Pali # "4 E or si he di si ca A ANTOLOGIA 1023. TOMO DECIMO FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXXIII. ANS OLA gii C; Io9A x asd CL E. ANTOLOGIA N° XXVIII. Aprile, 1823. Della strada nuova da Nizza a Sarzana. Memoria di C. L. Bixio di Genova. (continuazione. vedi Vol. IX, p. 1.) Ai iaia lungamente venni fin qui proemiando, e di so- verchio forse mi sono allungato dal vero scopo di que- sto scritto; onde stimo dover dare principio alla terza parte del mio lavoro. E qui avviso descrivere a poco a poco lo stato presente della nuova strada da Nizza infino alla Magra; non tralasciando di osservare ciò che potreb- be utilmente intrattenere a, mano a mano il curioso viag- giatore, affine di non indurre noia nel leggitore con una scussa litania di nomi di paesi e di strade. Lo straniero, passato il Varo, saluta la patria delle belle arti, e siraccomanda al classico genio d’ Italia affinchè gli serva di guida. Qui comincia lo stato del re di Sardegna,e la strada per la Toscana. Z/ ponte del Varo rimane lungi dalla foce del fiume circa 2500 metri. Dal ponte fino al torrente Pallione la strada passa tra campagne coltivate a giardino, e sparse di case occupate nel verno da viaggiatori inglesi. I luoghi più rinomati per tale oggetto sono S. Pier d’Arena e la Croce di marmo. La distanza tra il ponte del Varo e quel- lo in costruzione sul Pallione è di m. 7250. Vicino a Niz- za s' innalza lungo la strada il monumento decretato da questa città a memoria del passaggio del sommo Pontefi- ce. Nizza è Porto franco: fu edificata dai marsigliesi circa 4 ‘200 anni dopo la fondazione di Roma. Nel 1383 i suoi abi- tanti si diedero ad Amato VII. conte di Savoia. Z nuemmi populorum et urbium, così chiamati dagli antiquari, fu- rono coniati dai nizzardi. Gli annali di questa città ci ram- mentano i nomi di Francesco I, di Catinat, di Bervik. L'antica Nizza (Cemenelion)era sulla collina alla destra del torrente , da esso distante 2500 metri: vi si vedono anco- ra le rovine di un anfiteatro. Dopo Nizza la strada si allon- tana dal mare per andare a Zorbìa o Turbìa. Questo luogo formossi a poco a poco dalle rovine del trofeo che vi fu eretto ad Augusto, vinto ch’ ebbe tutti i popoli alpi- ni dall’ Adriatico fino al mare ligustico; trofeo di cui esi- stono ancora gli avanzi, e che da lungi presenta la forma di una torre. Tolomeo ne parlò, e Plinio prima di lui, conservandocene la bella iscrizione. Turbia è nel sito dell’Alpe summa ed Alpe marittima: forse il di lei nome è una corruzione del latino: Yrophae Augusti: qui; se- condo l’ Itinerario d’Antonino, erano di que’ tempi i con- fini d’Italia. Le antiche strade del genovesato erano sì cat- tive, che Dante parlando, nel canto terzo del Purgatorio, della rocca che dovea salir con Virgilio, la paragona con quelle benchè le doni la peggio: Fra Lerici e Turbìa la più diserta, La più romita via è una scala Verso di quella agevole e aperta. La strada percorre sin qui 16823 metri, e la montagna per cui passa è sassosa ed incolta sino alle vicinanze ‘di Roccabruna, da dove continua in mezzo agli ulivi ed agli aranci fino a J/entone. La sua massima distanza dal ma- re, senza contare la punta che forma dalla parte di $.Ospi- zio il golfo di Yillafranca, è di m. 2500. Questa città, che trovasi seguitando la riva del mare sino al di sotto della Torbia, ha bel castello e bel porto, ed è stata costrutta da non molto tempo ovesesisteva il così detto Olivole portus. La distanza dalla Torbia a Mentone è di m. 13470. 5 Percorrendo questo tratto di strada si vede il paesè di Monaco ( Portus Herculis Moneci ) capitale del princi- pato di questo nome, già della casa Grimaldi, sotto la pro- tezione della Francia, ed ora posseduto da un principe francese, parente di quella famiglia per affinità. Questo principato, in cui mantiene il Piemonte una sufficiente guarnigione, comprende nel suo territorio, ristretto ma fertile, i paesi di Roccabruna e di Mentone, che ne è il più considerevole. La strada che traversa Mentone in vi- cinanza del mare è sostenuta da un molo costrutto nel i .1812 con pietre riquadrate. A. 2400 metri da Mentone si trova il ponte S. Luigi, d’ottima costruzione, che riunisce le rocche de’ balzi rossi, primo paese della Liguria. Trae ‘questo il nome dallaqualità del terreno,e non presenta che | poche case sparse in qua e là. L’ameno luogo che segue è Latte. Qui sono le villeggiature degli abitanti di Ventimi- glia, città vicina, bagnata al levante dal fiume Roia. Ebbe già nome di Jntemelium e Albium Intemelium. Strabone Ja chiamò città grande, e forse lo era di que’ giorni: ne parlò Cicerone nell’ ottavo libro delle Epistole; e Tacito nel libro secondo delle sue storie, lasciò scritto |’ elogio d’ una pietosa madre di questa città. Non è molto popola- ta, benchè il territorio sia fertile di ottimo vino, di olio e di frutta, ed abbia un° vantaggioso commercio nella copio- «sa e scelta sua pesca. È sede vescovile; e la cattedrale è un’ antica chiesa, forse già tempio di Giunone, come po- trebbesi, conghietturare dalla lapide marmorea che serve «di gradino alla porta maggiore. Sulle alture che dominano questa città esistono le rovine di Castell’ Appio. Il ponte «del torrente Roia non è praticabile alle vetture; è rovina- ito.in due parti, e fu restituito al transito con passi prov vi- sori di legno. «©. La strada carrozzabile da Mentone a Ventimiglia è di «m. 10243, ed è quasi ultimata. Vi si passa con leggiere Velture: manca però il ponte sul torrente della valle di 6 Latte, presso il luogo detto Za Mortola. Il traverso delta strada entro Ventimiglia non è ancor fatto ed è molto dif- ficile, attesa la situazione della città. Il primo paese di qualche considerazione dopo Ventimiglia è la Bordighie- ra, uno degli otto luoghi che già ne componevano il capi- tanato. Fu recinto di mura nel 1320: vi approdò S. Am- pegli, venendo dalla Tebaide, ed ivi beatamente visse.in una spelonca, che anche oggidì si vede vicino al mare, | presso una cappelletta a lui dedicata. Bordighiera è è situata , Sopra un altura, e la strada passa sulla riva del mare ap- piè della medesima . La distanza da Ventimiglia alla Bordighiera e di 7086 metri. Il tratto di strada che le unisce è quasi ultimato, tranne i ponti da farsi sui torrenti Nervia, Vallecrosia e Vallebruna, e su tre piccoli rivi che l’ attraversano. Da Bordighiera si arriva al villaggio degli Ospedaletti, che ne è distante 1069 metri, per un sentiero alpestre, taglia- to nel vivo scoglio, ove però deve passare la grande stra- da. Tra Bordighiera e gli Ospedaletti è il santuario di N. S. della Rota, ove trovasi un’ acqua minerale. Dopo gli Ospedaletti si monta al capo di S. Remo per una strada uguale alla precedente, che passa fra i terreni coltivati dalla parte dei monti, e fra i dirupi dalla parte del lido. Ricca città è San Remo, e adorna di fabbriche special- mente verso il mare. La sua popolazione è numerosa . Il territorio all’intorno è fertile in ogni sorta di frutta. Bel- lissime sono le palme dell’ Eremo di S. Romolo; ed i paesi vicini, che pur ne producono, non ne vantano di simili. La famiglia Bresca ebbe da Sisto V. il gius privativo di provvederne Roma. Nella parte superiore di S. Remo era un castello, ora distrutto, fabbricato nel xn secolo, contra i Saraceni, che già l’ avevano sacchieggiata. Oberto Doria e Giorgio De-Mari comperarono questa città e la Ceriana, e l’ acquistò Genova dai loro successori nel 1359. Era $. Remo residenza d’ un governatore, che si eleggeva ogni 7 due anni col titolo di commissario generale delle armi dal capo di Noli fino a Ventimiglia. Non sono molti anni che fa ampliato il suo porto, e costruttovi un molo, prolunga- to dappoi per maggior sicurezza dei bastimenti. La distan- za fra gli Ospedaletti e S. Remo è di m. 5863. Dopo S. Remo lastrada è semplicemente. tracciata, ed esistono soltanto degli scavi; non sarebbe però difficile e di gran dispendio ultimarla. Tra S. Remo ed il torrente dî Taggia, detto Argentina,distantil’uno dall’altro m. 8420, s'incontrano i torrenti di S. Lazzaro e S. Martino coi re- . spettivi ponti, e quello più considerabile di Ceriana che af- fatto ne manca; sì traversa quindi il villaggio dell’ Arma. Serve questo co’ suoi magazzini al commercio di Taggia, ‘nobile borgo distante dal mare più miglia, il cui territorio abbonda di buon vino moscato, di mandorle, d’ olio, di castagne, e di legni dai quali sì ricava assai utile. Qui è una grotta con la chiesa di S. Maria, e sopra si scorge una torre fabbricata nel 1564, sulla cui porta leggonsi due iscrizioni. Una fu ritrovata nello scavare i fondamenti del castello, ed è questa: VICTORIAE + AETERNI . JOVIS . OPTIMI . MAXIMI M . VAL . CAMINAS . CASTELLI. RESTITUTOR. L'altra vi fù posta per indicare, che quei di Taggia, sovente infestati dai turchi, avevano fabbricato a lor di- fesa quella torre in riva al mare. I genovesi comprarono Taggia assieme a Diano , al Porto Maurizio, ed alle ville di S. Giorgio e di Dolcedo dai march. Odone e Bonifazio di Clavesana, l’anno 1228. Sul torrente Argentina sarebbe indispensabile un ponte, poichè quello presso il borgo di Taggia rimane distante dalla strada oltre a 3000 metri. Il paese così detto Riva di Taggia, ove si seccano le zucche di quel territorio delle quali si fa commercio col Geno- vesato e co’ forestieri, è distante dall’ Argentina m. 2079. Qui la strada passa lungo il lido del mare, ove trovasi un piccolo torrente che manca di ponte. Appresso è S. Ste- 8 fano, paese lontano dalla Riva'1400 metri. Fu esso antica- mente detto pian della foce; s poichè il paese di S. Stefano era prima più alto e su d’un monte, ove si vedono pur- ance le rovine delle case. Prima del Porto Maurizio s'in- contrano sulle due sporide del fiume Bodo due paesi ‘col nome di S. Lorenzo: uno è detto S. Lorenzo della Len- gueglia, dal vicino contado di Lengueglia , ove ebbe ori- gine la nobile famiglia di questo nome, e di cui tenne pri- mo il reggimento Anselmo di Quaranta, ig concessione dell’ imperatore Federigo nel 1162: l’altro è San Zoren- zo del Porto, così detto dalla vicina città di tal nome. Da Santo Stefano al torrente Bodo la strada non è che trac- ciata; e sarebbero necessari tre ponti sui rivi che vi s' in- contrano, senza comprendervi quello del Bodo. Lungo questo sentiero s’ incontrano due antiche torri, e a poca distanza, verso la montagna, si vede il paese di Costa Rai- nera (costa balene). Da Santo Stefano al Porto Maurizio la distanza è di m. 10200. La strada dopo il torrente Bodo è pari- mente tracciata, e vi si fecero dei seliciati onde renderla praticabile nei tempi di pioggia. Si traversano in questo tratto il torrente Prino, che scende dalla valle di Dol- cedo , e due altri piccoli rivi del Ponticello e del Pog- gio, mancanti tutti di ponte. Passato il Prino, finoal Porto si seguita l’antica strada. Il torrente Caramagna a po- nente del Porto Maurizio, ha un antico ponte che non po- trebbe servire alla nuova strada, tracciata verso il mare, intorno al piccolo promontorio su cui è situato Porto Mau- rizio. Il nome di Porto che viene dato a questa città, ha forse origine dall’ antico porto che vi era da levante, ora quasiriempiuto. Esiste però tuttora l’antico molo con una torre ove si legge: che fu esso accresciuto di 120 piedi, e dai Mori che qui ebbero lunga dimora chiamato il Zuogo Morisse. I paesani lo chiamano forse Maurizio dal santo ti- tolare della cattedrale. La città è cinta di forti muraglie 9 co’ loro baluardi, fabbricati per ordine dei genovesi nel secolo xvi. Il suo territorio , fertile d’olio e d’ ogni qualita di frutta, fu già diviso in tre parti, dette i Zerzieri di San Maurizio, di $S. Tommaso, di S. Giorgio. La popolazione è qui di circa sei mila anime: v'ha un bello spedale e scuo- le pubbliche: la chiesa di S. Giovanbatista fu già com- menda dei cavalieri di Malta. Vicino al Porto, a levante del fiume Impero, che manca di ponte, è Oneglia. Que- sta parte di strada è carrozzabile, ed è di m. 3140. Oneglia fu principato dei D’ Oria, che nel 1295 ne fecero acquisto da Niccolao Filiberto vescovo di Albenga. Appresso l’ ebbe il duca di Savoia Emanuele Filiberto da Gironimo Doria nel 1576.: fu poscia nel 1801 aggregata alla Liguria Nel distretto d’Oneglia nacque il grande An- drea Doria nel 1466, secondo il Capelloni ed il Casoni , e nel 1468 secondo il Sigonio. Questa città è sul lido del mare e cinta di mura, in mezzo a amena e fertile valle. Vi sono molti conventi, alcuni oratori ed uno spedale: la chiesa parrocchiale è prepositura collegiata. Il principato d’Oneglia confinava da ponente col Porto, da levante con Diano, da tramoutana col marchesato del Maro e col con- tado del Bestagno. Da Oneglia parte una nuova strada per il Piemonte, che, traversando la valle, passa alla Pieve di Albenga. Fra Oneglia e Diano Marina; distanti fra loro m. 5311, la nuova strada abbandona la riva del mare per salire sul capo chiamato Berta. Questa strada non è in buono stato, sebbene sieno già costrutti i ponti sui rivi che vi s'incontrano ; anzi in quella parte ove scende a Diano ‘fu abbandonata, e le si preferisce la vecchia, che passa presso la chiesa di S. Erasmo. Diano Marina è così chia- mato per non confonderlo con Diano Castello, paese dentro terra da cui era dipendente. Il territorio è qui fertile di o- lio a segno, che si pretende ascendervi ne’tempi di buona «annata a 100 mila barili. Diano Castello sul fine del secolo (x1I visse più anni in libertà, reggendosi a comune con pro- \ 10 pri statuti.Di que’ tempi una galera armata di tutto punto a spese degli abitanti di Diano, ebbe parte d’una vittoria ri- portata sui pisani dai genovesi: ne fa testimonio un’antica pietra del pubblico palazzo, su cui sta scritto. Pisarum classis nostris victoria laeta, Diani cujus causa fuere viri. Dalla marina di Diano al Cervo non esiste che una strada assai piccola, attraverso gli ulivi. Questo tratto è in pianura, di m. 3261: vi s'incontrano tre torrenti, uno'a ponente di Diano, l’altro a levante, il terzo presso il Cer- vo, passato il santuario della Madonna della Rovere. Il Cer- vo è paese posto in luogo montuoso. Gli abitanti fanno commercio del loro olio, e si occupano nella pesca de’ co- ralli: la loro parrocchia è una gran chiesa d’una sola nave. Fatto il giro del vicin capo su cui è una torre, e dopo un piccolo seno di mare trovasi, a levante del fiume Meira, la marina d’ Andora. La sua valle , che si estende a più di sei miglia in lunghezza , fu già molto popolata, siccome il superiore paese di Castello, ove anticamente teneva u- dienza il podestà di Laigueglia tre volte la settimana . La terra è qui tutta sparsa di oliveti e di viti, abbondante di grassi pascoli, offrendo qua e là gli avanzi di antiche case. Lungo il capo del Cervo fino allà valle suddetta la strada non è tracciata, nè sarebbe difficile ad ultimarsi, tolti al- cuni luoghi soggetti ad avvallamenti. Lungo poi la spiag- gia di Andora, e per 600 e più metri a levante del paese, la strada sarebbe disagevole a farsi a cagione della ghiaia: senza che all'oggetto di praticare un ponte sul torrente di Andora, bisoguerebbe prima fabbricarvi degli argini. La marina di Andora è distante dal Cervo 4300 metri. Il suc- cessivo promontorio che sporge sì avanti nel mare, fu, a detta di Girolamo Demarini, chiamato della Meira, a Mei- ra fluvio praeterlabente nomen sortito; ora comuvemen- te vien detto delle Mele. Questo capo ne’ bei giorni sereni, di cui non è avaro il nostro cielo, è l’ultimo punto della x 1ì riviera di ponente che possa scoprirsi da Genova, Il primo paese dopo il detto promontorio è Laigueglia. I suoi abi- tanti sono dediti esclusivamente alla navigazione, e per mezzo delle loro navi furono un tempo terribili ai pirati dell’Africa, accumulando insieme molte ricchezze col traf- fico più industrioso. La distanza di Andora a Laigueglia è di m. 5200. La muova strada è già in gran parte tracciata a poca distanza del mare nelle sinuosità del.capo delle Mele; dove che l’an- tica passava sulla di lui sommità, nel sito detto Colle dei Micheli. Da Laigueglia ad Alassio il sentiero è sulla spiag- gia per m. 2789. Alassio è un borgo murato, in riva almare, tra più ragguardevoli della riviera: la sua popolazione è di sei mila anime. È ricco il suo traffico con le tonnare di Sardegna, per la pesca dei coralli, e pel suo porto naturale detto la Fossa. Da Alassio ad Albenga, la distanza è di m. 6600. La grande strada passava al capo S. Croce. più vicino al mare, fino al capo Vadino; ora dopo S. Croce non ne esiste più traccia di sorta. Si riprende quindi la strada vecchia; la quale si allontana dal mare circa 1000 metri. Il ponte sul torrente Centa è stato costrutto da ‘non molto ‘mel sito ove deve passare la nuova strada, che segue raden- do al sud le mura di Albenga , nella parte ove sono due antiche torri, | Albenga è città vescovile, già municipio dei romani, chiamata da Tolomeo, da Plinio, da Strabone e da Pom- ponio Mela Albingaunum, Albia ed Alba Ingaunum . Papa Alessandro LUI. fece il suo vescovo suffraganeo all’ar- civescovo di Genova. Aveva Albenga il diritto di eleggersi un commissario generale non dipendente che dal senato di Genova, ed un vicario per le cause civili. Sono in essa vari conventi e monasteri, un collegio, un seminario, e due ospe- dali. Èsituata in mezzo di fertile pianura , ed il suo ter- ritorio abbonda di vino, di biade e di canape : le colline all’intorno sono messe a ulivi. Le mura della città sono 12 d’antica costruzione: da levante è un vecchio ponte di 22. archi di pietra bianca, o.sì veramente di cemento, in gran parte sepolti. Forse questo ponte servi già per varcare il fiume Centa, che avendo mutato il suo corso, scorre ora lungo le mura della città dalla parte opposta. Presso quel ponte si trovarono alcune rarità, degne di occupare l’atten- zione degli archeologi.Da questo luogo la strada; procedendo nella pianura, è quasi fatta; vi mancano però tre ponti, e si potrebbe dir quattro, perchè uno che vi esiste non dà adito alla vetture. Albenga conta fra suoi concittadini due imperatori romani, Pertinace e Procolo; ma il primo nac- que più verosimilmente in Vado. Il battistero della cat- tedrale è fatto alla gotica, con colonne di granito. V' hà chi crede aver esso già servito all’antica cattedrale, e chi . porta opinione ch’ egli fosse un piccolo tempio di Diana. Vicino ad Albenga, a sirocco di Alassio, quasi un miglio lun- gi dal lido, vedesi la îsoletta Gallinaria o Gallinara. A ri- cordo de’più vecchi del luogo, fu già essa lontana dalla spiag- gia un tiro di pietra. Nell'anno 1169, per bolla pontificia, n’ebbe possesso l’abbadia diS. Martino, assieme a molti pae- si, luoghi e chiese de’dintorni. Però nell’anno 1305 quei pa- dri bertedattin vendettero tuttele terre che possedevano nel territorio d’ Alassio, col diritto della pesca di quest'isola al comune di Albenga. La Gallinara ha tre miglia di cir- cuito; è cinta di scogli quasi da ogni parte, tranne da tra- montana, ove offre un adito a guisa di porto. Il suo terreno è suscettivo di coltivazione; pure è disabitata: solo i coni- gli vhanno i lor covi. Un antico monastero di benedettini in rovina, ed una piccola torre, sono le fabbriche che vi si osservano . Quest’ isola servì un tempo di riparo al porto Vadino, così detto dal capo di tal nome, il quale fu distrut- to dalle alluvioni del Centa. Fra Albenga e la Marina di Finale souo alcuni paesi chiamati il Ceriale, il Borghetto, Loano e la Pietra. Ce- riale è un borgo in riva al mare, già governato da un con- 13 sole locale eletto dal popolo, e soggetto a sindacato. Nel- l’anno 1637 fu saccheggiato da 8 galere turche. La strada che riesce al Ceriale, distante da Albenga m. 5400, po- trebbe in tempo di pioggia divenire pericolosa a chi non ben la conosce, atteso gli scoli della montagna: vi manca un ponte al poneute del borgo. Il Borghetto è un, paese murato, al quale scorre vicino il fiume /aratella. Le sue strade si tagliano ad angolo retto, e nel bel mezzo è una fonte d’acqua purissima. Ebbe un governo uguale a quel- lo del Ceriale, e furono entrambi soggetti ad Albenga. $o- pra'la strada tra il Ceriale ed il Borghetto , nella distanza di m. 1500, sono le rovine d’un convento sul vivo sasso col titolo di S. Spirito, donde ha nome il capo su cui è costrutto. Questo capo è alla estremità di una catena di monti; che servi a formare la linea dell’ a rmata francese nel 1795; quando si oppose ai; movimenti di quella del generale Dehvins. Dopo il'Borghetto, sul fiume di Z'oira- no bisoguerebbe costruire un ponte, restringendone prima l'alveo: questa operazione vantaggio sa alla coltivazione dei luoghi vicini, sarebbe per altro di grave dispendio. Qui addentrandosi un miglio e mezzo verso i monti, tro- vasi lungo il torrerite il borgo di Z'virano; sopra il quale ed alle falde del monte Varatella è nel vivo sa sso una va- sta grotta, degna di curiose osservazioni. Pria d’entrarvj s' attraversa una piccola piazza, e si va nella casa dell’E. remita, che mette nell’oratorio, tutto formato dalla cavità del monte, lungo ben 82 palmi ed alto 45. In cima è la cappella con. la statua di S.Lucia, onde ha il nome la grotta; indi mon distante più. che 25 palmi è una fonte d’acqua, che per mezzo d’ un canale scaturisce sulla piazza accanto alla casa. Dopo.la fontana, passando avan- ti, si può comodamente percorrere uno spazio di 1270 palmi, dopo il quale è forza per oltre proseguire ado- perare la scala. AI mezzo giorno di questa grotta, pochi passi distante, ve n° ha un’ altra quasi alta ugualmente, “U 1 4 ma di molto minore lunghezza: si trova pure in essa una sorgente di acqua limpidissima: La distanza dal Borghetto a Loano è di m. 2700. $*it- contrano in questo tratto di pianura tre rivi, su cui sono necessari tre ponti. Sarebbe pur d'uopo alzare il piano della strada; perchè la campagna essendo bassa, è soggetta a frequenti inondazioni. Loano è paese cinto di mura , ed arricchito dalla famiglia Doria che n’ ebbe la signoria, di chiese, di belli edifizi, di fontane e deliziosi giardini. Nel 1612 il principe Andrea Doria fondovvi il convento del monte Carmelo ove sono le sepolture di sua famiglia . La strada da Zoano alla Pietra, che ne è lontana, e quasi in linea retta, 2600 metri, non sarebbe malagevole essendo in pianura; vi s'incontrano però tre rivi senza ponte, oltre che quello sul torrente all’ Est di Loano è troppo elevato per essere utile al commercio. La Pietra è posta in mezzo un bel seno di mare, con un subborgo dall’ una e dall’ al- tra parte. Da levante, sopra uni alto scoglio, è un castello quasi distrutto. Vuolsi per tradizione che qui fosse un por- to, e sono di vero nelle mura del castello due anelli di ferro che pare dovessero servire a raccomandarvi i bastimenti . Ora al castello ed al mare sono frapposte due file di case, e la spiaggia. La Pietra appartenne al marchese del Carretto, poscia alla sede Apostolica, e finalmente alla repubblica di Genova, cui da Papa Urbano VI fu data in pagamento di 70000 fiorini, valore di ro galere armate in di lui dife- sa. Passato il fiume a levante della Pietra, indi non molto distante e a destra del torrente Lottasaro, trovasi il casa- le di Bozzi, e quindi Finale Marina. Il suo sito è fra due torfenti e due capi con sopra due torri, la prima detta Ca- pra Zoppa, l’altra Colombaria. È' questo un borgo distinto, molto popolato e di gran traffico, massime per le ferriere sparse pei luoghi che lo intorniano. La sua cattedrale è di ben’intesa architettura, e forse la più bella di questa ri- viera. Vi sono due oratori, due conventi ed un collegio, 15 non che un santuario de'padri olivetani detto N. S. di Pia. ll paese è difeso da' una fortezza detta Castelfranco, fab- bricata nel 1355. La Spagna lo aveva in vari tempi mu- nito di nuovi forti, che furono poi smantellati. Fu preso e saccheggiato dal re longobardo Rotari, e dal doge Boc- ‘caniegra fu fatto rovinare il suo antico castello. Tra Bazzi e Finale, l’attuale strada abbandona al- quanto il mare per salire il promontorio della Capra Zop- pa. ‘Lo sviluppo di questa strada è di circa m. 3000, e sa- rebbe impossibile:di renderla: atta alle vetture, special-. mente laddove scende a Finale . È tutta montuosa ed in terreno inculto; solo vedonsi a. qualche distanza degli olivi piantati fra gli scogli; i quali fanno fede: della industria degli abitanti di que’luoghi . La nuova strada s che non è pure tracciata, deve rimanere più presso al mare, edavrà uno sviluppo di 2800 metri lungo la spiaggia, e di m. 600 intorno alla Capra Zoppa; monte sparso di buche che po- trebbero meritare qualche osservazione. Il torrente che scor- re appiè di questo capo manca di ponte: la spiaggia che è tra esso e quello di Pia ha un ’estensione'di m. 1600, ed il mare da qualche tempo vi aveva fatto sì gran danni,da minacciarne i principali fabbricati! di Finale. ‘A pronto riparo furono credute oppor tune varie glittate di pietre, le quali in fatti fecero aumentare ‘la spiaggia. Sul torrente di Pia, che prende nome dal santuario a levante, è un pon- te assai ben costrutto con piet re del paese, il quale potreb- be servire ‘alla‘muova strada. Dista ute-circa un miglio dal mare è la città di Finale, detta il Borgo,onde distinguer- la da Finale Marina. Fu essa posseduta successivamente dai marchesi del Carretto, da tre Filippi re delle Spagne, III, IV e V di quel nome, e dall'Imperatore Carlo VI, che poi la vendette con sua guarentigia ai genovesi nel 1713. Filippo V. vi rinunciò solennemente nel 1725 col trat. tato di Vienna. Apresso; la regina d'Ungheria la cedette al re di Sardegna nel trattato di Vormia s e fu detta ces- < 16 sione origine ( vid, Castrucci Bonamici de Bello Italico lib. 1) alla guerra del 1746 e 1747. Il territorio è qui fer- tile di olio, di vino, di. limoni, d’ aranci e di mele squi- | site, e folto di boschi d’abeti. Sono al Borgo due conventi, un monastero, un collegio ed uno spedale . | Dopo la Marina di Finale, lungo la spiaggia è il ce, sale di Varigotti. Fu già esso città con castello, di cui si vedono i vestigi; econ porto del quale esiste la torre che forse servì di fanale. Da Finale a Varigotti la distanza è. di 4300 metri; e la strada passa sulla montagna a qual-, che lontananza dal mare. La nuova strada che deve ri-, manere vicina alla batteria del Castelletto ed alla torre di | S. Donato non sarà di sì facile costruzione, perchè il ter-, reno in questa parte ha poca! stabilità, ed è molto acclive.; gli ulivi che vi si trovano, sono sostenuti da varie muric- ce. Il giro del capo di Varigotti è di 400 metri; e la strada attuale passa alla gola dello stesso. Lungo la spaggia, for-. matasi nel sito della stazione di Vabigpttij, la strada at-. traverso della sabbia sarebbe difficile a farsi per ben 1000 metri, sino cioè al ponte del Malpasso. Dopo questo pon- te la strada continua intorno al capo di /Voli, ove lo scavo nello scoglio è già fatto per metà . All’estremità. poi del. capo; fu praticatoluno squarcio nel monte in forma di gal- leria: indi la strada seguita fino alla spiaggia di Noli. Da Varigotti a Moti la distanza è di m. 3600. È da notare che la nuova strada da Finale a Noli è decretata, e che ne fu già messa in appalto una porzione. La città di Noli fu tra le più forti e più ricche della riviera, ma è ora de- caduta dall’ antica prosperità. Godette libero e proprio governo dappoichè, sugli ultimi anni del secolo XII, ebbe comperata dal marchese Enrico, che n'era signore, la sua indipendenza. Si chiamò città quando venne innalzata al grado di sede vescovile; onde quel verso Urbs meruit dici mutato nomine vici. Il lido di Noli abbonda di buona pesca; e presenta un ca porto formato dalla natura. Il suo vescovo è ora quelle di Savona, che assume tal doppio titolo. Dopo Noli comin- cia la strada carrozzabile: non e però ancora perfezionata. Il primo borgo che s' incontra lungo la spiag gia è Spotor- no, già appartenente ai papi, che poi assieme alla Pietra ed alla Costa di ai o Yado lo cambiarono co’ genovesi colla città di Corneto e sue adiacenze, cedute alcuni anni avanti alla Liguria da Papa Urbano VI. Qui si fa gran commercio di vino. Il prossimo casale è Berzezzi o Ber- geggi, solo da nominarsi per la bella grotta che vi si tro- va al disotto, e per la isoletta che ha di contro, detta di Berzezzi e di S. Eugenio. È tradizione che questo santo, cacciato dall’ Africa dai vandali, dopo avere ridotti alla fede i popoli di Sabazia, qui terminasse in pace i suoi gior- ni. Si entra nell’isola per mezzo d’ uno scalo: non v'ha che un ‘pozzo d’acqua dolce profondo 80 palmi, e le rovi- ne di un monastero. Sui torrenti di Noli e di Spotorno sono necessari due ponti, oltre a due altri su piccoli rivi. La distanza da Noli al torrente di Spotorno è di m. 2900. Alla discesa di Berzezzi la strada abbandona la spiaggia, e seguita la sinuosità della montagna fino al capo di Vado. Il golfo che qui si presenta, capace di contenere una numerosa armata, è detto il porto di Vado, e fu chiamato dai romani un tal luogo ada sabatia. È difeso da due forti; ed in quello detto il fortino, risiede ora un vite console di marina. La punta del monte, su cui è fabbricato l’altro forte di S. Giaconao, sporgendo alquanto in mare, pone a ridosso il porto dal vento libeccio che è la traversìa della costa. Sovra questo forte di quattro baluardi ne era stato costrutto un altro detto di santo Stefano , nel scolo xvi, che fu non molto dopo smantellato: e nel vero era affatto inutile, perchè dominato dall’erta del monte. In vari scavi fatti da ponente, per la fabbrica dell’antica fortezza nel 1669, si trovarono molti idoletti di bronzo e di marmo, e varie monete con le sigle S. C, e V. S, che furono inter- I. X. Aprile 2 PA 18 pretate ada Sabatia e Sabatia Civitas. Il borgo di Vado è a levante del fortino, al di là del torrente della Z°alle del Segno. E qui vicino al paese un elegante casino della, fa- miglia Mari. La distanza da Spotorno a Vado è di m. 7300, e dal fortino sino al fondo del golfo la strada è ultimata; mancano solo i ponti sui torrenti Mattogno e fiumara di Fado. Tra Vado e Savona sono le Fornaci, paese così detto perchè vi si trovano molte fornaci dalle quali trae la Liguria le tegole ed 1 mattoni, che in gran quantità si adoperano nelle fabbriche. Passato il fiume Lavagnola, che è nel sobborgo della Consolazione, si entra in Savora per porta Bellera. Questa città, che giace presso gli Appennini, ha un recinto pieno. di buoni fabbricati, sebbene non molto popolato . Fu di- chiarata libera dalla suggezione de’ marchesi, e confermata repubblica con più diplomi degli imperatori Ottone IV, Federigo II, Carlo IV e Sigismondo. È antica sede vesco- vile, e la sua origine si nasconde tra la nebbia degli anni: di che non tralasciò Agostino Maria Monti, che ne compilò la storia sul fine del xvn secolo , di favoleggiare : che la edificò Giaffar primogenito di Noè, che se ne impadronì Priamar capitano cartaginese, che fu poco dopo distrutta dai romani, e riedificata da Sagone il quale le diede nome di Sagona, nome corrotto poi in quello di Saona o Savona. La sua fortezza, la più bella che si trovi nelle riviere, è ora cccupata da un corpo franco. Ebbe un tempo questa città un comodo porto; ma essendosi più volte ribellata a’ genovesi, nel 1525 fu multata di 25 mila scudi, e dovet- te pagarli. Savona fu patria dei papi sisto IV e Giulio II, di molti cardinali, e di vari uomini illustri, fra quali è da nominarsi il Chiabrera, che più d’ ogni altro poeta italiano emulò le grazie di Anacreonte e l’ardire di Pin- daro; e Leon Pancaldo scopritore delle Molucche (1). Aspi- (1) Nell’oratorio di S. Caterina era dipinta al di fuori la sua 19 rò alla gloria di aver dato i natali a Colombo: ed il Chia- brera, credendo di aver avuto comune la patria col grande nocchiero, lasciò scritto nel dare un'immagine del suo poe- tare: ch'egli seguia l'esempio di Cristoforo Colombo suo ctetadino;: ch’ egli volea trovar nuovo mondo o affogare. Quattro bei quadri di Savona furono portati a Parigi, allor- chè il genio francese amò d’imitare i romani nella grecia. L’Epifania del Durero,che è all’altar maggiore della parroc- rocchia di S. Giambatista; e due antichi quadri della chiesa di San Giacomo, il primo de’ quali è una dipintura del 1495 in 8. ripartimenti di Ludovico Brea; l’altro è lo sposalizio di S. Caterina, e v'è scritto Tucius de Andria hoc pinxit opus 1487. Del quarto non so: Savona più nol riebbe. La pianura intorno a questa città, benchè si estenda a po- che miglia, è però ben coltivata e ferace di buoni frutti primaticci. Fra ponente e tramontana , a quattro miglia circa dalla città, è il tempio di N. S. di Misericordia, fre- quentato con gran divozione dai nostri maggiori. Allato alla chiesa setta piazzà sonovi ottimi fabbricati, che ser- vono di Ospitale ai poveri è agli orfani, di conservatorio per le vedove e le zitelle, e di albergo pei forestieri. Entro alla chiesa, dipinta a fresco da Î FRENO Castello, merita di essere vedutò un basso rilievo del Bernino, esprimente la visita della Madonna a S. Elisabetta, ed un bellissimo quadro che gli sta in' faccia, della presentazione della Vergine al rad bi quadro viene generalmente at- effigie co'seguenti versi da lui composti, con lingua e rime vera- mente marinaresche ; Io son Leon BI sa vonese Che il mondo tutto rivoltai a tondo: Le grandi isole incognite e il paese D’antipodi già vidi, e ancor giocondo’ Pensavo rivederlo, ma comprese L’invitto re di Portogal, che al mondo Di ciò lumi daria, perciò con patti Ch'io non torri mi diè mille ducati. 20 tribuito al. Domenichino; ma v' ha chi ne muove aclun dubbio ragionato. Da Z'ado a Savona la strada è buona; percorre lo spazio di 5500 metri, e vi, mandano i due pon-, ti de torrenti Molinero e Riaria. . tà Y via Da Savona ad Albisola è stata. progettata u una nuova, strada verso il mare; si continua però a passare ‘dalla vec- chia, che presenta due cattive discese verso Savona e yerso, Albisola, la prima detta la Tagliata, l'altra la Chiappata. Al- bisola è un borgo sul lido del mare: il suo territorio è fertile in vino, olio e gelsi. Ebbe un tempo due parrocchie , che, il vescovo di Savona Francesco Costa, onde imporre fine, alle loro perpetue gare, riunì in una sula; erigendo la chie-, sa di S. Maria della Concordia. Albisola ha Da fabbricati, tra i quali si distinguono i palazzi Mari e Durazzo. Questa Albisola non è da confondersi coll’ altro borgo, a levante. del vicin fiume e più dentro terra, che però dicesi Albisola superiore. Da Atbisolara Celle la strada è ultimata; manca , solo la parte che dee traversare il paese, ed un ponte sopra il torrente che vis’ incontra. Il paese di Celle fu un tempo soggetto ai marchesi, del Carretto assieme ad Albisola e Varrazze, e vennero, tutti in dominio della repubblica sotto il doge Boccanegra. Nella sua chiesa di S. Michele, all’altar maggiore, è una tavola di Perino del Vaga. Tra Celle e Varagine sono osservabili tre belle spiagge, quasi ugualmente distanti l’ una dall’altra; sono esse chiamate de’ Piani, del Rinchiuso,dell’ Arenetta. Vicino a quest'ulti- ma trovasi il vico di /arazzo o Yaragine. Il suo sito è fra due capi con sopra due torri. Questo paese murato con due subborghi, uno a ponente detto il Borghetto, ove si fab- bricano bastimenti d'ogni specie; l’altro a levante nomi- natò il Solaro, fu già chiamato Vico della Regina e della Voragine, e Castello della Vergine. Le due valli che lo cir- condano sono fertili ed'amene; e di ‘là da” Gioghi si rica- vano molti legni da costruzione. Qui nacque il celebre fra Giacomo, che fu eletto da Niccolao IV .arcivesovo di Ge- ai nova, ne dettò le Cronache fino al 1295, e per le sue vir- tù meritò il titolo di beato. La strada da Celle a Varazze; ‘(tranne tre' ponti ‘che’ mancano, è terminata: la distanza poi fra Savona e Varazze, è di m. TT P «lex Fra Vardzse € Cocoleto il littorale è sparso di trat- ti'di spiaggia ‘€ ‘piccoli seni, è trovasi 'a ‘mezzo cammino rInvrea detto anche'?Z [mperiale. Questo ameno luogo fab- bricato nel 1192 per le monache di Gistello; è CRI NINE S. Maria dell’'Areneto', fu poscia possediito dallo: spedale di Pammatofe ( ‘di Genova); € finalmente: «dalla casa Im- periale. Vi è un'bel palazzo < con allato ‘deliziosi giardini, e vari serbatoi di' acque che comunicano fra loro. Nell’an: tica chiesa si osservano duè lapidi,’ una del 1 272, e l'altra dell’anno inhanzi Dungo il fiume Arestà'èil'celebre ere nio de’ ‘padri LatiaUlianbI: ‘al quali l'anno 1615 il comune di' Varazze accordò il sito per' ‘tale’ fondazione. Il luogo ‘è solitario’ ‘e ‘sparso di belli albeteti'; ‘posto fra due rami ‘del fiume .é cinto di mura: Cocoletò è'ùmbel paese a levante'del tortente Riumaro: vi sonovdelle fornaci per la calcina. Cos coleto si gode lungamente! nell? opinione popolare Vl onòre di‘aver datò i natali a 'Colonibo! Sivsa che: Savona vi aspi” ròy perch èi vi fece'dimora, eclhie Quinto; Nervi e Genova? entrarono la parte” della‘ nobile sara: Ma. Genova cessò fit nalmente ogni disputa!con'invitti argomenti! "Se dopo' la mieimbria degli accademici'Serra, Carrega e Piaggio, e quel- le' del Brainiolià, del'Bossi e'del »padre” Spotorno “sembrasse ancora incerta la’ palma; chi: oserà' più muoverie dubbio all’tidibe«Golombo'cosò parlare nelisuo?testamento? Que siero yonacido: er Genova +! evilo natural d''ella | yen ellanacìlDaWardize alla; Invrea} dalla Znvred va Cocoleto, la siràda'manca”dei ‘porti dell'Arcota e del Ru maro:) Mauca pure il ponte sul'torrente Zeirone, ove la strada d’Arenzano,‘abbenchè verso'il maré:sarebbe statà più:comoda, volge alla'montagna:)Lia discesa al detto pae- se non è ultimata; e mancanodue ponti sopra»piccoli rivi. 22 Il borgo d' 4renzano è per la sua pesizione favorevole al commercio edalla costruzione de’bastimenti.Qui è una bella spiaggia fra due capi, uno detto la Punta , l’altro Castello del tm dalla torre che ha sopra . Da Arenzano fino a Voltri la strada è andata sogget- ta a molte rovine, nè fu mai convenevolmente riparata : senza che è molto disagevole pel difetto di due ponti. Tra que’ due paesi è la bella villa di Vezema; già monastero ed ora appartenente alla famiglia Mari. La chiesa di S. Pietro che vi è, fu fatta ristorare nel 1260 da Adda figlia di Alberto-del Vento. La distanza da Varazze a Voltri è di m. 17990. Qui mancano due ponti principali; del resto la strada fino a Genova è in buonissimo stato. Il paese di Voltri è tra i due torrenti Cerzsia e Leira. È ornato di belli edifizi, e sono celebri in tutta l'Europa le sue fabbri- che di carta, che formano,la ricchezza del luogo. È distin- to in tre borghi detti della, Cerusia, della vu e di Ga- tega. Ha quattro conventi; sei oratori e 3 castelli ., La sua giurisdizione abbracciava vari comuni di que’dintorni.-Nel- la chiesa di S. M. degli Augeli, la tavola del battesimo, di Cristo è del, Tintoretto. Voltri possiede nel suo circon- dario due sorgenti d’ acqua sulfurea, una detta dell’acqua santa, l’ altra. della penna..La prima trovasi al nord di- stante tre miglia, sopra una eminenza ove si costeggia; il Leira per comoda strada) resa/deliziosa dai salici,e casta- gni che la fiancheggiano, e dai numerosi edifizi di carta che vis’ incontrano, Sopra.la; sorgente dell’acqua vi è un piccolo santuario, e non lungi un; tempio, in onore. di N. 8. Qui Varia è pura; allontana ogni, malattia eudemiea; e dà agli abitanti vita lunga € udiatinià masso onde esce la sor: gente, cui la credula pietà dei maggiori attribuì virtù più che umana, è uî serpentino verdiccid. L'acqua scaturisce da un tubo del diametro di un pollice, e cade in'un bacile di pietra; donde riesce. per un condotto sotterraneo in una piccola vasca; che la versa poi nel.-torrente.a sinistra, de- 23 ponendo un sedimento bianchiccio. La sorgente è perenne. L'analisi chimica di quest’ acqua non basterebbe forse a dimostrarne la eflicacia quanto alle sue virtù medicinali ; . ma una lunga esperienza viene in supplemento alla teoria. Il medico Gaetano Vacarezza, che fu primo a consigliarne l’uso a modo di ‘bagno verso l’anno 1791, fornì all istitu- to ligure una lunga serie di felici guarigioni, ottenute col solo mezzo di queste acque. La seconda sorgente è situata al N. Edi Voltri, al S. E. della prima, e ne è distante circa un miglio. È detta la Penna, perchè tale è il luogo montuo- so donde ‘scaturisce. La strada che vi conduce è molto ri- pida e scòscesa, tra siepi e massi di rozzo serpentino. Qui l’ acqua scaturisce da una fenditura che è nel monte, e si mescola ad un riv vicino, formando un piccolo lago, e de- ponendo! pure ‘alle sponde una ‘crosta biancastra. L'acqua di questa sorgente è più che l’ altra abbondante. La sua temperatura è di 16 a 18 gradi di Reaumur: è diafana, ed ha un sapore analogo a quello déll’acqua di calce con leg- gero gusto-di ‘solfo. Dall’analisi' fattane nel chimico dabo ratorio dai professori, L. Deferrari e G. Mojon, si'ottennero dei risultati conformi a quelli somministrati dalla prece- dente . Voltri è distante da Genova dieci miglia italiane da 75 algrado: Da Voltri a Genova la-riviera non potrebbe pre- sentare più bei punti di ir e luoghi più ameni' e più abitati. Prima di Pegli s'incontrano i paesi di Palmaro, Sapello e Pra, luogo ove si fabbricano molte navi, ed ove esisteva un tempo una fortezza detta Castiglione. Pegli è un borgo delizioso per la-temperatura dell’aria, anche nel verno. Sono degne di essere vedute le sue tre ville Lomel- lini, Grimaldi e Doria. Nella prima si trovano prati, ca- nali, cascate, boschetti, un lago, un teatro ed un romitorio chinese. Nella seconda è una. rara collezione di quadri dei più celebri pittori, ed'un giardino botanico in cui sì pos- sono coltivare le piante più delicate, a cagione del dolce 24 elima del paese. Nella terza sarebbero ammirabili igiar s. nì, il folto bosco ed il lago, con in mezzo un’ isoletta, ope- ra di Galeazzo Alessi descritta dal Vasari col nome di fonte di Adamo Centurione, se molti canali, che produ: cevano qua e là bellissimi zampilli, fossero nell’ antico stato. Le adiacenze di Pegli (1) offrono molte/produzioni naturali, che potrebbero avere influenza nel sistema della economia rurale. Le montagne di Serpentiuo che circon- dano il paese, e priasipalmente il monte Gontessa, vicino al torrente Varenna, sono ricoperte di amianto e di fi- nissimo asbesto, suscettivo di essere ridotto in carta ed in filo. Il lido della Varenna offre una grande quantità di rnarmo nero, che per la sua bellezza e le sue qualità somi- glia al verde antico. A Multedo tra Pegli e Sestri, sulla riva del mare, è una sabbia ferruginea, nera, che può esse- re attirata dalla calamita; e non soffre l'azione degli acidi. Passato il Yarenna, è Sestri, borgo popolato ed or- nato di molte villeggiature. Nella sua chiesa parrocchiale è il quadro di S. Carlo, di Camillo Procaccino. Trascorsa questa bella spiaggia s'incontra la Badìa di S, Andrea, {1) Michele Imperiali, nel secolo scorso, fece costrurre a proprie spese tre ponti, nelle vicinanze di Pegli. Uno era sulla Varenna, ove è ora quello di legno; l’altro è nel paese di Sestri, e sì alto e sì stretto, da non passarvi che a piedi: del terzo non saprei in- dicare il luogo precisamente. Nel primo era scritto, sopra due ri- ghe di musica, Jean danse bien, Pierre danse mieux que Jean; ils dansent bien tous deux. La bella iscrizione del secondo, cui mi . duole di non avere, fu tolta dal ponte, e recata a casa del sindaco del paese. Ecco la curiosa iscrizione del terzo: Michael. Impe- rialis—Emi: Cardis. Cosmae. frater—Egre. ferens. fratrem. AE- tate. minorem — dignitate. esse majorem — duobus. proximis. ab. oriente—pontibus. extructis—tertium. hunc. reficiendo— ad. ho- norem.SS.Triadis — hic. tertio. pontificem. se. fecit—L’autore di questi ponti e delle iscrizioni è quello stesso Imperiali, che nel bizzarro suo testamento, dopo avere oppugnato seriamente e con argomenti di teologia la dannazione di Giuda , lasciò un legato di . alcune uovsse per l’anima di lui, ‘95 ora convertita in fortezza: Appartenne essa nel 1146 al beato Giovanni monaco camaldoiese: vi dimorò nel 1223 S. Alberto laico cisterciense: nel 1244, quando l’armata genovese, evitate le insidie di Federigo e dei pisani, portò in. Genova Papa Innocenzo IV, venne questi a ristabilit- vi la sua salute. Nel secolo xv fu ridotta in commenda del cardinale Riario nipote di Sisto IV; finalmente Pio V l’aveva assegnata all’inquisitore di Genova. Il monte del Garzo vicino a Sestri è tutto calcareo, e dalla. parte di levante presenta una grande apertura, che conduce ad una caverna nel seno della montagna, opera della natura. L’in- terno di questa grotta è sparso.di stalattiti, alcune delle quali scendono fino a terra a guisa di colonne. L’alabastro di queste stalattiti, detto del Gazzo, è gialliccio, quasi tra- sparente, e capace di un bel liscio. ZZ monte della Guar- dia, distante sei miglia da Sestri, abbonda di filoni piri- tosi che contengono molto rame, e dai quali si estrae del vitriuolo e del sale d’ lnghilterra. Questo monte; su cui è un santuario di N. S. solennizzato con grande concorso il 29 di agosto, è alto dal mare circa due mila piedi: è al N. O. di Genova, e confina a levante con'la Polcevera, a po- nente col torrente Yurezza, a mezzo giorno col Gazzo. | Cornigliano è il primo luogo considerevole della valle di Polcevera. Vi sono ampie e magnifiche ville di cittadini genovesi, degne di qualunque principe. Merita ogni elogio tragli altri il palazzo Durazzo. Vi si;entra per, mezzo di un bel cortile: il museo di storia naturale, raccoltovi dal fu Giacomo Filippo Durazzo, ed unico forse. per la sua col- lezione di zoofili, occupa .il ‘migliore appartamento . Il ponte di Cornigliano, che traversa il torrente vicino, avea un legato di 20 mila lire nei monti di, S. Giorgio onde rifarlo all’ occasione, legato fattogli da Benedetto Gentile fino dall’ anno Lai Qui si presenta la, ul e ibiza valle di dee. vera; che prende il nome dal torrente che yi scorre. Gli, 2.6 orti, le colline, i boschetti, casini di campagna qua e lì sparsi da un lato e dall’altro, offrono insieme un: bel tut- to, ed una varietà sorprendente, considerandoli a parte‘a parte. Alla destra del fiume fu aperta nel 1772 una como- da strada, a spese della casa Cambiaso; nel qual tempo era doge della repubblica un Giambatista di quella famiglia. Questa strada, tanto più regolare e più bella quanto più si avvicina alla città, volgendo a sinistra dopo un tratto di ben nove miglia, mette nel sobborgo di S. Pier d’ Arena. I francesi unirono la strada della Polcevera alla parte di strada muova :che»scorre sulla spiaggia del mare. La stra- da fra Novi e Genova, che prima passava per Campoma- rone e la.Bocchetta, ora giunta a ponte Decimo, si stacca dall’ antica, e costeggia la ripa del Riccò passando pei Giovi o Gioghi. Questi Gioghi sono il punto culminante della strada; ed il più basso degli Appennini in questi luo- ghi: si alzano dal livello del mare \m: 469. Il punto più alto della strada della Bocchetta; si alzava sopra del ma- re m.: 777: Giò solu mostrerà la differenza che dee passa- re tra l'acelive delle due strade. Nella valle di Polcevera ai piedi della Bbcchetta ; presso ‘il villaggio di Pietra La- vezzara si trova un bel marmo, il cui colore è molto vario, e che viene detto verde di Polcevera. In Isoverde, non lungi da Campomarone v”ha ‘una miniera di selenite o solfato di calce, da cui si ricàva'tutto il gesso necessario al consumo della'città e dello stato. I paesi montuosi del- la Polcevera daùno un considerevole prodotto di seta. Ne forniscono pure quelli del Lemo, dei monti Liguri e del Levante. Le sete liguri sono molto in pregio per essere lucide e forti, onde sonò ricercatissime in Inghilterra . Quelle di Novi hanno il primo vanto. I paesi del Lemo somministrano ogni anno circa libbre 50000 di sete fine: le riviere di Levante e Ponente e la Polcevera, ne produ- cono annualmente circa 80000. Quelle di Ropiglione e della Polcevera sono atte a fare i più brillanti velluti: sud Nella medesima. valle di cui parlo, nel luogo detto Iso- secco, ora confuso: con la Pieve di Pedemonte, sopra la secca e sei miglia lungi da Genova fu tr ovata da un con. tadino nel 1506 una tavola di rame, cui vendette in Ge- nova ad un.calderaio. Veduta ‘presso di questo:da persone forse intelligenti, ne fu presto: divulgata la scoperta. Fu comperata dal senato di que'tempi e posta nella cattedra- le, presso la cappella di San Giovanbatista . Poscia ‘con miglior consiglio fu trasportata nella sala dei padri del comune, ove'ora risiede il. tribunale del commercio: Con- siste in una sottile lamina di rame alta un palmo.e sei once; larga quasi due palmi; e contiene un decreto di'Ro- ma sopra le controversie dei genovesi co’ vituri loro vici- ni Secondo:1’ abate Francesco Carrega ( membro del li- gure istituto; e morto ora ‘sono alcuni anni) apparterrebbe all’auno!637 di Roma, 117 prima dell’ era cristiana. In- tetessa molto la. ligure corografia, e potrebbe sviluppare molte quistioni intorno alla politica: dipendenza de’ liguri dal popolo romano. Cosimo I duca di Toscana, appena ne udì ragiorare, procurò di: averne ‘una. copia, scolpita’ ‘in un’ eguale tavola) che fu posta ad ‘orna mento. della cele- bre Galleria» La:riportarono nelle loro storie il Giustinia- ni; il Foglietta e Bizaro, e la pubblicarono nelle‘loro.opere di ‘antichità Giorgio Fabbricio; il Brissonio, Abramo Or- telio, Giusto Lipsio‘ed:il Grutero. È da dolere che il cele! bre Gaspare Oderico non abbià avuto tempo: di. liberare la promessa che avea fatta agli amici di (1 )/cora mentarla. Il sobborgo di S. Pci di Arena, il più bello di quanti ne-possano vantare le altre città di Europa è tra la foce ‘della Polcevera e Genova; e si estende per: più di un miglio. La stà spiaggia è atta alla costruzione delle navi; e,si può ‘dire ch’ ‘esso non sia che un aggregato di l'ote JUN ©) :(3) Girolamo Serra lesse nel 1806 all’ istituto a una ‘erus dita memoria su questo monumento . i 28 bellissime fabbriche. Si entra in Genova, passando sovra di un ponte levatoio, per la porta della Lanterna. È que- sta una torre che s’ innalza dal mare 485 palmi, fabbri- cata sullo scoglio, con intorno un triplice ordine di batte- rie. Qui la città si presenta all’ occhio del viaggiatore, e fa sì bella mostra di sè, che l’uomo mon si attenterebbe di negarle il titolo di superda e di signora del mare. De- siderando descrivere la. sorpresa che cagiona Genova da questo luogo, citerò le, stesse ‘espressioni di cui. si serve all’ uopo il Goldoni, e ‘per cui pare di vederla..« Oh! che spettacolo dilettevolissimo e sorprendente! Ha la ;compar- sa‘di'un anfiteatro in semicircolo, che da una parte forma l'ampia vasca del-porto; e si alza dall’altra gradatamente sulla-pendice della montagna. con fabbriche immense,ichie: da lontano sembrano il’ uria posta; sopra. dell'altra, e che terminano con terrazzi, con;balaustre:o coni giaitlimi, che: servono, di tetto a diverse abitazioni. In faccia di queste file di palazzi, di vaste fabbriche, di case grandi cittadi= nesche, le une incrostate:di marmi, e lealtre: adorne di pitture; si: vedono i.due moli che formano l’imboccatuta: del. porto: opera degna dei. romani, poichè i genovesi: malgrado la violenza e la profondità del mare; vinsero la! natura che opponevasi al loro.(1).stabilimento:!» Lo moi «avviso di dover qui parlare nè della bella strada, aperta, nuovamente tra le porte della Lanterna e quelle di S. Tommaso; nè del palazzo Doria ove sono belle dipinture ‘(r) Goldoni venne in Genova con là ‘compagnia comnica* di S. Samuele ; ‘che dovea trattenervisi la primavera; e passare nella state ;a. Firenze, Si trattava, dic egli, di vandan ‘@ védere due delle più. belle città d’ Italia senza spendere un soldo: l'occasione, mi parve ecellente. Goldoni nella sua dimora in Genova s' inn) morò d’una figlia del notaio Cuneo, uno dei 4 deputi ‘al banico di S. Giorgio, e la prese per moglie. Se avesse previsto tal circo- stanza, avrebbe forse intrapreso il viaggo ag volontieri.. Memorie di Carlo Goldoni. Cap. 39. fact ue ‘Gi Da 19 di Perino del Vaga, ed ove alloggiarono ad un tempo tre sovrani. Se volessi intertenermi sui dintorni della città, e sulle fabbriche principali che in essa si ammirano; im- prenderei, parmi, un lavoro troppo più lungo che nol pos- sono patire i limiti cui mi sono prefisso. Possono suppli- re al mio silenzio, se non al pubblico desiderio, due de- scrizioni di Genova in italiano ed. in francese, pubblica- te (1) entrambe da Ivone Gravier. 1 OriELE, o:lettere di due amanti, pubblicate da De- FeNDETE SaccHI; Pavia nella Tipografia di Pietro |. Brizzoni successore di Bolzani. 1822. un vol. in 8° di pag. 550. a L’ Isoletta de’ cipressi. Romanzo di Darips Berro- rotti. Milano, dalla società de’classici italiani. 1822. un volume in 8.° di pagine 84. 3 Biblioteca amena ed istruttiva per le donne gentili. Milano per Gio. Pirotta. 1821, 1822 in 8. vol. VHI, delle Confessioni al sepolcro di Avcusro LAFONTAINE. Per una ‘causale combinazione avemmo contempora- neamente sotto gli occhi i due primi romanzi; scritti ori- ginalmente in nostra lingua da due culti italiani ; i quali sì rassomigliano nel soggetto come due goccie d’acqua. Nel primo un giovine sconosciuto s’invaghisce d’una amabile signorina, che gli riesce di ottenere in isposa : ma al momento di stringere le nozze si viene in chiaro essere egli fratello della sua amata. La bella a tale scoper- ta cade inferma pel dispiacere; il giovane diviene disperato. (1) La italiana è di Carlo Giuseppe Ratti, e fu stampata nel hi 1780. La francese è senza nome d’autore, e venne in luce nel 1819. Sto a buona speranza, che si avrà presto in Genova una terza Guida, più esatta delle precedenti. ie e delirante. È sebbene una seconda scoperta palesi nom essere eglino fratello e sorella, la malattia della giovine ha fatto già tali progressi, che la conduce al sepolcro. Il giovine divenuto maniaco si annega in un lago della Lom- bardia. Nel secondo, un giovine sconosciuto s' innamora d’una vezzosa signorina, e ottiene l’ assenso dai genitori di lei pel suo matrimonio; ma si scopre al tempo stesso che sono fratello e sorella. La giovine divenuta maniaca si annega in un lago della Lombardia ; il giovine parte per l'America, e la si ammala di febbre gialla e muore. È cosa veramente singolare che i due autori si sieno con tanta precisione combinati nel trattare un medesimo soggetto , colle stesse circostanze, con pari scioglimento ; fucendoci l’uno e l’altro conoscere quanta funesta attrat- tiva abbiano per le donzelle e pei giovani innamorati le acque de’ laghi della Lombardia, divenute il mar di Leu- cade de’ nostri tempi. Differiscono però fra loro questi due romanzi in qual- che cosa. Per esempio , il primo è in forma di lettere, il secondo in quella di racconto o novella. L'uno è un gros- so volume in 8.° di 550 pagine, l’altro un piccol libretto in 18.° di sole pagine 84. Ambedue i loro autori hanno scritto poeticamente, ma stando sempre sull'orlo del ro- manticismo: nè oserermmo asserire che camminando entrambi sul precipizio, sieno stati tanto sicuri da non cadervi talvolta; e se pur ciò è avvenuto ; il più lungo viaggio ha esposto a più frequenti e a più funeste cadute. Non essendo noi per natura tanto amanti dell’ artificioso scrivere, vorremmo aver dettata piuttosto l’Zsoletta de’ ci- pressi che le Lettere de’ due amanti, nelle quali si mani- festa un più studiato artificio. Imperocchè fino a tanto che l’autore assume le parti di raccontatore , pare che se gli voglia di miglior animo concedere gli ornamenti , la frase e la pompa di poetica elocuzione ; ma quando le sette o 31 otto persone che hanno parte nell’azione, parlano o scrivo- no lettere, e narrano fatti domestici, ci.sembra meno scu- sabile lo stile turgido e studiato, l’espressioni lambiccate, i pensieri ingegnosi, le immagini e l’elocuzione sempre poetica , le metafore di nuovo conio ; e il tutto modellato nelle stesse forme: cosicchè non basterebbe supporre che tutti costoro fossero stati alunni della stessa scuola, ma bisognerebbe eziandio che avessero avuto, pari in grado ed in intensità, le stesse disposizioni fisiche e morali, gli stessi affetti, le stesse passioni. Questa monotonia, questa rassomiglianza fa sì che vedasi continuamente in iscena l’autore delle lettere, e dietro a lui, quasi in ombra ed in isfamatura, quei che figurano averle scritte. Oltre a ciò è generale osservazione che ove a brillare comparisce l'ingegno, spariscono le passioni , gli affetti; e se mal non avvisiamo, pare che ciò avvenga assai più nel primo che nel secondo di questi due romanzi. Di due cose avremmo gradito vedere fare uso più parcamente l’autore delle Lettere dei due amanti: pri- mieramente delle frequenti apostrofi, al proprio cuore; al divino potere dell’amicizia; alla virtù; ai momenti di gioia; alla terra avventurata; al divino potere della vir- tù; al foglio adorato ec. astrazioni che han tanto poco del naturale , che vedonsi quasi esclusivamente adoprate quando si voglia render ridicolo un carattere d’innamo- rato in commedia. Nè sapremmo per la seconda lodare l’uso di certe frasi de’ nostri classici , e intere intere intar- siate a dovizia, e tolte in singolar modo dal Petrarca e da Dante : come il far riparo contro i colpi d’ amore ; l’ es- sere preso della bella persona; il lago del core; il quan- ti nuovi pensieri quanto desio ; il che si apprende a cor gentile ec. e mille altre simili; delle quali ogni lettore troverà esser piene quelle lettere. In proposito di che, non esamineremo se tutte quelle frasi sieno state conveniente- mente introdotte; diremo bensì che la sola convenienza 3a può farne scusare l’uso, nori mai l’ abuso, che mostrerà sempre affettazione. Un'altra osservazione crediamo non inopportuna sullo stile di queste lettere. Sembra che l’autore abbia avuto vaghezza di imitare e seguire in quelle la detta- tura del Certaldese, spezialmente quella del suo Filocopo; ove il Boccacio sfoggiò in descrizioni nelle quali, per la smania di colorire molto, non lasciò mai andar solo un nome, ma lo accompagnò con istudiati aggiunti , ed usò continuamente espressioni forse puerilmente poetiche e troppo ricercate. Ci contenteremo di riportare due sag- gi di cotali descrizioni tratte dalle Lettere de’ due aman- ti; una dalla pag. 6, dell'aurora, l’altra dalla pag. &., del- la sera. Noi le riportiamo per n Ci il nostro all’ atti giudicio. Sorgeva appena l’ aurora al grato spirare d’ aura soave, e i raggi del sole, che tutto facevano ridere il balzo di oriente, in- doravano la cima degli opposti colli. Le rive e i poggi smaltati di erbe novelle sorrideano d’ogni intorno; i fioretti in sullo stelo schiudendo' all’alba il grembo domo dall’aura notturna, in seno socchiusi facevano, pomposa mostra delle loro bellezze. La luce dardeggiata sulle stille di rugiada, formando molte piccole : indi, li rendeva più vaghi a vedersi. Anco la natura ha i suoi momenti | di gioia, anch’ essa la melodia dei suoi concenti, e questo giorno appunto pareva destinato ad essere foriero d’ inesausta felicità; e nobile schiera di pennuti canori avvisavasi saltellando fra i rami salutarlo siccome auspice d’amore (pag. 6.) Era la sera più bella e serena che io vedessi; un’ aura leg- gera ricordava ancora il verno già fuggito , e riconduceva all’erbe la muta rugiada. La stellata volta del cielo era illuminata da’ raggi brillanti oltre I’ usato della pendente luna , di cui parte si per- deano nell’ azzurro infinito , ed altri tremolanti si ripeteano nel placido lago, che con dolce mormorio pareva invitarne sulle sue onde (pag. 8.) I nostri lettori agevolmente si persuaderanno che se due descrizioni siffatte s' incontrano già nelle prime sole otto pagine, non minor dovizia nè sarà nel rimanente di un volume di 550 pagine. x 33 Avremmo desiderato che la virtù, che traspira negli autori di questi due romanzi, e gli alti sensi e generosi di che sono ripiene le Lettere de due amanti , avessero trattenuti i due autori dallo scegliere soggetto che per lo scioglimento avesse avuto bisogno d’un suicidio, sazi omai degli orrori di Giacomo D’Ortis, e del Werter: non trovando noi traccia d'istruzione morale, ma ribrezzo hel delirio e nella disperazione d’ un uomo, che per indoma- bile passione amorosa attenta alla propria esistenza. Non possiamo però dispensarci dal dare un meritato tributo di lode al tema di alcune lettere. Tali sono nella prima parte la xxx, sull’ educazione delle fanciulle ; la xXxXIXx, in cui mostra le conseguenze delle unioni male assortite; la xLmI, ove imprende la difesa delle donne italiane contro le accuse date loro dagli stranieri ; la xLvI, nella quale disapprova l’ uso di ammettere le fanciulle nelle grandi conversazioni; la LvI, in cui biasima il co- stume di dare i figli a straniere nutrici ; la Lx, nella qua- le si duole perchè molti letterati non uniscono al loro sapere le virtù morali. La Lu della seconda parte ragiona sull’ educazione delle figlie o delle donne in Italia, e mo- stra l’ importanza di coltivare lo spirito del bel sesso ; la Lvi addita il modo d’ esser moglie saggia e felice ; la Lx mostra il modo di usare della beneficenza, ed espone le ca- gioni che promuovono la mendicità , difendendo gl’ ita- liani dalla taccia d’infingardi apposta loro dagli stranieri. Altre non poche trattano di soggetti di pari importanza ; e la sana filosofia dell’ A. non vacilla se non quando il protagonista è vinto dalla passione , e a lei soccombe. Possiamo dunque perseverare nel desiderio di un ‘ buon romanzo italiano, genere del quale tuttavia man- chiamo: e quando 1’ autore delle Lettere de’ due amanti sì senta inspirato a far nuovi tentativi di percorrere que- sta via, umilmente lo preghiamo a ponderare senza pas- sione & ragione , o il torto di queste nostre osservazioni. Pe, . Aprile 3 34 Nè in questo luogo sarebbe inopportuno l’ investiga- re le cause della quasi total povertà in cui si trova 1’ I- talia di cotal genere di componimento, doviziosa in ogni altra maniera di letterarie produzioni. E diciamo, quasi totale povertà, avvisando noi non doversi tenere.in conto quei romanzi che abbiamo, scritti da qualche ventina d’ anni in qua ( e tanto meno de” più antichi ) i quali per la scelta del soggetto , o per l’indole degli attori, o per una men vera pittura delle vicende della vita umana , 0 per tutte queste cose insieme, non intendono allo scopo cui dovrebbero , di correggere i costumi; di mostrare i falli ne quali può l’ uomo essere indotto dalle passioni ; d’innamorarlo della virtù; di fargli concepire aborri- mento pel vizio. Noi crediamo che faremmo torto agl’ in- gegni italiani , giudicandogli privi di quella dose d’ im- maginativa necessaria per ordire siffatti componimenti, e di quel caldo amore per la virtù, ad invogliare della quale devono essi primieramente intendere. Ma convenendo noi dell’inopia degl’ italiani in fatto di romanzi, ci asterremo da ogni investigazione sulle cause della medesima ; con- fidando che distesamente le spiegheranno, come promet- tono, gli editori della Biblioteca amena ed istruttiva che si sta pubblicando in Milano. E poichè tanto volentieri si leggono in Italia i ro- manzi, crediamo che gli editori milanesi abbiano con savio accorgimento intrapreso a pubblicarne alcuni dei veramente buoni, e da esser letti collo scopo, lodevole d’ istruirsi; giacchè per quanto sieno opere di finzione , pure esponendo le virtù, i vizi e le azioni degli uomini in un aspetto vero, ammaestrano assai più d’un trattato morale , che stabilisce massime e principi, i quali in un romanzo vengono posti in azione nelle varie condizioni e casì della vita. Siffatti romanzi, oltre all’ infonder nell’ a- nimo de' lettori i sensi della più pura moralità, possono eziandio servire di modello a chi volesse dare opera, on- = 35 de offerirci qualche componimento originale di questo genere, italiano e per tessitura, e per soggetto, e per pensieri . Ad effettuare la loro impresa , lasciati stare 1 roman- zi inglesi , francesi e spaguoli, gli editori della Biblioteca amena ed istruttiva si sono rivolti alla Germania. La meritata celebrità di Augusto Lafontaine ha determinata la loro scelta ; e pel primo della loro biblioteca han data una accurata ed elegante traduzione del romanzo da lui intitolato: le Confessioni al sepolcro. 1 protagonista , del romanzo per nome Ermanno Schubart dopo alcune serie riflessioni sulla morte di un suo amico si risolve a scrivere la propria vita. Figlio d’un ispettore di boschi fu dai suoi genitori educato per succe- dere al. padre nello stesso impiego. Quindi tutta la sua istruzione fu limitata a saper leggere , scrivere e far di cento; e in questa guisa giunse ai dodici anni dell’ età sua senza conoscere altra cosa al mondo fuorchè la foresta, i suoi cacciatori , la sua casa, e ì godimenti domestici. A suo padre i libri sembravano una cosa inutile, e quindi procurò di distogliere il suo figlio dallo studio, anzichè invogliarnelo. Ma cuusalmente il giovane Ermanno, trovò una obliata libreria , ed ivi da per sè cominciò ad istruir- si, e continuò a far questo per molto tempo. All’età di diciassette anni sentì i primi sintomi del- l’amore, e una dolce melanconia si impossessò di lui. Un giovine studente la storia naturale, per arricchir la sua rac- colta di alcune piante, erasi portato a passare qualche gior- no in casa del padre di Ermanno. Partendone diede a questo la commissione di procurargli un Cuculo pel suo museo. Un giorno Ermanno ne vide uno bellissimo , e si propose di dargli la caccia. Tenendogli dietro s° inoltrò senza accorgersene in un boschetto molto lontano dalla piantagione, di cui era ispettore suo padre. Egli sapeva per- fettamente imitare il canto di quel volatile, e sperava con 36 questo mezzo di'poterlo allettare ‘e prendere; ma il cuculo gli rispondeva e fuggiva poco lungi da lui. Volgendo a caso lo sguardo vide fuori di quel boschetto varie. giovi- nette vestite di bianco, coronate di fiori, le quali ballava- no sopra un praticello. Egli nascosto fra alcuni cespugli ammirava questo per lui nuovo incanto , non avendo fino allora veduto altro che delle villane. Ascoltiamo lui me- desimo narrare il principio del suo amore. Mentre io stava tutto fuori di me ad osservare quelle belle creature, il cuculo inseguito cantò sopra la mia testa. A quel can- to il ballo cessò.—A cuculo (gridò una di quelle giovinette) indo- vina quante siamo? L’ uccello taceva; ma rispondendo io in vece sua, cantai otto volte. Lo stupore di quelle amabili giovinette fu estremo.—Oh la singolar cosa (dissero tutte)—.E tutte una dietro l altra m’ interrogarono; ed io risposi sempre giusto alle loro do- mande; a modo che la loro sorpresa cresceva quanto il piacere che io prendeva a burlarmi di esse.—Dì uno (gridò una) —.Ed io cantava una volta.—Conta cinque (domandava l’altra) —. Ed io can- tava cinque volte. — Quanto fa due volte tre ? — Io cantai sei vol- te. Allora la giovine interrogatrice piena di spavento gridò! No no, io non rimango qui altro, perchè vi ha certamente qualche cosa di soprannaturale—. In fatti le giovani alzando grandi strida jin un istante fuggirono verso una casa che vedevasi in lontananza. —Eb- bene che hanno esse adunque? Hanno paura d’ un cuculo ( disse da sè la più yiccola che andava dietro alle altre e che rideva a più potere dél loro spavento). . . — Amabile cuculo, caro uccello profeta (disse ella col più grazioso sorriso ) dimmi che anni ho?— Io cantai dodici volte. —Bravo ( gridò essa battendomi le mani ) e... tra qui a quanti anni mi mariterò? —Io contai sette volte: es- sa restò sorpresa.——Il mio futuro sposo è lontano di qui?—Io non risposi nulla.——Quante miglia è lontano da me?—Io mi tacqui. — Quanti passi? Io ne contai cinquanta; che appunto di tanti era circa la distanza fra noi due. Essa ascoltò con molta attenzione—.Come (gridò essa) cinquanta? Cuculo bugiardo ! ora vedremo. —Essa ven- ne verso me, contando uno, due, tre e così di seguito ad ogni passo che faceva ...; al cinquantesimo passo io uscii faori del mio ce- spuglio, ecomparendole innanzi tutto ad un tratto, l’amabile fanciul- la alzò un grido di spavento vedendomi innanzi a sè. Ella era per ‘ fuggirsene, ed io allora con aria seria le dissi: volete voi farmi la gen- tilezza di dirmi ove mi trovo, perchè mi sono smarrito nella foresta? 37 Ella gl’insegnò la strada più breve, indicandogli ove allora si trovava; e senza domandarsi l’un l’altro chi fossero si; lasciavano ,. «ma si promessero innocentemente di non dimenticarsi di questo-incontro; e a tale oggetto gli diede un anellino colla cifra del suo name la quale era compo- sta d'una F, e di un:R. Sentì chiamare più volte Federi- ga onde arguì che la F. della cifra indicasse il nome di lei. Quest incontro fece sul cuore di Ermanno una profonda i impressione. Ella occupava tutti i suoi pensieri. Tornò più volte al boschetto ove la vide la prima volta; ma non gli avvenne d’incontrarla mai più... ii Successe Ermanno nell’ impiego del padre che lo re- nunziò a favore. del proprio figlio, e i suoi genitori ; for- marono il progetto di ammogliarlo. Confidò allora alla madre la sua passione amorosa per quella incognita fan- ciulla per nome Federiga: la pietosa g genitrice diede ope- ra per rintracciare chi esser potesse l amata di suo figlio ma \ogni.di, lei ricerca; riuscì inutile, nè potè avere di quella veruna, contezza. «Erano, intanto passati parecchi anni, quando si pre- so ad Ermanno una favorevole occasione. Un certo Rein- hard, nuovamente impiegato in qualità di regolatore delle foreste;, fu, posto in.carcere sospettato reo d’ un. omicidio per essere stato trovato presso ad un giovine moribondo, e.tutto.intriso di (sangue ,,a cui aveva fatto qualche minac- cia, perchè non, gli piaceva. che amoreggiasse una sua, fi- glia» Era, costui un guardaboschi , giovine, ricco, e scostu- mato, il quale spirò pronunziando il nome di Reinhard. Il, giovine Ermanno, ad:insinuazione , del proprio padre che ayeva fatto. ottenere; ral. prevenuto Reinhard l’impiego di regolatore, si portò alla città per fare il possibile a fa- vore del supposto reo, in compagnia di un giovine caccia- tore che da più mesi era impiegato presso il padre di Ermanno: il quale. presentatosi. al giudice , in presenza di Ermanno medesimo confessò essere egli l’ uccisore del 38 guardaboschi. Fu quindi ordinata la liberazione diReinhard e |’ arresto del giovine cacciatore. Ermanno si affrettò di recare alla famiglia dell'in: nocente la novella della di lui liberazione; e | quindi con- dusse nelle braccia del liberato Reinhard la sua moglie, un suo figlio ed una sua figlia, i quali seco partirono sen- za sapere chi egli fosse, e senza pensare ad informiarsene. Fu tenerissimo l’ incoritro di quella buona gente , fu somma la gratitudine verso il loro conduttore, come nun- zio di sì fausto avvenimerito. Ma quando seppero dallo stesso presidente del tribunale che la libertà del loro ‘capo di famiglia era tutta opera d'Ermanno , noù ebbero più parole per esprimere la loro riconoscenza. Oh! ( esclamò la figlia del regolatore, gettandosi fra le sue braccia) ieri io vi riguardava come l’inviato d’un angelo, voi sie- te l'angelo istesso; e non dicevate nulla di ciò ! tatti vollero ab- bracciarlo l'un dopo l’ altro. Parevano mille anni a quella buona: famiglia di ri- tornare al suo villaggio. Vi giunsero di buon ora un dopo pranzo. Il cane del cortile si lanciò verso lui per fargli festa, ma lo impedì la catena dalla quale era tenuto. Egli guardò con un occhio di tristezza quell’animale, è fece un ceuno a suo figlio che lo sciogliesse esclamando: dll no, no: catene non più per nessuno. | Le affettuose carezze'che la: figlia di Reinhard fece a suo padre, l’angelica voce colla "ate cantò al clavi- cembalo un inno per la di tui liberazione, € soprattutto i vezzi della gioventù, e la bella el graziosa persona in- cantarono Ermanno; e ad onta che egli avesse fitto pro- posito e giurato che niun’ altra bella fuori della sua in- cognita Fedériga gli avrebbe toccato il cuore, sentiva che se ne era al maggior segno invaghito. Egli pensava a tutte queste preziose prerogative quiiitdò si pid in dito l’ anel- lo colla cifra. Se lo cavò di dito; lo ripose in tasca dicen- do fra sè .... questo maledetto anello . ... quasi vo- 39 lendo'fare un sforzo per dimenticar la ai bella, o per- chè non gli facesse un tacito rimprovero di aver rotto i suoi giuramenti:;, persuadendosi che il suo primo amore era una follia puerile'resa seria dall’ infanzia. Così deter- minato, aspettò che'si presentasse l'occasione di parlare da per sè al padre. della fanciulla. Passati i primi momenti del dolore, e succeduta la calma , Reinhard saputo il no- me di Ermanno, e risovvenendosi di ciò che il padre di questo ‘aveva operato; per lui, esclamò: Dio buono? io debbo al padre la mia fortuna, e al figlio la mia vita; come potrò ricompensarli ? Oh Sig. Reinhard (esclamò Ermano ) un qualche giorno vi. domanderò, ‘una ricompensa ben cara. Tutti capirono ciò ch’ei voleva! dire giacchè tutti voltarono i loro sguadri sulla figlia di Reinhard, onde egli soggiunse: pare che abbiate indovinato il mio rr mio Sura e rispettabile padre ? Egli mi guardò (racconta lo stesso Ermanno) c con un occhio che. indicava qualche tristo pensiero, ed-alzando impercettibilmen- te le spalle, sì tacque._-Ed, io vi comprendo (dissi soprappreso da una profonda afflizione e con gli occhi fissi a terra ) voi dite di no?— Non'sono io, figlio” caro (rispose egli con vivacità) ma mia fi- glia ... Ella è DPomiessa. To thi coprii il volto per ascondere il mio dolore. Il padre: sî acoosto! alla! tagazza'. Ah! figlinola' mia che dolce cosa è l’esser grato! e la liberazione di tuo padre non è essa una. voce del cielo più certa delituo? .... Ella lo interruppe. Padre mio, io Tompo il mio voto: e se il mio cuore può ricompensare questo bravo giovine .. . Essa si gettò sul seno di sua madre e da lungi nîi stese la mano: Th me tutto éra' dolore... Nondimeno fa- pp forza dissi doldemente:Nit ciel’ mi guardi dal disunire due cuori felici! ;,... No sicuramente: lasciate ch'io fugga.—E volli pren- dere il mio cappello,—Eh..yoi; non disunite nissun cuore, caro Er- — manno (gridò la madre) voi non fate che distruggere una fanciul- laggine creafa ne’ sogni della . giovinezza .. . Ella è promessa, e non ‘ha amante; si deve maritare,e non conosce il suo futuro sposo. — Mentre io era fanciulla ( late la ragazza) fui a Schalden. La vo- ce di un;cuculo ;;:— Federiga, (gridai io con un trasporto che è impossibile descrivere, e tirando fuori di tasca l’anello ) vedi tu questo anello? L’ho portato fino a questa mattina come un pegno {o della mia fede;.ed ho violata la mia promessa per giurare a te un amore eterno. Oh mia Federiga, non riconosci tu il tuo anello? — Papà! (esclamò ella) è egli; egli è il mio sposo promesso . Questa volta l’amore ci ba riuniti per sempre ... Il padre crollava la te- sta guardandoci.—Che hai tu dunque? (gli disse la moglie): —Mi, maraviglio che usa cosa sì fanciullesca vada a finire in sì grave.. e nobil modo! E perchè dunque non crederò ai più stravaganti pre- sagi, se la voce di un cucu!o? ... (fo 1’ interruppi ridendo) —Il cu- cilò non fece molta fatica a dire la verità, perchè era io che par- lava per lui...—-Federiga diventò rossa, perchè di tanto in tanto le gettava uno sguardo significante.— Caro padre (disse ella.con aria supplichevole) tutto è per lo meglio. —È un bene figliuola miaf, ma avrebbe potuto diventare cosa assai diversa. — Però amico mio (soggiunse la moglie) questa superstizione è sì naturale al cuore dell’uorno!— Ma non è però meno una superstizione. Le ragione e la coscienza sonole isole voci divine che l’uomo deve ‘Stcolta non è egli vero che in grazia di; codesta promessa. un galantuomo avrebbe potuto avere un rifiuto? .... e intanto un qualche briccone, avendo intesa la storia, non avrebbe potuto presentarsi con que- st’ anello? e tu medesima, povera ragazza, ta saresti corsa alla tua rovina . Reinhard congiunse le mani dei due amanti ‘e gli benedì. Il giorno dopo Ermanno partì per andare a portar la nuova a’ suoi genitori di questa inaspettata scoperta, e chieder a’ medesimi il loro assenso. Così F ederiga divenné la sposa di Ermanno; e i di lui genitori prima di morire si videro scherzare attorno tre vezzosi nipotini. Passavano» i due coniugi i loro giorni felicissimi , amandosi tenera-' mente: ma non con quell’ amore della gioventù, ma con quello che nasce da una scambievole confidenza accre- sciuta dall’ esperienza. « L’amor de’ giovani, diceva Er-. manno a sua moglie, spinge lo sguardo innanzi in un mondo incantato : 1’ amor degli ere lo volge indietro. Dio lo ha posto fra due paradisi: uno pieno di desideri soddisfatti, l’altro di speranze, eterne ». Intanto crebbero i figli, e crebbero in conseguenza le spese; perchè si credè ben fatto di maritenerli im un' còl- legio. Nonostante ‘che il patrimonio di Ermanno fosse di- ' 41 vennto maggiore perla morte dei. suoi genitori e di quelli di sua moglie ,, pure fu necessario riformare alcune spese; e ad onta di ciò il domestico erario si trovava talvolta affatto vuoto. Nelle necessità della famiglia riuscirono vane le speranze di Federiga sulle ricchezze d’un suo fra- tello , il. quale appunto nella penuria in cui trovavasi la casa di Ermanno, invece di soccorrere ebbe bisogno di esser soccorso. Ad accrescere gli sconcerti degli affari domestici cominciarono a insorgere nuove calamità. La grandine distrusse le sue e la. mortalità entrò fra ‘il: bestia- me e ne spopolò. le ctallei Doveva pagare il fitto di alcune | terre, e trovavasi senza denaro. Chiese dilazione ‘ma gli venne negata. Qualche riemico lo accusò di negligenza nelle incombenze del suo impiego ; e.a fortificare questa accusa una quantità di legna tagliata nelle. foreste delle. quali era ispettore, ip una. notte è consumata da un in- cendio ...... Finalmente per colmo ;di sua sventura è licenziato dell’ impiego. Qual compenso per un uomo che dall’ apice della felicità cade a un tratto nell’ abisso della - sventura ? Mutar cielo, necessariamente, perchè l’abitazio- ne era annessa all’; impiego. Ma dove andare? a Linden- hoffen colla speranza di ottenere in affitto un piccol fon- do. Sarà egli facile l’ averlo ? Sì; il, tutore degli eredi di quello è è un amico. Quando partire? fra un mese , termi- ne che venivagli accordato per, sgombrare la sua ubilvania, ne. Ermanno sì portò. a Lindenhoffen , concluse il. con- tratto d’affitto nel tempo che la moglie e le figlie. dispo- nevano l'occorrente per la | partenza, pl si riserbò e spedì ciò che eragli necessario, strettamente; vendè il superfluo, e ‘partì per Lindenhoffen colla Cile, A mezzo del cammino, «deviando dalla : dirla. mae- stra, sì trovarono 1 nostri Viaggiatori in una via, difficile e SA che finì col non essere più praticabile; ; quan- do il suono armonioso d un corno ‘annunziò loro, che in quel | vicino, Vi erano degli. uomini. Si arrampicò, Ermanno . {2 sulla montagna seguendo il suono che udiva, e si trovò in faecia ad una rovina di un antico castello: ecco come Ermanno descrive quest incontro. Una figura umana col corno ancora alla bocca stava seduta in alto sopra un pezzo di muraglia diroccata per metà...Salutandola la invitai a venire a trovarci. Quest’ uomo o questo demotio; giac- chè io non poteva indovinare che cosa fosse, si gettò dietro le spalle il corno, e in due o tre salti rapidissimi giunse ove io era. —Ho smarrita la strada, e vorrei andare a Lindenhoffen—. L’ esteriore suo non m'ispitava pamto di confidenza. Aveva egli una gualdrappa verde imbottita, mia larga come se nòn fosse fatta a suo dosso. Ave- va degli. stivaletti e. dei. calzoni di' tela grossa; e tutte queste cose. erano troppo larghe. Aveva un cappéllo di forma singolare...Por- tava poi, due lunghi mustacchi e sulla testa i capelli.in certa ma- niera che gli davano l'aspetto d'un vecchio. Nè tutto questo pren- deva certamente ‘bella forma da un nero impiastro il quale inco- minciava) dulla tempia sinistra, e gli cuoprivala metà della guancia. Per quanto questo strano incognito offrisse cortese- mentè ospizio ad Ermanno ; nona aspetto nòn corri- spondeva' ‘alla civiltà delle” sue maniere, € il nostro viaggiatore temeva d'accettare 1 offerta, tanto più che non erà solo, e che la eda famiglia lo aspettava. Se ne accorse l’ incognito, s° ibéamminò velocemente verso la parte donde era venuto' Ermanno, raggiunse la di lui famiglia, e la' condusse alla sua abitazione , che pareva piuttosto nascondiglio di ladri che soggiorno di galantuo- mini! Le donhe impaurite vi-passarono, se ben mal vo- lentieri, là notte stando ih una ‘continua apprensione per l impressione che fece sull’aniimo loro il luogo e 1’ aspetto dell’uomo ospitale. La' mattina seguente l’ apprensione divenne paura e si stimafono mal capitate, poichè visi- tando esse ‘con lui il suo ricovero, veddero una sala pienù'di fucili e di pistole; nè ‘affatto si rassicurarono in vedere altre sale, ove erano animali impagliati, minerali, piante, e vari STEM di fisica e d’astronomia , suppel- Jettile tuttaffatto nuova ed arcana per loro. Ma le continue cortesie, che con sì brutto esteriore usò alle due figlie, ser- 43 virono a inanimarle in guisa che Elena la maggiore di esse lo invitò ad andare a visitarle a Dina « To posso ( disse egli ) darvi almeno il buon giorno' ogni mattina senza fire un passo fuori da questo luogo »; e quindi con' un bellissimo telescopio fece loro vedere il villaggio ove dovevano andare, dicendo essere Linden- hoffen quello che vedevano. Ciò risvegliò in quelle l’im- pazienza di recarcisi, e infatti partirono in compagnia dell’ incognito , il quale g giunto alla strada maestra che vi conduceva, concertati i seginali per salutarsi ogni mattina, e confermiatido la promessa di andare a visitarle, si li- cenzio . | Ta avresti dovuto: domandarghi ‘chi' sia ( disse’ mia moglie ) ma le figlie: non si. turbaronò! punto. per mon’ sapere come: avesse nome. Ma quella rabbuffata capigliatura, quell’ abito ; quel brutto i mpiastro sul viso erano cose che facevano qualche ribrezzo. Ah ? papà ( disse Rosina la minore delle due figlie ) scommetterei che è unta scottatàra o qualche cosa di simile. . .. Ma perchè porta egli quella parrucca] tinto strana? bisogna dire'che sia calvo 0 per To meno, che abbia i capelli grigi dit ana peccato, che quell’ eccellente nomo siarsì brutto . .1..e, quei [suoi abiti singolari ! senza dubibio gli ha trovati , oppure . + * + Dio sa che non gli abbia rubati (disse mia moglie, RE ai suoi antichi sospetti ) —. Non poteva essa cre- dere che un uomo che abitava quelle rovine; in mezzo a undeserto, e'che aveva presso dilsè'tanté armi da fuoco, tante! i macchie straor- dinarie , e) soprattutto dei: vetri che facevano: vedere ‘a. più leghe di distanza, potesse essere .altro.che, un, ladro.. V'era ; nol. nego, da dubitare qualche poco della, vita bizzarra di.costui; ma econvenimmo tutti che erà una persona molto obbligante, e ini ci aveva pi estato un gran servizio‘. Abbiamo creduto di riportare: ‘éolle stessé parole: del fomanzo' ‘tali’ citcostanze ‘risputarda riti a questo strano in- cogmitò , il quale diviene poi ‘uno dei primi ‘e piùinteres: santi ‘attori per ‘la condotta, ; per Pindole;‘e pet sapere. Ermatino aveva! séritto) a die: sodi gti ‘ché non ‘es- sendo più in istato di Mmimternerli in’ esteta bisognava che 'ritormassero in'send'della loro Siofiglia, Alppieri: ‘égh' giunse alla;sta nuova abitazione, intispettata mente ve: lo 44 riceverono Adolfo e Ruggero , i quali vi erano giunti il giorno innanzi; ed eransi ‘occupati nel porre in. sesto la nuova abitazione. Il primo di essi in età di sedici anni era un amabile giovinetto, tenero e dolce d’indole, volenteroso degli studi : il secondo di tredici anni ;, senza, nissuna. di-, sposizione allo studio avea, molto carattere e molta fer- mezza. Questo incontro fu per Ermanno un presagio; di futura felicità. L' incognito , che aveva promesso di fare una, visita alla famiglia di Ermanno, mantenne la sua parola: Fu, ricevuto con quella cordialità che meritava un uomo ,mo- stratosi verso quella tante ospitale. Dopo le oneste acco- glienze la curiosità dellerdonne fece cadere .ilidiscorso , e gli fu domandato chi egli fosse. Rispose concisamente aver nome Hostmann; essere un galantuomo che viveva di quanto eragli riuscito salvare da un naufragio ; che oc- cupavasi nella mineralogia, nella botanica, nella storia naturale : che egli era, contento di qualunque titolo. essi gli avessero dato, e che quando non facesse dispiacere avrebbe di tanto in tanto fatte loro delle visite. Nel ‘caso poi che ciò a loro non piacesse , se ne sarebbe accorto, e non si sarebbe più lasciato vedere. Entrò in relazione co” figli, di, Ermanno, i quali tro- vandosi frequentemente ‘coù od ‘rimasero incantati delle massime, del contegno, 'e'del sapere di quell’ uomo singo- lare, e sul cerotto del quale si facevano le più nuove conghietture dalle figlie e dalla moglie d’ Ermanno. In- segnò molte cose ad Adolfo, soccorse co’ suggerimenti e coi consigli il padre di lui,e, fino coll’ opera, manuale, aiu- tando come un semplice operaio, nella mietitura e; nella raccolta delle messi, e confortando e inanimando gli altri coll’esempio e con le parole al lavoro. Varie occasioni si presentarono, per le quali, Rosina la minore delle due sorelle cominciò,a prendere della in- clinazione per Hostmann, ad onta della poco piacente di 45 lui apparenza. Oltre il bene fatto alla famiglia d’Ermanno, si cominciò a sapere essere egli conosciuto molto pel vil- laggio per le sue frequenti visite alle case dei bisognosi e degli sventurati, a’ quali dava sani consigli e procurava efficaci raccomandazioni. Viveva agiatamente, senza che si conoscessero i mezzi della sua agiatezza. Sapeva tutto ciò che nel villaggio avveniva; e non vi era un infelice a cui sua mercè non giungessero soccorsi dai ricchi delle città vicine, o dagli opulenti proprietari de’ villaggi. In somma era un uomo misterioso, che in alcuni risvegliava rispetto, in altri curiosità , in altri mal animo. Ma le più belle opere di quest’ uomo furono l’istru- zione ch’ ei diede a Ruggero e ad Adolfoin un viaggio che ei volle che essi facessero in sua compagnia; un piano di economia proposto ad Ermanno per rimediare allo scon- certo dei suoi domestici interessi ; un impiego che procurò aRuggero, e i vari lucrosi lavori donneschi de’ quali prov- ‘vedde le donne di quella famiglia. Non fu difficile in breve di accorgersi che Hostmann amava Rosina, e che questa non era indifferente alle gentilezze, e all’ affetto di lui. Una tal cosa non piacque troppo alla madre, lusingata dalle attenzioni che un gio- vane signore incominciò a fare a sua figlia, e dall’ interes- samento che ei mostrò di prendere per la sua casa. Egli era figlio di un consigliere favorito del principe ; e per mezzo di lui fu fatto sperare’, oltre molti altri vantaggi, anco ad Adolfo un posto nella università , ove ei potesse continuare tranquillo a dare opera ai suoi studi. Una delle passioni dominanti di Federiga era il lusso e la.magnificenza . Trovandosi nell’occasione di ricevere un figlio di un consigliere della Camera, aveva dimenti- cati i buoni consigli di Hostmann, relativi alla riforma ‘delle spese, e al moderato lusso de’ mobili e del vestiario. Un giorno che stavano aspettando il nuovo protettore della famiglia , fu posta la casa a soqquadro per riceverlo LO 46 SU e per fargli una accoglienza degna di sì nobil personag: gio. À un tratto i figli cominciarono a gridare pieni di gioia: eccolo, eccolo, è lui . .. . Federiga presto presto gettò via il suo grembiale da cucina e sull’uscio della medesima incominciò gl’inchini e il complimento per ricevere l’ ospite illustre. Ma aperta la porta di casa vedde venirle incontro l’amico Hostmann abbracciato dai suoi figliuoli. — Oggi ha da capitare , appunto oggi ( disse ella a suo marito ) Dio buono! quanto mi dispiace! — Federiga (le disse E rmanno ) perchè ti ha da dispiacere un uomo che accolse noi con sì nobile ospitalità —. Sì oggi (replicò essa ). Ecco Rosina che va a parlargli; îutti parleranno a lui , e il figliolo del consigliere sarà rifiutato .... — Voi vi burlerete di noi (disse Ermanno ad Hostmann, che guar- dava iutorno l’eleginza della casa) quando saprete la cagione di questo cambiamento —. Cambiamento? ( ripete quest’ultimo ). Vo- lete dire dell’esteriore. . . Ma che importa ciò a me .. . se io trovo lo stesso ciò che m'interessa di più; il vostro cuore —. Oh questo lo troverete sempre lo stesso (disse Rosina prendendolo per Ìa mano ). Capite voi? sempre lo stesso. — Poi gli saltò al edlio come un ragazzo innocente. Iutanto ecco il figlio del consigliere, il nobil preten- dente di Rosina, apportatore di novelle favorevoli e per Adolfo, e per un aumento di pensione per Ermanno; ed ecco una nuova speranza per Federiga di soddisfare la propria passione di sfoggiare in eleganza, di. fare: perciò anco de’ debiti, sul capitale. di una fortuna avvenire. Accetto egli il cortese invito che gli fu fatto, e rimase a pranzo con loro. L'incontro di lui con Hostmann imba- razzò non poco il primo, e diè luogo al secondo, di mo- strarsi, secondo il solito saggio, giudizioso e prudente . Tutti erano d’avviso che Rosina sarebbe stata la felice consorte del figlio del consigliere; ma il solo Hostmann,mal- grado la disgustosa apparenza, era il solo oggetto de’suoi de- sideri. A. distorla mon servirono iconforti e talora i rimpro- veri della madre, i sospetti che sulla persona di Hostmann teutò di spargere il figlio del consigliere, le insinuazioni { 47 ed anco i motteggi della sorella Elena. Rosina non si tolse mai dal suo proposito. Pur nonostante Hostmann se non | senti gelosia, non fu immune dal timore che la costanza della sua amata fosse vinta da’ continui assalti che le ve- nivano dati. Quindi per delicatezza si allontanò sotto il pretesto di dovere fare un viaggio. Rosina lo ricercava de’ suoi consigli con lettere, alle quali ei rispondeva suggerendole savissimi e retti consigli, non ascoltando mai la passione amorosa che sentiva per lei, ma ponendola sempre in grado di consigliarsi con sè medesima circa la scelta del di lei stato. Elena, che dapprima rimproverava a sua ansi le poche attenzioni che ella usava al figlio del consigliere, in progresso di tempo ebbe luogo di conoscere quale fosse il di lui carattere: poichè recatesi Je due sorelle ad una fiera che tenevasi a Bergan, veddero quanto poco ei di loro si curasse ; il quale incontratele in una bottega accompagnato da una dama elegantemente vestita, quasi vergognasse di avere seco loro veruna relazione, finse in faccia a quella di non conoscerle per altro che per le figlie di un contadino di Lindenhoffen. All’ opposto Hostmann, incontrato appa- rentemente a caso da loro all’istessa fiera, fu quello che le difese dall’insolenza di due giovani i quali le perse- guitavano con molta insistenza. Ciò servi perchè Elena si disgustasse del figlio del consigliere: pensiamo quale effetto il di lui contegno facesse sull’ animo di Rosina! « Egli mi ha rinnegato » , diceva a sua madre quando le parlava di lui, nè altro sapeva ripetere a chi presso di lei si studiasse di scusarlo. i «Ciò non ostante il figlio del consigliere tornò a fare le sue visite alla casa di Ermanno, col proponimento di ottenere la mano di Rosina. La madre di lei, confidando di vincere la ritrosia della figlia, si abbandonò alle più 48 lusinghiere speranze; a segno che per rendere la sua casa degna della consorte di un figlio di un consigliere creò nuovi debiti, oltre l’ essersi privata di alcuni effetti di prezzo che pensò di ridurre in contanti. Rosina aspettava, ma invano, che Hostmann tornasse da lei, e la madre ne giubbilava. Uno stendardo che ve- devasi sventolare sul suo dfroccato castello dava indizio che ei ‘vi si trovava ; ma neppure al comparir dell’autunno, stagione in cui era solito d’ abbandonare il suo abituro, sì recò mai alla casa di Ermanno. Rosina moriva di voglia di rivederlo ; e fu determinato di andarlo a visitare alle sue rovine; ma la madre volle che con loro vi si recasse pure il figlio del consigliere. Il modo col quale fu ricevuta la comitiva dava a credere ch’ei se I’ aspettasse , e Fede- riga in vedere la sontuosa colazione da lui preparata non potè trattenersi dal domandargli come aveva saputo che sarebbero in quel giorno andati a trovarlo. Ma si pentì ben tosto d’aver avuta questa curiosità, quando sentì da Rosina rispondersi: « io glielo aveva fatto sapere ieri l’ al-. tro. » La risposta non piacque troppo al figlio del consi- gliere, il quale fu trattato da Hostmann con molta creanza e disinvoltura. Questo uomo già misterioso abbastanza lo divenne ancor più in questa occasione. Vivendo in mezzo ad un bosco, fra le rovine d’un vecchio castello, in abito di mendico , il pranzo che diede ai suoi ospiti fu sontuo- so, i vini delicatissimi, le frutte, in special modo, della migliore e più scelta qualità. Vari corni da caccia nascosti fra le rupi faceano udire una dolce melodia , che l'eco ri- peteva. L’orrore del luogo era abbellito da bei comparti. menti di fiori, che lo rendevano deliziosissimo, nel tempo che una veduta estesissima si apriva sotto i loro occhi. La gioia traspariva sul volto di tutti; e Rosina non potè trat- tenersi da dire ad Hostmann, che se ella fosse stata una regina lo avrebbe nominato intendente de’ piaceri della 419 sua corte; al che egli rispose. « Sarebbero piaceri tristi, mia cara Rosina, poichè tutto quello che si prepara con istudio. riesce male ; perfino la stessa virtù ». Lo stesso figlio del! consigliere parve essere a parte della.gioia comune, e con un trasporto , che tutte le ap- parenze mostravano partir dall’ anima, abbracciò Ho- skmann ... . Intanto un villano arrampicatosi per l’ erto sentiero delle montagne ... egli recava ad Hostmann una lettera del figlio minore di Schubart impiegato alle miniere. Leggendo Ja lettera Hostmann si turba, e sem- bra quasi in convulsione. Rivolgendosi al figlio del consi- gliere con uno sguardo terribile , gridò ; e ripetè verso di lui : tu.scellerato, tu... . rimane il figlio del consigliere come una statua; ma si anima dal sentirsi nuovamente chiamar,; scellerato. Si accosta a Hostmann e ad alta voce gli dice. Ripetete un'altra volta ciò che avete detto, e questa ingiuria non sarà lavata che col sangue. — Sì lo giuro al cielo ( rispose l’ adirato Hostmann). Miserabile! vile! svergo- gnato! scellerato! m° intendi tu ora? Andiamo, vieni; e quan- do un ang gelo dovesse scendere e porsi in mezzo a noi , non per questo miancher emo di batterci. — Corsero ambidue verso la sala ove erano le armi, — Queste due pistole sono cariche ( disse }o- stmann ) scegli . . .; tutti procurarono impedire che si battessero . Il figlio del coatta avanzandosi verso Hostmann gli disse. — Ri- trattatevi signore; e la compagnia giudicherà se io debba essere soddisfatto . — Ch’io mi ritratti ? Pirito a Bodmer, miserabile. — A queste parole il figlio del consigliere impallidì, e si lasciò cadere di mano la pistola , poi traballando uscì dalla stanza... è poco dopo se ne partì; ingiungendogli Rosina che non tornasse in casa sua fino a tanto che Ho- stmann non si fosse ritrattato di ciò che aveva detto. Si adoprarono tutti, e singolarmente Federiga, a insinuare ad Hostmann che si disdicesse di ciò che aveva detto contro il figlio del consigliere, ma egli negò non solo di ritrattar- sì, ma ancora di dire il motivo che lo aveva costretto a T. X-: Aprile 4 50 far questa scena; per lo che quest'ultima sdegnata proibt ad Hostmann di farsi più vedere a casa sua. Ritornata con le figlie ed Ermanno a Lindenhoffen ricevè Federiga lettere dal figlio del consigliere colle qua- li chiedeva solennemente la mano di Hosiua, confessando in certo modo di essersi, sotto certi rispetti, meritato’ l’ol- traggio fattogli da Hostmann. Letta la lettera chiese Ro- sina a sua madre se ella dovesse accordar la sua mano ad un uomo il quale confessava di aver meritato l’infame ti- tolo di scellerato « No figlia mia (rispose Federiga....) Fai quello che vuoi; serivigli di no». E d'allora in poi non si parlò più del matrimonio di Rosina col figlio del consi- gliere. Ma cessata la speranza per Federiga di una cospi- cua fortuna, sussisterono i debiti fatti in abiti e in mobili; e fu di mestieri nuovamente prendere un partito di eco- nomia. Furono tolti di mezzo i mobili e gli abiti di lusso: Ermanno cominciò a lavorare colle proprie DERDARA i suol terreni; le figlie lo imitarono . Ah se Vi sha fosse ancora nostro amico (diceva Ermanno) non saprei cosa desiderare —. Se è così { rispose Rosina ) tutti i vostri voti sono compiuti; perocchè egli è sempre l’amico nostro, ed io posso assicurarvene. — Ebbene, Rosina, se tu puoi fare un segno perchè venga qui, fallo, che tua madre ne è contenta —. Egli è partito, ma ritornerà presto (soggiunse Rosina), io ne sono certa. — Sia, e ci troverà come i Pic romani presso l’ aratro; in mezzo ai campi dopo la battaglia ... Il signore Iddio mi lasci le mie braccia piene di forza, la mia Federiga, i miei figlioli, la nostra innocenza, un campo da lavorare , e dia il resto a quelli che non sanno privarsi di nulla . Pochi giorni dopo Adolfo diede avviso a. suo padre di aver perduto il suo posto all’ università; e nom fu dif- ficile vedere donde partiva il colpo: per colmo di sventu- re il figlio del consigliere inviò un ufiziale della residenza con minaccie se si continuava a negargli la mano di Ro- sina; annunziandogli che da questa negativa 1 figli di lui ne avrebbero non poco sofferto. Ma Ermanno stette salito = bi a quanto gli venne detto, e lo stesso inviato dovè confes- sargli di avere concepito stima della di lui fermezza . Ermanno poco dopo fu avvisato avere egli perduta la sua pensione: Adolfo era tornato.in seno alla sua fami- glia, quindi le spese alcurì poco cresciute e l’entrate al tempo stesso diminuite. Quando a un trattò Rosina an- nunzia la prossima visita di Hostmann. Egli giunse poche ore dopo, e parve che fosse giunto un angelo di conso- lazione. Fece coraggio a tutti, e si offerse di unire al- le loro le proprie braccia come agricoltore’, andando a stare con loro. Partì quindi con Adolfo; vendè quanto gli apparteneva, e che era il corredo della sua abitazione fra le rovine. Diede ad Ermanuo il denaro ricavatone, ed incominciò con somma attività a dare opera perchè i can.- pi, i boschi, le stalle, la casa fosser tutti posti sopra un pie- de di guadagno e di economia. Nel giorno egli lavorava per tre uomini; la sera era cousecrata all'istruzione. Que- sto novo sistema fece sì che in breve Ermanno si trovò qualche somma in cassa, e fornita la casa del bisognevole. Ma fece anco più. Sparse sull’animo di Ermanno la pa- ce e la gioia, confortandolo sul destino avvenire dei figli e delle sue fighe. Adolfo era divenuto un dotto pieno di sapere è di buon gusto, e tale da non aver bisogno di chi predicasse la di lui abilità. Le figlie avevano acquistato forza e coraggio nelle avversità, attitudine al lavoro, e for- za d’animo da soffrire con fronte serena i colpi delle sven- ture: e questa era opera tutta di Hostmann. Facevasi Er- manno l’immagine di un felice avvenire; i conforti del suo amico gli davario ui coraggio soprannaturale, ma pa- reva che non fosse ancora sperimentata bastantemente la forza dell'animo suo. La persona che aveva dato ad ‘ Ermanno in affitto il podere a Lindenhoffen venne ad an- nunziargli che era stato venduto, e che gli conveniva quan- to prima abbandonarlo, Ecco dunque svaniti tutti i felici 5a presagi, troncati tutti i disegni di felicità, terminati in un soflio tutti i suoi conti economici . Annunziò la nuova disgrazia alla moglie e alle figlie le quali non seppero trattenersi dal dare in un dirottissi- mo pianto. Hostmann fece di tutto per spargere conso- lazione su quelle anime desolate, e si adoprò e riuscì a trovare in aftitto un piccol casolare ove rifugiarsi. Nissu- no degli amici di Ermanno si mostrò commosso dalle. sue disavventure, niuno lo soccorse, ed anzi parve che tutti fossero unanimi nel troncare ogni correlazione con un uomo sfortunato. Ma gli restava Hostmann, e ciò era molto. Giunto il tempo prefisso a lasciare l’ affitto di Lin- denhoffen, facendo la strada a piedi immersi tutti nella più profonda malinconia, a un tratto nell’attraversare una strada, in vicinanza della nuova abitazione si presentano alcune persone, una delle quali indirizzandosi da Hostmann, guardandolo, e al tempo stesso volgendo gli occhi sopra una carta che teneva in mano, gli domandò. Non siete voi Hostmann? — È il mio nome (egli rispose ). À queste pa-- role quella fece un segno ad un suo compagno e dichiarò ad Hostmann che era arrestato per ordine del direttore della polizia. È impossibile descrivere il dolore di quella buona famiglia, la quale perdeva in quell’amico ogni spe- ranza. Hosmann ricevè quest’ ordine colla pacatezza del- l’uomo senza rimorsi. Ermanno avrebbe voluto far resi- stenza, ne fece proposizione all'amico suo, il quale gli ri- spose; « io sono innocente; e parrei colpevole. Lasciate che io sappia di che sono accusato, e spero di essere da voi fra due giorni ». Abbracciò tutti, e in special modo Rosi- na, che non poteva staccarsi dalle sue braccia; e partì fra le guardie. A sera giunsero alla nuova loro abitazione: lo squal- lore di una capanna non poteva certo distrarli dall’affizio- ne in cui trovavansi tutti immersi per la perdita di Ho- | | 53 stmann. Ma Rosina si consolava dicendo« lo rivedrò fra due giorni ». Adolfo e Rosina fecero la risoluzione di recarsi alla città per oprare a favore dell’ amico, e per presentarsi al ministro. Giunsero alla capitale residenza del ministro. Ma il coraggio col quale avevano fatta la prima risoluzio- ne pareva che gli abbandonasse, e specialmente Rosina. Ma Adolfo avendole detto che preferirebbe mille volte le catene di Hostmann, piuttosto che metter piede nel pa- lazzo del ministro ... Rosina interrompendolo: le catene ? ( gli disse). Oh Adolfo tu mi rendi il mio coraggio. Vieni, vieni. Noi parleremo per lui. Dobbiamo farlo . D. ( Sarà continuato. ) Delle antiche leggi della Scandinavia. (Conclusione, vedi Tom. IX. Marzo p. 146). Più solenne e poetica era la formula pronunziata dal giudice all’omicida, in tempi quando la morte di un uomo in rissa era punita coll’ammenda del sangue. Nel 7ry- gdamal sì trova copiata estesamente, e noici facciamo un dovere di riportarla tradotta dall’ originale colla massima fedeltà.« La contesa fu tra Harold e Thorwald (così disse il giudice) ma ora, io e il paese hanno fatta pace fra loro. L’ammenda è stata pubblicata che i giudici (Deemsters) decretarono; siano essi amici nel delitto e nella casa stra- niera, alla rissa popolare e all’invito, nella chiesa e nella sala. Sia bandito quegli che rompe la data fede, e cacciato dalla casa e dal paese, tanto lungi quanto uomo può fug- gire. Sia egli un uomo disgraziato fintanto che i cristiani anderanno alla chiesa , fintanto che i greggi saranno sve- nati innanzi all'altare dello Dio pagano, fintanto che il 54 fuoco produrrà la fiamma, fintanto che l’erba sarà verde, fintanto che il bambino riconoscerà sua madre e la ma- dre suo figlio, fintanto che la nave scorrerà per l’onde, fintanto che lo scudo sarà lucido, fintanto che il sole illu- minerà, fintanto che il falco volerà per l’aere., fintanto che roteranno i cieli, fintanto che il vento soffierà . Sia egli posto in oblio dalla chiesa e dal cristianesimo, dalla casa di Dio e da tutti gli uomini onesti, e non possa giam“ mai trovare un luogo di riposo fuorchè nell’ iniferno.,, Ogni atto e forma legale era fatta e pronunziata in presenza di validi testimoni, e conservavasi soltanto per mezzo della loro memoria. Non scrivevansi nè sulla cera nè sulla pergamena, nè v'era registro o ricordo che autenticas- seil giudizio della corte, che ritenevasi soltanto nella memo- ria e nella scienza dei giudici che proferivano il decreto, 0 nel popolo adunato che ratificava la sentenza. Questo costu- me di piatire a voce e di provare le procedure legali per mezzo di testimoni parimente a voce, potrebbe sembrare . inconsistente coll’ antichità delle leggi scritte nella Scan- dinavia, se non sapessimo che la stessa pratica fu un tem- po in uso in Normandia e nelle corti del regno di Geru- salemme. In Normandia, un giudizio pronunziato dal re veniva affidato alla sua testimonianza , aggiunta quella d’un altro testimonio ; ovvero la fatina reale pote- va essere sostituita da tre altri testimoni in sua vece. Da ciò si deduce che i compilatori dei costumi non conside- ravano un documento scritto capace di provare l’autenti- cità dei passati decreti e delle procedure. I testimoni giu- ravano a tutto ciò che aveano udito, e a tutto ciò che era stato detto. Ma è da supporsi che questo costume fosse sovente accompagnato da difficoltà , specialmente quando era corso un periodo considerabile d’anni ; onde troviamo che Giovanni d’Ibelin consiglia il supplicante ad adunar nella corte quanti amici gli è possibile, ed ei gli pregava di stare attenti a tutte le parole che saranno dette quando sarà i 55 agitata la questione, di udirle e dirammentarsene bene, ac- ciocchè fossero in stato di ripetere tutte le particolarità della lite ogni qual volta la circostanza lo richiedesse . Le liti erano molto frequenti presso gli scandinavi. Nel catalogo dei legisti dei goti orientali è censurato alta- mente il nome e la memoria di Kring-Alli, dicendovisi che egli introdusse molte cavillazioni e astuzie nella nostra legge. Questo male peraltro era di sì vasta estensione, che poca parte n’ebbe per vero dire la pervertita ingenuità di Kring-Alli. La sottigliezza era inerente alla legge, la cavillazione all’indole del popolo. La legge, come purtroppo sì vede, è spesso amata non per altra ragione se non perchè favorisce la propria causa. I settentrionali erano oltremodo eccitati alle liti dalla natura del loro sistema giudiciario; tutti potevano arrogarsi l’amministrazione della legge, e tutti potevan credersi professori dell’arte. Nei discorsi fa- miliari degli islandesi vi si trovano spesse volte delle rela- zioni di processi e d’azioni legali, le quali occupano un posto distinto nelle loro storie, e l’ acutezza e sagacità dell'avvocato vien commendata non meno che il genio d’uno Scaldo. L'abilità dei giuristi consisteva nel far comparir buona una causa cattiva, e nel differire a pronunziare un equo giudizio. La legge settentrionale offriva sovente un ragionevole mezzo per mettere in pratica tale dottrina, e tanto valutavasi questa facoltà, che anche i monarchi della Norvegia qualche volta entrarono nella categoria degli av- vocati. Un dialogo degno d’osservazione è stato conservato e forse inventato da Snorro, nel qualei due regi fratelli Ey- stein e Sigurd lodano a vicenda i loro meriti particolari, co- me i pastori di Teocrito e di Virgilio. Cominciano i rivali a pretender lode per la loro forza ed agilità; Sigurd aveva camminato a piedi con un tal peso addosso, sotto il quale Eystein s'era svenuto; ed Eystein attraversò nuotando un precipitoso torrente, mentre Sigurd rimase spaventato dal- 56 le sue-onde. Quindi passano ad insistere sopra i loro talenti mentali: Eystein vantava la cognizione che aveva della legge, e la fluidità del suo dimo Sigurd riconosceva l’eloquenza di suo ‘fratello, ma gli rimproverava i suoi strani cavilli; e in verità ne aveva sperimentato il loro valore nel processo difeso da Eystein in favore di Sigurd Hranson, che è un divertente esempio degli artifizi per- messi dalla legge norvegica. Il re Sigurd aveva reclamato fondatamente contro Sigurd Hranson ricevitor generale del tributo pagato dai Lapponi, che egli accusava di peculiato; e senza servirsi del suo procurator generale, il re stesso procedette contro il delinquente ministro nel tribunale di Bergen, dove Suna Maestà Norvegica comparve in persona . Quivi (come ne accenna Za Saga) era stato precedentemente aringato che Sigurd doveva esser bandito , ma il di lui difensore solle- citò l'assistenza del re Eystein che allora era nemico del re Sigurd, il quale di buona voglia condescese ad esser di lui avvocato. Eystein obiettò subito che quella causa do- veva esser giudicata secondo la legge comune del paese nella corte provinciale, aggiungendo che essa non appar- teneva alla giurisdizione della città. Il re Sigurd tentò malamente di provarne l’eccezione, ma il processo fu por- tato innanzi alla corte provinciale d’ Arnanes, dove però non comparve Sigurd Hranson, non avendo dato nemme- no legittima scusa alle tante citazioni che aveva ricevuto; onde il re Sigurd richiese i giudici che pronunziassero contro di lui la sentenza di proscrizione. Il re Eystein avendo oltre modo a cuore l’ interesse del suo cliente, levatosi in piedi parlò così all’ adunanza : eIo credo che in questa saggia e veneranda assemblea vi siano uomini tanto al fatto delle leg ggi norvegiche, i i quali sappiano bene che la corle non può in tal guisa condan- nare alla proscrizione un uomo che rappresenta la persona del re». Unanimemente fu deciso essere in buona legge è 57 l’obiezione fatta dal regio avvocato , e fu di nuovo sciolta l'adunanza. Ma il re Sigurd pensò bene di portare la sua causa innanzi al tribunale della provincia di Guloe, dove chia- mò in giudizio i suoi principali nobili, i quali tutti erano uniti con quei provinciali. Qui insorsero forti dibattimenti convalidati da buone ragioni, e il processo sembrava farsi più favorevole per il re Sigurd. Il re Eystein si tenne ta- cito spettatore; finchè non sentì che la questione comin- ciava a farsi contraria all’ interesse del suo cliente; allora prese la parola. Dietro a ciò la corte convenne che il di- fensore aveva ragione a dire' non esser quello il luogo per difendere il suo cliente, essendo quella corte fuori del suo paese ; onde il re Sigurd fu licenziato avanti il termine della prima adunanza. Egli grandemente irritato per le ripetute sconfitte che avea ricevute dall’ arguzie di suo fratello procedette, ma invano, con maggiore accortezza. Citò in giudizio tutti i nobili e cavalieri ed un buon numero di feudatari di ciascuna contea'alla corte di Hra- fuiste. Prima che il re Eystein si partisse da Nidaros per venire al luogo in cui doveva agitarsi la lite, ottenne una procura da Sigurd Hranson per via della. quale la causa e la sua difesa era totalmente devoluta sopra di lui. Ambedue i re parlavano e la corte procedeva a | tenor della lite, quando il prudente Eystein appellò suo fratello con un nuovo sotterfugio.« Da quando in qua, (egli. disse indirizzandosi alla corte) è accaduto, che la legge della Norvegia autorizzi voi feudatari a sedere in giudizio, quando due re disputano insieme ?-- Adesso vi ‘mostrerò e vi proverò, che la causa e la sua difesa appar- tiene a me, e che il re Sigurd deve produrre il suo pro- | cesso contro di me, contro il re Eystein, e non contro Si- gurd Hranson.,, I legisti risposero unanimemente che nes- suna corte poteva prender cognizione d’una causa reale, eccettuata l’ assemblea Eyrar-thing che si teneva a Nida- 58 ros, e in conseguenza essi credevano quella questione superiore alla loro autorità. Non è nostra intenzione adesso d’investigare la costi- tuzione di quell’assemblea giudiciaria, che aveva ancora la nomina dei monarchi della Norvegia, e solo aggiungia- mo, che a tempo debito la lite fu portata innanzi agli ot- tocento di Drontheim. Furono chiamati i testimoni in fa- vore della corona, e Bergthor Bockr figlio di Svein Bryggiofot sì fece innanzi e provò che Sigurd Hrason s'era preso per sè una porzione del tributo dei Lapponi. Ma il re Eystein rispondendo colla massima calma, fece osserva- re che egli non conosceva se il testimonio avesse detto 0 nò la verità: « ma se anche le prove fossero ancor più evidenti e chiare, il giudizio in favore del difensore in questa me- desima causa è stato dato tre volte dalla legge comune, ed una volta dal tribunale di Bergen; onde io domando che la corte ora assolva Sigurd Hranson da ogui ulteriore persecuzione, conforme prescrive la legge; ,, sulla legge non poteva cadere alcuna disputa, e la corte pronunziò incontanente il giudizio in favore del difensore. Allora il re Sigurd indirizzò pieno di sdegno tal ragionamento ad Eystein: « Bene, io, veggo che tu sei scaltro nell’ astuzie legali, delle quali io non son punto al fatto, ma pure pro- curerò di cercar giustizia in un’altra guisa, dove io credo d’essere più esperto che tu non sei ; » e detto questo gli chiese in pegno la destra. Il re Sigurd s’era preparato per attendere Eystein, ma sulla sera mentre stava banchet- tando a bordo del suo vascello comparve ad un tratto un supplicante, il quale si gettò ai piedi del re. Questi era il delinquente Hranson, il quale pregava il re a far di lui quello che gli piacesse, piuttosto che esser cagione di peri- colosa inimicizia tra fratello e fratello. Il vescovo Magno e la regina Malfrida unirono le loro preghiere a quelle di Hranson, e il re Sigurd gli accordò un involontario perdono. 59 I discendenti degli scandinavi quantunque stabiliti o dispersi dalle Orkneygs (1) fino in Sicilia , hanno sem- pre seguitato i laberinti della loro legge con pertinace fermezza. La loro ‘cavillazione si spargeva e s'introdu- ceva per tutto a guisa dì distruggitrice pestilenzia, a misura che s° accresceva la loro emigrazione. I Normanni dediti alla discordia, ebbero'in eredità dai primi seguaci di Hastings e di Rallo un'eccessiva passione per le liti. Le sottigliezze dell’ erario di Rouen erano per linea retta ‘discese dal settentrione. In questo tempo s' introduceva in Inghilterra una sì dannosa dottrina per opera di que- gli accigliati giudici che aveva condotti seco Guglielmo il conquistatore, lo spirito dei quali, in forma di cavilli e di sottigliezze , qualche volta comparve nelle gran sale di Westminster anche in tempi d’estesa civilizazione, sen- za rimanere atterriti dalla somma dottrina che risiede in quell’ adunanza. In Francia, il litigioso spirito dei Nor- manni ottenne un esteso dominio; fu considerata la loro legge come il vero modello di giurisprudenza , ed i suoi principi vennero adottati dalla maggior parte dei tribuna- ‘ li dei più illuminati paesi. Quando la Palestina fu con- quistata dai latini, la legge normanna divenne una delle parti componenti le assise di Gerusalemme. Il luogo del cadì venne rimpiazzato dal siniscalco feudale; ma se i capi delle crociate avessero fatto stima dell’ Alcorano, il libro della luce avrebbe loro ispirato rammarico , quando la sua dispotica e superficiale giustizia fosse stata messa a confronto con le elaborate carte di Giovanni d’Ibelin, il quale dichiara essergli del tutto impossibile l’ enumerare tutti i modi per menare a lungo un processo: « poichè quanto più un uomo è saggio ed astuto, tanto più è capace (1) Orkneys, oggi le Orcadi; gruppo d’isole appartenenti an- ticamente alla Danimarca , ora incorporate nella Scozia fino dal 1474. Alcune di esse sono al presente quasi deserte. Il Trad. 60 di scuoprire e trovar nuove cose in un processo; ,, e non v'è dubbio che molti processi che erano stati cominciati nel primo anno del regno di Goffredo Buglione, non erano stati ancora decisi quando il Saladino purgò la città santa dalla sozzura de’ miscredenti . Suppone Montesquieu che la scienza delle agita leggi delle tribù teutoniche divenisse inutile, quando cominciarono a prevalere i duelli. Il re Frotho decretò, che qualunque controversia , vale a dire qualunque torto o affronto, doveva decidersi nel campo. Secondo un. capitolo aggiunto alla legge d’ Uplanda , il costume de’ tempi pagani accordava il duello in risposta all’ ines- piabile accusa di codardia , accusa che non poteva essere cancellata se non col sangue. Quel vile che ricusava di dare sodisfazione ad un gentiluomo la terza volta, non era più protetto dalla legge , il suo giuramento non era più valido , nè poteva essere ricevuto per testimonio. Le donne erano per lo più la cagione di questi duelli. L’ulti- mo e più memorabile che seguì in Islanda, fu tra i due poeti Gunnlaug dalla lingua di serpente, e Rafù; ambe- due aveano pretenzione alla mano della bellissima Helga, il di cui sposalizio abbiam di sopra narrato, ed ambedue morirono nel conflitto. Il fato di questi due giovani aman- ti eecitò la pietà universale, e fu decretato in una delle più grandi adunanze popolari che mai fossero tenute in Islanda, dietro il consiglio degli uomini più saggi, che d’ allora in poi il duello dovesse essere. per sempre bandito. Benchè la Saga ci abbia trasmessi molti esempi di duelli in cui il semplice diritto di proprietà, di debito, di dote o di eredità era l’oggetto della contesa, pure precisamente parlando , non si può asserire che il duello fosse una forma legale, capace di decidere qualunque azione civile. La legge decideva le liti degli scandinavi , ma si continuarono i duelli, perchè era provato dall’espe- 61 rienza che la spada agiva con più effetto che non faceva il giudizio della corte ; e credevano che fosse di maggior importanza il vincere colla forza che colle parole. Una donna accusata da un uomo, era costretta ad accettar la disfida; ma inventavasi uno strano artifizio , per via del quale i combattenti riducevansi ad un certo grado d’egua- glianza. Ponevasi 1’ uomo in una buca scavata in terra, tanto che si affondasse in fino alla cintura, il che era molto vantaggio per l’Amazone scandinava, la quale po- teva andargli a torno a torno colpendolo sulla testa con una striscia di cuoio o con una frombola , a cui era appesa una grossa pietra. L'uomo teneva in mano una clava, e se nel procurare di arrivare la donna i suoi colpi andavano tre volte a vuoto in guisa, che la clava battesse tre volte in terra, veniva deciso che egli era stato vinto. (1) (1) Nel famoso duello fra il falso traditore Macario e il cane di Montargis, il fedele animale fu protetto da un’ invenzione si- mile a quella che abbiam di sopra descritta. Gravissimi autori che hanno scritto sul duello hanno tenuto per vero questo ro- manzesco racconto, benchè non richiedasi una grande acutezza di spirito per dubitare della sua autenticità. Nessuno aveva fino ad ora osservato che l’intera avventura era stata presa infatti da un romanzo, probabilmente francese, il quale solamente ab- biam potuto vedere in un’ antica traduzione spagnola. ( Historia della Reyna Sevilla ; Valladolid 1623.) L’ uccisore porta il me- desimo nome nel romanzo come nella traduzione francese , e cor- rispondono tatti gl’ incidenti, ad eccezione che il cane non è quivi fornito d'una buca onde ricovrarsi. Il combattimento è scritto in antica lingua spagnola , e ci lusinghiamo che un' estratto fedel- mente tradotto dall’ originale possa piacere ai lettori. ,, Disse il vescovo: Macario vieni a baciar le reliquie, e sarai più sicuro del cane , ed otterrai il tuo intento. — E Macario disse ; signor no , non voglio baciare le reliquie, nè pregare Dio che m’ aiuti con- tro un cane ; . . . . . Il duca don Giacomo sciolse il veltro , e dissegli, a Dio ti raccomando, che ti vendichi di colui che ha ucciso il tuo signore ; e il veltro prese ad andare contro Macario. Macario quando lo vide venire, prese il suo bastone, e pensò di colpirlo, ma il cane s’ abbassò e saltò a traverso, e non lo potè 6a L'uso determinava il peso e la natura dell’armi, ed il teatro del combattimento scandinavo. I furibondi/guer- rieri eleggevano un'isola ovvero un luogo chiuso, dal quale nè l’ uno nè l’altro potesse fuggire. Poco terreno assegna- vasi ai combattenti ; una pelli lunga undici jardi (1) sten- devasi sul terreno sul quale essi combattevano, e qualche volta assegnavansi i confini con delle tavole, o facevasi un cerchio con delle pietre. Quegli che usciva. dalla bar- riera , o che era forzato a violare il cerchio benchè con un sol piede escisse fuor del circolo, e quegli che primo macchiava del suo sangue la pelle; doveva intendersi per vinto. Questa era la legge del re Frotho; e tali regolame.:ti intendevano a renderere meno pericolosa l’azione. Una convenzione terminava la battaglia, che sodisfaceva l’ono- re del vincitore, mentre il vinto confessava che non’ po- teva mutare la sua mala fortuna protraendo la contesa. Ogni qual volta leggiamo delle relazioni sopra la Scandinavia, ci si mostra alla nostra fantasia come una regione perpetuamente inviluppata nei turbini di neve; i suoi abitanti son presentati alla nostra imaginazione a gui- sa d’ iusociali e barbari guerrieri, dediti soltanto alla guerra e alla rapina; pure a seconda del loro regime, tut- ti i membri della comunità erano collegati insieme dai raggiugnere, e fece. tal ferita in terra , che il bastone entrò in essa più d’un dito, e il veltro andavi di dietro mirando per dove lo poteva assalire. E nostro Signore volle mostrare un gran mi- racolo , che volle aiutare il cane; perchè prendesse vendetta di colui che ha ucciso il suo signore Albertino Mondiser . . . . e così andando cercando , tosto l’ assalì per la gola, prima che il traditore lo potesse colpire col bastone, e lo costrinse a terra co- me un maiale che non poteva escire del. 2% (1) Nell’ originale dice nove e//s; ora un vali è un jardo e an quarto , e un judo è tre piedi inglesi; onde ne risulterebbe che la pelle dovesse esser lunga trenta quattro piedi inglesi, la qual lun- ghezza mi sembra che non combini coll "aritedediite espressione, che poco terreno assegnavasi at combattenti. I Trad: - i 63 più stretti vincoli di società. I doveri morali era no rinfor- zati dalle pene che infliggeva la legge, la quale mirabil- mente influiva sopra i precetti e i dettami dell’amicizia, della carità e dell’affezione naturale. L’ agricoltore pove- ro, se mancava di braccia necessarie per la raccolta, po- teva domandare il gratuito aiuto del suo più ricco vicino per raccoglier la messe ;.e con ben intesa premura pro- curava la legge di por freno alla mano del iadro, ridu- cendogli a mente, che il campo aperto all’ aggressore e non guardato dal suo padrone « era sotto la‘ guardia di Dio, a cui il cielo serviva di tetto, benchè non vi fosse altro muro che la fragile siepe ,,. La ciurma, la cui uni- ta forza non era sufficiente a lanciare in acqua un vascel- lo, poteva. domandare al popolo di quel posto l’ aiuto delle loro braccia; e se naufragava la nave del pescatore, il popolo doveva aiutarlo a porre in salvo le sue proprietà. Quando una madre moriva nel puerperio , la legge ordi- nava alle matrone del paese d’allattare il fanciullo ad una per volta, e il cadavere ‘era portato alla tomba dai parenti della defunta. Anche gli animali erano riguardati come esseri congiunti alla società. L’industre castoro , ha la sua casa come l’ agricoltore; e se il castoro era ucciso e guastata la sua cella , il proprietario di quella terra do- veva pagare un'ammenda di tre marchi ( quasi ottanta paoli toscani ). Ma i feroci abitanti della foresta e nemici degli uomini‘, furono dichiarati da Haco Atelstane esser fuori della protezione della legge: « Z/ lupo e l'orso sa- ranno perseguitati in ogni luogo ;;. La Scandinavia somministra antichissimi esempi di provvisioni legislative per il soccorso dei poveri. Colui che non poteva guadagnarsi il pane, poteva pretendere un asilo in qualunque casa del suo paese. Il proprietario d'un campo doveva ricevere il cieco e farlo poi passare al campo vicino, dopo averlo ritenuto durante il periodo prescritto dalla legge. Ameno che il rustico villano 64 | trattasse male il bisognoso sotto colore della legge, era proibito di ricusare l'alloggio a qualunque povero dopo il tramontar del sole. E se gli accadeva allora qualche disgrazia , se restava morto dal freddo. o sbranato dai lupi, esigevasi la piena ammenda del cc dall’ inu- mano trasgressore della legge . Nel commercio agriculturale ne sorgono la povertà e le ricchezze , a seconda del loro naturale bilancio ; la fa- tica è il capitale dell’ agricoltore , e il suo bene e il suo male, le sue perdite e i suoi guadagni sono instabili e vari in ogni generazione, come l’ estate e l’ inverno, e in ogni generazione la Bici riman bilanciata. Non era una mal’intesa carità quella che diminuiva il peso dell’ uma- na miseria , assicurando al miserabile una piccola porzio- ne della messe , che altri aveano seminata e raccolta. Nei secoli bassi, solo la Norvegia e la Svezia possedevano questo sistema di legge in:favore dei poveri , essendovi state messe in vigore dalla povertà della chiesa ; pochis- sime comunità religiose esistevano in quei: paesi, nè si prodigavano alla porta:dell’ Abbadia l’ elemosine agli ac- cattoni. Nessuna spiga spuntò in mezzo al salvatico che dirigesse il viandante all'albergo della Croce , sotto il di cui tetto trovava il suo pascolo l’affamato, e lo stanco ri- poso ; egli era perciò necessario che la mano' di ogni in- dividuo fosse costretta ad offrire quell’aiuto, che la pietà ( benchè forse sinistra pietà ) presta a’giorni nostri in altri paesi. Parrà forse ad alcuni che la guerra fosse la favorita passione pei popoli settentrionali , pure le loro leggi si diffondono copiosamente nel determinare i diritti ‘che ri- guardano le più pacifiche occupazioni ; e le leggi rurali della Svezia e della Norvegia, son compilate con partico- lar cura e precisione. Sotto un inclemente cielo la messe non poteva ottenersi senza un’instancabile fatica, e però i legislatori del settentrione proteggevano gli agricoltori 65 col loro codice rurale. Sarebbe impossibile trovare un esatto paragone a a quest’ articolo della giurisprudenza scandinavia. Si leggono in Fleta alcuni capitoli riguardan- ti la direzione d'un feudo, e gli obblighi dei servi e dei vassalli del signore; di più importanza è un trattato so- pra l’agricultura scritto in francese-normanno ; ma que- st'opere insegnano meramente l’agricultura, e non danno leggi sopra di essa, mentre gli scandinavi danno una sanzione legale al costume del paese. Esaminando la sto- ria della società del settentrione , cioè dell’ estreino con- fine della civilizzazione europea, la legge agriculturale degli scandinavi è di singolare valore; essa pone in chia- ro perfettamente la loro economia rurale , col definire tutti i diritti e i doveri del signore e del fittuario , del padrone e del servo. Non possiamo astenerci dal riportare il seguente capitolo che leggesi nel codice di Haco Athel- stane, e che vien riportato nelle leggi del re Magno. . « Orapuòaccadere che un agricoltore prenda ad ope- ra un uomo libero, allora tutti i patti sopra i quali essi hanno convenuto, devono esser bene e religiosamente osservati.,, « Se l’agricoltore non osserverà il convenuto, ma li- cenzia l'operaio dal suo servizio, allora il lavoratore doman- derà il suo vitto in presenza di due testimoni, e s'offrirà a fare quel lavoro che prima avevano insieme convenuto; è se l’agricoltore non accetterà il lavoro dell’operaio, allora sarà tenuto a pagare per ammenda tre ora4s d’argento al re, ed il lavoratore avrà il suo salario e il prezzo del suo vitto. ,, « Ma se il lavoratore non osserverà il convenuto coll’agricoltore, allora l’agricoltore domanderà all’operaio il lavoro che avea promesso di fare , ed offrirà di provve- derlo del suo vitto in presenza di due testimoni; e se il lavoratore non vorrà eseguire il suo lavoro, allora dovrà pagare per ammenda tre oras d’argento al re; e dovrà pa- gare similmente all’ agricoltore quanto avrebbe da lui T. X. Aprile 5 66 ricevuto per. suo salario. Ma nondimeno l’agricoltore non dovrà avere il valore del vitto, perchè se lo ritiene per sè.,, a E se un lavoratore qualunque prende un altro lavo - ratore in suo servizio, allora pagherà per ammenda un mezzo marco al re.« i « E se un lavoratore prende a fare l’opera d’un altro, e non la può perfettamente eseguire, allora uomini degni di fede giudichino quanto gli si può torre dal suo sala- rio. » $ « E se un lavoratore s'ammala o resta ferito, e giace così in letto quindici giorni e non più, allora non dovrà farsi alcuna diminuzione al suo salario (premesso però che uomini probi e degni di fede accertino che l’ agricoltore non ha abbastanza per mantenerlo ); ma se va più in lungo la sua malattia, deve essere calcolata da uomini onesti la perdita del lavoro col prezzo del vitto che egli gode; o diversamente abbandoni il suo servizio, e vada presso i suoi parenti. » Del pari minute e circostanziate erano le leggi che regolavano la coltivazione e la manutensione dei campi, che potrebbero soffrire il confronto delle più accurate leggi fittuarie de’ tempi nostri. Le descrizioni delle più minute particolarita che occorrono nei campi occupa- no molti capitoli in questi antichi monumenti di legi- slazione , ed offrono frequenti esempi di quella libera felicità, che la sorte avea prodigato ai popoli settentrionali. Il lusso veniva loro negato dalla natura, e la magnificenza dell’arte non era conosciuta; ma aveavi grano nella capan- na e vacche nella stalla, ed il libero e opulento villano lavorava il duro terreno. I tribunali popolari erano la salvaguardia della ric- chezza e della libertà degli scandinavi , le istituzioni dei quali sono state imperfettamente spiegate da Stiernhook , il di cui compendio delle leggi svedesi è l’ unica opera di questo genere che sia alla portata della generalità dei let- PA 67, tori; ed ora sarebbe nostra intenzione di dilungarci su que- sto soggetto, se non cl trovassimo costretti a por termine alle nostre osservazioni. Con dispiacere ora ci accorgiamo d’esserci troppo dilungati nelle particolarità della legge, senza tentare d° investigarne la sua base essenziale; ed 0s- servando, direm così, l’ antico vestire dei giudici quando sedeveno in tribunale, abbiamo trascurato di por mente al loro sapere. Pure divien più lieve il rammarico della nostra negligenza, quando pensiamo che i principî incor- poratisi nell'ordine giudiciale degli sca ndinavi posson ricevere un'illustrazione più utile e familiare, consideran - dogli congiunti coll’antica comune legge d’Inghilterra. Se noi ritorniamo a queste investigazioni, è perchè le partico- larità, della legge sono nuovi e perenni commenti della storia. La vita dell’uomo si consuma nel procurare di cono- scere le sue follie, i suoi vizi, e i suoi delitti; ed i volumi che ci insegnano a riguardare ogni nostro simile come com- pagno al delitto danno la più affliggente, pure la più istrut- tiva anatomia del cuore umano. , Icn. Mourier. Delle fabbriche, e delle scuole di New-Lanark in {scozia , e del sig. OwEN proprietario direttore. Bstnatto del giornale di un viaggiatore. ( Precedono alcune notizie sull’ istoria dell’ origine e progressi di tali stabilimenti.) Nel 1784 Sal Dale fondò una manifattura per filare e tessere il cotone presso le cadute del fiume Clyde in Iscozia. Il paese intorno essendo povero, e la popola- zione poco numerosa , la convenienza’ derivante dall’ab- bondanza ed impeto dell’acque fu il solo motivo che fece scegliere quel sito. Ma era d’ uopo trovare chi lo abitasse. Furono riuniti fanciulli di ambi i sessi dalle case di lavo- 68 ro delle vicine città , specialmente d’ Edimburgo, e co- minciò a fabbricarsi un locale per servir loro di rifugio e di scuola. Venivano essi nudriti, vestiti, ed educati a spese del sig. Dale. Nello stesso tempo s' invitarono fami- glie povere a stabilirsi presso le oflicine , e si offersero a basse pigioni le case nuovamente fabbricate. Pochi però concorsero , e quei pochi credendo di conferire un favore, anzichè riceverlo, quando dopo qualche ‘tempo potean conoscere l’ utilità di che erano, si stimavano agenti e non lavoranti, ed operavano ogni cosa a lor modo. Il sig. Dale quasi sempre assente, il disordine s'introdus- se a poco a poco nel villaggio: indi la pigrizia, il mal costume, e il delitto. Si aggiungeva lo spirito d’ intolle- ranza, per cui chi professava una certa opinione religiosa, che era quella dei capi, si rendea persecutore degli altri di differente credenza. Lo stabilimento d’ educazione pro- cedeva assai meglio. I regolamenti interni eran ben con- cepiti e ben eseguiti, gli appartamenti comodi , il nutri- mento sano, somma cura di nettezza fra gli allievi; onde eran da sperarsi progressi morali, e prosperità fisica , senonchè si opponeva potentissima causa. Acciocchè i profitti delle manifatture potessero supplire alle totali spese dello stabilimento, si voleva che i coloni d’ogni età fossero indefessamente impiegati ; e non meno che gli - adulti, i fanciulli lavoravano dalle 6 antemeridiane alle 7 pomeridiane , estate come inverno , coi soli intervalli del pranzo e della colazione. Usciti dalle fabbriche anda- vano alle lezioni, e da queste a quelle. Le conseguenze furono fatali; indebolimento di salute, e nullo avanzamen- to nell'istruzione. Molti non potendo sopportare tanta fa- tica abbandonarono il villaggio, e sprovvisti di tutto , rico- vrandosi nelle vicine città d’ Edimburgo e di Glasgow , divenivano vittime del vizio e della miseria. L'età avanzata del sig. Dale, e il poco buon successo e’ suoi benefici intendimenti lo determinarono a vende- 69 re la totale azienda ad una società di negozianti, uno dei quali , Roberto Owen , ne intraprese la direzione , e vene ne a stabilire la sua dimora nel villaggio di New-Lanark, nome ond’è ora conosciuto. Ciò accadde verso l’ anno 1800. Alle difficoltà che avea esperimentato 1’ antico proprietario, altre si aggiungevano nel nuovo. Inglese, com’ egli è, doveva incontrare in tutti i coloni, scozzesi "di nascita, quell’antipatia nazionale , che nata in lontane epoche, ancor non è estinta nelle classi inferiori della società, sia in Inghilterra , come in Iscozia. Inoltre erano essi presbiteriani, 0 di altre fra le tante sette che trovansi in quest’ ultimo paese, ed egli, come anglicano, avea un titolo di meno al loro rispetto. Ma con tutto ciò non si perdè d'animo, e manifestò la sua intenzione di rifor- mare ogni abuso , vale a dire opporsi alle mire de’ malva- gi, e ‘degli avidi che allora impunemente regnavano: Anche i migliori non tardarono a sospettare in Owen il se- greto proponimento di regolar tutto a proprio vantaggio, e di diminuire in sostanza il prezzo dell’opera col pretesto di riformare abusi. La sua fermezza intanto, e la sua pazien- za gli preparavano benchè lento il successo. Fu suo prin- cipio di prevenire i delitti per non doverlì punire. Il fur- to, di cui frequentissimi erano i casi, cessò a poco a poco, mediante alcuni regolamenti che dirigevano l’ industria in più legittime vie; mentre alcun facile ragionamento tendente a provare i vantaggi che derivano da onestà e buona fede faceasi comprendere ai più assennati, e per mezzo loro veniva inculcato a tutti gli altri. Così si pro- cedeva per l’ubbriachezza. I sobri eran citati come esem- pio da seguitarsi. Si procurava di mostrare ai più invi- ziati i funesti effetti dell’intemperanza al momento che ne era ancor viva la memoria , e di convincerli che per loro bene si voleva rimuovere la tentazione. Indi chiu- dendosi le osterie, la tentazione stessa veniva rimossa , e verificatasi l’ utilità della temperanza per la salute del . 70 corpo e della mente, dall’ autorità del fatto restava ‘alfine convalidato il precetto. Col medesimo metodo fatono af- frontati, ed a mano a mano vinti altri vizi che eran radi - cati feà questa popolazione. Nelle dispute, che non di rado accadevano , Owen stesso si preponeva riconciliatore. Egli facea conoscere che assai spesso il torto era da ambe le parti , che bastava aversi scambievole indulgenza per far tacere l’animosità, e di nemici divenire amici. A niùno si accordava privilegi; a tutti di qualunque partito e di qualunque setta , benevolenza e protezione! E siccome gli abitanti del villagiio discordavano fra loro nelle opinioni religiose, (non essendovi legge che ne eseludesse alcuna ) l’Owen s ‘adoprava a tutto potere per insinuare nei singoli animi benevolenza e carità reciproca, e ivantaggi che all’in- tiera comunità ne derivano poneva in luce, e volea che si proclamassero, non solo in giorni determinati e solenni’, ma tutte le volte che occasione opportuna nasceva.’ Frattanto erasi cessato di raccogliere fanciulli dalle pubbliche case di lavoro. In v vere si dava adito ad imtiere famiglie di venire a stabilirsi nella’ colonia , e si PARETO deva con più cura a quelle che in ultimo reose v' erano accorse. Circa quest’ epoca l’ applicazione della meccanica alle macchine da cotone, divenuta in Inghilterra ogni giorno più estesa e perfetta, facilitando e diminuendo maravigliosamente il lavoro manuale, se ne traeva' profit- to per concedere agli operai più lunghi intervalli di ri- poso , e non si permetteva ai fanciulli di 6,7, e 8 anni di accudire alle fabbriche , come în passato. Da ‘5° anni a 10 ricevevano PANIETITI di leggere, scrivere, ed arit- metica. Le femmine apprendevano ogni specie di lavori di ago. Succcessivamente si aggiunsero maestri di musica , ballo , e storia naturale. (*) (*) Per ogni fanciullo che frequenta le scuole, i genitori ri- cevono di meno sul salario 3, scellini l’ anno ; ma la spesa reale ascende a 2. ghinee. 71 Mentre si operavano queste importanti riforme, altre non erano ommesse per render più comode le abitazioni , migliori le strade, più sani gli alimenti , in una parola per contribuire al ben essere , ed al con- tento dell’ intiera popolazione. In presenza di tanti be- nefizi reali , che anche i più increduli malgrado loro in- contravano , dovean cedere l’ avversione e la ripugnanza primamente manifestatesi. Le difficoltà che in principio eransi annunziate insuperabili di giorno in giorno si da- van vinte, e le buone intenzioni del sig. Owen non venivan eontrastate da ostacoli morali. La sobrietà , l’inidustria, la salute, la mutua benevolenza, la gratitu- dine verso il proprietario direttore, il rispetto verso i capi preposti ai diversi rami dello stabilimento subentra- vano alle contrarie qualificazioni , che aveano infamato questa comunità. Nel luglio 1817 l’ Owen, in qualità di magistrato della contea, asseriva sui giornali di Lon- dra, non v’essere stato da più anni caso di colpa fra gli abitanti di New-Lanark. E tali maravigliosi effetti eran nati quasi spontaneamente dal principio preventivo in tutte le forme applicato, senza che abbisognassero leggi positive, o repressive per indurre gli abitanti a secondare im tutto e per tutto il loro capo. Vagliano su di ciò due esempi. Volendo il sig. Owen rendere più raro ai coloni l’ obbligo di comprare e vendere, che secondo lui è sor- gente di depravazione morale, assunse di fornir loro i priucipali articoli necessari alla vita, col mezzo di bot- teghe per suo conto amministrate in alcune delle quali erano commestibili, in altre mercerie, in altre utensili di vario genere, e così del resto. Furono invitati gli ope- rai del villaggio a provvedersi in tali botteghe, dove non avrebber 1’ obbligo di compfare gli articoli che ne traeva- mo, ma essendo fisso il prezzo , ne verrebbero giornalmen- te addebitati per conteggiarsi in fin di settimana in con- fronto del loro salario , e ricevere il resto in contanti. Le na persone preposte sii smercio avendo la distinta nota dei salari, doveano avvertire che il credito respettivamen- te accordato non oltrepassasse il respettivo ammontare di questi. Invitati appena gli abitanti, consentirono al desi- derio dell’ Owen, provvedendosi di tutto il lor necessario nelle botteghe nuovamente aperte a New-Lanark, ove per il medesimo prezzo , e talvolta minore trovarono.in ogni articolo migliori le qualità, senza il sospetto di essere in- gannati, e senza l’incomodo che prima soffrivano nel do- versi spesso trasferire alla vicina città di Lanark, per farvi i loro acquisti. Attualmente non v'è forse famiglia a New-Lanark che non abbia con le botteghe dell’ Owen il suo conto settimanale. Si crederebbe che siasi tutto . ciò, ottenuto senza stimolo di legge, e senza ministero di autorità ? L'altro esempio è quello de’ fanciulli, i quali non costretti a frequentare le scuole; vi concorrono in folla alle ore prefisse, con quell’ ansietà e, piacere, che appena potrebber mostrare se si recassero in, luoghi di passatempo, e di sollazzo. Riferiamo il rapporto della deputazione spedita, nel 1819 dalla città di Leeds, per osservare ocularmente, ;lo stabilimento del sig. Owen, all’oggetto di adottare; un egual sistema, se si credesse utile, per le fabbriche di quella gran città. Ivi « Lo stabilimento del sig. Owen a New-Lanark è molto meglio regolato. di qualunque altro che la deputazione conosca ,, produce forse maggiori, be- nefizi di qualunque altra istituzione nel regno della Gran Brettagna , e vanta un sistema ammirabile di moral disciplina . La popolazione. sì compone di 2293 indi vidui, non compresi 188 impiegati nei, molini, ma che dimorano a Lanark. Di questa popolazione 483 fanciulli, minori di 10 anni, ricevono giornaliera istruzione nel- le scuole. Essendo trattati con la possibile dolcezza, ed abituati ad apprezzare il sentimento dei loro doveri, sen- Za speranza di premio, nè timore di punizione, essi fanno 73 progressi. molto soddisfacenti nel leggere, scrivere, ed aritmetica come pure nella musica, e nel ballo. Nel- l’ educazione di questi fanciulli ciò che deve specialmen- te notarsi si è quello spirito d’amore e benevolenza che lor si dimostra, e l’ esclusione di tutto ciò che può cagio- nare le prave. abitudini, con l'adozione di ogni mezzo che può indurre le buone. Perciò essi somigliano ad una famiglia ben regolata, e unita dai più stretti vincoli di affetto. Fra.i maggiori, come fra i minori, possiam dire di non avere udito altercazioni, nè osservato ' discordia ; anzi sono essi tanto convinti che il loro bene è insepara- bile dal. loro dovere, e che per essere essi stessi felici gli conviene adoprarsi per la felicità dei lor compagni, che non esisteva fra loro gara se non che in tratti di scambie- vole cordialità. » :€ Dopo questa, l’altra classe della popolazione con- siste di giovani, e ragazze da 10 a 17 anni. La condotta loro n conseguenza del buon metodo della prima educa- zione è certamente esemplarissima. Al lavoro si mostrano metodici e diligenti ; nelle loro,maniere cortesi , ed insi- nuanti. Essi appresero, che il vizio e la felicità non pos- sono lungamente andar congiunti , e cercano il contento nelle fi e nell’ esempio dei buoni, e non nella com- baana e nei costumi dei dissoluti. » Osterie, e simili eccitamenti al vizio non esistono in SR ia villaggio, e ‘mancando la lor funesta. in- fluenza, il benefizio che da ciò deriva è reso evidente dalla differenza che passa tra la condotta ed.i costumi degli abitanti di New-Lanark, e di altre ( molte se non tutte ) città di manifatture. ») « Molto da commendare abbiamo altresì trovato sh massa della popolazione da 17. annì in sù. In ge- nerale appariscono sobri, sani, e decenti. L’ubbriachez- ZA” Berme di tanti vizi e di tanta infelicità nelle classi infime, è è fra loro totalmente ignota. Essi sono ben vestiti, 74 e ben nutriti. Le loro abitazioni sommo comode è nette. Le pacifiche abitadini degli uomini, la modestia delle donne non danno occasione alla bestemmia ed al linguaggio osceno, che di fatti non trovatro a New-Lanark labbra che li pronunzi. Questi effetti sono preparati dall’èéducazio- ne, e mantenuti dall’ assenza di ogni tentazione ee. » «È poi certo che il sistema adottato a New-Lanark ten- de a corroborare i sentimenti religiosi; e il dubbio promosso che la religione possa soffrir nocumento dall’introduzione altrove di un egual sistema è così mal fondatò, che noi convenghiamo nell’ asserzione del sig. Owen, quando ei dice che gli abitanti di questo villaggio formano una ‘comunità più religiosa di qualunque altra riunione di manifattori nel regno unito della Gran Brettagna. » « Tutto quanto è necessario per l’ andamento delle ‘fabbriche e pel vivere degli abitanti, si lavora nella colonia stessa. » « Le paghe che gli operai ricevono non sono certa- mente la causa del contento che regna in' questo villaggio. Quii deputati di Leeds riferiscono le paghe degli operai di New.Lanark, che essendo minori di quelle che si ac- cordano in altre grandi aziende di manifatture, ricetti di miseria e di vizi , ne traggono nuovo argomento di lode per gli ordini stabiliti , e posti'in pratica dal sig. Owen. Non siamo però informati che altri, dopo questo rapporto, abbia imitato a Leeds il di lui esempio. Tanto è vero che pochi hanno le qualità necessarie per eseguire ciò che approvano ! Segue l'estratto del giornale. 20. novembre 1821. 5 Po Partito coi miei compagni di viaggio da Lanark, arrivai a New-Lanark, che n'è distante poco più d’ un' miglio. La situazione di questo villaggio sulle sponde del fiume Clyde, abbondantissimo di acque per le non lon- tane cadute, è oltremodo pittorica. Ma sono forse i punti \ 75 di vista, che conducono il viaggiatore a New-Lanark? Cerchiamo! del sig. Owen , del quale tanto si parla in In- ghilterra e Scozia e per cui avevamo lettere di racco- mandazione. « Il sig. Owen non tarderà a venire da una sua canìpagna poco distante dove egli abita. » Mentre lo aspettavamo suonano le ‘ore, e vediamo. uscire dalle fab- briche alcune centinaia’ di operaî, uomini e donne. Ci vien detto esser l’ ora della colazione. Era ammirabile la decente comparsa di quella gente , 1 ilarità delle loro fi- sonomie , e l’ aspetto di salute che in lor' si osservava. Conversavano 1’ un con 1’ altro tranquillamente , è in mo- do che può dirsi straor dinario frà persone della tor classe. Sì sarebbe facilmente indovinato che non eran mal con- ‘tenti della sorte'che' il cielo gli aveva fatta. Intanto giunge il sig. Owen, € preseritiamo le nostre lettere. Tosto rico- nosciamo in luf ‘cortesia ingenua, e gravità di carattere , scevra però di alterezza. Compreso che ebbe esser nostro desiderio di ‘vedere delle fabbriche e degli istitati di New :Lanark quanto éra possibile in una giornata , si chia- mò pronto ad accompagnare e soddisfare le nostre do- mande. Entriamo nelle fabbriche , ora. éselusivamente dedicate a ridurre il cotone dallo' stato greggio a filo , ed osserviamo’ nuovamente che # lavoranti presentario ovun- que' aspetto di salute e' di contento, quando in altre fab- briche gli avevamio' visti tanto' diversi. Le mie fabbriche, dice il sig. Oweit'}' vanno è ‘forza di acqua è non di va- pore , e i lavoranti ron vi‘ starino rinchiusi ‘tante ore il giorno quatite altrove, escono }a mattina per far colazio- ne, e più tardi pel pranzo, e là serà non lavorano che pochie ore , d'inverno: Inoltre rioni si riceve alcuno mino- re di 10 ari per 'non impedire'lo sviluppo fisico. E qui aggiunge altre’ riflessioni del seguente! tenore. L° applica- zione del vapore potrebbe' essere un' vantaggio iticalcola- bile per la specie umana’, nia sino' adesso non è' servito ‘che' ad' accrescere la sua infelicità: Nelle fabbriche , ove 76 sono molini a vapore, un numero immenso d’ individui di ambi i sessi e di ogni età vien rinchiuso talvolta sino 15.0 16 ore del giorno, respirando un ambiente quasi infuocato; onde un’invenzione che dovea, e potea contri- buire a minorare la fatica degli uomini per procurarsi i comodi della vita, è divenuta sorgente di pena e disagio per porzione della specie umana, senza accrescere in alcun modo la felicità del resto. Nell’ uscire dalle fabbriche ; il sig. Owen ci dice, che esse danno occupazione a: circa 1800 individui, e che vi si può filare ogni giorno quasi due volte e mezzo la circonferenza del globo. Procediamo alle vaste officine dove si fanno tutti gli arnesi; istrumenti, e macchine necessarie agli abitanti di New-Lanark, e al mantenimento delle fabbriche: Niente, si compra fuori del villaggio. La spesa annua di. fattura e riparazione di macchine, si valuta sopra un millione di lire sterline. Non occorre dire che gli artefici sono abi- lissimi; senza di che sarebbe impossibile portare a com- pimento macchine al maggior segno complicate , nelle quali la teoria meccanica non è meno difficile della pra- tica esecuzione . ‘Intanto che passavamo da un oggetto all’ altro, con troppa rapidità per ben osservare, spinti, come eravamo dal desiderio di tutto vedere, e temendo che il sig. Owen non, ci concedesse della sua compagnia quanto tempo era necessario alla curiosità nostra , egli manifestava le sue idee sulle cause che mantengono la miseria e il vizio fra le classi inferiori della società , e sui modi di quelle ri- muovere. L’ agricoltura, diceva egli , dovrebbe essere in- coraggiata preferibilmente alle fabbriche. A_New-Lanark le fabbriche, ché in generale si stimano la parte più uti- le della colonia, non dovrebbero avere che una secondaria importanza. I miei progetti sono appena iniziati, ma se il cielo mi concederà vita, non dubito di poterli condur- re a compimento. Per altro î miei principi sono noti in i 77 Inghilterra, dove basterebbe che alcuni fra gl’ individui che hanno maggiore importanza pecuniaria e morale, mi secondassero attivamente, per ottenere i più soddisfacenti effetti. Come mi sono sforzato di spiegare nei vari opu- scoli da me pubblicati, i rimedi proposti sono così sem- plici nei loro elementi, così sicuri nei loro effetti che una volta apprezzati si adotteranno dall’ universale , come ap- punto le verità aritmetiche conosciute che furono dagli uomini non si videro nè rifiutate in principio, nè dimen- ticate in progresso. Io sono convinto che in ogni tempo gli uomini nello stato sociale hanno conosciuto 1’ infeli- cità, perchè hanno trascurato i veri mezzi di ‘allontanar- la. Ma ai nostri giorni l’ applicazione del vapore, i pro- gressi della meccanica, le invenzioni della chimica hanno straordinariamente facilitato e moltiplicato questi mezzi. Nelle isole britanniche è tale l’ ubertà del terreno, che potrebbe nutrire duecento millioni d’ abitanti ; 1’ industria e l'ingegno inglese sono al di sopra di ogni credere; eppure con questi elementi, di venti millioni d’ individui che all’ incirca contengono queste isole , gran parte vive im- mersa nell’ ignoranza , nella miseria, e nell’ immoralità. Se il lavoro riesce imperfetto ove buona è la materia , e buoni sono gl’ istrumenti , convien dire che mon si sap- pian questi adoprare. Se lo studio che si è posto negli ultimi trent’ anni, specialmente in Inghiterra , soltanto per perfezionare le macchine da cotone, fosse stato op- portunamente diretto a procurare la vera felicità del ge- nere umano , ella sarebbe certo bene avanzata. Ma sinora, proseguiva l’Owen, che si è voluto? che gli uomini fossero buoni avendo le occasioni di esser malvagi, vale a dire che date le cause, non ne seguissero gli effetti naturali, ma i contrari. Ciò essendo impossibi- le si è dovuto ricorrere a carceri, e a patiboli : con che frutti ognuno il vede. Perchè dunque, invece di perder tempo ed opera a contrastare con la varietà infinita 73 degli effetti che pur sempre rinascono , perchè le cause rimangono vive ed integre, non si vuole una volta risali- re a queste per distruggerle, e riconoscere quanto sia fal- lace pensiero che elleno siano inerenti alla natura umana? Almeno si tenti:.sì studi il principio preventivo , in tutti i secoli proclamato dai più saggi; si attenda alla sua spe- ciale e generale Maoeininione: Ella è facile, quanto il principio è certo. Così parlando, il sig. Orta ci condusse in alcune botteghe fornite dei principali articoli di consumo per gli abitanti. Queste sono amministrate per suo conto, e cia- scuno degli operai di New-Lanark prende ciò che gli oc- corre, e ne viene addebitato per compensare col salario, e saldare il conto, finita la settimana. ( Vedi le notizie che precedono. ) Il sig. Owen ci spiegò il motivo che lo avea consigliato a simil provvedimento, È indubitato, ripetia- mo le sue parole, che l’obbligo di comprare e di vende- re quasi ad ogni momento , è il germe che produce mille frutti d’immoralità. Continuo ; ed indefinito essendo Jo sforzo di chi vende per aumentarsi il profitto, diminuen- dolo a chi compra , o cagionandogli danno, e viceversa; molti spinti dal bisogno, gli altri abbracciando le occasio- ni fomentatrici dell’ayidità , è cessata la distinzione fra industria e inganno, abilità e frode, ed è venuto a dif- fondersi senza ritegno quel sentimento fatale di egoismo, onde sorgono tanti mali, laddove soltanto dallo spirito d’associazione può derivare il bene. Bisogna inventare un metodo , mediante il quale la società venga sottratta a questa infelice condizione. È stato errore predominan- te di creare fra gli uomini un sistema di opposizione, d’ urto, di contrasto. Ogni legge però, che nega di pro- muovere il bene degli uomini in massa contiene origine di dissoluzione sociale, mantenendo rancori fra preferiti , ed esclusi. In ogni paese del mondo, ma specialmente nella Gran Brettagna , ove tante sono le sette religiose , 79 mal si avvisa colui che procede con opposte idee. Vedete Vl Irlanda! Forse non sì conviene da tutti che l’ oppressio- ne dei cattolici e la conseguente dissociazione fra questi e protestanti sia causa del bile stato di quell’ isola? L’ emulazione poi è stata sin qui la molla principale , che si è fatta muoyere educando i fanciulli. Eppure il core umano non ripugna a un miglior sentimento, che ne faccia tendere alla nostra felicità indipendentemente da uno stimolo d'invidia verso i nostri simili, da un desiderio perverso di soprafarli. Bisogna adunque condur- re l’educazione in modo che il fanciullo si persuada , quasi senza accorgersene , essere in quella nascosta la fu- tura sua felicità ; e tanto basta. Io non credo che. l’ uomo sia formato dal suo carattere: no, egli è formato pet suo carattere, come da molti filosofi si è sostenuto. Il suo ca- rattere non nasce con lui, ma è determinato dalle circo-- stanze che lo attorniano. L'educazione può molto, moltis- simo nell’ uomo. Convenientemente istrutto nel vero e nel buono , non può non invaghirsene, ed agire in conse- guenza. Lo studio pratico di oltre 30 anni mi ha fatto abbracciare tali principi. L'effetto che ne vedo nella mia colonia di New-Lanark, quantunque ancor nascente , mi ha dimostrato che essi sono veri. Giungevamo intanto alla casa di educazione ove cir- ca 6oo0 fanciulli minori di anni 10 ricevono istruzione di vario genere. ( Vedi le notizie che precedono. ) Era ter- minata la lezione , ed i fanciulli correvano per la scuola godendo dei passatempi propri dell’ età loro. Entra con noi il sig. Owen, e possiam dire che fummo allora spet- tatori di una scena singolarmente piacevole, e commoven- te. Quella turba infantile sembrava accoglierlo col senti. mento stesso, onde si accoglie un amico, un amante. SI avvicinavano a lui, un dopo l’altro, per ricevere le sue ca- rezze, le sue parole pui crd che egli impartiva senza di- libticne a tutti. Si riunivano indi per continuare gl’inco- 80 minciati giuochi, senza che la presenza del loro benefattore inducesse in loro timidezza, o ritrosia, non che timore. Non ignorando di quanto gli eran debitori, con tutto ciò si reputavano piuttosto amici che dipendenti. Chi ha fatto attenzione allo sbigottimento, che la presenza improvvisa di un pedante, o di un direttore di collegio, produce nel- l’animo di fanciulli sorpresi nel momento dei lor giuochi, immagini quanto fummo commossi e maravigliati nelle scuole del sig. Owen. Sebbene le lezioni non ricomincias- sero che la sera, egli fece pregare la sig. N. maestra di storia e di botanica , di riunire alcuni alunni per darci a vedere il suo metodo d’ istruzione. Il principio generale è di preferire i i segni alle parole, e senza dire della botta- nica, e di ogni altro ramo d’istoria naturale, che facil- mente s' immagina come possa apprendersi per mezzo di segni , l’istoria pure vien narrata sopra alcuni gran qua- dri, ove dividendo i fatti secondo le loro epoche, e non ‘ le nazioni secondo la loro situazione geografica, si pone sott'occhio la sostanza di quanto è accaduto da secoli an- tichissimi fino ai recenti tempi, ossia i fatti principali per ordine di cronologia comparata , con segni che ram- mentano le circostanze massime dell’ avvenimento , o il distintivo speciale dell’ individuo. In questo modo è cer- tamente impossibile che gli alunni acquistino cognizione perfetta dell’ istoria , ma il sig. Owen, sempre conseguente a sè medesimo , valuta tale studio meno utile di ciò che sì crede, come quello che soltanto descrive gli errori degli uomini, guidati per lo più da falsi principî , e dominati da false idee; e se stima opportuno di non lasciare igno- rare i principali fatti, è appunto perchè dimostrano quan- to sian gli uomini stati infelici con quei principi, e con quelle idee. Terminata la lezione d'’istoria, il sig. Owen c’ invitò a tornar la sera alla lezione di ballo, promettendo di ve- nirci egli pure. Non rifiutammo l'invito, ed eccoci di 81 nuovo presso le:scuole di New-Lanavk. Erano ancora chiu- se, ma frattanto gran numero di fanciulli di ambi i sessi si riuniva nei cortili adiacenti. Tutti accorrevano volon- tariamente: La scuola è aperta; dice il sig. Owen. Chi cre- de. di poter. passare il tempo con più soddisfazione qui che altrove } venga; e troverà buona ed. utile istruzione. Mentre lo attendevamo, avemmo luogo di trattenerci con alcuni -fra i maestri. Tutti parlavano di lui con termini d’ammirazione ; e di riconoscenza. Confessavano che egli avea loro accennato il vero modo di educazione , 0 per meglio dire il segreto d'insinuarsi nell’ animo dei fanciul- li, di renderli atti a profittare dell’ istruzione dopo averli convinti che si tende al loro bene , ed avere con ciò reso il loro cuore ausiliario della loro ragione nascente. Tutti convenivano del frutto che ne avevano riportato, superio- re ad ogni aspettativa. Seppamo da essi, che fra poco do- | vrà esservi a New-Lanark una pubblica biblioteca per uso degli abitanti del. villaggio, che potranno frequentarla terminati i lavori del giorno, e riportarne utile distrazio- ne. Si stà ancora fabbricando altro locale ove dovrà cuci- marsì tutto il bisognevole per l’intiera popolazione, te- nendo impiegate al cammino solamente sei persone, col sussidio d’ opportune macchine, onde risparmiare la salu- te di un gran numero d’individui, e vieppiù contribuire a far di tutti.come una sola famiglia. se All’ arrivo del sig. Owen s’ incominciò la lezione di danza. À questo proposito egli assicura l’ esperienza aver- gli provato non v’esser cosa giovevole quanto la danza al | fisico ed anche .al. morale dei; fanciulli, perchè mante- nendo l’ elasticità ‘delle fibre ; e dando impulso allo svi- luppo delle membra , ha ancor l’effetto di rendere ilare la mente, e più atta: ‘perciò ad apprendere e combinare le idee ricevute nell’ insegnamento. , In altre stanze v' eran molti che leggevano, altre che cucivano, altri che scrivevano. E si noti che a niuno T.X Aprile 6 82 era impedito di profittare della lezione di. ballo; ma quella sera preferendosi da essi altro genere d’ occupa- zione, non v° era chi si opponesse all’ innocente lor vo- lontà. Forse quelli che in tal sera danzavano, la prece- dente sera avranno scritto o cucito ; onde può dirsi che i maestri dipendono a New-Lanark dagli scolari, anzichè gli scolari dai maestri. L’affettuoso rispetto di tutti verso il sig. Owen fu anche allora motivo per noi di ammira- zione ; e se vuolsi aggiungere la spontanea tranquillità , l’amore, diremo quasi, con cui sembravano ‘attendere alle loro lezioni, si converrà che sarebbe stato difficile trovare obbiezione ai suoi sistemi, quando ne vedevamo così buoni gli effetti. Il sig. Owen benchè senza orgoglio e senza presun - zione parla di questi sistemi come altri parlerebbe di verità incontrastabili, ed egualmente dei suoi vasti pro- getti per rimuovere la miseria dalle infime classi in Inghilterra , o come essi dicono, the national distress. Le teorie, da cui emergono i miei progetti; sono così chiare, egli dice, che la negligenza degli uomini a com- prenderle , e l’attual loro ripugnanza ad adottarle è un fenomeno inesplicabile nella storia dello spirito umano. Quali esse siano, ei soggiunse, lo vedrete da alcuni opu- scoli da me pubblicati, dei quali vi prego accettare in dono un esemplare. Del resto non mi attribuisco in tutto ciò alcun merito. Uomini di alto intelletto hanno cono- sciuto fin da lontani tempi la verità di tali principi, e specialmente Giovanni Bellers, in un suo opuscolo stam- pato nel 1696, ha dimostrato come si sarebbero potuti mettere in pratica; onde se qualcuno ha diritto a lode, egli è questo sagace sebben poco rinomato. filantropo. Quanto a me ho soltanto riprodotto verità anticamente dette , e per quello che concerne ai miei modi d’educa- zione non faccio valere pretensione di straordinari talenti | che riconosco sinceramente non possedere, ma solo lunga 83 esperienza ; non smentita nè indebolita da un fatto, espe- rienza acquistata nel corso di circa 3o anni, in 20 dei quali la mia attenzione non è stata un momento distratta dal villaggio di New-Lauark. Ma tutto ciò che ho eseguito sinora:è come il preparativo di quanto saprò fare in ap- presso , se avrò chi mi secondi. La mia intenzione è di formare una nuova colonia distante dodici miglia da New- Lanark, ove i miei principi potranno essere con maggiore estensione applicati. Tutte le volte, ei concluse, che procuriamo coi veri mezzi il bene dei nostri simili ,. il nostro proprio presto o tardi ne deriva. Da questo discor- so, e dalla sua perseveranza, come altresì dal continuato assenso dei soci nell'azienda, deve dedursi che i suoi piani sono riusciti anche proficui ; lo che raramente accade agli uomini amanti come lui d’ intraprese , e di novità. Premessa questa riflessione, non sarà fuor di luogo accennare quelle che naturalmente ci caddero in pensiero partiti che fummo dall’interessante villaggio di New- Lanark. Coluì , che ha saputo applicare con successo teo- rie, che se non sono affatto nuove, rimasero finora confi- nate nelle pagine di troppo speculativi scrittori, e conside- rate come visioni di menti oltremodo accese, è ben altro che un uomo ordinario. L' entusiasmo che taluno chiame- rà romanzesco, onde egli parla di quelle teorie, è forse un distintivo di più da osservarsi nel carattere dell’ indi- viduo; ma non può detrarre dal merito della cosa. Nè vuolsi dimenticare la sentenza d’ Alfieri, che il ragionar disappassionato non: è in facoltà di chi vivissimamente arna il vero. E chi dice passione, dice entusiasmo. Che l’Owen abbia condotto la virtà e il contento ove regna. vano la miseria e le.colpe, e che gli si debba il ben es- | Sere di:quasi tre mila individùi, (che tauiti a un di presso sì contengono ora in New-Lanark, tra fanciulli educati nelle scuole , operai impiegati nelle fabbriche , artefici , e bottegai di ogni sorta) è un fatto , da quanto ci era sta- 84 to unanimemente detto, non contrastato nemmen da quelli, che d’altronde non convengono con lui nei prin- cipì generali d’ economia pubblica. E al certo, senza sol- levarsi a troppo alte considerazioni, chi vede il pratico effetto di alcuni fra i suoi sistemi comincia anche suo malgrado a persuadersene. In ogni modo , sembra egli aver dimostrato che possono almeno adottarsi per una ristretta comunità, posta in utile dipendenza, e diretta da un uomo dotato di benevolenza , di attività , e di per- severanza non inferiori alla sua, di Qui termina l’estratto del giornale. ) Non è nostro assunto discorrere con quella diffusione che si richiederebbe sui progetti del Sig. Owen. Veramente tanto si dilungano dal giudicar degli uomini, che potrebbe temersi di muovere il riso altrui a nostro scapito. Basterà dire che consistono nel— dividere il terreno coltivabile in tanti compartimenti di sei cento a mille otto cento acri ; secondo la qualità; fabbricare in ciascuno di questi com- partimenti un villaggio in forma di paralellogrammo con gli spazi, e gli edifizi necesssari all’ industria agricola e manifatturiera; porre in ogni villaggio 1200 abitanti per fargli coltivare il suolo e lavorarne il prodotto, procedendo ‘ sulla base del lavoro in combinazione col consumo; 0 sia fissar la valuta dei lavori per operarne il cambio a vicenda; aver cura dei fanciulli fino dalla prima età, e fondare le scuole occorrenti, ordinate con un nuovo e uniforme si- ‘stema d’educazione, e di moral disciplina. — Con tali re- golamenti egli cre di fare sparire la povertà e i delitti , e di codone la felicità in mezzo agli uomini. I prodotti dell'industria sì aumenteranno in modo che la colonia potrà pagare il fitto del terreno, l’ interesse del capitale speso per fondarla, e la debita quota di pubbliche tasse; il paese sarà in grado di alimentare una popolazione sempre crescente dieci volte meglio che non può oggigiorno; e fi- nalmente il metodo della prima educazione riuscirà così 35 perfetto, che la mente si farà ricca di tutte le utili cogni- ‘ gioni, e il cuore rimarrà: ‘inaccessibile a qualunque sfizi gia e disonesta inclinazione î Eccociò che si propone il Sig. Owen, e noi, (dice la Rivista d'Edimburgo N.° 64. ottobre 1819) « professiamo sentimenti di tanta stima pel suo carattere benefico e di- sinteressato, e i motivi della sua condotta hanno titoli così incontrastabili alla nostra approvazione e al nostro rispet- to, che sarebbe ingiusto il non renderne qui solenne testi- monianza, mentre assumiamo di combattere alcune sue idee, e di svelare l'assurdità de’suoi progetti » (1). ‘Potrà dunque vedersi il prò e il contro nell’articolo della Rivista citata, il quale si referisce alle opere pubbli- cate dall’Owen nel 1817, e 1818. (2) Non sembra però (1) L’articolo della Rivista d’Edimburgo combatte specialmente il progetto di dividere il suolo.in porzioni, e di fondare tanti vil- laggi; sostiene che non è fattibile, e che non potrebbe rimediare in alcun modo ai mali esistenti. (2) A new view of society, or essays on the formation of human character, preparatory to the development of a plan for ameliorating the condition of mankind, Observations on the effects of the manufacturing system. Two memorials on behalf of the working classes; the first presented to the governments of Europe and America; the second to the allied powers assembled in congress at Aix-la-Chapelle. Three tracts; with an account of the public proceedings, which took place in London, in July and August 1817 relative to the employment of the poor. Il primo di questi tracts è l’opuscolo di Bellers ristampato sull’ originale pubblicato nel 1696. Le prime parole sono da notarsi. Ivi ;, Provvedere ai poveri, e alla loro educazione è interesse déi ricchi, i quali provvedono così ai loro discendenti. Perchè sie- come le nazioni e gl’imperi soggiacciono a rivoluzioni e vicende, molto più le famiglie. ,, 1» Qual mortale asserirà non poter presto accadere che esso ‘stesso, 0 la sua prole cada in miseria? Evvi povero, che non possa probabilmente vantare antenati ricchi; od evvi ricco, che possa negare con certezza di avere avuto antenati poveri? ,, 86 che gli argomenti in quello addotti, con molto apparato d’eloquenza e di logica, siansi procacciato l’universal con- vincimento, da che vediamo che due anni indietro un ricco proprietario scozzese, per nome Hamilton, offerse di dare a livello una certa estensione dì terreno, esigibile il frutto in prodotti, secondo il giudizio di periti, per fondare altra colonia sulle basi dall’Owen proposte, ed incaricarsì egli stesso della direzione, ogni qual volta si trovassero soscri- venti di azioni fruttifere onde supplire alle prime spese; per lo che egli rese di pubblica notizia le sue proposizioni. Tanto apparisce dall’appendice dell’ ultimo opuscolo del- l’Owen, che abbiamo sott'occhio, stampato a Glasgow nel 1821, (1) il quale è in sostanza il rapporto di un progetto per dar sollievo ai poveri e trovare impiego ai manifattori, presentato nel 1820 all'assemblea generale dei nobili, pos- sidenti, e cittadini della contea di Lanark. Le medesime idee sono sviluppate, e i medesimi rimedi sono proposti , quelle come chiare ed evidenti, questi come di facile esecu- zione. Si ripete continuamente l’esperienza essere stata mae- stra all’autore del rapporto, il quale nomina gli autori della Rivista d'Edimburgo per ridersi di chi vuole opporre le teorie astratte alle verità comprovate dalla pratica.« Chi non mi conosce, egli dice altrove, maravigliandosi di così inauditi progetti , conclude dover essere chi li propone un pazzo, o un visionario esaltato, non sospettando che esso è invece un uomo cauto, operoso, e paziente, amante sopra tutto d’ esperimenti e di fatti , per correggere colla scorta loro, modificare e variare le teorie, e i sistemi; il quale per 35 anni consecutivi ha diretto vaste intraprese commer- ciali, ed aziende di manifatture, non tralasciando d’inve- stigarne assiduamente i più minuti particolari. Se la par- (1) Report to the County ‘of Lanark of a plan for relieving public distress, and removing discontent ec. By Bobert Owen. Gla- sgow 1821. î 87 ziale applicazione de’miei principi è stata feconda di tanti buoni effetti a New—Lanark, che non sarebbe ove a quelli sì dasse tutta l’estensione di cui sono suscettibili?» Ma, vaglia il vero, malgrado la speciosità di queste parole, non sappiamo come l’ Owen possa giovarsi del- l’esperienza acquistata a New- Lanark ad argomento per asseverare il pieno successo di quelle fra le sue teorie, che non sonu state ancora sperimentate, e chi sa se mai lo sa- ranno; cioè dividere la società in tante porzioni, promuo- vere indefinitamente l'industria agricola, escludere quasi ‘ dal commercio degli uomini il rappresentativo monetato dei prodotti; in due parole, rovesciare l’edifizio economico d'ogni nazione civilizzata. Dall’altro canto , non sarebbe nei termini dell’ equità e della ragione il un partito da simil pensiero per negare tutta l’ attenzione alle idee del- l’Owen in quella parte, ove la colonia di New-Lanark le dimostra vere, non che plausibili . Sulle medesime adun- que specialmente insistiamo, dopo quanto scrivevamo viag- giando nel novembre 1821, come proprie ad essere di pub. blica utilità, ove siano apprezzate da tutti quelli che vogliono il bene, e posson farlo.Considerino essi quanti stu- pendi frutti abbia prodotto a New-Lanark il principio pre- ventivo sostituito costantemente al principio repressivo, non meno per educare i fanciulli, che per correggere gli adul- ti. — Non permettere osterie, nè case di giuoco, e fare sparire con loro l’intemperanza, e la brama di ogni gua- dagno che non derivi da industria; brama che nelle clas- si infime conduce rapidamente al furto. Andare in traccia delle occasioni, onde a tutti palesarsi egualmente umano e benifico per eccitare negli animi gratitudine e rispetto, e così essere ascoltato come amico: e accadendo risse, e nascendo rancori esser preso a giudice inappellabile, quanto imparziale. Combattere l’ozio, e il mal impiego del tempo, dividendo e moltiplicando le utili occupazioni ; ed allonta- nare l’incontinenza coll’indurre universale opinione, che il 88: matrimonio non sia per essere-fonte di miseria, laddove esi- \stono provvedimenti all’educazione della prole, e dove il maggior numero d’individui dà impulso a maggiore slancio di benevolenza. Trar profitto del .più caldo e puro senti- mento di affetto che viva nel cuore umano, vale a dire l’amor paterno, per additare ai padri il sentiero dell’onore, mentre si dimostra ai figli amorosissima sollecitudine di educarli, onde riescan saggi, buoni, felici. (E qual padre non amerà la virtù se gli vien consigliata dal benefattore dei figli?) Intendere all’ educazione senza disanimare i fan- ciulli con oppressive ristrette discipline, e senza fargli della scuola una carcere, e del maestro un tiranno . Condurli senza sforzo alla desiderata meta, escludendo l’emulazione; e per promuovere l’amistà scambievole associarli negli eser- cizi ricreativi; e questi alternare continuamente coll’istru- zione, al fine che sia abborrita la pigrizia, o mon sia conosciuta , e divenga a un tempo capace la mente, e ben disposto il corpo. In somma tanto fare che abbia a nascere, come verità di sentimento, nei fanciulli la persuasione che si desidera il loro bene, e negli adulti l'obbligo di praticar la virtù,se non altro per non dovere,in età canuta,temere il con- fronto della migliorata generazione.—-Ecco tutte cose non pomposamente dette, ma volendo e perseverando eseguite dall’Owen, e che furono e sono cagione di meraviglia in quel- la Scozia, la quale, per ciò che concerne agli ordini di pubbli- ca e di privata educazione, è piuttosto prima che seconda frà le regioni di Europa; come in altri precedenti articoli è stato anche sull’ Antologia attestato . Laonde , ripetiamo , chi si sente chiamato ad amar. gli uomini , dovrà-quando si tratti di utilità pubblica, accordare attenzione, e chie- dere esempio a quanto dai lodati è riconosciuto lodevole. E che ciò sia , oltre il suffragio dei deputati di Leeds, e dei critici edimburghesi (quantunque oppositori dell’ Owen ) viene anche confermato dal documento che succede al citato rapporto del 1820.—-Si adduce ivi. l’estratto .delle 89 minute dell’assemblea generale, la quale nuovamente adu- natasi sentì l’opinione di quelli fra i suoi membri eletti per riferire sulla plausibilità del progetto. Dicono essi che in proposito ‘agricoltura e fabbriche, l'opposizione i in cul tro- vansi le dvtorizie fondamentali del sig. Owen con quelle sostenute dai più celebri economisti, è motivo per astenersi dal dar sentenza, dovendosi sottoporre la discussione al tribunale del pubblico, e prender consigli dai lumi, che in progresso di tempo potrà fornire l’ indagine accurata e completa dei contrari come dei favorevoli argomenti. Fa- cendosi poi a parlare dello stabilimento di New-Lanark si direbbe che i:relatori non rinvengano parole abbastanza eflicaci‘ad encomiare quanto dal sig. Owen è stato eseguito in quel villaggio pel ben essere della popolazione attual9) e per render migliore quella che sorge. Lo propongono ad esempio di attiva filantropia e d’ illuminata beneficenza; ed affermano che ove i proprietari e i direttori di altre ma- nifatture lo considerassero tale, potrebbe sperarsi di veder diminuiti i mali onde è afflitta parte della popolazione britannica. Siamo poi (concludono essi) indotti a credere, non senza fondamento di positive notizie, chei regolamenti di che parlammo ; invece di cagionare alcuno svantaggio pecuniario , sì esperimentano in fine proficui anche sotto l'aspetto economico e commerciale . Tali sono le loro espressioni. Ed a noi gioverà ram- mentare, terminando, che i piani del Sig. Owen concordono in molti particolari con gli ordini che reggono le comunità dei fratelli Moravi;.in special modo di quelli che abitano il villaggio di Herrnhutt in Lusazia. Vedasi un bell’articolo dell’Enciclopedia, (Moraves) nel quale rendendosi conto di tali comunità, altre se ne nominano che esistevano (e forse tuttora esistono) nelle campagne dell’Alvernia , ove eran posti in pratica ordini sociali all’incirca di senedi scopo; e si accennano molte utili idee sull’assunto. S. U. | P.S. La: Revue Encyclopedique N°. 46. ottobre I 822 90 P: 195; contiene ciò che segue.« Una numerosa assemblea si è adunata ultinfamente a Londra nella sala del.Zondon — Tavern, onde prendere in considerazione il piano del Sig. Owen per sollevare in modo stabile gli agricoltori e manifattori inglesi, ed altresì per venire in soccorso dei miseri contadivi: d'Irlanda + Molti ragguardevoli soggetti erano presenti alla deliberazione. È stato risoluto di rac- cogliere senza indugio fondi necessari per eseguire il pro- getto. Molti degli astanti hanno firmato immediatamente per somme d’entità. In Iscozia si è potuto mettere insieme in poco tempo L. 45000 sterline per uno stabilimento che è stato colà fondato sul piano del Sig. Owen.» Dalle ulti- me parole è luogo a supporsi che le proposizioni del sig. Hamilton abbian conseguito l'intento, giacchè egli faceva ascendere a detta somma all’incirca le spese della fonda- zione. S. U. Riflessioni sulle colonie in generale, e in particolare su quelle, che si converrebbero alla Francia. — Estratto dagli annali de’ viaggi del sig. MALTEBRUN.— Parigi 1822. ( Conclusione. Vedi 'Tom. IX. Marzo p. 53. ) 4. Colonie da miniere. — Saremo brevissimi su quest'articolo. Certi censori di poco buon senso hanno posto in voga il pregiudizio , che una colonia ricca in metalli preziosi o utili non è altro che una sorgente di mali, una cagione di povertà e di spopolazione per la metropoli. Si cita sempre l’esempio della Spagna; ma come mai hanno pregiudicato le miniere del Messico e del Perù alla prospe- rità della metropoli? È provato che l’ emigrazione degli spagnoli per il nuovo mondo non tolse alla Spagna nep- gr pure 300,000 uomini ; le grandi nazioni spagnole dell’ A- merica son nate come gli anglo-americani da una propa- gazione rapida della specie umana sopra una terra quasi vergine. La Spagna con una amministrazione più abile, con un governo più saggio avrebbe potuto accumulare e conservare ricchezze immense , fabbricando da sè tutto ciò che dimandava l’ America, e impiegando migliori metodi nei lavori delle miniere. Chi ha rovinato l’ indu- stria di Toledo e di Segovia? il dispotismo di Carlo V, e di Filippo II. Chi ha esiliate le scienze dalle università della Spagna ? l'intolleranza, e il letargo degli spiriti che n’ è la conseguenza necessaria. La Spagna si sarebbe ro- vinata anche se non avesse scoperto il Potosi, e non avrebbe la consolazione di rinascere oggi più bella e più grande in tanti regni floridi dal Chili fino alla California. Si è detto sovente che una gran vincita al lotto è una disgrazia ; non lo è per chi sa conservare il tesoro acqui- stato, e impiegarlo utilmente. Le miniere di stagno di Banca provano che una co- lonia metallica (se possiamo valerci di questa frase ) può essere utile ad una metropoli intelligente. Madagascar racchiude forse qualche miniera merite- vole di tutta l’ attenzione della Francia, ma diviene ogni giorno-più difficile di occuparla a misura che |’ Inghil- terra vi estende le sue relazioni.. ) È poi realmente il corso del Niger che interessa il gabinetto di Londra, oppure le miniere dei monti di Kong vi son comprese per qualche cosa ? Quanto a noi, non crediamo che l’ oro in grani, il quale si trova in tanta abondanza nell’ acque del Niger, derivi da questi mon- ti, perchè nel Brasile, risalendo fino alle sorgenti dei fiumi che portano oro, non si è potuto ancora scuoprire una sola miniera di questo metallo prezioso. Non è neces- sario che l’ oro in grani venga da una vena solida e vasta ; 92 la natura ha potuto seminarlo tra le sabbie, come Ma pa so nelle rupi le vene metalliche. CL 5. Colonie di deportati — È senza dubbia una gran- de e bella idea d’ avere in molte circostanze sostituita alla morte la pena della deportazione ; il delinquente di- viene a suo dispetto utile alla patria; 5 può anche darsi che ì vizi trasportati in altra terra si correggano, e che una generazione corrotta ; la quale vien bandita dalla società , divenga col tempo il germe d’ una società nuova, d’ u- na nazione, che anche emancipandosi nel corso dei. se- coli, accresca consumando la prosperità della nazione madre , della quale può anche restare utilmente alleata. Tali sono i ragionamenti, che hanno fatti fino ad ora i difensori delle colonie di deportazione. Ma non v'è una specie di disordine in questi argomenti affastellati , e di- remo anche contradittori ? Se lo scopo vero d’un simile stabilimento è quello di fondare una nazione nuova, la classe d’ uomini corrotti che vi si mandano è certamente poco propria a moltiplicarsi , a produrre una razza sana e robusta ; e a formare una società ben regolata e florida. Questa generazione corrotta , che si trasporta in terre lon- tane con grandi spese , che si tiene in freno per mezzo d’ una'guarnigione costosa , che si obbliga a diveltare una terra inculta in un paese straniero, o s’ impiega in lavori anche più penosi, e la quale intanto è sempre in libertà di abbandonarsi ai medesimi vizi che l’hanno precipitata nella disgrazia, questa generazione sarebbe ben presto ridotta a pochi viventi miserabili, se non sopraggiungesse una colonia di uomini onesti, che abbandonano il loro paese per povertà, e che vengono a cercare i mezzi di vivere col lavoro. Son questi coloni volontari, che for- mano la vera base della nuova nazione ; ma sebbene cer- chino di star separati ‘dalla classe dei colpevoli ;. non possono evitarne la società contagiosa , e molti anche fra PE 93 questi si corrompono , e provano i mali inseparabili dalla compagnia d’ uomini senza morale ; infine anche molto tempo dopo che le generazioni rinnovate sotto il freno di leggi severe hanno perduta l'impronta originale del vizio, vi resta sempre una specie d’ignominia nella rimem- branza di questa origine macchiata da tanti germi impu- ri; la nazione che sente il peso di questa prevenzione prende quasi senza avvedersene usi poco conformi alla virtù, e costumi depravati. . ‘Non si deve applicare questo ragionamento in tutta la sua estensione agli anglo-americani , i quali discendo- no principalmente da famiglie esiliate o emigrate per opi- nioni politiche 0 religiose , che non portano ‘nessuna ignominia , perchè non suppongono nesssun vizio; pure l'aver mescolato qualche colpevole coi primi coloni è ba- stato per dare origine a quella classe d’ uomini semi- barbari, che sotto i nomi di primi penuti, di accovacciati, e d’ uomini colle spalle di legno vivono quasi senza leggi e senza morale , e i quali con i loro orribili combatti- menti, esercitando crudeltà inaudite contro gl’ indiani , ubriacandosi, e commettendo ogni sorta di eccessi han- no destato un indicibile orrore in. alcuni’ viaggiatori moderni, maravigliatissimi di non ritrovare 1’ Arcadia nei paesi all’ occidente dei monti Alleghany + Que- sta macchia originale sarà maggiore tra i coloni della nuova Olanda ; il furto, l’ assassinio, 1’ omicidio vi sono tuttora troppo frequenti per non darsi a credere d'aver corretto i costumi della maggior parte dei deportati; i "doveri di famiglia, di matrimonio, di buoni vicini non Vi sono più rispettati che tra i selvaggi; forse passeranno molti secoli prima che vi sia stabilito un ordine politico e morale ; e prima che non abbia a temere le rivoluzioni più violente ; e se la colonia si sottrae ai tumulti che la minacciano per il carattere degli abitanti, resterà forse per sempre dispregevole agli occhi degli altri popoli per 94 la sua origine vergogitosa. Si direbbe male a propositò che auche i romani discendevano da una masnada d’assassi- ni; erano altri tempi ; niun popolo, o almeno quasi niun popolo conosceva i benefizi della civiltà, e non vi erano nè relazioni di viaggi , nè giornali periodici per registrare e divulgare gli eccessi , i vizi, i delitti, ai quali si ab- bandonavano certe tribù oscure. Oggi che l'occhio dell’i- storia veglia sopra le più piccole società d’ uomini, sì può mai ragionevolmente collocare la cuna d’una nazione nel- la cloaca di tutti i vizi, mentre sarebbe tanto più facile, e costerebbe tanto meno il formare una colonia'd’ uomini virtuosi, o almeno esenti dall’ ignominia ? Se si vuol considerare una colonia di deportati come una specie di carcere o di galera , in cui lo stato si libera degli uomini più corrotti, allora perchè spendere millioni per lo stabilimento di pochi sciagurati , ai quali.un prin- cipio di compassione può risparmiare la morte, rna ai quali la giustizia non deve altro che castighi? In tutti gli stati dell'Europa si possono trovare occupazioni utili. per gli uomini condannati all’ ignominia di portare le catene, occupazioni più utili, e più necessarie che non è il porre in caltura le terre d’ un paese lontano. La Gran Brettagna non aveva canali da fare scavare , moli da costruire, ter- re inculte da diveltare? non poteva create uno stabili. mento di lavoro per l’uso della marina ? infine non poteva trovare sulle proprie terre di che impiegare qualche mi- gliaio di braccia, le quali a Porto Jackson sono impiegate in una maniera tanto dispendiosa, e con uno scopo di utilità sì remoto ed incerto? poteva e doveva seguire que- sti principi, se fosse stata come la Francia o la Russia un grand’ impero di coltivatori; ma 4’ Inghilerra trascinata dalla fortuna alla perigliosa vocazione di regnare sui mari e sul commercio dell'universo, l’ Inghilterra di già carica d'una immensa mole di stabilimenti lontani e dispen- dliosi , non poteva ragionare secondo le massime d’ una | 95 politica limitata ; era costretta a perfezionare , a ristrin- gere ; a rinforzare l'immensa catena delle colonie com- merciali e marittime, colle quali ha circondato tutto il globo; doveva svelte dopo i i viaggi di Cook, che molte magnifiche terre dell’ oceanica olrivumo ad ogni potenza abile e coraggiosa i mezzi di fondare un gran sistema di colonie marittime , colonie ricche di ‘culture preziose ; 1’ Inghilterra è accorsa ; e si è posta all’ ingresso di questo nuovo mondo per disporre delle combinazioni più van- taggiose, e per rendere inutili quelle che restano all’altre nazioni, che si dà premura di far diminuire ogni giorno. Bisogna dunque considerare come un grati atto di politica navale e coloniale lo stabilimento della nuova Galles australe, e quelli di Van Diemen, e della nuova Zelanda; come luogo di deportazione, sarebbe stata una spesa da insensati; come paese nuovo da crearsi, sarebbe stata una impresa equivoca ; come un atto suggerito da un grande scopo politico, si spiega e si stata fica tutto. Ma l'altre nazioni dovranno ad imitazione degl’inglesi fondare con grandi spese colonie di deportati ? È neces- sario prima di tutto che si dimandino se hanno un inte- resse politico a formare simili stabilimenti in paesi lon- tani, e poi se hanno i soldati ed il denaro che si richiede per mantenerli. Senza discutere profondamente questi due articoli preliminari , corrono rischio di lavorare solamen- te per un rivale più fortunato o più abile. Anche quando non si volesse altro che un luogo di deportazione, bisogna vedere prima di tutto se l’ utile che può ritrarsene com- pensa la spesa inevitabile, qualche volta incalcolabile, che rende necessaria ; bisogna esaminare se vi sono espe- dienti più facili per liberarsi della popolazione degna di galera; e bisogna ricordarsi che da trent'anni in qua la pena della deportazione non spaventa più i malviventi dell'Inghilterra , giacchè son sicuri di trovare nel luogo del loro esilio una esistenza più che tollerabile. 96 La Russia non ha bisogno di creare nuove |Siberie, e non manca di luoghi d'esilio; i regni del settentrione non hanno tanti cattivi soggetti da rendere necessario lo stabilimento d’ una colonia di deportazione. L°Olanda è quasi nell’ istesso caso; la Spagna ed il Portogallo hanno i presidi o le guarnigioni dell’Africa , ove gli assassini condannati, i grandi caduti in disgrazia, i realisti sventu- rati, e i costituzionali vinti vanno ora gli uni ora gli altri saio tra le catene. Solamente per la Francia può di- scutersi utilmente se deva e possa fondare colonie di de- portazione À Perchè anderemmo noi a gettare sulle coste della nuova Olanda qualchè migliaio di galeotti, per fondarvi una colonia, e colla speranza di vedervi nascere qualche ricca cultura, una industria attiva, un commercio florido? Perchè avvilire con una macchia odiosa la fondazione di questa nuova India che la Francia avrebbe senza dubbio interesse di creare, ma che dovrebbe creare con mezzi più onorevoli e più sicuri? torneremo a parlarne fra poco. Se una colonia di deportazione paresse utile alla Francia, se il governo credesse di potervi impiegare più vantaggiosamente gli uomini condannati ai lavori pubbli ci, o se avesse l'intenzione più nobile e secondo noi più ragionevole di spaventare più efficacemente il delitto ed il vizio col terrore d’un esilio lontano e in terre straniere, ove il giusto castigo del reo non è raddolcito dalla speran- za di sottrarvisi, di ricevere soccorsi in denaro, di ottene- re visite e conforto dai parenti, dagli amici, o dai com- plici, noi richiameremmo i suoi riflessi. sopra, qualche punto del globo trascurato dalla potenza dominatrice dei mari, e dove si avrebbe. la sicurezza di non incontrare almeno in priacipio la sua formidabile rivalità. Uno di questi punti degni d’ attenzione è la terra di Kerguelen, stazione eccellente. per i pescatori di balene e di foche. Sarebbe cosa utilissima di fare in quest’ isola, che appar- 97 tiene ai francesi per diritto di prima scoperta, un piccolo stabilimento militare, con un deposito di deliquenti de- stipati a servir d’ aiuto ai bastimenti pescatori, che an- | dassero in quei paraggi. La guarnigione ben provvista di tutto ciò che è necessario alla vita, sicura di ricevere una Vistosa paga, e di essere rinnovata al termine di tre ‘anni, potrebbe esser composta di pochi soldati , perchè la situazione dell’isola e le località rendono facili i mezzi di tenere in freno i condannati. Questi sarebbero divisi se- condo la loro attitudine fisica in due classi ; una dovrebbe accudire a tutte quelle culture, che fossero conciliabili con un clima crudo ed incostante; l’altra sarebbe obbligata ad assistere i pescatori di Hale; in tutto ciò che riguarda la pesca. Se i cereali nom riuscissero in questa terra , la quale non è niente più vicina al polo antartico di quel che sia Parigi dal polo artico, almeno la maggior parte dei nostri legumi e delle nostre radiche nutritive vi matu- rerebbe a perfezione; le patate vi produrrebbero probabil- mente di che nutrire la popolazione sedentaria, e gli equipaggi dei bastimenti; infine vi si potrebbero moltipli- care e coltivare le piante antiscorbutiche, che vi ha sparse Ja natura. La classe degli uomini destinati alla pesca sa- rebbe distribuita sui bastimenti dal direttore della colo- nia, e vi riceverebbe il puro nutrimento ; ma ogùi basti- mento tornando dalla pesca pagherebbe una leggiera re- tribuzione all’amministratore della colonia, retribuzione che si ripartirebbe secondo il minore o maggior succes- so della spedizione , vale a dire secondo il numero delle balene prese. Uno stabilimento destinato all’ estrazione dell’ olio di pesce sarebbe forse assai lucroso per impegua- re l’amministrazione ad incaricarsi di fondarlo; altrimen- ti si potrebbe limitare a far costruire i bastimenti per i pescatori. I navigatori francesi , sicuri di trovarvi braccia e soccorsi, non avrebbero bisogno per il viaggio ed il ritor- no che d’un piccolo equipaggio, e per conseguenza spen- T.X. Hprile 7 98 derebbero molto meno. Questo progetto non. è» altro: che una copia semplice e naturale di ciò che fanno sulle coste del Groenland i pescatori di balene inglesi e danesi , che chiamano in soccorso gli abitanti indigeni liberi; noi pro- ponghiamo d’ impiegare invece gli schiavi dello stato. L’ altre conseguenze d’ un simile stabilimento, l’uti- lità nautica e militare d’ un posto, il quale domina so- pra un gran tratto di mare, la possibilità di congiungerlo — con altri posti, che si collocherebbero nell’ isole di.san Paolo e d' Amsterdam, come pure con. una gran co- lonia da fondarsi, nella terra di Nuyts. sulla costa (della nuova Olanda, tutto ciò non ha bisogno di lunghe spiega; zioni per la classe di lettori, che è versata in queste ma- terie. Diremo solamente che si avrebbe torto di accusarci di crudeltà verso i Î deportati; perchè i duri lavori del. l’agricoltura e della pesca sono sempre meno disgustosi che la vita d’una galera. Senza dubbio il rigor del clima non permetterà mai alla terra di Kerguelen di, dive- nire un soggiorno piacevole come lo è la baià,della; bot- tanica, ma è questo appunto ciò che si vuole; un luogo di deportazione deve inspirare un salutevole terrore, Del resto convenghiamo che per la riuscita d'un. si- mile stabilimento è necessario non solo un computo minu- to delle spese, ma anche un regolamento amministrativo lungo e ben combinato, giacchè non si potrebbe trascurare nulla senza danno in un paese così poco favorito dalla natura ; dovrebbero prendersi in esame le più minute cir- costanze , reprimersi le più. piccole colpe ; l’impazienza e la leggerezza francese vi si troverebbero più imbarazzate che in qualunque altra situazione; il mondo ‘resterebbe sorpreso di vedervi riuscire i francesi, ma sarebbe cosa ben gloriosa per i francesi di dare una mentita al mondo, e sarebbe un tentativo da farsi da un ministro di grandi vedute, e da un amministratore zelante , disinteressato, e coraggiosissimo. 99. Un altro stabilimento simile in qualche parte, ma pa può divenire di mag ggiore importanza per la politica , potrebbe»crearsi dalla Francia nella Terra del Fuoco e nella Patàgonia , ove la Spagna e le repubbliche del Chili e di Buenos Ayres non tengono nessuna forza militare, e non ‘esercitano la minima autorità civile; è un paese libero ed abitato da popoli selvaggi, ma gli spagnoli americani non mancherebbero di lagnarsi, e probabilinen- te troverebbero sostegno in una potenza marittima euro- pea: Quando si trattasse di fondare semplicemente una ‘colonia di deportazione, gli ostacoli da vincersi, è le op- posizioni da superarsi sono troppe in confronto della spe- ranza che potrebbe offrire; ma una potenza, che colle- | gasse con questa colonia tutte le vedute politiche, le quali derivano dalle località, vedrebbe ampiamente ricompen- sati i suoi sacrifizi. L''estremità australe dell’ America non manca di terre atte alla cultura, di miniere di ferro e di rame, ed ha molti porti sicuri. Quando fosse in ma- no d’una nazione europea guerriera ed istruita, questo paese s' ingrandirebbe ben presto a danno del Chili, e ‘dominerebbe sui punti di comunicazione fra le due coste dell’ America, e fra i due oceani. Io ragiono qui secondo i principi della politica europea; un uomo di stato del ‘Chilì, 0 di Buenos Ayres deve far di tutto per mandare a vuoto simili progetti , o piuttosto deve prevenire anche i tentativi che si potrebbero fare per eseguirli. I mezzi di prevenirli son tanto semplici , e la neccssità di provveder- vi è tanto evidente , che i governi spagnoli-americani non lasceranno per tongo tempo agli europei la facilità che hanno attualmente di stabilirsi in quelle contrade. La zona torrida offre parecchi puuti, nei quali una co- lonia di deportazione potrebbe rendere grandi servigi alla madre patria; ma siccome l’insalubrità universale del clima vi esporrebbe i deportati alla probabilità della mor- te, la giustizia sociale non permette di mandarvi, altri , 100 che gli uomini , i quali nella speranza di guadagnarsi una sussistenza più tollerabile, acconsentissero volontariamen- te ad esporsi ai pericoli del clima. L’isole di Zanzibar , di Pemba, e di Monfia sulla costa orientale dell’ Africa darebbero a chi le occupasse l’ impero d’ un quarto della penisola , il quale è tuttora poco sfruttato, e forse non è meno ricco del resto in metalli preziosi, o in produzioni esportabili con guadagno. Quest’ isole popolate da una razza mista priva di coraggio e d’armi obbediscono attual- mente a meschine guarnigioni d’ arabi, che vi fanno ri- spettare l’ autorità dell’imano di Mascate, e del principe di Mombaza, autorità usurpatrice e dispotica, la distruzio- ne della quale non trarrebbe addosso a una potenza na- vale europea nè pericoli nè controversie. Una fregata di 36 cannoni, due brigantini, una guarnigione di 300 uomini a Zanzibar, due o tre posti di 40 a 5o uomini a Monfia, a Quiloa , a Mombaza formerebbero uno stabili mento militare e navale più che sufficiente ; bisognerebbe per altro rinnovarlo spesso per evitare i disastri, che gli cagionerebbe sopra tutto in principio l’ insalubrità d’ un clima caldissimo ed umidissimo. Il battaglione coloniale che formerebbe le forze militari della colonia, potrebbe essere composto d’ avventurieri e di disertori, i quali si — arruolerebbero per la speranza del guadagno , e fra i qua- li il bisogno manterrebbe la disciplina; gente di tal cali- |. bro nor ricuserebbe di associarsi coi malviventi ai qua- li non sì avesse da rimproverare nessun delitto atroce, e i quali in grazia del pentimento, e comecchè dotati di | talenti utili otterrebbero il favore di entrare in quel corpo, al quale però bisognerebbe dare per capi uomini di una certa intelligenza naturale, che si trovassero in critiche cir- costanze per traviamenti giovanili, e che si sentissero l’am- bizione di riparare un primo errore. Quando fosse entrata in una carriera di attività e di comando, questa ciurma . di scapestrati , se si vuol chiamarli così, diverrebbe forse | 101 una copia dei masnadieri di Romolo, o dei cosacchi sapo- roghi; le leggi ed i costumi che nascerebbero in questa tri- bù guerriera non sarebbero tollerabili in un paese civile, ma in confronto degli africani e degli arabi non farebbe cat- tiva figura , ed avrebbe sui popoli di quella costa selvag- gia la preminenza intellettuale , e la superiorità militare. E perchè non si abbandonasse ad eccessi che compromet- tessero l’ onore e l'interesse: della metropoli, basterebbe che la piccola squadra, la quale dovrebbe girare per quei paraggi, avesse un comandante abile ed intrepido che fosse investito d’ una autorità assoluta sopra tutta la co- lonia, la quale d'altronde non dovrebbe avere che am- ministrazioni locali obbligate a sottoporre ogni cosa alla revisione del capo della squadra. E appunto per avere una stazione salubre , sicura e comoda , in cui questa squadra possa risiedere abitualmen- ‘ te, abbiamo indicata | occupazione di Mombaza come utile, e si può dire anche come indispensabile , a meno che nuove ricerche non facciano scuoprire un posto mi- gliore. Questo stabilimento potrebbe col tempo cangiarsi in una colonia di coltivatori, introducendovi i negri del continente vicino , o ciò che sarebbe anche più da deside- rarsi, introducendovi i coltivatori della canna da zucche- ro del Bengale. . Il cangiamento d’una colonia di deportati in uno stabilimento ricco e florido non può aver luogo se non che in paesi fertilissimi; in generale non sceglieremmo fra questi paesi i luoghi di deportazione, ma vi è qualche eccezione da fare. Qui i soli deportati possono aprire la strada ai coltivatori ; il terrore che inspira comunemente il clima della costa del Zanzibar impedirà sempre ai coloni francesi dell’ isola Borbone; o dell’isola Maurizio di andare a stabilirvisi, e di portarvi i propri capitali; vi vuole un coraggio da filibustieri , o da qualche cosa di si- mile per tentare uno stabilimento così pericoloso, 1,02 6. Colonie Fastinate a fondare nuove nazioni. Abbiamo veduto che cinque specie diverse di colonie ; non hanno cessato di essere utili, ciascuna in una maniera. sua propria, e secondo la situazione politica della nazione che vuole fondarle o conservarle. Queste cinque specie di colonie non tendono necessariamente ed inevitabilmente ad una emancipazione totale, ad una indipendenza assola- ta; hanno per lungo tempo bisogno della metropoli , alcu- ne non arrivano mai a poterne far di meno; lo sviluppo delle loro forze è circoscritto dentro angusti confini, e la metropoli può prevederlo, e regolarlo, Perciò queste colonie non sono comprese nei principi del signor De Pradt, ed anch’ egli è costretto a lasciar travedere la verità in tale proposito. Ma noi dobbiamo confessare che il profeta anticolo- niale ha avuto principalmente in vista un genere di colo- nie, delle quali non abbiamo per anche esaminata la natu- ra. Quando egli descrive le tre età delle colonie, quando dichiara che le nazioni europee dell'America son giunte, all’età maggiore, quando dipinge l’inutilità e l’incoerenza dei tentativi che fanno le metropoli per ritenere la. tu: tela di questi popoli nuovi, allude evidentemente. agli Stati Uniti, agli spagnoli americani, ed. ai brasiliani, Niun uomo di buon senso ricuserà di riconoscere la . soli- dità delle sue osservazioni , quando stabilisce il principio che la separazione fra igrandi stati dell’Europa.e dell’Ame- rica è ormai inevitabile.Questi stati non sono nè colonie mi-, litari che si possano conservare per mezzo di guarnigioni , nè colonie di agricoltori ove pochi intendenti regolano una, popolazione di schiavi, nè colonie di pesca, nè luoghi l'esilio; non sono più colonie. esattamente, parlando , ma, nazioni nuove, destinate probabilmente a superare in po- polazione ed in potenza gli stati che le fondarono. Questi. popoli si vedono i magazzini pieni di granaglie, i monti |. coperti di boschi che procurano legnami:da costruzione, 103 calcano una terra ricca di metalli preziosi , vedono pro-: sperare la vite : sulle colline, hanno armate e basti- menti, e costruiscono forti; la lontananza gli rende. invincibili ; si danné leggi, si determinano le forme del governo; s'istruiscono; leggendo i giornali, di ciò che ac- cade sul resto del globo, non ignorano nè il lusso delle feste, nè il piacere del teatro ; infine sono quali noi siamo. Perchè obbedirebbero più di noi ad un sovrano che non ‘vedono mai in viso, e il quale non passeggia mai per le loro città? Invece di resistere con violenza ad una separazione che deriva dalla natùra delle cose; le metropoli europee dovrebbero secondare la rivoluzione ; onde renderla utile per l'una e per l’altra parte. Fin qui la natura e la ragione stanno in favore del signor De Pradt; ma non si dovrebbe trarre da questa rivoluzione imevitabile la massima falsa e pusillanime, che è oramai inutile ed anche pregiudicevole per uno stato di fondare grandi colonie ; giacchè quando sono giovani esauriscono i nostri capitali, e quando son grandi bisogna lasciarle in libertà ; a che serve dunque di mandare in lontani paesi tanti sciami di coloni? è una massa di popolazione, d’ industria, di ricchezza, che bi- sognerebbe anzi conservare. Noi ci lusinghiamo di provare al contrario eta a di- spetto di una tendenza inevitabile all’ emancipazione le grandi colonie nazionali sono utili e gloriose per le metro- poli, che non hanno cagionato la rovina di nessuno stato dell'Europa, che sono anzi una sorgente di ricchezza e di potenza ; infine che è tuttora d’interesse di più nazioni di crearne altre colla sicurezza ed anche coll’ intenzione formalmente espressa che divengano nazioni indipendenti ed: alleate libere del popolo, al Host avranno dovuta la propria esistenza. La fondazione di nuovi stati tiene a nostro parere nella vita delle nazioni l’ Litio pinto che la procreazione dei figli nella vita delle famiglie; è uno sviluppo di forze 104 che la natura ha voluto, e che la saviezza uma na deve ig Sovente l’invio d'una colonia in paesi: stranieri è, Iper le nazioni un vero bisogno morale e politico j con quest’ unico mezzo possono càlmare la febbre rivoluzio- maria onde sono agitate, o mantenersi nel grado di poten- za , al quale si sentono chiamate da una giusta ambizione. Ma queste colonie non devono esser più l’opera del caso, e non avrebbero mai dovuto esser tali. Bisogna' tor- nare ai principî che aveva stabiliti l'antica Grecia, la quale sceglieva per formare le sue e colonie il fiore della gioventù guerriera; un oracolo santificava la spedizione , una voce divina indicava la strada che si doveva tenere ; la patria provvedeva la colonia di capi abili, di buoni bastimenti, d’armi eccellenti; quindi diceva ai giovani che partivano: « voi andate a fondare una nuova città, la quale sarà per tutti i secoli figlia riconoscente, figlia de- vota della sua antica patria; voi ci manderete soccorsi quando saremo minacciati da un nemico formidabile; se un usurpatore venisse ad opprimerci , i nostri concittadi- ni verranno a cercare un asilo dentro le vostre mura; di là partiranno le falangi liberatrici per toglierci dalla servitù; infine se il destino ci abbandonasse senza spe- ranza, se dopo avere esterminati i nostri guerrieri, un barbaro straniero dovesse calpestare i nostri templi pro- fanati, le nostre mura rovesciate al suolo, i nostri vecchi e di nostri fanciulli troveranno fra voi un tetto ospitale, non vi sentiranno parlare una lingua ignota, e ritroveran- no fra voi le leggi, gli altari, e gli Dei della patria comune. » Con questi auspici commoventi partiva la gioventù del Peloponneso, e ben presto la popolatissima Siracusa e la ricca Taranto, e cento altre città floride presentarono sulle coste dell’Italia l’imagine d’una nuova Grecia. Con questo scopo e non altro deve ormai anche . l'Europa fondare grandi colonie. Gli spagnoli, i portoghe- 105 si, gl’inglesi, e gli olandesi senza avere avute idee tan- to sublimi, hanno non ostante. rinnovato senza pensarvi lo spettacolo interessante delle antiche colonie greche. Queste nazioni credendo di fondare nient’ altro che tanti stabilimenti utili per le metropoli hanno dato origine a venti popoli nuovi, i quali conservano tutta l’indivi- dualità nazionale, e in seno dei quali gli abitanti dispersi della metropoli, in una gran rivoluzione troverebbero un asilo sicuro, una seconda patria. Chi non si ricorda che gli olandesi erano sul punto di trasferire a Batavia la repubblica minacciata da un conquistatore ? non abbiamo veduto la corte del Portogal- lo trovare un rifugio pacifico a Rio Janeiro, e conservare la sua indipendenza a dispetto del dominatore dell’ Europa? Gl' inglesi, se mai una rivoluzione ponesse in scompiglio la loro patria s avrebbero un vantaggio prezioso sopra i francesi, quello di poter ritrovare sull’ altra costa del- l’ atlantico più d’uno stato florido in cui regna la lingua, la religione e le leggi dell’Inghilterra; è un pensiero consolatore per il buon cittadino , per quello che ama la sua patria; è un pensiero che sostiene il suo coraggio nelle vicende politiche. Dopo queste riflessioni , che sono di tanto interesse morale ed intellettuale, dobbiamo notare i soccorsi mili- tari e marittimi, che queste nuove nazioni potranno som- ministrare alle metropoli, quando le metropoli seguiranno la savia politica di farsene tante amiche ed alleate. La Spagna per esempio non potrebbe con un poco di destrez- za riunire in una gran confederazione tutte quelle im- mense e magnifiche provincie, che son popolate di spa- gnoli in tre parti del mondo? qual confederazione potente, dirò anche formidabile! La sua popolazione , che oltre- passa ora trenta millioni, raddoppierebbe in meno di cin- quant’ anni; le sue coste. abbraccierebbero la metà dei mari di tutto il globo; non si farebbe viaggio di lungo 106! i corsò , in cni non si dovesse chiedere la facoltà d’ entrare. nei suoi porti. Dobbiamo ugualmente valutare l’ utile che può derivare al commercio ed alle manifatture delle me: tropoli da queste nuove nazioni; le quali anche quando sono rivali dell’ antica patria; ne conservano almenò per lungo tempo gli usi, le maniere, le mode, i costumi. L'in- glese d’ America, anche quando ama fino all’ entusiasmo, i francesi, compra i panni, le tele ed. i rasoi dall’ Inghil- terra e non dalla Francia, perchè sa che il fabbricarite inglese conosce meglio i suoi bisogni, e perchè Londra per gli Stati Uniti è la capitale del buom tuono e della moda. Tante incontrastabili ragioni in favore della utilità delle grandi colonie devono condurci a concludere , che: le nazioni le quali ne mancano, devono cercare di fon- darne, coll’intenzione di renderle a poco a poco indipen- denti , o anche promettendo fino dalla fondazione che si governeranno colie proprie leggi, e contentandosi di vin- colarle coi soli legami d’una dolce e nobile fraternità. ‘ Dove mai può trovare la Francia una sfera libera e favorevole per una simile intrapresa, che converrebbe tanto ad una generazione esaltata dall'amore della gloria e dal desiderio d’ avventure luminose ? Il Canadà: obbedisce agl’ inglesi. i quali cercano per così dire diseppellirein un oceano di emigrati inglesi, scoz- zesì ed irlandesi un pugno di francesi,che si moltiplicano più lentamente degl’ inglesi degli Stati Uniti. L’ alto Canadà è ormai tutto inglese, e probabilmente i colonî che hanno dimandata la riunione dei due parlamenti o delle assemblee rappresentative dei due Canadà in un solo corpo; lo hanno fatto coll’annuenza del governo bri- tannico, e senza dubbio nella veduta d’accelerare il pao- mento, in cui i francesi si troveranno inferiori di numero. Per una ragione: contraria i canadesi francesi vi si. oppon- gono, ma sarà difficile ad un piccolo popolo isolato di I 107. mantenere a lungo andare la sua nazionalità. Nel caso che non vi riesca, la Francia che non ha speranza di ricuperare quel paese; potrebbe trovarsi nel caso di favorire contem- poraneamente i propri interessi e quelli dell’ Inghilterra , coll’impedire la unione del Ganadà. francese agli Stati Uniti, e col soccorrerlo onde erigersi in paese indipenden- te. Pure siccome la natura si dichiara per gli Stati Uniti in quest’ affare, la politica francese ed inglese combinata non otterrà forse il suo intento. La perdita della Luisiana deve contarsi tra gli errori di Bonaparte, a meno che non si voglia supporre che egli intendesse di revocare la ces- sione, allegando che non ne conosceva tutta l’importanza al tempo della vendita. Il viaggio di Lewis e Clarke alle sorgenti del Missuri ha mostrato quali immense colonie avrebbe potuto stabilirvi la Francia. Dalla foce del Mis- sissipì alla foce della Colombia; una terra due volte più vasta che l’ antico paese degli Stati Uniti apparteneva ai francesi ; bastava che ne facessero il giro, ed il corso im- menso del Missurì ne offriva un mezzo ben facile. Oggi la, Francia non potrebbe ottenere senza una guerra pericolo- - Sa o senza trattative spinose un palmo di terra su quel. continente ; di cui. poteva divenire l’arbitra. Qualora vo-. lesse stabilirsi sulle coste non occupate del grand’ oceano, se le vedrebbe disputare dalla Russia , dall’ Inghilterra, e dagli Stati Uuiti; perchè queste tre potenze sanno valuta» re quel paese tanto ricco. di porti eccellenti, tanto salubre, tanto proprio alla cultura almevo nelle parti inferiori, e tanto adattato per divenire la sede d’ un impero marittimo. Presso il tropico laSpagna o il governo del Messico regna sulla California, nella quale:le terre superiori e l’ interno. godono d’un clima piacevole, e forse. d’un suolo fertile ;, ma la Spagna e il governo messicano non cederanno fino. all'ultimo un palmo di terra anche inutile, anche one- roso ,. perchè l’una e l’altro riguardano come un grande ‘onore di occupare un grande spazio, sulle carte, La Fran-. / 108 cia potrebbe, è vero, dispensarsi dal dimandarne la ‘ per- missione ; niente le sarebbe più facile che. di occupare colla forza le parti dell’ America spiignola che più le con- venissero; e senza dubbio la previdenza le suggerisce di tenersi pronta per il momento, in cui altre potenze europee o americane tentassero d’invadere quella ricca preda; ma fino a quel momento la lealtà nazionale non le permette- rà mai di profittare dell’ occasioni più favorevoli per im- padronirsi delle spoglie d’ una nazione disgraziata. Sola- mente come mediatrice , riconciliando le colonie spagnole colla metropoli, la Francia potrebbe ottenere come un nobile ed eterno pegno della riconoscenza degli spagnoli dei due emisferi la cessione legittima ed onorevole d’ una. parte di quell’immenso tratto di terra, che la nazione spagnola occupa senza popolarlo, e possiede senza goderlo. Abbiamo già dimostrato quanto potrebbe essere uti- le la Patagonia per una potenza navale; ma come colonia nazionale destinata a divenire una nuova Francia, come deposito destinato a ricevere l’eccedente della grande attivi- tà intellettuale ed industriale ond’ è ripiena l'antica Fran- cia, vi vorrebbe il territorio del Texas, del nuovo Messico e delle due Californie, nel quale vivono appena 60,000. spagnoli, e il quale non era di alcuna importanza per la vecchia monarchia spagnola, menochè come frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti, e non lo è neppure per il nuo- vo impero del Messico. Uno stabilimento francese indipen- dente in questo territorio, sarebbe utile ai messicani ed agli spagnoli; i soli Stati Uniti lo troverebbero pregiudice- vole, in quanto che perderebbero la speranza di continuare per questo lato le invasioni, o per parlare più garbata- mente gl’ ingrandimenti; ma siccome questo sistema di perpetuo ingrandimento è funesto alla durata della liber- tà, gli anglo-americani che amano veramente la patria, crederebbero un guadagno tutto ciò che gli spooglifatì ambiziosi chiamano perdita. L'Africa continentale offre u/ 109 poche terre adattate allo stabilimento d’ una gran colonia nazionale ; gli occhi dei francesi gelosi di estendere in Africa la propria patria, dovrebbero da lungo tempo rivol- gersi verso l'isola di Madagascar. Quante volte non ab- biamo noi richiamato l’ attenzione dei francesi su quella grand’ isola! Anche ultimamente abbiamo ricevuto una prova che le nostre. idee sono state intese dai buoni. Vi sono molti coloni nell'isola di Francia, ai quali rin- cresce di essere divenuti sudditi.d’una potenza straniera. Uno di questi bravi e disgraziati francesi che si trovava ultimamente in Parigi, venne a darci le nuove degliamici comuni ; il discorso. cadde sulle scoperte che restavano da farsi nell’emisfero australe, e sulla parte che potreb- bero prendervi gli abitanti dell’isola di Francia. Il buon isolano mi disse che prendeva un vivo interesse per il de- siderio esternato da diversi coloni di trasferirsi in una terra nuova per fondarvi una colonia francese, giacchè la natura mon permette di estendere le culture oltre certi limiti troppo angusti nell’isola di Borbone. « Un giorno, soggiunse coll’ amabile ingenuità che distingue. i creoli, un giorno sognai che il progetto era compito; mi vidi sulle rive della bella baia di Luquez nell’isola di Mada- gascar, che ho veduta più volte, e sempre col profondo dispiacere di non trovarvi mai una colonia francese. Al- lora i. miei voti parevano esauditi ; alcune centinaia di graziose capanne s' inalzavano sulle verdi colline che attorniano la baia, ove non penetra mai l’aria pestifera; che devasta le coste orientali del Madagascar; la qualità del CS . i . . E) . suolo n° è la cagione ; qui niuna palude d’acque ferme , miun fiume che si arresti nel suo corso, per trascinare lentamente in una larga pianura le sue acque corrotte i venti non sono pregni di vapori micidiali, ma asciutti questo porto tanto buono per la salubrità del clima non è neppure esposto ai venti ed alle improvvise variazioni dell'atmosfera, giacchè i monti che gli fan corona , lo ? , mi1oò difendono da tutto. Sul declivio dei monti io vedeva ‘er- rare da lungi numerosi armenti di bovi e di pecore; i primi parevano della razza indigena, resa bella dalle pre- mure assidue dei nostri pastori; 1’ ultime somigliavano per bianchezza e finezza di lana a una colonia di pecore di Leone o di Segovia. Gli armenti non erano la sola ricchez> za che richiamava la mia'attenzione; entrai nel magaz- zino d’ un negoziante, magazzino di poca apparen- za è vero, ma vasto e ben guarnito; vi trovai alcu- ne balle di cotone e di caffè, ne esaminai la qualità; il primo non era eccellente; forse non si ‘erano ancora trovate le terre più adattate alla sua cultura; il secondo mi parve come quello che si chiama caffè d’ Eden nel- l’isola di Borbone, ma più aromatico, più soave ; in- fine questa fava; che rianima l'intelligenza quando è stan- ca, era giunta qui alla sua perfezione , ed aveva ritrovato all'estremità superiore deli’ isola di Madagascar l’ardore del sole dell’ Arabia, e le colline fertili di Moka; ne venne caricato un bastimento francese, che era all’ ancora nel por- to; m’imbarcai sempre sognando ; arrivo in Francia ; corro a Parigi per ispargere la nuova interessante della prospe- rità della colonia ‘allora nata ; qualche negoziante, qual- che buon francese mi ascolta con sodisfazione ,, quando improvvisamente un uomo vestito di nero \e decorato d’una ciarpa viene ad arrestarmi ed a condurmi in carce- re, perchè sono stato accusato di aver contribuito a fon: dare una bella colonia senza licenza del ministero. » Tutto ciò, dissi io , si vede solamente in sogno; al- meno voglio credere che si otterrebbe facilmente la per- missione di far guadagnare un poco di denaro alle nostre dogane ed ‘ai nostri armatori. Ma poichè mi avete narrato il Vea sogno sopra il Madagascar settentrionale, paese tanto preferibile alle co- ste inferiori, ove il governo ha fatti tentativi poco utili, odrmettetemi di dirvi che anch'io mi-era fatto; è qualche | | | | AI tempo, un quadro non meno, ‘seducente d’uno stabilimen- to francese nella nuova Olanda; diceva fra me che una ‘tribù errante non potrebbe mancare di mutrimento in una terra, che uguaglia quasi per estensione l’ Europa in- tera; bisogna che vi siano in qualche parte pascoli ed ac- que; sene trovano perfino nelle terre aride ed infuocate del- l’ Africa; e gli ultimi viaggi d'Oxby, Evans, e Troxler provano che vi sono paesi fertilissimi ricchi d’ acque, e facili a girarsi fino a cinquecento miglia sopra la colonia inglese. Ma una tribù errante d’un centinaio di pastori con bovi, cavalli e cammelli non potrebbe reclutarsi in nessun paese della terra con tanta facilità come nell’ isola di Borbone, o sulle coste dell’Africa australe. Gli animali necessari al consumo vi si troverebbero a buon prezzo; al- cune famiglie di coloni poco ricchi s' impegnerebbero vo- lentieri nell’ impresa, e determinerebbero facilmente gli schiavi a seguirli, giacchè son tutti originariamente pasto- ri africani, e non vedrebbero in questo cangiamento di vita altro che un bene. Questa colonia di pastori traspor- tata nella terra di Nuyts o di Leuwin penetrerebbe nel- l'interno, e scuoprirebbe ben presto le terre fertili e salu- bri; inviterebbe a venirvi tutti coloro che o nelle colonie francesi o anche in Francia provano il bisogno di cangia- re di abitazione, di cercare altrove uno stato più tran. quillo e più libero; e di ricominciare a vivere; il. governo gli provvederebbe di mezzi di trasporto, come fa l’Inghil- terra in favore delle famiglie che emigrano per il capo e per il Canadà; procurerebbe d’impedire la partenza degli uomini che si sono screditati con una condotta immorale, perchè non tocca al delitto ma alla virtù disgraziata a po- polare gli stati nascenti. I coloni della nuova Francia au- strale. si consacrerebbero all’agricoltura, ed alla educazio- ne. degli armenti; potrebbero senza dubbio adottare altri rami di cultura e d’industria, ma lo scopo principale sareb- 119 be quello di divenire il germe d'un popolo coltivatore e militare come quelli dell’ Europa. E chi potrebbe impe- dirgli di divenirlo? L'Inghilterra non ha nessun diritto su questa parte occidentale “della nuova Olanda, e la nazione che, come lo indica il nome, vi ha una specie di diritto proveniente da una prima scoperta non pare disposta a muover querele , giacchè non avrebbe nessuno interesse a sostenerle. Questa colonia di coltivatori e di pastori nellanuova Olanda , lo stabilimento di pesca e la colonia di deporta- zione alla terra di Kerguelen, le colonie di caffè e di spe- zierie nell’isole Zanzibar e al porto Luquez nel Madaga- scar,formerebbero un complesso di colonie piu che bastante per la Francia nella situazione attuale dell'Europa, in cui la pretensione di rivaleggiare in potenza marittima coll’In- ghilterra sarebbe una vera illusione. La Francia trovereb- be in questi stabilimenti le due specie di deposito:dei qua- li ha bisogno, uno peri malviventi, gli uomini rei di delitti, e gli avventurieri pericolosi ; l’altro per gl’indigenti ed i malcontenti. Le rendite dello stato e dei particolari: ver- rebbero ad accrescersi per mezzo di produzioni utili al commercio o necessarie al consumo: La probabilità di veder sorgere nelle regioni immense della nuova Olanda una ‘nazione francese, la quale nello spazio di un secolo non abbia più bisogno di nessun soccorso ; e divenga forse in quella parte di mondo cio che son divenuti gli anglo- americani negli Stati Uniti si presenta in lontananza; ma non in aspetto d'un sogno; gl’inglesinon vi proverebbero molta sodisfazione; ma siccome appartiene a tempi troppo distanti dalla generazione attuale; non si vedrà il gabinetto inglese sacrificare ad un timore così incerto il suo vivo e verace desiderio di conservare le attuali relazioni amiche- voli colla Francia. La politica olandese occupata ad esten- | dersì e a consolidarsi nell’isole di Java,di Sumatra,di Borneo, 113 vedrebbe piuttosso con piacere che con gelosia le nuove colonie francesi, purchè la Francia si astenga prudente- mente dai tentativi d’altronde molto ragionevoli in sè stessi, che potrebbe fare sulla nuova Guinea, sopra Formosa, e l’iso- le Liukiù; ma allora bisognerebbe disporsi a combattere ugualmente coll’Olanda e la Spagna, che è padrona dell’isole Filippine. Non dico che le colonie in quel grande e bell’ar- cipelago non potessero essere utili alla metropoli, ma sareb- be più difficile di fondarle, e di farne un tutto ben collegato e solidamente; le distanze sarebbero maggiori , la concor- renza più vicina, e gli ostacoli provenienti dalla resistenza dei popoli indigeni sarebbero per i coloni una barriera for- Coni midabile; barriera che non incontreranno sicuramente in un paese quasi deserto,.0 in mezzo a un popolo debole. Un posto militare e di commercio nella Cocinchina sarebbe forse l’unico , che la, politica illuminata cercherebbe di stabilire in quei paraggi. Per unire il nuovo sistema coloniale colla metropoli per mezzo d’una catena di posti militari e di stazioni navali, le circostanze politiche locali sono a dir vero ben poco fa- vorevoli. Il Senegal e Cayenne sono i primi anelli della catena; ma più lungi non v'è niente che possa stare in com- penso di S. Elena, del capo, dell’isola di Francia, perchè l’isole di Tristan d’Acunha mancano di porto, quelle di Sa- xemburgo e diGolombo non sono conosciute con precisione, e l'altre son troppo lontane dalla strada. Vi vorrebbe dun- que una alleanza intima e perpetua col Brasile; non v’ è bisogno di provare che nessun sacrifizio sarebbe troppo grande per ricuperare l’isola di Francia; non si dovrebbe esitare un momento a cedere in cambio Pondichery,ele sue dipendenze. L’Alemagna e ‘la Svizzera son poco interessate alla fondazione di pi nazionali, perchè sì trovano dentro terra, e sono precisamente due paesi, che avrebbero il più grande interesse di dirigere in un punto solo que’torrenti T. X. Aprile to) 114 d’emigrazione, che obbligano ogni anno l’eccesso della popolazione ad abbandonare le rive del Necker e del Reno per mancanza di lavoro, e per l’alto prezzo dei viveri. Più di cinquecento mila tedeschi sono sparsi per gli StatiUniti; y se fossero tutti in un solo territorio indipendente sarebbero il semenzaio d’una gran nazione, il rifugio dei perseguitati; l’asilo del sapere, il deposito delle manifatture della madre patria. Se le città d'Amburgo e di Brema fra tanti nego- zianti abili avessero qualche uomo di stato, queste piccole repubbliche fondando una nuova Alemagna renderebbero un servigio alla nazione, e si creerebbero una sorgente di ricchezze inesauribili. Le colonie destinate a fondare nazioni nuove meri- terebbero riflessioni più estese, ma ciò che ne abbiamo detto basta per dimostrare a dispetto dei pregiudizi domi- nanti, che questi stabilimenti formati con prudenza , ed uniti con colonie d’ altre specie possono essere utilissimi alle metropoli, nonostante la necessità più o meno pros- sima di emanciparle e di lasciarle nell’ indipendenza. 7. Colonie miste — Dopo ciò che abbiamo detto fi- nora, non v'è bisogno di lunghe spiegazioni per conosce- re quanto sia naturale che più specie di colonie si trovino riunite in un solo paese; è la conseguenza inevitabile del- l’aver fondate le colonie, e d’averle abbandonate al caso; è inoltre la conseguenza d’un cangiamento di clima, d’ essersi esaurito il suolo , d’ essersi accresciuti i bisogni della popolazione, divenuta più numerosa e più incivilita. L’indole complicata di molte colonie è il tormento ‘ della politica , la quale si vede sovente costretta da un motivo solo a conservare uno stabilimento, che dovrebbe sopprimere, o cedere o emancipare per altri motivi; ne citeremo un esempio solo. A che serve all’ Inghilterra l’Acadia se non che per conservare la magnifica stazione navale d’Halifax, di dove può esplorare tutti i movimenti della marina degli Stati Uniti ? 115 E qui terminiamo la nostra memoria , nella quale ci proponevamo di distruggere l’ errore comune , che con- fonde e condanna sotto il nome di colonie tanti stabili- menti diversi ed afiche contrari , i quali per la maggior parte saranno tuttora per lungo tempo della più alta importanza per l’ Euròpa. GIP. —_——_—€— Prelezione agli studi di medicina Breitiaa per V anno scolastico 1823; letta dal dott. Ancero NespoLi, professore di clinica interna nell’ I. e R. arcispedale di S. M. Nuova. — Gennaio 1823. Qualunque volta , ornatissimi giovani, ci facciamo a considerare, che i primi moti percettibili dell'embrione sono quelli del cuore, che gli ultimi a estinguersi nella cessazion della vita sono in quest’ organo centrale della circolazione, quando ci rappresentiamo l’azione conti- nuata del sistema irrigatore appena interrotta da alterna- tivi e corti intervalli di riposo , qualora infine esaminiamo ‘ chei più decisi agenti fisici e morali esercitano un potente I I influsso sulla circolazione sanguigna, non possiamo a me- no di non sentirci a un tempo commossi da meraviglia, e da terrore. C’ intimorisce infatti da un lato l’idea della propensione, che questi organi debbono avere a deterio- rarsi, consumarsi quasi direi, o comunque alterarsi, e dall’ altro ci riempie di stupore la sapienza infinita del- l’autore della natura, che agli ammirabili ordigni onde la nostra macchina è composta infuse una ignota forza conservatrice dell’ integrità delle parti, e del loro scam- bievole e normale rapporto. Ma questa forza , ahimè, che resiste agli attacchi dei principî morbosi, e che sotto vari nomi adombrata pur tutti i fisiologi ammisero nei corpi animati, cede finalmente al naturale decadimento degli organi indotto dall'età, e mentre nei bruti si sostiene 116 con legge più costantemente proporzionata al tempo dello sviluppo completo , in noi vien meno assai prima per il funesto appannaggio, che ci arrecarono e la dimenticanza della naturale semplicità e il troppo studiato raffinamento della vita sociale. Noi che professiamo l’ arte salutare ; e che il difficile incarico ci siamo addossati di soccorrere le forze naturali onde meglio resistano alle cause morbose, e più lunga- mente conservino il mirabil consorzio dell’ organismo col principio immateriale , forza è che prima profondamente studiamo l’ orditura normale, e il patologico degrada- mento di quelle molle per mezzo delle quali la nostra macchina si mantiene, si muove, e sente. Non io assumerò qui l’ arringa difficile , ed alle mie forze di troppo superiore di passare in rivista le parti tutte del corpo umano per esaminarne le leggi fisiologiche, e le morbose aberrazioni cui esse vanno soggette, ma li- miterò le mie riflessioni ad una delle tante condizioni | patologiche , che invadono il sistema sanguigno. Questo sistema infatti cotanto interessante a cono- scersi per il fisiologo , ben altro più grave interesse ispira al patologo da che in esso vi scorge l’ origine funesta di una immensa caterva di mali, che sotto variate forme af- fliggono l’uomo, e che a mezzo del cammin della vita distruggono inaspettatamente uno stame , che dalla natu- ra sembrava destinato ad arrivare ai PORPA rari confini | della longevità . Cresce a dismisura l’importanza di queste ricerche da che l’attenta esplorazione dei cadaveri moltiplicata oltre modo ci mostra le alterazioni dell’ albero circolatorio, e tanto frequenti oggimai riscontriamo le dilatazioni aneu- rismatiche , gl’ indurimenti delle tuniche arteriose., le esulcerazioni o rammollimenti loro , le loro ossificazioni , le innormalità degli apparecchi valvulari, le ipertrofie delle cavità cardiache etc. che quasi una quarta parte dei 117 eadaveri sui quali fiselatho le nostre osservazioni necro- scopiche presenta qualche asimmetria , se non una com- pleta alterazione organica del sistema angiologico. ‘ Potrei e forse appoggiato a rispettabili autorità, e ciò che più vale, ad una serie concludente di fatti sostener la primaziìa del sistema sanguifero nella produzione dei fenomeni patologici; ma ‘troppo mi spiace la pericolosa avidità, (assai comune'‘ai nostri tempi ) di generalizzare le: massime pratiche , e di ‘abbracciare dei sistemi esclu- sivi.; e l'importanza del mio soggetto non ha d’ altronde bisogno di scri discorsi per comparire in tutta la sua evidenza . Lascerò quindi che altri sostenga , che essendo la febbre compagna costante della maggior parte dei mali, e che consistendo la ‘piressia in un accresciuto eccita- mento del sistema vascolare sanguigno, esuberante prova è questa della preminenza dell’ albero circolatorio negli sconcerti dell’ economia animale, ma non posso in que- st’ occasione ‘tralasciare di rammentarvi , quanto facil- mente sì accendano di un innormal movimento i vasi del:sangue , sia qualunque la parte dalla quale si muove la diffusione morbosa; quanto grandi e moltiplici sieno i germi di organico perturbamento che mercè loro si for- mano; e quanto vistosi sieno 1 progressi , che le moderne scuole mediche hanno fatto nella patogenia generale in grazia dello studio assiduo , e delle ricerche più minute fatte‘sui pezzi; che concorrono a formare il sistema della circolazione . E chi è che non sappia come la vasta famiglia delle affezioni 'comatose e delle ‘apoplessie abbia trovato una più lontana sì, ma più razionale e più costante prove- mienza o negli ostacoli che il sangue venoso ritrova al ritorno dal capo per le meno facili strade delle destre cavità cardiache ; o nella maggior violenza con cui il si- nistro!ventricolo ipertrofico spinge contro la massa cere- 118 brale il sangue per le carotidi e le vertebrali? nel. primo caso vede chiaramente il patologo nella pienezza dei seni cerebrali la congestione dovuta al trattenimento della circolazione venosa, e nel secondo ravvisa o le fulmi- nanti emorragie cerebrali , o l’aumeutata azione del. si- stema capillare, per cui il delicato parenchima dell’ ence- falo subisce la flogosi, il rammollimento , i trasudamenti, lo sfacelismo, Con questa medesima face si rischiara la genesi dell’ innormalità nelle funzioni dei visceri respira- tor}, e si eliminano dalle tenebrose nosologie molte delle angine di petto, asmi, sospensioni di respiro, incubi , ed altre forme morbose consimili, che riconoscono o. nella dilatazione di qualche cavità cardiaca , o nelle ossificazio - ni dell’ aorta , o nei di lei ristringimenti , o nelle angioiti, la loro causa efficiente, e la semplicità dell’ eziologia e - della terapeutica : finalmente le affezioni ipocondriache , le flatuosità, le fisconie addominali, gli infiltramenti edematosi ec. sono tutti fenomeni dei quali più facilmente disserta colui, che può risalire al primo anello, della ca- tena morbosa; scoperta, che siami permesso di dirlo è riserbata in premio dei ripetuti ed istancabili studi del. l'anatomia patologica. Voi ben sentite, o signori, da tali premesse che questo mio qualunque siasi ragionamento poserà i suoi cardini sui lumi, che questa branca di studio medico. mi avrà fornito , ed è perciò che io debbo prima d' inoltrar- mi ad esporvene i resultamenti, farmi incontro ja. due naturali obiezioni. ; 1. La dimostrazione voi mi domanderete della suc- cessione dei movimenti morbosi con quell’ ordine, che io potrei proporveli, e ragion mi domanderete dell’ayvenu- ta estinzione della vita colà dove non si trovarono organi- che alterazioni . 2. I vantaggi ricercherete di fissare qual’ è il viscere ‘ o l'organo d’onde parte il motore dell’alterata economia, 119 se poi: la pratica è impotente a riordinare i pa scompo- sti di questo orgamiamo ammirabile. Conosco nè voglio dissimulare gli errori nei quali sono caduti coloro ji quali non paghi del razionale em- pirismo fondato da Ippocrate, e convalidato dalla succes- sìva norma di tanti sommi pratici, s immaginarono quasi di obbligare la natura a disvelare gli ‘arcani processi a traverso dei quali si formano le malattie, e vedo pur troppo che essi sovente si accinsero a dare spiegazioni fan-. tastiche , e contradette dalle successive esperienze, e dai fatti, ma conosco altresì il più pericoloso brancolare dei medici sinto matici., e ravviso nel loro disprezzo per lo studio dei cadaveri piuttosto che un sensato raziocinio la trepidazione d'un vergognoso disinganno. Nel bivio dun- que tra la soverchia confidenza nello studio delle altera- zioni patologiche; e tra il totale abbandono del medesimo la strada più sicura prescelgo e v'inculco delle ripetute osservazioni identiche , e del confronto rigoroso e molti- plicato dei fenomeni suerbesi con le risultanze cadaveri- che : che se }’ altra parte io considero della prima obie- zione ; dirò , che di già per unanime confessione dei più ‘accaniti schernitori di questa sorta d’indagini, a ben pochi sono oramai ‘ridotti quei casi, nei quali muta affatto ne resti l’ istituita autossia , e che d’altronde repugna alla sana ragione il supporre che s’ interrompano o cessino le funzioni dell’ economia animale senza che un intimo scomponimento sia accaduto della mistione normale degli stromenti che a tali funzioni sono destinati. Tutta la dif- ferenza consiste nelle alterazioni percettibili ai nostri sensi e inquelle intime inaccessibili alle deboli nostre vedute. ‘Vorremmo noi forse con i sostenitori delle febbri essen- ziali‘\ammettere delle cause deleterie nemiche della vita in modo da distruggerla completamente senza che alcuna delle nostre parti abbia subito dei cambiamenti benchè invisibili? vorrenimo: noi credere che l'eccesso del piacere, 120 che una qualunque istantanea e violenta emozione del- l’anima possa troncare lo stame della vita senza alterare || o spezzare la catena delle molle che compongono la nostra macchina ? penseremmo finalmente che un miasma, che un principio contagioso , che una sostanza venefica possa distrugger la vita senza aver pervertita la struttura intima di qualcuna delle nostre parti più nobili? no; giovani ornatissimi , l’ organismo è sempre alterato, ma in modo tale che a percepirne il disordine non è lecita l'acume : dell’ occhio anatomico, Nè qui si arrestano le inca ansi abiti ma mi intendo ripetere, che ammessa pure nei mali spilla cer- tezza che io sostengo di sconvolta armonia della nostra costituzione poco vantaggio ne ridonda alla pratica, se questa notizia non può somministrare al. medico armi bastanti per ricomporre. gli. accaduti, disordini : questa umiliante riflessione dei ristretti confini. dentro i quali è racchiuso il potere della medicina non è sprovvista di rilevanti. vantaggi: da essa apprendiamo. a fermare la mano ardita colà dove non potendo più sciogliere ciò che la patologica condizione ha formato, dobbiamo aspettare le risorse della benefica natura : ad una nuova abitudine ella si adatta, e tante volte la vita pur si mantiene mal- grado la più spaventevole degenerazione delle parti, men- tre questa vita superstite, che è dovuta al lento e. gra- duato ristabilimento. dell’ equilibrio. sarebbesi al certo spenta sotto il combinato influsso dei guasti organici» e della temeraria e perturbatrice medicatura. Chi dunque | vorrà ulteriormente negare l’importanza di queste ricer- | che cadaveriche , se per esse soltanto posson rimaner per approssimazione fissati 1 confini tra la medicina attiva ,e | l’ espettante; e se ad esse sole appartiene il merito d’ in- | segnare dove il medico sarà utile, e dove ogni tentativo. _ è ardito e dannoso? Questa troppo lunga digressione. dal mio proposito 121 era però necessaria per dimostrarvi la razionalità dello studio dell’anatomia patologica, come quello che è la guida sicura per risalire con paziente analisi ai primi getti delle malattie, e sorprenderle allora mentre ancor vige un puro stato diatesico, o quel processo in somma suscet- tibile di esser domato con i soccorsi dell’arte, ed ecco ap- punto lo scopo che deesi prefiggere il medico nello stu- dio delle affezioni del sistema angiologico , ed ecco dove ho mirato nelle ricerche delle quali in quest’ oggi vi farò parte. Non è già che io pretenda rintracciare la genesi pri- ma, e seguitare la patogenia successiva dei vizi organici; ma posto che uno dei primari fonti, e forse il più frequente da ‘cui queste affezioni provengono sia la flogosi delle tu- niche arteriose, e posto , come io suppongo, che. il primo grado di questa flogosi risieda nell’intima tunica dei vasi sanguigni , il mio debole tributo voglio oggi pagare alla scienza, e presentare qualche dato onde altri. di me ; più. esperto e più felice giunga finalmente a fissare i caratteri per mezzo dei quali questa angioite chiaramente, si rico- nosca , e razionalmente si curi. Fino dall’epoca in cui i canoni principali della. pra- tica browniana caddero rovesciati dall’ urto irresistibile dell’esperienza e dei fatti, e chela medicina dei classici antichi ritornò nella debita estimazione , d’ onde l’ avea per un momento ritratta lo spirito di novità e di fanati- smo, tutti i cultori dell’arte salutare fecero a gara per aggiungere nuovi dati onde, sostenere le rinascenti teorie quasi tutte basate sulla frequenza delle malattie flogistiche; un grido generale risuonò allor nelle scuole col, quale si affaticavano i clinici di segnalare i,caratteri di questo pro- cesso morboso , e negli anfiteatri anatomici si cercò con instancabile zelo a trovarne nei cadaveri i reliquati, ele moltiplici alterazioni. Bastò allora che il celebre Frank richiamasse l’attenzione; dei medici sulla infiammazione 122 della tunica interna dei vasi, perchè il segnale fosse dato per riandare la descrizione animata di Areteo su questa ma- lattia , perchè si ravisassero le osservazioni in proposito del Morgagni, perchè si riscontrasse quella di Boerhaave sui bruti, perchè comparissero le osservazioni sull’ uomo e gli esperimenti sugli animali di Sasse, e perchè finalmen- te sorgessero a dissertare sull’ angioite Sckmuch, Hunter, Portal, Reil e tanti altri, e perchè niuno ormai dei segua- ci d’ Esculapio rilaebizcse l’esame dell’ interna ga dei vasi nelle autossie cadaveriche. Questa nuova serie d’indagini estese ben presto i confini dell’anatomia patologica , e rese dei segnalati ser- vigi alla pratica medica, ma siccome per i servili fautori delle altrui opinioni tutto si confonde e si colorisce sotto il medesimo aspetto , così si volle riconoscere per tutto l’angioite, e servì che la superficie dei vasi avesse perdu- to la sua naturale tinta bianca perlata , e quasi spalmata di lucente vernice perchè si corresse a giudicarla infiam‘ mata: il color rosso in somma della tunica interna fosse pure di un bello e vivace scarlatto, o tendesse al livido ed al nerastro fu perla maggior parte dei medici la pietra sicura del paragone onde stabilire la flogosi arteriosa sen- za cercare di ulteriori e meno equivoci criteri. Le mie prime osservazioni necroscopiche come che fatte in sogetti, nei quali la morte era accaduta: per este- se e profonde infiammazioni dei visceri del torace e del- l’ addome, o per lesioni di continuità nei vasi mi persua- sero in questa falsa credenza, e tanto più mi fissarono in questa pregiudicata opinione, in quanto che mi era più vol- te occorso di riscontrare delle flogosi parziali neivasi che si distribuivano ai visceri o agli organi lentamente consunti da irrimediabile suppurazione , e che finalmente io aveva potuto ripetere le altrui belle osservazioni di incrostamen- to purulento nelle pareti venose, e che sovente aveva fatto il confronto sul medesimo individuo di parti gemel- 123 le, ed immuni da questo processo: ma una più lunga esperienza mi condusse ad esaminare dei soggetti nei quali poco. mi sodisfaceva la. supposta angioite e per la persi-. stenza non interrotta delle cause deprimenti, e per la sin- drome dei pregressi fenomeni morbosi , e per le condizio- ni di estremo esaurimento , e di atonìa che presentavano tutte le altre parti. Mi ristetti allora dubbioso, e voi or- natissimi giovani foste tal volta testimoni della mia esi. tanza nello stabilire l’essenza di queste apparenze cada, veriche , e fin d'allora mi proposi di rivolgere a questa scopo le più diligenti ricerche, L'interesse dei malati mi obbligava a fissar. meglio delle massime pratiche, contro le quali altamente depo- nevano, le savissime riflessioni del professore di clinica mio collega appoggiato alle asserzioni di Davy , le avver- tenze del Morgagni nell’epist. x1x°. per non correre a giu- dicare attaccata da flogosi ogni parte che è tinta di eolo- re vermiglio, le distinzioni in proposto di Johnson, e quel- le di Laennec, il filosofico scetticismo di Broussais sui segni ed i caratteri di questa infiammazione , e finalmente le descrizioni delle. vere angioiti che io vedeva descritte nelle opere classiche di Franck, di Portal, di Testa, di Hogson, nelle quali ben altro si trova descritto che l’unico rosseggiamento della tunica interna dei vasi. Triplice oggetto io mi sono dunque proposto cioè. 1. Cercare quando debbasi considerare come segno di vera flogosi il color rosso, che presentano le. superfici interne vascolari e segnatamente l’aortica, e quando si debba ritenere per alterazione cadaverica effetto e non causa della morte. 2: Quali acquisti abbia fatto la semiotica dell’angioi- te mercè delle molteplici recenti osservazioni. 3. Se il metodo, razionale di cura che a questa flogosi si conviene sia esclusivamente basato sulla flebo- tomia , 124 Alieno da qualunque pretensione: di poter. mettere in chiaro giorno questi tre importantissimi punti idi que- ‘stione , io protesto di non avere rischiarato l’ oscurità che tuttora gli adombra, ma son contento di aprire un sentiero che altri percorrerà un giorno, e condurrà alla desiderata perfezione, e sarà per me più che sufficiente ricompensa se avrò in qualche parte contribuito a smascherare un errore di patologia pernicioso in pratica’, o-se almeno le mie osservazioni daranno l’ impulso ad altre pe conclu- denti e più fisolofiche esperienze: Se deesi prestar fede all’ asserzione di Gihiialre noi troveremmo nel più celebre scrittore di’ questa malattia la sorgente, dell’ equivoco, e: forse dell’ errore : ‘riferisce egli in fatti ‘di avere verbalmente appreso da Pietro Frank, che questo color rosso dell’ interna tunica arteriosa carat- terizza sempre ‘una. micidiale ‘flogosi vascolare : altri scrittori ligi all'autorità; di Corvisart e di Frank: hanno servilmente ripetuta la medesima sentenza , e pochi so- no quelli che abbiano osato revocarne in dubbio la verità: tra questi però: che hanno fatto argine alla comune cre- denza trovo Laennec che nel suo trattato sull’ ascoltazione mediata si trattiene a stabilire delle distinzioni trail co- lore rosso’ florido proprio delle flogosi, e quello atro e lividastro , che egli considera come dependente' dalle» pe- nose e lunghe agonìe, e dall’infiltramento dei vasi ‘capil- lari; Broussais il quale sebbene partigiano soverchio delle infiammazioni membranose pure. affaccia delle sensate obiezioni; e Davy , il quale sostiene che sotto certe datè condizioni atmosferiche, e doveva. forse aggiungere per quanto mi pare, dopo e particolari affezioni morbose, e in alcune condizioni dei vasi come spero di far cono- scere più oltre, sostiene , io dico che 16. ore dopo la mor- te le parti membranose , e segnatamente gli apparecchi valvulari del cuore, e l’interna tunica delle arterie si fanno spontaneamente rubiconde, come se fossero state 125 la sede di processo flogistico ; e finalmente Johnson as- serisce, che in forza di molti sperimenti ripetuti sugli animali ha potuto concludere che molti de’ fenomeni os- servati nei cadaveri, e che dai medici si ritengono quali cause della morte non sono in realtà che conseguenza dei processi di dissoluzione cui vanno incontro 1 cadaveri. In questa varietà di sentimenti \jo desiderava dei dati precisi per stabilire una retta diagnosi, e rifletteva 1.°, che nella ipotesi di Frank, e dei fautori esagerati e trop- po creduli dell’ angioite esistevano delle circostanze , le quali presentavano dei dubbi irresolubili: tali erano la differenza del colorito dal rosso vivo scarlatto all’ atro lividastro , la varia densità della tunica interna ora della naturale grossezza ora dupla; e anche quadrupla, ed altre condizioni morbose di questa medesima tunica analoghe ai resultamenti più ovvj del lavoro flogistico, che talora si univano al rosseggiamento, e talora interamente man- cavano. 2.°, Che nelle opinioni di Laennec e di Broussais anzi che ravvisare una guida per rischiarare i miei dub- ‘ bi io non vedeva che mascherate sotto speciose forme le questioni, che agitano attualmente le due scuole parigine tutte rivolte alla gran lite della localizzazione delle. feb- bri. Laennec in fatti offrendo gratuitamente Ja genesi differente di queste due apparenze morbose, e ritornan- do nella non mai ben definita discussione tra la. vera flo- gosi e l’infiltramento mi comparisce un ingegnoso cam- pione degli essenzialisti, mentre Broussais appoggiandosi soverchiamente sulle osservazioni di Bichat, che ha veduto scomparir dopo morte l’ iniezione flogistica delle interne membrane , e pretendendo con una forzata analogia cli dimostrare che in queste superfici accada ciò che si vede nella cute, nella quale dopo morte si estingue 1’ ar- rossimento proprio della scarlattina , dell’ eresipola , della gotta rosacea e simili, tende artifiziosamente ad uno sco- po diametralmente inverso: egli fa nascere dei dubbi 125 sulla flogosi dei vasi quando essi presentano la tante volte rammentata apparenza di colorito , perchè questa non formi un carattere necessario della infiammazione, e per- chè gli sia lecito di supporla nella parte ancora, e segnata- mente nella muccosa degli intestini , abbenchè questa si presenti del color naturale. 3.°, Che nei fatti di Davy e di Johnson come che per me mancanti dei necessari dettagli per ottenere il grado di autenticità e di sicurezza , mi resta sempre il dubbio, se quegli individui nei qua- li 16 ore dopo morte la tunica interna dei vasi era com- parsa come infiammata, non potevano veramente essere affetti da una angioite. In questo stato dunque d’incertezza prezzo dell’ope- ra era di riassumere una nuova serie di osservazioni, delle quali eccovi l'andamento e la norma. Cominciai dal prendere per modello dell’angioiti quelle descrizioni di flogosi dei vasi, nelle quali era lon- tano ogni dubbio, e il processo poteva seguirsi passo passo e confrontarlo con i pezzi in stato sano nel medesimo cadavere. Mi rammentava pertanto i passaggi di Sasse su questo proposito, e vedeva nelle sue descrizioni tre costanti caratteri « tunicarum augmentum , color. coc- cineus, et interna superficies quae valde rubebat ac muco molli erat obtecta ». Portal mi descriveva il color rosso vivo congiunto all’ ingrossamento; ed al rammolli- mento di questa interna tunica arteriosa: leggeva nel- l’insigne trattato di Testa sulle malattie del cuore colà dove disserta dell’ arterite Za superficie di tutti i vasi di vivo colore di porpora tanto era piena di picciolissimi vasellini; e più sotto, le tuniche ingrossate e nei loro inter- stizi iniettate di sangue; a con vutidlare poi queste minutis- sime iniezioni delle: tuniche arteriose restavano fisse da- vanti alla mia mente le belle osservazioni del nostro im- mortal Mascagni, che spesso le incontrava nelle sue prepa- razioni anatomiche quando la medicatura browniana con- correva coi morbi a rendere più intensi i processi flogistici: NIE ironia ? 27 inHogson che l’aveva particolarmente esaminata nelle feri- te e nelle allacciature delle arterie trovava notato, colore x È . . . scarlatto, ingrossamento della tunica interna, incrosta- mento di lei di un umore albuminoso, e finalmente vasco- larità della tunica fibrosa o iniezione che comprende ed unisce quasi direi con un morboso processo l’iniezioni di queste due membrane: raccoglieva in fine l’ autorità del celeberrimo Scarpa , ed in esso così mi compariva dipinta questa flogosi vascolare. « Le tonache proprie dell’arteria erano divenute più grosse che di consueto, e l’interna era di un colore rosso carico e coperta dî una spalmatura di linfa concrescibile , tolta via la quale spalmatura muc- cosa l’interna superficie dell’arteria sembrava convertita in una sostanza polposa vellutata assai vascolare. » Nè la testimonianza benchè rilevantissima di questi sommi scrittori mi teneva luogo di apodittica verità , ma io la confrontava con quelle;risultanze cadaveriche nelle quali mi era accaduto di averne una evidente riprova. Ho infatti riscontrato di un colore rosso scarlatto, e come tappezzata di uno smalto di vermiglione la superficie in- terna delle arterie in un ragazzo operato di pietra nel quale i raggi flogistici partivano dalla vessica e da tutto il peritoneo: ebbi un fatto identico alla descrizione dello Scarpa nel pezzo patologico interesantissimo , che si compiacque di mostrarmi il D. Pietro Betti, e che ap- parteneva ad una bimba nella cui arteria crurale impian- tatosi un grano di munizione destò una intensa arterite dal luogo ove era pertugiato il vaso fino al cuore, e que- Sta interna superficie aveva una apparenza vellutata va- scolare rossissima: finalmente potei verificare la spalma- | tura di linfa concrescibile, l’ingrossamento della tunica, | l’inzuppamento del cellulare intermedio alla fibrosa, e la facile separazione delle due proprie in un toroso mili- tare, ed in un altro soggetto passato dalle carceri a questo | spedale, in cui si verificavano quasi tutte le medesime DI 138 circostanze e condizioni che nel malato angioitico di cui scrisse l’ istoria, e lasciò al gabinetto di Pavia la superba preparazione anatomica il sommo medico Gio. Pietro Frank. Il complesso dei fatti che ora ho citati costituiva- no senza fallo una norma non dispregievole per fissare i caratteri mercè dei quali io era autorizzato a stabilire in condizione inflammatoria la tunica intima dei vasi, e niente si opponeva perchè ormai per me passasse in teo- rema evidente, che il colore scarlatto risultante dalla fol- tissima iniezione dei vasi minimi, che l’ingrossamento della membrana interna; che la:di lei facile separazione dalla fibrosa, che la spaimatura di materia albeggiante concrescibile presentavano un grado deciso e avanzato di angioite ; poteva però sospettare egualmente , che il color rosso scuro isolato e disgiunto dalle testè descrit- te condizioni di pervertimento di parti fosse bene il pri- mo anello del medesimo processo flogistico, e le prime traccie e rudimenti quasi ‘direi di quell’ alterazione » che poi cresciuta e condotta a maturità ; sì presenta con quelle forme di sopra narrate. Che però questa cadaverica apparenza tutta altra genesi riconoscesse , che il lavoro flogistico me lo davano a credere le seguenti riflessioni. Scrisse già Morgagni cum. in cadaveribus partem aliquam colore rubro infectam videmus non continuo eo decurrendum ut inflammatione tentatam pronunciamus ic «iCreviivel post mortem pos- sit is color induci praesertim cum dissolutus sanguis et fluidus est. In appoggio dell’ avvertenza per me rispetta- bilissima del Morgagni mì feci a considerare ciò che Hunter lasciò scritto, cioè, che il sangue è disciolto nei mor- ti per subitanea impressione dello spirito, per l’elettricità , per i veleni, e per tutte le cause in somma che istan- taneamente distruggono la vitalità, e che secondo l’os- servazione del medesimo Hunter portano più presto alla dissoluzione putrida i cadaveri: ravvicinai le idee di Pasta 129 enunziate nella sua memoria sul moto del sangue dopò morte , chiamai in soccorso le osservazioni di Bichat sulle condizioni del sistema sanguigno più o meno tur- gido dopo la morte a ‘seconda del'genere differente di malattia: che le avevano dato origine, mi giovai somma- mente delle recenti esperienze di M. Carson dalle quali resulta, che la vacuità delle arterie nei cadaveri è in ‘ra- gione composta della loro superstite forza di elasticità e della permeabilità del sangue nel sistema capillare e nei visceri respiratori, e da tutti questi dati argomentai con maggior confidenza, che ad un processo intimo consecu- tivo alla morte, e forse relativo alla qualità delle cause morbose, ed insieme alla incipiente putrefazione fosse dovuto questo colorimento isolato dell’interna tunica vasco- lare. E come infatti non converreste di ammetter con me questo consecutivo processo, quando, per tralasciare tanti altri casi, che ho seguitati nel corso del male, e che ho poi esplorati nella sala anatomica, quando io'dico , voi aveste veduta rossa tutta la superficie interna dell’aorta di un uomo, che addormentatosi in piena salute sulla spal- letta -d’ un ponte rivoltandosi cadde nel fiume, e sì anne- gò? osservazione interessantissima che io devo al mio ami- co il D. Pietro Betti: come non sareste trascinati alla me- . desima conclusione dal ritrovare in condizioni analoghe l’ aorta di. una bimba morta quasi al momento medesimo che un’arme a fuoco esplodendo a lei vicinissima le sfarinò parte del cranio ed un emisfero del cervello? e come avre- ste potuto supporre infiammazione dei vasi in un individuo perito in questo spedale ; paraplegico ‘per frattura del corpo della 5. vertebra cervicale’, se questa frattara avvenuta due mesi prima al momento di una caduta aveva immediata- mente distrutto la sensibilità ed il moto in tutte le parti, e, l’individuo passando a traverso il marasmo, e perdendo ogni giorno la vita vegetativa ora in uma parte ora in un’ T. X. Aprile 9 130 altra non aveva mezzi onde il processo flogstico si risve- gliasse , e l'influenza nervosa mancavagli, che rendesse suscettibile di azione aumentata e di flogosi il sistema an- giologico? e come finalmente non sareste stati obbligati a concludere che colorimento inflammatorio ‘non era quello arrossimento di tutta l’ aorta di un soggetto che mancato per improvvisa e precipitosa emorragia mostrò di color na- turale la tunica interna dell'arteria principale dalla quale partivano le diramazioni per le parti d'onde l’effusione san- guigna ebbe luogo, giacchè se uno stato angioitico generale fosse esistito doveva più che l’aorta essere infiammata e | la celiaca e la splenica che in questo caso costituivano l’a- | nello intermedio tra la superficie d'onde partiva la dif- - fasione morbosa e l’ aorta che dovevasi supporre infiam- .| mata ? a \ La convinzione indotta dal raziocinio mi faceva con- correre nel sentimento di coloro, che considerano questa | apparenza cadaverica come effetto, o conseguenza della morte, ma io voleva dei fatti che meitessero fuori di ogni dubbio questa massima . Nei cadaveri rimasti lungo tempo per studio anato- || mico nelle sale di dissezione facile è di vedere che una sfumatura di colore rosso vinato si dichiara nella tunica interna dei vasi, ove principia a comparire a macchie va- I riamente configurate più quà, e più là: i miei primi espe- , rimenti sì limitarono a conservare per più giorni dei pezzi d’aorta uniti al cuore, e che io aveva osservati immuni» affatto da questa tinta che gradatamente vidi crescere a proporzione che ci allontanavamo dall'epoca della morte, , e che prendeva piede il processo di putrida dissoluzione. In tre differenti soggetti lavai esattamente la superficie | interna dell’aorta ventrale dal sangue che la imbrattava, e riponendola quindi ammassata e confusa sotto i visceri, e con le pareti aortiche a contatto tra loro, e solamente penetrabili dal sangue che poteva refluirvi dalla porzione . 131 | ‘toracica e dal cuore, TOT esaminarle ad epoche diffe- | renti,e in capo a sei giorni dall’accaduta morte poteì accer- tarmi che questa interna tunica, naturale al momento del- la mia prima ispezione, era finalmente arrivata ad acqui- stare un colore uniforme rosso cupo capace d’im porre a primo aspetto per iniezione flogistica. Debbo ora per sem- pre avvertire due circostanze, le quali mi sono sembrate se non necessarie, molto eflicaci almeno per determinare questa cordizione; la presenza del sangue a contatto delle pareti-aortiche interne, e il grado della temperatura atmo- sferica superiore ai 15 o 16 gradi R..; non ardirò io qui di de- | cidere la questione se questo colorimento proveniente da al- terazione cadaverica sia dovuto alla imbibizione del sangue consecutiva alla cominciata disorganizzazione delle parti, o sia un moto intestino del sangue per lo sviluppo dei gaz, che l obbligassero a penetrare nei minimi capillari, come in questi medesimi vi spinge la materia dell’ inie- zione la mano maestra dell’ anatomico, ma solamente esporrò che i pezzi di arteria da me conservati fino alla protratta putrefazione se non contenevano sangue non as- sumevano il colore in questione, ed aggiungerò in con- ferma della mia seconda proposizione sulla necessità di una elevata temperatura atmosferica, che nella stagion ‘fredda nella quale ci ritroviamo sono mancati di effetto i tentativi da me fatti, rimanendo inaridite e bianche le superfici e più aggrumato il sangue che espressamente vi aveva lasciato a contatto , Non contento di questi esperimenti sui cadaveri umani mi prefissi di tentarne alcuni sugli animali: pre- scelsi dei conigli, e memore della differenza grande che esisteva tra la pienezza del sistema sanguigno di un ani- male ucciso con una ferita a tutta sostanza della parte più | alta della midolla spinale, e di quello ucciso con un’ al- tro genere di morte per cui fosse intercettata la circolazio- ne sacrificai alcuni conigli col primo processo, ed altri ne 132 feci perire sommersi: l’ autossìa istituita nei corpi ancor fumanti, ma che più non rispondevano alle irritazioni fatte sulle parti più sensibili , mi diede l’idea precisa e di paragone del colore bianco perlato lucido dell’interna tu- nica aortica, che non differì sensibilmente nei conigli ucci - si con lo stile introdotto nello speco vertebrale tra ‘1’ osso occipitale e la prima vertebra, ed in quelli sommersi: altre autossìe fatte a molti giorni di distanza dalla morte oltre l’avermi mostrato altre cose delle quali non è ora tempo di trattenervi, mi fecero vedere la tunica interna del- l’aorta di un colore rosso vinato lividastro, che progres- sivamente aumentava in ragione della maggior lontananza dalla morte, e- che era al massimo grado tra tutte in un coniglio nel quale i tegumenti si erano di già avver- diti per la putrefazione, e che io aveva fatto morire an- negato . Riepilogando ora i fatti dei quali ho esposto candida- mente l’essenza, parmi che per la prima parte del mio ragionamento possano tirarsi due corollari cioè. 1. Che per dichiarare in stato di flogosi la tunica in- terna delle arterie si richiede che sia di un colore rosso vivace, che l’ occhio vi scorga un minutissimo e folto in- tralcio di minimi vasi, che sia turgido ed inzuppato il cellulare che l’ unisce alla fibrosa, e che finalmente sia questa tunica ingrossata, facilmente staccabile e spalmata | di un umor concrescibile, o che almeno molti se non tutti _ questi caratteri insieme si uniscano. 2. Che quando il colorito di questa superficie è rosso vinato o lividastro ed isolato dai summentovati caratteri, e quando hanno preceduto penose agonie e inciampi alla libera circolazione, e quando finalmente i cadaveri sono stati esposti ad una elevata temperatura, abbiamo allora tutto il diritto di considerare questo fenomeno come pro- veniente da alterazione cadaverica . La seconda parte delle mie ricerche, la determina- x | I | | | | 133 zione cioè dei segni dai quali si possa dedurre l’ esistente angioite presenta ancora maggior difficoltà; nè meraviglia destarvi dee, che incerti ancora sieno i criteri patognomo- nici di questa affezione, se pure non scevro di ragione po- tei dimostrarvi il mio primo assunto, che cioè equivoca talora sia stata l’ ispezione cadaverica per contestare la pregressa angioite . ‘ Nella valutazione dei sintomi, che costituiscono le arbitrarie sistemazioni nosologiche, e nelle descrizioni pompose dei trattatisti di medicina noi desideriamo soven- te-la rigorosa separazione dei segni propri da quelli che sono comuni ed accessori nelle morbose affezioni, e non di rado un prolisso quadro semiotico potrebbe col cambia- mento solo di nome ‘adattarsi a differenti malattie. Gli sforzi del medico debbono essere rivolti a presentare i trat- ti esclusivi di una data condizione patologica, e ad allon- tanare le turbe simpatiche che mettono in giuoco tanti lon- tani consensi in una macchina ove consersus unus corn- spiratio una, consentientia omnia . Nella flogosi dei vasi mia massima fondamentale è sempre stata, che i fenomeni patognomonici si ricerchino nelle. condizioni soltanto del sistema circolatorio, e tra queste in quelle che sono più sensibili a noi, nei movi- menti del cuore e dell’arterie . ‘Da .Areteo fino ‘a Morgagni non esisteva secondo Pre, di questo ‘sommo ed eruditissimo anatomico alcuna osservazione di flogosi della tunica interna delle arterie ad eccezione di quella riferita da Boerhaave, e da esso osservata in un toro ucciso dopo violentissima fuga, ed io azzardo ora di aggiungere che da Morgagni fino ai nostri ultimi tempi, sebbene di tanto siensi moltiplicate le angioiti verificate con la sezione, pure niente di sostan- ziale è stato aggiunto al quadro tracciato da Areteo nella sua descrizione dell’ infiammazione della vena cava e del- | Vaorta. Permettete che di volo rammentandovi gli essen- 134 ziali caratteri, che questo esatto descrittore delle. malattie: ne ha lasciati, io li confronti con quel più che vi hanno aggiunto i moderni.,. che di questa affezione hanno fatto uno studio particolare. /gris acer (dice Areteo) mordaxrque: accenditur, paucusque dumtaxat foris apparet; agger. vero sese comburi existimat: pulsatus arteriarum exigui: sunt creberrimi ac veluti oppressi atque repulsi : adest sitis aspera, oris siccitas, palpitatio ad ilia usque perve- niens, facies decolor rubet; ed altrove aggiunge, fastidium adest, anxietas,pulsus palpitansin praecordiis,et in aver: sa parte quam metaphrenon graeci vocant. Ora vediamo. che abbiano aggiunto i moderni. Frank tanto benemerito per avere risvegliato l’attenzione dei medici verso questo studio non ha dato il più piccolo special criterio per otte- nerne la diagnosi oltre quelli del medico di Cappadocia, ‘ed anzi siami permesso dire che ha egli confuso quest’af- fezione con le altre flogosi dei visceri toracici : da Schmuck non abbiamo che il riepilogo della descrizione di Frank; in quanto a Sasse i dati del suo diagnostico sono special- mente basati in questo actio vasis aucta accelerata; ictus arteriae incensae duri celeresgue; da Hunter non ap- prendiamo per fenomeno più particolare oltre i comuni. degli altri che un calore intenso; Meckel si trattiene mol- to sulla pulsazione al dorso non trascurata da Areteo; e gli altri autori a me noti, che spezialmente hanno parlato delle malattie dei vasi sanguigni, poca pena si sono dati d’indagare più minutamente la semiotica della flogosi ar- teriosa, giacchè le loro mire erano dirette a rimediare con i mezzi chirurgici alle alterazioni consecutive nate sui tronchi arteriosi accessibili alla mano. Eccovi dunque, che le tinte sparse in questi autori voi tutte le ritrovate riunite nel quadro maestro lascia- toci da Areteo, nè vi trattiene un momento la futile con- siderazione della tosse inane e soffocativa sulla quale si fonda il Testa appoggiato ai dubbi riservati dal Morga- 135 gni, perchè ben presto vi subentra l’idea di una causa ir. ritante gli organi respiratorj tanto varia quanto sono varie le malattie nelle quali questa tosse si presenta al medico, nè vi sodisfano le descrizioni di Vaidy e di Bard come comuni con le altre innormalità del sistema sanguigno, nè vi seduce la certezza di distinguerla promessa da Recamier , giacchè basando egli questa facile diagnosi nei movimenti del cuore estesi e tumultuosi, e nella fac- cia insolitamente tinta di un color violetto/, voi trova- te nel primo càrattere una copia meschina del pulsatus arteriarum exigui, creberrimi ec. e nel secondo una gui- da'infedele che potrebbe condurvi in errore, giacchè tal fenomeno ‘è dovuto a tutto ciò che di preternaturale nel- la nostra macchina o trattiene il sangue venoso, o mette in comunicazione le cavità destre cardiache con le sinistre, o impedisce comunque la libera ossigenazione del fluido riparatore . Ma se dunque i moderni medici ancor non aggiunse- ro indizi maggiori e più chiari onde distinguere l’angioite non v'incresca per questo, ornatissimi giovani, di ripetere con instancabile zelo le ricerche, e le osservazioni: segui- te io ve ne prego l’ esempio e l’ invito che Morgagni fa- ceva su tal proposito ai suoi contemporanei, confrontate con rigorosa analisi i fenomeni morbosi con le condizioni patologiche riscontrate nei vasi, e siate certi che questo filosofico procedere vi produrrà due pregevolissimi resul- tamenti. | 1. Che allorquando avrete i sintomi di aumentata a- zione vascolare, se arriverete ad eliminare ad una ad una tutte le condizioni irritative capaci di destar quest’ orga- smo per lontano e simpatico influsso, vi troverete allora condotti per questa strada inversa o d’ esclusione a non potere ammettere che una primaria o idiopatica affezione angioitica, e vi compiacerete allora di riconoscere ad uno ad.uno quei sintomi, la cui sindrome or ora vi esposi , ed 136 alla quale vi sarà forse dato di poter qualche volta ag- giungere dei segni costanti e non ancora svelati. . » 2. Che se a tanto non potete aspirare di perfeziona- re la storia di questa importante malattia, più almeno vi assicurerete nell’arte difficile di segregare i fenomeni'ac-. cessori e comuni da quelli che le:sono propri ed esclusivi. Ho riserbato all’ ultima parte del mio discorso qual- che cenno sul metodo curativo; e solamente sull’ uso del salasso poche avvertenze voglio. ora. comunicarvi, avver- tenze che io debbo all’incarico aflidatomi di dns nel- la pratica medica . o Le condizioni, vi ho datio fia dal principio, ila con- dizioni dell’ orgasmo vascolare saranno la norma per co- noscerne il flogistico processo, e forse già voi ne argomen- taste in segreto, che la sola diminuzione del sangue, del naturale stimolo cioè di questi organi sarà il rimedio ;esclu- sivo per vincere l’angioite . . È inutile di ripetere quanto v' interessi la retta dia- gnosi di questa affezione prima che vi accingiate ad espe- rimentare l’ adattata terapeutica, ma se ancora vi fosse d’uopo di segnalare le sorgenti di errore consultate le belle riflessioni del Morgagni sulla. palpitazione, e vedete spe- cialmente qual terribile orgasmo esisteva in tutto il. si- stema arterioso di quel soggetto, nel quale la sezione non mostrò che un indurimento dei reni; leggete a questo pro- posito l’opere di tutti i sinceri osservatori, e vedrete quan- to siano accresciuti il moto dei polsi la frequenza loro e la vibrazione, ora da durezze dei visceri toracici o ad- dominali, ora da isterismo, ora da diuturne passioni, ora. finalmente da congenita o acquisita sproporzione ‘tra’ i vari pezzi dell’ albero circolatorio, e finalmente aggiunge- te le mie proprie osservazioni poco o niente valutabili in faccia alle prime, ma che però sono ingenue, e che mi han- no sovente mostrato il cuore e le sue propagini scevri da, qualunque condizione patologica; sebbene tal fosse la vi. 137 brazione, e la frequenza dei movimenti circolatori da ave- Pre: imposto ad alcuni esperti curanti per un grave vizio organico di cuore . Ma' quando ancora il lurigo esercizio vi avrà fatto acquistare quel tatto fino e sicuro per cui non più v im- pongano le fallaci forme delle pseudoangioiti, non cre- diate però che allora, abbenchè sicuri dello stato flogisti: co, possiate sempre insistere nella flebotomìa. Rammentate le cure mirabili di Senac.con la dieta, col riposo, e con le preparazioni marziali senza salasso, benchè come riflet- te giustamente Giannini, fosse egli di questo rimedio fau- tore, e benchè si ravvisino chiaramente nelle malattie di cui vi ragiono i/caratteri dell’ angioite: abbiate presente ciò che in propositò lasciò scritto Baillou cui avvenne di veder guarito {colla sola dieta un violentissimo orgasmo dei vasi, e di dovere esclamare mirum id fuit, institu- ta diaeta aeger curatus fuit; e richiamate alla vostra mente; che non di rado la vibrazione, la durezza, e l’urto dei polsi accompagnano fino agli ultimi istanti del viver loro alcuni malati a dispetto delle più generose sottrazio- ni sanguigne ripetute talvolta in tanta prossimità della morte, da non preservare dai: un qualche Hiasumo, chi le prescrisse . Risulta dalle esperienze: di Hales chel polso diviene più frequente, più celere e più. vibrante a misura che si estrae del sangue .da un animale, e i tentativi fatti da Haller per veri- ficare questi resultamenti condussero il fisiologo di Berna a delle conclusioni presso che analoghe;inoltre Randen avendo spinto fino a.32,salassi la cura delle febbri sinoche , ( ri- conosciute ora dalla pluralità dei medici quali affezioni flo- Gistiche dei vasi sanguigni) osservò che il polso si faceva più frequente e, vibrante a misura che si rinnovava il sa- lasso, e che questa forza illusoria non svaniva che pochi istanti prima della morte: non lungi dal vero andremo dunque; o signori, se riguarderemo come essenza di que, 138 sta malattia 1’ eccessiva azione del sistema: sanguigno, e se poi, considerando la quantità del sangue; la cotenna: flogistica ec, come condizioni subordinate allo stato in. cui si trovano le pareti vascolari, rinunzieremo alle ulte- riori flebotomie quando le prime non poterona punto mo- dificare il violento ed innormale moto circolatorio. A:che; in fatti profondero questo fluido vitale quando» la sua sot-. trazione non è sentita dagli organi malati, e quando pos siamo sperare di scemar direttamente il idicbbone eccita- mento col dar di piglio a quei farmaci, che possono ottun*. dere l’ eccessiva sensibilità della fibra? | Non io comparirò qui, mi giova il crederlo, un rin- nuovatore dei pregiudizi di Erasistrato, di Paracelso, di Elmonzio e di quanti altri esisterono famigerati ematofo- bi, nè smentirò le massime che ho altre volte emesse di uniformità moderata con le moderne teoriche italiane, se v'inculcherò dei limiti nel salassare gli angioitici. Questa pratica infatti mi ha corrisposto, e taluno di voi può far- mene testimonianza che mi segui nella clinica; e questa pratica infine non è dissimile da quella ‘di cui più rumo- reggiano le scuole, e che voi non senza ragione ritenete qual norma. Massime presso che identiche vedo professa- re dal clinico di Lucca, moderazione uguale spira il dotto rendi conto del chiarissimo Tommasini; e vincere! le flo- gosi senza trar sangue fu pure lo scopo che si proponeva l’ingegnoso' Rasori nella sostituzione non sempre adotta- bile del kermes, e del tartaro stibiato alle sottrazioni san- guigne . Ai miei valorosi colleghi, che:quivi insegnano le mol- tiplici branche dell’ arte salutare, a tutti gli ‘esperti pra- tici che con tanta filantropia si dedicano a soccorrere l’ u-: manità in questo vasto spedale, sottopongo oggi questi materiali per il perfezionamento della storia dell’angioite: sì degnino essi di confrontare le mie osservazioni con le loro, ripetano i miei esperimenti, ne istituiscano dei nuovi, | i 139 rettifichino le mie conclusioni, o dieno a queste maggiore i importanza con la loro sanzione, e in quanto a voi studios sì giovani, per i quali è destinato questo mio debol trava- glio, ampia ricompensa mi darete, se vedrò di avervi persuasi a dubitare delle prime apparenze cadaveriche in- dicanti la pregressa flogosi dei vasi, se vi accenderà più vivo desiderio di rischiarare la diagnosi di questa malat- tia, e se nella cura bilancerete la profusione dei salassi con quella filosofica prudenza che è il più bello appan- | maggio dei sacerdoti di Esculapio, e la pietra angolare di uno stabile edifizio medico. Siiegio d’ Estetica. — Venezia, tiprogafia igr ii li, 1822 in 8.°. ( Estratto primo ) L'estetica, ossia la disciplina che ammaestra a sen- tir la bellezza veg oggetti delle arti leggiadre; non ebbe fin qui scrittori che d’ essa trattassero ex-professo in Ita- lia; abbenchè non manchi fra noi chi d’alcune sue parti parlò incidentemente scrivendo sul bello , o sulle arti del bello. I tedeschi furono i primi che tentarono di sottoporre. a regole certe ciò che costituisce il Bello nelle applicazio- ni che formano il subietto delle belle arti; impresa in | vero piena di difficoltà ; e che era riserbata ai lumi de’no- stri tempi se si consideri che trattavasi di conciliare i principj della metafisica col fatto delle arti e di stabilire norme invariabili alla variatissima moltitudine degli esempi. Nè. il ‘sig. Giov. Battista Talia autore di questo Saggio, col titolo medesimo che ha imposto al suo libro, ha avuto la pretensione di esaurire sì fatta materia , ma di esporre su di essa soltanto i suoi pensamenti, cercando di collegarli a formare un tutto ordinato intorno a sì im- portante ricerca. Egli abbraccia nel suo Saggio d'Esteti- Ca tre successive investigazioni, che formano tre divisio- 140 ni dell’opera. Nella prima ei sì fa a ricercare le qualità della bellezza naturale ; nella seconda quelle dell’ artifi- ciale, che costituisce propriamente il soggetto delle arti; e nella terza ammaestra l'ingegno a ben sentire l’artifi- ciale bellezza, o ‘a bene operarla, che è ciò che wuolsi intendere sotto il nome di Gusto. el Incominciando ad esaminare la natural bellezza, 0s- serva 1 autore, che non si dà propriamente il nome di bello se non se agli oggetti sensibili che dilettano la vista principalmente e.l’ lia perocche le impressioni che si fanno sugli altri organi, cioè sull’ odorato, sul gusto e sul tatto, si arrestano e s° ipcorporano, per così dire, nella fisica sostanza , e tingonsi del senso dell’ individuo che le riceve, e prendono perciò appellazioni che qualifi- cano più o meno la loro corporea natura ; mentre il dilet- to che per gli occhi e per gli orecchi passa all’ anima ‘in- violato, comparisce sciolto da ogni qualità terrena, e sembra essere principalmente spirituale. Onde rilevasi che bellezza è un attributo specialmente di quegli oggetti che recano all’ uomo!diletto scevro da materia. Giò. pre- messo imprende l’autore ad esaminare la bellezza negli oggetti inorganici, ‘ov’ essa trovasi come in un primo cstrale iaeciooli non ha in essi un’ esistenza propria, ma piuttosto relativa, per esser quelli dominati. dall’ azione di più cause esteriori. Gli oggetti organici ed animati riu- niscono alla condizione degli altri la libertà del moto, che tanto contribuisce a bellezza. Oltre a ciò in ‘essi è più manifesta e più espressa la vita, e più decisa la. propor- zione e l’attitudine all’ ufizio ed.al fine a cui furono crea- ti. Ma gli esseri umani sopra tutti dimostrano e spiegano la variatissima indole della bellezza: e quella che da essi procede non giunge mai all’ animo indifferente, ma tende a immedesimare la loro colla nostra condizione. Le forme e i contorni del corpo umano sono convenientissimamente disposti a bellezza; per .l’alternare idelle linee rette-e delle 141 curve, delle superficie piane e delle convesse , per l’insen- sibile passaggio di queste a quelle, pel tutto che armonio- samente compongono, pel roseo e candido colore della pelle che soavemente vela sì maraviglioso composto, e per l’ineffabile struttura delle sue singole parti; fra le quali chi potrà, per tacer degli altri organi, parlare de- ‘bitamente degli occhi? i quali, dice Dante, per bella similitudine appellar si possono balconi della donna che nell’ edificio del corpo abita , cioè l’ anima ; perocchè di- mostrasi in quelli tanto daitoatli; che conoscer si può la sua presente passione da chi ben la mira. Ma l’umana bellezza diletta allor più quando fa vedersi. in ‘azione. Perciò i poeti e gli artisti d’ ordinario la ritrassero operante , perchè allora le infinite positure che può prendere il corpo sono inesausto fonte di piace- voli sensazioni alla vista: onde è, che una bella donna -appar più bella leggiadramente danzando, che oziosa se- dendo. i : E delle diverse qualità del bello le une sono sensibili ed esterne , le altre interne e morali. Poni fra le prime i colori, le superficie, le forme, i movimen- ti, 1 suoni, e la loro disposizione in un oggetto e quella di più oggetti gli uni rispetto agli altri: e di queste parli- si alcun poco. — Fu da molti creduto che le prime qua- lità degli oggetti visibili , chiamate belle, fossero i colori. E certo esse sono le prime a fare impressione su di noi, e si manifestano all’ occhio senza il concorso d’ altri sensi; lo che rende il diletto che apportano sommamente spiri- tuale. Oltre a ciò vestono tutto il corpo da cui muovono, e sembrano aggiugnervi qualche cosa, per cui non restano mai scompagnate da affetto , cioè da letizia per la scala di tinte che fanno progressione ascendente dal bianco al rosso , e da tristezza per la progressione discendente dal rosso al nero; perocchè nelle prime predomina la luce dispensatrice de’ sentimenti giocondi; e nelle seconde 142 l’oscurità madre dei tristi affetti: e quindi il medio colore, che è il rosso , suol produrre generalmente la più ‘viva affezione, e molto sono dilettevoli i due colori affini il verde e il ceruleo, dei quali spiegò il primo sulla su- perficie del suolo, e dite l’altro per Vl immensità del firmamento l’ autore sapientissimo della natura. La varia disposizione poi dei colori e la loro combinazione in tutto. il creato è produttrice di dolcissimi sentimenti. Le superficie possono agire su i nostri occhi anco indi- ‘pendentemente dai colori, secondo la disposizione della loro tessitura or vellutata, ora rasa, ora scabra ; così senza con- siderare l’effetto del colore piace la levigata ampiezza del cielo, ove lo sguardo ha un libero esercizio, piace la lustra e argentea faccia della luna, il tremolare della marina , l’ondeggiare di un campo di biade agitato dal vento, le ineguali e trarotte forme delle rupi ec; su ‘i quali oggetti variamente opera la luce, e variando le im- pressioni varia le immagini del bello. Le forme sono limiti entro i quali è determinato un corpo ad esistere. Opinarono alcuni risedere essenzialmente in esse la bellezza o la non bellezza dei visibili oggetti, perocchè le forme importano colore e ‘superficie , e per quelle differiscono , principalmente quanto alla vista, gli oggetti medesimi. Ma bellezza pare effetto di belle forme vestite di vago colore. Nè quelli che s’ affissarono a ricer- care l’idea di bellezza nelle forme, poterono giammai pervenire a ritrovare la' elementar forma del bello: pure se qualcheduna potesse dirsi più propria a bellezza , sa- rebbe questa la curva, che è la linea dominante della natura : ma ciò non toglie all’altre forme il loro effetto. KE perocchè bellezza è perfezione a cui il più è eccesso, il meno è difetto , sembra potersi indurre, che più pro- pria alla bellezza' di ciascuno oggetto sia quella forma, che stà in mezzo fra le maggiori e le minori possibile in quello oggetto; lo che però non vuolsi intendere sempre 143 a rigore, specialmente nella bellezza umana, che in nes- suna particolare forma sembra riporre la sua essenza, ma or l'una or l’ altra appropriarsi delle forme possibili , che meglio armonizzano, e meglio s' accomodano agli ogget- ‘ti su i quali vuol essa manifestarsi. AI moto debbesi in gran parte l'origine della bel- lezza , perocchè tutto l’ universo, se ben considerasi, è in continuo movimento, e per esso tutto conservasi e tutto si rinnuova. Il moto varia le forme , le super- ficie, i colori, e il più delle volte vantaggiosamente , perchè bellezza in tali variazioni guadagna quell’ ap- parenza di vita che il moto v'infonde, e le qualità non belle non vi discapitano , anzi sovente il moto scema o nasconde certa disproporzione di forme che è causa di bruttezza. Nel volto umano grandemente con- ferisce. a bellezza il muovere delle sue parti, massime degli occhi e della bocca, nella quale un dolce riso, oltre- chè discuopra il nitido candore dei denti, apparisce come una coruscazione del diletto dell'anima, cioè un lume apparente di fuori secondo che sta dentro; onde la mani- festazione della bellezza nei movimenti esterni ha doppio effetto ,, perchè indica corrispondenti movimenti ancor nello spirito; perciò le affezioni furono convenientemente appellate moti dell’ animo. Le qualità spettanti all’ udito, cioè i suoni, sono essi pure all’ animo fonte di diletto: e, come i colori, sono essi pure digradati. e portano com’ essi congiunta certa efficacia morale nelle impressioni che fanno. Così dicesi che un suono è flebile, un altro lieto, e simili; perocchè alle loro qualità materiali va sempre accom- pagnato un senso morale; onde pare che il suono acu- to quasi assottigli l anima , come sembra che depri- mala il basso, che l’attristi il cupo , che l’ avvivi il chiaro ec.; e le sensazioni che essi arrecano. riescono più e meno acceltevoli, più e meno incomode, secondo le 170 i ‘interne nostre disposizioni. Ma il diletto che i suoni appor: tano, allora ha i caratteri del sentimento del bello, quan- do più suoni di tempra diversa muovono l'udito o successivamente o contemporaneamente, come fa dell’ oc- chio una successiva scala di tinte piacevoli, o un armoni- ca varietà di colori.. Ne’ suoni però il morale effetto è maggiore che il fisico , e perciò la musica ha grandissima efficacia a destare o a sopire gli affetti. Ciò nasce perchè la forza delle passioni si manifesta d’ ordinario negli uo- mini con accenti determinati, che la musica studiasi con la sua arte di imitare : nè fra i suoni avvene alcuno che esprima più affetti o risvegli più idee che la voce umana o sola o a musice strumento accompagnata . : Avvegnachè però ciascuna delle qualità sensibili sopra rammentate contribuisca. a bellezza, bella principalmente si è la concorde combinazione d’alcune o di tutte insieme ; per- ciò bellissimi fra tutti gli esseri sono gli umani, nei quali tutte quante le dette qualità: possono stare accolte con varietà infinita. E la varietà ha gran parte nel diletto, erchè l’animo nostro potendo riunire in sè stesso ad un ‘ P tempo più grate affezioni; quanto di queste il numero sarà maggiore , tanto più vivo riuscirà il piacere ,. purchè per altro la moltitudine non sia soperchia, o le une non pugnino duramente colle altre. La varietà trovasi ancora nella disposizione di più oggetti l’ uno riguardo all’altro, la quale dà ad essi cert’ aria di novità con discoprire nella loro corrispondenza alcune qualità , che essi isolatamente ed uno ad uno non avrebbero manifestate. Questa novità è stimata da molti condizione essenzialissima a bellez- za, e quasi fiore di essa , perchè toglie l’ assuefazione che suol renderci indifferente ciò che da prima ci dilettava; ma ciò così vuolsi intendere; che mancanza di novità non toglie il bello, e solo ne smorza il sentimento , per- chè l’anima mon esercita allora una proprietà che è sua vita, vale a dire la propria attività: e ciò serve a spiegare N dl f | sin — 145 perchè gli oggetti. nuovi, ancorchè meno belli, possono piacere di più. Tutto ciò quanto alle bellezze ST | Quanto alle bellezze morali, ve ne ha di due specie; | le espressive, e le morali propriamente dette. Le espres- sive servono come di gradino al passaggio dalle fisiche alle morali; perocchè indicado nell'aspetto esteriore certe affezioni interne, reali se quelli sono animati, illusorie se sono inanimati. E sono tali bellezze come velate dalla fac- cia esteriore delle cose; ma perchè non risiedono in essa, ‘perciò la loro impressione si fa come da spirito a spirito. Tali espressioni tanto più fanno a bellezza, quanto più sono d’affetti analoghi a ciò che noi sentiamo dentro, e indicano cor rispogdenza di sentimento coll’ esser Dogna ed aumento della nostra vita morale . i Non solo 1 suoni per, la via dell’udito, e i colori per quella degli occhi, ma tutte le qualità sensibili servono più o meno a rappresentare le affezioni dello spirito; quin- di in tutte le lingue i vocaboli o segni presi dalle, mate- riali sostanze passarono: a significare le idee più astratte (ei più riposti sentimenti dell'animo: quiudi pure il me- taforico linguaggio della poesia, che dà quasi corpo. al- l’idee, e pone le cose in atto mirabilmente. Gli animali poi sono da noi rivestiti di tutte le qualità morali, e dove in essi mon possiamo scoprirne alcune, andiamo creando coll’ imaginazione esseri atti ad esprimerle. Perciò i poeti inyentarono le sirene, le gorgoni, le arpie, 1 centauri, le sfingi ed altri esseri fantastici, per simboleggiare differen- Li affezioni morali . i sani: Havvi un’ espressione eflicacissima a bellezza, ed è Ja sublimità; espressione sostanzialmente propria dell’ es- sere eterno e infinito. Per sublimzità intendesi un attributo degli oggetti che hanno limiti immensamente maggiori degli ordinari; e chiamasi sublimità dall’ effetto che pro- duce di sublimare l’animo nostro. Nella lingua più antica e più sublime di tutte, cioè nell’ ebraica, &li oggetti esu- T. X- Aprile 10 ner] ‘146 n berantemente grandi e forti si aggiunge il nome di Dio: » quindi monte di Dio chiamasi un'altissima montagna, spirito di Dio un impetuosissimo vento, voce di Dio il fragore del tuono ec. e tali espressioni che slanciano l’animo nostro ver- so l'infinito sono cagione di grandissimo diletto ; perchè è natura del nostro essere, incircoscritto da liti di re- starsi mal volentieri ristretto negli angusti confini del corpo umano: onde il sublime opera in noi pel riflesso dell’ esser nostro intelligente sulla sua infinita natura, a cui fa contrasto la finita dell’ esser corporeo. Perciò i ca- ‘ratteri del sublime sono, per così dire, le illimitate quali- tà, come la grandezza, la durata, l'estensione, la forza, e sì pure la semplicità, in quanto sembra partecipare della natura semplicissima della sostanza spirituale , possente nell’ unità. Sembra altresì che l’idea d’immensità acqui- sti efficacia a produrre il sublime, se riguarda oggetti po- co o mal conosciuti. E questa sublimità è più propria degli d oggetti inorganici che degli organici, perchè in questi ul- timi sono brevi e noti i limiti e le forze . Un'altra espressione adoperante a bellezza è la gra- zia; e questa è più negli oggetti animati che negli inani- mati, ma principalmente è propria dell’ uomo; così che negli altri oggetti si mostra soltanto per una rassomiglian- za a moti ed azioni che ci dilettano nell’ umana figura. La sublimità richiede una grande estensione di limiti, ma la grazia per lo contrario dispiegasi in una adattata circo- scrizione dei medesimi, e consiste in un modo d'’ essere, 0 di mostrarsi, o di situarsi di certi oggetti o di certe parti, il quale ci diletta per la mutabile varietà che induce nei loro contorni: e dico mutabile, perchè sovente non dura che un istante , ed è come un raggio fuggitivo che di sè lascia all'anima vivissimo desid erio. Questa disposizione ha luogo in oggetti belli e non belli; nei primi accresce bellezza con l’espressione; nei secondi scema la spropor- zione che da bellezza discorda. La grazia è un’ espressio- 149 ne, perchè mai non si mostra senza parlare all’animo dello spettatore, per il quale gli atteggiamenti sono, nel corpo che gli figura, espressione evidentissima dell’inter- no; e sono graziosi perchè nell’ oggetto in cui appaiono indicano affezioni di soavità che si comunicano a chi gli guarda. Nelle forti affezioni la grazia svanisce, non acco- modandosi co’ moti violenti che le accompagnano. Essa vor. dolce sorride negli occhi, or sulle labbra; or molle- mente languida scolora le rose del volto; ma non si ab-. bandona ‘mai nè a strabocchevole letizia, nè a eccessivo dolore. Tre furono per i greci le Grazie, Eufrosine o la grazia della soavità e della dolcezza, Talìa o la grazia delia festività e del riso, Aglaja o la Grazia della vicacità e del brio; e con tali finzioni determinar vollero i tre princi- pali caratteri di essa. Ma l’amore è sorgente viva e peren- ne di tutte le grazie; perciò da quelle non discompagna- vasi giammai la madre d'Amore; con che intender vuolsi l’ amore gentile e tranquillo che insegna i teneri vezzi, le placide repulse, i dolci sdegni, le liete paci, e i soavi ab- bandoni dell’animo, mentre coll’amore impetuoso e intrat- tabile non sta la grazia, che solo compiacesi di miti affet- ti e soavi: e com’ essa fugge gli eccessi, fugge anco la ri- cercatezza e i troppo studiati ornamenti. Ora, perocchè la grazia consiste in atti e movenze, i greci la simboleggia- rono coll’ imagine di tre vaghe fanciulle, tenentisi per mano, che guidano i balli delle ninfe, a siguificare che la danza è campo privilegiato alla grazia, ovella può dispie- gare tutto il suo trionfo. Le bellezze morali traggono origine dalle qualità dell’animo, ed hanno in quelle il loro fondamento. La forza che dà mossa al valore, all'intrepidezza e ad ogni virtù gloriosa all’uomo, è bellissima ne'suoi effetti e degna dell’ umana natura, come quella che mette in esercizio gli atti tutti del corpo, e le elezioni tutte della volontà. Bello è altresì il riposo dell’animo e la tranquillità non 148 turbata dall’ urto delle passioni, com'è bello il cielo puro eil mare pacato dopo orrida tempesta: perciò'tanto di- letto apportano la modestia, la temperanza, la mansuetu- dine ec. Ma dai più intìmi recessi interiori sollevata a pu- rissime contemplazioni esce la bellezza intellettuale, o-sia la verità, che gli antichi sapienti posero ignuda, a signifi- carla scevra d’ogni materiale impedimento. Le quali ‘vir- tà, o morali bellezze tutte, allorchè superano di ‘molto l’ordinaria condizione degli affetti, acquistano il carattere di sublimi. E perchè dette virtù, o: atti interni prendono una tal quale fisonomia o somiglianza colle azioni esterne, ricevettero per analogia il titolo di ‘belle, come ancora l’ ottennero per una certa rassomiglianza d’ effetto che in noi producono, e che vien da noiattribuito ‘all’ oggetto che le possiede. Questo titolo dì belle: l’ ebbero singolar- mente quelle che richiedono maggiore energia; e che'sono per sè più precfare e più luminose, mentre fu concesso il titolo di buone alle ‘altre minori; nelle quali considerasi più il vantaggio di chi le Wrcimbi che la parte. attiva di chi le pratica . Esaminata così la naturale Bollati che o per sè stesse o per umani argomenti le cose posseggono, nasce poi la quistione se in natura essa esista ‘assolutamente perfetta, o sia se di quella si trovi un perfettissimo esempio realeE E perocchè fra i più bellivoggetti naturali bellissima è la bellezza femminile, esamina il nostro autore se di cotale bellezzza possa esservi un permanente modello, e conclu- de a ragione non esservi, o esser così fuggitivo e talmente variabile da riguardarsi come realmente non ‘esistente , ancorchè esista però natural perfezione, che in tanto è dif- ferente da bellezza, in quanto questa è all’uomo relativa , laddove indipendente ne è quella. Ma quantunque non trovisi in natura il modello di perfetta bellezza, o ‘siavi come un lampo fugace, può esister per altro e fermarsi nella mente nostra. Ecco ciò che chiamasi bello ideale, 149 perchè la mente il forma con idee da più oggetti reali raccolte. L’intelletto, che in sè il riceve e lo compone ; tende per la sua attività a dare una esteriore esistenza a questo suo concepimento ; e questa è opera dell’arte pro- priamente detta; che ha per oggetto la bellezza artificiale: Le arti belle nacquero ed ebbero aumento per tanto dal desiderio e dalla forza che ha la mente di perfezionare le imagini degli oggetti, e di esprimerle così perfezionate al di fuori. Informi furono i primi saggi di queste bellissime discipline, finchè l'ingegno e la mano concordemente non s'addestrarono nel loro esercizio, al che non perven- nero se non col maturarsi dell’intelletto ,, e collo studio dell’ osservare e colla scelta dell’ imitare. E per la parte attiva , che lia l’ ingegno in queste creazioni, entrarono nelle belle arti e grandemente le nobilitarono il fuoco dell’ imaginazione e i sublimi concetti, specialmente quando esprimer si vollero pensieri ed affetti astratti dai naturali, rappresentando sostanze ed azioni all’ umane superiori: di che grande esempio ci lasciarono i greci maestri. Nè la perfezione del concetto , o il bello ideale ; fu il solo vantaggio che ricevettero le arti leggiadre dal tempo e dagli studi ; ma perfezionamento ancora acqui- starono nella parte loro meccanica e materiale, giungendo a rappresentare gli oggetti naturali colla massima verità. Ora essendo il fine delle belle arti d’ imitare la bellezza sensibile , l’ espressiva e la morale, ciò conseguono quan- do in opere diverse presentano espressi nella più SERA loro condizione quei pregi che nelle qualità sensibili , espressive, o morali esibiscono gli oggetti. Ciò costituisce la bellezza artificiale, che è riposta nell’imitazione perfet- ta; la quale fa sì che oggetti talvolta anche non belli danno a noi il diletto dei belli, perchè perfettamente imitati. E la ragione principale di ciò si è, che V'iù- telletto, che paragona la copia coll’ originale ; sente la forza sua; e d’ essa \compiacesi : lo che dà luogo ad un 150 altro genere di bellezza , cioè a quella che nasce dall’ ar- tificiale esecuzione; bellezza tutta propria dell’arte, come è sua essenza il render fisso quel sommo punto a cui può salire la bellezza naturale , il quale essendo per sè come un lume passeggiero o come un lampo di perfezione, l’artista imprigionalo , per così dire , e lo rende stabile e permanente. A questo intento cospirano tutti i mezzi del- le arti, le quali allora aggiungono completamente il loro fine, quando costringono la rapida bellezza , dall’ occhio della mente contemplata ignuda, a ricoverarsi intera nei loro lavori. Questo punto massimo di bellezza , che l’artista ingegnasi di rappresentare , chiamasi unità, e i mezzi opportuni che a ciò conducono , costituiscono quel che dicesi varietà ; cioè unità di scopo e varietà di mezzi. Ma questa varietà tendente nell’unità alcune arti l’offrono simultanea ; altre successiva. La pittura, la scultura e l'architettura sono fra le prime: la danza, la musica; l’arte del dire sono fra le seconde. È da notare, quanto a quest’ ultime , che la natura offre sovente la successiva bellezza interrotta da contemporanei difetti; ma l’arte sceglie con tale studio le bellezze successive , e in modo le dispone, che l’effetto loro non resta mai diminuito. Nè per questo è da dire che artificiale bellezza sia assolu- tamente perfetta ; chè essa è pure sempre imitazione del- la naturale; e se di quella sfiora l’ eccellenza e sfugge i nei, nondimeno non può dare ai suoi lavori la vita, nè affatto denudarli da materia da cui pendono; perchè essa finalmente è opera d’ un essere limitato , e deve risentire della natura del suo autore. Quindi bellezza in ogni senso perfetta può assomigliarsi a quella nuvola che figurava Giunone, e impossibile rendevasi di stringerla fra le braccia. Passa il nostro autore alle applicazioni di queste teorie a ciascuna delle arti belle, e troppo lungo sarebbe il seguirlo minutamente. Faremo non pertanto conoscere ai nostri lettori alcune delle sue principali osservazioni. 9, 151 L’arte mimica ha più d’ogni altra-suo fondamento nell’ imitazione. Cogli atti del volto esprime le affezioni dell’ animo; co’ gesti delle membra ora queste stesse affe- ‘ zioni, ora rappresenta, o piuttosto dà corpo a qualche sen- sazione o idea. Questi gesti sono perciò o pittoreschi, o espressivi: i primi mirano principalmente a bellezza, i secondi a verità, ancorchè bellezza è sovrano fine degli uni e degli altri. Adopera la mimica ancora le flessioni ed i movimenti, che costituiscono singolarmente la danza, la quale consiste in misurati passi e movimenti regolati dalla musica. La danza è semplice o rappresentativa. La prima usa per. lo più segni pittoreschi , la seconda adopera i pittoreschi e più gli espressivi, e forma ciò che dicesi ballo pantomimico: in ambi i casi ama la compagnia della musica, che con le sue leggi armoniche aiuta mira- bilmente i tre indicati mezzi della mimica. È il ballo pantomimico una rappresentanza d’ una azione composta d’altre azioni minori eseguita per mezzo degli atti del volto , dei gesti delle membra, di movenze e di flessioni “a seconda di modi musicali Mit n .. La musica, per ‘l’effetto che sveglia nell'animo, può riguardarsi come gl prima delle arti belle. Ciò essa deve all’ «analogia che esiste fra i suoni elementari e gli affetti, la qua- le analogia è rinvigorita dalla artificiale combinazione dei «suoni medesimi. Ma oltre a ciò la musica essendo anche scienza , per le qualità proporzionali dei suoni e dei loro componimenti, essa può imitare in qualche modo una bellezza razionale e vagheggiare un concetto formato tra ‘cose per mutue relazioni atte a comporre un tutto regola- re. e ad ogni sua parte corrispondente. Onde ella si volge ‘a un tempo stesso al senso , al cuore, all’intelletto , e sì «pure alla fantasia. E se non che ella indirizzasi all’ udito, cioè ad un senso che meno rappresenta sull’anima che la vista, avrebbe senza dubbio il primato sulle arti sorelle. 152 s La scultura avvantaggiasi sulla musica per la per- manenza che dà alla bellezza, colta nel miglior punto di perfezione, e perchè opera sulla vista, nobilissimo di tut- ti i sensi, ed agisce in un atto solo , che è perciò più energico che la scompartita azione dei suoni nella musica e dei movimenti nella danza. Ancora imita la esteriore bellezza degli oggetti giunta con quella dell’ animo, figu- randoli in azione ; e con espressioni ‘di affetto. E perchè si esercita sopra materia sì differente dalle cose rafligura- te, lascia meglio all’ingegno poter contemplare 1’ idea di perfetta bellezza chie in sè chiudeva la mente dell’ artista operante, ed essendo inoltre priva del prestigio ‘dei colori, non arresta così col suo effetto , che risalir non i lasci al modello del mentale conc opt TR La pittura vince la scultura per la vivacità della rappresentazione ; e ciò deve ai colori , co quali illude il senso e la faritasia. Gran vantaggio’ eziandio ritrae dalla varietà che ha luogo nel disegno, nel colorito e massime nell'espressione, in modo però che miri sempre a quel- l’unità che è fondamento dell’ arti belle. In virtù di ciò essa imprime nei pinti personaggi'i più fini affetti, e colle analoghe loro qualità fa che cospirino al principale che domina nell'azione ; e tale ufficio adempie con idee. dalla mente elaborate e con grande artificio perfezionate. La bellezza dell’ arclìitettura è meno sensibile chie intellettuale; perocchè intenta ad applicare ad un edifizio la più bella simmetria , essa opera colle ‘ più vaghe pro- porzioni che la mente astrae dalle sensibili cose , per la virtù che ha di scorgere in dette cose relazioni di corri- spondenza , d’ ordine , e di convenienza; ma non pertàn- to manifesta gl’ indizi della originaria sua condizione dio arte meccanica più che di bella. Nondimeno ‘da sì bassi principi col crescere della civiltà alzossi a tal dignità, © che dai suoi materiali attributi maravigliosamente si di- sgiunse. Lo che essa dovette alla sua fondamentale ‘prò- » AN ER TT e, USE = 153 prietà di rendere tutte le membra d’ un edificio propor- zionate in sè ‘stésse ‘e le une all’altre‘corrispondenti in modo, che la varietà ‘loro s° accolga con perfetta armonia in un'tutto unico , che ha il suo modello nel mentale con- cepimento dell'artista. E se ha in ciò un disvantaggio sulle ‘arti sorelle , che essa non tocca l'animo, o almeno non lo domina al pari di quelle, pure nobilissima arte dee dirsi in quanto ia tf ty un legga modello di ssa razionale. : L’ arte del dire fa suoi strumenti i Solta Bei 3 1 quali sono segni’ di convenzione ; 3 € per ciò prima rappresentano le cose direttamente allo spirito e poi le figurano al sen- so; a' differenza delle altre arti che prima parlano al sen- so, e per esso passano allo spirito , ancorchè .l’arte ‘del dire talvolta*rappresenti alcun poco al senso diretta- mente coll’ armonia imitativa e colla melodia dei ritmi e dei metri, o col numero dei periodi. Quindi è che gli ele- menti compositori dell’ arte del dire sono meno sensibili che quelli delle altre arti ; mail discapito che in ciò essa fa lo riguadagna immensamente’ nell’ ideale; perchè 1’ in: gegno aiutato da mezzi così estesi e variati e abbondanti e minuti e convenienti , come sono‘i vocaboli y:che dalle cose ‘sensibili si allargano ‘a ‘rappresentare per fino’ te idee più astratte. e. immateriali , diviene potente a va- gheggiare un perfettissimo modello di bellezza e ad espri- merlo fedelmente. Onde a'ragione il titolo‘ di belle'lettere le fu'compartito a dichiarare la sua preminenza sù tutte le altre. Oltre a ciò essa‘imita‘la moral bellezza in tutta la sua ‘integrità y e‘perciò ‘col titolo di scienze delle l’ono- rarono ‘i sapienti dell’Alemagna; come quella che tiene un posto'intermedio fra le arti del bello e le discipline del vero ; mirando più-alla morale bellezza che esiste ‘nelle une, che alla rigida e ‘nuda verità che le altre si propongono. Arte in vero nobilissima , la quale nel tem- po vaglia aggiunge il SITA come suo scopo; mon perde 154 mai di vista il perfezionamento dello spirito umano . Le altre arti del bello si volgono all’ uomo ozioso e come passivo, cercando a scuotere la di lui attenzione con sen- sazioni dilettevoli; ma l’arte del dire lo riguarda ope- rante, e cerca a migliorare le sue azioni, a governarle, a nobilitarle, a renderle in somma corrispondenti alla dignità della sua natura. Quest’arte e poesia furono in origine una. cosa istessa presso tutti i popoli, e si volse a dirozzarne gli animi incolti ed alpestri, e a ritrarli dalle voglie ferine preparandoli alla social condizione : così che fu primo suo scopo immediato l’ utilità per via del dilet- to: poi mirò anche a moral bellezza più indipendente dalle particolari occasioni e in sè più perfetta. Allora poe- sia ed eloquenza si diramarono dalla pianta dell’ umana favella. La prima contemplò l’ ideale bellezza , e gustò il diletto che dal vagheggiare la perfezione del bello morale deriva. La seconda stette contenta a non perdere di mira l’utilità ornandola di quelle doti atte a persuadere gli uo- mini ad abbracciarla ed a seguire la virtù. Con che non è da intendere che poesia non guardj talora anche all’utile; che anzi il consegue tanto meglio , quanto lo fa senza ap- parecchio , e vi conduce per la fiorita via del piacere, che in essa sempre signoreggia, come l’ utile domina nell’ e- loquenza . I principali generi della poesia sono: 1.° Il poema epico , che è la composizione d’ una per- fetta idea d’ azione grande, con accidenti mirabili e mo- venti l'animo, espressa per v.. di narrazione in altissimo verso. Un gran fatto storico o tradizionale è fondamento richiesto all’ importanza dell’ epopea, ma giovasi anche d’ ingredienti imaginari per attingere una perfetta bellez- za, cioè una bellezza morale mista d’ intellettuale e di sensibile. A moral bellezza appartiene l’azione cantata , le virtù , le passioni, le gesta dei personaggi introdotti. A bellezza intellettuale spettano 1’ ordinata condotta del 155 componimento , le verità che racchiude, e le sentenze del poeta narratore. A bellezza sensibile riguarda l’ armonia del metro ,-le descrizioni , le pitture ., le similitudini, e ciò in somma che si riferisce come al colorito di questo gran quadro. Le quali cose tutte esser devono subordinate all’ azione principale , affinchè la varietà riducasi nell’ u- nità; condizione essenzialissima a conseguire perfetta- mente l’ artificiale bellezza. Ora questa azione principale svolgesi in azioni minori , e dà luogo ad accidenti mara- vigliosi e moventi l’ animo. Quindi i così detti episodi, e l’ intervento di potenze soprannaturali. I primi tendono a muovere l'animo ; i secondi formano il mirabile epico, che alimenta la fantasia ed agita il cuore , e serve perciò grandemente all’ ideale dell' Epopea. Oltre è ciò il poema eroico espone la sua narrazione con nobile ed alta verseg- giatura , che aiutasi di tutte le figure dell’ arte del dire. I poemi che mancano d’ alcuni dei requisiti sopra notati, più o meno si discostano dall’ Epopea rigorosamente in- tesa, che è poema narrativo per eccellenza. È facile il vedere che la Divina Commedia , per esempio, è poema narrativo , drammatico e didascalico insieme; e che l’Or- lando Furioso è troppo indeterminato nell’ unità, ed è troppo vario, perchè tal varietà possa ridursi ad un punto immutabile. | La Gerusalemme liberata è poema epico a rigore di senso , perchè tutte le azioni in essa narrate concorrono a compire una azione grande e dominante: e a questa epica unità accoppia ancora mirabilmente l’unità eroica , perchè tutti i personaggi di quell’ impresa sono, per belli e variatissimi mezzi, subordinati all’ ottimo personaggio di Goffredo , ed alla norma della sua virtù si moderano le qualità loro o eccedenti o disordinate o erranti : la qual doppia relazione il poeta volle sapientemente significare, allorchè nella proposizione del poema disse del suo eroe : î56 i : Che il gran sepolcro liberò di Cristo Vi e sotto a’ santi Segni vibo i suoi compagni erranti. 2:° La tragedia. È questa il componimento ideale d’una azione storica ‘o tradizionale ; finta eseguirsi da’ persone umane , e atta a eccitare graridi affetti, massime il terrore e la dacia: questa seconda è mossa dalla virtù Di che soffre o dall’ animo che combatte : quello è prodotto da una forza morale potente nel male. Ha la tragedia, come il poema epico , la bellezza sensibile, ma più gran- de che quello ; perocchè ciò che nel poema descrivesi si pone qui sotto agli occhi, e si corrobora pure con alta e nobile declamazione che diletta l’ udito. La bellezza intellettuale della tragedia è riposta nel modo di condur- re l’azione, nella varietà che mira e si riunisce nell’ uni- tà, e nelle grandi verità che escono dall’azione stessa o dalla sentenza. La moral bellezza poi nella tragedia è la più grande, che sia possibile all’ arte ; e nasce dall’ ener- gia dell'animo umano vivamente sentita dall’ animo stesso, ed-esibita nelle maggior sua pienezza dal poeta, che con tal. mezzo penetra , scuote e signoreggia il: cuore a sua posta; perocchè vi risveglia i due amori che’ sono germe d’ ogni affetto e d’ogni volere, cioè l’amor di sè; e quello d’altrui : il primo eccitato dal timore che na- sce in noi ‘per noi- stessi ;‘il secondo dalla naturale dispo= sizione che ha V uomo di detestare chi dà causa ai mali degli scenici personaggi, e di condolersi con chi gli pati- sce. Perciò nella tragedia riscontrasi una viva espressione dei casì della vita umana, espressione che, quantunque piena di lacrime, si fa dilettevole pel riflesso che l’azione è fittizia; e perciò scevra del turbamento che produrrebbe la realtà ; e questo intese Aristotele per purgare le passio» ERE OT ascot’ esi. i , A h 157 ni. L’ azione poi deve essere una, nella quale s' implichi- no gravi accidenti a renderla progressivamente maggiore; accidenti che costituiscono la varietà in modo che non ‘ offenda l’ unità , ‘perchè non perdasi l'illusione, su cui riposa l'interesse dell’azione medesima: e a questo mi- rano le due unità, quella di luogo e quella di tempo , largamente, se vuolsi, intese. E perocchè nella tragedia il principale è l’.affetto , come nell’ epopea è l’azione, da ciò nasce la differenza della locuzione e dello stile, nel- l’ epopea largo; sfoggiato , pieno d’ornamenti e d’armonia; nella tragedia energico, grave, conciso, nè soverchia- mente abbellito. 3°. La commedia, non meno formata sull’ideale che la tragedia, ha moral bellezza minore che quella , perchè ritrae affetti minori : quella mira al grave, questa al fa- ceto ; quella muove il diletto del dolore, che è profondo , questa il diletto della letizia; che è lefessiaron in' quella il concetto o l’idea è Lib 3 in questa è ‘domestica e familiare ; la commedia divien bella perchè è utile, la tragedia diviene utile. perchè è bella. Il melodramma poi è un misto di più modi della drammatica poesia; ed è anche accoppiamento di due-arti , cioè della» musica e della poesia ;;e questa, che dovrebbe, come più nobile comandare, è fatta ancella, e all’ altra obbedisce! 4°. La poesia pastorale nacque dal bisogno dell’uomo costituito ‘in, società di sottrarsi alle cure della vita civi- le, ideando:una più tranquilla esistenza nella quiete dei campi, all’aere aperto e' purissimo sotto una perpetua pri- mavera, e in'uno-stato opposto ai tumulti del presente; stato che figurò in gran parte la fantasia de’poeti , fabbri. cando sulle tradizioni antichissimé d’una età dell’ oro. Questo genere di poesia imita la matura con vaghissime descrizioni, fingendo talvolta anche azioni ed affetti d’ideal bellezza forniti, e in brevi limiti compresi. 5. La lirica, anticamente accompagnata colla musica 258 conservò sempre proporzioni e cadenze musicali atte a- secondare i moti dell'animo. Essa prende a soggetto ora le lodi dell’ Essere supremo , ora gli eroi e i vincitori ; talvolta l’ amore , talvolta il pianto. E mancando di fa- vola, ha la permissione di sollevarsi , di scendere e di vagare liberamente nei campi dell’ imaginazione. 6. La poesia didascalica è presso che tutta descrittiva, . 0 tutta scientifica. Essa è la meno poetica di tutte, perchè più s’ appoggia alla realtà che alla fantasia , e prende più cura d’istruire che di dilettare: insomma procede con gra- ve magistero che contende all’utile; e se cerca il piacere non lo fa che per diminuire la noia che nascer suole dal trattare un ordine di minuti particolari filosofici o precet- tivi dell’ arte. L’ Eloquenza in tanto è arte bella, in quanto mira ne’ suoi componimenti a un’idea di moral «bellezza; an- corchè non ne faccia suo scopo immediato. Così l’ orato- re ora contende a mostrare la perfetta idea delle giustizia, ora della pubblica equità o d’ alcuna delle grandi virtà sociali, ora a quella della morale perfezione dell’ uomo. Ma eloquenza non è così arte bella, come poesia , perchè gli ideali concetti non possono in essa considerarsi soli; nè ornati di tutta la bellezza onde sono capaci; come quelli che sono subordinati ad uno scopo particolare che l’ oratore si propone. 4 La storia ha troppo iu sè il carattere della realtà perchè possa comporsi agevolmente a bellezza ideale , e nol può in parte, fuorchè con abbellire le sue descrizioni, coll’ ordine e disposizione delle parti, e collo stile nobile e decoroso.Il romanzo al contrario è troppo ideale; e l’uomo per vagheggiar la bellezza in imagine ha bisogno di fon- darla sulla sostanza, nè resta appagato della sola possibi- lità. Quindi l’ effetto di tale componimento deve attribu- irsi, più che al merito suo , alle disposizioni dell’ animo di chi legge. Oltre a ciò il romanzo è successivo, € Ì 159 moltiplice , e manca d’unità. Nondimeno se esso non può giungere pienamente a perfetta bellezza, può toccarla in alcune parti , e sarebbe anche utile se- imvisgiitone 1 animo dei ‘leggitori non tanto coll’ idealismo delle passioni, quanto‘con quello delle virtù. Finalmente , per gli altrì generi dell’arte del dire , tengasi prescritto che il confine delle arti leggiadre esten- desi quanto è grande il dominio della bellezza , e che passando dal bello al vero entrasi nella giurisdizione delle scienze. La verità è bellezza tutta dell’intelletto, come la sensibile avvenenza è bellezza della fantasìa, e la mo- ral perfezione è bellezza dell'animo. Anr. Ranzi. ( sarà continuato ) Ristampa dell’ opera intitolata : Costume antico e moderno, o Storia del governo, della milizia , della religione , delle arti, scienze ed usanze di tutti i popoli antichi e moderni provata coi monumenti dell’ antichità, e rappresentata cogli analoghi dise- gni, del dottor Giurio FerrARIO. Edizione seconda riveduta ed accresciuta. — Firenze per Vincenzo Batelli 1823. Dispensa 1. 2. 3. + Osservazioni sulla seconda edizione dell’ opera intito- lata, Storia del governo, delle milizie, ec. del sig. DOTT. B. Penvonm. — Fircino per. Vincenzo Batelli 1823. in 8° di 14 pagine. _Nonè nostra intenzione di esaminar qui il merito dell’ opera del sig. Ferrario già conosciuta vantaggiosa- mente dal pubblico , nè l’importanza delle aggiunte e miglioramenti , che si propone di farvi il nuovo editore fiorentino . Noi avremo probabilmente occasione di parlare in seguito di tutto ciò , quando ci occorrerà di render. conto della medesima. dopo la sua pubblieazio- 160 SI ne. Intanto ci contenteremo di osservare che il tipo- grafo Vincenzo Batelli che intraprende la ristampa del- l'opera presente, sembra aver. sentito fin da principio che la sua causa restava pregiudicata dall’ opinione che esiste generalmente presso le colte. nazioni in favore: della proprietà: letteraria; proprietà che ,, a cagione del molto numero degli stati diversi, nei quali è divisa d’Italia, resta frequentemente violata fra noi con danno ‘motabile degli autori, i quali non trovano mai, per tale «inconveniente , un giusto compenso ‘alle loro fatiche in- +tellettuali. Quindi egli ha cercato di coonestare l’ oggetto della sua impresa , ingegnandosi di provare che con que- sta ristampa d’ assai minor costo dell’ originale , e’ non si è proposto se non che di facilitare agli artisti e agli ama- tori delle belle arti l'acquisto d’ un’ opera ad essi impor- «tante; e ciò può esser vero, se intendasi però non disgiunto .dall’interesse librario ; e che se è permesso ai francesi di ristampare le opere degli inglesi, degli spagnoli, degli italiani ec. e reciprocamente a questi le opere di quelli, dev’ esser: lecito anche ai toscani di. ristampare le opere dei milanesi., dei piemontesi , dei, modenesi, dei lucchesi ec. e a questi le opere dei primi; e. con ciò viene, a con- siderare i vari stati d’Italia, che sono a contatto l’ uno dell’ altro, e racchiusi dentro poche leghe di circonferenza, come se fossero divisi per lingua, per indole, per costumi, per interessi e per distanza, quanto. gli americani dai te- deschi o dai pollacchi. Oltre a ciò tenta di provare che la ristampa era permessa in questo caso anche dall’equità naturale , perchè l’autore non ne resta pregiudicato , avendo già esaurito la sua edizione, e perchè non può dirsi, a senso suo, ristampa propriamente quella ove sono stati corretti non pochi errori , ed aggiunte alcune note, e che è inoltre. d’ un costo considerabilmente minore della prima. Tali sono le principali ragioni che allega in suo favore il tipografo Batelli; ma quel che è più singolare, | LR AT n TE "e È ì i \ 161 si è che egli ha fatto ciò pubblicando um voto legale e- ynésso a favor suo dal sig. dottor Benedetto Perugini. La novità della cosa avendo fatto nascere nel sig. avvocato Li Collini , , uno dei nostri collaboratori , il talento di emettere un voto legale opposto, noi crediamo che in grazia dell’importanza dell’ argomento (* ) e del modo scelto dal sig. Batelli per sostenere la sua éausa sarà per- messo ‘per questa volta all’ Antologia di pubblicare l’ ac- cennatò voto contrario. Esso è'il seguente. ». « Che Vincenzo Batelli renda un servigio eminente alla' ‘classe degli artisti, e in generale anco Veli amatori delle'belle arti sia pur.tanto har , quanto lo’ sostiene il sig. dott. Benedetto Perugini. » (*) L'argomento è importante per le giornaliere violazioni che si fanno al diritto di proprietà degli autori, che esser dovrebbe sacro per, tutti i popoli inciviliti. Per non diffonderci in citazioni , non ne allegheremo altro esempio, che la stampa che è stato annunziato eseguirsi in Parigi delle grandi tavole anatomiche del celebre pro- fessore Mascagni; il quale avendo speso grandissimo tempo, ap- plicazione ‘e denaro in preparare quell’insigne lavoro , sembrava ‘ che; se la morte invidiosa non lasciò ad esso ARPENE il fsotto delle sue tante vigilie, fosse giusto almeno che il cogliessero i suoi legit- timi eredi , contro la mente dei quali , anzi con loro grave pre- giudizio, è e 'abusando della loro buona fede , non che ‘con iscandalo di tutti i buoni; si intraprende in Francia da un italiano la pub- blicazione di quelle tavole, mentre una edizione contemporanea se ne sta facendo in Pisaa prò degli eredi medesimi colla dire-. zione del celebre sig. ‘professore Vaccà , e colle cure del bene- merito tipografo sig. Capurro. Del resto gli autori ‘italiani hanno veduto tutti con piacere la' privativa che il celebre sig. ‘Angelo Mai ha ottenuto dalla sa- viezza ‘e dalla giustizia dei governi per la stampa dei libri della republica di Cicerone da lui recentemente scoperti. Essi riguar- dano questa concessione come ‘un primo passo fatto a vantaggio della. ‘proprietà delle produzioni d’ ingegno, e sperano che potrà estendersi per mezzo di convenzioni reciproche. e generali a be- neficio ancora di ‘tutti’ gli altri. © X. T. X. Aprile I 162 L «Ma che sia lecito a un tipografo di appropriarsi le Satiche d’un autore straniero , e di entrare a parte così del benefizio che spettava interamente al. proprie- + tario dell’ opera, questo è quello che non mancheranno di negare gli editori milanesi; e alla loro. negativa non mancherà in Toscana chi presti favorevole assenso, con- ‘ tro il voto dello stesso sig. dott. Perugini. » « Anco questa è una delle tante questioni nelle quali non si deve avere in conto quello che si fà, ma hensì «quello che dovrebbe farsi : o per dir meglio non vuolsi | prendere in esame quello che si fà se. non per giudicarne, | e per misurarlo sulle regole di quello che deve farsi, e per contrapporre l’uno all’ altro. È questa il, principio che | regna in tutte le polizie dei popoli colti. » « Tutte le riforme delle quali i secoli posteriori sono stati fecondi, non sono altro che la POR ANT dei secoli + anteriori; e quando il principio che ho esposto è. stato: la. guida della riforma , allora il genere umano ha potuto a buon diritto vantarsi d’ aver fatto un passo di, più verso la perfezione, » « Allegare i reiterati esempi d’ un abuso, non è certa= mente giustificarlo , insistere sul possesso d’ una impunità. invecchiata , non è altrochè seminare le colpe, corrom- } pere la natura umana, e peggiorare, le società civili.» =’ « Tutti i popoli d' Europa si rubano l’ uno all’ al: tro la proprietà dei letterati respettivi; non v° è legge che lo proibisca. E perchè non sarà lecito. fare altret- tanto in Toscana ? È questo l'argomento del sig. dott. Perugini in favore di Vincenzo Batelli. » «E da questo argomento ne viene la conseguenza; cha: ilidott. Giulio Ferrario e gli. editori. mitapesi non adi» ranno verun tribunale, e non cercheranno giudice, ( poi» chè l'uno e l’altro farebbero invano ) per domandare’ I’ emenda dei danni che cagiona Toro, la nuova edizione D: fiorentina della STORI4 DEL GOVERNO DELLA, MILIZIA, Lia 163 et; la quale. edizione è fatta” ai rabiorie di tutti anco i “ment opulenti dopo‘che il' prezzo delle'lire 4. mila mi- lanesi è ridotto a lire 4. cento toscane. » « Assolvo dunque ancor’ io, e se vuolsi, ringrazio anco Viricerizo Batelli che mi ha facilitato l’ acquisto di sì bell'opera: » i — « Ma allontanindomi dal mio interesse, e ammet- tendo' la giustizia anco contro di me in casa mia, dico clé è tempo viai di reprimere questa iniqua lotus: cie ci ‘è data dalle leggi, è tempo che si svegliano i legislatori, e bandiscano questa pirateria’ frutto della | quale sono la. povertà dei letterati, e la tirannia delli stampatori più ricchi, ed Antoni colle sostanze dei letterati; ‘onde questi oppressi dal giogo di quelli non , producano mai quei larghi frutti che liberi produrtebbe- ro, in ‘quella stessa guisa ‘che le misere raccolte fatte sui campi coltivati dai servi addetti alla gleba accusarono per'lungo tempo la loro calamità, più che la loro socor: dia‘, e tutti sanno quanto perderebbto al paragone di gielie che commendano i sudori degli industriosi nostri ‘ fittuari, e de’ nostti coloni parziarii. ,, | «La viziosa distribuzione dei frutti nuoce per talfmodo anco qui, come sempre, alla produzione, e anco in questo commercio dobbiambò piangere che si. ammetta il vincolo, e-si‘ammetta’sotto nome:di quella libertà clie da tutti si conviene essere anco in questo ramo, e meglio sarebbe | detto in questo ramo essere più che in qualunque altro necessaria. » «Si pensaalla libertà del.commerciò a prò delli stam- patori ‘e dei librai, esi lasciano intanto i letterati nella schiavità in cui sono’ tenuti stretti dai librai e dalli . stampatori. » 1 «Chi paragona il manoscritto del letterato al telaio j chixdice che il’ autore id’ un.libro il'quale offre.al pubblico cinquecento copie délla sua-opera;, hà: li stessi diritti’ del 164 proprietario d’ un. telaio, il;quale offre, ia braccia . della sua. tela, costui confonde il regio intellettuale col fisico, anzi sotto le idee materiali seppellioce tutti i ‘ giudizi morali. » «I terminì di paragone y;se ve ne sono nella proposta similitudine , sarebbero fra il telaio e il torchio, € perciò la relazione sarebbe solamente fra stampatore e sta impalo- re, e sarebbe insufliciente anco questa a stabilire il: diritto, delle ristampe; ma nessuna relazione poi si troy ereble fra il telaio e il manoscritto, ‘considerandolo come: l’ or- ginale e necessario, de »ositario dei pensieri dell’ autore ; se dei diritti e dei. danni dell’ autore non si è, PEFRR. API briga il sig. dott. Perugini. » » « Non si esamina qui il caso, particolare e non, si pes sano le ragioni colle quali può di endersi la ristampa; fio- rentina di Vincenzo Batelli ; qui, sì, dà solamente; un cenno dei diritti della letteratura, e tanto quanto basti per non permettere, la diffusione. della tanto. perniciosa, , quanto iniqua dottrina cui potrebbe fare scala il, ragiona mento del sib. dott. Perugini. DES. TI Avv. Lorenzo. Cortimi, Met 154 La morale et la politique d’ Aristote ec. La morale ela peli d’AnistoTELe tradotte dal greco, dal sig. Tuuror professore, al collegio reale di Francia € alla facoltà di lettere in Parigi. n 'Programina. è . i dii a "ERRATA Lol vt i Y due trattati; dei quali annunziasi una nuova versione france-. sé, sono annoverati fra le opere più ‘perfette e di maggiore i portanza che ci siano rimaste d’ Aristotele; il quale, TE E la morale e la politica come due scienze ‘inseparabili, o, perpae= glio dire come le parti. d’una sola e medesima scienza” da' lui stimata, a buon dritto, come la più rilevatite ‘alla felicità degli uomini ; ‘pare ‘che sas precta le oggetto: ne ‘formasse allo studio e alle meditazioni di pressochè intera. la sua vità. \rpato riti aci 165 |. Nel corso dei ‘dué ultimi ‘anni questi trattati comparvero snpitae in luce a Parigi per opera del dotto e rispettabile sig. dottor Coray , che le sue moltiplici fatiche letterarie rivolse in- cessantemente all’ istruzione e all’ utilità de’ greci suoi concitta- dini. Ei si diè cura di riprodurne il testo con tutta quella pur- gatezza che/ aspettar doveasi dalle sue rare cognizioni nella lingua e nelle lettere greche; e dalla sua critica | giudiziosa e profonda che gli ha meritato da lungo tempo il primo posto fra quanti in Europa coltivano siffatti studii. Il testo d’ Aristotele fu da lui accompagnato con chiose in- tese a dar lume ai pensieri dell’ autore, e con discorsi prelimi- nari diretti ai suoi concittadini, nei quali accoppiati si mirano i più prudenti consigli € i più mobili e generosi sentimenti, ed un vivissimo amore filiale verso l’infelice sua. patria, La presente:versione. è. stata. cominciata e condottasull’ediîzione del testo greco data dal sullodato sig. dottor Coray. E qui è da notare. che i. più, facoltosi cittadini. e negozianti (di! Scio,: déside- rando ;di concorrere,, ‘per quanto: era nelle loro forze, alla propa+ gazione delle lettere e delle cognizioni utili fra ‘i greci; aveano; prima, della. terribile catastrofe, che compiè' la. loro ruinà, idesti- nato ragguardevoli somme alla pubblicazione delle opere»migliori dell’‘antichità.; le quali ‘somme. furono, fra le. altre. cose ;..desti- nate alla pubblicazione dei due. trattati. d’ Aristotelè» procurata dal; sig. Coray. I dotti d’ Europa raccolgono adesso il frutto dei sacrifizi di questi uomini generosi che , divenuti vittime d' una barbarie quasi senza esempio , restarono SSR in quei campi medesimi che fe- condati, e abbelliti. venivano dalla loro attiva industria; e.le.loro donne ..e.i loro figli furono o insiem. con. essi immolati, o. serbati ad una achibvità cento volte più terribile della morte; I. pochi che sottrarsi poterono al ferro e alle catene dei feroci mussulma- ni, gemono ira in, seno. dell’ esilio, 0 conducono. nella; più ;dolo- rosa indigenza. una vita, di cui.rinnuoya continuamente gli ‘affanni la rimembrarza del, passato ,, e il tristissimo, prospetto dell’ avye- nire. Qual. può jesservi cuore. indifferente ,.che negar.possa, di dare aibto almeno a «qualcuno. di quegli. sventurati;,.i quali soffrono una na itanto erodele e tanto poco meritata ?:; N provento.. dell’ edizione { francese delle, dueopere importanti, del ‘testo delle. quali. l lo zelo degli infelici sciotti: procurò la ;ri+ stampa, sarà erogato. in oggetto sì pio. Ed era. debito: naturale e giustizia che il servigio da, essi. renduto ‘alle, lettere (ed alla fi- lotofia nei, lieti, giorni, della prosperità,; richiamasse. .in ;.pro loro 166 i in quelli della; miseria. la. simpatia e:.la! sollecitadine ber chivhque ha sentimenti d’umanità ed amoreval sapere. | Ai siffatte. persone raccomandasi pri cin traduzione da siva ora pubblicando. Dessa sarà composta: di due. volumivin 8.° ditigonboichle din pressi; dai Firmino. Didot, ed' ornati. dell’ incisione del’, busto' e: d'una statua. d’ Aristotele idall’;antico.. Ciascun:volume co’ discorsi* preliminari ; note e schiarimenti: necessari alla ‘piena intelligenza» del testo , conterrà circa 600 pagine. Il: primo volume, che com+ prenderà! dia invorale , uscirà in luce sulla fine del mese di! Mategno: di quest’ anno.; e ib secondo volume chie: conterrà là politica», sulla fine del mese di ottobre seguente. H prezzo di: ciascun volume sarà di dieci: fianchi’ in: cartài fine che chiamano: satinee , e diventi franchi'in carta velina: Alcuni esemplari tirati su gran carta: velina costeranno 30 franchi. Verrà pubblicato: alla: fine di-ciaseun volame: ilicatalogo degli . associati, e sarà: pure atta il numero «dl. esemplari per: i quali sì: saranno: firmati. : Si .darà' notizia altresì dell'ammontare -delle.-somame riseosse; e dell’uso.che ne sarà! stato fatto. ' Le ‘associazioni :si preudono a Parigi dai sigg. Firmino Didot' padre e: figlio; stampatori del're e dell’istituto.in via /2000 N. 245 e in Firenze al gabinetto scientifico e letterario. d G: Pietro Vieusseuzi | Ki 13 Costruzioni: geometriche dell'orologio’ solare ‘sopra un- piano qualunque; di GIOVANNI ASTOLFI.}—. Milano 1823 ‘Tipografia di Giov. Batista Bianchi ‘e C.° Il metodo con-cui veniva per l’addietro trattata la gnomonict era così complicato ed‘esigeva’ tante ‘cognizioni astronomiche, che scoraggiàva chiunque era voglioso di' conoscere i principj setindi i quali’ operar si deve per costruite praticamente 1° orologio solare: Della ‘verità di questa proposizione converranno tutti ‘quelli che volendo apprendere l’arte della gnomonica si saranno appigliatt o al-trattato di Ozanam; o all'articolo dell’ enciclopedia, o a qua- lunque ‘altro libro che tratti espressamente dil'questa materia; Uno scritto ‘pertanto il quale con esattezza e semplicità mostraise il-modo-di «delimeare ‘l'orologio’ solare intatti i diversi casi ne più comunemente possono «presentarsi } dovea essere i iii 167 ly. desiderato. IL’ autore ‘colta pubblicazione dell’. enaticiato Gpuscolo riempì questo vuoto ‘nel modo il più soddifacente. Guidato egli dai principj attinti ‘alle opere degli illustri geometri oltranfiéritàni | Monge e Lacroix e-dei nostri: italiani Tramontini e Bordoni, s’ac- corse. che la, costruzione di un orologio solare si riduceva alla soluzione di. un,problema di geometria descrittiva. Ammessa l’ipo- tesi che il rapporto delle distanze terrestri colla-distanza solare sia nullo ,., e l’ altra che il sole descriva: coll’ apparente annuo. suo corso, dei circoli paralleli, ciò: che:in pratica: non: può recare sensibile differenza ,. qualunque. problema di gnomonica riducesi ad, un problema di geometria. Si consideri in fatti una ‘parete piana ‘e. verticale ed in essa infisso uno'stilo parallelo all'asse del mondo ‘ -e.che per. le. ammesse ipotesi potrà ritenersi nell’ asse. medesimo, Dal piede dello stilo cada a pivatio la linea meridiana, e dalla: sua sommità sia condotta alla stessa un’ altra linea che comprenda collo stilo un angolo retto:;, e questa: seconda linea potrà considerarsi nel diametro dell’ equatore. Il triangolo rettangolo che risulta per questa costruzione si supponga ruotare intorno allo stilo , l’ ipotenusa genererà una superficie di cono retto che avrà per asse l’asse stesso del mondo. Posta questa supposizione , è chia- ro che l’ ombra dell’estremo dello stilo projettata dal sole sulla superficie interna del cono prolungato quanto bisogna , descri- verà sopra questa in tuttî i giorni dell’ anno un circolo parallelo alla sua base; per cui diviso uno qualunque di quei circoli in 24 | parti eguali, e guidate da quei punti di divisione altrettante rette al vertice , si avrebbe in tal modo costruito un orologio solare. Or siccome in pratica sarebbe per riuscire malagevole e sconve- niente simile costrazione, così il giovane autore , che per il pri- mo concepì questo felice: pensiere;+ha ben anche trovato il mezzo più semplice di trasportare le linee orarie dall’immaginata superficie conica alla parete piana nella quale è lo stilo infisso; nel che con- siste la soluzione di un problema di geometria descrittiva. Que- sto problema ammette alcune modificazioni secondo la varietà dei casi che si presentano, e l’autore nell’ opera enunciata dopo di avere indicati due diversi metodi per ottenere la linea meridiana sopra un ‘pianio orizzontale, insegna dietro i suoì principj, il modo di descrivere l'orologio lola sopra: nu piano considerato in tutte le possibili posizioni che può prendere, per cui il suo metodo il quale ha il pregio di guidar con ordine la mano del- l’ artefice nella costruzione di questi orologi, è anche generale ed applicabile a qualunque caso. Non contento l’ autore di questo ha voluto anche indicare come devesi procedere quando la superficie 168 DN sn cui voglionsi, descritte, le. linee orarie sia ‘curva ,. e come de- vesi eseguire la: costruzione dell’ orologio solare così ea: all’ i i- taliana. L'unica. taccia; che taluno potrebbe deri | a - quest è puerta sarebbe d’essere stata trattata con brevità eccessiva, e di' non es- servi in seguito ad ogni problema la relativa dimostrazione. Que ste mancanze però non possono essere: sentite da chi non è'affatto digiuno di cognizioni geometriche , e riescir devono del tutto ins differenti a quelli che di geometria non s’ intendono, e che son tenuti a seguir ciecamente la strada che dall’ autore viene indi< cata. L’ enunciato opuscolo, pertanto: il quale sebben non ‘com- prenda che poche pagine; pure? è completo e affatto nuovo nel suo genere, verrà accolto con piacere da chi ama occuparsi pra- ticamente. della; dilettevole materia.in esso trattata, e da'chi con vero. amore coltiva gli studi matematici. e finalmente da' tutti quelli cui. piace incoraggirnei.loro' primi: passi i giovani ingegni. I] A. P. Fine, del. Fascicolo XXVIII. ene | OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO | DELLESCUOLE PIE DIFIRENZE wi Alto sopra il livello del mare piedi 205. din: (MARZO 1823. Polia te) % ali . Termometro i 19 da | lac! > E) a 5 DE 5 = ti dii n) : ol Ora 3 3 n BOL s.|E.B Stato del cielo H Lap 4 4 >| 8 °2 i M Li È Sh Ne poll: lin.. o | 4 , | 7 mat. |27. 98 VEL. 5,0 lor.Lev Ser. rag; Calma 1] mezzog. 27. 10,6 7:59 8;9| 0,02 Ostro |Coperto. Calma 11 sera |28. 0,9 7,9 5,8! Scir. |Sereno. - Ventic. «| 7mat. |[28. 0,6 6,9 3,5 0,02'Os. Sc. Sereno... ‘Ventic.i@ 2| mezzog.|28. 0,8 | , 7,3 7,3 Gr.Lev|Ser. neb. Vento i | 11 sera |28. 11 8,0 9,8 Gr. Tr. | Nuvolo. Ventic.if | 7mat. |28. 07 7,00) 49). Gr. Tr.|Ser. belliss..Ventic.|f 31 .mezzog. |28. 0,6 73 8,4 Gr. Tr.| Bel sereno. . Vento {# i | rrsera |28. 0,2 |. 8,0] 6,2 |Gr.Lev]Bel sereno. Ventic.if 7 mat. |27. 11,0 6,2 3,6 Scir. ||Coperto. Calma 4 mezzog. |27. 10,0 731 7,7 P. Lib.|Ser. con nuv.. Ventio. b). 11 sera {27.76 8,0 7,9 Ostro |Nuvolo. Calma |f | 7 mat. 27» 6,2 |. 80 6,7 \0,03| Lev. |Coperto. Gala 9) mezzog. | "i li sera |27. 5,2 mai 53 0,07 | Lib. Pioggia; Vento «7 mat. |27. 5,4 | 6,5 44 0,13|Lev. [Goperto. .. | Calma: B| mezzog. 27.7 | 55 8,0 | 0,21|Sc. .Lev Piovoso. Ventie. | 11 sera |27. 5,6 t 16,2 44 Tr. M. Nav. rotti... Ventic. | n mat. |27. 7,0 5,8 3,5 Lev. |Sereno: Calma | Mezzog. 27. 6,0 6,4 6,2 Tram. Coperto: » Viforteli li sera 27. 8,5 6,71. ., 6,3 Scir. Sereno: Ventic.]î. Pl Termom. i | S ; ; > i O 3 EE I S| Ora E 5, 2 | 5 |#5]| 88 | Statodelcielo | È tal ita Pd # I 3, 5 5 { 5 guri è , k È Li 7 mat. |27. 80] 6,2 46| | Tr.Gr.|Nuvolo. © Calma |} 8| mezzog. 27. 7,7]. 6,2 68 #4 Tram. |Ser. con nuv. Vento if __| 11 sera (27. 7} 6,7| ‘6,3 o,10|Ostro. |Ser.con nuv. Calma. 7 mat. |27. 7,6 5,9 5,3 0,06 | Lev.Sc|Nuvolo. Vento [fl 9| mezzog. |27. 73 5,8 5,8 0,12;Sc.Lev|Pioggia. Venticilii! 11 sera |27. 4,9 5,3|2,0,8,31 (o) ,67 Scir. Sereno. Venticiif 7 mat. |27. 5,0 4,9 4,0 Sc.Lev.|Coperto. Calma (ill 10| mezzog.|27. 6,0 5,8 6,0 0,06|Ponen. |Piovoso. Calma |; } ._| rt sera |27. 10,5 5,8 6,2 Tram. |Sereno. Calma. 7 mat. |27. 11,0 5,3 4,0). Sc. Lev |Ser. rag. Calma il t1] mezzog.|27. 10,8 5,8 6,7 Sc. Lev |Sereno. Venti 11.sera |27. 10,8 8,0| . 7,5 Lib. |Sereno. ‘Calma; 7 mat. |27. 10,4 6,7 5,8 Scir. |Coperto. Ventic=if, it2| mezzog. 27. 10,0 | | 7,1 8,4 Ostro. |Ser. coperto. Ventic-Îif rt Sera |27. 10,2, 6,7 Gal. Gr. Tr. Nuvolo.; V. fur: ij 7 mat. |27.:10;5.} 6,2 D,al 1° ‘0,03 Tr. Gr. |Nùvolo. V. gagliardo i 13]. mezzog. (27. 1130 | ©:!6,2] . 6,8 ; Vario |Nuvolo. Vento | i rr sera |27.:11,6| -‘6,7 6,2 Gr Tr.|Nuvolo. V. fiero gimat. |27011,5 | .:5,8 5,0i !%‘| Gr. Tr.|Ser. con nuv. V,.forte |14| mezzog..27: 1r1;6 |... 6,0 5,8) Tr. Gr.|Nuvolo. Vento if 11 sera 128. o {1.62 6,2! Gr. Tr. Ser. con nuv. Vento. | .|.7, mat. .|28. .06 6,5 5,0 Tr. Gr./Ser. con nuy. V.fortelf |15] mezzog. 128. 0,5 | 6,2] 7 Tram. |Nuvoto. Vento Mi 11 sera 28. 1,2 |}! 6,2 5,1 Gr. Tr. Set. con nuv. Vento JB pn mat. |28. 1,4 6,01 5,3 Tr. Gr.|Coperto. Ventoil 116) mezzog:|28:. 14 || 6,2 8,0 Greco |Nuv. rotti. Vento" | porrsera [28.135 | ©0621 6,7] | Gr. Tr, Nuvoto. "Vento, 7. mat. 128, 0,9 | - (64 6,3 Tr. Gr. F. Gri | Néfvolo © Venticalii '17| mezzog.}28. 0,7 6,8) 9,3 Scir. |Nuvolo. ‘ —Ventiò.@ì i xT/sera |2g.. 0, v4| 07,4 Gr. Tr. Nuvolo, ‘Calma. w p mat. |28. ‘0,0 6,6 5,9] 41h {Scir. |Serenorag.' Calma, i 18 mezzog. |28. 0,0 74 8,0 Lev. |Sereno. Ventiò || pr sera [27 11 3 8,0 7,9 Lib. {Belliss. ser. Ventic.Mf A 7,mat. 27 (193. | - 736 6,21 | ‘P. Lib.|Ser.connuyv. Calma |M igi, mezzog. 27.108;3) |. 8,0 8,6] (© Lev. |Minaccioso. Vento‘ 1i/serà 127 148 ‘8,91 8,4 0,040s.Lib.|Piovoso. V.furiosa 2a Torpoa, E ri > Ò _ ti i PA 3 5|j Ora È 2 5 | E [35] sò Stato del Cielo = n= SI ' 8 } È s Ii do|E| #8) Tr. Gr. Nuvolo. V. forte Gr.Lev|Neve. . V. fiero, Tram. | Ser. belliss. Ventic. 7 mat. |27, 49| 7000 43 o| mezzog. |27. 6,3 5,6) 04,6 0,38 11 serà 27. 8,3 85. 5,8 44| © | Tram. |Ser. connuv. Vento | Tram. |Bel sereno. . Vento Lev. |Ser. rag. Ventic. 7 mat. |27. 9,9 5,0 3,1 I| mezzog. |27. 9,1 Sdf. 0 11 sera |27. $,9 5,3 si5 L.|.7,mat. |27..96|. 4,9 2,4| Scir. |Sereno., Calma” 1a] mezzog. |27. 8,5 5,0) 64 Tram. |Sereno. - Ventic. Hi sera [27.91 7,9 8,4 .. |Se. Lev| Sereno. ‘Ventic. ‘7 mat. ‘|27. 953 6,4 5,0 © |Scir. |Sereno. Calma mezzog. |27. 10,0 8,0 9,5 Lev. |Ser. belliss, Calma rr,sera ‘27. 11,7 9:3 9,8 Lib. |Ser. rag. Calma 7 mat. |28. 0,0 8,8 6,9 Sc. Lev|Ser. con neb. Ventic. e4| mezzog. |28. 0,0 9,3] 12,0 Gr. Tr.|Ser. velato. Vento 11 sera |28. 0,6 10,2| 10,2 Tr. Gr.| Sereno. Calma IAT7 ‘7mat. 28. 0,3 9,3 8,0 Tram. |Sereno. Calma 5| mezzog. |28. 0,0 10,6] 11,9 Ostro. |Sereno. Vento 11 sera |28. 0,0 1I,I II, Tram. |Velato. Vento | 7 mat. [e 11;7 10,6 97 Tr. Gr. Nuvolo. Vento 26| mezzog. |27. 11,9 10,8] 12,1 Gr. Tr. Coperto» Ventie, ri sera |28. 0,f° 9,3] 11,3 Tr. Gr. Nuvolo. biso ,. | 7mat. (27. 11,9 10,7 9,7 Tr. Gr. Ser. con nuv. Calma 27| mezzog. |28. O,I ti,t} 12;4 Pon. Ser. coperto. Ventic. | rrsera /28. 0,6 12,0] IIt,I Gr. Tr. Nuv. nebb. Calma {7mat. (28. 0,8 10,7 8,9 I Scir. |Nuvolo. Vento 28| mezzog. 128. 0,9 11,5] 12,4 Gr.Lev|Nuvolo. Ventic. | ri sera |28, 1,7 12,01 12,0 Grec. |Sereno, Ventic.| | | 7mat. [28. 1,6 10,8 8,8 Scir. {Ser con nuv. Nebbiejf mpjnerzos: 28. 1,5 12,0] 14,9 Tram. |Nuvoloso.. Ventic.}f |__| 11 sera 28. 2,0 12,4}. 11,1 Os. Lib| Sereno. Ventie. 6a | 7 mat. |28. 24 8,9 VE Scir. |Bel sereno. Calma | DI mezzog. (28. 2,4 12,0] 12,9 Os. Sc. | Sereno. Ventie. ni 11 sera |28. 2,9 13,3] 12,9 Os. Lib|Ser. nebb. Calma. 7 matt. (28. 3,0 11,7 9,3 Scir. |Ser. con nuv. Calma. 31] mezzog. |28. 2,9 12,9] 13,3 Pon. |Sereno. “ Ventic.|W} | 11 sera |28. 2,7 13,3) 13,3 Os. Lib|Ser. nebb, _Galma e qRST 171 DERISO E Pra oe ord agotozt ite è er RE DI FENOMENI i, DI vaRIO ceneRE. 3.9 | e 6. ‘Neve alle prossime montagne. ID Vu 10. Nuova neve alle montagne. 13. Nuova neve. Nella notte vento fierissimo. oi 20. Neve generale. Dalle ore 8 alle ore 8 172 della mattina Ja ney | cadeva foltissima anche dentro Firenze. 21. Alle ore 6 della « sera il termometro esteriore è disceso a a a #3 I IRE evi ,% N° XXIX. Maggio, 1823. ———_ Della letteratura italiana nella seconda metà del se- colo xvttr, opera di CAamirzo Uconi. — Brescia. 1820—22. (*) Ban ingegno, buon cuore e buoni studi sono tre in- dispensabili requisiti in chiunque prenda a sostenere l’of- ficio di scrittore; ma più forse in chi prenda ad esaminare l’opere ed il carattere degli scrittori che lo hanno prece- duto , onde assegnare a ciascun di loro, e a tutti insieme il grado, che ad essi è dovuto nell’ universale opinione. Chi dichiara su qualche materia letteraria ‘o scientifica i propri pensiéri , o mette in luce alcuno di que’ lavori, .che si chiamano di fantasia , mentre sì propone in certo modo al pubblico per maestro o per modello, si sottopone al giudizio di questo pubblico medesimo , sicchè i falli di qualunque specie gli sono tanto meno imputabili, quanto “meno ei pretende a renderti autorevoli. Chi sorge ad eser- | citare, quasi a nome della parte più illuminata del pub- blico, una severa giudicatura su quelli che vollero addot- .trinarlo o dilettarlo coll’ arti della parola , sebbene egli | pure.tacitamente sottopongasi ad un sindacato, pure si | annuncia con tanta autorità , che ciascuno di noi pensa ;piuttosto a regolare il proprio col suo giudizio, che non (*) Finora tre volumi in 12.* "T. X. Maggio ; r 2 ad assoggettare il suo al proprio. Quindi un tal uomo debb’ esser provveduto di tante cognizioni , di tanta ret- titudine intellettuale e morale, che senta intimamente d’avere volontà e capacità di rendere esatta giustizia al merito degli scrittori, de’ quali si assume di ragionare ; onde.il pubblico, ben chiarito sulle proprie guide e sulla traccia da esse lasciata, progredisca più sicuro al conse- guimento di ciò che è fine d° ogni nobile studio. Ora questa volontà e questa capacità apparisce ( se non c'inganniamo ) ad ogni pagina dell’ opera del sig. barone Ugoni, il quale avendo preso a continuare i secolz dell’italiana letteratura del Corniani, si mostra. al par. di lui amico del vero e del bene , e più di lui avveduto ed educato alla scuola della ragione o di quella , che con più modesto nome appelliamo filosofia. La qual ultima condizione era in esso troppo necessaria , per non accin- gersi invano ad esaminare gli studi ‘nostri appunto nel- l’ epoca, in cui si videro tutti ricevere dalla filosofia nuova tendenza e nuovo colore. Durando peraltro in tal epoca, giusta le frasi del sig. Ugoni, una lotta fra gli scrittori che spinti dal genio del secolo e dall’ esempio d’ estere nazioni si studiarono d’ innestare la filosofia sull’ antico albero dell’ italiana letteratura , e gli altri che, non ac- corgendosi essere quest’ albero sfrondato e sfruttato, sì opponevano con tutte le forze a tale innesto (1), gli fu d’ uopo non poca sagacia, onde ben distinguere lo stato, d’ incertezza che ne risultava, e non picciola industria nel delinearlo . Se non che proponendosi egli, o per ossequio al suo concittadino che già nominammo, 0 per maggiore facilità, un piano che è fra la biografia e la storia , potè piuttosto preparare de’ particolari disegni, onde comporne un bel quadro , che non presentarci questo quadro unico e in (1) Prefazione , pag. 14. lst h cl #0 ARE 3 ogni parte compito. Ben egli si riservò di determinare alla fine dell’ opera ( uso le sue medesime parole ) quale sia stato il gusto e l'indole della letteratura italiana nella se- conda metà del secolo xvin, per quanto le grandi e carat- teristiche differenze delle maniere individuali degli scrit- tori gli permetteranno di raccogliere da essi l’ idea ‘d’ un carattere comune e nazionale. Allora, com’egli ha in animo , sì farà ad indagare fino a qual segno lo spirito filosofico possa essere ammesso nell’arti letterarie , le quali ù porgendo facile esercizio al pensiero e allettativi all’ immaginazione ad al cuore , esaltano grandemente le potenze dell’ anima, e traggono , come per incanto, tutte le classi della nazione ad amare il vero, il bello ed il grande (2). Leggendo un’ osservazione del sig. Ugoni sulle rivo- luzioni d’ Italia del Denina, che i libri, cioè, onde queste si compongono, racchiuderebbero tanto maggiore istru- zione , se ciascuno di essi come quelli delle storie fioren- tine del Machiavello , il quale n’ ebbe esempio dagli antichi, fosse preceduto da un proemio, in cui si consi- derasse teoricamente e rapidamente la materia del libro medesimo (3); quasi nascerebbe voglia di domandarglì perchè egli pure non ha fatto precedere alla sua opera storica un’ introduzione , che ragioni sullo spirito della nostra letteratura nel periodo ch' ei prende a descrivere ? Sorge intanto un pensiero, che non solamente lo assolve d’ aver operato altrimenti, ma gliene dà lode, poichè l’introduzione , che dicevamo , sarebbe piuttosto una con- | chiusione anticipata, e quindi poco utile, quantunque piena di cose giustissime. Ad una conchiusione generale non sì viene saggiamente che per mezzo di Gulio osser- vazioni particolari. Quindi il solo esame dell’ opera e del- (2) Prefazione, pag. 16. (3) Tomo 3, articolo 5. F ls 4 P l'indole varia degli scrittori , che fiorirono hella seconda metà del secolo xvmi, potea condurre e lo storico a ben pronunciare e il lettore a ben accogliere un generale giudi- zio sulla nostra letteratura in tal epoca; ciò che il sig. Ugoni sentì ottimamente. Cori divisamento non molto dissimile l'illustre Gioja spiega nel suo nuovo prospetto delle scienze economiche la teoria di queste scienze mede- sime , recando in mezzo, rettificando , compiendo le idee de’ principali scrittori che le trattarono ; indi conchiude colla esposizione dello stato in cui essi le hanno lasciate. Così un metodo molto imperfetto di scrivere la storia let- teraria , come quello del Gorniani seguito dal nostro Ugoni, può , mercè di alcune industrie , riuscire un me- todo analitico utilissimo per far conoscere la letteratura di un paese in tempi differenti; massime quando le ana- lisi speciali siano dirette da un principio comune e filoso- fico, siccome ciascuno può accorgersi nell'opera di cui ragioniamo . E veramente ciò che il sig. Ugoni dice del Sismondi, come storico della letteratura meridionale, che emulando cioè il Bouterweck, e pigliandolo a guida in alcune parti, si levò a comporre una storia filosofica , nella quale, ri- mosse le prevenzioni e le rivalità nazionali, apprezzò con molta sagacia il merito degli scrittori; e dalle regole di con- venzione risalendo a quelle che hanno base nel sentimento e nel gusto generale, osservò le relazioni delle leggi del giusto e dell’onesto con quelle del bello, e il legame della virtù e della morale colla sensitività e coll’ immaginazio- ne (4), è in gran parte applicabile a lui medesimo. Al- cuni luoghi fra molti, che si potrebbero scegliere dalla sua opera , ne forniranno la prova. Ov' egli parla, a cagion d'esempio delle odi, per cui merita forse non minor vanto d’ originalità che pel suo famoso poemetto il cantore delle (4) Prefazione , pag. 15. ii Antik FRI ea 5 tre parti in che si parte il giorno , si esprime così: « Pri- ma che il Parini sorgesse , i più de’ lirici italiani sembra- vano rivolgere i loro versi unicamente a far lusinga agli orecchi ; e quando anche aveano uno scopo morale, questo era assai vago: esaltavano le virtù e sferzavano i vizii comuni a tutti i tempi, ma non erano quasi mai poeti della loro nazione e del loro secolo. Il Parini, che non avea meno caro il manto filosofico della fronda poetica, vide e sentì questo difetto, e lo evitò in tutti i suoi versi; laonde fu singolare fra gli-italiani per aver revocata la poesia all’ antico suo uflicio, usando dell’arte al miglio-. ramento de’ concittadini, » Ove poi ragiona dell’ indole di questo poeta , dopo averci fatto sentire come nel cuor svo l’amore:della virtù andasse unito a quello della civil li- bertà, che niuno meglio di lui seppe distinguere dalla li- cenza ; e com’ egli avesse giustamente sospetta quella virtù che da tale amore sia disgiunta , prosegue : « Come cogli scritti rivolse la forza dell’ingegno a combattere ac- cortamente la palese indifferenza del secolo per ogni no- bile affetto , e la sua ansietà pei piaceri de’ sensi e le più ridenti frivolezze della vita; così il Parini, adempiendo ‘anche coll’opera l'alta sua vocazione, e tutto sagrificando all’ entusiasmo del bello morale e del vero, non inchinò mai o il falso in trono o la viltà potente. Indi venne che i liberali esempi della sua vita valsero a temprare forte- mente l’anima della gioventù che lo seguiva (5). » Le quali parole ci richiamano quel luogo sì eloquente d’ una lettera dell’ Ortis (6), che incomincia : « Jer sera adun- que io passeg giava con quel vecchio venerando nel sob- borgo orientale della città sotto un boschetto di tigli . “Mi parlò a lungo della sua patria , e fremeva e per ll an» tiche tirannidi e per la nuova’ licenza. Le lettere prosti- (5) Tomo 2, articolo 9. (6) Milano, 4 dicembre. 6 tuite; tutte le passioni languenti e degenerate in una indolente vilissima corruzione .... e poi mi tesseva gli annali recenti e i delitti di tanti woimicciatoli, eh”io de- gnerei di nominare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigore d’ animo , non dirò di Silla e di Catilina, ma di quelli animosi masnadieri , che affrontano il misfatto quantunque gli vedano presso il patibolo; — ma ladron- celli, tremanti, saccenti — più onesto insomma è tacerne. A quelle parole io m’infiammava d’ un sovrumano furore e sorgeva gridando, ec. » Altro de’ più bei caratteri delineati dall’ Ugoni è quello del Cesarotti. « Amatore del bello universale , dice egli di lui, il bello morale era poi l’idolo dell’ anima sua (7); e lo cercava nelle compagnie, lo vagheggiava nel candore e nel forte sentire della gioventù , lo meditava nella solitudine , lo onorava con iscrizioni , e n’ esultava in sè stesso grido lo trovava ne’ libri..... Dolcissima era la tempera dell’ animo suo, vivace, espansiva, proclive all’ entusiasmo per quanto è bello, grande ed onesto; e del bello , del grande, dell’ onesto la modriva di conti- nuo (8) ». A questo carattere contrapporremo alcuni tratti di quello di Carlo Gozzi. Dopo aver notato di lui, ch’ era uomo dagli altri siugolare , ma di singolarità volgarissima, intento sempre a spiare qualche lato prosastico dell’ uomo onde farne beffe, il sig. Ugoni prosegue dicendo come non parve aver egli maì sospettato nella natura umana certa altezza di sensi e di concetti, di cui se per avven- tura scorgeva alcun segno , inducevasi di leggieri a cre- derlo ostentato e rideva. Di qui , malgrado tutta l’abbon- danza della sua fantasia , il suo scrivere vuoto , plebeo , piuttosto bizzarro che piacevole, niente fatto pei cuori (7) Frase ormai consecrata parlandosi del Cesarotti, tanto piacque e parve giustissima in quel ritratto che di lui scrisse la contessa Albrizzi. (8) Tomo 3, articolo 4. 7 | delicati; e, giasta la frase di Schlegel,, quella perpetua parodia della parte nobile e poetica della vita umana, che trovasi nell’ opere sue (9). Del Cesarotti osserva il nostro Usgoni che il desiderio di riuscire scrittore nazionale , di piacere cioè , co’ suoi libri alle più elette compagnie ve- nete, simili in questo alle francesi del suo tempo, che così le une come le altre pigliavano diletto di quella col- tura fina ed aggradevole e fors’ anche un po’ leggera , che serve di svagamento alle cure della vita , diede a’ concetti e al gusto di lui una tinta moderna, e un’ impronta a così dire francese , fatta vie più princi per la lettura assidua de’ francesi scrittori e di Voltaire singolarmente. Al che aggiunge che volendo il Cesarotti esercitare sui contempo- ranei quell’ influenza ch’ essi esercitavano sopra di lui, ideò e promosse negli studi quella rivoluzione che tutti sanno , e di cui fu egli His uettto siccome capo. Di Carlo Gozzi ; che pur diéde ne’ primi suoi scritti di prosa e di verso ( come che da tante facili ciance non si raccolga un solo pensiero ) qualche sentore di buona dicitura, nota il sig. Ugoni , che non ricavando da tali scritti quella lode che ne attendeva, e vedendo il Goldoni ed il Chiari in grandissimo favore per le loro drammatiche composizioni, volse egli pure l’ animo alle scene, per le quali scrisse molte opere, che attestano , a dir vero , molta potenza di fantasia, ma sbrigliata e senza legge. Quanto poi alla lin- gua e allo stile, o non trovasse modelli da seguire nei. drammatici da lui studiati, o gli esperimenti fatti gli togliessero speranza di piacere a’ suoi concittadini con modi scelti e castigati, o fosse furia di comporre , o tutte insieme queste cagioni, è certo che precipitò in un vilis- simo e insoffribile impasto di stile; com’ è pur certo che, tolta quella fantasia di cui sì disse , fu ignudo di tutte le doti che si richieggono in uno scrittore affinchè alletti , e (9g) Tomo 3; articolo ». te) digiuno d’ ogni sapere ehe gli è pur necessario onde istrui- sca. Quindi il sig. Ugoni conchiude che tutte l’opere in verso e in prosa di Carlo Gozzi nulla racchiudono che attesti nè lo stato delle cognizioni, nè la filosofia generale dell’ età , in cui furono dettate (10). Poco meno che nemico de’ lumi, per cieca venera- zione all’ antichità piuttosto che per odio de’ lumi stessi, fu Giuseppe Torelli, uomo dottissimo insieme e pregiu- dicatissimo ; e ciò che il sig. Ugoni dice di lui in tal pro- posito va riportato, così per dar saggio della sua finezza nel presentarci le più sottili differenze de’ caratteri degli scrit- tori, come per qualch’ altra cagione, che facilmente si comprenderà. « Egli era (il Torelli ) uno di coloro; che reputano la natura essere stata madre agli antichi e ma- drigna a’ moderni. Di qui quel suo continuo esaltare gli scrittori delle età più remote, studiarli, commentarli e tradurli ; e quell’ incessante maledire a’ moderni, i quali, all’ udirlo, non solo non erano andati innanzi in nessuna cosa, ma erano tornati addietro in tutte. Gli scritti, la fama, il gusto di questi erano per lui come Cartagine per (10) E qui cita un passo, onde apparisce, com’ei si esprime, che anche in teoria fu il Gozzi un difensore dell’ ignoranza e della barbarie, un franco partigiano dell’ oscurantismo. Perocchè , fra l’ altre sue belle dottrine, era questa che gli scrittori dramma- tici dovessero sforzarsi d’intrattenere i popoli nella semplicità senza tanto istruirli; perocchè secondo lui non potevano essere molto istrutti senza pericolo dello stato ; e la perfettibilità dell’ umana specie , il progresso de’ lumi, il miglioramento del viver civile erano nel suo concetto ridicole chimere. Il bravo Ugoni , dopo aver recato le: parole, onde principalmente si raccoglie quanto abbiam detto , prorompe in questa nobile e sdegnosa sentenza ; che sola baetarsbibe a metterci nel segreto dell’ animo suo, ove tutta la sua opera non lo disvelasse : più non esservi Gedeoni che fermino il sole ; i latrati dell'ignoranza essere affatto impotenti ; e l' astro tino della civiltà procedere maestosamente sicuro nella sua carriera. | 9 -Catone ; nè apriva bocca, nè pigliava in mano la penna, se non per gridare: iterum dico delenda est Carthago. Non è a dirsi quanto sì fatto sistema facesse ingiusli ì suoi giudizii. Ma d’onde procede questo brutto e ributtante delirio di frapporsi in tutte le strade, per respingere in- dietro chi pur vorrebbe andare innanzi; di credere che, mentre l’universa natura rinnova con perpetua vicenda i fiori e i frutti della terra, l'ingegno solo dell’uomo debba rimanersi sterile e sfruttato? Forse costoro che pretendo- no nulla di bello potersi scrivere , nulla di vero, nulla di utile e nuovo trovare , che non sia stato scritto e trovato ab antico, facendosi trombe della gloria de’ trapassati, credono essi di poterlasi appropriare? Perchè ammucchia- no citazioni di Plutarco e Ateneo a provarci che non ab- biamo alcun obbligo ai Newton, agli Halley , ai Bran- dley ? Perchè, contorcendo una frase d’Ippocrate vogliono darci ad intendere che i greci conoscevano la circolazione del sangue meglio di Cesalpino e di Harvey ? Perchè, non potendo negare il calcolo infinitesimale e integrale, si avvisava egli il Torelli di dubitare della verità del prin- cipio da cui emana; e perchè disprezzare l’ analisi, sco- nosciuta agli dubichisi La doppia colpa d’ essere moderni e francesi lo recava a denigrare d’ Alembert , e a rimpro- verare al Sibiliati le lodi date alle tragedie ne Voltaire, soggiungendogli che non lo avrebbe avuto rivale mai nell’ammirazione verso quel grande. Ma chi non piange all’ affettuoso pianto di Zaira , crederemo noi che possa commoversi veramente e di cuore alle affannose cure dell’ innamorata d’Enea?... Codesto immenso amore per gli autori antichi non avrebb’ esso la sua origine in un sentimento sì bene analizzato dal Sismondi nel suo filo- sofico trattato intorno al pregiudizio? Codesto mal vezzo di romper guerra al proprio secolo, facendosi detrattori de’ contemporanei, non avrebbe forse la sua sorgente 10 nell’invidia?... Checchè ne sia, solo il disprezzo sottrae un pregiudizio così volgare dall’ odio (11) ». | Questa maniera di vedere, e di indagar le cagioni del vario opinare degli scrittori indica nel sig. Ugoni una mente elevata e perspicace, e un cuore non freddo, Ma di quelle cagioni altre sono più particolari e più facili ad avvertirsi, altre più generali e non sempre abbastanza avvertite, quantunque di tutte le più potenti. « La mnatu- ra, dice il nostro storico parlando di Gaspare Gozzi, Ja natura crea gli ingegni; il clima, la civil comunanza e gli studi li nodriscono ; ma i governi, i principi e i tempi hanno gran parte nella tempera degli scrittori... . +. Il governo veneto , benchè republicano, era di tal natura da sgomentare la filosofia; e i pensieri e gli ingegni vi erano più schiavi dei corpi; però in tutta la storia lette- raria della republica raro è che tu ti avvenga in uno scrittore filosofo. Di qui è che i letterati veneti, che pur volevano da’ volgari separarsi, divenivano più solleciti del modo di dir le cose; che delle cose medesime. Questo fu lo studio principale di Gaspare Gozzi; ma tale studio altresì, come tutti gli altri, ammette la sua filosofia. Il nostro autore l’ ebbe sovente e talvolta non l’ebbe. Era filosofo nello studio della lingua allorchè leggendo atten- tissimo e postillando Dante e gli altri trecentisti, insigni per ingenua schiettezza , e, discendendo a tempi meno lontani , il naturalissimo Berni, si studiava a tutto potere che le reminiscenze delle frasi attinte da essi si digeris- sero nel suo capo; che l’affettazione e la soverchia singola- rità ne svaporasse ; e che il succo loro s’incorporasse col natural suo modo di sentire e di concepire (12). Era filo- (11) Tomo 3, articolo 1. (12) I traslati di questo e del seguente ct non sono , come gli intendenti veggono, troppo bene scelti per istare in com- pagnia. Altre mende ha spesso lo stile dell’ autore , opportuni 11 ‘sofo allorchè scrivendo, rigettati que’ modi che gli pareano strani alquanto , lasciava che sgorgassero quasi inavvedu- > tamente dalla volante penna quegli altri, che si affaccia- vano spontanei a vestire i concetti ei sensi di abiti propri e ad essi accomodati. Così adoprando avveniva, che nè lo scrittore nè il leggitore si avvedesse nè come nè quando que’ modi fossero accattati, e parevano tutti propri e na- tivi. Talvolta, però, veniva meno, come abbiamo detto, nel Gozzi questa filosofia nell’ uso della lingua; ed era | allorchè si fermava egli troppo a pescare lindi e forbiti modi nella fraseologia toscana. Chi pensa a trovar frasi raffreddasi, ed è tratto in noiosi giri di parole; che de- viano e fanno svaporare il pensiero e l’ affetto, il qual dee pur essere forte e continuo e tale da velare i voca- boli (13), chi voglia trarre incessantemente dietro a sè l’ attenzione dei legittori e degli uditori. Altrimenti i leg- gitori e gli uditori vi lascieranno nel pieno possesso di quelle frasi , di cui siete sì teneri, non ne parteciperanno in alcun modo; e la noia li riconcentrerà negli affetti e nei pensieri propri, dai quali non si sogliono a lungo distrarre gli uomini, se non che con affetti più intensi, e con pen- sieri o più piacevoli o più gravi o più nobili o più impor- tanti dei loro. Avviene adunque talvolta che , essendosi un po’ troppo soffermato il Gozzi nell’indagar parole , e avendo un po’ troppo artefatto il suo stile, quel suo in- toppo arresti sul più bello anche i lettori, perchè, senza correttivi forse ad alcune sentenze arrischiate sullo studio della lingua e sull’autorità de’ classici toscani, che s’ incontrano qua e là nell’ opera sua. Il tempo e la riflessione, che non può man- care a chi vi è tanto avvezzo, lo farà venire a più giusto parere. Dal quale , per vero dire, non è lontano, s’ egli rimprovera & Cesarotti, fra gli altri, di mon essersi contentato d’usare de’ pri- vilegi che invocava in favore degli scrittori, ma d’averne abusato; o in altri termini d’ avere sostenuto in teorica un’onesta libertà, e suscitato in pratica uno spirito di licenza. . _ (13) Cioè da non lusciar vedere alcuno studio di vocaboli, 12 che gli autori se ne avveggano, le modificazioni delle loro virtù e de’ loro vizii intellettuali si trasfondono ne’ loro, scritti. Talvolta incorse nell’ affettazione cruschevole, della quale si può far ragione soltanto col badare all’ effet- to, che il suo stile fa sulle prime nell’animo nostro. Sulle prime , perchè allora, per quanto altri vagheggi le ele- ganze di lingua , si sente pur sempre l’ affettazione se ci è: bensì alla seconda lettura, quando noi pure siam mo- dificati dall’ arte, e assumiamo un gusto e un criterio di convenzione, l’ affettazione allora par garbo ; e allora, in grazia del merito cruschevole, perdoniamo allo scrittore il gravissimo difetto di non aprire i suoi pensieri con quel- la ingenuità e schiettezza , da cui principalmente emerge ciò che i greci chiamavano atticismo ; il quale è un non so che simile al sorriso quasi invisibile degli occhi gai d'una donna gentile che alletta graziosamente e non pare; e le eleganze gramaticali sono smorfie e moine d’ una attempatella fraschetta, alla quale i presidi dell’arte non bastano onde supplire al difetto della natura (14) ».. Di qui il lettore indovina come il sig. Ugoni giudichi delle teorie stabilite dal Cesarotti nel suo Saggio sopra le lingue; saggio, in cui egli, al dir suo, adempì le parti di filosofo e di filologo senza sdegnare quelle di gramatico ; considerò le lingue nella loro dipendenza dalla logica e dalla retorica, nelle loro relazioni colle diverse parti del sapere alle quali tutte debbono servire , ne’ loro differenti uffizii, nelle leggi che debbono ricevere dall’ esempio, dall’ uso, dall’analogia; e applicando alla lingua italiana i principi comuni a tutte, e combattendo la falsa opinio- ne di chi si ostina a considerarla qual lingua morta, inca- pace d’incremento e perpetuamente subordinata all' au- torità di pochi antichi scrittori, ne derivò norme sicure per tutti quelli che verranno. Indi ricorda come notabile (14) Tomo 7, articolo 5. 13 singolarità che quel saggio per poco non uscì in luce sotto gli auspici della fiorentina accademia, allora moderatrice suprema della lingua; e cita le parete del segretario Giu- lio Perini, il quale scriveva al'Cesarotti che nel seno di . essa la fazione de’ filosofi superava di forze la contraria e già trionfava ; che il nuovo piano per rifondere il dizio- nario era tutto diretto ad introdurre nella lingua il buon senso e lo spirito filosofico, ed a concedere in ciò all’altre ‘provincie d’ Italia quel diritto che dà loro la ragione, la scienza e la coltura; e che il suo saggio dedicato all’ acca- demia medesima Snirebbe di abbattervi i deboli avanzi dell’ antica pedanteria (15). Tali parole ne richiamano alla memoria quelle , che due anni sono, in una solenne «adunanza della nuova accademia della Crusca, usò il suo attuale segretario G. B. Niccolini; parole assai più franche, avuto riguardo al luogo e al momento in cui furono pro- ‘munciate; e vie più filosofiche per la prudenza onde con- ciliano i respettivi diritti degli sparsi membri della fami- glia italiana alla formazione di una lingua comune, e combinano , se così possiamo esprimerci, i due elementi del governo della lingua medesima , l'aristocrazia toscana e la democrazia del resto d’Italia, che finora si sono com- battuti (16). Dalle questioni di lingua, ove il sig. barone Ugoni non è sempre consentaneo a sè stesso , vedlisimo com’ egli rechi il suo spirito filosofico in Prg d’alta letteratu- ra, di filosofia e d’ arti belle. Fra tutti i generi di compo- | sizioni poetiche , su cui oggi si mostrano maggiormente divisi i due partiti letterari , l’ uno de’ quali difende quel dominio che l’ altro vorrebbe occupare e riformare, si è il drammatico e il tragico specialmente. Non già che sugli ‘altri vadano meglio intesi; ma il drammatico, o sembri (15) Tomo 3, articolo 4. (16) Vedi Antologia, tomo V. pag. 4où: 14 più importante , o sia l’unico tuttavia coltivabile con buon successo nella nostra età (17), o richiegga maggiori mo- dificazioni che qualunque altro , va soggetto. a maggiori dispute. Queste peraltro non sono nuove in Italia; e il celebre discorso del Baretti sopra Shakespeare e Voltaire ne è testimonio (18). Il sig. Ugoni analizza brevemente quel discorso , in cui è esaminato il sistema tragico in- glese e il francese, è data al primo una sì notabile prefe- renza, come a quello da cui sono sbandite le piccole leggi di convenzione ; in cui all’ artificioso è sostituito il natu- rale, ed è provveduto al diletto con una grandissima varietà (19). Il nostro istorico non dissente punto dal critico , di cui riferisce le parole piene di vivezza e di ra- gione. Ed ove poi discorre delle opere di Carlo Gozzi si spiega in proprio nome più chiaramente: « Quanti passi non rimangono a farsi nelle vie del bello! È una grande insipienza il credere che tutto sia fatto, e il dolerci che l’ ingegno e l’ operosità degli antichi altra facoltà non lasciassero a’ moderni , tranne quella di un’oziosa ammi- razione e di un’ imitazione servile. Di quanto perfeziona- mento non sono elleno suscettive le opere sceniche! I rigidi precetti presi da quelle degli antichi parvero mi- rare più a frenar gli ingegni che a fecondarli, più ad evitare i difetti che a conseguire le bellezze; ad introdurre nelle opere piuttosto la semplicità e l’unità che un’ampia imitazione della natura. Tante catene impedirono il libero movimento degli scrittori , i quali circoscritti in angusto circolo divennero monotoni, e dovettero rinunciare a (17) L’epico , anche preso alla maniera di Lucano, vuol grandi avvenimenti; il lirico grande entusiasmo. (18) Altri scritti didattici, come l’indole del teatro tragico del Carli, l’ epistole sulla libertà poetica del Buonafede ec., sono ri- cordati dal nostro autore come appartenenti , giusta la sua frase in- gegnosa, al romanticismo prima de romantici. (19) Tomo 1, articolo 7. 15 molti felici partiti e a molte bellezze. Gli spagnoli e gl’in- glesi non piegarono il collo a questo giogo; i tedeschi lo ruppero ; alcuni italiani pure se ne annoiarono ... I fran- cesi , di un gusto più assegnato, e meno imaginosi, serba- rono con venerazione questo vecchio codice letterario; ma omai pare che non possano durarla più a lungo; e sentono essi pure il bisogno di uscire. da’ pupilli, di spaziare in una imitazione più vera della natura; di cercare nell’ e- sprimere gli affetti qualche cosa di più schietto e di più intimo (20) ». Se non che, egli avverte più sotto, sen- : tire il bisogno di variare e di allargare la drammatica non è lo stesso che riuscirvi; e forse molti esperimenti si dovranno ripetere prima che alcuno riesca eccellente in un genere nuovo, richiedendosi sopratutto a quest’ uopo la cosa più rara del mondo, ciò che chiamasi genio. Questa franca e disinvolta maniera di pensare può ben credersi che il sig. Ugoni la manifesti anche nell’arti belle, che hanno molti principî comuni coll’ arti lettera- rie; ond’ è ch’ egli simpatizza con chi ne ragionò più filosoficamente, e lontàno dalla pedanteria come dalla licenza diede, per così. dire, nel tempo medesimo freno ed alì ai loro cultori. Tale fu il Milizia, ingegno libero, risoluto, intraprendente, che sconfortato dal trattare que- gli argomenti, a cui per avventura l’indole sua e il caldo amore di patria lo inclinava, rivolse gli studi ad altri meno pericolosi, e fu dalla posterità onorato qual restitu- tore della più utile fra le arti, di quella che si associa alla grandezza delle nazioni, e ne attesta ai lontani secoli i gradi di floridezza o di decadenza. ‘Egli non esercitava praticamente l’ architettura , ma ben possedeva, al dire del nostro storico , le dottrine tutte che vi sono relative; lode non picciola, perocchè racchiude la cognizione delle scienze esatte , quella della storia , dell’ antiquaria , della (20) "Tomw 3, articolo 2. 15 civile economia, l’analisi delle sensazioni, i principii dell’ estetica. Di tali dottrine fornito ei si fece ad esami- nare partitamente i canoni dell’ arte sua , scevrandoli da quegli abusi che una lunga pratica avea sanzionati , e ad appianare per tal modo agli artisti la strada , che al vero bello conduce. Dimostrò , a cagion d’ esempio, come gli ordini architettonici, da cui questo bello principalmente dipende, fossero dai moderni (che ne considerarono sola- mente la forma estrinseca, non guardandoli mai come espressioni di differenti qualità secondo i diversi uffici a cui doveano servire ) ridotti sconsigliatamente a maggior numero che non richiedevano le tre uniche maniere di fabbricare, soda, media, delicata, a cui corrispondono il dorico, l’ionio, il corintio. Indi esaminando le singole parti componenti questi ordini, cercò l’officio di ciascuna, e non contento mai se non di ciò che consente colla ra- gione , elesse le forme più convenienti e ne prescrisse le proporzioni. Esposte con tale temperamento alcune savie regole generali , fece osservare che queste pure sono inti- mate soltanto alla moltitudine, aftiuchè non si smarrisca ne’ confronti, e non iscambi i deliri dell’ imaginazione co’ voli del genio. Accennò con molta acutezza , che nella natura, sovrana maestra dell’ arti, la bellezza di una stessa iosa non è ristretta ad un punto unico di propor- zioni, ma le è data, se così possiamo esprimerci, una circonferenza , per entro a cui può spaziare, e che gli an- tichi ben mostrarono di aver conosciuta, permettendo all’invenzione quella libertà che respiravano in tutto, mentre i moderni si ridussero a copiare le opere di quel- li; onde la mediocrità , sedendo legislatrice , moltiplicò le regole, promulgò l’ intolleranza e, tarpate le ali al ge- nio, gl’impose di volare. Dimostrò , contro le opinioni di parecchi dotti, che la venustà architettonica non è cir- coscritta dall’ uso di veruna delle proporzioni aritmetica , geometrica , armonica e contrarmonica; ma che l’ espe- n rienza' ammonisce di quali di esse nelle diverse fabbriche riesca più grata la vista. Insegnò che il bello delle fab- briche medesime emerge dalla grandezza non dalla copia degli ornati nè dalla ricchezza ; che non dipende da’ ca- pricci della moda , ma è positivo, universale , costante ; che le nostre fabbriche non riceveranno mai l’ impronta divina dell’ ingegno inventore, fino a che si copieranno servilmente gli antichi, e l’ imitare non si ridurrà all’ in- vestigare da quali principii ed ispirazioni siano state pro- dotte le opere loro maravigliose; che i precetti, e gli ‘esempi; di qualunque persona, luogo o tempo sieno essi, non debbono avere alcun vigore, quando sono contrari alla bella natura; che insomma la sola filosofia, capace di conoscere e di analizzare questa bella natura, è degna di stare a capo delle arti come delle lettere, le quali, con mezzi differenti, si propongono un simile scopo (21). Tali idee si compiacque particolarmente di raccogliere e met- tere in assai chiara luce il nostro Ugoni, la cui maniera di sentire, trattandosi d’ arti belle , si rende vie più ma- mifesta, ov’ egli parla dello ‘storico dell’ italiana pittura, il Lanzi che, al dire di lui, pieno la mente de? precetti de’ trattatisti credette giovare all’ incremento dell’ arte, spargendoli nell’ opera sua , nè si avvide che i buoni libri in proposito d’ arti non sono già le raccolte di precetti e dogmi pedanteschi , bensi quelli che , cercando la natura del cuore umano , agevolano il sentimento delle vere bel- . lezze, che l’anima è fatta per gustare, ma che spesso non ‘riconosce o scambia colle false, per difetto d’ istruzione. Placido per indole e freddo osservatore com’ egli era, segue a dire l’ Ugoni, poteva discernere nelle maniere de’ pit- tori le menome gradazioni, le quali sfuggono all’ anima che esulta nella contemplazione del INTER e però de- scrisse i accuratamente i diversi caratteri de’ piltoni mede- (21) Tomo 3, articolo 3. T. X. Maggio > 18 simi; ma fu anche meno atto a ricevere e .a trasfondere quelle forti impressioni delle quali 11 secolo è avidissimo, € a mostrare quella relazione, che è fra il bello delle arti e i bisogni del cuore. Secondo il nostro autore , il. Lanzi Jasciò un gran vuoto nella sua storia; dacchè; oltre il mancar egli di sperienza, assai di raro la filosofia ebbe. parte ne’ suoi studi eruditi. Può quella storia, ad ogni , modo , riguardarsi come la più esatta e la più compita |. delle nostre biografie pittoriche , preziosissima ‘a chi vo- lesse comporre vera istoria dell’ italiana pittura. Di essa probabilmente si giovò uno straniero (22), che rapito | dall’ irresistibile incanto dell’ arti, e pieno l’anima di quelle delicate e sublimi passioni, che più onorano la dignità dell’ uomo , imprese a trattare il. medesimò sog- getto trattato dal Lanzi, ma con altro e più elevato in- tendimento. E qui il sig. Ugoni entra a dir cosa, che in parte è verissima , in parte forse non è, ma che pure ci suona gradita, come quella che finisce di farci palese il suo nobile, umano e generoso sentire. « Non avvi alcun popolo , che possa pretendere alla monarchia universale delle arti , e blandirsi colla speranza d’incatenare le altre genti a’ suoi piedi. E pare che oggimai le nazioni, ogni dì più affratellandosi, dismettano quella sterile gara di riva- lità, nata più dall’invidia che dalla emulazione, cresciuta ne' secoli rugginosi, e fatta adulta dal dispotismo, che un tempo gettò questo nuovo grano di/amarezza nel lievito degli odi nazionali. Pare che le nazioni abbiano rimunziato a que’ rancori, de’ quali manca la cagione, e non più cu- stodiscano le opere d’ingegno d’un paese, come frutti (22) Quel francese che nel 1817 ci diede i due primi volumi i d’un’ Histoire de la peinture en Italie, i quali contengono la scuola fiorentina. Fu poco ben trattato , nota il sig. Ugoni, da alcuni de’ nostri critici, inetti a sentire i pregi filosofici della sua opera, la quale abbonda di sentimento e di riflessione, e scar- seggia di triviale erudizione. lele Can tispiaagit — Cost AO dr 19 indigeni da alimentarne solo i connazionali ; ma, guar- dando il genere umano come una grande famiglia , li considerino alimento di comune diritto, di cui debbano essere; più generose quanto più ne abbondano. Però ve- diamo ora gli stranieri, con pieno intendimento e con sentita venerazione , parlare delle lettere e delle arti ita- liane , e farsene storici dotti e filosofi. Così; mentre si vanno spegnendo le antiche discordie , nasce l’ universale fratellanza letteraria 1». Indi prosegue, come gli gode l’animo nell’ udir l’ autore della nuova istoria , di cui si diceva pocanzi « ragionare della pittura in Italia con quella vastità di concepimento e con quella ragione ele- vata, che cerca l'origine degli effetti parziali nelle cagioni generali; con quella fiera indipendenza di sentimento, che suscita in cuore nuove sensazioni; con quella forza d’ e- spressione, che persuade dell'intimo convincimento; con quella sagacità di osservazioni , che aiuta a gustare le bel- lezze più rtedndite di un’ arte benefica, la quale abbellisce di facili piaceri la prospera stagione della vita, ed in quella della tristezza è rifugio ai cuori infelici (23) ». Quasi ‘non avremmo cuore di venire a parlare di filosofia propriamente detta, se fra i pochi suoi cultori, annoverati nell’ opera del sig. barone Ugoni, non si presentasse ‘Antonio Genovesi. Sono alcuni, osserva in proposito di lui il nostro storico , ai quali sembra che gli ingegni italiani sieno più ‘atti alle arti d’imaginazione che alla severità degli studi razionali. Il che, ove dovesse | Tipetersi dalle istituzioni o dal clima, il regno di Napoli ‘avrebbe dovuto esser l’ultimo a coltivare tali studi; e nondimeno l’ Italia gli deve la loro moderna restaurazio- ne. Tutti sanno come il Vico vi si adoperò; ma i suoi | pensieri, che pur erano al dire di Le Clerc principii di cose grandi, rimanevano aridi e confusi nella Scienza | (23) Tomo 3, articolo 8. 20 Nuova ; e Genovesi Ii rinverdì, li riordinò, aggiunse: loro più asitavale utilità. Si giovò questi. delle teoriche di Leibnitz che prediligeva, e di quelle di Locke, ch’ egli primo ci fece conoscere , benchè in più luoghi sene dilun- gasse. Si giovò pure de’ filisofi april) confutandoli ad'un tempo. su diversi particolari; e, com’ ebbe a dire il sig. Salfi; mentre Condillac dava iaioallà lezioni d’ ideologia ad un duca di Parma, il Genovesi educava utilmente nella sana e liberale filosofia una numerosa gioventù na- poletana , e contribuiva potentemente colla voce e cogli scritti alla riforma degli studi fra noi. E qui lo storico, poichè ha fatta menzione di quel filosofo francese, vor- rebbe assegnare il divario che fu dal suo ingegno all’ in- gno dell'italiano. Ma dubitiamo che attribuendo a que- sto acutezza , penetrazione profonda ; vastità di sapere e di principii filosofici ; all’altro più minutezza, più ordine, più limpidezza nella successione dell’idee , più amenità ed eleganza nella loro esposizione, e conchiudendo che l’italiano con ingegno e dottrina maggiore ebbe minore la fama (24), sia abbastanza giusto e imparziale. Senza pretendere di addentrarci in questa causa facciamo una o due osservazioni. Un grande problema, un problema fondamentale si presenta a capo dello studio della filoso- fia, ed è questo: di quanti modi sì esercita 0 può eserci- tarsi la nostra attività, o il principio attivo ch' è. in noi ? Quai caratteri li distinguono , quai vincoli o relazioni gli uniscono? Condillac è il primo, come nota. Laromiguiè- re (25), che abbia tentato la soluzione di tal problema d’ una maniera se non persuasiva, almeno regolare. Il suo sistema sarà sbagliato; i suoi ‘ragionamenti saranno ben lungi dall’avere la forza e V’ evidenza delle matema- tiche dimostrazioni ch’ egli 8° immaginava; la facoltà di (24) Tomo 1; articolo 4. (25) Philosophie, tome 1, lecon 2. 21 sentire, o, com’ egli si esprime , la sensazione non sarà il | principio unico delle nostre interne operazioni. Ma che perciò? Anche errando, anche riducendo forzatamente a | quella: sola tutte le nostre facoltà , egli fece fare un im- menso passo alla filosofia. I suoi antecessori, dice pure Laromiguière, non cessavano di parlarci dell’origine del- le idee; nè mai aveano pensato a cercare quella delle facoltà, a cui noi le dobbiamo. Condillac ci avverti non solamente che, bisognava risalire all’origine delle facoltà, ‘come’ delle idee; ma che di più era necessario studiarne la generazione. Se questa infatti non si conosce; se non si vede come tutte le nostre idee e tutte le nostre facoltà mascano' successivamente le une dalle altre, le idee dalle : idee, le facoltà dalle facoltà, ogni cosa riesce isolata , non avvi legame, non'avvi sistema, e quindi non avvi scienza , non avvi filosofia. Or l’ uomo che vide sì innan- zi, più innanzi di tutti gli altri filosofi nella essenzialissi- ‘ma delle questioni, si stimerà poco più che un espositore ‘elegante , si chiamerà meno profondo del Genovesi? Come ‘mai il sig. Ugoni poteva scrivere ciò , solo che avesse ‘riflettuto ad una scoperta , per cui Condillac è tanto am- ‘mirato, e sembra che debba esserlo ognor davantaggio a ‘misura .che le scienze andranno perfezionandosi ; la reci- proca dipendenza cioè del pensare e del parlare ? Condillac, distinguendo nel prodotto delle' nostre facoltà ciò che appartiene alla matura e ciò che viene dall’ arte vide, ‘come osserva il già citato.Laromiguière (26), non già che ‘il pensiero propriamente dipende dal linguaggio, come ‘si dicetalvolta credendo interpretar bene la sua dottrina, ‘ma che l’arte /di pensare dipende dal linguaggio ; due cose ‘che non bisogna confondere. Senza dubbio il pensiero perse la parola ed anche il linguaggio d’ azione; ma x (26) Philosophie, tome 1, discours sur la langue du rai- ‘ sonnement . 22 è pur vero che l’uso d’alcuni segni o parole precede l’arte di pensare. Come mai infatti, senza il soccorso d’ un linguaggio, vi sarebbe arte in un pensiero, le cui parti esistendo simultaneamente formano un tutto in- divisibile? Come nel più semplice de’ giudizi sarebbe possibile distinguere il soggetto, l’attributo, il vincolo che gli unisce o l'opposizione che li separa, se tutte que- ste cose non si mostrassero. successivamente allo spirito? E come si mostrerebbero successivamente, se la succes- sione dei segni non le distaccasse le une dalle altre ?-Ove intanto questa successione sia disposta in maniera ; che vengano per essa distribuite con ordine tutte le parti del pensiero , allora si contrae da noi l’ abitudine di vedere tali parti nel medesimo ordine; «allora trovasi arte nel pensiero , che naturalmente esiste senza alcuna divisione, senza alcuna successione , senza alcun’ arte. Il. pensiero, esistendo anteriormente ad ogni segno, e indipendente- mente da ogni linguaggio , si riduce dunque ad arte per mezzo del linguaggio; e l’arte di pensare è recata a mag- giore o minor perfezione, secondo che l’arte di parlare essa medesima è più o meno perfetta, cioè a dire secondo ch'è più o meno propria a sviluppare le parti del pensiero in un ordine che lo spirito possa abbracciare con facilità: Però quanto è evidente che le lingue non formano il pen- siero, altrettanto è incontrastabile clie son. necessarie per decomporlo, per. ispiegarlo j che sono insomma, giusta la frase di Condillac, metodi analitici: verità fondamentali, onde può giudicarsi della bontà rispet- tiva di tutti i linguaggi, e distinguere, sia fra quelli de’ diversi popoli, sia fra quelli de’ diversi scrittori di un medesimo popolo , sia fra quelli, che l’ingegno inven- tò per l'avanzamento delle scienze, i più perfetti, che decomponendo il pensiero nell’ordine più favorevole alla nostra maniera di concepire potrebbero dare allo spirito una facilità inaspettata e forze incalcolabili. Abbiamo a \ 23 disegno voluto recare la più bella e più giusta esposizione da noi conosciuta della più luminosa fra le idee di Con- dillac , onde si comprenda qual mente fosse la sua, che mirava d’un solo ‘sguardo, e quasi preparava con una frase i futuri destini dell’ umano sapere. Un altro filosofo, la cui riputazione , secondo il nostro Ugoni, sembra mi- more del merito, è il Gerdil, di cui Mairan lodò lo spirito geometrico, d’Alembert apprezzò le ricerche matematiche, e Rousseau lesse per intero (onore ad altri non conceduto) le confutazioni, a cui egli medesimo avea fornito materia ‘co’ propri scritti, dolendosi per altro di non esserne statu inteso. Veramente crediamo che le riflessioni del Gerdil sulla teoria e la pratica dell'educazione proposta nell’Emi- dio siano il suo più bel titolo di gloria. Chè quanto agli altri suoi libri filosofici, sebben pieni di dottrina e riguardevoli per varii pregi, ci ricordiamo che il Denina, vivente e ‘fiorente il: Gerdil medesimo suo connazionale, scriveva ch’ erano poco gustati massime fuor d° Italia, come quel- li in cui sostenevansi le teorie meno applaudite (27); cioè le. più contrarie all'osservazione e all’ esperienza. Anche il sig. Ugoni confessa che i due suoi trattati migliori , sul duello, cioè, e sulle opinioni degli antichi sapienti in fat- to di religione, siano l’ uno inutile , 1’ altro poco leggibile. Riguardo, a certe altre opere, ch'ei loda, ci fa pena il pensare, che, malgrado tutte le buone dalia dell’ au- tore; esse anzichè servire alla causa della filosofia, ch'è la causa dell’ incivilimento e dell'umanità, somministrino armi al filosofo dell’ antifilosofia (28) e a chi professa le sue massime confortatrici. Certo però che il Gerdil ( sotto il cui ritratto. Voltaire non avrebbe potuto scriver come ‘sotto quello di Leibtnitz, che istruì i saggi, perchè plus sage qu'eux il sut douter ) fu un sommissimo uomo (27) Rivoluzioni d' Italia , libro 24. (28) Può vedersi la Legislaiton primitive di De Bonald in varii luoghi, i 24 in paragone di certi gregari dell’ esercito; di cuivegli ‘sta». va a capo, come il buon Roberti. (e cito: uno de’ migliori) che trovava il contratto sociale un tessuto di stravaganze; e a cui il nostro Ugoni risponde che coloro, a cui fu per- messo il parlare con libera voce, finora non ne giudicara- no così (29). ni Noi vorremmo poterci tonkfarién alcun: poco; in compagnia dello storico , su certa minuta gente di cui egli favella, così per sale il suo buon senno in. giudicar- ne; come per far gustare i;suoi sali urbani @ le tinte varie del suo stile. Quanto è festevole,per esempio, ove ci descrive quella, gravissima. causa del guardinfante:, trattata nel 1774 dinanzi al! magistrato supremo della republica veneta, e nella quale.il Torelli fà oratore 6 (29) Duolsi che il sig. Ugoni sia stato prevenuto dal Cornia- ni nel parlare di Iacopo Stellini. Certo di tal pensatore egli. ci avrebbe detto altro che le. misere cose da noi trovate nell’ ultimo tomo de’ secoli dell’ italiana letteratura, In questi tre della con- tinuazione , di cui rendiamo conto , dopo Genovesi non vi si pre- senta miglior cultore della buona filosofia che Pietro Verri, a cui dobbiamo il prezioso discorso dell’ indole.del piacere e del dolore, e l’ impulso dato agli scrittori del caffè a trattare con lui argo- menti metafisici e morali. Dopo questa compagnia d’ amici, tanto stimabile pe’ suoi tentativi, che rimasero lungo tempo come semi perdoti in un terreno infecondo , credo che, a consolarci', biso- gnerà varcare lo spazio d’almeno trent’ anni, onde venire ‘al «nostro Gioja, da cui abbiamo ricevuto la logica più ragionevole € più utile che sia mai stata scritta ,..e aspettiamo, fra poco. un' ideologia che vi corrisponda. Poco innanzi a Gioja la storia si ferilicnt certamente ad additarci due piemontesi distinti Calusio e Falletti, difensori e rischiaratori della filosofia che si fonda sull’ esperienza (vedi /es principes de philosophie del primo , e les appareus philosophiques del secondo ), l’ uno più profondo, l’altro più perspicuo ; quello più forte nell’ esame de’ principii , questo più istruttivo nelle deduzioni e nelle applicazioni; ambidue buoni analitici, e nemici del pregiudizio che fonda le teorie so- vra supposizioni, e dell’ orgoglio che vorrebbe'imporre alla nostra intelligenza . 25 relatore pel casino nobile di Verona, ov'ebbe òrigine (30)? Quanto graziosamente bizzarro e negletto in alcune parti dell’ articolo ?sul'Baretti, che fu scrittore sì bizzarramente sprezzato (31)? Quanto candido e quasi dissi aureo in quello del Pompei, che, fu pur egli candido e aureo mas- sime ‘nelle. canzoni pastorali, e molto più castigato di quello: :che ‘il ‘sig. Ugoni ‘asserisce nelle vite di Plutar- co (32)? Quanto caldo anche nelle materie più fredde, se ‘ alcun uomo'insigne accenda la sua immaginazione ; come ‘ove parlando d’ alcune questioni del Gagliardi col Maffei dice che quest’ erudito avea i testi degli storici e de’ geo- «grafi antichi tutti così presenti alla vasta sua mente, che ‘ si giovava degli vini per correggere gli altri, e passeggiava 8 5 P Boere passegg nell'antichità come:in sua casa? « Il citare (ei prosegue) ‘contro l’opinione di questo erudito filosofo un testo di -Tolomeo:, di ‘Livio, di Polibio, di Strabone o d'’ altro «antico. era, nulla, se prima non era bene accertato che «quel testo non fosse corrotto dagli. amanuensi, e che gli ‘autori:stessi non avessero errato. Stupivano i critici mi- nori, quando vedevano contro-quell’usbergo temprato di filosofia e di sapere rintuzzarsi e cadere.le loro armi eru- dite. Mordevasi l'invidia e. macchinava da tutte. parti, e mezza. Italia congiurava contro di lui (33) » .. Sarebbe purea) lodarsi la. perspicuità del sig. Ugoni in materie per sè medesime:astruse, come le fisiche e cosmografiche del Boscovich (34); le mediche del Borsieri (35), ottimo e valentissimo; in cui dubiti se fosse maggiore la dottrina ‘0 Ja bontà; le musicali del Tartini (36), rese. vie più .#0:(30). Tomo 3, articolo 1. (31) Tomo ;1; articolo 7. :(32) Tomo, 3, articolo 6. ; (33) Tomo 4, articolo 10, nb « (34) Tomo 1,.articolo,2:| n 1(35) Tomo, 2; articolo, 6. (36) Tomo 1, articolo 1, 26 oscure per vizio dell’ autore. Intorno alle. quali materie così varie fra loro ci. piace .ricordare; come l’egregiò Sismondi notò già con giusta ammirazione la ‘varietà degli studi che fu necessaria al nostro: storico onde: par- larne (37), attribuendola in parte alle circostanze che for- se consigliarono allo storico medesimo di cercare in essa il miglior conforto della vita; come ad altre affatto indi- pendenti dall’ingegno attribuì alcuné mancanze facili a sentirsi, nell'opera sua, le quali però non ci sorprendo- no tanto , che più ancora nol facciano alcune Rigi virtù, pla in essa s'incontrano. Bella parte degli esami che il sig. Ugoni istituisce dell’opere degli scrittori ( esami generalmente tanto me- glio fatti, quanto più le opere sono importanti e ben composte ) ci sembrano talvolta le analisi critiche delle poesie così originali che tradotte, le quali, in tanta bas- sezza delle lettere italiane da quanta appena, mercè alcu- ni ingegni privilegiati, 8 incomincia a risorgere , aveano usurpata una fama troppo ‘maggiore del merito; ‘e bene può dirsi ch' egli abbia suonata «per esse la tromba del finale giudizio (38). Talora fa egli assai industriosi con- fronti , che servono mirabilmente alle ragioni del gusto, come quello della. versione d’Ossian del. Cesarotti colla version. letterale latina del Macfarlan, che in quel suo stile biblico porge idea della celtica semplicità , e serba (37) Revue encyclopedique , tome 14. Quanto sarebbe desi- derabile che tutti gli articoli di sì eccellente giornale sopra opere italiane fossero dettati colla saggezza di quello del sig. Sismondi sopra la storia del nostro Ugoni! Ma parecchi, ne sia lecito il dirlo, sembrano stesi, non dirò la lettura delle opere medesime, bensì dietro i giudizi d’ altri giornali, ove difficilmente si trove- rebbero accolti i giudizi della Revista enciclopedica, e dai quali perciò fa sorpresa che la Revista accetti i loro sì facilmente, (38) Veggansi, per esempio , l'articolo sul Bettinelli, 2-° del tomo 2.°, quello sul Manara, ch’ è il g.° del 1.°, e innanzi ad esso il 3.° sull’ Algarotti, x 27 molte di quelle grazie ingenue, che l’indole del verso ita- liano e forse più quella del Cesarotti non permetteva di i conservare; ma;che la prosa inglese di Macpherson ritrae benissimo. Nel qual proposito dell’ Ossian, ei torna sulla questione della loro autenticità ; e opposto a taluno che la negò, dileggiando chi si bigbiinà indurre a crederla, l'autorevole parere di rispettabili società letterarie d’In. ghilterra, eila pubblicazione del testo che la sostengono, conchiude che i critici debbono molto provare, poco de- clamare,; e: fuggire per. quanto possono di dar sentenze finali (39). Non è a dire quanta generalmente nelle materie letterarie sia la saviezza e la moderazione del nostro autore. Molta suole pur essere ila sua sagacia;, la quale si. esprime talvolta con finissima: brevità e. precisione, come dove I dice di Carlo Gozzi (40), che non gli venne meno mai nè | la novità nè la' fantasia creatrice; ma che a tale fantasia troppo. conveniva la decline del Mallabranche, il i quale chiamavala Za folle de la maison; o dove, parlando di Gaspare suo fratello (41), e osservando come anche quand’ egli si duole cogli amici de’ mali suoi, sebbene a | ciò. torni spesso, è sempre caro, aggiunge , che quando un mottale si dà tutto in balia alla sua buona madre la na- 4ura , e ciò che il cuore gli manda sulle labbra ‘0 alla pen- | “na ‘ingenuamente ti palesa, raro è che non piaccia; 0 «dove confrontando La-fontaine e Passeroni (42) dice che ‘ambidué sembrano operare e scrivere per istinto, come «gli animali ‘cuì fanno parlare. Ma quanto ei soggiunge ‘prova in lui, oltre la sagacia , una squisitezza di cuore eccellente. Noi adoriamo, egli dice , quella bonarietà che. fece idolatrare i due fenreliati dai tera contemporanei, ed (39) Tomo 3, articolo 4. (40) Tomo 3, articolo. 2. (41) Tomo 1, articolo. 5. (42) Tomo 1, articolo 6, 28 invidiamo quelli che li conobbero dappresso. E E sì fatta dote acquista un pregio maggiore , quanto più sì corrom- pono i ‘costumi. Innamora ‘veramente il vedere ‘come al- cuni buoni non piegano al protervo esempio del secolo; e ‘la semplicità degli uni posta ‘a canto delle maniere scaltre ; artificiose, fredde e simulate degli altri. fa un vaghissimo contrasto che ne rapisce. Se non che la bona- rietà di La-fontaine era per molti rispetti indolente e pas siva; mentre quella del Passeroni nobilitàvasi d’' ‘opere pietose e. caritatevoli. ; E. mostrò questi col suo esempio quanto un uomo, benchè povero e lontano da tutti quei piazienii 'ne'quali.i più cercano sconsigliatamente' la ‘felicità ,ipuò.esser beato della: sola ‘virtù, ‘e parsa del- ‘la tranquilla coscienza ,:che ne*deriva. È Ma chi voglia ‘uniarticolo , il quale veli: in sè ‘solo ’ esempio di quasi tutte le :idoti, che siamo finora venuti lodando nell’ opera del nostro storico,’ nonpotrà far meglio. che scegliere quello di Ferdinando! Galiani, ‘îl cui vario, vivace e singolarissimo ingegno; la cui-vita in perpetuo movimento , le cui ‘opere; classiche negli impor- tanti argomenti , bizzarre o singolarie sempre amene negli ‘altri, gli fornirono ampia materia per ogni genere d’0s- servazioni, e colori per ogni qualità di stile (43). Non ultimo condimento di quest'articolo sono gli anneddoti ‘curiosi je ci fa meraviglia come il sig. Ugoni non faccia motto di quelli, che raccontava il Galiani medesimo; e ‘per cui ebbe in Parigi la fama del più insigne narrato- re (44). ‘Vantavasi begli di non aver ivi ripetuto mai l’ aneddoto stesso davanti all’ .istesso uditorio o all’ istessa (43) Tomo 2, articolo 7. (44) Anche nell’articolo sul Boscovich, il 2.° del primo vo- lume, ci aspettavamo dallo storico qualche parola sui calembourgs, per cui quel fisico ebbe assai rinomanza in Milano, come l’ ha un altro fisico ancor vivente e più grande di lui in tutta P’estre- mità settentrionale di Lombardia, — 29) persona . Si, sapevano le case ov’ egli dovea contar; si facea impegno per esservi ammessi; e sì passava- no talvolta le notti in ascoltarlo, poich’ egli era i- nesauribile .. I suoi. aneddoti erano come tanti apo- loghi, il cui scopo. morale si applicava alla filosofia , alla politica e ai differenti stati della vita. Ci piace la difesa che il nostro Ugoni prende di lui; poich'è piena di moderazione insieme e di ragione. Il sig. Daunou lo avea giudicato per tutti i rispetti molto severamente (45), fondando, per quello che pa re, le accuse sulla sua corri- spondenza epistolare con madama d’ Epinay e con altre persone. Il nostro storico gli oppone Diderot, che in una lettera sembra prevenire sì fatte accuse, e, biasimando come stolido quel giudicare che si fa de’ costumi d’una persona dai suoi principii speculativi, chiama il Galiani uomo di rigorosa probità. Si duole, per vero dire, di quel disprezzo per ogni esaltazione dell’ anima , di quella incredulità verso la virtù, di quel sistema politico fondato onninamente sull’ obbedienza passiva e sul potere di una forza mostruosa e irresistibile, di cui il Galiani sembra far pompa negli scritti più famigliari. Ma riflette che quanto avvi di riprensibile nelle sue massime e nelle sue opinioni è da imputarsi più a vanità di distinguersi con esse dal comu- ne degli uomini che ad indole malvagia ; e a prova d’indole ben opposta cita la cordiale assistenza da lui prestata ai pa- renti, e i lunghi servigi resi alla patria. Quanto alle sue idee sopra argomenti d'alta metafisica , e principalmente su quello; onde solo può aversi la spiegazione di tutti i pro- blemi dell’esistenza, noi crediamo che fosse dello stessis- simo parere di chi diceva: 7 horloge prouve l’ horloger. Un amico del Galiani raccontava a Delille un aneddoto, che conferma la nostra persuasione , e di cui ci sapranno grado i nostri lettori. — Nella società del barone d’Holbac, (45) Journal des Savans, janvier 1819. 30 Diderot propose un giorno che si nominasse un avvocati di Dio, e fu scelto Galiani. Egli si assise e cominciò così: « Un jour, à Naples un homme de la Basilicate prit, devant nous, six dés dans un cornet,, et paria d’amenert rafle de six. Il l’amena du ‘premier coup. Je dis: cette chance était possible. Il l’amena sur-le-champ une secon- de fois; je dis la méme chose. Il remit les dés dans le cornet trois, quatre, cinq fois, et toujours rafle de six. Sangue di Bacco m' écriai-je, les des sont Pena et ils l’etaient. « Philosophes, quand je considere v ordre colf renaissant de la nature, ses. lois immuables, ses. révolu- tions toujours constantes dans une variété ‘infinie } cette chance unique et conservatrice d’un univers tel que nous le voyons, qui revient sans cesse, malgré ‘cent autres millions de chances de perturbation et de destruction pos- sibles, je m° écrie: Certes ; la nature est pipee ! (46) » A qualche ommissione storica, se così può chiamarsi il non soddisfare in ogni punto alla nostra curiosità , ag- giugniamo qualche inavvertenza critica, facile a rilevarsi nell’opera del sig. Ugoni; e si avrà nuovo documento che non ci siamo proposti soltanto di lodarla. Chi ‘volesse mettersi ancora in sulle lodi, quante non avrebbe a farne, per esempio , alle sue osservazioni sulle storie diverse scritte dal Denina, massime ove le pone a confronto di quelle del Sismondi? « I principii del Denina egli scrive ( e questo passo , che riguarda specialmente le rivoluzio- ni d’Italia , ben vale per molti ) dedotti spesso da pochi fatti maucano di generalità , e la loro applicazione è non di rado fallace. Però l’autore è talvolta in opposizione con sè stesso, esaltando ad esempio in alcuni luoghi i progressi della civiltà e del sapere per rispetto alla felicità delle nazioni; e facendosi più spesso apologista dell’ igno- (46) Delille, notes au chant 1. de la Conversation. È di ranza , dalla quale per poto non ripete la bontà del go- verno, dove esamina la politica , l'origine de’ feudi in Italia, le leggi e la polizia de’ longobardi. Ma la legi- slazione è la giurisprudenza , gli avvenimenti civili d’ogni natura; e gli stessi fasti militari che altro sono, se non una. emanazione della prudenza; della sperienza e del sapere dell’uomo? E quale importanza avranno i fatti, se mon sono considerati come effetti delle disposizioni intellettuali e morali dell’uomo? L’avanzamento della ragione; la storia eterna dell’uomo è quella che impor- ta. In essa meditiamo per quali vie la natura combini e maturi i suoi progressi, e le cagioni che prepararono lo stato presente della società ». E cita in seguito un nuovo scrittore della storia d’Italia, il conte Bossi, che a propo- sito de’ longobardi e delle loro istituzioni a noi traman- date, deride il Denina, come ligio ora al potere che adu- la; favorendo le pretensioni di pochi contro il diritto ‘di tutti, ora a Lattanzio e ad altri scrittori ecclesiastici cui segue ciecamente, opponendogli Sismondi il quale insegna, che ogni dissimulazione per parte dello storico è impru- dente e colpevole, e che raccogliendo le memorie nazio- nali, più che alla riputazione de’ morti si deve pensare alla salute de’ vivi (47). Quando poi il nostro Ugoni viene a parlare della storia di Grecia del Denina medesimo, sembra attribuirgli come a speciale suo merito l’ aver di- spogliate le origini di quel paese della loro veste poetica, e dichiarate le allegorie, onde le adombrarono i suoi ima- ginosi abitatori. Ora , a tacere delle filosofiche ricerche di Bacone nel suo libretto della sapienza degli antichi , e di . quelle molto dotte di Banier nella spiegazione storica delle favole, come non s'è egli ricordato, che una decina d’anni prima della storia , di cui trattasi , era comparso il mondo primitivo di Court-de Gebelin, opera, come tutte l’opere di (47) Tomo 3, articolo 5. 32 simil genere, troppo sistematica; ma sommamente erudita, la quale già offeriva o in tutto o in gran parte le spiega- zioni che Denina produsse? Ci è sembrato giustissimo, che il sig. Ugoni, tracciandoci la carriera oratoria del Turchi (48), l’abbia distinta in due epoche, nell’ una delle quali le sue concioni sacre sentono l'influenza dello spirito: del secolo , nell’ altra lo combattono. Appartiene alla prima il famoso (49) encomio funebre di Maria Teresa, ove so- no questi squarci sì lodati: « Altamente. persuasa la no- stra imperatrice, che, per ben governare gli uomini’, bisogna renderli capaci d’ essere governati , incominciò dal voler dissipare in tutti i suoi domini le dense. tenebre dell’ ignoranza; della superstizione e dell’ errore, e' dal far risplendere agli occhi di tutti il bel lume della verità, delle scienze, e distintamente della morale .... Sono i tiranni che abborriscono le scienze, e non vogliono aver'a fare con uomini illuminati; somiglievoli a que’ rapaci ‘e ingiusti tutori che fremono al vedere svilupparsi la ragio- ne e il buon senso nei loro pupilli: Un buon principe, che ama i suoi popoli come padre; cerca di farli ragione- voli per renderli felici, guidandoli colla ragione. ... Ma : poco giovano le scienze . .... quando ad altro non servono che ad aprire gli occhi loro, onde veggano con maggior vivezza tutta l’ingiustizia di un dispotismo che li fla- gella....Dove tutto è. povertà, dove a. gran stento si vive, ed i frutti dell’industria. vengono assorbiti dalla prepotenza e dalla forza, dove la libertà è un nome vuoto di senso, ivi non è possibile che mai fioriscono le scien- ze (50) ». Appartengono all’ altra quelle omelie e quelle (48) Tomo 2, articolo 5. (49) Famoso , intendiamoci, pel tempo in cui fu recitato e stampato. (50) Non è questa ancora l’ eloquenza dell’autore del Petit Caréme; ma val bene , quanto all’ effetto , più di quella dell’e- logista d’ un’ altra Maria Teresa , potentissimo , senza dubbio, fra È 33 prediche piene di declamazioni contro la filosofia, ‘e di adulazioni alla corte , ove trovi talvolta nominata la Îmo- rale evangelica, ma insegnata non sapresti dir quando. In | mezzo, peraltro, alla loro amarezza e alla loro vanità, il | sig. Ugoni potea notare un omaggio reso ai progressi del- î hi: ragione, un principio di riforma nell’eloquenza' del I pùlpito, vsaiidicinit a introdurvisi qualche semplicità e. precisione, ‘a sbandirne quel frondeggiamento onde l’ave- ano involta i nostri oratori, e fatto di essa un artifizio ben meschino. A pochi garberà ( noi passiamo, come il lettore si avvede, d’ annotazione in annotazione su quelle che ci parvero ippiche nell’ opera del bravo Ugoni ) quel difendere ch’ ei fa il Giorno del Parini accusato di nessuna invenzione nel disegno generale, dicendo essere questo un difetto del poema satirico non del poeta , il quale non deve inventare i fatti, bensì prenderli dal ve- ro (51). Egli non deve prenderli dal vero niente più di qushiggue altro poeta, il quale brami che vi si riconosca la natura. Parini sicuramente era così obbligato a tenere ventiquatr’ ore consecutive in iscena il suo giovin signore, come Omero a tenervi non so più quanti giorni il suo Achille sdegnato sotto le mura di Troja. Ma gli piacque de- | scrivere quali al mattino —quali dopoil mezzodì,— quali - ba'sera — e quali regnando la derigna notte fossero le cure di quello e degli altri galanti semidei ; e pose iiel trovarle e colorirle tutta la sua forza i AVONReTÀ, che avreb- be potuto spendere i in parte nell’immaginare altro piano, il qual servisse al medesimo iutento; e quantunque più fantastico del prescel to serbasse agolile sembianza di vero. Che vorremo noi dire'intanto contro ciò che gli piacque, ale quello che piacque a lui dà alfine gran piacere anche quanti adoperarono dal pergamo l’ arte della parola, ma più in- teso a spaventare e lusingare a vicenda i monarchi, di quello che a difendere o dba i popoli. (51) Tomo 2, articolo 9g. T. X- Maggio 3 34 a noi? Bernis in quel bel tempo, che faceva i bei versi per le belle dame, che poi fecero di lui un bel diplomatico, e poi qualche altra bella cosa, com- pose liricamente le sue quattro parti del giorno, e s'av- visò di riempirle di quattro raccontini mitologici in poche centinaia di settenari, la più povera sicuramente di tutte le invenzioni, che pur sembrò bastantemente poetica, poichè soddisfece bastantemente al suo fine. E poteva anche descrivervi, senz’ altro, il Zever, la toi- lette, un’ entrevue e il souper di madama Pompadour, Ia beaute la plus sage per quanto egli ne canterellava, che i lettori mollemente divertiti non gli avrebbero chie- sto nulla di più. Egli offeriva de’ vers pour amuser: quelli che ne ricevevano speciale diletto dovevano bene esser contenti della sua arte. Quando, peraltro , ei cantò le quatro stagioni , aggiugnendo nel titolo Georgiche fran- cesì, fu osservato che di quattro bei soggetti di gran qua- dri egli avea fatto quattro miniature ; e questa era giusta critica. Parini certo non impiccioli, ma allargò i suoi, facen- dovi capire quanto poteasi d’incidenti e di episodi; e questa fu maestrevolissima invenzione. E poichè s'è par- lato di quadri; il pensiero, che balza facilmente dal metaforico al letterale, mi riconduce ad una singolar cosa letta in proposito di quadri veri nell'opera del sig. Ugoni, il qual chiama i più insigni restauratori della pittura, fra gli altri Giotto e Masaecio, costruttori de’ ponti, che poi servirono ad inalzare in Italia 1° edificio dell’arte loro (52). Mi rammento che di quel Giotto io mi era formata da giovinetto , sentendone chiacchierare, e forse avendone vedute cose che mi spaventavano, una stranissima idea. Sicchè, quando fui a Padova, e mi trovai dinanzi que’suoi tanto graziosi dipinti in una cappella della chiesa del Santo, non voleva a nessun patto persuadermi che fossero suoi. (52) Tomo 3, articolo 8. | 35 Mai quindi\non gli ho dimenticati, e non posso pensarvi, . ch'io non provi della dolce sorpresa di allora, e non mi sembri che, ove altri non mi avesse prevenuto, da me medesimo io avrei dato a Giotto l’appellativo di Petrarca della pittura. Altra impressione meno soave, ma più viva, mi fece Masaccio in quella sua famosa cappella del Carmine di Firenze, ove, come dice Lanzi con una frase di Plinio, jam perfecta sunt omnia. Fui a vederla, come, per giudicare del- le cose d’ arti senza prevenzione dal solo effetto che in me producono, vorrei potere far sempre, senza guida stampata e senza Cicerone, ignorando affatto ove mi fossi. Oh non sapeva staccar gli occhi dai volti veramente vivi, veramen- te parlanti di quelle pareti! Mi vi parea del miracolo. E intesi dappoi, ma senza meravigliarne che andava ad estasiarsi in essi anche Rafaello; che tutti i più grandi pittori della scuola fiorentina andarono ad impararvi; e che se avvi qualche cosa di rafaelliano al mondo, per giudizio di Mengs, sono appunto quei volti. Io non parlo nè da intelligente nè da dilettante, ma da buon uomo, che ha occhi per ora sani, quantunque di cortissima ve- duta , e un non so che nell’ anima, onde una bella cosa mi sì fa sentir bella, senza ch'io possa dirne il perchè. Avendo il sig. Ugoni risoluto di mantenere quello che il Tiraboschi si accontentò d’ essersi proposto , di scri- vere cioè la storia della letteratura e non de’ letterati d’Italia, poco dovea fermarsi sulla loro vita, e moltissimo sulle loro opere. Doveva anche ciò fare, poichè la vita della maggior parte di essi non consiste che ne’ loro stu- di; e chi dice di questi compitamente , descrive quella , senza avvedersene, almeno in ciò che più importa. Ri- guardo ad alcuni rari, peraltro , la cui vita non fu inter- na solamente, ma si spese al di fuori in opere civili o politiche, e i cui privatissimi accidenti ricevettero dal ca- rattere e dall’ingegno certa singolarità, che di essi ci fa curiosissimi , l’ allargarsi alquanto non era biasimevole. SERE Ve Tanta proporzione di materiale misura fra-vita e vita, non è spesso che una vera sproporzione ove si abbia ri-. guardo al merito. È avviene, infatti , che dopo aver lette - alcune di queste vite compendiose dateci dal sig. Ugoni, . si senta, massime avendosi d’altronde più copiose notizie, è che al ritratto degli uomini in esse dipinti manca qualche cosa , che gli porga compimento. Così ne accade particolar- mente riguardo a quella di Pietro Verri (53), patrizio cittadino, magistrato filosofo, precursore fra noi d’ogni vero miglioramento sociale, a cui forse non mancarono che. estrinseche circostanze per andar di pari coi Turgot e coi Malesherbes; circostanze che gli avrebbero poi dato: per biografi scrittori della tempra dei Condorcet e dei Boissy d’ Anglas (54). A noi sembra che il Verri fosse, per in- dole e per principii, ( non per ingegno ch’ ebbe non meno acuto e quasi egualmente festivo ) l'opposto del Galiani , di cui si diceva poco sopra, e del quale il nostro Ugoni. si ricorda che guardava gli uomini come posti necessaria- mente sotto l'impero della forza, e incapaci d’elevarsi a miglior condizione (55). Del buon Verri invece si può asserire quello che troviamo scritto di Condorcet, che la sua filosofia si propose sempre per iscopo il perfeziona- mento indefinito della specie umana ; e che verso la fine (53) Tomo 2, articolo 8. (54) Il suo elogio, scritto come al ciel piacque da Isidoro: Bianchi, non ha maggior pregio che la buona intenzione che vi si manifesta , e l'abbondanza de’ materiali, per comporne un nuo- vo. Quello, che ne recitò all’ università di Pavia l’infelice Ressi, racchiude in assai meno parole assai più cose, ma, oltre l’essere' un po’ infrascato d'eloquenza accademica , non consonante alla! franca anima del Verri, manca d’alcuni tratti essenziali. Le me- morie storiche, premesse da Pietro Custodi all’ opere economi- che del Verri medesimo , nulla ci lasciano desiderare quanto ai fatti che lo presentano qual magistrato ed economista ; ma pote- vano esser meglio lumeggiate. (55) Tomo 2, articolo 7. 37 del viver suo specialmente ( quando una funesta sperien- ‘za degli uomini e delle cose avrebbe dovuto più raffred- «darlo ), il desiderio. della pubblica. felicità diventò la - passione esclusiva. del suo cuore (56). Galiani, che chiamava l’educazione l’arte di amputare i naturali ta- lenti , per sostituirvi i doveri sociali, consistenti secondo ‘lui nel sofferire l'ingiustizia e la noia; Galiani che , teo- «ricamente almeno, non trovava buoni per la società se ‘mon i vincoli; anche nelle materie di pubblica economia, «come quella del commercio de’ grani, scrivendo della quale ebbe sì gran rinomanza, propone de’ vincoli. Verri «e nella stessa e in ogni altra materia non trova di buono ‘che la libertà: simile in ciò pure a Condorcet, il quale «delineando lo stato della Grecia fra i tempi di Licurgo e «d’Alessandro si esprime così: « L’industrie et le commer- ce étaient libres. Leur activité était trop faible , pour que l’idée de les géner par des règlemens eut encore pu séduire. ‘Il est des erreurs qui supposent plus que de l’ Ain rance. (57) » i Nèil Verrigià appantemeva a quella classe d’uomini, i quali non videro la società gue par le goulot etroit de la bouteille des abstractions, e le cui teorie venivano perciò dal Galiani altamente disprezzate, come scriveva Diderot, al riferire del sig. Ugoni. L’ essersi, come il nostro storico ci avverte, lungamente aggirato per mezzo agli affari, e l’averli ben conosciuti , trattandoli, diede a’ suoi scritti quella pienezza , quella verità, quell’importanza , che li farà ancora per molto tempo ricercare. Verri stesso ci pre- viene , al principio delle Meditazioni sulla politica econo- ‘mia, che le sue dottrine sono il frutto di un lento esame de’ fatti da’ tempi remoti fino ai suoi, e della conoscenza (56) Diannyer, notice sur la vie de Condorcet. (57) Fragment historique faisant suite è l’ Esquisse d’un ta- bleau des progrés de l’esprit humain, 38 della pubblica amministrazione, in cui fu tanti anni ver- sato (58). Ed ecco uno dei piva motivi dell’accogli- mento che ottenne in Italia e fuori l’opera sua, e della sti- ma in cui tuttavia si mantiene, sicchè dopo tante altre del- l’ istesso genere non meno celebri e assai più recenti, oggi ne vediamo publicata a Parigi una nuova traduzione (59). Ma non dobbiamo tacere che un altro merito e ognor più sentito delle meditazioni e di quasi tutti gli scritti del Verri è il rispetto che da lui vi si mostra per la dignità ‘ dell’uomo e dal cittadino, il desiderio ardente di vederne tutelati i sacri diritti; la saggezza insomma e la liberalità de’ suoi principii, dalla cui applicazione verrebbéro mille beni. « In fronte della maggior parte delle leggi, che le nazioni ereditarono dai loro padri (scrive egli nel paragra- fo duodecimo dell’ economia politica ) si trovano scritte queste ferree parole forzare e prescrivere. I progressi, che la ragione ha fatto in questo secolo , cominciano a far- ne vedere di quelle, che hanno la benefica divisa invitare e guidare. Qualunque sia la forma di governò, sotto la quale vive una società d’uomini, a me pare che sia inte- resse del sovrano di lasciare ai cittadini la maggior possi- bile libertà » . Abbiamo citato queste poche parole, come quelle che racchiudono il vero spirito, che diresse tutti i pensieri , tutte le fatiche scientifiche del nostro economi- sta. E perchè non si ‘creda ch’ egli si abbandonasse a vane speculazioni, e considerasse l’uomo sociale in uno stato (58) Voltaire serivendogli, in data dei 19 maggio 1772, rileva questa circostanza che dà al libro delle Meditazioni sì grande au- torità ; e aggiugne, fra le altre lodi, che on n’ a jamais rien ecrit de plus sage, de plus vrai et de plus claîr. La lettera , che racchiude tali parole, ci fu data graziosamente a leggere » una delle degne figlie del conte Pietro Verri, giovane dama, che unisce le più stimabili alle più amabili qualità, e a cui Voltaire ben avrebbe potuto dire con ammirazione: Je vois.briller en vous l’esprit de votre pére. (59) Revue encyclopedique , decembre 1822. 39 non suo, aggiugniamo queste altre.estratte dal paragrafo vigesimo quarto delle già citate meditazioni; parole che «ci mettono nel segreto del grande animo di chi le scrisse, e che non si vorranno certo collocare fra le ciance retto- riche, le quali si annoverano dal profondo e rigido Gioja fra le confusioni da lui trovate nella scienza economi- ca (60). « No non degrado l’uomo alla servil condizione d’un mero fondo fruttifero. Così potesse la mia voce an- nunziare con frutto gli augusti primitivi diritti d’un essere intelligente e sensibile, che associandosi non può averlo fatto che per il miglior genere di vita; diritti altamente pubblicati da sublimi uomini ; che la potenza ha in odio, il volgo non conosce, e alcuni pochi deboli, sparsi e av- vezzi alla meditazione onorano! Sappi che a stento raffre- no, scrivendo, gl’impeti del cuore; ma la fredda ragione mi suggerisce di promovere il bene degli uomini, non col linguaggio del sentimento, ma coll’ analisi tranquilla delle cose ; e illuminando chi può fare il bene, mostrare la coincidenza degli interessi comuni. » Forse ( 0 noi ci inganniamo gravemente ) da molta diversità di sentire su quei primitivi diritti, che accenna il buon Verri; diversità che ci sembra la più caratteristica di tutte fra gli esseri avvezzi ad esercitare le interne fa- coltà, nacque il disaccordo; che poi si manifestò vivamen- te in certe occasioni fra lui ed il Carli, e che dal Custodi è attribuito a gelosia d'autorità nel Carli medesimo ; dal- l’ Ugoni (dubitativamente per vero dire) a vaghezza di pri- meggiare nell’ altro (61). Le cause più prossime degli av- venimenti di qualunque specie non sono spesso nè le sole nè le più potenti. E, trattandosi d’ uomini, il cui primo interesse è forse quello delle loro opinioni, massime al- ‘lorchè le credono strettamente legate al ben pubblico , (60) Nuovo prospetto di scienze economiche, tomo -1. (61) Tomo 2, articolo 8. 4o ‘incliniamo a support, che le loro gare procedano in'pri- ma origine da un forte contrasto nelle ‘opinioni medesi- me (62). Comunque si pensi di ciò, il sig. Ugoni mostran- do credere che il Verri trascendesse riguardo al Carli i confini di una lodevole emulazione, anzi sagrificasse il rispetto dovuto al suo merito , obliò sicuramente l’ama- rezza delle censure del Carli alle meditazioni sull’econo- mia politica, e la moderazione delle risposte del Verri; ‘le successive asprezze del primo, e i piani modi che nel sostenersi usò il secondo, allorchè si trovarono l’ uno presidente , l’ altro vice-presidente di quel magistrato ch’era detto camerale. E ci è di gran piacere l’aggiugnere, che il Verri, dimenticata in breve ogni offesa, ebbe, trattandosi d’ alcune riforme amministrative , spontaneo ‘ricorso ai lumi del Carli, e il lodò poscia al governo ono- ratissimamente,. presentando a questo le proprie vedu- te (63). Esempio bellissimo di saviezza e di bontà, in grazia del quale ci siamo indotti a far cenno di quanto precedette ,, sebbene per avventura sarebbe stato meglio coprirlo di silenzio! Perocchè il parlare delle debolezze de’ grand’ uomini non è sempre così istruttivo, come vor- :ria farci credere la curiosità , o il desiderio di trovare in esse una giustificazione alle nostre. Qui peraltro ‘il desi- derio sarebbe vano; chè Verri tanto generoso ci fa vedere (62) A mostrare se questo esistesse fra le opinioni di Verri e di Carli ci basti opporre ail’ ultimo passo, che abbiamo citato del primo , le poche linee che caviamo dal proemio al ragiona- mento del secondo sulla Diseguaglianza fisica, morale, civile fra gli uomini. ,, Fatalità de’ nostri tempi è stata che i filosofi mo- ‘derni, spinti e guidati dalla vanità di rendersi singolari , e domi- nati dall’orgoglio d’ essere legislatori \e riformatori dell’ ordine sociale , invece d'insegnare i doveri, siensi riscaldati nell’incul- care i diritti dell’uomo. ,, Può credersi che in tutto il ragiona- mento e ogni volta che altrove gli accade entrare su questo pro- posito; egli si tenga ben lungi dalla vanità de’ moderni filosofi. (63) Custodi, Memorie storiche. 41 ,come possa reprimersi ogni risentimento , o temperarsi e farne pronta ammenda se alcun poco si dotti e Carli, prestandosi ad'una nobile riconciliazione ci prova ch'egli non era fatto per una bassa rivalità. No quel risentimen- to e questa rivalità sarebbero a lungo stati impossibili fra tali due uomini. Chi fece abolire la ferma, e combatté ogni specie di pregiudizii fra noi doveva necessariamente essere l’amico di chi fè abolire l’inquisizione, e promosse tanti sospirati miglioramenti. Ma l'amicizia, per idee, per gusti, per altezza di principii conformi, veramente dolcissima fu quella del Verri col Beccaria. Il nostro Ugoni ci ricorda come al Vervi siamo debitori di quella immortal opera dei Delitti e delle Pene, scritta a sua istanza e nella sua camera anzi sul suo tavolino. Ma tace una particolarità, che non si può rammentare senza tenerezza, che il Verri cioè, ( ne due mesi che durò la composizione dell’opera) tornando. la sera tarda per vedere ciò che l’ amico avea steso nel- l’ore antecedenti, e leggendolo con lui, e incoraggiandolo a proseguire, pronosticandogli lupplasi di tutta Euro- pa (64); come tutto era pieno di cancellature, e l'indole (64) Prima del libro dei Delitti e delie Pene, il Beccaria era appena conosciuto e adoperato dal suo governo. All’ apparire di quel libro la meraviglia fu grande, massime fra gli stranieri, e Caterina II invitò l’autore con proferte onorevolissime a trasfe- rirsi in Russia. Del quale invito poi che s’ ebbe notizia alla corte di Vienna , il principe di Kaunitz ministro scrisse (in data de’ 27 aprile 1762) al conte di Firmian plenipotenziario in Milano , che saria stato gran danno il privarsi d’un uomo, il quale sem- brava avvezzo a pensare, massime nella penuria in cui eravamo d’ uomini pensatori e filosofi ; e che riuscirebbe a poco onore di tutto il ministero il lasciarsi prevenire dagli esteri nella stima dovuta agli ingegni. Coglieremo quest’ occasione, per rinvuovare un voto già espresso dal sig. barone Custodi di. veder pubblicate le lettere di quel principe; le quali trovansi ne’ regii archivii di Milano, e ida cui riceverebbe molto lume la storia de’ tempi del suo ministero, 42 i del Beccaria troppo ripugnava alla fatica del trascrivere, glielo copiava ei medesimo di sua mano. L'amicizia dei due filosofi della Lombardia potrebbe fornire qualche bella pagina a chi si accingesse. a comporre un’ opera storica 0 d’immaginazione sullo stato de’ nostri studi e de’ nostri costumi a’ loro giorni; come il tratto sopra nar- rato potrebb’ essere carissimo soggetto di pittura (65). Noi da qualche tempo sentiamo il bisogno di vedere trattare dall’arti cose patrie e moderne; ma questo bisogno ben sentito non è ancora affatto bene ragionato. Quindi fra vari quadri d’ argomento domestico e non troppo antico, esposti alcuni anni alla nostra ammirazione, non se ne vide ancor uno consecrato alle pubbliche o alle private virtù, o all’ onore di quegli studi che confortano e abbel- liscono la vita. Il primo di tal generè che qui vedremo sarà la conversazione di Ludovico il Moro, a cui fatica in Bergamo con amore e intendimento squisito l’egregio sig. Diotti, professore nell’ accademia pittorica di quella città. Il nome del Moro, e la ricordanza de’ valentuomini da lui raccolti sì avvedutamente alla sua corte, ci chiama col pensiero alla storia milanese , e ai libri, che intorno a questa ci lasciò Pietro Verri. Il sig. Ugoni giudica di essi, come dovevamo aspettarci da un amico del vero , e da un savio apprezzatore di tutte le nobili intenzioni. Egli vi scorge lo scrittore imparziale, che nulla tace del passa- to ove giovar possa al bene presente ; lo scrittore giudizio - / so che , fra le tenebre dell’ antichità, scevera con critica sagace il vero dal falso , e, trascegliendo dai fatti i più av - verati e caratteristici, si studia di dare alla sua narrazione (65) Un sagace amico mi fa riflettere che nel quadro , ch’ io propongo , la parte di Beccaria non sarebbe nobile abbastanza. Io peraltro non penso così : il pittore non avrebbe ad esprimere in lui la fredda indolenza, ma la sublime concentrazione del pensie- ro, di cui il Verri starebbe affettuosamente in atto di aspettarne la manifestazione. 43 quella dignità che le piccole cose le avrebbero scemata ; lo scrittore filosofo , che istruito dalle proprie meditazioni e dalla pratica degli affari, dà colle sue riflessioni luce agli avvenimenti ; e da questi cava occasione di stabilire i principii più utili al vivere civile; lo scrittore virtuoso e patriota, che s’ interessa vivamente ai fatti onesti e pre- clari de’ suoi antichi concittadini, e loro si associa nella narrazione , quasi avesse pensato ed operato con loro; tan- to è picciola separazione quella che dal tempo è frapposta agli animi uniti dall’ amore della patria comune. Di que- sti libri della storia , già prima di averlì letti, il principe Kaunitz, scrivendo al Firmian che gliene avea trasmessa la prima parte, si prometteva assai cose , fidandosi al- l’ erudizione e allo spirito filosofico dell’ autore ; in cui riconosceva talenti ben superiori a quelli di chi prende. per ordinario a comporre simili opere (66). E sappiamo che uomini riputatissimi ne mandarono al Verri tali con- gratulazioni , che ben doveano consolarlo della noncuran- za di quelli , pei quali particolarmente avea scritto, ma che non erano allora ancor bene preparati a leggerlo e ad intenderlo. Molto egli avea fatto con opere d’ ogni manie- ra, e in ispecie con quelle che più facilmente si diffondo- no fra le classi meno avvezze allo studio , onde ridestare il desiderio de’ lumi, l’amore della verità , i nobili senti- menti. Ma il solo tempo era abile a maturare i semi da lui sparsi e fatti spargere da’ suoi ‘coraggiosi amici, che aveano con lui comune lo zelo per la patria, e da lui prendevano incitamento ed esempio a dimostrarlo. Chi sa, ove la tranquilla rigenerazione delle menti da lui cominciata 0 almeno vivamente promossa, avesse prose- seguito nel medesimo modo, chi sa ove oggi saremmo per- venuti? Allora forse potremmo apprezzare tutto il bene ch’ egli si propose di fare al proprio paese, e che indubita- (66) Lettera dei 4 settembre 1783, citata dal barone Custodi. 44 bilmente fu ritardato. I giorni di turbamento che sopraven- nero; giorni in cui egli fu costretto di combattere contro le passioni e i partiti in favore de’ più semplici principii della giustizia (67), non furono certo giorni propizi al (67) Di questi suoi combattimenti serve di saggio al lettore una porzione di discorso, da lui improvvisato nella sala munici- pale di Milano, indi steso colla penna; e lasciatoci fra’ suoi ma- noscritti , onde il trasse Isidoro Bianchi , il quale lo inserì nel- l’ elogio. Trattavasi , nella somma angustia del pubblico erario , d’imporre un prestito forzato, di cui abbisognava la nuova re- publica , o forse l’avidità d'alcuni capi. Verri a cui doleva l’a- nimo incredibilmente per tante altre violenze , che affliggevano la patria, e rendevano odioso il nome di libertà , dopo. essersi vigorosamente opposto a questa nuova, dicendo che prestito for- zato è sinonimo di rapina , e sdegnandosi che s’ incominciasse le riforme delle cose pubbliche dal violare le proprietà e conculcare i diritti, prosegue così: ,, Vogliamo una republica, popolare, e cominciamo dall’ affrontare l’ opinione del popolo, di cui dovremmo essere i più giusti difensori, Si dice che l’ opinione del popolo non è ancora formata secondo i buoni principii. Voi dunque vi porrete a forzare l'opinione, e ad avvilire violentemente il popolo, per quindi condurlo alla libertà? Questi sono deliri feroci, e non mai una saggia guida al fine; che dite d’esservi proposto. Se volete che il popolo ami un nuovo ordine di cose ,, fategliene sentire ed amare gli effetti; fate che paragonando lo stato passato col pre- sente trovi ch’ esso merita d'essere al vecchio preferito. Voi, che lo guidate, meritatevi la confidenza del popolo, la quale non ot- terrete, se non mostrandovi virtuosi, giusti, benefici, illuminati e veri suoi amici. Sino a tanto che i nostri giornali saranno pieni di contumelie e di personalità, non vi acquisterete giammai l'amor pubblico e la pubblica confidenza. Sino a tanto che violerete le proprietà de’ cittadini col sistema delle requisizioni, mon sarete mai risguardati come padri della patria. Sino a tanto che eser- citerete una sorda inquisizione sulle opinioni , e passerete a fare imprigionare a vostro capriccio i supposti nemici della democrazia ; il popolo vi temerà bensì, sarete terribili agli occhi suoi, ma non otterrete mai d’ essere considerati come buoni cittadini. E che farete, isolandovi così in faccia del popolo? Sarete nella contra- dizione di voler fondare un governo popolare col dissenso mani- festo del popolo. ,, Questo discorso, oltre l'equità e la salda 45 | progresso della filosofia e della civiltà. L’ottimo Verri si adoperò in più guise di restituire la moderazione e la cal- ma; e fra gli altri mezzi da lui tentati era degno che il sig. Ugoni volesse farne ricordo quel iibrettto. intitolato del Modo di terminare le dispute , in cui , porgendo sem- plicissime definizioni di vlt: allora prese in così diver- Si e ostili significati, s'ingegnò di fare che tutti le ap- plicassero alle stesse più giuste idee (68). E già prima, onde prevenire i tristi effetti delle fazioni , e fare che la patria venisse commessa a mani degne di governarla , avea dati in luce i Pensieri d’ un buon Vecchio , ch'egli diceva non letterato, ma che certo si mostrava prudentis- simo, e de’ concittadini sommamente amoroso. Ma che poteva la voce d’ uno o pochi sapienti contro la prepoten- za de’ conquistatori, l’ ambizione e l’ingordigia de’ falsi patrioti, la vertigine di tutti ? forse } senza gli eccessi di que’ giorni , e tutto quello che ne fu conseguenza, noi oggi ci vedremmo assai più avanzati nel vivercivile;perchè le idee si sarebbero gradatamente rischiarate; i lumi a- vriano trovato meno nemici; le riforme si sariano fatte | conoscere più necessarie o più utili ; la filosofia sarebbe finalmente comparsa qual Verri non cessava di celebrar- la, la vera benefattrice dell’ uman genere (69) .,In vece, eccoci tuttavia ad udire gli schiamazzi di chi non cessa di calunniarla; a leggere nuova storia, da cui l’autore si pre- gia di Mabiuastia + e per più vergogna a vedere come , per ragione di chi lo pronunciò , indica pure l’ onesta franchezza dello schietto suo animo, della quale si ha prova in tanti incontri della sua vita. (68) Ben differente da chi a’ nostri giorni ( il consigliere de Haller), propose un dizionario fatto per rinnovare tutte le dispute, e ne diede un saggio , che gli uomini moderati possono giudicare. (69) È a leggersi un luogo insigoe su tal proposito nelle Me- morie della ita di Paolo Frisi ) dirette dal conte Verri al mar= chese di Condorcet. 46 vendicarsi del Verri, che la prese a guida nella sua, sì chiami d’oppostissimo nome quella franchezza e lealtà, di cui egli fece sì chiara professione. No, il buon Verri mai non ismentì quelle notabili parole , onde conchiuse il proemio dell’ opera da lui consacrata alle memorie della sua città: « Ho rappresentato lo stato de’ nostri maggiori senza fiele e senza adulazione. Ho rispettato la patria e i miei lettori; e non rappresento loro favole illustri. Ho imparzialmente dipinta la grandezza e la depressione; la oscurità e la gloria; il vizio e la virtù, quali mi si sono presentati nella successione de’ tempi ». Così mostrossi degno di aggiugnere : « destiamoci ora noi per trasmette- re ai posteri costumi ed azioni , che la storia possa narra- re con piacere, senza Biegaga d’alcuno ornamento ». Certo la narrazione della sua vita pubblica sarà parte gloriosa di quegli annali , ch’ egli avea in animo di con- durre fin presso a’ propri tempi (70), e da cui lo distras- (70) Oltre i materiali pel secondo volume dell’ istoria mila- nese , il qual giunge sino all'anno 1564, altri ne lasciò per un terzo , che verrebbe fino al regno di Maria Teresa. Come quelli del secondo preparati per la stampa, quand’ egli morì , non ol- trepassavano l’anno 1523, un amico ( Anton-Francesco Frisi, fra- tello del celebre matematico che il Verri amò vivo ed onorò estinto ) prese incarico di ordinare i seguenti fino al 1564, come si disse. Chi confrontò l’ edizione e il manoscritto accusa il Frisi di mutilazioni e interpolazioni, che rendono il secondo volume, per istile e per concetti, assai disforme dal primo. Ove si faccia della storia una seconda impressione, oggi più'che mai desiderata, noi supplichiamo a nome di tutti gli uomini più illuminati e più colti il felice possessore dell’ autografo di far sì che tutto sia re- stituito a genuina lezione , per quanto gli è caro il nome paterno e il decoro della patria. Qualch? altra preghiera ci arrischieremmo a fargli, se avessimo qualche parte nella sua amicizia, e potes- simo fargli aggradire il nostro desiderio di descrivere un’ epoca, la quale ebbe tinta luce dal suo genitore. Egli La già comunicati a diversi valentuomini .i molti manoseritti.che sono in sua mano ( parte veramente preziosa del paterno retaggio); e ciascuno di 49 sero le cure civili, in mezzo alle quali, come si esprime un ingegnoso ed eloquente scrittore (7.1) la morte lo colse im- provvisa nella casa municipale, troncandogli un’ ultima idea, che volgeva in mente per la carissima patria.Di che vi- vo e costante affetto ei l’amasse ben lo prova, dopo tanti al- tri argomenti, l’averle sagrificato il riposo degli ultimi suoi giorni, quando nessun altro motivo poteva certo consi- gliargli tale sagrificio. Solo un desiderio ardentissimo di giovarle, ci attesta il Custodi che personalmente il conobbe, lo spinse a rientrare in giorni difficilissimi nella carriera delle cose pubbliche. Se non che in parte il rigore de’ suoi principii, soverchio forse in quella violenza di circo- stanze; in parte il fanatismo, che allor generava sì de- plorabili contradizioni, resero affatto vani i suoi sforzi pel bene de’ concittadini. « Io stesso, prosegue il Custodi , il vidi più volte afflitto profondamente nel riflettere sulla successione di tanti traviamenti, e inturgidirsi di pianto que ’ parlanti occhi, che sì bene esprimevano la commo- zione della sua anima (72) ». Non per questo il buon Verri volle diffidare mai della pubblica salute; ed ove la sua patria dovesse perire, egli volea trovarsi fino al- l’ estremo co’ suoi difensori. Al posdomani della morte di lui ( che avvenne sulla mezzanotte del 28 giugno 1797 ) il giornale de’ patrioti d’ Italia annunciava il funesto acci- dente così: « È morto Pietro Verri: uomini di tutti i par- essi ne ha profittato secondo il suo scopo e la sua maniera di vedere. Ma non è improbabile che molto ancora se ne possa e- strarre per onorar la memoria di Pietro Verri, e ben distinguere quell’ aurora di gloria e di prosperità italiana in cui egli visse. Il suo figlio ed erede potrebbe un giorno sentire qualche compia- - cenza d’ essersi associato alle nobili intenzioni del padre, ammet- tendo a conoscere il frutto de' suoi studi chi sarebbe forse stato da lui ammesso a conoscere i più intimi pensieri della sua mente. (71) Vedi Biblioteca italiana , tomo 29, n.° 85. (72) Memorie storiche già citate. 48 titi spargete di fiori latomba del filosofo: Egli vi cono- sceva tutti; vi amava tutti; e se talora sferzava socratica - mente gli uni e gli altri, era per condurvi ad una fraterna unione, che sola vi può render felici (73) ». Bellissimo è il parallelo che, per questo amore della patria‘ special- mente , fa il sig. Ugoni fra Pietro Verri e Cicerone; quan- tunque ov xaghi piaga del bisogno dell’altrui stima , che tormentava il Verri incessantemente, brameérei che si fos- se ben ricordato essere questa una uodibione indispensa- bile della capacità di far cose stimabili. Nam, come dice il giovane Plinio (74); postguam desiimus pfacere lau- danda , laudari quoque ineptum putamus. Nè'il'ram- midi spesso ‘del’ Verri ‘d’aver liberato ‘là patria dal giogo de’ fermieri, come Tullio andava ad ogni proposito rammentando'd’averla salvata dalla congiura di Catilina mi sembra spiacevole vanità, com’ Ret dice , massime ove si consideri che alla gloria privata era congiunto un grande beneficio pubblico ; ‘e che di tal beneficio il Verri, come Tullio; era! stato assai ingratamente compensato. Altri vanti egli avrebbe’ potuto darsi; quello in ‘ispecie d’a vere. scosso potentemente ‘dalla patria e dall’ Italig tutta il giogo de’ pregiudizi , ch'iò quasi chiamerei i fermie- ri del regno della ragione. Io veggo' quel Plinio, di cui si di- ceva pocanzi, rfiesortiaidire a ‘Tacito i in una lettera (75) citata dal signor Ugoni di render più nota ‘e’ più chiara al mondo una sua risposta in senato, magnanima per vero dire, poichè i romani di. que’ tempi erano già di- | scesi a. tanta viltà; e prevenirlo modestamente; che il divo Nerva, non con lui solo, verme etiam seculo est gra- tulatus, cui exemplum simile antiqui', contigisset. Verri esalta ad ogni buona occasione i suoi benemeriti contem- (73) Elogio storico, scritto dal Bianchi. (74) Epistola 21, lib. 3. (75) La 33 del libro 7. 49 poranei , e Beccaria specialmente, nel cui caldo cuore e nel cui alto ingegno parve che avesse posta sì grande speranza di pubblico bene; e di quello , ch' egli operò , non trovo che dica parola (76). Il sig. Ugoni ha fatto, nella sua opera, succedere immediatamente all’articolo, che, riguarda il Baretti, quello ove si, ragiona del Buonafede (77), per seguire, egli dice , l’ordine cronologico, soggiugnendo che la storia letteraria si compiace, di ravvicinare due scrittori , che un'aspra guerra divise. L'ordine cronologico potea . pur consigliare , ch’ egli premettesse all'articolo sopra Verri un articolo sopra Beccaria , il quale se nacque un decen- nio dopo il primo, gli premorì di due o tre anni. Ma vi era un altro motivo, che la ragione e il cuore sentono ugualmente, di ravvicinare al Verri l’ i Z/ustre concittadi- no, ch’ei chiama nella sua storia (78) con nobilissima compiacenza l’amico e il compagno de’ suoi studi (79), e a cui quell’ illustre scriveva , che il desiderio di conser- varsi la sua stima, e di somministrare sempre nuovo alimento alla sua amicizia, lo animava più che la gloria stessa (80). Questi. due delebui amici sembra veramente (76) Forse le memorie, ch' egli. scrisse: della. propria vita, ‘e che rimangono inedite nell’archivio della famiglia ;, finirebbero di render chiara la modestia come la nobiltà del suo carattere... Ci sarebbe prezioso il vederla anche per altre ragioni, .come ci pre- merebbe il vedere i suoi, pensieri , parimente inediti , sulla rivo- | luzione di Francia. i corslo: (77) Tomo 1, articolo 8. (78) Tomo 1. (79) Ebbe in essi lo scopo e le idee così comuni con lui, che spesso il nostro Gioja nel suo prospetto delle scienze econo- miche , esaminando ciò che l’ uno scrisse, intende che quell’esa- me si applichi a ciò che nel medesimo proposito disse l’altro. (80) Lettera inedita , citata dal valoroso autore delle Notizie biografiche, premesse all’ opere del Beccaria dell’edizione de’clas- sici del secolo XVIII. î a bo che dovessero occupare un vicinissimo posto in quel pic- ciolo monumento storico, che il ‘sig. Ugoni dice di andar inalzando alla seconda metà del:secolo xvi, per riguardo principalmente a que’germi di filosofia, ch’ei trova sparsi in quasi tutti i libri degli scrittori che ‘în essa fiorirono; germi , com’ egli si esprime, che non aspettano se non i tepidi fiati di primavera, onde germogliare e produrre una messe felice (81). Perocchè anche in Italia, sebben meno che altrove (egli prosegue) la letteratura cal più an- ni non è più soltanto una mera ‘arte di piacere, che lumanitas vocabatur, dum pars servitutis erat, ma un possente mezzo di' perfezionare la civiltà. M. Elenco degli scrittori stati illustrati dal sig. Ugoni nei primi tre volumi della sua opera. Giuseppe Tartini — Ruggero e Giuseppe Boscovich — Fran- cesco Algarotti — Antonio Genovesi — Gaspero Gozzi — Gio. Carlo Passeroni — Giuseppe Baretti — Appiano Buonafede — Prospero Manara — Paolo Gagliardi — G. L. Gerdil — Saverio Bettinelli — G. B. Roberti — Gio. Rinaldo Carli — Adeodato Turchi — Gio. B. Borsieri — Ferdinando Galiani — Pietro Ver- ri — Giuseppe Parini — Giuseppe Torelli — Carlo Gozzi — Fran- cesco Milizia — M. Cesarotti — Carlo Denina — Girolamo Pom- pei — Girolamo Tiraboschi — Luigi Lami. (81) Tomo 3, articolo t. 5: \Esame delle opinioni dei signori Say, Sismondi, e Mal- thus sugli effetti risultanti dall’ invenzione delle macchine , e dall’ accumulazione dei capitali. — Tradotto dall’ Edinburgh-Review , giornale inglese. Da che fa pubblicata nel 1776 l’opera del sig. Adamo Smith sulla ricchezza delle nazioni, fino alla pace ‘‘del 1815 non era stato più posto in dubbio che il proble- ma più importante di pubblica economia non fosse quel- lo di sapere come ottenere la maggior quantità possibile di cose con la minima spesa, e che il vero modo di cono- scere l'aumento o diminuzione della ricchezza nazionale, non consistesse nel sapere di quanto le manifatture pro- dotte in un dato tempo superassero quelle consumate nel tempo medesimo, o ne stessero al disotto. Tali verità sembravano dedotte da principii per sè stessi evidenti ed incontrastabili..« Ogni uomo è ricco o povero secondo. chè egli ha più o meno modi di soddisfare ai suoi bisogni, e provvedere ai comodi della vita » (*). E siccome da niuno vien posto in dubbio che tali beni e comodi non debbano essere stati in principio uttenuti per mezzo della fatica ( per quanta parte possano avere avuta l’ istituzioni civili nella loro distribuzione ), pare impossibile dubitare che i beni e le ricchezze di un paese, o sia le vie di supplire alle cose di necessità ed agli agi della vita, non debbano stimarsi aumentate ogni qual volta la fatica ne- cessaria ad ottenerli è diminuita. Supponghiamo che il la- voro necessario a formare un cappello sia ridotto ad un decimo. È chiaro che con l’istessa mano d’ opera con la quale abbiamo ora un cappello, ne otterremo allora dieci» E siccome la maggior parte degli uomini non ha altra strada che il lavoro onde provvedere ai suoi bisogni, la sua condizione sarebbe perciò resa molto migliore. E se (*) Wealth of nations, vol. 1. p. 43. T. X. Maggie 4 5a un simil vantaggio non si limitasse ad una sola'ma si estendesse ancora a tutte le altre arti, io non so come si potesse ‘fare a négare che noi non fossimo divenuti dieci volte più ricchi. Ma per quanto tali conclusioni sembrino giuste e ra- gionevoli, sono state ultimamente impugnate da valentis- simi scrittori. Si accusa il sig. Smith di essersi ingannato sul vero scopo della scienza il quale consiste, secondo essi, non già nel facilitare i lavori, ma nello stimolarne il con- sumo. Quello che ci abbisogna , dicono essi, non è già un aumento di prodotti, ma bensì un aumento di smercio; giacchè da noi troppo si produce, e poco si consuma. È il rigurgito di manifatture che dopo la pace si è esteso a tutti i rami d’ industria unito alla gran difficoltà di smer- ciare i diversi generi il di cui costo di manifattura era considerabilmente diminuito, è stato citato come una prova inconcussa della verità di quella dottrina la quale insegna , che il risparmio di lavoro nell’ arti può essere spinto troppo oltre, che l'eccesso della ricchezza può essere accompagnato da tutti i mali della povertà , e che il trop- po desiderio di rispiarmare e di accumulare capitali , dopo un subitaneo ribasso nel prezzo dei generi, può spes- so ridurre un’intiera popolazione a soffrire la fame. Ma per quanto speciose possan sembrare queste nuove e. stra- ordinarie dottrine, certamente la miseria che in quest’ulti- mi cinque o sei anni ha afflitta la classe industriosa., non è una prova in loro favore , potendosi questa facilmente spiegare con la supposizione di cause affatto diverse, come dall’essere noi rimasti privi improvvisamente di quel monopolio di commercio di cui godemmo durante gli ulti- mi anni di guerra, e dall'aumento del prezzo del cambio, il quale ha accresciuto il già enorme peso delle pubbliche imposte dal 25 al 30 per 100. Noi abbiamo procurato altrove di dimostrare che queste sono state le principali cause dell’angustie in cui si è trovata dopo la pace la clus- ; 53 se agricola; e commerciante dell’ Inghilterra. E. siccome è fuor di dubbio che queste cause abbiano potentemente operato, così la presente miseria non, porge una solida prova in favore dell’ opinioni dei signori Sismondi. e Malthus, principali propugnatori delle nuove dottrine- Devono essere queste perciò sottoposte ad altre prove, e_ siccome non hanno in loro favore alcuna decisiva esperien- za , noi procureremo per mezzo di un diligente esame di dimostrarne la verità v la falsità. Prima di passare ad esaminare le obiezioni fondate sulla diminuzione continova del prezzo dei generi cagio- nata dal continuo aumento e, perfezionamento delle mac- chine, possiamo. osservare che le medesime obiezioni potrebbero addursi nel caso di un continuo e indefinito aumento di abilità e d’ industria nel manifattore. Se l’invenzione di una macchina che faccia due paia di calze con la medesima spesa che prima richiedevasi per lavorarne un paio fosse in qualche circostanza nociva al genere umano, cosa nociva sarebbe ugualmente il giungere all’istesso intento con un aumento di destrezza e di maestria nel calzettaio, come nel caso in cui quelle donne che sole- vano lavorare due o tre paia di calze la settimana, si ren- | dessero capaci di tesserne cinque o sei nel tempo medesi- Tra questi due casi non vi è sicuramente differenza alcuna. Che se prima di questo miglioramento potevasi supplire a tutte le dimande di questa specie di manifat- tura , il sig. Sismondi secondo i principii da lui stabiliti nell’ ultima sua opera ( Nouveaux principes, tome 2. p. 318 ), non potrebbe fare a meno di non condannarlo come un male gravissimo, rendendo la metà dei lavoranti ‘di calze disoccupata e fuori d’ impiego. In conseguenza tutte le opposizioni che fannonsi al perfezionamento del- le macchine, potrebbero farsi ugualmente contro un au- mento d’ industria e di abilità nel lavorante. Ed i mede- simi principii che sono di norma ai nostri giudizi in un 54 caso, devono esserlo ugualmente nell’altro. Poichè s° è riconosciuto per cosa utile che il manifattore divenga sempre più abile e capace di fare una maggior quantità di lavoro colla medesima o anche con minor fatica, bisognerà convenire della cosa medesima quando egli possa giovarsi dell’ aiuto delle macchine per ottenere il medesimo intento. ‘© Per meglio conoscere gli effetti resultanti da ‘un aumento di abilità e facilità di mano nel manifattore, o da un perfezionamento degli strumenti e macchine da lui usate , supponghiamo che l’ industria sia universalmen- te aumentata , e che tutti i diversi manifattori potessero con V'istessa fatica ottenere dieci volte più lavoro che adesso. Non è egli evidente che questa maggior facilità di lavoro accrescerebbe dieci volte più le ricchezze e gli agi di ogni individuo? Il calzolaio che prima faceva un paio di scarpe il giorno, sarebbe adesso in grado di lavorarne , dieci paia ; e siccome un egual perfezionamento si è otte- nuto in ogni altro ramo d’industria, egli potrebbe ottene- re una quantità dieci volte maggiore d’ ogni altra merce in baratto delle sue scarpe. In un paese così. costituito ogni manifattore potrebbe disporre di una gran quantità di lavoro oltre quello fatto per commissione. Ed essendo ognuno nelle medesime condizioni, potrebbe acquistare con i propri lavori o col prezzo di essi grandissima quan- tità di quelli degli altri. Ed una tal società dove fossero così sparsi e diffusi i beni d’ ogni sorta per il sostegno e per gli agi della vita, sarebbe sommamente felice. Rimane per altro a sapere se lo smercio delle mani- fatture aumenterebbe talmente da impedirne ogni accumu- lazione e qualunque rigurgito nel commercio , che co- stringer potesse a vender con scapito, ed a un prezzo inferiore alle spese di manifattura per quanto dimi- nuite. Su di che conviene osservare, che affinchè l’ u- mana specie ritragga un vantaggio dall’ industria accre- 55. sciuta, non è necessario che venga questa adoprata in tutte le sue parti. Se un manifattore avesse dieci volte più modi. di provvedere ai bisogni e commodità della Vita (e questo sarebbe appunto l'effetto del miglioramen. to supposto )., le sue spese ed i suoi avanzi sarebbero in- dubitatamente molto accresciuti; ma allora egli non pro- lungherebbe più come per lo avanti il suo lavoro giorna- liero, nè si udrebbe parlare altrimenti di persone. tenute per dodici o quattordici ore del giorno in dure. fatiche , 0 di. fanciulli rinchiusi fino dai teneri loro anni in una fabbrica di cotone. Allora il lavorante senza pericolo di minorare i suoi mezzi di sussistenza , potrebbe consacrare un tempo;più lungo al divertimento ed alla cultura dello spirito: In. quei paesi soltanto nei quali l'industria ha fatto ben pochi progressi; dove il lavoratore è costretto a ricavare la sua sussistenza da terreni di scarsa fertilità, e dove un sistema di tasse eccessive gli toglie un terzo o un quarto del prodotto delle sue fatiche, è obbligato .a fare di questi sforzi. così straordinari. I grossi guadagni sono vantaggiosi per il solo aumento di comodità che essi pro, curano ; e. fra questi non è da riguardare come il minimo un avanzo di tempo da consacrare al riposo. Dovunque i guadagni sono.grandi e stabili , gli artisti sono attivi , in- telligenti. ed. industriosi. Ma essi non continuano a lavo- rare, con la medesima assiduità come il miserabile, ch’ è costretto dalla più dura necessità ad impiegare tutte le sue forze. -Possono godere di qualche ora d’ozio e di riposo, del qual benefizio essi non mancano di profittare. Ma sup- ponghiamo pure che le sorgenti di produzione siano au, mentate dieci volte più, anzi dieci mila volte più, e che da tutte quante sì tragga profitto; non vi sarà per questo motivo alcuno di temere un ristagno durevole, nel com. mercio. È cosa indubitata che una nazione la quale fossa più industriosa di un altra.sua vicina potrebbe fare dei lavori che la meno industriosa, e che se preferisse l’ ozio 56 alla" fatica, non potrebbe nè comprare nè permutare. coni propri. In ‘questo caso potrebbe nascere un rigurgito di lavori, ma ‘un tal rigurgito non sarebbe che temporario, e presto disparirebbe. Il fine che ogni uomo si propone nell'esercizio della sua industria è quello o.di consumare egli stesso il frutto delle sue fatiche ; o di cambiarlo con quelle cose ch'egli desidera di ottenere ida altri. Se egli si appiglia a quest’ultimo partito ed offre i suoi lavori in baratto a persone che non sono in grado di corrispondergli e dargli ciò che desidera avere, egli fa una falsa specula- zione, ed avrebbe piuttosto dovuto produrre egli medesimo quello che gli manca. Ma per altro qualora il governo non si opponga al suo ravvedimento, egli cangierà subitamen- te di mestiero, e si porrà a'lavorare soltanto quelle cose ch'egli desidera’ consumare. Quindi è che un aumento universale di facilità nelle manifatture non può mai pro- durre un permanente ristagno di commercio. Supponghia- mo'chie tanto i capitali che l'industria delle diverse arti di questo paese siano in questo momento perfettamente uguali al consumo e valle dimande dei loro prodotti:, e che ognuna'di queste renda al netto lo stesso guadagno ; \se'attesa‘la loro maggior facilità le manifatture si aumen- tassero j'esse'conserverebbero fra loro l’istesso valore rela- tivo. Il «doppio ed il triplod’un genere sarebbe \cam- biato col doppio ed il triplo di un altro. Ne risulterebbe nello:stàto un generale aumento di ricchezza, senza che vi fosse alcun rigurgito di generi nel commercio; giacchè au- mentando tutti ugualmente , sì biliencerelibero nei loro valori gli uni con gli altri. Ma se mentre una classe di manifattori è industriosa, l’altra scegliesse di starsene in ozio; ne mascerebbe certamente un temporario rigurgito ed una sovrabondanza di essi. Ma perchè i generi prodotti dalla classe industriosa dovranno essere una sovrabbondan- za? E non è chiaro che ciò nasce dal vuoto che lascia la clas- se oziosa? Non è già questa una conseguenza di un troppo ; 57 grande; ma di un troppo piccolo aumento d’ industria. Accrescete questa maggiormente , fate che le classi oziose divengano quanto le altre operose , ed allora esse avranno gli equivalenti onde fare acquisto di quel che loro bisogna, ed il di più sparirà immediatamente. Falsamente il sig. Malthus suppone nell'uomo una repugnanza a consumare. Una tal repugnanza non esiste in alcun paese del mondo, neppure nel Messico, di cui più particolarmente parla il sig. Malthus. L'uomo non prova repugnanza a consumare ma'a produrre, e al Messico come altrove un uomo non può consumare i frutti dell'industria di un altro senza dargli un equivalente ; solo il messicano preferisce l’ indo- lenza al godimento di quegli agi ch’ egli potrebbe procu- rarsi dando per essi.in cambio i prodotti del suo lavoro. Il sig. Malthus ha creduta repugnanza a consumare quel- la ch'era repugnanza a produrre, ed ha in conseguenza concluso che nel commercio le dimande non dipendano dal numero dei lavori. L’ istesso sig. Malthus ha voluto che lo smercio di una ‘cosa dipendesse dalla volontà e dalla possibilità di ‘acquistarla, vale a dire dalla possibilità di dare per essa un equivalente, o un’altra cosa. Ma quando mai si è sentito parlare di mancanza di volontà nello acquistar cose che faccian comodo ? L’ uomo il più indigente di questo regno desidera di andare in tiro a sei, d’esser vestito di velluto, ‘e di bevere sciampagna e borgogna. Se la volontà sola ‘bastasse a procurarci le cose necessarie e gli agi della vita, noi saremmo ricchi quanto Creso , ed i mercati rigurgi- terebbero costantemente di mercanzie. Quello che vera- mente: e solamente ci manca è la possibilità di comprare, ‘Ilinon poter dare un equivaleute pei beni che si desidera possedere, è la causa che involve la più gran parte degli uomini nel bisogno e nella miseria. Se si aumenta la pos- ‘sibilità di-comprare; o ciò che è esattamente lo stesso, se si 58 aumenta la facilità di produrre, ecco immediatamente mi- gliorata la condizione di ogni individuo. La mancanza di un pronto smercio, è senza dubbio la causa immediata della miseria dei manifattori e agti- coltori del nostro paese. Noi neghiamo peraltro che questa difficoltà di trovar compratori delle nostre manifatture sia dovuta alla maggior facilità delle nostre arti. Al:contrariòo è molto facile il dimostrare che senza questo aumento il commercio sarebbe stato più languido che non-lo è di fatto. Siccome le richieste delle nostre. manifatture dall? estero mon sono mancate certamente per essere mancati quei ge- neri che i nostri mercanti e manifattori volentieri! pet- muterebbero con esse , ne segue che ciò deve nascere dall'una o dall’ altra delle seguenti cause cioè ; 0 da un rialzamento di prezzo nelle nostre manifatture, o da vin- coli imposti sull’ introduzione dei generi inglesi ne’ paesi esteri, o viceversa dei generi esteri, nell’ Inghilterra: Ora è evidente che se le richieste dall’ estero mancassero per la prima delle due cause, mancherebbero tanto più se non fosse il costo delle mianifatture diminuito. Se ad onta di tutte le invenzioni dei nostri Arkwvights: e Watts per risparmiar fatica e spesa nel lavoro delle manifatture; noi corriamo sempre rischio d’ esser. superati nel: venderle ‘a minor prezzo dagli stranieri, è cosa certa che senza queste invenzioni noi non saremmo stati in grado di star loro a fronte in questo neppure per un solo anno. Non sarebbe poco irragionevole il lagnarsi prima del troppo alto prezzo dei nostri lavori che ne rende: difficile |’ acquisto agli stranieri, e quindi per togliere questo inconveniente, de- clamare contro i soli modi per cui questi prezzi possono essere diminuiti, e in conseguenza lo smercio aumentato ! Non all’uso così esteso delle macchine, ma al sistema contrario e vincolato del nostro commercio ed: alla gra- vezza delle tasse, son dovute tutte le nostre disgrazie. Gli 59 abitanti della Polonia, Norvegia, Svezia, Francia, China, Brasile ec. sono più di noi desiderosi di cambiare il loro grano, legname, ferro, vino, seta , tè, zucchero ec. con i ‘prodotti delle nostre arti. Tali generi sono adattatissimi al nostro commercio, edi nostri mercanti desidererebbero ardentemente di averli in cambio delle merci manilate fuori. È chiaro adunque che se gli stranieri più mon ri- cercano le nostre manifatture. ciò non dee attribuirsi al loro rigurgito ( poichè gli stranieri sono e in grado e de- siderusi di acquistarle), ma soltanto a quei vincoli e rego- lamenti che inceppano e' ristringono la libertà di espor- tazione e d’introduzione. Bisogna rammentarsi che non vi possono essere vendite senza un egual numero di com- pre; ma siccome abbiamo decisamente negato di compra- re dagli altri quelle merci delle quali essi abbondano, e nel lavorare le quali hanno essi sopra di noi vantaggi naturali, ne segue da ciò la loro impossibilità di compra- re da noi. Così i pollacchi e norvegi non hanno altro che grano e legname da cambiare coi nostri cotoni, lane e generi greggi; e siccome nòi abbiamo perentoriamente proibito il trasporto dell’uno e dell'altro nel nostro paese, essi ‘sono stati costretti contro lor voglia a ricorrere ad altre nazioni per esser forniti di quei generi che prima prende- vano dall’Inghilterra. Se si abolissero i nostri barbari re- golamenti ; se invece di' forzare i nostri cittadini a fab- bricare le: loro case! con il legno peggiore e più costoso del Canadà, concedessimo loro di servirsi del migliore e meno costoso della Norvegia e di Memel; se invece di costrin- gere terreni sterili a (dare un frutto scarso e non corri- spondente alle spese delle coltivazioni, si lasciasse entrarè il grano assai più vile della Pollonia e degli Stati Uniti , le richieste dall'estero aumenterebberò mirabilmente. È certamente in nostro pieno potere il raddoppiare o tri- plicare il numero dei consumatori esteri delle nostre ma- nifatture , ove ìsi adotti un sistema di commercio più 60 libero colla Fraficia , lasciando introdurre il vino, seta, e acquavite di quel paese con lo sborso di piccoli dazi. Noi non intendiamo negare che l’ imbarazzo in cui si è trova- to il commercio dopo l’ ultima lotta con la Francia; mon sia derivato in parte da un rigurgito di merci inglesi nei mercati del continente per una eccessiva affluenza di esse dopo la riapertura dei porti d'Olanda. Ma questo motivo non sarà sufficiente a spiegare la continua difficoltà da noi provata posteriormente nel vendere con vantaggio le nostre mercanzie. Durante gli ultimi anni di guerra noi eravamo in possesso di tutto il commercio del mondo. Dopochè i provvedimenti presi dal governo ebbero. posto un termine al crescente commercio dell’ America , le na- zioni del continente non poterono più procurarsi nè i ge- neri coloniali, nè il cotone greggio per le loro fabbriche. In conseguenza esse. furono costrette ad acquistare le merci inglesi in una quantità senza esempio; a fronte degli ordini contrari di Buonaparte. Fu dimostrato chiaramente davanti alla commissione: Bullion che il cotone venduto due scellini in Londra vendevasi per sei im Amsterdam e per otto in Parigi, e che i principali generi trasportati da questo paese sul continente , costavano quattro o sei volte più che nel nostro. Questa dimostrazione fu data, come noi ci rammenteremo, nel 1810, e tuttavia nell’anno pre- cedente 1809 noi avevamo mandata sul continente una quantità di generi superiore a quella di tutti gli anni an- teriori, e quasi uguale a quella mandata fuori. negli ‘anni posteriori alla pace. Ma l’industria delle nazioni del \con- tinente , 0 sia Ja loro possibilità di dare equivalenti per quei tali generi che desiderano acquistare da noi; è indu- bitatamente aumentata ; ‘e ove noi avessimo adottato una forma più saggia di commercio ; esse comprerebbero ora maggior quantità dei mostri generi che per lo avanti. Invece peraltro di profittare giudiziosamente di questi van- taggi, abbiamo scelto quel momento medesimo in cui il Ù 6r ‘ritorno della pace gli aveva posti in grado di entrare con moi in concorso in vari rami d’ industria, dei quali ave- vamo goduto il monopolio; per aumentare le. difficoltà d’ introdurre il grano e gli altri generi greggi nel nostro paese, i quali potevano essi somministrarci nel modo il più facile. Così col ricusare di accettare i soli equivalenti che potevano offrirci in cambio delle nostre manifatture , ab- biamo loro tolti tutti i mezzi di divenire nostri avventori, e fatto di tutto per costringerli a lavorare per loro stessi. Non cerchiamo dunque di scusare la grossolana incapacità dei nostri ministri attribuendo questi disordini ( conse- guenze necessarie della loro cieca e perversa politica ) alle ammirabili invenzioni dei nostri meccanici, ed alla abilità ed.industria dei nostri artigiani. Riconoschiamo che senza queste loro invenzioni; tutte le angustie che ora ci circon- dano ‘sarebbero state dieci volte più gravi. Ma è stato osservato che qualunque vantaggio potesse ottenersi dall’ adottare un sistema più libero di commercio sarebbe. stato questo temporario , e che la facilità delle manifatture era presso di noi aumentata di tanto; che ave- ano ;in: poco tempo ripieni tutti i mercati del mondo. Questa! supposizione è per vero dire molto improbabile. Supponendo in fatti che Je nostre macchine così perfezio- nate potessero lavorare una tal quantità di cotone da for- nirne tutti i mercati dell’ universo, e abbassare anche il suo prezzo al disotto di quello della mano d'opera, e che per questo ? Potrebbe egli esser durevole questo stato di ‘cose 2 L'interesse medesinio dei fabbricatori non suggeri- rebbe toro di subito )''espediente di. separare parte dei loro capitali, ed impiegatla i in altra specie d’ industria ? Quando si dia piena ‘esecuzione ai principi inconcussi del liberto commercio, le richieste dei nostri generi saran- no» costanti. Più non risentiremo gli effetti di una. mag- giore: o: minor:raccolta, che ora tanto influiscono sul’ nostro commercio. E se avvenisse che nel corso di due o tre anni 62 non avessimo potuto fare vantaggiosamente esito del nostro cotone; lana ec. questo sarebbe un indizio che la loro quantità è divenota eccedente; e mon essendovi’ fondate speranze di un aumento di smercio yi fabbricanti più non attenderebbero come adesso con scapito a questo Lraffico. Le manifatture .di cotone diminuirebbero in numero; e risalirebbe perciò il loro prezzo. iii Tuttavia, può sempre obiettarsi | chel in un sistema libero di commercio potrebbe avvenire che non :solo si fibbricasse troppo di una ; ma di tutte le diverse qualità di manifatture ricercate dagli stranieri. Ma: supponendo anco vero il. caso, non abbiamo per questo muotivo di dubitare che l'aumento d’ industria: non debba ‘essere ac- compagnato:da un grande \e continuo guadagno. Seli paesi stranieri non possono somministrarci quei generi \che de- sideriamo avere in cambio delle cose, mandate fuori, dob- biamo abbandonare il traffico delle medesime, e lavorare noi stessi quelle che vorremmo avere dagli altri. Ora la questione ( se questione, può farsi su tal proposito ) si riduce a. sapere se sia 0. no di nostro vantaggio il poter «procuratci questi generi a basso prezzo. Si supponga che si abbisogni di dieci millioni di misure di grano forestie ro, e che non se ne possa avere che otto millioni. È egli possibile porre in dubbio esser per.noi utile il. poter pro- cuvarci colla minima spesa quei generi coi quali: dobbiu- mo pagare gli otto millioni di misure? Quanto minor: ca- pitale e fatica impiegheremo nel produrre quei lavori che mandiamo agli stranieri, tanto più ne rimmartà per procurare a noi medesimi quello di cui abbisognamo in casa. Se prima richiedevasi. il lavoro di trecento mila uomini per: formare tanti capitali onde acquistare glivotto millioni di misure di grano e se per mezzo delle imac» chine e di una maggiore industria il lavoro di cento. cin- quanta mila basta a dare l’istessa somma, vi. saranno centocinquanta mila braccia libere da potersi impiegare 63 nell’agricoltura , e nel lavoro di quei generi che non pos- siamo ottenere dall’estero. Il commercio cogli stranieri è utile in quanto che un paese col mandar fuori i prodotti sui quali gode di particolari vantaggi, può introdurre quel- li nei quali i vantaggi sono dalla parte dello straniero. Ma per rendere costante questo utile ec. è già necessario impiegare tutto il capitale di un paese in questi soli rami d’ industria. L’ Inghilterra può somministrare tele di co- tone migliori ed a minor prezzo di ogni altro paese; ma chi vorrà sostenere per questo ch’ ella non debba lavora- re altro che cotone? Ove ella potesse mai lavorare la me- desima quantità di cotone di adesso con un decimo di fatica e di spesa, non è egli vero ch’ella potrebbe allora estendere prodigiosamente i suoi rami d’industria, ed applicarsi a molti altri generi di manifattura ? Ma viene obiettato che questa industria non sarebbe posta in opera tutta quanta , ed essere impossibile che in un lavoro risparmiar si potesse un millione e mezzo di persone con fondate speranze, e che le dimande di altri generi di manifattura potessero aumentare in tal modo da dare impiego alle braccia rimaste senza lavoro. Sicco- ‘me a questa obiezione è stato dato gran peso ed è stata riprodotta in mille differenti forme, sarà conveniente esa- minarla un poco a lungo. E in primo luogo fa duopo osservare che un per- fezionamento nella manifattura dei cotoni, il quale ne ri- ducesse il prezzo nove decimi minore , vale a dire che rendesse un decimo di capitale e di lavoro capace di produrre la medesima quantità di generi, non potrebbe aver l’effetto di lasciare gli altri nove decimi senza alcun uso. Lo smercio delle tele di cotone lungi dal mantenersi l’ istesso, in tal caso sarebbe molto aumentato. Quelli che traggono dalla fatica la sussistenza , e che in confron- to degli altri vivono molto ristretti in ciò che riguarda le cose necessarie e di lusso, formano il maggior numero 64 degli abitanti d’ogni paese. È stato notato che una dimi- nuzione considerevole nel prezzo di un genere ne aumenta sempre lo smercio in una proporzione molto maggiore. E ciò è appunto-avvenuto nelle manifatture dei cotoni. Non si potrebbe forse citare alcun ramo d’industria ove siasi tanto facilitata la mano d’opera; eppure è certo che il maggiore smercio , conseguenza d’ ogni nuo va invenzione per cui si rispiarma fatica e. spesa , ha fatto sì che siasi sempre impiegato un maggior numero di braccia, Pertan- to non vi è motivo di credere che altre simili invenzioni abbiano a produrre in seguito effetti diversi da quelli ottenuti fin qui. L'abbassamento di prezzo da noi supposto darebbe ai nostri cotoni una decisa superiorità in tutti i mercati del mondo. Tenterebbero invano gli stati stra- nieri di proibirne l’accesso. Le mercanzie a buon mercato indubitatamente si fanno strada a traverso d’ ogni barrie- ra. E per servirmi del vero ed energico detto del signore Tosiah Child; « Coloro che possono fare acquisto di un genere a basso prezzo, vorranno o in un modo o in un altro procurarselo ; tanta è la forza, la penetrazione e violenza che racchiude in sè il corso libero del commercio. » Ma noi andiamo in secondo luogo più avanti , e so- stenghiamo che i vantaggi prodotti dalle macchine non dipendono come vuole il sig. Malthus dall’ aumento di smercio per la diminuzione del prezzo dei generi. Tali van- taggi sono ugualmente grandi anche nei casi nei quali un tale aumento non avesse luogo. Suppponendo che il prezzo delle tele di cotone fosse ridotto a un decimo; rimanendo il loro smercio sempre lo stesso , è cosa certa che i nove decimi del capitale e dell’industria impiegata nelle loro manifatture, rimarrebbero inutili in quel traffico; ma non è ugualmente certo che vi sarebbe un aumento proporzio- nato di smercio nelle produzioni di altri rami d’industria? I capitali per mezzo dei quali i compratori acquistavano antecedentemente le tele di cotone ad un maggior prezzo; 65 non sarebbero sicuramente diminuiti per la maggior faci- lità di lavorarle. Essi avrebbero sempre la medesima rendita di cui servirsi, e la medesima somma da spendere. Vi sarebbe questa sola differenza; che un solo decimo della somma prima necessaria per provvedersi d’una suf- ficiente quantità di tele basterebbe ora a tal uopo, e che gli altri nove decimi potrebbero servire all’ acquisto di altre specie di mercanzie; noi diciamo potrebbero servire perchè per quanto si possa avere a sufficienza d’ una tal merce particolare, è impossibile che di tutte si possa esser forniti in modo da appagare il nostro desiderio. Nec croesi fortuna unquam, nec persica Regna Sufficent animo. — La parte di rendita rimasta libera dopo il deprezia- mento dei cotoni non sarebbe lasciata stare oziosa s'e né sarebbe indubitatamente fatto uso per acquistare altre cose. Sicchè il totale dello smercio non sarebbe in conto alcuno diminuito. Tutti i capitali e l’industria non più impie- gata nella manifattura dei cotoni potrebbe rivolgersi ad altri lavori , onde ne risulterebbe un uguale aumento di traffico. E dopo il tempo necessario per porre in piede questi nuovi, traffici, la mano d’ opera ritornerebbe in credito come per lo avanti, ed ogni individuo potrebbe possedere dieci volte più tele di cotone di prima coll’istes- sa opera , e coll’istessa quantità di quei generi il cui va- lore non abbia sofferta diminuzione. Tuttavia è stato opposto ( Sismondi, nouveaux prin- cipes, tome 2. p. 325. ) che quando le macchine si applicano a quei lavori prima eseguiti dalla mano dei lavoranti, il prezzo della manifattura raramente o giammai è diminuito di tanto da star di fronte agli stipendi che davansi ai lavoranti rimasti senza impiego. L’ invenzione di una macchina, dice il sig. Sismondi, che producesse nelle tele un ribasso del cinque per cento, torrebbe l’im- piego a tutti i tessitori e filatori di cotone dell’ Inghil- 66 terra, ed il traffico aumentato per questo piccol risparmio, somministrerebbe lavoro solo a una ventesima parte delle braccia rimaste oziose ; dimodochè ove avesse luogo un perfezionamento di questo genere, la maggior parte di queste persone dovrebbe morir di fame , quando non fos- se in altro modo ad esse provvisto. Ma in questo computo il sig. Sismondi ha trascurato uno dei più importanti elementi, non facendo caso del costo di queste macchine. Se come il sig. Sismondi ha tacitamente supposto, non avessero recato alcuna spesa ; se come l’aria atmosferica fossero un dono spontaneo della provvidenza, nè si ri- chiedesse alcuna fatica per costruirle, allora invece di es- sere i prezzi diminuiti del cinque per cento si ridurrebbero a nulla, e tutto il contante impiegato nella compra de’ coto- ni sarebbe or disponibile per l'acquisto di altri generi. Ma se col sostenere che l'invenzione delle nuove macchine ha diminuito il prezzo delle tele di cotone del cinque per cento , il sig. Sismondi , come è di ragione, intende che ventimila lire investite in una di queste machine darà il medesimo frutto che ventunmila lire darebbero poste in commercio o impiegate nella costruzione delle antiche macchine , è chiaro che 2°791 di tutto il capitale per lo avanti impiegato nella manifattura di cotone, sarà ora speso nella costruzione delle macchine; ed il ventunesimo rimanente di detto capitale formerà un fondo per mante- nere i lavoranti in altre manifatture, delle quali atteso il ribasso del cinque per cento nel prezzo dei lavori di coto- ne, deve essere infallibilmente aumentato lo smercio ed il consumo. Iu tal caso lungi dal rimanere privi d’impie- go 2°%a1 dei lavoranti, neppure uno vene sarebbe in questa situazione. Ma sicconie questo ragionamento riposa sulla supposizione che le macchine durino un anno solo, il sig. Sismondi potrebbe sempre obiettare che se durassero dieci o venti anui, vi sarebbe sempre una mancanza di lavoro. Vero si è per altro che accade tutto il contrario, ed in; 67 ‘wece che diminuiscano i lavori aumentano questi secondo che sono le macchine più durevoli. Supponghiamo che si , guadagni il dieci per cento; ove un capitale di ventimila lire sia investito in una macchina di un anno di durata; i lavori prodotti da essa debbono vendersi 22000 lire , cioè 2000 come guadagno, e 20000 per rivalersi del prezzo della macchina. Ma se la macchina durasse dieci anni, allora i lavori prodotti invece di vendersi 22000 lire si darebbero per 3254 lire, cioè 2000 lire come guadagno, e 1254 lire per accumulare in dieci anni una somma da star di fronte al capitale primitivo delle venti mila lire. Di qui si vede che adottando una macchina di tal valore che durasse dieci anni invece di uno , il prezzo dei lavori prodotti da essa sarebbe ridotto ad un settimo circa di quello di pri- ma. I consumatori delle tele di cotone atteso il proporzio- nato aumento dello smercio di altre manifatture, darebbe- ro immediatamente impiego a $7, delle persone rimaste senza lavoro. Ma questo non è il solo effetto che si otter- rebbe. Il proprietario della macchina avrebbe alla fine del primo anno oltre l’ordinario guadagno sul suo capita- le, un aumento di rendita di 1254 lire, o ?/,6 del valore della sua macchina, il quale aumento in un modo o in un altro egli spenderà in pagare stipendi; alla fine del secondo anno questo aumento di rendita sarebbe circa a ‘/8 del valore della macchina, e negli ultimi anni i la- vori lungi dall’ essere diminuiti sarebbero anzi quasi raddoppiati. | Da ciò pertanto consegue che il perfezionamento del- le macchine non può in conto alcuno diminuire i lavori nè scemare gli stipendi. Le macchine introdotte in un traffico procurano ai lavoranti disoccupati un ‘numero uguale o maggiore di impieghi in altri mestieri. La sola difficoltà che da ciò deriva, è l’ essere il lavorante tal- volta costretto a cangiar di mestiero. Ma questa non è molto grande. Ad una persona abituata agli esercizi d’ in- T.X. Maggio 5 68 dustria ed applicata ai lavori, non riesce difficile di passare da un,;impiego ad un altro. I diversi rami delle arti industriose hanno tante parti comuni fra loro, che un individuo perfezionato in una di esse raramente trova difficoltà a perfezionarsi in qualunque altra. Un tessitore di cotone diviene facilmente tessitore di panni di lana o di lino, ed in poco tempo un fabbricante di aratri im- para a costruire macchine per altri usi di agricoltura. Tuttavia il sig. Malthus non sembra soddisfatto di questo ragionare. « Nel ritirare il capitale , egli dice, da un uso per impiegarlo in un altro, vi è quasi sempre una perdita considerabile. Anche quando l’intiero avanzo del capitale potesse immediatamente impiegarsi, non produr- rebbe l’istesso effetto. Giacchè per quanto potesse dare un maggior utile , non procurerebbe la medesima quanti- tà di lavori come prima, e a meno che non si accrescano le persone di servizio, vi saranno moltissimi privi d’im- piego. Quindi è che la possibilità di ottenere dall’ intiero capitale I’ esercizio dell’ istesso numero di braccia, dipen- derebbe evidentemente dalla circostanza in vero rara di ritirare i capitali vacanti senza diminuzione dal loro primo uso, e trovarne tosto uno equivalente al primo ». ( Principles of Political economy, p. 404 ) Il sig. Malthus intende con questo concludere, che per quanto i lavori non fossero diminuiti a cagione d’ una maggior facilità delle manifatture, giacchè egli conviene che una tal diminuzio. ne non accaderebbe, pure a menochè tutto il capitale rimasto inutile per tali invenzioni non fosse investito in qualche altro ramo di commercio , non vi sarebbe alcun modo di supplire alla mancanza di traffico, e d’impiegare il medesimo numero di braccia come per lo avanti. Ma questa obiezione riposa sopra uno sbaglio in cui sembra impossibile che un economista così abile come il sig. Malthus sia mai caduto. La possibilità che ha un fabbri- cante di dare lavoro e impiego a persone non dipende 5) 69 da tutto il suo capitale, ma da quella parte soltanto ch'egli ha in circolo. Un capitalista che possiede cento macchine ‘a vapore e 50000 lire di denaro in circolo, non dà più di lavoro nè impiega un sol uomo di più di un altro il quale ‘non ha alcuna macchina , e sole 50000 lire di cui si serve per pagare stipendi. Questo capitale tuttavia potrebbe es- sere impiegato in altro modo, e siccome il numero delle persone con esso stipendiate dipende sempre dalla sua quantità e grandezza, non può esser vero che quando i capitali sono trasmutati da un impiego in un altro molise persone rimangano disoccupate. Non può invero negarsi che nel ate ferire un capita- le da un traffico ad un altro traffico, non venga a perdersi il guadagno di quella parte di esso che rimane senza uso. Ma avrà per questo lo stato autorità d’ impedire il perfe- zionamento delle macchine solo perchè le rozze macchine antiche non rimangano inutili, ed inutile il capitale in esse impiegato? Poche persone scapiteranno, ma la società in ge- nerale è sempre sicura di guadagnare molto adottando;tutte quelle invenzioni che tendono a risparmiare la fatica. Ab- biamo già dimostrato che nè il potere uè il volere compra- re possono esser diminuiti per un perfezionamento delle macchine ; e siccome la somma dei lavori dipende dalla quantità ù capitale in circolo che può essere trasferita senza scapito, è chiaro che detti lavori non possono sce- mare. Gli stipendi della mano d’opera si manterrebbero gli stessi come per lo avanti, ed atteso un ribassamenio nel prezzo dei generi, questi potrebbero cambiarsi con una maggior quantità di cose necessarie ed utili alla vita. Si rende di quì manifesto, per quanto ciò possa essere con- trario alle più comuni opinioni, che un perfezionamento delle macchine è sempre più vantaggioso al lavorante che al capitalista, attesochè in qualche caso particolare ne può nascere per l’ ultimo diminuzione di guadagno e di capi- tale fruttifero , mentre una tal circostabza non può in al- 50 cun caso abbassare gli stipendi del: lavorante , i quali ri- guardo al minor prezzo dei generi saranno anzi come resi maggiori, e migliorata perciò la sua condizione. Noi concediamo al sig. Malthus che se le dimande delle nostre tele di cotone e di altre manifatture per parte degli stranieri venissero ad un tratto a cessare, sarebbe as- sai difficile, e forse impossibile trovare un uso ugualmente vantaggioso. e per il capitale , e per le braccia rimaste o- ziose (Principles of Political economy, p. 411). Ma per quanto sia questa una buona ragione per renderci molto cauti intorno all’ adottare tali misure che possano porre i nostri avventori esteri nella necessità di dover lavorare essi medesimi ed indurli a forza a escluderci dai loro mercati, mon possiamo intendere come ciò possa aver fatto dubitare il sig. Malthus dei vantaggi che si ritrag- gono dal perfezionamento delle macchine. Eppure siamo sempre d’ avviso che aumentata la facilità dei lavori, ne consegua sempre un bene tanto in un paese circondato da un muro di bronzo secondo l’ idea del vescovo Berkeley, quanto in un paese che commerciasse con tutto il mondo. Non possiamo avere altra causa per mandar fuori le no- stre tele di cotone e gli altri lavori, se non il desiderio di cambiarli con quei generi che più ci piace di ottenere dall’ estero. Può darsi per altro che gli stranieri neghino di darceli in baratto delle nostre tele di cotone e di altri generi ; e allora è chiaro che noi, o dobbiamo offerir loro in cambio altre mercanzie facili ad essere acquistate da essi come equivalenti , o se ciò è impossibile, fabbricare da noi medesimi quei generi che desideriamo possedere. Ora supponendo che noi fossimo costretti ad appigliarci a quest’ ultimo partito , e che invece di far venire i vini di Portogallo , gli zuccheri dall’ Indie occidentali, ed il gra- no dalla Polonia , dovessimo ricavare questi generi o si- mili dai nostri terreni, può egli mai dubitarsi se fosse vantaggiosissimo il ritrovare un modo onde ottenerli al- 71 l’istesso o a minor prezzo di prima? Il sig. Malthus ha invero dichiarato che non vi ha luogo a sperare tali van- taggi, e noi non vogliamo entrare in disputa con lui su questo particolare , nè cerchiamo se la cosa sia possibile o no, ma se sia di grande e speciale utilità ottenerla an- che in parte. Se le arti fossero giunte a un medesimo grado di per- fezione in diversi paesi, le manifatture si troverebbero a miglior mercato e in più abbondanza in quelli che godes- sero di un commercio più esteso con l'estero. Per procac- ciarsi certe particolari, cose può una nazione commer- ciante trar profitto da tutti quei doni naturali che la provvidenza ha concessi ad altri paesi, e comprarli a un prezzo assai minore che facendoli nascere nel proprio. Ma le difficoltà naturali contro cui un paese senza commercio deve contrastare, possono essere o in parte, oppure in tut- to superate da un raffinamento d’arte. Per tali generi che è impossibile procurarsi direttamente si posson trovar .succedanei, ma per ottenere gli altri la sola industria ed ‘abilità dei manifattori può essere utile, e più che contra- bilanciare gli svantaggi di un terreno ingrato e di un clima sfavorevole. È chiaro perciò che le invenzioni che facilitano le manifatture , lungi dall’essere dannose a quei paesi che mancano di commercio coll’ estero come il sig. Malthus vorrebbe farci credere, sono anzi più vantaggio- se. Se si potesse ottenere fra noi un vino così buono ed a così poco prezzo come quello che ci viene dalla Fran- cia , poco ci gioverebbe una tale scoperta nello stato at- tuale di commercio fra queste due nazioni. Ma se questo commercio fosse interrotto , e fossimo esclusi da quei mercati ove si vende tal vino, l'invenzione diverrebbe utilissima. Mille di questi esempi potrebbero citarsi, dai quali sempre resulterebbe che il pregio d’ una invenzione è tanto maggiore , quanto è maggiore la difficoltà di ri- correre ai mercati forestieri. (a Quindi è che la maggior facilità di produrre non può essere mai dannosa, ma è sempre anzi accompagnata da sommi vantaggi. Può darsi il caso che troppo si produca di un genere, ma è impossibile che si produca troppo di tutti, giacchè ad ogni eccesso di uno di questi vi corri- sponde deficienza di un altro. Lo sbaglio non sta nel pro- dur troppo , ma nel produr cose che non si adattano ai gusti di coloro con i quali desideriamo permutarle, e che non possiamo consumare noi stessi. Attendendo bene a queste due gran cause, possiamo accrescer | industria mille, o un millione di volte, ed essere tanto esenti da ogni rigurgito, come se l’avessimo nell’ istessa proporzione diminuita.Chiunque possiede merci può con esse acquistar- ne altre. Supponendo per altro che invece di portarle al mercato volesse ogni fabbricante consumarle da sè stesso, allora non vi potrà essere ristagno alcuno nel commercio, e sarebbero ben presto esaurite. Ma se non le consuma egli medesimo e le offre ad altri in baratto di differenti generi , in questo caso, e in questo caso soltanto può av- venirne un ristagno. E perchè ? Non certamente per causa d’ un eccesso di produzione, ma perchè i fabbricanti non seppero adattare i loro mezzi ai fini che si erano proposti. Essi abbisognavano per esempio di drappi di seta ed of- frivano loro in cambio tele di cotone, nel tempo che i pro- prietari dei drappi erano a sufficienza forniti di tele di cotone, e mancanti di panni di lana. In conseguenza. la causa del rigurgito non dipendeva evidentemente da un eccesso di produzione, ma dall’aver fabbricato tele di cotone che non erano richieste, invece di panni di lana. Si corregga quest’ errore , e presto sparirà il ristagno. Ma può obiettarsi esser possibile che i proprietari delle sete sieno forniti non solo di tele di cotone, ma eziandio di panni di lana e di tutte quelle merci che possono essere da altri loro offerte in baratto. In risposta a questa diffi- coltà basterebbe forse il dire essere sommamente impro- babile e quasi impossibile una tal combinazione di cose, mà noi non vogliamo ricorrere a questo pretesto, ed evi- tare di ribattere un’obiezione che ci vien fatta nel modo il più formidabile. Noi concediamo che sia possibile il caso, ma neghiamo che ciò porga neppur l’ ombra di ragione per dubitare dei principii da noi stabiliti. Coloro che ab- bisognano di drappi di seta e non possono procurarseli dando in cambio panni di lana ed altre merci di cui son forniti superiormente ai loro bisogni, hanno alle mani un rimedio facilissimo ; abbandonino i loro primi mestieri, e si pongano a fabbricare da loro stessi i drappi di seta che desiderano. Il far questo e fabbricare altre manifat- ture sta sempre in loro facoltà , ed abbiamo fatto vedere che nel cangiar di arte, tutta quella porzione di capitale destinata a mantenere i giornanti , può essere permutata senza la più piccola perdita. Pertanto, o sia che il paese abbia o non abbia commercio co’ suoi vicini, o sia che lo smercio dei generi possa o non possa essere accresciuto , in tutti i casi la maggior facilità di produrre è sempre esente dal più piccolo danno. Per l’ istessa ragione potrem- mo asserire che la maggior fertilità di terreno e salubrità d’ aria fossero dannose. In tutti i casi il ristagno nel com- mercio sempre dipende dal non sapere impiegar bene l’ industria , e scegliere i mezzi più convenienti per otte- nere certi fini determinati, E per rimediare efficacemente a questo male non credo che si debba ricorrere a misure capaci di aumentare il prezzo dei generi, ma ad un siste- ‘ma di governo libero e saggio. Se noi a poco a poco adot- tassimo questi sodi principi, e non procurassimo di pro- movere e incoraggire un’arte a preferenza di un’altra, in tal caso gli errori nelle nostre speculazioni commerciali sarebbero più rari, e più presto corretti. Fin qui ogni qual volta un ramo d’industria ha assorbito troppo capitale, invece di aspettare che da sè stesso si proporzionasse allo smercio , il governo vi ha sempre preso parte , ed ha im- 74 pedito che si ripristinasse quell’ equilibrio che può essere talvolta disturbato dal troppo ardore degli speculatori, e che abbandonato a sè stesso si sarebbe facilmente rista- bilito. A quest’intervento del governo negli affari di com- mercio , intervento che sempre invoca il sig. Sismondi, debbono attribuirsi quasi tutte le cause dei disordini che noi in questo proviamo. Le leggi che vincolano e ristrin- gono il commercio hanno ridotto questo paese in uno stato non naturale, e posti i nostri affari sopra basi poco stabili. Così le nostre leggi frumentarie hanno fatto salire il prez- zo ordinario del nostro grano al doppio di quel che costa negli altri paesi, ed hanno con questo impedito che sia trasportato fuori anche negli anni di abbondante raccolta, finchè il suo prezzo non sia caduto cento, e cento cin- quanta per cento al disotto delle spese di coltivazione , e finchè gli agricoltori non sien venuti affatto in miseria , come accade per l’ ordinario. Ogni artificiale impulso , qualunque possa essere il suo effetto momentaneo sul ramo d’ industria a cui è diretto , è ben presto dannoso agli al- tri, ed in ultimo anche a quello stesso. Nè regolamenti arbitrari, nè leggi possono aggiungere un solo picciolo alla ricchezza ed alla industria dello stato, ma solo que- sta dirigere falsamente per una strada ‘non naturale. Inol- tre, poichè molti capitali saranno stati impiegati in queste nuove specie di traffico, ne deve nascere necessariamente un ristagno. Può darsi il caso che non possa esitarsi il di più ai forestieri, e che il cangiamento di moda e la. vo- lubilità del gusto dei consumatori del paese faccia cessare Jo smercio; in tal caso i magazzini saranno sicuramente ripieni di generi, che essendo libero il commercio non sarebbero stati giammai fabbricati. L’ignorante sempre at - tribuisce tali disordini alla eccedente quantità di prodotti. È ben vero per altro che tali disordini fanno ad eviden- za conoscere diminuzione nell’industria, e di essere le conseguenze necessarie ed inevitabili di quei nostri per- i "5 niciosi regolamenti, dai quali vien corrotto e disordinato il naturale e florido stato della pubblica economia. L'altra parte del nostro tema non richiederà che ragionamenti in confronto più brevi. Dopo aver dimostra- to, e per quanto crediamo ad evidenza, che nelle arti una maggior facilità d’ opera è sempre vantaggiosa , si rende ora più agevole il dimostrare che un aumento di fondi per dar lavoro agli operai, o sia un risparmio di spesa ed un aumento di capitali, deve essere utile ugualmente. Per dimostrare il vantaggio che nasce da’ suoi consu- matori oziosi, il sig. Malthus pretende che il consumo fatto | dalle persone industriose o impiegate nell’ arti utili, non può essere un motivo bastante per indurre ad accumula- re ed impiegare capitali. ( Prirciples ec. p. 352. ) Ora essendo generalmente convenuto che le rendite delle classi oziose debbono sempre direttamente o indiretta- mente nascere da quelle delle classi industriose, la pro- posizione del sig. Malthus riducesi in sostanza a sostenere che se tutto il prodotto del lavoro appartenesse al lavo- rante e al fabbricante, la società non potrebbe giammai progredire, e niuno di loro accumular capitali, essendo necessario perchè questo succeda che. s’intrometta fra loro una persona la quale si appropri una gran parte del lavoro senza avervi punto cooperato. Noi possiamo; assicu- rare i nostri lettori che questa conseguenza non è pento forzata, ma nasce naturalmente dell principio del sig. Malthus, e senza di essa non avrebbe alcun sostegno la sua teoria. Se il sig. Malthus avesse detto che il consumo fatto dagli operai impiegati nelle manifatture , nel caso che solo per questi dovesse servire tutto il lavoro, non è un motivo bastante per indurre i capitalisti ad accumulare ed impiegar denaro; egli avrebbe parlato molto savia- mente. Tuttavia è sempre per noi malagevole l’ immagi- mare come uno stato così disgraziato di cose potesse essere 76 migliorato coll’ intervento di un terzo, per esempio di un gabelliere, il quale non avendo avuta parte alcuna al lavoro potesse non pertanto appropriarsi una parte del pro- dotto. Ma ciò è estraneo al soggetto. Qui non si cerca se si possano accumular capitali quando i lavoranti consuma- no l’intero prodotto di lor fatica, giacchè in tal caso tutti gli economisti convengono essere ciò impossibile; ma bensì se il traffico possa sostenersi quando il lavorante divide il suo lavoro col solo padrone. E questo è indubita- tamente possibile. Supponghiamo che il bracciante consu- mi quattro quinti del lavoro, e che l’altro quinto rimanga al proprietario il quale, o se ne vale per uso proprio, o lo aggiunge al suo capitale per impiegare un maggior numé- ‘ro di lavoranti nell’anno prossimo. È chiaro ad evidenza che un paese così costituito potrebbe prosperare aggiun- gendo costantemente nuove somme al suo capitale, ed impiegando sempre un maggior numero d’uomini, purchè la popolazione aumentasse nell’ istessa proporzione. Se questa non crescesse coll’istessa rapidità del capitale gli stipendi diverrebbero maggiori, e la classe degli operai in vece di esaurire i quattro quinti o l’ ottanta per cento del prodotto della loro industria, potrebbe esaurirne an- che i 19720 0 il 95 per 100. In un paese composto soltanto di capitalisti e manifattori, dove i lavori fossero ridotti a molta facilità, e dove non si conoscessero imposizioni di sorte alcuna, il predominio di un forte spirito d’economia e il desiderio d’accumulare condurrebbero probabilissima- mente a quest’ effetto. Non vi è però motivo a temere che l’aumento degli stipendi e la diminuzione dei guadagni possa giungere tant’ oltre, da impedire ogni ulteriore pos- sibilità d’accumulare. L'aumento degli stipendi potrà. dare per qualche tempo un forte impulso alla popolazione, ma dopochè questi saranno giunti a tanto da consumare la maggior parte del profitto dei capitalisti , allora i capi- tali si accumuleranno in una proporzione assai più pic- 77 cola, ed i lavori andranno continuamente diminuendo , finchè la loro diminuzione, e quella del consumo fatto dagli artisti avranno congiuntamente ricondotti gli stipen- di al loro conveniente livello. Quindi è che un tal paese potrebbe sempre aumentare in ricchezza e popolazione, senza che vi si fosse sentito parlare giammai di classi oziose. È ben vero per altro che il guadagno non sarebbe sempre diviso nell’istesso modo, talvolta il lavorante ne avrebbe una parte maggiore, ed ora una minore. Nel pri- mo caso la sua condizione o sia quella della maggior parte degli abitanti, sarebbe al sommo grado di prosperità; nel secondo egli avrebbe il contento di sapere che ciò che egli ha scapitato viene ad essere accumulato come capi- tale, ed in luogo di essere dissipato nel costruire accampa- menti ed in uniformi militari, è adoprato nel promuo- vere l'industria, e nell’accrescer quel fondo dalla di cui ricchezza dipende sempre l’impiego delle braccia. Pretende il Sig. Malthus ( Principles ec. p. 31. ) che quella parte di rendita risparmiata e posta da parte per accrescere il capitale sia così perduta come la polvere nei fuochi di gioia. Ma in un caso essa è consumata da persone che colla loro industria riproducono più di quel che consumano , e nell’ altro da persone affatto oziose. È fuor di dubbio esser talvolta utile e necessario che que- sto secondo caso si avveri; ma il sostenere che ciò contri- buisca all'aumento della ricchezza nazionale , è lo stesso che dire che questa ricchezza sarebbe aumentata gettan- done parte in mare. i Ogni qual volta abbiasi il potere, la volontà di con- sumare non mancherà mai. La vera difficoltà non consiste nel mangiare un buon desinare , ma nel comprarlo. Ove sia l'industria bastantemente incoraggita , il jconsumo ne conseguirà necessariamente, ed il sig. Malthus può ces- sar di temere che senza grandi spese del governo noi do- vessimo aver sempre un continuo rigurgito nel commercio. 58 In ogni caso noi non dobbiamo lasciarci illudere ‘dalla sua autorità, nè darci a credere-che possano le tasse promuovere dti csi e siano di qualche vantaggio per la classe degli artisti. È, pur troppo vero che non sene può fare a meno, ma quanto più piccole sono, tanto meno dannose. « a meilleur de tous les plans de: finance est de depenser peu, et le meilleur de tous les impòts est le plus petit. » Quando un agricoltore è sicuro di poter cambiare il grano che gli avanza coll’ opera dell’ altrui braccia, ed acquistare così generi e merci che possano abbisognargli, aguzzerà la sua industria, e si sforzerà di fare maggiori raccolte. Ma si otterrà egli un tale intento togliendogli la metà o la terza parte del suo lavoro per mantenere qualche inutile reggimento, qualche ozioso benefiziato o qualche prostituta ? Dobbiamo noi creder che la speranza di una vita più agiata, più contenta e più onorata, frutto del lavoro, debba essere minore impulso all'economia ed industria, che il desiderio di appagare l’ingorda ed insaziabile rapacità di un gabelliere ? Il sig. Malthus suppone sempre nei suoi ragionamenti che il consumo venisse a cessare ove fossero tolte le tasse. Ma quando questo avviene , la ricchezza di coloro da cui era- no esatte è in proporzione aumentata , ed il consumo è eguale in ambedue i casi. La sola differenza è che una diminuzione di tasse pone in grado i lavoranti di consu- mare una maggior parte dei loro lavori. In conseguenza la loro industria è sempre più stimolata, e questo deve aumentare necessariamente il capitale ed i lavori, come abbiamo già dimostrato. Fin tanto che si fanno lavori adattati all’ uso di coloro coi quali si voglion cambiare o degli artisti medesimi , è affatto impossibile ch’ essi pos- sano essere in eccesso , e quando lo siano, ciò avviene per una falsa speculazione, vale a dire per non aver saputo adattare i mezzi ai fini che ci eramo proposti, e non dal- la mancanza delle tasse. Le tasse di qualunque sorte esse 79 sieno, son sempre un male; e quando son portate al punto a cui furono una volta in Olanda e sono adesso nel nostro paese , divengono secondo la frase del dottore Smith ura disgrazia simile a quella della sterilità della ‘’Verraà3;0 delta. perversità delle stagioni. Pi DM Società formata per la diffusione del metodo di reci- proco insegnamento. — Processo verbale della solen- ne adunanza dei 27 gennaio 1823. Il sig. marchese Pucci presidente aprì l’ adunanza facendo lettura della seguente prolusione: « I nostri regolamenti m’ impongono per l’ ultima volta 1’ onorevole incarico di aprire quell’ adunanza , alla quale voi concorrete , o signori, per rallegrarvi dei pro- gressi dell’ iatvazioha nella classe che d essa più suol mancare; per porre in bilancia la somma dei mezzi da voi somministrati con quella dei bisogni ai quali ha fatto d’uopo provvedere. E per tre volte all’ oggetto medesimo vi ho veduti adunati dopochè voleste accordarmi l’ onore di presiedervi. Il qual onore non per altro motivo fu da me accettato che per il desiderio d’ubbidirvi, e per quello egualmente vivo di occuparmi nel far sì che fosse da noi conseguito il filantropico oggetto prefissoci. Con tali pro- ponimenti io incominciai e continuai quella carriera, che giunta al suo termine sarà fra poco intrapresa da più de- gno successore. Frattanto però reputo essere mio preciso dovere il riandare in pochi periodi i tratti principali della nostra istoria, e i fatti che principalmente debbono arre- | carcì + chitagra 5 < L'invito che pochi di noi fecero ai molti, i quali al Hol si unirono fu facilmente accettato da chiunque Sapea essere una saggia direzione dell'istruzione la mi- 80 i glior via per far beato l’uomo, e doversi sottomettere la gioventù di buon’ ora ai buoni metodi, fra i quali l’ottimo è quello di reciproco insegnamento. Divenuto grande il numero dei nostri colleghi un regolamento interno fu sta- bilito, furono repartite le attribuzioni onde sì ritraesse il vero vantaggio del cresciuto numero , quello cioè di otte- nere dal consiglio e dall'opera di molti , ciò che non potea sperarsi da pochi. Ben presto sì manifestarono nel nostro seno i benefizi dello spirito d’ associazione, i quali tanto ‘più valutabili dovean riescire, poichè erano sviluppati fra i componenti delle prime classi della società. Il misterioso giro dei servigi scambievoli fra le prime ed ultime classi della società vi si spiegò davanti, e facil vi fu di trovar maniera di rendere migliori i doni che voi fate , laonde più pregievoli divenissero quelli che ricevete ; su ì quali miglioramenti son fondate le basi del ben pubblico, te più solide anzi le sole che bastino a conservarlo. I frutti delle vostre premure sono divenuti i migliori argomenti da opporsi all'opinione di coloro i quali suppongono esser dannosa l’ istruzione, e ad essa attribuiscono tutti i danni della società. Vero si è, che ove l'istruzione fosse mal diretta il benefizio potrebbe cangiarsi in danno, ma voi ai quali non potea sfuggire la vista di questo pericolo, di- rigeste i vostri studi più che alla propagazione dell’ inse- gnamento alla direzione di esso. Ecco perchè nelle vostre scuole l’istruzione fu limitata all’ arti di leggere, scrivere, calcolare e disegnare. Era vostra intenzione di sommini- strare agli uomini dei soccorsi coi quali potessero con mag- gior vantaggio mantenersi in quella situazione nella quale vissero i padri loro, per esercitare con maggior profitto quella professione più a ciascuno appropriata. Se questi soccorsi potessero rendere ad un uomo odiosa la sua si- tuazione, se lo spingessero a procurarsene il cambiamento, potrebbe accadere che la mancanza dei mezzi producesse l’immoralità. Quindi è che bene a ragione vi proponeste 81 di educare la classe operante in ‘modo da ridurla affezio- nata al lavoro, industriosa, morale, ed a ottenere tale scopo imponeste dei limiti all’ istruzione che dovea am- ministrarsi nella scuola della società. Il frutto ha corri- sposto pienamente ai vostri desideri; gli alunni non la- sciano l’ istruzione nelle scuole che per correre in una manifattura ad assicurarsi un onesto guadagno. I raggua- gli che giornalmente ci pervengono ci assicurano della buona condotta dei fanciulli educati per le cure della so- cietà, della loro assiduità al lavoro, della loro costanza nell’ intrapresa professione. L’ attenzione e l'esercizio ba- steranno a farli abili manifattori, l'istruzione elementare sarà loro utilissima per raccogliere e conservare i prodotti del loro lavoro; la loro felicità può dirsi assicurata. Di tanti buoni effetti voi avete ben ragione di rallegrarvi; la vostra saviezza , il vostro zelo ne garantiscono la durata , e ove le circostanze sien favorevoli ne promettono 1’ au- mento ». Il sig. marchese Tempi sopraintendente alle scuole aggiunse di quelle il ragguaglio qui riportato. « Allorquando, o signori, guidati dalla più esquisita filantropia , voi vi accingeste a far godere alla vostra. pa- tria il benefizio della istruzione elementare col metodo lancasteriano, non vi nascondeste i molti ostacoli, che dovevano rendere scabrosa oltre modo una tale intrapresa. E fra questi era principalissimo la difficoltà di far gusta- re alla classe idiota i nuovi vantaggi, che potevano pro- curarle una cultura morale insieme, e istruttiva. Per giungere a questo scopo rendevasi sommamente impor- tante il ritrovare dei maestri i quali sappessero bene pe- metrarsi dei vostri principii, e colla ragionata ammini- strazione del loro non facile ministero, adempire il fine che vi eravate proposto : l’ educazione dei poveri » . « Dalle tabelle dimostrative, che ho l’onore di porvi sotto gli occhi potrete rilevare i progressi della parté 94 istruttiva, i quali sono tali da sodisfare la nostra espetta- zione. Dalla scuola di Santa Chiara N.° 118. fanciulli sono usciti nel decorso anno dopo aver terminato il corso della loro istruzione , e N°. 23 dall’ altra più piccola di S. Za- nobi. Il numero degli alunni di questa scuola è adesso doppio di quello , che era al 31 dicembre 1821. » « Voi, o signori, che ben conoscete il nostro metodo, sapete doversi ad esso attribuire i progressi degli alunni nella parte istruttiva , giacchè il sistema analitico sul qua- le è basato rende facile e piana la via all’ istruzione per le menti anche le più torpide. Non così peraltro è la parte morale: se miglioramenti reali si ritrovano in quella, alle vostre paterne sollecitudini prima di tutto sono essi dovuti, e poscia alle cure indefesse degl’ istitutori . Voi mettendo nelle mani di questi dei mezzi più che sufficien- ti, avete voluto, che non solo fossero maestri di scuole elementari, ma che divenissero educatori. Sì tale è l’ im- portanza di questa carica , che fa d’ uopo ai medesimi di gran criterio, molta perseveranza , e di una illibatezza di costumi tale da ottenere non solo il rispetto e l’ amore degli alunni, ma ancora la fiducia dei loro genitori. È ne- cessario ch’ essi adoperino ogni cura per osservare le abi- tudini dei fanciulli nell’interno delle loro famiglie, giacchè è là, che possono scuoprire i germi delle loro buone o cattive inclinazioni , e secondo queste essere poi in scuola giusti ed accorti distributori di premi o di pene. Se al contrario si limitassero a premiare solo il buon contegno nel breve corso della lezione , pregio bene spesso dei più accorti, e non dei più costumati fanciulli, correrebbero rischio di fomentare la dissimulazione invece di incorag- giare i buoni costumi , i quali possono andare accoppiati colla vivacità di carattere. La società può essere sodisfatta delle buone disposizioni che ha riscontrate in quelli che dirigono le sue due scuole; queste buone disposizioni di- verranno, io spero, un giorno dei meriti reali, ove lo zelo z i È 83 loro non si rallenti, e giovare vogliansi dell’ esperienza che vanno giornalmente acquistando , sia nel seguitare con occhio attento le tracce luminose e saggie della vostra filantropia, sia nell’ esercizio del loro ufficio ». « Le notizie, che coerentemente ai nostri regola- menti mi sono fatto un dovere di raccogliere intorno agli alunni insigniti della medaglia di merito, usciti dalle no- stre scuole per passare o ad altre superiori, o a dei me- stieri, sono sodisfacentissime. Dalli stati nominativi di questi fanciulli, che io vi presento, rileverete avere ognu- no di essi mantenuti quei principii di onore, che il nostro metodo aveva sviluppati nei loro cuori ». li sig. marchese Cosimo Ridolfi, uno dei segretari , fece l’istoria dei lavori della società , indicando i buonì resultati che dai suddetti lavori erano derivati, nel modo seguente. È In questa adunanza, la quale da noi sì riguarda come dalle altre mensuali distinta , io sono tenuto a ren- | dervi conto, o signori, dei progressi e degli sviluppi che l’ insegnamento reciproco offerse nel nostro paese dentro il fine dell’anno prossimamente decorso. Quanto mì sia dolce il compiere l’obbligo mio vi sarà facile il supporlo in quanto che non dubbio vi sarà parso lo zelo che mi ha animato nel disimpegno delle incumbenze affidatemi , il quale ove bastato avesse, mi farebbe certa di non aver mal corrisposto alla vostra fiducia ». « Ma senza perdermi in frasi vuote di cose e figlie di consuetudine , permettete che brevemente io vi richia- mi alla mente ciò che di segnalata utilità riuscì al nostro scopo mercè le vostre cure o signori, e non trascuri di | farvi invito a secondare la voce delle nostre leggi relati- - alla nostra organica disciplina ». x Egli è indubitato esser l’ oggetto della società no- stra assai più la pratica applicazione di un buon metodo T. X- Maggio 6 84 | i d’istruzione elementare al vantaggio del popolo , di quello non sia lo studio delle teoriche speculazioni intorno ai diversi metodi d’ insegnamento in genere e in specie. Pure come questi studi servono mirabilmente ad eccitare l’ a- more di quelle pratiche e ad illuminarne la via, così non è da lasciarsi senza una giustissima lode la premura di quelli i quali di tali materie tenendoci tratto tratto giudi- zioso ragionamento, mantengono sebbene indirettamente vivo in noi l’ amore di renderci utili col porgere una gra- tuita e salutare istruzione. Quindi è che vi corre l'obbligo d’ esser grati alle fatiche di coloro che a tal fine dirette, vi furono gentilmente comunicate. Sarebbe in fatti un far torto al vero il non riconoscere in certe speculazioni sebben disapplicate ed astratte il fondamento di quelle massime adottate quindi praticamente, come lo sarebbe parimente il non derivarne da certe idee madri tutti i vantaggi che nacquero da idee secondarie, che sebben lontane da quel- le, pur ne discendono direttamente. È troppo fresca in voi o signori, la ricordanza di simili cose perchè io debba scendere a trattenervi particolarmente di loro, e sarò pago d’averne così dato collettivamente un generico accenno, lasciando in premio all’inventore e all’ applicatore quelle sodisfazioni che a ciascuno comparte il proprio diritto. Ma prima di lasciare affatto questo argomento soffrite che io vi rammenti quel tenue lavoro, che da voi richiesto vi offersi intorno ai vantaggi indiretti recati a certi ordini della civil società dal benefico ritrovato dell’insegnamento reciproco. Ben di voi degna proposizione si fu l’ invitare alcuno a perscrutare l’accennata materia, ma troppo in- sufficiente penna vi adoperaste; essa avrà certo lasciato scorrerè immense lacune nel suo subbietto, ma non quel- la per avventura , la quale per importanza l’ultima non è certamente , l’ educazione sublime figlia dello spirito d’ associazione e di filantropia che ricevono per loro stesse ì 85 le classi superiori del popolo, mentre credono di solo oc- | cuparsi della felicità e dell’ istruzione delle ultime e più numerose ». « È adaltri riserbato di trattenervi mostrandovi e quanto e come abbia fra noi progredito il numero e la popolazione delle scuole, nelle quali è il nuovo metodo introdotto e rigorosamente seguito ; ed io volentieri cedo altrui questo campo, contento di volgermi a farvi cousìi- derare come abbian gettato profonde radici le nostre scuole della città nell'opinione del popolo, in grazia dei nuovi provvedimenti e delle benefiche aggiunte ad essi fatte da voi. Udiste o signori una interessante memoria di S. E. il sig. marchese Lucchesini vostro socio, espri- mente un caldissimo voto onde presa in considerazione l’incontrastabile utilità della vaccina , voleste in qualche modo far dei suoi vantaggi partecipi.i vostri alunni, o ga- rantire almeno le vostre scuole dalle mortifere epidemie del vaiuolo. Nè alle argomentazioni di questo zelantissimo socio mancò l’ appoggio di nuove ragioni ed anco di fatti, poichè di quelle largamente addusse S. E. il principe Dona Tommaso Corsini, e di questi. da me medesimo ve ne furono esibiti dei consolanti in nome del magistrato empolese ». « Fu allora che decideste, o signori, di profittare della gratuita fondazione di un posto di medico ad uso delle vostre scuole , generosamente esibitavi da uno dei vostri soci, onde mandare ad effetto quanto si desiderava intorno ad un modo efficace per preservare i fanciulli da una crudel malattia che minaccia fieramente la loro vita, e per elargire un conforto valutabilissimo a quelli ai quali, ai mali inseparabili dalla loro miseria, si aggiunge quello di una più o meno grave infermità. Al vostro savio provve- dimento, che a buon diritto contava sul pubblico favore , si aggiunse la paterna cura del mostro governo, che si rivolse contemporaneamente a incoraggiare e ad invitare 86 il popolo a meno limitatamente valersi della vaccina; cosicchè voi potete sperare anche un effetto più grande dalle vostre premure per questo concorso di sollecitudine . | e di circostanze ». « E se alla salute fisica dei vostri alunni voi attendeste di questa sorta, non però trascuraste quella morale dei loro cuori , oggetto importantissimo che pur vi sta in pet- to teneramente. Sembrò al vostro senno solo che le rimu- nerazioni date ai fanciulli pel disimpegno delle funzioni di monitore generale o particolare , non meno che i premi in contanti dati ai biglietti di buona condotta, po- tessero talvolta esser male erogati e divenir sorgente di vizio, allorchè senza pubblicità sufficiente ed in epoche in- determinate venissero effettivamente distribuiti a quei fanciulli che avean saputo meritarli. Introduceste perciò l’uso delle distribuzioni trimestrali di questa specie di premi, distribuzioni da farsi contemporaneamente a quel- le dei premi ordinari, e così, effettuate sotto gli occhi dei genitori degli alunni , alla presenza delli scuolari, e riu- niti tutti per onorare coloro che se ne son resi meritevoli, accompagnati dalle ammonizioni del maestro e dalle esor- tazioni di qualche membro della società nostra , credeste assicurarne il buon effetto, nè vi ingannaste, avendolo già l’esperienza dimostrato. ». «Resta adesso ad accennarvi, sebben di volo, l’ obbli- go che vi corre di rinnovare in questa triennale adunan- za alcune fra le cariche della società vostra ». «Vogliono le vostre costituzioni che l’ ufficio di presi- dente e di tesoriere sia da un socio per soli tre anni eser- citato. Trascorso questo periodo della vostra riunione o signori , voi vi trovate ad esercitare il diritto che le leggi vi accordano di eleggere dei nuovi ufficiali ». « Voi conoscete l’importanza delle due cariche; le quali decorosamente e con tutto l'impegno sostenute da due distinti nostri colleghi, fin qui hanno condotto la 87 | società ‘nostra di benè in meglio fino a questo giorno in mezzo a circostanze non sempre felici ». «Chiunque venga scelto o signori, agli onorevoli im- pieghi di vostro presidente e di vostro tesoriere , il nostro corpo morale dovrà esser ben tranquillo sulla sua sorte, come quello che ben conosce come in ciascuno dei membri suoi sia vivo l’amore per la di lui gloria e prosperità, e ciò che più importa, per l’ incremento di quella utilità che il popolo aspetta da noi ». Infine il sig. cav. Gulielmo Altoviti tesoriere dimostrò la situazione economica della società per mezzo dell’unito bilancio. (*) Compite le indicate letture, come i regolamenti im- ponevano l’ obbligo di rinnuovare al termine del decorso anno ultimo del primo triennio le cariche di presidente e di tesoriere , così la società dopo avere espressi nel modo il più solenne i sentimenti della sua riconoscenza a ri- | guardo di coloro i quali avevan fin qui coperte-le cariche suddette , elesse presidente per il nuovo triennio il sig. . marchese Luigi Tempi, e tesoriere il sig. marchese Gino Capponi già vice-presidente, al quale impiego venne so- stituito S. E. il sig. marchese Girolamo Lucchesini. FerpINANDO TARTINI SALVATICI segr. (*) Segue qui appresso. 88 Nifi Ragguaglio dello stato economico della. Società pero la diffusione del metodo di reciproco insegnamento, e dimostrazione dell’ entrata e uscita dal dì 1. gir naio a tutto il 31 dicembre 1822. Il bilancio di quest'anno presenta una diminuzione di spese su quello dell’anno decorso per la scuola di S. Chiara, ed anche per quella di S. Zanobi, se si consideri che nel mantenimento di questa è compresa la pigione dello stabile per quasi intieri due anni. Dai primi anni di esperienza si è profittato di poter adottare il metodo di for- mare annualmente il bilancio di previsione; e per il de- corso anno 1822 le spese effettive essendo state al di sotto delle previste, si ha luogo di concepire le migliori spe- ranze intorno alla nostra economia per gli anni avvenire. USCITA i Diffusione del metodo. Speso nella stampa del giornale, bilancio, lettere Velavalisi + 0/0 pv! Meet ae Speso in diversi. articoli inseriti in gazzetta dalla formazione della società a tutto questo giorno. . . . .. +... « 40. — Per doni fatti in diverse scuole in Toscana. « 69. 16. 8. Speso in far legare in filze le lettere dirette alla soeletà n atta ‘-.° 0 II — — Allo scrivano della società per onorario del mese di gennaio, essendo stato soppres- so detto impiego a detta epoca . . « 7, —— Al bidello, ed esattore per suo onorario a lire;20 il mese... aride Ne AYOR Spese di corrispondenza rt Si ln] L. 652. 3.8. È ka Scuola di Santa Chiara. 89 SPESE —e 0 deli eni PREVISTE EFFETTIVE ORTA — CRI Pigione di un anno a tutto apri- MIRI L39050 — Onorario al maestro . . .. . « 1200.— 1200. — Onorario ai monitori e ispettori i Mie ok, MF Onorario ai monitori di classe « I4o.— 135.8.4 Premi trimestrali. . . . . « 260..— 269.8.4 Spese di carta, penne, inchiostro e Pardellone #1. 00% dre) a TR Spese di libri, stampe ec. .. . « 147.3.4 40. — Spese di utensili per la scuola . « ‘75.15.4103. 3.4 Al maestro per le piccole spese « ‘76. 6.8 76.6.8 Spese per fuoco alla scuola. . « 66. — 32.13.4 Elemosinadi messe le mezze feste « —80.13.4 36. 5.-- Per piccole spese impreviste .. « 40. — ii CIHICSCSSI INI CONCERNENTE L. 2791.18.8 L.2610.9.4 Spese straordinarie Spese per la montatura della stufa LI — — L.103.13.4 Al Morandi per lavori alla monta- tura della scuola . . . . « — — « Utensili per il disegno lineare . « — —, « Tavolette aggiunte al manuale. « — — « GORIZIA 602. — 66. np 12. 6.8 Sommano le spese L. 2791. 18.8 L. 2854.9.4 n o Scuola di-S. Zanobi SPESE n PREVISTE Pigione della scuola dal 16 febbraio EFFETTIVE . | 1821 al 31 dicembre 1822. L. 490. — L. 490. — È | Onorario al maestro . . . « 1200. — Onorario ai monitori e ispettori generali. .. .... . . € 104 — Onorario ai monitori di a 70 Premi trimestrali . . . . « 130. — Spese di carta, penne , inchiostro e bardellone .-. . . .. « 108.10.-- Spese di libri e stampe. . . «79. d.- Spese di utensili perla scuola. « —37.17.8 Al maestro per le piccole spese « __37.13.4 Fuoco per la scuola. . . . « Bolloaàii Elemosina di messe per le mezze pipe te VOLE ORA NS gd. Per piccole spese impreviste + (€ 20. — 1200... — 943.4 | 47.19.8 126. 16.8. 128. 13.4 46. 6.8 64. 16.-- 37. 13.4 15. —., ——-, — 23.16.8 L. 2398. 6. -- L. 2275.5. 8 Spese straordinarie Al Morandi per lavori alla monta- tura della scuola. . . . « — — Utensili per il disegno lineare e — — Valutadilettere diricerca,ramm:ia. — — Speso per lume alla Madonna « — — ((4 80. per « 143. 1.8 c14.13.4 « 4.10. CENA Sommano le spese L. 2398. 6. -- L. 2417. 10.8- 2 * N.B. L’elemosina delle messe è stata pagata da un socio benefattore. - sali M Entrata . i —DO Resto di cassa a 31 dicembre 1821. L. 28. 11. — Incassato dal corpo dei sigg. azionisti pro- prietari del locale di via S. Gallo nel valore di tre azioni . . . i ei Fo Incasso delle tasse mensuali dei Ei soci ordinari. . . « 4126. 13. 4 Incassato dal AE usted della soscrizione al mantenimento annuale delle scuole «891. Da doni fatti alla società . . . . « 246. 13. 4 Da ritratto di carta vecchia . .. . . «32. 4.4 Da ritratto d’ oggetti del deposito per uso delle 2700 11, MARMO URL (AVCOAIICIS OG ACUITRO INDI VOTI (IOGRODE, STONE DURO. CERETTA SEE PE I Entrata totale L. 5661. 4. 4 Recapitolazione Spese per la diffusione del metodo . . L. 652. 3. 8 Spese per la scuola di Santa Chiara. . « 2854. 9. 4 Spese per la scuola di S. Zanobi . . . « 2417. 10. 8 Uscita totale L. 5924. 3. 8 Defalcasi l’entrata » 5661. 4. 4 Resta superiore l’uscita di L. 262.19. 4 Esistenze de’ 31 dicembre 1822. I) —_— Masserizie e mobili della scuola di Santa Chiara. L.. stia da ,290Q 10. — Masserizie e Beit TR ch di S. Manobi. +. La patio ie n 084 LB Deposito d’oggetti per uso WTA scuole « 798. 6. 8 CELA ETNTIZIEARIAN Totale L. 5152. 14. 8 GucLieLmo ALTOvITI SANGALLETTI, Zesor. della società. 92 Che le leggi delle xr1 tavole non vennero dalla Grecia, Splendida non meno che vera ci parve sempre quel la sentenza del Vico, che la filosofia considera 1’ uomo qual dovrebb'essere, dove per lo contrario la giurispru- denza prende a considerarlo qual è daddovero per volgerlo al bene dell’umana società in cui vive. E di qui traeva il dottissimo italiano quelle sicure conseguenze : giovar la prima a pochissimi ; cioè , a coloro soltanto che si creano a loro posta e uomini e repubbliche diverse affatto da quelle dentro alle quali viviamo; ma l’altra invece ado- perarsi alla civile felicità, e dalle passioni medesime per le quali dovremmo vivere tutti intesi ai nostri privati vantaggi, far nascere il desiderio del ben comune, degli ordini civili e dell’umane società. Però fu senipre tenuto in conto di nobilissimo lo studio della giurisprudenza; e santa è la cura de’ governi che la promovono ; e felicissi- ma è quella terra dov’ essa germoglia e cresce coi bisogni e coi progressi dei popoli , nè la viltà la contamina, nè il dispotismo la opprime. Ma la giurisprudenza considerata i In questo suo pri- missimo ufficio di moderare la naturale società degli momini, non fu nè arbitraria , nè opera umana , nè de- pendente da patti speciali: bensì fu una legge pote Divina Provvidenza imposta generalmente all’umana tazza per condurla da quelle prime e generali unioni alla civile so- cietà. Imperocchè gli uomini avevano già vissuto molti secoli in umani consorzi, lontani dallo stato selvaggio de’ loro padri, e sì non erano ancora surti nè gli Orfei, nè gli Amfioni, nè i Minossi , nè i Licurghi, nè quanti altri ebbero fama di sapienti legislatori. Che se taluno doman- da chi mai, in tanto arbitrio, moderò e diresse le volontà e le passioni di quei primi rozzi uomini impetuosi , ci si para dinanzi bellisima la risposta del Vico, ad am- monirci , come le necessità e le utilità degli uomini av- a A 93 vertite da un senso comune loro infuso dal Creatore, fu- rono i due fonti del diritto naturale delle genti. E perchè la comune natura de’ viventi facea sì che questi due fonti fossero presso a poco uguali in tutte le parti del mondo, perciò tutti i popoli dovettero correre una via quasi uguale ed uniforme nell’ addursi ch’ e’ fecero alla civile società ; ciò che le storie e le favole, a chi ben le considera, fan- no chiaro. E lo dimostrano eziandio quelle conformità sostanziali nelle quali con diverse modificazioni conven- gono tuttavia le legislazioni di questo mondo, accusando apertamente un’ origine a tutte comune. Con questa dot- trina che appare bellissima e vera siccome quella che si deriva dall’intima natura degli uomini, il nostro Vico distrusse quel gravissimo errore, che una qualche nazione avesse anticamente insegnato a tutte l’altre il diritto naturale delle genti: al qual inganno porsero occasione dall’una parte la accennata uniformità che si incontra nel diritto naturale di tutti i popoli, e dall’altra una va- na gloria che quasi tutte le antiche nazioni si arrogarono di avere trovato e diffuso l’incivilimento nel mondo. Quindi egli tolse agli egizi ed ai greci il vanto non ben meritato di avere appreso alle altre genti il diritto natu- rale: ma mentre negava a pochi sifatta gloria, recando alla Divina Provvidenza i principii dell’ ordine sociale aggiunse e reverenza e splendore all’umana schiatta, e fermezza e nobiltà agli ordini civili che da que’ primi germi traggono pur nascimento. Nè solamente il diritto naturale propriamente detto, ma ben anco il primo di- ritto civile sul quale si composero le civili società dovette essere in molte parti uniforme presso tutte le nazioni senza che alcuna di esse lo avesse all’altre insegnato. Perocchè gli uomini in tutte le parti dell’ universo furono mossi dalle stesse recessità ed wtilità: da queste nacque- ro presso tutti i popoli dei costumi e degli ordini quasi uniformi: e i primi diritti civili che non furono se non 94. se questi costumi e questi ordini alquanto : modificati dovettero essere presso tutte le genti sommamente somi- glianti fra loro. Vien da ciò come necessaria conseguenza che le leggi delle XII. tavole nate in tempi nei quali l’ Italia non era ancor frequentata dagli stranieri, e presso un popolo che fu sopra tutti gli altri severissimo custode dei costumi e del diritto delle genti maggiori, non ven- nero punto dalla Grecia come si avvisano molti sulla fede di alcune antiche tradizioni. E questa sentenza mi accin- go io di presente a dimostrare colle dottrine del Vico, veggendo che concorrono mirabilmente a confermarla alcuni luoghi della repubblica di Cicerone pubblicati ul- timamente dal sig. Mai, i quali io verrò registrando al- l’ uopo in questo ragionamento. Vero è che per chiarire ch’ uom faccia questa contro- versia poco splendore ne torna alla scienza, e poca o forse nessuna utilità ne ricevono i popoli: nè si vorrebbe accrescere il numero di coloro che l'età presente richia- mano allo studio severo dell’antica giurisprudenza e le negano arditamente la maturanza e le cognizioni essenzia- li per darsi codici e leggi. Perocchè o noi a gran partito c’inganniamo, o questa dottrina è' contraria all’ esperienza dei nostri giorni, e favorirebbe il dispotismo dovunque i governi volessero approfittarne. Ma checchè ne sia di questa scuola e del consiglio con cui si è fondata e col- tivasi, non è però da gettarsi onninamente neppure in quell’ altra del tutto opposta che l’esperienza dei secoli e dei popoli più famosi pone in non cale. E la sapienza degli antichi dal savio meritamente detta beata ha in sè me- desima non so quale allettamento che ci fa cara la fatica spesa nello studiarla, e sempre o più o meno ci ricompen- sa con qualche frutto. Però dove la condizione dei tempi e delle cose presenti o non richiegga o non comporti i nostri studi, util consiglio crediamo procacciare privata; mente di accrescere il tesoro delle nostre cognizioni cer, ds cando il vero per entro alle storie de’ popoli ai quali più . vorremmo esser simili per virtù civili e politiche, o per - valor militare. Le storie di tutti i popoli hanno i loro principii ravvolti in sì manifesta contradizione ed in tenebre così dense che perderebbe l’opera e il tempo chi s’ avvisasse di trar da esse una sicura e compiuta notizia dell’antichità. Ma dal- l’altra parte può ravvisarsi nelle tradizioni e nelle favole stesse di que’ remotissimi tempi una somma conformità nell’ origine e nei progressi di tutte le nazioni : conformi- tà non di rado per altro celata sotto nomi e riti diversi. Parve dunque al Vico che mal presterebbesi fede a tante storie così differenti fra loro e così maravigliose: e consi- derando quella segreta uniformità che accennammo , e quella legge sì naturale che l’uomo posto nelle medesime circostanze è presso a poco dappertutto uguale a sè stesso, venne in opinione che si potesse pur trovare una storia la quale si accomodasse a tutti i primi popoli di tutte le parti del mondo. A. tal fine tolse a considerare tutte le più antiche tradizioni tramandateci dalla mitologia o dalla storia, e sopra tutto indagò sottilmente l’ umana natura | per crearsi in mente l’ ordine secondo il quale dovettero svilupparsi nell’uomo i bisogni e i piaceri; e ne conchiuse quella da lui nomata storia ideale eterna sulla quale, per usare una sua frase, hanno dovuto correre di necessità ‘tutte le nazioni. Secondo questa storia , gli uomini che erravano quasi a modo di belve si fermarono a poco a poco ( nè è d’uopo accennarne qui le cagioni ) in luoghi fissi e determinati. I primi che fondarono queste famiglie esercitarono dapprincipio un potere dispotico sulle mogli e i figliuoli: ma poco stante accolsero ne’ loro abituri al- cuni altri uomini che rimasti tuttora nel primo stato errante e ferino cercarono presso di loro un riparo contro la prepotenza dei più forti dai quali erano oppressi. Costoro ai quali dovea certo parere gran fatto di aver salva la vita, 96 furono accolti, per così dire, in qualità di semplici gior- nalieri, e pel vitto e per la sicurezza che ne avevano coltivarono i campi de’ loro proteggitori senza punto partecipare alla proprietà. Ma in processo di tempo! questi giornalieri recandosi a noia la troppo abbietta for- tuna nella quale viveano congiurarono contro ai padroni, e li costrinsero a conceder loro di coltivare per sè mede- simi ì campi. Questa concessione , per la natura dei forti, che dei propri diritti abbandonano sempre quanto possono il meno, fu certamente strettissima ; e per quello che il Vico dedusse dalle tradizioni più antiche , e dalle frasi eroiche trasportate nelle primitive legislazioni riducevasi i ad un patto in forza del quale invii lavoravano i campi non come giornalieri ma come proprietari dei frutti che ne verrebbero, e dei quali dovevano prestarne una parte ai padroni, appo i quali restava sempre il pieno e diretto dominio dei fondi. E questa fu la prima legge agraria che siasi fatta nel mondo ; e con essa furono sta- bilite le prime repubbliche. Perocchè in questa contesa, dall’ una parte i giornalieri ribellati e riuniti fra loro for- marono le prime piedi ; e dall’altra i padri delle famiglie unitisi per ridurli al dovere composero i primi ordini aristocratici o i primi senati regnanti, come il Vico li appella, dai quali primamente per quel che s' è detto fu governata la terra. Ma perchè o i padri tentarono con male arti insidiose di ritorre alle plebi quel poco che loro avevano conceduto, o i plebei si noiarono di viver sempre in una società sì disuguale , esclusi da ogni pos- sedimento e quindi anche da ogni privilegio di cittadino, è naturale che si ribellassero un’ altra volta, e costringes- sero ì padri a conceder loro il diritto di proprietà, ed a stabilire una legge fissa , giusta la quale dovessero essere governati. E questa è la seconda legge agraria della quale si trovi fatto menzione: ed è quella stessa che 1’ antica giurisprudenza di Roma tutta foggiata su quella de'tempi È | I 97 eroici o delle genti maggiori ci ha tramandata sotto il titolo di XII tav sh Imperocchè il nostro autore meditata e composta, direm così, in idea codesta storia di tutte le na- zioni, fa un perpetuo esperimento de’suoi principii applican- doli all storia del popolo romano, il quale custodì ed imitò più di qualunque altro il diritto e i costumi di «quelle genti maggiori che andarono innanzi alla fondazione delle . civili società. E noi raccogliendo tutte queste applicazioni sparse qua e là nelle diverse opere del Vico, tenterem di comporre secondo i principii di lui Sualla parte della storia romana che guidandoci fino al decemvirato faccia manifesto ; le leggi delle XII tavole esser nate nel Lazio ed in ii non già venute dalle città della Grecia. teidle fondò la sua città aprendo un asilo a tutti de’ paesi circonvicini che o della patria loro fossero mal contenti, 0 più sperassero aNvantaggiati presso quella nascente repubblica. E con ciò egli ed i pochi ai quali ebbe partecipata la sua signoria furono come que’ primi padri di famiglia che dic e protessero ne’ loro abi- turi e ne’ i campi i deboli che fuggivano innanzi alla prepotenza dei forti. Se non che tra gli ospizi di quelle gevti maggiori e l'asilo di Romolo è da notare questa Mina Passina differenza , che i rifuggiti al primi restavano tutti naturalmente gallo soggezione e nella podestà dei proteggitori, dove per lo contrario quelli venuti al secon- do poteron recarvi delle ricchezze e dei gradi che li di- stinguessero dalla plebe. Imperocchè.i primi ospizi. uac- quero naturalmente per la salvezza di quelli che vi ricovravano, mentre invece Romolo opere studiosamente il suo asilo per poter vivere egli co’ suoi in sicurezza, e fronteggiare se fosse d’uopo le nazioni in mezzo alle quali Silliv. la sua città. E questo è l’ordinario procedimento delle umane cose , insegnarle prima la natura alle genti, poi imitarle per segreta necessità i fondatori delle nazioni, con que’ cambiamenti dei quali eran capaci quelle menti # 98 7 grossolane e que' tempi barbari e rozzi. Adunque la plebè stabilitasi con Romolo nella nuova città , e quella che vi concorse dagli altri paesi non ebbe nè privilegi nè diritti di cittadinanza, contenta di aver trovato un ricovero si- curo e dei patroni che la proteggessero, dei quali poi lavorò i campi, come i famoli delle genti maggiori. Ma Servio Tullio veggendo la plebe già stanca di questa sua bassa condizione? e volendosene giovare per condursi alla si- gnoria assoluta opprimendo l’ ordine de’ patrizii, instituì il censo, cioè, sostituì le ricchezze alla nobiltà , e permise ai plebei il dominio detto bdoritario ( V. Vinn. c. inst. ) sui campi appartenenti al patrizii : ordinando che coltì- vassero non pei padri ma per sè stessi sotto l’ obbligo del censo da pagarsi non all’ erario comune, come appresso fu fatto, ma ai nobili privatamente: e così il censo di Servio Tullio fu la prima legge agraria di Roma: e si spie- ga così quello che debbe intendersi nell’antica storia di Roma sotto questo nome di leggi così famose. Nè nuoce alle cose qui esposte quella solsuna opinione che Servio Tullio avesse in animo di recare a democrazia la forma del governo di Roma. Perocchè a questa erronea sentenza fu già risposto dal Beaufort, e potrebbe con troppi argo- menti rispondersi se bisognasse. Ma non s’appone poi per nostro giudizio questo critico scrittore quando nega che questo re minuisse il potere degli ottimati: mentre a di- mostrazione di tal verità, qual prova può mai cercarsi più luminosa di questa, che Servio Tullio instituì il cerso che è il carattere essenziale delle repubbliche popolari, e fece sì che le magistrature e gl’imperii si dessero non alla schiatta, ma al patrimonio? Servio Tullio adunque con questo benefizio compartito alla plebe affievoli senza dub» bio la podestà de’ patrizii, affinchè poi sotto colore di popolarità occupasse il regno egli medesimo da tiranno. Laonde i, padri che male si contentavan di lui, come può vedersi di leggieri in T. Livio stesso, gti suscitarono 99 contro Tarquinio Superbo che lo uccise: e poscia imitan- done più accortemente le arti convertì il regno in tiran- nide. Ma perchè il dispotismo che mette salde e profonde le sue radici sopra la moltitudine vile e corrotta, malagevole | può innalzarsi dov’ abbia a contendere colla gelosia e la te- nace virtù degli aristocrati, i patrizii congiurarono contro il Superbo, e all’occasione dello stupro di Lucrezia il per- derono. i Bruto poi discacciando i re abrogò il cerso di Servio Tullio perciò appunto che distruggeva l’ ordine de’ patrizii qual era stato instituito da Romolo : e ritornò le cose alla condizione di un regno aristocratico, fondando la, libertà degli ottimati dal re, non quella del popolo dagli ottimati, ciò che per lunga pezza si è falsamente creduto. Ma per- chè poi i nobili, distrutta per questo modo l’ agraria di Tullio e abolite le sue leggi alle quali dovevano prestare ubbidienza anche i re, fecer rinascere l’ arcana giurispru- denza ( jus incertum, jus latens ) che è sì propria delle aristocrazie, i plebei domandarono e vollero la legge del- le XII tavole, cioè, un diritto perpetuamente certo, e col quale fosse ad essi conceduto il dominio guiritario dei campi, cioè, il dominio proprio dei cittadini romani quali essi non erano fino a quel tempo considerati, d'onde conchiude il Vico, doversi queste XII tavole tenere in conto di una seconda legge agraria che avesse luogo nella repubblica di Roma. E questo desiderio ch’ ebbe la plebe romana di un diritto certo ed uguale ( jus omnibus aequum ) fu il primo passo con cui indirizzossi al conse- guimento di una compiuta uguaglianza civile e politica cogli ottimati. E perchè questi pltimi procacciavano di custodir per sè soli il diritto sì pubblico che privato, nè la forza a ciò avrebbe potuto bastare, studiavansi di rimo- ver la plebe dalle sue pretese con esempli di una virtù sì eccellente da non potersi imitar di leggieri. Di qui i sagrifizii generosi dei Curzii e dei Deci: di qui la singolar T. X. Maggio 7 100 fede di Regolo, non chie\fe spontanee abdicazioni dei con- solati e delle dittature per la sola mancanza di favorevoli auspici. Dall'altra parte poi la plebe volendo ottener dai patrizii di essere con essoloro uguagliata nella condizione civile e politica, contendeva a suo potere con loro di vir- tù, sperando per questa via mostrarsene degna. E queste contese furono il fonte come della romana grandezza, così anche della romana giurisprudenza : perocchè nel diritto civile privato tutte le leggi dovettero nascere come patti o transazioni rese necessarie dalle pretese della plebe, e dettate dalla sollecitudine de’ patrizii di concedere quanto potessero il meno. E perchè questò procedimento così ragionato nella storia romana è conforme all’ umana natura e si accomoda a quella storia ideale eterna medi- tata dal Vico per tutte le nazioni, perciò è pur forza tenerla per ragionevole e vera e prestarvi credenza. Chè nel vero la storia stessa ci dice, come i padri si opposero con lunga ed ostinata ripulsa alla promulgazione delle XII tavole, volendo essi che la repubblica si reggesse più presto coi patrii costumi che per leggi scritte. Se non che la plebe ve li addusse con una qualche grave necessità com'era usa di fare: sebbene T. Livio non siasi curato d’investigarla. Il qual difetto dello storico latino è supplito da una congettura del Vico, che i patrizii a ciò fossero indotti perchè la plebe offerse la tirannide ad Appio, o forse meglio direbbesi, per temenza che qualcheduno del loro ordine stesso si facesse tiranno promulgando la do- mandata legge. Perocchè è pur questa una delle insidiose arti della tirannia nascente, distruggere sotto colore di libertà la potenza dei molti, e procacciandosi voce di popolare e di generoso, restringerla tutta in sè solo. La quale congettura è assolidata eziandio da quel capo delle XII tavole che s'intitola de forti sanate, insegnando gl’interpreti avere i latini colle parole fortes sanates dinotati coloro che ritornassero all’ossequio dal quale si 101 erano ribellati : ed appunto colla legge delle XII tavole, cioè , colla concessione di privilegi e diritti certi ed uguali si ridussero all'ordine ed alla sommissione i plebei levatisi | per ottenerla a romore. Le quali cose così ragionate ci manifestano che le XII tavole furono direi quasi una medesima cosa cogli usi e le consuetudini e le leggi antecedenti di Roma; e quindi accusano apertamente di falsità quell’ opinione che le fa venute dalla Grecia, per quelle due sentenze quan- to vere, altrettanto spregiate dall’ ignoranza o dalla pre- potenza de’ conquistatori, che i governi debbon esser con - formi alla natura de’ popoli, e che dalla natura degli uomini governati nascono i governi medesimi. E qui cade in acconcio di registrare due dei luoghi di Cicerone ulti- mamente trovati dal sig. Mai, i quali a maraviglia coa- fermano questa dottrina del Vico, e dimostrano che tutte le vicende alle quali soggiacque la giurisprudenza romana sono intimamente congiunte colla storia di quel popolo sì famoso e sì fortunato. In uno di questi luoghi narrando Scipione quello che nei primi tempi di Roma fosse opera- to da ciascheduno dei re per l’ incremento della repubbli- ca e la perfezione dell’ ordine politico , Lelio altro inter- locutore esce in queste parole: Mwunc fit illud Catonis certius, nec temporis unius nec hominis esse constitu - tionem reipublicae: perspicuum est enim quanta in sin- gulos reges rerum bonarum et utilium fiat accessio. Ed altrove confutando l'opinione che Numa fosse da Pitagora ammaestrato, queste cose fa dire a Numilio : Di immorta- les quantus iste est hominum et quam inveteratus error! Ac tamen facile patior non esse nos transmarinis nes importatis artibus eruditos, sed genwinis domesticisque virtutibus. Atqui , soggiunge Scipione, multo id facilius Cognosces si progredientem rem publicam atque in opti- mum statium naturali quodam itinere et cursu venientem videris. E ci duole veramente che la brevita di un arti- 102 colo non ci permetta di toccare neppure alla sfuggita quel maraviglioso ragionamento con cui il Vico dopo aver dimostrato che i romani trassero tutta la loro sapienza dai costumi delle' genti maggiori conservati da loro con diligenza unica al mondo, provò con saldissimi argomenti che la romana giurisprudenza non consta dei placiti degli stoici o di Epicuro come hanno fantasticato gl’interpreti più presto eruditi che assennati, ma sibbene di sentenze e di principii suoi proprii desunti dalla natura medesima delle cose, e variati naturalmente colle circostanze de’ tempi e coi progressi della repubblica. Diremo invece soltanto esser questa una parte importantissima nella storia della giurisprudenza, e non dimeno o trascurata o non avvertita da coloro che fino ai dì nostri hanno scritto in questo argomento. Ma, per tornare al nostro soggetto , quando il Vico pose in campo la prima volta come conse-. guenza de’ suoi principii questa opinione che nega alle XII tavole l’origine greca loro comunemente attribuita , la novità della dottrina e l'oscurità in cui a troppo gran danno delle lettere quel sommo ingegno ravvolse i subli- mi suoi pensamenti , furon cagione che in parte si rima- nesse mal conosciuta gran tempo, e in parte si levassero a combatterla o la ributtassero tacendo tutti coloro che si adontano per qualunque dubbio ch’ altri mova contro gli antichi scrittori. E perchè il Vico in alcuni luoghi delle sue opere tolse più particolarmente che altrove a combattere quegli argomenti che da altri furono addotti a sostegno dell’ antica opinione , così fu per alcuni credu- to che quelle sole fossero le ragioni sulle quali egli fonda- va la sua sentenza ; nè si accorsero per avventura ch’ essa era intimamente unita con tutte le sue dottrine; di modo che se questa non fosse ben vera mancherebbero presso che tutte di verità. Il perchè andarono sommamente er- rati il Terasson e il Valeriani e quanti altri impresero ad oppuguare la nuova opinione del Vico, se credettero di P, 103 poter aggiungere a questo scopo senza farsi a dimostrar falsa tutta quella dottrina delle nazioni , e quella splen- dida e nuova luce ch'egli ha diffusa sovra la storia roma- na. E noi vedremo inoltre con.che deboli argomenti si è creduto di potere abbattere una dottrina fondata su basi meditatissime e assolidata da una inarrivabile erudizione. Primieramente citan costoro in pro della loro opi- nione il consenso di tanti scrittori che dicono esser le X.II tavole venute dalla Grecia: poi si conforta questa tradi- zione dall’essersi innalzata in Roma una statua ad un efesio per nome Ermodoro, perchè aiutò i decemviri nel loro ufficio di proporre al popolo le XII tavole: e finalmente dal trovarsi fra quest’ ultime ed alcune leggi di Atene e di Sparta una stretta somiglianza. Ma in quanto al con- senso degli scrittori vuolsi por mente che l’ antica storia di Roma ci fu tramandata dai greci , e che questi sì per troppo amore di patria , e sì perchè troppo si piacquero della favola e del maraviglioso colsero volentieri tutte le ‘occasioni per aggiunger credenza alle tradizioni ehe gre- camente originavano i principii e le grandezze di Roma. Questa duplice osservazione non isfuggì al 'Terrasson: ma se egli trasse da ciò argomento per revocare in dubbio la venuta di alcune colonie greche in Italia prima della fon- dazione di Roma, perchè poi non se ne valse anche per dubitare dell'origine greca da questi autori alle XII tavole attribuita? Forse perchè la trovò asserita da Tito Livio e distesamente descritta da Dionigi d’ Alicarnasso ? Ma Tito Livio confessa egli medesimo in più luoghi di non aver potuta conoscere la verità dell’ antica storia di Roma, e forse lasciossi talvolta ingannare egli medesimo dal deside- rio di derivare le cose patrie da un popolo del quale a’ suoi tempi era in altissima stima presso i romani il sapere ed il nome: e di Dionigi d’ Alicarnasso dice meritamente il Beaufort, che due o tre luoghi delle sue antichità nei quali fa mostra di buon giudizio e di singolar diligenza 104 fecero credere a molti che tutta l’opera fosse condotta con esattezza e precisione , laddove per lo contrario tutto è ostentazione e frutto della sua fantasia, e quando più vorrebbe mostrarsì profondo conoscitore del governo di Roma, più cade in idee false e contraddittorie fra loro, Oltre di che egli pure era greco di paiono, ed offese quant’ altri mai in quel vizio di recare a’ suoi maggiori gli ordinamenti politici e la gloria civile del popolo del quale scriveva la storia. Degli altri scrittori poi che ven- nero dopo di questi due non è da citare gran fatto l’'au- torità , perocchè tutti attinsero a questi fonti, per reve- renza de’ quali nessuno si avvisò di porre in dubbio neppur i fatti che più ripugnano alla critica-ed alla buona filosofia. Solo in tempi a noi più vicini; quando ‘la filologia e la filosofia cominciarono a darsi mano nello ‘studio della storia, alcuni uomini d’ arguta mente avvertirono i gros- solani errori che incontransi in quella di Roma quale: ce la tramandarono Tito Livio e Dionigi d’ Alicarnasso ; e allora il Vico ed il Gibbon furono per avventura ‘i primi ad asserire che le X.II tavole non vennero dalla ‘Grecia. Ai nostri giorni poi alcuni eruditi che scrissero Ja storia romana non a modo di vani compilatori ma ‘con’ giudizio pari ai progressi del secolo in cui viviamo accrebbero questi dubbi contro T. Livio e Dionigi, ‘e in acconcio delle XII tavole citeremo il Niebuhr ( Rémise he Geschi- chte ) il qual dice che « le leggi delle XII ta vole furono tutte propriamente italiane, nè la greca filosofia, nè la greca politica v ebbero parte » : le quali parole consento- no pienamente con quelle che già abbiamo citate di Ci- cerove e con la dottrina del nostro autore. « I decemviri poi , soggiunge il celebre alemanno, non furono trovatori di nuove leggi , ma sì raccoglitori di quelle che già erano in vigore, per modo che il loro precipuo’ ufficio si fu quello di scegliere le leggi già prima universalmente in uso, e di abolire l’ arbitrio dovunque regnava, scam- 105 biandolo in regole certe » . E questa sentenza che è conforme a quella divulgata cento anni prima dal Vico voleva pur esser citata per rispondere a quella obbiezione del Terrasson ove mega che le leggi regie facessero parte delle XII tavole , perchè queste, dice egli, furono tolte all’ oblioin cui caddero per la cacciata dei re soltanto cento cinquanta anni! dopo il decemvirato , quando Gneo Flavio le pubblicò. Ma che fu dunque codesto jus Fla- sianum di cui parlano i romani giurisperiti ? 1 patrizii ‘che a sè soli avevano riserbato l’ esercizio della giurispru- denza ; poichè si videro costretti alla promulgazione delle XII tavole, col favore delle interpretazioni inventarono le formole (actiones‘legitimae ; actiones legis) secondo le quali soltanto potessero.i cittadini giovarsi delle leggi; e così perchè eglino soli erano inventori e dispensatori di queste formole ai clienti si conservarono in grandissima parte quell’influenza e quei privilegi che loro dava già tempo l’esercizio esclusivo della giurisprudenza. Se non che poi Gneo Flavio, scrivano, siccome è fama, di Appio Claudio il cieco verso l’anno 450 di Roma pubblicò un libro in cui erano tutte le formole di quel famoso giureconsulto. Non trattasi adunque di leggi regie nel diritto Flaviano, ma ‘sibbene di formule posteriori alle XII. tavole ad anzi so- vr’ esse e per esse inventate, Che se voglia pur dirsi col Terrasson, aver Flavio promulgate le leggi regie, e que- ste essere state dai ;decemviri escluse dalle XII tavole, qual vantaggio recò Flavio al popolo pubblicando leggi che non avevan vigore? O se queste leggi erano state com- prese nelle decemvirali, che pro tenerle i pontefici ed i patrizi celate, e sdegnarsi tanto quanto dice T. Livio allorche furono pubblicate? Nè la statua di Ermodoro aggiunge punto di fede | alla: narrazione di Livio e di Dionigi d’ Alicarnasso : che anzi sono sì puerili e contraddicenti le cose intorno a questo fatto asserite, che per poco basterebbono da sè sole 106 per toglier credenza anche al resto se vi fosse chi la pre- stasse. Un’ antica tradizione, dice ‘il Niebuhr, fa menzio- ne di un Ermodoro efesio che aiutò i decemviri: nella pubblicazione delle XII tavole , e fu amico del saggio Eraclito. Non è possibile indovinare , prosegue lo ‘storico erudito, donde mai traesse nascimento questa tradizione alla quale avrebbe almeno dovuto dar luogo un nome: fa- moso , laddove quel d’ Ermodoro pare non sia stato cono- sciuto neppur tra i greci se non perchè Eraclito gli fu amico. Per questo motivo adunque potrebbe revocarsi in dubbio la statua a lui attribuita. Chè se anche egli viveva in Roma al tempo del decemvirato e giovò ai decemviri, non è questa punto una prova che: per suo consiglio sì registrassero le leggi greche nelle XII tavole. Perocchè i romani erano troppo orgogliosi della loro origine per sot- toporsi a straniere instituzioni, al che fare ostava eziandio la troppo grande diversità fra loro ed i greci. Il Vico poi non nega che sia stato in Roma Ermodoro, ma sì ch'egli servisse d’interprete, come pretesero alcuni, ai quali non parve troppo puerile e ridicolo il dire che i decemviri raccolsero nelle città della Grecia le leggi per essi credu- te migliori, e recatele a Roma quivi ebber bisogno di un interprete che loro le facesse conoscere traslatandole in latino : a tale ‘si arrivò per dar sembiante di verità a que- sta favola che fece peregrinare le XII tavole dalla Grecia in Roma! Ma il Vico all’ opposito fu in questa sentenza che Ermodoro come colui che era per avventura molto saputo nella politica e nella giurisprudenza, consigliasse ai decemviri alcune leggi ( auctorem fuisse decemoiris le- gum ferendarum) che più gli parvero acconcie allo stato della repubblica, della quale, ancorchè forestiero, vedeva le turbolenze e i bisogni. E questa congettura che il no- stro autore conforta di ottime e veramente severe ragioni, non doveva certamente procacciargli quell’ accusa del Valeriani che gli appone di aver fatto Ermodoro irstitw- 107 tore ed artefice di ogni legge: perocchè il Vico dice con Strabone che Ermodoro scrisse alcune leggi romane ( non tutte): e apertamente dimostra di non aver voluto con ciò dilungarsi:dall’ actor fuit di Pomponio. Nè ci sarà d’uo- po difenderlo da quell’ altra veramente ardita taccia, di ‘avere con!poca esattezza interpretate le parole del romano giureconsulto: poichè non è vero; come dice il Valeriani, che le parole auctor fuit decemviris legum ferendarum mon possano altrimenti tradursi che fu consigliere ai decemviri ‘che nuove leggi isi promulgassero, ma sib- ‘benè in quest'altro modo, propose e consigliò ai decem- wiri le leggi:che eran da promulgare; cioè; quelle che ‘al parer. suo ‘conveniva di promulgare: 0 come il: Vico ‘stesso traduce; propose loro le leggi che conveniva regi- strare! nelle:XII tavole. E la differenza di queste tradu- zioni è notevolissima: perocchè il Valeriani ci darebbe quasi ad intendere che Ermodoro consigliasse la promul- -gazione delle XII tavole , cioè ,. facesse quello che: Cajo ‘Terenzio Arsa appena potè fare perla sua qualità di tri- ‘buno favoreggiato da tutta la plebe romana, e che quindi, greco com? era y\persuadesse ai decemviri di raccoglier le ‘leggi greche. Alcuni altri invece mostran di credere che Ermodoro fosse trovato quasi ‘a ‘caso in Roma al ritornar dei decemviri , e che quivi recasse nell’ idioma latinò Je leggi greche per essi raccolte senza averle intese: E in mezzo a queste opinioni si eleva la. filosofica congettura del Vico, che i decemviri non isdegnassero ‘consigliarsi -con uno straniero il quale avesse voce di perito giurecon- sulto: e. che questi loro proponessé alcune leggi. La quale sentenza si fa tanto più bella é più degna d’ uomo filosofo «se sì raffronti. colle;altre' due qui. accennate: luna delle quali attribuisce,ad un forestiero 1’ onore e la podestà: di - aver proposta la promulgazione di un codice che cambiò la forma della. repubblica: eil’ altra accusa i decemviri di sì poco ,senno;!quanto n° avrebbér. mostrato raccogliendo 11,08 con sì lunghe e disastrose peregrinazioni delle leggi che non avevan comprese. E queste cose ci bist! aver dette intorno ad Ermodoro. adi9cm9 | Restaci ‘finalmente a dimostrare: come ‘non saliti sostegno della ;contraria opinione ila somiglianza che si ravvisa fra alcune leggi delle XII tavole ed \alcune.altre di Atene e di Sparta. Imperocchè sé i decemvwiri non rac- colsero in Grecia le loro leggi, non può ben capire nel- l’ animo di molti siffatta conformità ; sebbene a togliere «questa maraviglia potrebbe dirsi cblautoritàidi gravissimi storici esser\venute in Italia ‘assai presto alcune colonie greche ;le quali recaronvi.se non.le leggi. di Licùrgo e di Solone che fiorirono molti secali dopo, ci tali usi ed ordinamenti dai quali poteron poi nascere anche nel.Lazio leggi somiglievoli a quelle ordinate da ‘que’ greci legisla- tori. Ma bicinila anche inidisparte questa ricerca, è bello il luogo di Cicerone pubblicato dal sig. Mai ove Scipione parlando del regno di! Tarquinio Prisco e dei cambia- menti (per lunga pezza forse avvertiti da pochi ) allora avvenuti nella. repubblica ;;usa queste parole acconcissime ‘al nostro argomento :. sed Roc loco. primum videtur'insi- tiva quadam disciplina doctior facta esse civitas:Influxit ‘enimnontenvis quidanie Graecia rivulus in hanc urbem, sed abundantissimusamnis ‘illarum disciplinarum et artium. Le quali cose.se così sono.come non può dubitarsi , qual maraviglia che alcune leggi regie trasportate poi nelle XII tavole fossero 0.in:tutto:o in parte conformi alle greche, quand’ anche i decemviri non siano andati accat- tandole nella Grecia ? -sebbene poi qual’’è mai questa vantata conformità fra la legislazione decemvirale e quel- le di Atene e di Sparta ? Perocchè a voler dire che l’una fu dalle altre copiata bisognerebbe pur ravvisarvi una so- miglianza non lieve o ne’principii più universali, ma som- ma e costante e più che altrove nelle particolari dispo- sizioni. Ma‘qui la somiglianza è sì poca; che innanzi tutto e” appena può immaginarsi la discrepanza dell’ opinioni in- torno ‘alle città dalle quali si ‘è creduto venissero que- ste; leggi: poi il Vico raccolse ‘que’ luoghi nei quali suolsi dire dagli ‘eruditi che i romani copiarono la greca giurisprudenza , e mostrò esser eglino di ragione sì uni- versale che quasi è maraviglia se-non si trovano ugual- mente) sanciti presso tutte le nazioni. Dopo le quali osservazioni che noi tralasciamo per amore di brevità, e che ciascuno può leggere inell’opera de Constantia juri- sprudentis ‘cap. XXXVI rivolgendo di nuovo il discorso al primitivo assunto, che le XII tavole‘ non vennero dalla Grecia, il dottissimo autore soggiunge: « Diremo noi esser ‘venute da una gente sì incivilita o la legge che comanda- va di far'in ‘brani il corpo dell’ioberato , della cui ferocia inorridiva Favorino presso Gellio? o quelle altre che dan- navano ‘i falsificatori ‘ad esser precipitati giù dalla rupe, ed’ alla ‘morte quel. giudice che per danaro avesse mal giudicato, le quali da Favorino medesimo sono tacciate:dì soverchia durezza? o quella che vuole si appicchi colui che di notte'avesse tagliate o calpestate le altrui messi fo quella clie condanna ‘al fuoco chiunque dolosamente in- cendia un'campo o una casa; di che non può certamente hè immaginarsi nè dirsi più acerbo castigo ?.... ‘O final- ‘mente reputeremo noi degna dell’attico acume la pena del taglione;, e ‘crederemo che questa pena la più rozza e la più. incerta di ‘quante mail se ne sanno, trovamenti di Radamanto giudice erbico, durasse in Men sino ai tempi delle XII tavole, in ‘Atene‘dove ogni anno si ‘coreggevan le leggi? ». Ale quali osservazioni dell’italiano scrittore vuolsi' aggiungere ‘anche quello che dice il Gibbon : Ero- ‘doto ‘e Tucidide mostrarsi affatto ignoranti del nome e dell’esistenza! di Roma: il nome romano non ‘aver co- minciato a suonare fra. i greci ‘se non ai tempi ‘di Alessan- dro : non essersi in Atene’trovato alcun monumento per ricordanza ‘di quest’ imbasciata ‘dalla quale sarebbe pur w 110 tornato grandissimo onore a quella città: e finalmente non doversi credere sì di leggieri che 1’ ordine dei patrizii intraprendesse una lunga e pericolosa navigazione per copiare il modello della più libera democrazia. Nè Isocra- te, aggiungerem noi, sempre intento ad esaltare la gloria di Atene ed a magnificarne i benefizi ed i meriti verso le altre nazioni , fa cenno di questa; missione della quale a’ suoi tempi doveva pur essere freschissima la memoria. Ma perchè questo nostro discorso fattosi oramai troppo lungo conchiudasi coll’autorità di quello scrittore dal, quale principalmente, ne traemmo occasione, è da citare un altro luogo importantissimo della repubblica di Cicerone trovato dal; sig. Mail, in cui l'oratore filosofo dopo avere discorsa la storia dei primi tempi di Roma notandone i politici ordinamenti e le successive mutazioni, pervenuto al decemvirato. così ne racconta, la storia: Cum summa esset. auctoritas, ir senatu, populo patiente atque pa- rente, inita ratio est , ut et consules et tribuni plebis magistratu se abilicarent, atque ut X viri maxima pote- state sine provocatione crearentur, qui et summum im- perium haberent et leges scriberent. Qui cum decem tabulas summa legum aequitate prudentiaque conseri- psissent,inannum posterum decemviros alios subrogave- runt ; quorum non similiter fides nec justitia laudata. Nel qual luogo il silenzio di Cicerone intorno alla! missio- ne in Grecia equivale ad un’aperta negativa., Perocchè se finora poteva’ farsi qualche, conto di, quella volgare obbiezione con cui alcuni non volendo averlo ad avversa- rio in questa contesa andavano dicendo ; non essere un oratore tenuto a riferire queste notizie appartenenti alla storia; e quindi potere esser vera la spedizione nella Grecia sebbene Cicerone non ne toccasse mai ne’ suoi scritti, non può punto valere al presente, perchè qui lo scrittore. assume appunto le parti dello; storico. Le quali cose tutte fin qui per noi ragionate dovreb- 111 bono pur dimostrare che le XII tavole non furono se non se una raccolta delle leggi e delle consuetudini già prima in uso nel Lazio, ossia una legge scritta e certa conforme all’indole di una repubblica che volgeva a democrazia , sostituita al diritto arcano ed incerto che è proprio del- l’avarizia e della prepotenza degli ottimati. Francesco AmBROSOLI er De’ marmi statuari trovati fra le ruine delle antiche terme di Massaciuccoli. Lezione a S. E. il mARCHESE Cesare LuccHESINI, in attestato di rispettosa ami- cizia. Gli antichi bagni che veggonsi tuttora quasi pareg- giati al suolo sul pendio del monte di Massaciuccoli nella marina lucchese; e le altre più estese ruine ad essi conti- gue, ch'io stimo essere gli avanzi di quel tempio d’ Erco- le, il quale , secondo Tolomeo, ergevasi, verso il principio dell’ era cristiana, su que’ colli alla destra sponda del- l'Arno, se non sono edifizi da osservarsi con meraviglia per la vastità della mole, o per la ricchezza de’ loro ma- teriali, meritano ciò non ostante di essere molto conside rati da chi nello studio delle cose vetuste vuol trarre le- zioni per le presenti. Perchè questi abbandonati edifizi sono quelli, senza dubbio, che in Italia più d’ ogni altro monumento di questo genere ne conservano tuttavia un modello chiarissimo della maniera con cui gli antichi solevano fabbricare le loro terme, e disporle e dividerle a seconda degli usi cui le destinavano. Nè pure eccettuo quel piccolo graziosissimo ‘bagno domestico, che vedesi ancora sì ben conservato fra le sepolte reliquie della villa suburbana d’ Ario Diomede, presso Pompeia. Fra le ruine di Massaciuccoli meritano singolare at- tenzione il calidario de’ bagni , co’suoi lavacri, e la stufa p 112 ossia la sudazione colla sottoposta fornace; e coi vani in: | geguosamente praticati ne’ muri onde spargerne il calore in ogni parte. Ora mentre io stava, esaminando colà, ne’ scorsi giorni, e la maniera di quelle fabbriche, ed ‘i. ma- teriali adoperati nella loro costrazione,, mi venne fatio: di osservare che di un marmo statuario. di rara purità. e bellezza; diverso da quello de’ monti di Luni, erano altre volte incrostate internamente la sudazione , ed il calida- rio sovraccennati; dove molti frammenti se ne veggono ancora aderenti ai pavimenti ed alle pareti. Questo marmo non è inferiore in alcun modo ai più perfetti marmi statuari comosciuli, come se ne può giudi- care da un saggio di esso che ho presentato alla R. acca- demia di Daten E se nel candore non avanza i più bei marmi di Carrara, non cede loro sicuramente : con tutto ciò non è da confondersi con essi. I marmi lunensi si distinguono per finezza di grana, per cristallizzazione pollicalia e granellosa; i marmi antichi di Massaciuccoli all'incontro presentano una frattura assai più salina e grossa, un impasto meno denso, e la cristallizzazivne loro e affatto lamellare, a specchi ora più, ora meno larghi secondo i pezzi diversi del minerale. Fidando io in questi soli caratteri li tenni da principio per marmi greci ,; pro- babilmente dell’isola di Paros: seguendo in ciò l’ esempio di molti antiquari, i quali troppo facilmente. sogliono giudicarne essere pario ogni marmo antico che loro si af- facci sì fattamente cristallizzato. Considerando però al- l’età di quelle fabbriche , le quali per essere edificate di mattoni anzi che di pietre 0 marmi squadrati ; per alcu- ni loro muri rozzamente reticolati; per le opere di getto a calcistruzzo; per la mancanza dei tubi conduttori del calore, che erano già in uso nelle sudazioni ai tempi di Seneca; per la stessa loro elegante mediocrità sembrano doversi ascrivere a quell’ epoca in cui di marmi stranie- ri non era per anco inondata l’ Italia, cioè agli ultimi 113 periodi della repubblica romana , piuttosto che ai tempi dell’impero. Osservando io'inoltre che il nostro marmo è più candido assai che non sogliono essere i marmi di Paros, che esso è affatto privo di quel leggiero puzzo d’ idrogeno sulfurato che i marmi greci, ed il pario sin- golarmente, tramandano per lo più allorchè sono spezzati, mi sono persuaso che in Italia , e forse ancora non molto lontano da quelle stesse terme , se ne dovessero ricercare le antiche cave. Nè mi fu difficile il trovarle ne’ monti della vicina Maremma pisana , in quella parte di essi principalmente che dalla contea dei signori della Gherardesca si estende nel capitanato di Campiglia; i quali monti non sono gran fatto più distanti da Massaciuccoli che le cave medesime del Carrarese. Molte qualità di marmi si trovano in quelle monta- gne , come succede per tutto altrove; ve ne hanno anche de’ bianchi, anzi degli statuari di. prima qualità in più d’un luogo ; i quali, a giudizio di varie persone dell’ arte che ho consultate , sono perfettamente compagni a quelli che, come sì notò , veggonsi tuttora fra le ruine de’ bagni sovracennati , tanto per la facilità con cui sì prestano ad ogni maniera di lavoro, quanto per gli esterni loro carat- teri. I filoni delle loro miniere , esausti probabilmente già da gran tempo, ovvero resì poi di troppo difficile ac- cesso , sono ora caduti in dimenticanza; mostrano essi però di essere stati scavati in tempi molto remoti per ciò che, come ha osservato il Targioni ne’ suoi viaggi , i rottami di que’ vari marmi, rimasti sul luogo fin da quando si lavo- ravano, veggonsi di presente raggrumati ed insieme ri- legati, a modo di breccia , dal tartaro o deposito calcare , che le acque, nel lungo volger degli anni, vi hanno sopra lentamente lasciato. È meraviglia come Plinio il quale ha discorso in più 114 luoghi dei marmi lunensi, e di tante altre pietre e mine- rali di ciascuna provincia dell’Italia, non abbia fatta menzione alcuna di questi marmi bellissimi , che erano pure molto vicini a Roma, e situati a piccola distanza dal mare e dalla via Aurelia, una delle più frequentate al- lora dai romani. Io sospetto che a suoi tempi le loro cave fossero già abbandonate, e che perciò ‘egli sia stato contento di accennarli in complesso con altri in quel luogo del suo trentesimo sesto libro, dove, dopo avere narrato che i più antichi scultori della Grecia non s'erano serviti d’altro marmo fuorchè del pario ; saggiunge che dipoi ne furono trovati molti altri più candidi ancora di quello, e che fra questi era pure da annoverarsi il marmo di Luni, poco dianzi scoperto. Ma Plinio in tutta la sua storia naturale nominò forse una volta sola il marmo | aston sì caro agli ateniesi, e tanto ricercato dagli antichi ? Ma gli etruschi, prima ancora de’ romani conobbero, ‘e si giovarono veramente di quel loro marmo. Ne fanno testimonianza alcune loro opere che ci rimangono ancora. Il chiar. Gav. Francesco Inghirami, che in questi studi principalmente è maestro, mi assicura che la statua etru- . sca con bambino in collo del museo di Volterra, già pub- blicata dal Dempstero , benchè non sia di marmo bianco, ma piuttosto di un bardiglio chiaro , appartiene però , a suo giudizio, alle mentovate miniere poste nelle posses- sionì dei signori della Gherardesca . Di vero marmo statuario, all’ incontro, perfettamen- te somigliante a quelli testè descritti della Maremma, è senza dubbio il coperchio di una grande urna etrusca , il quale vedesi nel campo-santo di Pisa sotto il numero XI. Lo stile con cui sono in esse condotte le due figure che vi stanno sopra come sedendo, e più ancora la breve iscrizione che vi è apposta, in certi'vetusti caratteri , i 115 ch'io non saprei se oschi, umbri od etruschi s’ abbiano a dire, assicurano a quel monumento un’ antichità molto remota. Da questa scultura , e da altre simili che vi possono essere lavorate in marmo sì fatto , ebbe origine probabil- mente l’ errore di coloro i quali credettero che gli etru- schi facessero venire di Grecia i marmi che occorrevano alle modestissime loro arti. Ma la verità si è che quel popolo frugale , contento delle produzioni del proprio suo- lo, adoperò nelle sue sculture indistintamente i minerali della provincia ch'egli abitava, senza curarsi di cercarne di più belli in lontani paesi. Nè diversamente praticarono per lunga età i romani loro discepoli. Si è osservato di fatto che tutte le urne mortuali etrusche che si trovano nel Volterrano sono fatte con tufi, o colla pietra gessite detta alabastro, di quel territorio. Nel Perugino all’in- contro sono esse di un bel travertino, e talvolta ancora di marmo, proprii sì l'uno che l’ altro di quel paese. In Pisa finalmente , oltre i lodati marmi di quella Maremma, gli etruschi lavorarono ancora quelli del vicino movte: Perchè i pisan veder Lucca non ponno 4 € ne sono prova certissima nello stesso campo-santo i due piccoli sarcofagi segnati coi numeri 13 e 177.. Dello stesso marmo da me trovato fra i ruderi delle terme di Massaciuccoli , ed osservato nell’ anzidetto coper- chio , cioè di un cotal marmo puro, candidissimo, salino, lamellare e non fetente , appunto come quello, è fatto parimente un enorme piede umano colossale munito di sandalo di forte musculatura , il quale, portato in Lucca già da un secolo, forse dalle ruine stesse di Massaciuccoli, ‘è tenuto in gran pregio dall’ attuale suo possessore il nob. sig. Domenico Guinigi-Rustici. Questo piede è di tal pro- porzione che la statua di cui dovea far parte non poteva aver mèno di diciannove in venti braccia d’ altezza ; ed è lavorato con tanta maestria e diligenza , che se non è stato Ti X. Maggio 8 116 cavato per motivo di studio, in cià moderne, da qualche pezzo di colonna del marmo antico pin , il che esa- minandolo bene non si crederà sì di leggieri, e nol credo 10, è forza confessare essere quel frammento un’ opera de migliori tempi di Roma. Chi sa quanti fra quelli che lo pit esaminato prima di me lo avranno stimato, di marmo pario, e lavoro di qualche egregio scultore d’ Efe- so, d’ Atene, o di Corinto? Se nelle Maremme toscane s’ intraprendessero delle nuove escavazioni, a Populonia principalmente, ovvero nel luogo dov’ erano le antiche terme di Roselli, io non dubito punto che molti altri monumenti di somigliante marmo si trarrebbero a luce, col mezzo de’ quali potremmo forse venir in cognizione dell’epoca in cui le sue cave furono abbandonate. Duolmi perciò che non ci sia stato detto di qual pietra sieno fatti i tre leoni che furono trovati poco fa tra le ruine delle terme or nominate. E sarebb' egli pure molto opportuno, onde mettere sempre più in evi- denza il nostro argomento, che alcuno volesse verificare di qual marmo sieno fatte le statue di maniera etrusca, che trovansi nella villa Stufa a Signa presso Firenze. . Premesse tutte queste osservazioni io conchiudo pri- mieramente che assai prima ancora che l’ oratore Lucio Crasso movesse a sdegno gli austeri romani ornando egli il primo la sua privata abitazione sul palatino con alcune piccole colonne di marmo, ed anche di marmo bianco , allora meo pregiato , ara con grande spesa dal monte Imete nell’ Attica, già gl’'italiani aveano in abbondanza , e lavoravano marmi statuari del proprio paese, eguali in bellezza agli stessi marmi greci più ricercati. Conchiudo in secondo luogo che se gli archeologi, nel dar giudizio sui monumenti delle età passate , avessero posto maggiore studio nel distinguere le qualità de’ mine- rali onde quelli erano composti , e nel rintracciarne lori- gine; di molte opere insigni dell’antica scultura, le quali N x di li | 7 per avventura troppo leggermente si sono riputate greche a cagione della loro materia, se ne sarebbe conservata la gloria all’ Italia nostra. Nè forse il secolo luminosissimo che scorse fra Cesare e Trajano, secolo sì fecondo di capi- lavori d’ ogni maniera, si troverebbe ora s1 povero e man- cante di sculture nazionali. Ma per buona sorte a molti di sì fatti errori siamo ancora in tempo di mettere riparo, Di Lucca a di 16. aprile 1823 GiuL1o pi SANQUINTINO. Memoria , nella quale si rammenta all’ Italia un’ an- teriorità che le si deve in fatto d' educazione. ria s les italiens seuls avaient tout, ... Voltaire. Introd. au siècle de Louis X.IV. Affatto discorde dal sentimento di coloro i quali opinano nulla esser buono appresso di noi quando non ci . pervenga d’ oltramonti , nè tampoco del parere di taluno che vorrebbe , trascurata ogni pratica straniera , vederci | paghi e contenti nei nostri progressi o più presto nella nostra decadenza; caldo, ma non accecato per quell’amo- re della patria che esser dovrebbe il fuoco animatore di ogni onesto cittadino, io vengo a trattenervi intorno ad un’ anteriorità infra le tante che alla nostra Italia -si debbono, anteriorià incontrastabile ed anco nota, pure non abbastanza universalmente saputa, o perchè non | promulgata quando appunto lo richiedevano le circo- stanze, o perchè ( dovrò confessarlo? ) una colpevole indifferenza cì rende pur troppo stupidi e sordi per quel sentimento di onore nazionale, che la natura medesima di sua propria mano impresse in ogni uomo; ed io mi penso che a ciò non poco contribuisca il non esser fra noi, come sembra , spento per anco quel funesto spirito di fa- \ 118 zione che altra volta lacerava l’Italia , e che ora , sebbene d’ altre armi e non così micidiali provvisto, pur due n° adopra non meno valevoli a tenerne fra loro gli animi. dei cittadini esacerbati e disgiunti, la lingua, e la penna. Mentre l'educazione, il più grande, il più importante scopo a cuì per avventura rivolger si possa la mente del- l’uomo , forma appunto nel secol nostro l’ oggetto princi-. pale della meditazione di tutti i dotti, di tutti i filosofi , mentre per ogni dove si odono esaltare i maravigliosi re- sultamenti dei novelli metodi introdotti nelle pubbliche scuole , mentre esistono oltramonti degl’ istituti di edu- cazione, nei quali i benemeriti direttori ammaestrati dalle opere dei filosofi di tutte l’età , di tutte le nazioni, e più dalla giornaliera .esperienza hanno stabilito quei metodi, che secondando dappresso le naturali inclinazioni dell'alunno , lo guidano all’ acquisto delle cognizioni per la via più breve e più certa; parevami opportuno l’ an- dare investigando se l’Italia , di questa, come d’ogni altra ottima istituzione , avesse pure alle altre nazioni additato l’ esempio . E certo sembravami strano che quella Italia, la qua- le vide prima la bella luce del vero, ed a cui si debbono le principali scoperte che onorano il genere umano, quell’ Italia che prima percorse ie vie del mare e del cielo, e nella quale trovi l’ origine e spesso ancora il pro- gresso di presso che tutte le scienze, stata quindi si fosse inoperosa , indolente per un oggetto di tanta importanza come l’ educazione, per una scienza da cui risulta il perfezionamento dell’ umanità ! Ma nò: sono già presso che quattro secoli che essa vantar poteva un celebre istituto di pedagogica in cui si adoperava un metodo che potrebbe anco ai dì nostri, in confronto di altri molti , riputarsi preferibile ed ottimo, ed in cui sì apprendevano tante discipline, quante appena or se ne apprendono nei più frequentati nostri ginnasj. 119 | Francesco Gonzaga signor di Mantova avea fondato questa scuola nella veduta di educare i propri figli , destinando a questo scopo una estesa e magnifica abitazione, permet- tendo generosamente che profittassero di quei mezzi e di quella instruzione medesima altri individui non tanto nazionali che esteri, ma più di tutto richiamandovi un istitutore, modello di tutti gl’istitutori, l’uomo il più atto a dirigere l'educazione, quell’ uomo in somma che era sembrato fin quasi ai dì nostri, a gravi stranieri filosofi, impossibil cosa a ritrovarsi, e che nell’Italia no- stra aveva pur fiorito assai prima che incominciasse a spuntare fra loro la luce che illuminar dovea quegl’ intel- letti da lunga barbarie occupati. Vittorino da Feltre che ammaestrava i giovani nelle Jettere umane in Venezia fu scelto all’ uopo dal nostro Francesco. Nè migliore scelta far si poteva : egli era infat- ti uomo dottissimo, di amabili e dolci maniere, dotato di quella pazienza che necessaria io stimo per l’ educazio- me al pari della dottrina.Sempre uguale a sè stesso offriva ‘col proprio esempio ai suoi allievi un perfetto modello di ogni virtù. Appena giunto in Mantova questo raro ingegno chiese al duca di potere abitare insieme con i suoi alun- ni in luogo appartato, nel quale liberamente, e senza alcuna distrazione potesse dar opera al di lui assunto. Egli ottenne da quell’ottimo principe a bella posta addob- bata, una spaziosa abitazione, nella quale erano ornate e lunghe gallerie, vaste sale, camere ariose e sfogate, adorne di leggiadre e scherzevoli pitture rappresentanti giovanetti in atto di sollazzarsi in vaga foggia tra loro, per cui quella casa chiamossi la Giocosa. Vasti prati, om- ‘brosì passeggi , larghe peschiere, acque zampillanti erano gli esterni annessi di quella fabbrica che io credo non in- differenti come sembrar potrebbero a taluno, ma sibbe- ne utilissimi allo sviluppo del corpo, dell’immaginazione, ed anco del carattere dei giovinetti destinati ad abitarvi. 190 Ma prima di abbozzare nel modo, che per me. sarà stimato il migliore, uu prospetto che vi presenti in. suc- cinto il metodo di educazione adoprato dal nostro Vittori- no, e nel quale troverete adottati i migliori precetti degl antichi istitutori Quintiliano e Plutarco, e prevenuti molti de’ non meno famosi scrittori di educazione che a loro succedettero il Vergerio , il Filelfo, il Montaigne, il | Locke, il Fleury, il Rollin, il Formey ; ed il Rousseau; prima io diceva di tutto questo purmi opportuno l’avver- tire, che io non parlo di questa educazione ai dotti ai quali è già nota, ed a cui soltanto intendo di rammentar- la, ma ne parlo a coloro che fanatici per gliingegni oltramontani, ignoranti ribevono come estere molte idee e molte massime che furono già nostre , ne parlo a quei pregiudicati che sprezzano i nuovi metodi d'istruzione , perchè riputati nuovi e stranieri ; quando in gran parte nostri pur sono ed antichi. (1) Riguardava il da Feltre l’educazione come il mezzo onde perfezionare nell’ uomo il corpo, l'ingegno e il cuore. Il corpo, egli diceva, se sia difettoso , impedirà il progresso dello spirito ; così vedeva necessario che di cuncerto andasse lo sviluppo del fisico con quello del morale , e quindi procurava che una parte di sua educa- zione tendesse pure ad esercitare gli organi del corpo. A tale effetto voleva il nostro precettore che sani, agili e robusti si mantenessero'i suoi ‘alunni, ed aveva a ciò prov- veduto per mezzo di ginnastiche ricreazioni , le quali (1) S' ingannano a partito coloro che dotati di una certa av- versione per tutto ciò che è novità non voglionovsentir parlare delle scuole di reciproco insegnamento ; questo metodo elementare trovasi descritto nelle lettere ‘di Pietro della Valle nostro viag- giatore, come già praticato nell’ Indie fino dall’anno 1623. Vedi Viaggi di Pietro della Valle il Pellegrino descritti in lettere far miliari ; parte terza cioè l’ India, lettera quinta da Ikkeri 32 no- venibre, paragrafo 5°. tal servendo al suo scopo, ammorzavano quella esuberante vivacità o bisogno reale di consumare le ridondanti for- ze che hanno naturalmente i giovinetti , e che gli rende talvolta senza lor colpà, incapaci di fissare l’attenzione; così il cavalcare, la scherma, il tirar d'arco, la palla, la lotta, il corso, il nuoto, la caccia , ed anco le finte bat- taglie, tramezzando le serie occupazioni servivano allo sviluppo delle forze del corpo non meno che a divagarne e rallegrarne lo spirito. Tutti questi giuochi far si dovevano all'aria aperta , ed in qualunque stagione : era sua massima che gli alunni a tutto accostumar si dovessero, saper non potendo qual tenor di vita loro destinerebbe un giorno la provvidenza; nè solo robusto ed agile esser doveva il lor corpo, ma ancora aggraziato e composto , e all’esterior culto della persona provvedeva in modo che proprio e decente si fosse, senza il minimo indizio di lusso. Egli st-va sem- pre unito ai suoi discepoli fin’anche nelle ricreazioni, e colla sua presenza temperava le dispute che insorte fa- cilmente sarebbero ad esacerbare gli animi degli alunni, e tenevagli in tale amichevol concordia fra loro; che detti gli avresti piuttosto ‘teneri amici o ‘fratelli che condisce- poli. Concordi ne’ principii e mei sentimenti , occupati dei medesimi oggetti di studio, sembravano non avere | altre inclinazioni se non amabili e generose, nè ad altro essere tutti intenti che‘ad evitare con ogni premura ciò che contristar potesse quell'uomo al quale in gran parte dovevano l’ eccellenza ‘della loro indole, che era il com- paguo delle loro occupazioni , il confidente dei loro pen- sieri, il consigliere delle loro azioni , l’amico dei loro. studi, che accoppiar sapeva la soavità del carattere con opportuna fermezza , e che riguardar potevasi giustamen- te come una madre senza che ne avesse l’ eccessiva in- dulgenza , e come un padre scevro del soverchio rigore , 122 che nascer suole dal voler troppo ad un tempo pretsadam i i dalla capacità di un fanciullo. 1 Ed a mostrarvi qual fosse l’amichevol fratellanza colla quale amavansi quei. fortunati discepoli, vaglia l'esempio di Francesco Prendilacqua allievo del nostro Vittorino, che ci ha descritta in un elegante dialogo la vita ed il metodo del suo precettore. Egli sceso un gior- no a bagnarsi nelle vicine acque, correva pericolo di ri- manervi sommerso, se gli altri condiscepoli con loro rischio accorsi non fossero premurosamente a soccorrerlo: Grato il Prendilacqua alle premure dei suoi compagni la mattina appresso lesse loro, spontaneamente all’ apertura della scuola, un’orazione in ringraziamento per averlo salvato dalla morte. Questo fatto che pur sembrar potreb- be di lieve momento, non ci mostra egli come si coltivas- sero e si mettessero in pratica in quel convitto i gentili sentimenti del cuore? Lo che non meriterebbe di esser da noi avvertito , se questi non sì vedessero pur troppo ordi- nariamente o inerti o soffocati dai sistemi della comuue educazione. lio La mensa degli alunni sana e parca , servir doveva alla loro necessaria nutrizione, mon, all’ abuso e. alla ghiottoneria. Si cibava Vittorino con essi di quelle mede- sime pietanze, che faceva loro imbandire, facili a_ritro- varsi dovunque, non meno che a digerirsi. Mangiava per altro pochissimo, e questo affliggeva non poco i giovinet- ti i quali, giudicando forse dal bisogno del proprio ipdivi- duo , credevano poterli nuocere sì scarso cibo, e con fre- quenti istanze lo pregavano a volersi meno sobriamente cibare ;, ed egli scherzevolmente rispondeva : quanto siam, differenti fra noi miei cari figli ( che così soleva chiamargli ,;e ne. aveva tutto il diritto ) voi siete inquieti perchè a ine nulla manchi, ed io al contrario perchè nulla sia a voi di soverchio. Assuefacevagli a bever poco 123 vino, ma il. pane non era loro negato a qualunque ora lo richiedessero. Caderebbe in acconcio adesso il narrare tutte le cure e le diligenze , ch'egli usò per ritornare in salute i due figli maggiori del Gonzaga, Lodovico e Carlo, l’uno per mostruosa pinguedine, l’ altro per stra- ordinaria magrezza malsani, quando fosse mio scopo di © entrare nei minuti particolari della di lui educazione, e non soltanto di tracciarne in breve il prospetto; solo dirò che fatto vecchio il da Feltre, ed essi sotto la di lui disci- plina forti divenuti e robusti, contemplandoli ambedue con lacrime di consolazione, chiamar soleva l’ uno il suo Ercole, l’altro il suo Achille. Parca la mensa, discretamente breve esser doveva il sonno. Invigilava l’istitutore che appena desti sorgessero del letto gli allievi, e che i loro primi pensieri rivolti fossero al Creatore, e quindi in varie ore opportune del giorno erano repartite le sacre lezioni e gli esercizi di pietà per, modo, che tra l’intellettuale, la fisica, e la morale educazione tutta impiegavasi attivamente la gior- nata. Era, come causa d'inerzia , proibito lo scaldarsi: nei rigori dell'inverno suppliva al fuoco non sempre sano, il moto sempre salubre. i; Adopravasi Vittorino in mille modi per condurre, blandamente al suo volere gli alunni senza andar loro di fronte od urtargli; egli trionfava dei più caparbi ed osti- nati ; procurando di divagargli da quell'oggetto che era la causa del loro capriccio, 0 sorprendendoli colla voce im- provvisa di uno strumento, o, coll’immagine di un ogget- to affatto nuovo, per essi. Dopo quattro stadi la filosofia mon c’ insegna a questo proposit nulla di più giusto nè di più ragionevole. ». Venendo adesso a parlare della cultura dell’ingegno, sappiamo che in quel Liceo insegnavasi la grammatica, la rettorica, le lettere greche e latine, l’aritmetica, le matematiche, l'astronomia, la' scienza dei costumi, e 124 più la pittura, la musica vocale e strumentale, ed il ballo. Quindi non parmi esagerato l’asserire che io feci’ fin da principio, trovarsi appena tali e tanti mezzi di educazione nei più accreditati collegi de’ nostri tempi. Quindi non è da stupirsi , come riflette il Tiraboschi, se molti dei più gran personaggi e dei più dotti uomini di quell'età si vantarono di aver avuto per loro maestro Vit- torino da Feltre, ed è sorprendente infatti il numero che di questi trovasi presso gli scrittori della vita di lui (2). Ritornando al nostro proposito aveva l’impareggiabi- le istitutore conosciuta l’ asprezza dei primi elementi , e la diflicoltà di fissarvi l’attenzione dei giovinetti, nel che parmi consistere appunto la chiave dell’ educazione ; e meutre più aggradevole e più nuova gliene rendeva la via per mezzo di alfabeti incisi sopra tavolette d'avorio diversamente colorate , preoccupava la gloria attribuita ai filosofi del passato secolo, di essere stati cioè gl’inventori, dei mezzi tendenti a sgombrare di triboli e spine i primi rudimenti del nostro sapere. Attentamente studiava il natural talento dei suoi allievi, e colà dove benigna natura chiamavagli, esso pure loro volgeva ed ammaestrava, non volendo che volto fos- se alle severe dottrine di Pallade quegli che per fervida fantasia annunziavasi non ‘ordinario cultor delle muse. Oltre all’ istruzione elementare si occupava special- mente nell’ insegnare le’ matematiche, nelle quali ‘erà per quel tempo peritissimo, l'astronomia, la rettorica e la scienza dei costumi‘; erano Je sue lezioni ‘chiare ‘e precise ; egli spianava per'tal modo i più astrusi e difficili (2) Scrissero la vita di Vittorino, il Platina, il Prendilacqua ed il Castiglione i quali tutti dovevano la loro educazione a quel- l’ eccellente maestro; ultimamente poi il cav. Rosmini colla solita sua dottrina ed esattezza pubblicò le notizie biografiche , non solo del precettore, ma ancora dei più ppi discepoli che vantasse l’ educazione della Giocosa. 425 ‘passi dei filosofi e dei poeti , nè pago era di sue fatiche fintanto che non leggeva nel volto di tutti ì suoi allievi quella serenità di fisonomia che risulta dal compiacimen- to della propria intelligenza; quindi egli era oltre ad ogni credere, fecondo di mezzi a discoprire la capacità e la forza intellettuale di ciascheduno. Le massime più luminose, i passi più celebri dei classici dovevano da quei. giovinetti ripetersi più volte, ed anco impararsi a memoria. Erano i classici i soli modelli che loro teneva sott’ occhio. Accuratissimo il nostro feltrense nell’ esaminare i lavori dei suoi alunni, invigilava che fuor di proposito non gli sfuggisse il biasimo o la lode: piuttosto facile alla seconda che al primo, per timore di non scoraggire gli animi dei timidi ed inesperti. Egli mostrava loro Je cagioni degli errori che era necessitato a correggere, e ne indicava la correzione: così nel tempo medesimo istrui- va e persuadeva i discepoli. Non riprendeva coloro che in materia di stile un poco troppo mostravansi gonfi ed adorni; giudicando che l’ età sarebbe stata loro maestra. A quelli poi che invece troppo aridi e freddi sembravan- gli, proponeva letture di fioriti ed ubertosi autori, Colla frequente lettura delle mirabili gesta dei più famosi eroi impegnava la curiosità dei giovani , ed accendevagli del nobile desio d’imitarne l’ esempio. ‘Quanto: l'insieme di questa educazione influisse $ul cuore di ciascheduno individuo, facil-cosa è a rilevarsi. I rendimenti di grazie al Creatore che loro venivano in- giunti ogni mattina ; l'obbedienza al precettore, la con- tinua , sebbene variata occupazione del tempo, formavano in essi una riunione di felici abitudini, oggetto grande ed unico a cui deve tendere un’ ottima educazione. Vegliava Vittorino incessantemente sul costume dei suoi discepoli: egli poneva al cimento nei primi giorni quegli individui che aveva ricevuto nel suo convitto, prescrivendo loro il 126 modo col quale si dovevano contenere ; coloro che. aperè tamente lo violavano venivano da esso corretti, e se per= sistevano incorreggibili erano congedati ; se poi alcuno fra di essi tentava di ascondere con simulazione le sue tra= sgressioni, era scacciato sul fatto. La dolcezza e la man» suetudine che lo facevano adorare da_tutti i suoi discepoli; cangiavansi in asprezza ed in erat ove i lor falli pro- cedessero da malizia. Egli perdonava le mancanze confes» sate, per il che più volte videsi ai piedi il colpevole accusatore dei propri falli. Quanto diligente mostravasi nel perscrutare la condotta dei suoi giovani , altrettanto invigilava sè stesso , affinchè nè atto sconcio, nè parole inconvenienti gli uscissero dal labbro, nè moto d’ onde rabbia o disprezzo trasparisse. Non era solito punire nell'istante medesimo in cui venivano i falli commessi ; nel correggere aveva riguardo alla varia indole dei suoi alunni, e col fervido e col superbo, in diversa guisa si comportava di quello che col placido e coll’ umile. È questo il quadro dell’antico Liceo mantovano, che in brevi tratti io rammento all'Italia, è tale il prospetto della educazione istituita da Vittorino da Feltre, educa- zione veramente mirabile, ove si abbia specialmente riguardo al secolo in cui fiori, nel quale benchè incomin- ciassero d’ allora gli sforzi e gl’ incitamenti per la gene- rale cultura , pur tuttavia scarsi ne erano i mezzi e molti errori ne ingombravano la strada; regnava tuttora l’astro- logia giudiciaria, rozzi ed incolti erano comunemente i costumi. Questo modello di letteraria e civile educazione luminosamente campeggiando in quel secolo, richiamava in. Mantova uno straordinario numero di giovani dalle provincie dell’Italia non solo, ma dalla Francia, dalla Germania , e dalla Grecia ancora ; era tale insomma quel- l’educatorio, ehe io non temo di troppo ‘asserire appros- simandolo per il confronto ai più famosi moderni oltra- montani instituti, confortaudomi anche a. ciò fare il 127 sentimento imparziale di un estero scrittore , il quale presentando alla Francia il prospetto della educazione del celebre Pestalozzi, in così fatta guisa ragiona appunto del nostro collegio: « Cette institution si remarquable par son «nom, sa nature et son objet, se trouve dans un tel rapport «avec celle dont je dois ébaucher le tableau, qu’ on dirait «qu'elle en a fait naitre l’idée, et que l’ Institut fondé « en Suisse par monsieur Pestalozzi n’est qu'une fidèle imi- « tation de la Maison joyeuse qui existait à Mantoue ».(3) ‘Così dunque scriverà uno straniero, e noi trattando tutto giorno di educazione taceremo ciò che in nostra gloria ridonda? Così dovremo aspettare senza arrossirne che altri dall’ estero la storia dei nostri progressi ci ap- prenda e noi ce ne mostreremo ignoranti? Ed abbiamo forse trovato sempre nelle altre nazioni giudici così giusti ed imparziali ? Vero è che se venne in sì gran fama l’educazione della Giocosa per opera di Vittorino, non scarsa parte di merito v' ebbe certamente a mio credere quell’ ottimo principe Francesco Gonzaga il quale, secondando le filan- tropiche vedute del nostro filosofo, magnificamente cor- redando di mezzi quella scuola, aprendone l'ingresso a tutti quelli individui a cui fosse piaciuto di profittarne 5 e permettendo così che dalla sua casa medesima si spar- gesse la luce delle lettere e delle scienze, affrettò la ci- sità della nostra nazione non che dell’ Hizopa) procurò fama indelebile al suo nome ed a quello di sua famiglia , provvide utilmente al vantaggio economico del proprio stato, e promosse non che dei suoi figli la cultura dei | sudditi di che egli non ebbe quindi a dolersi giammai, sperimentando anzi che può essere un’ ottima educazione | estesa senza timore a qualunque classe della società. (3) ,, Esprit de la méthode d’ éducation de Pestalozzi , par Marc Antoine Jullien. Tume premier; pag. 19. Milan, de l’impri- merie royale 1812. 128 Molte furono le lodi, che io chiamerei più volentieri le espressioni della riconoscenza , che i discepoli di Vit- torino profusero al loro istitutore, ma a questi di lui sco- lari e biografi insieme io non rimando coloro i quali dif- fusamente bramassero conoscere il piano di quella educa- zione; potrebbero eglino forse sospettare che il linguaggio” della gratitudine alterasse quello della verità. Quindi è che io stimo migliore divisamento indicar loro piuttosto per quello scopo le lettere di Ambrogio Camaldolense (4), ‘ giudice sincero, perchè non appartenne a quella scuola ,, e scrittore autorevole, perchè contemporaneo , e testimo- ne oculare delle virtù del mostro Vittorino, non meno che dei progressi dei suoi alunni. Ed io voglio sperare che quelle lettere , nelle quali si pennelleggia il carattere e la dottrina del precettore , l’ istruzione dei discepoli, l’ af- fetto, la concordia, e l’ attività che regnava in quella fa- miglia, rammenteranno a molti , per vari punti di analo- | gia, quelle importanti relazioni che abbiamo dai nostri viaggiatori intorno alle attuali estere case di educazione. Nè già pretendo d’ inferirne per questo che non ab- biano ai nostri giorni per opera di quegli uomini sommi dei quali alcune massime prevenne il nostro Vittorino , (4) Trovansi queste lettere pubblicate in due tomi in foglio col seguente titolo: Ambrosii Traversariù generalis Camaldu- lensium aliorumque ad ipsum et ad alios de eodem Ambrosio latinae epistolae a Domino Petro Cannetto abbate camaldulensi in libros XXV. tributae variorum opera distintae et observatio- nibus illustratae E. Florentiae ex typographo Caesareo 1759. Di queste epistole quattro specialmente parlano a lungo del nostro Vittorino, cioè , nel libro VII la terza diretta a Cosimo de’ Me- dici, nel VIII la 49 e la 50 ambedue indirizzate al celebre Nic- colò Niccoli, e finalmente nel XV la 38 scritta al padre Ambrogio Allegri. Il dottissimo Traversari parla del direttore della Giocosa anco in più luoghi del suo Zodeporicon o descrizione di un viag- gio che fece per,l’Italia per ordine di papa Eugenio IV, la qual opera fu pubblicata nel 1680 in Lucca, vedi alla pag. 34 e 35. 129 progredito ed anzi mirabilmente migliorato i metodi d’i- struzione ; sò bene che l’Ideologia , scienza sù di cui ba- sar deve qualunque ragionata educazione , era presso che nulla in quel tempo; che ancor sorto non era un Locke a stabilire i principii dell’ arte di pensare sull’ analisi degli strumenti medesimi del pensiero (5); che il Condillac meditando sulle opere di lui ancor non aveva sviluppata con maggior connessione l'origine delle nostre cognizioni, nè dimostrato che non si possono esse acquistare se non per la via dei sensi. Erasi ancora ben lungi dal convenire che il primo e principale scopo della educazione ‘consiste nel collocare le idee nell'ordine il più naturale, e nel pro- muovere le circostanze della istruzione a seconda delle vedute della natura. Non aveva ancora il buon senno non che il retto raziocinio sostituito alle noiose ed iuintelligi- bil regole grammaticali, che nella prima età ingombrano la mente degli alunni senza fissarvi una sola idea, sosti- tuito in quella vece io diceva , lo studio delle scienze na- turali come quello che presenta ai giovani con regolarità ed ordine una serie d’ oggetti non superiori alla loro ca- pacità ed insieme collegati nelle più naturali relazioni, per cui si assuefanno essi a ben ordinare le proprie idee , presentando loro ogni nome l’analisi dei caratteri propri di quell’ individuo, posti al confronto con quelli dei ge- neri e delle specie (6). (5) Chi prendesse a scrivere la storia delle scienze morali in Italia potrebbe rivendicare al nostro Sarpi molti privcipii che ono- rano il filosofo inglese, non solo intorno al riconoscere nei sensi la prima origine delle nostre idee, quanto ancora nel discoprir- ne l’altra sorgente nella reflessione da noi operata sopra le in- terne nostre facoltà; le quali verità insieme con altre molte lasciò scritte quel Proteo degli ingegni italiani nel suo trattato di lo- gica, che non ci è noto se non per quanto ne parla il dotto scrittore della storia della letteratura veneziana alla nota 254. (6) Meritano a questo. proposito di esser letti e meditati gli scritti di due chiarissimi ingegni taliani che onorano la nostra 130 i Confesso altresì che 1° Italia ha trascurato non poco l'educazione elementare dei fanciulli, che ella è stata fin qui mancante, e forse lo è tuttora, di quelle operette che adattate alla loro capacità, occupano, instruiscono e for- mano il cuore della gioventù, e delle quali rieche e ridon- .danti si mostrano le altre nazioni. Tutto ciò è ben vero io lo confesso, ma non è men vero per altro che questi ulteriori progressi valgono ap- punto a dare un maggior rilievo alla nostra anteriorità , ed a provare che fu la prima l’ Italia ad offrire un mo- dello di civile educazione tale da non temere per molti lati il confronto delle più celebrate moderne instituzioni pedagogiche , che ella aveva fin dal principio del secolo decimoquinto riconosciuto, quanto a condurre la gioventù meglio servano i dolci modi della persuasione che ne gua- dagna gli animi, di quello che l’ uso meno efficace e sem- pre odioso del rigore e della sferza. Fortunatamente l’ età in cui viviamo sembra abor- rire tuttociò che contrasta all’avanzamento del nostro sapere; fortunatamente l’ educazione divenuta lo scopo principale delle menti più illuminate, sembra promettere nelle future generazioni maggior cultura , e quindi mag- gior cognizione dei propri doveri. Ed è pe me consolante il vedere che la nostra Toscana non cede all’ altre nazioni nell'impegno e nello zelo per la diffusione dei lumi, che ella adotta non servilmente gli esteri metodi d'istruzione, ma gli modifica e gli perfeziona, a ragione stimando falso ed erroneo il credere che ciecamente si debbano ricevere gli altrui sistemi perchè frutto della profonda meditazio- ne di tanti uomini sommi, quando l’educazione ell’è una scienza all’ esperienza soggetta. nazione, la lettera cioè del sig. abate Michele Colombo intorno agli studi di un giovinetto di buona nascita, e |’ operetta del sig. Pietro Giordani sopra i frammenti Plautini e Terenziani, le ora- zioni d’ Iseo e di Temistio del Mai. Bibl. Itali. 1816. 131 Finalmente io scoggo con vero piacere che la classe superiore della società , nella quale è assolutamente neces- saria l'istruzione, e per essere utile altrui coll’esempio e col consiglio , e per l’impiego onesto del tempo, e per la conservazione dei propri fondi, questa classe medesima convinta di tanta verità, incomincia a anteporre alla so- verchia esteriore cultura del corpo , quella dello spirito, ed agli oziosi ridotti della moda e del giuoco, l’occupa- zione sempre utile ed onesta delle scienze, e delle lettere. Solo m’increbbe che in mezzo a questo general fer- vore, in mezzo a questo comune entusiasmo per la pub- blica istruzione, siasi di Vittorino taciuto e di quanto ei fece ed ottenne a’ suoi tempi per questo scopo medesimo. Certo che non così avvenuto sarebbe ove maggior cura e maggior zelo avessero gl’italiani per tutto ciò che loro appartiene, ed in luogo di lacerarsi lun Valtro a vicenda, concordemente animati fossero dal nobil talento dell’ onor nazionale ; ma s’ ell’è impossibil cosa ad otte- nersi codesta unione di animi, ( come l’esperienza di tanti secoli ormai dimostra ) almeno uniti e così più forti mostriamoci quando si tratti, o di porre nel vero suo pe , 0 di rivendicare dai plagi degli stranieri la gloria della nostra nazione, che forse allora meno derisi e più temuti saremo. V. A. n Biblioteca amena ed istruttiva per le donne gentili. — Milano per Gio. Pirotta, 1821. 1822. in 8.° vol. VIII, delle Confessioni al sepolcro di Aveusro LAroyw- TAINE. \ ( Conclusione. Vedi vol. X. A. p: 29. ) Adolfo e Rosina sì presentarono all’ udienza del mini: stro, il quale gli accolse con una cortesia senza pari. Rosi- na parlò a favore di Hostmann, che per ordine della si sie Maggio 9 132 | polizia era stato arrestato , con tanta energia ed ingenuità che il ministro ne sembrò commosso. La interrogò quin- di se sapesse perchè fosse arrestato, ed ella non seppe indicare altro che l’ impiastro che portava sul volto, e il castello vecchio e rovinato nel quale abitava. Volle il ministro che rimanessero ambidue a pranzo con lui; e alla fine del pranzo egli presentò ai due giovani Hostmann, Il quale rimase sorpreso dell’imaspettato incontro. « Signore Hostmann voi siete libero ( disse il ministro), perchè siete innocente; ma il vostro arresto vi serva di lezione, Sov- vengavi che un uomo non si allontana mai impunemente dal seno della società ... Voi siete libero; ma la vostra liberazione non sarebbe avvenuta sì presto , se questa an- gelica persona non mi avesse offerta la propria vita im pegno della vostra innocenza » .... È inesprimibile il giubbilo col quale ritornati a Lin- denhoffen furono essi ricevuti da tutta la famiglia. Mentre Federiga s infatuava, secondo il suo solito, del favore che i suoi figli avevano trovato nel ministro, e mentre sperava nuove fortune, l’altro figlio Ruggero ricomparve molto tristo e sgomento in seno della sua famiglia. Oltrag- giato dall’intendente dei minatori egli aveva abbandona- to l’impiego che aveva alle miniere, chiedendo la dimis- sione al ministro. E che ti ha egli risposto? ( gli dimandò Federiga ). — Egli mi mandò la dimissione, e |’ accompagnò con una rimostranza x molto pungente. — Sarà senza dubbio gran tempo che questo è succeduto : ora egli si comporterebbe diversamente. — Madre cara ! Non fu che ieri l’altro che la lettera mi pervenne. Io feci tosto il mio fagotto. — Ieri l’altro? ( disse spaventata la madre ). E quindi cessarono le belle speranze ch’ ella aveva fondate sul favore del ministro. Ruggero era un giovine molto risentito, ed avrebbe voluto prendersi una forte soddisfazione dell’oltraggio fattogli dall’ intendente; ma la filosofia di Hostmann seppe contenerlo. Il dispiacere di Ruggero non nasceva dalla sola perdita del suo impiego: 133 egli aveva concepita una passione amorosa per la figlia del cassiere dell’ amministrazione delle miniere. Raccon- tò alla sua famiglia tutta l’istoria dei suvi amori; ma non seppe fermarsi per lungo tratto di tempo nella propria casa, e bisognò che andasse a rivedere la sua amante. Dopo due giorni tornò, ma non più contento di prima. L’istesso intendente delle miniere, che aveva oltraggiato RuggéTo, aveva prima procurato che anco il cassiere, l'onorato Kliuger, il padre della tenera Lorenza tanto caldamente amata da Ruggero, fosse egli pure destituito dalle sue incombenze; per lo che ritiratosi in una piccola città viveva col denaro che aveva tratto dalla vendita d’ alcuni suoi effetti; il che formava tutto il suo capitale. Pure in mezzo all'afllizione balenò un lampo di contento. Il fratello di Federiga, che era partito per l’ America , le inviò una ricca cassa di abiti, di stoffe, di scialli finissimi, con più alcuni fili di perle ed altri gioielli di valore: uno de’ primi pensieri di Rosina fu di consegnare a Ruggero i più preziosi oggetti che in quella cassa sì contenevano, affine di vendergli, e col denaro ricavato soccorrere l’infelice Klinger, il padre della sua Lorenza, e quindi condurla a stare a vivere con la loro famiglia. Egli partì tutto lieto ad eseguire il progetto della sua affettuosa sorella. Aspettavano una sera il ritorno di Ruggero, e ansiosi erano di vedere Lorenza; e per ricevere questa coppia lutto era disposto : le donne si erano elegantemente vesti- te, fuori che Rosina, ed era dato ordine per un’ accade- mia di suono e di canto, la quale era già incominciata quando aprissi ad un tratto la porta, e comparve iniprov- visamente il ministro. I Vengo amabile Rosina per farvi una visita. E questo il vo- stro rispettabile genitore ? — Eccellenza sì —... Godo trovarmi in casa di sì bravo uomo. .. Ab! ah! ecco il signore. . Come vi chiamate? Ah! sì il sig. Hostmano : La salute è buona per quanto veggo ... Ah! ecco il giovine... Adolfo mi pare ?.. vi 134 domando scusa . . . chi sono queste due signore ? — È la mia cara madre, e la mia buona sorella. | Le due donne arrossirono vedendo d’ essere attenta- mente osservate dal ministro che confrontava con gli sguardi il loro lusso colla semplicità dell’ abito di Rosina. Presero opportunamente il tempo e andarono a spogliarsi di quelli abiti, e tornarono quindi più positivamente vestite . i Il ministro propose ad Adolfo il posto di suo biblio- tecario, e in certo modo di segretario per alcune cose che non conveniva rivelare a veruno. Accettò quindi di fer- marsi a cena con loro; e già le tavole erano poste, quan- do Ruggero si slanciò nella stanza, gridando: « eccola eccola la mia Lorenza. » L’accoglienza fu grande quanto la sorpresa. Tutti saltarono al collo de’ due nuovi ospiti, cosicchè più non fu fatta attenzione al ministro, che testimone dei trasporti della gioia della famiglia, si era ritirato in un canto. » Ah Lorenza? ( esclamò Ruggero ) vorrei che qui fosse il ministro, e che vedesse che malgrado la sua ingiustizia io sono felice ». Il ministro allora si fece innanzi dicen- dogli che il suo desiderio era soddisfatto perchè il mini- stro vedeva come egli era felice. In fine si posero a tavola. Il posto d’onore fu per Ruggero e Lorenza, e lo stesso ministro fu quello che ve li condusse, e poi sedè fra Rosina e la sua sorella. La mensa fu lietissima. Erano già trascorse le ore della sera- ta senza avvedersene, quando il ministro parti. Volgen- dosi ad Ermanno, e prendendolo per mano gli disse che godeva in vedere che per mezz'ora in sua casa era stato dimenticato che vi fosse un ministro; e lo ringraziò specialmente per avere avuta occasione d’essersi egli pure affatto dimenticato di sè medesimo. Pochi giorni di poi Adolfo si recò presso il ministro a coprire l’impiego addossatogli; e fu accolto ottimamen- 135 te. Fu provvisto anco Ruggero d’ un impiego nella dogana di Reimberg, luogo ove abitava il padre di Lorenza. Rimase Ermanno con la sua moglie e le due figlie e l’amico Hostmann , il quale prese tutta la cura dei campi d’Ermanno come un semplice lavoratore. Erano tutti felici, se si eccettui Federiga la quale avrebbe desiderato un bello appartamento, bei mobili, un bel sofà, di belle cortine, ed altre cose di parata. Un’ altra circostanza turbava la di lei tranquillità, ed era l'amor di Hostmann per Rosina; e le faceva una specie d’orrore il pensare che sua figlia lo avrebbe sposato quando egli ne facesse la di- manda. Ma il contegno circospetto e discreto di Hostmann verso Rosina parve opportunamente usato per calmare i dubbi di Federiga, la quale considerata la povertà del- l’incognito, avrebbe desiderato di divenir ricca per ri- compensarlo de’suoi servigi, onde non potesse pretenderne altro premio. Non passò molto tempo che la fortuna guardando con occhio benigno la famiglia di Ermanno versò sopra di quella a piene mani i suoi favori. Federiga fu lasciata erede da un suo vecchio zio avarissimo, e per questo ric- chissimo, il quale aveva casa ad Annover. Essa se ne andò con tutta la famiglia a prendere possesso dell'eredità; e gongolava dal piacere di trovarsi in un bel palazzo, pieno di oggetti preziosi, avendo lasciata la povera casuc- cia di Lindenhoffen, ove rimase Hostmann per accudire alle facende de’ campi che vi erano annessi. Fra gli og- getti onde era abbondantemente provvista l'abitazione del defunto, eravi un bel clavicembalo. A quello corse Rosina; vi eseguì qualche sonata, e lo trovò buonissimo. O cara mamma ( disse ella ) di tutte queste ricchezze, una cosa sola pregovi ad accordarmi: quella . . . ( additò il piano-forte) . Ben volentieri disse la madre. — Rosina, (disse allora Ermanno) questo istromento, per quanto ho sentito da uno de’ servitori di casa, era l’unica cosa cara che fosse rimasta ad una sfortunata famiglia! — L’ unica cosa cara che avesse! (rispose Rosina ). Lo- 136 i de dato sia Dio! ora è mio e vado a farlo portare a’ suoi antichi padroni. — Come ( disse Federiga ) farlo portare via! Sei tu pazza! sai tu che esso è un mobile prezioso ? No, no , Rosina ; ciò non va bene. — Ma, cara mamma una povera. famiglia . . , , sono pochi giorni che eravamo povera famiglia ancor noi. Oh mamma; se la necessità ci avesse obbligati a vendere il nostro clavicembalo o il corno da caccia di Hostmann! .. — Ebbene; manderemo loro un clavicembalo ; ( soggiunse la madre ). — Bel pensamento è questo tuo ( riprese Ermano ). Manda ìoro un cla- vicembalo onde ad ogui aspro suono che n’esca più dolorosamente ancora abbiano a ricordarsi del bello stromento perduto! Rosina scrivi un biglietto pulito. Codesti sventurati chiamansi Grellmann, e il servitore sa ove alloggiano. — Quando è così) chi sa quanta roba avremo a restituire Ve —. E quando si trattasse , Federiga mia, di mezza eredità; io non esiterei ad abbandonarla per non conservare in casa ciò che forma l’ultima cara cosa di una fa- miglia. — Via restituisci, dona, manda fuor di casa tatto. E il clavicembalo fu rimandato alla famiglia Grel- Imann; la quale fu anco soccorsa nell’indigenza in cuì si trovava. Uno dei primi pensieri di Federiga divenuta ricca fu di fornire il palazzo dei più ricchi diodi di ultimo gusto. Quindi la casa era piena di sarti, di tappezzieri, di modiste e di venditori di drappi e di ogni altro genere di galante- rie: fu fatta venire una sibetbà carrozza da Londra , bel- lissimi cavalli: . .. ma non avevano altre conoscenze che quella della famiglia miserabile che avevano soccorsa ; e tanta magnificenza attirò sopra Ermanno la maldicenza di molti annoveresi, i quali lo dicevano un lavorator di campagna, che veniva a spacciarsi per duca, arricchito dall’eredità di un avaro rapace; e nissuno si curava dì far seco loro conoscenza. Tanti sarcasmi moriti ficavano con- tinuamente Federiga, le figlie ed Ermanno; cosicchè tutti desideravano che con loro si trovasse Hostmann che era sempre stato il loro consolatore. Rosina a insinuazione di tutti gli scrisse che andasse a trovarli. Lo stesso invito fu fatto ai figli, cui fu ancora rimessa alcuna somma di de- naro; ma essì rifiutarono , e diedero incombenza di 137 farè le loro scuse ad Hostmann, il quale otto giorni dopo comparve al palazzo d’Ermanno vestito secondo il suo solito d’ un abito da vero zingano. « Voi ci trovate ( gli disse Elena ) nella dura condizione di non poter cambiar il nostro oro in allegria. Grande scoperta sarebbe questa (le rispose Hostmann). È più facile cambiare il dolore in piacere: sovvengavi di quel pittore che con una sola pen- nellata, di un fanciullo che piangeva formava il genio dell’ allegria. L’ allegria, la vera allegria non entra qua- si mai nelle sale e negli appartamenti di gala. Caro Hostmann, riprese Ermanno, ella però segue costantemen- te i vostri passi. All’ opposto, replicò Hostmann , io sono quello che seguo i suoi » . Federiga avrebbe voluto che si cambiasse d’abito e di parrucca ; ma egli non volle a patto veruno. Parevale che vestito in quella guisa dovesse rendere ridicola la di’ lei famiglia, e trarle addosso muovi sarcasmi e nuove maldicenze. Ma presto la tolse d’inganno ; poichè andato una volta colle due figlie in una numerosissima riunione di persone di ceto ragguardevole, egli e le due ragazze fe- cero la miglior figura possibile, e svegliarono la meraviglia di tutti. Non si parlava della famiglia di Ermanno e dell’ amico Hostmann che con lode; laddove pochi dì prima se ne discorreva con sommo biasmo. Lezione efli- cace per far vedere quanto poco conto far si debba delle lodi e dei biasimi della società: dovendo quasi sempre tener luogo di tutto l’intimo sentimento della propria innocenza. L Così si trovarono le due sorelle in un mondo nuovo, passando dalla paterna solitudine in mezzo a numerose conversazioni; dal semplice e tranquillo vivere della campagna alla rumorosa e splendida vita della città. Face- vano esse brillare il loro talento, edificavano colla loro indole, colle loro civili maniere, colla loro istruzione. Mercè l’ educazione data da Hostmann a queste due don- 138 zelle, il loro cuore si mantenne puro , il loro giudizio sano , per quanto si trovassero nel vortice dei- piaceri. Ad onta di ciò Federiga che aveva desiderato sempre le ricchezze come una sorgente di felicità , si trovava de- lusa in questa sua speranza. Non sapendo persuadersi che la noia sempre accompagna 1 piaceri, cercò altra via per giungere ad essere contenta , e cominciò ad occuparsi del pensiero di maritare le sue figlie; non disegnando. altra cosa che introdurre tutti i suoi figli in ricche famiglie. Tentò di sedurre il suo Ruggero che venne a visitarla, procurando di distorlo dal suo matrimonio con Lorenza; ma egli stette saldo e rinunziò a condurre in Annover una vita agiata, e volle tornare in seno della famiglia del suo vecchio suocero. I disegni di Federiga parve che potessero in parte effettuarsi sulle figlie. Infatti si presentò un. giovine per Rosina , non ricchissimo , ma nobile e indipendente ,. il quale cercò di farsi amico Hostmann, vedendo ch'ei tanto influiva nella famiglia di Ermanno. Questo nuovo partito mosse ancor più Federiga a desiderare che Hostmann si allontanasse ; prevedendo che Rosina; finchè egli le fosse stato vicino, non avrebbe acconsentito a veruna proposi- zione. Per ottener ciò propose di dargli un capitale onde poter vivere , e sciogliersi così dagli obblighi che tutta la famiglia a lui confessava di avere. Gli fu fatta la offerta , che egli con grandezza d’ animo , e con tranquillo conte- gno rifiutò ; e risolse di partire da Annover. La sua. par- tenza diede comodo al sig. Brockmann , che così chiama- vasi il nuovo preteridente di Rosina , di più accostarsele : ma Rosina non sentiva amore per lui, e apertamente lo diceva a sua madre. Questa volle provare non essere ne- cessario l’amore prima del matrimonio, citandole mille unioni , nelle quali il marito e la moglie mon si erano per l’avanti mai veduti, e non ostante erano vissuti felici e contenti . i to 139 Sì mamma (disse Elena, che era stata il forte contradittore della madre): vedo che ella può maritarsi senza amore; ne sono convinta, ammeno, però che non ami qualche altro. — Rosina amerebbe forse qualchedun’ altro? ( replicò Federiga). — Ma cara mamma, questa è un’ idea venuta in testa a me. Io non affermo già la cosa. Del resto l’ avete tante volte rimproverata di non amar nulla : non sarebbe giusto che ora la condannaste per aver seguite le vostre insinuazioni. Voi stessa, cara mamma, avete amato mio padre senza dirlo al papà e alla mamma Reinhard: ce lo avete raccontato dieci volte... -— Ma io credeva ad una - profezia. — Ah! cara mamma ecco perduta la vostra causa. Le prime parole del cuore sembrano ordinariamente la voce del cie- lo; e il cuor nostro, in quanto ad oracolo, vale bene tanto quanto il vostro cuculo. Elena a chiari segni aveva conosciuto che Rosina amava Hostmann ‘ad onta delle sue spiacevoli apparenze, incantata dall’ indole di quell’ uomo , e ne diede qualche cenno ad Ermanno, senza fargli comprendere apertamen- te che Hostmann fosse l'oggetto del suo amore. Ermanno fidato nella saviezza ed onestà di Hostmann, col consenso della moglie gli scrisse una pressante-lettera, colla quale lo. invitava a recarsi ad. Annover. Egli giunse. Gli fu dato l’incarico di parlare a Rosina per persuaderla a quel ma- trimonio. Egli se lo addosso, chiedendo però che tutti fossero stati presenti a quanto egli dicesse alla fanciulla. La madre cominciò facendo l’ elogio del sig. Brock- mann, e continuò narrando la resistenza che Rosina faceva a questa unione. Elena pose il caso, per ipotesi, che Host- mann amasse Rosina; la madre soggiunse che egli era troppo ragionevole per non concepire il desiderio d’essere «amato da lei. Hostmann turbatissimo e in una estrema ‘oppressione cercava invano di rimettersi dal suo turba- mento. Elena persisteva a dire che il cuor di Rosina ascondeva un amor segreto. Questa cadde svenuta fra le braccia del padre. « Parla, (le disse Elena strappandola dalle braccia del padre ) parla, Rosina infelice, o tu lo perdi per sempre ». Hostmann vacillando cercava il suo 140 cappello per andarsene. Rosina, pallida, tremante si avanzò in mezzo a tutti e disse con voce moribonda: « sì io l'amo: l’imprudente ha strappato dal mio cuore il segreto ...sì amo Hostmann e di un amore inesprimi- bile ». Hostmann balbettando « mia cara Rosina » im- pallidì , chiuse gli occhi, e cadde te Elena tutta lieta gioiosamente gridò : « è svenuto, è svenuto »; tuffò il suo fazzoletto nell’ acqua , gli bagnò il volto e gli strap- pò di testa la parrucca, e dal viso l’impiastro che portava sulla faccia ; e ciò tanto rapidamente che niun se ne ac- corse . Il fresco dell’acqua lo riebbe. Alzatosi, tutti gettarono un grido di spavento. Niuno lo riconosceva. Il suo volto era fresco e colorito , i suoi capelli biondi; insomma era un bel giovane. Ei si vide in uno specchio: comprese il motivo della meraviglia e dello spavento delle donne e di Ermanno, senza indovinare come fosse avvenuta questa metamorfosi . Ma Dio buono! (disse Federiga ). Come hai potuto, Rosina, aver sì poca fiducia in noi? Tu sapevi che il suo impiastro non ascondeva nè male, nè cicatrici; e tu non hai detto nulla? —.... Vi\giuro, madre mia, che io non aveva mai sospettato nulla di ciò che veggiamo ... — Dunque tu lo hai amato a dispetto di quel suo esteriore sì rivoltante? — Sì, madre mia, l’ ho amato tene- ramente; e quasi direi che, cambiando come vedete, ei ci ha per- duto.— Ma; e perchè quel travestimento? gli hai tu domandato?..— Non gli ho mai domandato nulla. — Oh! bisogna che glielo do- mandi... Ma Elena ha saputo che tu lo amavi? — Io sapeva (rispose Elena ) che Rosina lo amava, sebbene non me lo abbia mai confessato: ma ne aveva tante prove per crederlo. Per esem- pio: sulla polvere, sulla carta, su’ vetri delle finestre coperte di ghiaccio ella scriveva la lettera H...; mentre sognava l’udii spesso chiamare Hostmann .... Egli era uscito un poco per riaversi dal suo turba- mento. Elena già da qualche tempo aveva scoperto il suo segreto da un foro fatto alla porta della camera , ove era altra volta stato nel dimorare ad Annover, vedendogli la- (LEA usta 141 ‘vare il viso. Colse l'opportunità di quel deliquio, e lo tornò nella di lui forma naturale. Avendo tutti curiosità di sapere il motivo di quel suo travestimento, egli ne in- cominciò il racconto. Essendo egli il minore di altri suoi fratelli, un suo zio lo prese ad educare quando aveva l’ età di due anni, e lo condusse per questo in una campagna. Questo suo zio aveva alcuni principi molto bizzarri. Egli credeva che gli uomini fossero perfettamente eguali fra loro, nè trovava altra differenza che quella del vizio e della virtù. « Un furfante (soleva dire ) non sarà per me giammai che un furfante, quando avesse pure i tesori di Creso , e la testa coperta di qualunque decorazione » . Così pensava nell’età sua giovanile: ma il senno crebbe coll’ età, ed ei tem- però alquanto questi suoi principi . Secondo lui la felicità umana consisteva nella perfetta sanità del corpo e dell’a- nimo, congiunte coll’ indipendenza da tutti gli uomini e da tutti i bisogni. Egli educò suo pipote a qualunque pri- vazione: e sebbene ricco e fornito di servi e di cavalli, e di tutto ciò che posson somministrare le ricchezze, lo faceva lavorare ne’ campi, volendo che non si trovasse mai nella necessità di vivere dei doni altrui, ma del proprio lavoro. L’assuefece a sopportare il dolore, la fame, il fred- do, la fatica; e quel che è più, a vincere le tempeste delle passioni. GI’ insegnò le scienze e le loro applicazioni, le lingue dotte, la musica , il disegno. Lo fece viaggiare in sua compagnia, onde conoscer l'indole delle diverse nazioni europee. À diciannove anni era già uomo pel coraggio e per la ragione, ma fanciullo per l'innocenza e purità di ‘costumi, e per la gioia dell’animo. Scelse la carriera delle armi, e ben tosto conobbe che tutti gli uomini ch’ ei cre- deva buoni , sinceri, cordiali, amici, non erano tali quali glieli fingeva la suna buona fede e il suo candore. Concepì dell’ amore per una giovine orfana che tro- ravasi alle mani di una zia; ma costei aveva ben’ altre 14a val mire che farne la moglie di un semplice tenente quale era Ottone Hostmann. Quindi si adoperò perchè la conseguisse un vecchio maggiore che punto non piaceva ad Emilia, — che tale era il nome della donzella. Furono tentate le strade più maligne perchè ‘essa si disgustasse di Host- mann; ma tutto riuscì vano. Ciò fu cagione che il mag- giore gli divenne nemico, e i suoi amici lo abbandonarono alla malevoglienza dei suoi superiori. Lo zio d’Hostmann aveva dato il suo assenso per questo matrimonio ; la zia di Emilia ‘era tutta contenta, avendo sentito che era egli nipote di un uomo facoltoso che approvava questa unione: ma quando senti dalla viva voce di lui che il nipote avrebbe dovuto vivere della sua paga, e di poco altro che ei gli somministrerebbe , le girò la testa, e adoperò in modo che Ottone ricusasse la mano Ì di Emilia ; la quale sposò a insinuazione della zia un ricco e bel giovine. Desolato Ottone corse a dolersi collo zio della sua sventura , maravigliando come il suo tenero e leale amore potesse esser posposto all’ oro, ad una bella persona , ad un ricco uniforme: e fino d’ allora fece pro- pouimento di cercare ( ciò che lo zio dicevagli non tro- varsi sulla terra ) un cuor fedele simile al suo ; una donna che lo amasse per sè stesso, senza esser debitore di questo affetto nè alla gioventù, nè al grado, nè alla fortuna. Allora fu che contraffece la sua figura nascondendosi una guancia sotto un grande impiastro, tingendosi la fronte e il volto, e delineandovi molte rughe, coprendo i suoi capelli con una disordinata parrucca. « Ecco come io vo- glio andare a cercare il mio tesoro », disse a suo zi0; eim- mantinente partì, determinato di non cambiar di figura fino a tanto che non avesse trovata un’ amante quale ei voleva. Avvisò saviamente che l’ oggetto di cui andava in traccia non sarebbesi trovato che fra zittelle di mediocre stato , ed educate lungi dalle gran città: quindi errò lun- 143 go tempo pe’ villaggi e pe’ borghi; ma le sue disgustose ‘apparenze spaventavano quante ragazze se gli avvicina- vano; e quasi quasi disperava di poter trovare chi lo amasse in grazia del suo cuore , del suo spirito, de’ suoi talenti e del bene ch’ egli amava di fare. Si stabilì nelle rovine del vecchio castello ove fu in- | contrato da Ermanno. Al primo vedere Rosina l’amò con tutto il trasporto, e in lei trovò il tesoro che andava cer- cando . Udita l’istoria di Hostmann, altro pensiero non oc- cupò la moglie di Ermanno che i preparativi e le feste pel matrimonio di questi due avventurati amanti. Ella abbracciò con piacere l’ occasione che se le presentava di potere ordinare sontuosamente le nozze. Una solenne sti- pulazione del contratto; solenne la formalità dell’ anello; un pranzo; una festa di ballo, e tutto nel modo il più splendido e signorile. Hostmann rinunziò nobilmente: la generosa dote che Ermanno assegnar voleva alla figlia, dicendo di avere imparato quanto poco sia necessario. il denaro per esser felice ; tanto più che egli e Rosina erano risoluti vivere nell’oscurità e nel silenzio, onde godere di quella felicità che è figlia della coltura dello spirito , del- l’amore, del lavoro, e dell’ indipendenza. Egli annunziò che dopo pochi giorni sarebbe partito con sua moglie e che l’ avrebbe condotta in un luogo, soggiorno del riposo e della felicità . . . a Lindenhoffen. Aveva già fatto ria- dattare e riammobiliare l’ abitazione ; e tre giorni dopo partì, ricusando la compagnia persino di Adolfo e di Rug- gero, e promettendo d’invitar tutti nella prossima estate; dicendo che non sarebbe stato possibile che ognuno avesse voluto dargli qualche consiglio sulle sue cose di casa; e che l’uomo doveva pensare da per sè alla propria felicità. Giunta l’estate la famiglia di Ermanno si recò a Lindenhoffen, e trovò Hostmann e Rosina perfettamente felici. La loro abitazione spirava lindura e semplicità , e N 144 non vi maucavano tutti i possibili comodi necessari alla vita. Ammirò tutto la madre di Rosina , ma non potè trat- tenérsi dal rimproverare dolcemente ad Hostmann la vita solitaria e ritirata in che la sua figlia viveva ; e gli propose che adottasse col tempo un genere di vita conveniente alla di lui situazione , la quale manifestamente appariva agiata, anzi doviziosa. Hostmann rispose, che tosto che Rosina gli avesse detto che l’attual modo loro di vivere non bastasse più a renderla felice , egli lo avrebbe can- giato : ma che fino a tauto ch’ e’ fosse stato convinto che ogni cambiamento , invece di accrescere, avrebbe potuto distruggere la presente felicità , non avrebbe fatto muta- mento veruno. Federiga , la quale non sognava che magnificenze e | ricchezze, sentendo da sua figlia con quanta generosità | Hostmann sovvenisse gli sventurati e gl’indigenti, arguì ch’ ei fosse ricchissimo, e domandò a Rosina se ciò fosse vero . Anch’ io lo credo (le rispose la figlia ) perchè la cassa che mi è affidata pei poveri e per gli sventurati del vicinato è la me- glio provvista. Sì, egli è ricco, ... ricco come la natura, e come la natura benefico. — Federiga trasse fuori il fazzoletto, indi utt’ ad un tratto si messe a piangere. — Che hai tu Federiga , le disse Ermanno ). — Io voleva fare un nodo al fazzoletto per ion dimenticare . . . che siamo ricchi anco noi, e che . . . oh Dio! aissuna benedizione riposa sulle nostre ricchezze , nissuna preghie- ra d’uno sventurato che abbia avuto consolazione da noi! Oh Ermanno , Ermanno!... Hostmann era benefico, sì; ma usava-la maggiore. economia ne’ suoi benefizi. Dava raramente denaro, ma sempre buoni consigli, lavori, raccomandazioni; confor- tava ed inanimava gli sventurati efficacemente, servendosi - della persuasione e della confidenza, alle quali due armi è raro che la disgrazia resista. Insomma egli era un mo- dello di bontà fra gli uomini, e chiaro mostrava che le | pene della vita mal si sopportano, quando le sfrenate pas- | 145 sioni l’avvelenano; e che l’amore, l'unione, la confi- denza, l’ amicizia han l’arte di trarre godimenti fin dagli stessi affanni. Partendo per Annover la famiglia d’ Er- manno, la stessa Federiga dovè confessare che essa era ricca, ma non era felice. è Elena priva della compagnia di Hostmann compensò questa privazione con una non interrotta corrispondenza di lettere. Ella apriva a lui il suo cuoré, ed egli le sugge- riva savissimi consigli, specialmente sulle avvertenze ne- cessarie nella scelta di uno sposo. Ei la fortificò nel difli- dare delle più lusinghiere apparenze, le quali in progresso di tempo lasciano sempre trasparire qualche difetto na- scosto , ove non mostrasi che sola virtù. Soleva Elena ripetere a sè stessa la seguente sentenza: prova il tuo vino tre volte ; prova sette volte il tuo amico, nella di- sgrazia se egli tl assiste, e sette volte nella prosperità se non t' invidia; dopo abbandonati a lui. Ma, tu ra- gazza, prova il tuo amante settantasette volte ; e non tenerti ancora sicura di lui. Mentre ella desiderava trovare un uomo incapace di qualunque cattiva azione, che non si smarrisse all’aspetto dell'infortunio, che scegliesse piuttosto morire che vivere con infamia, che amasse veramente la sua sposa, ma più il suo onore; l'occasione le presentò l’incontro d’un gio- vane miserabile , che implorava per sua madre una pen- sione toltale per un mal’inteso. Ella senza darsi a conoscere, lo soccorse del proprio, commossa dal carattere virtuoso che avvisò di scuoprire in lui, e cominciò da quel momento a sentire per costui dell'amore, parendole di | aver trovato l’uomo secondo i suoi desideri. Intanto la madre formava grandiosi disegni sulla mano della figlia che erale rimasta nubile, volendo che il cuore di lei fosse destinato ad un uomo di cospicua nobiltà. Non sognava altro che titoli, pergamene e stemmi; protestandosi che non avrebbe miai acconsentito che desse la sua mano ad 146 | I “e altri che a un gentiluomo. Ma altra cosa era del cuore, altra della mano. Elena aveva già disposto del primo a favore di Gartner ( così chiamavasi il giovine amato da lei ); ma al medesimo aveva annunziato non essere ella padrona di disporre della sua mano. Le speranze di Gart- ner erano fondate sul credere che Elena fosse una sem- plice cameriera , giacchè come tale ella si era fatta a lui credere; cosicchè quando gli notificò di avere una madre, ed esser forse la più ricca donna di Annover, e che si era messa in testa di ammogliar sua figlia solamente ad un ‘gentiluomo , il povero Gartner sbigotti; ma non per que- sto sì disanimò sentendo quanto affetto ella sentisse per lui. Ma quando udì da lei. che un suo amico era fatto suo arbitro e consigliere nella scelta che fosse per fare di uno sposo; che a lui aveva promesso di tutto ma- nifestare, e dal medesimo dipendere con una cieca som- missione ed una illimitata confidenza , non conoscendo le qualità di questo amico, dopo lungo contrasto si di- chiarò che niuno fuorchè egli stesso aveva diritto sull’ a- more di lei, e che ei non voleva mendicare il di lei cuore dalle mani di un altro. Elena pronta a sagrificar tutto , ad abbandonare la ricca abitazione dei suoi genitori, persistè nel mantenere la promessa fatta al suo amico di tutto manifestarli. x Promettimi (le disse Gartner) che da ora in poi que- st’ uomo non saprà più una parola di quanto succeda tra noi » . Gartner ( replicò Elena con fermezza ) egli saprà — tutto; io l’ ho giurato. — Ebbene siamo dunque separati ( soggiunse il giovine): posso sopportare il dolore; ma ‘anche per ottenere una felicità non commetterò mai una bassezza; e perdendovi voglio rimaner degno di voi. — Detto ciò salutandola la lasciò. Ella di tutto ne diè con- tezza ad Hostmann. Disapprovò Hostmann con le sue lettere il contegno . | d’ Elena, dicendole che Gartner erasi secolei portato no- L 147 bilmente: ma che si racconsolasse che egli non si era involato da lei per sempre. Le aggiunse che egli aveva avuta ragione ; che l’ amore deve essere il premio dell’ a- more , e che non deve mendicarsi un cuore neppure dalle mani della più santa e più pura amicizia. ( ’ I genitori di Elena ignoravano onvinamente tutto quanto, era passato fra la loro figlia e Gartner; e quindi Federiga era sempre nel pensiero di servirsi. di lei per imparentar la sua famiglia con qualche gran signore, fosse egli.ancor povero, poichè era essa in grado di arricchirlo. La felicità che aveva goduta nel breve soggiorno fatto da lei.a Lindenhoffen presso Rosina le fece formar il propo- posito di ritirarsi presso di lei, tosto che avesse collocata con un nobile matrimonio la'sna Elena: dicendo ad Er- mannoj;essere ella stanca del gran mondo, nel tempo stesso che procurar voleva alla figlia uno stato diverso da quello che proponeva di scegliere per sè. Con queste mire Federiga allontanava pian piano da casa sua tutti i borghigiani che avessero potuto trarre a sè gli sguardi di Elena, nel tempo che col lusso e la ma- gnificenza procurava attirare a sè ua più scelta compa- guia. Così si espose ai dileggi degii uomini di condizione, clie consideravano Ermanno e Federiga come persone che col lusso volessero ascondere la bassezza della loro origi- ne: dagli altri eran giudicati pazzi, pieni d’ orgoglio e di vanità . Intanto Elena penetrata dal dispiacere di aver forse perduto il suo Gartner, mostrò coll’ abito positivo e col contegno quale fosse l’ afflizione del suo cuore. Ella ricu- isava di trovarsi. in società, desiderando la solitudine e la ritiratezza. Un cambiamento tanto repentino, da una somma vivacità ad una profonda severità di vita, mosse la madre a domandare alla figlia la causa di cotal biz- «zarria. Al che Elena rispose, che così doveva vivere perchè ;era:sposa (e vedova al tempo stesso. Ciò portò una neces- TX. Maggio 10 148 saria spiegazione, la quale Elena diede col racconto dei suoi amori. Questa istoria turbò non poco l’ animo di Federiga , ma dissimulò il'suo turbamento. Una nuova circostanza favorì per un momento Elena , distraendo la madre sua dall’occuparsi del pensiero che le parole di Elena le ave- vano dato, e dalle cure di .provvederle un marito a secon- da delle sue mire sublimi; e questo effetto produsse una lettera che le recava la nuova, esser morto in America suo fratello da lei sempre teneramente amato. Il dolore di questa perdita fu rattemprato dal piacere di potere essere utile a due suoi figliolini, che le mandava, essendo egli rimasto già vedovo da qualche anno. Essa inviò un suo servitore ad incontrarli ad Amburgo ove doveano sbarca- re; e siccome sognava sempre il bene e il bello, si figurava già di vedere due vezzosi fanciulli, belli come suo padre, il quale essendo di buon gusto , doveva essersi scelta una bellissima sposa per compagna. Ella si diè pensiero di apparecchiare biancheria e ve- stiti per questi due angioletti. Stava ansiosamente aspet- tando il loro arrivo, quando una mattina si ferma un legno alla porta; ne scendono due fanciulli; ella ne è avvisata; si fa alla porta per accoglierli fra le sue braccia .... Ma fu sorpresa e spaventata vedendo due piccoli mostri , di colorito giallastro nero, con capelli lanosi e ricciuti . . in somma due veri mulatti. Un negro che li accompagnava se le gittò inginocchioni ai piedi, le ripetè in olandese lultime parole del suo padrone, e le annunziò che la bambina aveva nome Federiga , e il maschio Ermanno. Elena, che persisteva tuttavia nel suo proposito di tenersi lontana dal mondo, assunse l'impegno della edu- cazione de’ suoi due piccoli cugini. « Il loro brutto colo- re (disse ella un giorno a sua madre ) sarà un ostacolo alla loro felicità, come lo fu ad Hostmann la sua parrucca: e il suo impiastro. Pure egli ha trovato un cuore che lo 149 ama. Io voglio della fanciulla farne una Rosina, e un altro Hostmann del fanciullo,, per quanto potrò ». I piccoli alunni fecero in breve tempo progressi prodigiosi, mercè i maestri che procurava loro a proprie spese. Ella non parlava mai del suo amante, ma di tanto in tanto si por- tava a visitare la madre di lui; la quale non si saziava di lodare la bontà, la dolcezza e l’amor filiale di Gartner. Un giorno iche andò da lei, v'incontrò con sua gran sorpresa suo fratello Adolfo, che vedendola procurava nascondersi; e voleva fuggire, ma Elena lo trattenne. Egli a bassa voce le disse che non iscoprisse chi fosse. La buona madre ve- dendo ché ei le aveva parlato) con confidenza ; le doman- dò se essa conosceva il sig. Dorn; aggiungendo che suo figlio lo aveva mandato pressò, di lei colla .sua giovine moglie. Fu indicibile la sorpresa di Elena, sapendo a un tem. po che suo fratello aveva moglie, che questa era la nipote del ministro presso il quale era Adolfo impiegato, e che era amico intimo di Gartner. Egli aveva condotta. via la sua sposa; dunque non vi era l'assenso dello zio. Doman- dò come potesse esser così tranquillo come appariva dopo uu’ azione di tal fatta; ma non le fu dato schiarimento veruno. Il suo tu; dii le impedì persino di! doman: dargli ove il suo amante; il.carò Gratner si trovasse. Ella | fu pregata dal Adolfo di non scoprire chi ‘egli era; e pre- gò dal canto suo Adolfo;a tener mistero sul nome, e sul- l’esser suo , e a chiamarla col nome di Ihormann. Gomunicò. per. lettera. ad ;Hostmann tutto questo avvenimento che la teneva inquietissima di spirito. Ma il saggio Hostmano la confortò a non pensar male di suo fratello ; il quale era incapace di una turpe ‘azione. Pure tutto ciò fu un profondo mistero :per Elena, del quale ecco la chiave. Gartner: era impiegato presso il ministro Stenervald A e È 150 presso cui trovavasi pure Adolfo, e divennero amici come erano degni di essere. Gartner concepì una passione amo- rosa per la nipote del ministro, la quale , a proposizione del principe istesso, era per esser la sposa di quello Schleier, figlio del favorito del principe, che aveva voluto già sposare Rosina, e il quale fu da Hostmann così ver- gognosamente trattato. La giovine Emmi , che così chia- mavasi la nipote del ministro, aveva un fratello, il quale erasi riserbato il dritto di prestare assenso al di lei matri- monio. Manifestò Gartner il suo amore ad Adolfo, il quale già conosceva il giovine Schleier per un pessimo soggetto; e ciò lo indusse a dare qualche speranza a Gartner. Ma egli virtuoso qual’ era non attese a lusinga, e si ritirò piuttosto dalla casa del ministro, volendo vincere la sua passione , anzichè esser vinto da quella. Seppe il ministro dallo stesso Adolfo la cagione dell’ assenza di Gartner, e glie ne diè lode. I meriti di Emmi fecero sul cuore di Adolfo la stessa impressione che fatta avevano su quello del suo amico; al che'cospirò potentemente l'intimità di conver- sare con la nipote che il ministro gli dava. Appoco appoco il cuore di Emmi prese affetto per Adolfo. Non indugiò molto il ministro ad accorgersi degli effetti della recipro- ca confidenza che egli stesso aveva procurata fra i due giovani. Adolfo confessò il suo amore per la di lui nipote, e ad onta di questo il ministro, anzichè allontanarlo da Emmi, gli diede ogni autorità su di lei, tanta era l’opi- nione che egli aveva del giovine Schubart. Combattendo la sua passione continuò ad occuparsi dell'educazione letteraria di Emmi; ma accortosi che ella lo amava quanto era amata ne tenne parola al ministro, il quale dubitandone, volle averne prova sicura. An- — nurziò ad Adolfo che non avrebbe da quel momento più veduta sua nipote; che fra un anno sarebbe tornato il di leì fratello, il quale avrebbe pronunziato,sul destino della 254 sorella. Adolfo giurò. che per un anno non l’avrebbe più veduta, non le avrebbe scritto nè parlato, ed abbandonò la casa del ministro. | - La di lui lontananza ebbe per conseguenza la confes- sione di Emmi, la quale sentito dallo zio che Adolfo era stato allontanato per mettere alla prova l’ amor suo , val- le ella pure sottomettersi ad una prova di sei mesi. « Se egli mantiene la sua promessa ( disse Emmi allo zio ) farò lo stesso anch'io. — E allora (‘soggiunse il mini- stro ) sarò obbligato a dire a tuo fratello: essi si amano. —Oh mio caro zio , patirò tutto per lui. Vedrete, vedrete: mi rassegno a tutto — .... Emmi, metti a prova il tuo cuore; trattasi della felicità di tua vita. Parleremo di qui a sei mesi. — | Quanto costasse ai due amanti il mantenere la pro- messa fatta al ministro, non è da descrivere. Adolfo vedeva Emmi entrata già nel gran mondo, corteggiata da tutti, e spezialmente dal detestato Schleier, e perdeva ogni dì più la speranza che le parole del ministro avevano un poco svegliata nel suo cuore. Ma Emmi si fortificava sempre più nella sua risoluzione di essere unita ad Adolfo: e infatti terminati i sei mesi della prova essa confermò a suo zio che la sua risoluzione era di essere la moglie di Schubart. Assolutamente ? (disse il ministro ). — Assolutamente ; mio caro zio ( replicò Emmi ). — Allora io me ne lavo le mani: per- chè ti avverto che tuo fratello vorrà essere ubbidito . . La tua mano è accordata al giovine Schleier. — Non sarà mai, mio caro zio... mai : io non posso amarlo. — Parla dunque meno alto, perchè Schubart è nel mio gabinetto. Schubart, ( gridò ella : corse e aprì la porta, poi si fermò tremante sulla soglia ) oh Adolfo! — Emmi! (gridò il giovine cadendole alle ginocchia. Il ministro con- . templava questa sì tenera scena colla solita sua freddezza ). — Scommetto ( diss’egli ) che ha già udito tutto : non è vero, Schubart ? ( Adolfo accennò di sì ). — Così ha inteso tutto, ( prose- guì il ministro ), ed io te l’ ho detto dieci volte che tu non parlassi tanto alto. i 152 ‘Rammentò quindi ad ambidue che intenzione del fratello d' Emmi era di darla in moglie ‘a Schleierj e che ei non poteva opporvisi, sebbene sapesse che questi era un cattivo soggetto, in compagnia del quale sua nipote avreb-. be trovata là mala ventura e la disperazione. Ei conosceva in quel giovine uno scellerato, un furbo, un ipocrita ar- tificioso. +... Ma ei non vile a prender parte in tale affare . . Pure il suo cuore non sapeva distruggere la feli- cità di quei due tenerissimi e caldi amanti : fece presente ad ambidue i sagrifizi cui andavano‘ incontro sposandosi ; : la necessità di celarsi a chiunque, e di vivere due anni al- meno in solitudine lasciande i loro - nomi ; e che in quel- l'intervallo avrebbe procurato di' riconciliare con loro il suo nipote ». Ecco tutto quello che posso dirvi (continuò. il ministro ); ma non è questa ‘una bella carriera per la nipote del potente ministro Stenerwald'? ...'‘un ratto; un mistero da tener celato; sagrificare là propria condizio- ne e il tiome e la fortuna propria j'andare incontro alla necessità ‘di lavorare; alla povertà, ‘alla oscurità 2... Adolfo pensava a condur via la sùa cara Emmi, ma il ministro volle prima che compissero la ceremonia degli sponsali. Finse di condur la sua 'nipote in campagna. Gartner subentrò ad Adolfo nell’impiego che quest’ ulti- mo aveva presso il ministro. Egli diede ospizio nella casa di sua madre ai due nuovi sposi. Adolfo riprese le sue antiche occupazioni, e si pose a lavorare nel giardino che era annesso. alla piccola casa della vecchia Gartner. In questo tempo appunto Elena incontrò suo fratello ,. cui promesse e mantenne la promessa di osservare il più gran silenzio su quanto aveva visto e saputo. Ad onta di ciò non passò molto tempo che Rosina diede la nuova ad Ermanno che Adolfo aveva abbondonata la casa del ministro; e che s'ignorava ove si fosse ritirato, Contemporaneamente giunse ‘notizia che Ruggero altro suo figlio era promosso al posto d’ ispettore delle costruzio- 153 zioni, e addetto al consiglio superiore delle miniere, e fu annunziata la nomina di consigliere di stato a favore di Hostmann, alla qual nuova carica il principe aggiunse nuove attribuzioni , volendo che i consiglieri fossero i padri dei poveri della campagna , e dipendessero solo dal principe e dal ministro. La fatica era molta come l'onore, pochi gli emolumenti; ma Hostmanu si trovava veramen- te nel suo centro; poichè ogni sua sollecitudine era sem- pre stata diretta a questo scopo. Udendo Federiga che Adolfo aveva abbandonata la carriera degli onori, vide rovesciarsi ogni suo orgoglioso progetto. Ma il male della famiglia di Ermanno era ben altra cosa. Le spese grandiose che si facevano per tenere un lusso superiore a quello di qualunque altra casa d’Annover, e varie somme per bontà di cuore e per va- nità imprestate a chi o non poteva o non voleva restituire, eran cagione che talvolta si trovava in angustia il peculio di Federiga. Intavto, a far rinascere nel cuor di lei qualche speranza di vedere onorevolmente collocata la sua figlia in matrimonio, diede occasione la conoscenza che fece di Elena un ricco ed amabile barone, il quale con modi gen- tili ed onesti mostrava d’aspirare alla stima più che al- l’ amore di lei. La frequenza delle visite e il contegno suo parve che cominciassero a conciliargli l'amicizia di Elena: ma in breve si fu accorto che il cuore di lei non era libe- ro; e ne tenne proposito alla madre, manifestando di essere costretto a rinunziare al bene di possederla, dopo l’ultimo discorso avuto con sua figlia. Federiga anco con troppa amarezza rimproverava la figlia che amasse ( diceva essa ) un pitocco. Ma vedendola perseverare in questo suo amore, nel bollore della collera esclamò. « Ebbene; poichè lo vuoi sposa una volta questo tuo pitocco; sposalo pure ... — Mia cara madre me lo dite sul serio ? ( domandò Elena ). — Sì sul serio. Io te ne do il mio assenso; ma non contare su nulla di quan- 154 to posseggo al mondo. — No non parlate sul serio: 181 maritati ; ma non iu casa mia: risparmiami questo” af: fronto. Vai alla capanna del tuo amante; io non penso più a te nè al tuo stato ». Elena prese in contanti l’ assenso. della madre, non valutando che lo avesse’ pronunziato dettatole dalla collera : il padre non seppe negarle il sio amorosamente : Hostimann, che conosceva tutta l’ istoria } approvava egli pure, ed Elena era contenta. Passati Boga giorni Federiga incontrò presso il segre- tario Stranch un giovine, che le fu presentato con un certo mistero come persona di gran condizione, e ricchis> sima. Tanto bastò perchè essa concepisse qualche speran- za per collocare Elena in matrimonio. Frattanto trovò in lui de’ meriti per le sue qualità morali, e sentì con piacere che ei doveva certamente conoscere Elena, giac- chè ne parlava, e con qualche interesse; ma che sua figlia aveva rigettato i di lui desideri. Ne fece qualche rimprovero ad Elena, poi se ne parlò vantaggiosamente , le disse ch’ ei l’ amava teneramente, e in fine giunse a pregarla che si arrendesse a’ di lui desideri. Elena già sapeva che il giovine tanto raccomandatole da sua madre era Gartner, non tanto per averlene detto il nome sua madre istessa, quanto ancora perchè l’incontro della madre con Gartner presso il segretario Stranch era ordi- nato con sua saputa. L’ effetto fu che Gartner ed Elena furono sposati il giorno seguente. Ma Federiga non sapeva ancora che questo Gartner fosse quello che poco avanti essa aveva qualificato come un'pitocco, e per cui era già andata in collera contro la figlia. Finalmente dovè saperlo, e ne ebbe amarezza ; si accorse che se le era per sorpresa strappato'il suo assenso: ma a cosa fatta essa fece virtù della necessità, e la solennità degli sponsali la riconciliò perfettamente col ‘suo nuovo genero. Fece inoltre proponimento se ei non era riccò di farlo tale colle sue proprie ricchezze. Ma il destino perse- fl) 155 |guitava tutti i magnifici progetti di quella donna. Essa aveva posti i spoi capitali in un banco; le spese grandiose le avevano fatto creare de’ debiti; la persona cui aveva affidate le‘sue sostanze mancò per un innocente fallimen- to. Saputasi per la città la perdita considerabile fatta da Federiga , irovò chiuse le porte delle illustri sue amiche ‘cui ella portossi a visitare. Eccola senza amici, senza sostan- ze, e molestata da indiscreti creditori; eccola caduta dal- l’ apice dell’ opulenza nell’ abisso della povertà. Per soprappiù i creditori le sequestrarono il palazzo e i mo- bili, cosa che pose la povera donna in massime angustie. Ma se queste sventure le fecero perdere gli amici delle sue ricchezze , le ne rimasero ben altri più preziosi. Ruggero e il vecclsò suo socero accorsero con del denaro, e la scongiurarono ad accettarlo. Rosina ed Hustmann accorsero essi pure a sollievo delia sventurata. La invila- rono a recarsi seco loro a Lindenhoffen, ove ella era stata già altra volta felice. Sopraggiunse poco tempo dopo Adolfo. Fece ad Elena e a Gartner grandissima meraviglia ch’egli avesse violata la parola data al ministro di tenersi celato; ma egli disse che non aveva potuto resistere al desiderio di veder sua madre, piangere ai di lei piedi, abbracciarla, e poi fug- girsene. Allora Federiga seppe che egli aveva rapita la nipote del ministro, e che l’aveva sposata. Avrebbe volu- to conoscerla immantinente , e voleva uscire con Adolfo per andare a cercarla, ma Gartner si oppose, asserendo esser necessario che la di lei abitazione fosse segreta fino a tanto che fossero note l’ intenzioni del fratello ali Emmi, il quale era già arrivato. | Era ben ragionevole che su tale avvenimento fosse chiesto il consiglio d’”Hostmann, che era stato sempre DE angelo PRA nelle sventurate circostanze della fami- glia: Ma egli appena rispose, trattenendo a stento un leg- gero sorriso. Aveva seco portate grosse somme di denaro, ' 156 onde rassicurò Federiga che non si smarrisse per le ves-- sazioni che le intentavano i di lei creditori. » Oltre a ciò ( aggiunse egli ) ho lettere di credito, colle quali ci ri- defi di tutte le inquietezze. Noi abbandoneremo questa casa ( proseguì ) ma con onore e tranquillità » . Pagò i debiti di Federiga , riducendo a discrete condizio- ni ì creditori, in modo che niuno ebbe più diritto nè sulla casa nè su i mobili. « Ora ( soggiunse ) credetemi , madre mia , questa casa e tutto toy sli essa comprende non è stata mai vostra più sicuramente quanto lo è ora ». Giunta la notte, Ermanno, Federigaed Elena andarono secretamente a far visita alla moglie d’Adolfo, e a conosce- re la Madre di Gartner. « Il mio Adolfo (ella disse) teme l’arrivo di mio fratello, ed io lo aspetto con gioia. Mio zio pel primo mi ha consigliata a fuggirmi con te: non ho io la sua benedizione? Nè quella di mio fratello mi mancherà più a lungo, e forse anche .... senti: mio zio mi ha voluto separare dai piaceri del mondo ... veramente comincia va- no a pervertirmi ...e mi ha mandata in questa solitudine per farmi sentire i piaceri d’una vita traquilla ». Ritornati da questa visita trovarono riuniti in casa loro Ruggero con tutta la sua famiglia, Rosina co’suoi figli, e i nipotini mulatti di Federiga. La gioia di tanti ragazzi se- condata dai loro genitori faceva un terribile rumore; quan- do un servitore venne ad annunziare l’ arrivo di sua eccellenza il ministro di Stenervald. Egli entrò in sala con grave e maestoso porlamento, decorato il petto di mol- ti ordini. Guardò intorno e si congratulò con Federiga, la quale se aveva perduta la sua fortuna, non aveva perduta la sua felicità. Ah Eccellenza ( rispose ella dolente ) siamo diventati poveri. —Ohmadama( interruppe il ministro gettando un dolce sguardo sui ragazzi)cosa non darei io per la vostra povertà! Il mio grado, e la mia fortuna; tutto, sì tutto. Oh quanto siete ricca! ma non lo sono anch'io? E dove è la mia Emmi? Ah siete qui Gartner? Avete preso un congedo ben lungo; sono quasi venuto per cercarvi. Eh! 15y buon giorno Ruggero! Spero, signore ispettore delle costruzioni che siate più contento di me ora di quello che lo foste l’ ultime volte in cui ci vedemmo ....E chi è codesto signore? (domandò a Rosina).—È mio marito, Eccellenza (disse Rosina), è quella persona messa in prigione, per la quale venni un giorno ad implorare la vostra giustizia.— Ma la persona per la aio mi domandaste gra- | zia aveva, sebben mi ricordo, una cicatrice sul viso. — Ah Eccel- lenza (disse Elena) quel maladetto impiastro ci ha dato molto affan- no; fino a che poi lo levai via in medesima.—Ah siete voi Elena? Mi si dice che voi vi addomesticate volentieri co’poveri. Anch'io fo lo stesso (e in così dire stese la mano a Gartner). In quel frat- tempo Klinger il socero di Ruggero si avvicinò al ministro. — Ec- cellenza (disse egli) io sono l’antico cassiere esattore delle miniere, Klinger—Oh godo di conoscere un galant’uomo come voi.—Va bene Eccellenza, ma io era innocente ... e fui mandato via di im- piego .—Ma siete stato reintegrato ...— È vero; ma mi premeva di dirvi, che io era stato mandato via ingiustamente.—Ma dove è dunque la mia cara Emmi? dove è ella?—E suo fratello? (domandò tranquillamente Rosina), —Sarà qui a momenti. Andiamo dunque a trovare Mia nipote. Il ministro volle che tutti lo accompagnassero. Fede. riga fu da lui presa a braccio, e non fu piccolo piacere per lei attraversare le strade d’Annover dando il braccio ad un ministro tutto coperto di decorazioni. Il corteggio era formato dalla famiglia di Ruggero, da quella di Pen e dai piccoli nipotini mulatti. Giunti alla casa della madre Gratner Emmi vedendo lo zio gettò un grido di gioia . Il ministro abbraccio la nipote ed Adolfo. Tu hai sagrificato ad Adolfo il tuo nome e la tua condizio- ne, e lo hai seguito in una povera capanna. Egli aveva rinun- ziato per te all'amore d'una famiglia che lo teneva caro, alla sua fortuna, al suo nome. Tu vedi che il sacrifizio è pari. E il fra- tello di Emmi? (domandò Adolfo tremante di gioia e di paura) —Egli è qui.—...(In questo istante Emmi diede'un grande strido e corse con tutti i segni di viva gioia nelle braccia d’Hostmann, gri- dando) mio fratello!... mio caro ed amato fratello! —Hostmann!,.. (gridò Adolfo, precipitandosi in seno del suo amico) —E che? tu conosci mio fratello? (gli domandò Emmi con sorpresa)— Eh! egli € il mio buon cognato, il marito di Rosina, il mio amico, il mio 158 maestro— Ed ora tuo fratello (soggiunse Hostmann; ele lacrime del piacere brillavano sugli occhi suoi). Vedi o Adolfo io ho edu. cata tua sorella; e tu la mia Emmi. Oh giornata di vera con. | tentezza!...—-E voi non vi chiamate Hosmann? (domandò pronta- mente Federiga ). — Mi chiamo Hostmann, La sorella di mio zio era mia madre. Mi chiamo Hostmann; e le montagne dove mi al- | levò mio zio sono appunto quelle in seno delle quali è situato Lindenhoff:n. Il vecchio castello in rovina è il feudo di mia fa- miglia— Oh Dio buono! (esclamò Federiga) e che Hostmann! Sa- reste voi il conte di Reuden, a cui appartiene tutta questa con- trada?— Appunto madre mia: Hostmann di Reuden. Ho scelto il primo nome per poter rimanere incognito. Quindi il ministro annunziò che Gartner da quel gior- no in poi sarebbe entrato segretario intimo nel gabinetto del principe regnante, posto delicato di cui era merite- vole per la sua fermezza e per l’inviolabile sua probità. Al tenero cuore e ai talenti di Adolfo era affidata l’ispezio- ne generale delle scuole e della istruzione per la gioventù col titolo di consigliere di stato; Klinger ebbe l’impiego di cassiere generale delle miniere; Ruggero fu intendente delle miniere di Lorenzhutte, e ad Ermanno Schubart diede il brevetto dell’antica sua carica, d’ispettore di boschi, ove era stato fatto guardaboschi quel Guglielmo uccisore di Rohde, il quale con dieci anni di prigionia aveva espiato | il suo fuoco giovinile, ed era riconciliato con la giustizia e con l’esistenza. Federiga erasi aspettata qualche più decorosa queta? zione per Ermanno; ma pensò ben presto al piacere di andare ad abitare quella casa del bosco ove era stata tanto felice. Abbandonò pochi giorni dopo ‘il palazzo di Aano- ver, e giunta alla sua antica abitazione non seppe tratte- nersi dall’esclamare: «Oh Ermanno! qui noi saremo felici; te lo prometto. Circondati dai nostri nipoti, in mezzo a godimenti lieti e tranquilli, aspetteremo la morte aman- docìi ». D. \ 159 «Gazrerr4 Riccarprana dipinta da Luca Giordano, .. pubblicata dal march. Francesco Riccardi Vernac- cia incisa‘ da Lasinio figlio su i disegni di V. Goz- zini sotto la direzione del cav. Pietro Benvenuti direttore dell’ I. e R. accademia delle belle orti di Firenze: — Firenze 1822 per Guglielmo Piatti, in fol. grande. Non v'è tra i viaggiatori, amico delle belle arti, che non visiti a Firenze il famoso affresco dipinto da Luca Giordano in una galleria del palazzo Riccardi, già . Mediceo. E veramente. questo grandioso lavoro , capace di sgomentare il coraggio di qualunque artista , è stimato forse il migliore di quell’arditissimo ingegno , il quale operando per un potente e generoso mecenate delle arti, che gli fornì tutti i mezzi per ben condurre il suo lavoro, ebbe agio di spiegare in un campo sì vasto tutta la gran> dezza del concetto, e di seguire liberamente l’ impulso della sua prontissima fantasia. Il Giordano si fa ammira- re in questo lavoro, come negli altri, per l’ artificiosa contrapposizione delle masse; del chiaroscuro, e dei co- lori; per l’ottimo impasto e fusione di questi ultimi; pel contrasto ed effetto dei gruppi; per la grandiosità dei partiti ; per: la vivacità e facilità dell'invenzione, e per la dottrina delle cose mitologiche. Viene rimproverato però in questo , come negli altri lavori, di poca sceltezza di forme, di poca purità di disegno, di poca ‘semplicità di stile, e di quei difetti; in somma, che in quel secolo invalsero nell’ arti, e segnalarono la di lei decadenza. Ma tutta insieme l’opera della galleria Riccardiana pro- duce agli occhi degli spettatori bellissimo effetto, e fa pro- va del talento non. ordinario del pittore , che in breve tempo potè vestir leggiadramente di colori e arricchir di figure così immensa parete. | Il secolo XVII. in cui fiorì Luca Giordano è ùn se- 160 colo meno glorioso degli altri all’ Italia per le arti.e per le lettere. Uno spirito di novità pericolosa avea invaso ogui mente. Lo studio della natura e l’ imitazione dei elassici non si riguardavano come indispensabili per riu- scire eccellenti artisti o poeti; quindi non ‘ricercavasi nè la correzione, nè l’eleganza dello stile, nè la naturalezza dei pensieri, nè la convenienza dei sentimenti. Studiavasi un raflinamento di concetti e di frasi, che tanto più si am- mirava, quanto più usciva dai limiti ordinari ; e le antitesi esagerate; le idee lambiccate, e l’ampollosità d’ espressione regnavano in poesia, come il contrapponimento delle mas- se e. dei gruppi; e il manierato; il difficile , le allegorie, e gli esseri fantastici e l'abuso delle favole nelle belle arti. Tale era lo stato delle discipline del bello iù Italia, quan- do dopo 'l’epoca di Carlo V. si spense in essa oghi seme di libertà, e ai bei giorni di Michelangiolo e di Lorenzo dei Medici successe il dominio degli esteri e il potere a3- soluto. In questa condizione di tempi operò Luca Giorda- no, e il soggetto ‘ch’ei (prese. a trattare gli fu suggerito dal senatore. Alessandro Segni; nome non oscuro all’ita- liana letteratura. Disgraziatamente non èstato possibile il rinvenire gli scritti, del Segni che si riferiscono ‘a questo tema; lo che avrebbe dato un maggior lume per penetrare in tutte le intenzioni dell’ artista. L’argoménto però è in generale quel medesimo, clie fu:da: Gebete | esposto nella sua notissima tavola , ‘cioè Ze vicende della vita umana. Ma questo tema è più atto alle meditazioni e ai precetti della filosofia che agli abbellimenti della pittura. E‘quan- tunque il pittore siasi ingeghato di-render poetica la sua finzione , non ostante ha voluto introdurre in: quell’ opera una quantità di morali personaggi , che parlano! poco al senso e meno alla ragione; e sono così poco filosofici e poco. poetici. a un tempo. Peroccliè la poesia ama di rap- presentare esseri veri o creduti veri, ma gli rappresenta operanti e tendenti ad uno scopo. Così per esempio nel- 161 l Orlando Furioso la discordia , la frode ec. hanno per fine di turbare e di porre in scompiglio il campo d’ Agra- mante, e nella Gerusalemme Liberata i demoni si pro- pongonodi contrastare al trionfo dell’armi cristiane. L’istes- so dev’ essere in pittura, e in generale in tutte le arti. Le semplici e nude allegorie sono per sè medesime monotone e fredde, e fatigano l’ osservatore in vece di dilettarlo ; per lo sforzo che più o meno esigono dallo spirito per isvolgerne il riposto significato. Per ì greci e per i romani la mitologia era una parte della loro istoria e della loro credenza , ed aveva perciò un interesse , che cessò d’ esi- stere coll’introduzione e col trionfo del cristianesimo. Quindi un poema puramente allegorico o mitologico è divenuto per noi a ragione poco soffribile, ed ancor meno in pittura che in poesia, perchè in questa hanno luogo riflessioni e pensieri che riescono impossibili nella prima. Che se i personaggi allegorici o mitologici abbiano poca parte nello svolgimento dell’azione principale, come ap- punto sì verifica per alcuni nella pittura del Giordano; allora null'altro effetto producono, che quello che opera- no sull’occhio come semplici gruppi o figure. Oltre di che quell’unità d’azione; che richiedesi in qualunque componimento , a conseguire l’idea di perfetta bellezza che l’arte si propone, non sembra troppo bene conseguita dall’ autore. Peroccliè quantunque vi siano indicate alcu- ne vicende della vita umana; come la nascita dell’uomo, la gioventù colle sue passioni; la morte, e lo stato futuro delle anime, nondimeno questi eventi sono distratti da troppi episodi poco necessari; come il ratto di Ganimede, gli amori di Nettuno e d’ Anfitrite, la morte d’ Adone, il trionfo di Bacco, il ratto di Proserpina ec. e tulta l'al» legoria va poi a terminare nell’apoteosi della famiglia Medicea allora regnante. E qui forse il Giordano dovè paga- re il suo tributo all’adulazione, per soddisfare al genio del suo mecenate, consiglier di stato e maggiordomo di Cosi: 162 mo III. Quindi noi incliniamo di mala voglia a credere col dotto illustratore di queste pitture, che il lavoro di Luca Giordano possa riguardarsi come una pittura com- posta e inventata regolarmente, e perciò simile ad un poema. L’ analisi dele medesimo lo farebbe comparire come il più meschino e il più freddo lavoro epico che sia mai stato eseguito. L'effetto che ei produce non è a causa del senso morale che esprimono le figure, ,ma per la loro disposizione , pel colorito, per la mossa, e per ciò in somma che spetta allaresecuzione pittorica. In fatti poco diletto può dare allo spirito Za Temperanza che appoggia un orivolo sopra un elefante; l’A/fubilità che versa olio da un vaso; il Zimore coperto da una pelle di, cervo, col coniglio ai piedi; la Prudenza sedente sopra un cervo; la Ragione con la chiave in mano ec. ec. Ingegnosamente per altro ci paiono spiegate e con verità queste allegorie dal dotto espositore nell’illustrazione delle tavole, ancor- chè non ci sembri dover consentire interamente con lui nel significato di alcune. In fatti noi giudichiamo, nella illustrazione della prima tavola; che Domogorgone autore de’ principii presenti alla matura Ja palla non solo come primo elemento della creazione ; ma altresì come figura della terra su cui la natura opera, e che, offra. la verga | alla fortuna non solo per indicare la suwa propria esisten» za anteriore a lei, ma eziandio per denotare, il reggi- mento dato alla fortuna medesima su i beni del mondo; perocchè, anche secondo, la. spiegazione della tavola di Gebete, il cieco e disordinato imperio ( della fortuna ) è esteso per tutto il mondo abitato, dove a chi ruba le facoltà, a chi prodigamente le getta in seno forse per rapirgliele guanto prima/(1). Medesimamente!nella tavo- _& la V. per salvare il pittore dal peccare contro la moralità — (1) Manuale di Epitteto con la tavola di Cebete,, versione È dal greco del Pagnini. Pavia 1795 in 12. pag: 78. ; ue È 163 in un’ opera essenzialmente morale, anzichè riconoscere nella figura giacente, con canna in mano, la povertà di- sprezzata dalla fortezza che ama solo le ricchezze della gloria , e calpestata da un puttino per disprezzo anche maggiore , incliniamo a ravvisare nell’ anzidetta figura la viltà compagna del timore che ambedue sottostanno ai piedî della fortezza, e sono in contrapposto al valore che strozza il serpente. Nella tavola VII. ov'è figurata la prudenza, credia- mo che l’Ecnoide o remora avvolta alla freccia indichi la lentezza e ponderazione nel deliberare , e che il cervo su cui è assisa sia simbolo di lei, non perc dal peso della sua testa è alquanto trattenuto dal secondare quella velocità a cui tenderebbe per la sua organica costruzio- ne; velocità che lo guiderebbe facilmente a intricarsi nei boschi con la ramosa sua testa; ma piuttosto perchè dopo una lenta e ben ponderata deliberazione richiedesi una pronta esecuzione, e di questa è simbolo il cervo medesimo. Bel resto noi affacciamo queste nostre idee come semplici induzioni , senza pretendere di togliere il loro valore a quelle del dotto espositore delle tavole , e come tali le sottoponghiamo al giudizio dei critici. Il la- voro poi che il sig. marchese Riccardi Vernaccia offre al pubblico colle presenti tavole è degno per ogni riguardo di somma lode. Perocchè oltre al provedere alla fama di Luca Giordano, di cui le pitture col decorso degli anni anderanno a mancare, ha procurato altresì che sia reso quell’ insigne componimento pittorico di pubblica ragione degli artisti e degli amatori delle arti , e lo ha fatto senza risparmiare a spesa e diligenza, valendosi dell’opera di un eccellente disegnatore com’ è il sig. Vincenzo Gozzini , e di un abilissimo incisore, come da tutti è riconosciuto il sig. Lasinio figlio. L'impresa era grandiosa e degna dell’erede dei sentimenti e delle virtù di quel suo illustre T. X. Maggio. ri 164 avo marchese Francesco Riccardi, che per abbellire il suo. palazzo veramente regio si valse del pennello di Luca Giordano, come uno dei più celebri professori del suo secolo. A. R. -_ Dei Paragrandini del sig. professore Tholard, Me- moria del sig. proposto Beltrami; = Milito 1823.(1) L’ ottimo sig. proposto (2) ch'è uno di quelli i quali non credono , com’ ei si esprime, d’avvilire il sacro mi nistero, insegnando a far uso dei doni della Provvidenza; che predicò nella carestia del 1816 la coltivazione dei pomi di terra, onde fu a molti poveri salvata la vita ; e più volte l’innesto del vaccino, a cui metà della crescente generazione è debitrice fra noi o dell’ esistenza o della serbata avvenenza ; or si è fatto a predicare i paragrandi- ni, che preserveranno , ov’ egli si ascolti, da frequenti devastazioni le campagne ; e a rendere più profittevole la sua istruzione ha voluto stampare intorno ad essi una memoria (3). Sono abbastanza noti i paragrandini (parafulmini ad un tempo) del sig. l’ Apostolle ; invenzione bellissima, la (1) Non riportiamo il vero titolo del libricciuolo, poi ch’ esso è una leggenda. L'autore lo ha proporzionato al bisogno delle dure menti de’ rustici lettori, pei quali particolarmente si è data cura di scrivere, , (2) Di Rivolta in Giara d’ Adda nel Lodigiano. (3) O più veramente una specie di predica , ove sono inseriti alcuni documenti che servono di prova a ciò che vi è annunciato, come si usava talvolta nelle orazioni degli antichi. Un po’ meno di prolissità nello stile; un poco più d’esattezza e di precisione le avrebbe conciliatà quella chiarezza che l’autore, secondo le sue parole, si era proposta. Ma tal qual è onora il buono spirito di chi l’ha scritta, e rimane testimonio di quello de’ tempi in cui viviamo . 165 quale però aveva, come aver sogliono a principio quasi tutte le invenzioni, bisogno d'esser perfezionata , per riu- scire veramente vantaggiosa. Il sig. professore Tholard , secondo ciò che si legge negli atti della società Linneana di Parigi dello scorso anno 1322, fu il fisico fortunato , che le aggiunse il perfezionamento , che si desiderava. Egli ridusse, giusta il rapporto da lui fatto a quella so- cietà, ciascuno de’ paragrandini ad una corda non più di sola paglia, ma con entro un picciolo cordone di lino cru- do, e sostenuta da una pertica di sette metri , la qual ‘termina non più in punta di legno, ma d'’ottone. Indi , coll’ aiuto de’ magistrati e di parecchi proprietari, fatti costruire quanti paragrandini gli occorrevano per occupa- re otto o dieci comuni, al nord-est di Tarbes negli alti Pirenei, li distribuì a ducento metri di distanza gli uni dagli altri (4). In cinque auni d’ antecedente dimora nella città che si è detta, sempre egli aveva osservato le nuvole portar tempesta dopo un tempo asciutto e qualche agita- zione dell’ atmosfera, fuori del qual caso scioglieansi in una pioggia minuta, senza dare il minimo segno d’ elet- tricità. Ora, poi ch’ ebbe piantati i suoi paragrandini ( e fu nel 1821 ), come vedeva dalla parte de’ monti o del mare sorgere qualche procella, che secondo le sue osser- vazioni dovea riuscir tempestosa ; e la direzione del vento gli indicava che passerebbe sovra quei paragrandini, egli mai non mancò di salire in parte elevata , e farsene at- tento spettatore. Di là notò spesso con meraviglia che le nubi , le quali venivano spinte con andamento regolare , giunte che fossero ove potevano sentire l’ attrazione. delle macchine ch’ ei voleva esperimentare , sembravano ab- bassarsi e insensibilmente andar più lente ed incerte. Notò che, allo scender di tali nubi, se mai cadeva poca (4) Distanza sedici volte minore di quella indicata dal sig. l’Apostolle, la cui teoria, anche per ciò, resse male all’ espe- rienza . # 166 gragnuola fra la prima e seconda fila delle macchine me- desime, non ne cadeva nulla affatto fra l’ altre, su cui invece rovesciavasi molt’ acqua. Notò infine che, mentre i comuni da lui premuniti eludevano le minacce della procella , i limitrofi, che non avevano da lui ricevuta al- cuna armatura, venivano ad esserne molto maltrattati . Questi fatti, che confermarono lui nell’ opinione e della virtù de’ paragrandini e della forza ch’ egli aveva loro ag- giunta , persuasero gran parte de’ proprietari del departi- mento, ove tutti i comuni solevano sette anni sopra dieci essere tempestati , ad adottare pel 1822 il suo apparato. Il sig. proposto Beltrami , che leggeva tali cose nella bibiliataro fisico-economica ( marzo dello scorso anno), impaziente di sapere qual esito avesse avuto la presa riso- luzione , e se il nuovo esperimento convalidasse , come pur doveva aspettarsi , il passato; scrisse al fisico di Tarbes di comunicarglielo, e di aggiungere quanti schiarimenti cre- deva opportuni sulla sua scoperta, che tale può ben chia- marsi il perfezionamento dato a quella del sig. l’A postolle. Il fisico compiacente rispose, mandandogli un secondo rapporto da lui preparato per la società Linneana , e ador- no d’una carta descrittiva del dipartimento degli alti Pi- renei, che il buon proposto riproduce , onde risulta che. in quella terza parte, all'incirca, del dipartimento , ove i paragrandini furono piantati , la tempesta fece minacce e non potè far danno, mentre delle due altre quella che fu minacciata fu Scale più o meno percossa. Nel quale avvenimento si ha ciò di particolarmente osservabile , che, essendo i comuni muniti di armatura disugualmen- te disposti fra i non muniti, spesso accadde che vicino o in mezzo ad alcuni di questi, su cui fieramente grandi- nava , uno de’ primi rimanesse intatto, o prendesse risto- ro di quell’ acqua , che guai se toccavagli congelata. Che se, dice il sig. Tholard , la gragnuola cadde colà ove il numero de’ paragrandini era minore dell’uopo, nulla può | | ' no 167 inferirsene contro tali macchine , di cui sono d’ altronde così ben dimostrati gli effetti. Certo una 0 poche punte metalliche, una 0 poche corde di paglia con filo di lino, sovente di picciolissimo diametro, non bastano a distrarre molta elettricità. Ma le corde e le punte della qualità di cui si parla chiamano di lor natura l'elettricità dalle nubi tempestose , onde la gragnuola più non si compone ; e di questo fatto , ch’ era pur necessario provare con esperien- ze eonvincenti, non rimane più dubbio. .. Così ci assicura il fisico di Tarbes, e dal ragguaglio delle sue esperienze , e da’ ragionamenti di cui lo correda, il sig. proposto ricava per la miglior costruzione de’ para- grandini le norme seguenti. Si prendano, egli insegna, pertiche di salice, di pioppo, di picea o di castagno della lunghezza di quattor- dici braccia (5), di tal forza da sostenere il peso della corda che a ciascuna si vuole imporre, e da resistere al- l’urto de’ venti; si rimondino dalla scorza senza intaccarne. il legno; e si pianti loro in cima una punta d’ottone di sei once (6) bene acuminata, Ove difficilmente si trovino della lunghezza prescritta, se ne congiungano due insieme, per formarne una, avvertendo di non usare chiodi a tal uopo , ma piuoli di corniolo o altro legno duro ed anche vimini. In tal caso Ja pertica inferiore potrà servire di piedestallo, purchè le si lascino quindici once di più della misura necessaria a formare colla superiore le quattordici braccia, per conficcarle in terra, facendole prima incar- bonire , onde preservarle dall’ umidità. Volendo che le pertiche durino lungo tempo, anche trenta e più anni, conviene sceglierle di castagno o di picea, e incrostarle d’ un composto di calce morta alle brine o alle rugiade notturne, e di cenere macinata con (5) Corrispondono ad otto metri o poco più. (6) Tre palmi circa. 168 olio di lino (7); composto che può servire in campagna ì ad ogni opera di legno , la quale corra praeole? di putre- fazione. A tali pertiche dieci volte, forse, più durevoli dell’ altre è necessario un piedestallo, del dianidue di ‘sei once e della lunghezza di diciotto (8), anch’ esso di legno forte ; incarbonito all’ inferiore estremità e fermato con chiavi; scavato dentro e ben unto di grasso, ( non ispal- mato di pece o d’ altra sostanza resinosa ) onde impedire che imbevasi d’ acqua. Da ciascuna delle pertiche si farà scendere una corda di paglia di frumento o di segale perfettamente miatura, della stessa lunghezza della pertica medesima; Guidata in cima alla punta d’ottone, e in fondo con un filo di rame, alla distanza però di un'braccio dal legno. A corda avrà almeno tre quarti d’ oncia di diame- tro; sarà composta di quattro cordoni , composti essi me- desimi di quattro fili ciascuno; e in mezzo ‘a’ quattro cordoni si metteranno dodici o quindici filì di lino crudo intrecciati. Quella corda riuscirà migliore, per cui siasi adoperata paglia ben lunga e inumidita onde più facil- mente sì attorvigli; e non > atrata sull’ aja, ond’ abbia più forza . Ove le pertiche si piantino sovra alcuni alberi (otti- ma collocazione anche per ciò che risparmia la spesa de’ piedestalli) si potranno tenere alquanto più brevi che non si disse, cioè di dodici braccia all’ incirca. Ma più saranno lunghe ed elevate , meglio produrranno il loro effetto. La distanza da una pertica all’ altra sarà di trecento trenta braccia approssimativamente (9) ; chè la differenza di venti o trenta braccia, richiesta per avventura dalla posizione delle piante o da altra cagione, non farebbe di- (7) Un terzo di questa e due terzi dell’ altra. (8) Vale a dire tre e nove palmi all'incirca. (9) Ducento metri. ‘ 169 fetto, Una maggior vicinanza potrebbe , invece della gran - dine, attirare un diluvio. Queste pertiche, e loro corde, a preservarle dai gua- sti dell’ intemperie, dovrebbero esser levate da’ campi dopo i ricolti, e tenute in serbo fino alla nuova primave- ra, non aspettando peraltro a ripiantarvele , quando le risorgenti procelle ne facciano minaccioso comando. I paragrandini servono anche da parafalmini , e due bastano per qualunque casa o cascina la più spaziosa. Solo si avverta di fermare il loro piedestallo nel tetto con sei viti abbastanza lunghe, sicchè nulla possa contro di essi la forza del vento. Questo è in compendio ciò che dal sig. proposto si fa intendere a’ contadini, a cui non bisognano'che buoni precetti per la pratica: a quelli, che possono intenderne la ragione, ei la spiega in semplici parole. La proprietà , egli dice, che ha la paglia non meno che i metalli d’ attrarre e disperdere il fluido elettrico , è il gran segreto per cui le macchine inventate dal sig. l’ Apostolle e perfezionate dal sig. Tholard riparano le campagne dalla grandine. Poichè: questa si forma per la subita congelazione de’ vapori acquei delle nubi meno ca- riche di quel fluido; e la congelazione ha luogo ogni volta che altre più cariche le dispogliano affatto. Ora le. mac- chine, di cui si ragiona, tendendo ad equilibrare il fluido nell’ atmosfera , fanno che i vapori piuttosto che conden- sarsi in grandine si disciolgano in pioggia; e producono così due grandissimi vantaggi, l’ uno d’ impedire una meteora distruggitrice, l’ altro di procurare nei bollori dell’ estate un ristoro, specialmente alle colline , più sog- gette che le pianure alla grandine e alla siccità. L'autore confida troppo ne’ lumi de’ fisici, per te- mere che sì chiare cose vengano da loro contrastate. Bensì teme delle prevenzioni d’ altri molti , ricordandosi come 170 ho più di mezzo secolo addietro fu trattata .l’ invenzione | de’ perafalmini di quel buon Franklin , che godiamo di vedere da lui chiamato con frase per noi rimarchevole ‘ornamento del nuovo mondo. Certamente (già abbiamo avuto luogo di accorgercene ) gli oppositori non manche- ranno, e per molte cause. Pure questo mezzo secolo, che è scorso tra Franklin e noi, vogliamo credere che non ‘sia scorso indarno. È notabile. come contemporaneamente alla pubblicazione dello scritto del sig. proposto Beltrami sia stato fatto in Milano il progetto d’ una società d’ assi- curazione contro tutti i danni, a cui possono accidental- mente andar soggette le campagne, compresi quelli della grandine. Sembra che un tal progetto abbia qualche rela- zione con quello scritto ; e.se lo scritto può essere molto utile all’ esecuzione del progetto ; questa è forse necessaria a mettere fra noi in evidenza. le verità che. contiene lo scritto (10). i 1160 Matii {ro) Rassicurare la diffidenza , vincere l’indolenza; addestrare coll’ esempio l’ imperizia sì contraria all’ economia (in Francia un paragrandine non costa che un quarto di lira; qui costeria il doppio ) ecco ciò che non potrebbe agevolmente farsi a principio che da una compagnia d’uomini attivi, intelligenti e mallevadori delle loro promesse. N. B. Di quest’ opuscolo interessante il tipografo fiorentino Luigi Pezzati ha fatto ora una nuova edizione , nella quale sì osserva la nota seguente, che crediamo utile di riportare. « Siccome nel presente opuscolo le dimensioni sono notate secondo l’ unità di misura francese , si è creduto di porre qui la corri- spondenza di quella col nostro braccio fiorentino ». « Il metro francese equivale a-braccia 1. e s. 14.Il metro è diviso in dieci parti delle decimetri.» , « Ciascun decimetro equivale a soldi 3. 5. ». « Il braccio milanese può valutarsi equivalente al braccio fiorentino , e l’oncia al nostro soldo »., i Nota dell editore. 171 Alcune osservazioni sulla TEORIA ECCITABILISTICA DEL conTrostIMOLO. Lettere ad un amico medico, del Dorr. Eu. B. (Ved. tom. 1X. p. 87.) L) LerrtERA III. dell’ Eccitamento. Il resultato dell’azione degli stimoli sull’eccitabilità, era la semplice definizione che i browniani davano all’ ec- citamento ; ma la teoria del controstimolo riconoscendo in. molti degli agenti che operano sulla nostra econo- mia una facoltà opposta a quella dello stimolo ; è palese che considerandosi l’eccitamento effettuato dall’eccitabili- tà posta in azione ed esaurita dai diversi corpi che l’ ec- citano; esso perciò diviene il prodotto tanto degli stimoli, quanto dei controstimoli.. Non vi sfuggirà certamente che con questa definizio- ne non indicandosi l’essenza dell’eccitamento, unicamente se ne accenna la causa occasionale ; onde non dimostran- do la natura del soggetto che descrive, non può risvegliare .una chiara idea del medesimo. Gli elementi produttori delle nostre funzioni essendo la vitale capacità. dei nostri ‘organi, resa in atto dagli agenti che le determinano e le effettuano , ne conseguita che tutte si identificheranno coll’ eccitamento ; | siccome derivanti da pari cause “e «condizioni. Ammettendosi l’azione dei vari agenti unicamente virtuale; impellente, ed in tutte ;le operazioni ‘del’ nostro corpo!, ino \ravvi- sandosi che un giuoco di;;semplici forze; trascurando lo studio dell’ organismo: che. le .genera ie, le costituisce, quindi coi principii stabiliti nella teoria di cui vi trattengo; non dobbiamo ricercare nelle funzioni che.le.loro virtuali operazioni, senza occuparci dei loro concreti e materiali resultati. Inoltre qualunque sia la natura delle medesime; venendo tutte comprese sotto l'aspetto di un medesimo 17® eccitamento, che considerato come il prodotto d’ una forza 0 qualità costante detta eccitabilità e d'un azione identica che stimolante ‘o controstimolante chie sia, al- tro non fa che accrescere o diminuire l’eccitamento, così nel medesimo bisognerebbe ancora riconoscere unicamen- te una semplice variazione di quantità; causa mirabile dei moltiplici fenomeni della macchina organizzata vivente. In questa per altro , hanno evidentemente luogo fenomeni, ora di semplice movimento , ora di chimico- organiche operazioni, come fra gli altri un esempio ce n’offre la respirazione, in cui non è certamente per l’azio- ne virtuale stimolante dell’aria sull’eccitabilità del pol- mone che produconsi i cambiamenti che nel sangue ar- terioso quindi si osservano , ma per le sue chimiche com- binazioni col medesimo liquido... E se il sangue così ridotto si considera come un resultato della funzione , le chimico vitali operazioni che tale lo rendono, non sono che l’atto della medesima: Inoltre i cambiamenti chimici delle sostanze ali- mentarie potranno isolarsi forse dall’eccitamento digestivo e dal medesimo distinguersi , quando questi variano alle più' piccole perturbazioni delle parti che vi concorrono, e che perfino delle cause. morali:sono capaci d’ SA e d’ impedire ? TURISTI L’ istessa assimilazione dei smart per la nutrizio- ne ed incremento delle nostre parti: e la composizione pure dei fluidi separati dalle glandule, nell’ atto che si ef- ‘ fettua costituisce la. propria fanzione ; essendo in virtù solo del loro eccitamento che ‘questa si: eseguisce. Diver- samente queste reali operazioni essendo una parte inte- grante per.non dire totale delle loro funzioni; anderebbero distinte dall’ eccitamanto ; è farebbe d’uopo considerare altre operazioni nella nostra economia , e' moltiplici variate azioni negli agenti che le determinano stabilen- 173 dosi in questa guisa una differenza tra l’eccitamento e le visibili operazioni che lo producono o ne derivano , e che per verità formano l’istessa funzione. E se si astrae l’ esame delle forze degli organi dalla loro materialità , non si possono scientemente astrarre le operazioni di composizione che li generano e che vi ac- cadono, distinguendole da uno stato virtuale che non si conosce , e che s° immedesima coi suoi propri effetti. | Se facendosi una sottilé distinzione si pretendesse considerare l'eccitamentò come la causa dinamica vir- tuale delle nostre funzioni, converrebbe riflettere primie- ramente che nella nostra macchina accadono delle decise fisico-chimiche ‘operazioni , che sebbene modificate dallo stato vitale, non abbiamo necessità per ispiegarle di ri- correre ad una ‘precedente ed assoluta condizione virtuale d’eccitamento, poichè fuori del nostro corpo verificandosi effetti simili senza questo procedimento di 'causa } perciò diviene incongruente' e superfluo riconoscerne il' bisogno per quelli delle nostre funzioni. In secondo luogo se uni- camente l’eccitamento come sopra considerato fosse la causa delle nostre funzioni, poichè i fattori del medesimo si suppongono di qualità costante, sarebbe egli ben facile ottenere a ‘bene placito un determinato eccitamento col proporzionare la quantità degli agenti in ragione inversa allo stato dell’eccitabilità*: acquisto prezioso pet la cura delle malattie universali se. queste fossero’ dalle diatesi prodotte , e queste soltanto costituite da un accresciuto o diminuito eccitamento (1). Î I fritto io EU (1) Se nelle ‘diatesi în luogo d’avere riguardo alla quantità dell’ eccitamento si considerasse ‘unicameftte quella degli'ageriti che le determinano e le mantengono , e perciò diatesi di stimolo e di controstimolo ‘con maggior proprietà si denominasserto; non per questo la sopraddetta illusione sarebbe meno legittima’; imperocchè reputandosi ‘opposta l’azione dei corpi, ed immediato Sull’eécita- bilità, e conseguentemente in una diatesi n° stimolo sommini- 174 In ultimo essendo ben difficile per non dire impos- sibile, distinguere e conoscere le primitive azioni virtuali, e gli clenseatani movimenti che danno origine e. formano le varie funzioni, siano di semplice moto, siano di chimi- ca ed assimilativa operazione, siano in fine di sensazione, a nulla perciò servirebbe la considerazione di questo sta- to primitivo delle nostre funzioni che si stabilisce. dietro l’impressione e l’ azione dei vari corpi sul materiale con- testo delle nostre parti, e non sulle astratte proprietà delle medesime ; laonde con maggior utilità limitiamoci allo studio dei fenomeni visibili che costituiscono e che producono le funzioni; e nella ricerca delle cause che le effettuano , cioè dei fatti sempre più primitivi produttori dei già cogniti susseguenti, non si dimentichi che il reale vantaggio di queste cognizioni desumesi non dall’ averne riconosciuta la presenza , ma determinata la relativa na- tura, o le norme almeno delle sue operazioni. Per ovviare all’incertezza che la nostra ignoranza sulla natura virtuale dell’eccitamento può indurre nell’uso di questo vocabolo, sarebbe forse più acconcio considerar- lo come una generica denominazione dell’ atto; di tutte le facoltà dell’ animale economia. I fenomeni vitali manifestando la presenza dell’ ec- citamento,, non. può questo rigorosamente supporsi un vero stato forzato e passivo, e neppur tale la vita che esso costituisce , non facendosi per un momento menzione delle asfissie , ove la medesima si mantiene senza ‘che alcun fenomeno attuale la manifesti. Sebbene sia indubitato non potersi chiamare attivo che ciò che da per sè stesso agisce senza la necessità del- l’altrui impulso o di forze comunicate, si. considera strando i, controstimoli a successive riprese onde impiegarli in quella dose capace di esercitare una proporzionata azione, con- traria, dovrebbesi ottenere in resultato la pronta guarigione salle Malajlia. 175 unicamente come passivo ogni corpo , che inerte appieno, corrisponde nelle sue operazioni alle cause estrinseche che lo pongono in esercizio. Nel nostro soggetto rifletteremo che i fenomeni vitali per effettuarsi hanno è vero bisogno di qualche esterna impressione ; ma coi semplicissimi fondamenti della teoria eccitabilistica si rendono inintelligibili non solo, ma impossibili ancora molti fatti se ad onta della dottrina deila passività della vita , non si riconosce intrinsecamen- te nella nostra macchina un principio di attività manife- stata nelle operazioni che ne susseguitano , niente affatto proporzionali alle estrinseche cause impellenti. Concio- siachè la frequente osservazione dimostra, che un minimo riconosciuto stimolo nelle nostre parli produce fenomeni straordinari e di gran momento , che quantunque si sup- pongano appartenere alla condizione irritativa , non sono niente meno fenomeni vitali che dalla azione di quello stimolo procedono. Inoltre l’ economia della nostra organizzazione allor- quando viene impressionata da qualche corpo la di cui azione sarebbe in grado di comprometterne l'integrità o l’ esistenza , tende coi fenomeni che ne insorgono a con- | servarsi ed a difendersi distruggendo bene spesso quella causa istessa che gli ha incitati. Finalmente se l’ eccitamento accresciuto o diminui- to è un prodotto di cause corrispondenti, in qual guisa i controstimoli , in opposizione alla loro qualità, danno ori- gine ad affezioni flogistiche , a diatesi ipersteniche ? ? Che cosa è mai la reazione colla quale si pretende infirmare quest’ obbiezione se non se l’ eccitamento , se non se un atto della vita insorto dietro l'impressione di un agente ? (2) Evidentemente dunque apparisce che i fenomeni (2) Vedi la pagina 93. C. vol. IX. 176 della vita non sono il semplice resultato della limitata sfera d’azione degli agenti sulla parte ove l’ esercitano ,, ma che accadono per l'esercizio in cui si pongono le di- verse facoltà dei sistemi della nostra economia. i Confondendosi bene spesso l’eccitamento ora colle funzioni, ora colla causa delle medesime, sempre si ravvisa però come un semplice atto dinamico ; e siccome il moto assoluto non è suscettibile che di venire accelerato e ritardato riguardo al tempo , accresciuto e diminuito riguardo alla forza ossia alla di lui quantità, perciò a questi unici cambiamenti si crede soggetto il solo consi- derato moto vitale, non facendo parola per ora dell’ ir- ritazione , che sussidiaria alla predetta dottrina risguarda il modo speciale e relativo dei movimenti costituenti un particolare stato morboso. Identificando le funzioni coll’eccitamento, non si fa conto dell’esame dell’azione fisico-chimica che di frequen- te vi esercitano gli agenti che le determinano e le effet- tuano , e, che integralmente 0. modificati concorrono talora alla materiale .composizione , delle medesime. Queste azioni , le operazioni ed i fenomeni sebbene.essenzialmen- te di chimicha natura, seguitano peraltro le norme della condizione vitale, e si modificano a tenore di questo stato dell’ organizzazione. Una più estesa considerazione sull’ eccitamento ci condurrebbe a moltiplicate ricerche che direttamente appartengono alla fisiologia , onde crediamo non doverci ulteriormente trattenere sopra questo soggetto ; e sebbene queste omissioni possano ancora interessare la pratica medica , pure in tutto quello che vi avrà relazione e che stimeremo meritevole di qualche riflesso , procureremo d’ occuparcene trattando delle diatesi. Porrò adunque termine a questa lettera rammentan- do un’ovvia verità, che lo stato organico-vitale della parte, la natura dell’ impressione e dei cambiamenti che i 177 differenti corpi vinducono colla loro presenza , occasio- nano dei fenomenti a queste circostanze proporzionali; e poichè i vari agenti in un’ istessa parte vi determinano dei cambiamenti che di semplice grado non solo, ma di qualità pur anco diversificano , perciò l’eccitamento che ne è il prodotto , con visibili effetti vi deve corrispondere. Questi cambiamenti indicati non solo dalla variazio- ne delle’ solite funzioni , ma da quelle nuove che per | cause morbose si stabiliscono, ci determinano a riconoscere «che non unicamente gli agenti ma l’eccitamento pure sono capaci di variare per qualità , e se 1 sensibili movi- menti che lo formano, o se si vuole ne derivano, vengono aumentati o diminuiti, conviene riguardarli come un ef- feto necessario della generale natura del moto. LerterRA IV. Degli stimoli, e dei controstimoli. L'azione che i vari corpi esercitano nella nostra economia, le operazioni che vi sì effettuano, non seguen- do quelle norme costanti che ci presentano gli altri corpi inanimati; se questa distinta maniera d’ operare nell’ or- ganizzazione vivente sì fosse voluta denotare con un nome speciale, nulla di più opportuno, ma niente ancora di più indeterminato. ; Non fu questa soltanto la mente di Brown nel ric- conoscere nei corpi la propria azione stimolante; egli al contrario pretese toglierne tutta ancora l'incertezza, sta- bilendola identica in tutti gli agenti, e solamente nei medesimi di grado diversa in ragione della loro speciale natura. Credè che la loro azione avesse luogo unicamente sull’eccitabilità , e poichè in questa operazione riconosce- va l'origine dell’ eccitamento , perciò a circostanze pari ne conseguiva doversi il medesimo proporzionare alla quantità degli stimoli. Sostenne pure che lo stimolo po- nendo in esercizio il principio vitale, lo esaurisse colla 178 formazione dell’eccitamento. Confondendosi poi questo , ora colla funzione reale, ora' colla causa virtuale della medesima, perciò dall’intensità o debolezza dei fenomeni resultati in pari eccitabilità fu dedotto il grado dello stimolo , e quindi per corollario attribuendo allo stimolo la proprietà di depauperarla. perciò in ragione della. grand’azione d’uno deie fattori. delle nostre funzioni, queste inerti devono dimostrarsi cagionando in. cotale modo la così detta debolezza indiretta, debolezza che as- solutamente considerata, tanto la privazione quanto lo stesso stimolo soverchio si suppongono capaci di produrre. Non ammettendosi dai neoterici 1’ esistenza della debolezza indiretta, poichè in ogni vitale operazione cagionata dagli stimoli non ravvisano che un processo di stimolo, che se morboso diviene si propongono di curare colla di lui remozione e coi controstimoli ad onta del- l'opinione contraria dei bruwniani, perciò come estranea al nostro soggetto, non v’occuperò con inutili riflessi sopra la medesima. Occupati i riformatori del solo esame , delle nostre forze primitive e di quelle delle nostre funzioni manife- state dai loro visibili movimenti, non isfuggì alle loro ri- cerche che frequentemente si osserva una marcata depres- sione nei nostri moti vitali, procurata da agenti fisici 0 morali , senza che abbia luogo una diminuzione o cessa- zione dei consueti stimoli o degli straordinari agenti sti- molanti, onde riconobbero l’esistenza d’un' azione opposta a quella che questi ptc denominata perciò contro- stimolante . I propri fautori di Seti dottrina non sono concordi sul modo di azione dei controstimoli, principalmente perchè non cadono sotto i sensi che i prodotti che se ne ottengono, e non la maniera colla quale si effettuano. Noi però crediamo con altri , che l’azione esclusiva e finale dei corpi semplicemente capace di aumentare 0 olii 179 di diminuire l’ eccitamento e soltanto duplice ed op- posta come si ammette, sia un’ opinione che non troppo concorda coll’ analisi dei fatti. Le patti della nostra macchina dette dai fisiologi naturalmente sensibili , allorchè vengono al contatto dei corpi, subiscono un’ impressione che in sensazione e percezione conversa, non solamente corrisponde alla causa che la produce, ma alla parte che la riceve. Non devesi dedurre da questo fatto che la diversa sensazione prodotta sia referibile alla variata tessitura delle parti che sono stimolate, piuttostochè alla differente azione primitiva dei corpi che le eccitano, giacchè seb- bene l’ organizzazione oltremodo v’ influisca , per altro la loro speciale azione altamente vi contribuisce, azione varia e moltiplice come dimostra l’osservazione , imperoc- chè i corpi in una stessa parte occasionano una diversa , variata ed opposta sensazione, che differendo principal- mente per qualità, qualunque sostituzione di agente, giammai corrisponde a quella prodotta da un altro. Al- l’ opposto frequentemente accade ne’ fenomeni organico- vitali, che per opra dei così detti stimoli e controstimoli, sebbene di qualità diversa, pure quasi consimili resultati da più corpi si ottengono; principieremo perciò dal rico- noscere che nelle funzioni dei sensi, la loro azione gene- rale non può ridursi a queste due sole categorie, perchè moltiplici e variate sono le sensazioni, e perchè a nulla servono le sostituzioni di agenti onde ottener fenomeni analoghi. Se a queste deduzioni s’ oppongono le poche osserva- zioni che agenti diversi producono eguali sensazioni che risvegliano l’ idea di oggetti che realmente non esistono , replicheremo che questi pochi fatti niente comprovano l’identica generale azione dei corpi, ma unicamente che le sensazioni vengono occasiorate dal movimento indotto nella superficie tattile del nervo impressionato , e nel si- T. X Maggio 12 280 stema organico a questi fenomeni inserviente, che però se inducesi talvolta nei medesimi una modificazione pari a quella che un determinato corpo vi eccita, si risveglierà Videa che ordinariamente gli corrisponde, ed è da ciò che spesso nascono molte illusioni dei nostri sensi, e parecchie delle aberrazioni dei nostri giudizi . Ad oggetto -di conoscere il modo d'azione dei vari corpi, dobbiamo desumerlo dagli effetti che producono sul nostro organismo , e non dedurlo solamente a priori dalle loro conosciute fisico-chimiche qualità , poichè s’ ignora il reciproco rapporto d’ azione tra le medesime e l’animale economia, e solo precedentemente si determi- na con qualche fondamento allora quando si conoscono i resultati che ci offrono corpi dotati di analoghe qualità. Ma dai fenomeni che quindi succedono non devesi con rigore giudicare della loro generale azione , diversifi- cando questi fino a divenire opposti in ragione della par- te sulla quale operano, e variando a tenore dello stato morboso o salutare dell’individuo; verità che nessuno contrasta. L’azione dei corpi non crediamo potersi considerare come unicamente virtuale, e soltanto capace di aumenta- re o diminuire l’eccitamento rappresentato dalle funzioni, poichè spesso lungi dal produrre un semplice cambiamen- to nella di loro attività, danno origine a funzioni insoli- te, straordinarie e nuove, come i contagi, i caustici, i vele- ni, indicate dai processi morbosi che ne derivano, dalle infiammazioni, e dalle suppurazioni che loro succedono, Oltre di ciò gli agenti nel promuovere ed effettuare le diverse operazioni della nostra economia, entrano nella composizione degli organi e dei materiali prodotti dalle diverse funzioni, aggiungendosi alle già esistenti sostan- ze, e formandosi un’ assimilativa riunione dei medesimi. In ultimo i resultati che ne derivano non corrispon- dono sempre esattamente alle cause produttrici, imperoc- È 181 chè da un piccolo stimolo nascono spesso movimenti notabili, e straordinarie funzioni. Quanto abbiano potuto ovviare a questa considera- zione coll’ ammettere gli irritanti e la condizione irritati- va, lo vedremo nell’ occuparci di questi soggetti. Se a tutti i corpi si attribuiscono due sole azioni, e che in ultima analisi riduconsi unicamente alla capacità di variare la semplice quantità dell’ eccitamento , come mai alcuni soltanto possiedono proprietà tali, producono certi determinati fenomeni che altri non possono eccita- re qualunque ne sia la dose impiegata? La facoltà cal mante e sedativa dell’oppio e di pochi altri narcotici , quella diuretica della scilla, quella emetica di alcune sostanze, quella speciale ed elettiva del mercurio, da qual altro corpo è mai esercitata ? Se identica ne fosse l’ azione tutti doverebbero in circostanze pari produrre eguali fenomeni , solamente d’ intensità varianti ; ma un gran numero di corpi produ- cendone distinti e speciali, è forza ammettere che la propria azione non solo per quan tità, per qualità puranche diversifichi. Nè quella specifica potrebbe esercitarsi in alcune parti del nostro corpo, ove le sostanze v'inducessero una medesima azione; che necessariamente da tutte le parti risentita sebbene in modo vario in ragione della loro speciale tessitura, sempre però in tutti corpi per un co- stantemente determinato organo dovrebbe verificarsi ; onde se in una parte un diverso effetto vi determinano , sebbene nelle altre vi vadano a contatto , indica che una diversa e specifica azione nella medesima vi esercitano. Ritenendosi l’eccitamento come l’atto, o se si vuole come una forza resultante e composta produttrice delle funzioni, se gli agenti in un solo modo operassero , sareb- be ben facile col variarne la dose in ragione opposta alla loro quantità di stimolo, ottenere quell’eccitamento che 182 cercasi, e capace perciò di effettuare quelle funzioni che in pari stato il noto altro stimolo cagiona; fatto che l’esperienza di rado conferma , e che sempre dovrebbe verificarsi se vero ne fosse il principio. Se facendosi una sottile distinzione si supponesse la forza stimolante ‘0 controstimolante dei corpi relativa non alla propria mas- sa ma al vario atomo peculiare che li costituisce , per lo che l’azione di qualunque corpo non essendo nella pos- sibilità di determinare un eccitamento simile a quello d’un altro, atteso la differenza delle primitive integrali particelle che lo compongono , allora ne conseguiterebbe che in qualunque dose si adoprasse un agente in una data superficie organizzata, sempre producasi eguale eccitamen- to. Imperocchè, o le azioni si cumulano per formarlo, ed allora si sommeranno nella loro riunione, producendo un eccitamento proporzionale al resultato delle loro aliquote primitive, e così potremo ottenere dai corpi col regolar- ne la dose quell’eccitamento che ricercasi, supplendo all’ elemento eccitabilità che non possiamo aumentare o decrescere, l’altro, cioè lo stimolo. O non sommandosi que- ste azioni, ne resulterà quindi l’assurdo che in qualsivoglia dose sì adopri una sostanza , induca sempre i medesimi effetti. Siccome abbiamo già riferito, ammettendosi che i diversi agenti operino primariamente sull’ eccitabilità , e non sul materiale contesto delle nostre parti , causa della loro proprietà , nei fenomeni che ne resultano si ravvisano dai neoterici gli effetti della loro azione stimolante e con- trostimolante, unica azione che gli accordano sulla nostra economia. Ma quest’azione primitiva sfuggendo all'esame attua- le dei nostri sensi, non può riconoscersi che dagli effetti che ne insorgono, e manifestarsi dai caratteri che la di- mostrano . Dal vedere che la continuata azione degli stimoli 183 sopra una data parte ne diminuisce la capacità di ulte- riormente risentirsi de’ medesimi, Brown ne dedusse che si esaurisse l’eccitabilità , onde per la successiva sen- sazione e la conseguente organica reazione , facesse d’uopo di nuovo e più energico stimolo per attivarla ; fatto incontrastabile, ma:che se da questa causa provvenis- se, nè le flogosi si potrebbero risvegliare così facilmente negli abituati a qualche stimolo dietro talvolta le più piccole aggiunte cause , nè in questa condizione di stimo- lo-accresciuto se ne dovrebbe sentire l’azione per la con- seguente necessaria’ diminuzione dell’ eccitabilità della parte, giacchè non puossi intendere in qual modo in un’ operazione ove lo stimolo aumentato dovrebbe distrug- gere l’ eccitabilità, questa si rende cotanto squisita da sentire altamente qualsivoglia piccolo stimolo , e molto più ancora di quelle parti inquiete , e che prive dei loro consueti agenti devono perciò accumulare la propria ec- citabilità in guisa che, effetti identici per così dire si ottenessero da cause opposte. Onde sembra che questa diminuzione di sensibilità e di forza reattiva sia piuttosto un effetto dell’ abitudine, reale condizione della nostra economia e di difficile intel- ligenza, che cessando ‘al risvegliarsi della flogosi per il cambiamento dello stato organico della parte vi si aumen- tino le facoltà vitali ossia V eccitabilità ; che sebbene con- siderata come morbosa; non è niente meno effettiva. Ammettendosi però colla teoria che si ‘esamina. uni- camente stimolante e controstimolante l’azione di singoli agenti, occupiamoci dei caratteri e degli effetti che la contradistinguono. i. IL’accrescimento dei movimenti vitali dietro l’uso degli stimoli sembrerebbe dovere essere il principuo con- trassegno della loro azione; ma poichè questi talvolta sospendono o diminuiscono l’atto d’ alcune delle nostre facoltà , come accade dietro l’ uso dell'oppio e come op- 184 postamente i controstimoli spesso l’aumentano non. può certamente servirci di criterio , tanto per non verificarsi costantemente, quanto perchè una causa opposta produce i medesimi effetti. I fenomeni naturali 0 morbosi; essendo il penale dell’azione sì degli stimoli quanto dei controstimoli , non saranno pertanto un indizio delle loro singole e speciali azioni. i ua Neppure la vicendevole elisione dei sintomi che occasioni, servirà di contrassegno esatto dell’ opposta azione dei diversi agenti, imperocchè queste collisioni e contrarietà. di fenomeni accadono pure per opera di quelli la di cui azione identica è abbastanza riconosciuta, senza che i cambiamenti chimici dei médesimi ci possano avere contribuito in niuna mapiera: (3). i Allora quando in una coguita diatesi | uso dei mede: simi fa cessare ì sintomi che la caratterizzano , od accre- scendoli ne aumenta l’intensità e me aggrava i pericoli ; nel primo caso l’ utile tolleranza dei medesimi ; e nell’al- tro il loro pernicioso impiego, servì di. principale \carat- tere per l’azione sì degli stimoli , come pure dei controsti moli. Il vantaggioso 0 pessimo resultàto deve per verità essere il principale argomento per l'uso dei medicamenti, e piuttosto che divagarci in astruse disquisizioni o spe- ciuse ipotesi, dobbiamo attenerci ai. resultati sulla loro congruenza od incongruenza. Ma prima di fissarne le pro- prietà e di evidentemente dedurle , fa di mestieri molti- plicare le osservazioni ed ottenerne effetti costanti. Esige di più questa ricerca attento esame per inferire ‘se gli otte- nuti resultati dipendono dall'andamento naturale della ma- lattia, e devesi soprattutto calcolare l'influenza delle tante altre interne od esterne concomitanti ‘azioni } siccome pure (3) Si consultino negli annali della società medico-chirurgica di Parma N°. 55.le osservazioni e le esperienze di Bulini. % 185 considerare la parte ed il sistema ove agiscono le specia- li sostanze, la varia natura dello stato patologico nel quale si applicano, conoscendosi appunto quanto la varia capacità di sentire, reagendovi, diversifichi sì nei vari si- stemi , sì nelle varie affezioni , sì nel diverso stato di rap- porto armonico delle nostre parti. Venendo ai controstimoli, vi replicheremo che i suoi sostenitori non concordando sulla natura del loro modo d’azione, si limitano a considerarla come opposta a quella dello stimolo , e decrescente l’eccitamento; ma i movimenti vitali che gli corrispondono aumentandosi spesso dietro la loro somministrazione, converrebbe ri- sguardarli piuttosto come unicamente capaci di diminuire e ledere la vitale attitudine delle mostre parti, se queste nello stato di controstimolo non sì rendessero frequente- mente sensibilissime allo stimolo. E seppure la vitale capacità degli organi venisse dai controstimoli diminuita , rimarcheremo che questa con- dizione non si verifica soltanto in quella loro attuale, ma ordinariamente nella successiva capacità delle parti, 1m- perciocchè osservandosi per lo più accrescere in luogo di diminuire l’attività dei nostri sistemi dietro la loro azio- ne (4), l’effetto controstimolante perciò diviene consecu.» tivo, e non ne è sempre l'immediato resultato. Tutti ancora i sopradescritti criteri onde inferire la qualità stimolante degli agenti furono impiegati nella ricerca della controstimolante , e specialmente la di lei tolleranza nelle diatesi. Ma la di loro natura spesso ve- nendo determinata dall’ azione degli agenti impiegati (4) Giacchè non si può comprendere la produzione del vo- mito cagionato dall’ipecacuana, dal tartaro emetico senza concedere un accrescimento d’attività alle operazioni delle parti che lo pro- curano, ne è intelligibile in qual modo siasi coi drastici aumen- tata la sensibilità , le separazioni ed i movimenti degl’ intestini, deprimendosene l’ eccitamento. 186 erciò con un ordine di proposizioni vizioso ed incerto, si giudica delle diatesi dagli effetti dei rimedi, e da questi medesimi si parte adunque per riconoscerne la propria qualità. Allorquando nella ricerca dell’azione dei corpi si con- sidera questa unicamente esercitata sull’astratta eccitabilità piuttosto che sull’ organismo delle parti, e quando non gli si concede che una dinamica operazione, certamente’ nelle nostre funzioni sane o malate non avremo che au- mentati o diminuiti i loro naturali movimenti, e giammai si potranno stabilire funzioni nuove e diverse dalle con- suete, giammai accaderanno processi che cambiano. il contesto delle parti (5) e le loro proprietà, onde non potremo avere che una semplice variazione del loro mo- mento, il quale dovendosi costantemente proporzionare alle cause che lo producono, pertanto lo stimolo dovrà sempre accrescerlo , e l’ altro per l’ opposto diminuirlo. Ciò essendo, perchè cause deprimenti m’ offrono in resul- (5) Se lo stimolo esercita un’identica azione qualunque ne sia la natura; se il controstimolo sempre agisce effettuando una diminuzione nella quantità dell’ ecccitamento , perciò una semplice variazione di grado dei primitivi movimenti che lo costituiscono non può divenire capace di produrre fenomeni così diversi e con- trari, senzachè nelle sedi morbose accada un cambiamento d’ or- ganizzazione che ne alteri le conseguenti proprietà vitali, causa delle nuove e straordinarie funzioni. Ma questo cambiamento non potendo dipendere che dalle sole operazioni che succedono nel nostro organismo , cioè da quelle che v' inducono gli agenti e l’ eccitamento, è evidente che nel primo caso devonv i corpi eser- citare un’ azione materiale sulla parte nella quale operano, poiché ne variano materialmente la tessitura; che se unicamente agisse- ro sull’eccitabilità ,, determinerebbero soltanto i movimenti e le ordinarie operazioni che agli organi competono. Nel sccondo caso, convenire, che l’eccitamento modifichi l’organizzazione è una sup- posizione assurda, poichè il medesimo non essendo un elemento della medesima, ma un resultato della sua materialità attivata, non può essere che l’effetto e non la causa della di lei variazione, 187 tato un processo di accresciuto eccitamento di diatesi \peraipnica ? Non ignoriamo che pretendesi ovviare a quest” argomento coll’ attribuire gl’ insorti. movimenti vitali alla reazione della nostra economia: ma non consi- ste questa reazione nei movimenti vitali? E non, sono dessi l’ istesso eccitamento , o se meglio si ama i suoi ef- fetti? L’eccitamento non è il prodotto dell’azione degli agenti , che ci offrono in tal modo resultati contrari alla loro supposta natura? Come distingueremo l’ eccitamento cagionato dagli agenti estrinseci , da quello prodotto dal- l’insita reazione ? Conseguentemente da tutto. l’ esposto sui controsti- moli ne resulterebbe in essi la proprietà di potere au- mentare l’eccitamento dopo la loro azione deprimente, e di consecutivamente diminuirlo dopo avere accresciuti i moti vitali delle nostre parti, in guisa di ottenere da un’ istessa causa effetti opposti. Dirigendo la nostra attenzione all’opra. dei corpi sull’ uomo; è palese che le funzioni dietro questa devono cambiare. nel loro. momento , imperocchè costituite le | medesime da reali. movimenti indipendentemente dal- le loro chimiche, sensitive ed assimilative operazioni, qualunque azione risentita dalle parti deve produrre un qualche effetto negli atti dinamici della vita. Analizzando i fatti che succedono all’ azione dei di- versi agenti, apparisce che alcuni determinano speciali funzioni, che altri ne variano soltanto l'intensità, che altri nr] dr delle insolite operazioni nel nostro orga- nismo, e che parecchi finalmente ne cambiano le naturali. -. «Per tanto la maniera colla quale agiscono, 0 più pro- priamente esprimendosi, la loro azione, va forse considera- ta sotto due diversi aspetti, e dere meritare. la; comune attenzione. 1°. Dimostrano i fatti che i corpi possono indurre 188 nel ‘nostro organismo per ‘il loro semplice impulso un cambiamento virtuale delle funzioni, ossia hei movi- menti che le costituiscono ; i quali non solo per questo variano nella quantità, ma nella loro direzione, o vogliam dire modalità. Così ‘probabilmente accade nelle diverse ed opposte sensazioni che i corpi producono, e negli ef- fetti simpatici e consensuali, originati dall’impressione che'alcuni esercitano in parte remota, e che spesso nasco- no egualmente dallo stato morboso che in qualche organo si stabilisce ,, senza che nelle parti ove tali fenomeni si manifestano , abbia luogo visibilmente verun’ alterazione nel misto organico che le compone. Ma poscia che nel- l’organizzazione risiede ila ‘causà delle sue proprietà , la variazione delle medesime deve prodursi da un cambia- mento più o meno prolungato della polarità delle inte- granti particelle che la compongono. 2°. La seconda specie d’azione è quella effettuata coll’ alterare 1’ organica tessitura delle nostre parti, sia distruggendovi alcuni principii, sia insinuandovene , sia cambiando e stabilendo un nuovo rapporto nelle quanti- tà degli elementi della nostra generale o parziale orga- nizzazione. Nè esclusivamente i corpi possiedono o l’ una o l’altra di queste facoltà da porsi in atto sulla animale economia , che d’ambedue spesso dotati, ora simultanee l’esercitano sui nostri organi, ora separatamente, in ragio- ne del rapporto della loro natura colle parti che eccitano, e colla durata ed intensità delle loro azioni. La proprietà quindi dei rimedi, per la matura ed armonia dei sistemi organici, riesce differente nelle di- verse parti, e quei corpi che in un luogo riescono danno- sì, e nello ‘stato normale ne tarbano le funzioni, in altro sito divengono affini, producono speciali fenomeni e sa- lutari operazioni j onde un diverso resultato accade dalla gi 189 loro singola azione nelle varie parti ‘e nelle diverse con- | dizioni della nostra economia. (6) | Sembrami che da questo generale esame se ne possa inferire che i eorpi non possiedono due soli modi di dina- mica azione ; che essi operano primitivamente sull’ orga- nizzazione e non sulle proprietà della medesima; che la loro azione , è materiale, è chimica, e non unicamente impellente; che l’azione dei. medesimi non può essere suscettibile di esatta classazione, dovendo presentare fre- quenti anomalie per la diverti maniera di sentire ‘dei nostri organi , secondo gli stati individuali , e le morbose e vitali condizioni. Voyage dans l’interieur du Bresil fait par ordre de $S. M. le Roi de Bavière, dans les annees 1817, 18, 19 et 20. par le D. Spia, et le D. Mastius. — Mo- naco presso Lindauer. vol. 2. in 4. con atlante in fol. gr. Avviso Letterario. Gli studiosi delle scienze ci saran grati certamente ‘d’aver fatta noi qui menzione del suddetto avviso , poi- chè attendono i più importanti, risultamenti da un viaggio fatto da uomini di un merito esperimentato in una regio- ne éstesa sotto la zona torrida dell’ America meridionale, quasi del tutto sconosciuta fin qui, se si eccettuino le sue coste , è designata come la più ricca di tutte le altre in paoanizivii naturali dai pochi , i i quali lian cominciato a penetrare nell’ interno di quella. Nè dobbiam passar sotto ì (6) Non essendo Dian scopo . dia Ò precisare le nidi azioni dei cor pi; si riconosce quanto questa maniera: di «conside. rarle sia indeterminata. Da questi fatti peraltro stimiamo neces- sario dipartirsi per l’esàme delle proprietà degli agenti. 190 i | silenzio che gli autori dell’ opera annunziata faron scelti per fare il viaggio del Brasile dal voto concorde ‘del re e dell’ accademia delle scienze di Baviera; che le loro escur- sioni, si estesero dal. grado 24.° di latitudine meridionale fino, a Parà sotto la linea, e di là fino alle frontiere del Perù ; che le produzioni e le osservazioni raccolte sotto ogni grado. arrivati in Europa furon trovate sì interes: santi.e sì copiose , che S..M. il Re di Baviera volle situar le prime .in,un museo il quale. chiamò brasiliano, e somministrò con generosità i mezzi per pubblicar le se- conde. Noi vorremmo però che la sodisfazione provata nell’ annunziare ai nostri lettori un’ opera, la quale riescirà di grandissima utilità, non fosse amareggiata dal timore che la sua pubblicazione anticipi di uno spazio di tempo trop- po lungo quella d’ ùn’ opera congenere, la quale dovreb- be contenere la somma delle osservazioni fatte contem- poraneamente nell’ istessa parte dell’ America dal fio- rentino naturalista sig. Giuseppe Raddi. Il quale quanto instancabile nel raccoglier fatti ed esatto nell’ osservarli, altrettanto modesto per involarsi alla gloria che dovreb- be coronar le sue fatiche , temiamo che defraudi l' aspet- tativa de’ suoi concittadini, non curandosi di pubblicare i MS. con tanto studio dal. medesimo compilati; ammeno che, facendo lodevole violenza alla modestia di lui ,, lo muovano i suoi amici. a renderli di pubblico diritto, ed a formar colla opera sua un monumento nazionale. E siccome ci stimeremmo ben fortunati se ci fosse dato i in qualche modo di. contribuire alla pubblicazione degli scritti del sig. Raddi, perciò offriamo l’opera no- stra per l'esecuzione dei progetti che ci fosser fatti; e dichiariamo che, ove fossimo a ciò invitati, mon ricuse- remmo di farne, o per imeglio dire di rinnuovarne alcu- no ‘altro (‘Il nostro gabinetto è un luogo opportuno , nel quale gli studiosi e gli‘amanti della nostra gloria lettera- U "0 ly d è i \ i 191 ria potrebber manifestare le loro intenzioni , le quali sa- | rebber con gratitudine accolte , e, ove le circostanze non sì opponessero , con prontezza mandate ad effetto. Nè te- miam noi di trovar pochi o tardi i quali accettino il no- stro invito: è omai troppo noto che il maggior lume nelle scienze naturali fu sparso dai viaggiatori: che non un solo ve ne fu, il quale non arrec asse da paesi incogniti im- portanti notizie : e che fino gli eserciti , i quali invasero lontane regioni per dominarle, se, trovandovi la morte o fuggendo per evitarla, non fecer risentire alla patria loro alcun vantaggio politico, costantemente molti ne ar- recarono alle scienze; le quali , arricchite di fatti in quel- le circostanze osservati , proporzionatamente progredi- rono. (*) L’ EpITORE DELL'ANTOLOGIA. (*) Intanto crediamo far cosa grata ai nostri lettori, e parti- colarmente agli studiosi della storia naturale, anticipando qui un saggio di quanto potrebbe dal sig. Raddi venir pubblicato ri- guardo alla parte bottanica del suo viaggio al Brasile. Si tratta della Swartzia Triphylla Grandiflora, da gentil. donna disegnata, da lui illustrata , e da noi fatta stampare in pietra. Swartzia Triphylla Grandiflora ; foliis ternatis , petiolo marginato , foliolis elliptico - lanceolatis acuminatis undulatis ; intermedio majore, petalo magno luteo . Arbor pulcherrima viginti pedes et amplius habens altitudinis, ad Capparoidearum jus: familiam pertinens , ad primum ordinem XII: Classis Linnaei ( Polyandria monogynia ) et ad ordinem na- turalem XXV: ( Putamineae ) ejusdem. 7 192 Invenitur in viciniis Rio de Janeiro x praesertim prope Mata- porcos , ubi primum inspexi , Floret Decembri, et fructus maturat Aprili. Nota est Lusitanis sab nomine Pd0 de O » quia Brasi- liani ejus ligno utantur ad teloram cuspides conficiendas. i i Descriptio. Folia ternata , petiolata, alterna , foliolis elliptico-lanceolatis , acuminatis, nonnihil coriaceis , margine leviter undulatis , utrinque glaberrimis , medio ampliori longo petiolo partiali munito : Petioli înarginati , marginibus ejusdem foliolorum substantiae, ad extre- mitatem latioribus et dentibus duobus aliquantulum incurvis termi- natis: Stipulae duae rainutissimae, lineari-subulatae , interdum pi- losiusculae,, deciduae , ad basim cujusque petioli opposite litae. Flores axillares et terminales , pedunculati: Pedunculi axil- lares tri-vel quadripartiti , foliis breviores ; terminales multipartiti , longitudinis plerumqne foliorum . : Bracteae stipulis prorsus similes. Cal: Perianthium monophyllum, coriaceum , externe viride , interne pallidum, globosum, ante florescentiam integram , deinde in plures partes fere usque ad basim irregulariter finditur. Cor : Petalum unicum, laterale, magnum, subrotundum , bre- vissime unguiculatum, luteum, venosum, integrum. Stamina numerosissima : Filamenta declinata basi subcoali- ta, inferiora circiter septuaginta et breviora , superiora plerumque sex , longiora et crassiora aeque ac antherae: Antherae didyme , flavae, posterius nigrae in centro. Germen superum, sublineare , arcuatum, compressiusculum , glabrum, pedicellatum: StyZus avis Stigma simplex. ° Legumen breviter ‘pedicellatum, oblongum , subventricosum , uniloculare, bivalve, valyulis coriaceis , glaberrimis. Semina tria, saepius quatuor, aliquantum caustica, oblonga, subangulata , arillata , fuscescentia , suturae inferiori valvalarum per faniculum umbilicalem fimbriatum adfixa : Hilum albicans. Obs: Differt a Possira arborescenti Aubl: ( Swartzia tri- phylla VV. ) magnitudine petali, qui bis excedit staminum longi- tudinem; margine integro nec fimbriato ; duplici staminum vume- to, et calycis divisionum irregularitate. ME TT Ò 193 I. e R. accademia dei Georgofili, adunanza ordinaria del dì 16 maggio 1823. Il socio corrispondente sig. Sabatino Baldassarre Guarducci lesse un suo scritto in cui si rilevavano alcuni abusi nell’ esercizio della pratica agraria , e specialmente quello per cui la vendemmia dell’ uva si fa in generale prima del tempo debito , dal che risultano molti e gravi danni che egli pose in evidenza. Il sig. dott. Guglielmo Libri trattò dottamente delle influenze lunari, mostrando essere affatto indipendenti da esse molti naturali effetti che il volgo, specialmente degli agricoltori , crede dipenderne. Il sig. dott. Ferdinando Tartini Salvatici, come re- latore d’ una commissione incaricata d’ esaminare il mo- dello d’ una macchina, di cui si fa uso in Ungheria per estrarre le radici degli alberi dai terreni che si vuol ri- durre a coltura, lesse un rapporto in cui, premessa una breve e chiara descrizione della macchina e del modo di usarne, se ne determinava per mezzo del calcolo la quan- tità dell’ effetto, molto notabile , concludendosi per l’uti- lità di essa , non tanto nell’ uso indicato, quanto ancora in altri analoghi. Quel modello era un dono che S.A. I. e R. l’Arciduca Leopoldo principe ereditario di Toscana aveva fatto all’accademia per mezzo del suo presidente. Adunanza ordinaria del di 20 aprile 1823. Il sig. cav. Vincenzo Antinori lesse un’ interessante memoria, nella quale, dando una succinta ma chiara idea dei metodi che ad educar ed istruire la gioventù praticava quattro secoli addietro Vittorino da Feltre in un insigne casa d'’educazione detta Za Giocosa istituita in Mantova dal duca Francesco Gonzaga per i suoi figli ed.insieme 194 per quelli che volessero profittarne , rivendicò un nuovo pregio all'Italia, mostrando che, siccome ella avea pre- corso le altre nazioni quasi in ogni ramo del sapere , così anche per quello che riguarda all educazione ed istruzio- ne delle gioventù aveva prima d'ogni altra conosciuti non solo ma posti utilmente in pratica quei pregevoli si- stemi che , in seguito dimenticati , sembra oggi che l’Ita- lia stessa riceva in dono dagli stranieri. (1) Il prof. Gazzeri fece conoscere un nuovo sifone da lui imaginato, e che egli chiama perpeto in quanto che conserva sempre l’ attitudine a far passare i liquidi da un vaso in un altro, comunque si vuotino questi e cessi l’azione. Questo sifone ha le due braccia necessariamen- te eguali. Empitolo d’acqua o d’altro liquido con immer- gerlo in un bagno opportuno, senza estrarne fuori l’estre- mità, s'inserisce ciascuna di queste in un piccolo vaso o serbatoio che vi si fissa con facil mezzo, e che è pieno del liquido stesso. Resa in tal modo costante l’immersione delle due estremità, è impedito l’ingresso all’aria e l’escita al liquido, e però il sifone sempre pieno si trova sempre in stato d’ agire per la sola immersione d’ uno dei suoi bracci, senza bisogno di succiarne l’aria, d’aprire o chiudere chiavette, o robinets ec. Di più vasi comuni- canti per mezzo di tali sifoni, non solo il liquido passa da uno in un altro, ma vuotati i vasi e restando i sifoni al loro posto , sussiste sempre la comunicazione, e torna sempre ad effettuarsi il passaggio del liquido di vaso in vaso. (1) Vedi pag. 117 del presente quaderno. - tini 195 Apologia dei secoli barbari, del R. P. Cosrantino BaArT- tIN1, Servita. P. prof. nell’I. e R. univ. di Pisa. — Colle 1823. presso Eusebio Pacini e fig. Un vol. 8.° grande di p. 232 con 2 rami. ‘ Un libro è stato ora pubblicato a Colle sotto il titolo di Apologia dei secoli barbari, cioè de’ secoli che trascorse- ro, secondo la più comune maniera d’ intendere, dal decadimento delle lettere infino al loro risorgimento. Ma però la denominazione di barbari non è così necessaria a dinotare quei secoli, che l’adoprar quell’ epiteto fosse indispensabile per farsi intendere : onde noi vedendo nel frontespizio che il dotto autore di questo libro ha prescel - to di chiamargli in quel modo, mentre appunto egli annunzia di farne l’ apologia, e non potendo facilmente persuaderci , che egli volesse sul serio darci l’ apologia della barbarie, abbiamo creduto da principio ch'egli scher- zasse; e abbiamo cominciato a leggere il libro coll’animo istesso con cui si leggono o /e lodi della pazs zia, 0 quelle dell’ asino, o tante altre festive composizioni helle quali si è fatta prova d’ ingegno colla invenzione di strani e sottili. ‘argomenti , senza però offendere in nulla i sacri diritti della ragione. Nella quale idea ci confermava anche il vedere che Ù A. scansando di combattere gli scrittori i più illustri fra quelli che hanno sentito diversamente da lui , e di confutar gli argomenti che han più evidenza , si è fermato piuttosto agli autori di minor grido, ed alle proposizioni peggio fondate, e contro quelli, e contro que- ste si è compiaciuto, principalmente a rivolgere o le ragioni , oi sarcasmi (1). Ma dall’altro canto la gravità di (1) Che noi avessimo delle buone ragioni per non credere facilmente che l’apologia fossa scritta sul serio, può dimostrar- lo ai nostri lettori il passo seguente della introduzione in forma di avviso ai cortesi lettori. ,, Or che direbbero tante case illu- stri di principi, duchi, marchesi , conti, cavalieri : che dircb- r . T. X. Maggio 13 196 certe invettive , ed’ anche la regolare disposizione della materia , che comparisce dall’ Madice dei capitoli ; hanno poi reso vacillante il nostro giudizio interno alla intenzion dell’ autore ; e noi ‘dobbiamo confessare che alla fine siamo stati costretti a persuaderci che egli abbia voluto sostene- re sul serio ciò che ha annunziato nel frontespizio. E se così è l’autore dell’ apologia ha errato certo fuori della buona strada, tanto nell’ assunto generale del libro, quanto nella natura degli argomenti. Molto certa- mente potrebbe dirsi esaminando con occhio imparziale bero tante famiglie ingenue, e di cospicui natali , gli alberi genealogici dei quali risalgono oltre a più secoli: che direbbe ogni anima sensibile , e grata ai suoi progenitori, se taluno te- merdrio, e impudente gli ridesse in faccia, o venisse a' dirgli in propria casa : voi vi gloriate di vostra antica prosapia, vi vantate di scendere da avi generosi , industriosi, magnanimi, € tra i vostri progenitori contate questi e quelli. Ora sappiate che costoro dei quali ne andate tanto superbi erano tutti uomini roz- zi, sozzi, ignorantissimi , selvaggi, brutali, barbari , feroci, di- struttori dell’ umana specie , ec. ec. Che direbbero , io diceva ; tanti nobili personaggi , tante persone ingenue ad una simile îin- giuriosa invettiva ? Poco maricherebbe, quando avessero punto d’ onore , che presi da giusto sdegno non gli facessero ruzzolar le scale ,, . Anche il passo seguente con cui comincia il capitolo XV. pag. 161, spira una certa festività, la quale ci parve annunziar nell’ autore non altra intenzione che quella di rallegrarci. ,, Dopo quanto si è BREVEMENTE EPILOGATO , sembrerà ‘incredibile che quei secoli, quei nostri buoni antenati abbiano potuto avere un formicolaio così grande di nemici, che con un accanimento im- placabile gli vadano perseguitando. Se stati fossero quei secoli barbari, che trasmessa. gli avessero la lue celtica , avrebbero qual- che ragione di querelarsi di loro. Ma essi ne furono liberi, es- sendo questo morbo scoppiato allora appunto che sorse la bella letteratura sul principio del secolo decimosesto , epoca tanto ce- lebrata dai nostri censori, ec ,,. Ma quando noi gettammo gli occhi su questi passi, non avevamo letto che l’ autore nelle pri- me parole dichiara di non voler che a/cuno si creda, che sia que- sta una cicalata , 0 un componimento giocoso , come taluno po» trebbe forse a prima vista supporre. 197 l’indole di quei tempi ad istruzione dei nostri , e sarebbe un subietto utile e degno, lo andarvi a ricercar quegli esempi; i quali facciano risaltar la bellezza della virtù nascosta troppo spesso nelle storie, e offuscata dal presti- gio dei vizi splendidi , e degli errori fortunati. E in vero, così ; come gli uomini non son mai nè affatto cattivi, nè affatto buoni, anche le istituzioni e le costumanze me-_ scolate sempre di bene e di male, debbono lodarsi o biasimarsi soltanto per ciò che in esse prevale. Nè si sten- terebbe a trovare allora che il mondo parea tutto coperto di miseria e di vergogna, qualche qualità generalmente sparsa fra gli uomini, e dipendente da quello stesso stato sociale, la quale meritar possa alcuna lode a quei tempi , ed anche formar l’invidia dei nostri. Ma tali ricerche non si competono che ai filosofi, come che dipendono in primo luogo dall’esame comparativo dei beni e dei mali, i quali derivano dalla civiltà , materia di questioni ingegnose, e di riflessioni, talvolta dolorose nei tempi nostri . Nella barbarie poi della età di mezzo vi ebbe ciò di particolare, che mancò ad essa anche quella specie di genuina roz- zezza, la quale si ritrova nei principi delle società nuove; nè i semi della rigenerazione che allora si preparava ger- \mogliavano puri ed immuni dal guasto di quella cor- rutela la quale provenne dalla degradazione di una civiltà antica; e fu eredità funesta dell’i impero romano , che a guisa di quel mostro della favola parve ricuoprir tutto il mondo , per ammorbarlo poi tutto nel suo disfacimento. Sicchè esaminandolo stato di quei tempi per le conseguen- ze ch’ esso produsse nei tempi di poi, si potrebbe arrivar perfino a lagnarsi,per alcuni rispetti che il buio non fosse più completo , e che non potesse operarsi una rinnovazio- ne totale allorchè gli animi cominciarono a scuotersi, e le cose umane a rianimarsi di nuova vita. I primi sforzi che allora sì fecero non furono che sforzi d’imitazione, e tutti i progressi che si son fatti da qualche secolo in poi son 198 sempre rimasti arretrati nei loro effetti, per la permanen- za di tante istituzioni men buone, e di tanti ‘errori , ‘i quali ci possono far temere che si arrivi a un’ altra de- crepitezza, prima di aver goduti i benefizi di una gioven- tù attiva, e di una robusta virilità. Intendiamoci una volta e fissiamo le ‘nostre idee in- torno a ciò che dee ricercarsi a prò della specie umana , e da cui si vuol far dipendere la bontà relativa dei tem- pi. Noi facciamo consister ciò nel provvedere alla dignità della nostra natura col rialzarne il valore ed aumentarne l’attività; e nello stabilire una repartizione di godimenti più estesa e men diseguale che sia possibile. E quan- tunque la combinazione di queste due cose sia tanto difficile , che possa persino contendersi su molti esempi antichi e moderni esser elleno state il più delle volte ‘in una certa specie di opposizione fra loro, noi non saprem- mo mai dipartirci da questi due cardini nel misurare la felicità delle varie epoche della storia, considerandole ognuna per sè, ed isolatamente. Poi vi è un altro modo di valutar gli ordini civili e politici , e le idee dominanti in un certo tempo , considerandole come la conseguenza dei tempi che precederono , e come l'origine di ciò che nacque in appresso , per cui degli ordini men buoni in loro stessi ponno meritar lode, per essere stati rimedio a dei peggiori, o per avere spianata la strada a delle inno-. vazioni più ragionate e più efficaci. Nulla di ciò noi ab- biamo potuto trovar nell’ Apologia, e perciò contenti di avere indicato all’ ingrosso quello che noi vorremmo che si facesse, e di avere annunziata qualcuna delle nostre idee più generali, dobbiamo confessar che le cose dette in questo libro ci hanno somministrata poca materia per applicarle . — A questa mancanza assoluta d’ idee generali suppli- sce l’ autore dell’ Apologia col riferire alcuni fatti parti- colari intorno la letteratura , e ai costumi dei secoli da 199 lui medesimo detti barbari. In quanto alla letteratura, per vero dire , ci sembra malgrado i capitoli che ne trat- tano avere egli preso a sostenere una causa disperata, e ‘che rimarrà tale finchè egli non potrà dimostrarci che al- meno Carlomagno sapesse scrivere (2); e finchè non saprà additare un compenso alla perdita di tante belle opere dell’ antichità cancellate dalle carte pecore per scrivervi sopra’ o breviari, o cose di troppo minor pregio ; e mostrar- ci nel corso di più secoli un’opera sola, nella quale la ‘verità delle cose stia a pari con la sottilità dello ingegno, ‘che è poi lo stesso in tutti i tempi. Tutto il sapere di quella età ristretto a quello che si chiamava allora filosofia d’ Aristotele , e che non era filosofia , nè di Aristotele, ha dato luogo all autore di scagliarsi contro coloro, che Lar no compianta la schiavitù in cui teneva gl’ cool la ‘venerazione superstiziosa per l’ autorità troppo spesso male applicata di un uomo solo. Ma chi avrebbe poi po ‘tuto credere che senza far parola del peripateticismo e de- gli abusi di esso, egli volesse eludere la questione esor- tandoci ad ammirare lo ingegno dello stagirista a lode del . quale egli cita l’ autorità di Filippo e di Alessandro magno, e un verso del Petrarca, e un verso di Dante. Sì fatti argomenti lasciano intatta la controversia, e rendono inutili le risposte. Collo stesso modo di ragionare si celebra in un altro capitolo l’arte critica di quei secoli, perchè gli archivi «ammassati in allora dai ricchi o dagli studiosi, hanno servito di materiale agli eruditi dei nostri tempi per (2) Siccome ciò per alcuni è stato fatto materia di contro- versia ; noi vogliamo riportar qui il passo d’ Eginardo, che l’ha dualitata , c che a noi sembra non ammetterne alcuna. P’entabat et scribere , tabulasque et codicillos ad hoc in lecticula sub cer- vicalibus circumferre solebat , ut cum vacuum tempus esset ma- num effigiandis literis assuefaceret : sed parum prospere suecessit , Tabor praeposterus ac sero inchoatus. 200 diradare il buio di tanta parte di storia: E noi risponde- remo che le fatiche immense, e gli scarsî successì dei più sagaci fra questi eruditi, provano abbastanza la niuna critica che aveva presieduto alla riunione di quei mate- riali, raccolti certamente per fini tutti diversi ; e dai quali non trasparisce nè molto amore, nè alcuna \cono- scenza del vero. bi Un capitolo è consacrato alla lingua italiana», la formazione della quale sì dice esser vanto di quella età. Noi osserveremo solamente che il formarsi da una lingua spenta una lingua nuova suppone prima uba epoca d’igno- ranza e di Bartali per il corrompimento di quella, e poi un’ epoca di maggior civilta per il perfezionamento di questa ; e che la liogua italiana non ‘si. sa «che comin- ciasse a esser colta filtro” chesul finire del'‘secolo:duodecimo appunto allora che dopo le leghe di Lombardia e di Tosca- na cominciarono tempi migliori all’Italia., sempresollecita anche più che non pieni alla sua fotina ; nell anti- cipare la civiltà ‘ed il sapere delle'altre nazioni europee. Anzi può dirsi che nell'Italia apparissero i primi segni di un qualche risorgimento per ‘quanto incerto , almeno per la ‘parte ‘politica; ‘infino dalla ultima'metà del secolo decimo allorchè la potenza degli Ottoni venne a concentrare sotto di sè, e come a ‘legare insieme le poche forze che fino allora isolate ‘e scomposte erano ri- maste senza efficacia. Allora cominciò fra noi a crescer la potenza delle città , e‘a fondarsi qualche migliore ordine ‘politico nei governi municipali , essendo così rimasto ab- battuto in Italia più presto che altrove il governo feudale, la peggiore fra tutte le forme sociali, le quali si sian cono- sciute finora, @ il principal sostegno della barbarie. Ma il secolo duodecimo dee già riputarsi più 0 meno da per tutto come il principio dell’ era nuova, ed è però strano che l autore dell’ Apologia confondendo fra loro quelle epoche, le quali sarebbe più necessario il distinguere, i ‘201 ‘abbia dato vanto:a quell’ ordine di cose ch’ egli vorrebbe ‘ristabilire, di ciò che non ebbe altra causa che il nuovo rivolgimento che cominciava (3). E pare a noi uno stra- ordinario sovvertimento di ogni sincera critica l’ avere attribuita ai secoli feudali la fondazione di quei governi, i quali non poteron nascere appunto che sulle rovine della feudalità. Potrebbe parere strano che nell’apologia dei secoli barbari non si trovi fatta parola della legislazione. Ma è vero ‘altresì che non era facile il rinvenir nell'insieme delle leggi cosa lodevole nei tempi che precederono il ‘ritrovamento delle pandette. E d'altronde potrebbe cre- dersi che l autore-reputi le buone leggi una cosa indif- ferente e superflua, quando noi lo vediamo difendere la prova del fuoco e dell’acqua bollente, le quali suppongono appunto l’assenza di ogni gius, 0 la sua insufficenza a di- fendere i diritti della verità e della debolezza.Noi abbando- niamo questa questione a chiunque la giudichi con i soli lumi della imparzialità , e del buon senso; e chi ab- bia lette le pag. 154-156 dell’ apologia non ci apporrà a colpa l’aver lasciato senza risposta ciò che in quelle pagine si contiene. Ma peggio ancora se si vorranno di- fendere quegli usi dal solo lato onde essi possano ricevere una qualche scusa. Introdotti essi pel solo fine di render più rari i giuramenti dei quali la religione troppo comu- nemente violata, non era più sufficente a contener gli (3) Così per provar che ai secoli barbari non mancò neppur l'eccellenza delle belle arti, si adducono a prova di ciò i monu- menti di architettura , e le belle chiese , le quali sì edificarono in varie parti d’ Europa. Ma queste ancora sono opere per la mag- gior parte dello stesso secolo duodecimo ; e prima di allora non si introdusse quello stile ardito ed originale di architettura , che noi ingiustamente chiamiamo gotico. I pochi edifizi grandiosi che sono anteriori a quell’ epoca appartengono alla decadenza dello stile antico, 0 alla scuola dei saraceni, dei quali la civiltà, per quanto ragguardevole, non entra certo nell'istituto di questo libro. 202 uomini di quelle età miserabili , essi ci. danno una idea troppo dolorosa della moralità di quei tempi nei quali si dovè riputare opera perduta l’andare a ricercare la buona fede e l’ onestà nel più intimo santuario della coscienza. (4). E qui pare a noi che quantunque sì sia parziali per alcuni costumi di quella età, l'amore del giusto e del- l’onesto esiga sempre che si deplori la condizione di quei tempi nei, quali la virtù esclusa quasi dal viver sociale dovea cercarsi un asilo, non sempre sicuro, fuori del com- mercio del mondo , e la religione stessa vedea la sua san- tità deformata da tanti abusi, e da tante pratiche supersti- ziose ed assurde, le quali la Chiesa ha condannate sempre, ma ch’essa non ha riuscito a estirpare altro che in tempi migliori. Orà a fronte di tutto ciò bastera egli addurre pochi fatti staccati, o citar degli uomini i cuali si distingues - sero dal comune? Noi non vogliamo contrastar certamente che vi fossero in quei tempi dei valorosi, ed anco perfino degli scenziati,nè si durerebbe fatica a trovare anche allora degli individui i qgali possano esser presi a modello di ve- ra virtù, e di pura e innocente grandezza di animo , per quanto di questi non troviamo fatta menzione alcuna dal nostro autore. Chi poi vorrà negare a lui che Carlomagno fosse un conquistatore, Goffredo un prò condottiero, l’abate Lupo e l'arcivescovo Gerberto zelanti raccoglitori di co- dici? Ma tolga il cielo, che noi i quali crediamo ferma- mente di aver sortiti tempi migliori prendiamo a lodare il nostro secolo o pei conquistatori o pei bibliomani nostri contemporanei , e neppure per certi tratti di valore feroce i quali a malgrado della dolcezza dei nostri costu- mì, abbiamo ancora noi veduti spiegati talvolta, e spesso (4) Roberto re di Francia vedendo la frequenza degli sper- giuri che si facevano sulle reliquie dei Santi, ordinò che si ado- prasser pei giuramenti dei reliquiari vuoti, e credè così di sal- vare dal peccato del sacrilegio chi non temeva il delitto dello spergiuro. Zelly, hist. de France. T. II. p. 335. » 2) 203 nelle cause men belle. Non è da ciò che noi prendiamo a dedurre nell’ esame comparativo delle varie età che ci han preceduto, se) siasi inalzata la dignità del genere umano , provveduto alla prosperità della maggior parte degli uomini, e lasciato alle età susseguenti un retaggio che debba impagiinele alla imitazione. Nè vogliamo noi cavare argomento dalla. virtà di, alcuni, poichè/niuna miseria. di tempi ha mai potuto degradar la ‘natura uma- na a tal segno ,. .che essa mon sia. poi risalita talvolta pel proprio impeto ad ogni altezza più luminosa. Ma;noi domanderemo soltanto quali.istituzioni nate in!quei:seco» li meritino di, esser conservate tuttora. a. benefizio del» l’uman. genere, quali ordini \civili, e , politici di essere imitati;, ‘e chiederemo. allo stesso autore dell’ apologia ch’ ei ci dica, quali fra‘i ritrovati di; ‘quelle ‘età. vorrebbe egli (fuori di poche. scoperte fisiche mate a| caso :) difen- dere come. verità, ed insegnarle. E noi ci guarderemo bene di ricercare il vero intorno,a tutto ciò, con. quella stessa specie di.critica la:quale era-in uso in allora: e!di mi- ,surare il giusto e l’onesto con quella ‘stessa: bilancia che si adoprava, quando. tutta: la, miglior:giustizia era»nei duel- li.(5),, e la:politica negli ammazzamenti. Poichè alla fine i vecchi del genere umano lo! siamo noi., e: se pur noi dobbiam risentire anco a nostro danno le conseguenze dell’età fredda ,, non rinunziamo almeno ai vantaggi che l’esperienza ci ha procurati, di pesare cioè je di! discer- nere il buono e il cattivo che ci.ha portato, nell’incalzan- te suo corsol’irresistibil fiume del tempo...‘ AR. (5) L’autore rimprovera all’ età nostra l'abuso dei ‘duelli, R noi ne condannîanò? il richie per'fno. Ma non sappiamo veder di ì duelli de’: tempi mostri eri combattiinenti\giudiziari di allora al- cuna sostanzial differenza , che stia a Be di questi ultimi. E gli domandiamo poi se non è idea nata in quei tempi il giudicar colle armi anche la ragion dei privati, e sanzionare con l’auto- rità delle leggi quello che in oggi vien Gi rg in ogni socie? ordinata. I 204 Necrologia\ Antonio RENEI. [si < x n Antonio Renzi naeque Vanno 1780, in Castelsalfi posto nella diocesi di Volterra; e il suo genitore quantun- que id'umil lignaggio ebbe spiriti così generosi che bellis- sima indole: scorgendo nel figlio , e avvisandosi dell’ ec- cellenza del suo ingegno spese in educarlo ‘le sue poche sostanze con lunga fatica adunate , e vennè così a correg- gere in lui l'errore della fortuna. Vinse Antonio ‘le spe- ranze del padre; e compito appena il quarto lustro lesse ‘con plauso filosofia nel collegio di Pistoja , e celebrando sul pergamo le virtù dei santi ottenne fama di valente «oratore ; ch’ egli contro la ‘sua inclinazione già renduto si era muoliatagie; compiacer” volendo ‘al desiderio materno. :.Il Renzi tratto dagl’inviti d’ eminente personaggio , se accompagnato dalla ‘sua’ fama venne ‘in Firenze: quatita perizia ‘egli ‘allora ‘mostrasse’ in formar 1’ animo e la ‘mente cogli ammaestramenti ; io nol'dirò, chie a me non ‘conviene quest’ ufficio ‘alla gratitudine del sùo o ‘discepolo usurpare . don boa Quando la Povedna divenne parte dell'impero fran- cese, il Renzi fu caro adi uomini dei quali passò fra moi la potenza ma dura la fama (1): usò per giovare a ‘molti queste illustri amicizie ; e ricordevole di ‘ciò nella sven- tura diceami : | oh quanti sguardi Che mirai rispettosi or soffro alteri. (Meràsras.) (1) I celebri Cuvier e Degerando: 205 ‘Felice lui se pei loro! conforti si fosse intieramente rivolto, alle lettere, e seguendo il consiglio degli amici avesse accettato la cattedra offertagli nell’ università di Pisa: ma gli parve altrimenti , e togliendo ad esercitare un ufficio nel quale l’interesse pubblico s° assicura dalle frodi private , s' accorse dall’ odio che contro vecchi abusi poco vagliono giustizia e ragione, e che a noi i quali credia- mo, ‘pericoloso il Finieh sicuri fidati alla sola innocenza, pia- «cerà mai sempre più dell’ impero di legge uguale ed ine- sorabile, l’arbitrio dell’uomo che a suo talento o pepe . «0 .perdona. Mutate colle sorti di pics quelle del snodi "i Renzi si diede tutto agli studi, e scrivendo un giornale in _compagnia d’altri amici solleciti della gloria italiana, im- pugnò; per vendicarla l’armi del ridicolo contro una don- na illustre. E da quello scritto gli venne a dir vero molto odio , e poca lode perchè mentre a quelle virtù che sor- gono fra noi non è ,mai dato il superare l’ arti nascose dell’ invidia municipale, e i superbi fastidi della nostra antichissima ignavia, noi perdoniamo di buon core allo «straniero che ci vilipende. E forse molti ignoravano di quante accuse la Stael in alcuna delle sue opere ingiusta- mente gravasse i nostri scrittori: o il far tutto dimenti- care è antico privilegio dell’ ingegno. Il Renzi scarso d’ averi, ma ricco di Greta" virtù che Orazio disse esser repulsae nescia sordidae tentò se non chiedendo nulla ad alcuno , gli avvenisse di far migliori . le condizioni della sua fortuna. Dobbiamo alle sue cure una ‘magnifica edizione dell’ Alighieri : e in essa il Renzi mo- . strò raro accorgimento nello scegliere dalle stampe e dai ‘testi a. penna le migliori lezioni; e gusto e sobrietà in : quelle note che dichiarano le voci antiquate, e le recon- ‘dite dottrine dell’ altissimo poeta (2). Ma chiunque creile (2) Il Renzi arricchì .pure di molte giudiziose note la bella edizione del Furioso e delle rime dell’Ariosto dateci dal diligen- 206 ‘che si possa per: letterarie ‘intraprese ottener diga e ricchezze si trova îngannatò ' della sd ‘èstimazione + pur ‘se là fortuna all’amico nostro noù si’ fosse mostrata’ bebi- “gua, egli tutto l’inipeto non né ‘avrebbe dovuto sosténere, se dall’ esempio dei savi avesse itparato che conviene’ lai- dare le cose antiche’, e obbedire alle presenti. Ma! la Sa- pienza dei nostri dotti è troppo solitària ora’ che 1 amidina viltà sorpassa l’ estimativa della niente ; e il diffidate fu sempre l’ultima scienza degli animi ‘generosi. Sì 'fecò a Parigi, e il Cuvier ‘memiore dell’ antica ‘benevolenza gli bond d’ aprire un corso di letteratura italiana’ e‘@erto s’ egli ‘avesse ‘posto. ad ‘effetto questò”sib aivisdttiénto si sarebbe coll’i ingegiio separato ‘da édloro’ che ottedgalio questa licenza’, e’ ‘cresciuta’ ‘avrebbe ‘în‘quella ‘vasta ‘‘finé- tropoli' la riverenza dél hidime toscatio ! Ò carit " ‘del’ lodo vatio', 0 ‘altra ragione lo: richiamò’ fra indi: e fatto omi esperto pei: propri vo: dei vizi ‘e della portelitosà - «inigrà- titudine dei mortali 5" ; ‘giunto # quella patte' della vita ‘ove l’ arco degli anii distende, ‘avrebbe: con’ aniitid tiposito atteso alle lettere; ‘6 ‘lrovato' ini esse ‘sé non rimedi alla ‘Stia ‘povertà generosa; ' ‘consolazione’ al’certo nelle sveriture; ‘da lui con lieto; efofte animo ‘sopportate. Una'peripnetmnd- hia ‘contro Ta quale i i soccorsi della medicina ban ag vani, lo tolse in pochi giorni ‘alla ‘patria, ‘e agli amici. i cunctis flebilis occidit' | Nulli' flebilior quam mihi. (3) ORGA b vrgi ) tissimo. ‘tipografo Giuseppe Molini; le sue osservazioni in fatto di liogua lo mostrano peritissimo” del ‘nostro idioma , e ‘molto. utile può tornare dal suo’ lavoro ai combpilatori ‘del' nuovò ‘dizibiitio della: Crusca) per: la cura ch’ egli si è. presa ‘di notare. tutte ‘le voci del: Ferrarese, omesse, dai. passati, vocabolaristi., Riyide! pure , e corresse, le note dell’ abate Sebastiano | Pagelli delle quali, pia- cque al' Molini di corredare la' sua edizione del Petrarca. (3) Aveva ‘in’ animo di occuparsi inolto: del riostio ‘ ‘giornale pel quale ha composto diversi articoli, e meditava' di scrivere 207 Scrisse il Renzi con pari eleganza in verso ed in, prosa , ed ebbe moltiplice dottrina, intelletto ordinato e sagace, e tanta destrezza d’ingegno che a tutto quello ch’ ei facesse sembrò nato. Somma fu in lui la grazia del volto, e del parlare: preso ne rimaneva ogni straniero , e tenne conversando coi magnati sì nobile gentilezza di modi, che il loro orgoglio dimenticavasi ch’ei fosse d’umil nazione senza che a loro ei sembrasse insolente, e agli altri vile. Fu talvolta arguto motteggiatore, maligno non mai: lontano da bassa invidia , all’ altrui merito ognor fece ra- gione. Certamente dall’ ingegno suo poteano aspettarsi frutti maggiori: ma questi impedì prima la povertà, e poi la morte, poichè ancor su quella gloria che vien dalle | lettere è grande la potenza della fortuna. X. NOITIZIE GEOGRAFICHE. — Viaggi. Il Governo russo prepara per la prossima estate , e probabil- mente per il mese di agosto una spedizione scientifica composta di due bastimenti da guerra sotto il comando di Kotzebue; all’og- getto di portarsi allo stretto di Bering per l’ estate del 1824, onde inoltrarsi quanto potrà al NE. Nel caso che la navigazione fosse impedita dai ghiacci per i grandi'bastimenti, dovrà inoltrarsi in battelli costrutti all’ uso del Kamskatka, tra i ghiacci e le coste , ove esiste quasi per tutto una striscia di mare aperta. Il celebre ammiraglio Krusenstern è incaricato di distendere l’istruzione . Il Sig. Moller ministro della marina ed il Signor Krusenstern si propongono di confidare alla sorte della spedizione i loro due fi- gli primogeniti, giovani di .grandi speranze . Parecchi dotti di un merito riconosciuto si sono di già impegnati a far parte di alla foggia di Plutarco le vite dei più illustri italiani ; gli ultimi suoi lavori sono le considerazioni sulla galleria Riccardiana, e ciò che riguarda l’ apologia de’ secoli barbari che si trovano in- seriti nel presente fascicolo. 208 18 questa spedizione, dalla quale si attendono risultamenti di grande importanza. Il capitano Sabine. compagno del celebre Parry parte con un bastimento da guerra inglese per lo Spitzberg, la terra la più settentrionale che si conosca. n suo viaggio sarà senza dubbio" utilissimo alla geografia ed alla nautica. Società geografica — Adunanza generale dell’ anno 1823. La società aveva stabilito un premio di 1200. franchi da con- ferirsi il 1. Febbraio 1823 alla miglior memoria sulla direzione e l'altezza delle catene di montagne dell’ Europa. ( V. anto- logia vol. VI. pag. 573. ) Una sola memoria è stata presentata. La commissione nell’ atto di render giustizia alle laboriose premure colle quali l’autore ha riunite quasi tutte le misure d’ altezze conosciute, prova dispiacere di dovere, osservare che l’au- tore non ha impiegati questi elementi per una descrizione ragio- nata dei monti dell’ Europa. Gosì lo scopo principale non essendo adempito, la commissione non ha potuto accordargli il pre- mio proposto; ma desiderando di onorare il suo zelo, gli ha concesso a titolo di incoraggimento una medaglia del valore di 600» franchi. L’ autore di questa memoria è il Signor Bruquiere is- pettore alle riviste a Angoulème. Un’ altra memoria scritta in tedesco non ha potuto passare al concorso perchè non è stata ri- messa in tempo alla segreteria, e d’ altronde portava il nome dell’ autore , lo che è contrario alle disposizioni del program- ma. La società rimette la collazione del premio per il medesimo soggetto alla prima adunanza generale del 1825. Esso sarà di 1200. franchi. Le memorie dovranno rimettersi alla segreteria della commissione centrale priima del gennaio 1825. La società rammenta il premio prepuzio per la memoria sull? origine dei popoli dell’ oceanica, che sarà conferito nella prima adunanza generale del 1824. Le memorie dovranno rimettersi prima del gennaio 1824. Due memorie hanno concorso al premio proposto dal barone Delessert per /’ itinerario statistico e commerciale da Parigi a Havre de Grace: nessuna ha adempito allo scopo; gli autori non hanno descritto con esattezza sufficiente il corso della Senna, ed il commercio che si fa per suo mezzo. Fine del Fascicolo. XXIX. -_ OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO DELLESCUOLE PIE DIFIRENZE Alto sopra.it livello del mare piedi 205. APRILE 1823. ; Di di Termometro & | — ce o SATO] dr LE È S| Ora n 5 n B|T5| 8 Stato del cielo È n È CNR (I vv > : cl e i cd DU SS 100 poll: lin. Ù di \ | 7mat. 28. 24 12,9) 11,1} 77 Os. Sc. {Ser. con cal. ‘ Calma | | 1| mezzog. 28. 2,0 13,7| 15,4 45, (Tr. Gr.|Nuvolo. Ventic. | | 11 sera ;28. 2,0 14;7j.-12% 90 ‘Lev. |Belsereno. Ventic. | 7mat. [28. 1,6 12,0 8,9} 66 !Scir. |Sereno. Ventic. 2| mezzog.|28. 1,4 19,3) 14,2) ‘|Ostro |Sereno. Ventic. 11 sera |28. 0,9 14,2] 12,9) 66 Lib. |Belsereno. Ventic. || 7mat. {28. 0,7 | 12,8] 9,3 80 Scir. |Belsereno. Ventic, | 3| mezzog.|28. 0,3 13,5| 14,2) 62 Maest. | Sereno. Ventic, | 1isera |27. 11,7 13,8] ini] 67 Lib. |Belsereno. Ventic || 7mat. |27. 10,7 12,8 8,4] go Scir. |Nuvolo. Ventic. | 4| mezzog.|27. 10,2 12,9] 13,5] 68 Tr. M.|Nuvolo. Ventic. | | 1! sera |27. 10,7 13,3] 10,8] 76 Lib. |Sereno. Ventic. | 7 mat. |27. 10,2 | 124 9;4| ‘87 Scir. |Ser. con neb. Ventic. .5| mezzog. 27. 10,0 13,3] 14;7| ‘60 Ostro |Nuvolo. Ventic. I Iisera (27. 9,7 14,2] 12,0] 80] 0,03 Lib. |Misto. Vevtic.| Os. Lib Coperto. Vento 7 mat. |27. 9,0 13,0 12,9 79 Ostro Minaccioso. ' V. forte | 6| mezzog. [27. 9,1 19,41 119,51) "03 __|_1! sera |27. 10,0 13,3, 12,4| 76 (Os.Lib Nuvolo. Vento | 7mat. |27. 11,0 | 12,6 ir,i] 60|0,46 Os.Lib Sereno. Calma |.7| mezzog. |27. 11,2 13,3' {15,5] .0t Os.Lib Nuvolo. Ventic. 11 sera [27. 11,0 | 13,3 12,4) 90 'Grec, \Nuvyolo. Calma Vita 7a) 7. Ai Q e] dr leg E È Le 8 Ora e Si 3 | È 2 3! 5.5.| cur cielo \ er. Mu " n = CONE sn sed dig de Maia ? | | }} ; Lame 7 mat. |27. 90 13,2] 12,1] 94 si Misto. 5-8 8| mezzog. |27. 099 14,4| 17,3] 49 Sc. Lev Nuvolo. Vento 11 sera |27. 8,0 14,7] Ti,1) 99 0,09 Lib.‘ |Pioggia. Vento 7 mat. |27. 7,0 13,2! 9;2| .95 0,24 Lev. |Nuvolo. Ventic. | 9| mezzog. |27. 8,3 12,9] 1ri,1| $3|0,14 Lib. |Burrascoso. Vento ri sera |27. 10,3 11,5 9,31 83| 0,20 Lib. Burrascoso. Vento | 7 mat. |27. 8.2 10,7 8,9| 92 1,24'Lev. |Piovoso. Vento | 10) mezzog.|27. 9,6 10,7] 1r,1] 59) Greco |Nuvolo. Vento Ii sera |27. 11,0 10,2 7,6] 60 Greco |Nuv. rotti. Vento 7 mat. |27. 11,0 8,4 6,7| 58 ——— |Greco |Misto Vento 11) mezzog.|27. 11,3 84 9:31 51 Lev. |Nuvolo. V. gagliardo II sera |27. 11,2 7,6 5,8] Go Gr. Tr.|Ser. con neb. Vento | 7 mat. 27. 10,4 6,9 5,5] 55 Gr. Tr. Ser. calig» Vento 12] mezzog. 27. 9,9 8,0 9,8] 45: Gr.Lev Nuvolo. V.forte! II sera (27. 10,0 7,6 7,61 45 Greco Nuvolo. V .forte| 7 mat \27- 10,1 1,76 6,2| dr . {Gr. Tr, Sere no. Vento | 13] mezzog. 27. 10;6 8,4 93 39! Tram. |Bel sereno _V.forte II Sera |27. 11}0 10,2 731] 49) Tram, |Bel sereno. Ventic. | 7.mat. |27. 11,2 |. 8,1 4,9! 70] |Gr. Tr.|Ser. belliss. Calma I4| mezzog. 27. 11,0 19,3 8,4 35, Greco Sereno. __ Vento _.|| xt sera 27. 10,6 10,2| 10,2 405, Tram, | Bel sereno, . Ventic.i] gmat. . 27. 10,4 9,8 7,3 -76 © .[Se. Lev Sereno. Calma 15), mezzog. 27. 11,6. 8,9 8,4 fol -|Gr. Tr. Sereno. Calma II sera, 28. 1,6 8,9 8,9| 46 Greco .Bel sereno, ‘ Ventic.i| 7imat. |28. 2;5 8,0, 5,5 70 Sc. Lev. Sereno. “Vento. 16|, mezzog.|28.. 3,0 8,6 89 40 Tr. Gr. Ser. con nuv. V.fortel| ri sera |28. 3,6 0it! #6 (do Tram. ‘Bel sereno. _ Ventic.|| 7.mat. 128. 3,3. 8,0 5,4 75 Lev. — | Sereno, Ventic. 17|, mezzog.|28.. 3,1 9,0 10;2; 49 Lib. Belsereno. Ventic. 11 sera |28. 2,0 10,7, 10,7; 70 Scir. Bel sereno. , Ventio. 7;mat. 1364 1,2 î1,1 9,3]; 75 Scir., |Sereno. “Calma | 18| mezzog.!27. 119 10,4| 12,0), 49 Ponen. |Sereno. ——Vento 13 sera |27. 10,0 11,5 10,2| 68 - Lib. |Nuvolo, Vento | 7 mat 127. 8,3. 11)I 10,I| 79 — 'Ostro |Nuvolo. Calma 19| mezzog. 27. 8,3 11,5 12,0 65 ILib. Nuvolo. Vento || 11 sera 27,731 11,1 93 75 Lib. ___{Nuvolo. V. burr.| Ta n = | o Tèrmom. ‘ da tg a o) 3 n tr S|. © < 2 S| Ora 8 A | ,8.12 3 È E Stato del Cielo ei © Si io (Din LA, ; EI Ss D 3 ò © o ° i ° ° ° ì ] di 7 mat. |27. 8,2 9,8 7,507! po] 025/510 Lev|Bel sereno. Ventic. Jj20| mezzog.:|27. 9,0 | 10,7] 11,5), 3 Lib... |Misto.' è Vento 11 sera 28. ‘0,t S9l° 9,5] Opi {Scir. |Ser. belliss. Ventic. —_—_@ | 7 mati 385 co e Rirt 44 Bi Livia Se LeviBel sereno. Ventio. tmezzog.'|28. : 6. 19,8] 10;2|) 34010 |P: Libi|Ser. rag. Calma | 11 sera |28.. 1,0 11,1], 9,3) 65] |Os.LiblVelato. Ventic. 7 mat. |27. 11,9 | 10,2 8,9 9 0,12] Scir, Nuvolo. Calma. 2 ‘mezzog. (27. 11,5 ro,z| ‘12,9 68| ‘ILev.. |Nuvolo.' Ventic. rr sera DI 11;3 || ;10,7|| 10,2| 1/99 083 Ostro. .|Nuvolo. Calma | c pyimat. 27..k1;2.| 10,7], 87 100 Scir.- |Nuyolo.; |‘ Calma {\23| mezzog. 137. 11,0 10,7] : 12,9], 92! Os. Lib|Nuvolo. Calma elfi sera! 27. 11,0 l' 10,7] 10,7 96 ia Os. Sc. |Nuvolo. Calma i gofi Ostro” Pioggia. Vento | p'imati |27. 9,2] 11,5] 11,5 90 0,08: Os, Lib | lo4 mezzog.,|27+..:8,6 | ..11,5| — 1254 Pioggia. . Vento | fl |\sr sera 27. 8,6 10,7 10,2 __95 0,3o/Lib. |Nuvolo. Vento il {| 7mat. (27. go I1,I] 10,7 96 P. Lib. Nuv. neb. ,, Calma {|25| mezzog. |27. 10,0 rr,5|' 12,9|' 65 P. Lib.'Sereno. Vento | 11 sera |28., 0,2 12,0] 10,2] 85 |Scir., \Sereno, + Ventic.| Î 7 mat. |28. 0,6 10,2 7,1] 88 Scir. , |Sereno, Ventie. f|26| mezzog. 28. 1,0 | 12,0] 13,2| 59 P. Lib. Sereno. Ventic.| if | rrsera og tjov li 13:20 12,910 84/° ‘| |Scîr.! Ser. rag. Ventic.| | 7 mat. |28. ig 12,2 9,2| 86 Scir. Ser. con neh: Calia | ||27| mezzog.. la8...; b:11339 24,7} 49|: ..|P. Lib. Sereno. Vento I | 1:rsera 128. 1 at £I6 "ROf SII Os. Sc. Ser. rag. Calma 7 mat. .28. 1,8 11,6| 13,1] 81 Os. Sc. Ser. rag. Calma ||28| mezzog. 128. lay7!| si, 30 16,0). 55 {Pono!iSeri rag.| +. Venti. Îl ri sera |28. 1,4 Dogi fi 14,3! 65 Ostro presa rag. | Ventic. 7 mat. }28. 13,9 Prij È Gr.Lev|Ser. rag. Calma Gr. Tr.|Sereno. Ventic. i Scir. |Sereno. Ventic. 11 sera. 28. 16,0} 16,4 - 0,9 {|29| mezzog. |28. 0,5 14,7} 17,t 04 o iu 7 mat. 28. 0, 15,1 11,9] 72 —— |Scir. |Ser. belliss. Vento {|30| mezzog. |28. 0,0 15,5} 16,9 35| Tram. |Ser. rag. Calma 11 sera |28. 1,5 15,6] . 13,6] 78 0,01| Tram. | Nuvolo. V.forte. 000 4 manine FENOMENI —" DI VARIO GENERE. N. B. L’ igrometro ,, che aveva da qualche tempo: soffafità uh leg .giero dissesto, venne ristabilito ‘sulla fine del precedente mese , senzif| però che avesse luogo cangiamento di capello. Prima di porlo.muovame te in azione fu per 24 ore continue tenuto sospeso sotto una campani chiusa che riposava sopra un fondo coperto dall’ ‘acqua, e ciò ad oggettal di riconoscere la forza grometrica del'capello.e:portar: indice sul verdì estremo dell’ umidità. Sembra che susseguentemente ‘abbia acquistato uni grado di sensibilità assai maggiore che prima, come può rilevarsi dai rapidi cangiamenti che ;ha subiti. nel corso del mese ,.e dai punti di depressione ai. «quali si‘è è' veduto’ discendere , e ‘che non toccava ‘mai per l’ addietro. te 8. Nella notte bufera con acqua e grandine. 9: Nuova neve ai monti. 11. Neve alle montagne circonvicime. — É 16. -Leggiera scossa verso le 9g e Paranamenridiaze Il Pluviometro| non ha reso. 20. Neve fin ‘sulle ‘cime di M. Morello; Gella notte gran burrasca) | con tuoni e grandine. 23. È piovuto interpolatamente durante la giornata. 24. Pioggia come sopra. Swartia Triphylla È o}. (Grandiptore ANTOLOGIA » N° XXX. Giugno, 1823. ‘ Sull’ andamento della via Emilia di Scauro. Al sig. Pietro Vieusseux. 23 Liiaie ed erudita memoria del sig. Bixio sulla strada nuova da Nizza a Sarzana, ultimamente pubblicata nell’ Antologia ( marzo e aprile 1823 ) mi rammenta una nòta inserita in un Num°. antecedente ( dicembre 1822,) in cui promisi alcune osservazioni in- torno alla via Emilia, della quale egli pure fa menzione. Eccomi a soddisfare ali mia promessa. A scanso di ogni equivoco premetterò , che in Ita- lia due erano le vie militari col nome di Emilia, quella cioè che in aggiunta della Flaminia venne ada. l’an- no di Roma 567 Yarron: dal console M. Emilio Lepido, da Rimini a Piacenza , secondo T. Livio, o da Rimini pér Bologna ad Aquileja, al dire di Strabone (1); l'altra co- struita da M. Emilio Scauro nel suo censorato ( Ann. di Roma 645), ma più probabilmente nel ‘suo consolato (Ann. 639), innestavasi, non si sa precisamente in qual punto, all’ Aurelia lungo la spiaggia etrusca, e per Pisa e Lunì arrivava sino ai Sobagi: In quanto al trovarsi appel- lata Aurelia quest’ ultima Emilia da Cicerone, Vopisco Li (1) T. Ziv. Hist. rom, Lib. xxxIx. — Strabdo. Geograph. Lib. V. pag. 353. Ediz. d' Amsterdam 1707. T. X. Giugno I DS 2 e Rutilio (2) è facile accorgersi ch’ essi per usuale laconi- smo usitato in Roma indicarono la totale estensione di quella strada col nome che portava nel sortire dalla capì- tale, nell’istessa guisa che l’ oratore romano chiamò Fla- minia tutto il tratto da Roma a Modena, sebbene, come poc'anzi notai , il tronco al di là di Rimini appartenesse all’ Emilia di Lepido. Un tale uso si mantenne ne’ secoli susseguenti anche per il prolungamento dell’ Aurelia fino ad Arles, a meno che sì fatto nome non voglia riferirsi ad Aureliano, giacchè, dice Berger, gli abitanti della Pro- venza chiamano pure oggidi quella strada le grand chemin Aurelian (3). Il Palmerio, non trovando menzione di tale strada in altri classici fuor di Strabone, sospettò ch’ egli ingannato si fosse nell’ ammettere l’ esistenza di un’ altra Emilia diversa da quella di Lepido, ma tolsero ogni incertezza due colonne migliari del terzo consolato di Antonino Pio (An. di G. C. 140) trovate sulla strada delle maremme pisane , nelle quali leggesi appunto via Emilia (4); e non meuo dimostrativa delle lapidi deve riguardarsi la tradi- zione conservata presso gli abitanti di quel littorale da (2) Cic. Philipp. xIl. Zopisc. Vit. Aurelian. Rutil. Numatian. Itiner. (3) Vic. Berger. De publ. et mil. Imp. R. viis. Lib. 1. 28. (4) Il più intiero de' due cippi fu trasportato nel campo-santo di Pisa, l’altro è tuttora sul posto al ponte di Fine. (Moris, Fabret- ti, Gori, Targioni, Oderico ) — Un tratto della medesima via fu posteriormente ( Arr. 376) risarcito sotto l’impero di Valente con Graziano e Valentiniano II., come ne fanno fede altre due pietre migliari appartenenti, una alla città di Pisa, l'altra a quella di Luni (CRimentelli, de honore Bisellii. Muratori Thes. vet. inser. Targioni Viaggi T. IX ).— Nella via Emilia presso a Pisa erano anche a tempi di Rutilio assai frequenti le pietre migliari. », Intervalla viae fessis praestare videtur » Qui notat inscriptus millia crebra lapis ,, ( Itiner. Lib. II. v. 7. 8. ) 3 Grosseto a Luni, quali chiamano pure Emilia la via ma- remmana. Di questa avrò solo da occuparmi onde rin- tracciare se fia possibile la vera sua direzione, sulla quale tutti i pareri non furono uniformi. - Il chiar. Gaspero Luigi Oderico , di cui il sig. Bixio e molti altri seguitano le orme, ammette senza discussio- ne ( lett. ligust. VI.) la seguente traduzione di un passo di Strabone. « Zs est Scaurus qui viam Emiliam stravit, quae per Pisas et Lunam ducit ad Sabbatos, indeque Derthonam » ; dal che egli conclude che la via di Emi- lio Scauro passando per Pisa e Luni continuavasi sino a Vada Sabbatorum , e di là torcendo al N.E. in seno al- l’ Apennino sino a Tortona. Sarebbe mia mente ricercare se una tale opinione non sia derivata da un qualche equi- voco , e se vi abbia piuttosto motivo di credere che V’ £- milia portata che fosse a Luni, anzichè continuare per la Riviera, volgesse ivi a destra, e valicando l’ Apennino per val di Magra e val di Taro passasse per Tortona prima di giungere sino ai Sabazi ; dico sino ai Sabazi e non a Vada Sabbatorum, poichè, come dimostrerò fra poco, tale è il senso anzi il testo del greco geografo. L’ autore ligure appoggia la sua sentenza, non solo alla citata interpretazione di Strabone, ma ancora alla tavola di Peuntinger e all’ itinerario delto di Antonino. Contro questi due documenti puossi per altro obbiettare; 1°. ch’ essi oltre di essere reputati incerti in quanto al- l’ epoca e all’autenticità , sono dichiarati da gravi autori inesatti nelle distanze , ne’ nomi delle stazioni e per non poche località ; 2°. che l' Oderico per ottenere il suo in- | tento, quello cioè di tracciare la strada da Luni a Tor- tona passando prima per Vada, ha dovuto accozzare in- sieme i due itinerarj suddetti , mentre essi sono tali da escludersi lun l’altro. Ed in fatti, se si deve ammettere che l Aurelia (cioè 1’ Emilia ) conduceva da Genova a Vada per le.mansioni di /igline , Hasta, ad Navalia, 4 Alba docilia, Vicus virginis, e Vadis Sabbatis segnate nella tavola, forza è negare che questa stessa Aurelia passasse per le mansioni di Zibarna , Dertona , Aqui, Crixia , Canalico e Vada Sabbatia segnate dall’ itine- rario . To non rilegherò già la tavola Peutirigeriana e l’ iti- nerario di Antonino nella classe dei fantastici ritrovati dell’immpostore da Viterbo, ne riprodurrò le tante obie- zioni con le quali sommi critici di non comune fama ne contrastano come sospetta l’ autorità in generale (5); ma sottoporrò soltanto alcune considerazioni particolari a queste località, le quali rendono a parer mio assai dubbia la loro testimonianza in quanto all’ attuale questione. Se vero fosse che l'Emilia di Strabone costeggiava tutto il littorale sino a Vada , quell’ autore avrebbe senza dubbio , oltre Pisa e Luni, accennato in quel lungo in- tervallo alcune mansioni, e fra le altre Genova, ch’ era fin d’allora 1’ emporio de’ Liguri. Secondo le replicate testimonianze dello stesso geo- cip la spiaggia marittima tra Monaco e l’ Etruria domi- nata/era da grandi e scoscesi monti quali appena lascia- vano lungo il mare wr littorale stretto ed un angusto passaggio (6). Come conciliare sì fatta ristrettezza ed. (3) Vedasi, fra gli altri, la prefazione del Veselingo agl’ itine - rari d’ Antonino, quella di Cluverio «0° Italia antica, di Cellario all’ Antico mondo , e Targioni T. IX. de’ suoi viaggi in Toscana pag. 158 e segg. (6) ;; Omnino autem universum litus a Monoeco portu ali » Etruriam usque continuum est, et portubus caret, nisi quate- », nus paucis locis appelli naves sinit, et defigi ancoras. Desuper 3) imminent grandes ac praeruptae montium rupes, angustum re- » linquentes iuxta mare transitum. Ibi accolunt Ligures, vitam re », pecuaria fere sustentantes, ac lacte et hordaceo potu pascuntur: » maritima , et maior e parte montes sunt,, ( Geograph. Lib. 3» IV. p. 309.). E poco dopo (Lib. V. p. 323.) ripete ,, Apenninus ;; (enim in Liguria incipiens in Etruriam pergit, angustam oram s, maritimam excludens. ,, 5 “angustia con le dimensioni richieste per una via consolare che si vuole da lui indicata essere in quei luoghi esistente? Egli è d’altronde evidente che Scauro, per vincere la na- tura; avrebbe dovuto aprirsi il passo in mezzo al masso vivo di que’ gioghi, e quindi ne sarebbero infallibilmente rimaste fino a dì nostri indelebili traccie, traccie che nes- suno al certo riconobbe nell’ erto ed aspro calle da Dante e Petrarca dipinto con li stessi colori adoprati dal greco scrittore (7). Nè io tampoco saprei sottoscrivermi al parere di Ber- ger , quale intricato egli pure nell’ interpretazione della citata autorità, ed appoggiandosi probabilmente ad un tratto della tavola Peutingeriana , diverso dall'altro ado- perato: dall’ Oderico, inclinò a credere che Scauro condu- «cesse bensì a Vada la sua strada costeggiando il littorale, ‘ma che aprisse a Genova una diramazione per giungere ‘per Libarna a Tortona. Egli peraltro non avvertì che, fino dall’ anno di Roma 606, esisteva fra quelle due città una via costruita da Spurio Postumio Albino Magno (8) e che Strabone non avrebbe potuto senza errore attribuire a Scauro l’opera di un altro console che lo precedè di an- nì trentatrè. E ad eccezione non minore va soggetto il sentimento di Ant. Ivani, letterato sarzanese del secolo xv. Egli, in occasione di un iscrizione in onore di Giove Sabazio sco- (7) Petrarca (Epist. famil.Lib. V. 3.) chiama quel difficile tra- gitto terrestrem duritiem , inter ligusticos scopulos. — Dante , citato dello stesso sig. Bixio , volendo indicare l’ asprezza della salita che conduce al Purgatorio ( Can. III.) non trovò mezzo più espressivo che paragonarla alla via romita e deserta tra Lerici e Turbia. (3) La via Postumia principiava a Genova, e passando per le Bocchette , per Tortona, Piacenza, Cremona e Verona inno! travasi sino alle Alpi giulie. Dobbiamo alle dotte ricerche dal ch, Bartolomeo Borghese la scoperta del suo autore e l’ epoca della sua costruzione. ( Vedi Giorn. Arcadico del maggio 1821. ) ) 6 perta fra le rovine di Luni, opinò che un tempio esistesse eretto a (quella divinità in val di Vara luogo detto Ceparana, e che in que’ contorni abitassero i popoli sabazi. Ed inter- pretando la frase di Strabone nell’ istesso modo e con l’istesso senso dell’ Oderico, conclude che la strada la quale per quella valle portasi a Tortona fosse appunto l’£- milia di Scauro. Ma che sia questo un errore manifesto ben si rileva da Cicerone , Plinio, Pomponio Mela, Tolo- meo e dall’ istesso Strabone , quali tutti c’ insegnano che i sabazi erano situati a ponente de’ genovesi, e non come vorrebbe l’Ivani, al confine del territorio sarzanese (9). Chiederò agl’ingegneri incaricati de’lavori. perla nuova strada da Nizza a Sarzana, se sulla lunghezza di tanto tragitto abbiano essi riscontrato una visibile rima» nenza o anche qualche semplice vestigio di quelle solide grandiose costruzioni, quali contraddistinguono le vie romane , che fra le altre opere diedero a quel popolo sopra i greci la palma di pubblica magnificenza ? Chiederò pure agli archealbgi , se è a loro notizia che siasi mai rinvenuta in que’ luoghi veruna pietra migliare, o altro monumento epigrafico da dimostrare senza equi- voco essere ivi esistito una via consolare, testimonianze che non mancano per tante altre, non eccettuata la Po- stumia , diretta verso quella stessa spiaggia ? Niuno fra gli autori antichi, ch'io sappia, ha parlato . di marce di legioni lungo la Riviera, mentre 'T. Livio, Tacito, Dione ed altri non hanno mancato d’ informarci che dai porti di Pisa e di Luni partivano le flotte romane, ad oggetto di perlustrare quel littorale medesimo , o per tener in freno gl’ irrequieti liguri marittimi, o per tra- sportare truppe e munizioni sulle coste della Gallia Nar- bonese e della Spagna. Egli è vero che, dopo la battaglia (9) Ant. Ivani Epist. 24 Meduseum, e in altra Epist. ad Pets scum Falconcini presso Targioni T. X. x 7 di Modena (anno di R. 711 ), M. Antonio e P. Ventidio partiti, uno dalla Gallia cispadana, l’altro dalla transal- pina; vennero a-congiungere le loro legioni a Vada; ma oltrechè sì fatte marce e ritirate in circostanze urgenti e pericolose non possono servir di prova dell’esistenza di una strada consolare, rileviamo dal carteggio di Cicerone che si eseguirono esse per vie difficilissime e impeditis- sime (10) in seno all’ Appennino, ed appunto là dove sembra che si dirigesse, ed avesse termine l’ Emilia di Scauro; come dirò in appresso. E qui affacciasi altra questione : se le strade segnate dalla tavola e dall’itinerario non appartenevano all’ Emi- lia nè ad altra via militare, quale scopo potè avere l’in- dicazione delle mansioni ivi descritte per il loro anda- mento? Sembra che a ciò possa rispondersi, ch’ erano queste vie di second’ ordine, ossiano municipali o traverse, quali servivano di comunicazione tra paese e paese, non che con le strade maestre o principali. Stabilito così che l’ Emilia di Scauro non aveva al- cuna delle direzioni attribuite dall’ Oderico e da Berger, passerò a ricercare per quali altri punti essa potè essere tracciata. E prima d’ogni altra cosa giova riflettere, che il testo di Strabone più volte rammentato non sembra al pare- re di un distinto ellenista bene spiegato nella traduzione adottata dall'A. delle lettere ligustiche ; (11) poichè le (10) Cicero, Famil. Lib. XI. 10 epist. Bruti ad Ciceronem- ex castris Dertona,,. .... Huc accessit manus Ventidii,quae trans Apenninum itinere facto dificilissimo ad Vada pervenit ,, — E all’epist. 13 ,, (ivi)...... Antonius constitit nusquam 3; prius quam ad Vada venit: quem locum volo tibi esse notum. » Tacet inter Apenninum et Alpeis, impeditissimus ad iter fa- 3; ciendum, cum abessem ab eo millia passuum triginta . .,, (11) Ecco il passo originale « 0&TD dé ò ZyaipP Éstv d nai TÙÒ Aiperizy dibv sporas TéHù did Tlesloy Ka) Aovùus pexp Zaffbkrwv Kavreùdev dà Aepdwvos » ( Strab. Geo- graph. lib. v. pag. 333.) 8 parole indegue Derthonam, indicanti secondo 1’ Oderico il punto estremo , dove cioè terminava la via di Scauro, non colei nè grammaticalmente , nè pel signifi- cato al K&vrevdey did Aepdwvos quale si spiega indeque per o trans Derthonam. Ed essendo la preposizione pè ype significativa il punto estremo ( usque ) Strabone avrebbe scritto pèyp Afpdwvos, come scrisse peyp EàBfàrwv ( usque ad Sabbatos ). Arà A€pdwvos non può dunque nel greco idioma essere usata che nel modo e senso istesso di dik Iegiy va) Aovwys, cioè, che l'Emilia attraversava per Pisas et Lunam indeque per Derthonam prima di giungere uèyp: aBPpirov. In quanto al ritrovarsi queste due ultime voci anteposte al dvd Afpdwros è tale inflessio» ne usitatissima sìntassi presso i greci scrittori ; la quale, atteso l'indole di quella lingua, non può in nulla pregiu- dicare alla sua chiarezza (12). Donde consegue che, se- condo il testo del nostro geografo in tal guisa interpretato, la strada costruita da Scauro conduceva per Pisa e Luni sino ai Sabazi, passanido per Tortona: Un primo equivoco e l’uso fattone, coll’ amalgamare insieme l'itinerario di Antonino e la tavola di Peutinger, nei quali leggesi /ada Sabbata j indussero l' Oderico ad altro equivoco sebbene di minor entità, quello cioè di porre il luogo marittimo di 7ada Sabbatorum (Vada ) come una mansione della via Emilia, abbenchè il testo di Strabone non specifichi veruna precisa località , ma indi- chi soltanto, che quella strada giungeva sino ai confini 0 alla regione de Sabazi ( pèxp ZeBPdrwv), i quali inter- navansi nell’ Apennino, avendo per centro Montenotte e limitrofi. a levante i genoati, a settentrione i statielli. O1- trechè Strabone in altra occasione chiaramente distingue (12) Il ch. sig. Francesco del Furia, bibliotecario delle Lau- renziana e Marucelliana , professore di lingua greca, si degnò in questa mia int rdS9BA te di secondarmi con gli estesi suoi lumi. che suole altrui compartire con somma gentilezza. 9 i sabazi dal loro 7ada (13), ritroviamo presso di lui fatta menzione di una strada non lungi dalle Aquae statiellae { Acqui ), la quale senza ‘dubbio è l’ Emilia di Scau- ro (14); e ad essa probabilmente spettavano le rimanenze che il ch. Amoretti ci addita, come’ esistenti tuttora tra Castelnuovo e Tortona, di larghezza'capace per due o tre carri (15). Mostro. È ‘Giova in secondo luogo osservare che i Gatisci ave- vano la loro sede non nella Liguria marittima ma nella mediterranea’; cioè al di la dell’Apennino; ch' essi furono vinti ed aggregati alla repubblica da Emilio nel primo suò consolato (anno dì Roma 6393 ‘allorchè ‘a lui fu data iù provincia la ‘Gallia ‘cisalpina , ed ivi prosciùgò una vasta estensione di paludi tra Piacenza e l’‘agro parmense, in- canalandone le acque in' fosse ‘navigabili. Queste quattro circostanze insieme combinate danno chiaramente ‘a ‘ve- dere ch'egli, nel costruire la nuova Via, ebbe ‘principal mente în mira di‘aprire una comunicazione per Etruria fra Roma ela ‘regione transapennina da esso amministra» ta, ampliata a ponente e'bortificatà a levante. Sembra dunque che il cammino da' me seghatò, per ‘Pisa; Luni, Val di Magra, Pontremoli, ta Cisa, Monte di Bardone, Fornuovo, Val di Taro, Borgo San ‘Dotinino; Fiorenziio- la, sotto Veleja, Tortona'j"li Statielli' sino ai Sabazi ; fosse assai più confacente alle‘mire di Scauro, perchè più (13).,, Oriuntur Alpes non a Monoeci «portu , nt quidam tra- 3d diderunt, sed ab iisdem locis, a quibus etiam A penninus. mons ,3 iuxta Genuam ligurum emporium , et quae vocantur sabbatorum >» Vada; nam Apenninus a Genua incipit, alpes a Sabbatis ,,. (Geog. L. IV. p. 309)-,; Inter padum continetur quidquid cingitur Apen- nino, et Alpibus usque ad Genuam et Sabbatos (Bz. Lib. V. p. 330.) (14) ,, Tam Clastidium, Derthona et Aquae statiellorum paul- lisper praeter viam. ,, ( Geogr. Lib. V. p. 333 ) (15) C. Amoretti ,) Voyage è Oneillé, dans les membir. de \’ Histoire nat. de A. Fortis, T. 11. ) id 10 diretto e più agevole per i lavori, atteso le foci e il corso di quelle valli, e quindi preferibile di assai al. lungo giro da percorrersi, secondo l’ Oderico, sopra i dirupati monti della Riviera sino a Vada, e di là poi a Tortona, giro tanto più inutile, in quanto che già per la Postumia eravi tra Genova e Tortona, come si disse, una comunicazione molto più breve. E se, come riflette il p. Affò (stor. di Parma T. 1. ), non si sarebbe potuto stabilire una ‘strada maestra nella pianura fra Parma e Piacenza prima che ivi fossero state prosciugate le paludi da Scauro, ragione vuole che a lui piuttosto che a Lepido debba attribuirsi la costruzione di quel tratto di via Emilia. È inoltre da rimarcarsi che l andamento di questa via, dall’ Etruria in Lombardia, è anche più confacente a quel passo di Cicerone, in cui viene annumerata l’Aurelia ( cioè l’ Emilia ) fra le tre strade che conducevano diret- tamente da Roma a Modena (16); il che ragionevolmente non potrebbe intendersi di una via che costeggiasse tutto il littorale etrusco e il ligure. sino a Vada, ;e di là per Tortona tornasse verso Modena. E per quanto a comprovare la direzione per Pontre- moli, sin dall’ epoca fissata, manchino i monumenti epi- grafici non meno che per la direzione di Vada, ritro- viamo però un qualche compenso nel Sapere ;, che quel tragitto per la Lombardia è uno dei più anticamente praticati dagli eserciti, il che fece dire al Targioni: « chi sà che non sia questa una delle antiche vie militari romane, delle qaali ci restano notizie confuse ». (Viaggi T. X. p- 334. ) Altri indizi si affacciano nel nome romano di Cassio mantenuto alla più alta sommità di quell’ Apen- nino; nell’ esservi in quella direzione un Foro ( Forono- (16) ») Tres viae sunt ad Mutinam, quo fert animus.... a » supero mari Flaminia , ab infero Aurelia , media Cassia ,, ( Cicero Philipp. XII. 9g. ) 11 vanus)(17); negli avanzi di un ponte ivi esistito sul Taro, nella carreggiata conservata ad una parte di quella via denominata tuttora strada maestra della Cisa; e più d’ ogni altro nella non mai interrotta consuetudine de’ lombardi e degli oltramontani di praticare quel tragitto per passare dalla Cisalpina nell’Italia inferiore , e ciò an- che nel medio evo, epoca in cui l’ Alighieri dileggiava il calle della riviera ligure come romito e deserto. E sicco- me in que’ secoli di barbarie e di politiche convulsioni a tutt’ altro si attendeva che a intraprendere costruzioni di tal sorta, ben si ravvisa che si dovette allora approfittare delle comunicazioni già stabilite , e più o meno mante- nutesi in grazia della pristina solidità. Ma qui svaniscono del tutto i vocaboli Emilia e 4u- relia per far luogo ai nomi più recenti di Claudia , di Monte Bardone, Francigeha, Francesca, Romea, Lom- barda e Pontremolese originati da circostanze ; le une troppo incerte (18), le altre troppo palesi, perchè io debba involgermi in siffatte ricerche. E senza stare ad enumerare ‘i distinti personaggi e gli eserciti, i quali in epoche a noi più vicine questa strada prescelsero , come quelli di Federigo II. (1226), di Corra- dino (1269), di Lodovico il Bavaro ( 1327 e 29), di Lu- (17) Gratero riporta; a pag. 492. N°. 5, il frammento di un iseri- zione parmense, ove rilevasi che Fornovo era municipio, e Cluverio osserva che i romani costumavano di fabbricare sulle strade maestre un Foro o mercatale per il commercio con i popoli confinanti. (Clu-. ver. Ital. ant. ) (18) Il P. Berretta, autore della 7iavol2 corografica d’ Italia nel medio evo, cercò determinare quando, e da chi la via Emi- lia ricevesse il nome di Claudia ; e con quel corredo d’ erudi- zione solito accompagnare le ricerche etimologiche concluse, che ciò avvenisse ai tempi e in onore dell’imperatore Flavio Claudio Giuliano. Curiosa però è la riserva con la quale egli espose la sua congettura : ,, Eruditorum sane risum movebimus. .... Deriden- tes apponant et meliora suppeditent ,, (Script. R. It. T. x.) 12 chino Visconti ( 1344), di Carlo VIH (1494 e 95); di Carlo V.(.1535) e di nuovo con lo stesso imperatore (1536 ); oltrechè nel. 1538. e 39 vi passò e ripassò il«pon- tefice Paolo III, ecc., mi limiterò ad alcuni fatti anteriori al secolo XHI. Negli atti di s. Donnino compilati nel nono secolo app: Mombrizio (T. I. pag. 137) leggesi che, nel 31o, i legionari cristiani per sottrarsi all’ eccidio cdi dal- Milena Maiano «festino reditu in Italiam venien- tes,cumiamse tutos a persecutione inimici esse putarent alii per Flaminiam, alii per Glaudiam Romam tendere decreverunt: quae utique publicae viae ad utilitatem commeantium quondam sub consulibus Claudio ( sic ), et Flaminio mira operis continuatione, et firmitate con- structae ab ipsis nomen accepisse noscuntur «....Cumque B. Donninus futurae cladis suae mescius Placentiam transiens coeptum iter perageret.«. Missi eiusdem impe- ratoris consecuti sunt in eadem via Claudia in Loco fluvio Sisteroni(Stirone) pene contiguo, ec.» A questa denomina- zione di.via Claudia si uniforma pure il Surio riportato da Cluverio; l’ Usuardo, Galesino ed altri citati dal Berretta, non che l’itinerariò di Antonino, che segna da Parma a Lucca perla Clodia miglia cento; e ciò serve di prova , che questa ultima opera fu redatta in tempi, in cui il nome di Claudia era già stato ‘surrogato a quello di Emilia. Il Muratori nè suoi annali , sull’ autorità di Paolo Diacono (‘de Gest. Langob. L. V. c. 57 ) riferisce che , nel 667, il re Eri slds condusse i suoi Longobardi in Toscana per l’alpe di Bardone, cioè per la via Clandia : senza, che se, ne accorgessero i ravennati soggetti all’Esarca, e nel sabato santo piombò addosso alla misera città di Forum popitii; ( Forlimpoli ). Il Mabillon ( Ann. Bened. L. XX. 24. ) ed il pad, Affò (stor. di Parma T. 1.) appoggiandosi a Frodoardo ed allo stesso Paolo Diacono narrano come, nel 718, Moderan- 13 no vescovo di Reims andò a Roma pel monte di Bardone, pernottò a Berceto nel mon. di s. Abondio, e che , in oc» casione di un prodigio ivi operatosi a favore di quel pre- lato, il re Luitprando gli assegnò detto luogo pio ov egli morì nel 730. Il ch. Fiorentini ( Mem. della C. Matilda. Lib. 3 ) riportandosi agli annali fuldesi racconta che, nell’895, Ar- nolfo rè d’Allemagna,chiamato all'impero da papa Formoso, scese in Lombardia, e con una parte dell’ esercito per Ze montagne arrivò a Luni, dove ebbe luogo di scuoprire contrarie affatto alla sua impresa la congiuntura de’ tem- pi e l'infedeltà del nipote Berengario. L’anzidetto P. A ffò affida che, nel secolo X s. Odone abbate di Clugny corse quella struda tornando da Roma... Più misera sorte incontrò Pietro abbate dell’istesso ordine, allorchè, nel 1134; con un gran numero di francesi prelati reduci dal concilio di Pisa, venne assalito in Lunigiana dalle truppe di Corrado di Svevia « orribile spectaculum!... ( scrive lo stesso abbate a Innocenzo II. ) Zratres nostri fugati, famuli capti , res pene omnes ablatae. Ego ad proximam villam me conferens, tandiu delitui , donec conducti hospites nostri ad Pontem tremulum quo alii processerant , vespertinis horis et ipse perveni, 6A ( Baron. Annal. eccl. ad hunc ann. ) Nell’ 896, il marchese di Toscana Adalberto ed il conte Ildebrando transitarono con numerose milizie il Monte di Bardone. Fù dato ragguaglio di questa loro marcia al rè Lamberto che li sconfisse, e fece quel marchese pri- gioniero. ( Zuitprand L. 1. c. 10. ) Il poeta storico della contessa Matilda narrando il viaggio che per l'Appennino di Pontremoli tenne col suo esercito, nell’anno 1110, l’imperatore Arrigo IV. scrisse : « Francigenam stratam tenuit Rex pace peracta « Transivit certe, tunc incipiente decembre. « Montem Burdonis Toscanae fluxit in oris. » 14 Il Muratori nel commentore in due oecasioni il. so- pracitato passo, alla parola Francigenam avverte: Scilicet E miliam quam nos Claudiam appellamus (Script. r. it. T. V.). E siccome per l’ Emilia aveva da prima inteso la via di Lepido, senza dubbio per l’ equivoco delle due Emilie che s' incontravano nella provincia di quel nome, egli aggiunge: ( Ant. M. Av. Dissert. 3a ) « Dubitare nunc subit an eo nomine potius significetur via per quam e Lombardia Pontremulum itur, atque inde Florentiam, Senam, et denique Romam. Utcumque sit, nihil aliud Francigena via fuit, nisi quae ex Italia in Gallias ducit.» Questo dubbio del Muratori a favore dell’ Emilia di Scauro viene sempre più schiarito e confermato mediante l’osserva- zione da me già fatta, cioè, che a questa piuttosto che all’ Emilia di Lepido appartenne il nome pure di Claudia. « Alla congettura del bibliotecario modanese si sot- toscrisse il ch. Lami coll’ aggiungere , appoggiato a un amplo corredo di documenti, che la via Claudia, denomi- nata inseguito Francesca, passava per Lucca, Altopa- scio, il Galleno, ec. (19). Ed in fatti la praticò, passando per monte Bardone e Lucca, il papa Calisto II, allorchè, nel 1120, recossi dalla Francia a Roma per fnmadere possesso della sede pontificia. Nel 1133, Lotario rè d’Italia e Innocenzo II., dopo la dieta di Bontaglia s' incamminarono essi pure per monte Bardone alla volta di Pisa (20). Nel 1167, l’imp. Federi- co I. ridotto dall’aria cattiva ad abbandonare col suo eser- cito Roma, si avviò per Siena, Lucca e la Lunigiana con intenzione di valicare quell’Appennino, ma essendogli stato impedito il passo , come asseriscono Tristano Calco ( Histor. Mediol. Lib. XIX.) e il card. d’ Aragona (in vita (19) Zami, Hodeporicon pag.738 e altrove. Vedi pure Targioni Viaggi. T. IX. 4/70; storia di Parma. T. 1 (20) Card. Aragonae, in vita pontif. Calisti et Innoc.II (Script. R. Ital. T. II. P. 1. ) 15 Alexand. III.) « apud Pontremulum divertit a publica strata »,e coll’aiuto del mare. Obizo Malaspina egli potè con gran stento per aspri e difficilissimi calli giungere, gli undici settembre, per Tortona a Pavia. (21). Finalmente questa strada era conosciuta, anzi la sola praticata da tutti questi abitanti del Nord, che dopo il mille, solevano portarsi in pellegrinaggio a Roma e in Pa- lestina; per cui d° allora in poi prese anche il nome di Via Romea. Chiara prova ne somministra Nicolò abbate Tragorense, nell’ itinerario da esso redatto al suo ritorno in patria nel 1154, ove, tra que’ che tal via frequentava- no, egli enumera non solo gl’ islandesi suoi connazionali ma i franchi, fiamminghi, galli, inglesi, sassoni e scan- dinavi, Riporterò la breve descrizione del tratto fra Pia- cenza e Luni, nella quale esso indica alla pietà de’ pel- legrinanti alcuni paesi col nome del santo patrono o tito- lare: « A Placentia versus austrum diei itinere attingitur Burgus s. Donnini. Has inter hospitium extat Erici. Attingitur tum flumen Tarus ingens et purum, quod numquam contaminatur aut miscetur, omnis enim sordes ipsi immissa fundum illico petit. Huic ab austro est Vicus Tari. Transeundus tum Mons Bardonis. Longo- bardia dicitur regio a monte Bardonis versus austrum, ad Alpes versus septentrionem se porrigens..... Est in monte Bardonis crucis emporium (le cento eroci ) , et villa Francorum, tum Ponstremulus , inde iter diei ad convivium Mariae. Inde urbs Luna, apud quam arenae (21) Sigonio scrive (de Regnr. Ital. Lib. XIV), che dai pontre- molesi fu a quell’ imperatore impedito il passo per la loro terra. Una tale asserzione però viene distrutta non solo per i favori da esso lui accordati pochi mesi prima a quel comune, ma specialmen- te dalla prova che n'è rimasta di essersi fermato in Pontremoli, all'epoca di quella sua laboriosa marcia , in un diploma che ivi "mò , nel 29 Agosto 1167, a favore di vari paesi di Val di \\ evole. ( Lami, Hodepor. pag. 795 e segg. ) 16 ì lunenses. Decem milliaruwm itinere transeundue sunt hae arenae amoenae, burgis undique circundatae: illic latus patet prospectus. Inter Mariae convivium Lunamque iacent burgus Stephani ( Borgo s. Stefano ) et burgus Mariae (Sarzana). Inde ad austrum Kioformunt ( mon- te del corvo, 0 ‘caprione ? ), ecc. (22). A Anche più chiara e più precisa è l enumerazione delle stazioni precorse da Filippo gra rè di Francia , allora quando, nel 1191, reduce dalla terza crociata , egli passò per Roma, ed attraversando il monte di Bardone si restituì nè suoi stati (23). (22) Quest’ itinerario fu recentemente pubblicato in idioma Islandico con la traduzione latina , corredato di copiose mote da Enrico Cristiano Warlauff, prof. di storia nell’ università di Cope- naghen, sotto il titolo di ,, Summa geographicae ad mentem Islan- dorum medii aevi. Hauniae 1821.— Vedasi l’Antologia (Dic. 1821) ove descrivesi altra porzione di quel viatico attraverso la Toscana. (23) Io qui annoterò il passo della storia di Benedetto. da Peterborough nella vita di Arrigo II re d’ Inghilterra, ove ven-. gono segnate le stazioni del viaggio di Filippo Augusto, e per maggior chiarezza aggiungerò |’ Siri nomenclatura alle deno- minazioni in gran sbhrtd scorrette o alterate. ,, — Discendens a Roma transitaum fecit ( Rex ) per Castellum s. Petri ( Porta Ca- stello ), deinde per Sutre ( Sutri ), deinde per Baterne ( Witerdo ) 3, d. per Munt flascun Monte Fiascone ), d. per sanctam Chri- » stinam ( patrona di Bolsena ), d. per Eke pendente (Acqua », pendente ), d. per Redecot ( Radicofani ), d. per la Briche (s. Quirico in ossena'? ), d. per Boncuvent ( Boncovento), d. per », Senes la velle ( Sena vetus, titolo di Siena usato anche. nelle »» monete ), d. per la Marche castellum ( Staggia, castello di »» frontiera tra il senese e il fiorentino ) , d. per sanct Michel »» ( Poggibonsi, anticamente abbazia di s. Michele in Poggio Boni- zio) d. per Castellum Florentin ( Castel fiorentino ), et per Seint— »» Denys ( sic.) de Bon repart ( s. Genesio del buon riposo , borgo » celebre sotto s. Miniato), et per I’ Arle le Blanc ( Arno dian- ») co , luogo presso Fucecchio , dove esisteva un ponte sulla via » Francesca) , et per Arle-le noire ( Arno nero, ignoto ) et per 3» la grasse Geline ( i Galleno , già la Gallena ; nel palude di »» Bientina ); et per I’ Hospital ( Ospizio d’ Altropascio ) ; et per i i 9 Da questi due itinerari abbiamo nuova conferma, che dopo essere stata abbandonata l’ Émilia lungo le maremme, senza dubbio per i guasti sopraggiuntivi (24), ad essa venne sostituita la via che da Luni a Lucca per il Val d’arno inferiore diriggevasi a Poggibonzi, ed indi per Siena a Roma. i Io nell’ accingermi a questo qualunque sia Tavoro sopra l’andamento ed i nomi dati alla via Emilia di Sca- uro, non mi dissimulai essere assai scarsi i monumenti relativi alle epoche della romana potenza, e forse troppo soverchiamente mi appoggiai e mi trattenni nelle tradi- zioni de’ tempi a noi più vicini. Mi conforta per altro il pensare che altri potranno supplire all’insufficienza delle mie indagini, e forse anche giungere attraverso ai miei errori alla verità , sia per vieppiù conoscere la storia delle pubbliche vie in Italia, sia per dare agli antichi itinerari »» Luchek ( Zucca ) civ. episc., et per Mont Cheverol ( Salto »» della cervia, tra Pietrasanta e Montignoso ) , et per saint Leo- »; nard (ospizio dî s. Leonardo, luogo tuttora esistente nel piano di » Massa al ponte del Frigido ) et per Lune ( Luni ) civ episc. et per sanctam Mariam de Sardena ( Sarzana, cattedrale s. »» Maria), et per Leal Vil ( 7i/la Franca), et per Punt-trem- ble ( Pontremoli ), et per Mont-Bardun ( Monte bardone ), et per saint-Benoit in Monte-Bardun ( Badia di Berceto), et per »; saint-Morant in Monte-Bardun (s. Moderanno ). Deinde transi- ») vit per Cassem (.Cassio), deinde per Furnos ( Fornuovo) et » per seint-Domin ( s. Donnino) ecc. (24) Sino dal principio del V. secolo, tali erano iî guasti sopraggiunti ,, che impedirono a Rutilio Numaziano , reduce da Roma in Francia , il passo per l’ Emilia , e lo ridussero a pren- dere la via di mare: , » Electum pelagus, quoniam terrena viaruni »» Plena madent fluviis , cautibus alta rigent. »» Postquam Tuscus ager, prostquam Aurelius agger sy Perpessus Geticàs ense , vel igne manus ,, (Itiner. L. 1. ver. 38-41.) T. X. Giugno 2 x 18 quel peso che meritano , sia ancora per rettificare l’ inter- pretazione del passo di Strabone da me esaminato. * Gradite le proteste della più sinvera amicizia. Firenze 12 Maggio 1823. Em. REPETTI Del viaggio in Terra Santa fatto e descritto da Ser ‘Mariano da Siena nel secolo. XV. Codice inedito . — Firenze stamperia del Magheri 1822. 8.° Philippi Redditi Exhortatio ad Petrum Medicem in magnanimi sui parentis Laurentii imitationem ex codice Laurentiano. — Ibid. per eund. 1822. 8 Saggio dei dialoghi filosofici d’Orazio Rucellai: testo di lingua inedito. — Ivi pel medesimo 18 23. è. La molta attività del Ch. Sig. Can. Domenico Mo- reni, onde frequenti escono in luce scritti d’ altrui per esso medesimo illustrati, è or cagione che delle tre ram- memorate opere da lui pubblicate dobbiamo in un solo articolo dar ragguaglio. Se crediamo noi, che all’ ultima conceder debbasi preferenza di merito, diciam però ad un’ ora, che nella Rbbiticesigne delle altre due non fu l’opera perduta. Prendendo noi mossa da quella, ch'è prima nel no- stro novero, cioè il Yiaggio in Terra Santa, rammente- remo in principio, che fino dagli antichissimi tempi del- la Chiesa ebbero in uso i pii fedeli di recarsi ai Santuarj di Palestina. Lungo troppo sarebbe, scrivea S. Girolamo a Marcella , il riferire, scorrendo le età che si volsero dal salir del Signore al Cielo fino a noi, quali tra’ Ve- scovi, quali tra’ Martiri e quali tra gli uomini facondi nella dottrima ecclesiastica venissero a Gerusalemme , avvisando ; che loro mancato sarebbe alcun che della 9 scienza di Religione , e Vl’ ultimo pulimento, siccome dicono; delle virtù, se rimasi si fossero dall’ adorar Cristo in quei luoghi medesimi, onde primamente ba- lenò dal patibolo la splendentissima luce del Vangelo. Da somigliante motivo di Religione eccitati i nostri pel- legrinarono ai Santi luoghi; e mentre fecer paghe le lau- devoli brame dei loro animi piissimi, accrebbero co’ loro ragguagli le notizie geografiche, giovarono al commercio , e utile recarono alla lingua. Sono note le descrizioni, che i tre fiorentini Guccio Gucci, Simone Sigoli, e Lionardo Frescobaldi composero del viaggio da loro fatto nel 1384 in Egitto e in Terra Santa; ed è da desiderare che quel- la del Sigoli preparata già per la stampa dal Ch. Sig. Fiacchi presto esca a luce, massime perchè questo dott’ uomo nel discorso che dee stare innanzi all’opera, si op- pone validamente al parere di Guglielmo Manzi, che nel- la pubblicazione del rammemorato viaggio del Fresco- baldi volle solo star contento al codice barberiniano, per- chè riputava inutile il consultar più manoscritti nel far di pubblica ragione i Testi inediti del volgar nostro ; e corregge evidentemente alcuni passi errati di questa stampa col soccorso dei codici fiorentini. Sebbene però ora assai mende abbia il viaggio del Frescobaldi, nondi- meno riuscir gradevole ne fa la lettura quel modo di scrivere semplicissimo e vero , che fu special privilegio del secolo XIV, e che limpido risplende ed intatto nella più gran parte del libro: edin questo assai gli è di lungi il viaggio di ser Mariano, che scriveva nel 1431, cioè in quel tempo, nel quale procedeva la lingua.al decadimen- to, e in cui non pochi pregi del secolo, ch’ era scorso, doveano di necessità congiugnersi co’ vizj di quello che correa . L’ aver sortito nel primo e natali ed educazione salvar non potea dal guasto del secondo: sembrando for- za di fato, che ogni uomo paghi tributo al secolo, in ehe 20 egli vive; sicchè più presto schifisi danno di pestilenza, e maligno influsso sorto a corrompere il bello ed il ve- ro delle arti e delle lettere. Anzi non rade volte è. iuneò \ venuto, che quei grandi ingegni, che accottisi del travia- mento si sono col proprio esempio e co’ precetti renduti altrui insegnatori delle rette norme , abbiano fatto pur essi , ad argomento di umana fralezza , alcuna caduta; in quella via medesima , che gli conduceva al trionfo . Per la qual cosa d’ uopo è di molta circospezione rispetto alle voci nuove e alle nuove maniere, che s'incontrano nelle volgari scritture del detto secolo decimo quinto ; sicchè tutte non debbansi ciecamente adottare, siccome. tutte non potrebbero con fiducia riprovarsi. È , per figura; in più luoghi di questo viaggio di ser Mariano la voce asi- nare nel significato di fare strada sul dorso del somiere. Se le lingue non avessero altra norma, che il rigor. ma- tematico di una fredda ragione, dovrebbe quel verbo ri- putarsi l’unico che atto fosse a ciò ben esprimere. Ma a gran ventura non è così;che le lingue sopra ogni altra si- gnoria quella vogliono mitissima e larga dell’uso, dell’ana- logia , dell’ arbitrio , della fantasia , del sentimento e del gusto nazionale. Or siccome il cavallo è quel quadrupede nobilissimo che fatto pare in ispezieltà per sostener l’uomo sul paziente suo tergo; così convenuto è omai che si adoperi il verbo cavalcare, che da esso deriva, non sol quando parlisi di tale, che su di lui segga, ma anche allorchè di- casi d’alcuno, che inforchi il dorso d’ altro animale. Per la qual cosa la voce asinare nel novero por non sì può di quelle, che debbono aver luogo nelle scritture, almen se siano di grave argomento . Per somigliante, maniera perchè di ferri munir si sogliono i piedi del cavallo e di altri quadrupedì , il verbo Surifire , che ciò significa, sl adopera pure quand’ essì s° armiuo d'altro mugello. Onde il Menzini scrisse nella satira terza : - di Un dì Curculion avrà lo scalco; E l’ orecchiuta dottorevol mula Gli ferrerà in argento il maniscalco: terzetto, che vuol aggiugnersi al vocabolario di nostra lin* gua, il quale non ha di questo modo di dire , che esempi d’ antichi. Sono anche in questo viaggio alcune poche voci, che il diligente editore non ha potuto con fiducia dichiarare , sebben fatta ogni ricerca nel dialetto Sanese, in che scris- se ser Mariano. È tra queste la parola ca/la, che in due luoghi si legge. Scrivesi nel primo, ch'è a car. 17. E come fummo in terra ( In Ioppen) fummo conti, e fatta la calla, come si fa delle pecore , e dei montoni, pagammo sette ducati e dicessette grossi per testa al Soldano : e nel secondo a car. 23. Zn sulla terza gio- gnemmo alla santa città; ed in prima che entrassimo nella città fummo messi in uno grande palazzo , che si chiama el Palazzo vecchio di David , ed è presso alla città a una balestrata , e fu fatta la calla di noi. Il sig. Moreni pone al primo luogo questa annotazione : Forse equivale questa voce a quel che si dice comunemente in tali circostanze , cioè fatta la rivista. Di essa voce non si fa motto alcuno nè nel nostro vocabolario , nè in quello del Gigli. Ciò però nondimeno può dirsi con certezza, che far la calla lo stesso significa, che far il novero. Pro- vato manifestamente dal segffente passo del viaggio del Frescobaldi , che è a car. 75. scrive: Di poi vennero gli Stimatori del soldano, e ’1 consolo de’ Franceschi, e de’ Pellegrini, e’ Bastagi , cioè portatori, e tolsero noi, e’ nostri arnesi . . ....e menarono drentro della porta d’ Alessandria, e rappresentaronci a certi ufficiali, i quali ci fecero scrivere e annoverare come bestie, e assegnaronci al consolo predetto. E ciò basti aver detto rispetto alla lingua : vuolsi or parlar brevemente di ser Mariano. Null’altro di lui si 22 sa, che quello ch’ ei di sè dice nel libro, ch’ è però poco e di poca importanza, e riferito vedesi nella prefazione, che anche per altri particolari che contiene, non è superfluo il leggere. Può bensì conoscersi alcun che della sua in- dole scorrendo esso libro, ch'è del gener di quelli, in che più facilmente gli scrittori ritraggon sè stessi . Vi sì mostra pertanto ser Mariano uomo di molta pietà , e re- ligione , e insieme diligentissimo . Si nota per lui ogni più minuto particolare dei templi, e degli altri edificj pertinenti alla vita e alle geste del Divino Maestro, e de- gli Apostoli ; e serbasi memoria delle spese, ch'egli so- stenne pel sacro pellegrinaggio : notizie, che per alcun riguardo riuscir possono all’ altrui uopo opportune. D’ ira spesso s' accende contro i Saracini, che pur vano era spe- rar cortesi ed umani. Ma più che d’ essi, del console Ve- neziano si duole e del Genovese , che dimoravano in Ra- ma. Stavvi egli dice, wzo consolo genovese, ed uno ve- neziano per tenere ragione a° mercatanti , che vi capi- tano , ed agli altri Cristiani, e. costoro ci fanno molto peggio , che non fanno i Saracini. Costoro vendono el vino a’ Cristiani, ed un quartuccio a nostro modo costa uno grosso. Grande è poi la sua credulità; sì che la stoltezza ) dei mostratori non potè mai rimanersi più contenta ; nè la malizia, più lieta. Narrazioni , che danno argomento di animo semplice , sono pure nel viaggio del Frescobaldi ; ma non in copia sì fatta: e generalmente dir si può, questo essere vizio dei tempi più presto che degli uomini. Se non che eziandio nei più lontani appaiono nei viag- giatori segni di credulità. Pausania, per figura, dava fede ai mostratori di Trezene, i quali additandogli un mirto con foglie pertugiate asserivano , esser quello, che Fedra ad alleviar la doglia del suo non corrisposto amore avea traforato coll’ago crinale. Ma nonsi cerchino gli esem- pi nelle età da noi lontane, quando d’assai ne dà la nostra 23 che abbonda di relazioni di viaggi, alle quali gran mate- ria somministrarono gli scopatori delle Chiese , gli osti, i vetturini , e i servitori di piazza. E a questo solo pur si fosse contenti, che le nazioni, di che parlano gli stra- mieri che a lor si recarono, avrebbero in sì fatti libri solo argomento di riso. Ma ben fremono esse di generoso sde- gno allorchè leggono gli storti giudizi di loro indole fon- dati su qualchè particolarità o non compresa a ragione, o tale che di per sè sola non basta a dichiararla , e biasi- mate veggono e derise le lor costumanze, e le loro istitu- zioni sol perchè a quelle non somigliano del paese, in che nacque e fu educato lo scrittore. Ma tornisi al libro del sig. Moreni. Oltre al viaggio di ser Mariano contiene esso l’ istoria della Passione e Morte di Gesù Cristo, scritta ( in ottava rima ) nel buon secolo della lingua, ed una inedita Lezione Ac- cademica d’ Anton Francesco Grazzini detto il Lasca, sopra di un luogo del Petrarca ne’ Trionfi, intorno al giudizio universale. Di questa lezione non è mestieri parlare; da che ognuno , cui sia in pregio la nostra dolce favella , nella quale il Lasca conseguì lode immortale, saprà grado di per sè solo, e senz’ altra riflessione nostra, al benemerito editore di essa. La istoria poi della Pas- sione era già in luce : e se il sig. Moreni la credette ine- dita , corresse però egli il suo leggiero fallo in una nota alla prefazione del Saggio dei dialoghi del Rucellai, di che diremo più innanzi. Non riuscì però inutile la cura sua , perchè dal codiee che gli diè norma alla stampa, sì rende palese, che ne fu autore il Sanese Niccolò di Mino Cicerchia, e non Giovanni Boccaccio, come dicono con manifesto errore alcuni manoscritti, e come già piacque credere al celebre conte Perticari. Parliamo ora del Redditi. La Esortazione di lui a Piero de’ Medici per confortarlo a seguitare gli esempli di Lorenzo suo padre, erasi già fatta di pubblica ragione dal 24 Lami nel volume X. delle sue Deliciae eruditoruni, colla guida di un codice riccardiano. Ma più che questo è da stimarsi il Laurenziano, che or si pubblica dal sig. Mo. reni, il quale oltre al differir dal riccardiano in molte paro- le, ed inassai cose, contiene eziandio due capitoli che in esso si desiderano , e di più nove lettere inedite scritte dal Redditi a Lorenzo e a varj dotti di quella età , nelle quali si narrano alcuni particolari della sua vita. Il per- chè con molta saviezza le ha il Sig. Moreni inserite nel discorso’, che da lui si premette alla Esortazione. E que- sta Esortazione (in cui si encomiano le virtù sì private e sì pubbliche di Lorenzo ) e le rammemorate lettere, di- stese sono con la latina purità ed eleganza, che è general lode di quel tempo, in che tanto studio faceasi su Cicerone, e su gli altri scrittori, che ornarono } impero glorioso d’ Augusto . È poi da considerarsi quel luogo della detta . prefazione , nel quale dal Sig. Moreni ponesi a luce ciò che nel suo Priorista scrisse di Lorenzo de* Medici Ala- manno Rinuccini. Lorenzo vi è appellato maligno tiran- no; e mentre gli si dà lode d’ uomo prudente, ingegnoso, e liberale , si dice insieme sfrenatamente ambizioso ed inteso a convertire in sè tutte le pubbliche entrate e per valersene a suo pro , e per avere i cittadini più deboli e impotenti a resistere alle sue imprese. Si accusa pure di avere con illeciti modi fatto innalzare il figliuol suo in puerile età al cardinalato, e dicesi che dopo la sua morte per molti indizj si argomentò, Zi avere destina- tosi nell'animo di occupare la repubblica, e manifesta- mente di quella in se trasferire il dominio, solo aspet- tando la occasione del tempo, el quale molti stimava- no dovere essere come prima per l’ età potesse essere Gonfaloniere di giustizia: e molti, nella prima moria; che venisse alla città nostra, quando i cittadini fussino fuori. Noi nè tutto crederem ciecamente al Rinuccini, che nel mostrarsi evidentemente capitale nemico di - Lo- 25 renzo, accusator sospetto si rende di lui; nè d’altra parté sapremmo negare , che Lorenzo , il quale fu destrissimo uomo, alcuna volta declinasse dal giusto e dal retto, ove vedesse, essergli uopo, affine di mantenersi, e crescere eziandio , in quella altezza, cui pervenuto era per la po- tenza ereditata da Cosimo, per la congiura de’Pazzi, dalla quale uscito era maggiore, per la sua liberalità, pel suo forte e tranquillo animo, per la dolcezza dell’ indole , e per lo stato medesimo della repubblica, che fatta già de- bole per le vicende della popolare mobilità, e per le scos- se di tanti tumulti , all’obbedienza disponeasi d’ un solo signore. Nè già gli Albizzi ai tempi di Cosimo, nè i Paz- zi all’età di Lorenzo si fecer nemici dei due grandi uo- mini per carità di patria, ma sì per gara di primato: e be- nigna certo fu a noi la fortuna , che a quelle di loro la parte medicea fe prevalere ; onde tanta gloria d’ arti e di | lettere a illustrar venne la città nostra. Ora seguita , che si dica alcuna cosa del Saggio dei dialoghi del Rucellai ; il qual Saggio comprende il deci- mo dialogo, e i tre che vengan dopo, nei quali trattasi di materie pertinenti alla divina Provvidenza. Non può lode migliore darsi a quest’ opera , che recando alcun luogo d’ essa , e riferendo il giudizio autorevolissimo , che già ne dette Anton Maria Salvini . Questi pertanto così scri- ve: Cominciamento e grandi progressi diede ( il Priore Orazio Rucellai ) alla gran macchina dall’ alto suo in- gegno ideata de’ filosofici suoi dialoghi, ne° quali non solamente le antiche dottrine comprende e spiega tut- te, per rintracciare il vero , co’ loro principj e fonda- menti, ma le moderne espone ancora mirabilmente; che dal nostro Galileo in buona parte dipendono, e ciò în una maniera così pulita ;, viva, chiara , brillante e lim- pida , che intelligibili, piane , a tutti dimestiche e per così dire, pasteggiabili rende le più nascose, e le più for- ti e profonde speculazioni; come tra V altre quelle del 26 Parmenide, e del Timeo, le quali egli coll’acutezza dell’ intelletto a traverso delle loro caligini penetrando, e perfettamente possedendo, riduceva in piano, e nobile dilettevol volgare con indicibile balìa di penna , e con inusitata franchezza 1 intelletto, e di coraggio. Il passo poi, che seguita, è tratto dal secondo dei quattro dialoghi pubblicati dal Sig. Moreni, e concerne il timore della morte riputata un male da dejat di quei che qui sono introdotti a parlare, ai quali così risponde il Magiot- ti, che si direbbe il Socrate di questi dialoghi: « Ciò non è male, che venga dalla morte, ma un dolore derivante dalle false impressioni di chi è vivo } e che non si è mai provato a morire. Ma con più esempi verremo mostran- do sì fatto errore , perchè un breve morire è il sonno, e la morte un perpetuo dormire . Presentemente passiamo all’ altro capo, cioè a dire, se l’anima de’ ragionevoli è immortale, siccome egli è chiaro ed aperto, perchè si ad- dimand'’ egli supplizio il morire, o per quella o per quell’ altra maniera, che ne avvenga, o più tardi, o più tosto ; se con esso la morte, a chi è mortale , alla vita durevole; e non più mortale apresi la via ? Laonde Socrate , quell’ esimio filosofo, nel Fedone le sole faville della ragione a cotanto barlume recarono dell'immortalità dell’ ceti) che morendo mostrò gran fiducia , che qualcosa pe’ de- funti ne rimanesse , e confessò, la morte dover tornar meglio a’ buoni, che a’ rei; dimanierachè , o la morte ne finisce, secondo Epicuro, o ella ne invia all’altra vita, come noi sappiamo per certa fede , e come parimente ! più saggi credettero del Gontilizzizto - Adunque qual ca- gione abbiamo noi di temerla ? nè mai può dirsi flagello di Dio provvidente, o vibri saette, e uccida i giusti; ovvero muoiano gl’ ingiusti; conciosiacosachè la morte è debito della natura, e il timore, che se ne ha, nasce da noi, e non dalla divina Provvidenza , secondo i meriti o demeriti, che da noi hanno origine , i quali, o veri mali, e 27 | o sono veri beni; che imperò a maraviglia Tullio: /4 multo iam beatius est te cum ab iis, qui se iudicum nomen habere volunt, evaseris ad eos, qui vere iudices appellentur. E Socrate parimente nel suo morire, non si passa , dic’ egli, morendo alla morte, ma valicasi all’ immortalitade, non si vanno a perdere i beni, ma ad acquistarne de’ più fidati, nè a voluttà permischiate con amarezze , ma a quelle; che d’ ogni amaritudine purgate sono ; disciolto dal carcere delle mortali membra colà si va; dove tutte quante le cose quiete sono ed allegre , e non mai sottoposte a vecchiezza, dove più al vero la na- tura delle cose, che sono, contemplar si puotè, nè appren- der la filosofia secondo Jo indirizzo delle opinioni, ma col lume infallibile della verità. Che più ne direbbe un cri- stiano? Con quanto avvedimento disse quell’ altro grand’ uomo , che lo astraersi da’ sensi, e dalle cose corporee, l'animo dalle passioni purgando, non è salvo chè impa- rare a morire ? cioè a sue più libere operazioni quello ri- chiamare, é più degne di lui, il che a stento, e malage- volmente conseguir sì puote vivendo; ma dal saggio di sì fatte dolcezze apprender puossi il godimento perfetto , che altri è valevole a posseder dopo la morte ; e colui, ch’ ebbe il pregio del sapere tra’ gentili, ‘dicea, che di buono ; o di giovevole si può egli trarre da’ sensi? Forse è da uomo savio la cupidigia delle voluttà corporali, o del- la crapula , o dell’ ubbriachezza, o delle lascivie ? Forse la cultura varia del corpo, il ricco sontuoso vestire, e gli ornamenti esteriori, cui ambiscono le debili femmine? E sì la divizia degli altri beni, che danno alimento e sì fomento agli appetiti sensibili? Di ciò non ha cura il leale amatore della sapienza , ma sì di sottrar animo ; e francheggiarlo dagli affetti corporei ; il corpo per conse- guente è d’ impedimento all’opere della virtude. Parv egli , che con esso gli occhi e con l'udito alla verità sì pervenga , ove la sapienza consiste? No, che sinceri, € 28 veridichi non sono. sentimenti del corpo, e però la ra: gione ne deludono; onde ella per quello , ch’ elle sono, le cose non apprende; dimodochè allora il raziocinio libero e puro si è, dove chiuse le porte de’ sensi, la mente seco stessa favella , e ritirata in sè il corpo abbandona ; che però s’ avvicina l’ uomo all esser puro ed immortale. Imparino a morire i mortali da Ciro , quel gran Re de Persi, originale ed esempio ammirabile, non che di tutte ‘le coronate teste, ma di chiunque fa professione veramente di uomo. Egli gli addolorati figliuoli chiamando davanti a sè, consolandogli, e sì alla virtù confortandogli, que’saggi sentimenti pronunziò , che riporta Xenofonte sopra la morte, e quali acquistan fede ai nostri detti : non mai fi- gliuoli mi son potuto recare a credere, che dentro a que- sto corpo mortale l’ animo viva, e dopo che n° è spogliato si muoia ; nè meno che l’ animo non sappia poichè egli vien disgiunto da questo corpo ignorante ed insipido; ma che quando la pura mente separata n’ è, e intera in sè stessa, parmi molto al vero convenevole, che allora sa- pientissima ella sia. Vedesi chiaro quando si scioglie l’ordimento corporale dell’uomo, tutte le parti tornare a’ lor generi , fuori che l’ animo solo , il quale , nè quan- do ci è presente, nè quando si diparte vedere il possia- mo. Adunque a chi la saggezza sollecitamente cerca, men- tre egli vive, è d’ impedimento , e d° incarico il corpo a poter investigare la verità , ch’ egli di trovare si studia, onde per quanto a lui sta, da sè lo disgiugne; perchè gli dee poscia parer terribile in vista, e aspettare con tri- sta sembianza la morte , la quale l’ anima dal corpo di- scioglie, e tolta alla caligine, dinanzi al lume chiarissimo della verità lo ripone? Ma egli non è dicevole toccare sì fatta purità con l’impuro, che ne veste vivendo.Quanto fora im- perciò disdecevole a chi mentre visse meditando mai sem- pre,e traendo fuori, quanto èin lui la mente dal corpo, alla morte sì studiò d’ accostarsi, ch’ ei.ne temesse poi quand’ 29 ella sopra ne giugne? Avvezziamoci dunque a morire spie- gando il volo da terra alle celestiali meraviglie, e divine, dove con più velocità e sicurezza trasvoleranno poscia gli animi nostri sprigionati da sì fatti legami, che ne tengono inchiodati col corpo; avendone prima vivendo imparato per tal modo la traccia , e il sentiero. Ciò avverte con sublime. reflessione Marco Tullio, il qnale dipoi fa una savia considerazione sopra Pompeo Magno, delle cui parti egli fue: quanto più glorioso e ben avventurato era il gran Pompeo, dove infermo a Napoli avesse terminata la vita? Da quanti mali si sariè tolto , che dopo fino all’ ultimo di quella lo afflissero? Non avriè guerreggiato asprissimamente col sùocero, non abbandonato la patria, non d’Italia presa la fuga, non tocca la sconfitta in Far- saglia , onde ignudo valicando su piccol Jegno pel mare, fu nell’Egitto preda de’ servi, e del tradimento; concio- siacosache se morto fosse in quel tempo , colmo di gloria e di fortuna moriva, dove vivendo, quante calamitadi, ed abominii pati ? Sono senza novero quegli, di cui il me- desimo avverar si potrebbe, cui più opportuna, e di be- ne avventuranza veniva la morte nell’ adolescenza , e me” sariè stato loro, che il campare fino all'estrema vec. chiezza , se dal parto della madre fossero rattamente tra- passati al sepolcro; perchè spesse fiate la fortuna pare, che nel cominciamento annunzi prosperitade, che la fine d’ avversità riempie, e conchiude. Tal veritade insegnò Creso sul punto dell’ esser decapitato, al re Ciro, gridan- do: o Solone, o Solone; da’ detti del quale si rammemo- rava avere appreso , niuno potersi riputar felice, se tale non sì mantiene sino alla morte ; per ciò si videro de’ successori del grande Alessandro fare il copista .a Roma, de’ tiranni di Sicilia, il pedagogo a Corinto , gire limosi- nando degl’ Imperatori di più rinomea ; imperocchè egli, è verissimo , che il giorno della morte quel solo è ìl giu- ‘| sto giudice di tutti gli anni preteriti della vita a ciascuno «. 30 Nella prefazione di questo libro tratta 1’ editore con assai accuratezza del Rucellai, e dei suoi scritti, sì dei pubblicati, e sì degl’ inediti: nella qual prefazione assai n’ è piaciuto trovare la notizia dell’obietto e della occa- sione dei dialoghi, e della disposizione di lor materie, re- cata colle parole medesime dell’eloquentissimo scrittore ; la qual notizia sì da noi estimasi importante , che qui ri- portata l’avremmo, se con essa non fosse stato per riuscir prolisso di troppo il presente articolo. Noi rendiam grazie al sig. Moreni della pubblicazio- ne di questo Saggio; e loesortiamo in una a voler dar ope- ra alla completa edizione dei dialoghi : la quale edizione riuscirà certo accettissima ai dotti e agli amatori della nostra gentile favella ; massime se eseguita sia con l’ esat- tezza e correzione, con che la stampa si è fatta del Saggio. Prendiamo speranza che il sig. Moreni, il quale così gran cura e continua pone in divulgare gl’ inediti scritti dei nostri antichi; non vorrà .ora deludere .i nostri voti; tanto più che col dare a luce per intero sì fatta opera ad acqui- star verrebbe , a giudicio mostro, tali diritti alla pubblica riconoscenza, ché dalla ilicali di altro qual che. siasi scritto non potrebbe per. avventura sperar maggiori. G. B. ZANNONI: -_ Histoire du Jury ec. Istoria del Giurì del sig. 416ma4w membro dell’instituto (‘accademia francese ), col- l’ epigrafe « Contra pericolosissimas hominum po-. tentiasconditioni omnium civium providisse, judices, videamini. Cic. pro Coelio — Parigi 1822. in 3.° ( Gontinuazione e fine v. Vol. VIII. p. 236 Vol. XI. p. 1. ) Di tutti i popoli germanici gli anglo-sassoni aveano portato più oltre l’ esercizio della garanzia scambievole dea 31 dei cittadini. Non contenti di riconoscerne il principio, ne aveano sapientemente ordinata |’ applicazione mercè la divisione delle contee in centene e in decanie. La forte catena della solidalità sociale era con questo mezzo formata di anelli di cento e di dieci famiglie , le quali nel tempo che ciascuna era nel proprio recinto la custode di tutti i diritti e responsabile di tutti î disordini, si ristringevano poi tutte insieme per inviluppare e per consegnare alla vendetta delle leggi ogni specie di tiranni o di malfattori. Da quest'ordine ammirabile, stabilito fino dai primi tempi dell'Inghilterra , derivò che quando il feudalismo la sottopose al suo giogo, potè imporle le sue forme, ma non già penetrarla del suo spirito. Sotto l’apparente garan- zia del signore sussisteva la garanzia reale dei cittadini. Ei li riuniva sotto la sua bandiera, ma si proteggevano da sè medesimi . Ire sassoni conquistatori dell’ Heptarchia, a differenza degli altri re dell’ Europa, erano possessori sopra uno stretto territorio di un vasto dominio contro il quale nessun feu- do poteva essere temibile; anzi essendo un tal dominio composto d'una moltitudine di piccoli feudi immediati, rendea già sensibile, a traverso tutte le miserie dei tempi, l’immenso benefizio sociale della divisione delle proprietà. Ebbero questi re l’eccellente avvedutezza di mettere a profitto pel popolo e per loro stessi una situazione così felice. Ricostituirono nei loro domini la garanzia scambie- vole tra i loro piccoli vassalli, dei quali con tal mezzo aumentavano il numero, offrendo ai subvassalli, per così dire, un premio d’ incoraggimento per iscuotere il giogo dei signori. Un primo germe di rappresentazione fu per conseguenza riprodotto nelle decanie e centene, le quali formarono l’ associazione comunale dei piccoli vassalli immediati della corona, mentre che il gran consiglio nazio- CARPE NOO TOP v Re 1, My 32 nale composto degli alti baroni diventò la camera alta del parlamento. Dopo la conquista i re. uidemandili non cangiarono nulla a una solidalità nella quale riconobbero un vantag- gio per loro, giacchè il borgo 0 la centena era. responsa- bile nazionalmente dell’ uccisione di ogni normando am- mazzato da un inglese ,. mentre che l’ uccisione d’ un inglese commessa da un normando. non poteva esser perse- guitata altro che secondo le leggi. feudali, le quali forma- vano il loro gius. In progresso di tempo lo. stabilimento della legge comune fece. sparire questa differenza di trat- tamento, la prolungazione del quale avrebbe impedita la fusione dei due popoli, e dette vita a quel potente spirito pubblico di cui la nazione inglese va con ragione sì fiera. L’ assimilazione dei vassalli immediati agli uomini liberi, e il mantenimento, della garanzia; scambievole nei dominj reali, vi avea perpetuato l’uso germanico della prova per compurgatori. La corte del re, trasformata così in placiti nazionali , prese il nome di assisa, quando Ta moltiplicità delle cause la forzò a diventare fissa nella capitale invece di continuare ad essere ambulante con la persona del re. I giudizi però quasi sempre finivano coi combattimen- ti giudiciari, per la gran difficoltà, in quei, tempi. turbo- lenti e ignoranti , di presentare una prova sufficiente dei fatti allegati. Enrico secondo , per mettere un termine a questi duelli, pubblicò una carta la quale dette a ciascuna delle parti il diritto di sostituire al combattimento una procedura, della quale ecco la forma. Lo sherif, magistrato della contea, chiamava davanti a se quattro cavalieri, i quali ne designavano dodici altri del vicinato. Questi dodici, quando non erano ricusati dalle parti, o quando non si ricusavano da. se medesimi come ignoranti dei fatti , erano interrogati sulla causa, e 33 davano la loro dichiarazione la quale doveva essere una- nime. In mancanza di tale uniformità di dodici cavalieri aggiungevansene altri mercè nuove scelte, ed aggiunge- vansene in numero sufficiente acciò si ottenesse definitiva- mente quest’ unanimità. Allora lo sherif, solo competen- te per udir le parti e i testimoni e per dirigere tutta l’istruzione del processo, pronunziava la sentenza confor- me alla dichiarazione fatta. È facile a concepirsi il favore e la popolarità che dovè acquistare ben presto una instituzione così salutare : la società dovè fondarsi sopra basi di giustizia, d’ ordine e di patriottismo, a differenza di quel che accadde nelle’ contrade-ove la vita e la proprietà degli abitanti restavano sottomesse al diritto cieco della spada, o alla tenebrosa oppressione dei giudizi segreti. Le corti dei signori inglesi non vollero mai imitare questo benefizio regio, e restarono feudali in tutto l’orror del termine. All’ opposto la corte del re diventò il rifugio della nazione; i giudizi che n’ emanarono, chiamaronsi il giz- dizio del paese, e la formula ( conservata anco attual- mente ) di chi reclamava l’ assisa era questa, che si ri- metteva pel bene come pel male nelle mani della patria. 1l numero mistico di dodici che rammentava quello degli apostoli, contribuiva a dare nell’ opinion pubblica una sanzione religiosa a questo popolare stabilimento. Il favore non ne fu applicabile per lungo tempo se non che ‘ai processi pel giudizio dei quali poteasi invo- care la notorietà pubblica: per gli altri la sola risorsa era, di ricorrere alle barbare prove giudiciarie. In progresso di tempo gl’ inglesi, meglio illuminati, vollero chela prote- zione dell’ assisa si estendesse a tutte le cause; e si finì con attirarvi ancor quelle che richiedevano l’ istruzione la più complicata. Quelle così delle prove caddero allora, e quando conveniva alle parti di sostituirvi la dichiara- fi alle da Giugno 3 34 i i zione dei dodici cavalieri, era detto che l’assisa si conver- tiva in giurì. : Questa voce fu tolta dalle assise feudali che i crocia- ti aveano stabilite a Gerusalemme. In una di queste assi- se, i dodici magistrati permanenti stabiliti sotto la pre- sidenza d’un visconte per giudicare le controversie fra gli europei, portavano il nome di giurati. Molto tempo però dovè trascorrere prima che l’ uso del giuri diventasse generale in Inghilterra. La prova per giuramento e le così dette prove giudiciarie continuava- no adessere ammesse in concorrenza con questa nuova pro- cedura , finchè lo spirito feudale conservò forza e influen- za. A misura che le istituzioni liberali trionfaropo di lui, le assise, moltiplicandosi , cessarono d’ esser concen- vate nel capo luogo del dominio reale; furono autorizzati vari delegati ad andare a tenerle nelle contee, e a formar- vi dei giurì. Finalmente la competenza del giurì, senza mai essere esclusiva in Inghilterra, vi prevalse in modo da diventar generale tanto per le cause civili quanto per le criminali. Vi fu ordinata su certe basi e con certe re- gole che è importante conoscere. Quattro tribunali formano tutta la magistratura della Gran-Brettagna sì per le cause civili che per le criminali. Sono questi: ° La corte dei placiti comuni, composta d’un pre- sidente e di tre giudici, nominati dal re, la funzione dei quali è di decidere le questioni di dritto nelle cause civili; . 2.0 La corte del banco del re formata egualmente di un presidente e di tre giudici, e che è, a propriamente parlare , la corte d’ appello della precedente e delle corti d’ assise ; 3.° La corte dello scacchiere. per la composizione della quale si riuniscono tutti i giudici delle corti supe- riori, e la cui giurisdizione, ristretta ai conti e alla ri- vendicazione dei beni della corona, può estendersi per i 35 appello a tutte le cause civili , se 1’ attore si suppone af- fittuario o debitore del re. Queste tre corti, smembramenti dell’ antica corte reale , risiedono a Westminster. 4. La corte di cancelleria, la quale si divide in corte ordinaria e in corte straordinaria. La prima ha per attribuzioni di cassare le lettere patenti del re accordate illegalmente e dietro una falsa esposizione di fatti, e di far giustizia alle lagnanze dei particolari contro la corona, o contro qualche funzionario pubblico. Può dalle sue sen- tenze appellarsi alla corte del banco del re. Quanto alla corte straordinaria , la quale , senza derogare alle leggi, autorizza in certi casì il cancelliere a temperare il rigore delle formie , le sue decisioni non possono essere iufirma- te altro che dalla camera dei pari. Siccome è impossibile che questi pochi giudici basti- no all’ amministrazione. della giustizia in tutto il regno ,. così, per mantenere il principio feudale dell’ unità di giurisdizione della corte del re senza rallentare 1’ attività della giustizia, sono state create le corti reali di assise , come emanazione delle corti superiori. Due volte l’anno , nelle vacanze che succedono ai quattro termini o sessioni delle corti permanenti, sono distaccati, o dalla corte del banco del re, o da quella dei placiti comuni due giudici o legisti, i quali percorrono le contee in qualità di commissari del re per tenervi le assi- se, na con l'assistenza dei giudici di pace al giu- dizio delle cause criminali e civili. Giudicare s’ intende dirigere l’ istruzione e pronunziar la-sentenza, perchè il vero giudizio è dato dai soli giurati. Per tutte le cause civili che devono esser giudicate alle stesse assise è formata dallo scherif una lista da 48 a 72 giurati presi sul registro dei possessori aventi un de- terminato censo. I loro nomi sono posti in un'urna; ad ogni chiamata di causa i 12, che sono stali estratti i pri- 36 mi dal presidente dell’assisa prestano giuramento in qua- lità di giurati, salvo il caso di assenza , di dispensa o di ricusa. I motivi di ricusa sono numerosi, e-riguardano , 0 la dignità, o l’ incapacità legale , o il sospetto di parzia- lità, o l’indegnità Sisaltnutei da un delitto. Allorchè per effetto di queste ricuse , le quali possono essere generali o individuali, non resta il numero necessa- rio di giurati, il giudice è autorizzato a comporre una lista supplementaria fra le persone che trovansi presenti al tribunale. Questa lista , suscettibile egualmente d’esser ridotta per le ricuse, non diventa definitiva se non quando il numero dei 12 è completo. Può esservi il caso che sia ordinata una informazione preliminare. Allora sei dei giurati che si trovano sulla lista dello sherif, o un maggior numero concordato dalle parti, ne sono incaricati, e prestano per quest effetto un giuramento particolare . La discussione all’ udienza comincia dalle parlate contradittorie dei difensori, appoggiate sopra prove scritte o testimoniali. Un solo testimone degno di fede può ba- stare per riguardare un fatto come provato. Le prove somministrate e discusse dalle parti, am- messe o rigettate dai giudici, sono recapitolate dal presi- dente, il quale cerca di ben fissare il punto della questione. Se il fatto è d’una evidenza incontrastabile, 1 giurati pronunziano senza uscir della sala; se è dubbio, si ritira- no per deliberare nella loro camera. L’interdizione d’ogni comunicazione al di fuori , è per essi di tal rigore , che senza una pernissione speciale dei giudici, fino a che non siano arrivati all’ unanimità, devono restare senza fuoco nè lume, e senza bere nè mangiare. Vi è stato il caso in cu dei giudici obbligati di re le assise prima della dichiarazione del giuri hanno condotto i giurati di città in città finchè non fossero unanimi. Può l’attore impedire la dichiarazione pubblica o 37 verdict del giurì, se prima che sia pronunziata, non com- parisce per sottoporsi alla multa per mancanza di prove. In tal caso, l’azione è fermata ; ed è questo un mezzo che spesso gli attori si riservano per poterla riprendere , perchè in caso diverso non potrebbero farlo fuorchè per via d’ appello . i Il verdict è speciale quando il giurì dichiara ripor- tarsene sul diritto all’opinione dei giudici. Quando la sentenza non è stata nè sospesa nè cassata per uno dei mezzi che somministra la procedura, l’ ese- cuzione deve aver luogo nel termine d’ un anno e un giorno dal registro della sentenza, altrimenti la sentenza diventa nulla, salvochè il reo convenuto non produca , e il giudice non accolga, dei mezzi per mantenerne la va- lidità . Talvolta per l’ istruzione di cause d’ una natura par- ticolare sono nominati dei giurì speciali, o ex officio, 0 sulla domanda delle parti , e la scelta delle persone ap- partiene ai giudici , i quali percio si fanno portare i regi- stri dello sherif. Tutto ciò riguarda il civile. Passiamo al criminale. Quando il giudice di pace ha deciso che vi è luogo a procedere contro un imputato, e l’ha fatto porre nelle prigioni della contea , o l’ha ammesso a dar cauzione, | spetta al graz. gizrì a pronunziare, nella sessione trime- strale dei giudici di pace della contea, se l’ accusa deve essere ammessa o rigettata. I membri del gran giurì chiamati ad adempire le lor funzioni per la durata d’ una sessione, sono di 12 al meno e di 23 al più. L’ unanimità di 12 voti è necessaria per la loro dichiarazione. Eleggono da se stessi il lor capo o presidente, il quale può esser cangiato dalla maggiorità dei giurati. Un baglivo, o officiale della corte incaricato di co- municare col gran giurì, presta il giuramento con una -_ 38 formula speciale presentatali dal presidente delle ‘assise ; ed altro giuramento speciale prestano il capo. e i membri del gran giurì. Qualche volta il gran giurì dà il suo verdict di am- missione dell’accusa sul semplice processo verbale del giudice di pace, qualche volta il verdict è provocato da un atto d’accusa o indictment d’un particolare o del ministero pubblico . " Dopo che il giudice che presiede la sessione ha espo- sti i diversi punti dell’affare, i giurati sì ritirano nella loro camera per esaminare le carte e per deliberare. Se sono unanimi a favor della doglianza, il capo .0 presidente vi scrive a tergo accusa ben fondata; se nò, accusa non fondata . Ammessa l’ accusa, il processo è instruito alle assise davanti il piccolo giurì formato di 12 possidenti della contea sulla lista deilo sherif, la quale contiene da 48 a 72 nomi. Prima di ciò può aa o che l’ accusato ricusi di rispondere, o che confessi il selito, oppure che alleghi eccezioni pregiudiciali. Nel primo caso la corte incarica un giurì particolare d’ esaminare s’ ei resta muto per mala volontà, il che equivale contro di lui alla convinzione del delitto, o se è colpito dalla mano di Dio, e allora i giu- dici filica all’ esame dell’ affare senza l’ assistenza del giurì. Nel caso di confessione; la condanna è imme- diatamente pronunziata. Ma la corte non riceve ordina- riamente questa confessione, se non con lentezza e repu- gnanza , e il giudice non trascura nulla perchè l’ accusato non sì privi volontariamente dei suoi argomenti di difesa. Esaurite l’ eccezioni pregiudiciali , l’accusato prepara la sua difesa nel merito. La lista dei testimoni e dei giu- rati indicante la professione e la dimora di ciascuno, gli è notificata 10 giorni almeno prima del giudizio, acciò ab- bia il tempo di preparare le sue prove e le sue ricuse. pdl SIE 3 Le ricuse, come negli affari civili, possono dat generali o particolari , ed esercitate tanto a nome del re quanto per la parte dell’accusato. Nelle cause di alto tradimento o politiche , questi può ricusare , senza addur motivo , fino in 35 giurati, e 20 solamente nelle altre cause. Il ministero pubblico non può ricusare senza mo- tivi, e i suoi motivi devono essere esaminati e ammessi dalla corte. / I dodici giurati entrando in funzione prestano il giu- ramento. Il giudice gl’invita, a misura che lo presta- no, a gettare uno sguardo sull’accusato , acciò l’anima loro resti penetrata da tutta la compassione e da tutta l’indulgenza compatibile coi loro doveri. Al giuramento succede l’esposizione dei fatti presen- tata dall’ avvocato della corona; quindi l’ udienza dei iestimoni, ciascuno dei quali è interrogato successivamen- te dall’ accusatore e dall’ accusato. Nel principio la legge ricusava un difensore all’ ac- cusato nelle cause capitali e pei delitti di stato, sul motivo che per condannare le prove dovevano essere tal- mente evidenti da non esser suscettibili. di discussione. Ma come fu riconosciuto in appresso che questa protezio- ne ritorcevasi contro l’accusato , perchè lo privava della sua difesa, specialmente per l’ esame delle questioni di diritto che potevan sorgere incidentemente , cessò questa privazione di difensore in qualunque causa si fosse ; anzi gliene sono accordati due nei processi per delitto di stato, nei quali l’imparzialità pubblica vuole ch’ei sia special- mente protetto. Il resto dell’ istruzione consiste nella difesa dell’ ac- cusato , e nella riepilogazione del giudice , dopo la quale i giurati si ritirano per dare il loro verdict, quando non siano d’ accordo talmente da potersi raccogliere i voti nella sala stessa. Vi vuole l’unanimità per una dichiara- zione contraria. L’ accusato dichiarato ron colpevole è 4o posto immediatamente in libertà, ed è esente da ogni altra ricerca per lo stesso fatto. L’ accusato poi dichiarato colpevole può sottrarsi al- la condanna , o col berefizio del clero , resto dell’igno- ranza e della barbarie, che non lo sottopone altro che. a pene minori ; o con altri mezzi che annullano la proce- dura, o col. Waipaas reale, o coll’inscrizione in ‘falso; qualità è provato che asili che hanno concorso alla sen- tenza non aveano le qualità sufficienti, o coll’ appello per causa d’ errore alla corte del banco del re, assistita da un giurì preso nella contea donde è partita l’accusa , e. da questa corte., se vi è luogo, a quella dei pari. Milingo eccezioni hanno pur luogo in Inghilterra al giudizio per via di giurati , delle quali e di altre in- stituzioni somiglianti che si risentono troppo manifesta: mente dei tempi feudali, non faremo qui l’ enumerazio: ne. Passeremo piuttosto a vedere la montatura del giurì presso un nuovo popolo , il quale seppe non solamente acquistare la sua libertà, ma preservarla eziandio dagli eccessi, e mantenerla fondata sull’ ordine, sulla BEST e sulle leggi . Sappiamo tutti che il poter legislativa della bs zione degli StatiUniti risiede esclusivamente nel congresso composto della camera dei rappresentanti e d° un senato nominato per sei anni dalla legislatura di ciascuno stato» Sappiamo ancora che il potere esecutivo è affidato a un presidente e sussidiariamente a un vicepresidente , ‘scelti per quattro anni dagli elettori degli stati respettivi. Que- sta organizzazione è copiata in ciascuno degli stati, ed il capo si chiama governatore. Tutti i funzionari, e lo stesso presidente, possono esser messi in accusa. Il senato solo ha diritto di giudicarli, ma le sue attribuzioni, tutte politiche , si limitano a destituir l’accusato ,e a dichiararlo incapace d’ esercitare qualun- que altro impiego. Pronuuziata questa degradazione ,. egli 4a è rilasciato ai tribunali , come qualunque altro cittadino ; per la ricerca del suo delitto, e per l’ applicazione della pena. Il poter ditelo separato così dagli altri due per via di barriere insormontabili , è affidato a una corte su- prema , a sette corti generali di circondario, e alle corti di distretto' particolari ai diversi stati dell’ unione. ) La corte suprema, che siede ogni anno a Washington, consiste in un solo giudice e sei giudici aggiunti. La sua giu- risdizione si esercita su tutti ‘gli affari litigiosi d’ uno degli stati con altri stati o con particolari, e sopra tutte le cause intentate dall’ autorità pubblica. Essa è corte di cassazione per gli affari criminali, e in certi casi corte d’ appello per gli affari civili. Le corti di circondario conoscono di tutte Je cause civili nelle quali interviene qualcuno degli stati, e il cui valore non ecceda 500 dollari ( circa 2700 franchi), e- gualmentechè degli affari civili tra cittadini di stati di- versi. Le cause civili delle corti di distretto vi son porta- te per appello. i I membri della corte suprema e quelli delle corti di circondario sono nominati, dal‘‘potere esecutivo con l’approvazione del senato. L'organizzazione giudiciaria dei diversi stati prova ‘in ciascuno di essi qualche leggiera varietà , resultante dalla sua importanza o dalle ‘cause particolari che hanno agito sulla sua formazione. Ecco quella di New-Hampshire , la quale può dare un’ xiea di tutte le altre. Una corte superiore di quattro giudici, fà sicu mente due giri nei contadi per la'tenuta delle assise. Una corte inferiore , collo stesso numero di giudici, tiene suc- cessivamente in ciascun contado quattro sessioni annuali per la risoluzione delle piccole cause. | I giudici sono nominati dal: governatore e ‘dal suo consiglio, e restano in carica fino all’età di 70 anni ; fuori 42 del caso di destituzione pronunziata. dal senato, come abbiam detto. Le funzioni del ministero pubblico sono esercitate davanti ciascuna corte da un procuratore o da un av- vocato generale, il quale è a propriamente parlare 1’ ac- cusator pubblico, e da un mareciallo o commissario in- caricato di perseguitare l’applicazione della legge. La costituzione degli Stati Uniti vuole pre in tutti gli affari criminali, e in tutte le cause civili nelle quali il valore in disputa ecceda 20 dollari, procedasi per. via di giurati. Le procedure sono instruite negli stati ove i delitti sono stati commessi, La libertà dei cittadini, l’ asi- lo delle case, il segreto delle carte sono inviolabili , fuori del caso d'un mandato d'arresto, rilasciato sopra una causa probabile, appoggiata da giuramento , il qual mandato deve specificare le persone ed i luoghi. Nessuno, per un delitto capitale o infamante, è obbligato a rispon- dere altro che sull’accusa d’un gran giurì, eccettochè nelle armate di terra o di mare, o in un corpo di mili- zia in tempo di guerra o di bidote pubblico. Nessuno può esser giudicato due volte per lo stesso delitto. Nes- suno può esser forzato a portar testimonianza contro sè medesimo, nè esser privo della vita, della libertà 0 dei suoi averi senza esservi stato bendizzaio regolarmente 3 vale a dire dal giudizio del paese. I giurati e i testimoni ricevono a titolo d’indennizza- zione un dollaro e 25 centesimi per giorno, e.ò cente- simi per miglio per spese di viaggio. La maniera di formare il giurì non. è precisamente la stessa in tutti gli stati dell’ unione. Ecco il modo adot- tato più generalmente. Per ogni contado , il gran giurì è scelto fra gli uo- mini i più illuminati e i più considerabili dallo sherif del contado; il quale è eletto dal popolo. La lista di ogni sessione è di 24 cittadini, sui quali basta che 13 si pre- 43 sentino. La messa in accusa non può esser pronunziata che all’ unanimità di 12 voti. Il piccolo giurì, o giurì di giudizio, è formato cosi. Sulla lista dei proprietari d’un fondo di 50 lire sterline , immobiliare nella campagna , e che può essere anco mobiliare nelle città, una riunione di consiglieri delle principali comunità del contado (che, come abbiamo det- to, sono stati eletti dal popolo ) forma lo stato generale . dei membri del giurì. I nomi d’un terzo di questi membri, scritti sopra schede , son posti in un’ urna ; e quegli degli altri due terzi in un’ altra. Estraesi dalla prima il giurì per la corte superiore o corte d’assise, e dalla seconda il giurì per la corte inferiore. Queste diverse estrazioni hanno luogo pubblicamente in una delle sale della meria del capo luogo. Nel giorno indicato per. via di editti il cancelliere della comunità estrae dall’urna 36 momi, i quali sono scritti immediatamente sopra una lista, e le schede sono volta per volta gettate in una seconda urna, alla quale si avrà poi ricorso nel caso solo che la prima resti esaurita. Con questo mezzo così semplice, la sorte designa tutti i nomi per turno senza preferenza nè esclusione. La lista; così formata, è rimessa dal cancelliere allo sherif, il quale la notifica a ciascuno dei giurati otto giorni almeno prima della sessione. All'apertura delle assise, la lista dei 36 giurati è ridotta a 12. per via di nuova estrazione. Tutte le ricuse del ministero pubblico devono esser motivate. L’accusato può esercitarne 20 pe- rentoriamente nelle cause che portano pena di morte o la prigione perpetua ; in ogni altra causa è obbligato di mo- Livarle. Lo sherif o il suo sostituto, sempre presente all’ u- dienza , rimpiazza immediatamente con persone presenti i giurati ricusati; e se ‘con questo mezzo è impossibile di completare il giurì, la causa è rimessa a un altro giorno dopo una nuova estrazione; ma questo caso è senza esem- pio, e le ricuse sono rarissime. Niuna procedura è segreta agli Stati Uniti. La legge non procede come il delitto, cioè di nascosto. Le prime informazioni son fatte da un tribunale di polizia, il quale interroga pubblicamente l’ imputato inviato davanti a lui dalla voce pubblica, o da una doglianza particolare. Que- sto tribunale lo mette in libertà se la doglianza non è fondata, o se lo è, continua l’istruzione, semprechè il fatto sia grave. La libertà provvisoria mediante cauzione è ammessa in tutti i casi che non portano pena di morte pel colpevole , o pericolo per la società. Le deposizioni dei testimoni non son redatte in iscritto , ma ne sono presi semplici appunti sommarii per poter citare davanti il giurì, e per la redazione del- l’ atto d' accusa. Quest’ atto si limita per conseguenza all’ enunciazio- ne del fatto, e raramente passa un mezzo foglio. Gli americani ignorano l’arte perfida di riempire con insidio- se preoccupazioni il primo getto d’un processo criminale. Il giuri d’accusa e quello di giudizio sono convocati nello stesso tempo per le assise. Il primo giorno tutti i cittadini chiamati a comporre il grande e il piccolo giurì sì riuniscono in udienza (pubblica. Modiche multe sono pronunziate contro gli assenti senza scusa legittima. I membri del gran giurì prestano giuramento « di giudicare senza prevenzione, senza passione ;s secondo. le leggi e le testimonianze ». Quindi si ritirano nella loro camera, ove il procurator generale rimette loro l’ atto d’accusa. I testimoni sono uditi dal giurì fuori della pre- senza dell'imputato. Il capo gl’interroga dopo aver fatto loro prestare il giuramento. Ciò fatto, i giurati rendono il loro verdict d’assoluzio- 45 ne o d’accusa. La formula del primo è igroramus, ignoriamo , oppure zot found, non abbiamo trovato ; quella del secondo true bill, accusa vera. I giurati, quando hanno spedito così uno o più affari, rientrano nella sala d’ udienza, ove trovano la corte in seduta col giurì di giudizio. L’ udienza resta sospesa un momento per la consegna dell’ atto o atti d’accusa, che fa il capo del giurì al presidente dell’ assisa. Poi, termina- to il giudizio di cui s’ occupa la corte, il procurator: gene- rale manda a .cercare gl’imputati assoluti e quelli che son posti in accusa. Il presidente pronunzia immediata- mente la messa in libertà dei primi, e quanto ai secondi, domanda loro per due volte se si confessano colpevoli , e quando persistono in questa confessione , il loro pro- cesso non và più oltre, e sono riservati cogli altri condan- nati per l'applicazione della pena alla fine della sessione. In caso di negativa , che è il più frequente, il pro- curator generale domanda all’accusato se è all'ordine per esser giudicato, e se non ha difensore, glie ne è assegnato uno d’ ufizio. Il difensore si concerta col procurator gene- rale, non tanto per fissare il giorno della sessione in cui l’affare sarà giudicato, quanto per far rinviar l’ affare alla sessione susseguente in virtù d’ una decisione della corte, se qualche testimone indispensabile fosse assente. Spieghiamo l’ istruzione davanti. il giurì di giudizio. È inutile dire che è pubblica. Dopo il giuramento , il quale è il medesimo che quello del gran giurì, la lettura dell’ atto d’ accusa è fatta dal procurator generale senza aggiungervi alcuna riflessione : questa ‘non è altro in so- stanza che l’ enunciazione della causa. I testimoni sono uditi ; ma il presidente non li interroga : questa funzione delicata è esercitata successivamente dal ministero pub- blico e dall’ accusato. Finiti gli esami, il difensore prende la parola: il procuratore risponde, o abbandonando l’ accusa (e in que- 46 sto caso il processo è finito), o persistendovi pei motivi ch’ egli sviluppa colla calma e colla semplicità che sole convengono al suo ministero. Le pene sono dolci ed eque: la legge colpisce senza collera , e i suoi organi senza servilità. I giurati pronunziano, come in Inghilterra , senza muoversi dal loro posto, se l’ evidenza è palpabile e se sono unanimi, oppure si ritirano nella loro camera per deliberare. In quest’ ultimo caso il constabile che li pre- cede giura di non lasciarli comunicar con alcuno, nè la- sciar passare alimenti nella lor camera. Essendo necessaria l’ unanimità di 12 voti per operar la condanna, i giurati restano così sequestrati da ogni comunicazione e privi d’ ogni soccorso, fintantochè non siasi una tale unanimità conseguita. Se le loro forze non reggono, e se vi è fra loro qualche malato prima che siasi ottenuto questo resultato, il presidente dell’ assisa può nella medesima sessione sottoporre la causa ad un altro giurì. Quando i giurati son d’ accordo, avvisano il consta- bile, il quale li conduce alla sala d' udienza. Tornati ai loro posti, il cancelliere li chiama pei loro nomi, e do- manda al capo: « trovate voi l’accusato colpevole, 0 non colpevole ? » In caso di affermativa , il difensore ha diritto d’esigere che la dichiarazione sia ripetuta individualmente da ogni giurato ; e se tutti non dicono nello stesso modo son rimandati a deliberare di muovo, Tutte queste cose accadono in presenza del pubblico e dell’ accusato. L’ ultimo giorno dell’ assisa la corte fa comparire tutti gl’ individui dichiarati colpevoli nel corso della ses- sione; allora solamente le loro sentenze son pronunziate. Qualche volta sulla domanda del difensore, e per giuste cause , ella accorda che il processo sia giudicato di nuovo alla sessione successiva. Le pene possono esser rimesse per via della grazia, ani 47 che il governo ‘o il corpo legislativo non ricusa giammai alla domanda dei giudici, o abbreviate per la buona condotta di quelli che le subiscono. La pena di morte è pronu nziata rarissimamente. È raro ancora che vi sia appello o revisione dalla decisione del giurì , tanto la giustizia e l'umanità vi pre- siedono . Dopo sei annì appena dalla fine della rivoluzione “americana cominciò la francese. Nell’ intera ricostruzione dell’ edifizio sociale, la più deforme di tutte le sue parti , l’ ordine giudiciario, richia- inò la prima attenzione dell’ assemblea costituente. Fino: dal 17 agosto 1789, il sig. Bergasse a nome del comitato di costituzione propose la riorganizzazione intera della giustizia e della polizia a norma della giurisprudenza in- glese ed americana perfezionate. Questa riorganizzazione però era un lavoro immenso, che conveniva maturare per via di profonde riflessioni. Molte serie di questioni furono stabilite, molte basi ammesse o rigettate, molti progetti successivamente in- tesì , fra i quali quelli di Thouret, di Chabroud , e d' A- driano Duport , fissarono specialmente l’ attenzione gene- rale. Questi due ultimi volevano i giurati in civile egual- © mentechè in criminale, ma troppe vecchie abitudini e troppi interessi particolari vi erano contrari. Finalmente il 3 settembre 1790, fu decretato definitivamente il piano giudiciario insieme colle altre parti della costituzione. francese . Esso però consacrava soltanto il principio , e poneva le basi di questa procedura per via di giurati. Bisognava determinarne le forme, e questo fu l’ oggetto di quela bel- la istruzione presentata dal sig. De Hivame a nome del comitato di legislazione criminale, e adlottata dall’ assem- blea nazionale il 29 settembre 1791. Diamo uu’ idea di 48 questo monumento di rispetto per la libertà individuale e pei diritti sacri della sciagura. Il lavoro si divide naturalmente in due punti prin- cipali: la polizia o istruzione preparatoria : la giustizia o istruzione definitiva. Sotto il nome generale di afriati di polizia sono compresi i giudici di pace e gli ‘ufizali di giandarmeria;; ma non altri, perchè si vuole che la vigilanza sia attiva senza degenerare in inquisizione. i Ricevere doglianze o denunzie civiche ,. redigere processi verbali col concorso di due notabili, sentire gl’ imputati e i testimoni , tali sono le funzioni comuni ai giudici di pace e agli ufiziali di giandarmeria . L’ ultima non può essere esercitata da questi se non in caso di fla- grante delitto. Nulla vi è di tanto lontano, osserva l'istruzione, dal- le forme oscure e perfide della delazione, quanto la de- nunzia civica : ma questa non prende il carattere gene- roso che la distingue, e non diventa una vera denunzia civica, se non per la fermezza del denunziatore, allorchè ei consente a dichiarare , sulla requisizione dell’ officiale di polizia, ch’ egli è pronto a firmare e a giurare la sua denunzia, e che vuol dar cauzione di perseguirla .. Per questo passo autentico il denunziatore impone all’ ofti- ciale di polizia la necessità di dare sfogo alla denunzia , e di sentire i testimoni che li saranno indicati. La desistenza dalla doglianza nelle 24 ore distrug- ge l’azione individuale , non già la pubblica quando ha luogo. L' imapatato ; designato il più chiaramente che sarà possibile, è citato, a comparire davabti il giudice di pace del luogo del delitto in virtù di un mandato d’ accompa- gnatura firmato e sigillato dall’ ofliciale di polizia, e por- tato o da uscieri della giudicatura di pace o da. gian- darmi. In caso di flagrante delitto, ogni depositario della 49 ‘forza pubblica, ed anco ogni cittadino , deve arrestare il | colpevole. Tutte le misure tutelari sul modo e sulla dilazione per l’ interrogatorio , ‘sul ritenersi l’ imputato o rilasciarsi con cauzione, sono determinate dalla costituzione. L' interrogatorio, dell’ imputato firmato da lui me- desimo e dal giudice ,, è unito alle dichiarazioni dei te- stimoni e vai, processi ‘verbali del: corpo del delitto. La riunione di queste carte completa y istruzione di polizia , e.prepara l’ istruzione i pig Ecco come ne son re- pi le forme. Quando l’ imputato | è, pin ‘condotto nella casa. d’ iabaio del distretto e. il processo rimesso :al cancelliere del.tribunale dall’ officiale incaricato dell’ esecuzione del mandato d'arresto, la società ha prese le sue sicurezze con - Itrò l';apparenza del delitto; d'allora in poi tutte le prote- ohioni dell’ umanità son dovute alla possibilità dell’ inno- cenza. In primo luogo, l’ imputato deve esser depositato, now;nelle case di giustizia, o nelle prigioni, ma in una Semplice casa. di, custodia; nov dl-primo dovere, del giudice di turno del tribunale «di distretto che/adempie la funzioni dì direttore del giu- lè di sentire, al più tardi nelle 24 ore, Vimputato, e di ‘esaminare sé il delitto porta pena afflittiva o infamante , perchè! il questo; caso..solo .è necessario il ministero dei giurati; ei stende di tale, atto un processo, verbale conte- ‘nente ile dichiarazioni . libere dell’ imputato; le quali non devono essere imbarazzate da veruna domanda ca- ‘ pZiosa.'» } ‘ È è î * : 4 -b33i7 Nelle ventiquattro ore, dall’ esame, delle carte quan- vrdoiponivi. è parte dolente , o due giorni dopo quando qualcuna se n’ è presentata , il direttore del; giurì aduna vil tribunale per decidere a porta chiusa , se l’ imputato , presente; 0 contumace , deve esser At al giurà; In iloh TX. Giugno | Ia! 80 caso di affermativa, stende l’ atto di accusa, o solo, 0 col concorso del dolente : e se non sono d’ accordo , ciascuno può redigere il suo. I processi verbali, se ne sono stati fatti per porre in essere il corpo del delitto , debbono es- servi uniti sotto pena di nullità. Quest’ atto, con tutte le carte del processo, è co- municato prima di tutto al commissario del re, il quale lo esamina, e scrive in calce dell’ accusa Za Zegge auto- rizza, 0 la Legge inibisce. Il tribunale pronunzia ‘sull’ opposizione. Se è am- messa, il che ha luogo quando il delitto non è di natura tale da meritar pena afflittiva o infamante, l’ atto d’ ac- cusa è annullato, e l'imputato è posto in libertà , salvo a esser processato correzionalmente, se vi è luogo, e salvo alle parti a provvedersi in via civile se lo crederanno. Se l'opposizione non è fatta, oppure è rigettata, l’af- fare è sottoposto a un giurì d’ accusa formato nel modo seguente : ) Ogni tre mesi, il procurator sindaco di ciascun di- stretto ( tutti gli amministratori erano allora eletti dal popolo) forma una fista di 30 cittadini del distretto aventi le qualità richieste per essere elettori. Allora bastava, per entrare fra gli elettori , di essere , nelle grandi città, pro- prietario o usufruttuario di uno stabile la cui rendita fosse eguale al valor locale di 200 giornate di lavoro, o locatario d’una abitazione di una rendita di 150. gior- nate: nelle piccole città e nelle campagne serviva aver meno. Il direttorio del distretto esamina questa lista e l’ap- prova : un esemplare n’ è rimesso a ciascuno dei citta- dini che la compongono, con designazione del giorno in cui s’ adunerà il giurì. Otto giorni prima di quest’ assemblea il direttor del giurì fa porre in un’ urna ì nomi di questi 30 cilta- dini, e in presenza del pubblico e del commissario del re e” Li 51 fa estrarre a sorte i nomi di 8 cittadini, i quali com- porranno il ruolo del giuri d’ accusa. I giurati , designati in questa guisa dalla sorte, sono avvisati quattro giorni avanti. Quelli che si assentano dall’ assemblea senza causa legittima sono privati del diritto d'’ eligibilità e di suffragio per due anni, condannati a 3o franchi di multa, e rimpiazzati da altri presi nella lista dei 30; e all’occorrenza, fra gli altri cittadini che riuni- scano le qualità elettorali. Il direttore del giurì fa prestare agli otto giurati , in presenza del commissario del re, il giuramento seguente. «Cittadini, voi giurate e promettete di esaminar con atten- zione i testimoni e i documenti che vi saranno presen- tati, e di mantenere il segreto. Voi vi spiegherete con lealtà sull’ atto d'accusa che vi è presentato; non segui- terete nè i movimenti dell’ odio e della malignità , nè quelli del timore o dell’ affezione; » ciascuno risponde : « lo giuro ». Se sopravvengono nuovi testimoni che non siano stati sentiti , il direttore del giurì riceve segretamente. le loro dichiarazioni, e le fa scrivere dal cancelliere del tri- bunale , come semplici appunti. In seguito tutti i testi- moni depongono verbalmente davanti il giurì. Ciò fatto, tutte le carte , eccettuate le dichiarazioni dei testimoni, sono rimesse ai giurati , i quali si ritirano nella loro camera , e deliberano sotto la presidenza del più anziano d’ età. L’ istruzione li avverte. « che non devono giudicare se l'imputato è colpevole o no, ma so- lamente se il delitto che li è apposto è di natura tale da meritare l’ istruzione di una processura criminale, e se vi sono già prove sufficienti in appoggio dell’accusa » . I giurati decidono a maggioranza di voti. La loro decisione è espressa da una delle seguenti formule, posta in calce dell'atto d’accusa: La dichiarazione del giurì è : i 5a ) si, vi è luogo, o no, non vi è luogo ». E se l’ accusa benchè fondata, sembra loro mal motivata, « mon vi è Luogo alla presente accusa ». In questo caso il direttore del giurì redige un nuovo atto di accusa , sente una se- conda volta i testimoni, e aduna di nuovo il giurì. La dichiarazione dei giurati è rimessa in loro pre- senza al direttore del giurì. Questi, se la dichiarazione è favorevole , ordina immediatamente che sia posto in li- bertà l’imputato , il quale non può esser più ricercato per lo stesso fatto, salvo il caso in cui per nuovi riscontri sia presentato un nuovo atto di accusa . Se è contraria , l accusato, in virtù di un’ ordinanza di cattura rilasciata dal direttore del giurì, è sottoposto al giurì di giudizio , 0 davanti il tribunale criminale del dipartimento 0, in caso d’ozione per parte sua s’ egli è domiciliato nel di- stretto dove risiede quel tribunale , davanti uno dei tri- bunali criminali dei dipartimenti piu vicini. I contumaci arrestati dopo ammessa l’ accusa di- chiarano la loro ozione davanti il giudice di pace del luogo del loro arresto. I tribunali criminali di dipartimento sono soli inea- ricati di giudicare gli affari criminali secondo ‘la deci- sione dei giurì di giudizio. Il presidente è speciale, e lo è egualmeute 1’ accusa- tor pubblico. Tutti e due sono nominati dagli elettori del dipartimento per sei anni, dopo i quali possono esser rieletti. I giudici, in numero di tre, sono quelli gel tri- bunale di distretto , chiamati per trimestre e per turno sulla designazione del direttorio di dipartimento |’ Il presidente, oltre le sue funzioni di giudice, è per- sonalmente incaricato d’ udire l’accusato nel momento del suo arrivo, di fare estrarre a sorte i giurati, di convo- carli, di dirigerli nell’ esercizio del lor ministero, di con- durre, e. di riepilogare i dibattimenti, e finalmente di 4 tini osèocetaittniin n 53 esporre ai giurati i doveri i quali devono adempire. Tut- te queste attribuzioni fanno di lui il personaggio più im- portante della causa. Il dovere dell’ accusator pubblico è di sostenere o di abbandonar l’ accusa secondo i lumi acquistati dall’ istruzione del processo. Egli ha la vigilanza, la censura, e all’ occorrenza 1’ azion legale su tutti gli officiali di po- lizia del dipartimento. Il giurì di giudizio non si forma come quello di ac- cusa, benchè sia composto di cittadini i quali riuniscano le stesse condizioni di eligibilità. Ogni cittadino che pos- segga le condizioni elettorali dee farsi scrivere nell’ ulti- mo mese di ogni anno sul registro del giurì del suo di- stretto, sotto pena di esser privato dei suoi diritti di elettore e d’ eligibile a tutte le nomine che avranno luo- go nell’anno susseguente. I settuagenari possono astenersi da questa inscrizione : la legge n° esenta i magistrati da lei designati. Copia dei registri dei distretti è rimessa al procura- tor generale sindaco del dipartimento . Le municipalità ricevono ancor esse copia del registro del loro respettivo distretto. Su questi registri il procurator generale sin- daco del dipartimento forma ogni tre mesi una lista di 200 giurati di giudizio , la quale, dopo essere stata ap- provata dal direttore del dipartimento, è stampata e ri- messa a tutti quelli che la compongono. Secondo questa lista trimestrale il presidente del tribunal criminale forma il primo giorno d’ogni mese la tabella dei giurati di giudizio , in presenza di due of- ficiali municipali, ai quali fà prestar giuramento di con- servare il segreto. L’accusator pubblico ha la facoltà di escludere peren- toriamente 20 cittadini sui 200. Gli altri nomi son posti nell’urna, e ne sono estratti a sorte 15, dei quali i pri- mi 12 formano il ruolo del giurì, e i tre altri sono ad 54 essi aggiunti pel caso di che sarà parlato in appresso. L’accusato può; ancor’esso senza addur motivi ri- cusare fino a venti giurati, i quali sono successivamente rimpiazzati per via della sorte. Esaurito questo numero , è obbligato a motivare le sue ricuse , delle quali il tribu- nale giudica la validità. Quando vi sono più accusati, si concertano fra loro per le ricuse, e se non possono accor- darsi, ciascuno di essi può ricusare separatamente 10 giurati. L’assisa si apre il 15 d’ogni mese. I giurati assenti sono rimpiazzati con un’estrazione a sorte sulla lista dei 200, e sussidiariamente fra gli eligibili. Se la loro as- senza non ha una valida scusa, il tribunale applica loro le pene determinate dalla legge. L’accusato, condotto nella casa di giustizia, è inter- rogato dal presidente in presenza dell’ accusator pubblico e del commissario del re nelle 24 ore al più tardi. Il cancelliere prende nota delle sue risposte. L’ accusato può scegliere uno o due amici per difen- sori, altrimenti il presidente gliene assegna uno d’ufizio. I difensori prestano giuramento davanti il tribunale di non impiegare che la verità nella difesa dell’accusato , e di comportarsi con decenza e moderazione. Il giudizio ha luogo alla prima adunanza del giurì, se il tribunale non ‘erede necessario di prorogarlo fino alla riunione del mese susseguente. Avanti la riunione del giurì un. giudice sen- te i nuovi testimoni che potessero sopravvenire , e le loro deposizioni sono comunicate all’ accusato. Il giorno dell’ adunanza i giurati e gli aggiunti sono introdotti all’ udienza pubblica , ove sono i giudici , l’ ac- cusator pubblico , il commissario del re , e l’accusato. Il presidente fa prestare a ciascun giurato il giuramento con questa formula « Cittadini, voi giurate e promettete d’esa- minare con la più scrupolosa attenzione gli addebiti pre- sentati contro . .....di non parlarne con chi si sia 55 prima della vostra dichiarazione, di decidervi dietro le testimonianze e secondo la vostra coscienza e il vostro intimo e profondo convincimento, con l’imparzialità e con la fermezza che convengono a un uomo libero». Ogni giurato risponde: « Lo giuro ». Gli aggiunti non prestano giuramento , se non quando son ricercati d’ entrare in funzione. L’accusato comparisce alla barra libero e senza ferri. Il presidente li dice che può sedere , li domanda i suoi nomi, età, professione e dimora, e il cancelliere prende nota delle sue risposte. Il presidente avverte in seguito l’accusato d’ essere attento a tutto quello che è per sentire. L’ atto d’ accusa è letto dal cancelliere. I testimoni, la lista dei quali è stata notificata all’ accusato da 24 ore per lo meno, e che si sono ritirati dopo la lettura dell’atto d’accusa, sono successivamente chiamati e sentiti. Ciascuno di essi pre- sta giuramento di parlare senz’ odio e senza timore, di dire la verità, nient’ altro che la verità. L’accusato e i suoi difensori, egualmentechè 1’ accusator pubblico , possono dire tanto contro i testimoni personalmente , quanto contro la loro testimonianza, tutto quello che giudicano utile alla causa. È ugualmente libero all’accusa- tor pubblico, ai giurati e al presidente di domandare al testimoni e all’ accusato tutti li schiarimenti dei qua» li credono aver bisogno. I testimoni evidentemente falsi possono essere immediatamente arrestati sì per ordine del presidente che alla richiesta delle parti. | Tutti i coaccusati son compresi nello stesso atto di accusa e giudicati insieme. Ma si fa un dibattimento speciale per ciascuno di loro sulle circostanze che sono ad esso particolari. I dibattimenti non sono scritti. I giudici e i giurati possono prendere semplici note, senza che la discussione ne sia interrotta. Il commissario del re può ad ogni ì P 56 | RE punto dell’ istruzione fare ai giudici, a nome della legge, tutte le requisizioni che crede convenienti, e glien’ è dato atto. Il tribunale può passar” oltre , salvo al commissario del re a provvedersi i in cassazione. Sentiti tutti i testimoni, è dichiarati dal presidente chiusi i dibattimenti, l’ accusatore e la parte dolente, se ve n'è una, spiegano gli argomenti coi quali pretendo- no Malt accusa. L’ accusato o i suoi difensori ri- spondono. I primi possono replicare, ma la ‘parola resta sempre in ultimo luogo all’ accusato. In seguito di ciò , il presidente fa un epilogo dell’ affare , e lo riduce ai suoi punti i più semplici. Fa osservare ai giurati le principali prove prodotte in' favore o contro l’accusato. « Questo epilogo , dice l'istruzione, è destinato a illuminare il giurì, a fissare la sua attenzione, a-guidare il suo giudizio, ma non deve inceppare la sua libertà ». Il presidente pone in seguito le questioni da risol- versi, e i giurati si ritirano nella loro camera, ove restano fino alla loro decisione senza poter comunicare con nes- suno. Il primo inscritto sul ruolo per ordine di estrazione è il loro capo. Tutte le carte son loro rimesse, eccettuate le dichia - razioni scritte dei testimoni, le quali non erano destinate che a servire di norma pel corso dei dibattimenti. I giudici decidono prima se il fatto è certo; poi se l’accusato n° è convinto ; poi con quali circostanze aggra- vanti o attenuanti ; poi finalmente se è scusabile. Esauri- ta tutta questa serie di questioni , passano nella camera del consiglio , ove uno dei giudici , assistito dal commis- sario del re e dal giurì, riceve le loro dichiarazioni verbali. Sono necessari 10 voti su 12 in ciascuna questione per condannare. Allora ognuno va a riprendere il suo posto all’udien- za, e il capo dei giurati, alzandosi, pronunzia in nome loro la dichiarazione con questi termini. « Sul mio onore e 57 sulla mia coscienza la dichiarazione del giurì è ... » . Il cancelliere riceve e scrive questa dichiarazione, la quale è firmata da lui e dal presidente. L'accusato è richiamato per ascoltarla. Se è favorevole , il presidente lo fà mette- re immediatamente in libertà, salvo all’ accusator pubbli- co a provocar di nuovo il suo arresto, se dalle dichiarazioni: dei testimoni è stato MISERA di un altro fatto. Se la dichiarazione del giurì è contraria , il commissario del re richiede l'esecuzione della legge; perchè le decisioni del giurì sono senza appello. Nel caso in cui la dichiarazione contro l’ accusato sembrasse ai giudici visibilmente erronea a danno del medesimo, il tribunale può ordinare che i tre giurati aggiunti, i quali hanno assistito a tutta l’istruzione, si uni- scano ai 12 che hanno dichiarato; allora vi bisognano 12 voti su 15 acciò la condanna sia mantenuta. Il presidente domanda al condannato se ha nulla da dire in sua difesa, e la difesa allora non può più aggirarsi se non sul carattere del delitto , o sull’applicazione della pena. I giudici opinano , e il presidente pronunzia la sentenza dopo aver letto il testo della legge sul quale è fondata. La sentenza è eseguita dopo tre giorni , se non vi è ricorso in cassazione, o per nullità pronunziate dalla legge nella procedura o nella sentenza , o per mala applicazio- ne della legge. Se la sentenza è cassata , l’affare è rimesso ad un altro tribunale , il quale, in caso di violazione di legge giudica sulla dichiarazione già emessa dal giurì; in caso di violazione di forma ricomincia l’istruzione davanti un nuovo giurì. Questa seconda sentenza può essere attac- cata come la prima col ricorso in cassazione . | Quanto ai contumaci , la procedura ha alcune forme particolari le quali ometteremo per brevità in questo estratto , egualmente che quelle pei casi di falsità. Ecco la serie delle forme tutelari che quell’assem- blea aveva sostituite agli antichi tenebrosi processi. 58 Ma il genio del male sorse a contaminare questa san- ta instituzione. Un tribunale straordinario fu: stabilito a Parigi pei delitti di stato : fu discusso se vi dovevano esser. giurati, e vi furon posti; ma non furono eletti dai dipar- timenti , perchè la convenzione non volle questa potenza rivale, e volle sceglierli ella medesima. Per timore poi che qualcuno dei giurati non volesse emancipare il suo voto dalla tirannia feroce della fazione dominante, fu decre- tato che avrebbero opinato ad alta voce , alla semplice pluralità dei suffragi; e fu stabilito di più che non avreb- be potuto esercitarsi veruna ricusa perentoria. In principio , l’accusator pubblico non poteva per- seguitare alcuno se non in virtù d’ un decreto d’ accusa ; ma la passione non tardò ad irritarsi di questo leggiero ostacolo: e il 7 aprile 1793 fu decretato che dovesse ba- stare la denunzia d’ un’ autorità costituita , o anche quel- la d’un semplice cittadino: e finalmente per soffogare anco le grida delle vittime un decreto del 29. ottobre, imponendo al tribunale il nome di rivoluzionario co- mandò ai giudici di chiudere ogni procedura ed istruzione dal momento in cui ì giurati avessero dichiarato ch’eran rimasti convinti. È importante di rilevare che quasi tutti gli autori di quest’ orrendo tribunale ne furono presto le vittime , mentre i pochi oppositori, fra i quali non deve dimenti- carsi il coraggioso Lanjuinais, godono il rispetto dell’Euro- pa e l’amore del loro paese. Distrutta la tirannia dei terroristi, la costituzione del 17995 ristabili le forme protettrici decretate dall’ assem- blea costituente. Dal 18 brumale in poi non è stato conservato del giurì altro che il nome, e le forme dei giudizi criminali sono ora completamente illusorie. Ecco terminato il nostro lavoro. Il desiderio della 59 brevità ci ha obbligati a sopprimere molte cose importanti che si trovano nel libro che abbiamo annunziato, il quale potrà esser consultato da chi vuol conoscere la materia più a fondo; imperocchè noi ci eravamo soltanto proposti di estrarre da quel libro un quadro storico che ci mostras- se la concatenazione e la filiazione di un sistema di giudi- zi criminali totalmente difforme da quello d’ una gran parte dei paesi dell’ Europa moderna. Hanno ragione o torto questi paesi di rigettarlo dai loro ordinamenti giudiciari? Questione delicata, dalla quale ci asterremo , massime in questo luogo , dopo l’ec- cessiva lunghezza del presente articolo. Osserveremo solamente che, qualunque siano le particolarità delle forme estrinseche di cui sì fatta insti- tuzione è vestita , le quali non ne costituiscono però la sostanza, e possono essere migliorate e perfezionate , e sopra tutto anco modificate a seconda delle locali abitu- dini; quel principio che sottopone la sorte degli accusati al giudizio di persone in certo modo di loro scelta mercè le libere ricuse che sono ad essi concesse; che per la ruo- tazione continua di sì importanti funzioni fra i cittadini assuefà questi giudici del fatto a curare sommamente la salvezza comune nello ‘stesso tempo che conserva ad essi quella flessibilità alla compassione che a poco a poco si sminuisce e si perde per l’ordinario coll’ abitudine di giudicare e di condannare; non può riguardarsi che co- me un principio salutare : mentre dall’altro canto quella savia mistura della logica naturale, dote d’ogni uomo suffi- cientemente educato, colla dottrina e coll’esperienza d’un magistrato illuminato e profondo , il quale dopo le con- tradittorie osservazioni del ministero pubblico e dei di- fensori, riepilogando tutto e tutto richiamando ai principi, e presentando ogni questione da risolversi nel suo vero punto di vista , serve di face al loro intelletto, e di guida all’esercizio del lor raziocinio ; questa eccellente mistura 60 può rassicurare un legislatore, quanto nelle cose umane è possibile, dal timore che l’ ignoranza dei giurati trascini la lorò coscienza in qualche errore involontario. Il fatto ha mostrato che dovunque cotal sistema è stato novellamente introdotto, anco nei paesi meno culti, ha presentato fin da principio favorevoli resultati. Nel vol. IV del nostro Giornale pag. 427 e segg: ab- biamo posta l’ istoria del nascimento e dei progressi della colonia di Sierra-Leone, estratta dall’ opera del sig. Peuchet continuatore dell’ istoria dell’ab. Raynal. Alla fine del li- bro del sig. Aignan troviamo una lettera del sig. Macaulay, antico governatore di questa colonia, al sig.Gregoire, il qua- le ne lo avea ricercato alla preghiera del N. A. La lettera è datata da Londra, 29 Gennaio 1822. « Ho la consolazione di dovervi dire ( scrive il sig. Macaulay ) che il giurì, tal quale è in Inghilterra, esiste a Sierra-Leone fin dal primo anno dello stabilimento di questa Colonia , e mi glorio d’ aver data ‘io la prima im- pulsione a questa instituzione , la quale sussiste fino al presente senza interruzione e senza inconveniente ». « I giurati sono scelti fra gli abitanti senza distinzio- ne di colore. Chiunque possiede un fondo di terra, una casa o una certa entrata è eligibile. Spesso io ho ammini- strata la giustizia come giudice in cause nelle quali tutti i giurati erano negri, e la loro intelligenza , la loro condot- ta, le loro decisioni mi hanno perfettamente soddisfatto ». « Peraltro i giurì sono in generale composti di tre 0 quattro bianchi, e di otto o nove negri; e questa mesco- lanza non risulta da un piano determinato, ma dalle combinazioni per le quali ciascuno per turno è chiamato alle funzioni di giurato , il che porta la proporzione ap- prossimativa della quale ho parlato. Con questo sistema i negri non possono concepire verun sospetto di parzialità nè d’ ingiustizia nei giudizi che interessano le proprietà e la vita degl’ individui » . 61 Presso i popoli di vecchia creazione non potrebbero risentirsi eguali se non maggiori vantaggi dall’ adozione dello stesso sistema ? Non metterebbe il conto di farne almeno qualche saggio sperimentale ? Il grado di espansio- ne che potesse avere acquistato la'cultura dello spirito in un paese , non potrebbe servire intanto di misura: per. la latitudine da darsi alla base dell’ eligibilità ? Lasciando questa materia; e riserbando le riflessioni ad altra occasione, ci lusinghiamo che non sarà disgrade- vole ai nostri lettori il vedere qui riportato il racconto di un fatto celebre negli annali del foro inglese. Una combi- nazione singolarissima di circostanze fece sì che un inno- cente , a dispetto di tutte le apparenze che: lo condarina- vano, trovasse ‘inaspettamente la sua salute ‘nella sola disposizione della legge che vuole in quel: paese. 1’ unani- mità dei 12 giurati per dichiarare un accusato convinto del delitto imputatoli.. ! I fatti di questo ‘genere non mancano mai di diven- tar soggetto di gravi riflessioni 'pel filantropo. Una'raccol- îa degli errori giudiciari che ci son conosciuti; ‘accompa- gnata dalla ricerca acclirata delle cause che.li hanno pro- dotti, fornirebbe materiali preziosi al perfezionamento della teoria delle prove nei giudizi criminali. IL’ esperienza corregge gli errori umani; essa.ci avvicina allà più: esatta risoluzione di quei prebleini che formano lo:studio della scienza sociale : e l’esperienza si compone di fatti è d’ os- servazioni. Coloro poiche ‘pensano non ‘doversi ;condan- nare se non all’unanimità dei suffragi,. troveranno nel fatto che siamo per raccontare un argomento potente, a sostegno del lor principio. È una gramraecomanidazione, a favore d’ un sistema che si difende, il poter. rammentare che una volta ha salvato la vita ad un infelice, il | quale senza di esso sarebbe stato irigiustamente sacrificato al. l’imperfezione delle umane cognizioni, 62 î Sotto il regno d’ Elisabetta un inglese fu accusato d’avere assassinato un suo vicino. Il primo testimone deponeva; che tai vananda un campo allo spuntar dell'aurora avea veduto a qualche distanza dalla strada un uomo disteso in terra che pa- reva morto o ubriaco ; che avvicinatosi lo trovò morto, traforato da due ferite nel petto, e coll’abito e. camicia insanguinati; che all’ ispezione. delle due ferite avea giudicato che erano state fatte. con una forca; che avendo gettato gli occhi all’intorno del cadavere vi.avea veduta una forca marcata colle lettere iniziali del nome dell’ ac- cusato: Questo testimone portò nel. tempo stesso la forca , e l’ accusato la riconobbe. La deposizione del secondo testimone era più grave. Diceva esso ché la mattina del giorno stesso della morte di questo vicino, essendosi. alzato di buonissim’ ora. con intenzione d’ andare in un borgo poco discosto, avea vedu- to l’accusato vestito d’ un certo abito di panno ; che non avendo poi.potuto porsi in viaggio, e avendo sentito dire dal primo testimone che avea trovato il vicino assassina - to, ‘e la forca dell’accusato allato a lui, erano andati ambedue a prendere l’omicida; e l’avean condotto avanti il giudice di pace. Questo secondo testimone aggiungeva, che avendo esaminato da. vicino quest’ uomo in tempo ch’ei:subiva l’interrogatorio, si era accorto ch'ei non aveva più l’abito medesimo che portava la mattina prima che l'omicidio fosse accaduto; che questa circostanza avendo- li fatto impressione, ed essendo sorpreso dell’ imbarazzo dell’accusato e delle sue negative, era andato per ordine del giudice nella casa di quest'uomo , e quivi, dopo lun- ghe ricerche; avea finalmente trovato quello stesso abito che l’ accusato aveva in dosso pochi momenti prima del- l’ uccisione , nascosto nel pagliaccio del suo letto , e tutto insanguinato. / 63 Il terzo testimone assicurava che avea inteso il pri- gioniero qualche giorno avanti quest’omicidio minacciare quell’ infelice che era stato ucciso. Queste deposizioni erano fortissime , e la difesa del- l’ accusato era tale da non indebolirle. Ei si contentò di dire con quel sangue freddo che è naturale agli scellerati , esser vero che era insorta una viva disputa tra lui e que- st’ uomo, che avevano ciascuno un campo nella stessa par- rocchia, sì vicino l’ uno all’altro, che per andare in quello dell’ uno bisognava necessariamente traversar quello del- l’altro. « Il giorno della sua morte , aggiungeva, io andava di gran mattino al mio campo, portando meco la mia forca: a qualche passo dalla strada veddi un uomo steso per terra ed immobile, come se fosse stato morto o ubriaco: mi credetti obbligato in coscienza ad accostarmivi per darli o offrirli soccorso: mi accostai difatto, e rimasi inorridito in vedere il mio vicino all’ agonia e natante nel suo sangue , il quale usciva in gran copia dalle due enormi ferite che avea nel petto. Lo sollevai, e mi sforzai di soccorrerlo: li feci conoscere tutto il dolore da cui ero penetrato, e lo sollecitai a dirmi chi erano stati i suoi aggressori: parve insensibile all'interesse che io prendeva alla sua crudele situazione; volle parlarmi, ma non potè pronunziare una sillaba : finalmente dopo ‘aver lottato qualche momento contro la morte , gettò un gemito orri- bile, vomitò un torrente di sangue da cui rimasi inon- dato, e spirò. Previdi allora, continuò l’accusato, che i sospetti si sarebber rivolti contro di me, perchè ‘sapeva che non ignoravasi , nè la nostra disputa antecedente, nè le minacce che ci eravamo fatti scambievolmente: pieno di quest'idea, mi allontanai così velocemente; come se fossi stato veramente l’ omicida ; e nel turbamento in cui gettavami tal funesta avventura; presi la sua forca invece della mia ch’ io lasciai appresso al cadavere: essendo ob- bligato di passare il resto della giornata nel mio campo , 64 ritornai precipitosamente a casa per cangiar d’abito, per timore che il sangue di cui ero. coperto (non, deponesse contro di me; e nascosi il mio. vestito dentro il. pagliaccio del mio letto. Negai in seguito.avanti il giudice di pace di aver mai portato in quel giorno altro abito che quello che avevo allora in dosso; ma questa negativa era effetto - di quel timore medesimo, che.mi avea fatto lasciare que- ste vesti insanguinate. Tale è. la verità, disse, l’accusato «terminando tale è la verità in tutte le. sue circostanze ; - di tutto quello .che è accaduto , per ciò.che mi riguarda, il giorno di-questa orribile scena. Io non dico nulla di ‘falso!, ma.confesso che non posso provar nulla, di quello ‘che avanzo. Colpevole in apparenza, innocente in realtà, non ho altri testimoni che Dio e.la mia innocenza.» Ogni scellerato chiama Dio fin, testimone, della sua innocenza! :. perciò queste, invocazioni.,non sogliono. far colpo quando i.riscontri, del, delitto non, sono allesgeriti ‘ 0' distrutti; da riscontri. contrari... Il: presidente della. seduta, pet ‘era. Îva raba Capo : Giustiziero della corte dei Rivodiicaotogili nella sua recapi - tolazione fece-rilevare l’ enormità del delitto, la; scellera- tezza; dell’ assassino, (e il cumulo delle prove. Ei terminò i dicendo rai giurati; sfata non: -doveano trovar. diflicoltà. a v giudicarlo.con. tutto;il;rigore. ; ;d.ll: I giurati: sì chiusero peri deliberare. Ri erano! riuniti - la mattina; e.alle nove«ore: di, sera. non si erano, ancora sciolti..Sorpreso! il.capo;del tribunale: di;tanta lentezza in affare Prendendo il grano; pet; misura: del :salario i il signor Barton non ignorava!,; che il povero nén cambia» tutto il suo lavoro.in. grano. « È cosa difficilissima ; ‘egli. dice:;\il misurare con esattezza la perdita: fatta dal ‘povero; “A chè le diverse merci crebbero di prezzo in proporzioni diverse .. Mentre, per modo d’. esempio; il pane! si. vende (1820). tre: volte. più che. non si. vendeva. a’ tempi» di Giorgio II, gli oggetti sui quali gravitano'le impostentin- carirono assai più; quadruplicato è-.il.prezzo della;birhare quintuplicato quello del ssale,, ma gli .oggetti;lavorate gli abiti in specie , pon ebbero pra un.\accrescimento «del ;;50 per; 100 a cagione del, «perfezionaniento; ;dell’‘abilità;;e del più esteso uso delle macchine Ad. ogni modo! l'alimento complessivamente preso, gosta ;tre, [volte piùall’ incirea di quanto si pagava alla metà del secolo, ‘passato iosid quel torno, mentre gli stipendi valutati: ‘a danaro, nor» fecero che raddoppiare di prezzo. ;Quindi.l' operaio!che «sembra aver guadagnato il. cento per;cento sul suo salario,» ha-ef- fettivamente perduto il,33,:per..100 cambiando il Suo sa- lario con ciò che gli abbisogna» «i: 00 pinbgoti. Il costante abbassamento del. prezzo del;.lavoro nel più ricco e più industrioso paese! dell’ Europa; in un ipaese che per, l’infinita quantità, delle produzioni;e per l’esten- sione del suo commercio; esercita una decisa influenza sui mercati di tutti gli altri popoli, in un paese, finalmente che fu il primo ad adottare e costantemente /seguì,.il,.si- stema, di economia politica che tutti abbiamo ; preso da Ini, e che quindi ci mostra dove giugneremo , è, forse il aa. 11}: fatto più.spaventoso che ancora ci offra la storia. Il signor Barton ‘he, deduce diverse ‘importanti conseguenze ; nè questa; ‘sono le sole che ‘potrebbero dedursi. + Dopo» l’ istante in: cui scrisse il signor Barton; altre 0 A rapidamente abbassare il prezzo del grano, di modo che la proporzione dei. salari da lui stabilita si troverà oggi assai lontana dal vero, ed il male de’ giorna- lieri.inglesi è momentaneamente sospeso dalla ruina de- gli affittaiuoli. Ad. ogni.modo una classe della società non può.trovare durevole vantaggio nella ruina di0un’ altra classe;;. ed.il. patimento attuale dell’ agricoltura deviò bensì il flagello segnalato dal signor Barton, ma non lo fece cessare. Quando dal 1742al 1808 un. quarter di gra- no.era salito dai 30 scellini agli 86. scellini, 8 d., non era cresciuto il prezzo del grano , ma .scemato il valore del danaro; quando a questi dì ricadde sotto ai 6o scelli- nì, fu in parte il danaro che diventò più caro, ed in parte. il, grano, che non trovando compratori, cadde al di sotto del suo prezzo. Una strana combinazione di circostanze, che fa me- raviglia come non sia stata meglio avvertita, segnalò po- chi mesi sono la miseria del popolo che non riceve. sol- lievo dall’ abbondanza delle derrate. In una medesima adunanza del parlamento. britannico ‘tenuta il 29 Aprile del.1322,. sir E. Obrien annunziò, che un millione e mezzo di contadini irlandesi , in tutta la. parte meridio- nale dell’ Irlanda, trovavansi senza vettovaglie, e privi di ogni mezzo di procurarsene ne’ quattro susseguenti mesi ; e lord Londondery propose di provvedere alle angustie degli affittaiuoli inglesi sopraggravati di una enorme quantità di grano che non potevano vendere, prestando loro su que- sto grano; che darebbero in. pegno, un millione di lire sterline. Nello stesso tempo sulle due coste di.un canale che agevola tutti i trasporti, vedevasi la stessa angustia, qui! cagionata: dalla carestia, colà. dall’ abbondanza. Il 118: grano che il nobile pari, con'una figura un poco; irlande- se, chiamò /’ ansima dell’agricoltura, era invocato da tanti infelici affamati,iquali in due giorni avrebbero potuto ve- derlo approdare alle loro spiaggie quasi senza spesa. Ma il salario de’ giornalieri irlandesi è tanto meschino, che non potrebbero quegl’ infelici fare acquisto di grani quand’ ancora dall’ affittaiuolo inglese fosse venduto per la metà del prezzo; e sebbene il governo abbia proposto di aiu- tare contemporaneamente e gli uni e gli altri, sembra che nè pure abbia pensato a mandare a coloro che muoiono di fame quel grano, di cui vorrebbero sbarrazzarsi gli af- fittaiuoli. L’ osservazione altrettanto essenziale che affligente dello svilimento del prezzo del lavoro, pose il signor Bar- ton in su la via di avvertire certi errori, in cui erano ca- duti i più celebri economisti. a È un'opinione ricevuta dagli economisti, egli dice, che la ricerca del lavoro viene regolata in ogni paese dal- la ricchezza nazionale ; che la tariffa comune de’ salari dipende dal più o meno rapido accrescimento di questa ricchezza; e che la tariffa de’ salari regola i progressi della popolazione » . Dimostra con molte citazioni essere ve- ramente questa la dottrina degli economisti, e passa in seguito a dimostrare , che non va d° accordo colla storia : che in Inghilterra la popolazione andò scemando ne’tem- pi di Enrico VII e di Enrico VIII, ( dal 1485 al 1547); che rapidamente crebbe sotto Elisabetta ( dal 1558 al 1603 ) ; che fu quasi stazionaria da quell’ epoca fino alla metà dell’ultimo secolo, e segnatamente dal 1688 al 1754, il più felice periodo che abbia avuto l’ Inghilterra ; che dopo quest’ epoca cominciò a crescere con una tale ma- ravigliosa rapidità, che presso a poco raddoppiò durante il regno di Giorgio II. Ravvicinando questi calcoli alla tavola de’ salari vedesi, non senza sorpresa, essere appunto nelle epoche 319 delle sue maggiori angustie, che la opbae più rapi- damente s’ accrebbe. Ma effettivamente 1’ aumento della ricchezza , cioè de’ capitali che sono in mano dei ricchi, dovrà produrre il necessario effetto di alzare gli stipendi, di diffondere maggiore agiatezza tra le classi povere, e quindi di porli in miglior stato di moltiplicare ? Il signor Barton sì fa da prima ad osservare , che se i manifattori quando raddop- piano i loro capitali volessero ancora raddoppiare i loro lavoranti, dovrebbero molto aspettare avanti di poter im- piegare le loro ricchezze , poichè abbisognano dai 15 ai 25 anni per far nascere e formare un operaio, e che coloro di cui essi abbisognano , lungi dal poter lavorare, non sa- rebbero pur nati entro l’ epoca in cui essi li addomande: ranno. E per tal modo l’accrescimento de’ capitali dell’ industria suole d’ordinario consigliare i padroni ad im- piegare piuttosto nuove macchine che nuovi operai. Non abbisognano loro più settimane per fabbricare una mac- china, che non vi vogliono anni per creare un operaio. L’ aumento della ricchezza fa ribassare la tariffa dell’ in- teresse, e quindi il prezzo delle macchine; la concorrenza farebbe rialzare la mercede degli operai, e quindi rinca- ‘rare il loro lavoro. Finalmente il padrone che vendeva mille pezze di stoffe non essendo sicuro di venderne il doppio facendone lavorare due mila, preferirà di guada- gnare il doppio sulle mille pezze, risparmiando la diffe- renza sul salario degli operai. Ogni aggiunta di capitale , dice il nostro autore , mon mette necessariamente in movimento una quantità di lavoro addizionale. Supponghiamo un caso. Un mani- fattore possiede un capitale di mille lire sterline, ch’ egli impiega nel mantenimento di venti tessitori , pagando a ciascuno 5o lire all'anno. Il suo capitale viene improvvi- samente portato a duemila lire sterline ; non perciò con 120 una doppia forza prende alsuo soldo un doppio. numero di operai, ma impiega 1500 lire a fabbricare una macchi- na , col di cui aiuto cinque uomini fanno precisamente Ru lavoro ch’ era prima fatto da venti. L'accrescimento della sua fortuna gli fa licenziare quindici operai » . « Ma la costruzione ed i ristauri delle sue macchi- ne impiegano altresì un certo numero di braccia . Sia ; e siccome nella nostra supposizione avrebbe spese 1500 lire, si può valutare che in un anno abbia impiegati trent’ uo- mini in ragione di 5o lire. Se la sua macchina deve du- rare quindici anni, ( poche essendo quelle che non durano tanto tempo ) i trenta operai basteranno a far macchine per quindici fabbricatori ; lo che torna lo stesso come se ognuno ne impiegasse continuamente due; supponghia- mone un terzo per le riparazioni, ed avremo cinque tes-, sitori e tre macchinisti che faranno il lavoro di venti tes- sitori ». « Forse con una maggiore entrata , il padrone fab- bricatore potrà pur tenere un maggior numero di servi- tori al suo soldo: vediamo come. Se la sua entrata annua- le era il 10 per cento del suo capitale, aveva in addietro 100 lire; ne avrà adesso 200, e supposto che dia ai suoi servitori la stessa mercede che ai suoi operai, potrà te- nerne due di più. E per tal modo con un capitale di 200 lire ed un’ entrata annuale di 200, manterrà cinque tes- sitori , tre macchinisti e due servitori, in tutto dieci indi- vidui: colla metà del capitale e dell’ entrata ne mantene- va appunto il doppio » . In tal guisa l’ accrescimento de’ capitali addetti all’ industria, invece di accrescere le inchieste degli operai e per conseguenza il loro salario, altro non fece che prodi- giosamente accrescere macchine , coll’ aiuto delle quali furono licenziati molti operai, e diminuito il salario degli altri. Non pertanto la popolazione crebbe appunto in quel- 221 le classi il di cui salario diminuisce, e non solamente crebbe per il maggior numero delle nascite , ma ancora per il minor numero dei morti. Il signor Barton ci som- ministra la prova di questo notabile fatto da lui scoperto, colla seguente Tav. IZ. In tal modo entro lo stesso periodo in cui scemarono i salari de’ giornalieri da 80 a 60 pinte di grano per set- timana , scemò ancora la mortalità tra di loro in ragione di 53,3 a 40,6, lo che fa egualmente un quarto. Il signor Barton ne deduce la conseguenza, che a dispetto delle tante volte replicate asserzioni, che i poveri diventano conti- nuamente più miserabili e più malvagi, il vizio , la mise- ria; o tutti due insieme, diminuirono tra di loro di un quarto negli ultimi quarant’ anni. Non adotteremo per intero questo suo calcolo, sem- brandoci di poter comprendere in qual modo la sanità pubblica abbia fatti avanzamenti neli’ epoca medesima in cui le classi lavoratrici ;erano progressivamente ridotte ad una maggiore indigenza. Devesi accordare alla medi- cina un’ influenza considerabile sulla diminuzione della mortalità. La scoperta dell’ inoculazione, poscia della vac- cinazione , i più energici rimedi adoperati per trattenere l'epidemie, le piùsavie cure accordate all’infanzia, accreb- bero effettivamente per tutti gli uomini le probabilità della vita. Confesso che bisogna una certa quale agiatezza per chiamare il medico , e per eseguire le sue prescrizio- ni; ma mercè i progressi dell’incivilimento le cognizioni mediche si diffondono , le assurde e pericolose cure sono abbandonate , e più non porgesi orecchio ai consigli de’ ciarlatani e delle donnicciuole ; altronde non sono i soli individui, ma ancora i governi che approfittano de’ progressi della scienza medica. Mercè le cure della po- lizia si fabbrica meglio, le case sono più ariose, più aperte le vie, più sollecitamente levate le immondezze , o tenute più lontane dalle abitazioni ; si cercò di dare 122 scolo alle acque stagnanti , furono tenute più pure quelle delle fontane pubbliche , e più severamente esclusi dai mercati gli alimenti iusalubri. Per ultimo la carità pub- blica fece in Inghilterra maravigliosi progressi, e se le classi lavoratrici sono assai più mancanti delle cose su- perflue, la mano della persona benefica è altresì più pronta a provvedere ai loro bisogni . Gli operai vivono abitualmente nell’inopia, ma la carità tiene gli occhi aperti per non lasciarli cadere in quel grado di miseria che por- rebbe in pericolo la loro vita. Il confronto tra questi due quadri dati dal signor Barton, fa emergere un fatto non meno onorevole al go- verno che alla nazione , vale a dire, che il primo colla sua vigilanza , l’altra colla sua carità , non solo ottennero di compensare il povero di quanto aveva perduto per la di- minuzione delle sue mercedi, ma inoltre di fare che le probabilità della vita crescessero in quell’istante appunto, in cui aveva perduti quasi tutti i suoi godimenti. La durata media della vita del povero è più lun- ga che non lo era sessant’ anni fa; ma quanto meno feli- ce non è la sua esistenza! La perdita del quarto o del terzo delle entrate per le più ricche famiglie, non fa che chiamarle a cambiare la qualità de’ suoi godimenti, men- tre riduce spesse volte quelle povere a maneare delle cose più necessarie. Quindi finchè la tariffa ordinaria de’ salari non basta per mantenere la moglie ed una fami- glia , veruno espediente suggerito dalla carità potrà ren- dere la condizione del povero indipendente, e per valermi di un’energica espressione inglese, veramente confortevole. « Non si può quindi, che con una crudele ingiustizia dar colpa dei patimenti de’poveri al maggiore divagamen- to ed infingardagine loro; alla diminuzione dei loro sforzi, dai quali, secondo l'ordine naturale delle cose, dipendo- no l’agiatezza e la felicità degli uomini; ad un minore zelo in tempo di sanità e del vigore della gioventù di fà 123 provvedere ai futuri bisogni della malattia e della vec- chiaia ». Queste accuse si pronunciarono contro i poveri dalla più sublime autorità nazionale , dal comitato della camera dei comuni, in occasione del suo primo rapporto intorno alla’ legge dei poveri. Eppure qual prova aveva il comitato di questa mancanza di prudenza nell’ epoca in cui vedeva prosperare in tutte le città le casse di ri- sparmio , nell’ epoca in cui quasi un millione d’operai si erano volontariamente fatti registrare in quelle società di amici , che si promettevano vicendevoli sussidi sul prin- cipio delle assicurazioni ? Consentiva la giustizia e l’u- manità di supporre negligenza e vizio, mentre con un semplicissimo calcolo, basato sopra principi a tutti noti, avrebbe dimostrata la notabilissima diminuzione del gua- dagno di coloro che si accusavano di trascurare i risparmi? Si pretese inoltre che i poveri, fidati alle tasse delle parrocchie stabilite in Inghilterra a loro favore, erano diventati più insensibili ai bisogni delle loro famiglie; che imprudentemente si ammogliavano, ed in più fresca età che non praticavasi in adietro; ed avevano più figliuoli, perchè sapevano che sarebbero alimentati dalla loro par- rochia. Tutti coloro che successivamente parlarono contro. le tasse dei poveri replicarono quest’ assersione , che spal- leggiata dall’autorità di tutti gli oratori e di tutti gli economisti, acquistò la consistenza di un fatto avverato. Il signor Barton esaminò questo fatto colla scorta de'publici documenti, e lo trovò totalmente falso. Il numero propor- zionale de’matrimoni fra coloro che toccarono l’età neces- saria per tale contratto, invece di accrescere, diminuì; e seguendo lo svilimento del prezzo del lavoro, sì è pro- porzionato allo scemamento delle risorse. Ma questa pru- denza dei poveri, questa antiveggenza per la loro famiglia, questo timore di lasciare i propri figliuoli nell’indigenza, non bastò a deviare il disastro ch’essi temevano. Il signor Barton per fare la seguente tavola calcolò le varizioni 124, ; sopraggiunte ci probabilità della vita; perciocchè il , numero, di coloro, che sopra un egual numero, di nascite}, giungono ai 25 anni, non cessò di, crescere, essendo co-. |, stantemente scemata la mortalità dell’ infanzia, :.}, .. Apparisce: dalla Zav., Z£/, che;il, numero de’ matri-, moni fra le persone giunte all’età richiesta per contrarre questo legame, invece di crescere, in questo. mezzo secolo, scemò nella proporzione di 758 a 639 per. 1000., Non es- sendoti alcuno che dubiti dell’ accrescimento delle, pro- ., babilità della vita per l'infanzia, non si potrà quindi ricusare di darle luogo nel calcolo. Ma prima ancora che il signor Barton vi pensasse, e quando non faceyasi che . il confronto del numero de’ matrimoni col numero totale della popolazione, l’ accrescimento de’ matrimoni era di già smentito dai pubblici registri. Dal 1780 al 1789 con- tavasi un matrimonio in 117 individui, e dal 1790 li 1791 uno in 119 individui. Finalmente si suppose; che basterebbe ispirare ai. poveri l’amore dell'economia , di cui si rinfaccia loro la . mancanza , per porli in istato di togliersi coi soli loro sforzi alle presenti angustie ; che mentre la tassa dei. po- . veri è la vera cagione della loro ruina, le casse di rispar- mio sono un’ ancora di misericordia destinata a salvarli.,; Il signor Barton non impugna la saviezza e l’umanità dei ; fondatori delle casse di risparmio, ma dimostra che i ser- vigi che si aspettano da queste non possono aver luogo, finchè il salario del lavoro. si. manterrà basso come, al presente. « Come mai possono i poveri fare risparmi quan-. do tutta la loro industria ed ogni. loro risparmio appena, bastano per provvedere ai presenti loro bisogni ? Un. pic- colo numero d’ individui assistiti da una costante sanità, e le di cui famiglie siano poco numerose , forse potranno , fare qualche risparmio su’ loro guadagni. Ma sono appunto questi i meno esposti a cadere a carico della loro parrochia. Come mai il giornaliere che ha cinque o sej,figliuoli farà, ‘125 - Siccome da'luî si chiede 2 una provvigione per i giorni d’infermità e di vecchiaia, nella stagione della sua sani- ‘tà ‘e del'suo vigore, ‘quando i ì suoi uiadapn appena ba- ‘stano peri comperare ‘il ‘pane necessario Arti famiglia? For- ssesì dirà; giovani prima ‘di ‘ammogliarsi possono ‘rispar- -miare! una) bastante ‘somma per'i loro futuri bisogni. Lo .possonb ‘seriza dubbio, ma'se questo sforzo non ‘eccede i li- cai del possibile fisico soverchia quelli del possibile mo- rale...) Se potessero ‘calcolare , che con due ‘in tre anni dj rigorosa frugalità e dicure, vedtebibiero ad'accumulare quan- ‘to basta per non aver bisogno de’sussidi della loro parroc- !chia; troverebbero forse in’ sè medesimi sufficietite coraggio . per tentarlo; ma:duè; tré, quattro; cinque anni non bastano per ottenére quest ‘intento. Dandoil più:basso valore alla sua ‘sussistenza, un giovane inon può colla più: ‘stretta’ economia ‘accumularein meno di sette anni una sufficientessomma per «non! dovèr più:ricorrere alla parrocchia }4|. . i+ Conver- rà inoltre ,;per conservare: quest’indipendenza , .che' verun ‘sinistro; accidente , veruna: Pere lo < LA di tuttivi ; sudb mezzi: ., o 'imsraguiot iseze oddio onoinel oboinPervgiugnere ai questo?risultamento 41 sig. Barton vcalcola che vin vigoroso operaio‘; il; quale ‘non abbia'che a inutriré. sè medesimo'col‘proprio' lavoro, ‘non'‘può rispar- i miare | più :di: sei scelllini: degli’undici che guidagna ogni settimana; e che icoll’interesse:composto ‘del 4» Quanto sarà difficile il riaccenderla tra persone in cui l’avvilimento e la miseria sonosi fatte abitudini ! Non è già in un giorno; in un mese, in un anno, che si danno al popolo nuovi. gusti; sono questi il risultamento ' di una lunga serio dì conti- 128 nuate impressioni. La diretta influenza di una causà mo- rale particolare (i buoni avvisi, per modo d’ esempio, di amorevole persona) sopra un solo individuo è leggerissima; ma quando ‘cagioni di questa natura operano néllo stesso tempo sopra tutta una comunità, questa leggera influenza invece di dissiparsi , di parata , va continuamente cre- scendo, riverberandosi da un’anima all'altra... ». Il signor Barton vuole; che la prima cagione dello svilimento de’ salari, e conseguentemente della miseria , sia la moltiplicazione de’ metalli preziosi; e le sue indu- zioni istoriche hanno infatti ‘dimostrata una ‘singolare coincidenza tra le due epoche in cui le mercedi provarono un rapido costante abbassamento, alla fine del 16° secolo ed alla fine del 18.°, colle due epoche, in cui l’importa- zione de’ metalli preziosi superò di lunga mano la consu- mazione dell’ Europa ; la prima volta a cagione della sco- perta delle miniere dell'America, e la vecia per l'ap. plicazione delle scienze perfezionate alla ricerca ed al la- voro delle: stesse miniere. Questo curioso ‘fattò merita un nuovo è più accurato esame; forse un ‘giorno ‘c’ inse- guerà ‘in qual modo l'aceresgiziento del numerario ed il suo decremento in valore permutabile, inisensibilmente operando; alterano sempre il prezzo delle'cose prima di ‘cambiare quello degli ‘uomini’, ed i incarano gli. alimenti prima di aggiugnere prezzo al ‘lavoro. Forseti proverà; che quando il prezzo de’ metalli preziosi insensibilmente sce- ma; gli operai sono la ‘vittimia'd’una continua fraude, e che quando' hanno cominciato a'dareil loro lavoro a minor prezzo che non vale; là concorrenta' non Pene loro di farlo risalire al suo valore. Alla spiegazione che di questo Pbabetiéhò dà il signor Barton ci pare che malsi possa tener dietro ; oltre che è fondata sopra principi che non sapremmo ammettere. À noi sembra ‘avere egli col signor Ricardo e con altri mo- derni economisti dell’ Inghilterra; abbandonate le belle 129 teorie di Adamo Smith intorno al numerario senza ad- durne sufficienti ragioni; ed avere confuso il segno, o se così si vuole, il pegno dei cambi, colla loro causa effi- ciente. La discussione di questa questione sarebbe e troppo astratta e troppo lunga per essere qui da noi trattata. Così non parleremo degli espedienti proposti dal si- gnor Barton per protrarre il matrimonio dei poveri, onde far risalire il prezzo del loro lavoro diminuendo il numero degli operai. Li riputiamo affatto insufficienti, e dubitiamo perfino che possa esserne sensibile l’effetto. Trattasi di recar rimedio ad una delle maggiori calamità che abbiano mai colpito il genere umano, ad una calamità spaventosa per la sua durata , per la sempre crescente sua progressione, per la sua unione colla prosperità nazionale e coi progressi del- l’incivilimento. Come possa recarsi sollievo alla classe de- gli operai quando offre maggior lavoro che non è chiesto, egli è forse il più difficile problema dell’economia politica. Non ci fa maraviglia che il signor Barton non l'abbia de- cisa, ma temeremmo confutandolo di scemare la fiducia che meritano le eccellenti sue osservazioni. Agli occhi nostri la crescente miseria del povero , la moltiplicazione della popolazione in un modo sproporzio- nato all’ inchiesta del lavoro, il successivo abbassamento del salario di tale lavoro , la creazione per mezzo di spe- culatori; che non conoscono la vera estensione de’ mer- cati, di prodotti che non sono chiesti e che non potranno essere consumati, per ultimo l’impaccio di tutti questi mercati, che così frequentemente fanno trovare la ruina alla sorgente di ogni ricchezza, sono strettamente legate al gran cambiamento che si è fatto nella società quando il povero cessò di essere coproprietario de’ prodotti del suo lavoro, per non essere che semplice giornaliere. La peggiore di tutte le condizioni per il povero e la più peri. colosa per la società è quella, che lo fa vivere a giorno per giorno, con un salatrio variabile ogni settimana, e dietro T. X. Giugno 9 130 un contratto che il suo padrone può annullare tutte le do- meniche, senza che il giornaliere abbia veruna influenza sulla propria sorte, veruna garanzia per l’avvenire. . Nella maggior parte dell’ Europa i giornalieri non fanno che una poco importante. porzione del lavoro ma- nuale della società. Quello dell’ agricoltura viene eseguito quasi tutto dagli affittaiuoli e dai loro figli, insieme ai loro domestici obbligati per tutto l’anno, oppure coll’ ope- ra di castaldi: quello de’ mestieri domestici, di legna- iuolo, magnano, sartore, calzolaio, è fatto quasi in totalità dai padroni , tutti, a dir vero, coll’ aiuto d’un operaio o due accordati settimanalmente , ma che rimangono con loro da un anno all’altro; il lavoro delle manifatture è il solo che si eseguisca interamente dai giornalieri: ma in Francia , in Germania , in Italia, in Spagna, le manifat- ture propriamente tali non occupano che una assai piccola parte della popolazione. La classe de’ giornalieri, a petto di tutte le altre classi che lavorano colle loro mani, è po- chissimo numerosa. In Inghilterra quasi tutto il lavoro manuale si fa dai giornalieri. Gli affittaiuoli nell’ agricoltura, i padroni nelle professioni meccaniche si accontentano di dirigere i loro operai e di speculare sul loro lavoro, come farebbero i capi di una fabbrica. Se ancor resta qualche piccolo af- fittaiuolo che lavora, o alcuni lavoranti addetti al podere per un contratto d’ anno in anno, o nelle arti qualche capo maestro che tiene la cazzuola , qualche legnaiuolo che adopera la pialla , qualche capo sartore che cuce egli stesso gli abiti , il loro numero va rapidamente scemando. Ad ogni modo quest’ ordine è nuovo ancora in Inghilterra , non avendo avuto cominciamento che alla metà del 18°. secolo, precisamente all’ epoca additata dal sig. Barton come quella del progressivo accrescimento della popola- zione e dell’abbassamento de’ salari. Fino a' quell’ epoca I’ affittaiuolo aveva egli stesso lavorato il suo podere coi 131 suoi figli e garzoni , il lavoro delle città erasi fatto piut- tosto per mestieri che in grandi fabbriche, ne’ quali me- stieri l’ operaio non aveva costume di ammogliarsi prima d’ essere diventato maestro; perciò che la maturale sua carriera dopo di avere eseguito il lavoro; era quella di dirigerlo e di venderlo. Il sistema delle grandi locazioni creò in Inghilterra i giornalieri dell’ agricoltura. Poco interessa di sapere se dia al proprietario maggiore o minor vendita; cìò che lo di-, stingue è che tratta l’a/fittanza come una manifattura cun commercio, e che separa dalla terra coloro che la inaffiano coi loro sudori. Per tal motivo avvilì progressivamente in Inghilterra la classe de’ contadini per lo spazio di. ses- sant’anni, Ed è in fatti dell’abbassamento de’salari agri- coli, che il signor Barton ha creduto principalmente di occuparsi , perchè il male avendo cominciato più presto ed essendo stato più costante ne’ suoi progressi, lo crede di più difficile guarigione . È probabile , che qualche somigliante cosa siasi fatta sentire nei distretti francesi ed italiani divisi in grandi poderi, ma il numero de’gior- nalieri è tuttavia ristretto in modo anche ne'paesi chiamati di grande coltura, che questo male non fu pure avverti- to. Ne’ paesi di piccola coltura trovansi in angustie i proprietari e gli affittaiuoli per non trovar compratori delle loro derrate, ma i castaldi ed i garzoni di podere non si accorsero della calamità che fa gemere tutta l'Europa. Rispetto ai giornalieri dell’industria , questi soffriro- no in qualunque luogo presso a poco nella stessa misura ; quelli de’ distretti manifatturieri della Svizzera , del Bel- gio, della Germania furono egualmente, se non più mise- ri di quelli dell’ Inghilterra. Effettivamente dopo l’esten- sione acquistata dal commercio e la facilità dei trasporti, la sovrabbondanza del lavoro , e per conseguenza il bas- so prezzo de’ suoi prodotti in un solo paese, ha dovu- to generare un rigurgito di lavoro in tutta Y Europa - ada L'Inghilterra mercè l’applicazione delle scienze esatte e delle scienze fisiche alle arti industriali, e l’impiego di un'immensa ricchezza in capitale stabile ed in macchine; ha create assai più mercanzie che non può consumarne; ed avrebbe potuto essa sola ingorgare tutti i mercati del- l'Europa, dimodochè il patimento di tale o tale altro paese estraneo al suo sistema, può essere pure la conse- guenza di questo sistema medesimo. i Oramai, s'io mal non'avviso, ogni sforzo dell’ econo- mista politico deve essere rivolto a distruggere in Inghil- terra la nociva separazione dei salari dai guadagni, ed a non incoraggiarla sul continente; a riunire tutti i po- veri alla proprietà , cioè a far sparire la classe de’ giorna- Jieri, per sostituirle tanto nell’agricoltura come. nelle arti; lavoratori accordati almeno per un anno, o per un maggior tempo se è possibile. Trattasi della gran massa del- la popolazione , della classe che procura a tutte le altre il loro sostentamento. Non è col fare elemosina al giornaliere che noi soddisfaremo ai nostri oblighi verso coloro che ci fanno vivere col proprio lavoro; ma col porli in istato di non aver bisogno di tali soccorsi. Quando tutto il lavoro nazionale viene eseguito da giornalieri, è un’intrapresa superiore alle forze umane quella di far rialzare il loro salario, dopo che la concorrenza lo fece abbassare. E tor- nerebbe lo stesso che condannarli a perire il privarli de’ sussidi. della loro parrocchia, unico rimedio a tanto male. La loro condizione renderebbesi peggiore di quella dello schiavo, poichè il padrone dello schiavo trovasi almeno interessato a non lasciarlo morir di fame. In Irlan- da la popolazione agricola vive con un salario giornaliero, e non ha il sussidio della tassa de’ poveri; perciò fu ri- dotta anche in tempi non calamitosi a contentarsi di una mercede che appena basta ai più urgenti bisogni; e pre- sentemente che non ha pomi di terra , trovasi in preda alla carestia, perchè questa mercede nou basta per acqui- \ 138 stare il pane, sebbene al più basso prezzo. In fatti ne'secoli più bàrbari, i padroni di schiavi non avrebbero disputato intorno al modo di non lasciar morir di fame un millione e mezzo de’loro servi, quando non avessero saputo che far del loro grano (1). Non è altrimenti verso la tassa dei poveri, ma più alto assai che devesi prender la mira; conviene distrug- gere una disgraziata organizzazione, cambiare in guisa gl’in- teressi de’ proprietari, che loro torni utile l’associarsi de’ padri di famiglia, invece di tenerseli dipendenti lasciandoli pre- cariamente vivere alla giornata. L’ operazione è difficile, specialmente in un paese come l’Inghilterra, che andò tanto innanzi nel contrario sistema ; richiede attente considera- zioni e molta circospezione per evitare ogni convulsione, e perchè il bene futuro non sia preceduto da crudeli pati- menti. Ma la grandezza del male e la inefficacia de’rimedi che furono fin ora suggeriti, dovrebbero ormai richiamare verso questo scopo tutti i pensieri degli economisti. Il signor Barton, s° io mal non m’appongo, vi ha vantaggiosa- mente contribuito : 1.° Col far conoscere il rapido continuato decremento de’ salari nel periodo degli ultimi 70 anni, valutandoli in ragione di vettovaglie e non di danaro; (1) Il povero irlandese riceve dal suo padrone un mezzo acre di terra ed anche un acre, che coltiva a pomi di terra, e pel quale paga un affitto dalle cinque alle dieci lire sterline per acre. Paga pure in molte contee la decima de’ suoi pomi di terra al clero protestante, e deve a sue spese mantenere il clero cattoli- co, o quello della sua credenza. Per riunire il prezzo dell’ af- fitto e per vivere, è costretto a lavorare come giornaliere ; ma il prezzo delle giornate non eccede giammai i dieci soldi (pences), ed è così grande la concorrenza , che non trova giammai da fare più di tre giornate per settimana. Ecco i motivi della miseria de’gior- malieri irlandesi , e la cagione delle continue loro ribellioni. L’am- missione dei cattolici al parlamento non apporterà rimedio a que- to stato d’intollerabile oppressione. ( Bels 7Weeckly Messenger. Mag. air. 1822. ) 134 i 2.° Dimostrando , che questo stesso periodo fu segna- lato da un rapido accrescimento della popolazione; 3.° Provando che quest’ accrescimento non è meno l’effetto della longevità, della vita media e dello scema- mento della mortalità , che dell’accrescimento delle na- scite ; (4.° Facendo sentire, che i mali dell’ Inghilterra sono indipendenti dalla tassa dei poveri, e che la soppressione di questa tassa cagionerebbe spaventose calamità ; 5.° Giustificando i poveri dai rimproveri di non pre- videnza, di precoci matrimoni, e della mancanza di eco- nomia, troppo leggermente contro di loro pronunciati; 6.° Finalmente, facendo vedere che nel presente stato di abbassamento dei salari, non basterebbe verun risparmio per renderli indipendenti. Facciamo inoltre applauso ai nobili sentimenti che gli fecero sempre aggiugnere ai calcoli le osservazioni mo- rali, e considerare l’uomo pensante e soffrente, invece di trattare astrattamente della povertà e della ricchezza. Citeremo quale esempio della sublime maniera con cui trattò il suo soggetto questo passo, che leggesi in fine del secondo opuscolo. « La sola sorgente della pubblica ric- chezza è la privata frugalità , e questa frugalità è stretta- mente associata alle più severe virtù repubblicane; a quello spirito d'indipendenza fiero ad un tempo e modesto , che non si cura della protezione o delle carezze dei grandi ; a quella elevatezza di principi che ispira il rispetto e non ambisce l'ammirazione; a quel sincero amore de’ domestici piaceri che ama la solitudine. Lo ripeto, queste dispo- sizioni sono intimamente associate alla libertà, di cui sono a vicenda le cagioni e gli effetti. Ed è in tal guisa che le fonti della grandezza nazionale sono troppo profondamente impresse nel cuore umano, perchè spetti alla sola economia politica il misurarle giammai (1) ». (1) Deprecation of labours p. 101. 135 TavoLa I. Operai di Prezzo Salario ridotto campagna, del in pinte di e, Mi È misura di Periodi. salario quarter capacità che per di contiene 12 once settimana. grano. di acqua. Anni Scell. Pence | Scell. Pence Pinte 1742 al 1752 i : 102. 1761 al 1770 176. s- 6. 90. 1780 al 1790 , — Mo 80. 1795 al 1799 . di 65. 1800 al 1€08 | tir. i OI 60. Tavocra II. Popolazione Numero Periodi. dell’ de’ morti | Proporzione. Inghilterra. ogni anno. 1780 al 1784 7,824,000 192,813 1 morto p. /0,6 1785 al 1789 8,157,000 187,029 1 — per 43,6 1790 al 1794 | 8,597,000 | 192,373 |1— per44,7 1795 al 1799 9,022,000 193,932 1 — per 46,5 1800 al 1804 9;463,000 199,458 |1-— per 474 1805 al 1809 10,105,000 190,950 1 +— per 53,3 136 TAVOLA III. Nascite. 174,237 185,816 192,914 213,427 228,361 Proporzione diquelli che muoiono avantii 25 anni. Periodo durante Numero il quale degli il matrimonio individui |Ammogliati. ha comunemente arrivati luogo. ai 25 anni. 78,407 89,191 98,387 115,251 130,165 Proporzione. 785 sopra 700 sopra 702 sopra 638 sopra 639 sopra 137 Alcune osservazioni sulla facoltà conduttrice della pa- glia, e sul paragrandine del sig. Tholard, (*) lette alla seduta ordinaria dell’ I. e R. Accademia de’ Geor- gofili del dì 8 maggio 1823, dal Dorr. Em. Basevi di Livorno. Ornatissimi sigg. accademici, un'importante scoperta per preservare le messi e le campagne dalla grandine devastatrice, gli edifizi e le abitazioni dal fulmine di- struggitore , fissò in questi cari giorni la comune at- tenzione. Non si trattava per quest” oggetto unicamente di semplice applicazione di principii, di teoretiche deduzioni, ma con fatti istorici, con agrarie osservazioni sì pretese confermare la originaria scoperta del sig. Lapostolle. Lo- devolmente un probo ecclesiastico italiano , non solo in- tento al vantaggio spirituale del suo gregge, ma al di lui bene fisico e morale, così spesso tra loro dependenti ed inseparabili per la perfettibilità del genere umano; per- suaso dell’ utilità del ritrovato del sig. Lapostolle , modi- ficato dal sig. Tholard, ed istruito delle osservazioni di quest’ ultimo ; senza darsi la pena di esaminare i principii da cui furono dedotte queste economiche applicazioni, senza moltiplicare ed esattamente osservare le esperien- ze , che possono e devono confermarla ; si è creduto, e per il proprio ministero ; e per lo zelo filantropico , obbligato d’ informare i contadini ed i proprietari d’ un mezzo supposto idoneo per preservare il terreno dalla grandine, convertendola in pioggia benefica , e per impedire la sca- rica pericolosa del fulmine, aumentando così la sicurezza degl’ individui, e la ricchezza territoriale delle nazioni. Possa questa premura venire imitata in ogni genere d’utili ritrovati, da quelle persone che tanta influenza (®) Vedi Antologia p. B. 171 del presente volume. 138 esercitano sulla pubblica opinione, giacchè la santa cat- tedra della morale non è punto degradata allorchè serve alla salutare ed economica istruzione degli uomini. Que- sto reverendo proposto così non si fosse ingannato sulla realtà della scoperta, come è commendabile per la pre- murosa volontà di estenderne la cognizione ! Fino da qualche anno a questa parte , il sig. Lapo- stolle istituì alcune esperienze sopra la conducibilità della paglia per il fluido elettrico, che l’ indussero a riconosce- re nella medesima una deferenza superiore a quella dei metalli, ed una facoltà di scaricare le bottiglie di Leyden ed i conduttori senza strepito, nè apparenze luminose. Questi fatti gli suggerirono l’idea di servirsi di corde di paglia per l’ oggetto di formarne altrettanti Parafulmini, e Paragrandine efficacissimi. Dedusse pure dalle sue esperienze che niun danno resultava nei conduttori di paglia per l’ interruzione di qualche punto , come all’ opposto si osserva in quelli me- tallici. Che per l'efficacia e sicurezza di queste corde non era necessario andare al contatto o di filoni d’acqua , o della così nominata belletta. Che la paglia avendo una grandissima attitudine di scaricare a distanze notabili , per ciò un raggio maggior d’ estensione doveva ‘difen- dere . Conseguentemente la semplicità dell’ apparecchio , l'economia del medesimo, la facile costruzione, l’ assenza de’ danni per la soluzione di continuità della corda , l’at- trarre a maggiori distanze l’ elettricismo; se esatte fossero l’ esperienze di questo fisico , se legittime le deduzioni, non v’ ha dubbio, farebbero preferire questi conduttori ai parafulmini comuni, rendendo così un gran servigio all’ umanità , ed alla pubblica economia. Ma egli sì è disgraziatamente ingannato; le esperien- ze non furono comparative, nè esatta fu l’osservazione totale delle medesime. 139 Stimo inutile o signori occuparvi a parte delle di lui ricerche , imperocchè queste ci condurrebbero ad una superflua repetizione di fatti, dovendo farne necessaria- mente menzione nell’ esposizione dell’ esperienze che per quest’ oggetto ho intraprese, e nel tempo istesso ten- teremo di conoscere con evidenza la sorgente de’ di lui errori. Successivamente il sig. Tholard modificò l’ appa- recchio di Lapostolle, ed in vece d’un’ estremità di legno appose alla corda di paglia una punta metallica, e fece entrare nella composizione della medesima un filo di lino. Egli peraltro partì dai principii e dalle esperienze del sig. Lapostolle, e pretese convalidarle con parecchie meterologiche osservazioni. Il nostro scopo sarà adunque quello di determinare se la paglia sia difatti un conduttore migliore e preferi- bile ai metalli, e nel caso che essa non goda di questa proprietà, stabilire se convenga farne uso per la formazio- ne dei parafulmini e dei paragrandini, ed in ultimo esa- mineremo se, ad onta di conseguenze contrarie in queste ricerche, si debba far conto, e quale, delle osservazioni e dei fatti istorici riferiti dal menzionato sig. Tholard. Appena note le esperienze del sig. Lapostolle , nè dubitando dell’esattezza e realtà delle medesime, sebbene opposte ai classici principii della dottrina elettrica vigente, conoscendo, per altro che contro i fatti le teorie nulla vagliono , supposi che questa grande capacità delle corde di paglia provenisse dall’ estesa superficie che presentano e dalla loro lunghezza . impercciocchè resultando da molti cilindretti, è indubitato che nella loro riunione offrono una maggior superficie d’ un unico cilindro solido. Riflettendo poi ai chimici elementi che compongono la paglia , e specialmente all’ esterna quasi vetrificazione della medesima, non poco mi sorpresero gli accennati resultati dell’ esperienza, dovendo riconoscere una gran 140 conducibilità in quel corpo che ha tanta chimica ana- logia colla più idioelettrica sostanza, col vetro cioè. Ma dacchè alcune delicate esperienze mi hanno di- mostrato che gli stessi coibenti, allorquando si trovano in certe circostanze di rapporto tra il loro diametro, la loro superficie , e la loro lunghezza, acquistano una deferenza perfino notabile (1) credei che da queste condizioni na- scesse la grande attitudine della paglia per l’elettricismo; quantunque dall’altro lato la necessaria prossimità. delle omologhe atmosfere elettriche debba diminuire la capacità di questi fili, sempre però col loro: numero saremo in grado di ottenere un vistoso accrescimento della medesima. Nè si presenta estranea al nostro soggetto la deduzione pratica di questi principti che mi sembrano determinarci ad adoprare nella costruzione dei parafulmini comuni una corda di fili metallici, coll’estremità superiore egualmente guarnita d'altra corda di filo di platino, ricuoprendo la prima in tutta la sua lunghezza d’uno strato coibente , al triplice oggetto d’ opporsi all’ ossidazione , d’impedire la diffusione dell’elettricismo, e di poterla collocare ‘al contatto delle.varie parti dell’ edifizio , senza la necessità d’isolarla, e sostenendo entrambe queste corde riunite col solito conduttore metallico in tutta la loro estensione, onde nella rumoreggiante e fulminea scarica, o d’ una nube temporalesca , o del suolo sottostante, questi fili non sì fondano ( atteso il loro piccolo diametro, e la re- lativa estrema azione elettrica ) e così nel caso temuto non resti successivamente privo il luogo del vantaggio d’ un ottimo conduttore. Richiamati al nostro soggetto , ho la soddisfazione di prevenirvi che l’ esperienze delle quali vi occuperò le ho (1) Sarebbe importante che i fisici si occupassero di questo fatto, e che con moltiplicate esperienze e coll’ applicazione del calcolo, stabilissero il rapporto delle necessarie relative quantità. ) 14i eseguite in quest’ I, e R Museo, ove dalla gentilezza del- l’abilissimo e valentissimo sig. direttore venendomi ac- cordato di farle , mi onorò di più colla di lui presenza. I fatti dimostrativi la relativa conducibilità dei corpi sono quelli che deduconsi dal passaggio che preferisce l’elettricismo nel loro concorso, e dalla maggior quantità che in eircostanza pari se ne accumula nei conduttori. Gon- AM °. Guarnii due simili hatte una con corda di fili di igll » e l’altra con una di fili metallici, oppure d'un corpo solido della medesima sostanza , di diametro e lunghezza eguale. Riunii le loro estremità corrisponden- ti al conduttore della macchina elettrica in azione, e dopo diversi giri, esaminata -l’ elettricità. di queste due batterie, in quella comunicante col metallo si osservò una gran tensione all’elettrometro, ed una vivissima scintilla nella scarica; ma l’altra niun segno elettrico ci offerse. In conseguenza l’ elettricismo presceglie i metalli per il suo passaggio, e non la paglia. 2°. Ripetei la descritta esperienza , senza però riuni- re i conduttori di paglia e di metallo per la loro estremi- tà: collocando in una batteria la solita corda di paglia, e nell’altra, ora quella metallica, ora un piccol corpo acu- minato della medesima qualità, e posti. ad eguale di- stanza dal conduttore della macchina, dopo 13 giri del disco, tutte le batterie divennero cariche , ma con questa differenza , che quella caricata per mezzo idella paglia manifestò una piccola tensione ed una languida scintilla, mentre l’altra offrì una massima divergenza all’elettro- metro , ed una straordinaria scintillazione. Oltre il primo corollario, sembrami da questo fatto potersi inferire an- cora che in un tempo dato concorre una copia maggiore \ d’elettricismo per il metallo, che per la paglia suddetta. 3°. Una bottiglia di Leyden guarnita nella solita. 142 alla con una corda di paglia, approssimata al conduttore dell’efficacissima macchina del Museo, dopo 4 giri del disco, manifestò una scintilla ed una: tensione assai te- nue, rapporto agli effetti che si ottennero caricando que- st'istessa bottiglia con una corda di fili metallici, o con un simile conduttore , posto il-tutto in eguali condizioni. 4°. Fu ripetuta la famosa esperienza del sig. Lapo- stolle , la scarica cioè d’una bottiglia, sia per mezzo d’ una corda di paglia, sia con l’interposizione d’una persona fra due frammenti della medesima ; senza osservare scin- tilla, e senza provare veruna commozione. ‘Fudifatti verificata quest’ esperienza; ma esaminan- do l'elettricità residuale coll’ elettrometro , si vide essere notabilissima la tensione , come fu considerabile la scin- tilla che per mezzo dello scaricatore metallico quindi sì ottenne. a, 5°. Garicata in egual modo la bottiglia medesima ad eguale distanza del conduttore, con un pari numero di giri del disco, e scaricata da un corpo metallico o da una persona , manifestò dopo una tenuissima elettricità resi- duale. Indicano queste due esperienze che la mancanza della scintilla e della commozione che si suole provare , proviene appunto dalla lentezza della scarica, e perciò dalla piccola dose di fluido che sorte da una superficie per condursi all’altra, o se meglio amasi, per la minima quantità delle due elettricità che, incontrandosi, non pro- vano sensibile ostacolo nella macchina umana; laonde piuttostochè considerare ‘la paglia qual ottimo condut- tore, mi sembra dimostrato che partecipa delle proprietà degl’imperfettissimi, nè deve conseguentemente sorpren- dere la mancanza di commozione , di strepito , e di scintilla. 6°. Nè si creda che la paglia sia incapace di scaricare una batteria, e ridurre all'equilibrio le sue due superfici. n 143 Per verità quest’ effetto si ottiene dopo un qualche tempo; molto più lungo però di. quello che impiegano i corpi metallici, e senza alcun sensibile fenomeno di scintillazio- ne, ma odesi un piccolo fremito, e inell’oscurità si ma- nifesta una progressivamente decrescente apparenza lumi- nosa , negli estremi della suddetta corda. Sembrami indicare quest’ esperienza il lento movi- mento dell’ elettricismo nel corpo in questione. 7°. Caricata una bottiglia, si formarono due. circuiti scaricatori, uno. costituito da due pezzi metallici retti dalle mani d’ una persona interposta, e il secondo simi- lissimo di corda di paglia, colla frapposizione pure d’ un altro individuo. Ricevendo le.estremità di queste diverse sostanze nella parte risguardante le armature della bot- tiglia, questa scaricandosi, la sola persona comunicante coi metalli provò commozione. La conseguenza di questo fatto ancora ci WAR ad ammettere che l’ elettricismo passa preferibilmente per il circuito metallico. 8°. Asserisce il sig. Lapostolle che, tra le notabili qualità della paglia, quella sì aggiunge di scaricare in silenzio e senza scintilla i corpi elettrizzati. È reale la mancanza di quella scintilla che sono so- liti manifestare con qualche rumore e vivacissima i buoni conduttori; ma la paglia, anche a qualche distanza non indifferente scaricandoli, presenta un’ apparenza lu- minosa , una specie di areola cerulea in ogni cilindretto , che sviluppa pure un notabile odore fosfo-solfureo. 9°. Discostando progressivamente dal conduttore d’una buona macchina una corda di fili di paglia ed una di fili metallici, le apparenze luminose che ancora questi ulti- mì manifestano a guisa di punti lucidi, si mantennero e continuarono a maggiore distanza nella corda metallica, che in quella di paglia. 10°, Alcuni pollici al di là dal punto in cui cessava 144 di apparire la lucida areola della paglia , tentai la carica d’una bottiglia guarnita colla medesima sostanza nella sua palla , in modo che l’estremità della corda corrispon- desse esattamente in quel punto di distanza che si era precisato , e dopo diversi ma determinati giri del disco, non mi riuscì di caricarla. Alla medesima distanza, con simili precauzioni, e con eguali circostanze impiegai una corda di filo metal- lico non solo, ma in un secondo esperimento adoprai pure un piccolo acuminato conduttore della medesima qualità, ed ottenni la carica elettrica della bottiglia. Queste ultime esperienze mi sembrano dimostrare che i corpi metallici godono della proprietà di scaricare gli elettrizzati ad una distanza maggiore di quella di cui è capace la paglia, non offrendo questa all’elettricismo un così facile passaggio. 11°. Presso il dotto segretario di quest’ illustre acca- demia; si ripeterono alcune di queste esperienze con un fascio di piccoli tubi di vetro, (1) e quindi con uno di si- mili cilindri solidi, ottenendo resultati analoghi a quelli che presentarono le corde di paglia , sebbene d’ un’inten- sità minore. Quantunque questo fatto direttamente non apparten- ga alle nostre ricerche , l’ esposi ad oggetto di dimostrare la suscettibilità che hanno gli stessi corpi coibenti di di- venire sotto certe condizioni conduttori imperfetti. Avrei potuto moltiplicare le esperienze per giungere ad una più rigorosa dimostrazione della mediocrissima conducibilità della paglia, ma i fatti qui registrati sem- brano sufficienti onde convincercene. (1) Dabitando che la deferenza da quegli dimostrata prove- nisse dall’aria amida che può esservi contenuta, e che per mezzo di questi tubetti venisse a convertirsi in tanti fili della medesi- ma ; onde escluderne il dubbio e ripetere intieramente il fatto dal vetro, gli fu come si accenna sostituito un fascetto di similî* piccoli fili di vetro senza alcuna cavità. 145 La sorgente degli ‘errori. del sig. Lapostolle risiede nell’ aver (osservato che la paglia era un corpo conduttore anche .a distanza dalla macchina; e ciò lo sorprese. Ma a questo riguardo le esperienze che istituì non furono esattamente comparative. noNomiosservò nè scintilla nè, commozione, nella sca- rica {della bottiglia. ‘e. ‘dei. conduttori, e. questo da lui chiamato, silenzio ;credè per analogia doversi sempre ve- rificare nella scarica delle nubi temporalesche, ed in que- sto modo prevenire coi proposti mezzi la formazione del falmine. Malegli non esaminò l'elettricità residuale ; nè s' occupò del tempo che la paglia impiega per la scarica completa. Vide forse la Ra areola dell’ estremità di questa ‘sostanza allorquando riceve l’ elettricismo , ma non pre- ‘sentando 1 caratte della scintilla, non ne ha fatto men- zione: sardo Convinti pertanto ;-o signori, dell’ insufficienza dei fatti esposti dal nostro autore per le applicazioni econo- miche che ne ;dedusse,, ;se l'ordine del soggetto non lo ‘richiedesse; tralasciérei di favellarvi dell’apparecchio del sig: Tholard. Voi ben sapete, che .l’. essenziale modificazione che vegli fece a quello .del..Lapostolle consiste nell’aggiunta -d’ una punta» metallica all’ estremità superiore della cor- da: ticonoscendo nella medesima una condncibilità mag- igiore:che nella punta di legno, già proposta dal suddetto sig. Lapostolle. «Ma ‘essendo..dimostrata la mediocrissima deferenza della paglia , l'aggiunta del superior corpo metallico, ri- chiamando l’ elettricismo, ed in maggior copia, e da mag- giori: idistanze., la capacità della serie inferiore dei con- duttori essendo piccola , questi non potrebbero che poco scaricarne; e. presentare un, ostacolo maggiore al fluido T. X. Giugno 10 146 elettrico, ostacolo che è una delle essenziali condizioni del fulmine, e perciò, allorquando verso le corde di paglia l’ elettricismo si conducesse , facilmente si produrrebbero le conseguenze del di lui impedito passaggio. É pur troppo deplorabile un fatto agrario che ‘comu- nemente si offriva, l’incendio cioè dei pagliai nei tempi burrascosi , ove per l’ elevazione della' pertica centrale il fulmine si scaglia con frequenza. Quest’osservazione ci istruisce, che nel luogo ove si trova ‘una notabile quanti- tà di conduttori creduti ottimi, ove il fulmine non do- vrebbe giammai cadere , ove per la facilità del passaggio niuna alterazione dovrebbe indurre, ove le nubi in :silen- zio dovrebbero venire scaricate , lù appunto la Spelgore spesso piomba. È questo per noi un fatto decisivo', che dirai la tenue deferenza della paglia; ‘e' quanto sia ‘soggetta ai fulmini distruggitori in modo , che adoprata , non la cre- diamo capace di preservare pic deddibaniente gli edifizi per la facilità della sua combustione; ©... 19° Il proposto uso di questi conduttori non'si clinùita all’uffizio di parafulmini, ma si. vogliono principalmente adoprare per opporsi al flagello della grandine: nie Avendo già esposto quanto:sia poco conducibile la paglia, perciò resulta evidentissima>la di'lei incapacità a servire da paragrandine, lusingandosi ‘di togliere com que- sto mezzo l’ elettricismo , che si opina' con ‘molta. fonda- mento essere la causa ‘principio della formazione. di questa meteora. i ‘pia Ma concediamo alla paglia una massima etti È o serviamoci del migliore dei coldattori perla loro co- struzione. Prima per altro d’ introdurne 1° uso, si pro al fisico queste ricerche. l I così detti paragrandini potranno impedire la. pro- 147 duzione della grandine? Abbiamo altri mezzi per ottenere questo resultato ? Formata questa , la potranno in pioggia convertire ? Si conesce quanta incertezza domina nella meteoro- logia; abbiamo è vero una serie di fatti, ma siamo al- l'oscuro, ‘e sopra le loro cagioni, e sopra le norme che essì seguitano nell’ effettuarsi. Infaticabili osservatori vi si applicarono, ma con piccoli avanzamenti arricchirono la scienza. In circostanze così sfavorevoli per l’ esattezza delle deduzioni, almeno mi servirà di guida quel gran fisico che tanto onora l’Italia. Per condursi con qualche ordine in questo soggetto, osserveremo che se la grandine formasi talora a piccole distanze dalla terra , sembra per altro il più delle volte prodursi nelle alte regioni atmosferiche, quantunque al di sotto della loro stazionaria nevosa temperatura; Desumesi questa distanza dal notabile intervallo di tempo che si frappone fra il lampo e il rumore del tuono. Dall’ essere il nucleo della grandine un fiocchetto di neve, con una sovrapposta serie concentrica di acqua congelata , conge- lazione che, specialmente nell’ estate, non potrebbe acca- dere che nelle alte regioni dell’ atmosfera, ove per la maggior rarefazione dell’aria si facilita la rapida evapora- zione dei corpi, togliendosi a questi con facilità il calorico. In ultimo luogo deducesi questa distanza dall’ osser - vare con quale considerabile qualità di‘ moto giungono in terra i piccoli globetti di grandine, momento che’ non potrebbe acquistare una si tenue quantità di materia sen- ‘za descrivere uno spazio estesissimo . Come potrà in conseguenza togliersi dalle nuvole così altamente collocate l’ elettricismo? L’inflùenza di questi imperfettissimi conduttori potrà giungère tant’oltre? I giungendovi, supposizione che non si può ‘concepire, se la nube inferiore concorrente alla produzione della 148 grandine possiede unicamente l’ elettricità accidentale , comunicando allora col terreno, ed acquistando in vece un’ elettricità reale, in questo sedia si accrescerà lac causa elettrica della meteora in questione. Egli è vero che regna molta oscurità sulla teorica della di lei genesi, ma sembra per altro dimostrata la neces- saria presenza di due nuvole onde formarla, ed ammet- tendo pure che un’ unica nuvola sia sufficiente , ripetere- mo., potrà tant’ oltre estendersi l’azione dei conduttori ? Qualora tutte le nubi che concorrono alla formazio- ne della grandine passassero in vicinanza dei paragrandini, l'elettricità reale che vi è accumulata si potrebbe togliere; ma quanto è assurdo questo supposto , altrettanto sarebbe erroneo nelle sue conseguenze e nelle sue speranze, im- perocchè nell’alto dell'atmosfera vi esistono e vi accadono moltiplicate cause per togliere l'equilibrio elettrico ai vapori acquosi, e perchè si conosce pure che alcuni degli stati nubeculari che si prestano alla formazione delle me- teore, possiedono; e devono difatti acquistare una sem- plice elettricità accidentale. Venendo alla seconda ricerca che ci siamo proposti , è inutile rammentarci che questi conduttori esercitando la loro azione quando la grandine sia già formata, la richiameranno maggiormente ove essi sono collocati , poichè questo prodotto metereologico cade quasi sempre al suolo carico di evidentissima elettricità. Faremo in ultimo presente che se l’ impiego di que- sti conduttori sia limitato ad una ristretta estensione di terreno; le nuvole andranno preferibilmente a fissari sul medesimo, nell’ ipotesi però che ne risentissero l'influenza, e così in un rapido e soverchio accumulamento di fluido elettrico; un;tal sito andrebbe più sottoposto al fulmine, e forse sla caduta della grandine. Eccoci alla fine della parte teoretica del nostro sog- getto. Imploro il vostro compatimento e la vostra pda 149 genza per la mia prolissità , e se meglio avessi calcolato le proprie forze, e preveduta l’estensione di questo discor- so, vi avrei risparmiato l’incomodo di ascoltarmi. Con brevità pertanto ci occuperemo dell’ esame di alcuni fatti istorici, necessari sempre da consultarsi, specialmente per confrontarvi i principii scientifici, allor- chè tanta incertezza ci domina, essendo, d'altronde ai fatti che le teorie si devono uniformare. i : Accerta il sig. Tholard che diversi distretti, posti alle falde dei Pirenei, e muniti di paragrandini, o non furono soggetti a questa meteora , 0 lo furono pochissimo. In quei luoghi poi ove egli ha la buona fede d’ informarci d’ aver osservato la caduta della grandine, l’ attribuì al- l’imperfetta costruzione degl’ istrumenti. In un fenomeno che non è periodico, che non è continuo , potrà attribuirsi ai mezzi impiegati l' impedi- ento della di lui produzione , della di lui comparsa, quando un tale successo può esserne affatto indipendente? quando i mezzi adoprati non sembrano capaci di conse- guire questo resultato? quando la grandine può non essere caduta, o perchè tale non era la direzione della di lei discesa ? Per dar quindi un’ evidente dimostrazione all’ effica- cia dei paragrandini bisognerebbe replicatamente citare e rinnovare fatti analoghi al divino esperimento (1) di Ge- deone per la rugiada; mostrarci una vasta estensione di terreno percossa dalla grandine senza che questa cada nei distaccati punti centrali muniti di conduttore , ed appena adottato l’ uso dei paragrandini, mostrarci pure (1) Ponam hoc vellus lunae in area: si ros in solo vellere fuerit, et .in omni terra siccitas....Oro ut solum vellus siccum sit, et omnis terra rore madens, et fuit siccitas in solo vellere , et ros in omni terra. Indicum L. Cap: VI. 150 per lungo tempo immuni da questa meteora quei luoghi ehe antecedentemente vi andavano cotanto sottoposti. Ma quando non vediamo che angoli di territorio pre- servati dalla medesima in serie diretta e continuata; quando solamente in alcune parti confinanti è dessa. di- scesa , e non nella totale circonferenza dei luoghi muniti; quando abbiamo un’ estesa continuazione di suolo libero ; e quantlo quei distretti difesi dai paragrandini furono. ancora dalla grandine percossi, manca, ripeto, la necessaria dimostrazione della loro efficacia. E giacchè di soli fatti si parla , andrei renitente dal citarvene uno, che è alla mia ed altrui contezza.; se l’ a- more dalla verità non mi obbligasse di palesarvelo. Pubblicamente si asserisce che nei monti di Brianza e di Lecco prossimi a Milano , ove fu introdotto 1’ uso di questi apparecchi preservatori, nulladimeno la grandine continuò ad imperversare. Volesse la provvidenza, chiarissimi sigg. accademici, che si fosse al possesso di mezzi cotanto utili, e che tutto l’errore dal mio solo lato si restringesse. Forse mi sarò ingannato, e questo sarebbe il mio desiderio , per il be- nessere universale. Nè pretesi d'altronde con questo di- scorso che promuovere alcuni dubbi , richiamare la vostra attenzione sopra questo soggetto, e sottoporre i miei riflessi al sentimento di giudici, quanto illustri, com- petenti altrettanto. Dolente della mia incapacità a porgere una pietra all’edifizio della scienza, procurai unicamente di sgom- brarne qualche errore. Accordatemi il vostro compatimen- to , ed accertatevi che si rinnuoverà sempre grata al mio pensiero la memoria dell’ onore che mi compartiste nel tollerare la mia voce in questo celebre recinto, e nel- l’aver accordato una benigna attenzione ai miei detti. 15t Lettera del sig. M."* collaboratore al sig. Vieusseux direttore dell’ Antologia, sul Paragrandine. (*) Prevedeva le.dispute dei fisici su quei paragrandini del sig. Tholard. Nè io sono avverso alle dispute , che servono a stabilir meglio la verità. Ma quando non trat- tasi di oggetti puramente speculativi , bisogna pure af- frettarsi di venire ai fatti e terminarle. Nel proposito de’ paragrandini eccovene uno recente , della cui impor- tanza lascierò giudicare a chi si compete. L’ ultimo o il penultimo di maggio, a dieci miglia di qui, sulla strada che da Milano va a Brescia, corse un fiero temporale con molta gragnuola, facilissima a formarsi fra tante irrigazioni del nostro suolo. Presso ad un villaggio detto Gorgonzola , celebre fra noi pe’ suoi stracchini ec- cellenti , è un vasto podere di cinque mila pertiche al- meno, che il signor suo ( il conte Giulio Ottolini ) volle armato di paragrandini. Potete imaginarvi con che atten- zione si guardasse da’ contadini a quel podere , mentre durava la furia della procella. Ora,-con loro sommo stupo- re, che potrebb’ essere nelle loro teste cominciamento di qualche poco di filosofia , videro la gragnuola saltellargli all’intorno , e mai non discendere sopra di esso. Anzi vi- dero un’altra cosa più bella e più notabile, nevicare cioè, com’ essi dicevano, ossia cadere sovra alcuni punti del podere dell’ DIL una gragnuoletta mal formata, so- migliante a neve che si congeli in aria; fenomeno prezio- sissimo , poichè non lascia dubbio che sì sarebbe scari- cata sul podere medesimo egual gragnuola che su’ vicini, se l’azione de’ paragrandini non lo avesse impedito. Due giorni appresso una bella dama, che veniva di Vicenza; e che poi mi fu relatrice del fatto , trovò que’ contadini ancor tutti meravigliati. Oggi il fatto è di- vulgatissimo , credo , in tutto il milanese, ove darà da (*) Ved. alla pag. 164 del precedente fascicolo. 152 pensare ai possessori di terreni che, per le gragnuole'spe- cialmente , Pop liatto di nove anni di locazione contarne uno perduto ne’ loro patti co’fittaiuoli. L'invenzione de’pa- ragrandini , provandosene l'efficacia , sarebbe per essi di tal beneficio , che i più tardi di spirito debbono pure esser mossi ad esperimentarli. Nè parmi che i vostri toscani sì limiteranno a ragionarne ; dacchè per credere inutile il farne esperienza, bisognerebbe che fortunatamente ciò! fos- se loro quasi impossibile. Ma la gragnuola tocca purtroppo alla verdea dolcissima d’ Arcetri ove dimorò tanti‘anni il vostro Gallileo, come alla moscadella del modesto giar- dino per cui si diporta in questi dì nella sua villetta di Sesto il nostro Oriani. Addio. Milano 18 Giugno Il Riccio rapito di Pope, tradotto in italiano da S. UzieLLi. Livorno, dai torchi di Glauco Masi, 1823 in 8.° Sembrerebbe cheiletterati avessero fra noi una gran predilezione pel Riccio rapito del Pope, perchè questa che annunziamo è, sio non erro, la terza fra le versioni che di questo grazioso poemetto uscirono in Italia alla pubblica luce nello spazio d’ un’ anno. Ma noi traduciamo dall’ in- glese e dal tedesco per le stesse cagioni che traducemmo una volta dal francese , e ci consiglia ad imitare lo Schiller e il Byron quello spirito istesso che fece tra noi tante scimmie della letteratura dei nostri antichi dominatori. E poichè ci è venuto a dispetto l’orpello di Francia che parve oro ai nostri padri, ci siam rivolti a cogliere sul- l’Elicona dei popoli del settentrione la loro nebbia, la quale partecipando della notte , sembra. a molti tener del sublime. Non ignoriamo essere omai noiosi e ridicoli quei poeti che ripetono le stesse immagini, gli stessi concetti e gli stessi modi, e preghiamo Iddio perchè l’Italia una volta si liberi da questa misera abbondanza di inezie ca- 153 nore: ma non potremo mai condurci a credere, che per ar- ricchire la nostra immaginazione e soccorrere alla povertà delle lettere, faccia di mestieri tradurre, tradurre, tradur- re (1), e quel ch'è peggio, imitare dagli stranieri le foggie del poetare come quelle del vestire. Così in breve non ci rimarrà di nostro nemmen la letteratura, e gli stranieri trionferanno ancora del nostro intelletto. Sono elleno dunque tanto isterilite le fantasie dei concittadini dell’ Alighieri, il più originale fra gli scrittori delle nazioni moderne? (2). Tanta codardia di mente manifesta che la nostra am- mirazione per Dante è più una moda, che un sentimento: se ciò non fosse, impareremmo da lui che ad ottenere novità non è necessario violare l’ indole della nostra letteratura che vien da quella dei greci e dei latini, ma studiare la natura che mostra a tutto lesue eterne e infinite bellezze, e il nostro animo al pari d’ essa vasto e multiforme. Questa digressione non tocca il sig. Uzielli : anzi cre- diamo ch'egli meriti lode per avere scelto a tradurre fra i poeti inglesi il Pope scrittore energico , pieno d’ affetto e d’eleganza, tale in somma che non è più di moda sul Tamigi, ove si ammira chi chiama le stelle poesia del cielo , la malinconia carchero della mente ec. ec. Gerto a noi sembrerebbe che ora si delirasse in In- ghilterra non altrimenti che in Italia nel seicento : ma chi può in una lingua non sua distinguere quello ch’ è falso da quello ch’è ardito, seppur non voglia imitare l’impertinenza di chi scrisse: gl’italiani sono fra i popo- li d'Europa quelli che hanno la lingua più poetica, e il più cattivo gusto? (3) Il Pope vaimmune da questi o difetti o bellezze che sieno, e non suonando la sua cetra con tanto fracasso da far credere che debba spezzarsi, fu per alcuni chiamato scrittore timido e senza invenzione. E siffatto biasimo fu dato a questo gentil lavoro, che 154 parve a taluno povero d’azione, freddo. nei caratteri, senza varietà, senza interesse. Un barone (notò un criti- co ) forma il progetto di tagliare un riccio di capelli di Belinda, e lo pone ad esecuzione mentre ella prende il caffè : ecco tutto l’argomento del poema. Voi ignorate chi era Belinda e chi era il barone, e il poeta non istabilisce fra loro ;iveruna relazione anteriore. Niente succede nè innanzi, nè dopo che il riccio è rapito: ma vi è copia di fredde allegorie, di monotone descrizioni, d’arguzie che consistono in una perpetua antitesi fra i grandi e i piccoli oggetti. Non può piacere che .a coloro che passano gran parte del loro tempo nelle taverne l’in- vereconda e grossolana invenzione delle. fanciulle, le quali cangiate in bottiglie dimandano. ad. alta ‘voce dei tappi: And maids turn’d bottles , call aloud for corcks. La favola dei silfi che il Pope ha tratta dal \Gabalis per farne la macchina del suo poema, non desta mè pia- cere nè interesse. Un silfo appare in sogno a Belinda, e le annunzia che una sventura la minaccia: ed ‘ofdina ai compagni di custodirla. Che mai nasce da questa finzione? Il silfo è diviso per lo mezzo dalle forbici che tagliano i capelli di Belinda, e queste due parti della sostanza aerea si riuniscono ad un tratto. Lo gnomo Umbriel va in trac- cia della Malinconia per affliggere l’ eroina del poema , come se una donna galante quando perde parte dei suoi capelli avesse bisogno di una divinità per divenir mesta. Nasce quindi una querela fra Belinda: e Talestri sua amica, e segue alla querela un combattimento d’uomini e di donne. In esso Belinda atterra il barone col fumo del tabacco, e con uno spillo da testa: gli richiede il riccio: ma's’ignora che ne sia avvenuto; il poeta pretende averlo visto salire alla sfera della luna. Così ha compimento questa favola che nella sua tessitura non t’interessa, non offre nei suoi personaggi 155 una figura ‘drammatica; e nella quale tutti gli agenti messi in opera dal ‘poeta mancano di scopo e d'effetto. Non vogliamo in questa critica separare il falso dal vero; e la fama del Pope è omai tale, ch’egli non abbiso- gna nè di lodi nè d’ apologie. ei soltanto che il Laharpe mirò in questa critica a deprimere il Pope per sollevare il suo concittadino Boileau: ed è noto che i francesi sono così passionatamente teneri della loro lette- ratura, come noi siamo incuranti e dimentichi della nostra . Crediamo di scorgere non poco di brio e di piacevolezza nel giocoso poemetto del Pope: quantunque a dir vero nel Riccio rapito non troviamo personaggi che ci commovano a quel riso inestinguibile che destano in noi quelli del leggio, vermeils et brillans de sante, e il loro protagonista così maestrevolmente dipinto: La jeunesse en sa fleur brille sur son visage ; Son menton sur son sein descend à double etage Et son corps ramasse dans sa courte grosseur, Fait gemir les coussins sous sa molle epaisseur. Non mancherà chi dica maligna la nostra predilezione: ma noi senza decidere se più abbondino nell'Italia gli eroi del Boileau o quelli del Pope risponderemo, che se il ridico- lo vien soprattutto dal contrasto morale dell’ idee, il van- taggio sta dalla parte del poeta francese ; il fonte del riso sorgeaccanto a quello del sublime. La natura dell’argomen- to non consentiva al Pope quel faceto che nasce dal delineare caratteri nei quali l’azioni discordano dalle massime: il perchè lo ha cercato, mettendo lo stile per la sua eleva- tezza in continua opposizione all’ umiltà del subietto. Ma questo artificio condanna lo scrittore ad uniforme ironia , che necessariamente genera noia: nè questo difet- to fu intieramente evitato dal Parini, e se n° accorge chiunque lo legga con mente non preoccupata dallo spiri- to d’ una scuola. 156 Il Pope mantiene il riso sulle labbra dei suoi lettoti con pensieri presentati in forma d’ epigramma: (bon mot de deux rimes orne ) quindi non possiamo che lodare l’accorgimento del sig. Uzielli , che per serbare il carat- tere del suo originale elesse il verso rimato. Inoltre, quantunque siam certi d’ andare incontro all’anatema dei più fra i viventi poeti d’Italia, abbiamo il coraggio di confessare che fa molta forza all’animo no- stro questa riflessione del Baretti: se i verso sciolto fosse naturale alla nostra lingua, se fosse dirò così figlio del- l'indole della poesia nostra, i nostri poeti lo avrebbero trovato due secoli prima che nascesse il Trissino suo in- ventore. Quei nostri primi poeti lo avrebbero trovato senza studio e senza fatica, come senza studio e senza fatica trovarono le rime senza che si tormentassero il cervello a cercarle. Il bell’onore che si fece quel Tris- sino a introdurre questa poltroneria del verso sciolto nella sua contrada ! Aggiungeremo, che se il verso sciolto nacque con cattivi auspici venne poi a risorgere con peggiori , perchè quando il Bettinelli colle sue lettere virgiliane tentò oscurar la fama dell’Alighieri, ei quasi così volesse avvalorar la sua critica, accompagnolla colle sue sciolte poetiche , e con quelle dell’Algarotti e del Frugoni. E intitolandole con inaudita impudenza versi d’eccellenti autori, si sforzò di stabilire una nuova religione poetica fondata sul di- sprezzo di Dante e degli altri grandi, e parve dire agl’ ita- liani « bruciate i vostri classici, leggeteci, e imparate a scrivere » . Non conviene separare la storia della poesia da quel- la della lingua; e allora ci sarà palese ch’ essendosi col proceder del tempo estinta la favella dei latini, nè rima- nendo traccia sicura del di lei suono primitivo , si sentì la necessità della rima in una lingua che più non. aveva le sillabe distinte in lunghe ed in brevi. 157 : Fanno di questo vero indubitata fede alcuni inni della Chiesa, la quale benchè stimasse dover serbare nelle cose liturgiche il latino, pure adottò in esso 1 uso della rima, omettendo ogni regola di prosodia. Ma udiamo già rimbombarci negli orecchi: « odio il verso, e che suona e che non crea », e annunziarci gravemente che fra gli sciolti e le rime, corre quella dif- ferenza che vi è fralle pitture a fresco e quelle ad olio. . Con buona pace di quanti scrissero e scrivono versi sciolti in Italia, pensiamo che niuno sortisse dalla natura ingegno creatore più di colui che in rima potè: Descriver tutto a fondo l’ universo . E chi più largo pittore dell’ Ariosto ? Noi duriamc fatica a credere (4) che dopo l’ esempio di esso e quell del Tasso , si sia potuto mettere in dubbio che l'ottava: il metro conveniente alla maestà dell’ epopeia: ma 4 non fuggiremo la taccia di temerari scrivendo : « L’ oscurità, la contorsione, il latinismo, i paodi asmatici alla boccaccievole , sono i difetti nei qualiacil- mente precipita il verso sciolto, per non essere ui0rme ‘e triviale », o « La nostra poesia nacque colla rima, e in 82 Scris- sero il Dante, il Petrarca, 1’ Ariosto, il.TassrChe sono gli occhi della lingua nostra ». i E a chi ci opponesse moderni scrittori risponder 6 mo essere opera piena di pericolo il decid* 58 Vi è al- cuno fra loro che meriti di sedere sul p250 accanto a questi grandi. Non usurpiamo l'ufficio 4 tempo in un secolo pieno di fazioni politiche ; di od’ di ar IRA CI pali, e in cui ogni giorno a forza di ginali E di tradu- zioni si fa mercato di lodi, e monor!9 di fama. A noi giova intanto di credere col Metasr® ( la cuì poesia di- spiace adesso a taluno per le stess2510N1 che la filosofia del Lock e del Condillac ,. cioè £ €SSeT priva di quella 158 oscurità ciarlatanesca così di moda or che uno scrittore tanto più si ammira, quanto meno s' intende ), sì ci gio- va di credere col Metastasio, che fra il vigore d’ un istesso pensiero espresso in verso sciolto o rimato corra la diffe- renza medesima, che vi ‘è tra la ‘violenza di un istesso sasso tratto con la semplice mano, o scagliato con la fron- da; ma da chi sappia adoprarla. In ogni modo il sig. Uzielli dando ai versi rimati preferenza sugli sciolti, s° è conformato all’ opinione dell’ autore la cui opera ha tradotto . Il Pope fu gran partigia- no della rima, e a chi opponevagli l’ esempio del Milton animosamente rispose: aver questi scritto così, perchè ltrimenti non avrebbe saputo farlo. Più cauto il Johnson nella vita dell’ autore del pa- Yliso perduto , giudicò che potesse tenere quel modo di Veesggiare qualunque reputavasi capace d’ indurre nell’ ani, dei suoi lettori quella meraviglia che nasce dal su- blim. ma che dovessero la rima prescegliere coloro che si pronevano di recar diletto. Ehe a questo scopo si giunga più colla rima che collo stito, ci sarebbe facile mostrarlo istituendo un confrontia questa ed altre versioni. Ma persuasi che il sig. Uzielja d’animo così generoso , che debba rincre- scergli que) Jode che nasce da invidioso paragone , cre- ‘diamo darg Maggior segno della nostra stima, se facen- do giustizia aherito del suo lavoro , vi andiamo a manò. a mano osserva, alcune cose, che ci sembrano degne di riprensione. Nel discorso \j silfo Ariel ( Canto I ) trovi buoni 1 versi, e le sestine & ne alcuna volta, e sovente leggia- dre: pur vi si bramè, jjgn'di rado, la lindura e la chia- rezza dell’ originale. hope per esempio dice che la pru- de diviene dopo morté, g gnomo , e la coquette un sil- fo: dalla traduzione de g. Uzielli non si rileva questa 159 differenza. E ci sembra che alla sestina 13. C. I. egli pren- da errore, facendo dire ad Ariel che le belle cangiate in silfi e in gnomi pensavano sfidar giocando al tavolier la sorte. Da questo modo di tradurre taluno per avventura potrebbe indursi a credere ch’ elleno giocassero, quando il Pope con quel buon giudicio di cui era sì largamente fornito scrive: And tho' she plays no more o’erlooks the cards : « € benchè essa non giuochi, presiede ai giuochi ». Nella descrizione della toelette, il traduttore s’ acco- sta per quanto ei può alla vaghezza dell’ originale: ma è da dolersi ch’ egli cada in qualche errore di giudizio. In cristallo racchiuse; in scrigno esposte . C.I. sestina 22. A noi par che fosse più conveniente il dire: In scrigno chiuse; ed in cristallo esposte. E più SOLLo.s ai pettini eleganti, — Che testuggini fur, furo elefanti. Questa espressione in. italiano apparirà soverchia- mente ardita . Il. testo dice : T'he.tortoise here, and elephant unite Transformed to combs the speckled, and white. Or qui facilmente s° intende che una parte soltanto dell'animale ha subita questa trasformazione : e la liber- tà della lingua inglese permette di credere che la voce elephant si adopri a significare avorio, come nel greco e nel latino. Non troviamo che biasimare nell’ ultima sesti- tina', se non che nel silfo che porge gli anelli, ed è tutta creatura del traduttore , potrebbe sembrare a taluno che vi fosse poco accorgimento, perchè non potea quel silfa- rello rimanersi invisibile in un'attitudine così espressa: Croce splendea che all’ infedel rispetto . E al giudeo può rapir baci d'affetto. (.G. II sestina 12. ) 160 E qui il sig. Uzielli ha in lunga e fredda ap stem- perato questo bel verso del Pope, Which jews might kiss , and infidels adore. Vaghissime e ben sile sono le sestine che ri- portiamo : | Ilustre cavalier sul ada riccio: Fisso ha il guardo: più vede, e più l'ammira : Voglia Vl accende , e in suo gentil capriccio, Per fraude, o forza a conquistarlo aspira : Sian per forza ottenuti , o sian per fraude, Ai trionfi amorosi il mondo applaude. ‘ Ma pria del cielo, e della terraimplora Favorevoli i. numi al gran»cimento; E al Dio d’'umor cui sovra ogni altro adora , Erge sublime altar con cento , e cento D' auro vestiti: e di forbita' pelle, Volumetti di drammi , e di‘novelle . Scherzan l’ aure fra lor, ride la vaga, E il mondo intier del suo gioîr's appaga. In questi due versi è scemata davvero l’ energia e la vaghezza del Pope, che così gentilmente canta : Belinda smild and all'the world was gay. Ma il sig. Uzielli Pago, anzi ‘vince il testo nella tredicesima sestina: Sovra nuvola d'or libransi, o appoggiano Sopra raggio solar le tenere ali; O su tepido vento in alto poggiano Invisibili a * densi occhi. mortali © Quasi fluide. sostanze in seno accolte. A torrenti di luce, e în luce sciolte. Una partita di ombra è descritta dal Pope con quella leggiadria che gli è è propria ; nel terzo canto del Riccio rapito. Il' traduttore vi fa prova del suo talento, ma non così ch’egli non lasci molto da desiderare. Non pochi versi i 161 mancano d’ armonia; ed. è metafora troppo inconveniente il dire, com'ei fa alla sestina 15: Oh quante veggon qui l’ultima sera Inclite carte , ec. Il giudizioso Pope per SIDIRBGAFE la sorte di chi per- de usa fall voce comune, e non s' impegna in equivoci | traslati. E nella sestina medesima il sig. Uzielli, volendo al. largare il suo originale, è caduto in un grave sbaglio. Ei nomina il gioco delle minchiate fra quelli nei quali erano use a vincere le carte perdenti all’ ombre , e non si ri- corda che quel gioco si fa con altre carte . Molte altre cose potremmo andar notando in questa versione: ma qui sì ristanno le nostre critiche, perchè crediamo di avere oltrepassato di troppo i limiti prefissi all’ esame d’ opere di simil fatta, e giudichiamo inoltre non esservi miglior censore dell'autore medesimo, quan- do in lui col tempo venga raffreddato l’amore del suo lavoro. G. B. NiccoLini. NOTE. (1) /V. B. Intendiamo biasimare l'eccesso: ma è lungi dalla no- stra mente anco il pensiero di condannare coloro che hanno dato alla nostra lingua nobilissime versioni di poeti della tempra dello Sheakspeare , del Milton, del Pope: ma nel tradurre i moderni, non bisogna correr tanto. Quelli che son giudicati astri, potrebbero esser meteore. In ogni moro farebbero impresa più utile all’ Italia quelliche recassero nella sua lingaa opere in prosa, sieno inglesi o tedesche , piene di maschia e spregiudicata filosofia. (2)Preghiamo qualche fautore assoluto del romanticismo a pren- dere in esame questi dubbi della nostra timida coscienza. E egli con- cesso nella poesia come nelle belle arti scotere del tutto il giogo delle regole , e allontanarsi da ogni imitazione senza cadere nella barba- rie ? Conviene agl’ italiani adottare la creazione della fantasia set- tentrionale , personificare continuamente gli enti morali com’ essi fanno ? Non sono i nostri grandi scrittori in quel mezzo che furono i greci e i romani, cioè, lontani ugualmente dalla tinaidità del gusto T. X- Giugno II 162 francese, e dal barbaro delirar dei tedeschi? Vi è nei corifei di questa letteratura tutta la verità che da molti si crede? Ex. g. nel Dottor Fausto, capo Javoro fra.i romantici , sacrilegio tra i fedeli al gusto classico, è un bello sfoggio d’ invenzione quel fare un pro- oi logo in terra e un altro in cielo? Qual novità possiamo trovare in Mefistofele che chiede dal Signore il permesso di tentare il dottor. Fausto, quando si è letto il primo capitolo del libro di Giobbe? Quelli che stimano difficile di credere alla fatalità che portano Fedra e Mirra a un'amore incestuoso, come possono mai figurarsi di domi- nar tanto la nostra fantasia, e conculcar la nostra ragione da, farci credere che il dottor Fausto patteggi l’ anima col diavolo , vada al sabato delle streghe ? Piacerà più di Antigone o di Ermione, Mar- gherita che dice al dottor Fausto come ogni fantesca al padrone quando vuol cedere alle sue voglie , che fate voi? come potete voi baciar questa mano? ella è così ruvida, così rozza: mi tocca 4 far tutto. E madama Staél era di buona fede presentando questi modelli all’imitazione dei concittadini di Racine! Ma seguitiamo le nostre dimande. Quale originalità possono avere i tedeschi, la cui letteratura è nata dopo la filosofia, anzi è dovuta alla loro filosofia? Essi hanno un bell’ asserire ( vedi l’ opera del Goethe sugli uomini celebri della Francia ) essere le loro lettere nate nel seno. della barbarie. Quali poeti di grido avevano allora? È noto a tutti, che i teutoni ondeggiarono fra l’ imitare i francesi o gl’ inglesi : la hi- lancia pendè per i secondi, e Klopstock, Schiller e Goethe non sono che i seguaci di Milton e di Sheakspeare, Omero, Dante e il tragico inglese furono originali senza cercarlo; i loro scritti rap- presentano la credenza , la morale , le passioni, i pregiudizi del loro paese , e dei loro tempi : non vi fa bisogno d’ una nuova teoria este- tica per ammirare e sentire le loro bellezze, non ricorsero a sistemi di metafisica per giustificarsi davanti a’ loro contemporanei . Nelle opere di coloro che vogliono riassumere nei nostri tempi finzioni alle quali nessuno omai presta fede , lo sforzo e l’artificio si palesa- no ad ogni istante : sono frutti di stufa, ai quali manca quel sapore che spontanea la natura dà loro sotto altro cielo. Non intendiamo definire il gusto, e rispettiamo quello di tutte le nazioni: ma ci sia permesso di chiedere se quegli scrittori che i romantici tengono in maggior conto, usarono com’ essi fanno d’ insistere lungamente, anzi fino alla noia , nella medesima idea ? Esempio. ( Childe-Harold di lord Byron C. III. ) ,, Aroldo soffriva l’ inquietudine e la noia : va abbattuto e languido come un falcone, che non ha guari libero abitante dei cieli, vide cader le sue ali sotto le forbici del cacciatore. Tutto ad un tratto egli nei suoi impetuosi 163 trasporti rivoltavasi contro la prigione che titenea la sua anima, simile all’uccello prigioniero che assale col rostro e'col petto i ferri della sua gabbia, finchè il sangue scorra sulle sue lacere piume. ,, Con quanta maggiore nobiltà il Casa ; poeta italiano forse di terzo ordine, espresse rapidamente un’ idea Hibesochià simigliante: nm io rassembro pur sublime augello in ima valle preso. I romantici , che a parer nostrò confondono: l’ enfasi Galla pompa , come. potranno mai predicarsi per seguaci della sublime letteratura degli antichi ebrei da chiunque consideri esser proprio “di essa lo stringer molte idee in poche parole? è Noi ponianio un'termine a questa nota, nella quale ci accorgia- mo di avere sovente asserito credendo dimandare 3 ricordando in nome, della filosofia a quanti coltivano le lettere con animo ge- neroso, esser giunto omai il tempo di separare l’ errore dal di- letto. Vi sono nei sentimenti e nelle passioni tante cose inosser- vate, tante idee nuove nella morale, nella filosofia e nella politica , che non è forza cercare piaceri ai quali la fantasia non si presti, senza abiurare la ragione. Quello ch’ è veramente bello nelle opere dei sommi poeti d’ ogni ‘nazione, non è fondato sulla finzione ma sulla realtà: e la natura del nostro intelletto è tale, che ne astrin- ge a rivestire d’ immagini sensibili, e quindi rappresentanti realtà , ancor le nostre fantasie. (3) Vedi la lettera di Lord Byron a G. Murray , sulla vita e le opere del Pope. (4) Nessun poeta latino, poichè Virgilio fece colla sua Eneide incerta la palma fralla greca e ‘la latina epopeia , pensò che in altro metro che quello dell’ esametro si potesse scrivere poemi. G. B. NICCOLINI. 164 Sopra una nuova maniera ‘ per rappresentar le Coordinate dei Pianeti nel movimento Ellittico A tor quando il chiasissimò Carlini pubblicò le sue indagini sulla convergenza della serie. che serve alla risoluzione del Problema di Kepler , io ebbi in pen- siero di investigare se direttamente operando sopra le note equazioni trascendenti dalle quali il Problema dipende , poteasi ridur la questione alla ricerca di un integrale definito che concisamente rappresentasse il termine generale di quella serie ordinata pe’ seni de’ multipli dell’ anomalia media del Pianeta. Io non incontrai molta difficoltà nell’ eseguire que- sto assunto , e riconobbi.anzi che i metodi stessi da me posti in pratica conducevano ad esprimere con formule integrali definite non solamente il termine generale della serie di Kepler, ma quello ancora delle serie che espri- mono il raggio vettore, e l’ anomalia eccentrica, ordi- nate l’ una per i coseni, l’altra pe’ seni de’ moltipli della stessa media anomalia. Ne risultava quindi una nuova maniera per rap- presentare le coordinate di un Pianeta nel moto ellittico : ed io comunicai al cel. Poisson la formula che io aveva conseguita relativamente alla serie di Kepler, che co- stituiva appunto la parte principale, e più importante del- le mie ricerche. Sul qual proposito scrivendomi quell’ in- signe Geometra da Parigi in data de’ 29. Settembre 1819., manifestavami gentilmente il parer suo co’ ter- mini seguenti ,, La formule que vous me communiquez relativement à l’expression de l’ anomalie vraie au mo- yen de l’ anomalie moyenne est très-intéressante . Je crois qu’ elle donne la solution la plus simple du pro- blèeme de Kepler ec. 3, 165 Or nella Connozssance des tems ‘per l’ anno 1825. pubblicata sul declinare del décorso 1822. il Sig. Pois- son ha inserita tra le aggiunte una sua dotta Memoria nella quale proponéndosi Egli quell’ oggetto che negli anni precedenti io pur mi era le giunge alle formule stesse che îo aveva ottenute . Il metodo seguitato ‘dal ‘Sig: Poisson esite 1° uso della serie di Lagrange; e quindi varie)trasformazioni, e sommazioni appoggiate ai conosciuti rapporti tra gli esponenziali imaginarj , è le finzioni del circolo. Io pervenni a risolvere il problema senza ricorrere alla serie di Lagrange » e prevalendomi del metodo seguente . i Sia © l'anomalia vera, u lV anomalia eccentrica, x l’anomalia media di un Piancta: ril raggio vettore, ed e l’ eccentricità dell’ orbita. Supporremo il semi-asse maggiore = 1. Noi avremo e =u—_esenu sha r È 1—e cos. U v—=2 arc. tons: {VE — Fang» sub Proponghiamoci. in- «primo Vi, di risolvere l’ ano- malia vera © in una serie ordinata per i seni dei mul- tipli dix;edi questa serie vogliasi il' termine genera- le espresso per mezzo di una. formula integrale definita. Facciagi pertanto — °-° PT Ri tt GR per è det RIONI °°, i sdd naso hi sen nz beni Sh. (A) dove omettò il terminò 66 Gitaiite perché ‘tutto deve an- nullatsi' dll’ dvaniesteizà' tons I ‘ Moltiplichiamo” ‘otà da spal lé parti per sen. hà. dx, e prendiamo 'poscià ‘l'integrale trà i lithiti + =0,4— 7, essendo 7 il rapporto della circonferenza al diametro. 166 Poichè tra i dati limiti, e. finchè ted. sono nu- meri differenti poi apbiamo tiara Poe ndvvitddon (sen. ix. sen.nx.dx —=o0 7 E che nel solo caso diz —nsiha f semina. dot ja ne concluderemo che dopo l’ indicata operazione la no- stra equazione (4) ridurrassi alla seguente. civ. fesenne.de=Th: MICRA pl depa - ri L ri _ ì he 20‘n. MI GARSAAI | Onde trarremo: È pier VIIIEORUE A ILI DO VTAC04 Libpi 2 { SOIOa TI, h =aJ sen. na. dx i o1s "I Ovvero integrando per patti Ro, î PI) d FIASMIOG 2v. cos. nx ne SE, vo e eaziare ct gr; n n atoinnsin Or noi abbiamo ue $ ris x ei 2 arc. tang. ng.3u E differenziando!»» - — aliena DER o È Sopra N . rio vioat9 de iis dr tO da gio Ie os Ca og Quindi sostituendo; ;.,:}. dà sienop ibid a il ii dvl'così ng! 1g TSTr ie? cos. nx. du ‘| ——— 4 n nr nr ha —Lle'cos. u' Nella ‘formula integrale Ù pe gini the sì 1 — €008.-U;m .i_ ins x © , RI cos. no. du sostituisse w in i funzione, dix; ma tornerà lo stesso 187 do invece si sostituisca x in funzione di Us purchè, in questo, cangiamento di variabile sì osservi, quali «siano i nuovi limiti tra 4 quali dovrà “estendersi. l’ ' integrale preso rapporto alla. ‘nuova. variabile LAND Pn 1151, 08 Or sussistendo tra l* anomalia eccentrica 2, e l’ano- malia media x la equazione x =Uu— esen.u se ne deduce che al limite x —=o abbiamo uv —=0;e che quando «=, abbiamo pure u =. Quindi la cossnx.du , È: a sì trasformerà nell’ altra formula integrale hi IT ecos.u estesa da u —= 0 sinoadu—r. forsteccsn a) de RA e I — e cos. u Egli è facile altresì il conoscere che nel valore 2U. cos. nx trovato per h, il "farine — riducesi tra i da- 2 cos. n ti. limiti a , poichè in virtù della equazione veri - tang. su} v siannulla quando u =0, e diviene = rr quando u =7: Con queste riduzioni avremo 2 cos. nT 2/1 — e? (cossn(u — e sen. u “na E fe E SR). du i I — e cos. n n nr Abbiamo quì sopra stabilito e sab, sen, Gr h, Sen. QE rh... H+ h_ sem nx rt ec. Facendo dunque per Rica Pp PIL n(u—esenu) o I — 6 cos. u sarà pure : 1 | en. 2x sen. 3x KA oz 2 semo ELE 3 — eC, H+ p, sen. x gal 135 SET, QX rp è 000 +P, sen. n a ec. 168 Onde finalmente ( osservando chè la serie ‘compresi tra : co "i x le parentesi equivale ad =) v_x=p sén.d+)p, sen QX... sp sen nertec. “4 pitti TRI VIa ad Ove ; iù ro @ coss.n(tu —esen.:tu p_= Ie di n nr A e, u estendelido l’înterrazione tra i limiti uZO,UZT. Questa formula che rappresenta il valore di iP, È quella stessa che io comunicai al Sig. fon, e di cui Egli fa menzione nella sua Mertdhit! (4): pt Il nostro metodo ci condurrà facilmente a i sentare con formule integrali definite i termini gene- rali delle serie che ‘esprimono l° anomalia eccentrica ed il raggio vettore; ordinaté la prima pe’ seni, e la seconda pe?’ coséni dei multipli‘ della anomalia media. Incominciamo dall’ anomalia eccentrica 4; Suppon- gasi u — k, sen. x + k, seri: QI lic Vigor IL k_, sen. nr EH èc. + — E quì pure tralascio il termine costante perchè annul- landosi x, svanisce ancora i Noi avismnò" per le ra- gioni stesse che'è6pra; ed 'iîitegrando tra i limiti z =0, sr x vifgm: aspaed cl k ni . sen. na dx x LS (a)J'ai été conduit à ces diverses formules par d'autres recherches relatives aux intégrales definies : mais Ì' équation (8) m’adait.été tommiuniquée avant que je me-.fusse, occupé de cet objet par M. @Frullani Professeur è |’ Ufiversité de Pise, qui n'a point encor, fait connaitre la. mérhode qu’.il.a suivie pour I° obrenir. (Conhoissance des tems pour?i an. 1825. pag. 384.) 169 Ovvero , integrando per parti 1,9 3 2 2 k = WB.:cosnx i — | du.cossnx n na nr E perchè, quando x — 0, usi annulla, e diviene UuZ=T quando. 7, sarà pure “ i = A cos nr du. cos. na n n NT i In luogo di sostituire 2 in funzione di &, sostituiremo co- me sopra abbiam fatto « in funzione di u , prevalendoci dea equazione ti; x =U—e sen. U e quindi’ ‘Integratido rapporto, alla nuova SITR u tra i PRE We» ga ‘Sarà lguinas k = — ESITA fcosn(u—esenu) du n nr n Ovvero Sha Dt i 2 cos. nT ì ominq ds cdl ermsene9 tin gii facendo per semplicità!’ ‘ dr 2 foosm(u — é sen. u ) du Or sostituendo nella serie »che ‘abbiamo Abioztia ta per l’ anomalia eccentrica 4; troveremo 1 } sen. 2% sen 9x di METSTI zen —_% Ali eri iro)) A TUA Y dg 1 derig Ft: a At e SET ME te CC, (IRI I 5153; : Tor 10! Ovvero 10! osservando, che. Ja, sgerie, racchiusa tra le pa- Gli mr fel \ SMILE fIsa 3 î u— a =9, sén, x bg sonde Dei kg) Sen. Na +00. gigi DI a n» i ==] cossn(u —esen-u)du © “Rezia n(u--esenu) du , integrando tra i limitiu—o,u=:; E questa; è l'equazione (6) della Memoria del Sig. Poisson... Passiamo ora all’ ultimo caso nel quale si chiede il raggio..vettore :r.in una -serie’ procedente pe’ coseni dei multipli dell’ anomalia media. | vi a Sapponenei d'érigugtorsast nr stuiitaeoa L9'OBeRE | T=S_$, COS. X — S_COS.2X — QC... — S,, 008, 2x-— l@C< I 2 n x Moltiplicando per cos. nx dx da ambe le, parti; ed, integrando poi rapporto ad < tra ilimitix =0,&=T. facilmente vedremo che il coefficiente generale: 8, sarà dato dalla equazione e vi | s=—- — /rcos.nx.dx ot n E sarà egualmeute, facile il-conoscere che il primo ter- mine s sarà determinato dalla equazione. . I i AT) dx, “e sata, sempre integrando, da .x =>ossino adia='raiil» 10 Abbiamo, integrando per parti; 11000 silcmiote 2r ro no 3 2 Ss 2_- +.SeRNxtxrk—./sennx dr [sen nx . dr n nn o I e nn : e pi Lio è 2 + 99 LE ai epr side L'AS perchè il'termine — — sen. nx si annulla ai limità. nr Dn III PIITAI TI AVI 1 0 | J IM Tye ZO) OTIVW,: E sitcotite “in virtù' ‘delle ‘equazioni ' fondamentali sì har—=1—ecos. u, sarà pure dr = e seri. u du j-onde. De "89 A pi ine Sh ef serena ver u.du » — + 35 ; ele nr o 171, E quì pure in vece di porre î espresso per x, noi pos- siamo sostituire x dato in u per mezzo della solita equa- zione ® = # È e sen. u; otterremo così, integrando tra i limiti u =0,Uu=T lari Be f3 * i an 2 fsenin (0 —e sen. u) sen, u» di nqa E questo valor di 8, È quello stesso che nella Memoria del Sig. Poisson è dato dalla equazione (7). Il primo termine s della serie quì sopra assegnata per il raggio vettore, è determinato dalla equazione adipinna i ME | If rde mmuibeati 0i RIPORTA mr. ' integrando tra i limiti « =0,x = 7 - Noi quì pos- siamo in luogo di r ed « sostituire i loro valori dati in « per mezzo delle equazioni x r I Ed avremo I —m——————————————_—mÈ n s=1f(1—ec08,u) du xa estendendo l’ integrale da u = © sino ad u=7- Effettuando le integrazioni troveremo i e? ep 2 Col mezzo di queste determinazioni si avrà 2 , e Ù Tr=z1+: — — 5 C085xX—S COSì LE — CC. è 0 00000 TT È 2 1 2 Ss Cos. na — €. n 172 essendo ORARA ALII L g09gr sarai \ ‘de : : ORE DI Se SISI PR s =— |/senn(u-—.esen u)sen.u.du, n na , y La trovata espressione dal raggio vettore r differi- sce da quella ottenuta dal Sig. Poisson ; che è la seguente ; Fai Sf 00s. 22: — 00, ...—8, cos. na — ec. (0% 3 È pal t 7 Y i Ma egli è facile il riconoscere, va questa a dipende da una leggiera, omissione :‘occorsa. nel calcolo del Sig., Poisson , il quale, stabilisco che la funzione 1 —r possa risolversi in serie pe’ coseni degli ‘archi multiplici di x senza ammettere un termine costante, mentre invecé la funzione pèr la quale può fissarsi que- 0 i:119 sta ipotesi Barra) fai, aaa ‘» GluLiANo FrRULLANI. (6) Mécanique céleste. Liv. 2, $. 22. 173 I. e R. Accademia ‘dei abetaniti Seduta ordinaria del dì 8 giugno 1823. RE. "1 accademico cor Vanni: lesse un suo scritto diret- to arender sempre più vivo l'impegno dei suoi consocii per gli. studii georgici ed economici, e per ogni oggetto di pubblica utilità, prendendone occasione da un’ articolo della celebre raccolta: periodica che si pubblica a fasci- coli mensuali a Parigi sotto il titolo di Revue encyclope- dique. Data ivi la debita lode all’Antologia di Firenze per la scelta giudiziosa e per l’importanza delle materie che vi sì inseriscono, ed allegato specialmente il rapporto an- nuo degli studii accademici letto, nella solenne adunanza dei Georgofili dal segretario degli atti, si conclude che questa società per le sue ordinarie occupazioni merita di esser riguardata come una delle ‘più attive e più utili del- l Europa. Il sig. dott. Giusti proseguì la lettura del suo estratto ragionato dell’ insigne opera del sig. consig. Storch, precisamente di quella parte di essa in cui si tratta della ricchezza nazionale. Il sig. dott. Emanuele Basevi di Livorno lesse una sua memoria intorno ai parafulmini ed ai paragrandine a conduttore di corda di paglia , in cui, coll’ appoggio del ragionamento e dell’ esperienza concludeva contro il’ effi- cacia e l’ utilità di questo nuovo mezzo , predicato prima di là dei monti dai sigg. Lapostolle e Tholard , e ‘recen- temente in Italia dal sig. Proposto Beltrami. (1) La natura e l’importanza di quest’oggetto strettamente connesso all'istituto dell’accademia, determinarono que- sta a nominare nel suo seno una commissione speciale incaricata d’ esaminare i fondamenti delle due contrarie opinioni, e farlene rapporto. ] sigg. matematico regio dot. (1) Ved. Antologia pres. Vol. B: 164. 174 | Pietro Ferroni , conte Girolamo Bardi, e cav. Vincenzo Antinori furono i membri di questa commissione. - L’ agente della tenuta del Suese avendo richiesto il parere dell’ accademia intorno ad un suo progetto di fare un’ estesa piantazione d’ acacie a ‘palina , 3° destinandola ‘a sostegno delle viti in quella vasta tenuta ; fu incaricata di sodidfare ad una tal: domanda una scia: commissio- ne composta dei sigg. marchese Ridolfi, dot. ‘Passerini, © dot. Tartini. (2) : Finalmente una terza commissione ; ‘di cui furono nominati membri i sigg. dot. Cioni , prof. Gazzeri, e dot. Calamandrei, fu ‘invitata ad esaminare una'mostra di filo di cotone tinto del bel color rosso detto d° Aleppo in- viato all'accademia dal: sig. Gio: B. Mazzoni di Prato, che in seguito di molte esperienze annunzia esser giunto ad ottenere questo bel risultato per mezzo d’ un processo assai più breve e più economico di quello che si pratica altrove. G. GAZZERI. Raccolta delle Orazioni criminali ‘e civili pri avvocato Lorenzo CoLtini. Mani ifesto. Se l’,Italia moderna, che sa superare in più di un titolo di lode le nazioni d’Oltremonte , apparisce inferiore a qualcuna di esse in quello dell’ Eloquenza Forense, non' deve credersi che lè manchino valenti Oratori, ,ma bisogna compiangere la poca, anzi la niuna cura di raccoglierne e. custodirne le produzioni; dopo che si è raffreddato l’interesse, e si è estinta quella curiosità per cui nell momento del ventilarsi le liti farono lette le scritture nelle quali se ne discutevano i meriti: loro sorte fu dunque di restar di- menticate per sempre sotto la polvere delle biblioteche dei pra- tici, quando pure non siano state distrutte dall’ ignoranza della plebe curiale , che , intenta solamente al lucro , non pensò mai all’ onor della toga. (2) Ved. pag. 137. del pres. fascicolo 175 Simiglianti raccolte però delle quali non mancano le altre na- zioni, e.ne abbonda la francese, come quella che è forse più di ogni altra, gelosa e avida ‘di onore, servirebbero ottimamente a far viepiù conoscere la felice attitudine ad ogni studio in cui pon- gan cura le menti italiane, e la pieghevolezza della nostra lingua ad ogni genere di eloquenza ; desumerebbero quinci esempio ed ‘ammaestramento i giovani, ai quali, ‘se fosse aperto loro un nuo- vo campo di gloria, che può dirsi illibata , questo sprone baste- rebbe forse perchè più d’uno favorito dal cielo giungesse alla perfezione anche nella Prosa, siccome; dopo i mostri padri ; molti moderni vi giunsero nella Poesia. La raccolta delle DIFESE CRIMINALI del sig. Avvocato Giu- seppe Marocco stampata in Milano dall’ anno 1818 ‘all’anno 1820 ottenne tale e tanta accoglienza, che mentre fa fede del merito e della fama dell'autore, cui devesi principalmente attribuire il gran numero degli associati, serve non meno a dimostrare quanto sia stato generalmente approvato in Italia. sì bel divisamento. Non può poi negarsi che li stimoli di lode anco qui, e per ogni dove, si facciano da parecchi lustri sentire più acutamente. Noi dunque imiteremo l’ esempio milanese, e pubblicheremo le ORAZIONI CRIMINALI E CIVILI dell’ Avvocato Lorenzo Collini giureconsulto fiorentino. I suoi allievi hanno avvisato di offrirgli tale tributo di rico- noscenza e di stima , di cui. possa. in vita. compiacersi .il. loro maestro . L’ avidità con cui sono state ricercate e lette le consultazioni e stampate e manoscritte ch'egli. ha avuto tante e tante occasioni di dettare per trenta e più anni di esercizio nell’Avvocatura; il trasporto ch’ egli ha sempre eccitato nella moltitudine concorsa ad udirlo arringare. alle udienze pubbliche ‘dei mostri tribunali le cause più celebri, da che questo pregevole ed onoratissimo sistema regnò , come regna anche oggi, in Firenze ; il suo me- rito, e la sua fama in somma ci persuadono , che gli amici delle scienze e delle lettere ci sapranno buon grado di avere scelte le più pregevoli fra le sue scritture (giacchè, mancando tuttora fra noi gli stenografi , non abbiamo potuto raccogliere anco le sue parole improvvisate alla Barra ), e di presentare questa scelta in un corpo all’ attenzione e alla critica di chi può apprezzarle e giudicarne . Inoltre, e per sempre act meritare il. pubblico entita to, premetteremo nel primo quaderno di ciascun volume qualche opuscolo del medesimo autore , analogo al principale oggetto della 176 nostra intrapresa , frai quali dobbiamo contare alcune ‘delle le- zioni , che ci siamo procurate, da lui recitate nelle nostre Acca- demie, in quella della Crasca, e nell’ altra po ale ’ delle quali egli è membro benemerito. Avyremo finalmente l’attenzione di dare alle ORAZIONI un certo ordine di cause e di tempi, per modo che riesca più grata la lettura dalla varietà delle materie ; e ne sorga occasione altresì di misurare il. progresso della scienza e dell’ arte. L’ opera sarà divisa in quattro volumi în ottavo di circa quat- tro e cinquecento pagine ciascuno. Il prezzo d’ogni volume sarà di lire cinque fiorentine. Le associazioni si prenderanno dall’ editore sottoscritto, e dai principali librai d’ Italia e d’ Oltremonte. Firenze 30 maggio 1823. G. Giusti uno dei Collettori . L. PeEZzATI Editore. Storia della Scultura, dal suo risorgimento in Italia, fino al secolo di Canova : del CONTE CICOGNARA. NS bha I fratelli Giachetti tipografi di Prato, compita l’edizione' del teatro dell’ Avvocato Goldoni, intraprendono ora una’ seconda edizione di questa opera interessantissima ‘per le belle arti, della quale sono oramai esauriti gli esemplari della prima edizione . Nè questo solo gli muove a tale impresa, cosicchè la loro non sarà una semplice ristampa ; ma bensì una nuova edizione fatta col consenso del cele- bre autore, il quale fattosi ‘carico delle'altrui osservazioni , e di ciò che ne dissero i giornali letterari d'Italia e' di oltramonti, ha assunto l’ impegno di rivedere; giustificare , correggere ed aggiungere tutto ciò che ha creduto convenire a render più perfetto il suo lavoro ; e vi ha aggiunto l’opere del Canova che vennero in luce dopo la prima edizione, accompagnate d’importantissime illustrazioni. L’opera sarà divisa in sette volumi in ottavo, il primo de' quali verrà alla luce mel futuro mese di Luglio. H prezzo è di 25. centesimi per ogni fo- glio ; quello delle lalrele in rame, di 34. cent. L' edizione, a norma dell'avviso che abbiamo sotto gliocchi,sarà nitida e in ottima carta, poichè: i fratelli Giachetti intendono a mantenere il decoro della ‘loro tipografia, e colla bellezza della stanitpa, e colla scelta di opere preziose ed interessanti. D. 797 |. Notizia sul Sepolcro di Jacopo Sansovino. Da Venezia riceviamo una notizia, la quale riesce interessante per la gloria delle nostre arti. Ricchissima quella città specialmen- te per grandi opere di architettura , le quali vi chiamafio curioso , e ne fanno partire meravigliato il più culto forestiero ; devesi pur confessare. che massimo splendore le viene eziahdio da’ palagi, che dal fondo vi costrusse, dalle chiese che a buon ordine vi diresse , da’ depositi onde adornolla, e da’ tanti lavori di scultura, di cui e sacri e profani luoghi vi fregiò } il nostro esimio architetto e scultore Jacopo Sansovino. Questo sommo ingegno che stette per lungo spazio di ani al servizio de’ Veneziani, trovò fra loro la morte nell’ anno 1570. La repubblica che tanto avealo onorato in vita,"volle che nè meno dopo morte egli rimanesse senza onore; e perciò nella chiesa di san Geminiano , la quale pressochè tutta era opera di lui, gli decretò elegaritissima e nobilissima urnà con lo stemma di san Marco . Non v' era uomo fornito di qualche cognizione di lettere e d’ arti, che recandosi a Venezia, non vi ricercasse la tomba di quel grand’ uomo, e che vedutala non la celebrasse degna di lui. Ma ‘quando l’anno 1807 per sovrana volontà , a fine di alzare in quel sito il nuovo regio palazzo , si volle atterrata la chiesa di san Gemi- niano, la veneta Accademia delle belle Arti non fu tanto sollecita ad altra cosa, quanto che le cerieri del Sansovino si raccogliessero, e gelosamente si custodissero , e l’urna si conservasse in aspettazione d’ un degno luogo ove riporle nuovamente . Il luogo fu ritrovato ed è il pubblico Oratorio ornatissimo dell’ illustre Seminario di Santa Maria della Salate, una delle più grandiose fabbriche delle città. La solenne funzione vi si fece assistendovi e S. E. il Patriarca Gio. La- dislao de Pyrker e illustri magistrati e membri dell’ Accademia ed altri dotti, che si comipiacquero di soscrivere l' atto seguente che scritto in pergamena, fu chiuso riella cassa ché onoratamente venne destinata a conservare le ceneri del nostro illustre concittadino. Corpus conditum Jacobi Sansovini sculptoris , et architecti florentini. Hic in aede quae fuit divi Geminiania V. Kal. Decembris MDLXX. placide quiescebat. Verum anno MDCCCVII. malo omine decretum est ùt aedes celeberrima solo adaequaretur atque ita tanti viri cineres exturbari necesse fuit. Ab Academia Artium Elegan- tiarum ne dispergerentur tune sapienter cautumi est , servata etiam superposita ejus urna elegantissima, divi Marci stemmate insculpta, qua una cum cineribus novum divi Mauritii et soc. templum exor- nari potuisse credebatur. Sed cum res in lobgum protraheretur , ne sine honore ulterius manerent ; IV. id. dec. MDCCCXXII. in sacello T. X. Giugno 12 178 Î Smae Trinitatis, qui locus precum est studiosae seminarii patriar- chalis ad sanctae Mariae Salutis juventuti, repositi fuere, hic extre - mum diem expectantes. Ave atque vale, anima suavissima, quasque artes tanto adfectu, dum viveres, complexus, es et mentis manusque officio promhovisti, easdem nune sideribus, ut speramus, receptus, ad majorem Dei glo- riam tueri velis. Aida Articolo comunicato. Notice sur quatre cippes sepulcraux , et, deux fragmens deécouverts en 1817, sur le sol de l’ancienne Carthage , par le major J. E. Humbert. La Haye, chez M. de Lyon. 1821. In foglio massimo con due tavole in rame. (*) H conte Cammillo Borgia, tolto non ha guari di tempo da immatura morte alle arti belle , avendo nel noto suo viaggio in Barberia scoperto due mausolei per entro al reame di Tunisi, avventurar volle uno scavo presso alle rovine dell’ antica Car- tagine. Ma la fortuna non fu a lui favorevole in questa impresa» Più benigna sperimentolla il sig. Humbert, che le vestigie seguen- do del romano viaggiatore, dissotterrò i quattro cippi e i due frammenti rammemorati; i quali non si attenta egli di ascrivere a Cartagine libera; ma solo dice , e saviamente dice , ch’ hanno essi impronta “Bai Puniche in fatti sono le iscrizioni ; e sul cippo recato al n. 1. della tavola prima, vedesi il medesimo cavallo cor- rente, che comparisce in quelle monete di punica scrittura, che da alcuni antiquari si estimano coniate in Palermo, ma che pel più probabile avviso del rinomato sig. Sestini sono da riputarsi di zecca cartaginese, e introdotte in Sicilia nella guerra, che arse tra il popolo di questa isola, e quel di Cartagine. Oltre poi ad'alcuni altri simboli, dei quali pure fa paragone il sig. Humbert con altri mo- numenti , scorgesi in quattro di, queste pietre sepolcrali un braccio destro colla mano aperta ; che il dotto illustratore riporta con buon criterio ad allontanamento di fascino, fatto paragone di moderne con antiche superstizioni. Questa operetta magnificamente stampata, a noi par molto importante sì per la erudizione , e il diritto giudicio dell’ editore, e sì massimamente pe’ nuovi monumenti, e in questo genere primi , che vi si riportano; i quali, se bene saranno considerati , po- tranno forse recare alcuno incremento alla punica lingua, della quale non si ba fin ora che scarsa e mal sicura conoscenza... Z (*) Alcune copie di quest’ opera trovansi vendibili: al Gabinetto scientifico e letterario del direttore dell'Antologia , al prezzo di paoli 30, 170 Errori corsi nel precedente fascicolo; maggio 1823. pag. 13.) usò il suo attuale v. 15.) segretario Gio, B. Niccolini, (*) leggasi usò, uno dei suoi membri ed attuale segretario dell’ accademia delle belle arti, G. B. Niccolini, (*) L’attual segretario dell’ accademia della Crusca è il sig. ab, Zannoni, pag. 173 ) illusione leggasi illazione nota v. 5 ) v. 6. immediato 0) immediata p- 183. v. 16. parti inquiete ”» parti in quiete p: 184. v. 10. che occasioni pt che occasionano »» nota. Bulini Pa Rubini Fine del Fascicolo XXX. \ N ld "04 vile a » 2 PAR gaista pit DATES dono dA Lomasiari ETRA ù PRE st (LAO "Sab, PA vg part AR bat, Vili ME pd detti IU LU i el x Pr E Ly Ai Ti e Ùl È A % bi4 è ì î di À Mai 6 È , Ù Lirà + ; affi U dii % dI, SE VINOO dba vo dg " Ù fait i i ° o ce È e î } fe i n L, TRA : 4 7 k $ Ù i ar - pl 1° | i i pi È 3 i | 7 4 à i % bi mati o nd h | x Wi INYATAOI Lei pa: e 4 4 i ta. Î i y ; ; Ù t) ul 4‘ SER } O Y \ i n ” hi ì 4 ; v i 3% nio I "I sl È . da ht IA ù sta Py n he 7 dr: 17 pai ‘ ) Heft te T sai di Cor SMI , fe RT hi i SU 4 A ii 1 fe È pa. | atei ) | Ù : RNA | DN 213 "a, i x i " ‘ ph Yj | \ è i AO ; Si a Y c f . LI x o di SISI x o N, î : DI RI \ ni * u pe I 3% RS ce ‘ ì i i : Ù $ Mi è. PALA? Va s Pi v à N: tag #0 “ate Hell grane rie È ) - x ni , ) y a Ù { i ” ù LI si METEOROLOGICHE OSSERVAZIONI FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO DELLESCUOLEPIE DIFIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205, MAGGIO 1823. 9 Termometro | $ | - > E Sit ie 5 Ora S 5: o |8|Ts'8.B Stato del cielo È 2 Quodf E 0h mula Bb | 3 BE Zi Mat et poll: lin, à 7 mat. 28. 2,1 13, 12,0] 59 Tram. |Sereno. V. forte T| mezzog. 28, 2,8 13,8] 14,2) 50 Grec. |Coperto. V. fiero! tI sera |28. 24 14,2] 12,9) 70 Grec. |Sereno. Calma 7 mat. |28. (2,7 132} 13,0|n..52 '’Tram, |Bel sereno. Ventic. 2| mezzog.|[28. 2,6 14,2 160 40 Grec. |Sereno. Vento tI sera |[28. 2,4 17,0]. 17,9) 60 Grec. |Sereno. Ventic. 7 mat. .|28. 2,6 12,9) 13,9) 58 Scir, . |Bel sereno. Ventic. 3| mezzog.|28. 2,4 16,4| 17,8) 46 Tram. |Bel sereno. Calma ri sera |28. 12,0 17,3] 18,7]. 60 Lev.Sc.|Bel sereno. Ventic. 7 mat. (28. 1,7 16,3] 14,2] 50 Scir. |Bel sereno. Calma mezzog. |28. 1,2 16,9] 17,9] 55 P. Lib. |Bel sereno. Ventic. ri sera |28. 1,4 18,0] 17,3] 66 Lib. |Bel sereno, Calma 7 mat. |28. 1,6 16,7 13,6 70 Sc.Lev.|Bel sereno. Calia D| mezzog. |28. 1,7 17,3] 18,4| 49 Tram. |Sereno. Veato r1 sera |28. 2,3 17,8] 17,8] 49 Gr.Lev|Bel sereno. | Calma 7 mat. |28. 2,4 16,0] 13,4|: Gr Scir. Bel sereno. Calma 6| mezzog. |28. 2,1 16,9| 17,0) 39 Tr. M. Sereno. Calma 11 sera |28. 2,4 17,8) 17,8] 57 Ostro Sereno. Ventic. | 7mat. |28. 2,5 16,4| 13,0] 70] — |[Scir. ‘Ser. nebb. Calma 7} mezzog. |28. 2,2 16,9| 17,0) 59 P. Lib. Sereno. Ventic 28. 2,5 18,0 I 7,3 65 Lib. |Sere 00. Calma . II Sera i I) i = ch ni tai (9J°) oi O S a Dio o 5 Ora 8 z| 7 Ei; 3 5-3 ‘Stato del cielo laal i lea , n i ma s SIE RA O 7 mat. |28. 2,7 16,0| 13,0| 74 Scir. {Ser. bellis. Ventic. 8| mezzog. |28. 2,7 16,3] 16,9] | 50 P. Lib. |Serenissimo. Vento |Y 11 sera |28. 28. 2,4 17;4| 17,3|: 59 Scir. |Sereno. Ventic. 7 mat. 28. 2,0. 2,0 16,0: 13,3|. 66 Scir. |Ser. belliss. Calma g| mezzog. |28. 1,6 17,0 16,9| 58 P. Lib. |Ser. con nuv. Ventic. risera |28. 14 17,6) ‘6,4. 80 ‘‘Scir. |Ser. nebb. Ventic. | 7 mat. |28. 16,4, 13,3] 82 Scir. |Ser. neb. Calma ro mezzog.|28. 1,0 17,3] 17,3] 57 Lib. |Ser. connuy. Ventic. ri sera {28. 1,5 18,21 17,8) 67 Ostro |Sereno. Ventic. 7 mat. |28. 1,9 16,9 — 14,8] $0 Lev.Sc.|Ser. con neh. Calma 11| mezzog.|28. 2,3 17,4| 18,0| 72 P. Lib. | Nuvoloso. Vento r1‘sera |28. 1,8 19,2 17,3] Bo Lib. |Sereno. Ventic.! 7 mat. |28. 3,0 16,9; 14,3 80, Scir. Ser. conneb. Ventic. | 12 essi 25 3,0 17,4} 17,81 49 P. Lib. Ser. caligé Ventic. 11 sera |28. 2,9 | 18,2| 17,9 du Scir. |Sereno. Ventic.| 7 mat. |28. 2,0 | 16,9) 14,7) 70 Scir. |Sereno.. Ventic. 13] mezzog. 28. 2,0 17,9] 184 Da P. Lib. Ser rag. . Calma ri sera ;28. 0,7 19,0] 19,0 Tu Lib. 'Sereno.. Calma 7 mat. |27. 11,8 17,9) 15,5: 75 Scir. |Ser. nebb.. Calma |! 14| mezzog. lan. 11,0 18,7 19,5) 46, P. Lib.|Ser.rag.. . Ventic. II sera |27: 11,0 19,6] 18,71 ) 8r] Scir. |Sereno.. Ventic. 7 mat. ;27. 110 | 18,2] 15,0) 95 0;15 P. P. Lib. Pioggia. dir. . Vento i15| mezzog. 27. 11,2 18,2]. 17,3) 64 0;09 Lib. Ser.con nav. Ventic. 11 sera 28. 1,4 16,9] 16,0] 74 0,05 Lev. Nuvyolo piov. | Ventic.|j 7 mat. |>8. 3,1 16,9! 14,2 60 Lev. |Ser. nuvol. .Vento :16| mezzog.|28. 3,6 16,4 16, st 50 Tram. |Ser. con nuv. Vento i | vi sera |28. 44 16,9 16,0, 50 Tram. Ser. neb. Ventic.|| | 7mat. |28. 3,7 16,0 13,8. 55 Tram. Sereno.. Vento 17| mezzog.|28. 3,5 16,4 17,3. 39 Greco Sereno. . Vento |i | [ri sera |28/ 13,0 | 174 18,0 50 |Tram. Ser. nebb. _ Ventic. | 7 mat. |28. 25 | 16,9 | 155) 62) |Scir |Nebb. - Wentic.lj :18| mezzog.|28: 2,5 16,9 18,4 42 Sc.Lev.| Nuvoloso: . Calma | 1 sera |28: 1,9 17,8) 16,9 75 P. Lib. |Sereno. Calma 7 mat. (98. 1,5 | 16,6 142) 72 Scir. |Ser. bellis. Calma | 19] mezzog. 28. 1,0 17,8! 18,0! 58 |'Ponen. Ragnato. Ventic. | 11 sera |28. 4; ‘4 3387)» AS 65 I |Lib Ser. bellis. . Ventic.. i w ermom. sn ty > o) È = 3 og © S| Ora È 2 2 | 8 |Ss|3.B Stato del Cielo [ei © ky © © ]°S|I Og A 2 5 3 rg E © ò ° ° S) Li î 7 mat. |28. 1,5 17,0 14,2| 74 Sc. Lev|Seretio. Ventic. 20] mezzog. |28. 1,3 17,8} 17,8] 5o Lib. {Sereno. Ventic. 11 sera |28. 1,0 19,1] 18,7| 69 Sc. Lev|Ser. con neb. Calma 7 mat. |28. 1,0 18,0} 15,7] 75 Scir. |Nebbioso, Galma 21) mezzog. |28. 0,8 18,7 19,1] 48 Lib. |Ragnato. Ventic. ! rr sera |28. 1,0 19,7] 20,0) 42 Scir. |Ser. con nuv. Ventic. |22| mezzog. 28. 0,6 18,5 18,8] 67 Ponen. | Nuvoloso. Vento 7 mat. |28. 0,6 18,7] 16,4| 71 Scir. Ser. a piaz. Calma ri sera |28. 0,9 18,6| 17,9 i Ostro. |Ser. a piaz. Ventic. de 7 mat. |28. 1,0 17,8) 15,7] 83 Lib. Coperto. Calma. |23| mezzog. |28. 1,0 18,2] 18,2] 54 P. Lib. |Ser. con nuv. Ventic. wusera' ‘28: 1,6 18,7] 17,6] 65 Scir. |Sereno. Ventic- 24| mezzog. |28. 1,2 17,8] 17,8] Si Pon.M.|Ser. rag. Ventic. risera |28. 1,1 19,1 18,7| 70 Sc.Lev|Sereniss. Calma |__| —___- | —— |-e--__[|Ilrrr_|_ Scir. |Ser. belliss. Calma Tr. M. [Ser. rag. Calma 7 mat. |28. 1,5 17,3 14,7| 70 Scir. |Sereno. Calma Lib. |Sereniss. Ventic. 11 sera |28. 0,4 19,3] 18,2] 75 30| mezzog. |28. 1,0 16,4] 14,7, 66 Tram. | Nuv. rotti. Ventic. 7 mat. |28. 0,0 17,8] 16,0| 80 Scir. |Ser. con nuv. Calma 26| mezzog. |27. 11,8 18,2} 17,9) 54 Os. Lib|Misto. Calma ri sera |27. 11,0 19,1 17,6) 61 Scir. |Nuvolo, Vento 7 mat. |27. 94 18,7} 15,7 65/0,20|Lib. |Ser.connuv. Vento. 27| mezzog. |27. 8,9 15,0. 16,7| 60|o,01,P. Lib. Coperto. Vento 11 sera 127. 9,6 | 17,5) 14,2) 93|o,rrtLev. |Nuvolo. Ventic.| | { 7mat. 127. 9,6 16,4| 12,9] 95 Lev. [Navolo neb. Pioggia 28| mezzog. |27. 10,1 16,4| 16,0) 68 P. Lib. |Nuv. rotti. Calma ri sera |27. 9,7 16,9! 15,0) 84! o,or|Os. Sc. |Ser. con nuv. Calma 7 mat. |28. 0,0 15,5] 14,2| 90 Sc.Lev | Coperto. Ventie. 29| mezzog. |28. 0,0 16,4] 16,9] 58 Lib. {Coperto. Calma ri sera |28. 0,4 16,9 15,t| 91|]0,37|Ostro {Piovoso. Ventice* 7 mat. |28. 0,8 16,0) 12,4) 81 ‘0537 Scir. |Ser. rag. Ventic. ri sera 128. 1,1 17,3) 14,9! 82 Scir. |Sereno. Calma | 7 matt. (28. 1,3 16,2 13,3] 72 Tram. {Sereniss. Calma |31|] mezzog. (28. 1,2 16,9 17,0) 50 Tr. Gr.|Ser.con nuv. Ventic. ri sera |28. 1,2 17,3. 18,2] 60 ev.__|Sereno. Calma |$° INDICE | DELLE MATERIE CONTENUTE NEL DECIMO VOLUME SCIENZE MORALI E POLITICHE. Dee antiche leggi della Scandinavia. (conclusione) I. Mouttier. Delle fabbriche ,, e delle scuole di. New-Lanark in Iscozia , e del sig. Owen, proprietario direttore. S. Uzielli. Riflessioni sulle colonie in generale, e in particolare su quelle, che si converrebbero alla Francia . ( conclusione ) ‘|. G. R. Pagnozzi. Traduzione francese della morale e politica d’ Ari- stotele del sig. Thurot. : X. Della letteratura italiana nella seconda metà del se- colo XVIII; opera di Camillo Ugoni. M. Esame delle opinioni dei sigg. Say, Sismondi e Malthus sugli effetti risultanti dall’invenzione delle macchine, e dall’accumulazione dei capitali. Estrat- - to dall’ Edimburgh Review. PID: Società formata per la diffusione del metodo di re- ciproco insegnamento . — Processo verbale della solenne adunanza dei 17. gennaio 1823. F. Tartini Salvatici. Che le leggi delle XII. tavole non vennero dalla Grecia . . F. Ambrosoli. Memoria, nella quale si rammenta all’ Italia un’ an- ‘‘teriorità che le si deve in fatto d’educazione. 7. A. Apologia dei secoli barbari, del P. Battini. A. Renzi. Istoria del Giurì del sig. Aignan (conclusione) G. Giusti. C. Ap: *?55 AL 33.67 SARI ” go A. 164 Bi, tr BINDI B. ,, 79 B. ,, 92 B. .,, 117 B. ;, 199 2 Notizie sull’ impero di Marocco. (estratto ) F. G. C.,, 0% Osservazioni intorno alle circostanze che influirono sullo stato delle classi de’ lavoratori, di Barton . Ricerche intorno alla causa del progressivo abbassa- mento dei lavori nei moderni tempi, di Barton. De Sismondi.. C. ,, u1x GEOGRAFIA , VIAGGI ec. Della strada nuova da Nizza a Sarzana. Memoria di C. L. Bixio di Genova. (continuazione ) As pe'0i3 LETTERATURA , BIBLIOGRAFIA ec. Oriele, o lettere di due amanti, pubblicate da De- fendente Sacchi. L’ Isoletta dei Cipressi. Romanzo di David Bertolotti. Biblioteca amena e istruttiva per le donne gentili. ( articolo nd) D. A. p. 29 ( conclusione} D. B.,, 131 Saggio d’Estetica , di Gio. Batista Talia. A. Renzi. A. ,, 139 Osservazioni sulla ristampa dell’opera intitolata : Costume antico e moderno, ec. Avv. Collini. A. ,, 159 Viaggi dei dott. Spix e Mastius nell’ interno del Brasile. Viaggio del prof. Raddi nel Brasile. L’ Editore. B. ,, 189 Del viaggio in Terra Santa fatto e descritto da Ser Mariano da Siena nel secolo XV. Philippi Redditi Exbortatio ad Petrum Medicem in magnanimi sui parenti Laurentii imitationem ea codice Laurentiano. Saggio dei dialoghi filosofici d’ Orazio Rucellai, testo di lingua inedito. G. B. Zannoni. C.,, w Ode Olimpica I. Versione del March. Ces. Lucchesini. C. ,, 68 Dialoghi di Luciano intorno ai Numi: tradotti da L. Guidolotti, e pubblicati dal prof. de Angelis. Su la Fontebranda di Siena, lettere del prof. de Angelis. Elogio storico di Guglielmo della Valle, scritto dal prof. de Angelis. A. Benci. C. ,, 99 Osservazioni concernenti alla lingua italiana ed ai suoi vocaboli , di Angelo Pezzana Antonio Benci. C. ,, 102 Iustrazioni della Divina Commedia , compilate da Scipione Colelli. D. Il Riccio rapito di Pope, tradotto in italiano da S. Uzielli. G. B. Niccolini. Raccolta delle Orazioni criminali e civili dell’ avv. Lorenzo Collini. G. Giusti. Storia della Scultara del conte Cicognara, 2. ediz... D. SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE. Costruzioni geometriche dell’ orologio solare sopra un piano qualunque, di Giovanni Astolfi. ai; Dei paragrandini del prof. Tholard, memoria del proposto Beltrami. M. Alcune osservazioni sulla facoltà conduttrice della paglia, e sul paragrandine del sig. Tholard. D. Em. Basevi. Lettera al Direttore dell’Antologia sul paragrandine, M. Sopra una nuova maniera per rappresentare le Co- ordinate dei Pianeti nel movimento Ellittico. i G. Frullani. SCIENZE MEDICHE. Prelezione agli stu di di medicina pratica per l’ anno scolastico 1823; letta dal dott. Angelo Nespoli. Alcune osservazioni sulla teoria eccitabilistica del controstimolo. (continuazione) D. Em. Basevi. AGRICOLTURA . Rapporto generale sullo stato agronomico e politico della Scozia , di Gio. Sinclair. ( conclusione ) F. Tartini Salvatici. ARCHEOLOGIA . De’ marmi statuarj trovati fra le raine delle antiche terme di Massaciuccoli. Giulio di Sanquintino. Sull’andamento della via Emilia di Scauro. Em. Repetti. Q Om be: »” ») 23 115 171 72 Ili 4 Notizia su quattro monumenti punici scoperti a Car- «tagine dal Maggiore Humbert. Z. BELLE ARTI. Galleria Riccardiana , dipinta. da Luca Giordano , pubblicata dal march. Fran. Riccardi Vernaccia . A. Renzi. Notizia sul sepolcro di Jacopo Sansovino. Art. comunic. I. E R. ACCADEMIA DE’ GEORGOFILI. Adunanza ordinaria del dì 16 maggio 1823. G. Gazzeri. Adunanza ordinaria del dì 8 giugno 1823. %} NECROLOGIA è Antonio Renzi. Al: * >» »” ») 178 204