astrologi! Indagano le regioni del celo: niuno guarda a ciò che ha in- nanzi a’ piedi (3). Ed egli medesimo ( poichè io l’ udi- intorno a’ mentovati studi, e che per rispetto verso Scipione , Filo e Manilio, uomini attempati, volge il discorso contro Tube- rone ; il quale era giovane , attendeva troppo alla filosofia , ed aveva promosso egli stesso un tale argomento nel principio di pine dialogo . (1) Cioè da Quinto Elio Tuberone, presente al dialogo , tra’ cui antenati era Sesto Elio . (2) Con queste. parole traduco il seguente verso d’ Ennio, tratto dal libro decimo de’ suoi annali, e citato qui da Cicerone. Egregie cordatus homo Catus Aeliu Sextus. Tullio stesso , nel libro primo delle Tusculane paragrafo IX, di- sputando che cosa; dove, e onde sia l’ animo, dite che ad alcuni sembra animo il cuore; e cita questo verso d’ Ennio : sicchè pare a me che Cicerone intendesse egregie cordatus significare d’ animo egregio . Il Mai poi avverte che la. parola catus è secondo Varrone d’ origine sabina, e significa @cutus. Dubito però se debba tra- | dursi d’ ingegno acuto, ovvero Cato, poichè : fu questo un so- pranome dato a Sesto Elio, e trasmesso quindi da esso alla fa- miglia degli Elii, conforme dicesi nella nota al suddetto verso d’ Ennio ab Tusculane , edizione di Padova 1794 ex typogra- phia seminarii apud Thomam Bettinelli . (3) Così ho tradotto i seguenti versi , che Cicerone trasse probabilmente dalla tragedia d’ Ennio, intitolata |’ Ifigenia; e che il Mai ha così pubblicati . Astrologorum signa in caelo quid sit observat: Iovis 182 va inoltò e volentieri ) diceva : essere quel Zeto di Pacus vio troppo nemico alla filosofia: più a lui dilettare Neo- Cum capra aut nepa.aut exoritur nomen aliquod beluarum. Quod est ante pedes nemo spectat ; caeli scrutantur plagas. Ma il Mai stesso ci avverte che nel codice si legge chiaramente observationis in iscambio di observat : Iovis come ha egli credu- to di para correggere . Onde benchè esso adduca l’ esempio d’ O+ vidio ne' fasti per giustificare la lezione capra Zovis da lui pro= dotta : poichè a me non sembra che questo o altro esempio valga a trasmutare il primo: poichè non abbiamo altri codici che rife- riscano i suddetti versi: e poichè le parole Astrologorum signa, in caelo quid sit observationis, Cum capra aut nepa aut exoritur nomen aliquod beluarum ! mi sembrano opportune in bocca d’ Achille, e opportune a Lelio in questo dialogo : mi sono io ardito di prender la lezione co- m'è nel codice, e di punteggiare com’ io intendeva. Giova però avvertire che la suddetta lezione, dal Mai eletta, è stata da lui rigettata nelle aggiunte fatte in fine del libro, do- ve vuole che quid sit observati sì muti in quaerit: observat. Ed il Leopardi ciò non disapprova , ma vorrebbe piuttosto quaesit in luogo di quaerit: e preferirebbe poi a questa lezione la se- guente signum in caelo quid sit observat . Ma ognun vede che eiò accresce le mutazioni da farsi nel codice, il quale è pur la sola norma di questo nuovo libro di Tullio. E }' Orioli disap- prova anch’ esso la mutazione di quid sit in quacrit. : «.L’ Orioli non è neppur contento della punteggiatura del Mai, e | propone una virgola innanzi a quid, e un’altra innanzi a /ovis: talchè in caelo sì riferirebbe secondo lui a signa astrologorum, il che po- trebbe pur convenire, e si dovrebbe allora tradurre segni degli astrologi in celo . Ma nondimeno mi par più idonea locuzione quella che'io ho scelta, massime perchè egli conserva la lezione wbservat Iovis. Più giuste saranno per avventura le sue ‘conside- razioni intorno alla misura de’ suddetti versi, per renderei quali meno împerfetti egli muta deluarum in deluae , quod in quoad , spe- etat in specit. Ma io non so quanta perfezione possa ritrovarsi in En- nio. E comunque sieno bene o male collocate ne’ due primi ver- si le parole observationis e beluarum, che il codice mostra; certo è che l’ultimo verso si è trovato in altri codici tal quale è in questo palimsesto , colle voci quod e spectat . Esso è ‘infatti ci- tato nell’ opera di Tullio de divinatione, I. 2. XII, la quale già si conosce da moltissimi anni senza correzioni a questo proposito. 183 ‘ptolemo appresso Ennio, il quale dice voler filosofare ma in poche cose; ciò non piacergli in tutte. Che se gli studi de’ greci vi danno tanto diletto, vene sono altri più liberi e più universali ; che possiamo trasferire eziandio all’ uso della vita o anche alla repubblica stessa. Coteste arti, se pure vagliono alquanto , giovano ad aguzzare un poco e quasi come a stimolare l’ ingegno de’ fanciulli, affinchè iù facilmente possano maggiori cose apprendere . XIX. Allor Tuberove: io non dissento da te, o Leliòj ma domando, quali cose intendi essere maggiori . — Le- L10 . Tel dirò per certo, e sarò forse da te sprezzato, poi- chè tu hai domandato a Scipione di queste cose del celo, ed io penso dover piuttosto ihdagarsi quelle che abbiamo innanzi agli occhi. E come è egli mai che il nipote (1) di Lucio Paolo, nato in nobilissima famiglia (3) e in que- sta sì chiara repubblica (3), avendo pure a materno zio questo nostro Scipione (4), domandi in che modo si sie: no visti due soli, e uon domandi perchè in una repubblica sieno due senati e già quasi due popoli ? Imperocchè, sic» come vedete, la morte di Tiberio Gracco, e prima ancora tutti i disegni di quel tribunato hanno diviso in due par- ti un popolo. E i detrattori e gl’invidiosi d’ Affricano, quantunque sien morti Publio Crasso ed Appio Claudio che a ciò diedero principio, mantengono sempre a voi di- scorde l’ altra parte del senato, sostenuti ora da Metello e da Publio Muzio. Nè permettono che questi, il quale solo può, a noi sovvenga in tanti pericoli : essendo concitati i socii e la gente latina, violate le alleanze, promossa ogni di (1) Tuberone , figlio d’ Emilia figlinola di Paolo e sorella di Scipione Affricano . (2) La fa miglia Elia « (3) Il Mai ha in questo luogo, come in tutti gli altri, se parata la voce republica, scrivendo cioè re publica. Ma si potreb= be egli dire che Tuberone era nato în questa sì chiara cosa pubblica ? (4) Scipione, presente al dialogo, e zio materno di Tuberone- "e | - aleuna. cosa nwòva da sediziosissimi triunviri (1), e per: iurbati gli uomini dabbene facoltosi. Onde se me, 0 giova- DI, pa non temerete il secondo sole: jinipesodelibile può esser nullo: o sia certo com’ è stato visto , solamente che non sia molesto: e di tali cose, o nulla può sapersi, 0 quando se ne sappia ancora moltissimo, noi non possianîo divenire per questa scenza nè migliori nè più beati ./Ma che si abbia un solo senato ed un gr popolo , questo” può farsi, ed è molestissimo se non si faccia : e sappiamo es- sere altrimenti: e vediamo che, se ciò avesse effetto, la not ‘stra vita sarebbe migliore e più beata. (0A + LI XX. Allora Muzio che cosa dunque, o Lelio, stimi dover noi apprendere, affinchè possiamo dare effetto a ciò ehe tu richiedi? — Leto : Quelle arti, che rendano utili noi alla ciltà : imperocchè giudico esser questo il più in> signe dono della sapienza , ed il massimo: ufficio o dimò- strazione della virtù . Laonde, affinchè sieno queste ferie. da noi passate in discorsi utilissimi principalmente. alla repubblica, preghiamo Scipione che dimostri qual sia P’ot- timo stato d’ una città. Poi sindagheranno altre cose : le quali conosciute, a queste arriveremo, io spero, per la me- desima. via, e dichiareremo Ja ragione di quelle che orà sono imminenti (2). li UE XXI. :1l che avendo e Filo e Manilio e Mamiaiò sommamente approvato (3) . . . ... Lelio... e 19) hi: : DI (1) Cia Cona. Papirio Carbone, e Fulvio Flaéco, promo- tori della legge agraria . (2) Pare ta come il Mai ben considera, che negli altimi due libri ( di. cui non si hanno che piccolissimi Cani ) ab- bia Cicerone parlato delle cose di Roma relative a? Gracchi : do- po aver parlato ne’ due primi dell’ ottimo stato d’ una città, nel terzo della giustizia, e_ nel quar to de’ costumi. (3) Mancano due pagine nel palimsesto . Il Mai Ha con buo- ne ragioni collocato in questo luogo due piccolissimi frammenti; citati il primo da Diomede e il ino da Nonio. Ma poichè non siamo eerti del tutto che essi qui debbano essere. collocati, ‘185 | farsi, ho voluto .non, sélo, perchè ‘era giusto. che intorno “alla repubblica parlasse ‘principalmente quei che nella repubblica è, primo, ma ancora perchè ricordava ‘esser tu solito disputar sovente con Panezio alla presenza di Polibio (i quali erano ;due: greci peritissimi delle cose civili ), e molto raccogliere ei dimostrare che ottimo di “gran lunga è quello stato della città, che a noi gli an- tenati nostri lasciarono . Onde, poichè sei più tu appa- recchiato” a questa disputa , gratificherai a moi tutti (per me e per loro il dico) se quel, che pensi intorno alla papali or ci dichiari, RSA XXI. (Scipione allora : ip certo mon posso dire‘che in ia argomento soglia meditare con più» intenso (o diligente animo, come in questo che: tu; 0 Lelio, a | me proponi. Lmperocchè vedendo io gli artefici; i quali più vagliano, ciascuno, nel suo mestiero; null” suoi pensare meditare, e curare, se non come diventino, in quel ge- nere, migliori: ed, avendo a smeli genitori e gli ‘avi miei lasciata quest’ arte sola , cioè la cura e d’amministra- zione della repubblica: non confesserei esser piùinerte di qualunque arligia no ;;. sei meno: opera in. quest’ arte massima, che mon .altri nelle minime, 10 consumassi ? Ma non, sono,già contento. a’ ciò ; che Tae scritto: 1a tal questione;uomini sommi e sapientissimi della Grecia: e neppure mon ,0s0 anteporre le. mie opinioni ‘alle loro scritture. Onde chiedo, a voi, chie «sì udiate \me, non ce- - me uno, che sia ignaro al Tutto delle cosé della Grecia, nè che.alle nostre le anteponga particolarmente in que- sto genere ; bensì come uno togato,. non privo di libe- noi non gli traduciamo: e trascureremo eziandio gli allai fram- menti oa ;s1 troveranno interposti ne’ seguenti sum ,senzachè sieno nel coflice valicano . Gli tradarremo piuttosto, tutti; insieme “alla fine dell opera : essendoci, proposti, di volgarizzare , princi- palmente il.testo che è nella Vaticana; il quale, solo indica. l’ or- dine vero e:continuato de' pensieri di Tullio. i L 186 rale educazione per diligenza del padre, ‘ed ‘acceso nel desiderio d’ appronidite fin dalla: puerizia, ma molto’ più erudito per l’uso e pe’ familiari precetti che non’ fvg le lettere . XXHI. Qui Filo disse : a fè non dubito , 0 Sci- pione , che non abbia niuno più di te prestante inge- gno; e per l’ uso delle maggiori cose vinci tu facilmente tutti nella repubblica (1). Quali sieno poi stati sem- pre i tuoi studi, noi ben sappiamo. Quindi se; come dici, hai volto eziandio, l’ aninîo a questa ragione e quasi arte , io rendo massime grazie a Lelio; poichè sperò essere molto più ubertoso quanto tu dirai, che non tutto quello che hanno scritto i greci. — Quegti allora : tu imponi al discorso mio troppo grande espettazione Pi il quale onere è gravissimo a chi debba di cose impor- tanti ragionare. — E Filo: quantunque l’ espettativa sia grande , tu però la sorpasserai com’è tuo' solito! nè è ‘ao che a te, tini della phi er man- chi il discorso . di XXIV. Quindi Scipione : : furò quanto possa qua che volete, ed entrerò in disputa a quel modo che usar si dovrebbe, io credo, nel ragionare tutte le cose , vo- lendo togliere l’ errore‘; cioè che se conveniamo in ciò che sia il nome di quella cosa, della quale disputiamo, sì spieghi ciò che questo nome dichiara . E se in que* sto converremo, allor finalmente sarà dicevole entrare in discorso. Imperocchè non si potrà intender mai ‘qua- x (1) Ancor qui è stato scritto separatamente re pubblica dal Mai. Il che dinoto, non per voglia di censurare quell’ uomo e- minentissimo ed a me carissimo, ma per giustificare me stessò che scrivo sempre repubblica . Nè mi pare che si possa dire al- trimenti) almeno in italiano: perchè repubblica significa il complesso di tatte le cose che pertengono ad un popolo jo sia lo stato di esso popolo. E Tullio tratta pur qui dell’ ottimo stato d'una co tà, e intitola il suo discorso de republica. 189 le sia quello, di che si disputa, se non abbiamo pri- ma inteso ciò che quello sia (1) . Laonde poichè discor- riamo della repubblica, vediamo dapprima ciò che sia quello, di che si discorre. — Il che avendo Lelio appro- vato , Affricano soggiunse : di cosa però tanto illustre e tanto nota io non tratterò per tal maniera, che ritor- mando agli elementi (come sogliono i dotti uomini fare in simili cose) incominci dalla prima unione del ma- schio e della femmina, poi dalla progenie e dalla pa- rentela ; e definisca sovente colle parole ciò che sia e in quanti modi (2) qualunque cosa si dica . Poichè fa- vellando con uomini sapientile versati nella maggiore delle repubbliche con somma gloria in pace e in guerra, non farò sì che più illustre sia quella cosa stessa ; in- torno a cui sì disputa, che non il mio discorso. Nè ho preso questo argomento a fine di seguitarlo tutto come maestro : nè tanto prometto , che niuna particella sia pretermessa in questo discorso .— Allora Lelio : io a- spetto invero cotesto stesso genere d’ orazione , che tu prometti . (1) Tullio intende della quiddità e della qualità di ciò che si disputa . (2) Nel codice si legge commodis: ed il Mai ha interpetrato quot modis; non essendo raro il trovare cot in iscambio di guot nella scrittura del palimsesto . Quindi non possiamo non appro- ‘vare questa sma correzione, quantunque rimanga il dubbio se que- | ste fossero le parole vere di Tullio. A nTONIO BENcI 188 viaGGI.—Estratto di lettera del sig. Ruppell al sig. Barone de Zach, a Genova. Il signor Ruppel è tornato dalla sua escursione nell’ Arabia Petrea; scrive da Damietta il 31 luglio. Dopo otto giorni di riposo ad Akabè tornò a viaggiare per due giorni presso la riva occiden- tale del. golfo, vide l’ isola d’ Amrab, attraversò rientrando nell’in= terno la valle delle sorgenti, la,valle di Salaka; la valle sterile. del Zafferano, e la gran pianura che conduce al Sinai. I religiosi del monastero di Santa Caterina ricusarono di riceverlo . Proseguì il vaggio fino alle miniere di rame di Nahasb, e tornò a Suez. L'isola d’ Amrah è una rupe di granito lunga ‘appena un mi+ glio, situata a un migliaio di piedi dalla costa: vi si vedono le rovi+ ne d’una città araba. La bella baia d’Amrah forma un semi cerchio, di 1500 piedi di diametro. La penisola contigua alla baia di Norbé è un deposito di terra discesa dalle valli vicine. La valle delle sor- genti è deliziosa e pittoresca; una ve 2 Rini rigogliosa, l'acque cor- renti, i prati di verdura e di' fiori, l' armonioso canto degli uccelli che erreno sugli alberi, le gazzelle.timide che si involano all’aspetto dell’uomo, tuito porgerebbe, quindi soggetti al pennello d’ un pit- tore; ma in mezzo a tante bellezze, non vi si incontra un solo uomo. La Cn di Salaka è sparsa di datteri, di piante acquatiche, di giunchi di canne. Gli armenti degli arabi della tribù Misene van- no qualche volta a pascolore nei suoi prati. Le miniere di rame sono a un’ora e mezzo da Nahasb; il minerale darebbe sopra cento parti diciotto di rame, e pilu ate di ferro, ma non vi sono le- gnami per fonderlo. A. sette ore di distanza è una miniera d’ anti- monio; più lungi si trova zolfo e petriolo . ANNUNZI BIBLIOGRAFICI. — Libri pubblicati recentemente, che ci | sono pervenuti, e dei quali sarà rese conto in questo giornale , Iliade d’Omero, volgarizzata da Michele Leoni. Torino. Ti- pogr. Chirio e Mina, 1823. Vol. 1. quaderno 1. Canto 1. con due rami, ed il seguente annunzio. 4 Comparve il 1.° agosto 1822 un manifesto, col quale il signor MicHELE LEONI si proponeva di dare in luce il volgarizzamento dell’ILIADE, ornato dei trentaquattro eccellenti disegni di FLA- XMAN (*), ritrotti dal sig. GOZZINI, ed incisi a contorno dal sig. Lasinio figlio, ambidue celebri artisti.di Firenze. (*) I disegni di FLaxmAN sono in numero di 34, e non di 24, come fu annunzia- to in detto wranifesto, 1, agosto. si ..Le numerose soserizioni, con che al pubblico italiano ‘è’ pia- ciuto onorare a prima giunta questa nuova letteraria fatica del sig. LEONI, lo hanno a ragione ate a ricambiarlo di un simile favore con migliorare vie più l’edizione da lui promessa col citato manifesto. Con sì fatta veduta il chiarissimo Autore ne cede il manoscritto a noi, che c’impegnamo d’eseguirne la stampa in carta e con ca- ratteri eguali al presente annunzio, ed ai seguenti termini; cioè: opera si dispenserà a quaderni, libro per libro, ciascun de’ quali sarà accompagnato dalle relative stampe in rame. Il prezzo d’ogni quaderno, tutto compreso, è stabilito, pei primi trecento associati, a una lira e mezzo d’ Italia, da pagarsi nell’atto di riceverlo. Coloro che sotfoscriveranno dopo questo nu- mero, pagheranno una lira e 75 centesimi per quei quaderni che saranno corredati di due stampe. Il primo quaderno si pubblicherà entro il corrente gennaio, e gli altri di mese in mese, e più sollecitamente se si potrà. I signori associati (di cuì si darà l’ elenco in fine dell’ opera) si compiaceranno di far tenere le réspettive sottoscrizioni alla nostra tipografia, ovvero ai principali librai d’ Italia distributori del presente annunzio. Torino, 2/4 gennaio 1323. CHirIO E MINA. Lo spettatore italiano (vedi ant. vol. VII. p. 497). Il 2° ed il terzo volume. Milano 1823. dalla società tipografica. Geografia moderna universale, ovvero descrizione fisica, stu- tistica, topografica di tutti i paesi conosciuti della terra; di G. R. Pagnozzi. Vol. II. che comprende l’ Arabia, la Persia, il Belugi- stan, il Cabul, e l'India. Firenze, per Vincenzo Batelli 1822. vol. di 240. p. 8. ( ved. Ant. vol. V. p. 167. ) Ricerche medico-forensi sopra uno straordinario genere di mor- te violenta, su quella degli appiccati ec. per elezione , assassinio ‘0 disgrazia, e sulle condizioni necessarie onde i soccorsi negli asfi- | lici siano utilmente impiegati. Del Dottore Stanislao Grottanelli , pubblico prof. d' istituzioni mediche nell’ arcispedale di S. Maria Nuova di Firenze. Un vol. 8. Firenze; presso G. Piatti, 1822. Biografia universale antica e moderna, compilata in Francia da una società di dotti, ed ora per la prima volta recata în ita- liano con aggiunte e correzioni; vol. III. IV. V. — Venezia presso G. B. Missiaglia. 1822 —(ved. Ant. vol. VII. p. 554. e VII. p. 559.) Il Riccio rapito di Alessandro Pope , tradotto in italiano da S. Uzielli. Livorno, per Glaneo Masi. Un vol. 8. 1822. 190 Cronica di Giovanni Villani; a miglior lezione ridotta; col- l’aiuto di testi a penna. Firenze per il Magheri 1823.— Vol. I. di p. 318— 8. col ritratto del Villani. Poesie di Girolamo Orti. Edizione accresciuta. Verona. Dalla Società tipogrofica editrice, 1822. un vol. 8. Illustrazioni della Divina Commedia, in rettificazione e sup- plemento dell’ edizione Macchiavelliana di Bologna 1819. Compi- late da Scipione Colelli; nelle quali si confutano diversi errori di vari espositori, fra’ quali del Dionigi, del Lombardi, del Biagioli, del Buti, del Ginguenè, e del vocabolario della Crusca, Rieti 1822- Tip. di Luigi Bassoni, 8. I.° distribuzione di fogli 5. — prezzo baj 30. Collezione dei più pregievoli monumenti sepolcrali della città di Penezia e sue isole .. Quest’ opera impressa e intagliata in foglio viene prodotta sotto gli auspici dell’ accademia di belle arti di Venezia, e i più dotti professori la dirigono e la illustrano , acciò non tanto at- testi lo splendore di’ questa insigne patria delle arti , ra servà anche di studio a chi si dedica a queste nobili occupazioni; imen- tre la dimensione delle tavole , la precisione de’ contorni, e la diligenza in ogni minuta parte la toglie interamente da quel ge- nere di produzioni che infestano le Hiblistecho per solo basso oggetto di speculazione degli editori. Apparvero anni sono i mo- numenti toscani in un bel volume per cura del sig. Gonelli , ai quali succedono ora i monumenti veneti in una forma alquanto più grande stante la dimevsione delle moli principali che deco- rano i templi veneziani, e che non si sarebbero potute presentare decorosamente e con profitto in più piccolo spazio . Quest’ opera diligentemente e grandiosamente eseguita pare tenga una via di mezzo tra la storia della scultura, e le cospi- cue fabbriche veneziane illustrate , le quali diedero le mosse in quest’ ultimi anni in Italia a simil genere di lavori, e tanto o- norarono i tipi e la veneta calcografia, quanto meritarono a’ loro autori la pienezza dei pubblici suffragi. Se non che maggiormen- te addestrati gl’ intagliatori, sembra scorgersi nell’opera qui e- nunciata una maggior facilità e diligenza che la rende molto raccomandabile . L'opera sarà divisa in 24 fascicoli, ciascuno de’ quali conte- nente cinque tavole e il relativo testo, al prezzo di 5 franchi per fascicolo . Il terzo fascicolo è di già comparso alla luce ; e verrà l’ opera proseguita con tutta precisione , , 191 «Progetto per la formazione di una stabile compagnia comica . Il progetto per la formazione in Firenze di una sta- bile compagnia comica, del quale il nostro giornale ha annunziato il desiderio dapprima e poi le speranze, acqui- sta ogni giorno più tanta consistenza, che avvalorato come egli è dalla approvazione dell’I. e R. governo, noi possiam lusingarci fondatamente di vederlo pervenire tra breve tempo a quello scopo del quale abbiamo proclamata più volte l'utilità. Noi pubblichiamo frattanto , dietro la per- missione avutane, i nomi di coloro, i quali finora vi si son sottoscritti, sperando che questi abbiano a servir d’incenti- vo a molti altri per concorrere a un’ opera nella quale il pubblico vantaggio va unito a molta particolare sodisfa- zione. Quando la lista di tutti i soci azionisti sarà compiu- ta, noi pubblicheremo anche il numero delle azioni per le quali ciascuno si sarà obbligato . Sigg. Albizzi, marchesa Teresa Firidolfi, Livia Degli Alessandri, Senat. Giovanni Frullani, prof. Giuliano Antinori, cav. Vincenzo Della Gherardesca , conte Guido Altoviti, cav. Guglielmo Ginori, march. Carlo Belli Blanes, Paolo Giusti, dott. Giuseppe Biddulph, Giovanni Grant, Isacco Le Blanc. ... Guicciardini , conte Francesco Borghese, Principe D. Cammillo Ladbrok, Roberto Cantagalli, Luigi Lampronti, Cesare Capponi, march. Gino Lawley, cav. Roberto :Capponi, conte Gio. Batista Lenzoni, cav. Franeesco Casanuova, Gen. Jacopo Lorenzi, conte Francesco Collini, avv. Lorenzo Mannucci, Pietro i Corsi, march. Tommaso Marchesini, Bernardo Corsini, Principe D. Tommaso Martelli, Balì Niccolò Corsini, Andrea Martellini, march. Leonardo Eynard, cav. Gabbriello Moretti, conte Luigi Fenzi, Emanuelle Del Nobolo, avv. Lorenzo 192 Pallavicini, march. Fabio .» Peruzzi, Vincenzo Piccioli, avvocato Luigi Pucci, march. Carlo Pacci, march. Giuseppe Paccini, cav. Niccolò di Pistoja Lord Rendlesham Ricasoli, Prior Leopoldo Ricasoli , Baronessa Riccardi, marchesa Francesca Ridolfi, march. Cosimo Rinuccini, march. Pier Francesco Rospigliosi, Principe D. Giuseppe Ruscelli, Anton Francesco Serristori, Lucrezia Strozzi, Duca Ferdinando Tempi, march. Luigi . Tolomei, Neri i Tonelli, avv. Tommaso . Torrigiani, marc. Pietro Torrigiani, marchesa Vittoria Vanni , dott. Cosimo N. B. Alcuni pochi dei soprascritti sì son firmati determinando il Teatro nel quale essi intendono che la Compagnia Comica sia fissata. I più hanno sottoscritto liberamente per qualunque Teatro della nostra città. Fine del Fascicolo XXVI. errata ° pag. 161 l. 2 1822. corrige leggasi, 1823. È www OSSERVAZIONI | METEOROLOGICHE PATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO DELLESCUOLEPIE DIFIRENZE 2 i |. Alto sopra il livello del mare piedi 205. | rat GENNAIO 1823. | } ta [Peiomelo Log wi a Ni A E] Sha O i (S) a i 5 Ora È 5. n 5 ESSE Stato del cielo - |l 5 © © © © |°9S, o o di Di pe de | 6Bea | s c SOLARI NA "o; | «pollino SA I I Ì fil g0mat. 128. 1,0 | — jd] — 1,8 1-80 Sc. Lev|Coperto. Ventic.!$ x mezzog. |28. 0,9 0,0 0,4 75 Lev. Nuvolo. Vento È | rrsera |[28. o, 0,0 0,0 99! |Sc. Lev|Coperto. Ventic..È È. :7,mat. |28. 0,8 0,0 — 0,5 90 |Scir. \Ragnato. Ventic.li CI ì | î ; LA 2; mezzog, 28. 1,3 0,9; 2,2. ‘84 ‘Grec. |Ser. ragnato Calma |j È | Ir sera |28. 1,7 1,3. 0,4 99 i OA Ventie.li Eb 7:mat. |28. 1,7 0,4 46. 100 [Ber Sereno. Ventic.]j "3 mezzog. |28. 1,7 1,8" 1,5 89 Sc. Lev|Caliginoso... Calma | Ù i rt sera |28. 2,8 1,8 1,8; i 54 | 0,03 Tram. |Sereniss, V. fortell e —___;<_: print = SE PESTO, Ion \\j 7,mat. |28. 2,6 1,3 o.4| 79 | [Lew Sereno. Vento |i 6 SNA, 4 mezzog. 128. 2;6 2,2 2,7| 71 Gr. Tr. Sereno. V. gag.iì tel 11-sera 015 PSE RIF 1,8 .0;4| 80 Gr. Lev fa Calia | — Sos x pr TC SUE = pala 2 ar, 7 = —r_—_t_È_—_r—————mk& | 7 mat. |28. 1,0 1,3 — 1,0] 83 Sc. Lev! |Ragnato. Calma Ji > mezzog. 128. 1,3 2,2 1,8) 66 Gr. Tr. E Ventic. ii W.irsera |28. 1 ,8 1,8 0,9]. 75 |Gr.Lev Ser. nebb. —Ventic.!! ; | 7.mat. [28 2,0 1,3 1,3]. 80 Lev. | Nebbioso Calma Î O) mezzog. |28. 2,2 2,2 4,0| 71 Lev. ‘Nuvolo. 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Ventic. -_[|23| mezzog. 27. 11,2 2,2 2,0) 78 Scir. |Bel sereno. Ventic. "I ri sera 27. 11,4 36 2,2| 90 Gr. Tr.|Coperto. Calma 7 mat. |27. 10,6 2,7 2,2| 100| 0,25|Gr.Lev|Piovoso. Vento 2/4| mezzog. |27. 9,6 2,5 3,1] 89] 0,0g/Gr.Lev|Pioggia. Vento 11 sera |27. 10,5 2,7 2,7} 90|0,12|Tram. |Coperto. Ventic. 7 mat. 27. 11,4 3,9 2,0] 99 Gr. Tr. Coperto. Calma 25) mezzog. |27. 11,6 2,6 4,9] 90 Tram. |Piovoso. Calma ri sera 28. 0,0 31 3,6| 101'0,07 | Tram. {Nebbia folta Calma 7 mat.‘ |27. 10,4 3,3j 4,0) 99|0,15{Scir. !Piovoso. Ventic. 26| mezzog. |27. 10,0 4,0 6,2] 95| 0,44|Gr.Lev|Piovoso. Ventie . ri sera |27. 11,0 4,9 4,0] 90 Grec. |Velato. Calma 7 mat. |27. 10,9 3,5 2,1} IOI Scir. \Ragnato. Ventic. 16 27| mezzog. |27. 11,1 3,5 3,51 97 iScir. |Nuvolo. Ventic. risera l27. 11,4 3,6 4,0| 101] 0,04 Scir. |Nebbia folta. Calma na 7 mat. |27. 11,3 3,7 4,0| 101| 0,03{Scir. |Coperto. Calma {|{28| mezzog. |27. 11,2 3,5 4,9] 100] 0,07|Lev. |Pioggia. Calma "i 11 sera |28. 0,0 5,3 5,8| 101| 0,og| Os. Lib| Nebbia. Calma So 7 mat. 27. 11,8 4,9 9,1] IOI Scir. |Coperto. Calma 29| mezzog. |27. 11,8 4,9 6,7| 100 Scir.. |Nebbia. Calma 11 sera |27. 10,7 5,8 6,7| 100! Gr. Tr.|Nebbia. Ventic. {7 mat. (27. 99 6,2 7,3] 99 Lev. |Coperto. Ventic. . {|3o|] mezzog. lar. 10,0 6,9 9,8] 93| 0,06|P. Lib.! Coperto. Vento 11 sera Lao, 10,5 7,6 7,7) 101 Lib. | Nuvolo. Calma 7 matt. [27. 9,2 | 731 7,1) 101 Lib. |Ser. nebb. Calma S1| mezzog. |27.. 8,3 731 7,1] 102) 0,0g!iLib- |Pioggia, Ventic. rr sera Mes) > > 7,6 7,6) 101] Sepa nessi Li Ae a Pai nt FENOMENI DÌ VARIO GENERE. CA Nevata generale, non esclusa Firenze. luta: 124,1 monti e le colline adiacenti son coperte di. neve. +8 IA°O0TNHÙ DI 0.» VICL/E Guogtifisi VojrinminY 1 (ctnnaf Creta ba: Ah {abete Sreca NAZ, ea A Pai PA . ? PA ° e Ty sti Demotizi lristimns. «Le 3 è Segme $eecg ifrcr-* vb. IVAN TALAD na Ap IERI O... KkK.c- nf a <.4 >. 3 L Lo mm. ee. |UO.PENI.MR CCM A . Ile. 00. Ep. Ira +00£ i eu. > [ER VD faoaà.d Deg e. .l.= Po, DÒ: ini A du o |crpfir MA. AI 9. rl |2.2.2_.05..2 | DG. VA? >. 5 pIAEL IA MI PI. cri un io Dt. RAVE_9 Tlc. C.bte.d. rs 3. 0.ÀA 3 | ® |a [e gg | Y | Xx | 43 | A C.9. | e oa | Rsa E (EM ANTOLOGIA"O omnes e NA OXXVIL Marzo, 1823. mbininoo fisso. oi. set.01 Della strada nuova da Nizza a Sarzana. Memoria di C. L. Bixio di Genova . x CIRC È, ko, # î EF acendomi a scrivere sulla strada che partendo da Nizza, e passarido per le due riviere di Genova , deve metter capo in' Toscana; ‘strada tracciata e cominciata già da’francesi, ein parte poi continuata dall’attual governo ; parmi che ‘il soggetto del mio ragionamento ammetta di per sè ‘stesso tre ‘parti : perchè, seguendo tal divisione, parlerò nella prima dei vantaggi che recano in generale le strade atte ad accrescere le relazioni tra popoli commercianti, e discorrerò insiememente alcune cose particolari a quella di che si tratta ; mostrerò nella seconda che dopo i tem- pi dei romani, dai soli francesi la strada delle due riviere o fu eseguita , o ne fu almeno fatto il progetto; esporrò: nella terza quale sia lo stato attuale della strada, parlan- do successivamente di tutto ciò che potrebbe più dilet- tare, ed occupare utilmente l’ amatore delle scienze e delle arti . Tutti 1 beni della vita sono posti nell’esercizio delle nostre facoltà fisiche e morali: ciò premesso , siccome nel comunicare coi nostri simili acquistiamo i mezzi di accre- scere le mostre forze con le loro, tutte le istituzioni create a tale uopo possano aversi per veri elementi della pubblica prosperità . È dunque vero che tutte le pubbliche T. IX. Marzo I a costruzioni che non si dilungano da tal fine apportano tale. fisica e morale utilità , la cui estimazione sfagge ben so- vente ad un calcolo eziandio d’ approssimazione . Tanto più )’ uomo, disse Verri, s’ accosta allo stato d’ industria e di cultura, quanto è più vicino ad un più gran numero d’ uomini . Risulta da ciò solo che le strade considerate qual mezzo di comunicazione sono altrettante ricchezze dell’ individuo e della specie. Ma i nostri beni derivando dall’ uso delle nostre facoltà hanno di per sè due valori determinati ; ciò che ne costa il loro acquisto, ed i van- taggi che in noi derivano dal loro possedimento . Chiun- que lavora per altrui un utensile, un arnese qualunque, non acquista che il di lui prezzo: fa dunque migliore im- piego delle sue forze chi costruisce una macchina per pro- prio uso : egli rimane possessore del doppio valore della medesima . E poniam mente che ogni cosa rappresenta un valore, ma che il suo valore è fissato più solidamente in alcuna e meno in altre . Forse due oggetti richiederanno lo stesso tempo ed una uguale fatica , ma il primo si e- stinguerà tosto che l’ avrò adoperato , e l’ altro potrà gio- vare anche ai ‘miei successori. È però doppio e durevole il vantaggio che si procura una nazione con aprire nuove strade, o nel rendere più agevoli quelle difficili in prima al trasporto. Ma giova qui porre in maggior luce gl’ infi- niti beni prodotti dalla facile comunicazione tra popolo e popolo. La società è una continua serie di cambi , e il cambio è un contratto in cui guadagnano ambi i con- traenti. Dunque la società è un seguito di lucri rinascenti per tutti gl’ individui che la compongono : dunque la so-. cietà deve procurare fra gli uomini la possibilità di un gran numero di tali contratti: deve dunque ravvicinarli gli uni agli altri per quanto è possibile . Se produrre è da- re un’ utilità alle cose che prima non avevano; se tutte le operazioni della natura e dell’ arte si possono considerare 3 come altrettante mutazioni di luogo e di forrna; bon v'ha dubbio che'producono del pari il manifattore ed il com- merciante : il solo che non produca è colui che antepone il nobil ozio alla plebea fatita . Ora il commerciante s’ interpone fra il manifattorè ed il consumatore onde facilitarne le relazioni ; per lui mutano luogo le cose , ed acquistano col trasporto ‘ut grado di utilità : dunque le strade sono l’ essenza del cummergio , intendono al pro- gredimento d’’ogni società , moltiplicano la circolazione dei contratti, ed accrescono l’ annua riproduzione. Egli è il vero che la ripartizione del lavoro, il massimo concorso delle forze, ed il progresso delle cognizioni sono i tre gran- di benefizi dello stato socievole: e che aumentino essi mirabilmente per mezzo dell’ apertura di nuove strade è facile dimostrarlo. Una nazione che difficilmente comu- nichi con un’altra, non trae da’ suoi mezzi d’industria il miglior partito possibile: è sforzata a trovare in sè stessa tutto quello che è necessario ai bisogni della esistenza: e così adoprando sacrifica loro ciò che le diverrebbe sorgente di vera prosperità e di ricchezza , se avesse il mezzo di una . facile esportazione. Una tale verità è fatta palese per la sperienza : da che ‘vediamo intiere nazioni giungere al sommo della prosperità per‘mezzo d’ un solo ramo d’ in- dustria, ricavando altronde ben sovente i mezzi della stes- sa sussistenza . Da ciò deriva il vantaggio del ripar- timento del lavoro, vantaggio che tanto più si rende sensibile, quanto più grande è la facilità dell’ espor- tazione e della introduzione . Del concorso delle forze già facemmo bastanti parole . Del progresso poi e del conservame nto delle cognizioni ne siamo, non vha dub. bio, debitori alla maggiore o minore facilità con cui pos- siamo conoscere le opinioni degli altri, osservare da vici no i loro costumi , e studiare il più estesamente che ne è dato il gran libro della natura , la quale in ogni luogo è prodiga di mille beni, e tutti gli uni agli altri diversi; beni 4 a cui l’arte (1) può sovente rinvenire alcun supplemento .. Senza che non bastano per la prosperità d’ uno stato giu- sto governo ed ottime leggi; è pur necessario che i de- positari della pubblica autorità conoscano a parte a parte i mezzi, i prodotti, e i vari rami della ricchezza della na- zione. Dopo tali riflessioni si può conchiudere facilmente che le nuove e comode strade sono altrettanti capitali che i governi alla industria presentano delle nazioni , e il. ci valsente si diffonde sulla classe della società, che più deve favoreggiarsi, perchè il di lei consumo essendo il solo riproduttivo, è dessa pure unica sorgente della pubblica prosperità. Che se alcuno opponesse che forse la facilità dello esportare può nuocere appunto alla classe industriosa della società con esporre a rapido aumento le derrate di prima necessità allorchè si trovano a. poco prezzo, si potrebbe tosto rispondere che per conseguente con la medesima facilità può lo stesso diminuire per mez- zo di nuove e pronte introduzioni allorchè troppo s’innalza: ciò che anzi concorre a renderne quasi costante il valore, al che devono intendere principalmente le mire di ogni saggio governo. Nè sarebbe di maggior rilievo il soggiun- gere che sovente que’ lavori medesimi che occupano util- mente per alcun tempo la classe più bisognosa del popo- lo, la ripiombano poi, appena cessano, in più spaventosa miseria: poichè la costruzione de’pubblici lavori di questa fatta, riunendo appena ultimata molti e variati interessi, richiede una maggiore quantità di lavoratori, accresce la coltura dei luoghi vicini, rende più facile la estrazione dei prodotti della terra: senza che la sperienza dimostra ‘ che ove si aprono nuove strade la popolazione aumenta; e la popolazione è sempre proporzionale ai mezzi di esi- (1) Il est prouvé par le raisonnement et par les faits, que le bonbeur de l’ homme est proportioné à la masse de ses lu- mières , et que l’ un et l’ autre s’ accroissent, et peuvent s’ ac- croitre indéfiniment. Tracy traite de la volonte. 5 stenza. Ma forse andrà pur dicendo taluno: tutto quello che facilita il trasporto, e perfeziona le manifatture tende in sostanza ad ottenere lo stesso resultamento in minor tem- po e con minore fatica; dunque ne deve conseguitare che molti operai rimarranno disoccupati, e molti saranno sfor- zati ad offerire a vil prezzo l’ opera loro. Così potrebbe parere a chi non sentì ben addentro nelle ragioni delle scienze economiche; ma chiunque s’instruì di loro medio- cremente risponderà sempre: che il capitale su cui vive il numero dei salariati è la somma dei mezzi degli in- traprensori, e che questa somma è quasi sempre uguale; perchè tutti 1 risparmi che sì sono fatti in un ramo sono impiegati tosto in un altro. Che se poi venissero a dimi- nuire i salari, ciò sarebbe perchè i prezzi delle manifat- ture e delle derrate sarebbero pur menomati, diminuzio- ne di cui tutti risentono partitamente i vantaggi. Tutto ciò che si risparmia nelle spese della produzione è un profit-. to per il consumatore; e questo profitto si può facilmente calcolare. Il sopravanzo delle spese cui darebbero luogo Je stesse merci, ove si dovessero trasportare per istrade meno comode, su quelle fatte trasportandole per le gran- di vie carrozzabili è appunto il guadagno reale dei con- ‘sumatori. E sarebbe futile ed effimera obbiezione il con- ‘siderare che facilmente si potrebbe far di meno di quelle cose, il trasporto delle quali per disagevoli strade desse luogo ad enorme dispendio. È poverissimo in faccia ad ‘un prodotto chiunque non lo può consumare, perchè de- stituto dei mezzi di procurarselo: la ricchezza dell’indi- ‘viduo è in ragione inversa del valore di esso. Io venni fin qui discorrendo alcune cose sui vantaggi ‘generali delle strade carrozzabili; mi farò ora a parlare di ‘quelli che più particolarmente avrebbero influenza nella prosperità della Toscana e delle due riviere della Ligu- ria. E da prima si conviene rammentare che l’annuo co- sto d’ogni pubblica fabbrica è la somma della rendita 6 - che darebbe la terra ove è.posta, dell’ interesse del capi- tale impiegatovi, e delle spese del mantenimento. Dal che si deriva isso fatto essere quasi nulla per la strada della Liguria la prima ragione del costo generale d'ogni opera pubblica; conciossiachè sieno da essa in gran parte occu- pati tratti di montagne, di spiagge e di terreni mal atti alla coltivazione: di che pochissimo viene tolto alla. eco- nomia agricola. Vantaggio non lieve relativamente alla somma delle ricchezze. d’ uno stato, vantaggio che posto in non cale nella costruzione delle strade che partano da Parigi, larghe ben 180 piedi, toglie alla coltivazione 120 piedi di terreno; siccome saggiamente riflette l’economi- sta della Francia. E si potrà qui osservare appositamente che parte della strada non. essendo ancor fatta, rimane più che a mezzo il profitto che ne verrebbe allo stato, e non hanno forse congruo compenso e le spese del mante- nimento, e l’ interesse del capitale già impiegato per la parte ultimata. Tutto quel tratto poi ch’ è tra Spotorno e Mentone non essendo che tracciato, renderà a mano a mano più dispendiosa la costruzione : perchè le continue piogge sono cagione di successivi avvallamenti di terreno e di massi. Il che recando seco a poco a poco la perdita del capitale impiegato in quel primo lavoro, dovrebbe es- sere un nuovo motivo per la totale continuazione della strada sino ai confini della Francia. Ma veniamo al fine ad un particolare vantaggio che ritrarrebbero forse da tale ultimazione e da Liguria, e la ‘Toscana, alla affluenza cioè de’ viaggiatori. Non ignoro che sarebbe una mera illusio- ne il credere che forse il forestiere. app orti ad un paese tanto lucro quanta è la somma. del danaro che vi spen- de. Deriva forse quest’ errore in.taluni da lla falsa opi- nione che il solo valore reale è quello della moneta. Il fo_ restiero arreca ad un paese lo stesso vantaggio di,un ne- goziante che ne ritraesse la medesima quantità di, oggetti con la stessa somma di danaro, Il guadagno arrecato dal 7 Yiaggiatore è sempre l’ eccesso del prezzo condizionale delle cose sul loro prezzo necessario. Ma giova por men- te che ciò nondimeno il forestiero offre l’ eccasione d’ un nuovo spaccio ; che bene spesso dominato anzi che no dalla vanità, paga molto più che il negoziante ed il pae- sano ‘gli oggetti di cui abbisogna: senza che accorren- do ‘agli spettacoli ,. e visitando le cose più rare, offre un assoluto guadagno; perchè gli spettacoli e le curiosità di cui compra la vista erano spese già fatte senza di lui. Dunque l’arrivo di un forestiero non è di mediocre pro- fitto per uno stato; da che ogni aumento di commerciò è un bene, ed ogni maggior guadagno possibile sul prezzo convenzionale delle cose è un utile assoluto. Che se poi la facilità delle relazioni commerciali, e il sito favorevole di una città valessero ad acquistarle lo stabilimento di qual- che straniero che tutti o parte vi recasse de’ suoi ‘averi; quale allora non sarebbe il lucro che ne trarrebbe? Dop- pia sorgente di ricchezze ne verrebbe a quel popolo nella industria (2) e ne’ di lui capitali. Applichiamo adesso al nostro soggetto i motivi, che giusta il retto scernere del dotto Say,(econ. polit. tom. I, p. 317, quatr. édit.)spingo- no uno straniero a visitare lontane regioni. Nè ilgran lusso di una città, nè le perpetue feste che ivi si trovano, nè la magnificenza de’ suoi teatrali spettacoli sono il principale impulso per cui l’uomo abbandona la patria e colà si re- ca. Egli ne gode allora che vi si trova, e ciò può dirsi al ‘tutto occasionale. Chi mai si recherà in Ispagna al solo oggetto di assistere ad un combattimento di tori? chi vi- siterà Costantinopoli per essere presente alle orgie nottur- ne d'un Ramadan? La sperienza dimostra che gli stranieri sono quasi sempre attirati o dalla prosperità del commer cio, o dai capi d’ opera delle arti, o dal clima o dalle ac- (2) Disse con arguta verità la celebre Cristina di Svezia al- lorchè Luigi XIV. ottenne con l’ editto di Nantes |’ effetto con- trario : Luigi si è tagliato con la man destra il braccio sinistro. 8 i que favorevoli alla salute; oben ‘anche: dal desiderio di visitare i luoghi illustrati da grandi avvenimenti; e d’im- parare una lingua molto estesa. Orinon è egli evidente che tutti questi motivi sono offerti dalla bella Italia a chi vo- lesse discorrerla; passando per la Liguria e per la Tosca. na?. Chi non;ama-di ‘visitare questa classica terra! madre di Dante, di Golombo e di Galilei? Chi non desidera di venerare in Roma i monumenti della grandezza latina, e il. tempio delle belle arti.in Firenze? Chi non conoscereb- be volentieri i luoghi illustrati delle imprese dei Quiriti, dalle sanguinose discordie dei guelfi e dei ghibellini, dal- le flotte di Venezia, di Genova, di Pisa? Chi non impa- rerebbe con entusiasmo la lingua che \cantò Orlandove Goffredo? E chi, nel mandare ad effetto» sì nobili deside- rii, alla trista solitudine, ai turbinosi venti freddessimi; ai quasi perpetui ghiacci ed alle spesso fatali. valanghe del S. Bernardo, del Sempione; del Moncenisio e del Colle di Tenda non preferirebbe.il dolce. clima della Liguria; le sempre varianti sue linee pittoresche, le»salubri e limpide di'lei acque, e le sue popolate riviere? Quanti che volen- tieri verrebbero in Italia e dalla Francia, e dalla Spagna, e dalla Inghilterra, e che ne sono: distolti dalla orridezza di quei monti, ove è morta la natura per l’eccesso' del freddo, non sarebbero anzi ‘invitati a venirvi, passando sotto il purissimo cielo della Provenza; 'dallo ameno ''stio- lo dei liguri, e dai deliziosi paesi che ad ogni piè ‘sospinto ivi s'incontrano? Ma e chi mai dei genovesi non vedreb- be volentieri la Toscana, è quale dei toscani non visite- rebbe con sommo piacere, attraversando la Liguria, la patria dei trovatori, e le chiare acque e la valle che suo- nano tuttora i bei versi del divino Petrarca? E quali nuo- ve incalcolabili relazioni non acquisterebbero fra'di loro la Liguria, la Provenza, la Toscana ed il Piemonte per mezzo di questa strada e di quella de'Gioghi, aperta, al . commercio sin dal 1. novembre 1821ya vece di quella più - , | 9 ripida; e'quasi diserta della Bocchetta? Ma e chi mon vede e non sente quanto non. gioverebbe; solo per mezzo dei viaggiatori, la continuazione della nuova strada alla To- scana ed alla Liguria? Dopo avere d’uno in uno esaminati i generali e par- ticolari vantaggi, cui darebbe luogo la continuazione della strada di che si tratta sino a’ confini della Francia; verrò in breve sponendo ciò che riguarda le strade dei Romani nella Liguria, edi vari progetti de’Genovesi, ventilati più volte a tale uopo. Non andò ignoto alla politica dei Romani che a mantenere vegeto e forte il vasto corpo del loro do- minio; abbisognavano molti e spediti mezzi di comuni- cazione tra provincia e provincia. Quindi quel popolo con- quistatore, che vide da Romolo a Tito rinnovarsi più che trecento volte la solenne pompa del trionfo, lasciò pure all’ammirazione dei posteri, quali monumenti di accorta e magnifica splendidezza; la bella strada da Roma a Capua eda Brindisi ; quella di comunicazione fra tutti i porti «dell’adriatico; e l’altra che passando per la Toscana ; per Pisa e per. Luni, gingeva a Tortona. E nel vero fra le più belle pubbliche opere dei Romani pose Dionigi le strade; e Strabone osservò che negli acquedotti, nelle strade e nelle ‘chiaviche furono essi magnificentissimi, dovechè i mede- simi Greci non avean posta veruna cura a questi! oggetti, che pur sono non dubbi indizi d’industria e di civiltà. Ma delle tre grandi strade or or mentovate, l'Appia cioè, la Flaminia e la Emilia; fu quest’ultima appunto fra quelle «che agevolavano alla Liguria ilÌcommercio con le vicine provincie. Genova essendo per tal mezzo in. facile rela- ‘zione con la Toscana vide forsedì quei giorni l’aurora della sua futura prosperità . Questa città in fatti sin dal tempo ‘che fu fatta municipio; vivendo dei! frutti del suo maree dei prodotti delle sue montagne; ed abbondando di cera, ‘diresina e di lane, facea di queste:commercio co’suoi vici- «ni; e nel mentre che Modena e Padova fornivanoalla pompa 20. dei Romani.i loro morbidi panni ed i loro tappeti, provvede+ va essa .co’subi telai di domestici panni il rimanente della Italia. Pria!che-.i Pisani (Fanucci Storia de’ V. G..e.P. lib 1. cap: 4) febbricassero presso la cala di Labrone Ja loro Triturrita ; e pria che i popoli del Padovano e del Trivi- giano, fuggendo ai.tempi d’Attila i campi aviti e le native giogaie, riparassero alle isolette della nascente Venezia; già i Liguri traevano lucro dai loro legni da costruzione e da una certa qua lità di legno cotto allora in pregio per vari usi domestici; già il. loro Pertinace non aveva vergognato, benchè Imperatore, di continuare quel traffico. Non fu dunque di poco giovamento alla Liguria il potere per mez- zo di comode strade procurarsi un facile spaccio delle sue derrate e delle sue manifatture: e non fu questa certamen- tel ultima fra le ragioni che mossero i Romani a porre i .dilei abitanti in relazione co'popoli finitimi. Fu anzi ben cieca politica nei posterì il trascurare questi mezzi di comu- nicazione fra. gl’Italiani, e la intemperanza nel promuo- vere in quella vece le colonie nei paesi stranieri, impiégan- do intanto troppo più gente, che. non si richiedeva, sul mare: che disprezzat.a così l'agricoltura, e ritnaste vuote di abitanti le sue provincie, divenne la Italia facile preda dei barbari; e si spense ne’petti de’ suoi figli quel santo amore di patria, percui già avevano; esposto i nostri padri le sostanze e la vita. Si vide nel nono secolo, con vergo- gna di tutti i principi Italiani, (Pignotti S..di T. lib..2. cap. 2') un pugnodi non più che 20. Saraceni impadronirsi d'un Castello fra Monaco e Nizza, e, chiamativi de’compagni, penetrare. nel Monferrato, saccheggiare il monastero della Novalesa, e fare delle scorrerie nella Francia: Ma già dissi non ha molto che la via Emilia erà fra quelle che pone- vanoi Genovesia contatto degli altri Italiani; è duanque:mio officio ‘il parlare brevemente di questestrade. Non è certo se la Postumia (di cui è menzione nella famosa tavola di bronzo, incisa l’anno di Roma 637, quando furono 211 fermati i confini fra i Genoati edi Veturii) fosse aper- ta da Lucio Postumio Albino; o da Aulo Postumio Albino Losco; che ambi guerreggiarono i Liguri; ma è indubitato ebesaliva essa da Genova a Libarna, indi andava a Tor- tona , € di qua per Tria a Piacenza. Questa strada nei bassi tempi fu detta Costumia e Costuma, ed il Giusti- niani nei suoi annali ne dice; che da di iutre per Ronco, l'Isola, Arquata, Serravalle e Novi andava a Tortona, e di ià a Piacenza: ed è appunto questo l’andamento che già dissi della Postumia. Se non che di questa strada, la quale è straniera alla nuova di cui tratto, non è a dire più avan- ti; parlerò sibbene più a lungo della Emilia, che corrispon- deva alla presente strada delle riviere, e di cui diligenti ed erudite ricerche si trovano nella sesta lettera Ligustica indirizzata dall’Abate Oderico al professore Francesco Mas- sola. La Emilia aperta l’anno di Roma 645 dallo stesso Emilio Scauro, il quale, secondo Strabone, asciugò le paludi Piacentine, avea per ultimo termine Dertona, 0 Mora ma non è certo ove principiasse; nè si dee confondere all'altra Emilia, aperta da Marco Emilio Lepido, l’anno 567 da Piacenza a Rimini. Scrisse Strabone nel libro quinto . .... Scauruwus qui viam Al miliam stravit, quae per Pisam et Lunam ducit ad Sabbatos, indeque Derthonam: alia est A milia Flaminiam excipiens.: S' ingannò dunque Ber- gier, parlando dell’A'urelia coù ‘cui si univa la Emilia, nel farla cominciare dal Foro Aurelio; ed errò seco il Palmerio temendo che Strabone abbagliasse nell’ammettere due Emilie, e credendo ricavare di un passo di Cicerone, che la via marittima della Liguria avesse il'nome di Aurelia. T’Aub relia usciva di Roma, e si univa alla Emilia sopra Pisa, ‘quaritanque l’ Itinerario di Antonino e la Tavola Peutin- geriana, lavoro forse ‘de’ tempi ‘di Onorio, ‘descrivano la strada, che per la Liguria andava a Sabadi e poi al Varo, sotto nome di diret Ma in tralasciando ‘ogni disputa sui nomi della strada, e sulla. dortibponfidentza degli an- 12 tichi nomi dei paesi pericui.passava con quelli; de’ paesi delle nostre riviere , ed inviando! il curioso, lettore a tor- mentarsi' su ciò sol Durandi,.@ a delirare col Cluverio; conchiuderò che la via Emilia; stesa sino al Varo dai Ro- mani, corrisponde quasi perfettamente alla nuova strada delle due riviere; come si può appunto dedurre e dall’Iti- nerario di Antonino, e dalla Tavola Peutingerian:,che ri- portano,sebbene confusamente, e tutto quel tratto di Emilia che Scauro condusse per Pisa e Luni fino a Vado, passando per Genova, e l’altro tratto per cui dopo Emilio Scauro, nè si sa quando, nè da chi, fu essa condotta fino al. Varo. Forse non altra gran differenza era dalla Emilia alla nostra strada, se non che l'antica da Ventimiglia. scostandosi dalla marina volgeva ai monti, e traversava il Varo lon- tano più miglia: dalla sua foce, e la nostra va quasi rasen- tando la spiaggia. Oltre poi, alla strada Postumia ed alla Emilia v ha opinione che una ne aprisse. Augusto per le alpi Ligustiche. Narrà Strabone che questo Imperatore per liberare le Alpi dai ladri che le infestavano , fra i molti mezzi che adoprò, vi aprì delle strade; e che una fra queste. passasse per la Liguria ne fa fede la colonna milliaria, trovata l’ anno sd sei miglia lungi da Nizza verso Monaco . Il Maffei che ne pubblicò la iscrizione: porta opi- nione ché la strada di. che ivl:si tratta fosse aperta da Nizza..a Roma, e che, volgendo a sinistra pel Colle di Tenda; andasse alla Trebbia . Basti di ciò questo cenno; e siami;ancora lecito osservare, pria di venire ai proget- ti de’ genovesi, che Antonino riattò la yia Emilia, come palesa una iscrizione, trovata l’anno 1684, sedici o di- ciotto miglia da Pisa, pubblicata da Noris e da Fabretti, e riportata dall’ Oderico; e che è forse una pura inven- zione, cui diè luogo un avanzo di vecchia lapida trovata a Mirabello, che da Tortona la Emilia fosse portata verso occidente appiè delle Alpi marittime , e riattata poi da 13 Adriano o da Aureliano, come meglio interpreta il dotto autore delle lettere ligustiche . Ma le belle vie romane costrutte nella Liguria caddero ne’ tempi posteriori in ta- le dimenticanza , che appena se ne scoprivano ad ogni tanto i vestigi, o se ne conosceva la esistenza per mezzo di lapide rinvenute in vari luoghi. Intanto il popolo li- gure essenzialmente commerciante rimase di bel nuovo in mezzo le sue alpestri montagne, sequestrato quasi da tutto il rimanente d’ Italia: e fu solo verso la metà del- lo scorso secolo che dal governo e-da particolari si pose mente all’ apertura di nuove e facili comunicazioni e con la Toscana, e coi lombardi, non che ad agevolare le, strade pel semplice interno commercio tra paese e paese. Brillò qui in fatti di que’ tempi l’ aurora del buon gusto nelle arti, e cominciò a spogliarsi la politica de’ pregiudi- zi dei maggiori, tanto avversi di loro natura al progredi- mento della vera civiltà . La-città di Savona , per lo ad- dietro molto cospicua , vedea di giorno in giorno vie più diminuirsi , e quasi del tutto decadere il suo commercio; mancandole il comodo del porto pressochè chiuso dalle sabbie. Si procurò allora di toglierla dallo estremo del. la miseria, con rendere capace Tae passaggio delle car- rozze e dei carri tutto quel tratto di strada, "i venendo a Genova, si estende circa venti miglia da ponente a le- vante . E ciò poteva essere sufficente, perchè la strada da Voltri a Genova era già tale da potervisi comodamen- te far viaggio. Mi ricordo di avere veduto il ragiona- to disegno pella costruzione di questa strada, fatta dall’ ingegnere Giacomo Brusco, avendo (3) a nor- (3) Giacomo Agostino Brusco, nato a Savona nel 1736, e morto in Genova nel 1817, percorse rapidamente la carriera del genio militare fino al più alto grado, che presso i genovesi era di colonnello. Non fu profonda matematico , perchè nol ere mettevano. gli studi ch’erano allora in onore; ma accoppiò ad una rara acutezza di mente le più estese cognizioni pratiche . 1 4 ma i saggi avvertimenti del Boscovik nella deserizio- ne della carreggiata del ducato di Modena ; disegno presentato da lui nel 1772 a Giambatista Grimaldi di Pietro . Nel 1784 poi i diputati alle poste incaricarono gl’ ingegneri Brusco e Ferretto del progetto pei ripari, necessari alla strada corriera della riviera di levante, e singolarmente onde rendere praticabile quel tratto ch'era fra il borghetto di Vara e il villaggio del Riccò . Costoro per adempiere il più esattamente che per loro si potesse all’avuto incarico , esaminarono ‘prima di concerto tutta la strada da Sestri fino alla Magra ; quindi, per eseguire con più speditezza il progetto, si divisero la detta strada quasi per metà : e la prima parte che dalla Magra si estende fino al Pignone fu esibita in vari disegni. con le apposite note dal detto Brusco; incaricandosi il sig. Fer- retto del tratto rimanente. ‘Venne allora pregato dai ministri della Camera di presentare una informazione sui due progetti l’abate Leonardo Ximenes, geometra con cui il Brusco aveva già fissato i contraddetti confini dello stato Genovese con la Toscana, nel Pontnemolese. Si scrissero per tal motivo due ragionate memorie da ambe Moltissimo dovette a sè stesso , poco alla fortuna ed ai suoi fa- voreggiatori . Il suo aureo carattere gli acquistò l’ amicizia di chiunque il conobbe ; e potè dirsi di lui che non aveva ‘un ini- mico . Fu in gran pregio presso tutti i governi che si succedet- tero in Genova ; e consultato dai francesi e dai piemontesi in tutto ciò che riguarda la topografia, i confini, le strade e la stati- stica della Liguria . Fu membro in Genova dell’ accademia delle belle arti, e dell’ istituto ligure. Ebbe da Napoleone la decorazio- ne della legion d’onore, e dal Re Vittorio la croce di S. Maurizio. Dopo aver diretto per più di 30 anni tutti i pubblici lavori in patria, non lasciò alla sua morte con che supplire alle spese del suo funerale . Io rendo volentieri questo omaggio di gratitudine al mio avo materno , sicuro di non adulare alla di lui memoria; e di non essere che l’ interprete del giudizio che ne formarono sempre i suoi coneittadini . 15 le parti; e facilmente se ne deduce, che il primo scopo - di quella strada era di agevolare ib viaggio ai toscani, a i genovesi ed ai forestieri ; che volessero trasferirsi in Ge- nova dalla Toscana e viceversa, evitando il tortuoso lun. ghissimo giro della reale strada di Lombardia. Appresso, nel 17983, essendo entrato nell’esercizio delle sue funzioni l’Istituto Ligure, formato già per legge del Direttorio ; parve ai dotti membri che lo componevano argomento interessante a petto d’ogni altro il parlare delle strade da aprirsi nello stato di Genova, E di vero fu tra le prime ad esser lette una memoria del vivente architetto Cantoni, sulla necessità ed utilità delle strade carreggiabili , e dei mezzi di agevolarne l’ esecuzione, in cui propose non solo le strade che dalla parte di Ponente ci mettonc in contatto con la Francia, e dalla parte di Levante apro- no una facile comunicazione col golfo della Spezia. e col. l’ Arno ; ma ben anco dodici ne accennò, che dal litto- rale, serpeggiando per lo stato , sboccassero in diversi punti di là dell’ Appennino. Si applaudì al merito di que- sta dissertazione , e venne trasmessa al governo perchè ne ritraesse gli opportuni schiarimenti nell’ eseguire un progetto , accompagnato sin d’allora dal pubblico deside- rio. Il Consiglio dei sessanta fu conoscente allo Instituto delle cure ch’ egli assumeva a vantaggio della prosperità nazionale ; e affidò l’ esame di tal memoria ad una com- missione , la quale presentò quindi un progetto di legge per un’ opera così lodevole, proponendo in quella i mezzi opportuni onde mandarlo a pronto compimento. Se non che, e nulla monta indagarne il motivo, fu invano la bella speranza di vedere,compito il grandioso progetto. Un' egual sorte, sono parole della storia de’ lavori del- l’ Instituto Ligure lib. 1. p. 81, incontrerà forse quello della nuova strada che da Genova per Buzzella metta nella Lombardia? Sia pur così; ma non si neghi a Can- 16 toni e Brusco , che lavorarono di concerto a ‘questo se=' condo disegno , la gloria d’ aver tentato di rendere più facile e più spedito il commercio fra questi due paesi, che per la vicinanza e pei reciproci bisogni sono legati coi vincoli di necessari rapporti. $ ( Sarà continuato ) Rime di F. PerrARcA col comento di G. Bracrorr.— Parigi. 1821. tomi due in tre volumi di 8.° Io vo talvolta pensando a questo continuo pubblicare, che fa il Biagioli i in Parigi i nostri più insigni scrittori di prosa e di poesia; e l'animo ricorre, non senza molta commozione, ad antiche memorie; onde mormoro fra me e me il parvam Trojam, simulataque magnis — Perga- ma, et arentem Xanti cognomine rivum, cogli altri pie- tosi versi che a questi consuonano. Che certo a buono e colto italiano, il quale giunga nella capitale della Francia, e trovi, fra libri senza numero di straniera letteratura , quelli de’ nostri classici maravigliosi ; riprodotti per zelo di un dotto concittadino, deve quasi, come ad Enea sulle. rive della Caonia, sembrar di vedere un’ imagine della cara patria, e nel Biagioli il nostro Eleno, che rende ai mani de’ patrii eroi un culto che intenerisce e racconsola. La qual parola culto, trattandosi dell’ edizione del Petrarca fornita del comento che annunciamo , non solo va presa alla lettera , ma tenìo che sia di troppo debole. significato , poichè parmi che il Biagioli guardi il cantore di Laura con occhio vie più che religioso. Non contento di averne tessuta la vita in istile di panegirico , velandone l'umanità e facendone apparire la divinità solamente , ei si adopera con pena infinita di dar rilievo ad ogni frase , \ 17 ad ogni paroluccia che trovisi ne’ suoi versi; di mostrarle tute incolpabili, tutte celesti. Veramente noi viviamo in epoca , in cui non vuol più ammettersi dagli uomini che il rationabile obsequium, raccomandato sì prudentemen- te da un antico dottore; e un' entusiasta , che tutto adori, ‘oggi piuttosto che far proseliti mette a rischio la fede an- che verso ciò, che potria per sua alta natura ‘essere ado- rabile. Ma Biagioli a questo non pensa; e , com’ è proprio d'altri divoti , si adira fieramente contro chi fa qualche offesa all'idolo suo, commettendone (quel che nessuno imaginerebbe ) fino ai diavoli la vendetta. Riferisco letteralmente il principio d’ una sua chiosa alla prima ballata della prima parte del Canzoniere. « Di questa ballata ( ei dice ) che non manca di certa laggia- dria il Tassoni sparla con tanta oltracotanza e goffaggine, che non si potrebbe adeguar la risposta con la proposta , se non con una sonata di manganelle; che gliela possa dare laggiù Draghignazzo e Graffiacane! » Quanto di lui più cnisericordioso quel buon servo del Signore (di cui parla a nostra edificazione fra Bernardino dal Busto in una predica, riportata in parte dal Bettinelli nel Risorgimer- to, e credo anche da altri storici dell’italiana Iottoratero) il quale , ascoltando da certo oratore di cocolla rivale alla sua alcune cose secondo lui non bene suonanti sulla con- cezione di Maria , salì in pergamo, e si accontentò di cor- reggerlo con quatro busse ove non si vuol dire in volgare benchè sia scritto nella predica latina, che aggiugne il gran plauso fatto ad esse dalle divote dell’ irditiatit Tanta e sì implacabile rabbia , vo io ripetendo , in proposito, d’ alcuni versi del Petrarca? Nè lo spirito amo- rosissimo di questo poeta valse a mansuefare quello del suo adoratore ? Bisogna ben dire che la superstizione sia una terribile cosa , poichè al più gentile degli idoli non si crede poter rendere onore .che coll’intolleranza e le imprecazioni. Or che debbono gli stranieri pensare di noi, T. IX. A/arzo 9 18 vedendoci infierire sin contro gli estinti à cagione di nul- la? Avranno essì gran torto se ci giudicano così avanzati in urbanità anzi in umanità , come a’ bei tempi del Pog- gio e del Valla? Se un uomo educato agli studj più soavi (parmi ch’ essi dicano ) fa un orribile schiamazzo ove po- chi gli abbadano, ove nessuno , in questa nostra pulitez- za, è per approvarlo; che faranno studiosi d’ altro genere nel suo paese, ove, quando pure non isperino d’ essere lodati da molti, sono almeno certi d'essere ascoltati? Il Biagioli chiede a man giunte (1) che il lettore gli perdoni le sue escandescenze contro il Tassoni e il Mura- tori, quand’ essi villanamente insolentiscono contro il suo divino poeta , e dice di averne avuto insegnamento da Dante ove, nel xxx1n dell’ Inferno, negò di aprir gli oc- chi incrostati dal ghiaccio a frate Alberigo , che nel chie- deva, e soggiunse che cortesia fu lui esser villano (2). Che se voi vi meravigliate , o lettore, ch’ ei tratti i due comentatori modenesi peggio che non fece l’ Alighieri il traditor romagnuolo , sappiate ch’ ei non li considera niente meno che colpevoli di disonesto strazio fatto al benefattore , al padre , all’ amico suo, ond’ egli vorrebbe anzi morte, che non operarne quanto può /a vendetta. Ora in che credete che consista lo strazio commesso dal Tassoni (cui già avrete pel più sospetto in grazia della sua vena satirica ) nel proposito di quella ballata, della quale si diceva ? Un po’ di motteggio , veramente non delicato, sulle deluse speranze del poeta; e una sentenza alquanto vera sulla vacuità delle sue ballate e de’ suoi madrigali ; ecco tutto. Quanto al buon Muratori, voi sapete bene se fosse uomo da fare disonesti strazii di chicchessia (3). (1) Veggasi l’ avvertimento nel primo tomo . (2) Ciò era pur conforme al pensare d’ un poeta che altrove, sentendo pietà d’ un-consanguineo , dannato anch’ esso dall’ eter- ma giustizia, si crede facto pius et sceleratus eodem . (3) Del merito critico di questo e dell’ altro annotatore del 19 Quest’ esagerare; che fa il Biagioli le ‘colpe de’ passa- ti espositori verso il poeta nuovamente da lui comentato, già dice abbastanza quanta esagerazione sarà da lui posta nell’ esaltare i meriti del poeta medesimo. Tolga il cielo che noi vogliamo sminuirne in alcun modo i veri, ai qua- li chi è insensitivo ben possiamo dire col nostro Monti: Cuor di ferro ha nel petto’, alma villana. Ma poichè tali meriti sono troppo insigni e in troppo gran numero, cre- diamo più ‘che vano il ricorrere ad i imaginarj. Anzi guento studio di farci sembrar belli perfino i pensieri frivoli o lambiccati o strani, di giustificare ogni costrutto anche scuro o forzato è, a nostro senno, una vera ‘picciolezza , che può' render sospetta la maturità dell’ intendimento. Certo il Biagioli assai volte (oltre il saggio che porge della ‘sua molta perizia nei particolari della lingua ) ne dà pro- va di molta sagacia come di molta industria. Ma qual pro, buon Dio, pel gusto e'per la verità dal suo studio faticoso di trovar connessione 'd’idee e regolarità di condotta in quella‘ frottola enigmatica: Mai non vo’ più cantar com’ îo solea, dettata, per ciò che sembra, da amoroso di- spetto? Quando siete giunti a congetturare che legame può avere : 7° diè în guardia‘a san Retro; or non più no col famoso: £ già do tà dal rio passato è ’l merlo, che ci ha guadagnato l’umana ragione (poichè ad essa deve pur riferirsi ogni indagine anche nelle più minute cose dell’ arti); la nostra educazione poetica ; la gloria del Pe- tirato? N i Ma, per non fermarci in quest’ unico caso d’un vano comento sopra composizione inintelligibile , e fatta espres- samente per non essere intesa , anzi nè intesa pure dal- l’autor suo, malgrado l’intendami chi può chè m' in- Petrarca, fatto segno all’ ire biagioliane, parla maestrevolmente la revista enciclopedica di Parigi nel fascicolo di novembre del- l’anno scorso. 20 tend’ io ; per non fermarci , dico, in quest'unico caso, ci sia lecito domandare se non siano cose da far sorridere gli stranieri due grossi volumi di nuovo comento ad un vo- lumetto di rime amorose ? Che il Biagioli e i suoi venera- bili antecessori abbiano fatto sì lungo discorso sul poema sacro, a cui aveano posto mano e cielo e terra, si troverà meno irragionevole , dacchè tutto il tesoro della scienza umana allora esistente, e quasi il presagio della futura si racchiudono in quel poema. Io veramente sono uno di quelli che, pregiando le fatiche del Lombardi e del Pog- giali ( eterna requie al Landino e agli altri vecchj, meno il Boccaccio , e l'anonimo della Laurenziana , che per più rispetti è bene che vivano ), lungi dal desiderare fatiche di più gran mole della loro, trovo soverchia anche quella del Venturi. A me pare che un comento ristretto ristret- to, all’ uso dei Bond e dei Farnabii, se ci fosse chi sapes- se ben farlo, sarebbe anche per Dante il più opportuno (4). Altri, invece, sono d’ altro gusto; e infatti vedete come dopo il Biagioli saltano fuori comentatori bolognesi e pa- tavini, che vi obbligano, se voi ve ne fate coscienza, a leggere forse quaranta righe di prosa erudita per ogni ver- so del poeta ; con quanto vantaggio della poesia , dicalo chi se ne intende. A_me è avvenuto più volte, provando- mi a star sulle pagine di varj interpreti dottissimi, di pensare al fabbro e all’asinajo, che faceano cantando l’ag- giunte ai versi di Dante, come narra il Sacchetti, e al modo con che il poeta ne li rimeritò. Anzi ( me lo per- donino vivi e morti) incontrandomi in qualche chiosa di quelle del genere landiniano, deponendo il libro per istrac- chezza , uon posso di meno che mormorar fra denti: 4Arri arri, e soggiungere crollando la testa: Cotesto arri non vi mis’ io, (4) Se Monti ne volesse fare uno estetico , gliene saremmo forse tanto più obbligati quanto fosse più lungo. 21 Ma comunque si pensi di Dante (che quasi colle mie digressioni io prendeva il vezzo d’ alcuni de’ suoi comen- tatori ) certo | Quel dolce di Calliope labro Ch amore in Grecia nudo, e nudo in Roma D'un velo candidissimo adornando Ripose in grembo a Venere celeste. rifiuta i freddi interpreti e le loro chiacchiere erudi- te. — Se voi siete giovane e innamorato , mio caro lettore, già sapete che per intendere: Gentil mia donna, io veggio Nel mover de’ vostr’ occhi un dolce lume ; ovvero : Gli angeli eletti e l'anime beate, non vi abbisognano che gli occhi della vostra donna e il vostro cuore — Io stento a credere che tutto quello, che nelle due parti del Canzoniere non è fa- cilmente inteso, vaglia ( tranne pochissimi casi ) la pena d’ essere a lungo comentato. E volendosi pur fa- re da’ nostri maestri osservazioni di grammatica o di versificazione, quasi pregherei che scegliessero altro luogo che un comento al Petrarca; perocchè non si entra nel gabinetto d'una bella per apprendere come si distillano le essenze odorose , ch’ ivi ministra la mano della volut- tà; nè si va ad una festa brillante, per imparar l' arte di fare i passi in cadenza, e supplire alla lezione che non vi ha data in camera il vostro maestro di ballo. Io veggo qualche volta Voltaire scendere a minute osservazioni nel suo comento sopra Corneille ; ma oltrechè bisogna essere Voltaire o Monti per rendere brillante fino il linguaggio de’ Frinici e de’ Trifoni, voi certo vi sentite assai meno stringer l’anima, incontrando un po' di gramatica nel- l'esame pacato e spesso malizioso di una tragedia , che nel | comento entusiastico di un breve e gentil canto d’ amore. Manco male quel genere di note parasitiche , il qua- La 22. le consiste nel citàr passtal’\altri autori ‘a supposta’ illu- strazione d’ un autore comentato.,; non' già. ove ilo sugge- risca qualche insigne coincidenza d’ imagini o di pensie- ri (5), ma ovunque.si presenti affinità PE modi ‘o identità di parole. È raro:che.il Biagioli.; il quale come chiosatore ha studiato sì a lango nel Dante come’ nel Petrarca , non si rammenti qualche verso o terzetto del primo , al pre- sentarsi d’ un verso o d’ una frase del.secondo.;; ed eccoti subito una citazione. E, poi ch'egli si limita a Dante, quasi non abbiamo cuore di dolercene; ma la' pratica sua ad ogni modo è simile a quella di chi, secondochè la me- moria o i repertorj lo ajutano, in proposito di nulla vi in- filza citazioni da Omero ed Esiodo fino quasi all’ ultima, canzonetta nuova de’ saltimbanchi. E guai se sappia o affetti di sapere Jingue orientali 0 altre esotiche. non .sa= pute da noi studiosi volgari,Il. piacere di empie pagine, per lo stupore de’ nostri \occhi in lui ion ha: più limite. Lo, però che ho letto (ora è una buona: dozzina d' anni ) il Chef d’ QOeuvre d’ un Inconnu colle erudite e ricercate annotazioni del mio incomparabile dottor Matanasio!, io ho la disgrazia di non potermi più ammirare di nulla in simil genere. Vorrei almeno poter ammirare; il Biagioli come ni- tido espositore, dacchè tanti suoi studi di grammatica», e tanto suò gridare sul fatto: della lingua sembrano per que- sta parte prometterci.gran cose» divlui! Ma. pur .troppo s' egli è purgato, è anche affettato e/lambiccato; e quindi spesse volte molto oscuro ; ciò che ‘indica un difetto di vera proprietà. To vo spesso pensando al singolare desti- (5) Malfilatre;; per esempio ;. nel suo Genie de, Virgile e. in più luoghi delle, sue annotazioni, alle Metamorfosi d’Ovidio, con- fronta i luoghi analoghi de’ due poeti e d’ altri che gli imitaro- no o furono da loro imitati, cercando le ragioni ed esaminando gli effetti delle loro differenze; e simile studio, utilissimo, all’ ar- ie, non «può catlere sotto la nostra critica . n 23 no, che ha condotto a stabilirsi in Francia alcuni singolari zelatori del bello scrivere italiano, i quali, l'uno più che l’altro, pare che s’ingegmino di renderci ridicoli. Già quand’ anche essi intendessero questa faccenda dello scri- vere, come andrebbe intesa, gli stranieri.avrebbero ragio- ne di domandare meravigliando se tutta la letteratura italiana si riduca all’ arte di comporre periodi con tali e tali altre cadenze, con.parole di tal secolo piuttosto che di tal altro ; se noi non abbiamo altro a fare che disputar come si debba dire? Ma vedendo poi, per frutto di tante cure, uscir certe prose verbose, contorte , strane , parmi ch’ essi debbano guardarle con occhio di sprezzantissima compassione. Questo giudizio , che può aversi per alquan- to rigido; noi non lo applichiamo così interamente al co- mento; come al cenno biografico sul Petrarca, dal Bia- gioli posto:innanzi ‘al Canzoniere. Finora certe maniere abbindolate e gonfie; che ricordano fra Gerundio e il conte Bacucco, erano state il bel vezzo delle orazioni encomia- stiche; colpa specialmente .la picciolezza degli encomiati, che volevansi a tutta forza esaltare. Come, generalmente, non si scrivevano vite se non d’ uomini, di cui vi fossero cose da raccontare, queste vite erano semplici, e teneva- vano dal soggetto la loro unica importanza. Or non è una pietà il veder quella di tal uomo, il cui solo nome dice all'anima tante cose, colorita con tanto fuoco , e fatta di- ventare risibile , quando nessun’ altra ha in sè stessa di che più dolcemente conamovere ? Si coufrontino il cenno biografico , di cui parliamo , e le memorie che il buon Marsand, con modestia insieme ed accorgimento giustissi- mo, ha tratte dalle opere latine del Petrarca, onde dipin- gerlo: più al vero; e si comprenderà vie meglio qual infe- lice consiglio sia quello che fa preferire ad un’ adorna schiettezza un vano artifizio. Se si potessero le ampolle del Biagioli trovar convenienti in alcun Juogo , sarebbe forse nella sua dedicatoria ove ( ci si permetta questa du- 24 ra frase) sono esaurite le formule della servilità; Leggendo: infatti— mentre tutto ai piedi degli onoratissimi e desi-: deratissimi vostri comandamenti (6) , pieno d’ ogni umi-. le devozione e di gratitudine infinita , io mi glorio e van- to d’ esser quale con profondissimo ossequio mi sottoscri- vo — ci pare che questo strascico di periodo corrisponda benissimo . alla pomposa abiezione cortigianesca in esso espressa . Ma chi, trovando nel cenno biografico ‘una sentenza di questa specie :-— a volere pur alquanto comprendere dell’ immenso vuoto ove. si rimase il Pe- trarca; come intese la morte di colei per cui e in cui vissuto era sin allora, imagina che,scemo a un tratto di tua dolce compagna, in una landa uniforme, eguale , nè per altezza nè per altra vista svariata ; gli estremi del- la quale vincano il pensiero non che l’occhio , e veneridosi a spegnere a un tratto .ogni lume del cielo, da immensa e interminabile notte circoncinto ; uno e solo ti ritrovi — non sente rabbia di tanta futilità , e di tanta affettazione in così tenero e appassionato argomento ? E. potrei : citare altri passi assai più insopportabili (7) se il farlo. non fosse un infinito fastidio. E se taluno dicesse che, per creanza , 10 poteva pure astenermi dalle fatte citazioni, risponderò che, osservando l'odierna inclinazione. allo stile ricercato e falso; l’ inganno in cui 1’ esempio del Biagioli , accompa- gnato dalle sue eterne esclamazioni sulla nostra eloquen- za sì vilmente disfutta., può trarre gli imperiti;; e il;di- leggio che può venircene «fra gli stranieri, è necessario il (6) Aristippo diceva con molto spirito che i grandi hanno le orecchie alle ginocchia . I loro comandamenti personificati , per géttarvisi a’ piedi, sono una grottesca d’ impossibile invenzione per un ‘greco antico —e speriamo in Dio per/un italiano moder- no, il quale, se:;non professa filosofia, professi decenza .,, i (7) Come l’ eterno periodo. sul. Petrarca considerato qual lirico patriota; la risposta del Petrarca medesimo a Carlo IV di Lussemburgo , che gli chiedeva 1’ intitolazione del suo trattato degli womini iltastri > ec. ec. x 25 gridare che chi ha senno in Italia intende l’ arte del dire tutt’ altrimenti ‘che quel valente uomo , e chi fa lega con lui. E chi ha senno intende pure tutt’ altrimenti da lui gli obblighi di un biografo , i quali sono non di tessere panegirici ; ma di mettere il vero nel giusto suo lume; non di fare apologie, ma di presentar le cose quali sono. Lasciolagrande briga che il Biagiol si dà per provare che l’ amor del Petrarca ( amore come tutti gli amori, infer- vorato dalle difficoltà, raggentilito dall’ animo e. dagli stu- di del poeta, sublimato: dalla sua nobile fantasia) fosse un amore puramente intellettuale ; nè domando se. si scri- vano vite per! mantenere una deata illusione, dacchè egli pure sospetta che possa esser tale la sua credenza; quan- tunque chiami ciechi e da. compiangersi quelli! che 'non si possono levare al suo alto comprendere. Le. aniime ve- ramente ‘oneste e delicate, ma non fantastiche nè supersti- ziose ;‘già sanno ciò che'in tale proposito si debbano. pen- sare. Chiederemo invece; a fermarci sovra un punto dei più chiari d’ istoria ,, perchè il sig. Biagioli abbia scritti questi periodi —. E chi non sa l’ abborrimento.in che gli venne.Nicolò di Lorenzo; come scorse lo animo, di lui di bugiarde apparenze di virtù dipinto ? Facciane fede la fa- mosa canzone che di. lui scrisse , e non la mandò forse; onde nacque il dubbio, se a, lui veramente o ad altri fos- se quell’ altissimo, canto, indiretto. — Fosse 0. non fosse la famosa, canzone scritta pel tribunato di Cola (ch’ io a- vrei qualche, buona ragione d’applicarla al senatorato di Stefano Colonna ). è è certissimo che il. Petrarca, mentre tutta la corte avignonese parlava delle follie del tribuno, sì discordi da‘ /suoi eroici cominciamenti, nulla volea cre- derne;, e, imposto silenzio fino; all’'amore che il riteneva, sì mise in via per l’ Italia,, onde sostenere colla presenza e colla voce quello che avea! fino allora difeso presso .il pontefice e incoraggiato con lettere. Supposto quindi che 26: i la canzone fosseispirata dalla gran novella de’ cangiamen- ti avvenuti in Roma ; non può credersi che poi. venisse trattenuta dall’ autor suo (poco avvezzo a condannare al- l'oscurità le proprie composizioni che:credeva degne di luce ) pet le. successive notizie delle stravaganze; a cui il liberatore. fatto despota si abbandonava. Essa, per quanto mandata lentamente, dovea pur giugnere in tempo di ve- dere sul. Tarpeo, quel cavaliere , ch’ Italiatutta onorava, ancora persoso più d’ altrui che di sè stesso . Se il Petrarca, dice Biagioli, avesse acconsentito alla sommossa di Cola di Rienzo, in cui perirono tre individui della famiglia de’ Colonnesi , dovrebbe assegnarglisi il secondo luogo nella Giudesca. Eppure questo passo della sedicesima: del.libro secondo delle famigliari; scritta dopo la strage de’ nobili fatalissima a’ que’ Colonnesi, è forma- le: nulla toto orbe principum' familia ‘carior; carior tamen respubblica; carior Roma; carior. Italia + Io che non, ho tànto il capo nelle. bolgie dantesche , io che non, m'impaccio di condannarvi alcuno; che.so quanto sia difficile tener diritta la stadera. nel pesare le umane azioni, massime in certe singolari circostanze’; che pro- pendo a credere sempre rette le intenzioni de’ buoni, an- che:quando servono di strumento ai pazzi e'ai cattivi; dico che il povero Petrarca può ‘aver voluto cosa di cui non prevedeva.gli effetti; e dico di più che, da vero saggio; può:malgrado certi effetti a suo parere evitabili; aver tro- vata ancor buona la cosa;'e anteposto alle sue private af- fezioni' l’amore della patria italiana ;'di‘cui'seguitava a sperare la grandezza. Perchè fingersi un’ alternativa'd’,in- fallibilità o di malvagità abbominevole , quando vi‘è di mezzo un errore innocente ?:E già, considerando la vita del Petrarca, si ‘ha'più volte ‘occasione ‘di vedere com’ e- gli' andasse soggetto a gravissimi inganni. Tale, per esem- pio; fu quello:d’ imaginarsi illiberatore d’ Italia nell’ ava- ro e vilissimo Carlo IV; nè le'invettive lanciategli contro, sai 27 al suo, abbandonarci. spogliati e traditi , sono prove per negare a lui diretta quella epistola famosa d’ invito , che il Petrarca medesimo faceva andare attorno colla com- piacenza d’ un, retore , la quale peraltro non escludeva il sentimento d’ un gran cittadino. Del resto che vuol dire. propriamente il.Biagioli, con quell’ acconsentito alla.som-. mossa? Io ho dovuto intendere la rivoluzione operata da: Cola, che a principio ebbe per frutto la giustizia, indi gli. alati ed il sangue; poichè la :sommossa , in cui peri- rono i tre Galesi , venne piuttosto dalla famiglia di questi e degli Orsini; e il tribuno ( che veramente! gli a- veva già offesi e minacciati ) non prese l’ armi per. assal- tarli ma per difendersi dai loro assalti . L’annunzio della strage de’ Colonnesi il Petrarca. l’ ebbe in: Parma sul declinare del 1347; e poco più di mezz’anno , appresso, gli giunse in Verona quello della; morte di Laura. Girò egli, quindi addoloratissimo d’Italia per altri forse tre anni, finchè si restituì in Francia, alla diletta solitudine di Valchiusa , recando le sue rime :d0- lenti ;al duro sasso; che nascondeva in terra il. suo caro, tesoro. Ma alfine la valle; fatta piena de’ suoi lamenti; il fiume chela bagna, cresciuto spessodal suo piangere; i già! dolci:sentieri , che gli riuscivano! amari; i colli; che già. gli piacquero e poi.tanto gl’. increbbero; ricevettero da luil nel 1353: l’ultimo addio. Tornato egli;quindi: in: Italia; cui salutiòidallî Alpi: qual'terta al:cielo; diletta: \evamica stanzalalle Muse, pregandola, di conforto all’ affannata sua vitae di tranquilla tomba alla sua spoglia!,: si ritondusse a Milano, ‘ove fu accolto; come; si esprime il Biagioli; con meravigliose viste::d’ amore da Giovanni Visconti: (10€ Biasimato da alcuni;; prosegue il biografo), d'aver sagrificata' la libertà va quel principe } e fra: gli. altri dal l’amico: Borcaccio, gli rispose che fra; quelie apparenti catene:intera:serbava ' la libertà :dell’animo e: del;cuore; volendo dir forse che , alla prima vista che facesse quel 28 principe di volersi scostare da virtù e onore s egli era pre- sto a lasciarlo, come fu' prima a consentirgli. Soggiunse che, avendo altri a far sacrificio d’una particella di liber- tà, meglio era farlo a un individuo che a un popolo di ti- ranni , com’ era allora il-fiorentino , dove si stava il Boc- caccio. Noi aggiugneremo che il sagrificio che fece il Pe- trarca fu al massimo fra gli italiani di quel tempo, e colla speranza di cooperar seco alla pubblica quiete. Nol fece già per brama di gloria nè per sete di ricchezze, che que- sta non cercò mai per temenza che non vincesse il loro soverchio l'animo suo, e quella non poteva più accrescere. E chi dirà esser savio colui , il quale ricusa il sacrificio della sua libertà, Lacie ‘possa per cp al publico bene. adoperare ? » So che il Petrarca di tal guisa si difendo co’ suoi amici fiorentini , che mostravano meraviglia della sua nuova vita cortigiana; so ch’ei reputava Giovanni Viscon- ti il più grande degli italiani del suo tempo. Questo Gio- vanni intanto (fermo, sagace, intraprendente quanto vuol- si) era pur troppo il sostegno di tutti i tirannucci della mi- sera Italia , e forse il più molesto nemico che avesse la libertà della fiorentina republica . Pure il savio poeta non si vergognò di mordere il.giovane Boccaccio, paragonando la propria alla sua condizione, con quelle parole tanto ingiu- ste contro i concittadini d’ambidue. Ma quando il grandissi- mo degli.italianifu morto, che facevi tu mio buon Petrarca alla corte dei suoi mipoti, di quello scapestrato di Matteo, di quel Bernabò sì brutalmente feroce, di quel dappoco di Galeazzo; alla cui dolce natura peraltro parve uno scherzo l’ apprestare col secondo: genito il veleno al primo. Forse vi stavi per tener d’ accordo questa razza benemerita, con- tro cui}.invocando l’ arme di Carlo che:non valea più di loro, ti univi ai veneziani e agli Scaligeri , che nuila ave- vano, più. a cuore che di abbatterli ? Forse per serbare, se potevi ; intatto il lor beato dominio sovra tante genti di casi 29 Lombardia , e delle terre all’ intorno ? Oh mio Petrarca! Sa il cielo con che occhio d’ amore io ti guardi ; come io non cessi di celebrare in te il più nobile forse e il più gen- tile degli spiriti che la natura abbia prodotti; ma tu pure eri uomo; e la tua bontà istessa potè esserti fra i malvagi, non che inciampo al bene , stromento di male . Un uo- mo d’ alto cuore al pari di te , e più di te coraggioso ed ardente ; un amico da te avuto in grande stima , Iacopo .Bussolari, mentre tu sedevi nel consiglio di questi Vi- sconti , sottraeva ad un giogo odioso la vicina Pavia, e la incoraggiava, in faccia alle sciagure di cui era minacciata, ad eroica resistenza . E tu scrivevi a quel magnanimo di rimetterla vigliaccamente nel giogo, di tradire i suoi con- cittadini, di infamare sè stesso ( chè tutto ciò importano ì tuoi consigli di sommissione ) pel buon piacere de’ tuoi signori Visconti, che aveano con molto zelo prese le par- ti del cacciato Beccaria . Oh. Petrarca, Petrarca ! La sorte ebbe riguardo, credo, alla tua bontà , facendoti toc- care una lontana legazione in quel tempo che lo spietato Bernabò, avuta Pavia a condizione di rispettarne i citta- dini , vinse contr’ essi in raffinamento di atrocia la bar- barie de’ tiranni siciliani, e fè perire in un carcere il ge- neroso Bussolari, che avendo (quantunque invano) pattui- to in favore di tutti i suoi , nulla pattuì per sè stesso. Io mai non visito questa tua solitudine di Linterno, e la vi- cina Certosa, ove spesso tu ti aggiravi in compagnia de’tuoi malinconici e religiosi pensieri, che non mi sembri di. udire il gemito che cavava sicuramente dal tuo cuore la rimembranza di sì orride cose. Imparino , deh imparino i buoni dal tuo esempio a non far mai lega cogli oppres- sori, per non patecipare anche nel modo più lontano e indiretto alle loro nequizie ; e le grandi anime si persua- dano che, imaginandosi di poter operare il bene in com- pagnia di chi non vuol che il male, non cercano a sè me- desimi che obbrobrio o dolore . 3o Questo era pure l’opinar dell’ Alfieri, d’ alcune brevi note del quale il Biagioli adorna , come già fece quello di Dante, anche il comento al Petrarca (8) ; note preziose, non solo perchè gli appassionati e sublimi ingegni sono fatti per sentir veramente il linguaggio vue appassionati e sublimi; ma perchè chi scrisse : Negri , vivaci e in dolce foco arclenti Occhi che danno a un tempo e morte e vita. Sio t' amo 0 donna ! io nol diria volendo. Già son dall’ Alpi al più sublime giogo. Io vo piangendo, e nel pianger mi assale. Sì fiera voglia di finir per morte. vi sembra , fuori della schiera di tutti i petrarchisti, uno de’ più degni di sedere presso a Petrarca . M. (8) Queste note sono tratte da un manoscritto così intitola- to: Studi di Vittorio Alfieri sul Petrarca 1776, il quale è tut- to di mano propria dell’ Alfieri. medesimo, e fu da lui dato in dono al sig. Thiebaut de Berncand dell’ istituto di Francia, che doi lo donò al Biagioli . 31 La Piera .— Cantica di Gio. BaristA Niccorini Al lettore. Il contagio, che nel 1804 regnò in Livorno, diede occasione a questo componimento che in quell’ anno per me fu scritto. Chiunque vide paese afflitto da tan- ta sventura non ha mestieri di leggere Tucidide, Lu- crezio e Boccaccio |per saper quanto allora il terrore possa più della pietà sull’animo dei mortali . Non sembrerà dunque strano che io, fabbricando sul vero una finzione, immagini che questa Divinità consolatrice respinta dagli uomini si mova a cercare nel cielo un rimediò ai loro mali. Nè credasi ch’ io abbia peccato contro l’ istorica verità nel terzo canto ov’ è descritta un’ inondazione : questa accadde mell’ anno mentovato, e la macchina del mio tenue lavoro non fa che porre fra questi due avve- mimenti contemporanei un’ immaginata relazione di cau- sa e d’ effetto. Dimanderà forse taluno perchè ho fatto di ragion pubblica questi versi scritti nell’ età mia più fiorita, e che or non raccomanda neppure l’importanza dell’ argomento. Risponderò che, quantunque al pari d’o- gni altro io conosca che i tempi vorrebbero poesie d’ in- dole ben diversa, ho ceduto al desiderio degli amici ) che . . . tante cose avrei voluto dirti, o lettore, se per togliere a te e a me la noja non mi fosse corso alla me- moria questo passo di Giovenale : + + « + stulta est clementia cum tot ubique Vatibus occurras, periturae ignoscere chartae. { 32 Canro I. La Pietà, che ai mortali insegna il pianto, Dalla città Liburnica movea Disciolto il crine, e sparso all’aure il manto: E a lei d’intorno il pigro aer stridea Diviso all’ urto delle sacre penne Onde gli omeri eterni armò la Dea; Che le morti veder più non sostenne Di che trema Toscana , e il vol sospinse A’ patrio cielo onde quaggiù sen venne. Nè del presente carità la strinse; Che sulle porte degli ostelli noti Stette armato il Terrore, e la respinse. E non potea dettar nel tempio i voti, E dei bronzi sacrati udir lo squillo : Fredde eran l’ are, e muti i sacerdoti. Erravan per l’ oscuro aer tranquillo ‘ Fiochi gridi, e al chiaror di faci meste Morte spiegava il suo feral vessillo. E già Febo il suo cocchio, onde si veste Di luce il mondo, dentro il mare asconde; Che de’ corsieri suoi fuman le teste. E di Proteo l’ armento alle profonde Sedi ritorna, e contro alla liburna Spiaggia rotte dal vento piangon l’ onde. Nell’ orror della mesta ombra notturna Pregan gli egri alle sciolte anime pace, E il cener caldo s’ agita nell’ urna. Ma quando tutto l’ Universo tace, La Dea verso l’ Empiro il volo affretta, E il mar Tirreno sotto i piè le giace. 33 Ed ecco a lei come d' arcier saetta Improvvisa querela , e par che dica : Meutre di Dio su noi sta la vendetta, Tu fuggi, o sola dei mortali amica? E te cangia fortuna ? e vince oblio Nel tuo petto immortal la cura antica ? Tu pur lasciasti il sacro aer natio Mossa dai voti del migliore affetto, E riveli nell’ uom parte di Dio. Chi sederà presso il temuto letto , Se pel terror, che ogni altra cura avanza, Dubita il core delle madri in petto ? Teco fugge il consiglio e la speranza ; Te l’ egro invoca , e te cogl’ infelici Occhi ricerca nella muta stanza. Allora ai lidi, ahimè non più felici, Pietà si volge sospirando, come Peregrino che addio dica agli amici; E scossa al suon dell’invocato nome Riguarda, e piange: per l’ avverso vento Fanno all’ umido volto un vel le chiome ; E divien della mesta il vol più lento, Quasi obliasse ch’ ella al cielo è volta A chieder fine del comun lamento. Come aquila che s’ è dal nido tolta Per trovar l’ esca ai non pennuti figli, Poichè diretro a sè gemer gli ascolta, Irresolute fa l’ ali e gli artigli, E verso il pianto dell’ ignara prole Rivolge gli occhi, e par che si consigli. Da quella parte dove tace il sole, Ancor che fra le tosche onde t’aggiri, Sperdono i venti il grido onde si duole . IX. Marzo 3 34 La terra , alta cagion de’ tuoi sospiri ; E scorgi come lo Tirreno sale Dalle sue torri altissime rimiri La bella patria del nocchier fatale, Che già primo solcò flutti remoti Dai confini del prisco ardir mortale, E sprezzando il furor dei venti ignoti Prese il lito ove il biondo oro poteo Vincer la speme degli avari voti. Sorger dall’ onde ancor mira al Foceo ( 1) Fuggitivo la terra mal sicura, Ove l’ alta virtù del primo Anneo, Che fu poscia minor nella ventura, Immemore di sè nella sua pena Tentò l’ oblio della materna cura. Qui delle ricche navi il corso affrena La Fama, e sopra rupe aerea siede, Ove spuma la vinta onda tirrena; De’ gigantei furori unica erede (2) Eternamente veglia, e dei mortali La speranza e il terror le accrescon fede. E allor quetate l’ instancabil’ ali Mandava per quell’onde immenso grido Che dicea tutti di Livorno i mali ; / (1) La Corsica nella quale ebbero asilo per brevissimo tem- po gli abitanti della Focide fuggitivi dalla lor patria . Anneo Seneca il filosofo fu sotto il regno di Claudio rilegato in questa isola e vi scrisse il libro de consolatione ad Elvia sua madre nel quale tentando confortarla si sforza di attenuare colla filoso- fia i mali dell’ esiglio ch’ ei soffriva - (2) Iliam Terra parens ira irritata Deorum , Extremam, ut perhibent, Coeo, Encelodoque sororem. Progenuit. ( Virg. den. L. 1v.) 35 k di Sardegna , e di Trinacria il lido Ne rimbombava, e l’ atterrita fronte Sporgean le belve dal commosso mido , E ritornavan paurosi al fonte ‘ T maggior fiumi, e dalle sue caverne D’ Encelado sepolto urlava il monte. Venne l’ orribil voce alle superne Sfere, e tremando per l’ immenso vano Pietade accrebbe il vol dell’ ali eterne. Celavasi la terra e l’ oceano All’ immortale peregrina, ed era Colà dove non giunge il guardo umano. Era nel correr suo presso alla sfera Che alle tempeste è patria e par ch'avvampi D'’ insolito splendore , allor che nera Nube incontro mirò che apriasi in lampi, Pari a quella che folgora , e discende Sulle speranze de’ sudati campi, E nei flutti del vasto Egeo sorprende Il pallido nocchiero , e sopra l’ onde Terribil più che notte si distende. Pe’ suoi muti deserti il ciel diffonde Orrida luce, e la caligin scura Squarcia che nel suo seno angiolo asconde, ‘ Meraviglioso ad ogni alma sicura. Già lo mirò d’ Olimpo in sulle cime La Diva, e nell’ orror lo raffigura | Della nube ove sta fero e sublime. Ei nell’ Egitto, omai dal ciel dannato , Troncò dei padri le speranze prime, Quando suonò di pianto e d’ ululato Menfi nell’atra notte, e al seno strinse Le madri ignare il figlio insanguinato. Dappresso a quel potente allor si spinse Pietade (e solo a Dea cotanto lice), E lui mirò fra i nembi onde si cinse, Nella destra vibrar la spada ultrice , Ch’ è di sangue mortale ancor stillante , E nell'altra agitar l’ urna infelice Del furore di Dio colma e fumante; E quella nube che lo copre e serra Mormorarle ascoltò sotto le piante: E disse: angiol di Dio , che sulla terra Del provocato ciel mandi lo sdegno, Alto ministro dell’ eterna guerra , Deh per la pace del celeste regno Dir ti piaccia perchè sotto i tuoi piedi Frema la nube che ti fa sostegno. Ed ei: nella caligine, che vedi, Di Dio l’ arcano provveder rilega Il voto della terra onde tu riedi, E di salire infino al ciel gli nega Quella giustizia che ne tronca l’ali; Onde invano laggiù si piange e prega. Io calco le speranze de’ mortali: E se tu chiedi fine a tanto duolo, Perchè ti libri sulle penne uguali ? Là sù le volgi allo stellato polo, Ov’ è il signor che all’ universo impera. Disse ; e 8’ alzò la Diva a sì gran volo, Che giungerla il pensier stanco dispera. Fine del Canto I. Canto IL Già del nascente dì la prima ancella Le tenebre fugò col dulce lume, È riverente al sol cede ogni stella, Che ai suoi corsieri biancheggiò di spume L’aurato freno sulla curva ardente Che sparge di calor sì largo fiume. Allor mirò del Sire onnipotente La sede , cui non fe’ nube mai velo, Pietade che l’ antica aura già sente, Che ver lei move dal paterno cielo, L’ odor spirando de’ beati fiori Vividi e lieti sull’ eterno stelo: E l'armonia degli apgelici cori Così nuova dolcezza al cor le crea, Che alla fronte immortal cresce gli onori, E tutta nel sembiante appar la Dea. Ma già del paradiso in sulle soglie Freno al vol delle stanche ali ponea. E lei delle virtù celesti accoglie La santa schiera che Umiltà precede, Umiltade che in Dio queta le voglie. Seco in candido ammanto era la Fede, E la Speme col guardo in sè raccolto, Che il nostro immaginar coi premi eccede , E Innocenza col crine all’ aure sciolto, Che la terra lasciò quando coperse Il rossor primo ad Eva il conscio volto. Mestamente sorrise: indi converse Gli occhi la Diva alle soggette stelle ,.. Però che rimirar più non sofferse 38. Il sacro volto delle Dee sorelle; Ed esse la seguian mute e pensose , Temendo che il dolor si rinnovelle Al dimandar delle fortune , ascose Invan da lei, cui nel dolente viso. , Leggeasi il fato dell’umane cose. E già fuggiva l’ immortal sorriso Dagli angelici volti, e colla Dea Parve giunto il dolore in paradiso . Altri sopra la muta arpa gemea; Altri col velo e colle man sacrate . , La mesta faccia ed il dolor premea.. Ecco al trono di Dio s’ offre Pietate , Coll’ atto della fronte e delle ciglia. Interrogando le schiere beate. Tal va davanti al genitor la figlia Per chieder cosa che LR Rd brama ‘au E nel materno volto si. consiglia, Pure in colui che tutto move ed ama Quella dolente volse gli occhi alfine; Che se timor la frena ,, amor la chiama. E per luce ‘maggior Di divine A lei vere le sembianze eterne Fisse nel centro che, non ha confine. Benchè nell’ alme che son più superne. Non si mostri Colui, per tutti arcano, Che come in breve specchio il sol sì scerne . Poi cominciò : so ch’ è delitto umano, Se riguardiamo a tua bontade immensa, Men che stilla nel sen dell’ oceano: Ma l’ uguale giustizia, che dispensa E premj e pene con alterna cura hi E la vendetta col perdon compensa, 39 Tien fiso il guardo alla fatal misura ; E se fallo mortal la colma d’ ira, Ratto scende sul reo pena sicura: Pur tuo sguardo pietoso altrove mira Quando il rigor della virtù superna Punisce il mondo e chi con lui delira : Altra giustizia il tuo voler governa ; E quel merto onde l’uomo è più superbo, Sta come piuma sulla lance eterna. Ma pur ferma speranza itì petto io serbo Che per te sia l’ ardente priego accolto, E il dolor cessi ch’ io fo meno acerbo . Mercè degli egri'a cui dipinge il volto | Pallor fatale , e i cari giorni invola In chiuse fauci atro venen raccolto : Dei sensi umani interpetre non vola Fuor del labro la voce: ‘ahi n’ esce a stento In un col sangue l’ultima parola. (1) E nulla giova medico argomento, E manca la virtù dell’arti mute Vinta da forza di maggior momento: E fassi vano lo sperar salute, Se l’ infermo cui sete aspra martora , Pur respinge da sè l’onde temute ; E di livide macchie si colora L’arida pelle , e'lo affannoso petto: Pasce un’ occulta fiamma , e lo divora. Orme non veggo dell’ antico aspetto Nell’ infelice 'lo‘cui labro spira Tetro veleno in saniguinoso letto . NS (1) Vedi l’osservazinni mediche sulla malattia febbrile do- minante in Livorno nel 1804, scritte dal celebre P. sig. Gaetano Palloni . 4o Or fioca voce qual di\chi sospira; Strido a silenzio orribile succede, Strido dell’ egro che in morir delira. Terrore e muta oscurità possiede Le solitarie strade, e tristamente L’ uno l’altro sogguarda, e nulla chiede. E talor cupo gemito si sente, Come vento che in selva antica frema , Suonar dai tetti dell’ afflitta gente. Mesta corona ahi più nell’ ora estrema Non fa la prole al padre: al figlio istesso Gli occhi compone colla man che trema Madre che gli negò l’ ultimo amplesso .. . Più dir volea: scosse le membra un gelo, E la voce morì nel petto oppresso, Allor dal trono a cui la luce è velo, E dove l’ Uno sta ch’ empiea beato La solitaria eternità del cielo, Risonò per lo spazio interminato, E parve tosto aggiunto lume a lume, Di Dio la voce, e quella voce è fato. Tacquero i cieli, folgorar le piume Dei Cherubini, e in suon che rassomiglia Per alta notte a mormorio di fiume, L’ alto responso udissi: Invano, o figlia, Non fu il tuo priego: ma se cessa il pianto , Ciò che giustizia arcana mi consiglia ; In pria s' adempia. Il tuo decreto è santo, Tutti esclamaro ; e sovra l’ arpe d’ oro Incominciò di mille voci il canto: E le corone d’immortal lavoro Ai Divi in fronte risplendean più belle. Allor quest’ inno di cui fea tesoro « « « « 41 In mezzo ai baci delle Dee sorelle Pietade ascolta . . . per l'immenso voto Ogni parola replicar le stelle: Lode a Colui che dentro il seno immoto « D’eternità, che in sè tutto comprende, « Il tempo vede, e sua misura , il moto: Alla prima ragion, da cui dipende « L’ anello che legò le cose estreme; « E tutto sa perchè sè stessa intende, Folle colui che per le vie supreme « Dei suoi consigli tenta il passo ardito! « (A mille mondi il suo voler fu seme, E ad ogni mondo di sua mente uscito « L’immutabil sentiero egli prescrisse, « Poi nel mar lo gittò dell'infinito. Creò la terra, e sia la luce, ei disse; « E la luce fu fatta , e nell’ impero « I suoi confini all’ Ocean prescrisse. Figlia del.suo mirabil magistero « È la materia che per lui s’avviva « Feconda in opre d’immortal pensiero. Non v’ ha chi fine al suo poter prescriva, « Ei nell’inferno, come in ciel, che dove « Amor non giunge , la vendetta arriva. A stabili elementi in forme nove « Dà legge e vita; egli disgiunge, e lega, « E limita, e riempie, e frena, e move, E l’infinito suo valor dispiega « In ogni parte; e giusto, e in un pietoso « Egli è quando concede‘e quando nega: Negli effetti palese è sempre ascoso « In sua sostanza necessaria ed una; « Ed ozj non conosce il suo riposo . « « Poichè quel ben che l’ Universo aduna « In te racchiudi, e ubbidienti stanno « Sotto l’ eterno piè Tempo, e Fortuna , Sperdi gl’ iniqui che l’ autor ti fanno: « Dell’ empio dritto onde virtude è tolta , « O solo Re ch’ esser non puoi tiranno . E chi con lingua invereconda e stolta « A te manda di voci un vil rumore, « Quasi di schiavi che il tiranno ascolta, Sappia che gioia dall’ altrui dolore « Mai non viene in colui che quassù regge. « Ei per amor non chiede altro che amore, « E chi l’ama, risponde alla sua legge. \ Fine del Canto II. Canto III. La Dea pensosa del decreto santo Le fide amiche abbandonar sostenne Fralle dolcezze dell’ eterno canto. Della porta del ciel che su perenne Adamante stridea , varcò le soglie; E tutte ai venti abbandonò le penne. Par che pensiero in su pensier germoglie, : E col dubbio la mente egra affatica, Qual chi affetti contrarj in seno accoglie. Era nell’ ora dei silenzj amica Quando la notte i veli suoi distende Sul muto volto della madre antica, E pur sui regj tetti il sonno scende Ospite breve, e oblia stanco il periglio Schiavo che i sonni del suo Re difende: | ; 43 E pur dorme il tiranno, e chiude il ciglio Sol di lacrime vago afflitta madre, Madre che geme sull’ estinto figlio. Ma intorno al duce dell’ eterne squadre Era la notte orribilmente chiara, Pel truce brando che gli affida il padre. , Or con tremenda maestà prepara Muto e librato sul vigor dell’ale L’ urna, tesor della vendetta amara. Solo una stilla coll’ acciar fatale Di quell’ ira libò, ch’eterno dura Colà dove il dolor fassi immortale. E pien di riverenza e di paura Volse il brando che a’rei mai non perdona, Nel muto grembo della nube oscura. Con sì orrendo fragor squarciasi e tuona,, Che fulmine che piombi all’Alpe in vetta, Onde il cielo, la terra, e il mar risuona, Ti par sospiro di gentile auretta : E in mille nembi o Dio la nube apristi, E ogni nembo recò la tua vendetta . Ma tu sull’ alma rimbombar t udisti 0, Dea quel tuono, e le procelle orrende Prima col guardo, e poi col vol seguisti. Non sì pronta la folgore discende, , Nè, sl veloce quell’ idea balena Che sol dagli occhi l'intelletto apprende, Come fra notte procellosa , e piena Dei tumulti del ciel,, muove Ja Pia, . Nè.l’ aria intorpo le si fa serena. Sol quella luce che dai nembi uscia, Peri cui del nume la' vendetta è lieta; Le fu maestra dell’ eterea Via; 44 E poi qual oste in suo furor segreta Ogni nube ammutì dove dechina Il Tosco fiume, e dentro il mar s’ acqueta Ma del fato di Dio l’ ira vicina Non si ascose alla Diva, e il vol ritenne Lungi dal nembo che pel ciel ruinaj E scorse il mar dalle sonanti penne Agitarsi dei venti, e sopra l’ onde Sparse e infrante volar sarte ed antenne . | Pugnar col flutto il flatto , o nelle sponde Fremer spezzato, e dove sorge in monte, Tosto aprirsi in voragini profonde . Allor le nubi al divin cenno pronte Piomban feconde per acque infitite; Par che col mare un altro mar s' affronte . Dal ciel discese, e non al ciel salite Eran le nubi, sicchè detto avresti L’aer, la terra, ogni elemento in lite: E parte qui di quel furor vedresti Che al mondo paventar fè l’ore estreme, Quando i flutti ogni reo provò funesti. Fur le discordi belve unite insieme, E sovra l’ acque in breve spazio accolta Del confuso Universo errò la speme. Qual uom che tema, e pur temendo ascolta, Pietà si volge ove imperversa il fiume Torbido per immensa neve sciolta, E minaccioso e rapido presume Pugnar col mare, e il mar con lui s' adira, Che sull’ opposte moli alzò le spume. Freme il respinto fiume, e trova l'ira Ov' ebbe pace, e Ù calle suo depreda, Nè in vasto campo il vincitor respira. LU] Ogni nube che in ciel par che succeda, Qual schiera a schiera, accresce il violento Che reca innanzi al suo furor la preda. _. Va l’umil gregge col superbo armento, Che vinto cede alla stanchezza , all’ onda, Che fere e volve in mille giri il vento . Or che di forze insuperbito abonda, Come fiume divenne ogni ruscello, Nè i lieti campi mormorando inonda, Ma freme sì che mal diresti: è quello, Che a stanco pellegrin temprò l’ ardore, E le chiome educò dell’ arboscello, Che rese l’ ombra a chi gli diè l'umore; Or lo travolge, nè gli fa ritegno Grata memoria dell’antico amore: E una sol’ora abbatte, ed uno sdegno ( Voi felici che morte or più marita ) Colla feconda vite il pio sostegno. Arno, divenne per l’esempio ardita De’ rivi tuoi l’umil famiglia, e pare Schiavo che l’ire del tiranno imita. Tu quei diluvj accogli, e a te son care Prede maggiori, e i larghi campi occupi Coll’onde vaste che non placa il mare . Tu vai rotando per pelaghi cupi Impetuoso , torbido, fremente E le selve antichissime e le rupi . Mesta Pimplea, deh tu mi torna in mente Flebile istoria, e il canto mio simile Suoni a tua voce che nel cor si sente. Vivea bella e pudica in tetto umile, Ignota al mondo e tutta in sè romita, Elpina, in rozze spoglie alma gentile: FA Sa colla spola tollerar la vita; La notte aggiunge alle fatiche, e desta | La fiamma che nel cenere è sopita. Frutto di breve Imene un sol le resta Tenero figlio, e già per lui s’ affanna, E vaghi panni al pargoletto appresta: E le dolci opre sue talor condanna, E le rinnova, e in farle più leggiadre Lieta le notti spaziose inganna. Mal de’ tuoi doni ornar tu speri, o madre, Vittima chiesta da fatal decreto, Nè dirti udrai: quanto somiglia il padre ! Nè ai fonti noti andrà superbo e lieto, E dolce invidia a’ giovinetti uguali, E di fanciulle Alfee sospir segreto. Ma certo annunzio de’ futuri mali Apparve in sogno all’ infelice Elpina , Il marito che i flutti ebbe fatali. Lacero il volto avea; l’onda marina I suoi capelli aggrava , e bagna il petto Alla mestissima ombra, e già vicina Turba i riposi del pudico letto , E sembra dir: non mi ravvisi ? oh come Cangiò l’ onda e la morte il noto aspetto ! Sul labro che chiamò l’ amato nome , Mentre il flutto lo chiuse, imprimi i baci ; E dal viso togliea 1’ umide chiome. Risponde Elpina: Ancor così mi piaci , Che t’ amo, e casto il comun letto io serbo, Che diede a tanto amor gioie fugaci. Fuggo dei grandi il limitar superbo, E sull’orme paterne il figlio io guido. E l'ombra a lei dopo un sospiro acerbo: 47 Quando il cor mi ferì l’ ultimo grido. Del rapito nocchiero, al mar gridai: Rendi almen questo corpo al patrio lido . E dall’ incerto abete, ove pugnai Coi flutti irati e con i venti in guerra , To stanco invan sul piano immenso i rai u Pur desiosi di mirar la terra: La veggo alfine: ahi mi respinge il vento Mentre l’ adunca mano il lito afferra: Pere fra i suoi ruggiti il mio lamento. Su te misera madre, oggi si vuole Far prova, e tosto, di maggior tormento. Il figlio tuo, prima che splenda il sole . . . Gridando aperse il ciglio , e colle braccia Tentò le piume, e ricercò la prole. Arno con improvvise onde minaccia Il fragile tugurio: ella s’aita Sol delle grida , e il pargoletto abbraccia . L’umil casa d’ Elpina era munita Nel fianco estremo con sottil naviglio , Già testimon della paterna vita, E sol retaggio ch’ ei lasciasse al figlio: Di quella nave che fu sì negletta , Sovvenne all’ infelice in quel periglio . Fuor delle piume vedove si getta: Fra l’ombre e i rischi al pargoletto è guida , E più si duole quanto ei men s’affretta. Sè colla prole a gracil barca affida La sventurata, e mentre il vasto orrore Ode suonar di solitarie strida, In duo si frange il legno, e tanto amore Parton l’ onde inumane , € traggon seco E madre e figlio con opposto errore: 48 I E un lampo onde racceso è l’ aer cfeco, Tosto ad Elpina il pargoletto addita Che grida: o madre mia, non son più teco. Diè un’ alto grido , e per gran lutto ardita Si lancia, e nuota nelle vie profonde, E chiede al fiume incontro al fiume aita; Ma ognor dal figlio la dividon 1’ onde: Stanca, oppressa, anelante , alfin tu riedi Colà dove del fiume eran le sponde, E manca il suol sotto gl’ incerti piedi: Cadea l’ umil tugurio; erran sull’ acque Della povera casa i dolci arredi. La culla fida a cui vegliar sì piacque Con dolce studio a’ genitori amanti, Notar mirò la dolorosa, e tacque. Ma poi si spinge forsennata innanti Gridando, o figlio ognor seguirti io voglio... L’ onda nemica insegue i piè tremanti. L’alcione così quando allo scoglio Il dolce nido che fidar vi suole, L’ onda rapì con improvviso orgoglio, Vola sui flutti, e con il mar si duole; Ma pur segue il furor dell’onde infide, Vano soccorso alla rapita prole , Infin che il flutto vincitor divide La fragil casa, e mentre il mar la inghiotte Fugge la madre desolata , e stride. Ma tu peristi, Elpina; orride grotte Fur sepolcro al tuo figlio: almen pietosa Il suo destino a lei celasti, o notte. Oh potessi ne’ carmi andar famosa 'Tu, di materno amor sublime eccesso ! Stolto chi reca alla viltà fastosa T. IX. Marzo L’ onde spregiate del vocal Permesso! Pera anco il nome de’ tiranni, e note Sien le mute virtù del volgo oppresso . La Dea mirò dalle celesti rote L’orribil caso, e giù per gli occhi eterni ‘ Scendeva il pianto ad inondar le gote . Ma una voce gridò: mira ai superni Gerchi, e nel vero ch’ ogni dubbio solve, Qual’ occhio in mare il tuo pensier s’interni . Piangi i ludibrj della fragi] polve ? Gioie immortali a quella coppia appresta L’amor che prende ciò che a lui si volve. Appena il sol spargea di luce mesta I muti campi: ma cessò lo sdegno Sull’ orribili vie della tempesta . Fra nube; ove raggiò di pace il pegno, Avean quell’ alme elette il vol converso Alla quiete del celeste regno. Mille color traea dal sole avverso La pinta nube, e di quei spirti il viso ; Ognora si facea bello e diverso: . Ma la letizia di perpetuo riso Tutta in lor si diffonde allor che presso Sente l’eternità del paradiso . E poi, siccome il sol cela in sè stesso La propria luce, a sè gli univa Iddio Che cinge i suoi con infinito amplesso. Allor conobbe che cessato il rio Morbo, e compito era il decreto santo: E fra stuolo volò tenero e pio Quella Dea che a’ mortali insegna il pianto. Fine del Cante III. x 50 M. Arti PLAUTI comoédiae quae extant ex recensione F. H. BorHe. Augustae Taurinorum, ex typis viduae Ponza et filiorum, anno MPeccxXII. Questo primo tomo delle commedie di Plauto è il decimo ottavo dell’ edizione de’ classici latini, impresa dal Pomba in Torino. Ond’ è palese, quanto grande sia la sollecitudine degli editori: di che rendiamo loro mas- sime grazie. Imperocchè avremo noi bentosto, essi di- ligenti, un’ edizione de’ nostri classici antichi, nuova, compiuta, e degna del nome italiano. Il Pomba è giovane animoso, che ama più l’arte che non il guadagno: oltre- chè si è meritata l’ amicizia del professore Carlo Bouche- ron, il quale è a’ presenti tempi elegantissimo scrittore nell’ idioma del Lazio, e buon grecista. Quindi l’ inten- zione del primo, la perizia dell'altro, e l'essere amendue concordi, rendono l’opera di essi utile a questa patria co- mune; la quale ha bisogno che sieno insieme congiunti chi pensa e scrive, con chi è nella tipografia ministro di chi sa leggere. Il Boucheron è solito aggiungere un’opportuna pre- fazione al primo volume d’ogni classico: ed in quella, che ora leggiamo innanzi le commedie di Plauto , sono da notarsi le seguenti parole che io traduco. « Tanto più vo- lentieri ho posto mente all’ edizione d’ un lepidissimo au- tore comicù, in quanto che niun altro libro mi pareva come questo idoneo ad eccitare la quasi spenta tra noi giocondità della scena. E chi può non maravigliare veg- gendo in questo paese, ov’ erano gli scrittori un dì cele- brati pe’ motti e per le facezie, esser ora soltanto in pregio i lacrimevoli poemi, deposto al tutto lattico stile? Chi può sopportare quella commedia , in cui sieno tanti casi d’odio e di sdegno, che a pena la tragedia gli ammetta ? Sono forse gli uomini così rivolti alla mestizia, che nel pian- to cercano il diletto! Tanto ha potuto in noi la perversità 7 51 delle opinioni e l’ammirar le cose altri! Così nella no- stra adolescenza gli ossianeschi studi corruppero quasi tutti i generi della nostra poesia; volendo gli uomini, nati sotto il chiaro sole d’ Italia, infonder nelle scritture la mestizia e l’inopia della settentrionale natura. Così da’ modi del dire francese e da’ colori della letteratura di Spagna era stato poco prima infetto il candore nativo del- l’ eloquenza italiana. Nondimeno la mutazione avvenuta nel nostro teatro mi sembra di gran lunga peggiore. Iin- perocchè dovendo la commedia ritrarre i costumi e le consuetudini domestiche, e non essere perciò d’ altrove assunta, mon è egli un gran danno massime in questa età, che la nostra scena manchi d’ atti giulivi! Solevano i romani, ne tempi calamitosi e difficili della repubblica, distrarre la moltitudine da’ serii pensieri con grande ap- parecchio di giochi donati dagli edili: e noi stanchi dalle calamità passate, quando riposiamo a pena da’ civili stu- di, saremo privi degl’ innocenti scherzi che dà Talia? » Ogni volta che odo rammentare gli avi latini, sento ancor io il bisogno di rallegrare l’ animo nelle commedie del Lazio. Ed aprendo il libro di Plauto, m’ arreca subito diletto poichè vedo Mercurio e Giove comparire in scena. Beato quel popolo che quando era nell’ozio, quando rideva «e applaudiva in teatro, aveva innanzi agli occhi i numi, tali quali erano, della isbafibifo. E la buona morale, e il desio del sabiica bene, tanto più s' insinua e ferma nel petto agli uomini, quanto più si dimostra (ben dice il professor piemontese ) con argomenti idonei alla nostra matura e senza cupi colori. Quindi mi piace udir da lui questo discorso, che tende a migliorare la commedia nella presente Italia; perchè egli vive in luogo, dov è chi adopera com'ei favella. Infatti l’avvocato Nota è pur del Piemonte, e seguita le vestigia del Goldoni, studiando di mantenere quanto ei può la naturalezza , la semplicità , il buon ordine e il buon costume, nell’ universalità de’ nostri teatri. 5a i Altri discorsi fa il Boucheron, da uomo erudito, in- torno a’ diversi modi e tempi della commedia greca e della latina, con allusioni continue alle nostre usanze. Nè potremmo a lui eontradire se non forse in questo, ch° ei vorrebbe le commedie , anche nel nostro idioma, dettate in versi. E certamente non mancano in ciò gli esempli: e sì può citare l’ Ariosto, il Goldoni medesimo, e più ancor l’ Alfieri: e quando pur l’ esempio mancasse, non è sì po- vera la nostra poesia, che non potesse offrire un qualche metro idoneo agli scrittori comici. Ma la nostra lingua è tan- io armonica nella stessa prosa, che troppo'divien cantabile a’ commedianti, aggiungendole il poetico metro. I nostri attori sono spesso inabili a proferire senza cantilena le più umili prose. La nostra stessa familiar conversazione pare agli stranieri un continuo e dolce canto. Oltrechè non so come si convengano al linguaggio poetico molte volgaris- sime locuzioni, che non sì possono bandire dalla comme- dia. Pertanto è desiderabile che nasca alcun poeta capace d’ ornare le nostre scene con nobile e comico ‘stile: ma se non erro , è la prosa molto più idonea a chi debbe imita- re la nostra quotidiana favella. E comunque ciò ‘sia; il Boucheron conclude bene il suo discorso ; mal sofferendo le commedie rozze e fastidiose, di che s° 'ablolidà e de- siderando che lo stile non sia estone ; Nè privo lune degli altrijornamenti , quando non abbia l’ armonia poe- tica . Del resto l'edizione del Pomba è bella, comoda e cor- retta. Nè dubitiamo che non sia per esser tale ancor quel- la, ch’ ei prepara de’ classici greci ; imperocchè gli 'editori sono questi medesimi, ed hanno già dato prova di quanto vagliano eziandio nel greco idioma , da essi introdotto spesso con be’ caratteri e con somma correzione nelle note apposte'a’ classici latini. AnToNIO Brxcr. ==- — 53 Riflessioni sulle colonie in generale, e in particolare su quelle, che si converrebbero alla Francia: del signor mALTE-BRUN. Estratto dagli annali di Viaggi Parigi 1822. Due grandi rivoluzioni hanno tolto all’ Inghilterra ed alla Spagna gran parte delle immense provincie, sulle quali dominavano nel nuovo continente. Questo fatto pa- re il trionfo d’ una classe di scrittori, i quali disapprova- no ogni sorta di stabilimenti coloniali, supponendò che questi non possono essere per lungo tempo vantaggiosi ai popoli fondatori, e proporzionati alle anticipazioni che son costretti a fare. Un pubblicista, che è divenuto l’oraco- lo della moltitudine, sì lusinga di aver poste in discredi- to tutte le colonie per modo, che ardisce di proporre ai governi, i quali ne conservano ancora, di cederle o di di- chiararle indipendenti. Le satire della critica, e le do- glianze presentate dall’ interesse delle colonie hanno po- tuto eccitare il rimorso nell’autore di questo sistema, ma non hanno impedito alle sue massime di divulgarsi anche fra gli uomini di stato. Questi principi magistrali eserci- tano una influenza pericolosa in Francia più che altrove, perchè i difensori delle colonie non hanno risposto alle idee nuove e seducenti del signor de Pradt, alle sue. teo- rie in apparenza solide, alle sue predizioni avverate se non che ‘con ragionamenti giusti in qualche parte ma vecchi, e in qualche parte incerti come quelli degli av- versari. L’abitudine e la speculazione hanno ugualmente il difetto di rendere troppo generali le idee stabilite sulle «colonie. Noi ci lusinghiamo di spargere nuova luce su questa discussione importante, impiegando le distinzioni necessarie. Ma queste distinzioni, benchè tratte dal fondo dei fatti, non saranno da noi sviluppate con la soverchia precisione che han messa in voga alcuni autori di teorie. Tutte le colonie possono dividersi in sette classi: 1. 54 colonie stabilite per la caccia o la pesca:-2. colonie com- merciali e militari: 3. colonie destinate per le culture e- sotiche: 4. colonie destinate per i lavori delle miniere: 5. colonie per i deportati: 6. colonie destinate a fondare nuo- ve nazioni: 7. colonie miste . Classificheremo le nostre idee secondo questa divi- sione, assegnando a ciascuna specie di colonie il carattere, i vantaggi e gl’ inconvenienti, che le sono propri: e spe- riamo di ricondurre nel sentiero della verità e della sag- gezza le opinioni traviate da un principio, che si è reso falso rendendolo generale . S. 1. Colonie per la caccia e la pesca . Siccome il commercio del pesce e dell e pelli è fon- dato sopra un bisogno dirò così perpetuo , produce un suadagno sicuro all’ uomo industrioso , il quale và iu cerca degli animali delle foreste o degli abitatori delle ac- que. Le foreste e le acque sono regioni inculte che ap- partengono a popoli deboli, i quali non varrebbero a respingere gli assalitori. Così fra tutti gli stabili menti che si possono fare fuori del proprio paese, le colonie di pe- scatori e di cacciatori sono le più semplici, e d’ altronde non sono le meno utili. Il Canadà e la Siberia ne offrono due esempi luminosi. Il commercio di Londra e di Mosca impiega numerose partite di cacciatori, che s’ incontrano nell’ opposto emisfero, dopo avere esterminati gli anima- li da pelli in due parti del vecchio mondo . I due più grandi imperi dell'Europa non potranno un giorno o l’al- tro evitare una guerra o almeno una disputa per poche pelli di volpi o di lontre, due specie d’ animali, che ri- nunzierebbero volentieri all’ alto onore di dar motivo ad un decreto d’ un parlamento o d’un imperatore. Queste colonie non hanno sicuramente per iscopo d'incivilire i popoli: il cacciatore anzi si affligge quando vede che la cultura sociale viene a restringere il deserto, che è il suo impero. La colonia di coltivatori, che il signor 55 Selkirk ha stabilita sulle rive del fiume rosso, si è veduta assalire colle armi dagli agenti della compagnia del N.0. la quale riguardava questa colonia come un ostacolo al suo dominio sui cacciatori del paese. Ma queste rendite delle regioni inculte, per quanto possano essere di molto guadagno per un momento, si distruggono ordinariamen- te da sè, perche non si potrà mai stabilire in mezzo a un bosco disabitato una legislazione per proteggere la conser- vazione degli animali. I cacciatori russi e canadieni si la- gnano di già della diminuzione del selvaggiume. Ma nella Siberia i coltivatori, i minatori e altre classi industriose tennero dietro ai cacciatori; e mentre si esterminavano gli animali, si moltiplicavano gli uomini, e oggi la Siberia colle sue città floride, le sue ricche miniere, ed un lucro- so commercio è un bel regno aggiunto ad un bell’impero, e vi è unito con legami molto più forti che la Polonia e la Finlandia . E questo resultamento è dovuto all’essere i due paesi limitrofi. Il Canadà non proverà mai un cangiamento così universale: le sue colonie di agricoltori resteranno concen- trate sui laghi e sulle rive del fiume San Lorenzo: ma quan- do l’ Inghilterra rispetti la costituzione e le leggi del Ca- nadà, non deve temere che questo paese si unisca mai per mezzo d'una ribellione agli Stati-Uniti,che non hanno potu- to conquistarlo con le armi alla mano. Le colonie di pescatori possono rendersi più durevoli: il grand’oceano è una miniera inesauribile; sono i pericoli della pesca’ nei mari gelati che fanno i migliori marinari dell’Inghilterra e degli Stati-Uniti; ma questa sorgente di ricchezza è temporaria, e non esige lo stabilimento di grandi colonie; anzi le esclude . Gl’ isolotti di San Pietro e Michelone son forse poco per la Francia, ma la popolazione di Terranova che ascende a settantamila abitanti è nociva all’ Inghilterra invece di esserle utile ; perchè questi coloni, che sono principalmente irlandesi poveri, ignoranti ed infingardi, 56 mancano spesso di mezzi per vivere. E fino il ministro delle colonie sì è veduto costretto con dispiacere a prendere delle misure per l’ ordine interno di questa colonia, che si è stabilita senza l'approvazione del governo. È chiaro che l’Inghiterra non può vedere con indifferenza che quell’iso- la, È quale ‘domina per la sua situazione sopra una parte sì vasta dell’oceàno boreale, sia abitata da un popolo che non ama gl’ inglesi. La costa del Labrador, che è abitabile almeno nella parte inferiore, è sequestrata, per quanto pare, dagl’inglesi, onde impedire alle altre nazioni di stabilirvisi, sebbene poi anch'essi la disprezzino. La Groenlandia danese è una colonia di pescatori, che potrebbe acquistare una maggiore importanza, se il governo contento d’un piccolo ma certo guadagno, non ricusasse di tentare ogni intrapresa un poco ardita. Probabilmente l’in- terno di quel gran paese non è affatto privo di animali da pelli. Di che viverebbero gli abitanti, dei quali ha vedute le traccie il capitano Scoresby sulla costa orientale? Ma i pescatori di balene troveranno piuttosto a Spitzberg un porto, che sia sgombrato assai per tempo dai ghiacci, e adattato a uno stabilimento per la preparazione dell’ olio. Gli olandesi abbandonarono Smeerenborg perchè le balene erano fuggite da quei paraggi; ma non potrebbe darsi che dopo un secolo di pesca meno attiva vi sì fossero molti- plicate di nuovo? 7 Dove troverebbe la Francia nell’ oceano polare artico un posto per la pesca della balena? Tutte le coste, anche quelle che non sono occupate, hanno un sovrano almeno di nome. Ma sia detto per consolazione dei francesi, la pe- sca in quei mari è ogni anno meno profittevole, per la di- minuzione progressiva del numero dei grandi cetacei. Si sono rifugiati forse nei mari della Siberia all’oriente di Spi- tzberg? bisognerebbe verificarlo; ma per i mari situati tra l'America ed il polo; le navigazioni di Ross e di Parry di- 57 mostrano per quanto pare che le balene non sono molte nelle altissime latitudini. La pesca nei paraggi ove i cetacei abbondano probabilmente tuttora sarebbe più utile ai Nor- vegi, che son più vicini ai mari polari. Una conquista più grande e più facile chiama gli attivi francesi nel vasto oceano australe, ove la terra di Kerguelen, sulla quale la Francia ha il diritto incontrastabile di prima scoperta, presenta una stazione superba per ‘una gran colonia di pe- scatori.I porti di quest'isola sono molti ed eccellenti; il suo clima si troverà probabilmente men rigido di quel che si è detto; sarebbe un luogo adattatissimo per mandarvi i de- portati. E perchè i deportati non potrebbero impiegarsi nei lavori che esige l’estrazione dell’olio di balena, e la prima preparazione delle pelli dei grandi cetacei? L’isole di Ma- rion o di Crozet, e quelle di San Paolo e d’Amsterdam po- trebbero servire di stazioni secondarie; e chi sa quali altre scoperte non si presenterebbero a un navigatore ardito, il quale osasse ad imitazione di Cook d’ inoltrarasi verso il polo australe nelle longitudini non esaminate dai viaggia- tori precedenti? S. 2. Stabilimenti commerciali e militari. Ecco un altro genere di stabilimenti lontani, al quale una gran potenza marittima avrebbe torto di rinunziare . Ma è forse dubbioso se sia savio consiglio per una potenza di un ordine inferiore di arrischiarvii suoi capitali; si po- trebbe anche discutere se vi sia un mezzo di fare un com- mercio marittimo estesissimo senza quest’apparecchio di. spendioso. Cerchiamo primieramente di stabilire qualche massima. Le colonie commerciali nel senso puro e semplice del termine hanno per iscopò di provvedere ai bisogni d’un po- polo poco culto, poco industrioso 0 poco attivo, portando- i gli quelli oggetti che sono più propri a lusingare le sue in- clinazioni, prendendo in cambio le sue produzioni preziose - e guadagnando sulla vendita e sulla compra. È evidente che 58 i una fattoria ben fortificata con un buon porto unito per la facilità delle comunicazioni, basta per formare una colonia commerciale. Quanto più è ristretta, tanto più facilmente può difendersi. I Fenici lo sapevano;non cercavano d’ impa- dronirsi d’altro che delle isole e delle piccole penisole. Carta- gine determinandosi alla conquista della Spagna uscì dalla sua sfera; l'Inghilterra ha fatto altrettan to,soggiogando l’im- menso paese delle Indie; tutte e due sono state trascinate dalla forza delle circostanze; ma Cartagine pagò la pena del suo fallo cessando d’esistere, perchè ebbe subito dopo a com- battere colla politica abile e perseverante dei Romani. L’In- ghilterra è in tempo a riparare il suo errore, per la lonta- nanza dei suoi rivali, e perchè ha da combattere solamente colla politica russa poco capace di concludere, e colla po- litica francese incapace di terminare. Gl’inglesi dopo aver dato un governo alle Indie potrebbero limitarsi a conser- varnela chiave, concentrando le forze europee nell’ iso- la di Ceylan, che diverrebbe l’ Inghilterra asiatica; regne- rebbero da quel posto eminente su tutti gli stati indiani e musulmani, fra i quali procurerebbero sempre d’impedire ogni alleanza, e dai quali continuerebbero ad escludere gli altri popoli europei, sopratutto i militari francesi. Se non è precisamente questo lo scopo attuale della politica inglese, è almeno il ripiego che si riserba, o piut- tosto è il peggio che le può accadere . Forse l’ Inghilterra tenterebbe con successo per un secolo di regnare sulle Indie in nome dell’imperatore dei Mongoli risuscitato, oppure in nome d’ un senato di bra- hmani; niente è impossibile all’ ardire ed alla costanza del genio britannico; e la gloria di rendere l’India civile continuando a perciperne le rendite , è stata una gran tentazione per alcuni uomini superiori come Jones, For- bes e Macintosh; la libertà della stampa ha posti in moto tutti gli spiriti culti fra i cento cinquantamila inglesi o di- scendenti d’ inglesi, che risiedono nell’ Indie; in fine tutti 59 cercano coll’ imaginazione l’ avvenire: le idee più estese Si propongono, si discutono nei giornali di Calentta e di Bombay. Ma sebbene gl’ inglesi abbiano poco da temere per parte d’un nemico o d'un rivale europeo, devono pre- vedere i pericoli che gli minacciano per parte delle tribù guerriere degli Afsani, dei Mongoli, dei Maratti, e i peri- coli anche più grandi che nascerebbero da un grande ac- crescimento nella popolazione inglese, accrescimento dif- ficile ad evitarsi quando si volesse conservare un impero immediato sull’India continentale . La pubblicità e la libertà di queste discussioni sui rischi dell'impero delle Indie devono impedirne la perdita improvvisa e totale. Se nel 1770 l'influenza del parla- mento e la. libertà dei giornali fossero state tanto estese come lo sono ai nostri giorni, l'Inghilterra avrebbe potuto conservare anche le provincie dell’ America, le quali si sarebbero credute allora abbastanza felici ottenendo sen- za guerre e senza spese il dono d’una costituzione libera. Le illusioni e l'orgoglio d’un ministero, sul quale s° invi- gilava ben poco, e il quale non era raffrenato dall’opinio- ne, furono le sole cagioni che produssero lo smembra- mento dell'America, il quale d’altronde non ha diminuito la potenza dell’ Inghilterra . Ad eccezione delle Indie e del Canadà, le principali colonie inglesi corrispondono all’ idea che abbiamo data delle colonie commercianti e militari; ma ciò che bisogna notare ed ammirare in questi stabilimenti si è la catena che gli congiunge. Helgoland, Jersey, Gibraltar, Malta e Corfù sono i cinque osservatori, e le cinque piazze forti di mare, dalle quali la politica iglese sta guardando il commercio e la navigazione di tutta l’ Europa. I porti d’ Halifax, di Terranova, dell’isola del capo Bretone, le Bermude, le Vergini, la Barbada, Santa Lucia, la Trinita, la Giamaica, 1’ Yucatan formano la gran catena che cin- ge per ogni lato l’ America, catena che diverrebbe indis- 60 solubile se il porto della Havana ne fosse il primo anello; ma come ottenerne la cessione? Come riunirvi una popo- lazione d° inglesi fedeli, e tali che si lascino governare colle leggi britanniche? Può darsi che queste due osserva - zioni bastino per contrappesare nei saggi consigli del go- verno britannico il desiderio vivo e costante, che manife- sta la parte commerciante e marittima della nazione in- glese, di occupare la Havana. Se passiamo a considerare i mari dell’ Africa e la strada delle ]ndie orientali; 1’ isole dell'Ascensione, di Sant'Elena; il capo e l’isola di Francia ci presentano una catena perfetta in geografia; ma è un danno notabile di dover tenere una guarnigione per ve- gliare sugli abitanti del capo e dell’ isola di Francia: così il governo inglese cerca sotto il pretesto di aprire un asilo agl’ indigenti, di chiamare nelle parti orientali della co- lonia del capo una popolazione d’ inglesi-scozzesi, desti- nata a servire un giorno di contrappeso alla colonia olan- dese. Veramente meriterebbero d’ essere umiliati questi indolenti abitatori d’un paese, di cui potevano difendere con tanta facilità le parti interne, anche limitandosi ad una semplice ritirata; perchè in fine come mai gl’ inglesi avrebbero osato d’inoltrarsi a due e trecento miglia den- tro terra con le piccole forze che restavano disponibili, dovendo lasciare una guarnigione alla difesa della città del capo. Perciò che riguarda l’isola di Francia ne parlere- mo dopo: proseguiamo ad esaminare la catena delle colo- nie inglesi.L’isola Santa Maria nel fiume Gambia, e il capo Coast sulla costa della Guinea sembrano una meschinità per una nazione, la quale nei suoi continui tentativi per penetrare in Tombuctu lascia travedere le mire che ha sul commercio di tutta la Nigrizia; ma sicuramente gl’ ingle- si non aspettano altro che il momento in cui saranno in- formati dai viaggiatori del vero corso del Niger, onde sce- gliere i posti che giudicheranno a proposito di occupare. Nei mari dell’Africa orientale le mire degl’ inglesi sopra _6i Mozambico, Quiloa, Mombaza, Mussua, e il porto di Mor- ningbon non sono più un mistero per chi ha lettò le rela- zioni dei viaggi di Valentia e di Salt. Un intervento ono- revole per distruggere la pirateria nel golfo persico glitha determinati a proporre la fondazione d’una nuova Ormuz nell’isola di Kbmess. Costretti da ragioni d’alta politica a restituire all’ Olanda l’isole di Java e di Banca, e Malaca hanno mandato a Bencolen l’attivo e intrepido Raffles; la florida colonia fondata da questo grand’ uomo di stato ha dimostrato subito dopo agli olandesi, che non sono più gli arbitri dei mari dell’oriente, e che l’isola di Poulo-Pi- nang èil primo anello d’una nuova catena di colonie inglesi, la quale un giornosi estenderà sopra Macao, e Balambangan; e forse anche passando per Formosa, e per le isole Liukiù fino all’impero del Giappone, chiuso invano agli europei da una legge : inospitale. In fine la nuova Galles australe e la terra van Diemen sono i primi germi d’un impero . che si estenderà su tutta l’ oceanica, ove i religiosi missio- nari d’ Otaiti aprono la strada al cristianesimo; e nel me- desimo tempo al commercio ed alle arti . ‘Qual vasto edifizio! e quale unità nel suo tutto! una colonia sostiene l’ altra; una guarnigione vola in soccorso dell'altra: si recluta un corpo d’armata senza il soccorso della metropoli negli angoli più remoti del globo. Per tutto porti, luoghi d’ asilo, magazzini, arsenali. Ma, e d’al- tronde quale spirito nazionale! Quale armonia fra:le mire del governo e i sacrifizi dei privati! qual criterio anche nelle idee dei più semplici navigatori sugl’ interessi della patria, sui mezzi di estendere la sua potenza! qual rispetto e quale amorevolezza peri viaggiatori che vanno in traccia di nuove terre, e per i dotti che preparano le scoperte, e ne dimostrano l’ utilità ! tutto si muove liberamente e senza confusione verso uno scopo unico, l'impero univer- sale dei mari. « Quicunque mundo terminus obstitit 62 « Hunc tangit armis, visere gestiens « Qua parte debacchentur ignes, « Qua nebulae pluviique rores. Quando si conosce l’insieme delle colonie inglesi, e quan- do si è acquistata una idea delle catene che le congiungo- no, s'intende bene che le altre nazioni vengono troppo tar- di per far nascere ai nostri giorni una rivalità disperata, e la quale non ha la più piccola combinazione a suo favo- re. Ma astenendosi dal combattere coi padroni del mare, v'è qualche nazione europea che può fondare più d’ una colonia molto meno estesa, ma pure tanto utile da non me- ritare l’orgogliosa indifferenza dei:nemici delle colonie. Il Portogallo perdendo per sua fortuna il Brasile, che è giunto all’ età maggiore, conserva ana quantità di colo- nie commerciali e militari, che possono essere. estese e consolidate purchè il governo sia illuminato, ed il popolo dia saggio di energia. È vero che le Azore e Madera sono unicamente belle provincie, non già colonie nel senso com- merciale; ma il porto delle isole di San Vincenzo presso il capo Verde ha acquistata un’ alta importanza. Le isole | situate nel fondo del golfo della Guinea, quasi dimentica- te dalla geografia, ecciterebbero probabilmente l’ avidità di tutte le potenze marittime, se si conoscessero meglio i fiumi che vi discendono. Le comunicazioni fra Angola e Mozambico per la via di terra, le quali esistono senza dub- bio, danno ad ogni uomo che è istruito in queste materie un’ idea di ciò che potrebbero fare i portoghesi nell’ Afri- ca australe, se prendessero ormai la ferma risoluzione di proibire sinceramente la tratta dei negri, che tengono tuttora in vigore per i bisogni del Brasile. Allora le tribù africane che risiedono nelle vaste terre tra il Congo ed il Zanguebar, i popoli che vivono sulle rive del lago Mara- vi e alle sorgenti del Zambeze non avendo più nulla da guadagnare col rapire e vendere i loro simili, tornereb- bero alle pacifiche occupazioni dell’ agricoltura, riprende- 63 rebbero il bel carattere d’uoinini che hanno perduto, le arti ed il commercio penetrerebbero in quelle regioni sel- vaggie forse più fertili dell'Africa superiore, e il Portogal- lo arbitro dei grandi fiumi che discendono dal pianoro centrale conserverebbe facilmente il monopolio di questo nuovo ramo di ricchezza. Ma la libertà politica che hanno recentemente acquistata, renderà poi ai discendenti d’Al- buquerque, ai concittadini del principe Enrico il coraggio dei loro padri? L’ Inghilterra seguirebbe i principi d’ una politica sicurissima, sebbene in apparenza molto generosa, qualora guidasse il Portogallo in questa intrapresa, la qua- le in ultima ‘analisi riescirebbe utile a tutti i popoli mani- fattori. | L’isola di Timor può divenire il centro di un piccolo sistema di colonie nelle Molucche australi, sistema che legherebbe le mani agli Olandesi, i quali però senza dub- bio tenterebbero di soffocarlo fin dalla nascita. Ma nè Goa nè Macao può estendere le sua sfera; l'una e l’altra son due punti che si perdono nell’immensità delle colonie inglesi e degli stati chinesi; pure sappiamo che le rendite di que- ste due colonie bastano per pagare le spese d’amministra- zione,e che v'è maggior popolazione di quello che si credeva. Non sono dunque colonie da abbandonarsi, e noi crediamo fermamente che le corti non saranno disposte a rinun- ziarvi. Ma il venderle per qualche millione di lire sterline alla sola potenza che può trarne un gran partito, sarcb- be forse un’ operazione giudiziosa in finanza; del resto non si farà, perchè l’amor nazionale vi si oppone, e per- chè queste due colonie sono due trofei, che ricordano un secolo di gloria ed una generazione di eroi. Fra gl’immensi stati che appartenevano poc'anzi alla Spagna ve ne sono alcuni che devono considerarsi come colonie militari e commerciali. La Havana domina sulla navigazione del golfo del Messico; il suo porto comodo e sicuro lascia dietrodi sè tutte le rade pericolose della costa 64 messicana.Se la Spagna conserva la Havana, l’indipenden- za del nuovo impero messicano non le cagionerà nessuna perdita reale, perchè i guadagni d’un commercio ben di- retto, supereranno le piccole rendite pubbliche che traeva dal Messico dopo aver provvisto all’amministrazione e alla difesa di quel vasto paese. Il difetto della Havana è di far parte d’una grand’ isola fertile di zucchero, di una colo- nia di coltivatori, i quali hanno ben altri interessi che quelli:di un semplice commercio di transito e di commis- sione. I coloni sono costretti a desiderare che le produzio- ni del Messico, e particolarmente lo zucchero, non passi- no in Europa, ove nuocerebbero all’esito delle produzio- ni dell’isola: i negozianti e gli armatori devono al. con- trario desiderare che le esportazioni del Messico. siano favorite in tutti i sensi ;per estendere i propri guadagni . La Havana e Cuba sono dunque due cose distinte in poli- tica coloniale; ma la Spagna ha qualche speranza di con- servare l’ una e l’ altra. La rivalità che regna fra l’Inghil- terra e gli Stati Uniti, particolarmente più viva in propo- sito di questa colonia , contribuirà molto a conservarne il dominio alla sua si ppt Cartagena era una colonia militare, che unita all’isola Margherita avrebbe potuto tener lungamente nella dipen- denza la nuova repubblica della Colombia. La Spagna ri- comincierebbe di là ia ricuperare gli stati perduti, se la sua debolezza presente non le impedisse finanche di pensar- vi; ma la vera politica della Spagna consiste in favorire l’in- grandimento di quello.stato che è capace d’impedire agl’in- glesi la navigazione dell’ Orenoco, e di toglier loro un gior- no anche l’ isola della Trinità. Questo è un articolo, sul quale ragiona giustamente il signor de Pradt, qualora sì supponga la. possibilità d’ un’ alleanza durevole tra i po- poli coltivatori di grani che risiedono nel pianoro della nuova Granata, ed i coloni coltivatori d’ indaco e di zuc- chero che vivono sulla costa infuocata del Caracas. Le vit- 65 torie di Bolivar non provano ancora che l’ unione sia nattr- rale e durevole, e le sue vittorie possono cessare colla sua Vita. Se i duegrandi stati della Colombia si separassero, la Spagna avrebbe ragione, quando le sue forze lo permet- tessero, d’ itbpadionirsi di quei due posti. Siamo stanchi’ di sentir nominare Montevideo e Bue- nos Ayres: il primo è senza dubbio un eccellente posto militare e navale per dominare sull’ ingresso del Rio della Plata; finchè “la repubblica di BudhosAyfe non avrà Mon- tevideb sulla costa, ed il Paraguay nell’interno, sarà sem- pre uno stato debole. La città di Maniglia è una vera colonia commerciale e marittima; della der le isole Filippine son vere alleate vassalle; è un gruppo di stati tanto bene incatenati dall’af- fetto degli abitanti indigeni al clero, e tanto diviso per sua Sofia da altre colonie europee, che sebben debole e non per anche incivilite, non deve temere grandi rivolu- zioni interne. La Spagna può sperare di mantenervi la sua autorità. i Si conosce l’alta importanza della piccola isola di Fer- nando sulla costa della Guinea ; l’insalubrità vera o pre- tesa di quella costa è il solo motivo che abbia tenuti lontani gli europei da un posto sì evidentemente utile per un popo- lo marittimo e commerciante. In potere dell’ Inghilterra, le quattro‘isole del golfo della Guinea potrebbero divenire uno stabilimento di grande interesse; servirebbe per di- struggere la tratta dei negri, e dominerebbe sopra un gran semicerchio di coste, nel quale si presentano mille vie fa- cili per penetrare nelle terre ignote dell’ interno. È difli- cile di credere che la politica mu non abbia fissati gli sguardi sopra un oggetto tanto Hlewante: si sa bene ch tutto ciò che l’ Inghilterra guarda fissamente diviene ben presto sua preda. E la Francia resterà sempre la più povera di colonie commercianti e militari tra le potenze marittime? la più T. IX. Marzo ò 66 povera? l’espressione è perfettamente giusta, mentre , la Danimarca, che ha solamente un ventesimo della popola- zione delle Francia le è superiore in questo genere di sta- bilimenti. Nelle Indie orientali, Tranguelar è una colonia indipendente, mentre Pondichery a tenore degli ultimi trattati non' è altro che una fattoria, la quale vien tolle- rata mediante certe condizioni proprie delle colonie ;sog- gette. Nelle Indie occidentali. il, solo: porto franco di San Tommaso è più utile per la metropoli, che la Martinicca e la Guadalupa. I Danesi non profittano dei forti ‘che hanno sulla costa della Guinea; ma un solo governatore abile e co- raggioso basterebbe forse per aprire da quella parte una co- municazione più sicura coll’interno, che della parta del Senegal. | Secondo il Signor d de Pradt può discutersi seriamente se la Francia abbia un vero interesse di possedere i in diversi punti del globo colonie commerciali e militari. I pubbli- cisti anti-coloniali si fondano con apparente ragione sul- l’esempio degli Stati Uniti; questa savia repubblica persuasa che‘ogni lontana colonia d’ una potenza marittima di se- cond’ ordine diviene senza fallo la, preda degl’ inglesi ap- pena questi si degnano di guardarla, non ha voluto fare il sacrifizio delle spese necessarie perla creazione ed il man- tenimento di piazze forti; non possiede veruno stabilimento lontano, e la.sua bandiera sventola su tutti i mari; i suoi negozianti sono 1 sensali dell’ antico e del nuovo mondo; il suo commercio ed 1 suoi bastimenti mercantili si spargono e s insinuano fino negli ultimi stati dell’impero ‘britanni- co; i suoi pescatori penetrano nel mar glaciale dell'uno e dell’ altro polo; si fa rispettare dalle reggenze barbaresche : che dico? ella isola esige tributi da quei corsari; per tutto osserva.l’Inghilterra , limita, è sua rivale, e sovente.sua uguale; l’ otel liana imperatore della China non esige da- gli americani sk niliazioni che;quelle che esige da- gl’inglesi. 67 ‘ Llesenipio singolare dellà Fepubblica degli Stati Uniti prova senza dubbio, clie una nazione attiva ed industriosa puù' per inezzo d'un sistema generale di neutralità rappre- sentii” ua delle prime parti rel commercio marittimo senza possedere una sola colonia; rina la Francia non si trova ‘ nelle medésime cir ‘costanize fisiche e morali , che rendono questa parte tarito naturale e luerosa per g bi Stati Uniti; una nionarchia posta tiél mezzo dell’ Eriropa; popolata da una niziohé atbiziosa è turbolenta, la quale vuole i inge- rirsi ‘serhpré nelle dispute del continente, la quale novera “tra i suoi elemetiti costitutivi una corte; una dimastia ere- ditaria, uma aristocrazia, come potrebbe ripromettersi una lutiga neutralità per la sua navigazione? Il carattere fran- cese, quale egli è per l’influeriza dei principi d’ una mo- narchia agsbltita; potrebbe forse piegarsi allavoro assiduo, ed allé speculazioni modeste degli americani? Infine le coste ed i porti della Francia Sono eglino poi. sitàzti per modo da dominare sull’ oceano atlantico? La Fi rancia, € sprattutto la nuova gelierazione dei francesi prova un bisogno universale d'impiegare la sua ar- dente attività in bet stabilimenti coloniali di più spe- cie; è una vetità che spieghereimo più oltre; la Francia deve puIIBAere delle colonie commerciali e marittime come par- te necessaria d’ un tutto. È necessario che parliamo di questo tutto; prima di far le nostre osservazione sulle patti. S. 3. Colonie per le culture esotiche. A' questa classe appartengono naturalmente tutte le ' betle isole delle Iridie‘océidentali, che si conoscono sotto il nome dî grandi e piccole Antille, è le quali da wu secoio e mezzo in qua sono una gran sorgente di ricchezza per le nà- zioni marittime dell'Eur opa. Lat ‘cultura dello zucchero, del caffè; dell’indaco, del cotone saba tuttora ad alcuni uomi- nidistato, e fra gli altri al signor Vaublanc uno dei più gran di rami d’industria Ao e il sostenere le colonie di questa classe è il primo dova” una buona amministrazio- 68 ) ne. Questi uomini di stato hanno ragione in un punto solo; è ungran motivo di rammarico il Vedi perire tanti vasti capi- taliimpiegati nelle colonie ove nasce lo zucchero: è un gran motivodi dolore il ricordarsi dell’antica prosperità di queste colonie le quali se. sì privano della cultura dei generi colo- niali, non meritano più le spese del mantenimento. Niente di più ragionevole di questo loro rammarico; ma e, che vale contro una rivoluzione, la quale ha cangiata, la na- tura di tutti i rapporti di queste isole? Non è |’ inclina- zione di tutti.i popoli americani per la libertà politica che ha resa tanto precaria la conservazione delle colonie delle Indie occidentali, e che ha resa tanto incerta la loro utilità: bisogna cercarne l’origine in tre cause interamente straniere alla febbre politica. Primieramente la propaga- zione delle culture coloniali su tutte le coste del gran con- tineùte vicino ha diminuito necessariamente il valore terri- toriale di queste isole, sopratutto se si ha riguardo alle spese maggiori che son necesssarie per la loro dik militare; dili la moltiplicazione delle derrate coloniali, e specialmente la cultura dello zucchero al Bengalo, ha fatto diminuire, prodigiosamente il prezzo di quest’ articolo ; in terzo luogo gli ostacoli posti alla tratta dei negri anni accresciuto il, prezzo degli schiavi africani, che vengono sempre riguardati come. necessari per la cultura dello zuc- chero. Ecco le vere cagioni che hanno ridotte le Antille ‘în uno stato tanto inferiore a quello, nel quale si trova- vano nel 1789. Una sola rivoluzione vi è congiunta; e ne convenghiamo; la creazione d’uno stato indipendente di negri a San Domingo, stato che amministrato da, un Lou- verture potrebbe divenire centro d’una confederazione d’al- tre repubbliche; ma il genio degli africani s’inalza ben di rado alle grandi idee politiche, e l’avvenire di questa nuo- va repubblica è molto incerto. San Domingo anche caden- do in uno stato di debolezza 6 di discordia interna, sarà sempre un nido di massime pericolose per i popoli schiavi a 69 qualora vengano trattati crudelmente; ma questo pericolo può diminuirsi per mezzo di un’amministrazione più sag- gia, e più moderata. L'unico, il vero male che rovina le colonie, è il basso prezzo dello zucchero. Sarà egli necessario, come pensa il signor de Pradt, d’abbandonare le Antille, risparmiarci le spese di difesa, e accostumazci a comprare a buon prezzo lo zucchero del Bengalo? oppure come pensa il signor Vaublanc, di con- servare le colonie, diminuendo ed anche togliendo affatto i dazi d’introduzione sui loro prodotti, e proibendo lo zuc- chero straniero? X | La scelta fra questi due sistemi non è facile; ma si potrebbe seguire una terza strada, accordando alle colonie tanto favore che basti perchè giungano lentamente ad una morte politica e commerciale, la quale è ormai divenuta inevitabile; risparmiare le misure violente per non rovi- nare con un colpo improvviso le fortune dei privati, ma d’ altronde non fare nessun tentativo per rialzare inutil- mente ciò che deve più presto o più tardi cadere e scio- gliersi . Ù La cultura del cotone può trasferirsi nelle colonie del Senegal, che il signor Roger è destinato a ristalibire; quella del caffè riuscirebbe probabilmente più che non si ‘ può desiderare nelle terre alquanto montuose dell’ Africa interna . L’ Olanda e la Danimarca sono nell’istessa necessità relativamente alle colonie dalle quali ritraggono lo zucche- ro,ed hanno in quelle che possiedono nell'Africa gl’istessi compensi da prendere. Pure quei due governi sanno trarre tuttora un guadagno annuo dall’amministrazione delle co- lonie, ed hanno saputo evitare quelle sospensioni di paga- menti, che son la rovina delle colonie francesi. Il contagio comune le farà perire, ma dopo un'agonia molto più dolce. Le isole francesi, olandesi e danesi si cangierebbero in tante colonie commerciali militari per conservare le 70 nostre relazioni coll’ America. Fors'anche potrebbero allo ra coltivarvi in piccolo lo zucchero i pochi coloni che vi restassero , i quali studiando e adottando il metodo prati- cato nel Bengalo, si procurerebbero, quest’articolo con spe- se infinitamente minori di quelle della gran cultura pre- sente. Una modesta agiatezza regnerebbe in queste isole, che diverrebbero tante Arcadie marittime; ma non v'è da sperare di rivedere la brillante prosperità di San Domingo La felice Inghilterra è anche in questo eccettuata dalle leggi comuni; ella resisterà sicuramente alle scomu- niche del signor de Pradt, e conserverà le sue Antille. La savia politica, che ha data a queste isole, una specie d’indi pendenza legislativa ed amministrativa, sotto la direzione di assemblee rappresentative; la premura che. si è avuta di riunire sotto il governo inglese presso a poco tutte le ‘. migliori stazioni navali; la forza della, marina britannica, e l’ esecuzione, severa delle leggi iumane le quali proteg- gono la moltitudine degli schiavi, tutto concorre, a tener lontani dalle Antille britanniche i pericoli, che derive- rebbero da una rivoluzione interna o da una aggressione nemica. D'altronde v'è un capitale sì enorme sesogfulato. da lungo tempo in quelle colonie, e la circolazione di que- sto, capitale, per via di vendite e di eredità;lo confonde tan- to regolarmente ed, abitualmente cogli altri capitali nazio- nali, che la legislazione prenderà sempre le più scrupolose precauzioni per non disturbare notabilmente il corso delle operazioni commerciali e finanziere dei coloni, e gli pro- teggerà sempre fino a un certo punto contro la concorrenza dello zucchero delle Indie orientali. Gl’ interessi personali che si trovanocongiunti alla cultura dello zucchero, ugual mente che alla navigazione fra leIndie occidentali e l’In- ghilterra sono tanti e tanto forti, che predomineranno sem- pre sul desiderio della classe inferiore di comprar le derrate coloniali a prezzi più bassi. Qualcuno proverà dispiacere nel sentirci dichiarare Ni ni - così ché il sistema coloniale delle Indie britanniche è in- destruttibile; ed un certo amor di patria eccessivo, che è dî moda m Fraticia, ci accuserà di parzialità per gl in- gilet; ma noi noti abbiamo fatto altro che esporre ciò che è dimostrato, ciò ‘che è naturale/ e ciò che nella nostra o tuazione preserite è un gran bene per tutto il mondo. naturale che una catena vastissima di colonie ben pira late, bene amministratè, provviste di mezzi di difesa mi- . litare, e sostenute da' grandi forze navali siano al sicuro da ogni pericolo, molto più di poche isole sparse, le quali appartengorio a tre o quattro potenze marittime meno | forti. È ui gran bene che l Inghilterra sia tanto vivamen- te interessata a reprimere lo scoppio d'una rivoluzione fra: i neoti ed i mulatti, i quali senza il timore della marina’ Biskabuiva avrebbero di già poste in combustione le isole spagnole, francesi, olandesi, danesi e svedesi. Vedete gli spagnoli di San Domingo, che vivono sotto il giogo degli africani, perchè trovandosi nella medesima isola, nulla im- pedì che fossero assaliti. Le produzioni dei tropici non sono le sole, che po- trebbero coltivarsi in una colonia lontana. Il capo di Buo- lia Speranza per esempio è una colonia di viti, in'grazia della quale l’ Inghiltera vorrebbe pure a poco'a poco libe- rarsi dalla dipendenza dei vignaroli francesi e portoghesi; ma l’aridità estrema alla' quale par soggetta l'Africa au- strale ha distrutte negli ultimi anni tutte le raccolte del - capo, e ha fatto nascere il dubbio che non si possa stabi- lirvi una cultura per poco estesa che sia. La vite alligna mtediocremente nella nuova Olanda; ma le viti della Sii lia, sopratutto delle:collinie dell'Etna, producono oggi una gran quantità di vino per conto di proprietari ingldsi , Le lane fine che la nuova Galles australe comincia ad esportare sono una vera produzione coloniale'relativa- mente alle manifatture inglesi, le quali troveranno it fine in quella terra il mezzo di far di meno delle lane spagno- "2 le, o almeno di sostenersi in caso d’un aumento nel prez- zo di vendita delle medesime, e nei dazi d’ esportazion e. Ma la cultura del thè introdotta nelle terre alte del- l'interno della grand’isola australe annunzia al mondo sorpreso una nuova rivoluzione nel commercio dell’Euro- pa. La China diverrà inutile agl’ inglesi, che abbandone- ranno il porto di Canton, e si provvederanno sul proprio territorio di quella erba aromatica, che è divenuta per 1’ Inghilterra un elemento necessario della colazione; a poco a poco ne estenderanno la cultura a segno di ‘poterne provvedere anche le altre nazioni; e siccome una derrata che si compra nove cento leghe più vicino si vende sempre a minor prezzo, escluderanno interamente. i chinesi da questo ramo di commercio. Ciò che diciamo. qui non è di nostra invenzione, ma è un’ idea sparsa per tutta 1° In- ghilterra . La cultura del pepe, delle noci mabinade i e dei garo-, fani introdotta a Bencolen nell’ isola di Sumatra si può citare fra le intraprese più utili di quella nazione che eal- cola tutto; quando queste culture lente e difficili saranno divenute di conseguenza, le Molucche perderanno la me- tà del valore territoriale che hanno di presente.Per impedire alla Francia di godere dei vantaggi di queste culture intro- dotte nelle isole Mahè e Sechelles, la politica inglese, la quale è nel medesimo tempo tanto colossale e tanto mi- nuta, si è procurata alla pace del 1814 la cessione di quel piccolo arcipelago, il quale non pareva che meritasse l’ o- nore d’ una conquista. Il sultano delle Maldive si guarde- rà dall’ introdurvi la cultura delle noci moscade, se non vuol divenire un vassallo degl’ inglesi . La Guyana, paese ingombro d’ acque, e l’arido Senegal non offrono a nostro parere la riunione delle qualità fisi- che, le quali si trovano nelle Molucche, e le quali rendono perfetti questi aromi. D'altronde. le isole Salomone, la nuo- va Guinea, ove sicuramente la cultura delle noci moscade ; i ja deve potersi introdurre con successo, seppure non vi sono in istato selvatico, si trovano a troppa distanza dai porti francesi. Nuove ricerche sulla costa dell’ Africa farebbero forse scuoprire un punto più favorevole. La Danimarca possiede nelle isole Nicobar un posto adat- tatissimo per questo genere di cultura, come per molti altri. Si potrebbero stabilire in vicinanza dell'Europa altre colonie di cultura d’un altro genere. Per esempio l'antica Cirenaica, che è tanto facile a conquistarsi sulla debole reggenza di Tripoli, produrrebbe probabilmente tutti. i frutti del Portogallo e dell’Italia inferiore, e anche più per- fetti; una potenza europea potrebbe farvi rinascere i giar-, dini delle Esperidi, per lo che i padroni dell’isola di Malta non si dimenticano diesaminarla. La-costa dei Monselmini ‘al Sud del capo Nun è meno arida che non si pensava fino- ra; una colonia che vi si stabilisse, potrebbe entrare in re- lazione diretta cor Tombuctà. Non è nostro scopo di sviluppare tutte le idee nuove, alle quali questa materia potrebbe dar motivo; diremo so- lamente che fintantochè ogni clima ed ogni suolo ‘avrà i suoi pregi particolari, le colonie destinate a culture esoti- che saranno stabilimenti utili per tutte le nazioni marit- time: ma non tutto conviene a tutti, e una nazione può essere ricca, potente e felice, senza coltivare lo zucchero con fanta spesa come i coloni delle Antille . G. R. P. ( Sarà continuato ) N Quantunque non si adottino da noi nella totalità le opinioni del- l’ insigne geografo autore del presente articolo, si è giudicato utile di presentarne la traduzione perchè somministra un gran lame ri- guardo allo stato attuale delle colonie in generale: e speriamo che. i nostri lettori ce ne saranno tanto maggiorinente grati, che per colo=. ro i quali non si sono applicati a questo ramo delle scienze geogra- fiche e che non hanno tenuto dietro agli avvenimenti ed ai trattati prodotti dalle guerre della rivoluzione, una tale questione potreb- be presentare di grandi ostacoli del modo di concepirla. Nota dell’ editore. 94 Lettera di Cosranzo Gazzeri al Conte' Civsedpà Francni pr Ponr, intorno alle opere di pittura è di scultura esposte nel palazzo délla régia univer- sità l’ estate del 1820. — Torino 1821. Questa lettera è opportunissima a toglie? d’inganno que viaggiatori, che passando per Torino è guardando a pena nel palazzo regio, credono bastare ad' essa città la seguente lode: vie diritte; belle piazze , be’ teatri , e buo- na galleria di quadri. Ed invero le strade sono bene or- dinate, le piazze frequenti, i teatri buoni?, e le sale del palazzo regio piene di belle-dipinture. Ma gli abitatori di Torino e del Piemonte hanno sempre avuto tante cagioni di guerra, ed animo sì pronto alle armi, che lo straniero giunto quivi (se pur ei conosce la loro storia ) debbe do- mandare dell’ istituzioni militari primachè delle accade- , mie e delle gallerie di quadri E fatta questa opportùna domanda, gli saranno ‘allota ‘indicate una cittadella , un vasto collegio, ed una magnifica ed eccellente fabbri- ca d’ogni specie d armi. Quindi, se egli è nativo d’alcu- na parte d’ Italia, avrà ‘dolore al certo vedette abbattute le mura della città per forestiero comando. Ma tolto que- sto pensiero che è increscevole a chi ha nel petto l’ amor della patria, ei goderà del passeggio aperto sopra le rovi- nie , desiderando ovunque atterrate le mura, com’ è in Napoli, e come han fatto in tutta la Francia , ove ogni via della città seguita alla campagna in be’ viali d’ alberi ombrosi. Andando poi il viaggiatore per la via del Po, e traversando il fiume, dopo aver ammirato il bel ponte e le deliziose colline, salga alla sinistra-il nudo ed eminente colle che ha nome di Superga. Un tempio è sulla cima del monte : e ne’ sotterranei sono le tombe de’ re. Queste mostrano a che si riduca l’ umana alterigia : e tutto l’edi- ficio rammenta italiane prodezze, essendo stato inalzato per memoria di campale giornata, ove furono sconfitti gli avi di coloro che hanno buttato a terra nella città le mura. 75 «Così son le srie sorti a ciascun fisse. » E queste vicende inevitabili , non che sieno d’ esempio a concluder pace durevole e sicura a tutti, servono anzi ad irritare gli eserciti e i capitami per disavventura delle nazioni, Ed oh ! come queste memorie commuovono la mente; sull’ altura di Superga, da dove sì scorge la pianu- ra d’ Italia;, vasta, ubertosa:; e cinta da mura che non si possono, atterrare; dico dalle Alpi ; per tutto il giro delle quali non dovrehbero:lasciarsi varcare che i nostri amici. Considerate:le cose della guerra, domandi allera il viaggiatore delle: pacifiche arti; e.dapprima , comeisi con- viene, di quelle proprie alla sapienza. E dotti.e gentilis- simi professori! gli mostreranno: uma bella libreria, un luo- | go atto ad università di studi con museo di' cose antiche; una specola fornita di maravigliosi strumenti un’ acca» demia, di scenze;, e un museo copioso di storia naturale , che è tanto! più da vedersi, im quanto che vi sono rac- colte le produzioni delle Alpi. L’ orto botanico è tuttavia di piccola dimensione. Ma in questo era pur, non è gran tempo, direttore e professore il. Balbis, gran naturalista piemontese : il quale fu chiamato e fermato in Lione col medesimo ufficio e.con pregio forse maggiore. Per rispetto alle belle arti leggiamo nell’annunziata lettera,che volendoi torinesi festeggiare l’anno 1720(in cui si compieva appunto un secolo, dacchè l’università era stata riordinata da Vittorio AmedeoII)disegnarono di fare una pubblica esposizione di quante buone dipinture possedesse- ro. Il che fu adempito con gran pompa e sollecitudine, ag- giungendovi le opere scelte delle arti minori. Ma dopo breve tempo ognuno riprese; com’ era convenevole , ciò:che a lui apparteneva: ed una: pubblica galleria di gie manca tuttora agli abitanti di Torino: Nè le più e le migliori di- pinture ; che adornano le regie sale; non sono di piemon- tesi artisti; i quali mai non furono in gran numero, nè pareggiabili, come sembra, a’ famosissimi: dell'Italia‘, 76 ‘benchè non privi anch'essi di lode e di merito. Per le quali ragioni ho detto io da principio, che mal facevano i viaggiatori guardando in Torino alle sole belle arti: avendo da ammirare i quadri comprati altrove più che la scuola del Piemonte in quelle sale che occupa il monarca. È so bene che il bello sempre piace , ovunque sia collocato. Ma quando» si giunge in muovo paese, a questo solo dobbiamo volgere i pensieri , vivendo cogli abitanti, imparando ne’loro costumi ; studiando nelle opere loro. Ed il conversare cogli uomini dotti, che ab- bondano in Torino, è sì utile e grato che tutto quel, che si desidera, pare non manchi.. Il pesci Gazzera , ben discorséliglo nella lettera sua, mostra che i prim da come gli altri italiani, hanno opportuno ingegno alle belle arti : il che invero niuno a lui contrasta. Quindi ei brama che sia aperta una pubbli- ca e. stabile galleria, ove si ordini ancora la scuola del Piemonte: e questo farebbe sì, che noi vedremmo quivi con diletto pure i quadri stranieri , perchè misti con quelli della nazione. E certamente fanno le belle arti progresso anche in Torino, essendovi un’accademia che viene sempre in meglio , e artisti inanimati à fare come più vagliano. . Noi non seguiremo il valentissimo Gazzera in tutto il suo discorso, perchè parla di-quadri non collocati in pubblico e certo luogo. Noteremo soltanto quello che più importa. n * Tra le pochissime dipinture piemontesi egli così de- “scrive un quadro di Giovanni Antonio Molinerii da Savi- gliano: « si rappresenta in esso un fatto della vita di Sant’ Antonio di Padova, e bella mene par l’ esecuzione, Pieno di vita e di fervore è il volto del santo. Le altre fi- gure sono piene d’ energica espressione , se non che di troppo sono esse affollate. Il colorito è sufficientemente brioso e vivace: ben gettati e naturali i panni. Così che Ù 77 non sono lontano dal crederla, una delle migliori opere del nostro saviglianese , e forse degli ultimi suoi anni ». Questo quadro dunque dovrebbe esser acquistato alla nuo- va galleria, per incominciare là dimostrazione della scuo- la del Piemonte. i L'altro quadro poi chie rappresenta la nascita della Vergine; e che è attribuito ad.Alessandro Allori, dovreb- be esser acquistato alla galleria di Firenze.Poichè il Gazzera lo descrive con tanto amore, e ne produce tale giudizio , che non dubita di dare a questo nostro artista il titolo di miglior colorista di tutta la scuola fiorentina. Noi non abbiamo al certo un quadro d’ Alessandro , che vaglia a raffermare cotanto pregio; e piace al certo udirlo sì ma- gnificare, salve però le ragioni de’ nostri artisti, anteriori e posteriori all’ epoca sua, ri n Ì Di più altri quadri parla il Gazzera della ne fio- rentina. Ed uno di questi, dichiarato classico , attribuito | da alcuni a Masaccio , da altri a fra Filippo Lippi, e da’ più al Ghirlandaio, rappresenta, com’ ei dice , il trapass so.(1) di San Francesco d’ Assisi, con intorno i frati che cantano la vigilia. Alle ili antiche succedono quelle degli artisti viventi. E di. esse parla il Gazzera con opportuno e libero discernimento, senza temere che.i suoi consigli nuociano all’ arte. Ognuno, se vuol bene operare, dee bandire dal- l'animo suo qualunque presunzione. E di vero importa non averla, poichè mai non accresce il merito ad alcuno:e ci procura odio; finchè si vive: e morti noi, svanisce sovente insieme colla nastra memoria. ‘ (1) Qui è nel libro un errore di stampa. I Gazzera dice che il quadro rappresenta, per dirlo alla fiorentina , il trapasso etc. Ma i fiorentini, bene o mal che si dicano, usano la parola trar- sito , e non trapasso, quando, parlano della morte d’ un santo . Detto errore del copista o del tipografo non può attribuirsi al Gazzera', che ben conosce là nostra' favella. Antonio! BEncI. 78 ‘Dello scripere degli ‘antichi Romani. FP ae: cademiche inedite dell’ Abate SrerAno Anronio ‘\MoRrceELLI pubblicate in occasione delle faustissime nozze Borromeo-D'AbpA dal dottore Gro: ro. dal con pngutrs annotazioni . —_ Milano vicina in 180 Né dar contezza di quest piosdilivo opera! noi ci volti quel ‘imodo‘tenere, onde quasi colla rapidità del sommario passi: sott! occhio del lettor mostro tutto ‘ciò''ch’è in essa compreso. A questo ne ha: consigliato l’ argomento mede- simo, ‘che’ a tutti certo riuscir debbe gradevole; perchè tutti saper: bramano come nell’antica età si facesse ciò che ‘pur ‘si ‘fa mella nostra: deitquali gli uni paglii sono della nuda notizia ; gli'altri;; ‘e questi sono a ragione tenù- ti più sav), ad essa non contenti conoscer ‘vogliono se gli antichi siano in ‘quello’ vinti‘ da noi, o se siam noi. supe- rati ida:loro, ‘ Kia Subietto pertanto della prima dissevunalboeia è la ma- teria, su cui scrissero i Romani: Ebbero essi tre sorte di libri; » Pagillarij} i Rotoli, ei volumi quadrati, che al tutto somigliavano i nostri. Erano i Pugillari piccoli .li- bretti; chie d’ordinario aveano'di legno le coperte, e'compo- neansi di‘ poche: pagine, or di eda o fatte ‘chie talvolta fu il cedro, or d'avorio, or di membrana del tiglio; ‘or di pergamena spalmata di gesso. È Pugillari però colle tivo- lette incerate erano i più comuni :|ne' faceano special iso i fanculli nelle 'seuole; que che serivean'lettere a non 'lon- tana persona ye i.notari per amore di speditezza: Dal qual uso frequente nacquero alcune maniere di‘dire;;? chie per traslato si‘ adoperarono in paria d'ogni maniera‘di scrit- tura. Di questi Pugillari v'avea fabbrica ‘in'Roma, inse- seghanido ciò le iscrizioni, le quali rammemora no e Pugil- lariarj, e Cer arj, cioè quelli che essì Pugillarj ricopriano di cera . Si rileva da Cassiodoro che ne durava l’uso nel sesto secolo dell'era mostra; e il Pugillare pertinente a Po) Filippo il Bello, che couservasi nella R: Gallevia. di Fi- renze, e che sì bene illustrato fu dal ori Antonio Cocchi , mostra che sì fatti libri adoperavansi in. Francia pur sul cominciare del decimo quarto, Anzi nel tomo ven- tesimo dell’Accademia Francese delle Iscrizioni e belle . Lettere ha una prosa, in che si fa manifesto mercè d’una serie. cronologica di monumenti , che |lo scrivere nei Pu- gillari continuò dal sesto secolo. fino al diciottesimo. I rotoli, servivano ‘principalmente per le scritture. fo- rensi, i testamenti, gli editti, i rescritti, i decreti, i privile- gi e i Senatusconsulti. Perciò le statue consolari spesso un rotolo aver si veggono in mano, o un buon fascio: di rotoli. star, riposto in una cassettina collocata a’ piedi di loro; e ‘nelle medaglie tengono sovente gl’ Imperatori simili carte o tutte ssivgleù 0 mezzo spiegate. Le tengon an+ che in monumenti dell’arte antica i poeti e i biunéi» dal che deducesi con buon fondamento che in essi mololi si scrivessero picciole opere, o di prolisse separatamente ogni libro. Erano i rotoli o ‘di lino coperto per avventura dalla biacca ovvero dal gesso, o di papiro, o di membrana. Del papiro assai parla Plinio; e nella illustrazione delle autorità di lui a ciò relative, ha molta lode conseguita il Guilandino . Vi si trattiene pure il Morcelli, dalai do contezza di questa pianta, che è un giunco palustre ; € trattando del modo, con che di essa si fa la carta, e delle varie specie della ngi + Diffondesi pure su’ libri quadrati, che gli antichi ebbero somiglianti ai nostri. Di ciò fan fede quei che al tempo avanzati sono e allai igno- ranza/; come il Virgilio Laurenziano e la Versione del- le Antichità giudaiche, che serbasi nell’ Ambrosiana; E se questi ed altri somiglianti mancassero , e periti pur fossero quei monumenti, nei quali siffatti libri si veggono espressi, ne convincerebbero e Plinio il giovane, che nel- l’ epistola prima del libro secondo scrive parlando di Vir- 80. i 4 ; gilio Rufo: Liber, quem forte accepèrat grandiorem, et seni e stanti ‘ipso pondere elapsus est ; e Ovidio il quale dice nella elegia prima del primo dei visti: Nec fragili geminae poliantur pumice frontes. Divisa è in due parti la seconda dissertazione. Trat- ta:la prima degli strumenti della scrittura propriamen- te tale ; e la seconda , di quelli che alla scrittura ap- partengone non propriamente tale. Scrittura propria- mente tale è quella, che alla nostra si assomiglia. La tela, la pergamena ; il papiro , erano com’ è detto, le materie, su-che gli antichi scrivevano . Vi scrivevano , come fac- ciam noi , coll’ inchiostro e la perina. La penna non era d’uccello, ma sibbene di canna; e poichè Ausonio la chia- ma fissipede, è manifesto che temperavasi nel modo me- desimo, con che oggi si tempera. Per ripulirla e aguzzarla. oltre al picciol coltello spesso la pomice sì adoperàva. As- sai glutinoso e tenace componevasi l’ inchiostro , che di color nero si faceva e di rosso. Con questo tigneansi talora le pergamene, sulle quali poi si scriveva in lettere d’ oro o d’argento . Fu eziandio in uso certo pastello , di cera composto e di minio, col quale chi avea incarico di rive- dere gli: scritti d’ altrui, faceva segni a disapprovazione di parole, di frasi, e d’interi passi . E calamaio e pennaiuo- lo avevano gli antichi, siccome abbiam noi. Di varia figu- | ra era il primo; ma più spesso di ‘ottangolare; e la materia or bronzo.era or argento. Gol dente di cinghiale , o d° al- tra fiera rendeasi liscio il papiro; e a far ciò medesimo sul- la pergamena si adoperava la pomice; colla quale toglieasi pur via da essa il carattere vecchio , affin di dar luogo a nuova scrittura ; chè a cancellare il recente in uso era la spugna leggiermente bagnata, e la penna eziandio. La rotella di piombo, guidata com’oggi dalla riga, segnava linee. sulla carta, la quale ungeasi talvolta con olio di cedro, perchè creduto atto a preservarla dalle tarme: uso, 81 onde si fini degni di Ga quei componimenti, che belli erano e meritevoli di. giugnere alla posterità più lontana. Rispetto poi agli stromenti che alla scrittura apparten- gono non propriamente tale, poco è da dire, non essendo questi che due , ciò sono il Pugillare e lo stilo , con che esso solcavasi. Anzi del primo sopra è detto a bastanza , onde qui può tosto procedersi a parlar del secondo. L'una parte d’esso era acuta, e serviva a scrivere; l’altra era ottusa e rivolta, e serviva a cancellare. Di terrò fu in principio lo stilo; ma poscia fu per legge ordinato che d’ osso si facesse. Sembra che cagione fosse di questa legge la mor- te che i partigiani di Gaio Gracco detter con istili da ‘scrivere a Quinto'Antillio uno dei littori del console Opi- ‘mio. Ma di ciò che che» sia; egli è certo, che la legge, siccome intervenir suole ; perdette ogni forza, sì che sul finire della repubblica si erano già ripigliati gli stili di fer- ro, i quali poi, finchè l’uso: si mantenne dei Pugillari in- cerati, si adoperarono per iscrivere, e se ne abusò per feri- re ed ‘uccidere. Seguita la terza dissertazione, in che si «tratta della maniera di scrivere, e de’varj caratteri de- gli antichi Romani. Non poteva scriversi che ‘sull’ una parte dei Pugillari, se essi erano ricoperti di cera. Se poi le lor pagine di avorio erario o di legno senza cera , pote- va scriversi su d’ambe le faccie. Aveano scrittura sol da una parte i rotoli sì in' papiro e sì in pergamena. Scrive vansi essi pel lungo e pel largo, e a colonna eziandio. ‘Queste colonne sono:chiamate cerae; onde le frasi : prima cera, secunda cera, tertia cera a indicare la prima, la se- ‘conda, la terza colonna. Si scrivea nei libri quadrati or da ambedue le faccie, or solo da una. Forse i Romani, che vis- seroaitempi di Romolo e di Numa, tennero nello scrivere ‘il modo orientale: scrissero dipoi certamente andando, sic- «come noi, dalla sinistra alla destra. Nei papiri ampio or la- sciavasi il margine, ed ora stretto. Ampio per lo-più costù- mavasi nei libri, affin di dar luogo a i quelle note, che far si T. IX. Marzo 6 D, 82 soleano alle opere degli scrittori, per contrassegnare quei passi , che o di biasimo parean degni o di lode. Poco può dirsi dell’ antica ortografia. I punti tra parola e parola : che spesso troviam nelle lapidi, adoperavansi pur nei li- bri anche all’ età di Seneca. Essi però non si veggono in più moderna. Appaiono in questa alcuni segni a distinguere i sensi, che non sappiamo se del pari si adoperassero nei tempi più antichi. Tre nuove lettere introdotte furono da , Claudio Imperatore nell'alfabeto latino: il digamma eolico capovolto ( EI ) ad esprimere la 9 consonante , l’antisigma (x) ad esprimere il greco Y: della terza non ci ban dato contezza gli antichi. Se usitato fu tra’ Romani il carattere maiuscolo , ebbero essi eziandio il minuscolo e il corsivo: Fan ciò arguire alcuni passi di vetusti scrittori; e ne chiariscono appieno le lapidi, e i papiri. Dice la quarta ed ultima dissertazione delle note de- gli antichi Romani: modo abbreviato di scrivere, che durò nell’uso fino al secolo undecimo. Da indi in-poi pel correre di 4oo. anni più non si conobbe. Ma lo studio dei codici di sì fatta scrittura , i quali di poi furono scoperti, la via mostrò, onde questi si potessero leggere: e dee ben sapersi grado al dotto Carpentier, che di esse note ordi- nò catalogo diligentissimo. Nè le note sono da confondere co’ geroglifici; poichè dai geroglifici rappresentati sono i concetti della mente; laddove le note esprimono solo let- tere e sillabe. Per la quale cosa non si può dall’ Egitto trar d’esse | origine , che la storia a ripeter ne obbliga dalla Grecia. Narra in fatti Laerzio ,.che Senofonte ne usò | prima che ogni altro scrivendo pr mezzo delle note .i detti, che dai filosofi udiva; i quali egli fece poi di pub- blica ragione col titolo di Detti memorabili. Non è poi facile di definire qual dei Romani adoperasse il primo ‘le note , andando rispetto a ciò in varie sentenze gli antichi. In questa incertezza opinò il Morcelli che il pensiero movesse da Tullio, e lo eseguissero primi Tirone suo li- 83 Meri; dal quale venne alle note l’aggiunto di Tiroria- ne, e i colliberti di lui. Nè senza ragione fu egli di questo avviso; ma sì ebbe in iscorta l’ autorità gravissima di Plu- tarco, il quale dicendo nella Vita di Catone uticese, che Y arringa da lui recitata in senato quando trattavasi della pena da darsi ai congiurati con Catilina, rimasa era in iscritto per le cure del console Marco Tulio, soggiugne, che scelte esso si aveva persone di una distinta abilità nello scrivere con prestezza, € anticipatamente inseg enatl avea loro certi segni , che in piccioli e brevi tratti la forza conteneano di molti caratteri, è allora dissemina- te le aveva qua e là pel consiglio; conciosiachè i Roma- ni non usarono e non avean peranche scrittori che scri- vessero in abbreviatura, ma narrasi, che s' incominciò la prima volta in quel tempo a dare una qualche idea d'una tal foggia di scrivere. Nè le note colle sigle si debbon confondere , siccome ha fatto il Carpentier ram- memorato di sopra; ‘fatte essendo queste d’ una 0 poche più lettere, da cui prendesi indizio della intera parola, ed essendo le prime meri segni , nei quali le sillabe sono coin- prese. Di privato uso furono nel principio le note, cui astrinse o angustia di tempo o velocità di dettare. Meglio dappoi conosciutasene l’ utilità, periti si voller dell’arte i ‘cancellieri dei magistrati, ai quali venne appunto dalle note il nome di notari. Se però mercè d’ esse prestamente scriveano ciò che si udiva per loro nelle liti forensi, do- vean però quindi tutto trascrivere in modo che altri sen- za inciampo il potesse leggere. Nè già era arcana la dot- trina delle note; ma sì erano in esse ammaestrati i fan- ciulli, siccome nell’ ordinario modo del leggere, e dello scrivere. Compiuto il brevissimo ragguaglio dell'operetta, mestie- ‘ri è ora dar di essa il giudizio, e parlare insieme delle cu- re di quel dott uomo, che Ù ha mandata alla pubblica ‘ luce delle stampe . 84: Della scrittura degli antichi già molti eruditi tratta= rono; e qual di loro dette estensione maggiore all’ impor- tante subietto, e qual minore; e quale ebbelo in iscopo principale di suo libro, e qualéè il chiamò a far parte di vasto argomento. Noi, cui l'ufficio obbliga ad aver fami- liari libri siffatti, abbiamo voluto alcuni novellamente percorrerne; e più, che sopra gli altri, trattenuti ci siamo sull’ opera d'Ermanno Ugone, De prima scribendi origi- ne,e su quella dello Schwarzio, De ornamentis librorum: opere, che certo non sono da porre tra le ultime di questo argomento. Pertanto, fatto paragone tra le mentovate ope- re e la presente del Morcelli, abbiam conosciuto, ov’ esse nei particolari della materia s'incontrano, questa a quelle . star sopra. Sta lor sopra pei pregi, che propri furon dell’au- tore, e pe vantaggi ch’ egli ebbe dal tempo. E per parlar prima di quelli, niuno ignora quale acuto ingegno avesse il Morcelli e di quanta grazia e di quanta eleganza ornas- se sempre i suoi scritti Questi meriti, che rifulgono nelle opere sue di maggior mole, ammirar si fanno eziandio nelle picciole, tra le quali sta questa postuma con molto onore. Dal modo, di che noi abbiam fatt’ uso nel darne il ragguaglio, ha certo ognuno potuto conoscere, che ‘niuna cosa di quelle, che l'argomento voleva, fu da lui tralascia- ta; e che tutto è con bella chiarezza ordinato, e con di- scernimento savissimo definito. La brevità, ch’ è mestieri osservare in dar contezza dei nuovi libri, in ispecie se essi siano di non molte carte composti, siccome questo, non ci ha permesso di tener dietro a tutte le ragioni, con le qua- li il dotto autore dimostra le sue sentenze e combatte quelle d’ altrui. Vere parute ci sono generalmente; e pren- diamo speranza , che tali riputerannosi pur da quelli che per intero vorran leggere il libro . sa I sussidj poi che dal tempo ebbe il Marcelli, sono gli antichi monumenti, che a luce ritornarono nel secolo de-, corso, del quale, siccome delle due prime decadi di questo; 7 85 fa egli grandissimo ornamento. Se l’ antichità scritta dà luce alla figurata, questa su quella altresì la diffonde: ed è talora intervenuto, che, fatte innanzi assai dispute su d’alcun passo d’antico, un figurato monumento, che siasi poscia scoperto, gli ha porto solo il legittimo senso: e se danno non ha recato sempre all’ ingegno di quei dotti che portato aveano su quello differenti opinioni, ha però . sem- pre convinto, essere alcuni di loro, e tutti non rade volte, andati lungi dal vero. Con questo utilissimo avviso fece il Morcelli uso dei monumenti dell’ arte antica in questa sua operetta: e il sig. Labus ha ad essa accresciuto pregio col produrgli inistampa, e con aggiugnervi concisissi- me spiegazioni. Nè a ciò solo egli è stato contento; ma sue annotazioni ha qua e là sparso per l’ erudito volumetto. Noi abbiamo in tutte ravvisato l’ opportunità? sola cagio- ne, che può giustificare somiglianti lavori, talor pur trop- po consigliati unicamente da una boriosa saccenteria, che ingenera tedio nei leggitori, se siano anche tra’ pazientis- simi.Il sig. Labus per l’opposto spesso annota per estende- re utilmente la materia, edalcuna volta eziandio per cor- reggerne l’autore. E ciò, prima ancor di percorrere queste annotazioni, ci concederà chiunque sappia; quanto egli vaglia nell’ antiquaria, o della figurata si parli, o della scritta; sulle quali più libri egli ha dettato, del pari ap- plauditi dai dotti. Piace a noi, quasi a soprappiù del pre- sente articolo, di far qui ricordanza di una dissertazione + in lingua francese da lui composta non ha guari di tempo, la quale ci ha sodisfatto sì pel tema, che è nuovo, e sì pel modo, con che esso è svolto. Tratta della certezza della scienza antiquaria; ed è come di due parti composta: l’una delle quali dir si potrebbe teorica, siccome pratica l’ al- tra; perocchè nella prima si espone il principio che di norma servì agli antiquarj, per aver nel fatto i bei ri- sultamenti, che si narrano mella seconda. Questo principio \ s6 . LARIO PIT è quel medesimo, onde sì innanzi andarono le filosofiche discipline; il quale in fine non in altro consiste, se non in iscoprire una incognita verità per mezzo d’ altre che già siano manifeste. Lo che, se all’ ‘antiquaria sì riporti, viene a dire che a buon esito pervenir debbono le cure di quei, che professano tal disciplina se essi spieghino i vetusti mo- numenti, che sono incogniti, o mal noti, per mezzo d’al-' tri che siano ben palesi, e ad essi si rassomiglino. Ex ef- fet, dice il sig. Labus il se presente un simatacre de bronze, ou de marbre, dont vous ignorez le sujet. Si cet- te méme figure avec les mémes attributs et sy mboles, et encore avec le méme nom se trouve repetee dans une pein- ture antique, et que mise l’ une à cote'de l’ autre vous , les trouviez egales, peut-on méme balancer à croire que le nom de la peinture ne convienne egalement à la sta- tue? On voit les Muses sur les monnoies de la famille Pomponia, sur le bas-relief de V apotheose d’ Homère ‘ sur le sarcophage capitolin, on observe les statues du musee du Vatican, et elles se rapportent toutes avec les fresques d’ Herculanum, où chaque Muse a son nom; et qu’ ensuite on nous vienne dire si les attributs, et les symboles, qui sont le caractère distinctif de chaque * Muse, ne sont pas demontres jusqu' à l° evidence. On decouvre un buste d'un personnage incorinu. Ses line'a- mens sevères, ou sereins excitent notre curiosite. Qui pourra nier qu’ il est reconnu dès le moment qu’ avec les lineamens les plus scrupuleusement semblabes, ce mé- me visage sera repete, avec son nom, sur une pièrre, ow sur une medaille? Dopo le quali parole ha incomincia- mento un novero considerevole di monumenti spiegati mercè di tal regola con felicità ed evidenza; il qual nove- ro distendesi per tutti i rami dell'antichità figurata, e della scritta. Tra queste scoperte, che nella massima parte ap- partengono ai moderni antiquarj, siccome a quelli che ge- È : | Li, neralmente vincono nel criterio quei che gli han prece- duti, ne fan bella comparsa non poche del medesimo sig. bus ; È da sperare che se v 'ha più alcuno, che derisor sia dell’antiquaria, e gli antiquarj ponga tra gl’indovini, vor- rà mutare avviso, se mai legga questo libretto, nel quale è in tanta evidenza posto l’ assunto, che dee l’ uomo ri- manerne appieno.convinto . G. B. Zannoni. Alcune osservazioni sulla Trort4 ECCITABILISTICA pei Conrrostimoro. Lettere ad un amico medico, del Dorr. Ew. B. Lettera prima. Non avendo finora corrisposto alla sollecitudine d’un illustre accademia il proposto esame dei fondamentali principj della dottrina del controstimolo, e delle variazio- ni di cui sono essi suscettibili, avrei la taccia di temerario se spontaneo osassi offrirvi alcuni miei pensieri sopra que- sto soggetto. Ma le questioni che l’umanità interessano non cinadò d’occupare il cuore e la mente dei filantro- pì, siete voi che con un gentile , e pressante invito mi vi obbligate talmente, che di volo per altro vi tratterrò con alcuni riflessi sopra questo sistema, evitando ogni erudi- zione, come tediosa, ed inutile, per chi è quanto voi istrui- to dello stato attuale della fisica medica. Supplisca per- tanto la vostra sagacità alle mie omissioni, e colla solita vostra bontà compatite la mia insufficienza. Voi bene conoscete che un ammasso di dottrine sta- bilite sopra incomplete osservazioni, dedotte da principj ipotetici, un’ estrema credulità nelle forze dell’arte, un biasimevole nè men dannoso scetticismo, dominando a vicenda nella medicina , lungi dal costituirne una scienza 88 - | | realmente positiva, nell’ epoche istesse del suo lustro mag» giore, non emersero dalle opere degli uomini i più celebri che vi si applicarono, che nozioni inesatte, perchè ‘in- complete, ed una serie di precetti d’arte tendenti a cura- re, e prevenire le malattie; riducendosi essa perciò mal- grado il valido sussidio della filosofia, dell’ analisi, e delle scienze naturali, ad un semplice razionale Empi- rismo. Al confronto dei grandi progressi dell'umano sapere, ‘ quell’essenziale medicina, che porge efficace il suo aiuto al- l'umanità languente, quasi stazionaria comparisce ! È que- sto un fenomeno istorico del mondo morale meritevole dei comuni riflessi, e che dovrebbe incitarvi alla ricerca delle sue cause per l’utile scopo d’ovviarvi, onde ricono. scere qual parte v’ abbia la supposta, o reale mancanza di potenze morbifughe, se. provenga dal difetto del meto- do d’ osservazione , e dalla spesso riconosciuta improprietà del medico linguaggio, o se dipenda dall’ insufficenza dei mezzi naturali, ed. artificiali, che per osservare e per esperimentare s' impiegano. Malgrado il noto successo di tutti i medici sistemi, malgrado che dopo il felice risorgimento delle lettere , e delle Scienze, siasi riconosciuta l’unica strada per l’inda- gine del vero, l’analisi, cioè dell’ esatta osservazione, pure l'immaginazione , quella creatrice facoltà dell’ intelletto , non s' arresta pertanto; ed una serie consecutiva di medi- che teorie vanno tuttora a gara sorgendo , fino nuove for, mandosene sopra gli avanzi delle antiche cadute dettrine. Fra queste la teoria eccitabilistica dello Scozzese Riformatore , colla facilità, e colla semplicità dei suoi principj sedusse principalmente la gioventù, che avida di cognizioni, impaziente della fatica, e tediata dalle nu- merose, e disparate osservazioni. dell’arte salutare, che fin qui fatalmente niun ragionevole sistema con eviden- za collega, cupida di massime generali per facilitare V’in- Poeti 89 telligenza, e di regole per intraprendere con sicurezza il difficile esercizio della medicina, ne divenne seguace , mossa forse più dal sentimento, che dalla ragione. Fu nell’Italia più che ovunque esteso il browniano proselitismo , ma cessato l’entusiasmo del momento, ed i suoi seguaci col tempo progredendo in cognizioni , e per- fezionando‘il.proprio giudizio ; sottoposero all’esame del- la critica, quelle istesse dottrine, che con tanto calore ave-' vano abbracciate. Fu dal seno di questa gioventù italiana ; che si ele- varono medici distinti, pensatori profondi, onore. della patria, e dell'umanità benemeriti, che guidati dall’ osser- vazione e dall'esperienza , scuotendo i consacrati pregiu- dizi dell’arte , ricchi‘di peregrine ed utili cognizioni, os- servando con accuratezza il «corso delle malattie, e gli ef- fetti degli amministrati rimedi, distinsero nei fenomeni e néi resultati, che nel periodo delle medesime si presen- tano; ciò che si deve alle spontanee operazioni dell’orga- nismo ; ciò che.dall’efficacia dei. farmaci si repete, dbi quali giustamente ne ristrinsero il numero; e con scrupo- losa esattezza ricercando negli estinti i processi. morbosi, altri abbandonando, ed altri riforniando la stessa teoria di Brown, fecero però sempre acquistare alla medicina un aspetto più filosofico, e. vantaggioso , dirigendo prin- cipalmente le loro indagini allo studio delle. condizioni morbose, vera causa dei fenomeni sensibili costituenti le malattie. i Ebbe da quest Sti origine la medica dottrina del i controstimolo che. mena tanto rumore nella nostra pe- nisola, e che professata fino nelle cattedre d’ illustri ac- cademie, ha acquistato un numero considerabile di seguaci. Nella storia dei medici. sistemi ;è : osservabile che malgrado l’ opposizione assoluta dei principj che spesso li costituisce, e l'enorme differenza delle pratiche applicazio- «mi che ne derivano, pure nella generalità delle | cognite 3 de 90 malattie, tutti gli abili medici coneòrdano nell’ impiego di quasi simili medicatrici sostanze, sebbene differiscano nel fissare la qualità delle loro speiziali potenze, e la na- tura dell’affezione. Proviene, quest’ uniformità dalla circostanza , che i cardini delle teorie desumonsi da quei metodi curativi, che una lunga esperienza dimostrò vantaggiosi, e dall’ ado- zione di quegl’ istessi metodi che felicemente riuscirono nelle applicazioni delle altre teoriche; imperciocehè quan. do la buona fede, e l'utile dei propri simili è lo scopo delle nostre viatetifio; profittare devesi di tutto qualunque l’ origine ne sia, e qualunque detrimento ricevere ne pos: sa il sistema ile abbracciasi. Bene spesso la nostra sottigliezza nel riconoscere i fatti ne elude la reale ragione, e quel che sembrava di- struggere il professato sistema; cercasi di convertire con nuove ipotesi nel più saldo appoggio del medesimo ! Se questo non è il luogo per discutere i danni che all’ umanità procacciarono i sistemi, e la smania di teo- rizzare, non sono da preterirsi i vantaggi che non infre- quentemente ne resultarono. Ancora negli stessi deliri dello spirito umano, la ra- gione in qualche parte vi presiede, la fortuna li corona, rifulgendovi alfine la verità, e dando occasione all’ origi- ne di utili ritrovati. Così dall’ Alchimia , ne nacque la Chimica, e nella sconsigliata ricerca della Pietra filosofale , e sotto il fatal impero della setta medico-chimica, acquistò la medicina validi ed efficaci rimedi. Quantunque le basi teoretiche del controstimolis- mo abbiano piuttosto i caratteri d’ un ipotesi seducente, che di evidenti principj, come tenteremo di dimostrare in progresso; non si tralasci di profittare delle utili verità di questo sistema, e delle sue più felici applicazioni, Non di rado da erronee opinioni , indirettamente emersero gt utili verità, e la filosofica analogia è mai sempre stata più dell'ignoranza profittevole. ‘ Se parziale la fama occultò i successi dei controsti- molisti moderati (1 )è indubitato che allorquando tali si mantennero, sia in forza degli agenti energici che ado- prarono , sia per mezzo dell’ opportuna inattività che adot- tarono; dalle loro Cliniche sorti un maggior numero di guariti essendovisi trattenuti minor tempo del consueto; condizioni uniche, onde giudicare della bontà dei meto- di curativi . Sono i neoterici quelli che con tanta evidenza han- no estesa la dottrina delle preponderanti flogosi, sempre identiche considerandole ; sono essi che impiegarono con latitudine maggiore l’ uso di attivissime sostanze, che nuo- ve ne introdussero nel terapeutico demanio, e che effica: cemente le adoprarono in dosi tali, che giammai la sco- lastica timidezza avrebbe osato amministrare. Sono essi (1) È col calcolo alla mano , e coi fatti che si dimostra. Si con \ sultino le statistiche stucduivibfali; quelle delle cliniche 4 rinomate, e se ne confrontino le respettive mortalità, avendo ‘però sempre ri- guardo alle circostanze pari, ed agli elementi produttori di questi resultati. Si osservi fra le altre la clinica medica di Bologna; che di- retta dall’ illustre Tommasini, ci offre nei pubblicati ragguagli una mortalità di 7. 3/4 per cento, sebbene per l’oggetto dell’ istruzione abbia accolto oltre un numero considerabile dei dominanti tifi , le più gravi ; incurabili, e micidiali malattie. Non sorprenda quest’ aumento di esiti infausti, al di là di quel- lo che fissano le comuni statistiche di Ospedali, atteso la scelta co- guita delle più pericolose, e fatali affezioni, e conseguentemente dietro gliaccresciuti elementi di pericolo. Ma si paragonino per altro i resultati di Bologna, con quelli delle altre cliniche, dirette , o col ‘scetticismo, o coi principj delle altre scuole che presentano una mortalità media proporzionale del 12 per cento, e persuadiamoci dell’ esattezza della proposizione, e dei reali progressi dell’ arte salutare ; molto potrei dire dei vantaggi che pure procurano al- l'economia del dispendio , e del tempo, ma li passo sotto silenzio ; come oggetti che in altro articolo mi propongo esaminare. x 7 92 che sperimentarono così utilmente per la cura dei morbi, la tolleranza delle diverse sostanze, in tal. caso se non sempre come certi(1)criteri almeno come utili medicine. Sono essi che non limitando il loro studio alle semplici. nosologiche considerazioni della forma delle malattie , lo diressero alle morbose condizioni produttrici dei feno- meni, poichè le nosologie basate sopra il complesso dei sintomi, non ci offrono che convenzionali vocaboli, dai quali non indicandosi l'essenza della malattia, a. nulla servono per lo scopo importante dell’ arte nostra, per la cura cioè. Ad onta per altro di questi passi vantaggiosi che fece fare alla scienza il controstimolismo, pico de questo sistema germi di errori, che non essendo di sem- plice speculativa’ indagine, potrebbero perniciosamente applicarsi all’esercizio della medicina. (2) Laonde col sussidio delle osservazioni, dell’ analisi, coll’ aiuto della storia dell’ arte, e dei fatti che le appar- tengono, senza ammettere la totalità delle dottrine con- (1) Pretendono i neoterici, nei casi di dubbia diatesi, determi- narne la natura, desumendola dagli effetti che ottengono dall’am- ministrazione d’un rimedio di cognita qualità. Dubitiamo che quesia ricerca possa darci resultati sicuri, come esporremo nelle lettere successive; ma per altro la tolleranza dei rimedi ci servirà spesso di guida nell’oscurità della diagnosi, e della cura. L’ incertezza della Scienza, l'aveva già fatta proporre ed adottare con successo al gran Sydeman, ed i neoterici non hanno fatto che estendere, e con oc- chio filosofico considerare il suo metodo a juvantibus, et laedentibus. (2) L'incertezza che domina sulle idee precise dei controstimo- listi, i più abili dei quali non le fissarono sul complesso della propria eccitabilistica dottrina , ma nei soli principj teoretici di pratica im- mediata applicazione, temo che m’induca spesso in errore, attribuen- doli idee che non hanno, ed inesattamente esponendo quelle che professano. Medici sommi che questa dottrina avete basato, quando vorre- te corrispondendo ai voti comuni, ed all'interesse dell’umanità, ren- derla finalmente di pubblica ragione? Cesseranno così tante vane cicalate come questa , ed illuminerete chi forse per non ben conosce- re i vostri principj li disapprova ! # 98 trostimolistiche, ecletici per dovere, non si ometta di adottare quelle utili pratiche che vi si contengono , e si abbia pure la taccia non disonorevole di controstimolisti, da quei che soltanto alle apparenze attenendosi, per tali ci qualificano , e per l’uso che non infrequentemente si fa delle sostanze che essi adoprana, e per 1’ adozione dei loro metodi. ni E ponendo fine alla presente , nelle successive entre- remo nel vero campo che ci siamo proposti, occupandoci primieramente della forza vitale, ossia dell’eccitabilità , e quindi dell’ eccitamento; degli stimoli, e dei controstimo- - Ji, delle diatesi, della condizione irritativa, e delle po- tenze irritanti, terminando questo qualunque siasi lavoro, colla ricerca degli essenziali elementi delle malattie. ‘Pregovi non dimenticare, che mancando un testo autentico , che tutte , ed esattamente esponendo le modi- ficazioni che subì la teoria eccitabilistica, ed i veri, e concordi principj dei controstimolisti, che quasi tradizio- nali circolano , mi trovo'costretto d’ occuparmi dei mede- simi senza una scorta sicura. Sia questo un. altro motivo di compatimento ; e salutandovi. Lettera II. Dell’ Eccitabilità. Nella vita , ossia in quel più lungo periodo dell’esi- stenza organizzata degli esseri animali, siamo dotati di proprietà così diverse dalla materia bruta in generale, che sebbene diversifichino queste, atteso le lorò estese modifi- cazioni, secondo la scala della‘-serie animale cui Vindivi- duo appartiene, presentano pure delle particolarità così comuni da farci riconoscere in essi un uniforme. sistema di aziovi, le quali quantunque provino l'influsso delle for- ze che regolano la sfera più generale dei corpi nella qua le souo collocati, giammai tralasciano di manifestare que- ste loro speciali, e particolari proprietà. ? 94 I fatti poi, essendo il resultato dell’ opra delle poten- ze degli enti materiali, che le possiedono, e dalla di cui essenza necessariamente dipendono, è perciò nella loro matura, che ricercare si deve la causa dei propri fenome- ni. L’analisi chimica per altro avendo colle più esatte ri- cerche, dimostrato i principj elementari componenti gli. esseri organizzati di matura identica a quella dei corpi inorganici , perciò le potenze che caratterizzano gli orga- nizzati viventi, e che sono causa delle loro. proprietà ,, 0 provengono dall’ esistenza di qualche ente non soggetto alle indagini fisico-chimiche , o sono il necessario produt- to della peculiare disposizione delle materiali particelle che li compongono. Atteso la specialità dei fenomeni ani- mali, la loro produttrice cagione, qualunque ne sia la na- tura , è stata sempre indicata con un nome distinto; e presso i neoterici ritiene quello di eccitabilità , desumen- dolo dalla/circostanza che i fenomeni vitali vengono co- stantemente eccitati dall’impressione d’un qualche agen- te, onde esso.pure venne denominato eccitante. Restringendo le nostre ricerche ai soli animali, ri- fletteremo che quantunque Brown, nei suoi scritti ci lasci dubbiosi sulla di lui positiva opinione relativamente al-. l’entità dell’eccitabilità , pure tutto concorre a persua- derci che egli la considerasse come un essere reale, sup- ponendola accumulabile , diffusibile, identica intatte le» parti soltanto dall’organizzazione modificata, e per l'azio- ne degli stimoli esauribile; e quei medici che poco atten- ti s'occupano della fisica dell’uomo sano e malato, am- mettono come indubitabile verità, la reale esistenza del principio vitale. Ma .per convincersi di questo rettamente filosofando, o bisogna dimostrarne l’esistenza per vie dirette , 0 stabi- lirne la necessità assoluta per modo, che senza conside- rarlo un corpo realmente esistente, restino assolutamente impossibili fenomeni della vita; in una parola 0 fa d’uo- 95 po dimostrarne l’ esistenza , 0 la necessità ; ora dimostrar- lo non si può giacchè non cade sotto i sensi, e necessario non lo credo, poichè i fenomeni della vita ricevono eguale spiegazione con ciascuna di queste supposizioni. Si pretende desumere l’entità dell’eccitabilismo, de- ducendola dall’ osservazione che nei corpi morti gli ele- menti che li costituiscono, obbedendo alle leggi delle loro ; ‘@ffimità respettive; producono i fenomeni chimici della putrefazione. Queste medesime affinità comecchè ineren- ti alla loro individuale natura dovendo pure esistere nel corpo vivente, se non vi effettuano i loro prodotti, so- stiensi‘non potere ciò necessariamente dipendere, che dal- l’essere queste attrazioni contrabilanciate da quella di qualche corpo, col quale i suddetti elementi abbiano un’ azione chimica maggiore che fra essi stessi; ed è appunto in questo supposto essere che si fa consistere l’ eccitabilità. Si rifletta che quantunque signori la cagione delle affinità elettive, non sembrano che una modificazione di quella forza attrattiva che regge il general sistema ' della ‘vatura , sia che questa essenzialmente appartenga alla “materia , sia che dipenda dagli esterni impulsi di qualche ‘fluido che la repelle, è indubitato per altro; che nella guisa ‘appunto , che dalla respettiva situazione dei gran . ‘corpi che si muovono nello spazio; ne conseguita che essi non sì riuniscono per formare un’ unica massa di materia; e come dalla speciale collocazione dei metalli eterogenei «proviene , che si sviluppino , o nò i fenomeni elettro-mo- ‘tori, così dalla semplice mutua posizione, 0 polarità dei ‘materiali elementi componenti la nostra organizzazione vivente, possono venire equilibrate, ed ‘elise le varie af- finità , che nella morte comunemente accompagnata da sensibile alterazione nella tessitura del nostro corpo, pro- ducono la putrefazione. Oltre di ciò, qualunque sia il principio che ecciti il continuato movimento dei nostri solidi ; e-dei fluidi chie ‘ 96 | vi scorrono , ed 1 fenomeni chimico-organici della nutri- zione delle nostre: parti; sono queste circostanze bastevoli per elidere e modificare col loro intervento quelle tenden- ze a riunirsi, e quelle combinazioni, che effettuar possa- no la citata putrefazione. 1 fautori del material principio della vita, pretendo» no appoggiarne l’ entità; all’ osservazione che ftaltoltau ac- cade la morte, senza traccia di sensibile lesione nel nostro organismo. Essi la sostengono pure dietro la considerazio- ne: che allorquando in una data parte ‘si. esercita. la propria funzione! con; forza insolita ‘e protratta , mon solo l’ attitudine di continuarla decresce e cessa; ma pu- ranche quella. delle ‘altre; si .disturba e diminuisce; lo che secondo i suoi sostenitori; dimostra , che il principio vitale si esaurisce; e che diffondendosi nella parte molto attivata, lealtre ne divengono necessariamente mancanti. ‘Lo isuppongono inoltre accumulabile ; ed esistente perciò, deducendolo dal vedere! che una parte in quiete, e priva dei suoi stimoli, come i occhio nelle tenebre ; lo stomaco a digiuno ,,in questa condizione i nostri organi risentono molto più dell’ erdinario l’azione dei loro consueti stimo- li. Finalmente in sostegnoidell’unità , e diffusibilità. del medesimo; citano la rapida; diffusione di alcuni agenti, che se. semplicemente operassero sull’ organismo, arelloria che non potrebbero esserne così.solleciti.gli effetti.‘ .. Stabilita la doltrina-eccitabilistica si ammise l’eccita- bilità in:ragione inversa dell’ età, massima nei fanciulli, minima: nei vecchi; la durata della vita in ragione opposta al suo:consumo, ossia agliistimoli che l’occasionano, e gli uomini fatalmente privi,dei. mezzi di riprodurla; sarebbero costretti, per l'amor dell'esistenza che ci è così comune, condurre una vita sènza piaceri, senza godimenti , e sen- za affetti, sottoponendosi a tutte. le possibili privazioni, Alcuni deî neoterici. controstimolisti, senza troppo spiegarsi nei loro principj; ammisero la, consumazione in 97 quanto ‘all’atte dell’ eccitabilità, ma hanno concesso alle parti l’attitudine di ‘accrescerla , e riprodurla sotto certe date ‘condizioni, togliendo così la macchina umana dalla dura situazione di essere semplice consumatrice , dell'oc- culto tesoro del principio della vita. Pria per altro d’inol- trarci, esaminiamo i cardini sopra i quali se ne basa la reale esistenza. i Se la morte accade talvolta senza riconoscibile lesio- ne delle parti importanti dell'individuo, o senza alcuna traccia d’ alterazione nel medesimo, mentre nella mas- | sima pluralità dei casi all’ accurato esame del cadavere si appalesa' sempre una sufliciente alterazione patologica, mentre la morte senile succede necessariamente per un alterato organismo, di cui bene se ne comprende la cagio- ne; e se conosce l’ essenza; si dovrà essa attribuire all’ esau- rimento, al consumo di questo ignoto principio? E se la più estesa osservazione ci. mostra la morte avvenire per un’alterazione del misto organico di qualche parte , altrettanto più riconoscibile e comune, quanto più avanzata si mostrò l’ anatomia patologica, l’ analogia rigorosa ci costringe ad ammetterla sempre , ed allorquan- do in rari casi non si ravvisa, convien piuttosto attribuirlo alla nostra ignoranza della più intima struttura dei nostri tessuti, di cui non si conoscono che le più materiali varia- zioni ; ed i rapporti più apparenti. Se allorquando le funzioni si effettuano con energia maggiore in una data parte, e le altre se ne risentono con una diminuzione delle loro, ciò pretendesi attribuire ad un equilibrio totale di azioni, e di forze sempre eqguili- brantisi, non adoprasi certamente che un paralogismo, il quale ai precedenti nuovi termini sostituendo , non fa che indicare il fatto istesso, senza determinarne la cagione. Se vero fosse quest’ equilibrio prodotto dalla forza quasi espansile dell’eccitabilità, giammai si potrebbe ve- rificare un totale aumento di tutte le operazioni vitali, T. IX. Marzo 7 93 come per esempio accade nelle semplici febbri inflam- matorie. Insussistente pure lo dimostra il fatto positivo, che talvolta ha luogo un reale accrescimento di una, 0 più funzioni, senza che le altre corrispondentemente diminui- scano, come «ancora , non di rado succede una generale diminuzione nell’ attività delle nostre funzioni, oppure una speciale in qualche organo, senza venire corrispon- dentemente accompagnata da un esercizio maggiore in quella di qualche altra parte. Questi non costanti, ma ivignesti fatti, credo .che siano facilmente intesi colle dottrine vigenti della. nutri- zione del corpo, poichè continuamente il sangue andando in tutte le parti, vi si effettuano dei cambiamenti, avendo questo liquido reduce dalle medesime, e divenuto venoso, proprietà diverse da quello che vi si porta; ed inoltre i linfatici che vi emanano conducendo alle prossime. glan- dule dei materiali, i quali non sono che tolti dalle parti stesse. È dunque necessario all’ esistenza, ed integrità delle funzioni il concorso di alcune determinate particelle, che cooperino alla formazione delle varie facoltà, onde se una parte si esercita più dell’ ordinario, per questa stessa atti- vità vi richiama, e maggiormente si appropria le neces- sarie particelle, scarseggeranno perciò nelle altre, ed in special:modo in quelle, che per identità o somiglianza di struttura, o per analogia di funzione hanno bisogno delle più omogenee e similari, dando luogo perciò alle così dette simpatie di compensazione. Come appunto allorchè molto traspirasi. minorano le orine, e viceversa; e come nelle sierose accresciute secrezioni, le solite evacuazioni.diminuiscono, e nell’au- mentata mole d’ una parte le altre divengono deficienti, —— per la diminuizione corrispondente dei materiali inservien- ti a queste operazioni, così credo intelligibile il fatto in questione, senza ricorrere alla browniana eccitabilità, che niente affatto spiegherebbe le simpatie di accresciute fun- 99 zioni, e che nell’aumentata attivazione d’una parte, tutte do- vrebbero proporzionatamente risentirsene. Ma nella ‘nostra maniera di-pensare, potendo nei fluidi abbondare le mole- cole che concorrono alla vitalizzazione dell’ organismo può in conseguenza accrescersi talvolta la sua attività, senza che le funzioni della nostra macchina vi corrispondano con una speciale diminuzione della loro. Nè si dimentichi di riflettere, che se nel processo mor- boso che suscitasi in un organo, possono ad un altro cu- municarsi i movimenti similari che lo costituiscono, atteso specialmente la loro comunanza d°’ officio , e reciproca de- pendenza nello stato sano; può questa ancora verificarsi nel patologico ; e così prodursi per esempio quelle infiamma- zioni consensuali, nelle duplicate parti della nostra eco- nomia. Se poi col soverchio esercizio i nostri organi si defati- gano, ciò attribuire si deve, non principalmente alla scar- sezza, 0 mantanza delle determinate particelle organiche, ma a qualche cambiamento di posizione di quelle che li costituiscono, originato dalla loro azione protratta, ma co- me conviene abbandonando il regno delle ipotesi rammen- tiamo un teorema della fisica animale, che ogni unica od uniforme azione non potendo lungamente continuarsi , ri- chiede riposo, altrimenti perdesi l’attitudine di conti- nuarla, nascendovi nelle parti inservienti un’incapacità pro- porzionale al tempo, ed all’ intensità dell'esercizio , e spesso contrassegnata da molesta sensazione. Si avverta perciò, che quelle stesse funzioni che sembrano costanti, non sono che azioni alternate col riposo, od una serie di variate operazioni. Abbiamo un esempio del primo caso nella circolazione nella respirazione ec., e del secondo oltre molti, nella vista, che fissando lungamente un me- desimo oggetto, l’occhio sì stanca divenendone difettosa la sensazione, ma che continuando ad osservare alternati- vamente vari corpi non ne soffre alcuna molestia. 100 Il senso di malessere , e di patimento che susseguita. alle energiche, e protratte operazioni delle funzioni .volon- tarie, dimostra la realtà di questa alterazione, dedotta. pure dalla diminuita coesione delle fibre' muscolari dopo. con- tinuati esercizi, cosa messa a anni per la domestica economia. (1) Ammettendo che colla quiete, e soli riposo si accres- ca l’eccitabilità, o per esprimersi con esattezza\maggiore, che proporzionatamente alla deficienza di stimolo si ac-. cumuli in una data parte l’eccitabilità medesima, si viene > con questo principio a riconoscere nella suddetta eccita-. bilità un ente, e non una qualità, resultante dal contestò, materiale. del nostro organismo; poichè sussistendo .il medesimo, e variandosene la capacità, questa dovrebbe da altro principio resultare, e di accumulamento trattandosi non potrebbe effettuarsi, che nella esistenza di qualche essere. Stabilita quest’ ipotesi, dedussero l’impressione mag- giore dei consueti stimoli, rielle parti che ne divengono mancanti ( come l’ occhio nelle tenebre, lo stomaco a digiuno, le mani prive del loro temperato ambiente, ) da un accumulamento della non impiegata eccitabilità per cui uno dei fattori dell’eccitamento, trovandosi in dose mag- giore, esso perciò deve più intenso resultare. Se tale fosse di questi fatti la spiegazione, poichè la mancanza. di sti- moli ne accresce l’eccitabilità , così pure un aumento dei medesimi, come ibrowniani sostengono, la dovrebbe esau- (1) Si conosce la pratica dei macellai di fare eseguire moltipli- cati esercizi, e corse all’ animale prima d’ucciderlo, cosa che rende le carni più sapide , e di più facile cottura. Inoltre non è tanto lo sforzo della contrazione nei salti dei bal- lerini che rende facile la rottura dei loro muscoli , e tendini, quanto il cambiamento organico precedente che le contrazioni v’induconò, giacchè gli accidenti soliti accadere ai medesimi, han luogo bene spesso nel più piccolo salto , e quasi sempre nei prolungati esercizi. 101 rire. Come adunque’nell’ infiammazione , ove vi' è neces: sariamente aumento di stimolo, le parti infiammate risen- tonò così altamente l'impressione di qualunque corpo, mentre tutto il; contrario dovrebbe accadere? In qual guisa l’ occhio infiammato, e sottoposto all’ azione ac- egiliata dello stimolo del sangue, e dei' processi infiam- matori; è così sensibile ‘alla lucé? Inoltre osserveremo ,che la sensazione molesta; jo dolorosa che ‘1’ occhio'esposto alle tenebre risente all’azione della'sopraveniente luce; non è proporzionale al tempo della‘(privazione della medesima ; e nel sonno che cessano di agire ‘vari ‘stimoli , e nel quale l’azione di altri diminuisce ; allorquando ‘ci ‘risvegliamo, dovremmo: essere ‘all’ impressione di ‘ qualunque agente più sensibili, di quello che'realmente lo siamo; circostanza, che isolo!si manifesta nel serso della vista. Di più; se o stomaco, dopo lungo digiuno, viene maggiormente‘ impres: sionato dall’ azione di qualunque cibo , o bevanda, in tal caso perfino ‘capaci di spesso produrre gravi sconcerti;'oltre le altre: cagioni, chela fisiologia positiva insegna’, dipen- dè! ancora;!che dali trovarsi in:questa circostanza, vuoto un tal viscere, me diviene perciò: più immediato il'contatto di quelle cose:che vi:s' insinuano: 29 -dv' queliprolungato riposo ‘che alcuni organi adi nostro còrpo'!rende : più. sensibili, ‘ad altri, come per esempio ai muscoli intorpidendoli me dimimuisce la facoltà motrice! La':cagione per cui.la mano esposta ad un {freddo gagliar- do:sente.con forza notabile la sensazione calorifica!«d’ un corpo «di; bassa. temperatura, è tutt'altra che quella” asse- gnata dai browniani; desunta dalla privazione del:calorico; percui accumulandosi l’ eccitabilità;.risentit deve. con maggior «energia quello-dei. corpi «di tenue temperatura; poichè ciò. posto ; dovrebbe essere egualmente stimolata dall’azione di qualunque corpo. L’esperienza dimostra al contrario, ‘che essa anzi.-diviene torpida a qualunque:sensa- 102 zione , onde se cotanto risente l’azione di un corpo di più elevata temperatura; proviene dall’ effetto fisico dell’. equi- librio della forza calorifica , che è sempre in ragione delle respettive differenze. Questi medesimi persia sono. ap- plicabili al caso opposto. o! pali Sostengono i riformatori, che l’abitudine, ossia: il. pro- dotto della frequente ripetizione d'un atto determinato, ottunde il senso della parte nella quale sì stabilisce , per- chè esaurendosi l’ eccitabilità con queste ripetizioni, di- viene la medesima meno capace (di sentire Vi ZIOLER ulteriore dei consueti agenti. : (‘0 | Si consideri peraltro che questa ditainubioie di sen- sazione in forza dell'abitudine non si manifesta in tutti i fenomeni della vita, ma solo in quelli cui 1’ impressione | degli oggetti induce una più; 0 meno visibile alterazione organica della parte; laonde; se è. vero che la facoltà tatti- le della mano;diminuisce perla ripetizione di ruvide ope- razioni ; «atteso le callosità , od indurimenti che vi precu- rano ;. sela lingua astliadia il suo gusto ; per l’\azioné di forti, e ripetuti aromati , che alterano la tessitura delle sue. papille, tutto-il contrario addiviene, quando con.fre- quenza si esercitano i nostri organi; senza produrvisi una materiale alterazione nel loro contesto, acquistando in ve- ce maggior squisitezza nel sentimento, e più facilità nel: l'esercizio delle respettive funzioni. Quale!sia poi la causa, per cui l’azione di sbrigi for! ti sostanze come l’ oppio; i veleni.\diminuisca ‘coll’ uso, confessiamo d’ignorarla, poichè non pae cinesi pi colla stessalteoriaeccitabilistica ;; come frappostò un lungo intervallo fral’azione per. esempio, d’oggi d’un corpo; e quella successiva di dimani , non' si sia riprodotta; 0 .ma- nifestata l’eccitabilità d’’un dato organo per il medesimo, restando;poi sensibile all’ impressione di qualunque altro di convenuta identica qualità ; o semplicemente variante 103 di grado. In qual guisa, uno stimolo minore potrà esercita- re Ja sua valida 1 pr pena , ove uno maggiore spegne vien risentito ? “ Finalmente se 1’ abitudine d'un’ operazione ne diminuise il piacere ; ed il dolore ; ripetiamolo ‘dalle cognite dottrine del’ cuore umano, e dalla teoria di que- ‘isti. moventi della nostra volontà , il di cui grado si pro- porziona alle vesngitci differenze dei precedenti stati app SOTBRA BIL ‘Se l'impressione di alcune sostanze in una data parte, "dii risveglia pure la sua azione; si dovrà conchiudere dell’universalità, e diffusibilità del principio vitale? Que- sta conseguenza ci porterebbe ad ammettere ; che in una macchina di complicate ruote, e leve, allorquando per il movimento di una, le altre sebbene a non immediato con- tatto ne manifestano ‘uno più, o men celere, senza che nelle intermedie visibilmente se ne appalesi veruno, pro- venisse dall’ esistenza d’ un qualche invisibile principio , piuttostochè resultare dall’ organismo della medesima, per la loro respettiva collocazione ; ed in'virtù delle concepi- te} ‘e ‘comunicate: forze: : Considerando im oltre che non' sono generalmente così sa effettidei rimedi i più» diffusibili, ma‘ che richiedono ‘un qualche tempo per determinarsi i onde se essi agissero sopra qualcheessere umiversale ed identico, sempre ‘con somma rapidità si dovrebbero comunicare, e sviluppare; nè questa rapidità, nè questa costariza osservan- dosi, è più verisimile che sull’ organizzazione delle parti operino ; e che per i»rapporti di movimenti, e di strattura ad altre si comunichi” quella condizione modificata , che in qualche punto si determina. In ultimo se reale fosse l’esistenza di quest ’eccitabilità diffusibilein. tutte le parti del nostro corpo dovrebbe, ri- sentirsi l’azione di qualunque stimolo, e non solo verifi- 104 carsi in ‘pochi, ed elettivamente manifestarsi inf alcuni organi , o sistemi (1). Mi è Stabilita nelle scuole la di ha entità; Lv “rici cale ta d’identica natura , e per conciliare la differenza delle varie funzioni.della nostra economia; hanno supposto che fosse dall’ organizzazione modificata!: così deviando, dal retto sentiero di ragionare, invece di riconoscerne l’effetto dell’organizzazione srl ef per la causa della capacità delle sue funzioni, ad altra occulta cagione si rivolsero. ' \.. Nè trascurando infine la, celerità colla quale spesso si manifestano i fenomeni in parte remota dal..luogo ove fanno la loro impressione gli agenti sia interni, che ester- ni; fu dietro questo fatto statuito la diffusibilità dell’, ec- citabilità , erroneo corollario, giacchè questa diffusione .si deve rifai dalla natura dell’ agente, e non dalla pas- siva eccitabilità, unicamente impressionabile; poichè pos- sedendo questa. proprietà, dovrebbe costantemente mani» festarne i prodotti; cosa che coll’esperienza non concorda. L’ errore tutto di questa dottrina; consiste | nell’ aver considerate le sole forze realmente astraendole dalla causa che le produce, e che inseparabilmente. le. accompagna dall’organismo, cioè: . nel vocabolo eccitabilità;.non rav- viso pertanto,.che l’attitudine posseduta dai corpi organiz- zati di ricevere l’ impressione, di qualunque. agente pro» ducendo dei fenomeni, il di,cui resultato è in ragione della sua azione ,.e dello stato reale, 0. di RPpetA della parte che. la risente... dini @ipreini n : (1) Se l’ieccitabilità fosse un ente di/uso;in.tutto 1’ organismo, ed esso solo impressionabile , qualunque, esercitatavi azione dovreb- be risentirsi nel complesso dell’animale’ economia, come dipenden- te dal medesimo, essendo inconcepibile che in una continuata iden! tica estensione di un corpo, in alcuni punti a preferenza si’ manife- stino dei fenomeni ;;quandochè tutti ricevono 4’ impressione comu- nicata dalla causa motrice. i i 105 Poichè d’altronde i fenomeni vitali sono:così diversi da quelli-che manifesta la materia bruta in generale e che non ne seguitano le norme, perciò a questa causa , astratta dalla materialità dei corpi organici, gli è stato con- ferito un nome distinto. Interessando questo soggetto principalmente la fisio-| logia, temo di essermi estesoal di là di quello che com- portava il nostro scopo , onde per non più tediare la. sof- ferenza vostra; passerò sotto silenzio tutte le applicazioni fisio- patologiche che dall’ esposto principio resultano , rammentando soltanto che le parti hanno le loro facoltà, sempre alla propria organizzazione relative ; che nello stato morboso in cui vi, lianiio! luogo dei cambiamenti, offrono perciò resultati, assai diversi dall’ ordinario ;' che nell’infiammazione risentesi maggiormente l’azione degli stimoli; che. una parte incallita, diminuisce la sua capacità di sentire; che, nella frequente ripetizione. d’un atto, pento una maggior cognizione delle qualità «degli esseri che lo promuovono si perfeziona il nostrò giudizio; sebbene se ne diminuiscanò le sensazioni ; ed: in: fine che le parti organiche; sono, talmente collegate tra: loro.:per mezzo dei vasi dei nervi, dei fluidi, e per la. continuità di struttura; da partecipare, ‘benissimo per una comunica- zione di organici, ignoti movimenti, gli. effetti [speciali della diffusione degli stimoli; e. della condizione «mor? bosa clie.in alcuni punti si stabilisce. ib ;4I .E da tutto l'esposto, sembrandomi ché per e spiega- zione dei fenomeni non faccia. d’ uopo ammettere la posi- tiva individuale esistenza dell’eccitabilità, serva conside- raré la medesima come una, semplice qualità dell’ùniversa- le integro. complesso della. nostra struttura. vi Pertanto l’idea del suo. diffondersi; esaurirsi; tali Ac+ cumularsi, per opra , od inattività dei! diversi agenti, non essendo dimostrata , i. vari. effetti che per loro. mezzo 106 si ottengono, non crederei da altro dipendere che dai cambiamenti, che colla. propria azione ; ‘inducono’ nella nostra organizzazione, 0 dallo stato in cui*la collocano ; per. non produrvene gli ordinari. Con rispetto ‘etc. Em. B. Histoire des Frangais, ec. Storia de’ Francesi , del sig. G.S. de Srswowpr. Terza parte: la tilt con- federata sotto il regime feudale, dall'arino di G. C. ‘987 all’annò ‘1226. Tomi IV. 7. VI. per Treuttel e de = nici ol. odi id primi volumi della Storia de’ Francesi usciro- no in luce due anni sono je noi credemmo'di far piacere ailettori. dell’ Antologia ;‘con ‘inserirvi ‘l'introduzione dell’ opera; prima che questa ‘insigne’ prod'uzione potesse esser conosciuta dai letterati italiani. L'amicizia dell’ il- lustre ‘autore ci permette ‘oggi ‘di far (di più; perocchè', mentre egli sta preparando vna nuova’ dispensa di detta storia:; la quale non potrà uscir fuora prima del ‘prossimo mese:di maggio, ha avuto la‘‘compiacenza di comunicarti alcune idee generali sul contenuto di questa ‘dispensa ; ed insieme un frammento, che ‘non sarà privo d’interesse per il pubblico italiano; a cui andiamo gloriosi di poterlo of- ferire prima che sia fatto di pubblica ragione. Il periodo di dugento quarant’ anni compreso nella pre- sente distribuzione yossia il regno dei primi otto re della razza dei Capetingi, è un'tempo nel quale l’autorità regia fu pressoche interamente annichilata in Francia. Ogni signore erasi; afforzato nel'suo castello, ed ogni famiglia nobile aveva il suo fortilizio; nessun’ordine emanato dalla capi- tale'veniva obbedito nelle provincie , nessuna milizia ese- guiva i comandi del rè, messuna imposta versavasi nel suo tesoro; nessuna giustizia } nessuna protezione estendevasi 4 \ 107 fino ai suoi sudditi; e l’ anarchia sarebbe stata vniversale, se un nuovo reggimento, ‘conosciuto: sotto il nome di si- ‘ stema feudale ;jnon avesse conservato 0 ristabilito ‘alcune relazioni fra le parti ed il tutto , e. non ‘avesse sostituito una federazione di principi alla monarchia, ehe. propria- mente più non esisteva: i ses Ichi sig: Sismondi ‘in questi: tre ‘volumi si'studia primieramente a: far ben conoscere detto'sistema feudale, e le opinioni e i nuovi costumi: che per ‘esso 8’ introduce- vano nella nazione. Quindi ‘è che; in cambio di’strignersi, come gli scrittori che lo precedettero; a' compilare l’isto- ria della corte, o quella d’un'raggio “di ‘quindici leghe attorno‘a'‘Parigi , ove appena riconoscevasi 1’ autorità rea- le, ei tien dietro ai Francesi in tutte le provincie); e ‘sot- to tutii i loro differenti sovrani. Fa vedere, nel quarto volume ,'e nel secolo undecimo, il. vincolo sociale quasi | interamente infranto:; e mostra, nel quinto } come tutti quei piccoli stati si aggrupparono nel iduodecimo, secolo intorno a quattro monarchie ; così che allora potè contar- si ‘una; Francia vallona sotto i Gapetingi a settentrione, una' Francia spagnuola sottò i monarchi Aragonesi'a mez: zogiorno', una Francia inglese sotto i Plantageneti' apo: nente ‘e una Francia tedesca sotto gl’imperadori a ‘le- vante. ‘Nel sesto volume»l'autore fa vedere; come Filippo Augusto e il suo figlio poterono'estollere la: loro ‘potenza sopra«quella dei «monarchi rivali) e sostituir: nuovamente la monarchiavalla confederazione feudale.» st . uv Glircaccidenti di questo itempo; che pub no sonò assatimal conosciuti!; ricevono nei tre ‘volumi una tale. sposizione; che ':sparge gran lumevnon» solo sulla storia di Francia; mavsu (quella eziandio»di tutta: Europa} ‘ che è molto più di quello che comunemente suppongasi insieme collegata. Il signor Sismondi ha sentito egli stesso che i lunghi lavori da lui dedicati alla‘storiad' Italia gli sono stati di giovamento ad intendere quella div Francia; 108 ma, in, contraccambio; egli crede che le suevindagini pre senti, contribuiranno; a; dar lume alle cose. Italiane: La spiegazione degli ordinamenti sociali comuni ‘a; quell’e- poca a tutta l'Europa ; le quistioni di alta politica che és: si pongono \davanti;; i progressi delle opinioni religiose; e la sanguinosa lotta cui diè cagione da»riforma } o piuttosto l’ eresia degli, Albigesi ,.sono tutti oggetti: d’iun:l interesse per così dire europeo. Ma lasciando ai: lèttori:di' farne; ini; cerca nell’ opera.istessa ; crediamo tuttavia che il principio del. Cap..X.( T.[IV. pi 482));sià d’indole più atta ad in serirsi per. disteso nella mostra Antologia. Si sa:clie èuso dell'illustre; autore di. cominciare! i» Capitoli con'alcune considerazioni generali.su i costumi e su i Pala del- la. nazione. Questo [è intitolato ; int amidi LC ‘s19bovo81 ionvoa [oi otoÈ 1j Fine dell’undecimo secolo; trovatori provenzali, ( Trou- ; badours ); scomunica. di oa 1 de3) pr »Crocia- ta ,,1088—1.i00. (0 906 de isle ilonvigtiavp | 1) sue sroti VIS Rip SUOLO, orròbi ‘undecimo; secolo PA I vilipendio come un tempo di barbarie e di oppressione , e son:occupa la. nostra reminiscenza, fuorchè per alcuni grandi, fatti sto» rici, che,faugumentarono.le»calamità della specie. uma= na, come;le, conquiste del regno di Napoli e!-dell'!In+ at rag fatte, dai. Normandi}. la. guerra. delle inve! stiture ;;y@;.da, prima crociata : | Ingiuste pretensioni') e violente , massacri,terribili ; una! réligione fanatica:e san- guinosa,;:che agitò gli stati;;.e sacrificò le nazioni: uno scopo; ;chimerico , errori e delitti; d'ogni !Imaniera:, tali sembrano. essere» gli | effetti di cento (anni di'sforzi del: \.umana.genetàzione, E tali giudizio: debbono farne prin- cipalmente coloro: che dalla Francia prendono il loro puri- to di vista istorico;. petocchè la nullità ‘o la dappocaggine dei primi! quattro Capeti: ‘avendo svogliato i contempò- ranei da\ogni desiderio di tramandare ai. posteri le me- 1 09 miorie dei tempi loro, la monarchia francese restò senza istoria nell’undecimo secolo; I Gronisti dei due ‘0 tre ‘secoli successivi'si affrettano con»pochi ‘versi a sbrigarsi d' Ugo; di Roberto, di Enrico e di Filippo; ‘e i moderni ‘avreb- bérò creduto disconvenevole il ‘tessere l’istoria della na- zione , quando non poteasi nulla dire, ‘0 null? altro ‘dire che di obbrobrioso dei ‘suoi re. buia L’undecimo secolo potrebbe'contuttociò'essere riguar- dato a buon dritto come un gran secolo!, e come uno dei secoli più importanti per la storia francese | Perocchè fu quello un periodo di creazione e di vita; mentre tutto ciò che di nobile , di vigoroso e d’eroico venne in campo nel medio evo, prese da quest’ epoca cominciamento:' la na-' zione lirtnò e spiegò il suo muovo»carattere; e di' germa- nica, e barbara ch’ era prima; diventò veracemente fran- cese. Il sistema feudale, ch’era nella sua origine ‘un'sistema . di libertà, come poi divenne un sistema d’ oppressione , le insegnò la. lealtà, il rispetto pel giuramento, e la coscien- za dei doveri vicendevoli. Dall’idealismo di queste vir- tù prese nascimento la cavalleria, o la dedicazione degli uomini forti alla difesa ‘dei deboli ; la bellicosa discipli- na dei cavalieri rifulse nei torneamenti ; e la ‘(domestica educazione creò la cortesia, e ne formò il ‘carattere di- stintivo della nazione. La lingua trovandosi così attenere ad un popolo incivilito, in cambio di rimanersi circoscritta ai modi d’un barbaro dialetto, divenne arrendevole ed elegante. Il commercio congiunse le provincie fra loro, fece conoscere ilrancesi del settentrione ai Francesi del mezzo- dì, diede a una classe inferiore indipendenza e ricchezza, in- spirò aicittadini delle città l’amore della libertà, egli am- maestrò ad acquistarsela armata mano. Un ultimo progresso appartener doveva a quest'epoca, il risorgimento della poe- sia. Nello spazio di tempo che racchiude questo capitolo, il più antico trovatore , le cui opere siano giunte fino a’ noi, occupava già il trono del Poitou; e perchè non è privile- 110 È gio dei sovrani l’ inventare le arti; allorchè » Guglielmo IX scriveva le sue canzoni, egli avea senz’ altro imparato le regole del poetare dai trovatori d'una classe. più oscura. Cotale si fu. la Francia. nell’ undecimo secolo, piena di vita in' tutte le; sue provincie, forse appunto a motivo del- l’ imbecillità) de’ suoi.re; mentre a misura che crebbe la loro potenza, videsi tutto il suo vigore e la sua attività concentrarsi nella capitale, e la nazione non parve in ulti- mo esister, più in nessuno; altro luogo fuorchè alla corte. La poesia; al suo risorgere nell’ undecimo secolo, si diffuse per;.l’ Europa dal mezzogiorno al settentrione ; dai paesi, che erano a confine cogli Arabi, a quelli ‘ove i Germani, non erano mai stati turbati nel loro dominio. Al- cuni autori però attribuirono a questi Germani il movimento poetico ;.che di. repente parve animare tutte le menti.; al- tri lo credettero accattato dagli Arabi, ed altri non vi rav- visarono,.che il linguaggio della gioventù delle nazioni , el espressione di quel fuoco di sentimenti e di quell’ab- bondanza di vita, che accompagnar doveano la prima au- rora della prosperità, dopo una tanto lunga oppressione , e dopo tanti patimenti. Non si può giungere a una dimo- strazione rigorosa dei fatti nel: far l’istoria dei sentimenti; perocchè si,.combinano nell’anima in un modo impercet- tibile tanti elementi diversi , che gli individui medesimi chiarir non saprebbero l’origine delle loro impressioni. È quanto non riuscirà maggiore tale avviluppamento , trat- tandosi, d’una nazione? Quanto non sarà più difficile l assegnare i ciò che i contemporanei tolsero ghi uni dagli altri, o.ciò che in sè stessi trovarono ? Pare che la poesia sia un bisogno imperativo del- l’anima, quando incomincia la civiltà, quando l’uomo per la prima volta sollevasi oltre la sfera de’ suoi rozzi appetiti , scorge la magnificenza dell’universo in cui tro- vasi collocato, senza per anco conoscerlo o intenderlo,; e prova in sè un’ effervescenza di sentimenti e d’idee, 111 prima d'avere imparato a. ordinarle. Anteriormente a quest’ epoca, vivere è il sélo oggetto della vita, e la lotta contro i bisogni è bastevole:ad occupar l’esistenza. Di poi la cognizione delle cose distrugge i prestigi dell’imagina- zione; e il.vero acquista troppa importanza , perchè le finzioni serbino il loro primitivo allettamento. Nell’ un- decimo, secolo il settentrione. della Spagna, e il mezzo- giorno della Francia e dell’ Italia trovavansi effettivamen- te in questa sociale condizione, in cui gli uomini, appa- gati i loro primi bisogni, sentono la propria forza; godo- no del bene della vita, e si studiano di celebrare la loro felicità per mezzo dei canti. Quelle contrade più desolate non erano dalla guerra, nè più vi erano state da lungo tempo invasioni di barbari; che dovunque portavano l’eccidio, e il divastamento: seguitavasi per vero dire a combattere, e tali combattimenti erano bastantemente vigorosi per dispiegare l’ energia, ed accendere 1’ entu- siasmo e l’amore della gloria, ma non riuscivano però micidiali, ed invece di occupare tutta quanta la vita, non ne formavano che un episodio. Le catene della schiavitù erano o scosse o allentate, e l’amore della libertà fer- mentava in tutti i cuori: le prime classi della società aveano imparato a conoscere gli agi della vita ed.a gustare l’ ele- ganza, che carezzando l’imaginazione risveglia il genio delle belle arti, e alla più sublime di tutte stili sono il piacere. Pareva dunque giunto il momento; in cui la poesia nascer doveva in Galizia, nella vecchia Castiglia, in Catalogna , in Aquitania , in Linguadoca, in Provenza, in Puglia, in Calabria e in Sicilia; quand’ anche queste ‘provincie non fossero state in veruna comunione fra loro. Essa nacque in fatti simultaneamente in queste sole provincie: ma non bisogna però lasciar d’osservare che gli abitanti di dette province erano altresì i soli che fossero in abituale corrispondenza cogli Arabi. I Tedeschi aveano avuto una poesia nazionale molto tempo prima dei Provenzali ; 112 perocchè pare che essa fosse in tutto il suo splendore al tempo delle loro grandi ‘conquiste , o del loro primo ‘sta- bilimento fra i popoli del mezzogiorno ; in tanto che al: l'epoca di Carlomagno i canti nazionali correvano già rischio di perdersi; se quel monarca non si fosse dato premura di raccoglierli. Ma la forma di quell’ antica poe- sia, l’alliterazione ; 11 suo scopo di risvegliare nei Ger- mani il furore guerriero; i costumi ch' essa'dipigneva , nei quali non avea parte la galanteria ; i sentimenti che essa esprimeva e che preparavano le anime al paradiso d’ Odino, sembrano renderla assolutamente estranea alla poesia provenzale. Quando poi la poesia tedesca fiorì per la seconda volta nel: dodicesimo o tredicesimo ‘secolo, i Provenzali ‘servirono di norma ai popoli germanici, e i Minne Singer, o cantori d’ amore, si modellarono sul- Y esempio dei Trovatori. Gli Arabi, tanto in Sicilia, quanto in Catalogna e in Castiglia, erano in una tale relazione cogli abitanti cristiani , che renderli dovea molto ‘più atti che i Tedeschi. a diven- tare maestri loro nelle belle arti. I Cristiani, a dispetto del- l'odio religioso che separava i due popoli, non'poteano a meno di non riconoscere che i mussulmani aveano su loro il vantaggio della civiltà.Gli uomini non solo delle provin- cie limitrofe, ma eziandio quelli del mezzodi della Francia, i quali sentivano in sè attitudine alle scienze esatte e na- turali , andavano a studio nelle università degli Arabi ; e di ciò abbiamo veduto un grande esempio nel pontefice Silvestro II. I medici tutti, che contentarsi non voleano dei segreti o delle ricette del volgo; frequentavano le scuole il- lustrate da Avicenna e da Averroes, dei quali il primo fiorì nell’undecimo, l’altro nel duodecimo secolo (1). I signori (1) Avicenna nato vicino a Schiras nel g80 e morto a Ha- madan nel 1037, appartiene all’ oriente ; ma i suoi canoni servi- rono di fondamento a tatti gli studi medici degli Arabi. Essi fu- rono comentati da Averroes nato a Cordova dopo il 1100; e morto. 113 feudali mobiliavano i loro palazzi, le signore si adornavano per le feste, i cavalieri si armavano per le battaglie coì pro- dotti delle manifatture di Spagna; d’ Affrica e di Sitia. E Cristiani, non ostante il loro orrore per |’ islamismo, prendevano le mode dai mussulmani. In tutte le città vedevasi il palazzo degli Arabi, e il mercato dei Saraci- ni (1). E quel che è più, i grandi aveano bisogno di ri- cever lezioni da questi stessi infedeli, per imparare a godere d’ un lusso di cui erano quelli gl’ inventori; onde i palazzi dei re di Sicilia furono pieni d’ eunuchi mao-. mettani (2), che divennero , senza rinunziare alla loro religione , i gran ciambellani di palazzo , e poi sotto Fe- derigo II, i principali giudici nelle due Sicilie (3). Nel modo stesso in Ispagna i Cristiani potevano essere stimati più capaci a combattere, ma presceglievansi i mus- sulmani per quelli impieghi che richiedevano gusto , ele- ganza o intelligenza, I più bravi guerrieri erano circondati di Saracini nell’ interno delle loro case: la più antica cronaca del Cid, Ruy Dias de Bivar, fu scritta in arabo poco tempo dopo la di lui morte da due de’suoi paggi, ch’ e- rano mussulmani. Il moro Aben Galvon, re di Molina, era il più intimo amico del Cid: quest’ eroe fu altresì ospite e amico d’ Ahmed el Muktadir re di Saragozza , e a Maroc nel 1198. I medici ebrei, che per qualche tempo eser- citarono soli in Europa |’ arte salutare , aveano il più gran rispetto per i suoi scritti che aveano tradotti nella loro lingua. I canoni d’Avicenna furono insegnati per quasi sei secoli nelle scuole di | medicina d’ Europa, nel tempo medesimo che la metafisica d’A- verroes signoreggiava in quasi tutte le università: (1) Hugo Falcandus Praefatio ad Histor. Siculam, T. VIL Rer. ital. p. 256 e seg. (2) Hugonis Falcandi Hist. Sicula , p. 301, 302, 316. (3) Diurnali di Matteo Spinelli di Giovenazzo, T. vi. Rer. ttalic. Murator. p. 1067. T. IX. JAfarzo .,8 114 tutore del suo figlio Giuseppe el Muktaman (1). I Fran- cesìi erano meno strettamente legati in relazione cogli Arabi, che i Siciliani o gli Spagnuoli, perocchè un più: grande spazio di terra 0 di mare gli separava; ma se essi avevano avuto più rare occasioni di combattere gli uni con- tro gli altri, i Provenzali e tutti.i popoli abitatori della costa del Meiliterraneo forse ne avevano avute di più fre- quenti per commerciare co’ Saracini. Tutte le mercatan- zie del levante e del mezzogiorno, che erano destinate per la Francia, entravano nel regno pe' loro porti, ed Ar-_ li, e Marsilia, e Avignone, e Montpellieri, e Tolosa erano le ordinarie stazioni dei mercatanti saracini; mè i due popoli aveano concepito l’un per |’ altro quell’ orrore che inspirò dopo agli europei la pirateria universale dei Bar- bareschi , o il pericolo della peste. La musica formava la passione dei Mori, e per mezzo della medesima essi avevano un immenso avvantaggio so- pra i cristiani, allorchè ricevuti fra i servitori d'un cava- liere nel suo castello, cercavano di render piacevole l’ozio delle nobili donne che usavano di convivere familiarmen- le coi propri paggi o scudieri. I Mori mescolati con i cri- stani, talor come servi, talor come schiavi e talora come sani e come ospiti, insegna vano ai P288 i e ai gio- vani cavalieri a far uso dei loro musicali stromenti , e l'armonia dei loro canti. E senza dubbio traducevano ancora le loro canzoni, che erano attissime ad ottenere incontro in quei castelli divenuti scuole di cortesia, ove i giovani paggi e le giovani damigelle educate sotto gli usa del icona e si Madonna, non eran guari occu- pati che di galanteria. L’amorin fatti formava il soggetto di presso che tutti i canti dei Mori; ma era questo un amore ardente , e pieno di passione, che facea delle donne (1) Ved. Zitierature du Midi, T. m. ch. 23:et 24. 115 altrettante divinità , e celebrava con entusiasmo la loro bellezza , o la voluttà di cui sono dispensatrici; I poeti mori , coerentemente all’ indole dell’ arabico linguaggio, accumulavano metafore e figure arditissime , e andavano in cerca dell’appariscente, per lo più falso, col mezzo delle antitesi e delle sottigliezze. Ma incontravano quindi di più il genio dei nostri antenati, che aveano l’imaginazio- ne ardente e non castigata dal gusto. Queste canzoni fu- rono senza dubbio tradotte in castigliano, 1n siciliano e in provenzale , per esser cantate sull’arie medesime e accom- paguate dagli stessi strumenti, a trattare i quali l'abilità dei mori era incontrovertibile. In questa maniera la caden- za dei versi e la rima passò dall'arabo idioma al proven- zale. Nè potrebbonsi rinvenire monumenti di questi do- mestici trastulli, salvo che negli antichi romanzi (1). Un istorico contemporaneo per altro ci parla di matrone cri- stiane e saracine che cantavano in coro rispondendosi nelle due lingue, intantochè le loro ancelle le accompa- gnavano sul cembalo (2). La poesia provenzale, per quanto possiamo giudi- carne, fu ciò che esser dovea a norma d’una tale origine: sì scorge nei versi dei trovatori molto amore, non poca ricercatezza e giuochi di spirito , deil’ esagerazione e ta- (1) Il conte d’ Aucassia e Niccoletta servir possono d’ esempio di questo miscuglio di cavalieri francesi cogli schiavi saracini, e del gusto dei Francesi per la musica moresca. Il viceconte di Beaucaire dice a Aucassin: ,, Niccolette est une caétive que j'amenai d'estrange terre ; si l’ acatai de mon avoir à Sarasins : si l’ ai levge et bautissé, et faite ma fillole ,, p. 383. — E quando Niccoletta riconosciuta per figlia del re di Cartagive preferì di tornarsene al suo Aucassin piuttosto che spo- sare un ricco re pagano ,, elle e une viele , s'aprist à vieler, et elle s embla la nuit, si s’atorna à guise de joglior; ,, e arrivata in terra di Prevenza; ,, si prist sa viele, si alla viélant par le pays; tant qu’ elle vint au castel de Biaucaire ,,; page 414, Méon, Fabliaux , T. 1. (2) Hugonis Falcandi Hist. Sicula, p. 303. 116 lora del sentimento, ma pochissima invenzione ; e quasi “niuno indizio di studio e di cultura d’ ingegno, fuori di quella solamente che un paggio acquistar poteva . nelle giostre ove accompagnava il Signore , e nella sala del ca- stello ove attendeva a corteggiare Madonna. Del rimanen- te una ostinata sventura perseguita queste poesie ; peroc- chè non ostante le richieste dei dotti, e le ricerche d’un gran numero d’ eruditi , non ve ne ha. peranco una edi- zione, nè è peranco sperabile d’ averne una. Il celebre poeta che si briga adesso di riprodurle , pare che fosse «l’avviso che desse aver non poteano altro interesse che come studio di lingua, o come oggetti di gusto. Quindi egli ci ha dato in due grossi volumi una dotta grammati- ca provenzale , e vari curiosi frammenti dei più antichi monumenti di quella lingua; ma ha poi rinunziato a pubblicar per intero tutto ciò che rimane dei trovatori, e che senza tanto lusso tipografico poteva esser compreso in un ristretto numero di volumi. Egli ha fatto scel- ta dei versi che furono per lui giudicati più eleganti e più degni d’ esser citati; ed ha così mutilato tutte le composizioni ch’ ei va pubblicando , togliendone tutto ciò che, appunto per i suoi difetti, ci avrebbe fatto meglio conoscere e i costumi e i pregiudizi e la storia politica e quella delle arti nel medio evo. Il metodo di mutilare le opere col pretesto di farne una scelta , raddoppia la fatica e la spesa di coloro che si danno alle ricerche reali; perocchè trovano disseminato in molte collezioni differenti ciò che avrebbero desiderato trovar riunito in una sola (1). I poeti che furono inventori delle nuove regole della verseggiatura provenzale, che dettero e disinvoltura e grazia alla lingua, e che, senza il vantaggio della stampa e quasi senza quello della scrittura, in un tempo in cui 1) Raynonard, Choix des poésies des Troubadours. y ’ 2 119 tanto pochi sapevano scrivere, fecero nondimeno acqui- stare pubblicità alle loro composizioni , portandole eglino stessi di castello in castello, e cantandole nelle liete brigate delle donne e dei cavalieri, furono chiamati in provenzale #robador, cioè trovatori o inventori. E peroc- chè il loro talento altro non richiedeva se non la cogni- zione della loro lingua materna , un orecchio delicato ed esercitato; che i provenzali ritraevano da natura nel nascere; una imaginazione ed un cuore fatti per sentire quelle passioni amorose o guerriere, che dilettavansi di esprimere col canto ; quindi è che gli uomini che occupa- vano le prime cariche nella società, cioè principi sovrani, e cavalieri, e donne illustri furono annoverati fra i tro- vatori . Il conte di Poitiers, che è il più antico fra quelli che ci sono noti , sembra essersi esercitato nei tre generi, di componimento, nei quali restò lungo tempo circoscrit- ta la musa provenzale, cioè le canzoni, le tenzoni , ossia dialoghi o dispute alternative fra due interlocutori, e le serventesi , che accostavansi alcun poco alla satira. Questi medesimi canti erano poi ripetgti dai giullari e dai ministrieri, che viaggiavano di castello in castel- lo per divertire quelle piccole corti con giuochi di de- strezza o con musica strumentale. I giullari, che vi- vevano primamente cantando i versi altrui, non tarda- rono ad imparare a comporne essi medesimi, e diven- ne malagevole allora il distinguere la nobile professione di poeta dal mestiere di cantore parasito , che correva a recitare i propri versi o gli altrui ove sperar poteva o con- viti o presenti, e sovente esponevasi, per muovere il riso, agli scherzi inurbani e alle celie offensive di quelli, dei quali implorava la generosità. Scorgesi in vari componi- «menti dei migliori trovatori quanto increscesse loro cotale associazione, e quanto il loro mestiero si era ‘invilito di- venendo venale. I giullari, che l’esercitarono come mezzo di fortuna, erano tratti d’ ordinario dalle infime classi.del- 118 la società ; nè erano le città i luoghi ove essi formavansi alla poesia; perocchè i borghesi, non ostante il'progressivo accrescimento delle loro ricchezze, mostravano non pre- giare ancora le belle arti. Nel tempo che essi studiavano di avvantaggiarsi colla pazienza, col lavoro e con l’in- dustria ; (erano disposti a riguardare come vagabondi. quei poeti che associavansi ai buffoni e ai così detti uomini di corte, per passare la vita oziando nelle feste e nei piaceri. Il nascimento della poesia provenzale dovea ‘alter- nativamente contribuire al, grande avvenimento che chiuse l’ undecimo secolo. La. galanteria, che era stata la forma animatrice di tal. poesia, non escludeva la di- vozione, e quando questa si cambiò in fanatismo, e spin- se quasi tutti 1 guerrieri d’ occidente al conquisto di Ter- ra santa, i trovatori dettero fiato alla tromba di Marte, e gareggiarono cogli apostoli della Crociata a. rendere l’ entusiasmo universale. A. R. Si continua il volgarizzamento del libro primo della REPUBBLICA di Cicerone, edente Anceto Maro. (vedi pag. 145 e pag. 168 del presente vol.) XXV. È dunque la repubblica ; disse Africano ; la cosa del popolo: e popolo non è ogni radunanza d’uomini in qualunque modo congregata, ma radunanza di moltitu- dine per consentir ne’ dritti e per la comune utilità col- legata. La prima causa poi di questo radunarsi non è tanto la debolezza, quanto una quasi natural congrega- zione degli uomini: poichè non è del genere umano lo stare nè il vagar solitario, ma è così generato che neppur nell’ affluenza di tutte le tosc j} Ip). (1) Mancano due pagine nel palimsesto. 119 MEVI i certi quasi semi; nè delle altre vir- tù , nè della stessa repubblica sì troverebbe alcuna isti- tuzione. Pertanto queste radunanze d’ uomini istituite per quella cagione che ho esposta , posero dapprima a causa del domicilio in luogo certo la sede ; e poi avendole fatto siepe colle difese dell’arte e del sito, appellarono tale unione di case castello o città , distinta per templi e spazii comuni. Ogni popolo dunque, che è tale radunanza di moltitudine , quale ho esposta : ogni città , che è costitu- zione di popolo: ogni repubblica , che è la cosa del po- polo; regger si debbe con un certo consiglio, aflinchè durevole sia. Questo consiglio poi debbe sempre a quella causa (1), che diede origine alla città, riferirsi in prima. Quindi è da concedersi a un solo, o ad alcuni eletti; o assumer lo debbono la moltitudine e tutti. E quando la ‘ somma di tutte le cose è riposta in uno, chiamiamo re quell’ uno , e regno quello stato della repubblica : quando è riposta negli eletti , allora diciamo reggersi quella città ad arbitrio degli ottimati. Quella poi è città popolare ( così la chiamano ), ove il ‘tutto è nel popo- lo. E qualsivoglia di questi tre generi , se mantenga quel vincolo che dapprima congiunse gli uomini tra loro ‘in società di repubblica (2), non è certamente perfetto nè ottimo a parer mio, ma tollerabile però, e l’uno più dell’ altro esser potrebbe eccellente. Poichè o un re equo e sapiente: o gli eletti e primarii cittadini: o il popolo stesso , benchè ciò non sia da approvarsi, pure non inter- venendo alcune iniquità o cupidigie, sembra poter sus- sistere in qualche non incerto stato. XXVII. Ma sotto il governo d’un re tutti gli altri {1) Cioè , la concordia, la felicità, e l'utilità scambievole : ben dice il Mai. (2) Nel testo latino stampato si legge reipublicae causa socie- tate : ma il Mai nelle aggiunte dice che la parola causa debbe can- cellarsi, non essendo nel codice, È questo un error di stampa. 120 i son troppo esclusi dal comune.ius e consiglio : sotto il do- minio degli ottimati., a pena della. libertà può essere la moltitudine partecipe; mancandole ogni potestà e comu- ne consiglio: e quando tutte le cose amministra il popolo, quantunque giusto e moderato, pure la stessa eguaglianza è ingiusta , perchè non ha gradazione alcuna di dignità. Pertanto se quel Ciro di Persia fu giustissimo e sapientis- simo re, nondimeno a me non sembra doversi ‘richieder massimamente quello stato del popolo ( essendo questo, come ho detto, la republica) perchè era retto da’ cenni d’un solo. Ed ora se 1 marsigliesi nostri clienti son go- vernati con somma giustizia da eletti e primarii cittadini, nondimeno in quella condizione di popolo è una certa so- miglianza di servitù : e se gli ateniesi in certi tempi, abo- lito l’ Areopago , miuna cosa facevano se non per decreti e ordinanze del popolo; poichè a dignità non ayevano gradi distinti, l’ ornamento suo alla città mancava. XXVII. E qui parlo di questi tre generi di repub- bliche , non perturbati e commisti, ma, tenenti. lo stato suo. I quali generi oltre aver ciascuno que’ vizii che ho già indicati, hanno pur altri vizii perniciosi: imperciocchè non v'è alcun genere di quelle repubbliche, il quale non abbia una via precipitosa e lubrica verso un confinante male. Infatti a quel.Ciro ( per nominar lui di preferenza) re tollerabile, e se volete anche amabile, è prossimo (il che dà licenza a mutare opinione ) quel crudelissimo Falaride; alla cui somiglianza inclina il dominio d’ un solo con pro- clive e facile corso. A quella amministrazione poi della cit- tà di Marsiglia per opera di pochi e primarii cittadini è prossima quella concordanza e fazione de’ trenta, che un tempo fu in Atene. E la potestà che in ogni cosa aveva lo stesso popolo d’ Atene ( per non cercare altri popoli ), trasmutata in licenza e in furor di moltitudine ,(1)...... 4 (4) Mancano due pagine nel palimsestoy essendovi la voce tronca desti, cui il Mai supplisce pestilentem fatentur ipsi athenienses. / 121 o XIXIX. +. pessimo, € da questa o degli ottimati, o quella faziosa tirannica , 0 regia, o anche ‘spessissime volte popolare: e da essa parimente suole fiorire qualche genere di quelli, che prima ho indicati: e mirabili sono i rivolgimenti e quasi circuiti delle mutazioni e vicende nelle repubbliche : i quali conoscere è da uomo sapien- te ; ma scorgerli imminenti , e moderarne il corso e ri- tenerli in sua potestà, nel governar la repubblica, è da cittadino grande e da uomo quasi divino. Pertanto io giu- dico da approvarsi massimamente un quarto genere di re- pubblica , che è moderato e commisto di quelli tre, da me prima indicati. Anronio Benci. —____@»& Orazione in morte di Anrowio Canova, del presi- dente dell’ accademia di belle arti in Venezia In obitum Anronii CAnora carmen PuÙirippi DE Ro- MANIS. sa In morte d° Antonio Canova canto funebre di Gro- VANNI Rosini. i In morte di Antonio Canova stanze di AveraRDO GENOVESI. Noto queste poche composizioni, perchè esse sole mi stanno al presente innanzi ‘agli occhi. Ma ognuno, che sia in Italia o prosatore o. poeta; si compiange col pubbli- co per la morte del Canova. Tanto era grande e meritata e provata la fama di quest’ uomo straordinario, che non solo gli artisti e.i sapienti, ma ancora il volgo. ha sparso lacrime a tale infortunio. Io viaggiava in Francia, igno- rando che fosse infermo il nostro sommo scultore. E par- tendo da Lione, a pena fui giunto al piccolo villaggio che chiamano Za Tour du pin, vidi gente innanzi alla locan- «da con aria mesta e quasi attonita: della qual cosa mara- Vigliando, mi fermai, e udii nella loro favella Canova è f È 122 morto. Se più grande fosse in me lo stupore o il dolore , io non saprei , in quell’ istante. La cara immagine mi si rappresentava immortale e beata , poichè vedeva del caso suo quegli stranieri afflitti. Jo sentiva l’amor della patria, e questo frenava il pianto. Per tutto il mio cammino , in ogni villaggio deila Savoia , in cima delle Alpi, e per le città d’ Italia, il medesimo nome similmente risonava. Ed oh! avesse queste voci udito il Cicognara, che prese- dendo all'accademia in Venezia piangeva con patetica orazione il defunto amico. Il compianto universale avrebbe dato a lui conforto. Il Canova era uomo tale , che veramente gli è detto dal Rosini: Tu fra’ grandi del mondo illustre e chiaro, Di gioria sì; ma più del bello, ardente; Sdegnando i fregi, che del vulgo ignaro Fan grande agli occhi anco la bassa gente; Generoso alla lode , al biasmo avaro , Di gran cor, di grand’ alma, e di gran mente ; Ai miseri sostegno, ai buon conforto ; Tu pietoso! tu sommo! e tu sei morto? Infatti il Canova sarebbe stato pregiatissimo de’ suoi co- stumi, quando pur non avesse avuto nome sì grande nella scultura. E perciò era egli accetto a’ volgari ed a’ principi siccome agli uomini rediuatà perciò il suo colloquio era grato a quei, che fu: « solo al muoia senza esempio, Cui nè prima fu, simil, nè secondo. » Non lieve incarico avrà colui che scriverà la vita di tant’ uvmo, dovendo enumerare tutte le sue qualità , e fare a un Man la storia della scultura. Allor vedremo come fosse questa bell’ arte , almen fra noi, dicaduta; e quanto necessario, che nascesse alcuno, capace di darle nuovo principio. Allora svaniranno molte critiche, e sa- ranno ponderati e giusti gli encomi. Più volte ho sentito dire: essersi il Canova allontanato spesso dalla manieta 123 degli antichi , e non sempre con buon effetto: aver talo- ra imitato la natura senza scegliere le belle forme e pro- porzioni. Ma di che consisteva 1’ antica scuola ? Le migliori sculture a noi venute di Grecia , non son forse quelle che più somigliano al vero? come quelle per esempio col- locate da Fidia nel Partenone. E quindi, non è forse più difficile ritrarre la natura com’ pod a noi sì presenta, che non copiarla già ritratta da’ greci? Non mi par dunque vero che il Canova si allontanasse dalle consuetudini de- gli antichi, poichè si volse allo studio della natura. E se per rispetto alle maniere dell’arte egli diversificò, siccome dicono , la sua scuola } facendosi ‘uno stile proprio ; non è questa una lode a ubi. sa bene, quanto impediti sieno i progressi dalla troppa imitazione dell’ altrui? Il paragone tra le diverse.scuole produce'spesso non retti giudizi, poichè dà luogo all’ autorità ed al sistema. Meglio è guatdare alle opere; e riferirle agli esemplari della natura, i' quali sono i veri termini di parso comuni a tutte. E procedendo con questa misura , i più diranno: aver il Canova imma- ginato e compiuto opere bellissime al pari di qualunque altro benchè.i in genere diverso. Che se questo pregio di molti suoi disegni ha fatto sì, che tutti si ‘desiclerassero egualmente perfetti: se in qualche figura , in alcuni grup- pi, in certi divisamenti, egli apparisce inferiore a quanto fare soleva : non è questo l’ usato fine degli uomini, niu- no de’ quali non può non. errare talvolta? E chi detterà la vita del Canova, dovrà indicare eziandio i suoi difetti. Ma però, quando un critico ritrae ‘in pochi versi le qualità d’un grand’uomo, mi pare. sistematico e ingiusto verso l’uomo e verso la nazione, se soli i difetti , 0, questi più che i pregi. adduce, Gl’ italiani loderanno sempre que’ giorni , in cui gli europei. venivano a Roma'per aver quat opera del Ca- nova nella patria loro. E quel dì rimembriamo, come dice il Genovesi: + 234 che a sua nobil arte Viva l’imago il Pensilvan chiedea Del suo gran Padre. A quegli, che accusano il Canova d’aver senza grazia imitato la natura , è inutile rispondere , poichè la grazia fu ap- punto il suo primo pregio : come il dimostrano le danza- trici, la ninfa giacente, l’ Ebe, le muse, e molte altre figure da lui scolpite. Quindi per la naturale espressione , non imitata certo secondo la scuola degli antichi, ma sentita da lui nell’animo proprio, ella apparisce (non dubito dirlo ) sublime e divina nell’ aspetto di papa ‘Rez- zonico ; il quale, come il Cicoguara ha ben significato, orante sulla cima del monumento, grave d’ anni e pro- strato, pel volto e pegli atti sembra racchiudere in mente ed in petto tanta parte di celo. E Filippo de Ro- manis, che ha veduto tutte le opere del Canova, è stato alla morte sua ispirato dalle muse del Lazio antico. Ingruerat, primo qualis solet esse novembri, Humida nox, stellarum expers, sine lumine lunae. Atque ego Ianiculum, dextra qua in parte propingo Cum Vaticano coniungitur, atque sepulchris Claustra aperit pietate loci ac terrore verenda; 3 Consolaturus cineres; animasque. piorum, Vota Deum saltem si tangunt hostra, petivi. Tuque recens leti, Aihtone Canova, trophaeum, Amplecti cuias non fas, lacrymisque rigare, (Adria nam dederat te, atque Adria sustulit) ossa, © Menti aderas tristi, cruciataque corda premebas. Multa quidem suberant cum relligione. Quis altor Adveniet cupidae laudisque artisque juventae ? Quis regum et primorum opibus confertus abunde, Prodigus externis, ut sensimus, et sibi parcus, Multigenas alius feret in bona publica civis? Ei ne piange , stando sul Gianicolo, presso alla tomba di Torquato: evoca l’ ombra di questo vate, sim= bolo a’ presenti dell’ illustre canzone, quale si conviene a Gi 95 chi loda-il Canova: e poi dipartendosi dal colle , ed erran- do per la città , ritrae conforto dal vedere l’ immagine di Raffaello tra gli astri che spandono luce non d’ altrove riflessa. Oh! quanto è dolce udir collegati i nomi de’ fa- mosi d'’ Italia! Antonio BencI. ‘. De Vita Caroli Magni et Rolandi , Historia Johanni Turpino Archiepiscopo Remensi vulgo tributa , ad fidem codicis vetustioris emendata et observationibus philologicis illustrata a Sesasrrani Crampr. — Florentia apud J. Molini 1822. 1. in 8° con rami. Gli eruditi mettono assieme , e preparano la mate- ria prima della storia, che è di poi dai filosofi elaborata ad oggetto di disporla in modo du produrne una scienza , la quale riesca all’ utile dell’umana compagnia. I nudi fatti, per quanto veri si sieno, e le date, per quanto esatte si vogliano supporre, altro non sono che materiali greggi e per sè stessi infecondi, in fino a tanto che lo storico filosofo non gli ha considerati e fatti considerare ai suoi lettori in quell’ aspetto morale , che forma delle virtù e degli errori , dei lumi e dei pregiudizi dei popo- li d’ogni paese e d’ogni secolo la vera scuola d’insegna- mente reciproco del genere umano. In diendidba che l’erudizione è indispensabile, nè potrebbesi averne di troppo , nè di troppo mostarne. - Nel tempo però che dobbiamo dichiararci in qual- che modo debitori ai secoli decorsi, pel risorgimento della filosofia ragionevole e solida che rischiara l’ intelletto degli uomoni del secolo XVIII. e XIX, non ci asterremo dal deplorare la condizione dei padri nostri, che contenti fu- rono ad accumulare ricchezze, l’uso delle quali non co- noscevano: e deploreremo vie maggiormente l’ accieca- 126 mento di quelli, che anco ai dì nostri perdono tutti sen> za scopo e senz’ ulile il tempo a ripescare vecchie crona- che, a correggere oscure è barbare frasi, ad accertare la data di fatti privi d'ogui importanza, a ricomporre in somma degli scheletri polverosi, ch’ebbero l’unico pre- gio .d’essere. una. volta animati, e nei quali non tornerà più mai l’alito della vita che non valsero a conservare. Cotali eruditi sono i manipolatori della scienza, ed è giusto che della loro fatica abbiano mercede ; ma da ciò in su non debbesi loro più cosa veruna. Questo proemio sull’abuso dell’erudizione, come sem- plice erudizione, deve farci vie più valutare il merito dei letterati degni di stima, che sanno accoppiarla coll’arte veramente utile di fecondare il vasto campo dell’ espe- rienza, e di farvi crescere l’albero della sapienza ji cui frutti, vale a dire la scienza del bene e del male, e l'amor dell’ordine e della giustizia che ne consegue , saranno un giorno ( concedasi almeno ai filatropi di bear- si con questa speranza ) il possesso degli uomini tutti in società costituiti. Il sig. professor Ciampi è di questo numero; e la pubblicazione del suo Manoscritto della Vita di Carlomagno attribuita all’Arcivescovo Turpino, stabilisce un nuovo diritto che egli si acquista alla’ rico- noscenza degli amici delle belle lettere. (1) ui (1) Il sig. prof. Ciampi nella sua dissertazione critico-filologica ha messo in chiaro con peregrina e ben maneggiata erudizione, che la storia di Turpino , scritta al più tardi in principio del seco- lo XII, anzichè riguardarla come una mera invenzione di qualche impostore, che fu creduto comunemente essere stato Goffredo prio- re del monastero di s. Andrea di Vienna nel Delfinato, dobbiamo, riconoscerla come una compilazione delle antiche narrazioni delle geste di Carlomagno e d’ Orlando , le quali già correvano per la bocca del volgo, ed erano soggetto alle popolari canzoni; compi- lazione fatta con qualche giunta ed abbellimento analogo al gusto del tempo, che dilettavasi di maravigliosi racconti. Questo gusto predominante nel medio evo faceva servire all’ immaginazione la LI 127 Noi non crediamo però con lui ( dissert. critico- filolog. p. iii ) che il traslocamento di alcune collezioni ricche di manoscritti e di monumenti letterari d’ ogni maniera , operato da circa un mezzo secolo in qua, abbia fatto perdere all’istoria molti documenti, dei quali avesse una reale necessità. Imperocchè i principali erano già co- nosciuti, e col cambiare di possessore non fecero che ri- entrare, a grande avvantaggio della scienza, nel com- mercio dei dotti , dal quale erano usciti. Se alcuni, in tali mutamenti , per sempre scompar- vero, dobbiamo di buon animo darcene pace, riflettendo che essi in ciò anticiparono unicamente di poco quella lenta distruzione, a cui parevano condannati nel seno della non curanza e dell’oblio. Ma oltre a ciò , per torna- re alla considerazione con cui abbiamo cominciato que- st’ articolo, le dotte vigilie degli eruditi, che pallidi e macri si sarebbero fatti su queste aride produzioni del medio evo, non saranno forse meglio dirette a rimaneg- giare il vasto tesoro delle cognizioni già acquisite , per rivolgerle all’ utile della morale e della società ? religione medesima , e si mantenne fortissimo fino/al risorgimen- to degli studi classici ; cosicchè allora i poeti e gli artisti conserva- rino le antiche e le nuove finzioni nei loro lavori; di che ab- biamo luminosi esempi nei nostri scrittori Dante, Petrarca , Boc- caccio , Ariosto, e Tasso , e in presso che tutti i pittori e scultori del secolo XII e XIV. Il compilatore poi di questa storia ro- manzesea , per dare più autorità a quei racconti, ne spacciò autore Turpino arcivescovo di Reims. ,, In seguito ( sono parole del sig. 3, Ciampi ) da vari varie cose vi Bacio aggiunte, e specialmente le »» moralità e le allegorie con tutte quelle dis pito religiose, le quali mescolando e collegando la moralità e la religione alle azioni milita- 3) Ti, facevano che tutti prendessero interesse nelle guerre contro gl’ », infedeli, e fossero riguardate per dovere del cristiano non meno »» de’ precetti dell’ Evangelio. Di qui la storia di Turpino fu accolta n come una leggenda pia , e tulte quelle stravaganze credute 3» miracolose. ,, 128 SERIA è ciò che ha fatto il Sig. prof. Ciampi; peroc- «hà egli non si è contentato di darci sotto nuova forma gh Hive puerili della fredda immaginazione del pseudo "Turpino , ma gli ha illustrati colla sua dissertazione filo- logico-critica, e con erudite annotazioni, ed ha diretto la face della Glosvifia sopra favole le quali sedi occhi volgari non presentavano se non che figure grottesche e ridicole. Così egli ha dimostrato ( dissert. p. xxii ), che 1’ autore del- l’opera da esso pubblicata , e generalmente tutti gli storici romanzatori dei secoli XI. XII. e XIII, non cercarono d’imitare nè la sapienza dei classici antichi, nè la verbosa ampollosità degli scrittori orientali; ma altro non!fecero che dare alla ristretta sfera d’idee, che componevano le loro fa- coltà intellettuali, quelle modificazioni che potevano su- bire, e che giudicarono più atte ad eccitar le passioni, che a quell’epoca agitavano il cuore umano. Ciò premesso, non ci parrà più strano, che Carlo- magno, nella sua qualità di re e d’eroe del romanzo, es- ser dovesse e più grande e più robusto de’suoi soldati, i quali erano personaggi subalterni, e che aver dovesse la guardatura più truce, e un appetito eroico da divorare, senza aggravarsi, un quarto di capretto, un paio di galli- ne, od un oca ( c. 21, p. 56 e 57 ). In € mancanza di me- glio, bisognava aumentare le forze digestive di quel principe per accrescere i suvi godimevti, nel modo stesso che si. aggrandiva la sua statura e il suo vigore corporale, come le sole qualità che reputavansi atte a costituire la di lui superiorità sopra i suoi sudditi in un tempo, in cui per- anco non conoscevasi che i veri godimenti dei re sono la prosperità e la felicità dei popoli, e che la loro supe- riorità consiste nella loro religione a far regnare le sante leggi della giustizia di cui sono ministri. Noi non ci tratterremo sull'idea, che dei Cristiani morti nelle guerre contra gl infedeli formava altrettanti santi ornati della corona del martirio ( c. 8 ,-p. 16); idea, 129 she male intesa eccitò il fanatismo religioso, e fece spat- gere torrenti d’umano sangue. (1). Con uguale rapidità passeremo sulla fatale ignorau: za dei tempi dell'arcivescovo Turpino, o piuttosto del monaco che prese il suo nome; ignoranza che permetteva di credere, che i prelati obbedissero ugualmente alle leggi del vangelo e reconciliando a Dio i loro fratelli in G. C. che andavano a combattere , e bruttando essi medesimi le loro mani nel sangue degl’ infelici saracini, che con- tro la morale evangelica riguardar non volevano come loro simili (c. 12, p. 24 ). L’arcivescovo Turpino egli stesso, secondo la sua propria testimonianza (c. 31, p. 84 ), altro guiderdone .non riportò in Francia delle sue geste militari , fuorchè ferite e cicatrici e schiaffi e percosse in buon dato. Ci giova arrestarei un poco di più sulla disputa di religione insorta fra Orlando e Ferraù stanchi dal duel- lare (2). Non v'è prova maggiore della barbarie e della (1) Anche Dante ( Parad. GC. XV. v. 145-48 ) parlando ‘con Cacciaguida suo proavo , morto verso il 1148 nel secondo passaggio contro a’ saraceni promosso dal pontefice Eugenio III e da s. Ber- nardo , ove accorsero con gran numero di cristiani Lodovico re di Francia e Currado di Sansogna eletto imperatore, gli fa dire: Quivi fu’ io da quella gente turpa Disviluppato dal mondo fallace , Il cui amor molt’anime deturpa , E venni dal martirio a questa pace. (2) Un'altra disputa politico-religiosa fra Carlomagno e Aigolan- do può riscontrarsi al Cap. XIII ( p. 28 e seg. ). Osserva benissimo il sig. prof. Ciampi, che se Carlomagno avesse potuto leggere questa disputa che gli è messa in bocca dal pseudo Turpino, sarebbesene vergognato, per la maniera con la quale è trattata. Infatti Carlomagno pretende d’aver tolto giustamente ai saracini la Spagna , guar , egli dice, drachio invincibili potentiae Dei acquisivi, et christianis legibus subjugavi. Aigolando sostiene al contrario che Carlo, senza avere un diritto ereditario o di lungo possesso su quel paese ,. non poteva giustamente dispogliarne i saracini. Carlo trovandosi stretto T. IN Marzo DI 130 rozzezza di quel tristissimo medio evo , di quella che ci porge lo strano miscuglio d° ignoranza e di pedanteria ; di fanatismo e di generosità , di brutalità e di magnani- —mità che lo caratterizzano. Dopo un certame singolare accanitissimo , Orlando fa tregua col suo antagonista, che riprende le forze spossate, e s'addormenta profondamen- te accanto a lui appoggiando il capo sopra un sasso, che Orlando medesimo era andato a cercargli. Svegliato che fu, i due nemici sedendo l’uno presso all’ altro, si domandano dall’ argomento, mette fuori un altro diritto, e dice che egli l’ ha tolta giustamente , perchè la nazione cristiana fu istituita per do- minare su tutte le altre. Qui nasce fra i due re un gran contrasto sull’ eccellenza della respettiva loro religione, senza che l’uno possa convincer l’altro, e la conclusione si è che Carlo intima ad Aigolando o di battezzarsi o. di venire a battaglia. E finalmente si ienrdaini in questo , che la preminenza della legge cristiana, o della maomettana sia decisa col ferro fra un numero uguale di combattenti cristiani ‘e di saracini. Questa strana decisione è secondo lo spirito dei tempi, nei quali il giudizio dell’armi chiamavasi giudizio di Dio, autorizzato da Carlomagno medesimo nei suoi capitolari dell’anno IX, al capi- tolo 9g, ove comandasi: uf omnes judicio Dei credant absque dubita- tione! La fortuna dell’ armi fu favorevole alla parte di Carlo , sem- pre biasimevole però d’aver compromesso l’ augusta causa della religione ad nn evento dubbioso. Aigolando va per battezzarsi , e trova Carlo a pranzo co’ suoi primi uffiziali , e con vesco- vi e canonaci e monachi e abati; ma resta scandalizzato, perchè vede in un angolo della sala fatto un meschino trattamento a dodi- ci poveri , che mangiavano in terra, e che Carlo gli disse essere gente di Dio e figura dei dodici apostoli. Egli ne prende motivo per giudicar falsa la religione cristiana , ricusa di battezzarsi, e torna ai suoi per combattere. Del resto, osserva giudiziosamente il sulludato sig. prof. Ciam- pi ( pag. 111) che ,, è nota la premura di Carlomagno a pro dei 33 mendici. Ne’ suoi capitolari si prescrive che: mendici per regionent sy vagari non permittantur, Sua quacque civitas paupers alito, il- »» lisque, nisi manibus operentur » quicquam dato; legge savissi- ,; ma, che mentre previene i mali derivanti dagli accattoni, 3 provvede ai veri indigenti; e perciò possiamo in certo modo rav- 3» Visare in ey l’ istitutore delle case di beneficenza. ,, 131 pacificamente delle loro credenza, e rendono conto il cristiano dei misteri della Trinità , dell’incarnazione e della ressurrezione del Divin Ver be; il mussulmano dei ‘dogmi dell’ unità di Dio; e della missione di Maometto suo profeta. La disputa termina, com’ è agevole imagi- narsi , colla proposta d’ un muovo duello, che dovea deci- -dere definitivamente della legittimità degli argomenti dei due teologi armati , e l’ esito del quale è la morte di Fer- raù , e in conseguenza la prova delle verità della cristiana, religione ( c. 18, p. 42 e seg. ). In quel secolo di ferro ‘tutto dovea dipendere dalla sorte dell’ armi, anco la ve- rità medesima e la giustizia. In fatti il traditore Ganel- __ lone non può essere condannato alla morte ch’ ei merita- va, se non dopo che il campione, che sosteneva la di lui innocenza, soggiacque ai colpi dell’ altro, che in faccia a tutto l’esercito provar dovea colla spada alla mano, in no- me del capo dello stato, che il delinquente era meritevole del supplizio ( cap: 26, p. 78 ). L’allegazione di simili fatti è ‘bastante a rispondere vittoriosamente agli inquieti detrattori del tempo presen- te. Certo che gli uomini sono ancor lungi dall’esser giunti a quello stato di perfezionamento, a cui il celeste dono dell’intelligenza permette loro di potere aspirare ; ma es- sì però ne son meno remoti che altra volta , ed ogni gior- no più vi si avvicinano. Tutti i tentativi, fatti per accele- rare l'epoca felice di questa morale rivoluzione, non sono stati per verità coronati da un prospero successo; ma una sola occhiata sul feroce acciecamento dei nostri avi, e su gl'immensi avanzamenti che la società non cessa di fare nel- la carriera della civiltà, deve consolarci degli sforzi infrut- tuosi d’alcuni filantropi che tendevano ad affrettare, forse ancora più di quello che le circostanze comportassero, il pro- gresso dei loro contemporanei verso uno stato generale di lumi, in cui ciascun individuo avrà un uguale diritto al- la felicità che lo stato sociale deve ugualmente a tutti i 132 suoi membri in eontraccambio del sacrifizio che ad esso fanno d’ una parte della loro naturale indipendenza. Non perdiamo mai di vista ehe al cultivamento della ragione noi andiamo debitori della diminuzione dei pregiudizi che l’offuscavano, e degli errori e dei delitti che fra quelle tenebre prendevano nascimento. Ma noi abbiamo già troppo aberrato da Carloma- gno, da Turpino e dal sig. prof. Ciampi, che seco ci ha tratti in queste filosofiche considerazioni . Alle indagini di questo laborioso ed illustre letterato noi andiamo de- bitori d’un ragguaglio sulle cognizioni, su i costumi, e sugli usi del secolo XII. più esatto di quello che dato ci aveano i ‘precedenti editori della cronaca di Turpino ; e vogliamo sperare che l’incontro delle sue dotte fatiche gli sarà di eccitamento a continuarle , e a farci parte del- le sue ulteriori scoperte. Il pubblico italiano deve saper- gli buon grado di questa sua prima scelta; perocchè quale antico nome avrebbe potuto inspirargli maggiore interes- se, che quel di Turpino, addivenuto contanto famoso nei versi inimitabili dell’ Ariosto ? Di n —_ _—__———__—_ ___ Comporimenti teatrali di Speciosa Zanardi Bottioni Parmigiana: Parma 1822, in 8° La critica filosofica, che si va esercitando con tanto successo da circa un mezzo secolo su tutti i rami della no- stra letteratura, ha avuto un ottimo effetto eziandio sul no- stro teatro. Se noi riprendiamo in esame i componimenti drammatici dei quali furono contenti generalmente i pa- dri nostri, e gli paragoniamo eolle presenti produzioni | sceniche dell’ Italia, abbiamo motivo di rallegrarci dei nostri progressi nella domestica civiltà, che sono sempre più o meno rappresentati dallo stato in cui trovasi il tea- i 133 tro presso le nazioni. Ma la medesima critica filosofica che , mediante la facilità delle comunicazioni, lo stadio delle lingue moderne, e 1’ universale diffusione dei lumi, tende a riguardare quasi la letteratura europea come il capitale dell’ ingegno d’ una sola vastissima famiglia , nel comparativo esame delle sue diverse produzioni, non ap- pagandosi del mediocre, aspira sempre alla ricerca del- l’ ottimo , e si è resa perciò più severa nei suoi giudizi . Quindi è che una quantità di poesie e di prose odierne , che altra volta avrebbero a sè richiamata la pubblica at- tenzione e riscosso la pubblica lode, sono: ora degnate appena d’un sorriso di parziale approvazione. I tre componimenti teatrali della signora Zanardi Bottioni non sono totalmente mancanti di merito, sia per il lato dell’invenzione, sia per la pittura dei caratteri e del costume, sia per la condotta. Noi non ci arresteremo ad esaminare specialmente la commedia dei. Contrappo- sti, nè quella del Matrimonio per generosità , come due produzioni che non escono dall’ordinario andamento del- le commedie di carattere, e sulle quali il giudizio del pubblico, quando siano rappresentate, non può trovare difficoltà a prolerirsi, e forse in modo non affatto disfavore- vole all’ espettativa dell’ autrice; e porteremo le nostre osservazioni più particolarmente sul dramma ‘storico inti- tolato : La Marchesa di Maintenon. Questo genere ha già esercitato la penna d’eleganti e dotti scrittori ; e il” sig. avvocato Nota, autore di commedie di un ‘merito di- stinto, allorchè pubblicò la sua Duchessa de la Valiere giudicò dover giustificare al pubblico il suo nuovo tentati- vo icon un discorso apologetico, nel che è stato imitato della signora Bottioni. Egli non potea non sentire la diffi- coltà della sua impresa; e pare ch’ ei riguardasse questa produzione come un trascorso della sua penna in genera- le così giudiziosa e così misurata. La sig. Bottioni ha scelto per protagonista del dra m- ‘ 134 ma una donna che non può destare un grande interesse. Le memorie del tempo l’accusano d’aver preso un conte- gno orgoglioso, 0 piuttosto orgogliosamente umile, dopo il suo inalzamento. Quando essa divenne moglie di Luigi XIV. era già arrivata a quell’ età ( dice la sig. de Sevigné) in cui le donne di spirito, rinunziando a un mondo: che le abbandona, divengono spesso savie; e di piacevole conver- sazione, Luigi XIV. era già vecchio, ed avea logori ugual- mente il corpo ed il cuore. Quindi avea bisogno di riposo e d’una compagna piuttosto che d’ un’ amante. Le fiamme ardenti dell’ amore non potevano più accendersi nel suo seno, nè osava: più lusingarsi.di potere inspirare una viva passione. Ma piegar mon sapendo alle inquietudini e ai disgusti che gli cagionava l’orgoglio e l’ineguaglianza di carattere della sua favorita la marchesa di Montespan, con- cepì per la Maintenon, che era aia del duca del Maine, e che egli da molto tempo avea occasione di vedere fre- quentemente, della stima, e una confidenziale amicizia; che gli rese il. conversar secolei indispensabile. Se dob- biamo giudicarne da ciò che ne dice la storia, questa donna non trascurava nessuno degli artifizi del suo sesso per cattivarsi l’ affetto del re; e perchè mancava di bel- lezza e di gioventù, ella pose in opera tutti i mezzi dello spirito, che aveano sì gran credito in quel secolo in ‘Francia: e simulando a tempo di volersi ritirare dalla corte, fece sentire al re la grandezza della perdita che egli era. per fare nella sua persona, (e lo determinò con tale accorgimento a sposarla ; nè si fece scrupolo dei rimproveri;che:la;sua coscienza potesse affacciarle un giorno d’avere tradito :la. marchesa di Montespan sua amica, e sua benefattrice. Questo episodio.in vero non è molto importan- te nella vita:d'un personaggio; come-Luigi XIV. quantun- que sia arsomento:di riflessioni morali al filosofo, e. mo- tivo di\ speranza e di consolazione alle belle appassite che nori inancano di spirito e' divambizione. Del rimanen- 135 te non sembra che i tentativi delle sig. Bottioni abbiano in questo genere fatto acquistare grande avanzamento al nostro teatro. Il dramma non è generalmente mal condot- to, ma vi sono alcune scene d'un falso colorito: quella per esempio del re colla contessa d’ Heudicourt è d’ un ‘cattivissimo effetto; perocchè questa donna fa una dichia- razione d'amore a Luigi XIV. in un modo così goffo che, per una persona abituata alla corte,mostra una pecoraggine o un acciecamento impossibile a supporsi. Se tale fosse stato il suo carattere, è egli ragionevolmente presumibile che il re l’avrebbe scelta per sua confidente? Il ritratto della contes- sa d’Heudicourt non è in verun modo francese; nè tampoco la sua maniera d'ESpriruoroa è quella d’una persona bene educata; perchè questa può lasciare bensì indovinare la sua passione, ma non deve mai dichiararla, e principalmente al suo sovrano; sì fatta dichiarazione è insoffribile. Senza fare una minuta analisi della commedia, osserveremo che la verità storica vi è assai bene conservata , e questo è un merito valutabile nel dramma della signora Bottioni , la quale non può biasimarsi se non che per avere, intra- preso un lavoro d’ una riuscita quasi impossibile ; e per non avere abbastanza studiato la delicatezza del carat- tere femminile i in F rancia, é particolarmente i in una classe di persone in cui le maniere e il contegno spesse volte stanno in vece di tutto il resto. La sig. Bottioni si persua- derà' poi facilmente che il carattere di Luigi XIV. è troppo minutamente conosciuto e troppo vicino al nostri tempi, per adattarsi a qualunque ideale abbellimento, e che i suoi amori, specialmente nella sua vetchiezza , non for mano episodi teatrali. Nelle memorie di quell’ epoca, fe- ‘ conda di avvenimenti” importanti , essì , possono soltanto. formare una piacevole digressione alle narrazioni continue di guerre e di atroci ingiustizie di cui sono ripiene. A/R. 136 Grocn ARIA MODERNA UNIVERSALE, ovvero descri zione | fisica, statistica e topografica di tutti i paesi. cono- ciuti della terra: di G. R. Pacnozzi. Volume II. distribuzione terza e quarta che comprende V’ Ara- bia, la Persia, il Bellugistan, il Cabul, e l’ India. Firenze 1822. presso Vincenzo Batelli. Alla pag. 167 del V. vol. della nostra Antologia annunziammo il primo volume di quest’ opera. Il lun- go intervallo fra la pubblicazione di esso , e quella del secondo, prova sventuratamente che il laborioso scrittore della medesima non ebbe troppo da lodarsi nè delle premure del pubblico ad incoraggiarlo nel suo lavo- ro, nè di quelle dei librai che avrebber potuto convenir seco per l’ acquisto del suo MS. Fa pena il pensare come i libri più inconcludenti , le prose rimate , le tragedie fatte a dozzine, le cattive traduzioni di pessimi romanzi, colla sola raccomandazione di, una dedica, portati con importunità sino alle case trovino sempre mecenati, edi- tori, associati; laddove il MS. d’ un’ opera di cui mancano le scuole , e generalmente l’ insegnamento di ogni sesso e d° ogni ug abbia dovuto tanto raccomandarsi per tro- var MOTO chi volesse stamparlo. Il fatto sta che il sig. Pagnozzi , esauriti i suoì mezzi pecuniari per dare alle stampe il primo volume, e la sua eloquenza per muovere un libraio di Firenze a pubblicare il rimanente del suo lavoro, offerendolo per una modica retribuzione , ha dovuto aspettare che gibngesse a Firenze un libraio e tipografo milanese per continuarne la stampa, e certa- mente a condizioni tali che farebber sorridere di pietà gli scrittori ed i librai d’ oltremonte. Nè intendiamo già di offendere i nostri librai, nè di accusarli di mon essere animati dal nobile desiderio di tentare imprese tipografi- che utili alla società , di non saper valutare scrittori me- ritevoli di essere incoraggiati, se non altro per amor 139 | proprio nazionale. All’ opposto , ci sono pérfettamente noti i loro sentimenti; ma gli sgomenta , e a ragio- ne , il timore delle ristampe, non essendo in Italia legge che protegga la proprietà letteraria : legge che | gioverebbe vedere adottata mercè una reciproca conven- zione fra tutte le provincie italiane. Quindi la stampa di un’opera di dieci volumi spaventa ogni libraio, cui non riesca di assicurare il proprio interesse per via di associazione. Ma come sperare un bastevol numero di as- sociati ad un’opera consacrata in modo speciale ad una scienza tanto mnegletta fra noi? Bisogna confessare che l’inditferenza per le cognizioni geografiche nom può spin-- gersi più oltre quanto in alcune provincie d’ Italia. Pure ‘se il sig. Batelli ha deciso di entrare in trattato col sig. Pa- gnozzi, bisogna credere ch’ ei confidi di averne uno smer- ciò nell’ alta Italia, e che i lombardi si studino più di noi a conoscere il pianeta da noi abitato. Nè sapremmo scusare i genitori e i maestri che tra- scurano di porre tra le mani de’ loro figli ed alunni buoni libri elemevtari di geografia, lasciando così una troppò grande lacuna nella loro educazione. Qual cosa più umi- liante può esservi del mostrarsi ignaro di questo ramo di sapere? Con quale interesse, icon qual frutto sì posso- no leggere le relazioni de’ viaggi, le storie, i giornali e perfino la gazzetta di Firenze, senza aver presenti allo spirito la geografia politica e fisica, la posizione dei luo- ghi e le loro respettive distanze? Qual negoziante, qual’armatore , e perfino qual possidente, potrà star sicu- ro dal fare una falsa operazione, indottovi da un. errore di geografia? Quale amministratore privo del. mezzo di far de’ confronti non rischierà di far meno bene d’un altro, quantunque abbia a sua disposizione il modo d’ a- doperare molto meglio ? Colui che non conosce neppure la sua provincia nativa, potrà egli sapere , per esempio, quanto importerebbe a tutto il genere umano l’ aprire a 138 un canale che traversasse l’ istmo di Panama ; quanto alla Spagna il riprendere Gibilterra ; all’ Italia lo stabi- lire una colonia sulle rovine dell’antica Cartagine? Quale importanza potrebbe dare all’ indipendenza del Pascià d’Egitto, all’ occupazione delle isole di Cuba per gl’in- glesi, a quella delle isole de Principi pei Russi, qualora ciò accadesse , chi non conosce le posizioni respettive dei luoghi di cui si tratta e î vantaggi che possono risultarne all’ agricoltura e al commercio, e in fine come posizioni militari ? Speriamo trovar perdono di questa digressione che non abbiam ‘giudicata inutile ma necessaria all’ oggetto di far comprendere che l’indugio della pubblicazione dell’opera del sig. Pagnozzi, non deve portare a farne un giudizio sfavorevole. Alfine essa' è proseguita, ed annun- ziamo con ‘piacere che non indugerà molto a venire in lu- ce il terzo volume. Confidiamo che quest’opera contri-' buirà a propagare il gusto per le scienze geografiche, e che fra qualche anno, quando nuove’ scoperte ‘e nuove osservazioni daranno occasione ad'una nuova edizione tut- ti i padri di famiglia, non'meno che tutti i maestri saran- no già convinti della necessità di' far trovar luogo alle co- gnizioni geografiche in un buon sistema di educazione. Un trattato di geografia universale, per quanta in- telligenza si ponga nel'raccoglierne ‘e sceglierne i mate- riali, non può' essere perfetto in tutte le ‘sue parti: pure ci sembra la geografia ‘del’ sig. Pagnozzi ( giudicandone dai due volumi che abbiamo sotto gli occhi ) esser la mi- gliore ela più completa di tutte quelle che sono state pubblicate finora (in Italia, avendo l’autore attinto da buonissime fonti. Perciò crediamo, senza timore di es- serne ripresi, poterla raccomandare al pubblico. Leragioni che hanno impedito al sig.Malte Brun didarci l’Evropa, promessa già da tanto tempo,sono indubitatamen- e le stesse per le quali l'A. ha incominciata la sua descrizione 139 della terra dall’ Asia. Ma non sappiamo nascondere il no- stro rammarico per non avere egli posto mente che prima delle altre è necessario conoscere le regioni da noi abita- te. Che se egli avesse incominciato dall’ Italia , ed anco dalla Toscana, nel bisogno in cui ci troviamo di una esat- ta descrizione di questo privilegiato paese del quale non sapremmo abbastanza apprezzare la felicità, osiamo asserire che avrebbe più presto, e più agevolmente ottenuto un cer- to numero di associati. Quindi è che lo preghiamo calda- meute che non ci faccia prima fare il giro del mondo in- tero , per condurci poi sulle sponde dell’ Arno; e lo con- fortiamo a non avere scrupolo di darci il VII o Y VHI volume prima del IV, accertandolo che tutti gliene saran grati. Dopo i viaggi del D. Targioni Tozzetti e del prof. Santi, null'altro si è fatto in Tuscana ; e le opere loro per essere invecchiate han bisogno di essere rifatte. Non abbia- mo ancora un buon dizionario geografico. Ne promessero uno in otto volumi i geografi parigini, ma non ne è pur- anco venuto alla luce il primo. Avremmo : desiderato vedere che i cooperatori alla grande intrapresa di. Parigi avessero potuto fare uso del capitolo del signor Pagnozzi relativo alla Toscana. Egli che è tanto preciso e mi- nuto nelle particolarità statistiche, forse troverà esser più facile avere. esatte notizie. su certe regioni del- l'Asia; che sopra una vallata degli Appennini: e deve sa: pere altresì che costerà minori pene lo scoprire un errore nel capitolo della Toscana , che in quelli da lui destinati ad informarci dei più lontani paesi. Egli deve aspettarsi ciò; e, quindi gli è duopo raddoppiare le sue sollecitudini per evitar questo rischio. Ci giova credere che tutti coloro a’ quali si'rivolgerà per aver quelle notizie che gli man- cassero, si daranno ogni premura per soa israele x Non essendo nostro intendimento di RE esa- minere il libro del sig. Pagnozzi onde rintracciarvi quei piccoli errori ed omissioni cha offendono solo la scrupolo- 140 sa vista dei pedanti, senza dimînuir per niente l’ utile del- l’opera, ci limiteremo dopo queste poche osservazioni det- tate dal nostro amore per ogni intrapresa d’ un vantaggio reale , a palesare il nostro dispiacere che quest’ opera non venga accompagnata da un buon atlante elementare. Sappiamo che può supplire a questa mancanza uno de’ buoni atlanti dati in luce in Francia , in Germania, in Inghilterra ed ultimamente in Milano; ma un atlante elementare fatto a bella posta per l’opera del sig. Pagnozzi, sarebbe molto più pregiabile agli occhi degli associati, Noi facciam voti perchè il sig. Batelli che si occupa a stabilire ‘ una grandiosa calcografia , si risolva a supplire a questa mancanza nell’ opera del geografo fiorentino . Frattanto per giustificare gli elogi da noi fatti all’o- pera del sig. Pagnozzi , ne riporteremo alcuni saggi tratti dal tomo ultimamente pubblicato. Arabia. I due deserti. Il Nedged divide il vasto deserto, che orla la Siria, e l’ Irak- Arabi dal deserto anche più vasto, che si estende fra |’ Hedsjas, l’ Yemen, l’ Hadramaut, e l’ O:nan. La vegetazione e la vita non , si mostrano se non che a grandi intervalli tra le sabbie ardenti dei due deserti; vi sovrasta un cielo di bronzo; neppure un alito di vento, che vi moderi il caldo micidiale dell’ estate; neppure un albero, che porga un’ombra benefica all’ affannato via ggiatore; nep- pur vestigio d'erba; dappertutto cielo e sabbie: solamente di tratto in tratto qualche gruppo di palme, qualche miserabile rivo d’ac- qua, che si perde dopo pochi passi nel seno d’ ana terra inaridita. Quivi si aggirano in compagnia dei cammelli gli arabi nomadi, co- nosciuti dai greci sotto la denominazione di sceniti o di abitatori di tende, ed in Europa nel quarto secolo sotto il nome di saraceni, nome che i nostri geografi interpetrarono poco garbatamente per ma- snadieri, mentre fra i greci dei bassi tempi, che lo adoperarono i primi, significa popoli orientali. A tempo di Tolomeo si esten- devano fino alla frontiera dell'Egitto; Marciano gli rappresenta co- me vicini dei persiani. PIbLALIO. ed Ammiano gli descrivono come un popolo feroce, che beveva il sangue umano, e sì nutriva della earne de’ suoi nemici. A tempo d' Ario prendevano servizio. 141 indistintamente nell’ armate di Persia e di Roma. Gli arabi dei deserti vivono in tutte le stagioni dell’anno dentro una tenda di feltro, non conoscono i pregi della vita sedentaria, la quale d’al- tronde è incompatibile colla sterilità del deserto; si arrestano per tutto ove trovano datteri, erbe, fratti selvatici, arbusti spinosi per i cammelli; si nutriscono di datteri, di latte e di carne. Le donne si prendono l’incarico di tessere le stoffe necessarie per mantelli, tonache, tappeti, tende e scialli; per lo che impiegano il pelo dei cammelli, e la lana delle capre e delle pecore. Si provvedono tra gli arabi sedentari e fra i turchi della Siria di tabacco, di caffè, di riso, e di datteri; e pagano col butirro, e con più di 50, 000 cammelli, che vendono annualmente all'impero turco e alla Per- sia. E siccome il butirro ed i cammelli non bastano per procu- rare alla nazione gli articoli dei quali ha bisogno, vi supplisce coi tributi che esige dalle caravane , e colla devastazione dei campi e dei villaggi sulle frontiere della Siria, dell’ Algesirah, e dell’Jrak. La sola caravana della Siria che va alla Mecca paga 2250, 000 lire a ragione di 5 lire per testa. Il cammello, dicono gli arabi, e il bastimento del deserto; si aggira per le solitudini, come i basti- menti per l’ oceano, e vi porta le derrate dei paesi fertili e dei popoli culti. Lo avvezzano fin dall’ infanzia all'esercizio, alle pri- vazioni, che deve sopportare per tutto il corso della vita; impara ben presto a faticar molto, a consumar poco; passa i giorni senza bevere, le notti senza dormire: si esercita a piegar le gambe per ricevere il carico sul dorso, e gli accrescono il carico in propor- zione dell’ aumento d’ anni e di forze, e gli diminuiscono il nu- trimento quanto più gli aggravano il peso. Con una educazione tanto rigorosa si avvezza a provar la fame, la sete, le vigilie senza la- guarsi; fa al bisogno un viaggio di 300 leghe in otto giorno, e si contenta di' bevere una o due volte al più, e di riposarsi solamente un’ ora per giorno: pochi cardi, poche radiche d’ assenzio, una fo- caccia di nocciuoli di datteri pestati bastano per nutrirlo un giorno intiero; porta un peso di 800 e 1ooo libbre, e lo porta anche per più settimane; provvede l’ uomo di carne e di latte per nutrirlo e per dissetarlo come la vacca; gli procara nel suo pelo delicato come la lana delle pecore, di che vestirsi e di che cuoprir la sua tenda; nello sterco, di che accendere il fuoco; e fin nell’orina, il sale ammoniaco per il commercio. Il cammello è un tesoro ine- stimabile per l’ arabo delgdeserto: è un amico, che lo consola nelle sue privazioni, entrandone a parte: è un animale docile , fedele ; un segno basta per dirigerlo: ed il canto dell’uomo, che lo con- puce, basta per rianimare le sue forze dopo un lungo viaggio! 142 | Vahabiti. Si conosce fra noi l’ istoria dei vahabiti unicamente per le relazioni raccolte fra i musalmani della Siria . Quindi ciò che si crede .è una tela di visioni e di calunnie, tessuta dall’ odio religioso. Rettifichiamo le idee sulla relazione di Aly Bey,.che co- nosceva ‘a fondo i principj dei vahabiti e dei turchi. Abdul-Va- > bab, figlio d’un pastore oscuro, venne alla luce a Ajana nel Nedged; dotato dalla natura d’una immaginazione ardente, e d’ uno spirito superiore al suo stato intraprese un viaggio per la Caldea e la Per- sia, e vide con orrore le cappelle ed i templi, che s’ inalzavano tra i musulmani in onore degli estinti con cent’ altre istituzioni muove, ugualmente contrarie alla lettera del Korano. Quindi gli ‘venne in pensiero di ristabilire l’islamismo nella sua prima sem- plicità; e conoscendo che non si ascolterebbero i suoi principj nè alla Mecca nè a Medina, ove i nuovi riti accumulavano. tesori im- mensi, passò a Drejeh capitale del Nedged, ove guadagnò Jbn- Sand, capo d’una tribù d'arabi nomadi. I sudditi di Jbn-Sand abbrac- ciarono seco la riforma, assalirono le tribù vicine, e le obbligarono a rinunziare al culto degli estinti, oa seguirli nell’altro mondo . Alla morte d’ Jhn-Sand, Abdel-Azis arbitro dell’ Arabia portò la guerra nel. 1801 negli stati della Persia, investì la città d’Jman Hussein, la quale racchiude la tomba d’ Hussein nipote del profeta, passò a fil di spada gli abitanti, ridusse in cenere la città, e rapì i tesori accumulati nella moschea dalla pietà dei devoti. Nel 1802 Sand suo figlig entrò nella Mecca; il ceriffo si ritirò a Medina, indi a Dgeida; i vababiti rasero le cappelle ed i sepoleri de’ santi. Ab- pioli dalla fortuna, Abdel si ritirò a Drejeh (cogli avanzi del- l’armata; lo assassinarono nel 1803. Sand suo'successore rese tri- butario l’imano di Moscate, entrò in Medina nel 1804; nel 1805 or- dinò alla gran caravana di Damasco di non portar più tappeti al sepolcro del Profeta, perchè i veri musulmani non devono un culto che a Dio. Nel 1806 la caravana volle andare alta Mecca; i wa- habiti l’assalirono e la dispersero. Nel 1807 Sand dominava anche nel deserto fra Damasco, Bagdad, e Bassora. Nel 1808 pretese d’e- stendere la riforma anche a Bagdad e a Damasco; i turchi e gli arabi presero l’armi, e |’ obbligarono a ritirarsi dalle terre della Siria. Verso la fine del 1809 gl’ inglesi perseguitavano i vahabiti sul golfo persico; nel 1810 si mostrarono di nuovo in numero di 80,000. Nel 1813 Sand venne a morte, e gli successe Abdel-azis. Il figlio del go- wernatore dell’ Egitto ricuperò la Mecca e Medina, s rinoltrò nel 1814 fino a Tarapan verso Drejeh; secondo i giornali del tempo, prese an- che Drejeh; altri han detto che i vahabiti chiusero i pozzi sulla stra- pa, e l’obbligarono a ritirarsi. Nel 1818 Addel era in mano del vieerè pe 143 ,@ Egitto, che doveva mandarlo a Costantinopoli per ‘subire l’ulti- mo supplizio. Oggi i vababiti son formidabili sul golfo persico. La colonia più numerosa è a Rassel-Kimer sulla costa dell’ Oman di- rimpetto all’ isola di Tcesmè: possono riunire al bisogno 16, 000 . guerrieri, e tengono in corso un gran numero di piccoli bastimen- ‘ti, che vanno a vele e a remi secondo il bisogno. Gl’ inglesi di Bombay sono obbligati a tenere in mare 14 bastimenti di 6 a r6 cannoni per conservare le comunicazioni fra Bombay e i due golfi, e per proteggere i bastimenti mercantili sulla costa del Cotce. I vahbabiti lungi dal voler rovesciare la religione del Korano, volevano anzi ristabilirla nella sua purità primitiva; si davano il no- me di musulmani, o d’uomini consacrati a Dio; chiamavano infe- deli i turchi, riconoscevano un Dio solo, riponevano tra i suoi pro- . feti, Adamo, Noè, Abramo e tutti gli antichi patriarchi e Gesù Cristo; non toglievano neppure una sillaba alla professione di fede contenuta nel Korano, la recitavano sempre dall’alto delle moschee; solamente vi aggiungevano: /a lode non si deve ad altri che a Dio . Abdul-Vahab non si diede mai per profeta; si contentò di passare per un riformatore, che intendeva di togliere al culto tutte le fol- lie dei dottori, tutte le visioni degl'interpetri, e d’abolire gli onori che si rendono agli estinti. Ma siccome l’ uomo si mostra sempre nell’uomo, anche Abdul-Vahat cadde nella follia di proibire il ciuf- ‘fo di capelli, che molti musulmani, non tutti, portano sulla cima «della testa; di proibire la corona che tengono in mano, non per recitarla, ma per trastullarsi; di proibire il tabacco, il vestiario di seta, l’uso dei metalli preziosi nel vestiario e nella mobilia, men- tre d’ altronde non proscrisse l’ intolleranza religiosa, nè il costu- ,me barbaro-di massacrar gli uomini, che non professavano i suoi «principj. Ed i vahabiti, che non permettevano ai pellegrini d’an- dare a pregare sul monte della luce, e sulle colline di Saffa e di Merua, andavano poi in pellegrinaggio al monte Amara, e tirava- no i sette sassi a Mina contro la casa del demonio. E per tutto | gli uomini sono conseguenti così! | ® Candahar. I geografi ci rimandano dal Candhar in due minuti, dicen- doci, che è un paese ingombro di sabbie, e aggiungendo due o tre ‘versi sulla capitale. Vediamo se i viaggiatori volessero dirci qual- che cosa di più. Il Candahar è il Paropamisus della geografia gre- ‘ «ca, vale a dire comprende un paese di 36,000 miglia quadre tra i Mardi o il paese di Ghore, e 1’ Aracosia o l’ Arrokage degli Af- 144 gani. Può darsi che sia un paese arido, ma le carte vi collocano le sorgenti dell’Hindmend con cinque suoi tributari; e Marco Polo ci dice che è una pianura magnifica, lunga dodici giurnate di cam- mino, nella quale s’ incontrano le più belle praterie del mondo, e son popolate da una moltitudine prodigiosa d’ armenti, sopra- tutto di grandissime pecore. I viaggiatori moderni, che andando da Ghazna a Cadhar, e tornando indietro senza discendere fino alle pianure magnifiche vedute da Marco Polo, percorrono un paese quasi dappertutto poco popolato, e povero d’ acque e di cultura , ci dipingono tutto il paese con un solo colore. Intanto sappiamo oggi, che il teritorio intorno alla capitale è fertilissimo e ben col- tivato, che è pieno d’orti e di giardini, nei quali raccolgono gran copia di frutti e di legumi preziosi, che i poponi ed i cocomeri vi riescono a perfezione, che tutte le terre coltivate del Candabar pro- ducono in abondanza grano, orzo, saggina, grano d'India, riso, piselli, tabacco squisito, mandorle, datteri, zafferano, robbia, ed assa fetida. Che si pretende di più da un paese di sabbie? I coltivatori ap- partengono alle due nazioni dei mongoli e dei persiani: gl’indiani risiedono in gran numero nelle città, ove si consacrano al com- mercio, e nei contorni, ove si applicano alla cultura dei giardini, nella quale sono superiormente abili. Gli abitanti indigeni son tutti pastori, e menano tutti una vita errante in mezzo agli armenti. Le case per mancanza di legnami son costruite di mattoni come nel Cabul, e terminano con tetti piani ugualmente di mattoni. Vi regna un clima puro e salubre: non vi nevica mai neppure nel cuo- re “ dell’ inverno. La piccola quantità di ghiaccio, che si forma sulle rive dei ruscelli nella fiotte, si dilegua per l’azione del sole in pie- no giorno: la temperatura dell’aria è sempre piacevole anche in estate: non vi si conosce l'influenza maligna dei venti caldi. Fra gli animali domestici sono in gran pregio il cammello ed il cane. L’ultimo è superiormente forte, coraggioso, e sagace. I deserti son popolati di tigri, bufali, cervi, e gazzelle. AI tempo dei mongoli, la provincia del Candahar si estendeva da Ferah fino all’ Indo, e da Kelat fino al Ghore: per conseguenza comprendeva anche il Sakistan e l’ Arrokage: tutto il paese rendeva a tempo d’Auren- gzeb secondo i registri dell'impero 12,687,560 rupie. L'antica Candahar (Alexandria ad Paropamisum) di cui i per- siani attribuiscono la fondazione a Lohraspe, cadde in rovine, quando Hussein costrui la muova città d’ Hussein-Abad. Nadir ne distrusse anche il forte, e gettò i fondamenti di Nadir-Abad. Ah- med fondò la nuova Candahar nel 1753, e le diede il proprio nome: ma il popolo per tutto arbitro delle lingue, continua a chiamarla e0- 145 me la vecchia. Candahar è costruita sulle rive dall’ Urghum tri- butario dell’ Hindmend, ed è un paralellogrammo perfettamente regolare. Quattro lunghe strade per il commercio, larghe 50 piedi, si riuniscono nel centro della città in una piazza circolare di 50 pie- di di diametro, sulla quale sovrasta una bella cupola, ed alla quale fa corona un cerchio di belle botteghe . Le quattro strade sud- dette sono del pari guarnite di due file di botteghe tutte ugual- mente grandi, di uguale architettura, e a un piano solo, cosicché non tolgono la vista delle grandi case, dalle quali sono dominate. Tutta la città è provvista a dovizia d’ acque\per mezzo di due grandi canali derivati dall’ Urghum, che si possono attraversare so- pra a tanti piccoli ponti, e dai quali si diramano l’acque per tanti condotti sotterranei in ogni casa. Le strade si tagliano tutte ad an- goli retti: sono divise in quartieri, ed ogni quartiere è occupato da una delle numerose tribù, ond’ è composta la sua ‘popolazione. Nel 1809 vi si contavano più di 100,000 abitanti in gran parte afga- ni, e sopra tutto durani: gli altri sono persiani, indiani, belusci, ed eimaki, con. pochi usbechi, arabi, ed armeni. Vi risiedono quasi tutti i principi della tribù dei durani; ed occupano le abitazioni più grandi e più eleganti. Vi sono molti grandi alberghi per le caravane, molte moschee, una delle quali è superiormente bella : si distingue più di tutto la sua cupola dipinta a colori e in oro: è ricca di molti ornamenti anche nell’interno: i darani la tengo- no in gran venerazione, perchè è un asilo inviolabile per chi vi sì rifugia: Candahar è più bella di molte città grandi di Europa per la regolarità della -sna costruzione, sebbene manchi dei nostri edifizi magnifici: anche i palazzi dei grandi sono di mattoni: fra le case comuni le più belle appartengono agl’ indiani. Le strade son piene di venditori dalla mattina alla ‘sera. Nei contorni vi sono molti tempietti di grazioso aspetto, nei quali si riuniscono gli abitanti più per divertimento che per devozione. I giardini che provvedono la capitale di frutti e di ortaggi son bene irrigati, ricchi d'acque correnti e di pozzi, e coltivati da un popolo industrioso . T. IX. Marzo 10 146 Delle antiche leggi della Scandinavia (1) (Articolo estratto dall’ Edinburgh Review. N.° 67.) oa La primitiva semplicità della giurisprudenza degli autichi scandinavi, si conservò pura ed incontaminata per molti secoli . Diverse furono le cause che protessero la semplicità della ioro gotica legge , che infino al decimo sesto secolo rimase rinchiusa nei confini che le erano sta- ti assegnati nei giorni di Birgher il saggio, e di Magno il riformatore. Nessun altro dettatore di leggi sedette su i troni dei regni settentrionali. Non assaliti nè soggiogati da estero potere, le loro guerre erano disonorevoli contese di fratelli , che devastavano la loro patria comune. Era depredato il paese, ma rimaneva sempre libero dall’ estra- neo dominio, e le leggi eran trasmesse d’ età in età , non | influenzate dal potere, nè contaminate dalla dottrina, - La feudalità non estese mai smoderatamente il suo germe. Le istituzioni nazionali comuni a tutte le tribù gotiche , hanno una piccolissima affinità con i titoli e le relazioni militari creati dall’ antico obbligo di fedeltà , di protezione e di difesa nei territori dell’ impero, della Francia e dell’ Inghilterra, dove i sottoposti d’un capi- tano aprirono la strada ai vassalli d’ un barone. I popoli settentrionali non conoscevano per origine le giurisdizio- ni feudali, e le regole e i principi emananti da’ suoi tri- bunali , i quali s° incorporavano coll’ intero sistema della legislazione civile e criminale di quei paesi in cui pre- valevano . (1) Questa è l'intitolazione del libro da cui son tratte Îe principali notizie di questo articolo. MAGNUS KononGS LAGA — BAETTERS GULA — THINGSLAUG — Regis Magni legum reforma- toris leges gulattungenses, sive Jus commune norvegicum. Havs niae 1817» 1/7 Nè la legge imperiale, nè la canonica acquistò nes- suna preponderante autorità. Mentre i giudici d’ Upsala pronunziavano il decreto insegnato da Odin e da Asi, sprezzavano i Decretali e le Pandette. Le leggi scandina- vie paragonate colla giurisprudenza dominante nel resto dell’ Europa gotica, e col totale disprezzo per tutto ciò che derivava da Roma o da Costantinopoli, presentano un carattere particolare. Per tutto erano stati introdotti o sostenuti per opera del&lero romano i codici del Ponte- fice e di Cesare, ma gli scandinavi furono gli ultimi fra le nazioni gotiche a ricevere il cristianesimo ; e benchè in progresso di tempo abbracciassero le sue dottrine con sincerità , e conservassero pura e ortodossa la loro cre- denza , pure la gerarchia non allignò mai tanto feconda- mente nella repubblica settentrionale , quanto negli altri ‘paesi del cristianesimo. La chiesa e lo stato erano im- perfettamente collegati, e la mistica unione che in una monarchia limitata è un elemento de’ più efficaci e sa- lutari per il pubblico bene , mancò di acquistare quel- : l’ armonia che gli è di bisogno. Adam di Bremen, giu- stamente chiamato l’ Erodoto del settentrione , scrisse la sua storia in un periodo quando il cristianesimo s’ intro- duceva nella Scandinavia , ed ha descritto il governo ec- clesiastico di quei regni neofiti. I vescovi di Norvegia, di Dapimarca e -di Svezia non avevano sedi distinte nè rendite individuali ; tutti i pastori vegliavano al bene di tutti i greggi : il loro impiego era di percorrere le regioni affidate alla loro cura , rinforzando la fede del fragile cristiano, e richiamando l’errante pagano dall’adorazione degli dei di strage. In progresso di tempo s' indeboli questa primitiva vigilanza, e la povertà apostolica della gerarchia prese una più regolare e vistosa organizzazione. Il vescovo salì sul trono nel coro , e stabilì dei canoni fondamentali; ma non ostante il clero non estese molto le sue possessioni , 148 nè il potere eeclesiastico ebbe molta influenza sul seco- lare , come avrebbe fatto per avventura in regioni meno remote dalla cattedra di San Pietro. Tanto assoluto erà il potere del carattere nazionale , che infino le potestà ec- clesiastiche si assoggettavano in molti casì alla legge co- mune, non solo nei principi di giurisprudenza, ma an- cora nelle formule legali ; il che , secondo l’ opinione del legislatore , è il più delle volte di maggior conseguenza di quel che siano i principi di dottrina. Gli ecclesiastici che obbedivano alla legge comune nella corte cristiana non potevano acquistar padronanza nei tribunali secolari, dove il potere giudiciario derivava dalla nazione e non dal sovrano. La legge era la tradizione dei tempi antichi. L’ indotto agricoltore ricorreva al Jury , il quale dichia- rava la verità, o pronunziava il giudizio ; e le liti che producevansi a voce innanzi a quel tribunale non rice- vevano assistenza dalla sagacità del cherico , che di rado veniva cercato per assistervi, e mai autorizzato a pre- sedervi . La legge amministrata dal popolo stesso non diven- ne l’oggetto d’ una professione distinta, nè fu inalzata mai alla dignità di scienza. Non eranvi attillati giudici , nè incappati avvocati, nè procuratori nè senatori; ma v' erano uomini ch’ erano profondamente al fatto delle loro antiche costumanze , i quali esercitando la legge in carattere pubblico, bastava loro qualunque talento che potesse dar preeminenza in un'assemblea popolare, senza allontanarsi dalle mire dell’ intero corpo della nazione. Ivi la legge non parlava in latino; non abbellita da estra- nea cultura , la legge gotica non riceveva miglioramento da raffinato talento. Molto tempo si mantenne nella sua prisca bellezza , ma secondo il fato di tutte le umane istituzioni , giunse l’epoca della sua decadenza. La nuova religione, la parziale introduzione della più odiosa schia- vitù imposta dal sistema feudale, i cambiamenti che fu- 149 ron fatti nelle costituzioni scandinavie sotto il crescente potere della corona e dell’ aristocrazia , crollarono e quasi abbatterono la venerabile fabbrica. Le politiche innova- zioni alterano comunemente anche le proprietà particolari; le azioni indifferenti sono considerate delitti, e i delitti son puniti con doppia severità. Quando la Danimarca acquistò il potere autocratico e la Svezia fu dichiarata monarchia ereditaria, tutto il sistema legislativo e della giustizia fu rimodellato. Quelle istituzioni che avevano avuto origine da una forma di governo popolare decad- dero colla vacillante libertà, finchè finalmente il loro va- lore e la loro eccellenza spirarono nella terribil contesa fra Vl oligarchia e il dispotismo. Il punto più antico da cui possiamo fissare il pio- gresso della legge scandinavia con qualche precisione , è molto più remoto di quel che sia l’era corrispondente nella storia degli altri codici barbari. L’ Inghilterra sem- bra aver dato un impulso alla giurisprudenza della Norve- gia. Athelstane signore di Earls, donatore di braccialetti d’oro , il più splendido dei sassoni guerrieri, è rappre- sentato in qualche maniera come un monarca romanze- sco, e come un eccellente legislatore. I nostri antichi poe- tici privilegi sono a lui attribuiti, ein altri documenti vien citato ancora come donatore; ma sì hanno molte ragioni per dubitare della loro autenticità. La gratitudi- ne popolare inalzava il merito del vincitore procurando d’attribuire la libertà dei villaggi a quel sovrano, la cui spada avea protetto i suoi sudditi da qualche invasore. Haco figlio adottivo di. Athelstane, che fu educato nei palagi del re d’ Inghilterra e che forse profittò dell'esempio dei successori di Ina , è il primo autentico legislatore che s’ incontri negli annali della Norvegia. Quattro tribunali supremi erano stati stabiliti in tutto il regno, essendo esso diviso in altrettante giurisdizioni ; e i quattro eodici che furono promulgati da Haco ( circa [| 150 l’anno 940) cioè la Aedsiviatingslaug, la Gulathingslaug, la Frostalhingslaug e la Borgarthingslaug, presero nome dalle provincie nelle quali erano in vigore; ma siccome esse non differiscono in altro che nella loro disposizione ed in pochi regolamenti adattati alla costituzione delle corti di ciascun distretto , così possono essere considerate come una sola collezione di costumi e di statuti. Il codice del pagano Haco fu modificato da Olave, santo re di Norvegia, il quale abrogò quelle leggi che non si confa- cevano col pacifico spirito del cristianesimo. Queste leggi ‘furono pubblicate e lette in una adunanza nazionale ; e i legislatori parlarono in nome del popolo , dicendo così al- la nazione— 7le è il principio della nostra legge. Noi dobbiamo volgere i nostri volti verso l'oriente, e pregar Cristo che voglia accordarci buon tempo e pace, affin- chè noi possiamo conservare il nostro territorio senza fatica: e il nostro re, signore di questa terra, con sa- lute e grazia, possa essere nostro amico, e noi suoi ami- (674 per sempre. Magno il Buono, Olave il Pacifico, e Magno Erlin- gsen incorpurarono diverse leggi che aveano ricevuto la loro sanzione nei codici di Haco e di sant’ Olave, e il te- sto urtico della legge subì probabilmente una tacita revi- sione. Nel regno di Magno figliuolo di Haco, i Norvegi ottennero che i loro codici fossero di nuovo modificati. Il nuovo digesto fu eseguito sotto gli auspici del re, il quale per tal cagione s' acquistò l’ epiteto di ZLagaboetir, ovvero emendatore o riformatore della legge. Il codice termina col seguente paragrafo, che è ben degno dell’ attenzione d’un lettore istruito:— / re Magno scelse da tutti i libri del regno le leggi che egli credè migliori dietro il consi- glio degli uomini più dotti, e comandò che fossero rac- colte in un solo volume. Quindi si portò alla corte na- zionale di Guloe, ed ordinò che fossero lette ad alta voce ec... . Se alcuno de’ suoi legittimi successori tro- 151 vasse questo codice bisognoso d’ emendazione , allora lo possa alterare colla mira di promovere l’ onore di Dio, la salvazione dell'anima sua , ed il ben essere del suo popolo. Questo libro fu ricevuto per legge fondamentale nelle corti provinciali di Guloe la vigilia di San Gio- vanni, quando mille dugento settantaquattro inverni erano scorsi dal giorno della nascita del nostro signore G.Cristo,e nell’ undecimo anno del regno del re Magno. Nel nuovo codice Gulathingslaug le leggi furono disposte con maggior ordine, e dettate con più chiarezza. La durezza e la severità della giurisprudenza di Haco Aihelstane cedettero in più luoghi al buon senso di Magno e de’ suoi consiglieri; e nel tempo stesso fu presa la dovu- ta cura, che i diritti e i privilegi della corona fossero definiti colla più gran precisione ed accuratezza, il che non fu creduto necessario di fare nei giorni dei più antichi monarchi (1). Nessun'altra alterazione fu fatta nella legge norvegica , fino all’ ultima rivoluzione di cose di quel paese. L’ Islandia, mentre ehe fu indipendente, fu gover- «nata dalle leggi e dagli usi comuni ai coloni norvegi nel periodo della loro emigrazione. Queste leggi, quando l’iso- la fu pienamente stabilita , furono raccolte da Ulfliott nel decimo secolo; ma il solo nome della legge d’ Ulfliott è stato conservato. Il giudice Gudmondo compilò il codice chiamato Gragas , ovvero Oca grigia, fra l’anno 1125 al 1135. Questo libro ricevette questa volgare denominazio- (1) Questo codice è stato pubblicato per la prima volta nella lin- gua originale , unitamente alle ‘versioni danese e latina, nel volume notato nella nota avanti a questa. Un index vocum rariorum contiene molti termini di legge che non si trovano nel lessico di Hulderson, e che aggiunge molto pregio a quest’ opera. Il testo del codice è riportato con critica fedeltà, ma i dotti editori non vi hanno aggiunto nessuna nota che ne rischiari il senso. Sembra che gli svedesi intendino ancora di pubblicare nuove edizioni delle loro leggi sotto il patrocinio del re. 152 x ne dal colore della sua legatura , come il libro nero ‘e il libro rosso dell’erario di Londra. Questo codice; in cui le formule del processo son portate molto a lungo; non è stato mai stampato ; solo ne esiste ùna copia fra ‘i..mano- scritti di sir Hans Sloane nel museo brittanno... Dopo che l'isola fu riunita al regno di Nokwegia Haco figliuolo di Haco v' introdusse la Gulathingslang, che gli Islandesi stimarono tanto rigorosa , che gli det- tero il nome di Zarrsida, o Ironside ; e questa:si manten- ne fintanto che Magno Lagarboetir trasmesse il suo nuo vo codice in quella remota parte de’ suoi domini, ma con quelle alterazioni che potevano adattarsi allo stato della società e della proprietà di quell’isola. A Giovanni Einar- son, celebre giudice islandese , fu affidato : questo impor- tante affare , il quale restò iftimagts al declinare del deci- mo terzo secolo, ma non prima della morte del monarca norvegico. (1) 1 ; F'orisino un’ altra classe delle leggi della Snc via i codici delle provincie che erano governate dai re d’ Upsala, o dagli svedesi: l’Uplandzlaugh, o sia la legge d’ Uplanda, godeva grandissima riputazione ed autorità. Fu promulgata l’anno 1299 regnando il re Byrgher;;e sotto la direzione di Byrgher il saggio giudice della pro- vincia, reputato padre di San Bridget. La legge Gothlan- ds esiste in un testo d’incerta ma di remota data. {l dia - letto con cui è scritta la lingua di questo codice è molto singolare ed arcaico; alcune favole e frammenti istorici (1) L’ultima edizione di questo codice ha la presente inti- tolazione. Logbok Islendinga hvòria saman hefur sett Magnus Norvegs Kongur ( Loflegrar Miningar) Prentud ad Nyu a Ho- olum. Anno 1709. Hoolum dentro il circolo polare , è precisamente l’ultima Tule della tipografia. I caratteri messi in opera per stam- pare questo volume sono i medesimi., che primi furon portati nell’ isola dal vescovo Thorlakson nel 1584. Henderson ha scritto minutamente la storia della tipografia islandese in un appendice al suo giornale . 153 attestano l’antichità della collezione. Le leggi //est Got- hland nonconservano il nome del re dal quale furono sanzionate; ma quelle dell’East Gothland furono rivedu- te e riformate negli anni 1168 e 1260. La Sutermania, l’Elsiugia; la Delecarlia e la Scania posseggono al pre- sente i medesimi libri di legge che avevano nei secoli de- cimo terzo e decimo quarto , periodo in cui la maggior parte dei codici principali furono riordinati e resi pub- blici. Queste provincie essendo unite sotto un solo monar- ca ; 1 legislatori. svedesi tentarono d’ accomunarne i costu- mi; onde fu composto nella dieta tenuta ad Orebro sotto il re Magno nel 1347 un codice generale o digesto delle leggi di tutte le provincie, di cui! peraltro la legge d’ Uplanda, ne servì di. base. Ma poche furo- ‘no quelle province che adottarono ‘la Landzlagli; come quella che abrogava i loro antichi codici nazionali. Que- sti differivano :così poco fra loro; che l'opposizione soste- nuta dalla Landzlagh può. solamente essere stata : cagio- nata da quello spirito di/tenacità, ‘che sempre incita le parti componenti una monarchia ad insistere sopra i loro particolari diritti, quantunque inutile , e che possono es- ser considerati come lodevole follia. ‘La Landzlagh per altro non fu:messa comùnemente in pratica, se non qua- si un secòlo dopo; quando fu di nuovo promulgata dal re ‘ Cristofano il Bavaro. Questo 'copioso codice è, molto utile per dilucidare le sorgenti d’;onde fi , non. essendo altro che una manifesta parafrase degli antichi testi. L’antiche costumanze legali dei Giuti furono deposi- tate nella Jasdske Lovbog, codice compilato sotto Walde- mar re danese, e riconosciuto dal parlamento di Gutlan- da nel 1280. Uno studio diligente di questo codice ; e dell'altro delle costumanze del Chersoneso Cimbrico e della Transalbinia, getterà molta luce sopra i principi della legge inglese; specialmente ‘sopra quello che ha re- lazione colla storia del Iury. 154 “i Si suppone che il re Canuto introducesse in Inghil- tera la sua //itherlagsret. Questo militare ed aulico co- dice trovasi unicamente in due diversi. compendi; uno inserito nel testo di Saxo Grammatico , e l’altro è com- preso nell’ antica traduzione danese dell’ arcivescovo Absalom : altre leggi e regolamenti dei danesi, sono attri- buiti ad oscuri e forse favolosi legislatori. Sveno Tifveskegg per esempio, dicesi che fosse il primo a decretare che la sorella dovesse aver parte col fratello all’ eredità , e con questo dono ricompensasse la generosità femminile: poichè questo monarca essendo in schiavitù, domandò ai danesi che se volevano liberare il loro re, biso- gnava che pagassero in oro il peso del suo corpo ed il doppio in argento. La sorgente del più prezioso metallo rimase esaurita, ei danesi temevano che Sveno dovesse languire in schiavitù per tutta la sua vita. Ma nel tempo che in tal guisa si lamentavano, le matrone di Danimar- ca gettarono i loro orecchini e i loro spilli nella bilancia, e così completarono il riscatto del re. (1) Questo supposto editto è stato cagione di lunghe discussioni ai dotti del set- tentrione, i quali hanno trovato dell’ allusione alle leggi di eredità dei giudei e dei gentili, dei caldei e degli arabi, dei greci ‘e dei romani; ma l’ illetterato sarà più inclinato a considerarlo come un romantico racconto a bella posta composto da Sveno , o probabilmente copiato da qualche antica narrativa. L'antica storia delle leggi di tutte le nazioni abbonda sempre di favole; queste hanno origine dalla mitologia o dal romanzo mitologico, perchè il pri- (1) In qua fortunae violentia Sveno virili defectus auxilio, facminarum cxpertus est: nam cum exhaustis regni opibus, ne aurum quidem redemptioni ejus suppetere videratur, tanta ei matronarum humanitas affuit , ut detractis aurium insignibus , caeteroque cultu, certatim digestam pondere summam explerent, plus commodi in salute principis, quam amoenitatis in ornamen- torum suorum. 155 mo legislatore è comunemente un eroe deificato. Odin fu naturalmente considerato come il fondatore della giuri- sprudenza settentrionale. La Yrglinga Saga ci dice che egli messe in vigore nel paese alcune leggi che erano prima in uso fra gli Asi; e che per tutta la Svezia il po- polo pagava ad Odin la quota d’ un soldo per ogni naso (1) Noi dobbiamo trarci dall’ oscurità della favolosa antichità , e rigettare questi racconti. E pure dopo aver convenuto intorno all’ influenza del cristianesimo e al lento progresso della civilizzazione, i codici esistenti forse rivelano le particolari instituzioni dei goti (2) fino all’ alba dellà storia. Alcuni frammenti di queste leggi pos- sono essere stati trasmessi quasi infino ai tempi degli Asi; l’arte di scrivere fu probabilmente conosciuta dai goti prima che s’avanzassero oltre l’ Eusino. Ulphila certa- mente modellò i suoi caratteri d’argento sopra l'alfabeto dei bizantini; pure le magiche parole scandinavie s'as- somigliavano agli alfabeti della Celtiberia e dell’ Etruria. AI pari degli alfabeti oghamo e cimbrico , le forme angolari dei caratteri runnici (3) dimostrano che. essi erano incisi, e secondo il costume dell’altre antiche na- zioni, le parole s'incidevano sopra tavolette di legno; e tale è la lettera che indirizzò il re Fengo al re inglese. La poesia era comunemente scritta sopra tavolette qua- drangolari, le quali erano convenientemente adattate per (1) Um alla Svithiod gulldn menn Odni skatt penning fyrir nef hvert. I traduttori latini hanno assurdamente e infedelmente mutata la tassa per ogni naso in tassa per ogni capo, (2) Noi non entreremo in nessuna controversia riguardante la vera appropriazione o etimologia di questa appellazione, che è stata cagione di suscitare tanta collera letteraria ; ma ci conten- teremo di fare osservare, che noi l’ usiamo in senso generale per denotare l’intero genere di cui sono specie di teutoni, i belgi, e quelli che in progresso di tempo diventarono scandinavi. (3) Il carattere runnico era quello dell’ antica lingua scan- dinavia . 156 eontenere una stanza. Non meno particolari sono le indi- cazioni dei libri e dei capitoli dei codici svedesi e norve- gi. Ogni libro veniva considerato come una trave ( Balk, o Beam) titolo che non si sarebbe dato quando la cartapecora divenne comune; e ogni trave suddividevasi in asse 0 tavole. Così probiibilmanté erano incise le leggi che Ulfliott portò in Islanda. È ancora da notarsi che l’ unico manoscritto in caratteri. runnici, riconosciuto autentico, è un codice di leggi della Scania. attribuito da Suhm al decimo terzo secolo. | Quel che prova l’antichità delle leggi scandinavie sì è, che tutti i suoi diversi codici si combinano in ogni principio essenziale, e nella maggior parte delle più mi- nute particolarità. Stiernhook paragona gli statuti svedesi alle Naiadi d’ Ovidio. Facies non onnibus una Nec diversa tamen, qualem decet esse sororum. E questo passo può adattarsi a tutte le altre leggi della Scandinavia. La loro scambievole somiglianza prova la loro derivazione da una stessa sorgente; e siccome le fa- miglie e le tribù che conservavano quelle leggi erano rigide ed ostili prima che si cominciasse a conoscere la loro storia, questa sorgente deve essere esistita in un periodo anteriore alla loro separazione. Altri evidenti indizi della loro antichità si possono brevemente indicare. Le antiche leggi teutoniche erano scritte in versi poetici, per mezzo dei quali s'imprimevano più facilmente nella memoria del popolo i precetti e le massime dei legislatori. Ora, le formule legali ed autentiche degli scandinavi sono quasi tutte dettate in stile poetico, e la loro lingua è singolar- mente poetica e metaforica. Le memorie delle antiche loro lesgi rimontano al tempo del paganesimo. Se gli abitanti di un distretto in West Gothland reclamavano un assoluto diritto sul terreno comune, doveano provare col giuramento di due persone che fossero scelte da due 157 Giuri, che quella terra era stata coltivata al tempo del Paganesimo. I goti occidentali fanno rimontare la serie dei Nprò giudici avanti l'era cristiana, e dicono, che i due primi giudici del paese furono seppelliti dietro un monte , perchè erano pagani (1). Nella stessa guisa , la prefazione premessa alle leggi d’ Uplanda attribuisce quella collezione ad un legista pagano dei tempi pagani. Molta precisione richiedevasi nella pubblicazione delle formule legali degli scandinavi. Qualunque doman- da, o querela , o appello portato avanti il tribunale ; la promessa di sposalizio d’ un giovane ad una ragazza ; la legittimità d’ un fanciullo spurio ; la libertà d’ uno schia- vo ; finalmente ogni atto per mezzo del quale si mutava l’ altrui proprietà , 0 si acquistavano o si pretendevano i diritti civili, doveva essere èsposto colle opportune frasi ed accompagnato dai riti che erano in vigore da imme- morabile tradizione: molte di queste formule o giura- menti furono raccolti da Turner. La variazione d’ una sola parola, una sillaba errata annullava tutto il pro- cesso. La pratica e l’ esperienza soltanto potevano inse- gnar queste formule, le quali non erano molto conosciute dal popolo , perchè i savi e potenti legisti con gelosia le celavano alla profana moltitudine. Tanta fu l’efficacia che attribuissi a queste mistiche sentenze , che meritarono d’ essere rivestite della rigida forza della potenza giudi- (1) La piccola cronica di Biorn Kialki secondo giudice di West Gothland, è scritta con tanta ingenuità, che non può ca- dere nessun sospetto di falsità sopra il suo autore. Biorn nacque a Medhalby , ed ivi fu seppellito dietro un monticello perchè non conobbe Cristo; e sopra quel monticello stava la torre del- l’oriolo (Kloki-hus) che ora è in Medhalby. Questo passo illu- strerebbe molto la storia delle invenzioni, poichè l’ oriolo fab- bricato a Westminster nel 1288, è comunemente considerato il più antico del settentrione; ma non potrebbe darsi che il Alokd- hus non fosse altro che una torre con una campana? 158 ciaria, mentre che prima non eran dette che per spasso, ed ascoltate senza attenzione. Può servir d’ esempio l’av- ventura di Gunnar, il quale porgendo orecchio al consi- glio dell’astuto Nial, andò travestito da fabbro viaggiatore alla casa di Ruttr potente capitano , il quale aveva ricu- sato di restituire la dote della ripudiata Unna. Il simulato Hedin , poichè questo era il nome del finto Gunnar, fece cadere il discorso sul. punto in questione, ed indusse il suo ospite a recitare l’ opportuna formula di citazione che convenivasi al processo. Gunnar la ripetè, ma erronea- mente. Il vedovo marito rise e si burlò di lui; allora Gunnar proferì la citazione nella dovuta forma, e chiamò per testimoni i suoi compagni, che travestiti si fingevano suoi lavoranti. L’ allegria di quella sera non fu punto in- terrotta , e nessuno degli astanti sospettò che la ceremo- nia fosse stata valida. Gunnar partì di buon’ ora la mattina dopo; ma quando il capitano intese da suoi servi”che aveano veduto trasparire una manica di scarlatto sotto la sudicia veste del fabbro , e che aveano veduto brillare nel suo dito un anello d’oro, sospettò della verità, e si riconobbe costretto ad obbedire all’ ordine legale. Un esempio più romanzesco che mostra la forza e l’ autorità che avevano queste formule legali, si trova nella vita di Gunnlaug della lingua di serpente. Questo giovane _ poeta era andato per istruirsi nella legge presso Thorstein il saggio, ed era già un anno che udiva le sue lezioni ; ma la rigidezza di quello studio era temperata dai vezzi della vago-chiomata Elga figliuola del saggio, che egli amava e conosceva d'essere riamato. Un giorno essendo essì a tavola, Gunnlaug diresse a Thorstein queste paro- le: « Fra le formule legali che vo m’ avete insegnato, ce 3» ne rimane ancor una di cui non m’ avete mai parlato : »» non devo io sapere come una ragazza rimane altrui »» obbligata in sposa ?,, Thorstein rispose, che vi biso- Ì i 159 gnavano poche parole , e ripetè la formula dello sposali- zio. Allora Gunnlaug chiese licenza di ripetere ad Elga quella lezione , richiesta a cui il padre acconsentì di buo- na voglia dopo avere superficialmente accennato che quella ceremonia era nulla. Ma l’amante pronunziò le parole sponsali con solennità e precisione, e nominòi suoi testimoni. Tutti quelli che erano presenti si risero de’ due giovani, ma in seguito Gunnlaug vendicò il dirit- to che aveva sopra la mano di Elga , con spargimento di sangue e colla morte. Ad onta dell’ autorità di Augustine, | sospettiamo che l’antica formula matrimoniale dei sasso- ni pagani sia una copia di quella che ancor .si conserva nel rituale della chiesa stabilita in Inghilterra , che è la presente : Di averci e di tenerci da questo giorno in poi, per il meglio e per il peggio, per il più ricco e per il più povero, in malattia e in sanità, di amarci e di volerci bene finchè la morte ci divida. Queste parole come os- serva il vescovo Chaloner, dotto teologo cattolico, furono inserite nel rituale conforme all’antico costume d’In- ghilterra ; ed anco quando il prete cantava la messa latina, le promesse che confermavano il simbolico pegno d’unio- ne erano ripetute vicendevolmente dai timidi sposi in una maniera la più intelligibile. (9) | ( sarà continuato ) TM (9) Anticamente le formule del giuramento erano ancor più circostanziate e precise. Secondo l’uso di Salisbury, la sposa ri- spondeva : ,, Io prendo te Giovanni in unione alla mia casa spon- sale, per averti e tenerti da questo giorno in avanti , per il meglio e per il peggio, per il più ricco e per il più povero, in malattia e in sanità, per essere allegra e obbediente in letto e a tavola , finchè la morte ci divida (se la santa chiesa l’ordinerà ), A ciò io ti do la mia fede. ,, Credo di far cosa grata agli amatori della lingua inglese, riportando questa formula nella sua antica forma. — I take thee John to my wedded house bonder, to have and to hold , fro this day forward , for better for worse; for richer for poverer, in syknesse in hele , to be bonere and buxom in 160 I. x R. Accavemra DEI GrorcoFILI. — Adunanza ordinaria del dì 16. marzo 1823. Il sig: Dot. Tartini, come relatore d’una commissio- ne incaricata di prendere in esame la struttura e l’ effetto d’ una macchina usata in Ungheria per svellere le radici degli alberi dai terreni che si destinano alla cultura; del- la qual macchina S. A. I. e R. l’ Arciduca, Leopoldo Principe ereditario aveva donato all’ Accademia un mo- dello , lesse il relativo rapporto, nel quale rilevata l’ in- gegnosa semplicità della macchina, e calcolatone il notabile effetto, si concludeva per l’utile sua applicazione non solo all’ oggetto indicato , ma ad altri ancora. Il sig. dot. Guglielmo Libri dimostrò la futilità di quella volgare opinione che attribuisce alla luna una grande azione ed influenza sopra molti fenomeni terrestri, e sopra molti esseri;; specialmente dei due regni organici. Il sig: Sabatino, Baldassarre Guarducci socio cor- rispondente trattò .d’ alcuni errori assai comuni. nella pratica agricoltura, specialmente dell’ anticipata vendem- mia delle uve , dimostrando i molti e gravi danni che ne derivano, e confutando i pretesti ai quali si appoggiano i fautori di quella pratica perniciosa. si G. GAZZERI. bedde and at borde, till dethe us do parte (if holy churche it woll ordain and therto I plighte thee my trolh. Se sì eccettua la penultima clausula , ogni frase in questa energica poetica di- chiarazione , dimostra la sua nazionalità e antichità. Questa for- mula subì alcune piccole variazioni nelle varie diocesi d’ Inghil- terra, ma la sostanza continuò ad esser sempre la stessa. 161 Seconda lettera del prof. G. Gazzeri al sig. cav. Viw- “cenzo Anrinori intorno alla meccanica della ma- ‘teria del cav. Leoporno NoBILt. L egregio Sig. Cav. Nobili onorando di sua risposta quelle mie considerazioni intorno alla meccanica della materia, che io esponeva nell'altra lettera a lei scritta sotto dì 16 ottobre, ed inviatale poi sotto di 27 novem- bre dello scorso anno, (1) vi ha impiegato modi così cor- tesi e così generosi, da cambiar l’ indole ordinaria di simili discussioni , mostrando col fatto potere elleno di- venire egualmente utili ed onorevoli ai disputanti , co- munque ‘vi assumano essi l’ aspetto o di vincitori o di ici ‘ ‘ Ciò mi anima ad esporre francamente quelle ulteriori prete , che mi sembra potere utilmente opporre alla di lui risposta. Le quali, prima che cadano sotto gli occhi del pubblico , il di lei noto non sterile amore per ì fisici ‘studi mi stimola a sottoporre al di lei pregiato giudizio, tanto più volentieri, quanto che lo stesso cav. Nobili, concorde meco nell’ alta stima per lei e nel desi- derio di averla primo giudice delle nostre questioni, le ha indirizzata la sua risposta. Come nelle mie considerazioni iopaveva primiera- mente impreso a mostrare , le due supposte forze d’ at- trazione e di ripulsione essere affatto ipotetiche ed anche assurde , e quindi risentirsi della debolezza d’ un tal fon- damenito le spiegazioni che il mio dotto avversario vi ap- poggia ‘di molti fenomeni naturali; così egli nella sua risposta; prima intende provare la necessità d’ ammettere in qualunque ipotesi le due indicate forze , poi prende a discutere e risolvere la più gran parte delle mie speciali obiezioni. In questa stessa via io lo seguirò rapidamente. (i) Antologia Vol. VIII. pag. 432. T. 1X. I/arzo i HI 162 Sebbene egli cominci da convenire che fra le varie ipotesi proposte per spiegare la gravità sia la più ragione- vole quella in cui ella è fatta dipendere dalla pressione che esercita sull’esterno dei corpi un fluido sottile sparso nell’immensità dello spazio, pure intende provare che per questa, mentre si toglie dal centro dei gravi l’ ordi- naria attrazione, si sostituisce al essa un’ altra forza non meno occulta. Ecco il ragionamento che egli fa a questo proposito . « Per qual virtù il supposto etere preme i corpi? Perchè è di sua natura elastico. Che cosa è un fluido per sè stesso elastico? È un sistema di particelle che tendono ad allontanarsi le une dalle altre; e che però convien supporre animate dalla ripulsione, principio inconcepibile, ma da cui non sì può prescindere, giacchè vi si cade den- tro volendo evitare il principio opposto dell’attrazione.. » Ad infirmare il qual ragionamento mi basti qui; il dichiarare che per farmi un’idea d’ un fluido per sè stesso elastico io non trovo punto necessario attribuire alle. sue particelle la facoltà di respingersi scambievolmente, fa- coltà non solo inconcepibile, a confessione del mio dotto avversario, ma che di più guida all’ assurdo dell’ azione meccanica a distanza. Come io concepisca la struttura e l’azione d’un fluido elastico , lo esporrò più sotto, do- vendo trattare dell’ elasticità . TOI Non avendola io asserita , non prenderò a difendere la crescente densità degli strati del fluido etereo, dalla terra in alto, ammessa da Newton a spiegar gli effetti della gravità , e della quale dice con ragione il.cav. Nobili non potersi ella attribuire, da chi l’ammette,, che ad un’ occulta cagione . Facendo il cav. Nobili dipendere dall’ azione della materia ripulsiva tutte le composizioni e decomposizioni 163 chimiche ; io affermai spiegarsi queste plausibil mente per il principio: ‘delle affinità ‘elettive, per cui un corpo già unito ‘adam altro se ne distacca ogni qual volta dall’afi- nità’ ‘superiore d’ un terzo corpo è chiamato ad unirsi a questo. Contro il qual gt egli 9 un e speciosò . rag Suppone egli tre elementi A, B, C, dei quali uno, per'esémpio B; abbia ‘per A un’ *affinità come 10, per C una come 20. Se i tre elementi fossero , dic’ egli, sopra una'stessa linea e ad egual distanza uno dall'altro, l’ele- mento! Bosi porterebbe piuttosto verso C'che verso A; ma nel‘càso ’deî chimici; beh' diverso, A ‘e B essendo già uniti:con ta certa ‘forza ‘in’un' composto AB, l'affinità superiore di C'per A‘non'basterà a distaccare questa da B; ma'si tirerà appresso vari el’ altro’ formando il com- posto CAB. ouiie i 194 Ma neppur quest’ ultinio sicari io essere il caso datiso:icnià lo mostrerò con an'esempio. Se in una soluzione di nitrato dì barité lio versi acido solforico, ve- drò ‘intorbarsi il liquido'e'separarsene ‘una ‘materia con- creta $'che 1analisi mi mostra essere solfato ‘di barite. Tu nescoircluderò che l'acido solforico esercitatido ‘verso Ta bariteit" affinità superiores ‘quella che la teneva prima ùnita'all’ acido nitrico, V-ha' distaccata da urea ( senza il'conéorso d’ alcuna 'Aizili ripulsiva ) e vi si è unito esso formando ui nuovo composto', che per ‘essere todblB Ho primi Se n° è ‘separato; © «894 100 Heeo poi in che questo ‘caso, vero è pratico, differi- sce'da quello del cav: Nobili, ipotetico, ed! impossibile a verificarsi: Se le molecole gio ‘corpi non fossero i impercet- tibili ‘dai nostri sensi , eci fosse. dato accoppiar prima una sola moleedla d’ acido nitrido"ad'una sola di barite, quin- di appressare ad ‘una tal‘eoppia, anzi alla ‘molecola di barite dal suo lato' libero) una molecola d'acido'solforico, si può supporre che la baritel senza distaccarsi dall’ acido 164 “nitrico , resterebbe fra esso e l’ acido. solforico. ..Ma ;..pér minima che sia la quantità di nitrato di barite; e. d’ ‘acido solforico su cui si operi, l’, uno, e l’ altra sono, semprerriu- nioni d’ un immenso.numero di, molecole. Segue da; ciò che ciascuna delle molecole di barite,, in vece: d’ essere investita da una sola molecola d’ acido solforico, e da. un solo dei suoi lati; sia prontamente circondata da ogni parte da un gran numero dii esse ; ed sndlaba; così dall agi; nitrico , ì ifgormiolo o7) 1.90 ce oMtoo sui Con un; niragone: s forse|un poco strano , ma, mia più generalmente intelligibile personifichiamo, le'tre let- tere del cav. Nobili. Sia A, Andrea, ;B, Biagio;i,G. Carlo, Andrea amico di Biagio passeggi con lui ; tenendosi ambo uniti per un braccio. $’ incontri in essi Carlo ; che amico a Biagio più d’ Andrea je nel tempo stesso più vigoroso di questo , preso Biagio per l’ altro braccio, voglia distac- carlo da Andrea ; ed, nilo a. sè solo. Quanto a Biagio , benchè più affezionato a Carlo, che. ad Andrea, | CONServi anche a, questo, qualche, affetto:, sicchè non ami lasciarlo. Che ne avverrà ? Qualunque sia.la forza di Carlo;.a meno che non estingua;la vita;e l’azione di Andrea ; con solo tirare a,sè Biagio,non potrà impedire che egli; si) attenga ad Andrea, ed al più se.lo,trarrà dietro unitamente.a; luii Questo è il caso supposto dal cav. Nobili. Ma la ‘cosa. sarà ben diyersa;se in vece,di.tre soli.individui, ciascuno, déi , quali | è. unico, nel modo e nel grado dell’affezione.e della forza rispettiva, ne concorra di tutti un gran numero: Sia un drappello d'arditi e vigorosi romani che.investa con coraggio, e. con} forza superiore molte coppie, disabini e sabine , per distaccar, queste da quelli e farle» sue... Si at- tenga .pure ogni donna tenacemente al. padre.o.allo,sposo; ciò non impedirà che una alla, volta, circondate da più romani.,,mon sieno distaccate, di; fatto dai. loro compagni. Il cav: Nobili, concordando il fatto della scomposi* zione ; lo fa, dipendere. dal,;caZorico, cui accorda. nel 165 tempo” stesso i due opposti! poteri di rompere un’unione esistente , e di favorirne una nuova. I fatti inducon me a pensare la todo? Se jo riscaldi non solo, ma faccia an- che bollire la soluzione del nitrato di barite, e disseccatala tenga il sale concreto esposto ad una temperatura vicina a quella dell’infuocamento , non per questo si sscomporrà ed i suoi componenti, benchè sotto l’azione viva ed in- tensa del calorico , resteranno uniti. All opposto , quan- tunque io raffreddi quel liquido fin presso alla eongelazio- ne , appena v' infondo l'acido solforico ; freddissimo anch’esso, si ‘effettua la! scomposizione. Io non posso dunque attribuirla all’ influenza del calorico} ma all’af- finità! superiore della'terza sostanza. Chi mi oda parlare d’affinità mentre ‘nego |’ attra- zione, non mi creda în contradizione meco stesso. Colla voce aff Enità ‘io intendo esprimere ‘un fatto indubitato, quale come io concepisca indicherò in altra occasione. Dice in fine il cav. Nobili a questo proposito che il prescindere nel giuoco delle affinità elettive dall’ azio- ne del calorico portereblie alla strana conseguenza, che due dischi attaccati insieme con un mastice d’una certa tenacità, dovessero distaccarsi all'avvicinarsi d’un terzo disco coperto d’un'mastice più tenace di quello che ne eh î primi due. ‘ Quelli che ammettono le attrazioni fisiche a distanza pur convengono che le affinità chimiche non sono efficaci se non al contatto. La più debole affinità di due corpi a contatto ‘non potrebbe ‘esser vinta da quella anche gran- dissima d’un corpo avvicinato soltanto, e però più 0 me- no distante. Quel ‘partigone adunque, oltre a riguardare un fatto che non dipende dall’affinità j mon corre per disparità sostanziale ii‘circostanze. Acciò' vi fosse qualche somiglianza, bisognerebbe , attaccato il primo disco al se- condo con un dato mastice, supporre egualmente attaccato il secondo al terzo con un mastice di varia tenacità , per 166 avere il contatte da ambe le parti; ed in questo caso è. evidente che, tirandosi. in senso. contrario;i due dischi. estremi, si distaccherebbe dal disco medio quello dei Mae che vi era unito col mastice meno tenace. l'suttcà a i ; : j } vii Avendo il cav. Nobili indicato come uno degli | argo- menti per i quali, a parer suo, è provata l’attrazione la coerenza nel contatto fra le particelle dei corpi solidi, parvè a me dimostrare che la coesione non dipende dalla; supposta attrazione, appoggiandomi a ciò che accade in, una verga di Mina, la quale, presentando una tenacità grandissima nelle parti continue , non presenta coerenza alcuna fra due sue parti prima divise poi ravvicinate al più immediato contatto. Il cav. Nobili, mostrando sentire la Lala di quel. mio ragionamento, pure afferma che esso ( nè sa come io non me ne sia avveduto ) non, percuote punto i di lui principii, secondo i quali Ze superficie di tutti i corpi sono ricoperte d’ una piccola atmosfera di calorico, che elastica di sua natura , arriva non solo ad elidere l’at- trazione delle parti a. contatto, ma qualche volta ad impedire questo contatto medesimo. Per altro egli ammette atmosfere proporzionatamen- te simili anche intorno a ciascuna delle molecole onde si compone la parte continua della verga ; per lo che a, me pare. che ‘la. spiegazione svamisca. Altronde mentre un pezzo di .verga fortemente infuocata, e però, penetrata fino nelle intime:sue, parti di calorico 0:di materia ripul., siva, conserva ancora una gran forza di coesione; all’op- posto una sua estremità fredda non contrae la più picco, la aderenza con altra simile. Vorrem noi dire che. vi è fra le parti fredde, a contatto tanto: calorico ‘da elidere l’attrazione;, e;che non ve n'è tanto che basti fra le part intensamente, infuocate 2, Sembrando,a,me; più ragionevole attribuire la, coe; 167 sione all’azione d’un fluido esterno premente, allegai il noto e parlante esempio degli emisferi di Magdeburgo, nei quali l’ adesione è indubitatamente prodotta dalla pres- sione esterna dell’aria. Al qual proposito il cay. Nobili osserva che questi emisferi si distaccano senza la minima fatica tosto che il più piccolo pertugio permette all’aria esterna di penetrare entro la loro cavità, e poichè biso- gna ammettere che il fluido etereo penetri entro le visce- re dei corpi conclude che non si può attribuirgli la coe- sione, 0 la resistenza che i corpi oppongono alle potenze che tentano di romperli. Ma non bisogna considerare nei citati emisferi due soi casì, cioè quello in cui la loro cavità è ripiena d’aria d'una densità eguale a quella dell’aria esterna nel qual caso non vi è aderenza alcuna, e l’altro in cui la cavità esserdo affatto vuota d’aria, gli emisferi aderiscono fra loro con una forza eguale alla pressione che esercitano sopr: di essi le corrispondenti colonne d’aria atmosferica. Vi è Ta quei due un numero quasi infinito di casi inter- medii Appena una porzione qualunque d’aria è estrat- ta dall cavità interna, sebbene ve ne resti ancora una notabil: quantità, pure essendo essa più rarefatta della circostante, non può fare equilibrio alla sua pressione, e vi è frai due dischi un qualche grado di aderenza, che diviene li mano in mano più forte, a misura che, estraen- dosi dall cavità interna una maggior proporzione d'’ aria, si fa maggiore il disequilibrio di densità, e però di pressio- ne, fra l’aria interna e l'esterna. Niun corpo solido può esser parayonato agli emisferi di Magdeburgo se non in alcuno di questi casi intermedii. Gli emisferi perfetta- mente vuoi d’aria rappresenterebbero un corpo fra le particelle dd quale non vi fosse alcuno interstizio in cui potesse introlursi ed annidarsi il fluido etereo. Se un tal corpo esistess sarebbe il più tenace di tutti. Gli emisferi | pieni d’aria rel suo stato naturale rappresenterebbero un 168 eorpo di cui niuna particella ne tocca un’altra, di contat- to assoluto o senza interposizione‘ di fluido etereo. Non potrebbe esser tale verun corpo solido. Io penso che in un corpo solido ogni particella con una o più i delle sue facce tocchi una o più altre particelle , di contatto assolu- to, o senza interposizione di fluido etereo, restando, bensì alcuna o alcune altre sue facce separate da quelle delle particelle contigue (nel che consiste la porosità) per inter- valli più o meno numerosi, più o meno grandi, ed occu. pati dal fluido etereo. Ammessa la continuità o qualche contatto fra tutte e singole le particelle, si ha quante basti per la consistenza dell'insieme o per la coesione IL’ interposizione del fluido etereo soltanto fra alcune facc® delle molecole, senza che ne inviluppi alcuna interamen- te o da ogni lato isolandola dalle altre , non impedisce la coesione, ma solo la rende minore. > Io credo qui opportuno fare avvertire un espressive del cav. Nobili che potrebbe condurre a ragionare 10n rettamente. Egli dice ( ed è vero ) che i/ più piccolo ser- tugio permettendo all’aria esterna di penetrare aella capacità degli emisferi, li fa distaccare. Ora taluno pareb- be argomentare così. Se un solo piccolo pertugio fa:endo penetrar l’aria nella cavità degli emisferi basta a farli di- staccare, o a render nullo , bilanciandolo, l’effett del- l’esterna pressione dell’aria, molto più quel granassimo numero di cavità o d’interstizi dei quali sono crbrati i corpi tutti, dando adito all’ etere nel loro interno, d’impe- direbbe di produrre la coesione. Ma egli è da corsiderare che gli emisferi hanno una sola cavità nella quaè un tal foro basta ad introdurre quant’aria può entrarvi, riun’altro effetto producendo la tenuità del foro se non quello di far entrare la totalità dell’ aria in un tempo meio breve. Ghe se il foro , quantunque non esilissimo , ma assai più capace, non si lasci aperto che per un istaste, sicchè per esso entri solo una parte dell’aria che bisognereb- Va 169 be ad empire la cavità, egli è certo che tal porzione d’aria introdottasi nella cavità degli emisferi non baste- rebbe a distaccarli, ma solo. a renderne meno difficile il distacco. Così l’ introduzione o l’ esistenza d’una porzione d’aria, nella cavità degli emisferi, e lascia sussistere l’adesione, e non si oppone-a far riguardare come causa di questa la pressione dell’aria esterna. Ma per maggior-:chiarezza s'immagini un gran numero di piccolissimi emisferi, dei quali, connessi per i loro orli, sì formino. due. specie di dischi così esattamente eguali, che soprapposti l’ uno all’altro si corrispondano perfetta- mente non solo tutte le rispettive cavità, ma anche i va- cui che lasciano necessariamente fra loro corpi. circolari che si toccano in un, solo punto. Egli è evidente che, estraendosi l’aria da una (delle.cavità , i dischi comince- ranno già ad aderire con ,un.certo grado di forza, che sì anderà aumentando col numero delle cavità che si vuoti- no d’aria. Ora se le cavità tuttora piene d’ aria non con- corrono ad accrescere l'adesione dei due dischi , inon di- struggono però l’effetto, delle cavità: vuote. Se s'imagini poi che un certo numero di coppie di tali dischi sì so-, prappongano le une alle altre unite insieme col sistema stesso di doppie cavità corrispondenti e vuote d’aria, si avrà il simbolo d’un corpo, nel quale l’accesso dell’aria in molte piccole cavità, e. fino nelle sue più intime parti ‘non impedisce che lai stessa esclusa da altre cavità sia la causa dell’ adesione dell’ insieme. Ora ciò che sono le cavità degli emisferi rispetto al- l’aria, sono rispetto al fluido etereo le facce delle moleco- le che per un contatto assoluto lo escludono :di mezzo a loro, nel tempo stesso che s’ insinua e, sì annida nelle cavità che lasciano fra loro altre faccie. Ma eccomi a parlare dell’ elasticità. Considerato il; cerchio o la corona di molecole cubiche presentata dal, cav. Nobili nell’introduzione. a spiegare me diante l’attra- 170 zione l’effetto materiale dell’ elasticità nei corpi solidi, io dimostrai che l'attrazione produrrebbe un effetto con- trario a quello che si annunziava, ed aggiunsi che quella disposizione, la quaie era stato facile assegnare alle mo- lecole costituenti una sola serie; era inconciliabile in un corpo reale, che è sempre una riunione di moltissime serie di particelle. Il sig cav. Nobili mostrando di sentir la forza della mia obiezione, la dice speciosa, e prende a rispondervi. E primieramente egli adduce il seguente nuovo argomen- to a far riguardar l'attrazione come causa dell’ elasticità. Le piccole masse dei liquidi per un effetto dell’at- trazione si conformano in globetti. Siccome questi globet- ti, e specialmente quelli del’ mercurio, schiacciati che sieno - tendono a riprendere la loro Cobnii mostrandosi dotati. d’elasticità, ne ‘segue che la causa aj questa sia l’attrazione. E non essendo ragionevole far dipendere da cause diverse effetti simili, filo perchè osservati in corpi diversi, l'attrazione deve riguardarsi come causa del- l'elasticità in genere. Egli vede poi una conferma del- l'elasticità ‘dei ‘globetti di mercurio nel rimbalzare che essi fanno dai piani sù cui si lascino cadere. Quanto a me io credo causa della forma rotonda che prendono le piccole masse dei liquidi l’azione premente del fluido etereo, e credo privi d’elasticità il mercurio e gli altri liquidi perchè incompressibili. Credo il rimbalzare dei globetti del mercurio , dell’ acqua, ec. un effetto del- l'elasticità, non già dei liquidi stessi che me son privi, ma bensì dell’aria che rimane interposta e compressa fra il piano ed'i globetti cadenti sopr' esso. Sanno i fisici quanto tenacemente aderisca l’aria alla superficie di molti corpi, e quanta difficoltà s° incontri nella costruzione d’alcuni strumenti meteorologici a liberarne interamente il mercurio. - Sarà qui più che altrove opportuno l'accennare , 171 come ho promesso di sopra; in qual modo io concepisca la struttura e l’azione d’ un fluido per sè stesso elastico in- dipendentemente da ogni: forza ripulsiva. Chiunque avendo avanti a sè una spirale cilindrica di fil d'acciaio eserciti (contro gli estremi di essa una pressione intermittente:, ne vedrà le spire con moto al- terno avvicinarsi quasi a loro malgrado sotto la compres- sione; e discostarsi spontaneamente e con vigore cessando quella. Ora se taluno, senza fare attenzione all’anda-. mento del filo di cui ila brendicni è formata; e senza ricono- scerne la continuità , non:veda in quella che un. sistema di spire, le quali mon si toccano fra di loro, potrebbe indursi/a credere che) \queste ng sì respingano le une le altre. Ma ognun vede quanto. s' ingannerebbe ; ed è evi- dente che la tendenza delle spire compresse a discostarsi fra loro non è la causa, ma un primo effetto della causa vera dell’ eJasticità , la quale consiste senza dubbio nella . tendenza delle parti del filo fra loro:contigue a ristabilirsi nella loro posizione relativa alterata per la compressione. Senza pretendere che la forma spirale sia quella data alle molecole dei corpi elastici dalla natura ; basti fra le molte che ella avrebbe potuto impiegare averne indicata una , la quale permette di concepire un sistema di parti- celle che poste a contatto reciproco: costituiscano untutto compressibile ed elastico ; sebben continuo, senza biso- gno di. ricorrere ;alle idéa mostruose della. ripulsione e dell’ azione a distanza. 7 E poichè un sistema, compressibile i in ogni senso dif- ficilmmente potrebbe risultare ida molecole compressibili in | un senso solo, come la spirale, non:si attribuisca questa forma semplice alle intere. molecole; ma; agli elementi onde si compongono. $° imagini un certo numero di. spi-- rali coniche, o le cui spire sieno gradatamente decrescenti ; dalla base.all’ apice. Si facciano convergere tutti gli apici 172 ad uno stesso punto, il quale sarà il centro d’ una mole» cola egualmente compressibile in ogni senso. | © (nl) 0 Convengo volentieri che questa forma idi ‘molecole è: un poco singolare, ma niuno'sicuramente la troverà più strana chie quella di gabbie o telai vuoti.»In'essa la con- tinuità fra gli elementi materiali , necessaria ad escludere; la mostruosa azione a distanza, si concilia con qualunque proporzione fra il vuoto e il pieno che si vicina per la spiegazione dei fenomeni. ù, Ma, lo ripeto , io sono ben lontano dal pretendere che alti: creda, e fino dal credere io stesso che tale ap- punto sia la forma delle: molecole. In'un genere d’ inda- gini di sua natura affatto ipotetico e congetturale , il me- glio che possa farsi è, prima di tutto segnalare quelle idee e quelle opinioni che la ragione delle cose dimostri inverisimili ed assurde, e quindi proporre alcuna di quelle che, esenti da questa taccia , potrebbero appressarsi al vero. Il qual vero se non consente natura che a noi si sveli nella sua nudità, sarà sempre utile ed’onorevole andare in traccia del verosimile, ed ove non sia dato scuoprire i veri mezzi per i quali si operano gli effetti più generali e più maravigliosi , riconoscere almeno di qual. natura e di qual indole la ragione consenta che si suppon- gano . | In una stanza in cui il: noto cav. Morosi faccia agire il suo bell’automa che giuoca agli scacchi, intro- duciamo due spettatori, ed allorchè essi abbiano esaminato diligentemente la macchina e la sua azione , interroghia- moli un dopo l’altro intorno ai mezzi ed al modo onde, eglino pensino farsi eseguire dall’ ingegnoso autore i voluti ed opportuni movimenti. . $ Supponiamo che il primo risponda; essere a ciò ba- stato articolarne le varie membra in modo; che potessero passivamente. prestarsi a quei movimenti, i quali sono poi determinati di fatto a ‘volontà dell’ autore per un poter 193 magico;! simpatico ; 0 altro simile di cui è-dotato; che egli non assiste. all'esperimento se non per osservar le mosse del. giuoeatore animato, e comandar le: corrispon- denti dell’ automa; che ove altri gli rappresentasse di matio in manolo stato dello:scacchiere , egli, assente non solo ;;ima da qualunque distanza! potrebbe colla sua virtà magica fare eseguire dal ‘lontano’ automa'i richiesti movi- menti. Facile e comoda spiegazione , ma che oltre al non esser. punto meccanica , si appoggia Manniaonie ad un supposto fantastico ed assurdo. | Udiamo0ra il secondo ‘spettatore. Egli opina che le varie membra dell’ automa:, articolate non solo, ma cave nella (più gran parte, contengano! leve ; molle ‘ruote, ed altri ingegni atti a farle muovere variamente ed opportu- namente , e comunicanti per, ipiedi dell’ automa, per la sedia acui si appoggi, o in altro modo con un sistema di simili. ingegni 0 meccanismi, che serpeggiando sotto il pavimento o tavolato della stanza, vi facciano capo in varii punti .con:varie loro estremità ,.le quali compresse o mosse» comunque. dai piedi dell’ autore» 0 in altro simil modo, determinano i voluti movimenti. Egli pensa che , allontanato l’ autore dalla’ stanza:;:0 anche impedito sola- menterdell’ andare a toccare opportunamente gli estremi del meccanismo, ed interrotta anche di poco la necessaria materiale continuità e comunicazione fra esso e l’ auto- _ ma;, cesserebbe ogni azione. di questo, (che. la sua più decisa ed intensa volontà non basterebbe, a b'ileterminare da lontano:.: tà Egli è è evidente che in Lita seconda opinione, se non si dichiarano minutamente, tutte le parti; del mecca- nismo ed il modo rispettivo della loro azione, si riconosce almeno in genere la natura dei mezzi, veramente mecca- nici, che l’ autore ha realmente impiegato, e che soli po: tevano condurlo al suo fine. sl 174 Nè questo è poco ;.anzi è forse quel solo ache è per- messo giungere nella ricerca delle cagioni onde dipendo- no i più, grandi e più maravigliosi effetti naturali. « ‘Manon è ida sperare. che vi. giunga o vi si avvicini chi in tali ricerche filosofiche ed.astratte non sappia allon» tanarsi, dalle dottrine che;:in difetto. d’aaltre. migliori, formano la! base, della: fisica’ nel! suo gi ‘elementare insegnamento |, cda bus ;064 leto Dal..raro. ingegno del doblo, scrittore ‘a cui replico vorrei tutto attendere ovè, sbeplita affatto ogni idea ac- quisita , (.che/ben poche ine-ritiene):non idubitasse’ scen- dere col solo: suo; genio» a stampare le prime orme vin questo immenso e PE toga. ‘dire col. Ve- nosino; bs sinsrisiiav giovona alt iagoggi ra prece per palo posui vedilibiao 9, SILOLARI Vorrei allora; sperare: iostesso.qualche scintilla di gloria per aver [fatto ciò a clie lo :stesso»latino Vie intendeva allorchè:serisset iv. siogte silodb otslovsi: 01 0Irtsenii ) (lun ©\Zungar vicercotisiacutum vu è Reddere quae rana oa (exsors pn ‘secandi [ost fintomtivonr iulov i oseniariotob: 04m Firenze 200marzo11843:5 010115 1 cisneinoli ''sT69I0) Gi sani nidi DI: PIRRO par pera dettà Società di Geografia: di Parigi! => Estratto dagli dinbli di viaggi del sig. Bela — Parigi Pebbiid! 1823. £ i : ioni . i {ID fi PR, J ati A x Noibi, primi; ‘abbi snisomstato: in' questi. fili già ‘son quattro anni , che. nella biblioteca, reale esistevano» parecchi ,mano- scritti del famoso Yiaggio. di Marco Polo, che: contenevano dei. tratti inediti. Ripetiamo, in brevi parole ciò che è è stato detto nel nostro articolo sull’edizione di Marco Polo per opera di Marsden. Il più importante fra i manoscritti che il dotto ‘sig. Langlès ci avea fatti conoscere è in francese antico, e porta la data del 1298; vi si 175 trovano ventotto capitoli inediti relativi alla storia del Turke- stan, ma in questi si leggono alcuni fatti, che interessano molto la geografia. Alcuni di questi capitoli inediti si riscontrano in un manoscritto in latino de’bassi tempi probabilmente d’un’ epoca non molto posteriore. Finalmente la maggior parte di questi stessi capitoli esistono, sebbene in ‘compendio ; in un manoscritto ita- liano. Noi abbiamo conii il confronto di, questi manoscritti, come pure degli altri cinque che esistono parimente nella Biblio- teca reale; noi ‘abbiamo dati alcuni resultamenti di queste ricer- ‘che nel precitato articolo , ma'il timore di non compiacere alla maggior parte de’ nostri lettori ci fè ‘risolvere ( forse mal a pro- posito ) a non darne la continuazione. Dopo essersi formata la società geografica, sovente si è trat- tato di pubblicare qualche opera ‘utile ai progressi delle scienze geografiche. Non ha guari uno de’ più zelanti pel buon esito della società ha fatto la proposizione formale di scegliere fra le quat- tro o cinque opere manoscritte della: biblioteca ‘reale quella che sembrerebbe più degna d’ esser pubblicata. La sezione che decide delle opere da darsi alla luce fè cader la sua scelta sul mano- scritto di Marco Polo in francese antico, e la commissione cen- trale con sua deliberazione de’ 7 febbraio ha confermato la scelta. E stato dunque deciso che Marco Polo sia stampato colla più scrupolosa esattezza, che il testo sia preceduto da una illustra- zione bibliografica e paleografica , e seguito da un glossario delle parole di difficile intelligenza, e da una raccolta delle Varianti che esistono relativamente ai nomi geografici ne’ manoscritti che si trovano a Parigi, come anco nelle edizioni del ‘Ramusio, e di Marsden. E stato pure determinato che |’ edizione sia arricchita d’una Carta che rappresenti i paesi, de’ quali parla Marco Polo, ed accompagnata da un’ Analisi. La repubblica letteraria adunque può con sicurezza lusingarsi di veder alla luce questo monumento geografico sì spesso sfigurato, mal tradotto, e mal commentato, con un’edizione completa, e proporzionata all’importanza di un viaggio anco attualmente riguar- dato come una delle sorgenti della geografia dell’ Asia, e indispen- sabile per la storia delle scoperte. ,, Noi offriamo con compiacenza ai nostri lettori gli an- nunzi di opere interessanti, ma questa volta 'l’'abbiam fatto con un certo sentimento di dispiacere , poichè si è svegliato iù noi il timore che l’edizione francese non pre- 176 venga la fiorentina già da lungo tempo annunziata , (1) ‘e sempre attesa con'ansietà . Vogliamo sperare che ST avviso servirà di stimolo onde ne. venga affrettata la pubblicazione. La correzione del testo je le dotte note che giustamente possiamo riprometterci, e che anzi per quanto | sappiamo adorneranno la futura edizione, sarebbero a6- colte con gratitudine dalla celebre società ‘che ‘ne ha de- cretata l’ énunziata ristampa , e essa non tralascerebbe di giovarsi delle erudite fatiche del toscano editore Sig. Conte Baldelli, con sommo decoro della nostra patria. uni 04 Porro Lettera del conre LeopPorpo CrcogNARA ; al sig: Pre- - tro GIORDANI, sopra un modello di monumento at tribuito a Cidrovai | iniziai A voi prima che ad. ogni altro si debbe la narrazione di quanto stò per dirvi , giacchè è sì frequente il. vostro desiderio di sapere alcuna cosa ‘intorno il nostro perduto amico, che ormai non hanno'altro oggetto le nostre let- tere , e sacro mi è il debito che mi sono imposto di sod- distire il più che da me si possa ogni vostra curiosità ; poichè essa proviene da altissimo. interesse; «per. tutto ciò che'riguarda Canova ;e perchè mi-lusingo‘non'sia sterile deposito presso di voi una supelletile di notizie ‘che riu- scendovi grata potrebbe anche all’ Italia tornare proficua, se dalla vostra penna si porrà termine a ciò che da più anni sul conto di un uomo sì grande avevate ‘cominciato a delineare. Non vi sbigottite se la mal ferma salute par- rà farvi mancare di lena, poichè il soggetto saprà per sè stesso inspirarvela; e. potrei dirvi a prova che a lungo può essere travagliato il. debole, corpo; ma non può a lungo (1) Per i torchi di Giuseppe Pagani. 177 starsi inferma-un’anima come la vostra capace di. senti- re'e. bisognosa di comunicare i più grandi; i dispo Wabili ; più universali commovimenti: ‘| ‘Vi dîrò dunque di un modello di monumento da custodivasi in Venezia presso una famiglia patrizia; che trovatosi recentemente è stato in questi giorni l’oggetto di molti discorsi e di ‘infinite ricerche. Ma prima, non vi sarà ‘ignoto ‘come Canova in questi ‘ultimi anni suoi, eccitato da molti amici della sua vera gloria, si indusse a pubblicare egli stesso un catalogo di tutte, le sue opere, cominciando da quanto nella. sua. più tenera età aveva modellato e scolpito; e con quel candore che era tanto proprio del suo carattere convenendo su tutte le produ- zioni che gradatamente il‘ dimostrano dalla mediocrità sino all’ eccellenza: cosicchè dal primo Canestrino di frutta isu cui la sua mano esercitò lo scarpello nell’ età di 14 anni sino al Marte e Venere, all’ Endimione, alla Madalena giacente ultime sue opere grandi in marmo, e sino agli ultimi modelli del Gruppo della Pietà , del mo- numento del Marchese Berio, e delle Metope pel tempio di Possagno, tutto egli indicò col nobile e santo oggetto che i posteri non venissero indotti in errore dallo attribuirglisi troppo spesso opere che non gli appartenevano, siccome era anche sua religione il non voler usurpare alcuna parte del merito che aver potessero gli altri artefici qualunque fosse il grado loro. Infatti non solo in Venezia sua patria , e in altri luoghi d’Italia io;aveva vedute opere che volevansi spacciare per sue, ma fui condotto a vederne pomposamente in una. chiesetta nei subborghi di Vienna, e con grande apparato persino si tentò di:impormi a Potsdam col mo- strarmi un cammino ornato di mediocrissimi bassi rilievi, che con gran serietà si dicevano da quei custodi essere scolpiti dal marchese Canova. Or.dunque convien sapersi che in quell’elenco autografo e autorevole di Canova non T. IX. AMarzo 12 198 stà registrato il monumento di cui vi parlo ,, quando pur stannovi indicate molte altre opere sue che non. vennero condotte a termine sebbene da lui inventate, ,e , model. late. Divulgatosi il trovamento prezioso dopo la morte del possessore e depositario di questo piccolo modello il N.U. Giuseppe Priuli, Venezia fù presa d’ammirazione; e. il piccolo modello andava trasportandosi di casa in casa , rendendosi tributo alla perizia dello scultore , e; soddisfa- cendosi la curiosità che per questa scoperta riceveva un gran pascolo. La mia lunga infermità non permise che jo fossi uno dei primi a vederlo, finché una dama tanto col- ta e modesta , quanto cortese fù mediatrice che mi venis- se presentato il modello. Vi piacerà di sapere che questa fù la contessa Polcastro nata Querini, da voi ben .cono- sciuta donzella , allorquando il di lei padre, chiarissimo cavaliere, reggeva colla saviezza del suo governo la bella provincia di Bologna , la quale mantenne con esuberanza quanto pareva promettere in quei primi anni suoi, for- mando ora la delizia della famiglia e della patria del suo coltissimo e avventurato marito, e uno dei principali ornamenti della più gentile società. Sulle voci già sparse, prima che io vedessi il monu- mento , mi pareva che con molta circospezione convenis- se ben assicurarsi , se quel modello fosse veramente della mano di un tanto maestro, e andava io desiderando che si trovassero le memorie e gli scritti del committente non meno che dello scultore , atti ad autenticare. pienamente la cosa: non già perchè si potesse prendere in, equivoco un’opera di tanto conio, ma per renderne smbito , e pie- namente convinti quelli che non erano fortunati di poter co’ propri occhi ammirarla ; e che credevano di avere un pieno convincimento, che il catalogo da Canova pubblica- to delle sue opere comprender dovesse ogni sua produzio- ne, o veramente intendesse di non ammettere per sua 179 qualunque cosa non fosse stata in quello compresa, avei- dola ‘con tale ommissione egli stesso appositamente rifiu- tata od esclusa. © Ma quando ebbi il modello davabi veder mi parve la mano maestra collo stecco andare modificando la cera di cui è formato; tanto ogni tocco è vibrato con quella subitatiea forza inventrice, ed espresso con quella scien- za dell’ arte che trascurando le minute particolarità serve rapidamente al primario oggetto dell’ inventare, e lascia, debol risorsa degli artisti minori, il ricercato e il finito là dove non vuolsi esprimere che il fuoco del solo conce- pimento . Descritto ch’ io v di, modello, non sarà forse difficile di riconoscere alcune cause per le quali l'estrema delicatezza, e i circospetti riguardi dell’ artefice, se mal non m’ appongo, lo consigliarono a non farne alcun cen- no nel suo elenco. Tre gradini di facile accesso si innalzano dal terre- no, e sovra l’ ultimo elevasi un basamento grandioso senza ornamenti che serve di zoccolo al monumento, e la cui ampia fronte è destinata a chiudere l’ iscrizione in un ben proporzionato riquadro. Sovra questo zoccolo posa il sarcofago sostenuto negli angoli da quattro plinti, la- sciando all’ intorno sul ripiano uno spazio alquanto gran- dioso. Il frontone del sarcofago porta nel mezzo un me- daglione coll’ effigie in basso rilievo del N. U. Francesco Pesaro, e le ante del coperchio veggonsi ornate di bacelli, come suol farsi in luogo di maschere mortuarie. La fronte principale dell’ urna scolpita a basso rilievo presenta le tre parche in atto di fungere ai loro uffici, e mentre l’una stà per troncare lo stame , vedesi sulla destra una folla di popolo gittarsi a suoi piedi e invocare che il filo non tronchisi d’una vita che a tutte le classi dei cittadini si direbbe esser cara. Sul fianco sinistro due genietti me- stamente si appoggiano allo scudo ove si veggono scolpiti 180 gli stemmi, e sul destro due altri colle faci mortuarie stanno l’un sull’ altro appoggiati in atteggiamento di do- glia. Lo spazio sul ripiano sporgente del gran zoccolo dai lati è occupato da due grandi leoni sdraiati, l'uno dei quali ruggente, l’altro sembra assopito nel sonno in aria di mesto riposo: sul davanti alla destra del sarcofago una donna maestosamente ravvolta in gran paludamento , e scapigliata si appoggia sulla tomba piangente spargendola di fiori funerei: a’ piedi di questa con un ginocchio a terra un genietto sorregge il pileo frigio , ossia il corno ducale , attributo principale ,. e caratteristico di questa donna , che ci avvisa dover essa rappresentare la repub- blica di Venezia. Eccovi in pochi cenni descritto il monumento che per la sua semplicità, e maestà produce un effetto di cui molto si lodano l’ occhio e la ragione. Dall’ uno dei lati maggiori si riconosce che quest’ opera doveva ad un muro addossarsi onde non rimanesse dai quattro lati isolata . Il monumento è d’ alquanto più ricco , ma non forse per _ mole altrettanto grandioso che quello di Alfieri posto a Firenze nella chiesa di S. Croce, il concetto del quale molto da questo non differisce: ma dobbiamo credere che . ove il nostro fosse stato condotto ad esecuzione avrebbe evidentemente avuto luogo distinto fra le principali, e più commendevoli opere dello scultore, poichè la con- correnza delle linee, la distribuzion delle parti , l’ equili- brio delle masse si combinano a produrre un effetto im- mancabile, tenendosi una via media, ma con originalità, tra le belle produzioni dell’ antichità, e i preziosi lavori del secolo XV. Alcuni notarono a singolarità l’ aver scolpito le Par- che, ma non potrà dirsi che questo sia nuovo o strano concetto se poco prima lo scultore Schado a Berlino aveva fatto delle Parche quasi l’ oggetto principale nel deposito del giovinetto principe Federigo Guglielmo morto nel 181 î 787 in età di otto anni, scultura pregievole fra le mo- derne in quel paese da cui’ sorgeva non degenere dal pa- dre, anzi di lui più eminerite un figlio egregio ‘che da immatura morte fu 1’ anno scorso' rapito in Roma, e le arti il piansero amaramente. Infelice! sulla sua tomba davvero si addirebbe la Parca, che egli appunto ad altis- sima fama pervenne per la gemtilissionà statua d’ una fila- trice , che le tante volte fu astretto a riprodurre collo wtitello; saziando soverchiamente sè stesso per compia- cere all’ altrui insistenza. | Nè tampoco io credò si muoverannò i rigoristi a fare di questo argomento censura, accusando l'artefice, quasi in ciò fosse miscuglio di profane idee mal confacenti al luogo sacro ove soglionsi ‘collocare simili monumenti; che ognuno ben ravviserà ‘nelle Parche un’ espressione allego- rica del debole tessuto dell’ umana vita, non altrimenti che veggiamo personificati i i simboli delle virtù e delle affezioni dell'anima per soccorrere visibilmente l’imma- ginazione dello spettatore. E nella santissima chiesa di $. Antonio di Padova Matteo Allio milanese, là dove ap: punto si apre l’ ingresso all’arca del santo , con molte al- legorie scolpiva le Parche; e ben più rel concetti mesceva il gran Michelarigelo poetando col suo immagi- noso pennello , e pingendo Caron Demonio con occhi di bragia là dove sull’ara santissima nella cappella ponti- fede: da Giulio secondo in poi 35 papi celebrarono solen- nemente e celebrano tutt’ ora i più venerandi misteri della religione. Nè tampoco è d’uopo nell’ osservare que- sto modellino andar scrupoleggiando sul movimento delle figure , che meglio studiate , e a più àcconcio movimento disposte: ‘sarebbero state allorquando l’ artefice avesse do- vuto occuparsi del modello in più ampia dimensione: nè forse avrebbe lasciato che Atropo si volgesse con certo vezzo per recider poscia lo stame, ma sorda j ma avida, ma ine- sorata avrebbe troncato il filo, conservizido quella seve- 182 DÌ rità clie è propria del soggetto, e dalla quale mai diparti- vasi lo scultore non dimentico dei precetti di, Lessing , geloso di conservare quella maestosa, bellezza che.i più classici fra gli antichi non separarono. giammai. dagli 0g- getti da loro rappresentati. sabaso però vero che non giunsero fino a noi monumenti di certo significato ove possa dirsi positivamente che fos- sero espresse le Parche, sebbene fossero state parecchie volte scolpite negli antichi tempi: un antico basso rilievo della morte di Meleagro divise il parere dei. dutti; tra de Parche; ele Erinni, le quali ebbero presso l'antichità gli stessi onori. Pausania ci narra come una statua, di Gio- ve avesse sul capo a guisa di diadema le tre Parche; e sull’arca di Cipselo l’ iscrizione ci dimostra cheuna figu- ra mostruosa esprimeva una Parca,: siccome; anche, ]° or- renda figura che vuolsi rappresentante una Parca presso la tomba di Eteocle e Polinice vedesi chiaramente essere relativa all’orribil destino di que’ due; sventùrati fratelli, e.che i loro giorni fatali erano stati filati. dalla più spa- ventevole delle. Parche: ragioni tutte, per cui si giustifi- cano le incertezze di quelle tante. interpretazioni che le confusero colle, furie. stata Ad ogni modo chè.intendasi questa allegoria è però sempre più, dai poeti. usata che, dagli scultori , e giustifi- cando , se.vuolsi, coloro che le immaginarono vecchie per dimostrare con ciò l'eternità dei divini decreti,,, non si applaudirauno, gli, artisti che. volessero con Licofrone esprimerle anche zoppe spiegando con suoi, commentato- ri in tal guisa ]” ineguaglianza degli, umani eventi, e l’al- ternativa dei beni, e dei mali. Piuttosto mi, piacerebbero scolpite, colle ali come disse, l’autore dun inno a Mercu- rio ( attribuito ad Omero ) alludendo ‘alla, rapidità del tempo e della vita che involasi/come. un, sogao. Ma sem- bra che fra tante. varie rappresentazioni delle Parche Ga- nova più di ogni altro avveduto, attenendosi ai saggi e al 183 | filosofi; le destinasse alle sfere , ove accordando le loro voci alla melodia delle sirene e delle muse ci ammaestrano sempre che anche nell’ inesorabile loro ufficio sono esse le ministre di quell’ armonia inalterabile, in cui mediante la distruzione e la riproduzione ; consiste l’ ordine e il rego- lamento dell’ universo. ‘L'invenzione di questo monumento fù. eseguita da Canova intorno l’anno ‘1802, e già la morte del N. U. France scoPesaro era' avvenuta nell’anno 1798; allora fù che il'suo intimo amico ib N. U. Giuseppe Priuli fattosi interprete del dolore pubblieo ; (se pubblica doglia vera- mente per tale sventura desolò gli animi de’ veneziani ) diedesi ad' operare con'tutta la sua influenza } acciò eter- nal restasse la memoria del suo concittadino per mano del Fidia vivente; fin d’ allora: per le somme .sue opere salito ad altissima fama. Apertasi quindi una soscrizione di Pa- trizii per riunire le.somme calcolate necessarie a tal uopo , parve che l’ affluenza de’:concorrenti non corrispondesse abbastanza ‘al voto! del raccoglitore , e non essendosi am- messo. ; per supplire al' difetto, che le altre classi di.citta- dini ‘amorevoli dividessero l onore di: firmare i loro nomi in questo registro nobilissimo', restò. il progetto deserto, e in seguito dimenticato. Non'starò a dirvi i'cangiamentii politici.che accaddero in quelle epoche successive } i:quali possono avere molto contribuito a' variare i presi. divisamenti , poichè sono già questi atutti ben moti!, e sarebbe qui luogoa notare piùt- tosto un'accorgimento!dell’ artefice inventore del monu- mento: il quale volendo pur' corrispondere allora'al: desi: derio del committente, e secondare:i voti de’ veneziani,» pet: quanto la scultura prestarsi possa come indicatrice dell’imcerto avvenire, ‘modellò egli: bensì una: Venezia: piangerite, benchè mon'esisteva allora sotto le forme di republica; mala configurò nuda il capo, colle insegne del suo carattere deposte: Nè: purito convien diré che lo scul- 184 tore intendesse di‘giovare all’ esprèssione del ‘dolore. col privare l’augusta donna dell’insegna caratteristica del: prò-, prio grado, poichè a‘ciò lo condusse! più forte motivo, ed . anzi al contrario ;maggiormente si desta l'emozione degli animi nel vedere piangere sotto le insegne; tegali illustre persona, che una donna di minor grado} e;a/cui sembra: no esser più comuni i disastri. E per vero la, jperdita di un cittadino nel governo dei molti ,, e in tempi che i Re- goli, e i Cincinnati: non erano più in moda; ‘non. poteva dios che fosse la massima fra le calamità dello stato nè, l’ultimo fato che riducesse la répubblica. mancipia; e-spo-: gliata dalle ducali sue ‘insegne. Ma sembra che lo scultore non volendo direttamente, ‘opporsi; ai voti o ail vaticinii, dei dolenti patrizii;;, e non volendo nello siesso tempo. tradire la verità., per quanto quelle circostanze i pento sero, conciliò questi estremi, e la Venezia che. ‘più, inon. Qoiginteati informa di.repubblica; deposte le sue insegne; si vede quipiangere il:cittadino ben altrimenti che lein- coronate. e piangenti , provincie britanniche .ricevon sul lido lai salma di Nelson» nel progettato monumento , e nel monumento a; Vittorio Alfieri la desolata Italia; sempre, turrita; e incoronata qualunque allora fosse.il.suo destino, con tanta energia deplorato nei versi di quel! gran poeta ; pure non. depone'la piè, della. tomba le insegne del suo grado, come: veggiam qui; fare la Venezia. «Per le! quali; cose. atte ,, ‘e per ciò che, «poi abati notarsi intorno a,posteriofil avvenimenti. pensò; anche. il, Canova di non fare altrimenti; alcun, cenno di questa (sua, invenzione che non, fù ‘condotta; mè pareva potersi: più, condurre ad éffetto. Cincospetto all'estremo com’egli era; alieno dallo spiacere.a chiunque; stranigro;ad.ògni;partito,; antepose di:sepellire nella dimenticanza un’ invenzione), | che se aggiurigeva qualche fronda.a:suoi;lauri } destar po-, teva dei ricordi nella; sua patria ;;sui quali non condòrress: sé spontanea l’ universal compiacenza dei cittadini... 185 «Eccovi in, succinto i riflessi, che mi è accaduto di fare su. addua: monumento, e sul.velo.che lo nascose finora ai nostri. sguardi , e poichè, il tramutare i ‘significati, delle cose. talvolta. si ottiene con piccolissime modificazioni , 10 andava, meco stesso pensando se quell’ accordo di parti, e quella eccellente distribuzione non fosse. egualmente. stata opportuna, per esprimere, altra; cosa, 5i/e; intieramente disparata; per esempio, se il, medaglione del .Pesaro non potesse diventare il medaglione, di, Tiziano; se. la. Venezia piangente non potesse, diventare, dla Pittura, «@. il) genietto portante il corno ducale; non potesse sorreggere tavolozza e pennelli. «come primi, emblemi delicolorito esi, (più sacri al primo jpennello del..mondo.,--, Nessuna mutazione, oc-, correrebbe ai, Leoni sem pre, veneto attributo, permanente: e invariabile, Una variazione io proporrei nel basso rilievo princi ipale, e in luogo di scolpirvi i popoli i quali trattener vogliano la Parca dal recidere.uno,stame filato:da. un se- colo; wi-porrei yvolentieri)Tiziano che in uno stato di as- sopimento vede in sogno o in visione il soggetto dell’As- sunta, tal come osservasi nel suo gran quadro che forma ammirazione, Abitanti ceto sorgnati erche, gareggia; sì, feti nello immaginò con i successo il sogno di Rafaello cui apparisce la Vergine tal come egli la espresse nel gran quadro della, Uda: dis. Sisto ; che. è lo. rca prin- cipale.della. galleria di Dresda. io; sl, sie lia 00 Col, porre questo, monumento. nello, stesso, tempio, in, faccia ER quello che, stiamo preparando a Canova p sì sareb», bero resi così.gli omaggi, in, Venezia ‘al, primo pennello, e al primo scampoldo: italiano.i quali, ebbec comune, la culla, e la, tomba; e; questa età, nostra; p otrebbe così vendicar, l’indolenza per, cui le, ceneri deliNegellio, stanno, pur. an- che inonorate sotto la pietra, più sgomoscente e. «più, nada la che direbbesi, cuoprire le,spoglie;delli uomo più oscuro.,,,, 186 Ma iotemo che piuttosto che lusingarmi ‘intorno al sogno di Tiziano nom abbiate a rispondermi che io stesso: vado sognando la possibilità di riescire in questo progetto; il quale: sebbene: ntolto meno vasto'e grandiose: di quello a cui concorre! tanta! patte d'Europa pel monumento che stiamo innalzando a'Canova, nondimeno importando una somma ragguardevole; non saprei ripromettermi distare con buon successo alla testa di una' simile impresa; ‘e nom ‘bi- sogna cimentare ‘con troppa inconsideratezza una secon: da volta lo stesso: progetto ‘all’eventualità di una sovtuseri= zione. Confortiamoci però coll’ amenità ‘dei ‘delivi*di questo! genere:, che: tali soglion: chiamarsi) le: nostre idee da tutti coloro che idolatrano: le' fortune e le custodiscono troppo gelosamente; e convenghiamo che è molto “meglio delivare amabilmente; chie/amarantente cruciarsi nelle ai fonde meditazioni: fori 4 Meg ‘Venezia: 25 titanio @agie D1091 Lab cois pi cstcilp 0dgle og ii orlo Mov. af amico L. « Ciesonana iILLO | }V HTS (q "i n = x = LE IG Of GURILi D..Offè 190 f ( mel, “Epippo' nel bosco ‘dell’ Hotfienidi "Pritgedi del sig. (Gio: Barisr Niccotrni recitatà per' la! prima! vole ta ‘al’teatro della' ppiùcani Ta sera dé dea murzo n e ac Ma: PARATE olfasr 1399 pi Ha. Do Lo) SV pi 002IT6]gE M “Noi berline aver siii ab dbsndbofareniny se si lasciasse passar da noi la prima occasione’, senza da contezza'della rappresentiizione di una tragedia ‘nuova , e di'vitia tragedia*del sig. Niccolini: Essa ‘doveva ‘essere! un avvenimento? razionale in’ ‘Pitetize;. e'lo èvstatò sil che' grandemente ‘ci ha rallegrati?, emel tributo di'stima che: il' popolo colto‘della città' nostra ha resa’ in questa: occa- sione'‘al nostro‘ ‘concittadino’, ‘abbiamo’ veduto con gioja anche'un'‘annimzio delle speranze, le quali ‘noi’ possiam’ concepire per veder risalita’ fralnoi a ‘maggiore’ altezza la In3 137 «dignità del teatro. Vero è chele pubbliche istituzioni, e le abitudini tolgono ancor troppa parte di quell’.onore in che era;la tragedia fra i Greci, quando, essa; dal sommo degli, oratori, fu rinfacciata solennemente agli Ateniesi degenerati come una di quelle cose, le quali. dovevano più servire ad inalzar.gli animi ,, ed a ridestare dei gene- rosi, e forti, sentimenti in quel. popolo. L’onor del.coturno è scemato troppo dappoichè. invece. di, passeggiare, sui marmi esso è ridolto .a, calcar, quegli, stessi tavolati sui quali, noi. siamo. avvezzi, a, cercare spettacoli, di frivolo passatempo, e dappoichè la tragedia invece di esser: gap-, presentata in, pieno giorno ed all’ aria aperta, e.in mezzo alla attività del viver, civile, e. politico , è rilegata, ad al- ternare colle, conversazioni, bisogno del nostro. secolo, gli. oziosi, piaceri. della, serata. Pur nonostante. il vedere come si ascolti una, tragedia, e. come essa: si giudichi dee per- suaderci; della, facilità che, vi è ‘sempre. a, richiamar gli uomini a, quello. che. è. alto, e. onorato, e..noi. abbiamo potuto. conoscere.che non ci. siam, male apposti quando abbiamo tante, volte. raccomandato , che. si, ponga, cura, al teatro, come a, un, oggetto dei più importanti per la.civil, Società,.;. ... «Ma nella, frequenza di. popolo, accorsa. all’ ina. i sera, dei, 11, marzo; vi, ebbe; qualche. cosa, di, straordinario, e ‘chie, dà luogo a, delle, considerazioni. tutte pasticolari all'autore, Nè.il.teatro,,per, quanto grandissimo; nò,1. palchi | affollati in nuova, guisa.bastarono a contenere i tanti; che voleano, essere, spettatori,,, e ..molti ne furono rimandati indietro. E noi-lieti di;awer: conosciuto. in quanto. pregio, sia tenuto fra.noi il;nome,del Niccolini.,, siamo; certi, nel-, l’anmunziarlo, di essere, uditi, volentieri, anchesal di.là dei confini della, Toscana, ppichè, professando..egli,una, lette, ratura sgombra di ogni ristrettezza ‘municipale, ha, saputo reridersi caro;,,e, venerando anche a quei, letteratiy che per comune. sventura ;si chiamano nostri, riyali;,, e. che. 188 dovrebbero solamente esser nostri amici} € lt compa gni in ogni bello studiò. ope 4 Aichi sa La strettezza somma del tempo alla quale ci' riduce il dovere di non ritardar questo primo annunzio; ci toglie di poter prendere a esame questa tragedia, il che non vorremmo fare altro che in un modo che ne '‘sia'degnò, per quanto può riuscire a noi. Nè saremmo contenti di darne giudizio. sopra una sola recita. E perciò; siccome l’autore promette di darcela in’breve stampata con alcu- ni cambiamenti i quali la scena gli ha suggeriti pel migliò- re effetto teatrale, noi ci riserbiamo'a parlarne fondata- mente quando la lettura ‘di essa’ ‘potrà far giudice ognuno delle opinioni nostre , le quali possiamo accertar ‘chie ‘sa- ranno dettate da diletta imparzialità , che questo giornale professa sempre. Nè le tarite ' ‘bellezze di questa tragedia , nè la riputazione dell’autore', ci tratterranno punto dal- l’ assumere modestamente la'parte ancora di critico, do- vunque ‘ci sembri opportuno. Intanto” però noi fera poche parole intorno ‘ alla recita' solamente. E porremo qui sotto due scene, le quali abbiamo potuto ottener dalla cortesia dell'autore, non coll’idea di dare un saggio di quanto possa il Wiccolini: il quale non abbisogna di ‘alcun nuovo titolo per levar grido. come poeta : ma ‘bensì per far godere frattanto anche ai nostri lettori'di'‘una così bella poe- sia, la quale se’ ‘destò sensazione profonda î în' chi ‘l’udì de- ellviteri dalla" scena, dee ‘certamente piacer sempre più e colpir più a dentro ogni volta ch’ essa sia letta ; il'che non è dato, che a' ‘pochi fra gli scrittori. E chi avrà udite queste due scene , e si ‘ricorderà ‘dell’effetto ch’ esse produssero ci saprà farti che noi siamo stati'î primi a ‘pubblicarle ; e chi arriverà muovo alla Jettara potrà giudicare come ‘abbia dovuto essere ‘accolto l' Edippo, e se abbia meritati gli ap plausi ch’ esso! riscosse. ‘è E qui, s siccome il nostro assunto ci siotringe a pablo solamente in questo' luogo degli attori , e degli spettatori, 189 noi dobbiamo in primo luogo chiamarci soddisfattisimi di questi ultimi, i quali hanno mostrato che quando la scena farà il;suo dovere , la platea non sarà mai per man- care al suo. L’ attenzione profonda, e maravigliosamente unanime in tanta folla con cui la tragedia fu ascoltata dal principio alla fine mostrò ad evidenza che gli uomini an- che disapplicati per abitudine non son però tali per neces- sità della loro natura , e ben si vidde che chi era venuto quella sera al teatro della Pergola non vi era venuto a passar le ore ma a pascere l’ animo. E chiunque si sia me- scolato nella platea , ed abbia spiàta la qualità delle im- pressioni le quali si destavano. successivamente nei suoi vicini , avrà dovuto rendere giustizia al buon senso, e al- l’accorgimento di questo pubblico ai moti anche involon- tari del primo istinto che è sempre giusto, poichè la molti- tudine rivendica sempre con.la rettitudine del giudicare gli errori, i quali , non per.sua colpa, essa commette tal - volta nell’ operare. Noi possiamo asserire senza alcun dub- bio che furono ben gustati, e sentiti, e che saran ricordati sempre tanti bei tratti di. poesia maschia, e robusta, e tante bellezze tragiche che si ritrovan nell’ Edippo : e per quanto l’effetto di essa fosse interrotto talvolta da qualche incaglio nell’andamento della scena, e dall’ essere alcune cose o non abbastanza ben uipppesinifia o anche non bene espresse , ognuno di noi ne riportò seco una impres- sione non punto pregiudicata, dalla grandissima espettati- va, nella quale noi eramo tutti. Certamente il pubblico non poteva approvare; nè l’approvò, che l'Inno alle Furie che è nel primo atto fosse detto dai sacerdoti usciti sulla porta del tempio, sen- za altra, buona ragione ‘che quella di farsi udire da noi che stavamo fuori della scena, Nè potè esser soddisfatto dell’ andare e venire delle comparse, nè dell'andamento della catastrofe, nè in generale di quanto contribuisce a porre un certo insieme di verità, e di convenienza nel- 190 l'ordinamento della’ scena, arte della quale ‘i francesi sono maestri, e ‘gli italiani digiuni affatto per ora. Ed an- cor che non fosse ‘mancato questo artifizio ; il quale solo può date all’azione l’a aspetto d’una azione vera; quel lun- ghissimo aspettare che si faceva ogni volta da un ‘atto al: l’altro avrebbe bastato ad inderblime ogni buono effetto, Ma a fronte di tutto ciò può egli dirsi assolutamente che l’Edippo fosse recitato malé? Né, certo: La parte del pro- tagonista non avrebbe forse potrà desiderare un migliore attore del sig. Paolo Belli Blanes il quale spiegò ‘in essa , e dignità di contegno ; ed evidenza di espressione, e arti- fizio molto; e-sarebbe ingiusto l'andare a ricercare in lui le pochissime mende , senza rilevare partitamente i suoi molti pregi. Noi ci contenteremo di lodarlo, poichè egli lo ha meritato. E loderemo anche molto la sig. ‘Carlotta Internari, la quale nella parte di Antigone sostenne la riputazione che ella si è acquistata di una fra le ‘migliori attrici ‘d'Italia. Ma il merito particolare di qualche attore non basta perchè si ottèriga ‘nell’insienie un effetto corris- »ondente ; che se bastasse noi non'avremmo tanta razione v) le] quanta ne abbiamo:di lamentarci della condizione in cui sono i nostri teatri. Poichè degli attori buoni o almeno facil- mente capaci di divenirlo ne abbiamo pareéchi ; ma delle commedie; o delle tragedie ben: recitate; di rado, 0 non mai. Nè le avremo, fincliè la condotta dei nostri teatri non cambierà affatto, finchè essi non sarantio sottoposti a una direzione intelligente piuttosto che a una speculazione avida ; e finchè la condizione di attore non salirà in mag- gior credito nella società. Le quali cose noù si. potranno ottener. mai con degli attofi vaganti, e che non hanno città, nella quale essi possano aspifare a attenere un posto. onorato, nè alcuno di quei legami, e di quelli stimoli, pei quali possano essi studiarsi di meritarselo . Onde essi non badano ad altro che ad ottenere al più un successo mo- mentaneo , e son contenti allorchè scansando dei vizi trop- L 191 po mostruosi nell’ arte loro vi non disgustano, il pub- blico da quella certa frequenza di, concorso, la, quale è prodotta più che da altro dalla curiosità «di vedere nello spesso cambiarsi delle compagnie comiche, delle nuove facce e dei nuovi gesti. Sicchè gli spettatori osservano più il personaggio che recita , che non l’ insieme della trage- dia, o della commedia che è recitata; e non vi è per gli attori, che una meschina responsabilità individuale, e niuna quanto alla condotta, e all’ effetto generale delle rappresentazioni. Al che si aggiunga un altro gravissimo inconveniente, cioè che reputati essi come stranieri in ogni città dove essi vadano a recitare, non si crede di potere esiger da loro accuratezza veruna nella pronunzia, e passano inosservati o negletti gli errori i più gravi per la sola abitudine di sentirne ad ogni stagione dei nuovi, e dei più strani. Il che se non deve esser perdonato in alcuna città d’ Italia, deve esserlo meno che in ogni altra in Firenze. Ma si ebbe assai da dolersi intorno a ciò nella recita dell’ Edippo , poichè alcuni attori , benchè non dei primi, e colle false vocali , e coi falsi accenti, e special- mente eoll’ inghiottirsi le desinenze, e non appoggiar su di esse in un modo spianato , e chiaro senza cantilena , ritardavano talvolta l’intelligenza del pubblico, il quale si mostrava insofferente di perdere alcun di, quei detti dai quali egli soleva ricevere a ogni momento delle sensazio- ni così profonde. Nè mai questo vizio potea ‘arrecare più danno che a recitare i versi del Niccolini, i quali si distin- guono , fra le altre doti, per la copia dei sensi ristretti sempre in poco numero di parole. Noi non potremo dunque udir mai una tragedia che soddisfaccia , e dell’ effetto della quale si possa giudicare adeguatamente, finchè non si avrà una compagnia fissa, la quale rispetti, e coltivi il criterio del pubblico nei più minuti particolari, corregga sè stessa ,, ed abbia bisogno | per sostenersi di camminar progressivamente verso un. igò | i certo grado di' perfezione . Allora ‘il Niccolini ‘ci darà delle altre tragedie,’ e' potrà prendere sulla scenà quel posto, che già molte qualità del suo ingegno gli hanno assicurato distinto, ed illustre , fra i tragici dell’ Italia. x. ATTO SECONDO | SCENA I, | Edippo, Antigone. i Edippo O guida al cieco 0 genitore, o luce Alle tenebre mie, di padre il nome Dolce ad Edippo fai: per te sostiene . Ei la sua notte che lo cinge: oh dove Stanche dagli anni, e dal cammin le membra Riposerò ? dove giungemmo ? Antigone To veggo - Qui cipressi ferali , orride rupi Che il folgor percotea. ;. ., i è dit n : Edippo , Sede conforme Al fato mio: sol dei Pei all'ombra | Posar tu dei misero capo! oh gioia! Il mio sepolcro alfin trovai. Antigone Di morte Sempre ragioni, o padre ? ‘ Edippo Ah visse PALDORE Visse pur troppo! Agli occhi ‘suoi profani Vietò |’ aspetto della sacra luce, E meglio ei vide i suoi delitti . . . è stanco ( Forse o ch’ io spero ) di punirlo il fato, Che in lui fe pompa di furori eterni : Sento gli Dei mutati, e me la terra, Che non s’ aprì sotto il nefando letto, Pietosa accoglierà mel sen. materno . Antigone sespiri ? Antigone, REPOR dunque vero! Tu m’ abbandoni, o padre mio! non sono Fido sostegno ai passi tuoi? non piango Al tuo dolore anch’ io? per te sopporto Del ricco avaro che rampogna., o nega I doni ingrati, e le repulse altere. Pur dianzi il ciel fremea: sul. capo aspetti Il fulmine invocato, e me respingi Colla tremula man dal sen paterno . . . Io più t’abbraccio , e volta al cielo esclamo Fra le procelle: a separar non. vale La folgore di Giove i nostri amplessi. Edippo Assai per me soffristi: oh te felice Se m° obliasse il mondo, e nella tomba Tutto scendesse Edippo: a te retaggio La sola infamia io lascio : avwvi mortale ‘ Che osì affrontarla? Ahi misera innocente , , E tu sei parte di mie colpe, e vane Le tue virtudi io feci; e pria che nata, A mesti giorni di solinga vita Dannai la figlia: ah non vedrà d’'Imene Splender le faci, non udrà di madre 1) dolce nome, e i morihondi lumi Non chiuderà la man dei figli. Antigone Edippo, Che d’Imenei mi parli ? estinto il padre, , Antigone vivrà ? Edippo Dell’ empia casa Uniea lode, a me sei figlia! e padre Sono agli iniqui, ond’ ebbi esiglio , ed erro . Vecchio, mendico , e pietà chieggo a tutti E son di tutti orrore : ah tosto arrechi Le mie vendette il tempo. TT. IX. Marzo 13 194 Antigone of I voti antichi Non rinnovar, ten prego. Edippo O cara voce Nel cor mi scendi, e le tempeste accheta Dell’ anima affannata: io più non miro Già testimon de’miei delitti, il sole; Me stesso ognor contemplo; i dì passati Mi son rimorso, e l’avvenir, terrore. Antigone Spera, confida negli Dei. Edippo | Siam soli In questo bosco, o figlia? orme ravvisi. D’ umano piè ? Antigone | Sovra quel colle un tempio. Sorge. i Edippo Che dici? un tempio! un Dio vi fosse Ai miseri propizio! i passi, o figlia, Volgi colà ...no...resta...un solo istante lo senza te... . più grave allor sul ciglio La notte e il duol mi siederà . .. quel tempio Forse a cotanti affanni... ah chiegga Edippo ‘ Pace alla tomba , é non all’ are. Antigone Oh! lascia Che il tuo desio s’ appaghi. Edippo AI cieco padre Sollecita ritorna, e un dolce amplesso Delle brevi dimore il duol compensi. N ‘ATTO SECONDO SCENA IX. Polinice, Teseo. Polinice Signor d’ Atene, alla vicina impresa Avrò compagno il genitor placato? Se vanto in mezzo alle mie schiere Edippo , Sol col suo nome io vincérò; che Tebe Ben crederà nella fraterna guerra Giuste quell’ armi, ov’ è presente il padre. AI vile (oh duolo!) allor cadrà lo scettro Che strappargli io volea : ima che? l’ iniquo Che or tanto aborro, io sprezzerò. Teseo Ti Dal padre Speri più che il perdono? è sol. di questo Intercessor Teseo. Che qui giungesti Quell’ infelice ignora : util consiglio Il tacerlo io pensai: tanto è dai mali, E dai rimorsi affaticato Edippo, . Che spesso l’ ira col dolor rinasce Nell’ egro petto: ah della figlia istessa La dolce voce che nel cor si sente;: Su lui perdè l’ usato impero. Polinice Edippo Gl’ ingrati figli, e n’ha ben dritto , aborre. Grave è l’ira d’ un padre, e più l’ aspetto Del suo dolor: non mai quel: veglio io ‘miri Nel dì della battaglia, o tosto «io miri L’empio fratello. Teseo Ah.del rimorso è vace, E tu l’ascolta: appresentarti al padre Senza timor potrai, se volgi altrove L’ira, e le schiere. Io del vicin delitto Tremo al pensiero . . . . alla tua patria aseonde , L’argivo i dolci campi, e l’ empia face Arde i tuoi Numi sui paterni altari . . . , ‘196 È Ah le pugne fraterhe il sot non vegga ; Orror novello in Tebe istessa. È Polinice Ch' esule eterno, e re deriso, io lasci A un Eteòcle il trono? io senza i prodi Che ai danni suoi tutta la Grecia aduna; D'ira, di ferro, e di ragione armato Saprei punirlo , io solo. Invan rammenti Ch’ ei m'è fratello; a questo cor lo dice Ad ogni istante l'odio: io l’empio abonro Senza rimorsc alcuno. Teseo La colpa tua più del trionfo è certa: Se palma infame nell’ orribil \guèrra , Ov'’ è la gioia al yincitor delitto , A te concede l’ invocata Erinni, bis E col ferro straniero al suolo adegui Le sacre mura alla città di Cadmo, Dimmi, sarai felice ? in ogni ‘veglio Che grave andrà della servil catena, Il padre tuo vedrai: le meste antiche Della misera madre il sacro aspetto Ricorderanno a te: non resta lin Tebe E nei tuoi lari, altra sorella, Ismene? Minor di tutti, e di soldati argivi Duce tebano, al rapitor guerriero Sveller potrai fra la vittoria, e lira Sì cara preda, ove all’ eccidio avanzi Dell’arsa terra? o più infelice wdrai Sotto i piedi atterriti un fioco grido Sorger fra le ruine , e dire: ahi l empio Fratello è che mi calca: in ‘odio ai vinti , Sospetto al vincitor, scherno, d’ entrambi Ve’ 1° iniquo , s’ esclama che Îo ‘scettro Ebbe dal fratricidio : olà Tebane Madri togliete i figli spenti , e s’ apra AI re la via che lo conduce al trono . . . - Nella strage fraterna il carro illustri Del suo regio trionfo. E vuoi Abi lasso! il. veggio , 197 Polinice [bon O. tu :che yedi Così tremendo l’ avvenir , provasti Il dolor dell’ esiglio, e quanto ei pesi Più che ad ogni uomo, ai regi? in strania terra Infelice t° aggira, e poco implora; E men che poco ottieni; e. come incresce., Pibi A nobil cor pietà richiesta; impara; :.. Se pur la trovi, e come presto lè stanca La pietà nei mortali: e figlio; e sposa Abbi che t’ ami, e pianga; un reo fratello Che neghi, e trono, e patria; il cor ti roda E vendetta, e rimorso, e lunga speme Maggior d'ogni tormento ;/e poi consiglia D’ Edippo il figlio. Ma garrir.che vale? Armi ti chiesi, e non consigli ..». Atene . Non è sì lunge dal cammin di Tebg;xs” Che della Grecia il moto, e i yasti incendj | Di tanta guerra a contemplar is’ assida . Spettatrice indolente. Acasto ;a. nome Dei congiurati re ti vuol compagno Del periglio comun: nunzio (di. Tebe Pur Creonte verrà. Dubbia la; scelta È fra Eteòcle e,me ?; | Teseo Rigetto entrambi : E Teseo è tal che do suo; scudo all'ombra! Posi tranquilla Atene. E s°.io yolessi ; se tgl Contaminar nell’ empia «guerra un,brando,; ;iiui «0 Che i tiranni punì , trovar seguaci oi Al mio furor potrei? Se Tebe ha servi, Atene ha cittadini. Io qui non sono Che nelle pugne.il duce; a sacre leggi E custode, e soggetto, a tutti uguale Tranne sol nella gloria, e quando i figli La Patria chiami , ad ubbidirla il primo. Polinice Ubbidisci e sei re? Qui non si vola A un sol tuo cenno all’ armi? Or veggo aperto Il tuo consiglio: anch’ io, se uguale in Tebe Fosse il potere , abbandonar saprei 198 Ad Eteòcle nella man spergiura Scettro impotente , e ‘al coronato schiavo X Trar lascierei su vilipeso trono» ove! obama 20) Sonni sicuri. ping .io ottwenp. è. 0ifajz9 ‘ilsb roleb JI Teseo ! bs sdo &id Il tuo. germano in Tebe 3. oqilsla] Paò men di Teseo qui; che ‘amor ‘concede. | |» pate i Più che forza non toglie: il' sai; ‘le uilta di Attiche genti una cittade accolse 9, Allor ch’ io posi all’i imperar, confaniigi > :ileirowt ina stai i E all’ ubbidire, e d’ ogni re più rigo ima ‘3 odo id Calcai l’ orgoglio dello "scettro... (0). ci Polinicev! 0 . ossomi Atene Mi rivedrà: se de’ tiranni il sangue ©. Chieggon libere spade , all’'ife vostre o con en n Quel petto infame io cederò; che Tebe". og ti Libera sia; ruini il sogliovavito; | 0 «0a Li sovi) | i Ma sull’ empio germano: ‘i suoi delitti‘ Narrar saprò: che non attende i ‘patti, desiohi idtedaa Che spergiura gli Dei, che ognun'l’vaborre. ' riga Non già com’ io . . . più non vivrebbe. i Teseo ; E vana Ri L’ empia speranza. Al re d’ Atene è legge Il voler della Patria : accolgon 1’ are Delle Eumenidi Edippo: ‘or qui, ‘se nulla! nt 9 00891 dl Può la nostra preghiera , al padre©irato’ 1A slliwpasti ia Ta favellar potrai: ma pria che a'Tebe ‘| toa 180110300 Rivolga il piè, mira , io ten prego, Baltppo k TO E dell’ Erinni il tempio. “ot cia LA Polinice inp ribettio sd omosA gg n segna dd : i EnnaATA x Correggasi il seguente errore corso nella stampa del ‘ fascicolo di febbraio , presente volume. pag. 105 Tota da Tot, leggasi Jota da Jod, Fine del Fascicolo XXV. II. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO DELLESCUOLE PIE DIFIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. FEBBRAJO 1823. II Sera | 7 mat. | 7 mat. | II sera de |<. |__|. ___—___-- mezzog. II sera 7 mat. mezzog. ri sera 7 mat. Dì INEZZOg. Ii sera 7 mat. le Mezzog. 11 sera 7 mat. s i | mezzog. “II sera mezzog. | mezzog. 27. [ee] Dv Ei 8 (o) P>g Ò poll: lin. (27. 2;9 (27. 3,5 27. 1,8 27. 0,9 26. 114 27. 0,9 27. 1,0 27, 3I 27. 47 |27. 6,1 (ddr 119 (27.1 10,2 (27. 11,0 27. 1I,I 27. 10,4 27. 10,4 27. 10,1 99 sin 27. 8,0 7: Termometro 1 miti | Fi 8 i I: CO i agi DT: TC MAY OI G Ra a VA C) ° | 6,9 6,7 100 0,41 ‘Pon. Coperto. 7,3 7,6 100 ‘007 P. Lib.|Nuvolo. 7,6 7,6 100! 0,05 Lev. Pioggia. 7,21 6,7 100| 0,27 Ostro Coperto. 8,0 ,6 100] 0,07 Se. Lev Pioggia. ,6 36. 95) 0,22 Lib. |Pioggia 7,3, 7;4, 100| 0,47 Gr. Tr.|Piovoso. 7:61 8,0 100| 0,03 Tr. Gr.|Pioggia. 8,0 8,4 95| 0,03 Os.Lib]Ser. con neb. 7,6 8,0| 93 o,10 Lib. |Coperto. 8,0 9,4 70, P. Lib. Ser. rag. 8,0 7,6| 90, Os. Lib Scr. con neb. 7,6 v;I 99. 0,06 Ostro |Piovoso. 7,7 9;2| 83 0,05 Os.Lib Coperto. 8,0 9,3] 96} 0,03 Os.Lib Piovoso. 8,4 8,9] 100 0,04 Lev. ev. Coperto. | 5,9) 3r,5| 791 \Ostro Minaccioso, 9,8! 10,7| 99 bad Nuvolo. SA |__ 9,9) 99] 100 Ostro Coperto, 9,8) 10,7| roo; 0,og Sc.Lev Pioggia. 9,3| _98|, 100] ad Ostro ‘o_Fipggià. Stato del cielo Ventic. Nebbia Calma Ventic. Vento Vento Ventic. Ventic.| Ventic.: Ventic. Vento Ventic. Ventic. Ventie. Ventic. Cal. af. Ventic. Calma Calma » Ventie, - Ventic. È 1 RPRE DE slo $ | ig a - A 5 e] 9 5 3 Stato del cielo }i i 9 i "al dedi afite- A “7mat. j27. 6,0 9,9 8,1| 100 0,62 Lib. Coperto. Ventic. 8| mezzog. |29.. 7,2 9;0 9;3| 91|0,03 Lev. |Nuvoloso. Ventic. __| 11 sera |27. 9,9 9,0) 3,6| 82 Ostro. |Sereno. Ventic, 7 mat. |27. 10,7 | . 8,0 7,2) 99|0,05 Lev. |Piovoso. Calma 9| mezzog. |27. 11,7 | — $,1 9,3| Sr|o,or Lev. |Nuvoloso. Calma ri sera |28. 1,7 7,6 6,2° 85|0,04 Lev. |Ser. conneb. Ventic.|j I 7 mat. |28. 1,8 4,6 4,5] 95 |Lev. |Sereno rag. Ventic.i! ji10} mezzog.|28. 2,0 7,1 6,7] $0 |Lev. |Belsereno. Calma |i __|_rt sera dd: 1,0 8,0 6,7| 99 0,12 Os.Lib. Piovoso. Ventic. 7 mat. |27. 11,9 737 7,6| 100) 0,24 Os.Lib. Piovoso. Vento {\11|] mezzog.|28. 0,2 8,0 8,9 0,04 Ostro. |Piovoso, Calma || 11 sera |28. : 0,3 8,2 8,0 0,01 Lev. Ser. con nuv. Calma |{ i et nia Die E ei e e Si i n mat. (28. 0,$ 8,0 8,0 Scir. Serenorag. Calma i j12| mezzog. 28. 1,0 9,3| 10,7 Sc.Lev. Sereno. Vento | | 11 sera 128. 0,5 9,3 8,4 Lev. Sereno. Ventic.| i 7 mat. 27. 11,9 8,7 6,8 Lev. Coperto. Calma î 13] mezzog. |27. 10,5 3,9| -99 i Os.Lib. Nuvolo. Vento || 11 sera |27. 10,6 8,4 7,5) ) 0,20|Lib. |Nuvolo. Vento | 7 mat. 128. 0,0 72) 071,00 Sc.Lev.|Ser. con neb. Ventic.| {14 mezzog. 28. 0,5 8,0 8,2 Scir. |Ser.con nuyv. Ventic. ti sera 28. 0,6 8,4, 7351 Lev. |Ser. con neb. Calma || il | 7mat. 28. 0,0 7,6): 6,51 Sc.Lev. Coperto. Ventic.i] 5115) mezzog. 27. 9,0 6,8 7,3 Gr. Lev Coperto. Vento | rI sera 27. 97 6,7 6,7 0,41\Sc.Lev. Nuvolo. Vento | ; 7 mat. |27. 8,1 6,41 5,31 Sc.Lev. Sereno rag. Vento | f16| mezzog.|27. 9,3 6,7 Di | Gr. Tr. Ser. con nuv. Ventic.i ri sera |27.' QI 6,2! 5,8 o,12 Scir. Nuv. rotti. Ventic.|| 7 mat. 27. -9,0 5,9 4,9) [Scir. Sereno rag. Ventic.|f {17| mezzog.|27. 10,1 5,9 6,7 Tram. Sereno. Ventic.l pmi E 9,6 7,1 4,9 Gr. Tr. Sereno. Calma | 7 mat. |27. 9,6 sd 2,9 | Scir. |Sereno. Ventici] 18] mezzog. | rI sera |27. 10,9 5,5 4,9 Sc.Lev.|Sereno. Calma 7 mat. |27. 11,0 5,0 dr Scir. |Ser. con neb. Calma | [19 mezzog. |27. 10,I DIS 6,7 0,07 [Gr. Tr.|Ser. coperto. Ventic.| ri sera |27. 8,6 5,38 5,8 | Lev. Piovoso. Calma 01} wOo1eg |f 7 mat. 7 mat. |27. 8,8 5,3 454 20| mezzog. I rr Sera {27. 11,0 5,8 5,3 7 mat. |28. 0,6 5,3 4,0 21| mezzog. |28. 1,3 5,8 731 ri sera |28. 2,6 6,2 459 22| mezzog. 128. 3,0 11 sera 28. 2,8 7 mat. 28. 1,3 23| mezzog. (28. 1,5 ri sera 28. 1,5 7 mat. |27. 11,7 2/ mezzog. II sera |27. 9,9 | 7 mat. 127. 10,0 25| mezzog. |27. 10,4 ri sera |27. 11,0 7 mat. ;27. 97 26| mezzog. 127. 8,8 | ri sera 127. 6,3 il 7 mat. |27. 4,0 27| mezzog. (27. 4,9 xt sera jar. 4,6 7.mat.,.:27., 2,3 28| mezzog. 127. 4,5 risera |27. 7,6 es —__eect—ott|-_————141—-»- - ——_———_ù —__|_—___||- — | ———_ « — _____'———____— — — d; 6,7 731 7,6 7,1 7,1 731 9,0 7,6 8,4 7,7 8,0 8,4. 8,0 7,1 5,8 8,0 9,0 8,4 8,0 731| 5,8 7,6 9,0 7:9 8,9 8,4 8,9 8,4| 10,2 8,4|:. 8,0 7,9 6,2 8,0 7,7 MIL: DA: 5,8 0130w018] | 013 -2worAn]gq | ord S (0°) A 3 Stato del Cielo; $ 0,32|Sc. Lev|Nuvolo. Tr. Gr.|Ser. belliss, 0,30 0,18 Scir. "7 . Ostro. |Ser. connuv. Ventic. Sereno. Gr. Tr.|Sereno. Lev. iScir. Sereno. Ser. fosco. ! Maest. | Bel sereno. Piovoso. Lib. Scir. Scir. \Scir. Piovoso. Nuvolo. Ser. nebb. . i Lib Nuvolo. n ail'r_i —sP_=—t—= le | los Gr.Lev Sereno. Lev. |Sereno. Sc. Lev Ser. rag. 0,24 Scir. -Nuv. piov. 0,13 Os.Lihb Piovoso. 0,37 Lib- Coperto. 0,64 Lib. Nuvolo. P. Lib. Ser. con nuv. 0,03 Os. Lib Pioggia. 0,14 Lib. Sc. Lev Lev. | | Pioggia. Nuy. gonfi. Ser. rag. Ventic.|. Ventic. Calma Calma ‘ Vento : Ventic. Ventic. Calma Ventic, Ventic. i Calma Ventic' Ventic. Calma Vento Ventic. V. gag. Calma Calma FENOMENI DI VARIO GENERE. | 2° La notabilissima depressione in cui fu lasciato jeri sera il Barometro s quella ancor più profonda nella quale è stato trovato questa mattina, e i chiari indizi che dessa dovesse farsi sempre maggiore, han reso necessaria una speciale e quasi continua ispezione di detto strumento in tutto il corrente giorno, Ed ecco quanto è stato notato. a ore 7 della mattina B.° poll. 27 lin. 0,9 Ter. Inter. 7,3 T. Est 6 » a ore 9/2 B. poll. 2y lin. 0,6 a ore 10 1/2 B. poll. 27 lin. 0,15 . T. Est 8,8 a ore 11 B- poll. 26 lin. 11,9 a ore 11,5 B. poll. 26 lin. 11,6 a mezzoggiorno B. poll. 26 lin. 11,4 Ter. Inter. 8. T. Est 8,6 a ore 1. pomeridiane B. poll. 26 lin. 10,3 a orè 2 ’/2 B, poll. 26 lin. 9,65 a'ore 2. min. 19. B. poll. 26 lin. 10,3 a ore 2’) B. poll. 26. lin. 10,4 Ter. Int. 8,2. T. Est. 8,5 a ore 3 B. poll. 26. lin. 10,4 i a ore 7. B. poll. 26. lin. 11,4 Ter. Int. 7,7 T. Est. 7,8 a ore 7. m. 20 B. poll. 26. lin. 11,2 Ter. Int. 7,7 T. Est. 8,0 a ore 11. .B. poll. 27, lin. 0,5 Ter. Int. 7,8 T. Est. 76 Alle due.e. 174. pomeridiane, e durante quei pòchi minuti nei quali ha avuto. luogo l’infimo abbassamento , è soffiato un libeccio tempestosissimo, accompa- gnato da pioggia impetuosa e dirotta, Quest’ abbassamento è tale che non vi è | memoria che mai siasi veduto sì grande tra noi. Quello il quale ebbe luogo nel | 25 xbre 1821, che fu universale in quasi tutta l’ Europa, e di cui come cosa affatto sirtartianii molto si scrisse nei giornali, non giunse che a poll. 27 .lin. 1,9 e rimase perciò lin. 4,25 superiore all’ attuale. 3. Nella notte pioggia impetuosa con qualche romore di tuono. 7. Nella sera verso le oreotto gran tempesta, con lampi tuoni e forti scariche di fulmini. Una di queste ha destato un piccolo incendio a s. Margherita aMontici. . 13. Nuova isrnpicsia con tuoni , fulmini e fiero vento nella sera. 15. I monti ele più elevate colline del nostro contorno sono coperte di neve. 16. Scossa di grandine verso le due pomeridiane. 20. Nuova neve nei luoghi che sopra. 27. Bufere veementi nella notte. 28. Mediocre piena nel fiume. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL NONO VOLUME de La convenienza ‘di non far dipendere la stampa di un quaderno dell’ Antologia da un altro quaderno facente parte del me- desimo volume e di potere per conseguenza averne due sotto al torchio nel tempo medesimo ; ci ha decisi ad adottare il sistema di ricominciare la numerazione delle pagine in cia- scheduno dei quaderni; ma perchè questa triplicata numerazio- ‘| ne-potrebbe rendere più difficile e più lungo l’uso dell’ indice generale, distinguiamo con A. B. C. i tre quaderni che come pongono il volume. SCIENZE MORALI E POLITICHE / Lettera a’ sigg. collaboratori, corrispondenti e associati dell’ Antologia. —(G.P. Zieusscux direttore) A. Pag. Istoria del Giurì, del sig. Aignan. (continuazione ). (D. G. Giusti.) ), A. Almanacco agrario Verso n° istruzione de’ giovani, da Carlo Verri. (M.) > Quali sono i vantaggi e gl’inconvenienti respettivi degli ospedali, o dei soccorsi al domicilio degl’ saifigenti malati ? ) ( Filandro:) La scienza del diritto commerciale terrestre e maritti- » 2? A. A. mo, costituito e costituendo. ( Av. Giov. Castinelli.) ,, A Viaggio d’un anno dall’ottobre 1821 all’ottob. 1822. (X.) ,, M. Tullii Ciceronis de re publica, quae supersunt, edente Angelo Maio. (Artic. 1.° ) (A. Benci.) ,, { Artic. n.° ) »” 2) ( Artic. 3.°) SÒ Pa Storia della guerra de’ trent’ anni di Federigo Schiller, \ tradotta da Antonio Benci. (E) 3 A. I 110 130 145 166 118 A Della storia, dei costumi e della favella d’alcune nazioni indiane dell'America settentrionale. (R. Uzielli.) ,, B. 71 Precetti d’ educazione di Luigi Boneschi. (M.) ,, B. 106 Progetto per la formazione di una stabile compagnia comica . » B. 191 Riflessioni sulle colonie in generale, e in particolare su quelle che si converrebbero alla Francia, del sig. Maltebrun; estratto dagli annali di viaggi. (G. R. P.) ,, C. 53 Storia dei francesi , del sig. Sismondi, (terza parte. ) ( A. Renzi. ) ,, GC. 106 Delle antiche leggi della Scandinavia (Articolo 1.° ) traduzione. (I. Moutier.) ,, C. 146 Edippo nel bosco dell’ Eumenidi, Tragedia di G. Batista do . Niccolini. (X.)., C. 186 GEOGRAFIA , VIAGGI ec. Ragguagli geografici, e notizie di viaggiatori. (Pagnozzi.) ,, A. 123 Estratto di lettera del sig. Ruppel al barone di Zach. (,, ) 3 B. 188 Geografia moderna universale di G. R. Pagnozzi. » B. 189 » CC. 136 Della strada nuova da Nizza a Sarzana. (C. L. Bixio di Genova.) ,, C. i Edizione di Marco-Polo per opera della società di geo- grafia di Parigi. (P.) ,, C. 174 SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE, Risposta alle considerazioni del prof. Gazzeri intorno alla meccanica della materia, del (Cav. Nobili.) ,, B. 136 Seconda lettera al sig. cav. Vincenzo Antinori intorno alla meccanica della materia del cav. Leopoldo No- bili, (prof. Gazzeri.) ;, C. 161 Tavole meteorologiche pei mesi di dicembre. 1822, gennaio e febbraio 1823. LETTERATURA, BIBLIOGRAFIA, ec. Petrarca e Laura, della contessa di Genlis. (1.° articolo estratto dal Quarterly Review ). asi SR (2.° Articolo. Conclusione. ) s0 Belli Opere di Davide Bertolotti. (Y.) 3 Al. 70 Tidegonda, novella di Tommaso Grossi, ediz. seconda. (14) ;) A. 73 3 Inno ad Urania del conte Folchino Schizzi. . (M.) , A. 96 Memoria delle operazioni delle armate alleate sotto il principe di Schwarzemberg ed il maresciallo Blu- cher, durante la fine del 1813 e l’anno 1814. .(X.) ,; A. 120 Lettera al direttore dell’ Antologia. (M.) 3, A. 159 Lettera al sig. march. Cesare Lucchesini. (Seb. Ciampi.) 3 A. 163 La Regina Giovanna, tragedia di Gio. Batista Marsuzi.(Y.) ;, B. 26 Poesie e prose ‘del cav. Luigi Lamberti. (M:) ,, B. 38 Le: odi ismiche di Pindaro, traduzione di Giuseppe : Borghi. . (march. Cesare Lucchesini.) ,; B. 111 Composizioni varie in morte di Antonio Canova. (A.Benci.) ,, C. 121 Atlante dantesco, pubblicato da Batelli e Fanfani di Milano . (A. Renzi.) », B. 155 Iliade d’ Omero volgarizzatà da Michele Leoni. ,» B. 188 Biografia universale , tradotta in Venezia. io 189 Cronica di Giovanni Villani. » B. 190 Rime di F. Petrarca col comento di G. Biagioli. (M.) ,, C. 16 La Pietà. Cantica di (G. B. Niccolini.) ,, C. ‘31 M. Atti Plauti comoediae quae extant ex recensione F. H. Bothe. (A. Benci.) ,, C. 50 Lettera di Costanzo Gazzera al conte Giuseppe Franchi di Pont, intorno alle opere di pittura e scultura esposte in Torino. (A. Benci.) ,, G.. 74 De vita Caroli Magni et Rolandi,, historia Johanni Tur- pino archiepiscopo Remensi vulgo tributa , ad fidem codici vetustiori emendata et observationibus philo- logis illustrata a Sebastiano Ciampi. (D.G.).;, Gi125 Componimenti teatrali di Speciosa Zanardi Bottioni , parmigiana. (A. Renzi.) ;; C. 132 SCIENZE MEDICHE, Vaccina. Notizie estratte dai processi verbali delle adu- nanze della società per la diffusione del metodo di reciproco insegnamento. (march. C. Ridolfi.) ,, A. 117 Uomo mostruoso di Macao. (D. Pietro Betti.) ,, À. 143 Sopra il giuramento d’ Ippocrate , discorso premesso alla lezione dell’anno 1822-23. del D. Grottanel- i li, in Firenze (X.) » B. 163 Ricerche medico-forensi , del D. Grottanelli. 3» B. 189 Alcune osservazioni sulla teoria eccitabilistica del con- trostimolo. Lettere I. e II. di (D. Em. B.) ,, C. 87 I e R MA DEI GEORGOFILI,. . Rapporto degli stadii dbvadbatci dellla 1821, 1822 letto nella solenne adunanza del dì 29 dicembre. 1822 dal + (prof. G. Gazzeri.) ;; A. 53 Ragguaglio delle arti e manifatture presentato all’ adu- nanza solenne del dì 29 gennaio 1822. (F. Tartini Salvatici.) ,y A. 89 Lia ordinaria del dì 16 febbraio 1823. (G.Gazzeri.);, B. 161 Adunanza ordinaria del dì 16 marzo 1823. (G.Gazzeri.) ;, C. 161 ARCHEOLOGIA. Estratto di una memoria relativa all’ alfabeto dei ge-. roglifici fonetici egiziani, comunicato all’ accademia reale d’ iscrizioni e belle lettere di Parigi, del sig. Champollion le jeune. .. (Dom. Valeriani. }, jiB: 125 Dello scrivere degli antichi romani. Dissertazioni acca- 1 demiche dell’ab. Morcelli. (Ab. Zannoni.) ,, C. 78 BELLE ARTI. | Eettera al sig. Pietro Giordani sopra un. modello di monumento attribuito a Canova. (Cav. ZL. Cicognara.) ,; C. 176