i. » ai __è , Ww ed dire e ZI) TE Sad se x DI sE e 5 si e le Rica Aa si si x A x x ui A i o Sn ui I si Do hei x + i Ci bd è u » È Pi i i È, e x l re he 4° i i i ri o PSI ‘o è * x i si È l i seo Dl * € i o si È ì, i si : ® - - si si — è Li \o x b l “è è mat met » È ini dog Paz ° da Di : - è A i O ® DI Fassi . si è LI 3 Ca fi Psi di x è . Pai _ rrreua i è se si sere” I PI Li ER i ì sa Ue e, DE i ” N ta = "i hai di - È x l A" t] e. DI ® * i; da * e è = RL: dae Nadii VE ili eu ma - An - le SI eee ti de PIP: Spi Lui) - d' TO a 8 boa , do ei ANTOLOGIA 1624. TOMO DECIMOTERZO FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXXIV, ANTOLOGIA N. XXXVII. Gennaio, 1824. Saggio sulla natura, lo scopo, e i mezzi dell’imitazio- ne nelle belle arti, del sig. QuarremiRE DI Quincy, segretario perpetuo dell’ Accademia Reale di belle arti a Parigi. — Parigi, 1823. Un vol. in 8.° di 4359 pagine. uesta grand’ opera, che tutta aggirasi su materie as- tratte e metafisiche, può dirsi il complesso delle opinioni dotte e profonde del sig. Quatremère , emesse partitamente in molte altre sue produzioni e memorie, le quali merita- mente gli hanno assegnato uno de’più distinti seggi fra’ letterati viventi. Avendo egli sviluppate le sue teorie più ampiamente in questo libro, e con molto ordine e chia- rezza, sembra aver voluto offrire un nuovo pascolo a quegli ingegni che si compiacciono delle sottili indagini dell’Estetica, valendosi di questo modo per presentare la riunione delle sue idee in un ramo di cognizioni ove può dirsi maestro. Non può negarsi però che per voler mettere queste dottrine a portata di tutti, e indurvi la maggior chiarez- za possibile, non s’ incontrino molte inevitabili ripetizio- ni, sebbene ingegnosamente procuri talvolta di scansarle col rimandare il lettore non solo ai paragrafi già esposti , ma citando sovente anche i successivi. Diciamo paragrafi in luogo di capitoli, poichè è così piaciuto all’ autore di 4 nominare le divisioni della sua materia, sebbene la loro lunghezza giunge talvolta a venti pagine di stampa. L’ estratto d’ un’ opera , ove per il concatenamento delle idee , non possono separarsi le deduzioni dalle pre- messe, diventa estremamente difficile, se vogliasi rinser- rarlo nei confini concessi all’ articolo di un giornale. L’a- nalisi delle materie astratte diventa facilmente più estesa ‘ | del testo che si vuole illustrare , e ci saprà buon grado l’autore della scusa che anteponghiamo a questo scritto, se per annunciare l’ opera sua, a lui sembrerà non aver noi con bastante profondità sviscerate le materie in un breve compendio, ed egualmente iscuserà la libertà delle nostre opinioni, se qualche volta non fossero colle sue pienamente concordi. Ciò non potrà nuocere per certo al- la preziosità di questo saggio, ed alla fama del suo autore, stabilita sù troppo solidi fondamenti, e da noi stessi in più incontri, ed in questo egualmente, celebrata con sin- cera ammirazione. Trova il sig. Quatremère che Kant troppo astratto , e per la sua altezza quasi inaccessibile, tentò di concentra- re tutte le nozioni della teoria dell’ imitazione in un solo principio , e Sulzer al contrario trattando troppo partita- mente il soggetto, per la disgiunzione delle membra. | nelle sue varie teorie , non produsse un tutto applicabile | all’ argomento di cuì si tratta; la mancanza di unità es- sendo il principal difetto di questo autore . Protesta però egli di non voler estendere il suo lavoro a quelle immense indagini, per cui le arti parlando alla ragione, all’imagi- | nazione , al sentimento , al gusto , ai sensi domandereb- || bero lo sviluppo di altrettante complicate teorie. Si pro-| pone nella prima parte, che ha per iscopo della natura | della imitazione, di riconoscere ùn centro comune da cui | partono tutte le vie conducenti agli effetti, e conclude | che alcune nozioni primarie ad un tempo, e centrali, || sulle quali fonda il principio elementare dell’ imitazione Î}' 5 propria delle belle arti, non cerano per anche state rac- colte e ravvicinate sotto un sol punto di vista in modo di fissare tutte le incertezze dell’ opinione, assoggettan- dola a una regola invariabile. La seconda parte del lavoro volgesi alle ricerche dello scopo principale , riconoscendo che V imperfezione delle idee, e dei troppo parziali risultamenti, avevano finora stabilite dottrine troppo inferiori all’ altezza del- l'oggetto, per cui intende elevarle a una meta più su- blime, segnando al genio il vero apice del suo volo. Ed alla terza parte è riservato il trattare dei mezzi dell’ imitazione, ma sempre però senza discendere alle pratiche tecniche o didattiche delle arti in particolare, di modo che non parlasi mai dell’ esecuzione ; e tendesi av- vedutamente a render visibile la separazione dei mezzi dell’ imitazione da quelli dell’ imitatore. In conseguenza questo saggio presentasi come la teoria più profonda e più astratta dell’ imitazione , che deve applicarsi alle arti sen- za mai farsi carico dei mezzi dell’ esecuzione , concluden- do l’ autore , indipendentemente da quanto finora si ri- tenne, che se anche le buone teorie non fossero conducenti a produrre opere distinte, possono essére però belle e buo- ne per loro stesse ,:e che anzi le belle opere dell’arte avendo dato motivo ai precetti, piuttosto che a quelle abbiano questi giovato , avvi altrettanto diritto per chie- dere a che serve una poetica, come per domandare a che giova uno squarcio di poesia. Con molto acume e sottigliezza, e di necessisà con molte ripetizioni , Y autore percorre sulla definizione dei principii elementari dell’ imitazione nelle ‘arti, e sulle idee che bisogna formarsi della rassomiglianza dell’ imi- tazione che aiar è propria, Dimostra che la rassomiglianza la quale è concesso a ciascun’arte di produrre non può essere che parziale, e come queste conseguenze e queste nozioni particolarmente s ’ applichino tanto alla poesia clie 6 alla pittura. Prosegue a far vedere certe separazioni reali poste dalla natura fra l’arte del poeta , e quella del pitto- re, e deduce alcune prove dalla differenza tra Je facoltà dell’ anima e le qualità degli oggetti imitabili ; egualmen- te che dal principio di unità dell’ anima e delle sue azioni da cui trae origine l’unità imitativa , e in conseguenza la separazione stabilita tra le diverse arti. Dalle quali pre- messe passa a riconoscere le demarcazioni che separano il dominio dei mezzi dell’imitazione, poichè senza di queste, coll’ invadersi i diritti riservati a ciascun’ arte in particolare, ne deriverebbe per così dire la confusion delle lingue , e infelici e mostruosi sarebbero sempre i prodotti, o le usurpazioni volgari che un'arte farebbe sul dominio d’ un’ altra per imitare la natura vivente: le quali imitazioni meritano piuttosto il nome di mostri e cari- cature, come sono i cieli, le prospettive, i paesaggi, i vapori espressi dallo scultore , i soggetti trattati dal pen- nello non intelligibili che dalle narrative. E particolar- mente in questo luogo pone l’autore ogni studio per sta- bilire le separazioni forti e visibili poste dalla stessa natura fra le diverse arti, rese ancor più sensibili dall’os- servare come Z anima , a cui ciascuno studiasi di piacere, non può simultaneamente godere di due effetti, e în conseguenza delle duplici impressioni d’ una imitazione. Passando quindi ad esaminare l’ unità e la varietà imitativa , e le false nozioni che derivano dal non inten- dere convenientemente queste definizioni, ed estenden- dosi sulla natura e il carattere di quelle associazioni che hanno luogo tra diverse arti concorrenti a un’opera comu- ne, e sui falsi mezzi pei quali distruggesi la verità imita- tiva in ciascuna arte, quanto più cercasi di completare ed accrescere questa imitazione spingendola alla contra- fazione, non solo ritorna l’ argomento a quel che più so- pra si è notato relativamente ai confini che col determi- nare gli uffici di ciascuna in particolare assegnano i 7 rispettivi loro dominii, ma innoltrasi persino all’ arduo tentativo di dimostrare che per quanta sia l’ affinità tra la musica e la poesia, con tutto ciò non fu mai possibile a queste due arti riunite di produrre un effetto simultaneo, vedendosi l’ una soccombere senza che l’ altra guadagni . E per meglio esprimersi , e provare che i capi d’opera della poesia non possono rimanere o diventare capi d’ ope- ra della musica, intende spiegarlo coll’osservare, che es- sendo di già eccellenti nel loro genere , ed avendo di già attinto all’apice della perfezione imitativa mediante l’ e- spressione della parola, non può loro accordarsi alcun genere di supplemento. Il compositore di musica che vo- lesse servirsi di questi capi d’opera per tema delle sue in- venzioni, trovandosi nella difficoltà di esprimere con modi equivalenti in forza e in bellezza alle immagini già prima dal poeta perfezionate, si troverebbe prevenuto e soggiogato senz’ armi per poter battersi , e le possenti at- trattive dei suoni non resisterebbero a fronte dell’ atrat- tive della parola. E quantunque il nostro autore in ques- to luogo non sembri ammettere ciò che sembrerebbe po- ter disputarsi, dal momento che sui nostri sensi 1’ eccel- lenza della poesia drammatica operò mirabili effetti con- giunta al musicale artificio, egli più oltre procede, ed ammettendo a guisa d’ipotesi un’ esecuzione simultanea di musica e di poesia eccellente, ed accordando all’ ani- ma le disposizioni favorevoli onde assumere tutta l’ atti- vità per prestarsi ad un tale esperimento, deduce che per l'intimità dei mezzi di esecuzione fra le due arti, questo ravvicinamento impedisca una successione abbastanza sensibile e reale di impressioni, e in vece che l’anima abbia a gustare un doppio diletto, si esponga al contrario al doppio tormento, prodotto dalla gara con cui queste due arti forzerebbero l’attenzione , obbligandola a dividersi tra l’ una e l’ altra, e a non provare che effetti disgiunti , i quali si annullerebbero reciprocamente. 8 Le quali idee un pò troppo astratte del nostro auto- re, non veggiamo come possano reggere in confronto della riunione che ognuno ha verificata con-tanto successo del- la musica col Dramma, specialmente in Italia: esperienza a cui non fuestraneo lo scrittore , che nella nostra let- teratura abbastanza versato , e vissuto per molti anni sotto il cielo d’Italia, ceder dovette egli stesso all’ impero di questa felice riunione senza avervi provato a/cwr dop- pio tormento , e senza vedere reciprocamente annullato l’ effetto dell’ una o dell’altra di queste commoventi arti germane. E il sig. Quatremère sì imparziale, e sì giusto nell'attribuire la lode ed il merito alle nazioni ‘e agli artisti, cui non isfuggìi mai dalla penna alcuna benchè menoma animosità , quantunque talor provocato , il sig. Quatremère certamente ha consultato in questa sua as- sertiva con più severità i suoi principii, di quello che le sue sensazioni. Se vogliasi prendere la cosa troppo astrat- tamente, è verissimo che non tutti i generi di poesia, per quanto essa sia eccellente, non permettono senza disca- pito di accompagnarsi all’ arte musicale, e difficilmente un sonetto di Petrarca, un capitolo di Dante, un canto dell’ Ariosto o del Tasso, un’ oda di Parini, o una visione di Monti guadagnerebbero dall’ esser messe in musica, troppo difficile essendo pel maestro di cappella il trovar tali note da disputare l’ eccellenza di quelle locuzioni , o la forza di quelle immagini; quantunque la musica sacra applicata agli inni, e apiù bei salmi. della Chiesa potesse offrire argomento di qualche eccezione in onore del Salmista , immaginoso e caldo poeta , e dei Pergolesi, del Iomella , dei Marcello, maestri i più classici nell’ arte musicale. i Ma quando debbansi instituire dei, paralelli, e per- chè non si prenderanno gli oggetti nei quali siano più evi- denti i principii di affinità ? e specialmente tra la Musica e la Drammatica, che intente ad imitare ed esprimere "> col soccorso delle note musicali e del verso tutto ciò. che è immateriale , hanno , nell’ espressione .dei medesimi oggetti, una ragion comune che stringe con vincoli inse- parabili la loro parentela. E allor quando si voglia trat- tare degli eftetti delle arti, e del loro diletto sull’anima, e perchè non si avrà ricorso, e non si faranno le esperien- ze sugli uomini meglio organizzati, meglio senzienti , sù quelli in somma che meno soggiacquero-alle triste conse- guenze delle cause seconde? Scelgasi un uomo bello, gio- vine, sano, di gentile animo, nato in clima temperato, nen afflitto da privazioni, non snervato dall’indolenza, e si tentino sù quello le impressioni del bello. Certamente se si cerca un Lapone o un Etiope , o un cieco, o un sordo , non si instituiranno legittime conseguenze sugli esperi- menti della luce e dei suoni. Egualmente se per la riunione della Musica alla Poesia, e per quel simultaneo effetto che queste due arti possono produrre, sarà preso ad esame ciò che non è adatto all’ esperimento, la deduzione non potrà esser mai giusta. Ma noi abbiamo un genere di poesia che positiva- mente venne inventato per associarsi alla musica, e per fare di queste due arti sorelle, nate per così dire ad un parto dalla voce e dall’intelletto umano, un’ arte sola. Il dramma. che scrissero gl’italiani, prendendo di mira tut- te le convenienze di questa unione, scegliendo le frasi, i concetti , le parole che meglio si prestassero alla soavità delle melodie, procurando quelle situazioni ove la eccel- lenza della elocuzione poetica . non venisse soverchiata dall’ eccellenza dell’ espression' musicale, il dramma di Apostolo Zeno, e più particolarmente di Metastasio, of- ferse argomento eminentemente contrario alle prove ad- dotte dal nostro autore. È bensì vero che una folla di circostanze per mala sorte violando le buone discipline te atrali distrussero tal- ‘volta l’effetto di questo accordo tra le due arti sorelle , e 10 che l’una invadendo i diritti dell’altra, non vi fu più or- dine, nè legge, e in vece che la musica servisse ai con- cetti, alle idee, le parole e le idee servirono alla musica, e l’una e l’altra piegarono strascinate dietro il capriccio dei cantanti, e si corruppe il teatro, e di dramma non restò che uno sfigurato accozzamento di arie, di recitativi, di luoghi comuni subordinati alle così dette convenienze teatrali. Ma per comprovare un assunto , e quando mai fu presa ad esame la cosa viziata e deforme ? E come far vorrassi un confronto là dove mancasse per così dire l’ elemento per difetto del genere, ed ove la lingua pos- sa dirsi positivamente recalcitrante alle dolcezze della melodia? Davvero che in tal caso si tornerebbe al citato confronto dei sordi e dei ciechi. Dalle esposte teorie deriva l’autore le cognizioni che lo guidano alla scoperta di quell’errore che conduce l’artista a cercare di là dall’ arte un sopra più di rasso- miglianza imitativa nelle facoltà d’un’ altr’arte, facendosi in tal modo strada alle dotte conclusioni di Lessing. E deriva egualmente da questo luogo un motivo per pren- dere ad esame il nuovo genere di componimenti romanti- ci, nella cui definizione essendovi molta oscurità, ed es- sendo variamente interpretata, deduce dal torbido e dal- l'inesatto di questa idea, che non sia certamente il pro- dotto della chiarezza degli intelletti, ma in vece un fantasma che sorge dalle nebbiose regioni dell’ imagi- nazione. E scendendo i’ autore di questo saggio ad un'analisi più chiara di ciò ch’ egli intende per genere romantico, conchiude: « che in questo preteso genere direbbesi la mu- sa del poeta aver abbandonata la lira ideale , per servirsi dei mezzi meccanici delle arti del disegno. Lo scrittore deriva le inspirazioni immediate] non più dagli oggetti della natura fisica, ma dalle imitazioni, e dai modi imita- tivi dell’ artista. Il suo pittoresco è quello della matita, 11 le descrizioni sono sminuzzate, le metafore sono tecniche. Modifica i corpi o in lunghi obelischi , o in cupole roton- de, o in concave tazze, e pretende di esprimere il model- lo delle forme , l'andamento dei contorni , il profilo del- le linee, la proiezione dell’ ombre il gruppo delle masse. Dipinge i fiori di minio, il firmamento di oltremare, panneggia di neve le montagne , ne acconcia le cime di brine ; dispiega in umidi lembi gli strati d’ acqua , pen- nelleggia di velature l’ aurora, e di mezze tinte l’ incerto crepuscolo. Non temete ( soggiugne ) che dimentichi i vapori della prospettiva aerea nei fondi, nè i contrappo- sti grandiosi sul davanti del quadro: tutto vi apparisce colla più ‘minuta esecuzione del pennello fiammingo; i licheni ed il musco suì tronchi degli alberi, le tinte verdastre, e la muffa sulle pietre sepolcrali , la pianta parasita sulle ruine, il colorito nerastro sulle antiche tor- ri, il barbaglio di luce sui vetri delle finestre ripercosso dall’ agitarsi dell’ onde del lago , nè finalmente sul mar- gine le riflese imagini dei pioppi che specchiansi in quel mobile cristallo » . È bensì vero; conchiuderem coll’ autore , che in tal modo si esaurisce il vocabolario del pittore, e si fa la vera e perfetta parafrasi del quadro: ma è altresi vero che l’ usare di questo pennello con sobrietà e con artificio; il tratteggiare con magistero, e colle grazie che sono proprie d’ogni soggetto, può essere altrettanto ammesso dall’ imitazione pittorica , quanto dalla ragione poetica. E quantunque sia chiaro che l’abuso della descrizione d'ogni minuta parte nuoce all’ effetto generale, e 1’ accessorio possa in questa maniera far perdere di vista il prototipo del poema, nondimeno la riunione che qui ha schierata il chiarissimo autore di tanti oggetti vedesi espressa con oratorio artificio , onde rinfiancare meglio il suo assunto. Noi convenghiamo pienamente che nell’ epica i tocchi vogliono esser più larghi e più rapidi, e che gli effetti 2 generali deggiono campeggiare a fronte delle parti ‘subal- terne; ma non veggiamo che gli scrittori di questo nuovo genere romantico pretendano di gareggiare con Omero: 0 Virgilio, e che siansi proposto di battere un cammino che altri già sparse di tanta luce, e tutte già vi colse le, palme d’ onore. Non è difficile il riconoscere l'immensa diversità ira i due generi, e conseguentemente rendesi necessario l’impiegare altrettanta diversità nei modi da adoprarsi. Anche il pittore diversamente concepisce e colora i soggetti adattati alle volte, alle pareti della reggia o del tempio ove raffigura le storie degli eroi , o i fatti delle religioni, e non divagasi in minutezze che sareb- bero perdute o nocive all’ interesse dell’azione, attenuan- done la maestà con distrarre lo sguardo dell’ osservatore, delle quali minute cose tien conto allor quando pone ma- no nel silenzio della sua officina ai quadri di gabinetto, e i vapori d’ un sole cadente, la fresca rugiada d’ un bel mattino, il vellutato dei frutti, la trasparenza dell’ uve, le goccie d’ acqua spruzzate sulle foglie di rosa , e gli in- setti ronzatili sul calice de’ fiori, vi rappresenta con sor- prendente artificio. La diversità dei modi dipende dal ge- nere, nè potrebbe accusarsi di vizio altro che l’improprio miscuglio di queste applicazioni, che non possono trovare i loro canoni nella poetica d’ Aristotele , o nei precetti di Leonardo. Ma se al pittore non disdice dai lati campi della natura trarre qualunque imagine a seconda dell’og- getto che si propone, non osiamo invero sdegnarci col- l'imitazione poetica, ove essa riconosca dover prendere ad imitare gli oggetti in maniera aftatto pittorica, sia per dispiegarne le bellezze con una più minuta analisi ; sia per isviscerarne le prerogative coll’occhio dell’osservatore diligente, senza rinunciare alla veste poetica. Ognuno avrà osservato come gli scrittori più classici, nella necessità di descrivere i medesimi quadri poetici, per le invariabili ricorrenze che si presentano nel corso dell’ epopea, han 13 no dovuto sminuzzare ogni oggetto, e farne per così dire una completa analisi; senza di che tutte le burrasche , le notti, le aurore, le battaglie, e tante altre descrizioni che occerrono nel corso dei lunghi poemi non sarebbero che monotone ripetizioni, e si accuserebbe giustamente lo scrittore di povertà di pennello. Ed è perciò che ove ac- cada il riprodursi delle medesime circostanze , se si raf- frontano i vari luoghi ove sia dipinto lo stesso oggetto, si vedrà come il poeta l’ha dovuto con fino giudizio da tanti lati osservare , ora presentandolo nel suo insieme, ora nelle sue parti, ora persino ne’ suoi effetti, e che la sua imitazione non la cede poi. finalmente a quella del pittore il più accurato. Ma non v’ ha bisogno di instituire sempre i con- fronti coll’ Epica sublime, che la poesia, per la pieghe- volezza dell’ indole sua, discende ai generi medii, e si veste non solo della pazienza dell’ artista , che ado- prando il pennello contentasi della pura superficie dei corpi, ma colle indagini fisiche, e colle profonde specula- zioni del naturalista, dell’artigiano , dell’ agricoltore di- vaga amenamente e istruttivamente colla Didattica sugli oggetti che sottopone alle più minute osservazioni, alle descrizioni più scrupolose , e persino alle lenti dell’astro- nomo. Che se in luogo di dettare i precetti della fisica, delle arti, delle manifatture, ma cercar volendo tra gli avve- nimenti famigliari e probabili l'andamento delle passio- ni, delle virtù, dei vizii degli uomini, contrassegnando la varietà dei caratteri degli esser i in mezzo ai quali vi- viamo, piuttosto che tratteggiar largamente le grandi azioni che ingigantiscono colla distanze e col meraviglio- so, se si vorranno esprimere le più minute impressioni che sul sensi apportano gli oggetti visibili , secondo le varie predisposizioni degli animi nello stato loro più naturale, non spogliati de’ pregudizii a quello inerenti; noi ricono- 14 sceremo come sia non solo dicevole, ma ‘del dovere del- lo scrittore, il presentarci la scena nei modi positivi che Miris e Gerardow nei loro quadri ci raffigurano la. tra- sparenza del cristallo, il lucido .della seta, il vellutato del tapeto , e come Van Houssen ha dipinta la freschezza dei fiori, e Venix le penne delle pernici e il pelo de’ le- pri e de’conigli. La diversità dei modi converrà esclusi- vamente alla diversità dei generi; e qual meraviglia se ciò che è difetto in un genere divenga poi prerogativa indispensabile in un altro ? È duopo convenire che all’ Italia, cui finora parvero mancare pennelli che si consecrassero all’ imitazione degli oggetti naturali, alla maniera minuta e accurata de- gli olandesi, mancano pur anche scrittori, che al pari de” più celebrati tra’ moderni autori inglesi, consecrassero le loro vigilie a quel genere che il sig. Quatremère sembra prender di mira nel IX paragrafo della prima parte del suo lavoro. E per certo, ove manchi l’ elemento al con- fronto, è difficile istituire un ragionamento che possa ser- vire di canone generale. Non ci loderemo per certo dei tempi, se per avventura mancando le occasioni agli ar- tisti per emergere nel grande, saranno astretti a consecrare i loro studi esclusivamente alle minute imitazioni delle produzioni naturali: ma saremo forzati a convenire, quanto agli scrittori, che ormai loro è mestieri tentare un nuovo genere , dal momento che le palme fur colte senza speranza di strapparne pur una ove i predecessori giunsero a tale eccellenza , che le circostanze resero inac- cessibile a’ moderni poeti. Amarissimo è il disinganno; ma è pur troppo evidente che tanta civiltà, tanta luce nelle scienze , tanta raffinatezza nell’iniquità hanno tolto il velo a troppi misteri, e la fonte ad ogni meraviglia , senza di che è vano sperare che rombar possa più nel- l Europa la tromba dell’ Epica. La Lirica pare non s'ac- cordi che co’ tempi eroici e colle immaginazioni esal- 15 tate ; e battersi i fianchi per salire ai voli di Pindaro , è un volere attaccare colla cera le penne al dorso, senza elevarsi con alcuna originalità; e duopo è riconoscere che nei campi della finzione si trovano più bronchi che fiori. Rimaneva sulla fine del secolo decorso a cogliersi una palma di gloria vera che fu riservata ad Alfieri, ma ora non sembra poter più aspirarsi all’ eccellenza che nei generi secondi, e nella diligente imitazione del naturale, sia acconciando di veste poetica i precetti della ditattica , ‘sia flagellando i vizii della corrotta età colla satira e col sermone. Ecco i modi, ove senza delirio romantico lo scrit- tore graficamente descrive tentando di parlare all’ imagi- mazione come se dovesse presentare l’oggetto allo sguardo, cercando che le parole e le frasi producano sull’ uditore l’effetto che la natura esercita sullo spettatore. I racconti poetici però, cui si dà il nome di Romantici, senza che sia della loro essenza la sconnessione, il disordine , od’ i vizii di elocuzione dai quali debbono essere immuni, pos- sono riescire di un effetto meraviglioso , e senza assogget- tarsi alle leggi dell’ epopea ; e senza pretendere che aver debbano il loro tipo nei classici antichi , possono senza diflicoltà determinare un genere applaudito dal buon sen- so e dalla ragione, pascolando cou alterno] effetto l' im- maginazione ed il cuore. A. torto si intese generalmente che questo genere vagar dovesse con effimera licenza , con abuso di descri- zioni, con mancanza di ordine, e con isregolata imagina- zione, a guisa dei sogni di un delirante. La cosa è ben altramente , e se anche non vogliamo produrre ad esem- pio le opere tutte d'un autor solo, molte ve n’ hanno fra queste già coronate da imparziali suffragi, nelle quali, modellato il carattere della composizione sull’indole del- la nazione , dedotto il motivo da quadri storici più carat- teristici degli ultimi tempi, sviscerata per così dire la iO) natura umana , anatomizzato il cuore, pennelleggiato con varietà il prospetto della natura , sostenuto ed alternato . il dialogo colle narrative, tene ndo sospeso il lettore per l’ingegnosa catastrofe svolta col più drammatico artificio; evitando gl’ influssi sopranaturali ove nuocer potevano alla verosimiglianza ; e talora servendosene a misura dei tempi e dei luoghi, e a seconda dei pregiudizii che era- no in vigore nelle varie epoche descritte, non veggiamo come l’ eloquenza non debba poter prestare tutti i suoi caratteri a un tal genere di componimenti, senza che s' abbiano a dire Mostri, a meno che non vogliamo chia- mare mostri gli effetti di luce di Rembrandt, le taverne di Ostade , le battaglie di Vovermans , le marine, i pae- saggi, gli interiori dei templi, e tante altre opere insigni che il pennello oltramontano si compiacque di trattare, pareggiare non potendo la trasfigurazione di Raffaello, l’Assunta di Tiziano, la Cena di Leonardo, la Notte di Coreggio, e non pertanto arrivando a un genere di eccel- lenza seconda. i Non oseremo di rifiutare apertamente le opinioni del nostro autore, ma non sappiamo convenire là dove nel proposito su cui ci siamo diffusi finora, conclude: 707 es- servi in questo argomento niente meno che lo sbaglio d’ un senso contro dell’ altro. La poesia ha senza dubbio i suoi quadri, ma questi sono quadri metaforici pu- ramente; e siccome all'occhio è interdetto vederli, così è vietato al poeta di servirsi degli elementi che val- gono soltanto e sono esclusivamente riserbati per l’ or- gano visivo. Noi crediamo che i confini all’ imitazione del poeta vengano assegnati dalla possibilità, e dalla per- spicuità dell’ espressione, e che la misura venga pre- scritta dalla varietà del genere su cui sì esercitano le sue facoltà imitative. E convenendo che l’Epica debba spazia- re nella elevatezza ove il suo genio dispone del mondo 17 intellettuale e morale, crediamo che la Romantica possa venire a gara senza gran discapito, e senza compromet- tere il suo successo colla pittura, non paventando /’ irze- guaglianza delle armi nei campi della realtà. Ma il profondo osservatore procede al suo X. para- grafo anche più oltre, e fassi ad esaminare la tessitura ed i modi con cui si esprimono gli scrittori di questo nuo- vo genere di componimenti, e passando dall’ aver rimar- cati gli errori che derivano dalla troppa servilità d’imita- zione, che toglie all’arte la libera esecuzione per voler troppo identificarsi col suo modello , perdendo così la più preziosa delle sue prerogative , viene a riconoscere l’ er- rore di coloro che hanno tentato di privare intieramente l’arte del poeta dei mezzi artificiati indispensabili per l’azione imitativa , e per produrre la sensazione del pia- cere. Alcuni, egli dice, vollero abbassare it toro linguag- gio sino alla prosa col pretesto dell’ inverosimiglianza di espressioni in misura e in cadenza; altri contesta- rono l’impiego di quelle convenzioni, effetto delle quali in molti soggetti è la modificazione del vero col verosi- mile; e tutto sagrificando a questa pretesa verità, dopo aver soppresso il linguaggio poetico , il ritmo, il metro, la rima, si scrissero poemi in prosa. | Di più, continuando l’autore il suo paralello coll’E po- pea, (a cui non sembra però mai che aspirino questi scrit- tori ) si è bandito, egli dice, il meraviglioso di certe in- venzioni, perchè riconosciute contrarie alla natura fisica, egualmente che dal teatro banditesi tante leggi e conven- zioni della drammatica, per restringere un’ azione al pe- riodo di poche ore col ravvicinamento di epoche , e di fatti, e di luoghi, ne è poi venuto quel mostruoso genere che chiamano melodramma , e quel modo di tragedie al quale il Sofocle inglese, genio sregolato, ha data l’ auto- rità del suo esempio ; modo ove il gusto della composi- zione drammatica e tutti gli estremi trovansi confusi, T. XIII. Gennaio 2 18 de ed ove la bassezza del linguaggio contrasta coll’ elevateze za de’ personaggi, la trivialità delle immagini, colla ri, cercatezza de’ pensieri, ed ove il poeta per sembrare più verosimile, discende fino alla famigliarità della comme- dia più bassa, e di balzo, per opposti contrasti, passa dallo stile dell’ Epopea a quello de' trivii. A due punti principalmente riconosce l’ autore Lei i novatori ignoranti tendono continuamente con molti sforzi; il primo per sottraere più o meno ogni arte dalle condizioni che sono imposte dalla loro indole naturale, affine di dare alla sua imitazione ciò che vuolsi far creder come una esten- sione di verità; il secondo di completare più omeno ciò che manca ai mezzi naturali dell’imitazione propria di cia- scun’arte, per produrre più completa la rassomiglianza, Pienissimo di accorgimento e di profondità è «lesa me che il N. A. procede a fare su tutto ciò che di finzione e di incompleto è in ciascun’ arte dell’ imitazione , dimo, strando che appunto l’arte è costituita su questo incom- pleto, da cui deriva il diletto, e l’.effet to dell’imitazione. Guai se l'animo s’accorge che si voglia alterare lo. scopa dell’arte. Noi non vogliamo essere ingannati, per quanto amiamo di essere sedotti. Non ammiriamo la produzione dell’ingegno, se non in quanto siamo certi che imita l’ope- ra della natura, fuori del caso di poterla con quella con- fondere. Allora gli effetti della realtà annullerebbero quelli Aalitalusiato, Mettete sul palco scenico gli alberi veri; colorite le statue , e l’effetto mirabile dell’ arte si vedrà scomparire davanti una realtà, cui mancano im- mediatamente i mezzi della meraviglia e della seduzione, Quantunque però non sì oserebbe di estendere l’enu- merazione di questi effetti al segno cui tende il sig. Qua- tremère, che detestando il linguaggio volgare 1) azione eroica non ammette che vi compariscano le situazioni sociali del basso stato , che per quanto all’ azione dram- matica siamo disposti ad accordarglielo, forse potrebbe 19 incontrarsi un’ opposizione , fiancheggiata dall’ esempio il più luminoso in quel che riguarda l’ epica azione. Una chiara esposizione, e una facilità di percepire queste astratte teorie incontrano grandi difficoltà ,, e siccome madornali errori. possono trovarsi. a contatto colle più sottili verità, la separazione tra il ragionevole e l’ assur- do è talvolta impercettibile o incerta, specialmente ove il vero ed il falso sembrane quasi a contatto fra loro; e colla trepidazione che produce questo convincimento, pas- sa l’autore a considerare come e con che ciascuna arte corregge ciò che avvi di finzione in lei, e compensa ciò che v° ha d’ incompleto. Parodia infatti od esagerazione sarebbe se l’arte ces- sar dovesse dal sembrare imitazione, l'inganno dei sensi non essendo suo, scopo: ma anzi la finzione e l’incompleto sono parti inerenti di ciascun’ arte, nè l’opera umana deve mai ;far pompa di quello a cui non può attingere , poichè corre il richio di tradire se stessa e svelare la sua impotenza, mettendo in tal caso l’anima in aguato contro questa specie, di seduzione. E l’artista non solo deve guar- darsi dal forzare i confini di quella specie d’inverosimile, di finzione, e d’incompleto che sono una condizione in- separabile dall’ arte sua, ma deve porre ogni cura ad attenuarne il risultamento sui sensi. E il solo segreto per cuì l’arte trionfa di questi ostacoli e di queste difficoltà con- siste nella perfezione, solo mezzo di compensare il difetto della finzione e dell’ incompleto, unica arma di cui può servirsi l’ artista per rivaleggiare colla natura , e che ci fa obbliare ciò che manca; anzi se avviene che ce ne accor- giamo, non è che per compiacercene. Così il, pallone e la durezza del marmo, nella statua, la mancanza di con- fini e di scorci reali sulla tela, .le inverosimiglianze nel canto, la rapidità della successione delle. azioni nel dramma sfuggono dinanzi ai sensi; allorchè le perfezioni dello scarpello , la scienza del disesno.e del colorito, la 20 soavità delle melodie e degli accordi , e il linguaggio pas- sionato ed espressivo del poeta toccano ad un maggior grado di perfezione. Questi è quel supplemento che non sì trova se non per opera del genio, supplemento che non è dato alla mediocrità dell’ artefice , la quale nasconde ciò a cui non può arrivare , abbandonandosi a tener con- to della porosità della pelle; poichè non giugne ad espri- mere l’ anima pensante sulla umana fisonomia, siccome accade al pittore Denner. Tolgasi la perfezione all'opera dell’arte, e che ri- mane? la freddezza del marmo , la rigidezza della mate- ria, o il controsenso dell’immobilità nelle figure del quadro, o lo sbalordimento dei suoni combinati pel cal- colo non atti che al rumore, o il ridicolo accozzamento di versi, che non han di poetica che la dimensione o la rima. È duopo convenire col dottissimo autore che il ve- ro privilegio dell’arte è il non abbisognare nè di realtà, nè di vita, procurando allo spettatore un piacere che giugne a rivaleggiare colla natura presa ad imitare, ma senza mai voler contrafarla. Di qui muove l’ autore a sviluppare più a lungo quel genere d’ illusione che conviene alle opere d’imitazione, e stabilisce ancora più chiaramente le dif- ferenze che passano tra l’ inganno e l’illusione, tra l’imi- tazione e la contrafazione. Noi amiamo l'illusione, e non certamente l’ inganno, e l’ una blandisce i sensi con sol- letico dell’immaginazione, mentre l’altro si burla di loro. E vedrebbesi in.senso inverso se la cosa fosse altrimenti, l'inganno diventare il capo d’opera dell’ imitazione , mentre è appunto il contrario. Rende l’ autore ancor più chiare le sue teorie col paragone dei giuochi, confrontan- do l'inganno lecito e accordato'al giuocatore entro i confini dell’ arte sua, chiamato finezza di giuoco ossia lecita il- lusione, e V abuso che fa talor degli spettatori con ir gannevoli soperchierie. Nel primo caso sono artificii e convenzioni, e mutuo accordo da cui deriva un genere 21 di diletto, servendo allora l’illusione a quelle regole che nel secondo sono violate dal soverchiatore,colla speranza di ec- citar maggiormente la meraviglia. Ma evidentemente col primo modo soltanto può destarsi il diletto dell’osservatore. Dato che limitatore non debba presentare che l’ima- gine dell’oggetto, e composta d'una materia a quello ete- rogenea, corre in noi un obbligo tacitamente convenuto di limitare il nostro godimento, e formare il nostro giu- dizio su d’ una imagine prodotta con una materia neces- sariamente estranea al suo tipo , senza di che non vi sa- rebbe illusione. E.non conviene già credere che noi dobbiamo essere esenti dal fare la nostra parte di effetto in queste illusioni; anzi esse rimarrebbero nz//e senza un concorso reciproco , e senza la disposizione di contribuire al potere dell’ illusione sopra di noi , della stessa maniera e anche più che gli effetti del magnetismo, secondo la dottrina del dott. Wolfart, non esercitano azione sui ma- gnetizzati, se prima questi non si pongono in relazione e in perfetta corrispondenza col magnetizzante: colla diffe- renza che in materia di gusto l'amor proprio di chi osser- va vuole esso pure un pascolo; domanda di essere messo in attività, e guai a quell’ autore che volendo tutto ope- rare, non lascia alcuna cosa a supplirsi dall’ osservatore: allorquando , dice il N. A., l’arte abbia prodotto nelle sue rassomiglianze LA PERFEZIONE che deve supplire alla loro impotenza , tocca a noi, cioè alla nostra ima- ginazione, alla nostra sensibilità il dar vita all’ ima- gine, e ultimarne i lineamenti. Il genio ci presenta la sostanza, e tocca al sentimento di elaborarla trasfor- mandola al complemento dell’impressione. Cosicchè si | conclude come ogni arte debba esser debitrice dell'effetto della sua imitazione appunto a ciò che le toglie di essere assoluta e completa, e meno lo deve a quella porzione di realtà inerente al materiale della sua imitazione, di quello che. a ciò che da lei viene surrogato all’ intera realtà che 52 non le è permesso produrre, maggiore essendo la sua azione sul raziocinio, che il suo ascendente sui sensi , l’illusione de’ quali è infinitamente limitata : e finalmente il merito più grande dell’imitazione ‘o dell’ illusione stà in ragione diretta dell’ allontanamento, e della distanza che corre fra la realtà del tipo effettivo, e i mezzi imita- tivi che l’arte può impiegare per produrre la sua imagine. Certamente uno scultore il quale rappresentasse sul sasso uno scoglio , o nel legno il tronco d’un albero, o un tessitore che in un drappo di seta raffigurasse il panneg- giamento parimenti di seta di una figura, col ravvicinare di troppo la realtà dell’imitazione, perderà grandemente dell’ avvantaggio di piacere e di sorprendere, il che è di- mostrato nel XV paragrafo consecrato ad esprimere, come il piacere dell’imitazione può misurarsi sulla di- stanza che in ogni arte separa gli elementi del modello da quei dell’ immagine. Teoria la quale riceve una mag- gior evidenza allorquando si consideri 1’ opera del poeta , la prima di tutte le arti, come la più estesa e suscettibile d’ una maggior varietà di imitazioni, e come quella che nei modi della sua imitazione è la meno materiale e più lontana dagli oggetti sensibili, e nel cui godimento , e nelle cui immagini i sensi hanno la maggior parte . Cosa infatti v' ha di meno materiale della parola, e della di- sposizione dei ritmi e dei metri ? Non può esservi distanza maggiore tra l'imitazione e l'originale raffigurato dai mezzi astratti e indiretti, che non sarebbero visibili , se non fossimo astretti a figurarceli: imitazione la più lon- tana dalla realtà , e la meno suscettibile ad esser confusa col suo modello, poichè la sola che mette a contribuzione il visibile e 1’ invisibile , e le cui combinazioni non tro- vano modi di confronto , nè periferia , nè misura ‘per li- mitarne la durata o lo spazio. Egualmente considerando il potere della musica, è in questo luogo che saggiamente poi il N. A. riconosce 23 tomé essa può disputare alla poesia un posto d’ onore nelle arti dell’ imitazione, traendo essa pure le immagini più varie e più immaterali dalla combinazione artificiosa e non accidentale dei suoni, e trasportandoci affatto in un mondo ideale : arte che più d’ogni altra abbisogna della cooperazione dell’anima per supplire a quel vago ed indefinito che scorgesi tanto in ciò che sceglie a modello, quanto nel prodotto della sua imitazione : arte infine che non ha linguaggio in faccia agli uomini che manchino d’ immaginazione e di sensibilità. Del che molto meno abbisognano la pittura e la scultura , le quali possono an- che farsi ammirare da ingegni grossolani e volgari, men- tre ciò che costituisce il loro merito non è soltanto l’ e- sprimere colla materia le forme corporee, ma figurare materialmente anche le incorporee, rappresentando col fisico il morale, colle forme sensibili le idee intellettuali e gli affetti dell'anima, e in vece di dar corpo al pensie- bea esprimendo le facoltà pensanti dell’ umano intelletto nei corpi da loro figurati. Termina questo paragrafo col passare in rivista le facoltà dell’architettura e della mi- mica , ponendo alla fine, come al seguito delle belle arti, il Giardinaggio con molte orservazioni, ec. Dalle quali premesse nozioni riconosce l’autore ciò che dev’ essere principalmente lo scopo dell’ imitazione , e questo è sempre il piacere , sia riguardato relativamen- te alle arti considerate in se stesse , sia in ciascun opera d’un’arte secondo la maggiore o minor distanza che la separa dal suo modello , sia secondo il suo modo di imi- tare che diversifica gli elementi reali dell’ oggetto dagli elementi dell’ immagine , e-finalmente a misura dell’ ef- fetto che ottiene, e dei mezzi adoprati: in qualunque delle quali circostanze è sempre indispensabile che il pia- cere dell’ anima e dell'intelletto superi di gran lunga. il piacere dei sensi. LroroLpo CicOGNARA. (Sarà continuato) 24 Su di uno antieo sarcofago nella chiesa de’ PP. conventuali di Messina ; pochi cenni del dottore in ambe le leggi CARMELO LA FARINA. Messina, 1822. 8.° con una tavola in rame. Su questo sarcofago è espresso in bassorilievo il ratto di Proserpina; argomento ovvio in sì fatte antichità. Ve lo ha ri- conosciuto il sig. Carmelo la Farina ; ma nella sua esposizione che in vero è dottissima, spesso, a nostro giudicio , è caduto in errore : e ciò massimamente per non aver fatto i debiti confron- ti co” monumenti somiglianti, e per non aver curato le inter- pretazioni su di essi scritte dai moderni e celebri antiquari. Laon- de l'opuscolo degno non pare dei tempi nostri, in che |’ an- tiquaria ha assai certezze , ma sì di quelli, nei quali era più arzigolo che scienza . Questa operetta consiste come da due parti; dalla interpre- tazione naturale cioè delle figure, e dalla emblematica od alle- gorica di esse. Quando affermato abbiamo esservi errori, non abbiamo inteso parlare della interpretazione allegorica, la quale crediamo poter ognuno fare a suo modo; ma sibbene della natu- rale: e vogliam’ora darne brevemente le prove. Un alato Amo- rino guida il cocchio di Plutone, ed ‘ognuno di per sè vede che vi è opportunissimo , dacchè esso Plutone preso d’ amore per Proserpina corre con ardentissima brama a rapirla. Ebbene, pel sig. la Farina questo alato garzoneello è il Fato o la Parca La- chesi: fallo, su cui senz’ altro dire lascerem riflettere a sua vo- glia il nostro lettore . Si veggono nel centro del bassorilievo una femmina col sinistro ginocchio piegato a terra , ed una figura virile barbata che 1’ abbraccia , al cui sinistro omero attac- cato sta un Amorino con ali aperte. E questa senza dubbio, dice il sig la Farina, /a madre Cerere, che scesa nell’ Inferno pre- ga Plutone, che le restituisca la figlia . . .. e Plutone stante mezzo nudo con il mantello istesso come vedesi sul carro, par che manifesti a Cerere posta in ginocchio la impossibilità del ritorno di Proserpina. Ma la femmina non è punto rivolta a Plutone, com’ esser dovrebbe , se in verità il pregasse ; e ve- desi anzi chiarissimamente in atto, di esser sorpresa cogliendo i fiori ; ciò che è pur manifesto dalla corba d’essi, che rovesciata a terra le sta presso. Simil gruppo apparisce nel bassorilievo del Capitolino , e il dotto espositore del medesimo vi ha rico- nosciuto con ragione il primo momento del ratto. Il sig. la Fa- rina , se posto vi avesse mente, poteva mercè del suo'bassorilie- vo liberare da ogni dubbio quella interpretazione; perocchè l’ A- 25 morino posto sulla spalla del nume infernale indica con certa prova che egli è divenuto amatore di Proserpina : e questo è usato costume dell’ antichità, la quale a significar ciò medesimo situò Amore così, o in modo poco difforme sopr’ Ercole e Ve- nere (1). Chiudesi la rappresentanza da una femmina in cocchio tratto da due cavalli, e guidato da una figura femminile alata, cui sta presso un’ altra simile, ma di statura maggiore. Diana é questa pel sig. la Farina, preceduta dall’ Aurora che guarda in alto per mirare le stelle, se fuggono alla sua vista, e ac- compagnata da un Genio alato con veste femminile, il quale può denotare la Velocità, giacchè sendo Diana la stessa che la Luna, ella credeasi, secondo Fornuto , essere velocissima nel corso. Ma questi non sono che sogni. La Dea, che star vedesi in cocchio non è Diana, ma Cerere, che va in cerca della rapita sua figlia : il qual cocchio non è sempre tirato da serpenti, ma alcuna volta da due cavalli, come nel marmo messinese. Veggasi in prova di ciò che affermiamo, il dottissimo Spanemio al v. g. dell’inno di Callimaco a Cerere, e veggasi il museo matteiano nel tomo terzo alle tavole quinta e sesta. Le due figure alate poi rappresen- tano le Ore, le quali, come ottimamente dice il celebre Viscon- ti (2) sono solite ad aver cura dei divini cocchi, ed alate si veggono ‘in altri antichi. Al quale general motivo può aggiungersi il par- ticolare , insegnatoci dall’ inno orfico consacrato alle Ore , nel quale inno sono esse dette Ilepoepovk CUjuTainTopss, scherzanti in un con Proserpina . Plutone ha loro rapita la compagna: esse ne vanno in cerca insiem colla madre , fatte, siccome divinità minori, ministre di lei. Veggonsi sotto il carro di Plutone ; un serpe, una figara rappresentante un Fiume, ed un’ altra ; che ha gambe serpenti- ne. Pel sig. la Farina il serpente è un pesce mostruoso che può indicare il Cocito, il fiume denota l’ Acheronte, e la figura con gambe di serpente è una Sirena. Il serpe è in più monumenti di questo tema; e serpe è veramente, e non pistrice, come si avvi- sava il Visconti: e questo serpe può senza alcuno sforzo inter- pretarsi. Contasi nelle favole, che Giove amò grandemente Pro- serpina, e che questa condescese alle prave voglie di lui trasfor- mato in serpente ; onde Bacco nacque in sembianza di toro. Per questo nei misteri di Bacco facevasi uso d’ un serpente d°’ oro nel modo che riferito è da Arnobio colle seguenti parole: Aureus (1) V. Galleria di Firenze, cammei, tomo 1. tav. 6. n. 2. e tav. 33. n. 1. (2) Mus. P. CI. tom. 5. tav. 5. 56 toluber ini sinum dimittitur consecratis, et eximitur rursus dl inferioribus partibus atque inmis (3). Adunque il serpe che sotto il cocchio di Plutone rivolger si vede 1’ aperta e minacciosa hboc- ca contra.i cavalli che il traggono ; è Giove, che tenta opporsi al rivale fratello. Il Fiume poi denotar non può l’ Acheronte, ossia quel del- l Epiro ; ossia quel favoloso dell’ Inferno , confasì insieme dal sig. la Farina. Non può esser quell’ dell’ Epiro, perchè la scena fingesi in Sicilia, Non può essere il favoloso dell’ Inferno, per- chè la figura di Tifeo od Encelado , che vien dopo quella del detto fiuine , mostra che il cocchio è tuttora in Siracusa; e non è per anche penetrato in Inferno. Noi opiniamo che in questa fi- gura del fiume veder debbasi Crisa fiume , che passava per la campagna d’ Assoro, cui era prossima Enna, luogo del ratto; giu- sta la mente degli antichi . Chkrysas sono parole di Cicerone (4) est amnis per Assorinorum agros fluit . Is apud illos ha- betur Deus et religione maxima colitur. Fanum ejus est in agro propter ipsam viam , qua Assoro itur Ennam. \ Or sopra abbiam detto che presso alla figura del Fiume evvi quella di Tifeo od Encelado . Egli erà , come ciascun sa , uno dei Giganti; e che siccome gli altri giganti avesse gambe di ser- pevte', e parte nella favola del ratto di Proserpina, è mostrato dai seguenti versi di Claudiano (5) lamque per anfractus animarum rector opacos Sub ierris quaerebat iter , gravibusque gementem Enceladum calcabat equis: immania findunt Membra rotae, pressaque gigas cervice laborat Sicaniam cum Dite ferens, tentatque moveri Debilis et fessis serpentibus impedit axem . Il sig. la Farina promette se ore di ozio gli saran permesse di voler dare la spiegazione di due altri sarcofagi scoperti pure in Messina. Noi lo esortiamo all’ impresa, ma lo preghiamo insieme a voler meno deferire alla sua viva immaginazione ; e a calcar piuttosto le vie medesime, per cui or vanno con assai lor lode e ge- neral profitto i bravi antiquari dell’ età nostra ; dei quali n° ha assai il regno delle due Sicilie, perchè non manchino al sig. la Farina medesimo domestici esempi da sèguitare in questi suoi uti- lissimi studi + Z (3) Lib. 5 adv. gen. (4) Action. in Ver. lib. 4. de signis cap. 44. (5) De raptu Pros. lib, 2, v. 156. seqg. \ sal Rivista letteraria inglese. NR Ci proponghiamo di dare ogni due o tre mesi un e- lenco compendiato delle migliori e più importanti opere in belle lettere, che escono alla luce in Inghilterra. Ver- tà estratto da giornali inglesi e francesi, è principalmente dalla Literary Gazette, giornale ebdomadario di Londra . Siccome non possiamo destinare a quest’ elenco molte pa- gine dell’ Antologia, ed amiamo sopra tutto che in niuna parte di essa sia indizio di spirito prevenuto da partito, 0 da sistema , si diede la preferenza alla Literary Gazette sopra altri forse più rinomati giornali , perchè contiene molti ma brevi articoli, e altresì ha fama di essere impar- zialmente scritta (1). A ogni modo i giudizi, che a mano a mano verremo esponendo , non sono nostri, e chi legge dovrà valutarci non più che relatori. ‘1. The Orlando innamorato translated , ec. L’ Orlando Innamorato di Francesco Berni, tradotto e compendiato in prosa da Wrrriam Srewart Rose. Londra, i. vol. in 12,00 Il sig. Stewart-Rose sembra essere coltivatore molto operoso della letteratura italiana. Nel. 1819 fu annunziato con lo- ‘de un suo compendio in sette canti degli Animali Parlanti ‘del Casti , nel metro dell’ originale. Il suo lavoro sull’Or- lando innamorato è anche più ristretto, poichè non empie ‘che un volume di 279 pagine. Mia intenzione , dic’ egli, ‘è di presentare un modello in piccolo dell’edifizio del Bo- (1) Un’ espressione dell’ Edimbarg-Review N. y6. avendo of- feso la Literary Gazette , questa ne ha manifestato il suo risen- timento nel N.° 344. 23. Agosto 1823 ; ed a provare che non è -meno degna di stima per essere pubblicata settimanalmente in fogli volanti, asserisce ( p. 538 ) poter vantare tra i suoi colla- boratori uno dei più illustri filologi d’ Inghilterra, due fra i più ammirati poeti, e due non meno famosi artisti pratici ed esteti- ci. Inoltre, uno scrittore in cose mediche che non ha rivali tra i viventi, e tre critici, che sono reputati meritevoli di dirigere le opinioni in qualsivoglia argomento letterario, 28 iardo, con qualche indicazione quà e là delle camere in terne, vale a dire che egli compendia traducendo in prosa, e tratto tratto diversifica il racconto con alcune stanze, fat- te inglesi in ottava rima . Forse questo non è mal inteso espediente per dare un’ idea adequata del Boiardo , e chi possiede, come si dice, il talento dell’analisi, potrebbe ese- guire lo stesso sopra altre opere, con frutto per gli studio- si. Osserva il sig. Stewart che l’ Innamorato ha un titolo più del Furioso a farsi leggere dal pubblico inglese , pel maggiore entusiasmo con cui vien rammentato dal Milton, Anzi istituendo confronto fra i due poemi , pensa che. si debba certo riconoscere la superiorità dell’ Ariosto come poeta, ma non veramente come narratore. L° Epopea del- l’Ariosto viene da lui assomigliata a molti fiumi paralelli, che scorrono ognuno nel proprio letto, e quindi per distin- te foci mettono nello stesso mare . Il poema del Boiardo gli pare una massa d’ acque, le quali soverchiano talvolta le sponde del nativo fiume, ma per la relazione che seco mantengono, rientrano naturalmente, e tutte insieme s’ ac- cumulano prima di sboccare nel ricetto comune. 2. A Greek, and English Lexicon ec. Lessico greco-in- glese di Giovanni Jones 1. vol. 8.° L’ autore non si propone di spiegare tutte le parole della lingua greca, ma quelle sole che si trovano nei mi- gliori scrittori di prosa ‘e di verso. Nonostante quest’ è la- voro di molta pazienza e studio, e può soddisfare almeno in parte il desiderio dei dotti, tanto più che mancava al- l’ Inghilterra un’opera così necessaria per imparare la lin- gua d’ Omero e di Demostene . 3. Sketches of the lives of Correggio and Parmegiano, Saggi biografici sul Correggio e sul Parmigiano. 1. vol. 12,0 Se ne crede autore il Coxe (2),e quantunque piccolo volume è degno di lui; scritto con molta eleganza'ed acu- me, senza teorie vane, o novità inutili. Forse tratta meno (2) Coxe è uno dei più voluminosi scrittori viventi . Si co- nosce di lui viaggi in Svizzera, Russia, Polonia e Svezia , Storia della casa d’ Austria. Storia di Spagna sotto il regno dei Bor- boni. Memorie del duca di Malborough ec. \ 29 della storia dell’ arte che degli artisti, ma per quello che loro concerne non merita taccia di negligenza. Tiraboschi, Lanzi , Mengs , e il più moderno Pungileoni ‘servirono di scorta all’ autore per dettare quest’ opera. 4. A view of the past and present state of Jamaica ec. Stato passato e presente della Giammaica, di J. StrewaART. Londra, 1823. 1. vol. 8.° L’ autore ha voluto essere molto conciso nelle notizie zoologiche, botaniche, istoriche e statistiche. Nulladimeno dice quanto basta del clima, del suolo, dell’agricoltura, e del commercio; e dove ragiona dell’amministrazione, delle Jeggi speciali, e degli stabilimenti pubblici dell’isola , il lettore può formarsene idea chiara , e dedurne fondata opinione, Ma lo stato della società , le diverse classi degli abitanti liberi, il carattere, costumi , e condizione fisica e morale degli schiavi,i mezzi proposti per migliorare la loro sorte, e pervenire gradatamente all’ abolizione della schiavitù ; questi sono gli argomenti che occupano la maggior parte e la più importante dell’ opera. Il sig. Stewart scrive senza parzialità . Nè difende sempre la condotta dei proprietari delle piantagioni, nè gli attribuisce tutte le colpe onde sono gravati. Non crede che l’ emancipazione degli schiavi sarebbe cosa utile e prudente , se non è a poco a poco preparata. I negri, mediante un buon sistema d’ educazio- ne, col tempo, e con pazienza, potranno certo meritare la libertà; ma quali sono adesso, ignoranti, brutali, e nemici dei bianchi, ne abuserebbero con proprio loro danno, e la colonia soggiacerebbe a total rovina. I bianchi che abitano la Giammaica sono creoli ossia nativi dell’isola, ed euro- pei. La proporzione dei primi ai secondi è come tre a dne. Anticamente i loro costumi ed abitudini presentavano qual- che differenza , ma in oggi non è più. Degli uni e degli altri il tenore di vita è tale;che la morale ha bene di che affliegersi. Sicchè la dissolutezza combinata con la crudele insensibilità, che si contrae fino dall’ adolescenza là dove molti sono schiavi perpetui d’ uno , oppone un. terribile ostacolo al perfezionamento morale di questa bella colonia. Virtuosamente declama l’ autore contro la. generale u= 30 sanza dei bianchi, che non solo convivono illegalmente con una 0 più nere, ma le permettono di fare gli onori della casa , ricevendo le mogli dei loro amici bianchi, le quali dal canto loro non sdegnano di starsi a crocchio con coteste concubine. Ove un giovane aspiri alla mano di qualche civil donzella, non si crede già in dovere di dar commiato alla nera, in prova d’ amore e d’ oneste inten= zioni. Anzi la nera resta in casa fino al dì delle nozze, e forse si adopra nei preparativi della festa , che ben sà il matrimonio del padrone non togliere a lei la qualità di, druda ; e non rinunzia alla speranza che la sposa si con= tenti del titolo di moglie, senza volerne esclusivi i diritti., Per coneludere , una donna onesta non elesgerebbe a suo soggiorno la Giammaica. Le bianche della Giammaica so= no in generale più gracili delle donne europee . Brune e pallide più spesso che colorite , hanno fattezze delicate @ regolari, occhi molto espressivi , voce dolce e insinuante. Amano smoderatamente il ballo e la musica, ed ogni altra cosa che sia passatempo . D’ altronde traggono nell’ indo- lenza i loro giorni , nemiche d’ ogni seria. occupazione; ;@ prima e dopo pranzo si coricano . Forse ‘il clima contri» buisce a renderle tali, e quasi regine d’ una torma di schia» vi, si considerano destinate a vita riposata ed inerte, Il numero dei bianchi, propriamente detti, si mantie= ne da molti anni lo stesso, ma gli uomini di colore mol tiplicano rapidamente . Nel 1788 non eran più di 10000; sono ora oltre trentamila, la più parte figli naturali di nos mini bianchi e donne nere . Conseguenza del general li= bertinaggio, questa popolazione spuria, se non si provvede in tempo a renderla migliore, diverrà fatale all’ isola. Ory mai è troppo importante e numerosa per appagarsi dei di-. ritti che gode, e non aspirare a perfetta eguaglianza coi bianchi. Una rivoluzione in questo senso pare avvenimen» to probabile e vicino . Parlando dei negri (circa 350, mi» la) che servono come ‘schiavi nelle piantagioni, ilsigi Stewart li distingue in parecchie tribù dai paesi onde. ven» gono , ed attribuisce qualità diverse» al rispettivo. loro ca» rattere. Tutti hanno il buono misto al cattivo; onde non è 3I da sospettarsi che il cielo abbia loro negato perfettibilità, L’ autore spera molto dalla diligenza e pietà dei curati, che sono incaricati fino dal 1818 di propagare l’ istruzione morale fra i negri. Quantunque alcune tribù siano più ra- zionali di altre in fatto di credenza religiosa, tutte hanno in comune l’ opinione di ritornare dopo la morte al paese nativo, e rigodervi la famigliarità degli amici e parenti. Si sono visti moltissimi negri uccidersi appena sbarcati; tanto si tenevan sicuri del pensier loro . Degli avventurieri eu» ropei che vanno in Giammaica, i quattro quinti muoiono per malattia del paese , e chi ha la fortuna di rimanerne illeso, raramente torna a casa più ricco di quel che ne è partito . L’ esportazione dello zucchero è diminmita da ven ti anni in quà ; quella, del rum si è mantenuta la stessa; quella del caffè è molto aumentata. È da notarsi con am- mirazione che la Giammaica produce ora all’ Inghilterra una rendita maggiore di tutta insieme la rendita nazionale sotto il protettorato di Cromwell, Tre specie di animali molestano gli abitanti dell’ isola, i topi, i serpenti, e gl’in- setti chiamati Mosquitos . l topi guastano e divorano non meno di una ventesima parte delle canne di zucchero. In una sola piantagione se ne uccisero in un anno trentami- la. I mosquitos sono in tanta quantità, che bisogna accen- dere un gran fuoco nell’ interno delle case per liberarsene. Chi può spendere tiene i letti guarniti di certe cortine co- munemente dette reti da mosquitos. Ma i miseri negri, pri vi di ogni comodo, acquistano l’ abitudine di agitare le mani dormendo per difendersi dalle panture.. I serpenti sono di tre sorte, gialli, neri, e bruni. I bruni sono i più corti, e i gialli i più lunghi, essendovene sino di 12 piedi. Non sono velenosi, ma possono far male, massime quando sono affamati, avendo una forza incredibile. Pare che l’a- spetto dei serpenti faccia orrore a ogni altro animale . I cani abbaiano quando li vedono da lungi, e i cavalli e i buoi s’ arrestano o retrocedono. Altre notizie molto interes» santi contiene quest’ opera, la quale ha principio con una breye istoria della Giammaica dalla scoperta di Colombo 32 fino alla conquista fattane dagl’inglesi nei tempi di Cromwell. 5. The memoirs of Philip De Comines translated from the french. 2 vol. 12.00 Memorie di Filippo de Comines, tradotte dal francese. In Inghilterra vi è tanto amore per la lettura, che assai sovente un buon libro suggerisce la ristampa o la traduzione di un altro. L’ ultimo romanzo di Walter Scott , ( Quentin Durward ) tratto dalle istorie di Comi- nes, ha richiamato l attenzione pubblica sopra questo antico scrittore : e chi ha tradotto , e chi ha stampato a- vran certo fatto ottimo affare . Comines è storico molto pregevole perchè tratta di fatti contemporanei , (dal 1464 al 1498 ) déî!quali pars magna fuit. 6. An Essay on the History and Theory of Music ec. Saggio sulla storia e la teoria della Musica, di I. Nathan, 1. vol. 4.° La prima parte interessa ogni genere di lettori, esem- plificandosi il potere della musica con molti fatti istorici presso antichi, e moderni. Le /ezioni riuscirebbero molto utili agli studiosi , se l’ autore le avesse stampate separa tamente. Per taluni non possono essere oggetto di curiosi- tà, mentre ad altri sembreranno troppo dispendiose, a mo- tivo del saggio che le precede. Ma questo è difetto di for- ma, e non diminuisce il pregio del volume che anminziamo, bene e piacevolmente composto. 7. The' Naval History of Great Britain from 1783 to 1822. d5y E. PreLHAm-Brenton . Storia navale della Gran Brettagna dal 1783 al 1822. Londra, 1823. Ne sono pubblicati due volumi che arrivano all’ an- no 1802. Fra poco si aspettano i successivi. I fatti si nar- rano in questa storia con molta chiarezza ed estensione, ma non troppo imparzialmente. 8. Memoirs of the life and Works of sir Chr. Wren, by James Ermes. London, 1823: 1. vol. 4.° Memorie della vita e le opere di Cristofano Wren. Principia con un breve ragguaglio dello stato dell’ar= chitettura in Inghilterra sino al secolo XVII. Le diverse 33 circostanze della vita di Wren, i suoi primi studi ed in= venzioni in fisica ed astronomia, i suoi lavori letterari, i motivi onde si condusse a porre tutto il suo ingegno nel- l’opera che lo ha reso immortale, (la chiesa di S. Paolo in Londra), i particolari nell’ eseguimento di quest’ immen- so edifizio, sono le cose ragionate dal sig. Elmes con mol- ta perizia e diligenza , massime ove tratta di architettura antica e moderna. Il suo scrivere ancora, che in alcune parti del libro ci sembrò soverchiamente diffuso , diventa chiaro e conciso in argomenti di scienza o d'’ arti. g. The incorporated society for the menagement and distribution of literary fond. London, 1822. 1. vol. 8.° piccolo. Società per amministrare e distribuire il fondo let- terario . Nel 1773 David Williams pensò d’ istituire una so- cietà, che avesse per suo scopo di soccorrere gli vomini dotti di qualunque denominazione , nati o caduti nell’ in. digenza. Volle chiamarla società del fondo letterario . Nel 1790 essa era già regolarmente ordinata, con i suoi diret- tori e commessi , ed annualmente si adunava . Nel 1797 diversi doni di generosi individui, e parecchi legati più o meno considerabili già formavano un capitale effettivo e fruttifero . Uno dei discendenti del gran Newton lasciò la società sua erede universale . Molti pari del regno e gli stessi principi del sangue vollero ascriversi tra i di lei membri, e finalmente Giorgio II. le diede nel 1818 (può dirsi ) esistenza politica , abilitandola ad acquistare beni immobili. La società non pubblica i nomi dei soggetti be- neficati, amando di esser tenuta in concetto di riservata non meno che di generosa. Composta quasi intieramente d’ inglesi, essa soccorre per lo più i suoi compatriotti; ma quando il merito sventurato giunse da lontane parti a di lei notizia, anche gli esteri ebber prove di sua beneficen= za. Ecco in compendio gli statuti di questa società. Chi somministra una sol volta 10 ghinee o più , e chi sotto- scrive per una ghinea o più da pagarsi annualmente, è ‘ membro della società. Si fa adunanza una volta Vanno, per ascoltare il rapporto delle operazioni dell’anno ante- T XIII, Gennaio 3 34 cedente , per la nomina dei nuovi. deputati , ec. Un pre- sidente, venti vice presidenti, tre segretari, tre tesorieri, e tre auditori si distribuiscono i diversi uffici . Il consiglio supremo che invigila e dirige è composto di venti membri, oltre il presidente e vice presidenti. Un comitato di dician- nove membri , compresi i tesorieri e i segretari , dispone dei fondi. Questi consistono in soscrizioni annue , 0 sov= venzioni eventuali , ed in frutti di capitali . Un capitolo degli statuti tratta del modo di accordare i soccorsi; e così dice: 1. Per ottener soccorsi dalla società bisogna provare di aver pubblicato un’ opera di qualche importanza. 2. Le vedove e gli orfani di autori stimati possono ricever soc- corsi dalla società , ma i soli autori possono ottenerli più d’ una volta. 3. Il comitato non può accordare soccorsi che dietro la proposizione di un membro, appoggiata da un altro. 4. Ogni lettera anonima s’intende non ricevuta. 5. Le persone che accettano soccorsi devono scrivere alla società per darle notizia che son loro pervenuti. Quanto precede lo troviamo nell’ indicato opuscolo (The incorporated ec.) stampato per ordine della società, e contenente in fine una lunga nota di soscriventi, primo dei quali è l’attual Re Giorgio IV. 10. The History of Tuscany interspersed with Essays ly Lorenzo Pignotti , translated from the Italian with the life of the author, by Joann Bronwinc. London, 1823. 4. Vol. 8.° Istoria di Toscana del Pignotti, tradotta in inglese. La Literary Gazette N. 346. annunziando quest’ ope- rta accenna sommariamente il suo contenuto , non senza accordare special encomio ai saggi storici e letterari che vanno ad essa congiunti. Tocca alcune circostanze della vita del nostro illustre toscano ; ma queste cose non han d’ uopo d'esser ridette nell’ Antologia, come troppo note all’Italia tutta. Della traduzione si parla in termini molto onorifici . E dell’ originale si nota fra altre prerogative la scelta erudizione del suo autore, e il sano giudizio che lo guidava pra studio degli uomini e dei loro fatti. Son de- corose alla patria le lodi del nostro storico sul labbro dei connazionali di Robertson e di Hume, 35 11. The Englirh Master, or students guide, by W. Ban- xs. 1. vol. 8.° Il maestro inglese, ossia la guida dello stu- dente . Nell’ articolo che or compendiamo si parla onorevol- mente dell’ autore, e in secondo luogo si riconosce molto pregevole il suo libro . Il sig. Banks ha acquistato molta esperienza, ed ottenuto gran successo come precettore , ed ora viene a render pubblico il suo metodo d’ insegnamen- to. In vero questo è così ragionevole, e lo stile ci sembra così naturale e corretto, che avremmo senz’ altro giudicato nell’ autore altri meriti che di semplice grammatico. Ecco il suo piano. Nel proemio sono comprese molte utili ri- flessioni. sull’ educazione in generale : quindi si dichiara- no i principii e le ragioni onde egli procede per ben trat- tare della teoria e della formazione del linguaggio ; ( spe- cialmente in ciò che concerne all’ idioma inglese) dell’in- telletto, della logica, e dell’arte di ben comporre. La prima parte è destinata all’ importanza, all’ origine, al progresso e alla divisione del linguaggio ; all’ origine della scrittura e della stampa ; all’ istoria e all’ analisi della lingua in- glese. La parte seconda discorre delle facoltà intellettuali, dei sensi e delle passioni. Le osservazioni sulla logica so- no intelligibili e vere , scevre da frasi pedantesche , e da parole scolastiche , e tali che invitano la gioventù a stu- diare senza rischio di noia . Occupa la terza parte buona metà del volume, e contiene i precetti per ben comporre. Dopo che lo scolare ha conosciuto le sue facoltà mentali, il modo di perfezionarle e il mezzo onde comunicare le sue idee, gli viene insegnato come possa efficacemente a- doperare questo mezzo . Per tutti gli enunciati titoli rac- comandiamo il libro del sig. Banks ai coltivatori della lin- gua inglese. 12. The festive amusements and popular superstitions of the Highlanders of Scotland, by W. GrAnT-STEWART, I. vol. 12.mo Feste, divertimenti, e supestizioni popolari dei mon= tanari scozzesi. Merita osservazione in Iscozia la differenza che passa tra lo stato morale, gli usi, e i costumi degli abitanti della 36 pianura , e di quelli della montagna . Non diciamo. della lingua, che ognun sa essere affatto diversa. È quasi un fe- ‘ nomeno A la stessa nazione, da più secoli sottoposta alle stesse vicende politiche, mantenersi distinta, e presen- tare due aspetti ; e sembra altresì inesplicabile come la lingua inglese, parlata e scritta nella Scozia meridionale, abbia dovuto arrestarsi ove si innalzano i monti , tra’ quali altri scozzesi conservano incorrotto l’ idioma dei progeni- tori. Per questi ed altri motivi, sommamente importanti al filosofo e al legislatore, il men vasto dei tre regni brit- tanici chiama l’ attenzione e la curiosità dei viaggiatori, forse più dell’ Inghilterra e dell’ Irlanda . Molti vi si re- cano da lontane parti d’ Europa , bramosi di conoscere a un tratto i contemporanei di Dugald Stewart, e i discendenti di Ossian. Ma presso gli scozzesi della pianura, non meno che presso gl’ inglesi, è comunissimo il pensiero di visita- re i loro vicini o compatriotti della region montuosa. Da Edimburgo , e anche da Londra , poco viaggio li conduce in mezzo a popoli pastori, e nati nel seno della civilizza- zione, si associano alla semplicità dei secoli primitivi , o almeno ne studiano la somiglianza. Il sig. Grant Stewart ha aggiunto alle tante opere recentemente pubblicate sul. la Scozia questo suo ragguaglio delle superstizioni, delle feste, e dei divertimenti dei montanari. Come dice la Revue encyclopédique , (3) ora che le idee ragionevoli cominciano a penetrare anche tra queste genti, e che la vita sociale ne approfitta, bisogna affrettarsi a raccogliere le caratteristiche d’ una nazione, che si con- fonderà in avvenire con gli abitanti del piano . Le super- stizioni intimamente collegate coi costumi possono essere argomento ai poeti, e non inutili talvolta alla storia della ragione umana, e degli ostacoli che la trattengono . Ma è (3) In questo primo Bullettino ci siamo giovati più di una volta della Revue Encyclopedique. Altrettanto faremo nei suc- cessivi, sperando che i valorosi redattori di esso giornale ag- gradiranno quest’ attestato della nostra stima , e la riconoscenza che lor dobbiamo per quanto al nostro uopo somministrano 1 lor fascicoli, da rimproverarsi all’ autore il suo modo ironico e scher- zoso di narrare, che distrugge l’ illusione dei racconti , non conviene al genere del suo libro. La naturalezza , e un certo colore d’ antichità producono quella particolar Impressione che quivi si ricerca , ed a cui non v’ è cosa che tanto s’ opponga come il tuono arguto e derisorio. 13. Vestiges of ancient manners, ec. Vestigi di usi e co- stumi antichi, che si ritrovano nella moderna Italia, di I. I. BLunr. 1. vol. 8. ll sig. Blunt ha ritrovato in Italia molti usi, costumi, abitudini, e pratiche domestiche e superstiziose , di cui I origine o l’ analogia si ravvisa nei tempi della repub- blica e dell’ impero romano . Quando si aggiunga: che l’o- pera è bene scritta, senza erudizione pesante, e con mol- ta varietà d’ argomento , ci pare d’ aver detto assai per invogliarne alla lettura, nel paese cui specialmente rignar- da. Basta mediocre attenzione per convincersi che il popo- lo in ogni parte di mondo è sommamente tenace di certe sue usanze, e siccome buon numero di queste dipende dal clima, e da altre circostanze più o meno particolari, ma permanenti, divien naturale che malgrado il volger dei se- coli, e le loro vicissitudini, l’ aspetto esteriore di una na- zione ‘conservi alcuni suoi tratti propri , i quali altre na- zioni non abbiano. Ma quando ci narra il sig Blunt, che dalle rovine d’ Ercolano e di Pompeia sono state tratte insegne di botteghe e d° officine, e che sulle mura di que- sta seconda città si leggono in caratteri rossi avvisi al pub- blico per annunziare vendite , spettacoli , ec. , non tanto sappiamo in ciò vedere analogia d’usanze fra l’ antica Ita- lia e la moderna , quanto le conseguenze dei bisogni so- ciali, che necessariamente si somigliano presso nazioni pervenute a un certo stadio di civilizzazione , comunque vi sia tra esse distanza di tempo o di spazio: Onde è che cotesti, e altri tali vestigi del viver latino, non solamente in Italia, ma in qualsivoglia angolo d’ Europa, piapigeo esser abi pari osservati. 14. Res Literariae, by sir Ecerton Brypoes. 3. vol. Nel corso di tre anni sir Egerton Brydges ha pubbli- 38 cato tre volumi di miscellanee, intitolati Res Literariae ; il primo a Napoli , il secondo a Roma, e il terzo a Gi- nevra. Notizie critiche sopra diverse opere italiane rare o famose, e notizie biografiche intorno ai loro autori com- pongono il primo volume, che illustra principalmente la vita e le opere del Petrarca . Le traduzioni in prosa in- glese di alcuni suoi sonetti e canzoni sono scritte da ma- dama Swan, figlia del sig. Egerton, e si. raccomandano per molta precisione ed eleganza. Segue la pregevolissima let- tera latina del Petrarca alla posterità, e due saggi sull’ o- rigine della poesia italiana e sull’ infanzia della lettera tura fiorentina, che meritano molta attenzione. Il secondo volume , oltre un articolo sullo stile di due poeti inglesi, Collins e Gray , ed un altro sui trovatori , tratta pure di cose italiane. attinenti a critica e biografia , alle quali si accompagnano alcune poesie, scelte tra le. migliori della nostra letteratura nascente. Non lascia anche il terzo vo- lume di volgersi all’ Jtalia, e rende conto di parecchi au- tori di merito, le cui opere sono divenute rare. Un articolo sopra Dante; vari estratti. di antichi. scrittori francesi e spagnuoli; un secondo articolo sui trovatori ; ragguagli in- torno alla storia letteraria di Ginevra , ed alcune poesie latine e francesi di autori ginevrini terminano la raccolta. 15. The Battle of the Bridge, or Pisa defended, by S. MaxweL, 1. vo/. 12.0 Il giuoco del Ponte. Poema del sig. MaAxwrt. 16. A visit to Milan, Florence, and Rome, the subter- raneons cities Herculaneum, and Pompeii, ec. by W. T. P. Suortr ( A. B. of. Worc. Coll. Oxford) 1. vol. 8.° di pp. 88. Viaggio a Milano, Firenze e Roma, Ercolano e Pompeia, del sig. SnortT. Sebbene opere di diversa specie, le annunziamo unite per salvare gli associati dell’ Antologia da due pericoli ad un tempo. Ci volle questa riflessione per farci scordare lo scopo del nostro bullettino, destinato, come dicemmo;,,a non menziona re che il buono. Pisano l’argomento del poe- ma del sig. Maxwell, all’ Italia avendo accordato il sig. Shortt, baccelliere nell’ università d’ Oxford, 1° onore della 39 sua Visita , molti nostri amici del granducato e della pe- nisola si lascerebbero forse sedurre dal frontespizio di co- desti libri, e noi siamo in dovere d’ illuminare la loro cu- riosità . Ma si dia luogo alla debita distinzione . Il sig. Maxwell scrive un poema di vario metro in dieci canti, e vuol farlo considerare come un tentativo nel genere medio fra classico e romantico . Pare, secondo la Literary Ga- zette N. 355, ch’ egli avrebbe meritato lode se si fosse servito degli’ stessi materiali per comporre un romanzo , invece di pretendere che il suo Giuoco del Ponte sia un poema . Quale esso è contiene quà e là assai dilettevoli cose, e chi ne avrà fatto acquisto potrà dolersi, non che ha perduto intieramente tempo e pecunia, ma forse che pote- vano meglio spendersi. A rampogna assai più grave si sa- rebbe esposto il sig. Shortt, se con prudenza, rarissima nei viaggiatori, non avesse in sole 88 pagine ristretta la som- ma delle sue osservazioni. Così, mercè la brevità, mostran- dosi rispettoso verso la pazienza de’ suoi lettori, sì è pro- curato come un titolo al loro gradimento, e non ha dato occasione di deplorare la poca moneta che costa (ma non vale) il suo libro, se non a quegli Arpagoni, che non spe- sero giammai un obolo per ridere e darsi spasso . Perciò noi gl’ indirizziamo parole di consolazione e di benevolen- za. Egli ha narrato cose che niun vide, perchè non esi- stono, e con tutto ciò non avrà peggior destino di altri più veridici viaggiatori dei quali cantò messer Lodovico : Chi va lontan dalla sua patria vede Cose da quel che già credea lontane, Che narrandole poi non se li crede. Dunque si dia pace se niuno presta fede ai suoi racconti. Non trascuri le lezioni di lingua inglese, di che gli sono prodighi i redattori della sullodata Gazzetta, ( N.° 350. ) per non trasgredire in altre occasioni quella legge, che co- munque non sia registrata in Aristotile e in Orazio, è pe» rò obbligatoria anche peri Baccellieri dell’università d’Ox- ford, vale a dire che deve saper scrivere chi aspira a farsi leggere. Pensi, quando le vacanze glie lo permettono, che Milano, Firenze, Roma, Ercolano, e Pompeia somministrereb= 4o bero discorso a molti volumi’, e chi presume di darne un’ idea in 88 pagine dovrebbe esser superiore a Tacito nel= arte di dir molto in poco, quanto Tacito stesso è superiore al sig. Shortt. E se accade che il presente fascicolo gli venga per mano, accolga con amore i nostri suggerimenti, e ce ne rimeriti distogliendo altri viaggiatori suoi pari dal pubblicare la narrazione delle loro visite. Giacchè non sappiamo esprimere quanto ne ineresca di dover distribui re tal biasimo , che non essendo mitigato da una parola d’ approvazione, apparisce maligno. E quando si tratta di certi autori basta esser giusti per sembrar malevoli. S. U. Les Hermites ec. Gli Eremiti in prigione o sia le con- solazioni di S. Pelagia; dei sigg. C. Jour e 4. JAr. Vol. 2. in 8.° Parigi, presso Ladvocat, 1823. 11 Sig. Jay è l’autore del seguente racconto da noi promesso nel vol. XI. p. 135. dell’Antologia: ei lo divise in tre articoli intitolando i primi due: La prigione del- _la Nuova York; e gli altri due: Zstoria del prigioniere della Nuova York. Riportandoli nel nostro giornale ab- biam creduto doverli riunire, contenendo essi una storia continuata. La prigione della Nuova York. Trovandomi io in America nel 1794, mostrai deside- rio al dott. Brown, famoso medico della Nuova York, di visitare la prigione o casa di penitenza di quella città. « Io so ( gli dissi ) che essa merita speciale attenzione , e particolarmente quella d’ un europeo . In tutte le vostre istituzioni voi siete guidati da principi di giustizia e d’u- manità conosciuti anco in Europa, ma de’ quali per del tempo non ne verrà fatta una applicazione. Voi fate di diari 41 fatti, e noi di parole. Noi vediamo tutti i vizi dell’ attual sistema delle nostre prigioni; voi li correggete e sradicate gli abusi via via che nascono. L'esperienza v' illumina, e sapete trar profitto dalle di lei lezioni ». — « Non vi vuole altro che un poco di buon senso ( mi soggiunse il dottore ). Questa è una qualità di cui un uomo può vantarsi senza taccia di orgoglio. Prima d’intraprendere una cosa esaminiamo quale ne è lo scopo, e quali i mezzi migliori per riuscirvi: e sempre son pre- feribili i più semplici e i più diretti. Per esempio: le prigioni. Qual fine ha la società per condannare uno dei suoi membri ad essere detenuto ? È facil cosa rispondere: 1.° che ella vuole, venendole fatta una ingiuria, averne una riparazione; perchè il timore della pena prevenga i delitti della stessa natura: 2°. e che intende che la pena sia un mezzo per rendere migliori i colpevoli, i quali dopo un dato tempo posti in libertà, potrebbero tornare a farne un uso colpevole, quando non fossero cangiate le loro inclinazioni ed abitudini ». « Ecco lo scopo, ecco i mezzi. L'ordine delle nostre prigioni conduce insensibilmente i carcerati a dimentica- re le loro antiche abitudini, e a conoscere ed amare i loro doveri. Nelle case di penitenza non si conoscono le ingiustizie , gli arbitri, i cattivi trattamenti, perchè tai cose lungi dal disporre l’ animo al pentimento, lo .ama- reggiano e lo irritano. I prigionieri , occupati costantemen- te in lavori produttivi, suppliscono alle spese della loro prigionia, ignorano i pericoli dell’ ozio, e si provvedono di mezzi per un migliore avvenire ». « Ma troppo ci vorrebbe per informarvi minutamen- te di tutte le particolarità: è meglio che le esaminiate da Voi stesso, È un tempo bellissimo, facciamo una passeg- giata fino alla casa di penitenza. Vedrete e giudicherete ». Cammin facendo, e considerando le cause e gli effet- ti della umana depravazione, il dott. Brown mi disse : 42 « I vizi sono malattie dell’animo di rado incurabili : ma bisogna saperle curare, o impedirle. Se io avessi agio compilerei un trattatto d’ igiene morale che segnerebbe la strada ad uomini più abili di me, i quali potrebbon fare un gran servigio all'umanità. Nelle nostre prigioni mentre prendiamo cura del corpo, adoperiamo a sanar l’animo : e l’ esito quasi sempre risponde al nostro desi- derio. $' ammaestrano i carcerati e si piegano a più rego- lari costumi. Si abituano al lavoro; e in riprova della bontà del nostro sistema , in cento individui che escono dalle carceri, non se ne conteranno due soli condannati per la seconda volta ». Appena il dottore avea posto fine al suo ragionamen- to, giungemmo alla porta dell’ edifizio. La sua facciata principale rimane sulla strada di Greenwich ed. è lunga dugento quattro piedi. Alle due estremità vi sono due ale che vanno verso il fiume d’Hudson , e finiscono con due altre ale, ma minori. Sopra lo zoccolo vi sono due. piani alti in proporzione dell’ altezza del fabbricato. Il tetto è coperto di lavagna e vi posa sopra una cupola elegante. Le mura, costruite d’una pietra squadrata di un color cupo, convengono coll’uso cui è destinato questo edificio ; il solo loro aspetto annunzia il soggiorno del delitto e del pentimento. L'ala settentrionale racchiude una vasta sala contornata da loggiati; e questa è la chiesa della prigione. Alla parte posteriore di un gran cortile evvi una gran tettoia,e sono ivi tutte le officine della casa. Nel cor- tile interno vi sono due trombe che danno un’ acqua buonissima. In questo cortile è stata scavata una gran conserva, ove i prigionieri frequentemente si bagnano in estate. Dalla parte di mezzo giorno vi è un giardino di conveniente estensione. Tutto il fabbricato occupa uno spazio di circa otto jugeri. AI momento che si aprì la porta trovammo uno de- gl’ispettori della casa, amico intimo del dott. Brown, che 43 ci fece cortesissima accoglienza. Questi era il sig. Patter- son. Gl’ ispettori vengono nominati dai governanti e dal loro consiglio, e devono a norma della legge adunarsi in comitato almeno una volta il mese. Da questo si eleg- gono ad ogni adunanza due de’suoi merabri , a'quali col titolo di visitatori è addossata l’ invigilanza generale del- la casa. Si accertano se i prigioni sono trattati con umani- tà, con giustizia , con pulizia , ricevono i reclami, e de- cidono per modo di provvisione su tutti i soggetti delle loro dogl ianze, esaminano l’ indole e la moralità de’ pri- gionieri, esortano i cattivi; fanno animo ai buoni, € rife- riscono regolarmente all’ ufizio centrale. Il sig. Patterson eletto di fresco a visitatore ci disse che erasi fatta rimetter nota del numero de’ prigionieri , della natura dei loro lavori, del numero dei malati, e di tutto l’avvenuto da un mese in poi nel recinto della prigione. Egli aveva inflitto una pena ad una guardia che in un trasporto di collera aveva maltrattato un prigione. Mentre stavamo discorrendo coll’ ispettore, una del- le guardie venne ad avvisarlo esser giunto un nuovo pri- gioniero. «. Non abbiamo mai veduto una cosa come questa ( essa soggiunse ); non è possibile vedere uno scellerato più temerario di lui; non abbiamo potuto arrestarlo se non dopo la più ostinata resistenza. Ci sono voluti dieci uomini, e ne ha feriti tre gravemente. Legato come è si dibatte- va in modo che bisognava esser cauti nell’avvicinarse- gli. — « E ora dove è ? ( domandò l'ispettore ). — In cancelleria col carceriere, due guardie e quattro constabi- li. — « Seguitemi, ( disse l’ ispettore ) ; voglio parlare io stesso a costui, e ridurlo ad uno stato più tranquillo. Gli farò intendere che è pazzia contrastare alla necessità » Non potrò mai dimenticare lo spettacolo che si pre- sentò al mio sguardo quando entrammo in cancelleria. Vidi un giovine bello della persona, di nobile aspetto, che 44 il più bestial furore non aveva però potuto sfigurare. I suoi occhi pieni di fuoco palesavano un’ animo ardente. Presso al ciglio sinistro aveva una leggera cicatrice, la quale rendeva più espressiva la sua fisionomia. I suoi ca- pelli castagni chiari davano risalto alla bianchezza animata della sua carnagione. Egli mi fece tale impressione, che se fossi abile a trattare il pennello, potrei farne il ritratto a mente. Questo sventurato aveva le mani e i piedi legati con grosse corde, ed era sostenuto da due uomini che aveva- no lo spavento dipinto sul viso. « Si sciolga! ( disse gravemente il venerabile ispet- tore ). — « Badate bene a quel che fate ( disse uno dei constabili ) costui è un furioso ; che se è messo in libertà ci accoppa quanti siamo. Il meglio sarebbe, giacchè è co- sì legato, gettarlo in una segrete, e lasciarlo morire di fame. È un animal feroce cha non si addomesticherà mai. — « Non dite così ( rispose l’ispettore ); non insul- tate all’ umanità anco ne’suoi più deplorabili traviamenti. Datemi la polizza del prigioniero ». Il constabile gli presentò come, è d’uso, una carta che conteneva in com pendio la narrativa'del delitto per cui era stato condannato, le circostanze del suo processo, e un cenno sulla sua indole, desunto dalle informazioni prese della sua vita passata. Dopo avere attentamente letta la polizza il sig. Pat- terson gli disse. « Enrico Fitz-Allan, io vi farò sciogliere: promettetemi di astenervi da ogni atto di violenza. Essa sarebbe inutile, e vi esporreste ad esser trattato con più rigore, cosa che voi potete evitare. — « Io non prometto nulla ( replicò ferocemente il prigioniero ): uomini bar- bari ed ingiusti , toglietemi la vita. Questo è il solo bene che mi possiate fare. — « Forse dubitate che non sia giusta la vostra condanna? Non avete voi assaltato .con violenza il vostro compatriotto Patrizio Burke? Non lo 45 avete voi posto in pericolo di vita? — « Le leggi non mi facevano giustizia, e io me la son fatta da me: ho fatt’uso del mio dritto naturale. — « Il dritto di farsi giustiza da per sè esiste nelle foreste abitate dai selvaggi, non nelle società incivilite. — « Ho abbandonato il mio paese per vendicarmi d’ una ingiuria. Pensava trovar la libertà ip questa tanto decantata repubblica ;} e sono in fer- ri. — « Vici ha condotto il delitto , vi ci ritiene la giu- stizia, e può liberarvene il pentimento. Immaginavate for- se di trovar fra noi la libertà del misfatto! l’avreste tro- vata piuttosto sotto il dispotismo: ivi soltanto può esiste- re. — « Io sentiva di esser nato per comandare e sono schiavo. — « Schiavo del vizio, ve lo concedo, la virtù può rompere questa schiavitù. — « cosa pensate fare di me? — « Farne un galantuomo, un buon cittadino, darvi delle rette idee , ispirarvi sensi d’ onore, addolcire la ferocia dei vostri costumi , abituarvi all’ ordine ed al lavoro. — « Cosa dite? i lavori forzati? — « Nò, voi stesso chiederete per grazia di lavorare. — « Non sarà mai. — « Prima di tre giorni. Ma voi soffrite troppo. Mi affligge il vostro stato. — « Che forse, compiangete la mia sorte? — « Con tutto il cuore, e vorrei addolcirla ». Detto questo il sig. Patterson, data una occhiata alla po- lizza, parlò ad un dei corstabili; e rivolgendosi al prigio- niero, con veemenza gli disse. « Disgraziato! voi vi dispe- rate, ed avete una madre? » A queste parole la fisionomia del giovine si cambiò repentinamente. Questo nome di madre gli snonò fino nel fondo del cuore; e ad onta di tutti gli sforzi che fece per trattenersi, gli si affacciarono sugli occhi le lacri- me. — « Sciogliete subito quelle corde ( disse il sig. Pat- terson tutto commosso ); non vi è da temere ; io sto mal- levadore di tutto » . Enrico Fitz-Allan taceva. I nodi eran' sì stretti , che bisognò tagliarli. Fatto ciò 1’ ispettore disse alla guardia: 46 \ « le vesti di questo giovine sono in pezzi,come vedete,egli è coperto di polvere, couducetelo al bagno, e dategli un vestito pulito : poi riconducetelo da me. Fitz-Allan, anda- te con quest'uomo, e ricordatevi che avete una madre ». A queste parole proferite con un tuono patriarcale, Enrico chinò il capo, e uscì senza dire una paro- la. — « Egli è vinto ( ci disse l’ispettore ), Dalla polizza ho veduto che sua madre è domiciliata alla nuova York, in Broud-street, ed ho mandato a chiamarla: la sua pre- senza era l’ultimo compenso che io voleva adoperare , e sarebbe stato infallibile, ma mon vene è stato bisogno. Scommetterei che il cuore di questo giovine non è affatto pervertito. Mi viene dipinto come un dissipatore, in pre- da al giuoco e al libertinaggio, e capace di qualunque eccesso. Noi lo sottoporremo ad un regime appropriato a questo genere di malattia. Gli saranno interdetti i liquo- ri spiritosi ; un nutrimento sano e rinfrescante gli addol- cirà il sangue; una regolare occupazione frenerà la sua immaginativa; i saggi consigli illumineranno il suo spi- rito, e ne faremo un uomo affatto nuovo ». Io allora mi arrischiai a dimandare all’ ispettore: » Ma se si ostinasse a non voler lavorare? — « Finora non ne abbiamo esempio ( rispose il sig. Patterson ). Per vincere l’ostinazione dei prigionieri abbiamo il confine solitario, cioè alcune cellule lunghe otto piedi, larghe sei e alte nove; pulite, ariose, illuminate da una gran finestra all’altezza di otto piedi dal pavimento, senza al- tri mobili che un letto di legno con una materassa, len- zuola e coperte. Ivi si chiude il prigioniero che non vuol lavorare, e vi sta a suo bell’agio, senza vedere altri che una volta il giorno il taciturno custode, quando gli porta da mangiare. Non viè stato mai prigioniero per quanto ostinato che abbia resistito per più di due giorni a questa privazione totale di consorzio con ogni vivente , a questa solitudine, a questo silenzio non interrotto da voce 47 umana. Chiede subito per grazia di lavorare, ed è rara cosa che si esponga la seconda volta a questo temuto con- fino. — « A qual genere di lavoro pensate destinare que- sto giovine? — « Lo sceglierà da sè: abbiamo telai da tessitori, banchi e attrazzi da falegname, botteghe di calzolaio, di sarto;alcuni, si occupano a segare il marmo,a lustrarlo , a ridurre in ischegge il legno di cedro, a ma- cinare il gesso, a cardar la lana, a gramolar la canapa. I più deboli o i meno destri a mondar la lana , il cotone, il crino, la stoppa. Tutti son pagati a ragione del lavoro. M'’ ingannerei se il nuovo prigioniero, che è robusto, non iscegliesse il mestiero del falegname, che è uno dei più lacrativi. Ma vedo che lo riconducono. Lo troverete più tranquillo e più ragionevole ». Enrico fu ricondotto avanti l’ispettore. Tutta la sua energia pareva che si fosse ristretta intorno all’ animo; e niuna ombra di furore alterava la venustà delle sue fat- tezze. Il vestito della casa era pulito, comodo e decen- te. — « Vi rivedo con piacere (gli disse l’ ispettore ); fatevi coraggio, mio caro amico ; voi siete in età di ven- titre anni, onde avete in prospetto un lungo avvenire. Ho saputo che Patrizio Burke vostro antagonista è fuor di pe- ricolo. Duuque la vostra prigionia è di soli tre anni, e potete anco abbreviarla con una totale conversione e con una condotta regolare. Io avrò gli occhi su di voi. Il go- vernatore ha dell'amicizia per me, e potrà fare uso delle sue facoltà a prò vostro; quando vi rendiate degno del be- nefizio della libertà. Appena il sig. Patterson ebbe dette queste parole , una donna d'età si precipita in mezzo a noi, e si getta fra le braccia d’ Enrico. Chi potrebbe descrivere questa scena di dolore, i gemiti di una madre che richiede un figlio, piangendo sulla di lui sventura? Allora tutta la commozione del giovine per tanto tempo repressa si ma- nifestò senza misura; ei versava torrenti di lacrime sui 48 canuti capelli della madre, della sola amica che aveva al mondo. Oppresso dai singulti la stringeva al seno, ma puco dopo la rispinse. « Allontanatevi (le disse egli ); perchè mi avete seguito? Perchè non starvene nella vostra casetta ? Là voi sareste vissuta in pace. Ma io vi trovo sempre al mio fian- co: ovunque mi ha trascinato la mia sventura non ho po- tuto evitarvi. Debole e di età come siete, perchè traver- sare i mari, e seguitare un figlio destinato sino dalla na- scita ad essere sventurato?—Ah figliuol mio, figliuol mio ». Quella povera donna non sapeva dire altro. « Ritornate a Derrimore, in quel luogo che ho tanto amato, e che non vedrò mai più. Andate a trovare i mostri buoni vicini, che vi vogliono tanto bene; ma non parlate loro mai di me: lasciatemi morire di vergogna e di disperazione . — « Nò, tu non morrai , ( esclamò la vecchia madre, pren- dendo le mani d’ Enrico ). Io non ti lascio più, veglierò su di te. Io ti ho nutrito col mio seno, ti ho accarezzato e addormentato sulle mie ginocchia, e tu sei quello che mi devi chiudere gli occhi. — « Avete ragione ( disse il sig. Patterson ): toccherebbe a vostro figlio a farvi coraggio, e all’ opposto siete voi che fate animo a lui. Confortatevi tutti due. Voi insinuate a vostro figlio d’ esser docile e rassegnato; questa sventura, che vi sembra tanto terribile può essere per ambidue una sorgente di felicità . Avete due ore di tempo per istare insieme con libertà. Passato questo tempo ( continuò l’ispettore rivolgendosi alla guar- dia ), condurrete il prigioniere nella camera assegnatagli, e lo informerete dei suoi primi doveri. Poi volgendosi di nuovo a Fitz-Allan « Enrico, gli disse , pensate che siete sotto l’ impero della legge , e che non evvi potere umano che possa sottrarvene. Vostra madre verrà a vedervi due volte la settimana. Potrebbe esservi interdetta questa con- solazione solamente per una cattiva condotta. — « Che Dio vi benedica! ( riprese la buona donna singhiozzando) 49 che Dio vi benedica! Io non mi credeva di trovare in questo luogo della pietà ». Noi uscimmo coll’ ispettore, che ci disse: « To prevedo che il carattere di costui ci darà da fare. Egli è d’ animo sensibile, ma temo che l’abito del vizio e la violenza delle passioni resisteranno per del tempo al sistema cui dovrà sottomettersi. Sarebbe un dan- no! Le stesse facoltà, di cui ha fatto cattivo uso, prenden- do altra piega potrebbero condurlo ad un posto onorevole nella società. Confesso che m'interessa , e che non lo per- derò di vista. — « Dai di lui discorsi, (soggiunsi al sig. Patterson ) io congetturo che questo giovine sia irlande- se. — « La vostra congettura è giustissima. Egli è nato a Derrimore nella contea di Clare. Gl’ irlandesi sono presso noi prigionieri in maggior numero degli altri forestieri , e ciò nasce dall’esser più negletta la loro educazione. Ma bisogna che io vi lasci. Abbiamo una adunanza d'’ ispetto- ri, e mi dispiacerebbe farmi aspettare » . Congedatisi da questo degno galantuomo , mi separai dal dott. Brown, e m’incamminai verso casa, conside- rando la scena di cui era stato testimone, e col desiderio di sapere cosa sarebbe di Fitz-Allan, e di sua madre. Erano passati quindici giorni, quando tornando io da Bowery, sobborgo di Nuova York, incontrai il sig. Pat- terson. Dopo le consuete accoglienze gli chiesi nuove del prigioniero. « {o spero (gli dissi ) che si porti bene, e che ne siate contento. — « Non so come anderà ( mi rispose il sig. Patterson ). Costui è.di una tempra d’animo poco comune , e vi vorrà molto a domare il suo carattere. Va soggetto a certi accessi di furore, dei quali procuro di sco- prirne la causa. Credo che sieno effetti di qualche dolo- | rosa rimembranza , di qualche profonda ferita del cuore. | Jmoltre è orgoglioso al maggior segno, e non vuole assog- | gettarsi al lavoro , ch’ ei riguarda come una umiliazione. T. XII. Gennaio 4 50 Sono tre giorni che è în confino solitario; e pare inerè- dibile, ma non mostra desiderio di uscire. — « E di sua madre cosa è stato? — « Sua madre non sapeva staccarsi dalla soglia della prigione. Assisa sopra un muricciolo ac- canto alla porta , e piangendo continuamente, pareva che non esistesse per altro che per aspettare il momento di rivedere suo figlio. Oppressa dalla stanchezza, dalle in- quietudini e dal dolore, si ammalò. Essendo forestiera , senza protezione , senza denaro, io l’ho accolta in casa mia, dove ogni giorno ha nuove del suo figliuolo, e dove è assistita di continuo dal nostro amico il dott. Brown ».— « Questa non ce la saremmo aspettata! — « In tutto ci vuol pazienza. Se questo giovine resiste alla regola stabi- lita nelle nostre case di penitenza, bisogna dire che è de- pravato affatto, e che la gangrena morale è giunta al cuore. Sarebbe però il primo esempio. Ma ancora non si può decidere di nulla. Per disperare della guarigione bi- sognerebbe che fossero pervertiti tutti i suoi sentimenti. Pure egli ama sua madre , io non ne dubito, e l’ amor fi- liale non va d’ accordo con una completa corruttela ; e questo mi dà presa per poterlo ricondurre appoco appoco nella buona via. Voi vedete che pel governo delle nostre cuse di penitenza è necessario conoscere qualche poco il cuore degli nomini. — « E l’amor della virtù. Non trovo nulla di più nobile e di più sublime del vostro ministero. Dovrebbe appartenere a voi quella gloria che la follia dell’ uomo concede a’ suoi distruttori. In vece di far ver- sar lacrime all’ umanità , voi trionfate per quella, e le vostre conquiste sono altrettanti benefici fatti al vostro paese. Quanto deve esservene grato ! — « Non deve fare altro che stimarci. Questo è un debito che paghiamo in com penso della libertà che godiamo, dell’ eguaglianza che regna fra noi, della giustizia delle nostre leggi. Se il no- stro ministero venisse retribuito da ciò che voi chiamate gloria, o dal più piccolo provento pecuniario, vi entrereb- 51° be un certo che di personale che ne guasterebbe la purità. Allora vi sarebbe più ostentazione che zelo , più apparen- za che realtà ; e si brigherebbero più i voti del pubblico, che i suffragi della propria coscienza. Tutto questo fasto sarà buona cosa nelle monarchie, dove ogni virtù ha la sua tariffa, dove l'adempimento dei propri doveri è pa- gato in buona moneta. Ma nella nostra repubblica questa sarebbe una contradizione. I nostri affari gli amministria- mo da noi stessi , e l'interesse di tutti è l’interesse di ciascun cittadino. Però , quando presto un servizio alla società , lo fo a me medesimo. Voi vedete che non siamo affatto affatto disinteressati. — « Vedo che siete degni della libertà ; e questo è il più bell’ elogio che si possa fare ad un popolo. Ma giacchè siamo su questo particolare, permettetemi di chiedervi certi schiarimenti sullo stato attuale dei vostri costumi. — « Dite pure. — « Non si può negare che voi siate il popolo più libero e forse più felice della terra , se è vero che la felicità consista nella pace , nell’ abbondanza e nella sicurezza. Ma mi pare che a voi manchi qualche cosa. Per esempio : la coltura delle belle arti è una sorgente di godimenti che non avete. Non si trovano fra voi quei magnifici palazzi, quei giardini disegnati con buon gusto, quei templi maestosi, insomma quei grandi edifizi capolavori del genio, che fanno la gloria delle nostre città , e 1 ammirazione de’ forestieri. I vostri teatri sono poca cosa , i vostri attori mediocri; non avete neppure idea di quel che sia una grand’opera, colle sue macchine , le sue docorazioni, i suoi balli. Onde io ne concludo che non siete ancora onninamente inciviliti , perchè presso noi tutte queste cose si considerano come la resultanza del più alto grado di civiltà . Noi altri europei abbiam bisogno di grandi artisti, di commedianti eccel- lenti, di compositori di musica, di spettacoli d’ ogni genere , di poeti, di belli spiriti maschi e femmine, d’ac- cademie, e persino di atenei. Se non si avessero tutte que- 52 ste cose non si sarebbe felici, e si morirebbe di noia. — « Prima di rispondervi vorrei sapere cosa intendete per .la parola civiltà? — « Aspettate; perchè ancora non vi ave- va ben riflettuto. — « Contentatevi che vi aiuti. Gercan- do qual deve essere lo scopo di ciò che voi chiamate ci- viltà, potrebbe essere che ne saltasse fuori la sua vera definizione. Ditemi un poco: questo scopo non è egli d’il- luminare un popolo su i suoi diritti, su i suoi doveri, d’in- spirargliene il sentimento, di scortarlo all’ esercizio dei primi, all’adempimento dei secondi in tutta la loro esten- sione ? È egli questo lo scopo della civiltà? — « Ne vo d’ accordo. — « Badate bene! bisognerà che concludiate che gli spettacoli , la pittura, la musica, il ballo, le mera- viglie dell’ architettura non sono il vero scopo della civil- tà. — « Ma perchè ristringere così la questione, e cercare un solo scopo a ciò che può averne più d'uno? — « Ecco il perchè: per giungere ad una buona definizione, ad una idea esatta della cosa. Ogni scienza ha uno scopo partico- lare. Per esempio: l’astronomia studia il moto degli astri, c’ insegna con quali leggi si attraggono e sì rispingono , ci dà notizia delle loro reciproche distanze e delle ellissi che descrivono. La medicina ha per iscopo la guarigione delle malattie che affliggono l'umanità ; e così discorrendo di tutte le altre scienze. Dunque la sola civiltà, o per dirlo in altre parole, l’arte di perfezionar l’uomo sociale non avrebbe uno scopo suo proprio. Cosa ne dite? — « Mi par di vedere che potrebbe darsi che voi aveste ragione ; e che la civiltà potrebbesi definire il procedimento de’ popoli verso lo stato più favorevole allo svolgimento dell’umana ragione, e agl’interessi reali della società. — « Ecco dove io vi voleva condurre.. Ora se vi riuscirà provarmi che l’uomo non può essere ragionevole e libero senza tutto quello apparato di lusso, e senza quei prodigi delle arti che avete menzionati , io confesserò che noi siamo molto addietro a voi nella civiltà, — « Mi avvedo che io non 53 conosceva perfettamente la questione , e vi ringrazio d’a- vermene chiarito:+— « Temo che mi taccerete di presun- tuoso , ma voglio andar più là. Io ho spesso pensato che, per quanto negli Stati Uniti non sì trovi nè un’opera co- me quella di Parigi, nè un tempio come il S. Pietro di Roma , nè le vostre grandi gallerie di statue e di quadri, pure sieno il paese più incivilito del mondo. Non è ch’ io disprezzi le belle arti; esse sono V ornamento d’una città; ma noi abbiamo posato l’ edificio sociale sopra. più solidi fondamenti ; e ne abbiamo costruite e condotte a fine le diverse parti. Voi altri avete pensato solamente alla deco- razione. — « Spero però che non vorrete seguire il. consi- glio di Platone, che voleva bandire i poeti dalla sua re- pubblica. — « No certo. La poesia che si nutrisce di eroici sentimenti e di grandi imagini, perfettamente si addice ai nostri costumi repubblicani, e fa la nostra deli- zia. Pochissimi sono quei fittaioli che non abbiano un Milton, un Shakspeare. La coltura dello spirito è. genera- le nelle nostre campagne quanto nelle città, e universal- mente tutti possegono i lumi necessari alla nostra posizio- ne; Non vi è artigiano, non agricoltore che non sappia leggere , scrivere e far di conto, che ignori le leggi del paese, che non ne abbia in pregio le istituzioni , e che per difenderle non versasse fino all’ ultima stilla di. san- gue. Quindi procede l’amore dell’ ordine, e il rispetto delle proprietà ; quindi i delitti sono sì rari fra noi, e forse non avremmo bisogno d’ una prigione se gli stranie- ri, traversando i mari non venissero qua colla loro. igno- ranza e le loro viziose inclinazioni. I più diventano mi- gliori vivendo fra noi. Altri se ne vanno e tornano al loro paese. Se alla fine della sua prigionia questo giovine irlan- dese , alla cui sventura vi siete tanto commosso non si fosse affatto cangiato di sentimenti e di costumi, pensate voi che potesse restare in un paese, ove senza lavorare ed es- ser probo non si ha nè fortuna: nè considerazione? — « In- 54 tendo benissimo quel che mi dite: ma mi resta da sapere un’ altra cosa. Avete ragione dicendo che io fui commos- ,s0 dalla sorte del vostro prigioniero, e restarono commossi al par di me tutti coloro che furono spettatori di quella scena, che faceva scoppiare il cuore. Ma supponghiamo ch'ei rinunziasse alle depravate sue abitudini, e che di buona voglia si desse a lavorare, in una parola che diven- tasse un uomo stimabile, qual felicità può aspettarsi dal- l'avvenire? Disonorato da una condanna giudiciaria , av- vilito dall’ essere stato in una casa di correzione, cosa gli rimane da sperare dagli uomini ? qual posto potrà occu- pare nella società? — « Quello d’ un galantuomo, e di un buon cittadino. Voi ci giudicate sempre secondo le vostre solite preoccupazioni europee. Noi riguardiamo come igno- minioso il vizio, e non la riparazione che esige la società all’ oltraggio fattole. Riparato il delitto , se il colpevole fa mostra di virtù, se adempie i suoi doveri verso sè, verso gli altri, tutto è posto in dimenticanza. È un disgraziato che si è salvato dal naufragio delle passioni, e che è ap- prodato ad una terra ospitale. Potrei citarvi uomini rag- guardevolissimi per ricchezze per meriti, l’ età, giovanile dei quali è stata tempestosa , ed ha avuto bisogno di cor- rezione e di pentimento. Oggi vivono onorati, perchè sono divenuti onorevoli » . Il sig. Patterson alla fine di queste parole era giunto a casa sua. Vi fu ricevuto dalla sua figlia Hannah , giovi- netta di una figura angelica , che aspettava suo padre con impazienza come se avesse avuto da comunicargli qualche importante segreto. Io mi congedai dopo aver rese. grazie al sig. Patterson delle buone lezioni che mi aveva date. Qualche settimana dopo quanto ho narrato, per. al- cuni miei particolari motivi mi decisi a partire dalla Nuo- va York e ad andare a stabilirmi a Boston, ove mi fer- mai per nove anni. Dopo questo tempo essendomi risoluto 55 di tornare in Europa, volli prima visitare li stati dell’ U. nione che ancora non bene conosceva, e penetrare, poten- do , fino nella colonia francese del Canadà. Nel tratto di questo viaggio trovai il mio prigioniero della Nuova York.. Se nello scriverne la storia non avessi fatto uso delle diver- se particolarità , di cui aveva preso nota con una scrupo- losa verità, mi sarebbe stato facilissimo il dare al mio racconto un’ aria di romanzo. Mi sarei posto in Viaggio senza accennare avanti ciò che doveva succedere; avrei condotto il mio lettore di luogo in luogo a traverso le im- mense foreste e i gran laghi che lungi si stendono nelle regioni occidentali dell’ America settentrionale. Qual largo campo per descrizioni pittoresche immuni da qualunque critica , poichè sarebbe stato impossibile di provarle ine- satte. Un giorno , rifinito dalla fatica sarei giunto ap- piè d’una ripida montagna, e in una spelonca spaven- tevole di malagevole ingresso , passando sopra un tronco d’albero un rapido torrente che impetuosamente cade so- pra un letto di roccie granitiche, avrei incontrato il mio eroe. Meraviglia reciproca , cognizione teatrale, scena di misantropia , tutto avrebbe contribuito ad agitare V im- maginativa , a produrre grandi effetti. Avrei pregato un qualche amico poeta a compormi una canzoncina , l’avrei fatta mettere in musica . . .. Ma no. Ho volontariamente rinunziato a tutti questi avvantaggi. Non voglio che realtà; e forse pochi viaggiatori potranno dire lo stesso. Avendo io in questo tempo continuo carteggio col Dottor Brown, seppi che in capo a due anni era stata fat- ta grazia a Enrico Fitz-Allan: che quindi erasi manife- stata alla Nuova York la febbre gialla, e vi aveva fatta grandissima strage : che Enrico si era ritirato in una tenuta ch'ei coltivava, vicina a Skeensborough, comune situato sul- le sponde del lago Champlain,appartenente allo stato del- la Nuova York . Il dottore mi dava pure notizia che que- sto giovine aveva sposata Miss Hannah, figlia del sig. 56 Patterson, del quale io conservava una grata reminiscen- za. Studiando il mio viaggio sopra una gran carta dell’A- merica settentrionale, veddi che per passare agli Stati Uni- ti poteva imbarcarmi a S. Giovanni, città Anglo-francese del Canadà, all’ estremità settentrionale del lago Cham- plain , e prender terra al porto di Skeensboruogh , donde facilmente sarei giunto ad Albany e alla nuova York. Que- sto nome di Skeensborough richiamò alla mia memoria Enrico Fitz-Allan e Hannah Patterson ., Feci adunque proponimento di far loro una visita, così di passo, e di prendere le loro commissioni per la Nuova York. Mi po- si in viaggio seguendo questo itiverario , e giunsi a Ske- ensborough . Il primo mio pensiero fu d’ informarmi ove dimorasse Enrico Fitz-Allan, e seppi chela sua tenuta era poco lontana . L'indomani, che era una bellissima gior- nata mì vi incamminai, tenendo la strada che mi era sta- ta insegnata. Questa tenuta era posta sul pendio d’ una collina distante tre miglia in circa dal lago Chamiplain . Me la fecero riconoscere due folti boschetti di magnelia e di sassofrasso che mi erano stati indicati come segnale. A basso della collina si stendono di belle praterie irrigate da un fiumicello, che dopo aver fatto volgere un mulino a sega si scarica nel lago. Passai il fiumicello sopra un ponte di legno fatto per uso e comodo del mulino, e sco- persi la casa principale della tenuta, alla quale ascesi per un tortuoso viale di aceri e di tulipiferi. Giunto sopra un ripiano di circa venticinque o trenta iugeri vidi due gra- ziosi fanciullini, chesi divertivano a raccogliere in una ce- stella di rimini certe coccole nere, che sono una specie di mirtillo, che molto piacciono agli americani, e che in lo- ro lingua chiamano /ootle-berry . Avvicinandomi loro non se ne fuggirono : la fanciullina mi guardava attenta- mente: ammirai la freschezza del di lei colorito, i suoi biondi capelli, che inanellati le cadevano sulle spalle bianche quanto la neve. Il fanciullo poi con innocente 97 sicurezza mi venne incontro, e francamente mi domandò se io andava a casa sua. Avendogli risposto di sì; in que- sto caso , egli mi rispose, anderò a dirlo alla mamma; e si messe a correre verso casa. Mi accostai alla fanciullina, la presi per la mano, e le chiesi come avesse nome. « Ho nome Harriet, ( ella mi rispose ); voglio andare da. mio fratello. — Ebbene verrò anch'io ». La presi in collo senza che ella vi facesse difficoltà, e m° incamminai ver- so la porta di casa. Ivi fui accolto da una bellissima gio- vine vestita d’ una bianca tela indiana , cinta di una cin- tura azzurra; e che io riconobbi per Hannah. « Mi di- spiace (ella disse)dell’incomodo che vi dà questa bambina: passate in casa; dovete essere stracco, ed aver bisogno di rinfrescarvi ». Dopo i consueti complimenti fui introdotto in una sala molto pulita, ornata di specchi, con un tappeto sul pavimento e con mobili di acagiù. Una donna di età as- sisa presso una finestra, era occupata in un lavoro di cu- cito: presso di lei dormiva un bambino in una culla ele. gante. Tutto in quella casa spirava comodi, pace e con- tento. Non seppi trattenermi dal notar ciò a quella giovine, la quale fissamente guardandomi pareva che volesse ri- chiamarsi alla memoria una persona obliata quasi affat- to.« Questa pace, questa contentezza che ammirate, (mi rispose ella graziosamente sorridendo ) è opera di mio marito : è andato a fare un giro per le nostre .terre, e non può star molto a tornare. Ei si pren de pensiero della no stra felicità , e così forma la propria . Ma scusate la mia curiosità. Mi pare d’ avervi veduto altre volte: la vostra voce, e le vostre fattezze non mi giungono nuove » . —Avete ragione ( le risposi ); ebbi il piacere di cono- scere voi e il vostro degno genitore , il sig. Patterson, e spero di rivederlo passando alla Nuova York— « Ah! non lo vedrete più ( soggiunse Hannah con un sospiro ). Sono otto anni che è morto; nè ho potuto ancora darmi pace 56 di questa perdita . Qual piacere sarebbe stato il mio l’ as- sisterlo nella sua vecchiaia! » Detto questo entrò in sala Enrico Fitz-Allan che ri- conobbi senza esitare, tanta impressa mi si era nella men- te la sua fisionomia . Egli era un poco abbronzato dal so- le, e ciò davagli un aspetto più maschile . « Mio caro Enrico ( disse Hannah ) ecco qui un an- tico amico di mio padre che ci domanda ospitalità.—« È un dovere ( rispose Enrico ), che ci sarà grato l’ adempi- re ». Mi stese la mano, che io strinsi affettuosamente . Intanto era preparato il desinare; e passammo in una sala ove eran poste le tavole pulitissimamente apparec- chiate . Trovai squisito il rost-boef, ed eccellente il sidro. Eranvi altre gustose galanterie del paese, e fra queste una torta di //ootle-berry che lodai moltissimo , volgendomi a’ due fanciullini. « Mia sorella ed io (disse il fanciullo) abbiamo colte le coccole, e la nostra cara mamma ne ha fatta la torta ». Aveva pure riconosciuto la buona madre di Enrico, quella povera donna, che era in tanta desolazione quando fu arrestato suo figlio. Alzatesi da mensa alla fine del desinare la madre, la moglie e i due figli, restammo a tavola Fitz-Allan ed io: e mescendomi del vino di Portogallo, mi disse. Ho nota- ta una certa vostra ritenutezza nel parlarmi in faccia a mia moglie, e a mia madre. Voi avete conosciuto il sig: Patterson: è dunque probabile che vi sia nota una parte della mia storia. Ciò non deve darvi pena: potete parlar liberamente anco in presenza d’ Hannah: essa è tanto ra- gionevole quanto è buona e virtuosa. Io non sono più quel furioso , quel bestiale di una volta, e che ha fatto tanto parlare di sè. Adesso vedete in me un buon padre di famiglia e un laborioso agricoltore ». Allora gli dissi che era stato presente a quanto ac- cadde nella cancelleria delle prigioni della Nuova York, 59 e ehe la sua sventura mi aveva sommame nte commos- so ed inspiratomi grand’ interesse. « Ora sono altr’ uo- ino ( mi rispose sorridendo), e devo considerare quel giorno come il più felice della mia vita; essendo sta- to il principio della mia riforma e della mia felicità . — « Pure eravate molto agitato da quell’ avvenimento, e pareva impossibile potervi calma re. — «È vero; e potrei dirvene il perchè: ma il mio racconto adesso andrebbe troppo in lungo. Voglio che visitiate i miei terreni. Stase- ra dopo il tè vi narrerò i principali avvenimenti anterio- ri e posteriori al mio arresto. Vedrete quali pericoli ab- bia scampati; e quanto io debba ringraziare il cielo di una prigionia che allora giudicai essere una barbara ingiu- stizia ed una irreparabile sventura » . Uscimmo di casa insieme; ed ammirai il prospetto che mi si presentò allo sguardo. Il lago Champlain si sten- de ben lungi verso il settentrione, e le di lui onde traspa + renti erano agitate da un fresco venticello. Varie isolette coperte di sommacchi, di aceri , di salci neri, di carpini virginiani, servono di riposo alla vista, e abbelliscono il prospetto. A levante alcune rustiche abitazioni sorgono qua e là framezzo ai boschi. Mandre di varie specie errano per le pianure, o sembrano sospese dal pen- dio delle colline: mentre dalla parte di ponente s° inalza- no a grande altezza alcuni enormi massi di roccia di figu- re irregolari e bizzarre , e servono di base alle montagne verdi (1), la cima delle quali coronata di mubi termina l’ orizzonte . Dopo aver contemplato questo magnifico panorama, visitammo le piantazioni e i campi da’ quali è composta la tenuta di Fitz Allan. Egli avevavi introdotti tutti i nuo- vi miglioramenti dell’ agricoltura europea . Alle chiuse di lunghe pertiche usate nel paese aveva sostituite le siepi di (1) È questa la catena occidentale dei monti Apalaches. 60 piante vive, frammischiate di alberi fruttiferi. Mi congra- tulai seco lui sul numero dei suoi alveari, sulla bellezza delle sue vacche e delle sue pecore . Appena tornati alla abitazione, bevemmo il tè; dopo di che Fitz-Allan, rivoltandosi alla moglie le disse . « Hannah, il nostro ospite vuole assolutamente che io gli narri le mie avventure — Bisogna contentarlo ( rispose la sua giovine sposa ). Sono certa che non lo desidera per una vana curiosità, ma per un vero interesse che pren- de per noi ». — Verissimo ( soggiunsi immediatamente); lo desidero per mia istruzione : vorrei imparare come sì fa a diventar felici » . « Io nacqui a Dorrimore piccola città dell'Irlanda nel- la contea di Clare (disse Fitz-Allan). Mio padre uomo piuttosto facoltoso , esercitava decorosamente la profes- sione di legista, ma ebbi la disgrazia di perderlo prima che io fossi giunto agli anni della ragione. Mia madre, buonissima donna, non aveva altri figli che me; onde giudicate come fui male avvezzato. Ogni mio capriccio era per lei una legge , e faceva in casa tutto ciò che mi pareva e piaceva. Vi volle una fatica grandissima a farmi imparare leggere, scrivere e far di conto mediocremente: Aveva maggior piacere a correre per i campi, e a fare delle incursioni negli orti de’nostri vicini. Divenni risso- so all'estremo, me la prendeva con tutti, e non passava giorno che la mia condotta non desse luogo a delle dogli- anze che giungevano all’orecchie di mia madre , la quale non aveva mai giuste ragioni per scusarmi. Così io cre- sceva in età, in capricci, in forza e in insolenza. ». « Aveva già passati 1 diciotto anni, e non era stato possibile piegarmi a studio veruno, quando Patrizio Bur- ke mio cugino maggiore di me di tre anni tornò dal- l’università di Dublino. ll suo ritorno fece gran sensazio- ne nella nostra città, ed era considerato come un giovine compito. Si diceva che sì fosse fatto molto onore in colle- 61 gio, passava per un buon legale , si vestiva con gusto, can- tando si accompagnava con la chitarra, parlava francese, e faceva anco de’ versi. In conseguenza lo vedevano con piacere, dava il tuono in tutte le conversazioni, insom- ma era la fenice di Derrimore ». « A dirvi il vero divenai geloso di lui. Quanto potei cercai di avvilire queste sue qualità, che venivano gene- ralmente ammirate. Da ciò nacque un odio grandissimo fra noi due: ma il mio era schietto, impetuoso, palese, e diceya tutto quel ch’ io pensava ; ma Burke era lupo, si- mulato, e mostrava di compiangermi per la cattiva edu- cazione ch’erami stata data. Prendeva interesse per la mia sorte, e andava dicendo che sarebbe stato pronto a far qualunque sacrifizio per uon vedere il suo cugino Enrico così zotico e mal’educato. Questi discorsi venivano a mia notizia, ed io aspettava con ansietà l’ occasione di vendi- carmene vistosamente ». « Un giorno, quando menoci pensava, viene Patri- zio a casa mia, e mi dice. « Enrico, perchè essere nemi- ci fra noi? Voi siete un bravissimo giovine, e per far buo- na figura come me vi manca solo un poco d’uso di mondo. Cosa fate qui in Derrimore; non siete fatto per seppellirvi In una piccola città, venite meco a Dublino : là acquiste- rete l’ esperienza che non avete, non vi annoierete come qui, e sarete felice quanto un sovrano ». « Parlandomi Burke con tanta franchezza, mi fece im- pressione . I suoi elogi lusingarono la mia vanità , e quasi rimproverai a me medesimo la condotta da me tenuta verso di lui. Io era per natura più vivace che cattivo ; e gli strinsi la mano che cordialmente mi stese » . « Voglio essere la vostra guida (ei proseguì), conosce- rete che i piaceri d’una gran città sono ben diversi da quelli di Derrimore. So che avete qualche inclinazione per Sofia Graham vostra vicina, ma ciò non deve trattenervi . Po- treste voi contentarvidi una d onnicciola di provincia, sen- 62 za gusto e senza spirito? Quando potete piacere a dame di prim'ordine? Vi assicuro che a Dublino farete una buonis- sima figura ». « Queste parole solleticaronoil mio amor proprio, e mi lasciai adescare . Accettai la proposizione di Patrizio; ne feci parola a mia madre, che acconsentì figurandosi che avrei fatta una gran fortuna, e che tutti mi avrebbero ve - duto con gli occhi di lei. Io le promessi di scriverle, come desiderava, una volta la settimana ». « Quella Sofia che vi ho rammentata era la più bel- la ragazzza di Derrimore . La sua bontà e la sua dolcezza mi attraevano verso di lei, e per quanto io fossi d’ indole affatto opposta, ella mi guardava di buon occhio. Dirò di più: essa aveva un grande impero sopra di me. Per mala sorte essa era fuori di paese quando Patrizio fece la risolu- zione di condurmi a Dublino. La conosceva egli pure, e anzi mi era qualche volta figurato che non gli fosse indif- ferente » . « Furono in breve fatti i preparativi pel viaggio. Mia madre mi diede tutto il denaro di cui poteva disporre; mi abbracciò e mi raccomandò di non trattenermi molto tem- po a Dublino. Nel lasciarla mi sentii commosso, e quasi quasi mi vergognai di non potere trattenere le lacrime; considerando il piangere come una debolezza» . «Per strada Bark mi parlò sempre delle feste, dei pia- ceri e dei divertimenti della città. Mi diceva che mi avreb- be fatto conoscere persone della maggiore importanza, da- me le più ragguardevoli; che avrei potuto, avendone voglia, frequentare le commedianti del gran teatro, lo che avreb- be perfezionata la mia educazione. Io non desiderava altro, fuorchè formarmi lo spirito a così buone scuole: e gli pro- messi d’essere dolcissimo a’ suoi consigli ». « Sarebbe superfluo raccontarvi ad una ad una tutte le follie di cui mi resi colpevole, tutte le male abitudini contratte a Dublino. Quelle persone della maggiore impor- 63 tanza erano giocatori, cavalieri d’ industria , uomini vi- ziosissimi: quelle dame le più ragguardevoli,non erano nien- te di meglio. Giovane e senza esperienza io caddi in tutte le insidie che mi furono tese: m’ingolfai in tutti gli eccessi del libertinaggio; rimasi senza un soldo; ricorsi a mio cu- gino che mi suggerì il gioco come una miniera inesauribi- le. Feci dei debiti ; presi passione pel gioco; giocai, e sem- pre colla più gran disgrazia . Credei che uno dei miei av- versari mi vincesse il denaro con mezzi illeciti; lo insultai; lo costrinsi a battersi; lo ferii in modo, che credei di averlo ucciso. Mi rifugiai in un asilo che credeva sicuro; fui scoperto, arrestato, e gettato in una carcere )». « Nelle prime settimane che stetti a Dublino scrissi puntualmente a mia madre; ma dopo qualche tempo le mie lettere divennero più rade, e finii col trascurare affatto questo mio dovere. Nella trista condizione in cui mi tro- vava scrissì a Burke, e seppi con mia gran sorpresa che non era più a Dublino. M°indirizzai ai miei compagni di di- vertimenti , alle donne che mi avevano festeggiato finchè ebbi ghinee a mia disposizione ; e tutti mi risposero con dei complimenti lodando il mio valore marziale ed esor- tandomi ad avere pazienza. Mi sentiva scoppiare dalla rab- bia e dal dispetto. Ma figuratevi quale potè essere l’ecces- so del mio furore quando seppi positivamente, che Burke era stato quello che mi aveva denunziato alla giustizia , dopo avere malignamente cercato e scoperto il mio asilo, Allora giurai di liberare da un simil mostro la terra ». « Passai tre mesi interi privo d’ogni conforto, abban- donato da tutti, giacendo sulla paglia , mangiando il pes- simo pane dei prigionieri, esposto alla brutalità dei car- cerieri, confuso co’ più infami delinquenti, aspettando la mia sentenza » . 3» Non so come in tale stato non perdessi affatto la ra- gione. Mi ammalai; ed una febbre ardente mi andava con- sumando : quindi bisognò portarmi ad uno spedale; nè = 64 io mi ricordo di questa circostanza, perchè mi dissero che per parecchi giorni stetti sempre fuori di me in continuo delirio. Una notte svegliatomi come da un profondo le- targo sentii una mano che leggermente asciugava il fred- do sudore che mi bagnava il viso, emi parve che mi cadesse- sero sulle guancie caldissime lacrime. Aprii gli occhi, ed ebbi appena forza di sollevare la testa. Al languido lume d’una lucerna che era presso al mio letto mi parve di ve- dere mia madre come in sogno. Le mie idee erano tanto confuse che non si potevano fissare sopra nessuno oggetto, ma provai in me una dolcissima sensazione, come se un angelo sceso dal cielo fosse venuto a posarsi accanto a me. Senza porvi mente presi una bevanda che mi fu accostata alle labbra, quindi riposata la testa sul guanciale mi ad- dormentai profondamente » . « Dormii per molte ore, e quando ritornai in cogni- zione riconobbi la mia sventurata madre. Allora mi pas- sarono per la mente mille rimembranze che poi mi ram- mentarono l’orrore della mia situazione . Arrossii di me medesimo; e il contento di non aver perduta la tenera af- fezione d’una madre era amarregiato dalla vergogna, e da una confusione che mi fece abbassare gli occhi ». « Enrico (mi disse questa buona madre) io non ho ragione di farvi verun rimprovero. Tutto quel che desidero è che Dio vi conservi in vita. Voi non sapete quanto mi af- fanna il vedere che voi sfuggite. di guardarmi, e d'incon- trare i miei sguardi; se avete qualche residuo di amore per me alzate gli occhi o mio figlio. Sperate, procurate di guarire: è una felicità per me vedervi, assistervi e starvi vicina » . ; « Queste pietose parole mi piombarono sul cuore; mi si empirono gli occhi di lacrime, e vi trovai sollievo. Mia madre mi abbracciò teneramente , e parvemi che la sventura si allontanasse da me. Seppi che colui che io mi credeva di avere ucciso era guarito, e che non mì restava 65 da temer nulla dal rigor delle leggi. La mia convalescen- za fu lunga; stetti molto a riprendere forza , ma pure ri- sanai perfettamente; e in compagnia di mia madre tornai a Derrimore ,,. i « Avevale spesso chieste nuove di Sofia . Da quando ebbero priricipio le mie sventure pareva che io 1’ amassi di più. Mia madre non mi aveva mai risposto a tuono su di ciò, onde non sapendo nulla di quel che avrei deside- rato sapere, mi parvero mille anni d’arrivare a Derrimore per rivederla, immaginando di esser per godere pressodi lei un felice avvenire; e questo pensiero occupava piacevol- mente la mia immaginativa ,,. « Or figuratevi il mio dolore e la mia sorpresa! Pa- trizio Burke, tornato a Derrimore nel mentre che io era in carcere, erasi introdotto presso la famiglia Graham. Il rac- conto, per mia disgrazia, troppo fedele che egli aveva fatto della mia condotta e del mio carattere aveva disgu- stati i genitori di Sofia ; ed ella stessa considerandomi in- degno del suo affetto, aveva dato orecchio alle proposizioni di Patrizio. Erano pochi giorni che ei l’aveva sposata, ed erano ambidue partiti per la città di Cork, ove mi si di- ceva che il mio più crudel nemico dovesse stabilirvi una impresa ,,. « Non istarò a descrivervi i sentimenti che a un sì funesto annunzio oppressero a un tempo il mio cuore. Al- lora vidi manifesta tutta la perfidia di cui io era stato la vittima. Indispettito contro ogni generedì società, divenni solitario e salvatico; detestai gli uomini che mi figurai tutti cattivi e ingannatori al pari di quelli che fino allora aveva conosciuti; detestai me stesso pensando alla mia fol- le credulità ,,. « È difficile il concepire qual sia la forza di un pensie. ro che sia unico a volgersi per entro la mente. Egli non ti abbandona mai ; si presenta a te ne’tuoi sogni; si affac- cia quando vegli; e forma, dirò così, tutta la tua esisten- T XIII. Gennaio 5 66 za. Io son d’avviso che questa fissazione sia il primo gra- do della follia ,,. « Determinato di perseguitare il mio nemico, di rag- giungerlo , di assalirlo ovunque lo avessi incontrato, di sbranarlo colle mie mani,seppi dissimulare bastantemen- te questo mio atroce intendimento: e per deludere l’inquie- ta tenerezza di mia madre mostrai d'esser tranquillo. Pas- sarono quindici mesi senza che il tempo affievolisse l’odio da cui io era internamente divorato. Mia madre senza so- spetto di ciò che io aveva in cuore non m' invigilava più tanto; ed io colsi il tempo ,, e partii segretamente da Der- rimore incamminandomi verso Cork ,,. « Travestito giunsi in quella città. Scesi in un alber- go vicino al porto, e mi feci insegnare ove abitasse Patri- zio Burke. L'indomani sul mezzo giorno vado francamen- te a casa sua, e entro in una sala; una giovine appena mi vede mette un grido di dolore e mi cade tramortita ai piedi. Questa giovine era Sofia. Chiamo gente in aiuto, e comparisce una vecchia fantesca. A fatica riavutasi So- fia dal suo tramortimento mi disse, —« Siete voi? cosa venite a far qui? venite forse ad insultare la mia sven- tura? Lasciatemi: non posso sostenere il vostro aspetto» , —« Sofia ( le risposi ) voi mi giudicate con troppa se- verità. Non vengo per voi, ma per vostro marito. Ho bi- sogno di vederlo. — « Mio marito non è più in Irlanda: mi ha abbandonata per un’ altra donna, e con lei è par- tito per l’ America, lasciandomi, come mi vedete , senza sostegno, senza protezione , Pure non avrei coraggio di tor- nare da’ miei parenti » . « Patrizio dopo aver dissipato tutto ciò che aveva sua moglie erasi rifugiato negli Stati Uniti. Sofia mi fece il racconto dei cattivi trattamenti sofferti, cosicchè io fui forzato a compiangerla : le somministrai del denaro per pagare i suoi debiti, e per tornare in seno della sua fami- glia - Mi stupii di non sentire per lei fuor che compassio=.. 67 ne, tanto io era fisso in altro pensiero. Partendo da lei “le dissi con un tuono che la fece fremere « sarete ven- dicata .,;- « Allora volgendo solo in mente il modo di portar- mi sollecitamente negli Stati Uniti, fissai d’ imbarcarmi col sig. Mac-Neil capitano di un vascello mercantile chia- mato il Zritone. Era impazientissimo di partire; ma fu necessario aspettare un vento favorevole; e passarono sei settimane prima di potersi mettere alla vela ,,. « Quando vidi da lungi le scoscese ripe dell'Irlanda sparirmi avanti agli occhi come una nebbia, il mio cuo- re fu altamente commosso, ed allora per la prima volta provai quel profondo sentimento che affeziona l’uomo al suolo della patria, e che gli serra il cuore quando il de- stino lo astringe a cercar nuovi lidi sotto un incognito cielo. Immerso in una lunga meditazione, mille imagini affollavansi al mio spirito; rimembrai fino i miei giuochi puerili, e sospirai nel rammentarmi mia madre ,,. « Navigammo prosperamente fino all’altura delle Ber- mude. Allora si voltò un vento contrario, s’ oscuro il cie- lo, si sconvolse il mare, scoppiò su di noi una terribile tempesta. Il pericolo non era imminente, e lasciava poco da temere l’ esperienza e la bravura del capitano Mac- Neil. Ma il violento maneggiar del vascello mi cagionò tal fastidio, che da uno stato di estremo languore, passai ad uncompletoannichilamento, ead un sì gran disgusto della vita, che avrei ringraziato colui che col gettarmi in mare mi avesse liberato da quella inesprimibile angoscia, di cui non sì può avere idea senza averla provata . Scesi sotto il ponte, insensibile al mugghiar della tempesta, e mi stesi sopra un quadro di rancio quasi fuori di sentimen- to. Aveva chiusi gli occhi quando ruppe il mio assopi- mento una voce ben conosciuta che repentinamente mi scosse , Era ancor questa volta la mia povera madre, che 68 senza mia saputa trovavasi sullo stegso vascello che do- vea portarmi lontano da lei ,,. « Non vi faccia meraviglia il vedermi qui, mio ca- ro figlio ( ella mi disse ). Seppi dalla stessa Sofia Graham che voi eravate a Cork, e non ho messo tempo in mezzo a recarmivi. Ho scoperto che dovevate imbarcarvi sul va- scello del capitano Mac-Neil, ed ho chiesto d’ esser del numero dei passeggieri. Immerso ne’ vostri pensieri non mi avete neppur veduta. Coperta il viso con un velo aspet- tava l’ occasione di mostrarmi a voi senza cagionarvi una troppo viva commozione. Ma vedutovi malato, non ho saputo resistere al desiderio di prestarvi assistenza e sol- lievo ,,. « Non potendo io parlare stetti contento a baciarle le mani . Essa appoggiò la mia testa sulle sue ginocchia e mi disse:—Enrico; credete voi ch’ io possa stare senza di voi? Non sapete che siete l’ unico oggetto della mia tene- rezza, e per cui solo mi è cara la vita ? Come avrei potu- to vivere lontana da voi ? Avreste dovuto pensare quale sarebbe stato il mio affanuo quando fossi venuta a sapere che voi lasciavate il nostro paese per non lo rivedere for- se mai più. Ma io non voglio farvene un rimprovero, Non vi perdete d’ animo. Il vostro male non è pericoloso, e fi- nirà colla burrasca che già comincia a calmarsi ,,. « Il cielo si è rasserenato; il mare non era tanto agita- to; e il furioso vento di mezzo giorno appoco appoco cessò, succedendogli un fresco venticello, che gonfiando le nostre vele ci fece leggermente navigare fino alle spiagge del nuovo mondo . Il mio male sì calmò con gli elementi , e mi trovai perfettamente risanato quando fummo alle viste della Nuova Jersei. La mattina seguente entrammo nella Baia della Nuova York, e gettammo l’ ancora alla foce del fiume Hudson . Mia madre ed io prendemmo su» bito terra ed andammo ad albergo in Broadstreet ,,. Li i 69 « Mia madre aveva tentato di scoprire i miei disegni; ma nonostante Ja mia smania di vendicarmi , non li la- sciai neppur trasparire . Io rispondeva alle sue domande, che dopo quanto mi era accaduto a Dublino, miera dive- nuto odioso lo stare in Irlanda; e che preferiva un paese ove regnava una intiera libertà, ove ciascuno era padrone delle proprie azioni, e non ne rendeva conto fuorchè a sè stesso: che del rimanente avrei preso un partito, dopo a- ver bene conosciuto il paese ,,. « Intanto aveva prese segrete informazioni se era stato sentito parlare di un certo Patrizio Burke ; giunsi a sape- re che viveva alla Nuova York molto ritirato in una ca- setta di Bowery.Andai furtivamente a riconoscere il luo- go. Io non intendeva di sfidarlo a un duello . Egli era grande della persona e di forze atletiche; ma temeva ch’ei non volesse accettar la disfida, e che mi scappasse di ma- no la preda che aveva inseguita fino oltremare . Era mio proposito di presentarmi inopinatamente a lui, di fargli insulto, di percuoterlo e di obbligarlo a difendersi; e oc- cupava gratamente la mia immaginativa il pensiero di un duello con quel mostro di perfidia ,,. « Questo disegno di collera fu mandato ad effetto. Pa- trizio Burke, in compagnia d’una donna se ne veniva giù perla gran via di nuova York, quando io me gli feci avan- ti . Sorpreso ei sì arresta: io mi scaglio contro di lui vio- lentissimamente , caricandolo d’ ingiurie. Riavutosi dalla sua prima sorpresa vedendomi disarmato , vuol fare uso delle proprie forze. Ma io robusto al pari, e più destro di lui riparo i suoi colpi, mentre ciascuno de’ miei trova ove offendere. Sfacellato, pesto, coperto di sangue traballa e ca- de senza moto. Lo dirò per mia vergogna : stava per calpe- starlo; ma le acute strida della donna presente alla terrible zuffa avevano fatto radunare molte persone. Tentano di arrestarmi ; ma accecato dall’ira strappo dal terreno un piuolo che mi vidi vicino, e senza distinzione lo meno in 709 giro su quanti mi si accostano. Permettetemi di non pro- seguire la narrazione d’un fatto, la cui memoria è per me un acerbo rimprovero; e vi basti sapere che dopo lunga ed ostinata resistenza , sopraffatto dal numero sempre cre- scente de’ miei antagonisti, fui finalmente arrestato. Ven- ne tosto pronunziata la mia condanna, la quale mi gettò in uno stato di frenesia da non potersi descrivere ,,. « V’è noto ciò che avvenisse nella cancelleria della prigione. Per restituire un principio di calma al mio spi- rito vi volle tutto l’ ascendente che può avere sopra un figlio la memoria di una madre sagrificatasi per me. Ma quando si pretese di costringermi al lavoro fu ben altra cosa . Rifiutai sdegnosamente di prestarmivi, e preferii il confino solitario : ed ivi risolsi di lasciarmi morir di fa- me. Per tre giorni non volli prendere cibo veruno ; e sebbene le mie forze si affievolissero , stetti fermo nel mio colpevole proponimento. Vedeva con giubbilo ap- prossimarsi l’ istante in cui mi sarei per sempre sottratto alle mortali angoscie della vita, e al tormento della schia- vitù . Il sig. Patterson informato di questo nuovo acciden- le mi visitava esortandomi a prendere qualche alimento. Erasi unito a lui il pietoso ministro delle prigioni, il sig. Pownall; ma io era irremovibile. Ricorsero a mia madre, ma in vano. Le di lei preghiere non avevano più efficacia sopra di me; le di lei lacrime non mi commovevano ; io voleva morire ,,. « Il sig. Patterson aveva raccolta in casa sua mia ma- dre malata d’ una febbre lenta , e rifinita dal cordoglio. Pensarono fare su di me un ultimo tentativo. Il quarto giorno della mia solitudine verso le otto di mattina sento aprir la porta della mia carcere. Mia madre sì accosta al mio letto, sorretta da una giovinetta. Questa era la mia cara Hannah . Essa mi apparve come un di quei geni ce- lesti che presiedono ai destini degli uomini. La pietà per la sventura non erasi mai mostrata sotto forme più gra“ gi ziose; nè tante attrattive furono maì unite a più commo- venti virtù ,,. — «Hannah! non abbassate gli occhi; le mie parole non sono quelle dell’ adulazione. Anco adesso io vi vedo qua- le vi vidi allorchè i vostri primi sguardi mi fecero senti- re il desiderio di vivere, e di consecrare a voi la mia vita ,; « Enrico, mio caro Enrico ( esclamò mia madre ) se voi non vi arrendete alle mie preghiere, non partirò mai da questo luogo di dolore; e morremo insieme. Se non mi aiutava questa cara fanciulla non avrei potuto venir da voi. Essa compiange la mia trista sorte; voi solo non ne sentite pietà . Ella si unisce a me per farvi ritornare in voi; sarete voi tanto barbaro da rifiutare i nostri offici? ,, « Se vi è tempo ancora , io consento di vivere ( ri- sposi con una voce moribonda ). A queste parole Hannah spari, e immantinente ritornò con una ciotola di puro lat- te che posò accanto a me. Osservava attentamente ogni mio movimento; e quando accostai la tazza alle mie lab- bra, un dolce sorriso animò la sua fisioniomia .« Il vostro Enrico è salvo! » disse ella a mia madre ,;. « Mi scuserete se mi trattengo su certe minuzie, che ora devono sembrarvi di quasi nissuna importanza: ma sono come quei vecchi soldati che si compiacciono a rac- contare i diversi casi della loro passata fortuna; e che si fermano con piacere anco sui particolari riguardanti ai pericoli che hanno scampati ». | « Voi che conoscete i nostri usi non vi maraviglie- rete di quanto fece Hannah. I discorsi del sig. Patterson, le commoventi doglianze di mia madre, i singolari avve- nimenti de’quali io era vittima, le avevano ispirato il de- siderio di vedermi. Presentandosele poi l’ occasione di usare un atto di beneficenza , la tentazione fu tale ; che non vi seppe resistere ,,. È certo (io risposi a Fitz-Allan ) che fra noi fran- ma cesi questa visita sarebbe sembrata contraria alle comuni regole di convenienza: le fanciulle sono custodite in Fran- cia con molta maggiore severità che in questo paese ; ma dall’ altro canto le nostre donne hanno minori legature delle vostre; e si prendono talora certe libertà; che. vi sembrerebbero non convenevoli; e portano il giogo matri- moniale più leggermente che possono. Dicono che è la regola: e non vi è pericolo che dieno mano per abolirla». « Il tempo non è forse lontano ( riprese Fitz-Allan) in cui le zittelle americane avranno minor «libertà che adesso, e forse minore innocenza. Le massime e gli usi europei prendono piede anco fra noi, ed io la credo una disgrazia. — Ma riprenderò il filo delle mie avventure ;,. « Appena ebbi fatta la risoluzione di vivere, mia ma- dre divenne più calma , e si ristabilì prontamente in sa- lute. Le era permesso di vedermi sovente fino a che non mi fai rimesso in forze. Hannah non tornò più; ma la di lei imagine era scolpita nel mio cuore ; la di lei presenza esaltava la mia immaginativa , lusingava le mie medita- zioni. Feci parola di lei a mia madre; e il suo nome si ripeteva spesso ne’ nostri colloqui. Non sapeva qual rag- gio di speranza offrisse il futuro a’ miei pensieri, ma gode- va una tranquillità che non era conseguenza del mio sta- to di debolezza ,,. « Avevami detto mia madre che la giovine Patterson chiedeva ogni giorno le mie nuove, e che sperava che io avrei esattamente adempito a’ nuovi doveri che mi veni- vano ingiunti. Bastarono queste sole parole. Ricuperate le forze chiesi da lavorare , e scelsi 1’ arte del falegname, come quella che voleva più forza e più attività. Mi faceva piacere lo smuovere gravi pesi, il maneggiare l’ascia , lo squadrare grossi pezzi di quercia. Questo genere di fati- ca, che addicevasi a pochi operai, mi rese prezioso per la casa, e mi cattivò un certo rispetto dagli altri prigionie- ri. Ogui volta che il signor Patterson faceva la visita del 73 la prigione in qualità d’ ispettore; voleva vedermi; e mi parlava affettuosamente su i beni d’ una vita laboriosa ; sulla tranquillità d’ animo, frutto d’ una condotta regola- re; sulla felicità proveniente dalla pratica della virtù. Erano brevi i suoi discorsi: ma lasciavano nella mia mente e nel mio cuore una profonda impressione ,,. « Il sig. Pownal intraprese dal canto suo ad ispirarmi sentimenti religiosi. Jo mi era ben poco fino allora oc- cupato di religione. Pensava al presente più che all’avve- nire; era indifferente per tutti i culti, e considerava ge- neralmente i ministri come altrettanti uomini ambiziosi, unicamente intenti a sfruttare con mire terrene la credu- lità dei popoli: e schiettamente palesai questo mio pensare al sig. Pownal ». « Non vi è dubbio (mi rispose egli con dolcezza). Ve ne sono de’ cattivi; e il numero è maggiore di quel che la moralità esigerebbe; ma si riconoscono a certi segni. So- no superbi, intolleranti ; si brigano di mischiarsi nelle co- se temporali; il loro linguaggio è pieno d’ amarezza , ed aspirano solo a dominare. Ma non èegli così di qualunque professione ; e il male non è egli accanto al bene ? Vi so- no molti cattivi medici; pure l’arte di guarire è un’ arte salutare. Lo stesso è della religione. Perchè vorrete adde- bitarla dei vizi e degli errori de’ suoi ministri? Bisogna esaminarla in sè stessa, e giudicare se i precetti di lei non intendono veramente alla felicità degli uomini e delle so- cietà». Dopo queste parole mi disse Fitz-Allan, «io mi accor- go d’essermi nel mio racconto dilungato più che non avrei voluto. Comincia a far tardi; nè io voglio appagare la vo- stra curiosità a spese del riposo necessario tanto ad un viag- giatore. Domani arditi i narrarvi le mie avventure». Esse m’ inspiranò' ìl più vivo interesse (gli risposi). Sono equivalenti ad uh corso di pratica morale, da cui 74 trarrò profitto. Domani vi pregherò ad attenermi la pro- messa. Il dì seguente mi avvenne di alzarmi molto tardi. Recatomi nella sala trovai riunita tutta la famiglia. Fu scherzato sulla mia poca sollecitudine, la quale pareva che mai si addicesse alla mia qualità di viaggiatore. Fra le altre cose, Hannah mi disse maliziosettamente « che si vedeva chiaro aver io conservato il gusto europeo, e che sarei stato un poco buon fittaiolo americano. La familiarità di questo rimprovero mi piacque, e mi accorsi di esser trattato non come un estraneo. Venne apparecchiata la colazione al- l’uso scozzese, consistente in tè , caffè, uo va fresche, cro- stini con burro, fette di bove affummicato, biscottini sotti- lissimi di gran turco, e in un piatto di crema. Fatta colazione, Fitz-Allan propose di scendere la co- sta e di meco visitare le sponde del lago; che in certi luo- ghi presenta deliziosissime vedute. Accettai l’ invito; ed escendo insieme mi disse: « mi ricordo delia promessa fattavi ierisera: parleremo passeggiando » . Io lo ringraziai della sua compiacenza, e mi disposi ad ascoltare attenta mente. « Io vi diceva (ei continuò) di non aver troppo buo - ne idee sulla religione, e che il venerando Sig. Pownal si adoprava a rettificarle. Il suo metodo era semplicissimo . Mi faceva leggere il vangelo, e si fermava specialmente su 1 punti morali. Io mi rammento ancora quanto mi commo- vessero le parabole del figliol prodigo e del samaritano, — Non trovate voi ( mi diceva un giorno ) che i precetti evangelici contentino la vostra ragione, e sieno tanto con- formi alla natura dell’uomo, che sembrano essere tante reminiscenze piuttosto che insegnamenti? Questo è un ca- rattere sacro che le suggella , e che le farà vivere eterna- mente. Riflettete inoltre che il sentimento religioso è ciò che distingue l’uomo dalle altre creature, delle quali lo n5 sguardo non si affissa mai nel cielo, e che rimangono at- taccate alla terra. Questo sublime pensiero della Divinità è l’anima e la vita delle umane società. Egli è l’astro morale che ci riscalda e c’illumina. Se si spengesse, i no- stri cuori diverrebbero di gelo, e i nostri intelletti si tro- verebbero immersi in profonde tenebre ». « Con discorsi di tal fatta il nostro ministro mi con- duceva insensibilmente verso un nuovo ordine di cose; e costringendomi a meditare, m’ispirava sensi di ordine e di giustizia. Mi somministrava eziandio de’libri ne’quali il di- letto non era disgiunto dagl’insegnamenti. Le mie ore d’ozio erano dedicate alla lettura degl’istorici, dei poeti, de’ mo- ralisti. La mia indole diveniva appoco appoco più dolce: e mi animava ne’ miei studi novelli un altro efficace moti- vo: desiderava rendermi degno della mia cara Hannah » . « Avendo io cangiato manifestamente di condotta, mi vennero usati non pochi benigni riguardi. Era conces- so a mia madre di venire spesso a vedermi: mi parlava della giovine Patterson ; e a lei parlava di me. Hannah veniva ogni domenica ad assistere alle preci nella cappella della prigione. Io non le poteva parlare; ma aveva la consola- zione di vederla; e qualche volta ancora m’ incontrai coi miei occhi ne’suoi. Una sola occhiata mi dava coraggio per un'intera settimana». « Così passava i giorni in una alternativa di lavoro e di ozio proficuo. A misura che la mia mente s’ illuminava si calmavano le mie passioni , le quali fino allora mi ave- vano tormentato. Il bello e l’onesto faceva in me una dol- ce impressione; conosceva ‘meglio lo scopo della vita uma- na; cominciava a dare un prezzo alla mia propria stima; e mi stava a cuore l'adempimento de’miei doveri». « Erano già trascorsi diciotto mesi della mia prigionia quando un caso straordinario ne abbreviò la durata. In una notte oscurissima del mese di novembre, asciutta e freddissima, verso le due ore di mattina, fui scosso dal 56 sonno quasi da uninsolito movimento , come se la prigio- ne fosse il teatro di qualche straordinario avvenimento . Pensava fra me quale potesse essere la causa della mia agitazione, quando un vortice di fumo spinto dal vento ravvolgendosi sotto la mia finestra, riempì tutta la mia camera. La casa era incendiata. Volli uscire: ma la porta della mia camera era chiusa; e pensai che nell’ universale scompiglio niuno si fosse presa cura di me. Conobbi che le grida che avessi fatte si sarebbero perdute nel tumulto; e mi armai di coraggio. Una robusta leva di cui faceva uso ne’ miei lavori mi servì per percuotere con replicati colpi la porta. Vi volle la forza poco comune di cui fui dotato dal- la natura per far crollare i saldi cardini di quella maladet- ta porta, e per aprirmi il passo. Armato della mia leva corro precipitosamente nel corridore; e sul momento di scender la scala sentii ferirmi l’ orecchie da un grido di disperazione; ed era un povero vecchio dimenticato in una celletta vicina. Sebbene il pericolo fosse sempre più im- minente, non potei resistere al desiderio di salvare quel- lo sventurato. Gettai a terra la porta della sua stanza, e allosplendore delle fiamme che si alzavano in vortici sotto la sua finestra, lo vidi appoggiato sul suo letto, e quasi soffogato dal fumo. Gli dissi di seguirmi: ma o per terro- re, o per debolezza, non si mosse. Io lo prendo sulle spal- le, e m’inoltro verso la scala. Scendo rapidamente in mez- zo al fumo e alle fiamme che mi obbligavano a tener quasi sempre chiusi gli occhi. Giunto suila porta, una trave tut- ta infuocata cade dietro a me con uno spaventevole fra- casso. Credevano tutti che io fossi perito: ma quando mi veddero comparire, alzarono tutti unanimi grida di gioia e di applauso. Trovavasi fra gli spettatori il sig. Patterson, che era accorso al pericolo: « Enrico, (mi disse) avete fat- ta una buona azione; e Iddio vi ricompenserà ». « L'incendio si faceva ognor più violento, e per giun- ta di sventura erano gelate le acque di tutte le conserve . 77 Fu presa adunque la risoluzione di tagliare le comunica- zioni che eranvi fra la parte che era in preda alle fiamme, e il rimanente dell’edifizio. Io presi un’ascia, e mi posi nel numero di coloro che tavoravano. Ne’gran pericoli è cosa naturale che ciascuno prenda quel posto che veramente gli conviene ; e con un assenso tacito ma unanime venne a me affidato il dirigere le necessarie operazioni. Io adem- pii con zelo all’ impegno addossatomi; raddoppiammo i nostri sforzi, e riuscimmo a salvare la parte principale dell’edifizio. Io era spossato dalla fatica, ed aveva la mano destra molto abbruciata . Rimesso tutto in ordine entrai nella gran sala ove eransi adunati gl’ispettori della casa, i primi magistrati della città , e lo stesso governatore Clin- ton. Quest’ uomo venerabile si volse a me con affettuose parole, e mi disse: —« É a me noto il modo col quale vi siete condotto in questa prigione. L’opera d’umanità che avete fatta, i servigi che avete resi in questa deplorabile circostanza , giustificheranno l’uso della facoltà che eser- citerò in vostro favore. Da questo istante siete libero ».— Applaudirono tutti quei che eran presenti a quest’atto di clemenza; e il sig. Patterson , stringendomi la mano mi disse:-— Andate a veder vostra madre; essa è in casa mia che vi aspetta » —. « Non saprei dire nè il giubbilo del mio cuore, nè il contento della mia buona madre quando ella mi strinse al seno. Essa aveva saputo tutto. Hannah era in sua com- pagnia, e mi parve di scorgere sopra il suo angelico viso le tracce di una segreta emozione. Accortasi mia madre che aveva una mano ferita, corse a cercare un balsamo che sapeva essere di efficace virtù. Intanto Hannah volle esaminare la mia ferita; abbassò la testa; ed io sentii ca- dere una lacrima sulla mia mano. Oh potere indefinibile d'un amor virtuoso! Chi potrebbe mai descrivere le tue de- lizie! L'anime nostre s'intesero : i nostri cuori si legarono in quell’istante da non isciogliersi che per morte. Non 78 vi è lingua d’uomo che vaglia ad esprimere un tale staio ». « Gara Hannah! (esclamai) quanto sono felice veden- dovi, parlandovi, e respirando l’aria istessa che voi respi- ‘rate!'—Essa alzò la testa, e con vece commossa mi disse: —Voi soffrite — « No (risposi io) vicino a voi non si soffre; siete un angelo di bontà che tien lontano il dolore. Non saprei dire quale involontario movimento ci sospin- gesse: ma le nostre labbra si toccarono, e il cielo rice- vette il nostro giuramento d’amore». « Non voglio stancarvi con oziose particolarità.Gol mio lavoro aveva guadagnata una somma ragguardevole , che mi fu puntualmente consegnata. Mi ritirai con mia madre in una casa di Greenwich-Street, dove aprii una vasta of- ficina di falegname, che diressi con molto buon esito. Ave- va molti lavoranti, e non mancavami layoro. Viveva de- corosamente , ed era molto considerato nella città. Mia ma- dre, buona massaia, regolava le spese domestiche. Il sig. Patterson veniva di tanto in tanto a vedermi ed io anda- va da lui. Tra Hannah e me ce la intendevamo a mera- viglia; e non era molto lontana la speranza della mia fe- licità ». « Stando così le cose, si manifestò alla Nuova York la febbre gialla , la quale fece grandissima strage e pose tutti in costernazione; e per quanto si spopolasse la città , pure cresceva ogni giorno il numero delle vittime. Ogni casa ove compariva la malattia , tosto rimaneva abbando- nata ; era rotto ogni vincolo di sangue; i figli lasciavano i loro genitori, le mogli i loro mariti, e. talora anco i loro figli; de’ vecchi nissun prendeva cura: il sentimento del pericolo soffogava ogni domestico affetto, ed esibiva l'idea di una completa dissoluzione della società. Solo alcuni medici animosi, alcuni venerabili ministri del vangelo, sfidavano l'imminente pericolo, e porgevano qualche con- forto agli appestati». Ar A—_— rr Crepe Gee von iii I e DI 79 « Il sig. Patterson ed Hannah furono dei primi ad es- sere assaliti dal contagio. I loro servi fuggirono tutti, e re- starono soli. Mia madre ed io accorremmo presso loro, pre- stando una continua assistenza , io al sig. Patterson, mia madre alla figlia di lui. Era morto il Dott. Brown, e que- sta trista nuova aggravò la malattia del suo a mico. Com- parvero su tutto il di lui corpo de’sintomi spavente voli, ed in una notte la di lui pelle diventò gialla come il croco, e i di lui occhi cominciavano ad abbacinarsi. Immaginate- vi la mia disperazione, la quale io era costretto a reprime- re e non far palese. Una sete ardente inestinguibile da qualunque bevanda, una completa prostrazione di forze annunziavano un termine cui io non poteva pensare. Il sig. Patterson, che rassegnatissimo vedeva approssimarsi il momento fatale, — mio caro figlio (mi disse) voi spera- te invano sulla mia salute, ed esponete inutilmente la vo- stra vita per conservare la mia. Fuggite questa terra, se- gno alla collera celeste. Già, mia figlia è morta, e null’al- tro mi affeziona al mondo che la mia amicizia per voi. Vi- vete e siate felice » . — Vostra figlia vive; (gli replicai) mia madre V’assi- ste, e guarantisce i suoi giorni ». — Il sacrifizio è grande, ma bisogna che si compia; sia fatta la volontà d’ Iddio! Mio caro amico, mio figlio, vi raccomando la mia cara Hannah: siate il suo protettore». « Procurai di riscaldar colle mie le sue mani gelate; e lo confortava a sperar tuttavia, quando le sue membra furono soprapprese da un moto convulsivo ! La morte lo aveva già fatto sua preda! Per quanto io fossi immerso nel dolore, non abbandonaii sacri avanzi del mio benefattore. Non volli che fossero posti nel fatal carro, che due volte il giorno scorreva per le vie della Nuova-York, e che tor-" nayva al cimiterio comune, ove i cadaveri erano indistin- tamente gettati in ampie fosse. Da me stesso collocai nel fe- 80 retro la spoglia mortale dell’uomo giusto e benefico, da cui riconosceva l’onore e la vita. La bagnai colle mie lacrime, e la portai al cimiterio dell’ Est, ove la deposi nell’ultimo suo soggiorno di riposo. Ne contrassegnai il luogo, e di poi vi feci erigere un funebre monumento circondato d’alberi e di fiori». « Permettetemiche io ponga termine a questo dolorosa racconto. Indovinerete facilmente ciò che avvenisse dopo questa grande sventura. Mercè l’assistenza di mia madre Hannah si ristabili in salute. Ebbe la notizia della perdi- ta fatta dopo d’aver recuperate le forze necessarie per sop- portarla. Allora risolvemmo di non mai più separarci ; e dopo il conveniente intervallo di tempo fu celebrato il no- stro matrimonio dal rispettabile nostro amico il sig. Pow- nal. Eraci divenuto penoso il soggiorno della città . Com- prai queste terre, ove meniamo giorni felici, e dove la salubrità dell’aria ci assicura da quel contagio , la cui sola memoria ci fa tuttora fremere d’orrore, e che temiamo so- prattutto pei nostri figli » . Resi grazie a Fitz-Allan della sua compiacenza, e mi congratulai seco per avere egli trovato la calma e la felici- tà dopo tante traversie. «Voi non pensate più (io gli dis- si) alla vostra Irlanda? —« Ci penso ancora, (ei mi sog- giunse), ma per compiangerla delle turbolenze che la tra- vagliano, e dell’intolleranza, che priva dei suoi legittimi diritti una parte considerevole della sua generosa popola- zione. Questa, è la terra della vera libertà ; questa è la pa- tria comune degli sventurati; delle vittime della tirannia; nè io l’abbandonerò mai più ». Q. TA Ca î ' | SI La Grèce ec. La Grecia, ossia descrizione topografica della Livadia, Morea, ed Arcipelago; di G. B. Dep- PING. (Conclusione, Vedi Ant. vol. XII. p. 82 A.) Quando sì rivolge alla Grecia il pensiero, tutte le ricordanze sì fissan tosto sulla famosa città di Minerva, di cui risuona tuttora perenne la fama tra noi per le antiche qualità sociali, delle quali fece ne’ vecchi tempi sì larga mostra. Quindi da essa e dal di lei territorio incomincia l’autore la topografica descrizion della Grecia. Ma quanto diverso ne è l’aspetto presente ! Non resta all’ Attica che un ciel sereno, un clima puro, un terreno atto in vero alla produzione, ma nudo e mal coltivato. Le pecore e capre pascolano nell’aspra stagione i verdi prati: poco miele, alquante olive e viti producon solo un parco sosten- tamento alla scarsa popolazione, succeduta a quella de’ frequenti suoi borghi. Il monte Imetto non ha più bo- schetti ombrosi, il di lui miele non è più sì buono nè ri- nomato. La seta e l’orzo sono in quantità non molto con- siderabile; tutto è degnerato, per colpa della natura non già, ma degli uomini. Un convento, una dogana , alcuni magazzini com- pongono al dì d’oggi il Pirèo; una pianura ed alcune col- line lo separano dalla città , e si trovan solo nelle di iui vicinanze le vestigie di un necropolio, o luogo antico de’ sepolcri. ; Atene è circondata da una rozza muraglia , la quale più non corrisponde alla situazione dell’ antica, trovan- dosi quasi tutti fuori di essa i più considerabili avanzi dei vecchi monumenti. Così la cittadella di Acropoli, già centro della città, è oggi fuori della medesima. Nel 1821 i turchi bruciarono le chiese greche, e quasi una quarta parte delle case : disgrazia spesso ripetuta, la quale unita all’ indolenza de’turchi, ha quasi distrutta quella rinoma- T. XIII. Gennaio 6 82 ta città. Atene non può sperare di risorgere dal suo squal- lore , che coll’ indipendenza della Grecia. I principali luoghi della moderna città sono: il bazar, o mercato ; la così detta lanterna di Demostene; e la lan- terna di Diogene. Le chiese e le case, piccole e meschine; l’ ospedale, povero; la scarsezza degli alberghi, sono mo- numenti dell’ oppressione dei latini dei tempi di mezzo, che portarono il titolo di duchi di Atene senza neppure sapere il greco , e dei turchi lor successori. Ma fuori delle mura , e particolarmente nell’ Acropoli , esistono le gran- di memorie de’tempi di Pericle e di Platone. Si distingue fra tutti gli avanzi degli antichi edifizi di quel secolo aureo, il Partenone, i più bei residui del quale , cioè i bassi rilievi del frontone, sono stati trasportati in In- ghilterra dal Lord Elgin ambasciadore a Costantinopoli, e sono ora uno de’ più belli ornamenti del museo britan- nico. « Qual sarà il dolore dei greci, esclama il nostro autore, quando occupandosi nel formare la Capitale del nuovo loro stato in Atene, mireranno spogliate di quanto serbavano di più prezioso le rovine venerande del loro an- tico splendore, delle quali la perdita non è riparabile! Di- ce Lord Byron, che i greci moderni non hanno mai sen- tito così al vivo il giogo dei lor tiranni, quanto nel ve- dersi tanto deboli da non poter impedire ad un oscuro scozzese di togliere ciò che era stato risparmiato dai goti, dai turchi e dal tempo (1). Nulla dimeno rammentandoci noi, che nell’ assedio dei veneziani una porzione del Par- tenone fu distrutta dall’ esplosione di un magazzino di polvere, e che nell’ assedio novello della cittadella nel 1822 queste reliquie correvano pericolo di esser distrutte, fa d’ uopo di esser soddisfatti , che i bassi rilievi del Par- tenone, sicuri dalla mano devastatrice della guerra, ispirino (1) Childe Harolds Pilgrimage c. 2. st. 12-13. 83 il genio degli artisti in mezzo all'Europa incivilita, e che le lor copie fedeli comunichino l’ ispirazione medesima a tutti i popoli cultori delle arti belle ». Il popolo moderno di Atene era in credito di mise- rabile ed ignorante; ma qualche anno prima della solle- vazione de’ greci era stata fondata in quella città una so- cietà , la quale aveva per scopo di diffondere l'istruzione, e rinvigorire lo spirito nazionale: erasi quindi eretta una cattedra di letteratura greca classica , nella quale spiega- vasi Omero. Un simulacro di magistratura nazionale vi esisteva ancora sotto il governo turco, poichè i capi di famiglia eleggevano ogni anno quattro arconti, che in- vigilavano alla difesa degli interessi della città presso il governo. Costoro riuscivano talvolta a far richiamare un vaivoda che la opprimeva, talvolta servivano di freno ad un altro: impedivano spesso la publicità dei delit- ti, spesso facevano moderare le gravi multe. Due procu- ratori dipendenti da essi difendevano i nazionali avanti le autorità turche, ed ogni quartiere aveva il proprio ispettore, eletto dai cittadini per lo scompartimento delle imposizioni. Ma il dispotismo de’ turchi prendendosi a scherno qualunque sociale garanzia, non lasciava forse sus- sister queste, che per facilitare l’azione del governo sopra i popoli infelici. Descritta la capitale dell’Attica percorre il sig. Dep- ping le di lei campagne. Dolce è alle orecchie avvezze alla lettura dei classici il suono de’ nomi topografici, che qui- vi si incontrano: il fiume Ilisso, i monti Imetto e Pente- lico, la pianura di Maratona , il porto di Rampusio, il ‘capo Sunio a dispetto degli anni e della barbarie, rammen- tano ancora le gesta e i civili costumi della repubblica , cui diede Solone le leggi, Miliziade e Temistocle la vit- toria , Pericle le belle arti, Socrate e Platone la filosofia. Si scorge ancor la traccia della via che da Atene conduce- va ad Eleusi, e in questa città alcuni viaggiatori inglesi 84 hanno riconosciuti i vestigi del tempio di Cerere. Passan- do per Colone sì noto per i versi di Sofocle, s’ entra nella Beozia ingombra di monti , fra’quali, è il Citerone , che dall’ Attica la separa , il Parnasso e l’Elicone, che ai con- fini occidentali s'innalzano. In questa provincia è il lago Copaide, ora detto Topoglias , il quale si accresce ogni giorno, ed inghiottirebbe le circostanti campagne, se una voragine, detta Katabation, situata all’estremità del lago a piè di molte colline calcaree, non ne ricevesse le acque superflue. « Questa voragine , dice l’ autore, passa proba- bilmente sotto le colline ; almeno le acque sgorgano in abbondanza dall’altro lato di esse, e formano un fiume, il quale poco di là distante passando fra alcune piantagioni, si getta nel mare. Gli abitanti del paese lo nomano Lar- mi, e potrebbe esser considerato come l’ imboccatura del Cefiso, il quale, attraversato il lago abbia avuto un sot- terraneo corso -di una lega in circa ». E poco di poi soggiun- ge. « Illago Copaide circondato da rupi e da colline mezzo coltivate , dietro le quali sorgono con tinte differenti dal lato di occidente le montagne della Focide, presenta un colpo d’ occhio assai grato, e un punto di vista de’ più ri- denti della Beozia. Le canne ne ricuoprono nell’ estate la superficie : il fiume d’Ercinia vi giunge cadendo d’una in un’altra rupe e coprendo di spuma i macigni, i quali pre- cipitati nel di lui letto , ne arrestano il corso » . « Il monte Elicone non ha l’aspetto ridente nè poeti- co: il bosco delle muse è solitario: l’Ippocrene è ignoto: il Permesso porta le sue acque al lago Copaide, ma non is- pira più verun Pindaro o Esiodo moderno. Tebe final- mente , la florida capitale, il centro delle città federate della Beozia, non è più che una piccola terrà circoscrit- ta nell’antico Cadmeion o cittadella » . Lungo le spiaggie della Beozia e dell’ Attica trovasi Y isola di Negroponte , già Eubea, separatane dal canale o stretto dell’ Euripo , e così vicina al continente , che vi 85 sì passa sopra un ponte di tre archi. L' irregolarità del flusso e riflusso di quell’ angusto braccio di mare non è più per i moderni un prodigio, come lo fu per gli antichi geografi : la luna ne è la causa , come di quello di tutti i mari , con qualche variazione nelle quadrature; in cui la corrente cambia direzione più di dieci volte in un giorno, come si osserva dal vario girar delle rote di alcuni molini, che sotto il ponte son situati. La città di Calcide posta al- la testa del ponte medesimo , vien oggi perciò detta Ne- groponte , e conserva memoria del dominio che vi eb- bero i veneziani; poichè sopra la principal porta esiste tuttora il leone di s. Marco, sebbene da gran tempo abbia perduti gli artigli. Di Eretria si veggono ancor le ruine. La descrizione che dà il nostro autore della Tessa- glia , merita di essere qui riferita. « In alcune contrade della terra la natura somministra agli animi una fermez- za indelebile contro tutte le vicende della fortuna: nei paesi montuosi e inaffiati da acque salubri, e abbondanti del necessario, mostrano particolarmente gli uomini una energia, la qual fa che soffrano impazienti il giogo , ed . amino con passione la libertà e la patria terra. Limiti na- turali dividono i Tessali dal rimanente della Grecia: il mare bagna il lato orientale : l' Olimpo chiude il paese al settentrione, la catena del Pindo all’ occidente, 1’ Oeta al mezzogiorno. Oltre a ciò, ed alle ramificazioni di que- ste montagne, coperte di pascoli verso l’ interno , e sepa- rate da graziose valli, essa ha ancora i monti Pelion ed Ossa , ripari, come ognun vede, affatto poetici. Il Peneo discendendo dal Pindo, s’ apre un cammino per l’interno del paese, e riceve molti piccoli fiumi, alcuni de’ quali formano qualche cascata ; quindi passando per la gola, dove finisce la valle deliziosa di Tempe (la qual gola do- veva nella più rimota antichità esser chiusa e servir di riparo a un immenso lago ), si getta nel golfo Termaico. Su questo bacino immenso, chiuso fra i monti ed il mare, 86 vibra il sole i suoi raggi ardenti, e il calore vi sarebbe insopportabile senza le catene di montagne , le quali ren- dendo il terreno ineguale, danno origine a numerose sor- genti di fresche acque, e sostengono ombrose selve ,,. « Mentre le pianure e le valli, dal Peneo e da’ suoi influenti bagnate, son ricoperte di belle raccolte ; pian- tagioni di olivi, di mori, di noci circondati da pampini , di alberi fruttiferi, di cotone , di tabacco, di fiori odoro- si, di cipressi e di maestosi platani ne fanno la situazione vie più pittoresca. Sul pendio dei monti cresce buon legna- me da costruzione , vivono animali selvatici , e pascolano greggie vallacche , le quali discendono regolarmente l’au- tunno al cader delle nevi dal Pindo, per godere nelle re- gioni inferiori della Tessaglia di un'erba saporita, e di una temperatura più dolce di quella dell’ Albania ,, . Le rinomate Termopile sono al mezzogiorno della Tessaglia, e sulla sola via, che per il monte Oeta condu- ce nella Focide. Dal tempo di Leonida in poi questo luo- go è stato sempre importante per la difesa della Grecia ; ma la descrizione datane dagli autori antichi non è ap- plicabile allo stato presente di esso. Esiste l’angustia del passo , le sorgenti termali scaturiscono ancora dalle gole della montagna; ma di sei fiumi non ne restano che tre, e sulla costa sonosi formate alcune paludi. Ciò non ostan- te le rupi scoscese del monte Oeta coronate di alberi, e solcate da ruscelli argenteirendono il luogo assai pittoresco. Nella tec di della Tessaglia trovasi dal nostro autore descritta la Magnesia, quindi le isole di Skiatos e Scopelos situate presso quella penisola, e la città di La- rissa, tuttora capitale della provincia, popolata ancora da 20 mila abitanti. Tricala , situata sul Pindo verso la sor- gente del Peneo, fu intorno la metà del decorso secolo città più considerabile di Larissa, ma l’ aria cattiva l’ ha ora ridotta a non contare che 7,000 abitanti. La valle di Tempe cotanto dagli antichi encomiata, non è che un luogo delizioso , di cui però se ne trovano molti altri assai più belli nel resto dell’ Europa , e altrove . Dalla Tessaglia sono i lettori condotti nella Focide, dove è Castri, cioè l’ antica Delfo, ridotta ora ad un cen- tinaio di case di gente povera ed oscura : nelle di lei vi- cinanze si cercano indarno gli avanzi del tempio di Apol- lo , e delle ricchezze una volta causa di guerre fanatiche e ippocrite. Ma esiste ancora la fonte di Castalia con la sua acqua limpida e grata, e il monte Parnasso con la sua doppia cima. Questo monte ha pure cangiato il nome, € Lyakoura si appella. « Se paragonasi alle grandi catene del globo , è il Parnasso una montagna di terz’ ordine; la neve vi rimane per quattro mesi dell’ anno, e vi crescono piante subalpine. Nulladimeno dalle di lui sommità l’oc- chio abbraccia un immenso orizzonte, il quale sì estende da un lato fino a oltre 1’ Eubea, e dall’ altro fino al golfo di Corinto e ai monti del Peloponneso ; e la Focide tutta con i suoi poveri villaggi è sotto i piedi dell’osservatore ». L’Etolia solitaria e selvaggia , bagnata dai fiumi Acheloo ed Eveno, montuosa verso il settentrione , ab- bondante di valli e pianure verso il mare, ci offre la città di Missolonghi sulla spiaggia e presso una laguna. Misso- longhi ha circa 800 case, alcune chiese greche, ed una moschea : fa con l’ Italia qualche commercio di pesce sa- lato, riso, olio e cotone. L’Acarnania deserta è un asilo di ladri feroci , che vi discendono dal monte Olimpo, una volta stanza degli Dei; è la dimora di bestie selvaggie, le quali errano nelle numerose foreste: pochi villaggi, niuna florida citta, qualche monastero , porti abbandonati di- mostrano il decadimento di questa provincia , la cui po- polazione ridotta ad 3,000 abitanti, è forse appena la tren- tesima parte di quella che conteneva una volta . Presso la di lei costa è la maggior parte delle isole Joniche, cioè S. Maura , S. Nicolò, Paxos, Itaca e Cefalonia. L’ antico Epiro o Bassa Albania, paese montuoso ma 88 fertile , conserva una bellicosa popolazione, nella quale sono compresi gli abitanti di Parga e di Souli , gl’ infor- tuni e il disperato coraggio de’ quali hanno riempiute le pagine dell’istoria di questo secolo. Il nostro autore narra gli avvenimenti di Souli con tanto interesse, che non sa- rà discaro a’ nostri lettori 1’ udirli d dalle sue espressioni medesime. | Il territorio di Souli ( forse l'antica Selleide ) è composto di pià villaggi situati fra rupi, e circondati da campi, pascoli e piantagioni. Un fiume, che sembra es- sere l’ Acheronte degli antichi e sbocca in mare presso Parga , inaffia questo montuoso territorio più ‘vicino al mare, che Jannina capitale dell'Epiro, ed alcune leghe lon- tano dal lido. La popolazione di Souli tuttochè più nume- rosa che quella di Parga, pur altra difesa che le monta- gne e il coraggio non poteva opporre alle forze di Alì Bassà , il quale, per soggiogarla , sul fine dell’ ultimo se- colo , l’assali con un esercito di 12 mila uomini. Quan- tunque sia molto difficil cosa, che una popolazione situata quasi nel centro di uno stato e fra terra , possa efficace- mente resistere ad un agguerrito esercito; pure 1500 sou- liotti fecero contro le truppe di Alì la Hicobila guerra così bene, che le costrinsero alla ritirata dopo considerabili perdite. Essendo state loro offerte capitolazioni onorevoli, sia perchè conoscessero la perfidia di quel satrapa, sia perchè fossero troppo irritati contro il despota devastato- re dei loro campi e distruttore dei loro villaggi, le ricu- sarono. I guerrieri souliotti, fatte partire le famiglie spa- ventate dalla mancanza de’ viveri e prive di sufficiente coraggio per correr la sorte dei loro compatriotti, veden- dosi circondati dalle truppe nemiche , decisero di difen- dere la loro indipendenza fino agli estremi » . « Alcuni favorevoli eventi parve che presagissero la loro liberazione. Certi capi albanesi malcontenti di Ali si collegarono con essi , e varie provviste rianimarono le loro 39 forze languenti ; ma a lungo andare furono consumati i viveri, la lega non fu durevole, ed i souliotti sprovveduti fino degli alimenti più necessari, abbandonati alla lor sorte, perderono il coraggio. Le truppe di Alì penetrarono nel paese , e presero ad uno ad uno tutti i posti. Parte degli abitanti fuggì, parte si rese a’ nemici; ma i più ‘bravi guidati da un loro prete detto Samuele si trinciera- rono nell’ ultima loro fortezza situata sopra una rupe. ‘Quivi sostennero per più giorni gli assalti dei musulmani; Ina quando ogni speranza. tati salvezza fu perduta, Samuele appiccaudo il fuoco alla polvere , saltò in aria con una porzione degli assalitori ; e quei che rimasero della guar- ‘nigione andarono a spargere e trovar la morte nelle file nemiche » . Alì accompagnò con stragi e supplizi orribili la sua poco lieta vittoria sopra Souli: la popolazione pareva esterminata nel 1802, e quella piccola repubblica per sempre estinta. Nulladimeno appena la sollevazione del 1820 ebbe fatto correre alle armi i greci dell’ Albania, i souliotti, non sbigottiti punto dagl’ infortuni dalla lor nazione sofferti , ricomparvero in campo, combatterono contro il tiranno fino alla di lui morte ; e con pari intre- pidezza la lor libertà difesero contro il di lui successore . Popolazione infelice, condannata dalla sorte a versar ‘ognora il sangue de' figli suoi per mantenere la propria indipendenza , e a non gustar mai quel riposo , di cui go- dono talvolta le grandi nazioni, nè i vantaggi ne apprez- zano! » Passa quindi il nostro autore a descrivere il Pelopon- ‘neso , detto oggidi Morea, o per le piantagioni abbon- "danti di mori, o per l’ epiteto oraia ( bella ). Questa pe- ‘nisola è del pari scaduta dall’ antico splendore . Sebbene ‘vi sì raccolga ottimi greni di più specie, il pane è cattivo, l’a- ‘ gricoltura punto avanzata : vi sono però molti alberi frut- tiferi, ed ovili in gran quautità. L’uva di Corinto, che non 90 serve a fare il vino, ma secca si esporta, è forse il prodotto più utile della penisola. Più dell’ agricoltura non prospe- rano le manifatture; ma se si riflette alle oppressioni sof- ferte da questo bel paese per più di mille anni, il di lei stato attuale non deve recar meraviglia. Il dominio roma- no distrusse le repubbliche dell'antichità: il governo inettio del basso impero; le incursioni dei barbari ; l'occupazione dei latini nel secolo decimoterzo ; le devastazioni dei tur- chi; le loro guerre coi veneziani, hanno cambiato in tristo il lieto stato di esso. « La sollevazione promossa dai russi nel 1770 (così l’autore), allorquando vennero a sbarcare in Morea per fare una diversione nella guerra sostenuta da essi contro i turchi sulle spiagge del Mar Nero, fu causa di novelle disgrazie per gl’infelici moraiti. Gli albanesi insieme coi turchi devastarono il paese, e condussero schiavi moltissi- mi abitanti. Dicesi , che si deliberò nel Divano, se tutti i cristiani della Morea dovessero esser distrutti, e soltanto ne distolse quel consiglio il riflettere, che nella strage generale la Porta Ottomana avrebbe perduto, il karatch (il tributo). Gli albanesi si condussero così crudelmente, , che fu d’uopo ai turchi di ridurli alla tranquillità con la forza. Il bravo Lambro tebano, il quale aveva avuto il coraggio di tenere il mare contro la flotta turca, fu co- stretto ad errar proscritto di paese in paese. Diminuita la popolazione , ed accresciutasi la miseria , fu nulladimeno nel 1780 fissato il karatch per tutta la Morea, eccetto il. Maina, a 56,670 biglietti da 3 ad 11 piastre l’ uno, il che faceva una somma maggiore di 190,000 piastre: somma che non dispensava dal pagar la decima, le dogane, le imposizioni sul vino, ed i canoni annessi alle antiche terre feudali. Era di più necessario di mantenere un clero, che. costava più di un millione di piastre all’anno, ed essendo ripartito in otto metropoli e venti vescovati , era compo-- sto di più di due mila individui ». QI « Ma il peggio fu, che i moraiti furono governati ‘con quel disprezzo, che a lungo andare genera l’ indigna- zione nel popolo più istupidito. Nel 1821 tutta la Morea sollevossi, e gli 8,000 giannizzeri, guarnigione del paese, essendosi gettati nei pochi luoghi fortificati e capacì di far resistenza , vi si difesero con varia fortuna. Nell’ estate del 1822 i turchi fecero uno sbarco a Patrasso per ricon- quistar la penisola ; ma il loro esercito fu rispinto presso Argo. Tuttavolta conservarono alcuni punti fortificati, e posti importanti della Morea; ciscostanza, la quale conti- nuando ancora a sussistere, non lascia prevedere con cer- tezza , se la penisola potrà liberarsi definitivamente dal giogo dei musulmani ». (*) L’istmo di Corinto è diventato di nuovo importante, perchè quivi nel 1822 fu posto dai greci sollevati il seggio provisorio del loro governo; cambiamento fortunato per la città sopra di esso situata , la quale era ridotta ad un villaggio chiamato Cortho. Simile è il destino di Sicione, oggi ignobile borgo , e di molte antiche illustri città del Peloponneso. Napoli di Romania medesimo (già Nauplia), metropoli della Morea sotto i veneziani, porto importante per il commercio, spesso dalla peste spopolato non è molto prospero, nè altro ha di notabile che la cittadella, la quale conserva ancora l’ eroico nome di Palamede , e le rovine di Tirinto nelle sue vicinanze. Argo, capo luogo di un picciol distretto di 12 villaggi, è popolato appena da 8 o 10 mila Schypetar, ma tutta l’Argolide è di poca impor- tanza. Nell’ Acaia, provincia povera e sterile, un miglio lungi dal mare è la città di Patrasso; ma questa chiave del golfo di Corinto, questo scalo del levante non conta - che 16 mila abitanti, ha le strade sudicie e strette, ha (*) Dal momento in cui l’ autore scriveva, i greci si sono impadroniti di tutti i posti occupati dai turchi, meno la fortez- za di Patrasso. F.:G 92 le chiese, le moschee e le case assai piccole e meschine. L’ Arcadia, centro della penisola e alto ripiano della mex desima, dalle di cui montagne scorrono l’ Alfeo , 1’ Inaco, e l’ Eurota a bagnare le cicostanti provincie marittime’, con un clima fresco e puro, con buoni pascoli, con terreno atto all’ agricoltura, è più popolata : trecento villaggi in quattro cantoni sono soggetti a Tripolizza, residenza del Bassà di tutta la Morea fino al 1827 , città sorta dalle ro- vine di Mantinea e di Tegea. Sul monte Cotylo vicino a Paulizza veggonsi gli avanzi del tempio inalzato ad Apol- lo Salvatore dopo la famosa peste descritta da Tucidide, di cui fu architetto quel Iotino medesimo che eretto avea il Partenone. Nel cantone di Calavrita in mezzo ad una rupe altissima, presso una gran caverna , sta quasi sepol- to il monastero di Megaspetion fortificato per difendersi da’ ladri, come se fosse fra nemici; i monaci del quale ricevono i viaggiatori, armati di pugnali sotto le loro ample tonache. L’Elide non conserva più nè la famosa Olimpia, nè il tempio di Giove; qualche ruina presso un villaggio chiamato Miraka sulle sponde dell’ Alfeo fa congetturare il luogo, dove quella illustre città una volta sorgeva, sen- za dimostrar però la di lei magnificenza. La sola città di Pyrgos presso il fiume medesimo è abitata da 7 mila greci, i quali meno vessati dai turchi che gli altri abitan- ti del Peloponneso, coltivano più tranquillamente le viti ne’ loro campi. Sulle coste dell’ Elide trovasi l’ isola del Zante , altre volte Zacinto , in cui da una palude cavasi un bitume noto ancora agli antichi. La Messenia, bagnata in gran parte dal mare Tonio e dal golfo di Corone, è una delle più popolose provincie. della Grecia , comprendendosi in essa da 350 villaggi e più città, come Androussa sulla dritta del Pamiso; Cala- mata all’ imboccatura del fiume stesso , dove si lavorano veli ricercati in commercio; Corone sul golfo a cui dà il 93 nome ; Modone che è l’ antica Metone; Navarino fabbri- cata alla foggia orientale, presso cui era la reggia di Ne- store, ora borgo col nome stesso di Pilo; ed altre di mi- nore importanza. ) L'ultima provincia del Peloponneso, la più meridio- nale del continente greco, anzi europeo, è la Laconia, patria già de’ famosi spartani , bagnata dall’ Eurota , det- to ora Bassili-potamos , 0 fiume reale, il quale si getta nel golfo di Kolochina. Morembasia detta in Italia Na po- li di Malvasia, e Mistrà, sono le sue città principali. Mis- trà viene creduta da molti l’ antica Sparta; ma di questa celebre città non rimane neppur l’ orma ; almeno il dis- potismo turco non può insultare la città di Licurgo. Ma qualche costume dei lacedemoni, cioè la dura lor manie- ra di vivere, lo spirito d’ indipendenza, e 1’ impunità del | furto, trovasi ancora tra i mainotti abitanti della Maina, distretto di questa provincia all’ occidente del golfo di Kolochina. Questo: popolo soggetto a vari capi, i quali vi- vono in luoghi fortificati a guisa di torri, è barbaro, ma bravo ed audace, si esercita alle armi fin dall'infanzia, non escluse talvolta neppur le femmine, ma è credulo e superstizioso nel culto greco, che pur professa, è furbo , astuto, avido, feroce, sobrio per necessità, e dissoluto ne’ costumi. Da più secoli i mainotti sono i più formidabili pirati, gli algerini della Grecia, rapitor de’ cristiani e de’ turchi, per vendere gli uni agli altri. Gli ottomani non giunsero giammai a soggiogarli del tutto. Dopo aver descritto il continente , passa il sig. Dep- (ping alle isole dell’ Arcipelago, ed incomincia dall’ isola d’ Idra. « Se in gran parte della Grecia , dic’egli , vedesi un popolo misero e macilento in mezzo a contrade ricche e sotto un clima salutifero , le rupi d’Idra danno spetta- colo piacevole d’ una popolazione vigorosa, la quale in un piccolo e sterile terreno si è creata nuove ricchezze con le sue imprese e speculazioni quasi uniche in Grecia. Ma 94 questa energica attività, giusto è che si osservi, essere effetto del sangue albanese, da cui essa discende. Percioc- chè i Schypetar dell’ Albania sonosi sparsi nell’ isola d’Idra come in alcuni altri distretti della Grecia. Questi co- loni, e molti altri fuggitivi del Peloponneso unitisi ad es- si dopo la spedizione dei russi in Grecia , e diventati cor- sari per necessità, sembra che abbiano rigenerata la razza degli antichi abitanti. E ciò apparisce dall’attività da essi presentemente sviluppata , e talvolta dagli esempi di du: rezza, di crudeltà, e dall’arte piratica che esercitano ». « La massa della popolazione degli idriotti preferi- sce per buona sorte di arricchire con mezzi pacifici, e di esser debitori alla sola industria della propria felicità. Nel 1816 avevano, secondo il sig. Pouqueville, 120 bastimenti, 40 de’ quali portavano da 400 fino a Goo tonnellate, e con essi frequentavano i porti del mediterraneo e dell’ Oceano fino in America. I prodotti e le mercanzie d’ Ita- lia, di Francia, degli stati Barbereschi, dell’ Egitto, sono per gl’idriotti tanti capi di traffico nelle scale del Le- vante , dove si son fatti agenti del commercio de’ grani. Il Peloponneso , e principalmente il cantone d’ Olimpia, dà il legname da costruzione per le loro navi, e moltis- simi greci del continente prestano i fondi; essi li traf- ficano vantaggiosissimamente senza aver cognizioni utili ai commercianti , e con la sola pratica anche nella navi- gazione , poichè sono uomini di mare per necessità e per educazione. Fin dall'infanzia fanno viaggi per mare, la- vorano alle manovre de’bastimenti, imparano a conoscere i paraggi che hanno a percorrere, e quantunque fanciull', hanno la lor parte negli utili. Così s’ abituano ad una rigidissima maniera di vivere, nè sentono le privazioni a cui son soggetti in età matura ; e purchè loro non ma- chi il vino, di tutt’altro si contentano. È però vero, che ne bevono molto, e vuotano in un mese le botti destinate alla lor provvisione per tutto il viaggio. Così questi ma- 95 rinai, spesso ubbriachi , sono assai intrattabili, ma pieni d’ intelligenza e di probità , e senza aver polizza di cari- co, pongono il denaro, del cui trasporto sono incaricati in sacchi numerati, che portano con fedeltà ed esattezza al destino. Siccome sono coraggiosi, così al bisogno si san di- fendere: tutti i lor bastimenti son bene armati, e dopo il 1821 hanno assalito con ardire e poste in fuga le squa- dre turche » . « Quest’ isola però ha sciaguratamente somministra - ti molti marinai ed uffiziali alle squadre turche, le quali hanno perciò potuto ancora tenere il mare e non rimaner soccombenti. Le rupi d’ Idra quasi nulla pro- ducono, nè potendo tutti gl’ isolani vivere col com- mercio, i più miserabili fra di loro andavano a pren- der servizio sulla flotta ottomana contro qualunque pa- triotico sentimento. Ma se la Grecia sarà libera, forse gli Idriotti non vorranno in altra marina servire che in quel- ‘la della lor nazione » . (*) « Gli abbellimenti dell’ isola d’ Idra sono dovuti al popolo che l’abita, poichè la natura ne è avara. Dall’At- ‘ tica vi vengono in parte i legumi, che già le isole man- davano all’ Attica medesima. Tanto è cambiata la sorte di questa provincia ! » « La città d’ Idra, residenza di un senato, ha 3 mila case e 16,000 abitanti, fra quali ve ne sono molti ricchi , che amano il vestir con brio ; ed i negozianti parlano tre o quattro lingue. Un piccol porto riceve i bastimenti: lun- go il lido veggonsi case pulitamente bianche, con le fac- ciate adorne di gallerie coperte: molti magazzini pieni di grani, ed altre derrate attestano, che gli abitanti attendo- no al commercio. Le donne, ben fatte e di graziosa figura, (*) 1 miseri greci non potevano sempre scansare un servigio al quale venivano costretti , e quando nel 1820 scoppiò la rivo- luzione, non poterono aspettare il loro congedo che dalla bra- vura dei loro compatriotti. F. G. 96 ma brune, si fanno vedere liberamente, cuoprendo col lo- ro velo soltanto la parte inferiore del volto: i fanciulli, ignudi affatto corrono sulla spiaggia, o nuotano sulla costa. Una donna, se è convinta di amorosa corrispondenza, è rinchiusa per sempre, e il sedutore punito a colpi di ba- stone, o esiliato, seppure la vendetta particolare non ri- volge contro di lui i pugnali o le pistole degli oltraggiati parenti ». « Gli sguardi degli stranieri si fissano sopra una chiesa, la cui facciata è ornata di colonne di marmo bian- co, ha un campanile incrustato pure di marmo, ed un chiostro con portici la circonda. Le pitture a tempera , le sculture in legno, le dorature del coro, i pilastri mar- morei. che lo dividono dalla nave, assicurano che gli abitanti nulla risparmiarono per decorare il luogo del culto da lor seguito col greco fervore. I papas diventati utili ed anche necessari benedicono con molta pompa le , loro navi, senza la qual cerimonia nè il capitano nè l’equi- paggio avrebbero buona fortuna ». « L’ isola non ha neppure sorgente veruna , ma sol - tanto rupi, fra le quali spuntano alcuni alberi, o crescono arboscelli. Nulladimeno vi si mangia buon pane, e buon vino vi sì beve in grazia del commercio , che l’uno e l’altro procura; poichè gl’idriotti ritornando dai lor viaggi marittimi, amano il lauto vivere, ma senza farsene un’ abitudine. Idra finalmente è in piccolo ciò che Tiro e Sidone furono in grande. Se l’isola fosse di maggior esten- sione, avrebbe potuto avere molta influenza negli affari della Grecia ; ma forse allora i turchi non avrebbero per- messo che gl’idriotti godessero tanta indipendenza, lad- dove il disprezzo di essi per quell’ isolato scoglio ha sal- vato i di lui abitauti » . Non solamente trovano i lettori in quest'opera molte notizie geologiche e topografiche delle isole Cicladi e di tutte le altre dell’ Arcipelago ; ma l’autore vi ha aggiun- 97 to ancora la descrizione del Monte .4hos, il quale forma una penisola unita per mezzo di un istmo al continente, della Macedonia; e popolata tutta da anacoreti e monaci greci. Costoro veramente misogizi hanno bandito dal loro territorio! non solo le donne, ma ancora qualunque bruto del femmineo sesso, e fanno venire le uova dall’ isola di Lenno, piuttosto che tenere in casa un. pollaio. Così se- parati dal mondo, sei mila cenobiti si occupano princi- palmente di meditazioni teologiche , e le loro regole sono tanto rispettate dai turchi, che l’ Agà medesimo non può condurre a Caryes , borgo della penisola dov'egli risiede, neppur le sue donne, privazione assai penosa per un mu- sulmano. I monasteri sono venti, divisi in quattro classi in, ragione del numero dei caloyeri , che contengono 0 hanno contenuto; ciascheduna delle quali manda un de- putato per suo rappresentante presso l’ Agà. I greci più pii vanno in pellegrinaggio al monte Athos particolarmente per celebrarvi la pasqua ; ma la lor riunione rassomiglia più a una masnada, che ad una assemblea di devoti , e fanno un fracasso orribile, in cui non vi è apparenza ve. runa di pietà religiosa. i I monaci del monte Athos si occupano ancora dello studio.dei classici greci, senza diventar perciò più filosofi; ed hanno molte biblioteche , nelle quali i dotti europei hanno nudrita per molto tempo la speranza di poter rin- venire qualcuna delle tante opere antiche di que’ grandi ingegni, involate dal tempo e dalle vicende alle loro. ri- cerche. Ma due viaggiatori inglesi, il professor Carlyle, ed il dottor Hunt, avendo visitate nel 1800 tutte queste biblioteche , ed esaminatine i manoscritti, non vi trova- rono che omelie, trattati teologici, e copie moderne di classici. Giova sperare; che que? dotti, in soli tre giorni , quanti durò la loro dimora, non abbiano potuto esamina- te con attenzione i 13 mila volumi in esse, biblioteche gontenuti. Sembra però certo , che esse anticamente ser- T. XHI. Gennad 7 98 bassero molti letterari tesori, parte dei quali dall’avidità o dall’incuria sono stati venduti o smarriti. Nella descrizione di Scio, isola notabile anticamente per i suoi vini squisiti, oggi per il mastice ( gomma bian-. ca e trasparente di una specie di pistacchio detto lentiscoò non omette il nostro autore la narrazione delle luttuose' di lei vicende negli attuali moti della Grecia. « Nella sollevazione ‘generale de’greci del 1821 ( son sue paro- le ), gli sciotti non ardirono di prender subito parte! 41° cuna all’universal commozione: non vigeva più quella bella legge di Solone , la quale proibiva ai cittadini il ri- manere spettatori inerti nelle lotte nazionali ; e gli sciot- ti intimoriti dalla vicinanza della flotta turca , abituati ai piaceri di una commoda vita, incapaci perciò di' sé- condare gli sforzi dei figli di Milziade e di Epaminonda', avevan dati da prima ai musulmani alcuni ostaggi per sicurezza della loro condotta. Ciò non ostante insultati e tormentati dai lor tiranni, vollero tentar nel Marzo 1822 da sè soli ciò, che avevan temuto di fare quattordici mési prima uniti con la Grecia. Da 2,000 uomini di Samo sbar- cati a Scio venne loro ispirato il disegno ardito di scuote- reil giogo de’'turchi. Una generale sollevazione degli sciot- ti notificò ai musulmani , che l’iusurrezione appiccavasi alle coste vicine all’ Asia, ed era per rapir loro una delle iù belle provincie. Con attività straordinaria in un po- polo stupido ed indolente armarono prontamente una spe- dizione contro Scio , e con 15, o 20 mila uomini bene armati corsero sopra quella infelice popolazione, la quale meno dai suoi mezzi di difesa che dalla propria dispera- zione aveva preso consiglio. Gli sciotti imperiti nell’ arti guerresche , rifiutata * qualunque capitolazione , senza armi nè fortificazione , furono trucidati a migliaia nella città e ne’ campi, indistinto il rango e l’ età ; le donne furono , come il bestiame più vile, tratte per la Turchia. di mercato in mercato per esservi vendute ; 1 bambinî 99 dai barbari vincitori feroci furono fino annegati: la città di Scio, la più bella dell’ Arcipelago, fu ridotta in cenere insieme con tutti i suoi stabilimenti e convicini villaggi: e quest'isola già la più florida della Grecia moderna; vide perire quanto di splendore aveva acquistato in più secoli nel solo mese di aprile 1822. Più di 50,000 vittime spi- rarono Sotto il ferro € nel fuoco, o furono condotte al servaggio » . ; « Tante crudeltà non furono inulte. Il capitan bas- sà nel mese di Giugno era ancora con la flotta nel porto di Scio, quando la notte del 18 i greci, avendo meditato a Ipsara una perigliosa astuzia, per la di cui. esecuzione furono pronti ‘ad esporsi alla morte più centinaia di pa- triotti, introdussero nel porto alcune barche incendiarie, le quali accostandosi al vascello ammiraglio de’ turchi, vi appiccarono il fuoco non ostante qualunque sforzo del- l'equipaggio, e lo fecero saltare in aria (2). Mentre il (2) Za ave incendiaria , o Nave di esplosione, detta ancora con nome derivato dal francese, Sru/otto , è generalmente un ba- stimento vecchio riempito di materie combustibili, e fornito di ganci per afferrare le navi nemiche ed appiccarvi il fuoco. Non v'è altro di particolare in questa specie di navigli, che l’ appa- rato, mediante il quale il fuoco si comunica all’ istante da una parte all’ altra , e quindi al nemico. Questo consiste in un came- rone da fuoco costrutto nel corridoio , che racchiude una mina contenuta in una quantità di caselle di legno , le quali s’interse- cano l’ una con l’altra in diverse parti lungo la nave. Da ambe le bande della nave medesima vi sono sei o sette portelli, dirim- petto ai quali son collocati altrettanti piccoli cannoni lunghi 10 pollici, e caricati di polvere granita con un turo di legno alla ‘ lor bocca. Nel momento di mettere il fuoco alla nave ; i cannon- cini, che si sparano, fan saltare i portelli. Questi aprono un passaggio alle fiamme, e non solo le communicano all’ esterno ed all’ opera morta della nave e del di lei sartiame, ma sprigio- nano ancora l’aria ristretta nella camera, la quale penetrando impetuosamente per quei spiragli, impedisee_che la coverta salti 100 bassà si salvava in un battello, fu ucciso da un albero della nave ;;che gli cadde sopra , e fu seppellito nella cittadel. la di Scio. Questa splendida vendetta aggravò però infeli- cemente i mali degli isolani, i quali furono di nuovo tru- cidati ; ‘i villaggi fin a quel punto risparmiati furono sog- getti a devastazioni; e le truppe turche furono sparse per I’ isola; perchè succedessero alla popolazione distrutta ». . Nell’ultima parte dell’opera descrive. l’ autore le isole di Rodi, Cipro, Candia , Tenedo , la spiaggia Troia- na, Efeso, e Smirne, tutti luoghi assai decaduti dall’an- tico splendore. La descrizione di que’ sotterranei situati in Candia presso le mine di Gortina , ne’ quali, si cerca- no indarno i vestigi del celebre labirinto di Dedalo, è ‘ molto interessante ; come lo sono altresì tutte le partico- larità riportate intorno alla statistica, alla istoria , alle ricerche geologiche e naturali. Lungo sarebbe l’enume- rarli soltanto. Noi facendo al sig. Depping i meritati elo- gi, inviteremo gli amatori di quegli studi alla lettura in- tera dell’ opera, persuasi che ne ritraranno piacere ed utilità. F. G in aria , come accaderebbe per la violenta rarefazione se non po- tesse communicare con l’aria esterna.. A dritta e sinistra de’ pa- rapetti di prua si fa un buco di grandezza sufficiente per am- mettere una casella che serve di conduttrice al fuoco in modo che nell’ appiccarlo alla medesima , si communica istantaneamente al lato opposto della nave , ed ambi i lati bruciano insieme. Fstr. dal Dizionario di Marina di Farxoner. Art. Fireship, 1oiÎ D' una tavola bellissima di LeowARDO, nota appena di nome agli ultimi illustratori della sua vita. Lettera del sig. M** collaboratore dell’ Antologia, al sig. Francesco INENCI pittore. Voi vi ricorderete senza dubbio di quelle due lettere del vostro Leonardo al luogotenente del re di Francia in Milano e a non so qual presidente , di cui fu apportatore il Salaino, che precedette d’ alcuni mesi nel 1511 il ritor- no del suo maestro fra noi. L'ultima volta, ch'io vi ho veduto in codesta bella patria di Leonardo e vostra, a cui sospiro, avevate fra le mani un volume delle Pittoriche ; e parmi (o io fo adesso un poco di sogno ) che teneste gli occhi appunto sulle due lettere. Parlasi in esse, fra più cose riguardanti i premj del pittore anzichè la pittura, di due quadri di Nostre Donne di varie grandezze comin- ciati e condotti ad assai buon porto, che Leonardo avreb- be recati seco al suo prossimo venire. Sono fatti, egli dice al luogotenente, che fu Carlo d’ Amboyse, pel cristianis- simo nostro re , vale a dire per Luigi duodecimo, o per chi a vostra signoria piacerà. Ma il luogotenente, al giug- nere di Leonardo in Milano , era morto (1); e la fortuna del re francese tra noi cedette ben presto a quella dello Sforza (il figlio di Lodovico il Moro ) ajutata dall’ impe- ratore e da’ principi italiani insieme collegati. Ciò che avvenisse dei due quadri nessuno il dice; e nessuno fiu qui lo ha forse ricercato. Madamigella Patin in quel sno libro dalle Pitture scelte e dichiarate , che debb’ esservi noto , ci dà un’ in- taglio all’acqua forte d’una Madonna col Bambino, che i il giglio simbolo della Francia; graziosissima tavo- (1) Di trentotto anni in Coreggio nel marzo del 1511, per dolore , dicesi, d&’ aver perduto la Mirandola al suo re: T02 letta, lavorata, com’ ella suppone, da Leonardo per Fran- cesco I; da questo ceduta per alcuni quadri dell’ Olbenio ad Enrico VIII d’ Inghilterra; indi, al tempo di Crom- wello ; ripassata dalla reggia britannica a Parigi, ma non in mani regali ; e alfine acquistata dal padre della giova- ne (2), che portossela a Padova , ove fu chiamato profes- sore. Prima che dalle due lettere succennate ( non so quanti anni fa ancor nascoste nel più voluminoso de’ co- dici vinciani, a cui davasi nell’ Ambrosiana il titolo d’ a- tlantico ) si sapesse che Leonardo fu pittore di Luigi XII, non era senza verosimiglianza il pensare che il quadro, di cui sì tratta, fosse dipinto pel successore di quel monarca(3). Ma, dopo la pubblicazione di tali lettere (4) è assai più ragionevole il credere che sia uno dei due quadri annun- ciati nelle lettere medesime e destinati a Luigi, che lo avrà lasciato fra i giojelli della sua corona. Come poi uscis- se dalla famiglia dell’ingegnosa Patin , che nel suo libro le angurava lunghissimo il possesso di tale preziosità, non . ci è noto, 0 io in questa mia insolita povertà di libri non saprei trovarne ricordo. Posso per altro dirvi cosa prova- tissima, quantunque da nessuno ancor notata ne’cataloghi o nelle storie, che il quadro, di cui vi parlo, è quello che avrete più volte ammirato nella galleria Albani di Ro- ma (5), e di cui il Lanzi ci narra ch'era dal Mengs ante- (2) La comperò , ella scrive, dagli eredi del famoso Pe- ruchot. (3) Ciò , dico, non era senza verosimiglianza , poichè po- trebbe non a tutti riuscire egualmente indubitabile 1’ assersione degli storici, che Leonardo , a cagione IE vecchiezza , nulla mai dipingesse pel re Francesco. (4) GComparvero , credo, la prima volta vent’ anni sono nella vita di Leonardo scritta dall Amoretti , il qual le trovò ne’ ma- noscritti dell’ Oltrocchi. L’ autografo , onde furono tratte, era in Francia eogli altri dodici dell’ Ambrosiana da quasi dieci annì. (5) Dietro il quadro , fra traverso e traverso, è posta mi si dice una scheda, tratta dalle Bellezze di Firenze del Bocchi, ta 103 posto ad ogn' altro di così nobile collezione; giudizio, di cui a voi s’ appartiene di confermare l’ aggiustatezza. Ora che vi parrà s’ io v’aggiungo, che l’altro de’ due quadri contemporanei ( più appariscente e di maggior di- mensione (6) ) intorno al quale l’istoria pittorica fu di necessità sempre muta, e di cui rimaneva piuttosto il desiderio che la speranza agli amatori della vostra bell’ar- te , è qui in casa d’ un mio caro amico e parente , il sig. Giovanni Tarozzi , ingegnere di questo municipio? Venne esso alle sue mani nel 1810, con altri quadri assai riguar- devoli, da un nostro monastero di donne, ch’ erano dette le angeliche di santa Marta, e lo aveano per tradizione come cosa di grandissimo pregio , sicchè sempre lo ten- nero custoditissimo , benchè permisero in tempi discosti che ne fossero tratte copie’, due delle quali or sono presso n alcuni de’ nostri concittadini, ed una è in Bergamo, e vuolsi di maestro abilissimo, cioè di Cesare da Sesto. Alle quale avverte in certo modo i curiosi esser quello che già sì vedeva nella casa di Matteo e Gio. Batista Botti ; ed ove era dipinta una Madonna con sommo artificio e deligenza, e Cristo bambino bello a meraviglia, che con grazia singolare alzava la faccia. Ora dal disegno della precisa grandezza del quadro, che ho qui presente, parmi che altri indizii caratteristici sareb- bero stati necessari a mostrare l’ indentità del quadro visibile e del ricordato. Bensì il disegno confronta esattissimamente col- la stampa della Patin ; e il Zeonar dà Vinssi scritto chi sa da qual tempo sotto il secondo traverso della parte posteriore del quadro fa credere, ch’esso ebbe vecchia sianza oltremonti, onde poi tornò in Italia. (6) Questo, di cui parlo , è largo un piede e mezzo pari- gino ed alto due piedi: quello della galleria Albani non oltre- passa un piede in larghezza se non d’un pollice e di sei linee, e-in altezza se non di cinque pollici e due linee. La diversa misura , perciò che si è riferito delle due lettere di Leonardo, può esserci argomento del non diverso tempo e del non diverso pennello a cui si debbono ascrivere. L’uguaglianza della materia, che è la noce d’ Olanda, aggiugne probabilità alle nostre con- getture. Yo4 angeliche , siccome ci consta da autentiche memorie , fu lasciato il bel quadro con molta parte dell’ eredità degli Affaitati , nobilissima gente (7),la quale si estinse in una Costanza Catarini , che prese il velo fra quelle pie vergi- ni, e discendeva prossimamente da un’ Ottavio Affaitati , di cui il quadro porta nel rovescio il marchio a fuoco (8), e più remotamente da un Pietro Martire, non ignoto alla storia d’Italia , e che qui giova ricordare. Di lui ne dice Antonio Campi (9) (che voi non avrete per ultimo fra i buoni vecchi della vostra famiglia pittorica , e che trat- tava come voi, non fo adesso paragone del modo , così la penna che il pennello ) che fi uomo di grandissime ric- chezze, il quale, ne’tempi che la nostra città era trava- gliata dalle parti, fu capo principale della nobiltà guelfa, e per il suo molto valore si acquisto tanta gra- zia e autorità presso il re di Francia, il quale allora s'era impadronito dello stato di Milano, che governan- dosi questa città secondo il suo volere ne pareva quasi egli il signore. Quel re, secondo le congetture d’un vivente erudito (10), altri non era che Luigi XII, il quale proba- bilissimamente fece dono del quadro , di cui si parla , al suo fidato, cui non potea gratificar d’avvantaggio con duvizie ed onori , e il potea con opera esquisitissima del più eccellente pittore , che fosse ancora comparso. E la squisitezza di quest’ opera ove gli argomenti storici fossero deboli per farla credere di Leonardo , sem- bra quasi sforzare gli artisti e i veri intelligenti. Io potrei annoverarvene alcuni , il cui nome sarebbe per chiunque un’ autorità. Ma penso di non averne bisogno, se il più dotto de” pittori di questi ultimi tempi, e il più studioso (7) Dai marchesi Affaitati avvi chi deriva i marchesi De la Fayette. (8) O * A. (9) Nella cronaca patria. (10) Lancetti Biografia Cremonese. 105 che mai fosse qui o altrove delle cose di Leonardo, il no- stro cavalier Bossi ( XI), sopra un infelice disegno dell’ o- pera non esitò a dire che per quanto ie sole lince’ esteriori si può giudicarne trovava in essa a più riguardi la maniera di quel gran maestro (12). Che avrebbe egli poi detto ove, contemplando l'originale , gli si fossero af- facciati i vivi lumi, i bei rilievi, l’arie decentissime dei volti , le fluide tinte e quel non so che di adorno, di cui parla n Lomazzo (13), e per cui mette Leonardo in com- pagnia di Raffaello (14)? Voi non potete non ricordarvi assai bene del quadro di cui pur dianzi favellavasi della galleria Albani. Ivi la Vergine ( per ciò che rilevo dall’ incisione del Juster of- fertaci da madamigella Patin , da un disegno a chiaroscuro che il Tarozzi si è procurato da alcuni ricordi manoscritti d’un giovane pittore ) non è meno di due terzi d’ un’ in- tera figura , sta sedendo rivolta da destra a manca, ha veste di color porporino , manto cilestro or molto anneb- biato con rivolta d’ un giallo carico pur molto indebolito, carni vivaci ma tendenti al fosco (o sia effetto del tempo, o si rammentasse il Vinci nel colorirle del bruno volto (11) Lettera autografa del e5 giugno 1815 al possessore del quadro. (12) Nè Bossi era facile a tenere questo linguaggio, quan- tunque assai circospetto. Negava francamente di trovar nulla di Leonardo nella maggior parte de’ quadri che si dicevano di lui. Avvi fra miei amici chi si rammenta di averlo udito escludere dall’opere di quel pugno sino la Madonna famosa di s. Onofrio di Roma. (13) Tempio della Pittura, capo XXXVII. (14) Assomiglierei questo dipingere adorno a quello scrive- re, di cui parmi che ci siano particolari modelli Virgilio, Ci- cerone e il Boccaccio. Se non che in quest’ ultimo qualche cosa tal volta soprabbonda; e in Leonardo manca, ma per inconten- tabilità dello spirito, che non permette alla mano di finire ciò ch’ esso ancora a suo grado non compì. 106 della Sunamite misteriosa), capegli rossigni spartiti in sulla fronte , i quali piegano giù per le spalle, e si adornano d’un velo leggiadro, ma or poco visibile, che scende e si annoda alquanto , o piuttosto accenna di annodarsi al disotto del petto. Tiene ella assiso sulle sue ginocchia, e qua- si dissi rannicchiato sopra verde cuscino il suo pargoletto, a cui attraversa colla manca il picciol corpo, mentre colla destra, sorridendogli amorosamente , gli mostra una viola, e par che lo alletti a darle in cambio il giglio, ch'ei stringe con ambo le mani, e curvandosi per più allonta- narlo , e appoggiandovi il capo ricciutello, che si volge alla madre, ne fa a nostr’ occhi due parti. Il fondo del quadro è un sasso di rocca a sinistra, e un vago paesetto dall’ altro lato con poggi abitati e boscherecci in lontar nanza; cosa da tutti approvatissima quanto all’ esecuzione, non da tutti egualmente quanto all’ accordo o alla dispo- sizione. So che la testa della Vergine è stimata la parte più bella dell’ opera ; e so altresi che le sue mani, come le mani e i piedi del bambolo nen sembrano di quella perfezione che poteva dar loro Leonardo. Che se nelle carni del secondo ammirasi la mollezza e la rotondità, mi è pur fatto intendere che più si ammirerebbe, ove gli | scuri avessero maggiore trasparenza. Nel quadro della graziosa gallerietta del Tarozzi , la Vergine, pur di due terzi dell’ intera figura , sta anch’es- sa seduta , ma rivolgendosi da sinistra a destra quasi in profilo; anch’ essa ha veste purpurea e del più vivo cina- bro adorna all’alto d’ argentee listelle , le cui maniche al- quanto larghe, non giugnendo che al gomito, lasciano apparir quelle della sottoveste di verde colore ben asset- tate alle braccia ; e cinta d’ una fascia pur verde di pie- ghevole seta, con molle cappio sul grembo ; si avvolge no- bilmente in un manto violaceo (or molto impallidito ) || con crocei rovesci, che un sottile cordon nero le tien fer- | mo alle spalle annodandosi al petto ; le carni non candide 107 e non brune potrebbero nel suo volto desiderarsi più mor- bide , ma non più vive o più vere; e i suoi capegli castanei spartendosi in sulla fronte purissima, coronata da negro velo a foggia d’ iride , scendono in onde biondeggianti per le spalle alcun poco scoperte, pel collo e pel dinanzi della persona insino alla serica fascia, e fanno vago contrasto coi sottoposti colori. Un velo bianco trasparentissimo, che viene ad avvolgersi al suo braccio sinistro, passa al disot- to della destra sua mano, con cui sostiene sulle ginocchia, seduto sopra verde cuscino (come l’altra Vergine fa colla manca nel quadro della galleria Albani ) il Divin Figlio, di cui quel velo adombra lievemente l’ inferior parte del corpo. Torce intanto il bamboletto in singolar maniera la superiore verso destra , piegando il capo ricciutello d’ un biondo aureo in opposta direzione, e tenendo, colle brac- cia incrociate, in ciascuna delle picciole mani una ciocca di ciriege (15), mentre la madre s’ appoggia col sinistro gomito ad un armadietto, su cui ne vedi gettate alcune altre. Il fondo del quadro è una parete di scuro colore, con ricco drappo d’un verde fosco pendente d'alto a manca, e una larga finestra al lato contrario, onde va- gheggiasi il prospetto di bella città con graziose colline all’ orizzonte , il quale si confonde con un cielo vaporoso che tinge gli oggetti d’ un colore d’ aurora . Lodatissime al sommo sono tutte le parti di questo quadro , massime le più cospicue , eccetto alcune poche (16) o non finite , (15) Duolmi che il Gerlì, fra i disegni di Leonardo, ch’era- no del consigliere De Pagave e ch’ egli ha incisi e pubblicati, non abbia dato luogo anche al del studio di ciriegie colorite al inaturale , di cui ci parla nel suo ragionamento. Questo studio ( unico ch’ io sappia in genere di frutti ) or non possiamo che ragionevolmente congetturare, e ci saremmo potuti forse eviden= temente accertare che fu fatto pel quadro che qui si descrive. _ (16) Siccome l’orecchio destro e il destro braccio del bam- ibino poco più che abbozzatî. Ma qui le grosse linee dell’inchio- 108 com’ era il costume di Leonardo in quasi tutte le sue ope- re, non escluse quelle che hanno maggior grido (17), 0 forse un tempo offese per troppo ardore non congiunto a pari destrezza nel ripulirle. Tutto il dipinto peraltro ( a giudizio di chi potè farne confronto ) è ancor fresco a .se- gno ; che l’antico compaguo , il quale già gli cedeva il vanto della maggiore bellezza, or deve cedergli pur quello della quasi conservata gioventù. Ma io non ho posto ( se pure si potea farlo bene con parole ) i due nobilissimi dipinti in questa inaspettata vicinanza , perchè l’ uno ricevesse risalto dall’ ombra la- sciata cadere sull’ altro. Fu mio desiderio soltanto che , avendosi presenti le loro somiglianze e le loro differenze, le quali non appariranno in gran parte se non variazioni di uno stesso pensiero ( e di simili variazioni voi sapete come Leonardo si compiaceva ) si riconoscesse facilmente la loro origine comune. Chi infatti ravvisando, a non dubbi segni, nella tavoletta della galleria Albani , la ma- no del pitiore a cui essa si attribuisce; vorrà negare al pit- tor medesimo quella posseduta dal Tarozzi, ove a tali segni è dato per così dire il compimento? Bossi ( non debbo occultarlo ) guardando al disegno della seconda, sì sentì alquanto perplesso, principalmente a cagione dell’ozio della Vergine, com’ ei sì esprime (18), non ben d'accordo coll’ azione momentanea e vivace del bambolo; non che pel posar d’una gamba di questo (la sinistra ) che ei non sapea vedere ove s‘ascondesse. Valen- tissimi pittori per altro , riflettendo maturamente, hanno trovato piuttosto singolare ( com'è tutta la mossa del corpo del Bambino ) che impossibile il nascondersi della sua gam- stro scoprono Leonardo ; come già quella sottilissima di non so qual tinta scoperse al suo emolo quel greco pittore. (179) Fino i ritratti di Monna Lisa e di Lucrezia Benci, che il Vasari chiama opere divine. (18) Lettera citata. ; 109) ba fra il ricco panneggiamento, che ricopre l’estreme par- ti del corpo della Vergine ; e )a verità ( non dico la. con- venienza ) di questo nascondersi della gamba apparireb- be meglio, se nel luogo ove scende essa non fosse per an- tico sobbollimento ritoccata da mano troppo inferiore a quella di Lionardo (19). Che se Bossi avesse veduto il dipinto ; ciò , ch’ ei chiama ozio della Vergine, gli sa- rebbe sembrato dolcissima quiete, bella a mirarsi in tut- ta la persona, ma sublime in quel volto pieno di virginea modestia , e di caratteristica maestà. Fu anzi avviso ad alcuni di scorgere in esso una divina contemplazione , come nel volto del Bambino e nell’ incrociare delle sue braccia parve loro di vedere altro che un rifiuto puerile di ridonare i frutti a lui donati, e poi ( com'è vezzo delle madri ) piacevolmente richiesti. Certo eran soliti a. Leo- nardo i sottili pensieri, e l’esprimere con azion naturale qualche cosa soprannaturale ed. arcana. Forse, diceano que’ sottili , ei volle alludere co” moti del bambino alla sua futura passione , resa necessaria dalla disubidienza che spinse la mano de’ nostri progenitori al frutto vietato ; di che e madre e figlio stanno pensosi. E opponendosi loro’, che quelle ciriege non sarebbero frutto ben scelto, si di- fendevano coll’ opinione che il mondo fosse creato nella stagione che vede maturar primo un tal frutto ,e col ge- nerico nome dato da’ sacri libri a quello, che ‘gustato fu micidiale all’ uman genere. Delle quali congetture, che si aggirano fra’ limiti del verosimile , è ‘lecito fare a cia- scuno quel conto, che più diletta al suo ingegno. Il giglio premurosamente impugnato e direi quasi difeso dall’infante Divino nel quadro che adorna oggi la galleria Albani, potè sembrare bellissimo indizio che il (19) Il ritocco già vecchio si estende un pochissimo all’ in- torno ne’ panni della Vergine, ed è l’ unico luogo danneggiato della pittura. 11O quadro stesso fosse uno dei lavorati in Fifenze da Leo- nardo pel re francese, che gli era signore (20). Or neppu- re nel quadro posseduto dal Tarozzi, mancanvi forse i gigli, ove ben si guardi a’ nodi specialmente d’un gentile viticchio , che. forma ornato all’ armadietto di pulito legno; d'un color chiaro di noce con vene marmoree , a cui la Vergine si appoggia. Se non che il non avere un tale ornato la regolarità , che gli sarebbe convenuta , fece sospettare al sagace possessore che fosse posto ad altro fine che di semplice abbellimento. Però ben esaminatolo e vo- lutone il parere d’uomini periti, si accertò di veder nelle foglie , che con varia disposizione escono graziosamente dallo stelo, tante maiuscole componenti, secondo 1’ uso di Leonardo, una cifra ingegnosa, in cui leggesi // giusto, denominazione già data a Luigi XII, mentr era vivo. Altra cifra; segnata più leggermente, ma di non dubbio significato , sta alquanto a destra dell’ accennata, e componsi delle tre iniziali del nome del dipintore e del suo.cognome, Solo un’ altra volta , per quanto ci è noto, Leonardo appose una tal cifra o monogramma, e fu a quella tavola che stava già nel palazzo dei duchi Gonzaga di Mantova, poi ebbe quasi segreto asilo in Milano presso il Salvadori segretario del governo , ed oggi l’ha forse più magnifico ma non più conosciuto nella corte di Russia. Io non so dire se il distintivo di quell’apposizione significhi veramente, come pensò il de Pagave al riferire dell’ Amoretti, e il Lanzi non trovò improbabile ; che (20) Un fior tanto bello e di sì chiara allusione, il buon Leonardo non si saziava di profonderlo. A Francesco I ( testi- monii il Vasari nella vita del pittore, il Lomazzo nell’ arte del- la Pittura ) in quelle feste che gli furono date in Pavia nel 1515 per la vittoria di Marignano, il fece presentar fin dal leone figurato, che, venutogli innanzi in magnifica sala, si aprì il pet= to, ove il tenea chiuso. E nell’ omaggio al re divoto, e in quel. lo al re conquistatore sempre si vede il giudizio ed il gusto di Leonardo. Se ida ——r —_—r_—_——————@ Gn ILI l’artista, conoseendo aver toccato il segno di quella eccel- lenza per cui Raffaello era proclamato divino , volle pre- venire i posteri che non gli attribuissero l’opera sua. Parmi ad ogni modo che nella tavoletta , che ho qui di- nanzi , voglia indicare una particolarissima compiacenza dell’ autore , e un vivo desiderio che sia. da tutti riguar- data come una delle sue fatiche più dilette (21); il che già gli sarebbe avvenuto senz’ altra cura. To medesimo , ché ‘confessò di aver occhio a queste cose mediocrissimamente esercitato, per il pochissimo da me veduto di Leonardo costì in Firenze e in Milano, e sù nostri due laghi, quel di Como e il Maggiore, non ho punto indugiato a ravvisare, come opera sua questa posseduta dal mio buon parente il Tarozzi. E aggiugnerei, se pel conosci- mento della mia imperizia non ne avessi rossore, che quasi al primo contemplarla essa mì ha fatto ricordare d’ alcuni precetti del Zrattato di quel maestro, e segnatamente d’uno, che riscontro essere il trentesimo, intorno agl’ignudi; sicchè non volendo credere. il bambino della tavola tarozziana | essere dipinto da chi dettò quel precetto, mi conveniva supporre il precetto essere dettato dietro 1’ esempio di quel bambino. Ma io mi guarderò bene dall’ entrare in questa parte tanto sottile della corrispondenza delle teo- riche di Leonardo colla pratica da lui osservata nel quadro, di cui vi parlo. Vorrei però sapervi dire quante corrispon- denze trovino gli intelligenti fra questo e altri de’ suoi quadri più ammirati, che sento esser moltissime. Uno di essi , il sig. Voghera, professere d’ architettura in questa città, scriveva anni sono di Firenze al Tarozzi, che in una testa del quadro stupendissimo dell’ Erodiade, ch’ è nella {21) Di ciò pure abbiamo indizio dall’ imprimitura in oro data alla tavoletta , onde si riflettessero con più amabil luce i sceltissimi eolori, 112 tribuna della real galleria, vedea presso. a poco quella della .sua Madonna; ciò ch’ io ( il quale dovrei pur ricordarmi del, veduto ) spero di confermare tra non molto. cogli occhi miei. Giunto poi a Roma il valente artista :,.e contemplando la tavola della galleria Albani, scorgeva in esse e: quasi sentiva un’aria di fratellanza coll’ altra dell’amico suo ,.che tutta avea dipinta nella fedele memoria ; e,,se qualche cosa avesse potuto. farlo dubitare, sarebbe.stata non so qual vaghezza più risplen- dente , onde ciò che vedeva era vinto da ciò che ram- mentava (22). A voi forse accaderebbe che il non ancora veduto, quando vi fosse recato innanzi, v'impedisse di rimembrare il tante volte ammirato ; ed:io non per rico- noscere il quadro dell’ottimo Tarozzi come opera di Leo- nardo, ma per meglio intenderne il raro merito , oggi mai non bramerei che di udirvi un giorno che vi compa- risse improvviso allo sguardo sotto cotesto bel cielo che primo.il rischiarò. Perchè quanto finora mi fu dato ve- dere delle cose vostre ( e parmi che il più recente storico delle nostr’arti leggiadre non tenga opinione diversa dalla mia ) mi fa credere che nessuno forse possa ragionare di Leonardo con più senno di voi, il quale ci ricordate dipin- gendo tanti suoi pregi, e quelli in ispecie, che dan valore a tutti, la forza del concepire e la saggezza del comporre, Cremona 20 Dicembre 1823. (22) Lettere di Firenze e di Roma nell’ ottobre e novem- bre del 1814. » pra > - e k È Sa F 6 icsile è | i ® 113 Breve ragguaglio di due medaglie d’un nuovo re di Tracia. Nell’ estate del decorso anno 1823, fu scavato un se- polero sul luogo dell’ antica Mesembria, città della Tracia, e in tale occasione vi furono trovate alcune medaglie di bron- zo spettanti ad un nuovo re dell’ istessa provincia. Queste vennero in potere del sig. dott. Burghart, nella sua dimora di Pera in Costantinopoli . Il museo Hedervariano , e quello Fontana furono dal medesimo arricchiti d’ una di queste me- daglie , e i possessori dei due musei, appena che pervenne= ro nelle lor mani, d’un subito tanto il sig. conte de Wiczay, quanto il sig. Carlo d’ Ottavio Fontana me ne parteciparono l’ acquisto, la descrizione , e la medaglia stessa, per renderla pubblica , se lo credeva proprio ad interessare la curiosità degli studiosi della Numismatica . Le due medaglie , di cui si tratta, sono uguali, e non differiscono , se non nel monogramma, come si osserverà dalla figura annessa. Può darsi che il numero delle medaglie venute alla luce, potesse esser più di due, e che altri musei ne siano stati successivamente arricchiti per lo stesso canale. La descrizione delle medesime è 1’ appresso. 1. Caput Apollinis laureatum ad d. x. BAZIAEOQX KAYAPOY . Victoria ad s. stans d. lauream, ante mon. ut in ectypo ( N.° 1. ) -E. 3. Ex Mus. Fontana. 2. Alius similis, sed mon, nt N.° 2. E. 3. Ex Mus. Hedervariano. | H primo che le acquistò, vedde subito ch’erano medaglie . del re Cavaro, ma non giustamente allora seppe che fosse un re degli Odrisj, giacchè, come si accennerà, dopo Ca- varo , appunto questi popoli rimessero sul trono un principe della loro nazione. Il cel. Cary fu quello, come è ben noto, che. pub- blicò 1’ istoria dei re della Tracia , facendo uso di quelle medaglie, che di alcuni fanno menzione: ma siccome, quan= do scrisse, non era tutto scoperto, nè conosciuto, così non potette accompagnare la storia di Cavaro con quest’ altro monumento numismatico. TT. XII. Gennaio 8 114 Dopo i misfatti crudeli di Tolemeo Cerauno, per mez- zo de’ quali venne a rendersi padrone della Macedonia, e della Tracia, i Goloesi poco dopo l’anno 279 avanti Cristo, sotto la condotta di Brenno, fecero delle incursioni in diverse parti dell’ Europa e dell’ Asia, rendendosi padroni di diversi stati di tali parti. i Belgio capo dei Goloesi, che invasero la Macedonia, fece proporre a Tolemeo di comprare la pace. Ma il re di Macedonia rispose con baldanza ad una tal proposizione, e intrepido gli aspettò con tutta la confidenza , che avea nel suo coraggio , e nelle sue truppe. Ma fu disfatto , e mor- talmente ferito , e caduto in lor potere , gli tagliarono la testa, ponendola in cima d’ un’ asta, per esporla agli sguardi delle truppe vittoriose. Ceretrio altro capitano , e conduttore di Colite non mancò di marciare contro alcune truppe tracie, e nell’ istesso tempo Leonario e Lutario, uffiziali di Brenno, avendo fatto nascere qualche sedizione , con un corpo della loro arma- ta si gettarono nella recisi e la soltomessero affatto , ren- dendosi padroni di Bibgisnzio; e delle città circonvicine, non che di Lisimachia, e del Chersoneso, dopo di che pensarono di passare in Asia ; ma per una discordia insorta tra questi due, Leonario si portò verso Bizzanzio, e Lutario passò in Asia. I Bizzantini conquistati dai Goloesi, si rivolsero ad im- plorare 1’ aiuto di Nicomede re di Bitinia, il quale si adoprò per tirare a sè Leonario; e in tal guisa i Bizzantini si tro- varono liberati da tali ospiti, non considerando che non fa- ceano se non cambiare d’ oppressore. Comontorio fuggito dalla battaglia di Delfi, dove perì Brenno, si portò nell’ Ellesponto, alla testa d’ un’altra fa- zione di Goloesi, e non credendo di trovare in Asia campagne più fertili di quelle che avea vedute, si fermò nelle vicinanze di Bizzanzio, con imporre un grosso tributo agli abitanti, e indi andò a Tula città situata suli monte Emo, dove stabilì la sua residenza. Antigono Gonata fu quello poi che liberò i traci vicini alla Macedonia, dalle truppe lasciatevi da Brenno, e furono 115 queste battute e tagliate a pezzi ; e fu allora che Antigono rientrò in Macedonia. Dopo di che i Goloesi non pensarono più ad infestare il paese, ma comparvero come truppe mer- cenarie sotto i re macedoni, o dell’ Epiro. Il solo Comontorio si sostenne in quella parte della Tracia, dove si era fissato, prendendo il titolo di re. i Vien ora il re delle nostre medaglie , ch’ è Cavaro , il quale fu ultimo re goloese, e regnò verso l’anno 219 avanti Cristo . Fu questo un principe potente e rispettato dai suoi vicini. Fu desso anzi, che fece cessare la guerra insorta tra Prusia re di Bitinia, ei Bizzantini e i Rodiani , e questi popoli lo elessero per arbitro loro, e il resultato fu la pace, di cui Polibio ci ha conservato il trattato. ( Pol. extr. 1.8) Cavaro fu molto favorevole ai Bizzantini, ai quali rese libera e si- cura la navigazione del Ponto. Cavaro che possedea tutte le buone qualità che formano un gran re, dovette soccombere nell’ essersi troppo fidato ai discorsi d’unindegno adulatore,e fu allora che i Traci ch’erano sotto il suo dominio , si rivoltarono, e lo scacciarono dal trono , e fu l’ultimo re gallo che avesse regnato sulla nazio- ne tracia. Dopo di che gli Odrisj, popolo della Tracia, non avendo più da temere dalla parte dei Goloesi, rimessero sul trono un principe della loro nazione. Dal tipo di queste medaglie si osserva, che la vittoria debb' essere allusiva a qualche fatto d’ arme favorevole al detto re, se non volessimo supporre, che Cavaro avesse imita= to i tipi delle medaglie di Filippo, e di Alessandro il grande. In fine ci resta la speranza di poter ritrovare qualche mo- numento che ci confermi, che Comontorio fu re ancor’ esso. Nel museo del re di Baviera osservai una medaglia nuova d’ un altro re di Tracia, (*) ma la fatalità vuole che non vi si legge distintamente il nome, per essere le lettere erose; ab= biamo stimato proprio di pubblicarla sotto il N.°3.unitamente con l’ altra potendo servir di confronto ai direttori dei musei, in caso che trovassero l’analoga, per contestare la nostra. SESTINI. (*) Un’altra medaglia simile colla leggenda guasta fa da me os- ‘servata nel museo pontificio dell’ università di Bologna. 116 Grammatica compita della lingua greca di AuGusTO MATTHIAE dottore in filosofia, direttore del Ginnasio e bibliotecario du- cale di Altenburg, socio onorario dell’ accademia di Erfurt. ec; volgarizzata con aggiunte da AMEDEO PeYRON profes- sore di lingue orientali nella reale università di Torino, mem- bro della reale accademia delle scienze ec. Torino dalla stamperia reale. 1823. Vol. I. in 8. Tutti lodano la lingua greca, tutti ne conoscono l’utilità, molti anche in Italia ne cominciano lo studio, ma pochi durano in esso costanti. Più e diverse sono le cause , che trattengono i giovani dal continuarlo , delle quali cause altrove ne ho indi. cate alcune , che spettano all’ insegnamento. L’opera annunziata mi richiama ora a parlare delle grammatiche, le quali, come sono comunemente, anzi che giovare, impediscono i progressi della gioventù in questa lingua. Molte grammatiche abbiamo in Italia: ma queste contente d’ insegnare le declinazioni de’ nomi, le coniugazioni de’ verbi , i principali significati delle preposizio- ni, alcuni avverbi, le congiunzioni , cioè la parte che dicono materiale della lingua, non vanno più oltre. Della sintassi non parlano , o poco ne parlano, e male. Si direbbe quasi, che si teme, che altri impari la lingua greca. Nel secolo decimosettimo adoperavasi la grammatica del Gretsero, la quale almeno offe- riva qualche idea della sintassi, e sarebbe pure di qualche uso pe’ principianti ove alcune cose vi fossero emendate, e ad al- tre supplito. Ma nè pur questa può aversi adesso, che raro è il trovarla. Io non voglio con queste parole biasimar tutte le moderne grammatiche ; che in altre occasioni ne ho lodate al- cune , e quelle lodi confermo. Ma queste aprono solamente 1° adito primo della lingua, e a questo fine sono indiritte. Lo stu- dioso però che vuol proseguire la ben cominciata carriera, non trova altra maggiore scorta che lo guidi al termine desiderato . Migliori grammatiche avevano le altre nazioni, non però ottime: talchè se noi erevamo poveri, quelle non erano ricche. Alcuni principalmente fra i tedeschi e gli olandesi ( che nel Greco han- no quelle nazioni uomini esercitatissimi) ben conobbero il bisogno di cose migliori , e si adoperarono di ripararvi. Taluno volle se- guire i dettami della filosofia , e di quella che chiamano gram- matica generale ; ma non si avvide che si allontanava dalle re- gole della vera critica, e per verità incontrastabili spacciava ciò che era suggerimento della propria immaginazione. L’ Hem-' sterhuys, che fu pure prestantissimo Grecista , volle cha le ras i 117 ‘dici tutte della lingua greca fossero i verbi, e che i verbi pri» mitivi fossero di due vocali o sole, o con unao al più due con- sonanti. I popoli dell’ Arcadia e dell’ Attica pretendevano d’ es- sere ivi nati dalla terra : e appena in sì fatta credenza potrebbe farsi buon viso a quella ipotesi dell’ Hemsterhuys. I primi uo- mini, che si portarono in quella parte della terra; che poi fu detta Grecia , vennero dall’ Asia , e la lingua greca ha origine asiatica. I sogni etimologici sono una specie di malattia conta- giosa, che facilmente si propaga, e vie più forte si rende secon- - do la diversa indole degli uomini . Facil cosa è il lasciar libero il freno alla propria immaginazione: il che si fa tanto più vo lentieri, quanto più si desidera d’ acquistar rinomanza. L'’ opi- nione di quel grande Olandese ottenne presto seguaci , fra i qua- li fa il primo il Valchenaer , che dettò alcune leggi intorno al- l'etimologia. Molto più innanzi andarono il Lennep e lo Scheid, i quali giunsero a dispiacere a quegli stessi , che a sì fatte dot- trine erano inclinati. L’ Hermann , dotto quanto altri mai , volle additare la via di correggere gli errori altrui nelle diverse parti della grammatica, e scrisse un libro de emendanda ratione grae- cae grammaticae , che fu impresso il 1801. in Lipsia. Considerò però solamente le cose principali, che alla pronunzia , alle let- tere, agli accenti, e alle parti dell’ orazione appartengono . Del- la sintassi promette di parlare in un altro libro , il quale non so che fino ad ora sia venuto in luce . Egli non disprezza le dot- trine de’ greci grammatici , come alcuni fanno de’ moderni rifo- matori : nè le segue però tutte ciecamente . Crede che alcune parti della grammatica debbano essere insegnate dall’esperienza, cioè dagli esemp) , cui debba il raziocinio prestare aiuto ; e in . altre l’ esperienza aiutare il raziocinio . Concede però così poco all’ esperienza , che la vuole a scorta solo quando si tratta del- le lettere e della quantità delle sillabe. Se a me fosse lecito d’ oppormi a così gran maestro direi che disputando d’ una lin- gua morta si dee cercare quale essa fu, non quale noi vorremmo che fosse: e quale essa fu dee cercarsi negli scrittori che l’usartono ne’ buoni tempi, ed ove questi tacciano , conciossiachè molti ne sie- no smarriti , si dee ricorrere al raziocinio; dubitando però sem- pre di cadere in errore. Direi altresì , che taluno forse potrebbe non essere bastevolmente persuaso d’alcuni suoi raziocinj, e riputar- li fondati a ipotesi dubbiose. Il Fisher prese altra via, e parca- mente usando la filosofia, molto seguì l’ autorità degli esempj. Molto avevasì in pregio in Germania la grammatica del Wel- ler le tante volte stampata. Il Fisher prese a comentarla per 118 modo, che nulla rimanesse a desiderarsi,, e fece tre volumi. d’ annotazioni , che potevano ridursi a due senza tralasciare ve- runa cosa utile. Egli adoperò il raziocinio ove potè , sbandì le ipotesi immaginarie, e raccolse una quantità prodigiosa d’ esempj. Io son d’ avviso, che poco avrebbe lasciato a desi- derare , se due difetti non avesse l’ opera sua faticosa . Il pri- mo è che avendo egli preso a scrivere annotazioni a un’ an- tica grammatica, le sue dottrine non sono esposte con quel me- todo che sarebbe più utile, anzi necessario. L’ altro difetto è, che la morte interruppe il disegno , e la sintassi, quella parte cioè ch’ era più necessaria , quella che più abbisognava d'’ il- lustrazione , rimase appena da lui abbozzata, e il suo con- tinuatore , come spesso avviene a coloro che continuano le opere altrui, o non seppe, o non volle, o per soverchia fretta no n potè adoperarvisi quanto era d’ uopo . Non suppliva al bisogno il Vigero de idiotismis graecis arricchito di molte annotazioni dall’ Hoogeveen , dallo Zeunio, e dall’ Hermann, non lo stesso Hoogeveen con due grandi volumi de particulis linguae graecae, non il Devario comentato ampiamente dall’ Hermann . Il primo con metodo infelice non offre tutto ciò che dee sapersi , e i suoi comentatori, pugnando fra loro , lasciano incerto il giovine stu- dioso , il quale non sa a qual sentenza debba attenersi. E in si- mile incertezza lasciano ancora il secondo e il terzo non rade volte contrarj fra loro, e parranno forse soverchj per 1’ inse - gnamento delle sole particole della lingua . Oltre a ciò alcuni forse dubiteranno , che in questi libri talvolta , volendosi troppo sottilmente indagare e promuovere certe astruse idee reputate filosofiche, si devii alquanto dalla verità . E vie più per av- ventura ne dubiteranno. vedendovi sovente seguitata la filosofia di Kant che in Germania ha gran fama ; altrove niuna . Si ave- vano per. l’ellissi il Bos co’ suoi comentatori, pe’ pleonasmi il Weiske , pe’ dialetti il Maittaire il Khoen lo Schutz lo Schef- fer, pe’ verbi medj il Kustero seguito poi da altri. Corsero questi la via più sicura degli esempj e dell’ autorità , non senza ; la scorta d’ una giusta e moderata filosofia, ed apprestarono utile materia per la grammatica, della quale però gli ampj loro trattati non potevano far parte . Parecchi altri scrittori aggiugner potrei se questo fosse luogo opportuno. Dirò più tosto , che sì fatti grammatici possono tutti a due classi ridursi . Imperciocchè o seguirono gli esempj ‘e l’ autorità , o pretesero di seguire i filosofici insegnamenti. I primi o lasciano desiderare metodo migliore, o mancano di | 110) ciò che è pur necessario a sapersi, o trattano piccioli argomen- ti con ampiezza soverchia. E riguardo ai secondi temo non for- se, in vece della filosofia, abbiano seguite assai volte le men> daci apparenze d’ una troppo calda immaginazione , L’ augusto nome della filosofia il quale pomposamente risuona sulle labbra di molti, parmi che sia da riserbarsi ad altri argomenti , e in soccorso della grammatica si debba chiamar l’arte critica . Con questi ed altri parecchi simili libri non si aveva anco- ra una compiuta grammatica, da cui gli studiosi dopo avere appresi gli elementi primi della lingua greca, fossero condotti per via sicura a maggiori progressi. Una finalmente ne ha data non ha molto ottima in tutte le sue parti il professore Augu- sto Matthiae , che appena venuta in luce in Germania destò al- tissimo grido. Le straniere nazioni desiderarono d’ averla nei lor volgari, e primi ad ottenerla furono gl’ inglesi per opera d’ Edoardo Valentino Blomfield valente grecista non ha guari defunto. Noi pure l’ abbiamo adesso per opera del signor Abate Amedeo Peyron Piemontese , dottissimo ugualmente nelle lingue orientali e nella greca, nella quale ha dato un egregio saggio del suo molto sapere pubblicando certi frammenti d’ Empedo- ° cle e di Parmenide colle stampe di Lipsia del 1810, Egli ha collazionato l’ originale tedesco colla traduzione inglese , ha in- serito ai debiti luoghi le correzioni e le addizioni del Blom- field, parecchie altre sue ne ha aggiunte, ed ha posto in fine un copioso ed utilissimo indice di tutte le greche voci, che in tutto il libro sono illustrate: in una parola non ha mancato a tutto. ciò che da un ottimo traduttore ed editore poteva ; non dirò richiedersi, ma desiderarsi . Noi abbiamo per ora il solo primo volume, il quale com- prende la parte , che dicono materiale. Il secondo conterrà la sintassi. Parliamo addesso del primo, e parliamone brevemen- te : che non si «debbono trattenere troppo a lungo i lettori con cose grammaticali, Il Matthiae ha considerata la lingua nel tem- po della maggior sua purità, cioè prima d’ Alessandro Magno. Sogliono i grammatici prendere gli esempj ugualmente da De- i mostene e da Senofonte , come da Libanio e da Temistio : il che è grave fallo, massimamente quando si parla della sin- | tassi. Vogliono far vana pompa d’ erudizione , e mostrano scarsità di giudizio . Ciò è lo stesso che prendere tanto. Ci- Ipprone e Cesare, come gli scrittori della storia Augusta a modelli della lingua latina. Comincia l’ opera con brevi pre- liminari , ne’ quali parlando l’ autore della lingua greca , e | Ì 120 de’ suoi dialetti in generale mostra come essa da. prima era unica ed uniforme, e come poi cominciarono a poco a. poco a formarsi i dialetti, cioè l’Eolico (o Dorico antico ) } e. lo Ionico, e da quello più tardi si formò il Dorico più recente, e da questo I’ Attico. Ciascuno poi di quei quattro principali dialetti ne germigliò per così dire parecchi altri in luoghi di- versi, e in diverse città. Dopo questo, che dirò proemio, co- mincia la grammatica, e noverando le lettere accenna le que- stioni, che intorno alla pronunzia delle medesime si agitano, sono ormai tre secoli , fra gli Erasmiani e i Reuchliniani, e ricorda alcuni degli argomenti, che una parte e l’altra re- cano a lor favore. Sì fatta questione però deesi bensì sapere dagli studiosi, ma non si potrà mai decidere , come ottima» mente osservano il Blomfield e il signor abate Peyron. Si parla altresì dell’ iato, e del digamma, intorno al quale |’ autor non si mostra gran fatto inclinato a certi insegnamenti dati prima dal Bentley, e poi cresciuti a dismisura per opera di molti fra i moderni. Compiesi poi il trattato delle lettere mostran- do come queste si cambiassero vicendevolmente nei diversi dia- letti; che sia il N EpEANUSIAÒY e l’ apostrofo e quando si ado- perassero; come e quando si facessero le contrazioni. Dopo si ragiona delle sillabe, e del modo di dividerle, e della pun- teggiatura . Ma noioso oltre modo riuscirebbe ai nostri lettori, se dir volessi di tutte le cose contenute nel primo volume. Ho però voluto accennare almeno queste, le quali sono elementari, ed alla prima introduzione della grammatica appartengono, e pure una parte suole trascurarsi dai grammatici, e l’altra parte non è abbastanza e come dovrebbesi insegnata. Il N. A. però non solo non le trascura, ma le accompagna con utilissimi inse- xgnamenti: il che fa con tanta diligenza, che non potrà forse trovarsi cosa necessaria da aggiungere. Nè altramente adopera intorno alla formazione de’ nomi e de’ verbi. Più e diverse sono le sentenze principalmente per la forinazione de’ secondi. Quali fossero i divisamenti dell’ He- msterhuys caposcuola fra i moderni nel fatto delle etimologie, l’ ho già detto. Il signor Matthiae è propenso per l’ opinione di questo Olandese, il che non vorrei d’un uomo così. dotto e di tanto ingegno. Di questa sua propensione però non fa verun uso nella sua grammatica, e solamente ne dà un cen- no a c. 267 268; ed il Blomfield lo ripiglia, e con due argo- menti lo combatte abbastanza. Ma se il N. A. si è lasciato 121 alquanto sedurre per breve tratto dalla ipotesi di quel dottis- simo, ha almeno rigettato i sogni del Lennep, e de’suoi se- guaci. Questi a spiegare la formazione dei tempi ne’ verbi attivo, passivo, e medio pretesero che ogni verbo avesse nove forme diverse, che il Knight ha ridotte a otto, dalle. quali derivino i diversi tempi. Di questa guisa per soverchio amo- re di novità traviano bruttamente certi uomini, quantunque dotti. Il N. A. con savio consiglio segue la strada antica, e da una sola forma del presente deriva tutti i tempi, o immedia- tamente, o per mezzo d’ altri tempi. Pe’ futuri segue l’ ipo- tesi dell’Hermanno de em. rat. Gr. Gramm. cioè che solo uno sia propriamente il futuro, il quale antichissimamente terminasse in €5w, onde tolto ora l’ epsilon, ora il sigma e fatta la contra- zione ne sieno venuti quello che si dicono futuro primo e se- condo. La quale ipotesi è a dir vero probabile molto, e spie- ga comodamente le anomalie, che i grammatici osservano, e che il N. .A. ha notate con diligenza. Negli altri tempi ezian- dio segue le più probabili sentenze , e quanto. si può rende ragione delle terminazioni diverse nei diversi modi e tempi. Accuratissimo è il capitolo de’ verbi difettivi, dove opportu- namente si mostrano, come sonosi mutate le forme primitive o per l'aggiunta o cambiamento di qualche lettera o sillaba, o per aver presa la desinenza in ja; o la reduplicazione in principio, e in parecchi altri modi. Data così un’ idea gene- rale dell’ origine di questi verbi se ne fa il novero, ol’ indi- ce, e si riducono intorno a cento sessanta. Se v’ ha parte in cui le greche. grammatiche sieno manchevoli, ella è questa , se si consideri o il numero di sì fatti verbi, o le diverse forme loro , o l’ assegnare la prima fonte da cui queste for- me derivano. Nè pur qui però non manca la solita diligenza dell’ autore. Lo stesso. dicasi de’ dialetti, e in una parola di qualsivoglia o variazione o irregolarità ai nomi o ai verbi ap- partenente : talchè io non temo d’ asserire che non solamente questo libro ne rende inutili molti altri; ma non sarà forse dato d’ incontrare negli antichi MEDE veruna difficoltà , che qui non si trovi felicemente mostrata e sciolta - Delle prepo- sizioni e delle congiunzioni non si parla , che son riserbate alla seconda parte dove avranno luogo più opportuno. Questa seconda parte tratterà della sintassi, argomento necessario per sè stesso, e perchè è pessimamente trattato nelle comuni gram- matiche. Di questo libro dirò colle parole del Blomfield, che appresentà un tal compitissimo trattato di greca lologia , che 122 tornerà di sommo vantaggio al letterato mediocremente dotto di questa nobile lingua, nè sarà disutile allo stesso filologo di già perfetto . A questo dunque ricorrano i giovani , che amano di bene apprendere la lingua greca, e vi ricorrano an- cora i dotti, che ne trarranno vantaggio. CESARE LUCCHESINI Lettera al Direttore dell’ Antologia, in proposito dei lavori dell’ Accademia della Crusca . Avendo letto nella vostra Antologia un’ articolo, nel quale brevemente si espongono i lavori Letterarj dai signori accademi- ci della Crusca fatti nell’ anno decorso {1823, più particolar- mente mi ha dato in occhio quello che concerne’ il verso di Dante nel X. del Purgatorio che dice ,; voi siete quasi en- tomata in difetto ;, e si opina col Dionigi che Dante non già scrivesse ENTOMATA per ignoranza del greco, come fu per alcuno creduto ; ma piuttosto ENTOMA; che così diconsi in quella lingua gli insetti, e che l’ impcrizia de’ copiatori. ne alterasse la voce . Non opinando io in conformità di questa osservazione, scri - verò qualche cosa per mostrare il contrario . In primo luogo assai mi. maraviglio che se Dante scrisse entoma, non rimanga respice in verun codice di questa lezio- ne, ma in tutti trovisi o entomata 0 entoma ta © altra. voce più o meno conforme a entomata; entoma schietto ‘e netto non mai. A cagione di esempio: antomata leggono Matteo Ronto, l’ Anonimo, il cod. Caetano, dove è questa chiosa : anthomata est Vermis qui est. sine ulla forma membrorum originalium ec. Athomata hanno la edizione di Mantova, il'cod. Cass. e Pietro di Dante ; il quale chiosa: quia anima remota, quae est forma nostra , in defectu formae remanemus, quasi athomata , vermes. ATHOMATA , ut ait physicus.in JI de anima et Commentator, sunt animalia nodosa; seu. annulosa, inter quae sunt lumbrici, et similes vermes forma carentes, in qui- bus caput et sensus non apparent . Da queste chiose siamo in diritto di credere che athomata ed enthomata fosseto vocaboli adoperati in quella stagione nelle scuole peripatetiche ed aristoteliche, e che per questa causa an- 123 che Dante gli adoperasse (sia I’ uno, sia l’altro ) (a). Ma che la voce entomata per dire insetti si adoperasse in que’ secoli con- tro le buone regole del greco parlare, lo notò anche l’ editore romano del Poema di Dante, nell’edizione dell’anno 1821 ,,. Trovan- do io presso il Du-Fresne, ei dice, adoperato entoma per insetto nel numero del meno, dubito che scostandosi gli scrittori latini di que’ tempi e le scuole, massime, dal greco rigore declinassero entoma entomatis , entomata , come thema theniatis e simili, e che ponesse Dante enzthomata non come greca, ma come vo- ce /atina. Così per avviso dell’ altrove già lodato sig. ab. Gio. Cristoforo Amaduzzi è a un dipresso avvenuto anche del gre- co neutro plurale diblig 4e , come per esempj lo stesso Du- Fresne dimostra ,,. Non sarà inopportuno di qui riportare l’ esempio avuto in mira dall’ editore romano nel Du-Fresne Entoma insectum : vita sanctae Senorinae Virg. N. 4 de ra- nis ,, tune Senorina garrulas animalium molestorum voces con- sopire disponens ne in caeterum perstreperent , imperavit ; quod evenit: nam ulteris ru//um huius generis in termino illo con> spectatur entoma ,,. Nè diversamente alterarono altre voci, come di entalma entalmatos, praeceptum ne fecero entelma ae ed entilma ae. Videntes ct cognoscentes NOSTRAM ENTILMAM; ed, ENTELMA fa- cta a Ioannatio imperiali protospatario. Du-Fresne ec. Di qui forse ne vennero nell’ italiano intimare , intimazione , e nel vol- go anche l’ inzimo e |’ intima, come da biblia ae, la bibbia. E che Dante alcune voci derivate dal Greco le prendes- (a) Basta leggere specialmente il Purgatorio, ed il Paradiso di Dante per vedere quanto spesso vi si adoperino gli usi, le frasi e le ‘parole della scuole; come nel canto XX del Parad. v. g1—93. i « Fai come quei che la cosa per nome « Apprenda ben, ma la sua quidditate ss veder non puote, s’ altri non la prome. e ganto XXIV det- ss Siccome il Baccellier s° arma e non parla ss Fin che ’1 Maestro la quistion propone so Per approvarla, non per terminarla. . E nel Convito: ,, questo è sovrano edificio del mondo, nel quale tutto il mondo s’ inchiude, e di fuori del quale nulla è, ed esso nou è in loco, ma formato fu solo nella Prima Mente, la quale li greci chiamano pro- tonoe. In questa voce medesimamente si vede che Dante nelle voci greche seguitò l’uso e non le regole del greco idioma; poichè avria dovato dire protonoesiss o protorous. 124 se piuttosto dal Latino, credo che possa darcene un esempio anche il verso del canto XIV del Pargatorio: »+.., quel fu il duro camo che dovria l’ uom tener dentro a sua meta ,, dove la voce camo debbe credersi tolta dal versetto del salmo, în camo et fracno maxillas eorum constringé. Io dunque conchiudendo dico, che Dante scrisse entomata non per sola ignoranza del Greco , e per aver letto nei les- sici entoma, ta come sogliono dopo mettere il pronome per distinzione dei generi, secondo che stimò pure il Salvini; ma scrisse eztomata perchè quello era vocabolo delle scuole, ado- perato latinamente; e nemmeno ha da esser creduto arbitrio, o errore dei copisti, perchè in qualche codice ne sarebbe rima- sto traccia o esempio della primitiva lezione , e perchè non può attribuirsi ai copisti una lezione che è conforme alla frase del tempo di Dante, che dovette uniformarvisi, specialmente non essendoci argomento veruno da poter mostrare che egli volesse o sapesse discostarsene per eleganza del greco parlare. Finalmente lo stabilire che debbasi leggere entoma perchè ri- mane ugualmente intatto il verso è argomento di. niun valore, e da attribuirsi ad una casualità ; sarebbe bensì di qualche. peso se il verso fosse guasto leggendo entomata . LU I. e R. Accademia dei Georgofili. L’I. e R. Accademia dei Georgofili tenne il 4. gennaio una delle sue ordinarie adunanze. In essa il Segretario degli atti, dopo aver letto il processo verbale della seduta antecedente, mostrò un ramo di Cotyledon Coccinea vegetante sebben reciso dalla pian- ta madre fino da 16 mesi, e restato per caso tutto questo tempo all’o- scuroin luogo ben secco fra della carta, e prese daciò motivo di ram- mentare le osservazioni del P. Decandolle sulla forza vitale di alcune piante. Quindi il Segretario della corrispondenza presentò i resultati di questa, edi seguenti libri mandati in dono dai respettivi Aatori. Poesie del Sig. P. Scuderi di Catania; dialogo fra due Biblioteche del med. Prolusione sull’ origine dell’ Ostetricia del Sig. P. Meli di Ravenna. Giornale di Scienze lettere ed arti per la Sicilia N. 1. Rapporto dei lavori fatti nel 1822 . dalla classe delle Scienze della R.Accademia di Torino, compilato dal Sig. P. Ca- rena. Dopo di ciò non avendo il Sig. D. Ferdinando Cassigoli 125 nè letta né inviata la propria memoria, ehe in primo luogo do- veva trattener l'Accademia, si udirono solo le due seguenti lettu- re di turno. Il Sig. D. Carlo Passerini espose succintamente un processo semplicissimo per tinger con solidità il filo ed i tessuti bianchi .di cotone nei colori proprj dei Vankin dell’Indie e di Malta, ado- prando a tale effetto la decozione dei gusci delle castagne disec- cati col mezzo usato comunemente dai montanari, e che essi chia- mano pula. Il Sig. Gio. Batista Lapi, trattando distesamente dell’ uso ragionato delle macchine, emesse e sostenne una propria opinio- nione tendente a provare esser l’ introduzione di alcune di esse riuscita dannosa all’industria di certi popoli, paralizzando le brac- cia di molti operaj, e disseccando il fonte della loro prosperità. Quindi il Mar. C. Ridolfi presentò un nuovo Coltro destinato a rimpiazzare la vanga nel lavoro del suolo, e consegnò una me- moria a quello relativa dopo di aver fatto lettura di un frammento di essa diretto a mostrare l’importanza del nuovo istrumento, e il di lui desiderio che altri giungesse a renderlo anche migliore, es- sendosi a questo solo fine affrettato a comunicare il suo lavo- ro mentre il programma dell’ Accademia prescriveva il termi- ne del concorso a tutto Luglio 1824. Di più, volendo dare col detto scopo ogni pubblicità al proprio scritto , domandò ed ot- tenne licenza di stampare la sua memoria a vantaggio di colo- ro che desiderassero di concorrere alla soluzione del quesito Ac- cademico, o di profittare al più presto del suo ritrovato (a). Finalmente il Sig. D. Carlo Calamandrei per la commissio- ne (composta dei Sigg. P. Gazzeri Vice — presidente, D. Cio- ni e di esso relatore ) incaricata fino dal dì 8. Giugno ca- duto di esaminare chimicamente il cotone tinto in rosso dal Sig. Mazzoni di Prato a guisa di quello di Aleppo, ma con sostanze indigene, lesse un rapporto favorevolissimo a questa nuova in- dustria, e molto onorevole :per il suo ritrovatore. Dopo di ciò l’adunanza si sciolse. Il Segretario degli Atti (a) Questa memoria si troverà presso il tipografo Pezzati in piazza S. Spirito, 126 Lettera al Direttore dell’ Antologia, relativa all’ alfabeto GE- ROGLIFICO FONETICO del signor CHAMPOLLION LE JEUNE . Essendomi stato detto, signor Direttore, che mi si stia preparando contro a Parigi una gran batteria, e quasi quasi una flagellazione a sangue, per quelle disgraziate osservazion- celle cl’ io m’ ebbi l’ardire di fare all’ alfabeto geroglifico fo- netico del signor Champollion le jeune, e che voi pubblicaste nell’ Antologia di settembre prossimo passato 1823; quest’ in- fausto annunzio mi spinse ierisera a riandarvi sopra coll’ oc - chio, per esaminare se rai mi fosse caduto giù della penna un qualche mostruoso sproposito, cosa facile ad accadere a tutti quelli che scrivono, e particolarmente a chi è fornito di poca dottrina come son io. E per verità quella nuova lettu- ra mi fece nascere degli scrupoli sulle voci cofte che furono in quelle da me citate. Questi scrapoli però non sono tali da farmi cangiar pensiero, che anzi mi conferino sempre più nella mia opinione; ma solamente mi obbligano a far qui una di- chiarazione che allora non feci, e a dire alcune cose che al- lora non dissi. per inavvertenza . E siccome potrebbe una sì fatta trascuranza farmi reo di ‘un bruttissimo fallo al cospetto dei dotti, e più ancora di tutti i pedanti dell’ universo , i quali avrebbero il diritto di tradur- mi davanti al tribunale della pedanteria, che è il più inesora- bile di quanti n’ esistono, come sapete, e *vi potrei esser con- dannato in contumacia, come colpevole nientemeno che di lesa grammatica cofta ; quindi è, pregiatissimo signor Direttore, che io prego la gentilezza vostra a volersi compiacere di stampare nell’ Antologia del corrente Gennaio questa mia letteruccia, per deviare, almeno da questo lato, prima che mi giunga, Il nembo orrendo che mi fischia intorno. Senza di che, sà il cielo quante poderose falangi di Prisciani salterebbero in campo armati di flagelli contro di me, per op- primermi a replicati numerosissimi colpi; mon lasciandomi nep- pure la speranza di potere alzare mai più la testa. Ma veniamo all’argomento. Sappiate dunque, signor Direttore, che siccome nella lingua egizia, o cofta il genere dei nomi non si distingue , nè dal fine , o dalla desinenza loro, nè dall’articolo, come accade nel greco, nel latino, nell’ ebraico , nell’illirico , nel tedesco , nell’italiano, ed in molte altre lingue antiche e moderne; così hanno. gli Egizi, o Cofti alcune lettere, o segui, com’ essi li chiamano , 127 che prefiggono ai nomi stessi, e vi tengono il luogo d'’ articoli. Di modo che ogni nome il quale abbia prefisso il Pi nel dialetto memfitico, ed il Pei nel tebanense, è mascolino singolare, venen- do per tale qualificato, e determinato da quel Pi, o Pei; come pure tutti quei nomi che hanno prefisso il 7, sono femminini parimente singolari per la stessa ragione. E finalmente il /Vî in- dica la pluralità in ambedue i generi, in senso pure determinato, come ancora altre lettere, o segni indicano in quella lingua, al- tre cose, tanto riguardo ai verbi che riguardo ai nomi, le quali si vogliono qui tralasciare, non trattandosi di dettare un tratta- to di grammatica cofta. Ora avendo io considerato questi segni, od articoli ce dir si vogliano, come parti integrali, e costituenti i nomi 'stessi cui vanno uniti in quella lingua , perchè sono dessi che ne de- terminano e ne qualificano il genere ed il significato , e quando parlasi determinativamente, non li abbandonano mai , riguardai nel citare le parole cofte ivi da me riferite , come comincianti dai segni medesimi che vi sono prefissi, senza dir pure una parola, che così li considerava espressamente, e sen- za farvi la debita distinzione "per tutti quelli, che non l’ in- tendessero in tal modo ; ciò che fu certamente, per parte mia, non leggiera diffalta, e degna di correzione. E più ancora mi resi colpevole nell’ assegnare il signifi- cato alle voci medesime, non avendo in ciò conservato il ne- cessario rigore grammaticale; poichè là dove io dico, p. 21; e 22, che, Pikòn, per esempio, significa impero, comando, doveva dire, impero, il comando, e così del resto, aggiun- gendo, civè, l’ articolo ad ogni nome in italiano, e parlando in senso determinato, così richiedendo la grammaticale esat- tezza . In quanto poi all’ avere io dato al segno qualificante e determinativo del genere mascolino , la proprietà di entrare nella formazione dei geroglifici , se dovesse ammettersi il si- stema del signor Champollion le jeune, vi condiscesi con tan- ta maggior sicurezza, in quanto che veniva autorizzato a, farlo dal dotto archeologo francese medesimo, il quale accorda questa proprietà al segno qualificante e determinativo del genere femminino, che tutti convengono essere meno nobile, e meno degno di quello, E se questa proprietà l’ attribuisce il signor Champollion al segno od articolo che chiamar si voglia, de- terminativo del genere femminino , tanto più deve concederla 128 a quello del genere mascolino ; e tanto più ancora quando è unito al nome qualificato e determinato per esso. Riflettendo però nuovamente sulla cosa , e vedendo che il prelodato signor Champollion le jeune gli attribuisce questa prerogativa soltanto considerandolo separato dal nome che vie- ne da esso determinato e qualificato; ed essendo io certo al tempo stesso , che l’ archeologo parigino me ne farebbe una colpa, e tutta la generazione dei pedanti ne menerebhe ru- more infinito, e me ne bandirebbe contro una crociata, quasi che io mi fossi di sì grossa pasta, da non saper distinguere il nome dal suo articolo, o dal segno che gli sì prefigge per distinguerne il genere, ed il numero ; intendo, e voglio che quella parte delle mie osservazioncelle, sia da me corretta , prima che altri me ne faccia carico, giudicandomi più ignorante ancora di quello che non sono. E siccome pubbliche si sono rese colle stampe la mia trascuratezza e la mia inesattezza nell’ esprimermi, così pub- bliche e solenni devono esserne, la confessione e la corre- zione, come pure, la dichiarazione di ciò che io intendo che non sia nè l’una nè l’altra, benchè altri potrebbe crederlo tale. Che del resto, se fosse da potersi ammettere, come di- ceva pocanzi, il sistema del dotto signor Champollion le jeu- ne, con tanto maggior ragione bisognerebbe considerare i nomi egizi o cofti nella maniera che io li ho considerati, in quanto che sono appunto quei segni, che ne determinano i generi ed i numeri, come il significato; cosa essenzialissima nella sup- posizione che i geroglifici fossero una scrittura , e che si po- tesse con essi formare un discorso. E quando pure si vogliano considerare come separati dai loro segni determinativi e qualificativi, ciò nulla toglie a quello che io sostengo nelle mie osservazioncelle, che i gero- glifici, cioè, si moltiplicherebbero senza fine e senza biso- gno, anzi con grandissimo incommodo di chi dovesse ado- prarli . Imperocchè in tal caso 1’ 4, per esempio, oltre ai segni che le vengono assegnati nell’ alfabeto del signor Champollion le jeune, potrebb’ essere rappresentata ancora, dalla figura di un fanciullo, A4l%, od Aloù; dal segno ideografico di un fiu- me, Aro; dalla figura di un gigante, <4fof, od Afob; da una testa, Afe; dal segno ideografico della carne, 4/; dalla figu» 129 ra di un’atrio , Aulè; od Auli; da quella di un falegname, Amsce; da un calice, o bicchiere, Afo4i, od Afoti; e da cento altre. Il 5, potrebbe esserlo ancora , da uno schiavo, Bòk, o da una catena che ne è l'emblema’; dal segno ideo- grafico di una spelonca, 22) 08%; dalla figura di una se< ga, Basciùr, o Bascidur; da ‘na pianta, o ramo di ruta, Besciùsc'j 0 Bascidusc; e simili.. Ed il T.; anche da un na- viglio, Gioi; da un volume, Giòm; dal segno ideografico del tempo, perchè Gidon, o Giòù, vuol dir secolo , età; da una festuca, Gèi, o Gii; da una piccola sfera, Gè, o Gi; dal segno ideografico degl’ istrumenti da giuoco, Gidoui, 0 Gioi ; da quello della potenza e della forza, Gemgiòm; dalla figura d’ una mano, perchè, Giomgem, significa tatto , palpazione ; dal segno ideografico del freddo ; Giaf; da un ramo, Giul, ec, Lo stesso dicasi di tutte le altre lettere dell’alfabeto gre- co, come può convincersi chiunque voglia riflettere sul .siste- ma del dotto archeologo francese, e conosca anche mediocre- mente la lingua cofta. Dopo di ciò, starò aspettando la risposta del dotto e la- borioso signor Champollion le jeune, o di chiunque altro vo- glia onorarinene, per correggermi, ov’ io abbia errato, o per replicare, (per l’ ultima e perentoria volta però), ov’ io non rimanga. penne delle ragioni che mi si addurranno in con- trario . — E questo fia suggel che ogn'uomo sganni. perg pregiatissimo signor Direttore, con sincera stima’, i Firenze 15 del 1824. i Vostro Aff. serv. ed amico Dom. VALERIANI. Il SALVATORE BAMBINO, di CARLO MARATTA inciso dal sig. GIOVITA GARAVAGLIA — Firenze 1823, presso Bardi e Com. Lo splendore di tutte l’ umane cose è repente, e l’ arti pure e le lettere procedendo ad immagine d’ arco , tocco ap- pena il sommo dechiriano, e dechinando intristiscono . Coloro che secondo il modo della nostra possibilità a questo fato con- trastano, sono il più delle volte derisi da’ contemporanei ,, e dai posteri scarsamenti lodati, Non è concesso a questi ultimi far ragione al vigore d’animo necessario per dirigere le brac- JT. XII, Gennaio 9 130 cia contro il torrente, e resistere al pericolo degli \esempi..; A Carlo Maratta fu dato dal Mengs questo vanto: e per lui stette che la pittura in Roma, come altrove; non precipitas- se. Fu ritenuto nella ‘buona via dallo studio di Raffaello, del Caracci, e di Guido, quantunque gli venga apposto di cadere per soverchia diligenza nel minuto, di tritar le masse nel suo modo di piegare i panneggiati , nei quali trascurò pure. di dar ragione del nudo. I suoi seguaci abusarono della massima di ridurre il principal lume ad un solo oggetto, tenendo troppo bassi i chiari nell’ altre parti. L’opere più riputate, di que- sto pittore sono quelle ch’ ei fece in piccole tele, e nelle quali s’ attenne, all’ imitazione del Sacchi, Quindi è da lodarsi 1’ ac- corgimento del signor Giovita Garavaglia che prese, ad incide- re in rame un grazioso quadretto, nel quale effigiato si scorge il Salvatore Bambino, fra due angioletti e il Precusore . Questo valoroso e giovine artista si mostra coll’ opere sue degno discepolo di Faustino Anderlone, dal quale apprese gli elementi dell’ intaglio, e del celebre Longhi sotto la cui di- sciplina egli è così venuto in eccellenza, che in breve potrà conseguire nell’ arte i primi onori. Il concorde voto degl’in- telligenti commenda in questa stampa buon gusto. nel disegno, ottimo effetto nel chiaroscuro, ragionata disposizione di tagli; i quali alla delicatezza delle mezze tinte congiungono in ge- merale una non comune robustezza, senza essere nè rozzi nè ferrigni, come avvenne nella morte di. Marcantonio al celebre Wilke, quantunque sommo fra gl’ incisori. Non dobbiamo passare sotto ingrato silenzio lo zelo dei sig. Bardi e Comp., che non perdonando a spesa, occupano i più celebri bulini (*);. e con uno stabilimento calcografico di cui non v'ha l’ uguale fra noi, aumentano per la Toscana la fa- cilità d’ un commercio, nel quale l’utilità non si scompagna dat decoro, e che propagando agli esteri la notizia dei nostri capo- lavori, accrescerà nell’ arti la riverenza del nome italiano, i . (*) I sig. Bardi e Comp.', volendo secondare il pubblico desiderio, e prov- x veder all’ incremento dell’ arti, hanno commesso all’ egregio sig. Garavaglia di incidere la Madonna della Seggiola in dimensione maggiore di quella del ce- lebre Morghen . Questa incisione verrà eseguita sul disegno del sig. Iesi ; che tratta con ugual maestria la matita e il bulino . 131 Biografia universale, antica e moderna tradotta in Italia- no, ed ora pubblicata in Venezia per le cure di G. B. MISSIAGLIA (*). Livorno a rg dicembre 1823. Alcuni errori di stampa , che difformano la bella traduzione della Biografia antica e moderna che si pubblica in Venezia presso Giovan Batista Missiaglia, mi hanno impegnato a fare varie ricer- che, in seguito delle quali ho rilevato. non poche mancanze; di articoli biografici, che interessano direttamente l’ istoria dei no- stri tempi. Eccone alcune : Abdul-Fetta-Bey ; nato a Costantinopoli, ed allevato nel ser- raglio nella classe degli /coglar, e passato quindi nella marina ot- tomanna, giunse al grado di vice ammiraglio; nel: 1799 il suo governa lo spedì nella rada di Aboukir a rimpiazzare Seid-Mustafà stato fatto prigioniero dai francesi. Abdul-F.tta-Bey fu anche. più disgraziato del suo antecessore, poichè in seguito di una scon- fitta essendosi ritirato in Cipro, vi fa massacrato dalle sue. pro- prie truppe. Abercromby , Sir Giovanni; Generale Inglese, Gran Croce dell’ ordine del Bagno, membro del Parlamento ec. Egli era della famiglia istessa di Sir Ralph Abercromby, del quale si parla nella Biografia antica e moderna, tomo I pagina 77. All’ epoca, della rivoluzione di Francia Sir Gio, Abereromby comandava una parte delle truppe inglesi nelle Indie. Nel luglio 1790 partì da Bombay alla testa di un corpo destinato a combat- tere Tippoo-Sultan; nel gennaio e febbraio 1791 {js impadronì di Crananor, Biliapatam, e Nurkakow ; fece un numero .consi- derabile di prigionieri, e prese una gran quantità di munizioni e di armi. Pochi mesi dopo battè completamente, sotto le mura di Seringapatam, l’ armata di Tippoo, ed effettuò la di lui riu- | mione con il corpo del general Cornwallis: si ritirò quindi sopra liliacore, Biliapatam e Cananor, ove malgrado. gli sforzi del ne- mico si accantonò . Il 20 ottobre 1793 fu fatto governatore di Bombay, ed in seguito di Madras, e comandante in capo delle truppe inglesi nell’ India ; finalmente divenne membro del Par lamento, e morì a Marsilia il 14 febbraio 1817. (*) Ved. il bultettino bibliografico N.° 57. 132 | Albani, Giovanni Francesco ; nipote del Papa Clemente XI, cardinale , vescovo di Ossia, decano del Sacro Collegio ec.; na- cque nel 1720: fu dotato dalla natura di molto spirito, di una bella presenza , e di una sorprendente sagacità . Egli fece i suoi studi con rapidità, ed all’ età di 27 anni fu creato cardinale. Pervenuto troppo presto alla porpora egli trascurò gli affari ec- clesiastici, e si abbandonò ai piaceri ed all’ ambizione ; fu in- caricato del ricevimento degli ambasciatori nel Conclave. Egli dovè la sua maggior reputazione ai gesuiti, che dopo la famosa’ bolla Unigenitus furono costantemente protetti dalla famiglia Al bani: in seguito divenne uno dei più cospicui membri della Con- gregazione di stato creata per informare gli affari relativi alla Francia, e si dichiarò energicamente contro i principj rivoluzio- nari. Allorquando i francesi entrarono in Roma, il cardinale’ Albani si nascose in una abazia che gli apparteneva, di dove poi passò a Napoli, quindi a Venezia, ove contribuì all’ esalta- zione di Pio VII, e morì in Roma nel settembre del 1803, in età di 83 anni. Gli si rimprovera di essersi lasciato dominare da un tal Mariano suo cameriere. Per altro il cardinale Albani non lasciò di esercitare la giustizia, e di 'adempire ai doveri dell’ umanità, a segno tale chie malgrado la sua avversione per i rivoluzionari ; non tralasciò di proteggere i democratici di Ro- ma quando furono, perseguitati . Questi tre articoli mancano certamente nel primo tomo della Biografia universale , altri dg stati omessi nei , susseguenti volumi. Jo son ben lontano dall’ incolpare i traduttori di Venezia di tali mancanze; solo mi permetto di osservare che allorquan- do si volle dare alla luce in Italia un’ opera tanto interessante, dovevasi, per quanto era possibile , procurare di completarla . Quando le piaccia che io continui a darle nota degli arti- coli che io ho riscontrato mancare nella Biografia ‘universale, mi farò un pregio d’ indicarglieli all’ oggetto di renderli di pubblica ragione col mezzo del giornale da lei tanco meritamente diretto. Ho intanto il piacere di confermarmi con tutta la stima Devotissimo Servitore BRITT. BARTORELLI 133 BULLETTINO SCIENTIFICO N° IV. Gennaio 1824. Scienze Mediche. Presentando ai nostri lettori un quadro dei principali pro- gressi che si son, fatti nelle scienze mediche entro il giro del ca- duto anno, o che almeno sono pervenuti a nostra notizia in quel tempo, siamo ben lontani dal presumere di voler tessere un com- pleto saggio istorico dello stato della medicina in questo periodo: nè ad altro intendiamo, che a raccogliere le novità più importanti che hanno avuto luogo nei diversi rami dello studio medico, per quanto permettelo la tenuità delle nostre forze, e la natara di un giornale, che non destinato esclusivamente alle cose mediche, non può ammetterle se non in. quanto che la medicina e le scien- ze che la compongono, forman parte della letteratura e della fi- dosofia generale . Anatomia umana, e comparata. I lavori veramente grandi e magistrali che da uomini som- mi furon fatti, specialmente nella ultima metà del secolo passato , e sul cominciare del presente nel vasto campo della 'anatomia umana , può dirsi, che abbiano esaurito la materia in ciò spe- cialmente che riguarda alla parte descrittiva e dimostrativa delli oggetti dei quali si occupa questo ramo di medicina ; talchè dopo l’ampia messe raccolta già dai nostri predecessori, non sembra restare altro per i contemporanei, che ‘illustrare con ul- teriori investigazioni l’intima fabbrica, e gli usi specialmente, e le funzioni delli organi della macchina umana. Nel far la qual cosa, rincontrandosi taluno ad osservar tali parti, la descrizione delle quali non è ovvia presso la generalità delli scrittori, o non lo è almeno nei più recenti, accade ben sovente, per la mancan- za crediamo noi di una esatta storia anatomica, che si creda non di rado essere stata fatta una scoperta, quando in. sostan- za non fù osservato se non una cosa, la quale, in grazia uni- ‘camente della sua tenuità suole sfuggire , o è infatti per lun- go tempo sfuggita, anco ai più attenti anatomisti. Per questa sola ragione fù indotto forse il Prof. Horner di Filadelfia a ‘credere di avere scoperto un nuovo. muscolo mell’occhio umano, il quale prendendo origine. dall’ osso unguis, 134 ìn vicinanza alla sua tdnione coll’ osso piario, è portandosi in avanti ed in alto fino alla interna commessura della palpebre termina in vicinanza dei punti lacrimali , servendo così a fa- worire la forza assorbente di questi punti, ad accostare le palpe- bre al bullo dell'occhio, ed a promuovere anco in qualche par- te la discesa delle lacrime dal sacco nel canal nasale. Questa pretesa scoperta anatomica, cui fecero plauso in breve tempo i più accreditati giornali di Europa, e che fù co- me tale convalidata dal Prof. Trasmondi di Roma,e da altri valenti scrittori italiani, fù però ridotta al suo giusto valore dal Sig. Prof. Flajani, il quale con non ordinaria erudizione mostrò essere il suddetto muscolo dell’Hòrner già noto agli amatomici del passato secolo, fia i quali, secondo la testimonianza dello Scro- binger, il Daverney ne fù il primo e vero discopritore , e di eui fù pubblicata poscia nel 1805 colle stampe di Weimar un’ ec- cellente tavola dal Rosen-Muiller. Senza verun apparato o pretensione di novità, ma con real vantaggio ed incremento dell’arte, furon fatte dal Rosenthal di pubblico diritto le sue osservazioni sulla strattura dell’asse della coclea nell’orecchio dell’uomo , colle quali intese a rettificare ciò che con ripetute dissezioni , egli trovò di inesatto su que- st’ articolo nella descrizione dell’ asse della chiocciola del som- mo Scarpa. Secondo i risultamenti del professor tedesco que- st’asse è formato da una sostanza esterna più solida, e da una interna più friabile, come lo scrisse già il Prof. di Pavia: ma gli sembra che lo Scarpa abbia omesso di parlare di una. cîrco- stanza molto importante; la quale consiste in ciò che la pelli- cola esteriore tubulosa appartiene piuttosto alla lamina spirale che all’ asse; ed è separata dalla massa più compatta. per mezzo di un’ canale considerabile. Questa. pellicola tubulosa ascende in ciascuna voluta della branca interna , separata da un'tramezzo di sostanza più compatta dell'asse, e va a rag- giungere la lamina spirale, perdendosi nel di lei strato infe- riore . Questo intervallo. costituisce un canale, che in un colla branca ‘interna si avvolge attorno all’asse, fino all’ infun- dibolo ; in modo che questo canale (canalis spiralis modioli) segue esattamente il. solco spirale foraminoso (traetus spiralis fora- minulentus) esistente nel fondo del canal nervoso comune. Don- de risulta che tutti i fili nervosi, i quali passano pei fori di questo solco vi si introducono; e sotto l’aspetto di delicattissimi filamenti si espandono sulla lamina spirale. I fili destinati per | 135 la prima voluta ascendono applicati immediatametite contro la lamina tubulosa interna, quelli della seconda voluta giungono ‘per questo canale alla sostanza tubulosa della lamina spirale, che appartiene loro, e così di seguito; mentre la situazione di questo canale e la sua considerabile larghezza, fanno vedere non doversi considerarlo qual semplice divaricazione delle pareti della lamina spirale , come da taluno fù dettò. Sebbene dopo Galeno, non pochi valenti anatomici si fos- sero occupati della descrizione de’nervi dell’utero, pure deside- ravasi tuttora una più finita illustrazione della loro origine, e del loro corso. Devwonsi al Sig. Tiedman molte pazienti ed inge- gnose ricerche intorno al sistema di questi nervi, mercè le quali ricerche, instituite non’ tanto sull’utero di donne venute a mor- te dopo il parto, quanto ‘ancora su quello di molte femmine di altri animali, stabilisce l’anatomista tedesco che le parti ge- Nitali interne, l’atero; l’ovaie, e le tube ricevono i loro ner- wi dalla porzione ‘addominale de’ nervi trisplacnici ; i rami de’quali variamente intrecciati formano sei plessi, e questi con innumerabili ramificazioni , sottilissime prima della pubertà e pas- sata l’età della fecondazione, più voluminose nelle maritate e nelle nubili, diffondendosi sull’utero e sulle sue appendici, danno a tatto il sistema femminino interno della generazione quella squisita sensibilità, non meno che quella general simpatia con tutti gli altri visceri, la quale fece dire al Van Elmont, che pel solo utero la donna è ciò che è. Appartengono pure in qualche modo all’istoria anatomica; sebbene di più special pertinenza a quella delle mostruosità per ec4 cesso di parti, due singolari osservazioni del medesimo D. Tiede- mann, la prima delle quali consiste in una non comune molti- plicazione del sistema muscolare, rimarcabile più che altrove nei muscoli pettorali, nei glutei, ed in altri ancora: mentre la se- conda offre esempio di un fenomeno ben più raro ed importan- te, quale si è quello della coesistenza nell’istesso individuo di un doppio apparato del sistema generativo muliebre, ed in cui due vagine, connesse ciascuna con un utero separato, faceva no questi due visceri suscettibili di gravidanza indipendentemente l’ uno dall’ altro, rendendo per questo modo possibile la su perfetazione ; fenomeno che sebbene credibile in alcuni casi, non ha però a suo favore in molti altri l'appoggio di tali autorità da escludere o da infirmare le contrarie dubitazioni r36 Fra i principali. uffici :cui vien destinata l’ anatomia: com@ parata, uno si è quello di cercare per di lei mezzo la conferma od ampliazione delle ricerche, che dagli anatomici si istituisco- no, onde chiarire l’intima struttura delle parti costituenti la mac- china animale, e ciò ‘appunto perchè le conclusioni a cui’ con- ducono sì fatte indagini debbono per necessità essere tanto meno fallaci, o più certe; quanto maggiore sarà il numero delle specie degli animali, nei quali trova conferma la verità che vuolsi illustrare; e da simile divisamento appunto sembra essere stato guidato il Signor Trevitanus , allorchè imprese a esaminare l’iotima fabbrica della decussazione de’nervi ottici nella simia aygula. Aveva già prima di ogni altro osservato il Vieq d’Azyr, ‘che, nei nervi ottici dell’uomo precedentemente indu- rati per mezzo della lunga immersione nell’alcool, le fibre del- l’esterno contorno della superficie superiore ed inferiore della lorò decussazione vanno immediatamente all’occhio del lato cotrispon- dente ; mentre la parte media contiene un tessuto omogeneo . I Venzel esaminando col microscopio una sezione orizzontale del- l’incrociamento di questi nervi furono condotti ad una pari con- clusioné, e trovarono che essi sono composti di fibre longitu- dinali, alcune delle quali erano più larghe, altre più strette, ‘ non separate però manifestamente l’una dall’altra, nè disposte come le fibre muscolari, ma distribuite in varie guise: che la maggior parte di esse fibre , quelle cioè occupanti il lato e- sterno del nervo ottico; seguono la direzione istessa dall’oc- chio fino al talamo corrispondente: e che al contrario la por- zione più piccola, ossia quella che occupa la parete inferiore del nervo si dirige obliquamente al lato opposto; senza però che vi sia verun incrociamento manifesto nelle fibre al punto’ della loro giunzione. Queste osservazioni sono state in gran parte con- fermate da quelle del Treviranus, istituite sul maschio di una simia aygula . Tenute immerse per qualche mese nell’ alcool le radici di questi nervi: egli potè, coll’ajuto di una lente non molto forte , far vedere la struttura fibrosa dell’esterno con- torno di essi; ed in altri, stati lungamente infusi in una solu- zione di potassa caustica , e spogliati del loro involucro giunse a scuoprire, che le fibre ‘della parte superiore di ciascuno, pro- gredivano dalla loro estremità cerebrale fin dentro all'occhio, senza unirsi a quelle del lato oppost6; mentre per lo contra- rio le fibre interne ed inferiori di un nervo vanno al lato op- posto, e si uniscono-con quelle dell’opposto nervo. Era difficile a decidere se alcune di queste fibre passassero in effetto da 37 nin ‘lato all’altro; intorno alla qual cosa egli si dichiara per l’af- fermativa, e solo si potè osservare che la massa totale delle. fi- bre interne intralciate insieme era assai più voluminosa «delle e- sterne, e che andavano all'occhio senza unirsi a quelle del lato opposto. Di non minore importanza di quelle del Treviranus sono pure le giudiziose ricerche del sig. F/eiscmannr sulla formazione della trachea . Sebbene per le osservazioni raccolte da Malpighi fino a Soemmering e Keisseissen siano state esattamente illustrale la struttura e le funzioni dell’ aspera arteria, niuno però si era fin qui occupato di investigare il primo sviluppo di quest’ orga- no sì importante alla vita nell’ economia animale. Accintosi alla soluzione di un tal problema il sig. Fleisemann, ha potuto, mercè specialmente gli ajuti della anatomia comparata, giungere a con- fermare con nuove ed ulteriori osservazioni, ciò che in un suo programma De chondrogenesi asperae arteriae egli aveva già scritto sulla prima formazione della trachea, e che può ridursi ai seguenti corollari, cioè: ; 1, Che lo sviluppo dell’ aspera arteria si fa con lentezza, si- curamente perchè le funzioni di questo organo non sono molto importanti nella vita fetale : 2. Che la di lei formazione deve ciò non pertanto incomin- ciar ben presto, perchè nell’ embrione di sei settimane, essa. ras- somiglia già ad un grosso filamento ; nel quale però non si.cono- sce traccia veruna di cartilagine, ma che è affatto membranoso, ed ha la medesima apparenza che si osserva fino al nono giorno nel pollo contenuto nell’ovo covato: 3. Che al settimo mese essa è tuttora membranosa ; ma che la membrana ba di già acquistato una certa consistenza: 4. Che la prima comparsa degli archi cartilaginosi incomin- cia solo a manifestarsi nell’ ottava settimana ; i quali archi sono molto più visibili a destra che a sinistra, mentre si vedono ap- pena anteriormente e posteriormente, ove la trachea continova tuttora a presentare l’ apparenza di. un canal membranoso : 5. Che verso la decima settimana li archi si manifestano d’avvantaggio nella parte anteriore, mentre sono ancora poco sviluppati posteriormente, e sui lati: 6, Che da quest’ epoca in poi continovano ad accrescersi in lunghezza e in larghezza, ma che molti sono più molli e sot- tili anteriormente e sulla linea mediana che sugli altri punti; e che vi sono ancora incompleti sul loro margine superiore , ove presentano un incavo, o smangiatura più o meno profonda : 138 7. Che per conseguenza la trachea è in principio membt@» nosa , come nei rettili; che diviene in seguito cartilaginosa, come nella maggior parte degli uccelli ; che per qualche tempo consta di piccoli archi separati li uni dalli altri, disposizione permanente in questi animali; che in seguito queste cartilagini si ravvicinano conservando unicamente una specie di divisione anteriormente ; e che in fine acquistano per gradi la forma e la durezza che han- no nei mammiferi, e specialmente nell’ uomo: - 8. Che le cartilagini della laringe pure sono membranose in principio, che non cominciano ad acquistar solidità e natura car- tilaginosa se non in capo alle otto settimane; e che in fine, nella guisa medesima delli archi della trachea, non sono composte in principio che di pezzi separati sulla linea mediana, ove non sono connesse che per una sostanza membranosa intermedia. Fisiologia. Se dietro gl’insegnamenti del gran Bacone da Verulamio , l’Haller si rese veramente benemerito della fisiologia purgandola, mediante la sicura guida della esperienza , dai molti errori nei quali egli la trovò avvolta pei sofismi dei dommatici , noi ab- biamo veramente di che congratularci col nostro secolo , il cui carattere anco nella fisiologia } sembra appunto il gusto di espe- rimentare. Nella quale ubertosa palestra, se mon tutti i tentativi conducono allo scopo prefisso, mostrano al certo che nello studio di questo importantissimo ramo della medicina, si è indirizzati nell’ unica e vera strada per cui si possa giungere con sicurezza al discuoprimento del vero. Fra i moltissimi lavori di tal genere venuti recentemente a nostra notizia noi trasceglieremo i più importanti , giacchè il com- prenderli tutti eccederebbe di troppo i limiti che ci siamo pre- fissi . VVilson Philip con una serie di esperienze particolari condanna d’insufficienza quelle notissime di Le Gallois, tendenti a far conosce- re che la forza dei movimenti del cuore e indipendente dal cervello, proviene dalla midolla spinale. Egli sostiene dietro molti fatti, che la forza di quest’ organo non deriva nè dalla midolla spinale, nè dal cervello direttamente; osserva che al sistema dei gangli nervosi è riserbato l’ufizio d’ influenzare il cuore., questo muscolo non sog- getto all' impero della volontà j questo sistema intermedio riceve secondo esso l’ influenza nervosa da tutti i punti del cervello e del suo prolungamento per raecoglierla, per concentrarla, e dif- | | | | ‘139 fonderla su i diversi orgini sui quali agisce, non escluso fra que- sti il cuore. Distingue i muscoli volontari da quelli che non lo sono (il che non è nuovo in fisiologia) assegnando ai primi uno stimolo, uh principio motore , immateriale , diretto dalla vo- lontà imperante su i nervi, ed osservando nei secondi , uno sti- molo materiale indipendente dalla volontà , come sarebbe il san- gue rispetto al cuore. Non solo il cuore, ma anche tutti gli or- gani destinati per le funzioni secretotie e assimilatrici , dimo- stra che sono regolati dai nervi ganglionari. Sembra potersi obiet- tare, che essendo trasmessa ai gangli dal cervello ; e dalla mi- dolla spinale questa influenza ,' distrutti che siano questi due. organi, verrà a cessare questa influenza medesima, e questi gan- gli non la potranno ricevere , onde se ne dovrà in tal caso la propagazione al cervello ; e alla midolla spinale. Di più in- fluenzando il sistema dei gangli l’ azione del cuore , e d'altron- de l’ apparecchio nervoso resultante dalla midolla spinale of- frendo molti di questi gangli, non sarà affatto insussistente l’opi- nione di Le Gallois, che faceva dipendere il moto del cuore dall’ azione della midolla spinale. Forse l’ aver sott’ occhio tutti gli esperimenti di Wilson Philip potrebbe meglio dilucidare que- ste dubbiezze. I resultati delle ingegnose esperienze fisiologiche di .M. Fodera hanno richiamata giustamente l’ attenzione dei dotti. Egli tende a dimostrare con queste che l’ esalazione che chia- ma trasudazione, e l’ assorzione che chiama imbibizione, non so- no che un solo e medesimo fenomeno dovuto all’ imbibizione dei differenti vasi, operata nel primo caso dall’ interno all’ es- terno del vaso , e nel secondo caso dall’ esterno all’ interno. Senza riportare tutti i suoi esperimenti, ne trasceglieremo qualcuno che ci offra un’idea dei resultamenti che ne ha ottenuti. Avendo Magendie osservato che l’ assorzione venosa si fà per imbibizione, isolando completamente una porzione di vena, e ponendo la stia superficie a contatto con un' veleno energico, nella qual circostanza egli ne ha ritrovata la. presenza alla su- perficie interna del vaso stesso , egli ha istituita l’ esperienza inversa. Ha iniettata una sostanza venefica con tutte le pre- cauzioni possibili dentro una porzione d’ arteria posta fra due legature, ed ha avuto luogo l’ avvelenamento. Lo stesso è accaduto riempiendo di veleno un’ ansa d’in- testino isolata. Nella cavità peritoneale d’ un coniglio ha porta- ta. un ansa d'’ intestino tolta ad un altro animale, e ripiena 140 d’ idrogeno solforato: Dopo qualche tempo. si manifestarono. i «segni d’avvelenamento ,, e più non si ritrovò nell’ intestino :d'iidrogeno solforato. } M. Fodera ha riempita un’ ansa intestinale di coniglio d’una soluzione di prussiato di calce, e l’ ha immersa in una soluzio- ne d’idrocolorato di calce; un’altra ripiena d’ acido idroclo- rico la pose nell’ acido solforico ; finalmente collocò una vessica contenente della tintura di laccamuffa in una soluzione di galla. Dopo un, certo tempo trovò dentro i detti recipienti porzione dei nominanti fluidi esterni, ed esternamente ritrovò porzione dei fluidi interni, riscontrando gli uni e gli altri con gli opportuni reagenti. Nel cadavere adunque si opera la trasudazione dei li- quidi dall’ esterno all’ interno , e dall'interno all’esterno dei vasi e degli intestini nel medesimo tempo. Legò parimente l’ arteria e la vena. mesenterica d’ un .co- niglio, pose l’ansa d’ intestino a cui questi vasi si riuniscono in una soluzione di potassa ben calda, ed iniettato nell’ interno _del'a vena una soluzione egualmente calda di solfato di ferro, ri- trovò della soluzione di solfato di ferro nel fluido dov’ era im- mersa l’ ansa intestinale, e del prussiato di potassa colò dall'in- cisione fatta all’ arteria. In questa esperienza adunque l’ arteria assorbe, e la vena esala. Sembra dunque non essere eseluse l’ar- terie dall’ assorzione. Altre esperienze istituisce il medesimo autore per bilanciare Ja opinione di Darvvin, Wollaston, Brande, e Marcet tendente ad ammettere che varie sostanze introdotte nello stomaco si trovano. mescolate. con l’orina senza esser . passate nè per i vasi linfatici, nè per i sanguigni. Introdusse con le necessarie precauzioni una sciringa nella vessica. d'un animale. Scoprì 1° esofago alla parte anteriore del . collo , e iniettò. nello stomaco una soluzione di pochi. grani di idrocianato ferrurato di potassa. Nell’ orina dell’ animale ri- ..troyò il prussiato iniettato nella prima esperienza dieci minu- ti dopo ; ed in un' altra, che ripetè, nel lasso di 5 minuti. Apri gli animali nell’ istante, e riscontrò questo sale nel siero del sangue della porzione toracica della vena ‘cava inferiore ; nel- le cavità :cordiache , nell’ aorta , nel canal toracico , nei gan- gli mesenterici,. nei reni, nelle articolazioni stesse ; ‘e’ nella «membrana mucosa dei bronchi- Si rileva da questo la somma sapidità dell’ assorzione, e si vede che il prussiato di potassa &#ftrovato nell’ orina vi è portato dalle vie circolatorie ‘ordinarie. I4I Nòn può negarsi che l’ insieme di queste osservazioni e’ d’ altre consimili che tacciamo per brevità non presenti una! novità | sorpreridente e singolare, e che non sia per diffondere molta luce su vari punti di fisiologia, ». Le ricerche sperimentali del sig.:Du/ong sul calore animale son dirette a determinare se il. calore animale sia dovuto esclu- sivamente all’ organo respiratorio , o se vi si aggiunga qualche altra. causa ‘coadiuvante, Senza dettagliare minutamente gli espe- rimenti di M. Dulong faremo osservare che egli pone in un calorimetro. ad acqua che'è due gradi sotto alla temperatura: dell’ aria ambiente un, animale. collocato in una custodia dis metallo costruita in guisa da potervi respirare. Si fa in motto» che l'aria espirata dall’ animale circoli per dei tubi a travetgòo alla. massa dell’ acqua; e vi depositi il suo calore, che vien misurato; da dei termometri delicatissimi. Si sà rigorosamente-Ia. quantità d’ aria contenuta nel recipiente dell’ animale , si -cal- cola egualmente quella che ne ‘esce, talchè quando |’ acqua del calorimetro in un dato spazio di tempo ha acquistato tanto di calore in più, quanto in meno ne aveva in avanti, rispetto al- } aria ambiente non resta. che analizzare coi metodi ordinari l’aria espirata che si raccoglie nel cilindro ‘d’un gazometro, mentre altro gazometro tramanda nel recipiente | aria da. re+ spirarsi per l’ animale: fatta quest’ analisi si deve confrontare il calore unito all’acqua con quello che è rappresentato dall’as- sorzione deil’ ossigeno . Su varie specie di animali ha ripetute le. sue esperienze, dalle. quali resulta che il calore animale è più grande di quello che si sviluppa nell’ atto della respirazione per la fissazione dell’ ossigeno ; vi dev’ essere per. conseguenza un’altra sorgente di calorificazione : il che coincide con le idee dei moderni, fisiologi, e segnatamente di Richerand e. Magendie , che riconoscono uno sviluppo di calorico. nelle composizioni , e scomposizioni che si fanno nelle varie funzioni della vita organica . Le ricerche del sig. Flowrens sono da noverarsi fra i più im- portanti lavori fisiologici ‘dell’ anno decorso ; sebbene una via si- mile sia stata battuta assai, prima dall’ egregio protessore italiano Rolando. ‘Tralasciando, di esaminare i punti di contatto che pos- sano avere fra loro li esperimenti ed i lavori di questi due ;be- nemeriti fisiologisti, ci limiteremo a dare un conciso ragguaglia 142 delle conclusioni cui è giunto il professor francese; essendo già note quelle del prof. di Turino. Secondo il sig. Flourens il sistema nervoso godendo di due proprietà essenzialmente distinte, una destinata ad eccitare la contrazione muscolare, l’ altra a ricevere le impressioni, egli imprese a determinare per la via della esperienza quali fossero le parti di questo sistema, destinate esclusivamente alle sensazio- ni, e quali alla contrazione. E siccome l’ unico mezzo di porre in chiaro la sede di ciascuna delle due proprietà poteva unica- mente conseguirsi col solo esame delle singole parti; così il sig. Flourens ha sottoposto ad esperimenti separati e vicsadevoli i ì nervi, la midolla spinale, la midolla allungata , i tubercoli qua- drigemini pil riders; s ed i lobi cerebrali. Resulta dalle sue pra . Che i nervi, la midolla spinale, la midolla allungata , ed i toiuregl quadrigemini , sono capaci di eccitare le contrazioni muscolari : 2, Che esse non sono eccitate dai lobi cerebrali; e dal cer- velletto. L’ Haller e lo Zinn avevano già notata l’ insensibilità delli strati esteriori dei lobi cerebrali ; Lorry quella del corpo calloso; ed il sig. Flourens ha per la prima volta osservato quella della totalità di questi lobi nel cervelletto , fissandone i limiti nelle eminenze quadrigemine. Procedendo più oltre nelle sue esperienze, ha osservato che irritando un nervo , separato già dai centri nervosi per mezzo della legatura , o della recisione , l’ eccitamento si limita unicamente a brusche e parziali contrazioni dei muscoli cui si distribuisce un tal nervo; dal che concluse che il nervo a propriamente par lare, serve unicamente alla contrazione. Avendo successivamente recisa la midolla spinale sopra la di lei espansione posteriore , sopra l’ anteriore, ed in vicinanza dell’ occipite, l’animale perdè in prima l’uso delle estremità po- steriori, quindi quello delle anteriori , ed in ultimo luogo quello del tronco: ma in tutti questi casi, le estremità anteriori; le posteriori , ed il tronco conservarono i loro moti collettivi (m20u- vemens d’ensemble). Alle quali cose devesi aggiungere che questi moti hanno luo» go unicamente inseguito ad irritazioni esteriori. E mentre si per dettero in principio , la consentaneità o coordinazione di questi moti nel saltare, nel volare, nel camminare , nella stazione ; ed in secondo luogo la volizione di questi moti medesimi; rimasero 143 però le contrazioni, e la connessione di queste contrazioni nei movimenti associati. La spinal midolla adunque serve propriamente a collegare le contrazioni muscolari in associazione alla volizione, ed alla coordinazione di questi moti , risedente altrove. L’ irritazione della. midolla spinale occasiona sempre con- vulsioni violente. La di lei distruzione può portare alla morte, ma questo ultimo. effetto dipende dalla di lei azione sui moti invo- lontari, L’ asportazione di una delle eminenze quadrigemine è segui- ta costantemente dalla perdita della visione dell’occhio opposto,, L’ irritazione di uno di questi. tubercoli determina contrazioni dell’ iride del lato opposto , mentre la di lui completa abolizione ne estingue completamente le contrazioni. Risiede adunque in que- sti tubercoli il principio primario dell’ azione dell’ iride e della retina . In proporzione che si taglia via il cervelletto per strati suc- cessivi, l’animale perde gradatamente .la facoltà di volare, o di. correre ; quindi quella di passeggiare , ed in fine quella di stare in piedi, i Remosso uno solo dei lobi del cervello, l’animale perde su. bito la visione dell’ occhio opposto ; continova però la contratti- lità nell’ iride di quest’ occhio, nonostante che l’animale provi in principio una debolezza molto più manifesta della parte opposta del corpo. Asportando ambedue i lobi non vi è più vestigio di volizione ; o di memoria , o di qualunque siasi percezione ; dal che conclude il sig. Flourens che la memoria , la. volizione, e la prcezione risiedono nei lobi del cervello, Era noto fin qui chele sostanze capaci a servir d’alimen- i to, introdotte in istato fluido entro l’ intestino retto venivano i trasportate per mezzo del sistema linfatico entro il torrente della circolazione ; anzi si, traeva da lungo tempo partito da questo singolar fenomeno, onde riparare alla nutrizione di co- loro, nei quali per cause morbose, non poteva. aver luogo la introduzione o la digestione delli alimenti entro lo stomaco e | nel tenue intestino, Ma' non era noto del pari; o non ‘ilo era abbastanza, se l’azion vitale dell'intestino retto operasse verun | cambiamento sui fluidi .che .vi. si insinuano, prima che vi ven- | gano assorbiti, ed ignoravasi ugualmente se cambiamento al- i cuno subissero, per l’ effetto di questa medesima forza vitale, \.le sostanze animali solide che colà venissero introdotte. I sig. | Sillar ed Hood, tentando di chiarire questo punto di fisiologia i : | | | i 144 assicurano aver osservato, che le sostanze alimentari si scom- pongono ugualmente bene nell’ intestino retto, che nello sto- maco ; giacchè introdotto nell’ intestino ‘(retto di un ‘cane un pezzo di montone arrostito, o leggermente sparso di salé ,' ed: estrattolo dopo ‘2 ore, lo trovarono cambiato esternamente in una pasta omogenea; e come saponosa, di un bruno: ‘bianca- stro ; sebbene conservasse nel centro un’ apparenza filtrosa. E spingendo anco più oltre le loro indagini giunsero, per quanto almeno si dice, a discuoprire che cambiamenti analoghi a questi, vennero pure subiti da un pezzo della medesima car- ne, che previa una simile preparazione, fu introdotta in una ferita, fatta nella ‘coscia dell’ istesso animale ; e colà mante- nuta per tredici ore. Anzi ripetuto un secondo esperimento, dopo l’ estrazione del primo pezzo di carne dallà ‘ferita, fu trovato che il secondo vi subì cambiamenti ancora più sensi- bili in sole:sette' ore, giacchè in capo a questo tempo si trovò . la carne convertita in una sostanza molle} e che non presen- tava veruna traccia fibrosa; dal che conclasero doversi questo diverso risultamento al diverso grado di vitalità che passa fra una ferita infiammata, ed ana che non lo è, 0 lo è meno. Or qui, senza pretender noi di voler portare verun deci- sivo giudizio sulli esperimenti intrapresi dai due citati fisiolo- gisti ci permetteremo soltanto di ‘osservare, che esperienze si- mili, ripetute con somma precisione da due diligenti giovani studiosi della mostra città (i signori Biancini e Zannetti) hanno dato risultamenti affatto diversi da quelli testè citati, giacchè la carne preparata secondo i precetti del Sillar e dell’ Hood, ed introdotta nell’ intestino retto, e nella ferita, o non subì verun cambiamento circa’. ai suoi caratteri fisici, o si trovò in qualche caso, che a ‘capo di dodici ‘ore, mentre conservava un aspetto. fibroso. ed un colore identico a quello che aveva allorchè vi fa insinuata, tramandava poi un. odor sui generis, e. simile in. qualche mer a quello che si solleva dalle carni in putrefazione. i Anatomia patologica j e Patologia . Sebbene presso . taluni siano reputate di ugual valore, e te- nute .im pari accezione’ queste due ‘espressioni, pure lo scopo di ainbedue queste parti di medicina è sensibilmente diverso ; comè, più che':da ‘ogni altro, è stato recentemente dimostrato da Pring. Tale è però la loro reciproca influenza; che mal si 145 potrebbero disgiungere nello studio, come male. se ne potreb. bero apprezzare gli avanzamenti, ove disgiunto ne andasse l’e- same e la contemplazione. Quindi riuniremo ancor noi in un medesimo articolo ciò che di più importante jsi è fatto. in questi due rami dello studio medico, che possono ben’a ragio- ne considerarsi come la pietra angolare della vera . medicina ‘suatrica , Il D. Baron di Gloucester ha investigato con, molta atten- zione i primordi della malattia tuberculosa , ed in un suo re. cente scritto egli avanza alcune opinioni affatto nuove, rispetto all’ incremento dei. tubercoli entro ai polmoni. Il Basllie, ed il Laennee convengono che i tubercoli, allorchè cominciano ad esser percettibili possiedono un tal grado di consistenza, per cui si possono distinguere col tatto dai vari tessuti che li cir- condano : all'incontro però il D. Baron sostiene, che al mo- mento della prima formazione dei tubercoli entro ai polmoni, essi non possono esser discoperti col tatto a cagione della lo- ro estrema delicatezza, e della loro natura elastica . Un’ altra affezione patologica del polmone , rara del pari. ed iniportante, fù illustrata dai signori Andral e Breschet colla dissezzione di un cadavere, i polmoni del quale furon trovati ripieni di idatidi, di cui alcune erano situate entro alla cavità delle vene polmonali. Queste idatidi, varie in grandezza ed aventi tutti i caratteri delli «cefa/isti erano rinchiuse in va- rie cavità o borse di superficie levigatissima , e {che a primo aspetto apparvero altrettante cisti; altre vuote, ed avvolte a più giri sopra sè stesse erano contenute in canali stretti, dei quali essi avevano assunta la forma allungata, mentre quelle che erano contenute entro le vene, stavano, per così dire, ran- nicchiate entro altrettante dilatazioni delle vene medesime. Fra le numerose osservazioni pubblicate da pochi anni a uesta parte, sul cambiamento di struttura cui va sogget- to il cervello in alcune malattie , specialmente d’ indole lenta, sono di un particolare interesse quelle del Sig. Pinel sall’ in- durimento del cervello, e della midolla spinale nelli idioti, Osservando attentamente la massa cerebrale , la porzione in- durita si presenta sotto |’ aspetto di una massa compatta, ed \ inorganica, il di cui colore e consistenza è simile a quella \ dell’uovo bollito. Esposta all’azione del calore, questa sostan» | wa si raggrinza, tramanda un odor forte e permanente , © | Jascia un residuo scuro, compatto e lucido : mentre una simil | "I, XIII. Gennaio 10 } i | 146 porzione di cervello sano, in circostanze simili, si espande , tramanda pochissimo odore, non lasciando che piccolissimo re- siduo di color brunastro. Questi cambiamenti si limitano alla sostanza midollare, o almeno il sig. Pinel non li ha mai tro- vati nella cinerea. La sostanza nervosa della parte viziata si lascia sciogliere in istrati fibrosi, la direzione de’ quali varia nel cervello, nel cervelletto, e nella midolla spinale: nel quale stato si può facilmente {dimostrare l’ esistenza, e la distribu- zione delle fibre cerebrali negate da taluno, ma dimostrate da Vieussens, da Reil, da Gall, e da altri ancora, Il morboso processo infiammazione, che celato insidiosamente sotto mille variate forme costituisce l’ essenza della maggior parte delle malattie, è causa di un fenomeno veramente sin- golare, che si mostra nei tessuti organici da esso invasi, e che consiste nel rammollimento dei tessuti medesimi , nei quali eb- be sede l’ infiammazione. La singolarità e l’ importanza di que- sta alterazione patologica, comecchè già conosciuta in parte e descritta, è stata di recente studiata accuratamente, ed illustrata con nuove osservazioni dal Prof. La//emand di Montpellieri. Av- verte questo giudizioso osservatore che se il polmone per es., ag- gregato di cellule ripiene di aria, ed il più semplice fra li organi della macchina umana, rimanga assalito da condizione flogistica , sottentra talvolta il sangue nel luogo di un fluido leggiero ed elastico, per lo che il tessuto polmonale si rende più pesante e più sodo, essendovi aumento di densità. Nello stesso tempo il tessuto celluloso perde la sua elasticità, e la sua tenacità, giac- chè si lascia penetrare e dividere dalle dita colla massi. ma facilità. Più tardi la marcia prende il posto del sangue, si infeltra nel tessuto cellulare, e. la fragilità del polmone au- menta colla sua densità. Si scorge in questo esempio coesione diminuita, e densità aumentata ; condizioni prodotte nel mede- simo organo dalle medesime cagioni, ma facili però a distin- guersi, stendendo quindi questo acuto patologista il suo esame allo stato di tutti li altri tessuti, investiti da infiamma- zione, fa riflettere, come l’ istesso ordine di cose abbia luogo nel flemmone, e come la cute che inviluppa o. ricuopre un ascesso non si rompe per un processo di modificazione, ma per un vero rammollimento che vi induce la flogosi, da cui è in certo modo, ridotta in pappa; non omettendo di fa- re osservare che a questo rammollimento indotto dalla flogo- si devesi ordinariamente la genesi delle esulcerazioni o perfo» 149 sazioni spontanee del tubo intestinale, non ché la recisione delle arterie allacciate, o delli altri tumori stretti fortemente da un filo o da un laccio metallico. Nè ci sembra improbabile , chie ad un simil processo di ram- mollimento debbasi pure la recisione di una porzione del tubo intestinale nella così detta intuscezione, in cui può credersi che l’ anello dell’ intestino, che abbraccia e stringe la porzione inva- ginata , operi sul punto compresso nella guisa medesima che agi- sce il laccio stringente un’ arteria , inducendo cioè nel circolo compresso un processo inflammatorio, cui tenendo dietro il ram. mollimento , e direm quasi la fusione del tessuto intestinale ‘ nel punto strozzato , viene in questa guisa a separarsi la porzione invaginata dalla superstite. Infatti che la cosa accada piuttosto per questa legge, che per una effettiva gangrena della porzione inte- stinale invaginata, lo provano quei fatti istessi, pei quali resulta che individui invasi da questa terribile malattia, restituirono per 6ecesso porzioni più o meno grandi di tubo intestinale, e del cor- rispondente mesenterio , non alterato però, nè spappolato nell’in- timo suo tessuto, ma in tale integrità d’ organismo da lasciare patentemente riconoscere e la presenza, e la struttura delle val. vule conniventi, e la intima fabbrica delle varie membrane com- ponenti le pareti intestinali; lo che non avrebbe potuto aver luogo , in senso nostro , se la porzione dell’ intestino, restituita per secesso , si fosse distaccata dal resto di questo canale per un vero processo gangrenoso , piuttosto che pel rammollimento par, ziale, in quanto che le parti invase da gangrena o non conser- vano affatto traccia di patente organismo , o non la. conservano almeno a quel segno, a cui si legge essere state osservate le por- zioni di intestino espulse per l’ ano. Leggesi infatti nell’ osserva- tore medico di Napoli che una tale Angiola Marrano fu invasa da veemente colica, di cui patì i più violenti dolori per ben 17 giorni, ed in capo ai quali espulse colle fecce per l’ano una porzio- ne di intestino tenue della lunghezza di due palmi e mezzo nel- arco maggiore, e di uno e mezzo nel minore, fornita del corri- spondente mesenterio , e delle valvule conniventi ; per le quali, e per una più accurata indagine dell’ intima struttura delle men. brane da cui era fornito , fu giudicata tale porzione d’ intestino appartenere dll’ileo , nè andò errato il D. Ajello in queste suo giudizio, imperocchè sottrattasi questa donna a sì terribile infer- mità, e morta poi sei mesi dopo, forse per le conseguenze del primo male , la necroscopia mostrò raggruppato ed aderente l’ intestino lenue, diminuito già molto in lunghezza, ed assai ristretto e mancan- 148 te del mesenterio, nel punto ove era ‘successa l’ invaginazione e. la recisione; ad onta della qual recisione esisteva però spazio ba- stante per la circolazione delle materie fecali, che, per continovare il loro corso, erano obbligate a fare in quel punto un mezzo giro. Di un fatto poi analogo a questo si tien. parola nella Ri. vista medica (Agosto 1823) ove si narra di un tale, il quale in seguito di abuso nel vitto fu sorpreso da colica, accompagnata da tutti i segni dello strozzamento interno dell’ intestino. Sì fatti sconcerti continovarono per dodici giorni, e. cessarono coll’ espulsione di ben trenta pollici di intestino tenue, guar- nito del corrispondente mesenterio . Il malato si ristabilì per- fettamente in salute; se non che, tre mesi dopo, per sover- chia ingurgitazione «di ciliege!fu preso da valida entro-peritonite, di cui morì . La dissezione del cadavere che non potè aver luogo, avrebbe convinto i più increduli, i quali seppure ve ne hanno , possono trovare di che cerziorarsi ampiamente nella seguente osservazione. J. Combs giovane di 20 anni fu assalito dai sino- tomi e dai dolori dell’|intuscezione intestinale; al quarto giorno, sembrando vicino alli estremi di sua vita ebbe grandi scariche ventrali, in una delle quali rese un pezzo d’ileo, lungo diciotto polli- ci, colla corrispondente porzione di mesenterio, Si ristabilì in se- + guito perfettamente, nè gli restò altro incomodo, tranne un do- lore. verso l'ombelico, da cui fa tormentato per tre settimane, solo allorquando teneva il tronco in erezione: morì dopo tre mesi in conseguenza di febbre tifoide ; e la sezione del cadave- re rese visibile il punto, ove era successa la separazione del- l’ intestino , ed ove aveva avuto luogo la nuova adesione ; la quale sebbene angustasse alcun poco il calibro dell’ intestino- medesimo, pure non ostava alla libera circolazione delle fecce Si è creduto lungamente, che il numero delle ossa for- manti la mascella superiore dei bruti eccedesse di uno il nu- mero di quelle che la costituiscono nell’ uomo, riguardando quest’ ultima come mancante |dell’ osso intermassillare, che si trova costantemente nelli animali. Nelli anni ultimamente de- corsi però, il sig. Series, in un suo interessantissimo lavoro sulla osteogenia fece , avvertire, avergli ripetutamente mostrato }’ osservazione, che quel punto di, ossificazione nella mascella superiore del feto, da cui sono sostenuti i denti incisivi su- periori, rappresenta perfettamente l’osso intermassillare, ma che però all’ epoca della nascita del feto si trova perfettamente riunito alli altri ossi circonvicini. Guidato forse da questo primo | 149 dato il sig, Micazi è giunto, pér quarito assicura, a porre in chiara luce l’ esistenza dell’osso intermassillare nel feto, esami- nandone con paziente investigazione la mascella superiore in varie epoche del suo sviluppo. Egli ha osservato che la ma. scella superiore è formata da tre piccoli ossi, o da tre porzio- ni ossee distinte, uno esterno per l’ apofisi zigomatica , per la parte - esterna dell’ orbita, e li alveoli de’ denti molari ; il me- dio ‘pel corpo della mascella; per le apofisi nasali e palatine, il terzo finalmente è l’ osso intermassillare o incisivo, che può esser separato e distinto dalli altri anco in un feto a termine. Progredendo però l’ossificazione, queste tre porzioni si solidifi- cano e si uniscono fra loro in modo da costituire un solo 0s* so, senza veruna traccia delle. primitive divisioni. Ma se pe- una causa qualunque l’ ossificazione regolare delle varie partir costituenti la mascella superiore non abbia luogo colla neces- saria regolarità; isi. osserva che alcuna delle porzioni ossee da cui. la mascella, resulta, o si forma imperfettamente, o non si riunisce, come si converrebbe, colli altri. Da ciò resultano se- condo, il parere del. sig. Nicati varii vizii di originaria confor- mazione, che possono ravvicinarsi a quello stato patologico ; che chiamasi labbro. leporino; affezione la quale; ugualmente che le sue complicazioni, dipende da ciò che li ossi intermas= sillari superiori, e spesso anco la porzione palatina di questi ultimi, e li ossi propri del palato non sono vicendevolmente riuniti come si dovrebbe. Or da questa non vicendevole unione delle ossa resultando una mancanza di continuità dell’ arcata alveolare, succede che all’ epoca della formazione del labbro su periore, che .tien dietro sempre a quella dell’ arcata. alveolare3 questo pure si sviluppa imperfetto e rimane, fesso per quella porzione ; che corrisponde alla mancanza o. alla divaricazione dell’ arcata alveolare: nè può riunirsi in seguito; quando anco abbia luogo l’intiero sviluppo, o la successiva riunione delle ossa, perchè i margini della divisione del labbro sono coperti dall’epidermide che ne impedisce il coalito. Così dall’incompleto svi- luppo dell’apofisi palatina nasce la fessura del palato j e pel ni- nimo sviluppo di quest’ apofisi resta diviso non solo il, palato osseo, mail molle ancora, e l’ugola; giacchè quello e que- sta hanno col palato osseo; l’istessa relazione, e l’ istessa di- pendenza, che il labbro superiore. hà coll’ arcata alveolare. Sono noti nell’ istoria dell’ anatomia patologica molti casi di più o meno considerabile ostruzione del dutto toracico ; ma niuno i5o forse ve ne era che ne palesasse l’ intiera occlusione , prima. di quello osservato dal sig. Nusse; e che per le sue singolarità ci sembra meritevole di distinta menzione. Fu ammesso nello spe- dale di Bonn nel marzo :1821 un operaio malato d’idrope : ave- va il corpo teso, e vi era sensibile 1’ ondulazione di un fluido ; je orine erano scarse e. scure, la regione ipogastrica dolente , V evacuazioni scarse; e molto. gonfie l’ estremità inferiori. Due mesì prima egli aveva provato dei rigori di freddo; co ten- sione agli ipocondri e tendenza al vomito. Furono evacuate colla punzione dodici pinte: di acqua, ma con poco profitto, perchè in breve se ne accumulò nuova quantità, ed il ventre si fece dolente al tatto, sopra una linea che si estendeva dal pube verso l’om- belico.: crebbe l’ appetito | di. pari passo colla debolezza. e colla emaciazione ; la quale fu poi seguita dalla paralisi del braccio sinistro ;} che si fece molto più gonfio dell’ altro; dalla diarrea. e dalla morte. All’ apertura del cadavere si trovò scirroso il piloro:, molto aumentato il volume. del fegato , pieni di tuber- coli i visceri del torace e. dell’ addome ; tolti i quali si vedde: il dutto toracico della grossezza di una penna da scrivere, avente l'aspetto di una corda, che dalla regione lombare ascendeva nel torace ; in: mezzo a due ordini di tumori, e terminava impian- tandosi nella giunzione. della vena succlavia colla giugulare si- nistra. | La patologia del cervello ha particolarmente attirata ) at- tenzione dei sigg Za//emand in Francia , e D. Craigie in Inghil- terra ; ed essendo già mote.in Italia le prime quattro lettere del profess: francese, ci limiteremo: soltanto ad annunziare , che'il professor di Edimburgo , continovando un lavoro , il quale per ora non'è giunto fra noi, ma che sembra destinato all’ illustra+ zione ‘delle malattie del'‘icervello ‘e de’ suoi involucri insiste sulla connessione ; ‘che passa fra le morbose affezioni dell’ encefalo ,' e quelle ‘del cuore e dei grossi vasi. Ecco le conclusioni del suo opuscolo. 1.° E cosa ovvia che molte malattie del cuore, come l’ ossi- ficazione della sua parte sinistra o dell’ arteria secolei connessa, l’os- sificazione delle valvule mitrali o delle semilunari, il ristringi- mento delle aperture o auricolo-ventricolari, o aortiche, inducono la tendenza alli stravasi entro al cranio, producendo apoplessia , paralisi, o uno stato comatoso, che termina colla morte. 2.° È ‘ovvio ugualmente chie, sebbene esistano esempi di ma- lattie spontanee del cervello e di affezioni delle sue membrane; ibi pure non son poche quelle che risultano da irregolarità di circo- lazione , indotta da malattie del cuore, e dalle sue appendici. La connessione fra questi due visceri non è stata esaminata tanto quanto merita, e vi sono forti ragioni per credere che, facendola il soggetto di particolari investigazioni , si verrebbe a provare es- ser questo molto più costante ed uniforme, di ciò che n’ è stato anticipatamente asserito . 3.° Non è in conto alcuno difficile il vedere, come questi effetti sull’ organo cerebrale resultino da una irregolare e disor- dinata azione del cuore. La difficoltà che incontra’ il sangue pas- sando o per l’ apertura auricolo-ventricolare, o per l’ orifizio aor- tico, o lungo l’aorta produce necessariamente uti ristagno ,' ed una ohiettiohi nelle vene e nell’ arterie polmonali , non che nella metà ddbrr del cuore: lo ‘che deve ritardare, o impedire molto sensibilmente il ritorno del sangue dalle vene cerebrali, disten. derle o romperle, quando non sieno dotate di molta forza e re- sistenza, ovvero occasionare un’ effusione di siero, come si osser- va in altri casi di ostrutta circolazione venosa. Che se ai ragionamenti ed ai fatti riportati dal sig. Craigie, e da molti altri patologisti anteriori a lui, e comprovanti in tica che molte affezioni cerebrali, e l’apoplessia istessa hanno spes- so, siccome scrisse il celeberrimo nostro Testa , la loro primitiva causa nel sistema cardiaco, facesse d’ uopo aggiungerne de’ nuovi, noi potremmo citar qui due importantissime osservazioni atte a ‘ corroborare viemaggiormente la verità di questa massima. Trat- tasi nella prima, comunicataci graziosamente dal sig. chirurgo Silvio Spadoni, di un militare, il quale morì istantaneamente nel suonare una campana , ed in cui mostrò la sezione anatomica avere avuto origine un simile infortunio da tal ristringimento all’arco dell’ aorta, che appena permetteva l’ ingresso di un’ or- dinario specillo. In altra osservazione poi, simile a questa, e che dobbiamo alla gentilezza del Prof. Francesco Camici di Pistoia si parla di un'in- dividuo , il quale, soggetto dall’infanzia a ripetute epistassi, af fetto in gioventù da malattie d’indole sempre ‘iperstenica, e travagliato in seguito da vertigini, e da cefalalgie talmente fiere da impedirgli il più piccolo esercizio, morì, quasi inopinatamente allo spedale di quella città, ove erasi trasferito per cercar sollievo ai suoi mali. In esso' niùn altra causa si trovò, da ‘cui ripetere plausibilmente la genesi di questi sconcerti, tranne ‘un validis- simo ristringimento dell’aorta, situato un pollice al di sotto del suo arco, e costituito da un setto membranoso che attraversava 132 in questo punto il lume di quell’arteria, e non lasciayasi al corso del sangae che un piccol pertugio, nel centro del setto sopraindicato, del diametro di una linea e mezzo soltanto. sa L’istessa relazione che passa tra il cuore ed il cervello , per ciò che spetta alla genesi di malattie in quest’ organo; prove- nienti da alterazioni patologiche di quello , è stata ritrovata dal sig. Scoutetten ,. fra la membrana muccosa del canale alimentario » e la pia meninge; cosicchè secondo ciò che egli scrive l’ irrita- zione della muccosa intestinale spesso occasiona l’irritazione , o l’infiamunazione della pia meninge. Il sig. Scoutetten sembra essere stato ,condotto , ad ammettere questa trasmissione di malattia fia parti, così lontane da molte osservazioni patologiche, dalle quali, a, senso . SUO,, resulta che tale stretto consenso non esiste nell’istesso grado fra la pia meninge e qualsivoglia punto della muccosa, in- testinale,, né fra quella, e qualunque delle membrane, che con-, corrono: alla formazione delle pareti dell’ intestmo ; ma che, nullo fra la membrana peritoneale e la pia meninge , sia desso più manifesto fra quella dello stomaco e delli intestini tenui ; che fra. la muccosa dei crassi intestini e, la membrana cerebrale. Oltre di che, egli fa pure osservare, che nelle mediocri infiammazioni intestinali trovansi invase da processo flogistico unicamente le parti anteriori e laterali del cervello, o della pia madre, e che tutto l'ambito di questa membrana si incontra investito da fligosi solo allorquando l'infiammazione intestinale sia giunta ad un sda eminente di intensità. i Una particolare. illustrazione” poi, ci sembra , avere ottenuto, la patologia. del canale alimentario dal sig. Ardra/ jun. il quale, non limitandosi ad esaminare le alterazioni patologiche, e le dif- ferenti terminazioni che tengon dietro alla presenza della flogosi nelle varie tuniche intestinali, ha consacrato speciale attenzione nel, descrivere lo stato del canale digestivo nella diarrea, nella dissenteria, e nella lienteria. Le funzioni della milza nel suo stato, fisiologico ,, ugualmen- te che le sue alterazioni patologiche hanno recentemente richia- mato la considerazione dei Ss. Masdea a. Napoli, e del D, Crane di Boston ; e mentre il primo si limitò ad illustrare la storia di questo viscere, i suoi rapporti comparativi, ;le condi- zioni vitali, li usi presuntivi, ed, i fenomeni patologici che esso presenta ; si, occupò il secondo, della patologia speciale di esso, cle egli illustrò con importanti osservazioni. Fra le quali non 153 ci sembra di piccolo interesse quella di una milza ‘che occupava tutto il lato sinistro dell’ addome, che aderiva intimamente ad una porzione dello stomaco , e dei vicini intestini, e che tolta dal suo sito fu trovata della lunghezza di 13 pollici nel suo massimo dia- metro, di 14 ‘tf nella circonferenza, e del peso di sei libbre inglesi. Tagliandone il parenchima se ne viddero i vasi pieni di nero sangue aggrumato, e facilmente lacerabili. colle dita; verso il dentro però questo viscere aveva maggior consistenza, e con- teneva varie piccole cisti, ripiene di una materia caseosa densa ; e presentava in qualche luogo l’aspetto duro , denso , biancastro e radiato dal vero scirro. Li effetti dellè materie putride applicate sotto varie mo+ dificazioni al corpo. vivo, formarono il soggetto di un lavoro molto interessante del sig. D.! Gaspard. Esperimenti simili, con risultati simili, furono pure istituiti successivamente dal sig. |Magendie, il quale potè, in poche ore, produrre varie malattie simili a quelle; risultanti nell’ uomo , dallo stare esposto alle esalazio- ni putride. Il vomito, per esempio, l’ evacuazioni nere fu- rono prodotte coll’ iniezione di materie putride nel sistema san- guigno; e nel continovare queste ricerche trovò il Magendie, . che varie specie di carni agivano con vario grado di forza du- rante il loro stato di putrescenza. Così la fibra muscolare delli erbivori apparve meno attiva di quella dei carnivori; mentre fra tutte le: sostanze, fu trovata esser deleteria: in. sommo grado l’acqua; in, cui fosse contenuto del pesce putrefatto ; giacchè ne bastarono poche gocce, :per prodarre in poche ore sintomi analoghi a quelli del tifo o della febbre gialla. La morte delli animali sottoposti alli esperimenti, ebbe luogo in generale dentro le venti quattro ore, e l’apertura dei loro cadaveri mostrò tali contrassegni da rendere evidente che il sangue aveva subito dei cambiamenti chimici, perocchè aveva assunto una speciale flui- dità , ed erasi filtrato attraverso varii tessuti, ed in special modo attraverso la muccosa delli intestini. È degno di osservazione pure, che la. medesima acqua putrida introdotta nello stomaco, non recò verun danno: risultamento attribuito dal Magendie » alla proprietà che egli crede risedere nel mucco di quella parte da cui venga impedito il passaggio delle particelle più solide della materia putrida ; e che a noi non sembrerebbe inverisimile di dover ripetere piuttosto dalla speciale vitalità dello stomaco, e dalla virtù assimliatrice dei sughi gastrici, non che dalla pron- tezza con cui si effettua nello stomaco l assimilazione delle so- 154 Stanze animali e dei veleni stessi di natura animale, di fronte alla loro inalterabilità allorchè sono introdotti per la via dell’assorbimento cutaneo , o per qualunque altra , diversa da quella della digestione. Al qual proposito ed in conferma di questo nostro ragiona- mento, non ci sembra di dover lasciare inosservate le belle os- servazioni del sig. Coindet sui varii effetti che tengono dietro all’ introduzione dei veleni nella macchina animale, e che dipen- dono non solo dalla varia natura del veleno, quanto ancora dal vario modo con cui, o per cui è stato insinuato nel corpo. — Così resulta da un gran numero di esperimenti da esso lui intra- presi, che i veleni del regno minerale agiscono presso a poco con ugual violenza, sia che sieno introdotti per le vene; o nello sto- maco, purchè però non sieno stati decomposti dai fluidi di questo viscere. — Le cose vanno però diversamente quando si tratta di veleni vegetabili, sia che pei soccorsi della chimica si sieno otte- nuti nel loro grado di somma purezza , sia che si adoperino quali ci vengon dati dalla natura. Per produrre un’ effetto eguale sulla economia animale ; la quantità di questi veleni spinta nello sto maco deve esser molto più considerabile di quella che si inietta helle vene ; e continovando queste esperienze , si trova che ‘ital dif- ferenza fra la rapidità , o l'intensità della loro azione è sempre più manifesta nei veleni di natura animale, a seconda del sistema di organi per cui se ne fa l’ infiammazione. Ne sia un’ esempio il veleno della vipera; e quello del can rabbioso, una piccolissima porzione de’ quali depositata in una ferita diviene spesso micidiale'; mentre una maggior dose introdotta nello stomaco non risveglia, nella generalità dei casi, veruno sconcerto. È noto che quella malattia conosciuta sotto il nome di gan- grena senile, o del Pott, invade per lo più i vecchi, e nasce dalla obliterazione del sistema arterioso delle dita medesime, o della gamba corrispondente. Nuove e interessanti osservazioni dimostra- no, che la mortificazione tanto delle dita dei piedi , quanto an” cora di porzione della gamba, o anco di tutte l’estremità infe- riori, possono aver luogo, se per una causa qualunque, indipen- dentemente dalla vecchiaja, vengano ad obliterarsi le arterie iliache Leggesi un caso di tal sorta riferito dal sig: Bryant, in cui I’ obliterazione dell’ arteria iliaca esterna, in una ragazza di 28 amni, fu seguita dalla gangrenà delle dita del piede, e di una porzione della gamba corrispondente, ed in cui, cadate le parti mortificate, e condotte a perfetta cicatrice le parti malate, non sì sentì più veruna pulsazione arteriosa in tutto.il tratto della coscia; 155 è solo fu essa percettibile in corrispondenza della biforcazione dell’ arteria iliaca. — Leggesi pure altra osservazione di una donna la quale dopo aver dato alla luce vari figli, partorì un feto se- mestre vivo, benissimo conformato, e sano dalla testa fino al- l’ipogastro; ma colla gangrena del rimanente del corpo da questa regione in basso. Dopo aver vissuto due ore morì; e fu creduto doversi ascrivere un tal fenomeno a male conformazione delle ar- terie iliache, da cui possa essere stata disturbata 0 ‘impedita la circolazione sanguigna nelle estremità inferiori. Allorchè si riflette alla quantità considerabile di legna; o di altra materia combustibile che vi abbisogna ‘per 1’ incinera- zione del corpo umano; quando si calcola la lentezza con cui si ottiene questo risultato, si trova una ‘certa difficoltà ad ammettere, che questa combustione possa farsi sul vivo, spon- taneamente, in pochi minuti, ad una temperatara ben poco elevata, e senza l'intervento, almeno sensibile, di un corpo in ignizione. Ad onta per altro di tutto ciò , questo fenomeno ha cessato di essere una novità, ed eccone due osservazioni ulteriori a quelle che la scienza possiede. Soggetto della pri- ma fu un fabbricante di birra, uomo di alta statura} grasso, e gran bevitor di vino. Alle ore dodici della sera , prima che accadesse il fenomeno, egli fu veduto dalla donna di casa in letto, essendo già stata spenta la candela. Alle otto della mat- tina consecutiva fu veduto uscire un denso fumo dal suo ap- partamento, fa aperta la porta, e fu trovato il sno corpo steso sul pavimento, e tuttora iu combustione tale , che si eb- be pena ad estinguere la fiamma coll’ affusione di molt’acqua. Lateralmente ad esso eravi un vaso di ferro, contenente del car- bone a metà bruciato, e a non molta distanza, una sedia di paglia rovesciata, ed in parte bruciata. Ad eccezione di que- sta, e del corpo di quest’individuo, niun altro oggetto era stato danneggiato in quella stanza. La carne del collo di lui era distrutta, fuori che anteriormente: e consumato era il braccio e la parete toracica sinistra: nè si potè trovare altro avanzo della parte destra, fuori che qualche frammento di coste, la scapola, e 1’ antibraccio. Ambedue le cosce e la samba destra erano distrutte quasi onninamente ; nè de’ visceri del tronco al- tro restava, fuori che il cuore, i polmoni, ed il fegato, che però erano assai torrefatti . Altro caso analogo a questo occorse nel settembre 1822, nelle vicinanze di Bordeaux, Un fabbro, sano, e sobrio, tor- 156 Nava a casa in compagnia di una sua figlia, nelle ore pomé+ ridiane di una giornata molto calda, quando sentì ad un tratto un vivo dolore nell'indice destro, e rimase. sorpreso di vederlo bruciare e fumare. Lo confricò contro il pollice per estinguer la fiamma, ma questa si appese anco al pollice; ed al medio; strofinò allora la mano ai calzoni, nei quali fece pure due bruciature. Messe la mano in tasca, e questa pure fu arsa; e finalmente, essendosi per caso toccato il pollice ed il medio della mano sinistra, questi pure s’incendiarono. In vano egli immerse le mani nell’ acqua pura, invano le pose nella mota; ad onta di tutto ciò la combustione continovava, ne cessò del tutto se non quando per consiglio di una donnic- ciuola fu immersa la mano nell’ acqua santa. Ad onta che i dettagli di questo fatto sieno stati attestati con. giuramento davanti ad un magistrato, pure essi non hanno ottenuto l’ u- niversal credenza, anzi sono da taluno revocati anco in dubbio. (Sarà continuato nel prossimo fascicolo) Meteorologia. La Società di storia naturale di Halle ha il progetto di pub- blicare una carta destinata a rappresentare gli effetti della gran- dine in Germania, indicando l'estensione e la posizione dei paesi grandinati per un corso d’ anni, la quantità , grossezza della gran- dine, ec. Ha pure l’ intenzione di pubblicare un seguito di carte, le quali dimostrino la direzione che il fulmine prende in diverse parti del mondo, e specialmente in Europa. Il prof. Doedereiner di Iena ammettendo l’esistenza d’un calore nelle cavità sotterranee , lo fa dipendere dalla causa stessa che in modo inverso determina (secondo lui) il freddo delle alte regioni atmosferiche, cioè nei luoghi sotterranei la sua grande densità, e però la sua poca capacità per il calorico, nelle alte regioni la sua piccola densità, e però la sua grande capacità per il calorico. A chi non aves- se familiari queste espressioni ricorderemo che una stessa quantità d’acqua che è insufficiente ad empire un vaso di grande capacità ; trabocca come soprabbondante da un vaso di piccola capacità. Fisica e Chimica . Il Sig. Metzger, paroco a Sedlingen nel cantone di Sciaffusa, è giunto ad accreseere notabilmente l’ effetto delle macchine elet= 157 LS triche a disco. É noto che in queste, soltanto sopra due piccole | regioni del disco, diametralmente opposte fra loro, si eseguisce la x confricazione, per cui è svolto il fluido elettrico, e che questo vien raccolto dalle appendici acuminate del conduttore metallico sopra due altre piccole regioni intermedie alle prime. Il sig. Met- zger, portando a tre il numero dei sistemi confricatori e collettori della sua macchina, l’ha resa capace di svolgere e raccogliere una quantità di fluido elettrico proporzionatamente maggiore. Il sig. Roberto Hare inglese, situando orizzontalmente il disco della macchina elettrica, ha potuto agevolmente isolare per mezzo di sostegni di vetro i cuscini confricatori, ed ottener così nel tempo stesso l’ elettricità positiva e la negativa. Non trascurando di render noti questi due miglioramenti ap- prezzabili, che troviamo annunziati in alcuni giornali stranieri, dobbiamo per giustizia rilevare che il nostro concittadino sig. Ulisse Novellucci, conosciuto per molte altre sue ingegnose ed utili invenzioni, da otto anni almeno li aveva ambedue combi- nati con altri ancora in una eccellente macchina elettrica da lai costruita, che molti amanti delle cose fisiche hanno più volte veduta in azione, e che descriveremo diligentemente nel pros- Simo bullettino. Il sig. Barone di Humboldt, nella relazione del suo viaggio alle regioni equinoziali del nuovo continente, narra gli effetti sorprendenti del potere elettrico di cui è dotato il gimnotus electricus, di gran lunga superiore a quello onde gode la torpe- dine. Questo celebre naturalista, non solo afferma che le com» mozioni da lui ricevutene furono più forti di quelle d’ una buona bottiglia di Leida, ma aggiunge che per fino i cavalli investiti da quelle divengono tremanti, e cadono talvolta nelle acque. Dando spiegazioni interessantissime del modo di quell’ azione , la riguarda come probabilmente connessa coi più maravigliosi e più arcani fenomeni della natura, e presagisce che le scoperte che si faranno intorno a quelli apparati elettromotori illustreranno i fenomeni dei movimenti muscolari dipendenti dalla volontà. Gl’ inconvenienti talvolta gravissimi che derivano dall’ im- piegare nella costruzione, e specialmente in certi generi di co- struzione, pietre ed altri materiali soggetti a disfarsi o alterarsi per l’azione del gelo, facevano desiderare un facil mezzo per cui riconoscere in tali materie, prima di farne uso, quella vi- 158 ziosa disposizione. Un tal mezzo è stato ritrovato e reso noto dal sig. Brard. i Già molte diligenti osservazioni sopra pietre notoriamente affette da quel vizio lo avevano convinto che ogni scaglia, ogni grano distaccatone per il gelo era meccanicamente sollevato da aghi o sottili cristalli di ghiaccio , per l’aumento di volume che I: acqua prova congelandosi. Scorgendo molta rassomiglianza fra quei delicati cristalli di ghiaccio e 1’ efflorescenze saline che si mostrano talvolta sopra vecchi muri, e sopra vasellami di terra porosa e mal cotta, che abbiano contenuto del sale, pensò di sostituire l’azione d’ una soluzione salina che si cristallizza a quella della pura acqua che si congela. Una lunga serie di sperimenti gl fece trovare nel solfato di soda, o sal di Glaubero, l’azione più costante, e più conforme a quella del gelo. In una soluzione di questo sale, saturata a freddo, poi scaldata fino all’ ebollizione, egli pose alquanti cubi d’egual volume di diverse specie di pietre, delle quali gli era ben nota l’indole; lasciandovele bollire per mezz’ ora. Quindi postili in altrettanti piattelli con un poco della stessa soluzione, ve li lasciò finchè si cuoprissero dell’ efflorescenza salina. Sepa- rata questa con poche goccie d’acqua comune, o della solu- zione salina, e tornato a separarla al suo nuovo comparire per tre o quattro giorni, lavò allora le pietre con acqua calda ab- bondante , ed esaminatele diligentemente, trovò che la forma- zione dei minuti cristalli salini o dell’efflorescenza, ne aveva sollevate e distaccate delle particelle in quantità varia e propor- zionale alla ben conosciuta respettiva alterabilità loro per l’azione del ghiaccio. Il sig. Bergounhioux farmaco a Glermont-Ferrand in Francia ha preso un Brevetto o patente di privilegio per applicare, previa la carbonizzazione, uno schisto bituminoso scoperto a Ménat , a scolorare gli sciroppi. I sigg. Payen e Iulia — Fontenelle, che hanno diligente- mente esaminato quel minerale sotto ogni aspetto, hanno ricono- sciuto che la di lui facoltà scolorante è inferiore a quella di cui gode il carbone animale comune, e molto più a quella del car- bone animale preparato con particolar diligenza , stando al primo. nella proporzione di 3 a 5, ed al secondo in quella di 3 a 7. Ma una differenza più importante distingue lo schisto carboniz- gato dal carbone animale, cioè la mancanza nel primo della 159 proprietà onde gode il secondo di sottrarre la calce dai liquidi che scolora , proprietà preziosa, specialmente nella fabbricazione e raffinazione dello zucchero. Si deve al detto sig. Payen un’in- teressante memoria intorno alle proprietà ed agli usi del car- bone animale, e l’invenzione d’ uno strumento da lui detto de- colorimetro, per cui si riconosce comparativamente in varie specie di carboni la respettiva facoltà scolorante. Il sig. Dott. Antonio Fabroni d’Arezzo ha fatto conoscere un suo processo; mediante il quale si può facilmente ottenere ben cristallizzato il sottocarbonato di potassa, che quasi gene- ralmente i chimici dicono incristallizzabile, non essendo che nel dizionario dei sigg. Klaproth e Wolf dichiarato capace di cri- stallizzazione. Ecco quel processo. Sciolta la potassa comune in acqua , si evapora la soluzione fino al jpunto che tepida segni 53 gradi al pesaliquori di Baumé. Per il !raffreddamento se ne separano tutti i sali estranei ed il carbonato neutro di potassa che possa esistervi. Decantato il liquido, concentratolo per evaporazione fino ai gradi 55 del pesaliquori suddetto, si versa bollente in vasi stretti e profondi, ove per raffreddamento il sottocarbonato si cristallizza in lame romboidali, parallele fra loro, e situate verticalmente. Il solo processo fin qui usato dai chimici per ottenere l’ acido tartarico puro separandolo dal cremor di tartaro, era quello suggerito da Scheele, ed in cui si fa uso della calce. Lo stesso sig. Fabroni ne ha ora insegnato un'altro assai sem- plice e comodo. Unite ad una parte d’ acido solforico tre parti d’ acqua, si versa il liquido bollente sopra tal quantità di cre- mor di tartaro, di cui la potassa sia eccedente alla saturazione dell’ acido solforico. Per più evaporazioni e raffreddamenti, separati dal liquido il solfato di potassa formatosi, un poco di solfato di calce, e molto cremor di tartaro indecomposto', prende il liquido l’ aspetto d’ un’ olio giallastro trasparente, il quale concentrato fino a densità di sciroppo, dà per raffred- damento una massa cristallina , dalla quale, lasciata separare l’acqua madre, si ricava l’ acido tartarico mediante l’ alcool, che lo discioglie . Il sig. prof. Taddei prepara il solfuro nero di mercurio © etiope minerale col seguente processo. Mescolate eguali quan- tità in peso di solfato di mercurio e di solfo sublimato , tratta il mescuglio con solfuro alcalino liquido , aiutando coll’ agita- 160 rione la scomposizione del solfato e la sua riduzione in so- furo, esponendo il miscuglio a discreto calore, ed. aggiungen- do al bisogno altra porzione di solfuro alcalino. Lava sul filtro e dissecca il solfuro ottenuto , che è d’ un bel color nero, e simile a quello ottenuto coi processi più accreditati. Egli sa- crifica volentieri la nuova spesa del solfuro alcalino, quella dell’ acido solforico , e l’ opera necessaria a preparare il solfato di mercurio, per evitare la lunga e noiosa triturazione del processo ordinario . Sono mim mesi che il sig. Prof. Taddei ha imaginato e costruito un’ apparato di Woulf, che egli chiama perpetuo, in quanto che, senza mai smontarsi,ed in conseguenza rispar- miando la noia delle lutature, è suscettibile di servire a qua- lunque numero di distillazioni successive, o simili, o diverse, avendo provveduto con ingegnosi compensi a tuttociò che po- teva presentare qualche difficoltà. Si trova quest’apparato minu- tamente descritto e rappresentato con figure nel giornale di Pavia dei sigg. proff. Configliachi e pid gio" VI bimestre deli 1823. Il sig. Ferrari ha insegnato per preparare la strichrina un processo più semplice di quello usato dai chimici francesi. Versa sopra tre libbre di noce vomica contusa 30 libbre di acqua acidulata con once 6 d’acido idroclorico e 3 d’ acido solforico, e ve la fa bollire per 2 ore. Separata la decozio- ne per mezzo ‘del filtro, tratta due altre volte il residuo in egual modo con altra acqua acidulata. Nella massa dei liquidi riuniti getta a poco a poco della calce fino ad un piccolo eccesso , agitando sempre. Dopo alcuni giorni di riposo, decanta il liqui- do, e versa il deposito sopra un filtro, ove lo lascia asciu- gare per poi ridurlo in polvere. Quanto al liquido decanta- to, resolo leggermente acidalo con poco acido idroclorico, e concentratolo per evaporazione, torna a gettarvi della caleé un poco in eccesso , separando poi egualmente per deposito ; decantazione , e filtrazione il sedimento, che disseccato, ridot- to in polvere, e mescolato al primo , fa digerire più volte a bagno-maria in alcool di gradi 37. Distillato poi a bagno-ma- ria il liquore alcoolico, e ritiratane la parte spiritosa, versa in una terrina il residuo ancor caldo, che si mostra come un liquido giallo torbido, amarissimo , ed alcalino, che si so- lidifica, ma che indifeso dall’aria anderebbe prontamente in de liquescenza. Prevenendo quest’ alterazione, lava la massa so» 161 lida con alcool rettificato freddo, o meglio con etere, che separandone una sostanza oleosa colorante, lascia pura e bianca la base alcalina, o strichnina. Il sig. Ferrari aggiunge che la strichnina potrebbe ridursi in nitrato che facilmente si purifica, indicando alcune precau- zioni, senza le quali l’ acido nitrico ne altererebbe le proprietà mediche. Avverte ancora che molti [sali di strichnina, ed anche di chinina sono volatili ad una temperatura elevata. Il sig. Gianfrancesco Vuy si propone di stabilire nel Ducato di Savoia la distillazione in grande dell’ alcool, da ricavarsi dalle piante cereali, dalle barbebietole , dalle patate , ed altre simili. Stabilimenti di questo genere riuscirebbero, a parer nostro , utilissimi, specialmente ove il combustibile abonda, giacchè provvedendoci dello spirito di vino, che nella più gran parte riceviamo dall’ estero, procurerebbero un nuovo sfogo ad una parte delle cereali e d’ altri prodotti dell’ agricoltura , pur troppo bisognosa d’ incoraggiamento . Il sig. Labarraque, in una memoria letta all'Accademia Reale di medicina di Parigi, ha esposte alcune sue importanti osservazioni sui cloruri e sulla loro utile applicazione alla medicina. Quello di soda è da lui preferito per detergere le piaghe fetide. Fra gli altri casi da lui riferiti è degno d’attenzione quello d’un gio- vinetto, cui un’ antrace gangrenoso avea con grave guasto per- forata una guancia in sole 24 ore. Alla prima applicazione di quel rimedio cessò immediatamente il fetore, ed in 18 giorni si ottenne la guarigione completa. Altri risultamenti felici ottenuti col mezzo stesso sono stati pubblicati dal sig. Cu//erier, come la disinfezione dell’ ulcera al- l'utero, mediante iniezione del cloruro disciolto in 15 parti d’acqua, e di molte gangrene ulcerose. Il sig. Labarraque suddetto ha fatto immediatamente cessare la fetidità di cada- veri in putrefazione, stendendo sopra di essi dei lenzuoli im- bevuti d’ una soluzione di cloruro di calce in 60, o 80 parti d’acqua. Con simil mezzo il sig. Orfila. potè trattenersi per più giorni sopra il cadavere del droghiere Bourcier dissotterrato dopo 32 giorni, e che fu completamente disinfettato. Siccome i questo disinfettante agisce benissimo sull’ aria, si afferma che potrà sostituirsi alle fumigazioni del cloro nelle sale degli spe- dali, inaffiandole con acqua in cui sia disciolto un, dugentesi- mo di cloruro di calce. A noi però sembra che questo mada T. XIII. Gennaio 11 162 d’ operare debba riuscire pochissimo efficace, dovendo il liquido esser prontamente assorbito dal pavimento ; senza parlare de- gl’ inconvenienti che potrebbe produrre l’umidità risultante. Crediamo poi che ovunque qui sopra si parla di c/oruri (e- ‘spressioni che abbiamo copiate da altri giornali) debba inten- dersi dei c/orati corrispondenti, giacchè nel linguaggio attual- mente usato dai chimici i cloruri sono gl’ idroclorati secchi, non dotati di proprietà disinfettante, ed altronde nei cloruri am- mettendosi il cloro combinato ai metalli non ai loro ossidi, debbono dirsi cloruri di sodio, di calcio, ec., non di soda, di calce, ec. All’opposto il sig. Segalas raccomanda la maggior prudenza e cautela nell’ applicazione di tali detersivi, che in alcune espe- rienze fatte sopra cani egli ha trovati irritanti e corrosivi. Egli ne reputa pericolosa l’ applicazione ai tessuti nudi, e special mente ‘l’iniezione nelle parti genitali, Il sig. prof. Qersted ha fatto conoscere un mezzo da lui riconosciuto utilissimo per accelerare sommamente l’ evaporazione e la distillazione dei liquidi. Egli prende un gran numero di sottili fili metallici che, legati in un fascio, colloca in posizione verticale sopra il fondo del vaso evaporatorio o distillatorio. O- perando così, egli distilla sette misure d’acquavite in un jtem- po e con una quantità di fuoco che, senza quel mezzo, non glie ne davano che 4 misure . ll sig. Prout, mediante una numerosa serie d’ esperimenti ha preso ad investigare i cambiamenti che i diversi materiali dell’ uoyo provano successivamente nel tempo della covatura, e la formazione e lo sviluppo delle parti solide che formano lo scheletro animale. Ecco i principali risultamenti che egli ne ha raccolti. Nei primi periodi della covatura vi è cambio o trasmissione di varie sostanze dal bianco al torlo, e vice- yersa, e specialmente d’ una sostanza oleosa dal torlo al bian co, e da questo a quello di una sostanza acquosa e salina che ne aumenta il volume, e che se ne ritira in progresso tor. nando il torlo al volume primitivo, Nell’ ultima settimana il torlo scema nlteriormente , perde la più gran parte del fosfo+ ro che conteneva, e che si trova convertito in acido ed unito alla calce nello scheletro. Il sig. Prout afferma che questa calce non esisteva nell’ uovo; per altro non parla del guscio; che si sa esserne in gran parte formato, nò dice se esso provi diminuzione . | | | 163 | Dall’ argento fulminante del sig Berthollet, che fulmina \ per il semplice contatto d’un corpo solido, talvolta anche in | mezzo ad un liquido, distinguono i chimici l’ argento detonante, ' che si prepara con altro metodo, e che non detona se non | mediante la percussione , l’ attrito , il calore, o l’ azione dell’ acido | solforico. Non si avevano cognizioni esatte intorno alla natura | chimica di questo secondo composto , e del mercurio detonante che lo somiglia. Il sig. Dot. Ziebig tedesco; nel suo soggiorno a Parigi, ha intrapreso sopra questi due corpi un lavoro importante, e me- diante il quale li ha riconosciuti come una specie di composti salini particolari, risultanti dall’ unione d’ un’ acido , di cui il me- tallo rispettivo è parte costituente, ad un’altra porzione del me- tallo stesso ossidato, che fa funzione di base. Egli ha separato questa dall’ acido per mezzo di varie basi alcaline, che hanno formato con lui combinazioni solubili, dalle quali poi per mezzo dell’ acido nitrico ha separato l’acido , che si precipita, come poco solubile nell’ acqua fredda. La percussione, il calore , ec. fanno detonare quest’ acido solo, ed i sali che esso forma colle basi alcaline, nel modo stesso dell’ argento detonante. L’ autore chia- mando quest’ultimo argento fulminante, chiama fulminati di calce, di potassa cc. i sali chel’acido fulminante contenuto in quello forma colle diverse basi. Egli vede con ragione molta analogia fra gli acidi contenuti nell’ argento e nel mercurio detonante e quelli che, composti d’acido idrocianico e d’ un metallo , il sig. Porrett ha chiamati nei varii casi ciazico ferrurato, ciazico argenturato , ec. Il sig. Doebereiner professore a Iena, all’ occasione delle sue belle sperienze sul platino, delle quali abbiamo parlato negli ultimi due bullettini, aveva preparato ‘ molto gas idrogene , che conservava in larghe boccie rovesciate coll’ apertura immersa nel- l’acqua; un giorno vide che nell’ interno d’ una di queste boccie l’ acqua s’ era inalzata d’ una quantità notabile. Cercando la causa di questo fenomeno singolare, non potè scuoprire altra cosa se non che una fessura estremamente piccola nella parete della boc- cia. Empiuta di nuovo la boccia stessa di gas idrogene, e postala sulla tavoletta del bagno pneumatico ad acqua , trovò che dopo 12 ore l’acqua si era elevata nell'interno d’ un pollice e mezzo , e dopo 24 ore di due pollici e due terzi. Sostituiti in altri sperimenti vasi di forme differentissime , tubi; campane , matracci , ciascuno 164 con qualche fessnra , vide in tutti dopo alcune ore salita equa ad una certa altezza. Se in vece di gas idrogene egli empiva alcuno di tali vasi con aria atmosferica, con gas ossigene , o azoto , ovvero se , em- pitolo di gas idrogene, lo cuopriva con una campana, non vi era nell’ interno del vaso ascensione d’ acqua, nè però diminu- zione nel volume del gas. Il sig. Doebereiner inclina a riguardare come causa di questi fenomeni l’ azione capillare delle fessure. E domandando a sè stesso perchè il solo gas idrogene , non gli altri , si mostras- sero soggetti a quest’azione, risponde che gli atomi solidi di cui i gas sono formati avendo in ciascuna specie di gas volume diverso , possono alcuni, non alcuni altri, passare per certe fes- sure. Suppone quindi che potranno esservi fessure che lascino passare il gas azoto, non il gas ossigene , altre il gas ossigene, non il gas acido carbonico, ec. Dobbiamo confessare che questa spiegazione non ci appaga ; nel prossimo bullettino oseremo proporre la nostra. Lo stesso sig. Doebereiner ha trovato che una dissoluzione d’acido gallico nell’ammoniaca caustica, posta in contatto del- l’ossigene, ne assorbe quanto basti ‘a convertire in acqua tutta l’idrogene dell’ acido gallico, il quale si trova così convertita in ulmina. Arti industriali, invenzioni, ec. La facilità , la perfezione , l’ economia con cui si eseguisce in Inghilterra ogni sorta di lavori di ferro fuso, vi ha fatto ap+ plicare questa preziosa materia ad usi importantis simi, a costru- zioni maravigliose, e, direm così, gigantesche , Si può citare fra queste ultime il canale di Stateford vicino ad Edimburgo , che inette in comunicazione ‘questa capitale con Glascovia , traver- sando tre vallate percorse da altrettanti fiumi. Egli è formato di grandi pezzi di ferro fuso della figura di trogoli bislunghi, aperti alle due estremità, per le quali si connettona fra loro , ciascun dei quali ha 13 piedi di larghezza e 6 di profondità, e le cui due pareti laterali ripiegate superiormente in piano for- mano dall’ una e dall’ altra parte del canale una strada . Dei ponti sopra i quali passa questo canale, quello che è più vicino ad Edimburgo , e che paragonato agli altri due è d’ una media grandezza, hai 8 archi principali di 50 piedi d' apertura e 60 d°’ al- tezza. La lunghezza.totale è .di Goo: piedi. Ad impedire che 165 hella fredda stagione l’ acqua si geli, la qual circostanza , oltre a rendere impossibile la navigazione per il.canale, lo guastereb- be, facendo variare le dimensioni dei pezzi metallici che lo com- pongono , è disposto ad una estremità del canale un focolare, dal quale la fiamma ed il fumo passa no sotto il fondo metallico e lo lambiscono , andando a sortire dall’ altra estremità. Nel gran canale in cui questo si scarica vi sono diversi ba- stimenti destinati unicamente al trasporto dei passeggieri . Uno di essi, intieramente costrutto di ferro fuso, serve da 4. anni senza avere avuto bisogno d’ altra riparazione, che di qualche strato di tinta. Sebbene sia il più grande fra i bastimenti di questo canale; pure è nel tempo stesso il più leggiero ed il più veloce. Di ferro fuso si costruiscono in oggi anche a Parigi i torchi da stamperia. Il sig Giroudot ed altri artefici francesi hanno talmente perfezionato questa manifattura, che i loro torchi; eguali e forse migliori di quelli di Lord Stanhope; che si vendevano franchi 3000, si ottengono per franchi 1500, ed an- che a minor prezzo. I nuovi torchi di ferro fuso , oltre ad una maggior solidità ed una miglior forma , hanno il vantag- gio di poter esser trasportati da un sol’ uomo coll’ aiuto d’ una semplice leva. Mentre |’ arte di fabbricare gli orologi è giunta ad un al- to grado di perfezione riguardo ai piccoli e portatili, era tut- tora assai difettosa la costruzione dei grandi orologi detti «4 torre , specialmente destinati al pubblico servizio, Il sig. /Vagner abilissimo orologiaro parigino ne fabbrica ora degli eccellenti; che per il loro mediocre volume possono adattarsi a tutte le località, e che sebben messi in azione da un peso di sole 6 libbre francesi, pur muovono un indice lungo 6 piedi. Il loro scappamento è a caviglia, Il. pendolo, fatto d’ abeto perchè meno risenta le variazioni di temperatura , è sospeso a molla, e porta una lente di piombo di 4o libbre francesi. Un peso proporzionato fa agire la soreria, mediante un sistema di tre ruote di ferro fuso. Il prezzo di tali orologi varia da 800 a 1200 franchi. I sigg: Crekerill! di Liegi , nell’ esposizione d’ opere d’ ar+ te fatta a Gand in agosto ultimo , hanno mostrato una statua in piedi ed un busto di ferro fuso, tali quali erano sottiti dalle forme , e senza essere ritoccati. Ciò prova ; contro l’ opinions 166 o il pregiudizio invalso, che questa materia non è meno atta a simili lavori che il bronzo, sopra del quale più ragioni dovreb- bero farle ottenere la preferenza, e specialmente il suo prezzo di 3% minore, e il non andar soggetti i monumenti che ne siano formati ad essere convertiti in soldi o in cannoni. Il sig. Navier ha pubblicata ultimamente un’ opera molto applaudita sopra i ponti sospesi medianti catene di ferro. Il sig. professor Pictet encomiando condegnamente questo lavoro , pre- sagisce che il nuovo modo di sospensione per mezzo di fasci di filo di ferro prevarrà à quello delle catene. E stato recentemente proposto in Inghilterra ‘un nuovo mezzo per saldare insieme acciaio fuso con acciaio fuso, acciaio con ferro , è ferro con ferro. Si fonde del borace in un vaso di terra, si aggiunge un decimo di sale ammoniaco , ed agi- tato il miscuglio, si getta sopra d’ un piano . Si polverizza que- sta materia quasi vetrosa, che mescolata con un poco di cal- ce forma il flusso. Scaldati a rosso i pezzi da unirsi, s' im- polverano col flusso, e si espongono ad un calore assai minore di quello a cui si fondono le altre saldature, e che è sufficiente per questa. I pezzi cavati dal fuoco; e battuti come conviene, aderiscono perfettamente. Il caso ha fatto scuoprire un mezzo assai facile per tagliare l’ acciaio ed altri corpi duri. Il sig. Barnes di Cornovaglia, volendo rendere perfettamente tondo ed unito un disco di lamiera di ferro dolce, inseritovi un pernio , e fattolo girare rapidissi- mamente , gli avvicinò una lima, la quale anzichè mordere il disco di ferro dolce , fu da esso tagliata in due parti. Con e- gual facilità una sega durissima fu tagliata in tutta la sua lun- ghezza in pochi minuti .Il sig. Perkins di Fleet-Street ha ve- rificato questo fatto singolare . Una grossa lima fu profondamente solcata in più parti trovandosi addolcita per il calore del fre- gamento. Applicando ad una delle faccie piane del disco di ferro la lima stessa, i denti ne sono stati prontamente consumati. Il sig. Perkins trovò che il disco di ferro, senza aver pro- vato diminuzione di grandezza o di peso, aveva acquistata molta durezza nell’ esterna circonferenza che.aveva operato il taglio. Il sig. Diret. conte Girolamo Bardi da noi pregato si è compiaciuto di far ripetere questo curioso esperimento dall’ a- bile meccanico del R. Maseo sig. Felice Gori. Noi vi abbiamo i 167 iissistito , ed abbiamo veduto con piacere che i resultamenti annunziati erano esattamente veri. Una grossa lastra di cristallo mentre era facilmente solcata dal disco di ferro dolce, si vedeva intensamente infuocata nel luogo ove si esercitava l’ azione : feno- meno che non apparisce nei metalli i quali come buoni con- duttori del calorico non lo lasciano accumulare in un punto, ma lo trasmettono alle altre parti. Quell’ industria pregevolissima, fin qui esclusivamente pro= pria ad alcuni arsenali della marina inglese, ove col mezzo di macchine opportune si dà al legname una prima preparazione, che lo rende atto a servire ad ogni maniera di lavori, special- mente per costruzioni marittime, è oggi introdotta anche in Francia, per ora in un primo e solo stabilimento creato dal sig. Roguin poco lungi da Parigi. Egli per mezzo d’ una nu- merosa ed appropriata serie di seghe verticali e circolari; e di più altre specie di strumenti atti a spianare , scannellare , e modinare in ogni foggia il legname, e che son tutti messi in azione da una macchina a vapore a doppia pressione, riduce il legno greggio a tutte quelle forme che riescono opportune al- la piu comoda e facile esecuzione d’ ogni genere di lavori, dai più grossolani fino ai più fini ed eleganti. Quest’ ingegnoso artefice ha introdotto molti perfezionamenti in quest’ arte im- portante, fra i quali è notabile quello per cui il legno non è, come finora solevasi , spinto sempre con egual forza verso la sega, e però obbligato a passare con egual celerità nelle parti più docili del legno, o nelle più dure e nodose ; ma variamente ed opportunamente. Il sig. Giuseppe Quattrino ha presentato alla R. accademia delle scienze di Torino una serie di sei macchine da sè costruite e destinate a preparare, cardare, e filare il cotone ed altre si- mili materie. Le quali macchine, sebbene di piccole dimensioni, da una commissione speciale, composta di tre membri dell’ acca- demia stessa di ciò incaricati, sono state dichiarate atte all’oggetto proposto, e vi sono state riconosciute varie ingegnose ed utili novità . Il sig. Bowel Symes inglese ha inventato uno st antufo idro» statico espansivo, che ha la proprietà di scorrere con facilità ed applicarsi esattamente all’ interna superficie di cilindri an- che imperfetti, non lasciando esito alcuno ai fluidi che deve 168 , comprimere . La parte espansiva è costituita da utia scanala= tura circolare praticata intorno alla circonferenza dello stantufo; coperta da una materia docile ed elastica, qual’ è per esempio il cuoio, e che forma così una cavità che si riempie d’ un fluido. Questo , compresso per i movimenti dello stantufo; obbliga la parte flessibile al più assoluto contatto. Il Sig. Jessop, inglese anch'esso, ha formato un altro stan- tufo con una lama de iic avvolta in spirale, contennta fra due lastre, ma con sufficiente libertà per potere esercitare , mediante la sua elasticità, una costante pressione sulle pareti del cilindro. Si anunzia un nuovo processo. praticato nell’ America del Nord, e mediante il quale si conciano perfettamente le pelli de- gli animali in un tempo assai più breve che nei processi or- dinarii; con molto vantaggio ed economia. È desiderabile che questa nuovità abbia un miglior successo che quella analoga pro- dotta alcuni anni sono a Parigi dal sig. Seguin, e dalla quale non risultò altro vantaggio che quello particolare dell’ invento- re, arricchitosi,, non coll’ esercizio del. suo nuovo processo che non andò in uso, ma cogli ampi privilegi che seppe ottenere. È stata proposta in Inghilterra una nuova composizione per rendere impenetrabile dall’ acqua il cuvio, le tele, ed altri og- getti...Si, prendono sei once ‘e mezzo d’acetato di piombo, un’on- cia e un quarto di terra d’ombra calcinata ; altrettanta biacca, ed un’oncia di pomice . Tutte queste . materie sottilmente pol- verizzate s’incorporano con cento once d’olio di lino, e si fa bollire leggermente il tutto per dieci ore. Si lascia in riposo per una settimana, quindi si. passa ‘per una tela fine. Da un’al tra parte si prende dell’argilla grassa in polvere fine (un ter- zo in peso della vernice suddetta) e con una soluzione di colla se ne forma una pasta della consistenza d’un impiastro. Si me- scola a, questa la vernice suddetta, e si applica conveniente- mente. Un altro metodo semplice ed efficace per rendere i tessuti di lana, di seta e di cotone assolutamente impenetrabili dall'acqua è stato insegnato da un chimico di Glascovia. Egli, prende dell’olio volatile ricavato dalla distillazione di quel catrame che si ot- tiene dalla scomposizione del carbon fossile nel processo del- l’illuminazione a gas, e discioglie in esso della resina elastica ; applica con un pennello cinque o sei strati di questa vernice sopra uno dei lati del panno, soprapone a questo un altro. pan- no, e li fa passare ambedue così uniti fra due cilindri. Essi contraggono un’ aderenza così perfetta, che il panno si, strap. 169 pa piuttosto ;che distaccarsi. dalla resinà elastica, la quale impe- gnata nel mezzo di questo doppio panno, lo rende veramente impenetrabile dall'acqua. Ecco due nuove applicazioni dei noti razzi alla Congreve. Il capitano inglese Scoresby se ne valse il primo nella pesca delle balene, per dar. morte a questi enormi animali, sui quali si. assicura che uno di tali razzi produce nn’ effetto eguale a quello d’un cannone da 12,di cui le piccole scialuppe oppor- tune a quella pesca non sostengono di gran lunga l’urto. L’altra applicazione anche più importante consiste nel get- tare col mezzo di tali razzi da un bastimento travagliato dalla tempesta un’ancora sopra il lido discretamente lontano , cercan- dovi un punto d’appoggio. G. GAZZERI De typographicae artis abusu ad studiosam juventu- tem Paraenesis ab Ericio Vorpini in I. et lè. aca- demia pisana moralis theologiae professore adorna- ta. — Pisis ex Tipograheo Nistrio 1323. Nel render conto di questa Parenesi noi ci terremo sulle pedate dell'Autore, ed alle sue stesse parole per non incorrere nell’ accuse date all’ Antologia dall’ Apologista dell’ Apologia de’ secoli barbari; quantunque non avrem- mo ragione di temere lo stesso da un professore di teolo- gia morale. L’ autore dunque dopo avere incominciato dal ripor- tare alcuni versi di Q. Settano, nei quali si lagna il poeta che dopo l’ invenzione della stampa guisque suos audet passim vulgare labores, e dopo avere applicato alla stampa la questione fatta da Cicerone boni me plus an mali attulerit hominibus , et civitatibus copia dicendi ac summum eloqguentiae studium; dopo aver riferito l'opinione di molti uomini eruditi e di senno che pen- sarono aver pregiudicato l’invenzione della stampa non meno ai costumi, che alle scienze ; conchiude: sed utigue, ut verum fatear, id hominum vitio, atque typorunè 170 abusu est factum; sub hac autem abusus consideratione diceret Hyeronimus Tiraboschius, optima quaeque , ipsaque Religio sancta, noxia pravaque redduntur (1). Or qui sembrerebbe finita la questione; ma l’autore trova modo di continuarla perchè « tutti, e specialmente gli uomini scostumati (immorigeri (2) homines ) e petu- lanti si abusano all’ occasione dei mezzi pronti e comodi per commettere qualunque scelleraggine; così è seguito della stampa. Ma qui noi domanderemo all’ autore se di- stingua la stampa , dall’ abuso di essa : se sì : potrà esser dunque la stampa utile e buona, ed invece di declamare contro la stampa , bisognerà che egli di buona fede, e da buono e bravo teologo moralista gridi contro chi ne fa abuso. Infatti perchè il mangiare ed il bere sono mezzi facili per guastarsi la salute abusandone, e della vita stessa e della sanità e delle ricchezze si può abusare, non per questo egli avrà mai insegnato esser meglio di non averle; ma tutto avrà lodevélimesite impiegato il suo zelo a rampognare coloro che ne fanno abuso. Egli dunque si protesta di voler solamente sfogare il suo dato contro l’ a- buso: Dum tamen officii mei dizione quadam pene coactus typorum abusum, ex quo ingentia provenere mala improbo , danno , atque detestor, me taedet, fateor et doleo quam maxime, ipsam nobilissimam typogra- phicam artem, ex qua innumera humanae societati (1) Sembra che avrebbesi dovuto dire ipsague sancta reli- gio per impedire la unione di quelle tre voci sancita noxia pravaque redduntur che, quantunque la riflessione le metta al suo luogo, non dimeno era meglio porvele anche per lo stile. (2) Interpetriamo seostumati la parola immorigeri, quan- tanque i Lessici della buona latinità non la registrino , e solo vi si accosta la voce immoratus usata da Filomena supposto scri- tore de’secoli barbari nel libro intitolato Gesta Caroli magni ad Narvonam et Carcassonam, cî de fundatione monasteriù Cras- sensis. Florentiace 1823. 171 profecta sunt et continuo proficiscuntur commoda, de- bere praeter intentionem ex obliquo carpere et aliquan- tisper veluti ex latere ferire. Ma come mai, se condan- nasi il solo abuso, può venirne a soffrire, e può esser incolpata l’arte tipografica, madre feconda, com’ egli confessa , di innumerabili beni alla società, non solo pro- dotti già , ma che di continuo produce? Dopo di ciò passa l’autore ad esortare lodevolmente i giovani di tenersi in guardia dalle cattive massime , e dagli scritti de’ moderni autori d’ opinioni nocive intorno a religione, a morale, a legislazione , applicandovi un luogo di Cicerone (nel 1. degli ufizj cap. 6. ) con altri avvertimenti ed altre allu- sioni di passi ciceroniani, i quali mostrano che c’ erano anche allora molti vizj e molti abusi, quantunque non vi fosse l’ abuso della stampa. Perciò l’ autore ( pag. 10 ) ritornando in istrada, riporta un lamento di Niccolao Perotti vescovo sipontino, contro l’abuso della stampa seb- bene allora nascente; lamento che non prende di mira se non che l’ abuso , lagnandosi di veder succedere « Zorge aliter quam sperabam ... nam omissis saepe numero quae optima sunt, ea scribunt, placendi gratia, quae oblite- rari potius ac deleri ex omnibus libris deberent » . Ma qui l’autore dimenticandosi di voler perseguitare il solo abuso, verificando il suo timore, si serve di frasi e di esempj tali che vanno a ferire la stessa tipografia ; ed il zelo lo trasporta a parere di voler sostenere che l’ignoranza sia più utile della scienza, stravolgendo certe parole di Te- renzio: « Apposite Terentius inquit » ignorantes impru. dentesque plus boni uno die faciunt, quam scientes antea unquam (3) «; e prosegue: » MHinc Iustinus Scytas co (3) Avendo riscontrato noi il passo di Terenzio citato dal no- stro autore , dice così: Pam. Seqguere me intro, Parmeno. Par. Sequor: equidem plus hodie boni feci imprudens , quam sciens ante hunc diem unquam. In Hecyra act. V. scen. IV. v. 39 40. Paragonando le parole e 1’ interpetrazioue del N. A ognun 192 nomine laudat, quod in iis tanto plus profecerit vitiorum ignoratio, quam in Graecis cognitio virtutis » ( pag. 11) Noi peraltro non possiamo neppur supporre che un pro- fessore di teologia morale intenda di dire che gli igno- ranti e gli imprudenti fanno più bene in un giorno solo, di quello che i dotti n’ abbiano fatto giammai ; e che possa far più bene l’ iguoranza de’vizj, che la cognizione della virtù a gente veruna; lo che se accada non n'è causa la cognizione della virtù, ma la malvagità degli uomini ; e piuttosto interpetriamo che voglia dire esser meglio che non ci fosse la cognizione della stampa, quando cene sia l’abuso; al qual intedimento egli riferisce anche le parole di Cicerone (de Orat. lib. 11.74) nelle quali si ricorda la riposta di Temistocle in propo= sito di colui, che voleva insegnargli l’arte di tutto ram- mentarsi , che cioè gli avrebbe fatto cosa più grata ad in- segnargli l’ arte di dimenticarsi, piuttosto che rammen© tarsi quel che non volea sapere; ma non per questo si po-. trà conchiudere che egli biasimasse la memoria, e volesse, non averla per ciò che gli facea piacere e vantaggio; e qui l’autore esclama: « quanta profecto în tot. malis libris contenta expressaque , essent delenda et oblivioni tra- denda, » questo peraltro ci sembra applicabile anche ai libri anteriori all’ abuso della stampa. Ma la stampa com’ egli seguita a dire , ha fatto nascere un'infinità di scrite torucoli ambiziosi di essere autori ec. ec, e poi: neque heic malorum ex typographica procedentium finis. Per- vede quale alterazione ed abuso abbia fatto delle parole e del- l'autorità di Terenzio per fargli dir cosa che disconverrebbe non solo ad un teologo moralista, ma anche in bocca d’un savio Gen- tile. In questo caso il povero Terenzio prova a sue spese la verità di quella sua sentenza ,; nikil est quod male narrando non possit depravarier ,, In Phorm. act. IV. v. 15. 16, Non abbiamo riscontrato le altre citazioni che egli fa, e ba- sti questo esempio per non fidarsene. 173 altro, sig. Teologo moralista, ciò da cui derivano i mali è un male, poichè da causa buona non può procedere un ef. fetto malvagio; or qui vi siete dimenticato che volevate parlar dell’abuso; e l'abuso non procedit ex typographica, ma da chi sene serve male, come è degli abusi d’ogni altra cosa buona. Ma supponendo che sia un errore di stampa , invece di ex abusu T'ypographiae, vediamo quali sono gli altri mali derivati da quest’ abuso ; I° la moltitudine di nuovi sistemi nelle arti e nelle scienze Li specialmente poi in medicina ; e qui l’autore si è dimen- ticato di quello di cui si lamentavano anche gli antichi quando non c’era l'abuso della stampa, intorno ai si- stemi di filosofia. ( Cicer. Quest. acad. lib. 11. cap. 38. e seg. Put. Contro gli stoici, e, Delle com. percez. contro gli stoici. ) Come poi dall’ abuso della stampa derivi la moltitudine dei sistemi nelle arti, nelle scienze, nella filosofia, e nella medicina aspetteremo che ce lo mostri in un’ altra Parenesi. II. Altro male derivato dalla stampa ( 0 come cre- diamo doversi leggere, dall’ abuso della stampa ) è che ora sì trascura di serbare gli scritti perchè il tempo gli fac- cia maturare, ma subito si danno in luce per ambizione o per interesse: olîm ( esclama fra le altre cose ) ante sci- licet l'ypographicae artis inventum, si quis voluisset publici juris facere et omnium notorietati (4) expositium reddere ( malum aliguod opus ) quot insumendi erant labores , quot requirebantur expensae pro exarandis propria vel amanuensiun manu transcriptionibus, quae longa temporis spatia oportebat eaxcurrerent prius- quam ad omnium pervenirent notitiam?.... . felicia a nostris remotiora saecula cum scribere caro (5) con- stabut, ct maxima cum difficultate atque non nisi tem» (4) Questo vocabolo ha bisogno di passaporto latino. (5) Anche questa frase è del conio della precedente. 174 pore longo divulgabuntur opera. ( pag. 16 ) Avverti- menti tutti belli e buoni, ma che si davano da Orazio anche quando non c'era l’ abuso della stampa, esortando a non pubblicar subito gli scritti, ma a serbarli zorwurm in annum. Membranis intus positis delere licebit, quod non edideris (ars. poet. ) ed An haec animos aerugo et cura peculi Quum semel imbuerit , speramus carmina fingi Posse linenda cedro, et levi servanda cupresso? (idem) Lo che mostra che anche allora vi erano degli scrit- tori frettolosi , ed avari; e se il solo Crisippo fece 311 trattati di dialettica , e pubblicò più di 705 libri di varj argomenti, bisogna pur dire, che anche senza la stampa ci fossero autori e copisti in abbondanza. Se il sig. Teologo moralista avesse dato un occhiata alla sola biblioteca gre- ca del Fabricio avrebbe veduto che non bisogna giudicare del numero dei libri degli antichi da que’ pochi che ci ri- mangono ; e che anche prima della stampa erano innu- merabili li scrittori, ed i libri (6); ma poi non tanto il tempo e l’infelicità dei secoli barbari, quanto la poca importanza o malvagità di moltissimi libri, li fecero dimenticare e distruggere. Oggi a proporzione stessa della facilità della stampa anche più facilmente, e spesso pochi giorni dopo venuti in luce, si vanno a distruggere infinito numero di libri nelle cartaje, nelle botteghe de’ pizzicagnoli, e de- gii speziali come i cattivi libri pure a tempo d'’ Orazio andavano a finire +... in vicum ubi venduntur odores Et piper et chartis quidguid amicitur ineptis. Oltre di che non debbesi giudicare delle difficoltà del trascrivere i libri in ogni terapo, da quanta ven’era (6) Nella sola arte oratoria dicea Cicerone ,, sunt innumera- + biles de his rebus libri, neque abditi , neque obscuri ,, de Orat. 84. 1759 nei secoli barbari. Nei tempi migliori tanto in Grecia che in Roma vi furono innumerabili scrittori nella sola clas- se dei servi, e dei liberti; (7) ed anche nei secoli più bassi tra i soli monaci v' era forse più gran numero di scrittori che non son’ ora i compositori delle stamperie. Infatti innumerabili erano i monasteri; e que’ monaci invece di andare a spasso per le campagne e per le città, se ne stavano occupati, tra le altre cose, anche a copiare; nel- } Egitto ove erano Eremi di monaci più popalati delle gran città, aveano anche l’occupazione di scrivere. Nel li- bro IV di Giovanni Cassiano cap. XII. intitolato « Quod ad sonitum pulsantis ostium nihil operis non remittant studio celeriter occurrendi » Si ordina « w# is qui cpus scriptoris exercet quam repertus fuerit in- coasse litteram finire non audeat ... sed imperfectam lineam litterae derelinquens non tam operis compendia lucraque sectetur, quam obedientiae virtutem exequi toto studio atque aemulatione festinet ». Ma conceden- do che più costoso e più difficile fosse allora il pubblicar i libri, non sapremmo per questo chiamare coll’ autore felici que’ tempi quando costava caro lo scrivere, e con difficoltà massima, e non senza gran tempo si divulga- van le opere ; imperciocchè se ciò non era un danno pe’ libri cattivi, lo era certamente pe’ libri buoni; e pub- blicato un cattivo libro, avanti che sene pubblicasse la (7) Oltre gli serittori o librari, corone erano chiamati , che tenevano libreria per conto loro, n’ aveano molti in casa pro- pria i ricchi, e i letterati. Basta leggere le sole lettere di Cice- rone ad Attico per vedere con quanta facilità e prontezza si trascrivevano i libri che voleansi pubblicare. V, lettera 2 1. lib. XIII, dove: Varroni quidem quae scripsi, te auctore, ita propero mit- tere, ut jam Romam miserim describenda ; ea, si voles, statim habebis ; scripsi enim ad librarios , ut fieret tuis, si tu velles, describendi potestas . E nel lib. XII. Jtaque misi librum ad Muscam, ut tuis librariis daret. Volo enim divulgari. 176 confutazione voleaci ( per dire come l’A. )tanto di tempo e di spesa, che arrivava, secondo il noto proverbio , come il soccorso di Pisa; ove che mercè la stampa un libraccio può esser presto confutato , e trattato come Ja ragione co- manda con la pronta divulgazione d’ un’ altro libro. (8) Or qui passa lA. a svergognare il nostro secolo: « pudeat ergo saeculum nostrum intanta quam ostentat versari luce, tam multa passim.typis vulgare, quae certe humano generi onus grave, juvamen autem afferunt nullum. Utinam quos antiquitas nobis tradidit libros legeremus » Ma quali? quelli prima della stampa, 0 dopo? Se prima, vene furono anche allora molti de’buoni e molti de’ cattivi. Se dopo: dovremo confessare lo stesso; onde anche anticamente. dello scrivere sarà stato fatto buon uso o cattivo, nè più pè meno, che della stampa ; anzi perchè prima della stampa i libri costavano più cari, se ne teneva più conto; ora invece sì lacerano, e si consu- man di più, perchè costano meno, specialmente quelli creduti cattivi. Dal rampognare il nostro secolo vie- (8) Torniamo a ripetere che l’ A. sembra parlare di tutta l’ antichità nel modo che si converrebbe del tempo più infelice, perchè prima dei felicissimi secoli barbari ( per così chiamarli dopo l’apologia della barbarie ) erano le comunicazioni per tutto l’impero romano tanto facili e pronte, che forse non invidiavano le nostre. Oggi le corrispondenze per via pubblica saranno più sistemate e più ordinate; ma allora, oltre i tabellarj pubblici ve n'erano un numero sorprendente dei Privati, a quali nulla costava spedire i loro servi. Dalle sole lettere di Cicerone possiamo co- noseere qual moto vi fosse de’ tabellarj per qualunque parte. Quan. do egli era in Asia ricevè lettere da Roma in 47 giorni. ,, App tabellarius ad XI. Kal. octobr. septimo et quadragesimo die Roma celeriter mihi tuas litteras reddidit ,, Ep. 19. lib. V. ad Atticum. Se intendasi del viaggio per terra, non potreb- be farsi più presto a’ dì nostri. 5 Questi medesimi tabellarj portavano libri ed altro) Cicerone aveva pure i suoi: eram missurus domesticos tabellarios. Ep. ad Curionem lib. 2. 179 ne a mostrare. l’ A. che avendo il sommo; Dio ;conce- duto agli uomini non solo la loquela, ma, l’ ingegno per esprimere le nostre idee anche oculiloquio ,. pedilo- quio! (9) aliisque gestibus, non per altro volle ce ne servissemo, che per giovare, non per offendere altrui; ma offendono e non giovano i cattivi scrittori , ed i libri cat- tivi; e da ciò pure ei vuol conchiudere a danno della ti- pografia. Quindi con più impeto \soggiunge ( pag. 21. ) ex tot tantisque , quibus undique obruimur Hue-tosgina malisque libris; quae meliora sapimus, quae scientiarum augmenta, quos in. studiis progressus experimur? Noi accorderemo all’autore che sappia i mali derivati dai cat- tivi libri, perchè come Teologo moralista avrà dovuto esa- minarli; ma certamente mostra di non valutar nulla affatto, o di non conoscere il bene prodotto da molti de’ buo- ni, quando ha il coraggio di parlare così. Ecco uno squarcio della Parenesi che si può dire il nucleo di tutta l’ opera. «Heic delectat veteres inter recentioresque scriptores, breviori sermone adornatam. comparationem instituere, ut manifestò appareat, que nova'adinventa, que augmen- ta scientiarum, qui artium progressus, que tandem ma- jora bona ex typis, et hoc faciliori medio omnia promptè vulgandi hominum opinamenta, societati accesserint . . . Antè typographice artis inventum ex Italis, maxi- mè ex Etruscis, nominasse sufficiat Danthem, Boccaccium Petrarcham, Mediceosque Principes (10) potenti patroci- (9) Questi pure coniati sopra il tipo di ventriloguiuma sono vocaboli dovuti alla latinità del N. A. (10) Mediecosque principes ete. Ma questi è specialmente qui potenti patrocinio et vigili cura vitam exeolucre per artes non fiorirono ante typographicae artis inventum ; se è vero che la stampa, per confessione dello stesso nostro autore (a pag. 33. ) fosse inventata in Europa da Lorenzo Cunster 1’ anno 1440. In- fatti Cosimo padre della patria morì nel 1/64; cioè 24 anni do- T° XII. Gennaio 12 178 nio, et vigili cura « inventas qui vitam excoluere per artes, quique, si qui magis, sui memores alios fecere me- rendo ». Typographica iam dominante, et in tanta, ne dicam librorum colluvie, in tanta, qua, inquam, undique obruimur, librorum copia, habemus opera, habemus viros numero, sapientia , scribendi elegantia , robore , eruditio- ne antiquioribus comparandos? Aliorum esto judicium: Laudibus merito extollimus Ludovicum Ariostum, ma- gnum Torquatum, Cartesium, Ghlileum , Bonarrotium, Verulamium Baconem, Newtonum, Gujacium , Grotium preestantissimos medicos, (11) aliosque plurimos precla- rissimos scriptores; in mathesi, et in omnibus physicis disciplinis quammaximè profecimus; et possumus jure nobis blandiri in omni cultura genere multa nos habere recenter adinventa, (12) Utinam in religione servanda, po l'invenzione della stampa ; Lorenzo il Magnifico morì l’ anna 1492; Alessandro primo duca di Firenze nel 1537; e la dinastia medicea durò fino al 1737. (11) Praestantissimos medicos. Da tutto il periodo sembra doversi conchiudere che praestantissimos medicos sia un aggiunta dei nomi precedenti Ludovicum Ariostum etc; e chi non sapesse quali furono le loro professioni potrebbe crederli tanti medici ; molto più che si separano poi dalle altre scienze ed arti con ag- giungere aliosque plurimos praeclarissimos scriptores ; in Ma. {hesi , et în omnibus physicis disciplinis quam maxime profe- cimus, Se mai arriverà il tempo che sembra augurarsi al mondo dal N. A. ehe periscano tutte le stampe e le scritture pubblicate dopo l’ invenzione dell’ arte tipografica , fuori della sua Parenesi e d’al= tri libri simili, si potrà far questione sopra la sua autorità se l’A- riosta , il Tasso, il Cartesio , il Galileo, il Bonarroti, Bacone , Newton, Cujacio, Grozio fossero tanti dottoroni di medicina. (12) Poco sopra non ha voluto decidere il N. A. se 7'ypo- graphica jam dominante ...habeamus opera . . . et viros . . . antiquioribus computandos : come dunque pochi versi dopo de- cide che in ,, Mathesi et in omnibus physicis disciplinis quam ma- xime profecimus, et possumus jure nobis blandiri IN OMNI CUL- 1URAE genere multa nos habere recenter adinventa ? wT--1—m1————«@ 179 in moribus; in debita superioribus. potestatibus: obedien- tia, ac reverentia prudentiores essemus! Demus etiam nos posse gloriari veteres.in nonnullis:superasse.(13) An ergo hi progressus:typis.debentur? Certè majores nostri tantam quam sibi compararunt, gloriam, nullo modo typis; de- buere ; videtur ergo nec nos nostra «debere typis. Fortasse et nova, et meliora; èt solidiora haberemus aliavmulta, profecto autem plurimis privaremur malis, quae typorum abusu nos undique perturbant. Verum quis; queso; tan- dem erit sana mentis, qui artem typographicam vituperet contemnat, despiciat? Nos typographicam commendamus, et quastyporum inventoribushabemusgratias, rependimus plurimas: typorum, tantum improbamus abusum ; (14) (13) Ma con la precedente generosa confessione, anzi decisio- ne, come si combina il dire per modo d'’ ipotesi ” Demus etiana nos posse gloriari veteres in nonnullis superasse ? ,, Sopra si dice che li superiamo, et maxime profecimus in Mathesi, in omnibus physicis disciplinis, et in omni culturae genere ; e poi: che so- lamente in rornnullis li superiamo. (14) Ma se, come dice il N. A. a pag. 13. neque heic malo- rum ex stia finis ; se i nostri progressi non li dobbiamo alla stampa ; se senza di lei potremmo avere nuove invenzioni , e cose migliori e più solide , e certamente , non avendo la stampa non avremmo neppure i mali dell’abuso di essa, come mai, si può esclamare quis quaeso tandem erit sanae mentis qui artem ty- pographicam vituperet , contemnat, despiciat ? Anzi la conseguenza sarà di dire. quis tandem erit sanae mentis qui artem typo- graphicam non vituperet, contemnat, despiciat 2 chi invece di rin- graziamenti, non manderà all’ inventore di lei mille. maledizioni ? Venghiamo dunque alla conclusione : o il teologo moralista autore di questa Parenesi non ha senso comune, e parla a caso, dicendo e disdicendo } affermando e negando ; oppure col lodare e biasimare la Tipografia; col confondere talora 1’ arte con l’abuso, talora con distinguer l’uno dall'altra, vuole gettar polvere negli occhi ai balordi; ed in sostanza , imbrogliandoli, vuol ridurre i meno accorti e gli ignoranti a detestarla, ed a far credere loro essere gli abusi tante conseguenze e tanti effetti della tipografit! 180 atque publico , et privato bono consulentes malorum li- brorum percupimus interdictionem. » Rilasciando il di più alla critica, ed all’ ozio di chi vorrà leggere questo libro, ci limitiamo ad accennare brevemente con delle notarelle alcune delle molte con- tradizioni, persino con sè medesimo, ed alcuni difetti di stile, e di lingua latina, nei quali è caduto il N. A. Non dissimuleremo peraltro la maraviglia che ci ha fatto, al- lorchè in una parenesi diretta da un professore di teolo- gia morale alla gioventù, e che si mostra tanto scrupoloso nell’ammettere i libri, abbiamo letto degli elogi del Boc- caccio e dell’ Ariosto senza aver avvertito i suoi giovani che non in tutto meritan lode; molto più poi siamo ri- masti sorpresi in vedere che, mentre l’ A. da una parte vuole inculcare obbedienza e rispetto alle Potestà supe- riori, da un’ altro lato siasi permesso di menare tanto strepito contro l'abuso della tipografia, e sia andato a cercare esempj nei Principi antichi della premura di im- pedire la diffusione de’ libri cattivi, dissimulando le pro- vide cure dell’ I. R. Governo, e prendendosi la pena di costituirsi in questa parte procwratore del privato e del pubblico bene « 7205 privato et pubblico bono consulentes malorum librorum percupimus interdictionem ». È cer- tamente lodevole il suo desiderio, ma è inofficioso in un paese dove non manca una moderata e savia censura. Mo- strandosi dunque il N. A. imperito ed all’oscuro di quan- to si fà per impedire la promulgazione de’ cattivi libri, conferma quella sentenza di Terenzio « Homine imperito nunquam quidquam iniustius ; « Qui , nisi quod ipse facit, nihil rectum putat. E neppure ci interneremo in un’ esame minuto del resto di questo libro, che dalle pagine, 37 dove siamo arri- vati, si estende fino alla 46 che è l’ultima, nel fare la- menti contro i cattivi libri stampati, i quali anche senza 181 la invenzion della stampa ; a' parer nostro , sarebbonsi potuti scrivere e pubblicare, come se ne pubblicaron tanti dagli eretici, dai libertini, e altri scrittori d’ ogni genere contro la religione e il buon costume anche antichissima- mente; a segno che , senza la stampa il mondo si mara- vigliò d’esser diventato Ariano, secondo l’espressione di s. Girolamo (15); ma non vi è male morale secondo il nostro autore, che non sia derivato, o almeno promosso dagli innumerevoli libri cattivi stampati; ed in tal caso dove sono innumera humanae societati profecta, et ( quae ) continuo proficiscuntur commoda, che egli si protesta di riconoscere dalla stampa a pag. 5? Noi non ne- gheremo che siasi abusato; e si abusi della stampa co- me di tutte le cose buone; ma non vorremmo per que- sto impegnare il nostro zelo ad esagerarne l'abuso, ed a tacere e dissimularne il buon uso; non invidieremo i tem- pì che ne furon privi, nè li chiameremo felici, perchè i li- bri buoni eran cari; non meno de’ cattivi, e difficilmente si divulgavano; non crederemo che tanti mali sieno venuti per la sola facilità della stampa; non loderemo l’ ignoran- za per li mali che non fa col non poter abusare del sapere; ma la detesteremo per la facilità (se non necessità ) in cui è di far il male per non saper fare il bene; e consideran- do fuor di questione tutta l’ erudizione che ostenta per mostrare la cura dalle antiche leggi nel proscrivere i cat- (15) ,, Ingemiscens orbis terrarum se arianum esse miratus est ,,. Or come potè l’Arianesimo diffondersi a segno da far così esclamare s, Girolamo? Eppure allora non c’ era la stampa. Ci avranno avuto certamente la sua parte i cattivi libri scritti; anzi come l’ A. stesso dice, s. Girolamo esortava a star fermi alle an- tiche dottrine e non alle malvaggie negli innumerabili libri conte- mute ; ma non per questo s. Girolamo se la prese nè con la scrit- tura , nè con i librari, + 182 tivi libri, ci uniremo coll’ autore a desiderare che i Gol verni saggi e le leggi ecclesiastiche prendano tutte le bio= ne misure per impedire igli abusi delle cose utili, e perciò anche della scrittura ‘e della stampa; memori della sen- tenza: di Terenzio. » ni) Gtmor [(( Nam deteriores OMmnes SUMIUS licentia ». _(Heautont. A. III sc. ba N 74) Finalmente; ci dei di non declina contro lia buso: della stampa nè d’ alcun’ altra cosa buona: con libri scritti in uno stile stoppiniano;. pieni di cose-fuor di que- stione, di contradizioni; in una:parola}.talische fossero il vituperio ‘della tipografia ; niente: meno di quelli che si volessero ‘citare per !'mostrarne } abuso. Se volessimo rilevare qualche evase dità venuto dalla tipografia fra i moltissimi beni prodotti dalla natura stess sa. di questa nobilissima arte; non:andremmo ‘a :cercare i.mali:dell’ abuso, nè. specialmente di quello della stampa sola‘; ma' dell’ arte di :scrivere:;-bensì \osserveremmo; iche gli. uomini «hanno trascurato pel: comodo: della. stampa l’esercizio della memoria;'‘e:che i!dotti nòn ‘occupandosi più del. copiare: i.vcodici delle materie appartenenti (alle professioni loro, come: molti degli ‘antichi; dotti facevano 4 n’ hanno minor possesso: Finalmente osserveremmoichè se avessimo ‘ad’ aspettare di veder trd$critti i libri; come in antico , dai Claustrali, tra il numero necessariamente diminuito per le circostanze de’ tempi, e tra quelli che volontariamente hanno ricusato di ritornare al chiostro , stenteremmo a trovare un libricciuolo della. Madonna. I : I È i : i i j : i Fai31$74 321) i ‘9. Gre ri 183 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNESSO ALL’ ANTOLOGIA (*) N III. Gennaio 1824. 5r. Il sepolcro di WincteLmann in Trieste. Venezia , dalla tipografia di Alvisopoli. mpcccxxWI, in 4.° in carta velina. L. 24. 00. Nuove austriache; ossiano correnti d’Augusta fior. 8. 00. A’ lettori l’ editore. + Ecco finalmente colla pubblicazione di questo libro reso tributo ad un grand’ uomo per opera di un cittadino caldo di amore di patria, ed investito di zelo per ogni maniera di arti e di lettere. Il modesto titolo di Sepolcro di VVinckelmann in Trieste non credasi che altro significare non vo- glia che la descrizione di un sepolcro. Al Sepolcro di Winckel- mann il chiarissimo D. DOMENICO DE’ ROSSETTI di Trieste tributa una serie di opuscoli importantissimi, i quali dell’ illustre defunto mettono in chiaro le maggiori epoche della vita, quelle fatalis- sime dell’ ultima settimana di sua esistenza , e la storia di tutti i suoi letterarii lavori. Appresta l’ opera abbondante messe agli archeologi ; ai bibliografici, agli artisti, allo shenicg, e racchiude dottrine nuove le quali mirano a perfezionare gli ‘studi intorno alla bibliografia in generale, ed in ispezie intorno alla monogra- fia de’ personaggi rinomatissimi per dottrina ; di maniera che l’o- pera risulta di molto più generale utilità di quello che possa a prima vista apparire. Niun' ambizione di gloria letteraria ha impegnato l’autore in questo lavoro. Indossatasi egli la cura di erigere in Trieste un sontuoso monumento marmoreo ai mani di Winckelmann, e con- dotto già il lavoro presso che al suo fine, adempie ora all’ im- pegno assuntosi di render pubblica questa sua illustrazione ; che se adesso il monumento letterario precede quello della scultura, ciò addiviene perchè circostanze locali, e nuovi eccitamenti ai | benefici contribuenti gli fanno presentire la utilità di questa sua direzione.; Ognuno, sa quanto dispendiose riescano le imprese di questa fatta; e ognuno può immaginarsi che non sempre corri (1) I giudizi letterari dati anticipatamente sulle operé anniuinziate nel pre- sente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati dai sig. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna con> fonderli con'gli articoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima; siano comé estratti o analisi, siano come annunzi di opere. 184 i spondano alla larghezza delle promesse gli effetti di una invocata liberalità. Ha dunque pensato il benemerito sig. de’ Rossetti di aggiungere tra’ contribuenti tutti quelli che faranno acquisto della presente opera , e darà al pubblico l’ elenco de’ loro nomi quando giudicherà indispensabile di porre alle stampe un’ appendice al libro presente. La edizione si è fatta con ogni eleganza ed accuratezza , nè si è pensato a risparmio ; volendola arricchita di tavole litogra- fiche, rappresentanti e ritratto, e medaglioni} e monumenti, ed il fac-simile del carattere di Winckelmann. Si è fissato all’opera un valore alquanto ‘rigoroso perchè da esso risultino possibilmente cia mezzi di condurre a total compimerito la nobile in presa; nè è punto a dubitarsi che que’ soscrittori i quali hanuo di già sbor- sato un prezzo minor del valore di questo volume non abbiano ad avere la generosità di supplire ‘al ‘difetto , ed in ‘oltre che gli amatori delle lettere e delle arti non'abbiano ad aumentarsi in modo , che mediante la ‘concorrenza loro si veggano ‘finalmente soddisfatti i voti del fervido REREENO di questo Hg nin niano tributo. Aveva l’autore promesso in dono un libriccizolo di pochi fogli, ma tale non è quello di cui ‘ora si annunzia la. pubblica zione ; tale'sarà bensì l’appendice sopraccennata;, che ‘realmente sarà a suo tempo gratis distribuità , e racchiuderà', ‘òltre ‘all’ e- lento de’ contribuenti e de’ compratori di questo libro , tutte quelle giunte , quelle osservazioni e quelle 'nòtizie che Pe utile di ren- der pubbliche , e fors’ anche la pianta del nuovo edifizio che si ha fiducia di' veder ‘innalzato ‘in Trieste. ad ‘abbellimento della città, e a' più onorato asilo dé’ "Ripi di uotniftti o benemeriti O) aMlattri" i l Trovasi' presso Giuseppe Molini al prezzo di paoli 1384 52. Raccolta ‘di Lucidi di teste dipinte idai più celebri mace- stri deltà ‘scuola italiana. —r. Voluhie în ‘foglio : Firenze, LI- TOGRAFIA SALUCCI ; 1823. Tavole litografiche 73 3 cor Sante stori’ che Prezzo paoli go. | Quest'opera, pubblicando la! quale si lè avuto in mira' di far’ conoscere agli‘ amatori delle belle arti‘ della loro originale’ ‘diment+’ sione i movimenti impercettibili di contorno, che dando espres- sione alle teste servono a distinguere Ja diversità delle maniere ’ il vario sentire degli artisti, e ir finezza della loro concezione , è la prima, di sualche iuteresse che sia. stata pubblicata in Italia. per mezzo della litografia. ros di isiloup o 19201 è 185 Sebbene questi possano dirsi i vagiti di tale arte novella na- scente sotto sì bel cielo, pure essi possono far compredere agli amatori ed agli artisti di tutte le nazioni quanto possa essere loro utile la medesima trasportata nella cuna delle arti, potendosi col di lei mezzo più facilmente riprodurre i preziosi originali dei quali questa terra classica abbonda. In questa raccolta è stato sacrificato il dilettevole all’ utile , e piuttosto che cuoprire con delle masse i contorni, è stato cre- duto ‘proprio’ attenersi ‘a questi come i più atti a servire allo scopo propostosi. Le motizie storiche che corredano le 73 tavole danno un cenno sulla nascita e morte degli autori, sulle opere dei quali esse sono state fatte, e dei luoghi ove gli originali attualmente esistono . 53: Esperimento di traduzione di alcuni Salmi in terza rima; del'sig. Gius. CAN. SALVAGNUOLI MARCHETTI. SEG. Ri- mini, 1823; per i tipi di Marsone e Grandi, 8.° di pag. 15. 54. Geografia moderna ‘universale, ovvero descrizione fi- sica;;, statistica e topografica di tutti i paesi, ec. per G. R. PaGnozzi. Vol: VI. distribuzione XI.ma di fogli 15 di stampa, ( Messico, Colombia ) Firenze 1823, per Vincenzo Batelli. 55. Monumenti etruschi o di etrusco nome , disegnati, in- cisi; illustrati e pubblicati dal Cav. F. INGHIRAMI. — Firenze. 1823 -- Tipi fiesolani , e presso Giuseppe Molini. Fasci- colo XXXII -- con 10 tavole. 56. La Calata degli Ungheri in Italia, nel novecento -- Romanzo storico di DAvipe BERTOLOTTI. Milano, presso la Società tipografica: dei classici italiani. 1823. Vol. in 18.0 di pag. 300. 57. Biografia universale, antica e moderna, ec. Opera affatto nuova compilata in Francia da una società di dotti, ed ora per la prima. volta recata in italiano con aggiunte e ‘correzioni -- Venezia, presso G. 5. Missiaglia. 1823 + 8.0. Vol. XIII.o Lett. CO-CO. (Le ‘associazioni . si ricevono ‘in Firenze da G. Molini. 158. Risposta alle censure pubblicate dal sig. MAGGIOR GIU- sEPPE FERRARI, nel N.o XXXIII. dell’ANTOLOGIA; intorno alle osservazioni concernenti alla lingua italiana ed a’ suoi Vocabo- lar]. Parma. Per Gius. Paganini, 1823 —- Opuscolo di pag. 48» in 8.0 -- prezzo ‘cent, 75. 59. Notice sur quatre cippes sépulcraux , et deux fragmens découverts en 1817 sur le sol de l’ancienne Carthage : par l e major HumBerT. La! Haye , chez Lyon imprimeur -- ed in Firenze, al 186 Gabinetto scientifico e letterario di G. P., Vicusseux. -- Atl, Masa simo, con due tavole incise in rame ; prezzo paoli 30 -- 60. Ai cultori delle scienze mediche. Dai torchi di GLAUCO MASI, uscirà tradotta dentro il mese di Gennajo, 1824 la completa Esposizione della medicina fisiologica del Prof. Cav, Broussais primo medico dell’ Ospedale di Val-de-Gréce a Parigi, e membro di molte illustri accademie. L'importanza dei di lui principj viene dimostrata dalla giusta celebrità che in pochissimo tempo si è, acquistata in tutta l’ Europa, e dalla, valida e salutare influenza che i suoi precetti esercitano sulla pratica medica. Ma le diverse opere classiche che egli ha. pubblicate non of- frendo completamente e con concatenata successione, lo sviluppo della medicina fisiologica ; il prof. Goupil alunno ed amico del Broussais, ed illuminato seguace della di lui scuola , penetrato dell’ utilità e della necessità di diffonderne le dottrine, ha in un modo facile; chiaro, progressivo ed analitico esposti. siprilebiny del riformatore francese , Quest’ esposizione non comprende esclusivamente le verità dimostrate e sviluppate dal Broussais, ma contiene ‘ancora i prin- cip) positivi che egli ha attinti da molti illustri fisiologi, patolo- gi, e clinici moderni, e che essenzialmente costituiscono la nuo- va medicina fisiologica , ì L’ editore per rendere piu familiare e meno o dispendiosa que- st’ opera, si è determinato di farla tradurre, ed il sig. Dott. E. Ba-. sevi vi si È prestato con una libera versione , e con note, che verranno inserite nella fine del secondo ed ultimo volume . Sarà riunito al primo volume un discorso preliminare del traduttore, nel quale dandosi alcuni rapidi cenni della. medicina. moderna in Italia , e della nuova dottrina francese ; si occuperà del confronto della teorica di Broussais con quella del. controsti- molo; confronto che offrirà pure una breve esposizione della dot. trina del celebre clinico di Val-de-Gràce . L’ opera verrà divisa in due tomii, ciascuno di circa undici fogli di stampa, di sesto, carta e carattere simile al presente ma- nifesto, che si rilascerà ai soli Sigg. associati al prezzo di ‘paoli quattro l’ nno. Per i non associati il prezzo sarà di paoli; cinque: Le associazioni: si ricevono presso i principali libraj.;e re- steranno chiuse alla pubblicazione del secondo ed. ultimo vo- lume . : Livorno 30 Dicembre 1823. ava GLAUCO MASsI Editore . 187 61. Canzoniere di MELCHIOR MISSIRINI. Prato,, per i 7. Gia- chetti, 1823. Vol. in 12. .di p. 272. 62. Le Egloghe pescatorie di Azzio SINCERO. SANNAZARO } napolitano, recate in versi italiani dal CAVALIER LUIGI BIONDI Romano, Torino, tipografia Chirio e Mina: 8.0 di pag. 55 — carta velina. 63. Istituzioni di Geografia fisica e politica, di LUIGI GA- LANTI. 4.2 edizione notabilmente migliorata, e corretta. Napoli 1823. Tipografia di Domenico Sangiacomo. 4. volumi 8,0 --. prezzo ducati 3. 20. 64. Del contagio venereo , trattato istorico - teorico - e fifatico del Dottor NiccoLò BARBANTINI , professore. di. clinica. esterna nel Real Liceo, membro del Collegio medico, membro della R. Accademia, ec. ec. LuccA, Stamperia Benedini e Rocca. 4» volumi 8.0 65. Bossi, L. Della Storia d’Italia antica e moderna; 19. volumi in 8.0 ornati di 100 tavole incise in rame. Milano 1819-23. Opera completa, paoli. 114. La medesima, 19. vol. forma tasca- bile, 76, Questa storia comprende tutte le cose e tuttii fatti d’ lialia, dall’epoca in cui. cominciavano le prime notizie degli abitatori della penisola , sino al principio del secolo. XIX. .. NB: Chi desiderasse quest’ opera , potrà dirigersi al Gabi- netto Scientifico e Letterario di G. P. Vieusseux. 66. Visconti. C. Q. Musee Pie Clementin et Musee Chiara- monti , ensemble 8 vol. format in 8.0 orné di 696 planches. Mi- lan, 1819-22, .ouvrage complet- paoli 300 Le. méme ouvrage, format 4. 500 Iconographie romaine ,. 1. vol. 40. planches. 20 Le méme. in 4, i 36 NB. Come sopra. 67. BREISLACk , ScIPION. Traitè sur la structure extérieure du Globe, ou institutions g°ologiques. I n 8.0 avec un atlas de 56 pl. Milano, 1822. | paoli 5ò NB. Come sopra. 168. Lettere di GIANFRANCESCO Mitizia a Tommaso Temanza, pubblicate per la prima volta nelle Nozze Muzzane di Caldonio; Venezia: Tipig. Alvisopoli, 1823. 8.0 di 96. pag. 188 69. Elogio dell’ abate BArRDOLOMMEO LOoRENZI, scrittò da Bennassu MONTANARI : aggiungesi un’ Elegia. VERONA. Paolo Li banti. 1823. 8.° di pag. 72. ro. Storia della scultura, del CONTE LEOPOLDO CICOGNARA; edizione seconda , riveduta ed accresciuta dall’ Autore. Prato, Fra- telli Giachetti, Vol. 2.0 di fog. 18 1£/. Tavole 6. in rame. L. 8. 2. 6 per gli associati. gr. Storia dell’ Arte col mezzo dei monumenti, dalla sua de? denza nel iv secolo fino al suo risorgimento nel secolo xvi, di G. B. L. G. SEROUX D' AGINCOURT. — Manifesto. Il. Winkelmann solenne istorico dell’ arti antiche termina la sua opera a Costantino , e il Vasari, e gli altri che scrissero le vite dei moderni artisti non rimontano che verso la metà del sel colo XIII. Pochi autori ; fra i quali mentovar' dobbiamo il Mu- ratori , l’ Heyne , il Fiorillo, ed Emerico David raccolsero in dotté e laboriose opere i Monumenti e gli Scritti i quali attestano che nelle tenebre del medio evo l’Italia, la Francia, e la Germania ebbero (senza favellare della Grecia ) pittori e scultori che leva- ron grido fra i loro coatemporanei , e ornarono i chiostri, e i «palagi colle opere del loro ingegno. ; Il sig. D’ Agincourt omettendo ogni ifidagine meramente eru- dita sulla vita, e sui-lavori degli artisti , si è limitato a Sea durre colle stampe quei, Monumenti che gli sembravano i più importanti, gli ha disposti per ordine cronologico, e offerti agli occhi di chiunque brama d’ avere in questi una storia visibile de’ traviamenti , e de’ progressi della mente in questo ramo del- I umano sapere. Questo metodo è certamente più vantaggioso , ed efficace di quello che ricorre a lunghe descrizioni, e noiosi racconti. Che l’ animo di quel, ch ode, non posa Nè ferma fede per esemplo , ch’ haia La sua radice incognita , e nascosa Nè per altro argomento, che non paia. DANTE Paradiso C. xr1I. .Il concetto dell’ Agincourt è vasto, e può la sua opera essere considerata come un istoria delle rivoluzioni dell’ arti. In fatti ne va mostrando di mano in mano gli errori , il decadere, il risor- gere da Costantino fino a Leon X: e cominciando dal presentare alieni capi lavori {dell” arti, antiche, viene così a dare ad essi un risalto. maggiore mettendo, accanto a loro le goffe opere dei secoli; di mezzo. La scultura , € la pittura cominciano a declinare nel V 189 secondo secolo della nostra era. Si veggono precipitare finalmente in una barbarie malagevole a concepirsi, se il tempo non ne aves- se lasciato sussistere le prove . Lo spirito umano finalmente. si desta dall’ antico, e mortifero letargo: la pittura e la scultura ritornano all’ imitazione della natura ,,e tenendo la buona via, giungono con lenti ma continui progressi. fino all’ eccellenza. in quel secolo cui diede nome Leone X. e che vide nascere i ma- ravigliosi lavori del Vinci, di Michel Angiolo e, di Raffaello. Se gli artisti non vedranno in questa opera che le vicende delle loro discipline , i filosofi i quali più altamente intendono , consideran- do che una è la mente umana, che non può fermarsi in una via, e progredire in un altra, che nell’arti più che in altra cosa s’im- primono i modi del viver civile, rintraccieranno quali cause da tanta altezza precipitarono la stirpe mortale. L’ intelletto s’ avvilisce prima della mano: quanta schiavitù, quanti errori, quanta ignoranza opprimer doveano i popoli , e tormentar la ragione! quali sforzi eran necessarj, perchè ella potesse rialzarsi essendo da così gravi pesi umiliata e costretta! La vista di questi grossolani monumenti è anch’ essa una ri- sposta ai lodatori dei Secoli barbari. Il sig. D’Agincourt consacrò gran parte della sua vita, e della sua splendida fortuna a così nobile impresa , e richiedeansi invero molte ricerche , molti viaggi, molte cure , per adunare i monumenti d’ ogni età, d’ogni loco. Egli fece incidere più di 1400 Monumenti dei quali più di 700 erano inediti, e di questi si compongono le 325 tavole del suo lavoro. Settantatrè di esse riguardano l’ architettura , 48 la scultura , e 204 la pittura, Lunga fatica era pur necessaria per corredare queste tavole d’ una estesa notizia di tutto quello ch’ esse contengono. L’autore vi ha provveduto con un indice analitico accompagnato d’impor- tanti documenti e ragguagli che non poteano aver luogo nei suoi discorsi intorno a ciascheduna delle arti sorelle. Or da quest’ in- dice sappiamo il paese ove ogni monumento ritrovasi, la sua epoca, il suo scopo , il nome dell’ artefice qualora sia noto , le stampe che ne sono pubblicate , quando esse esistano. Dopo questi preziosi schiarimenti non vi era assoluta neces- sità del testo. Nondimeno l’Agincourt arricchì l’ opera sua di un prospetto istorico sullo stato civile, e politico della Grecia, e dell’ Italia dalla prima epoca della decadenza dell’ arti fino al suo compiuto risorgimento, e di tre discorsi istorici sull’ architettura , pittura , e scultura. 190. Tatto mira all’utilità nell’istoria dell’Agincourt: quindi egli in alcune parti ha crednto doversi estendere maggiormente per- chè il volea l’ importanza, e la’ novità del subbietto. Questi motivi lo consigliarono ad offrirne la descrizione delle più famose catacombe pagane , e cristiane, delle ricerche sull’ origine e il carattere dell’architettura chiamata gotica, una notizia crono- logica dei diversi metodi tenuti nell’ arte di fabbricare , molti- plici documenti sui dittici greci e latini sull’arte di fondere il bron- zo, sul cesellare, sull’ intagliàre di Niello, sull’ incisione nel cristallo , e sulle miniature. È inutile il viepiù raccomandare l’importanza di quest’opera, particolarmente fra noi ove l’ arti rinacquero a nuova vita, men- tre la notte della barbarie cuopriva il rimanente d’ Europa. Vanamente si cercherebbero altrove tanti monumenti sparsi sull’ intiera superficie d’ Europa , chiusi nelle catacombe , nascosi fra le tenebre dell’ antiche chiese, e che ignorati rimanevano nelle biblioteche, e nei musei dei privati innanzi che le pro- vide cure dell’ Agincourt li traessero alla luce. Molti ne son pe- riti da che egli cessò d’esistere: e quanti motivi congiurano ogni giorno col tempo a distraggerli! Carità di patria ne muove a donare alla nostra lingua opera così famosa; ancor nell’arti si manifesta la potenza dell’ inge- gno Italiano, nato a far risorgere tutto quello che morì per colpa degli uomini e della fortuna. L’ Europa riconosce due volte dalla Toscana una civiltà che forse in ambedue |’ epoche è frutto spontaneo del suo bel paese, e non mai nulla dovette alla Greca sapienza. Ma un’altra ragione ch'è d’ un’ importanza primaria nella storia delle arti c’induce a riprodurre in Italia questa opera. I disegni del Sig. D’Agincourt sono in ‘piccole misure : Egli si è avvisato di rimediare a questo inconveniente gravissimo ponendo di fronte all’oggetto impiccolito una parte di esso tanto grande quanto lo è nell’ originale col fine di farne conoscere lo stile. Ma è facile d’accorgersi che alcuni monumenti d’arte sono così me- schinamente presentati all’occhio del lettore, che in quella picciolez- za il loro carattere di sublimità , e di bellezza viene a dileguarsi. Una Società d’ artisti profittando dei mezzi tanto più facili e tanto meno dispendiosi che somministra la litografia, farà ogni sforzo per dare in più convenienti dimensioni i monumenti con- tenuti nelle Tavole D’Agincourt, molti dei quali si ritrovano in Toscana, e nelle principali città d’ Italia. Contida di poter dare 19I un carattere più analogo anche a quello che il Sig. D’ Agincourt presenta in una’ grandezza ugnale a quelle dell'originale) e d’ar- ricchir pure di nuovi oggetti |’ istoria dell’arti. Per dare una traduzione del testo, e dei discorsi, s’aiuterà dei lumi di quelli che coltivano ad un tempo, l’arti, e le lettere, e sono in grado di correggere quelli errori nei quali il sig. D’Agin- court , parlando di cose italiane, potesse avere incorso nella sua qualità di straniero. Condizioni dell’ associazione — 1.0 L’ edizione che la società si è proposta d’intraprendere sarà eseguita per il testo, nella forma , nella carta, e in caratteri simili al presente manifesto (quarto grande, carta velina 1.a qualità ) mentre saranno con- servate nell’Atlante le stesse dimensioni di quello d’ Agincourt. Le tavole saranno incise sopra carta grande papale, in N.o di 600 al- meno. Si otterranno in tal guisa sei volumi di testo, e sei volumi di tavole. 2.0 Tutta l’opera viene distribuita in 1oo fascicoli , ognuno dei quali sarà ‘corredato di sei tavole, e pubblicato di mano in mano con l’istesso ordine e disposizione di materie della re- cente unica edizione venuta alla luce in Parigi presso i tipografi Treuttel e Wurtz, anno 1823. 3.0 Stante il vistoso aumento delle tavole (come dal primo articolo rilevasi) il prezzo per ogni fascicolo viene invariabil- mente fissato a Franchi otto per i sigg. associati, da pagarsi nell’ atto della consegna di ciascheduno fascicolo. 4.9 Le associazioni rimangono aperte fino al 31 Dicembre 1824, passato il qual termine, i fascicoli componenti l’opera di cui si tratta, saranno calcolati a Franchi dieci. 5.0 Chiunque potrà procurare dodici associati, avrà diritto di ricevere una copia dell’ opera gratis, oppure il valore cor- rispondente della medesima stabilito come sopra, da percipersi però dopo la pubblicazione del ventesimo quinto fascicolo. 6.0 In vista delle correzioni, e dei miglioramenti all’ opera che la società promette di recare ad effetto nell’ esecuzione del suo lungo e laborioso assunto, non saranno pubblicati che soli venti fascicoli agni anno fino al termine dell'impresa, ripartiti a intervalli eguali. Il primo fascicolo sarà distribuito ai Sigg. As- sociati il 15 Maggio prossimo al più tardi , salvo ogni impensato accidente ; e quindi essa procurerà con tal metodo che tutta l’opera rimanga terminata in poco più di anni cinque , non tra- lasciando cure , e diligenze alcune, affinchè l’ edizione riesca cal JI 92 decoro dovuto all’ importanza dell’ opera, e meriti così la fiducia ed il gradimento degli’ associati, il nome dei quali sarà stam- pato per ordine alfabetico in. fronte all’ opera medesima. : 7.9 Le Tavole che riguardano la scultura, e la, pittura sa - ranno disegnate e direttè. dal Sig. Professore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, Giuseppe Bezzuoli, e quelle spettanti l’ Ar- chitettara dal sig. ingegnere architetto , Antonio Carcopino , e. tutte verranno incise dalle litografie Saluoci e... S.0 Le associazioni si riceveranno in Firenze , all’ abitazione dei citati signori Giuseppe Bezzuoli abitante in B. Pinti N. 6718, e Antonio Carcopino abitante in via de’ Leoni N. 24,e per le altre città d’ Italia presso i principali librai, ai quali saranno concesse quelle facilitazioni, e quegli utili che sono di ragione. 9g. Il numero d’ esemplari della presente edizione è deter- minato a 750: 50 ne saranno tirate in Carta velina distinta ,, e il prezzo di questi sarà valutato il doppio degli . esemplari comuni. 10.0 Le spese tutte di porto, e gabella fuori di Firenze: sono a carico degli associati. Firenze 1.0 febbraio 1824 Fine del Fascicolo XXXVII. | OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO \ DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. DICEMBRE 1823. Termometro Stato del cielo 1UXO1£) o1amuo1e€ | 01791018] 017 -2w01An]q |} ord. -09s0w19UY 7 mat. |28. 4,35 2,9) | Scir. |Nebb. folta. Ventic. I| mezzog. |28. 3,9 | 8,0 95 {Sc.Lev Nuv. nebb. Calma rt sera |28. 4,0 '‘Scir. |Nuvolo. Ventic. Scir. |Nuv. nebb. Venlic. Vento Nuvolo Vento 0,01 ‘Sc. Lev|Piovigg. Calma ri sera È 0,06 Scir. |Nuvolo. Calma 7 mat. (28. Scir. |Nuv. rotti Galma "4| mezzog. 128. ILib. |Nuv, nebb. Vento | | rr sera |28. 0,04 O. Lib.| Nuvolo Ventic. ” mat. |28. 1,5 Lib. |Nuvolo Vento | 5| mezzog.|28. 1 Lib- {Nuv. nebb. Vento ti sera |28. 11,0| 86 10. Lib.|Nuvolo Ventic, | 7 mat. |28. 0,7 11,0] 89 O. Lib.|Nuvolo Ventic. 6| mezzog. |27.11,95 10,7} 12,3] 82 O. Lib.|Nuv. nebb. Ventic. ir sera |28. 0,1 10,7i 11,0] 87 Lib. |Ser.con nuv. Calma 7 mat. |28. 0,3 10,2| 10,0] 90 O. Lib.{Nuv. rotti Ventic. 7| mezzog. |28. r,2 10,8] © 12,0) 84 Lib. |Piovigg. Ventic. 11 sera |28. 2,2 10,7 10,0] 79 Tram. |Ser. con nuv. Vento wu Termom di mi > O E ui u_ [3 |_5/_L8 © Ora S 5 D 5 Ss 8 Stato del cielo È e 3 5° UEGIB +8 AEREO IE I 4 | mat. |28. 4,25 9;3 7,0| 56 Gr. Tr.|Ser. Vento forte 8| mezzog. |28. 4,8 9,5 9,0] 51 Tram. |Nuv. Vento tr sera 28. 24,2 9,3 6,0| 56 Gr. ‘Tr.|Ser. Vento a mat. |28. 4,3 7,1 30] 73 Scir. |Sereno Vento 9| mezzog. 128. 3,8 7,9 6,8) 63 Scir. |Ser nebb. Vento È ri sera |28. 2,2 7,1 450) 83 | Gr. Lev|Sereno Ventic. [ | 7 mat. |28. 2,2 5,9] 1,0| 83 Lev.Sc.|Ser. velato Ventic.|f ilio mezzog. |28. 2,4 6,0 5,0| 64 Lev.Sc.|Ser. caligé —Ventic.|f risera |28. 3,3 459 v6,0| 38 Gr.Lev|Ser. ‘Ven. forte|]f 7 mat. |28. 4,0 5,9 2,0] 70 Scirl |Sereno Ventic' dir:1} mezzog. |28.. 4,2 | 5,8 5,0) 61 Scir. !Sereno Ventic® rrsera ‘28. 3,8 | 5,8 3,5| 73 Scir. |Ser. nuv. Ventic® 7 mat. |28. 3,9 5,4 2,8] 87 Scir. |Nuv. nebb. Vento WS mezzog. |28. 2,95 5,3 5,0] 89 Scir. |Ser. nuv. Ventic.|f i 11 sera |28. 0,55 6,2 4,5 77 Ostro |Ser. nuv. Vento 7 mat. |27. 92 6,7 6,51 93 | 0,03|Scir. Nuv. nebb. Vento | i\r3| mezzog. |27. 79 7,1] 10,0) 64 Lib |Tempest. Vi. fortelli ri sera |27. 8,2 6,2 45| 71 lo;01 Tram, Nuvolo Vento |f | 7 mat. |27. 9,0 | 5,9 1,9| 84 Sc.Lev,|Sereno Calma |f 1 mezzog. |27. 99 5,8 4,9|) 63 Sc.Lev.|Ser.calig. Calma |; 11 sera _|27.11,9ò 9,3 2,0] 71 Sc.Lev.|Sereno Ventic. 7 mat. |28. 2,3 4,6 3,0] 44 Lev. Bel sereno Vento |f 15| mezzog. |28. 3,0 4,9 5,0| 46 Lev. |Ser. nebb. Calma |f È 11 sera |28. 3,2 | 4h 2,0] 56 Lev. |Ser. nebb.. Vento | 7 mat. |[28. 3,3 4,2 0;5| 74 |Scir. Ser. calig.... Ventic* 16| mezzog. |28. 3,2 452 3,8] 65 fr. Gr.|Ser. calig. Ventic»|] __|_15 sera |28. 3,3 44 1,8] 65 Sc.Lev.|Sereno Ventic.i| 7 mat. |28. 3,0 3,51 0,5 74 Scir. |Sereno Ventic.|| 17| mezzog. |28. 3,0 3,6 3;0| 75 Scir. |Ser. calig. Vento || | rx sera |28. 1,6 3,5 1,0| 75 Scir. |Sereno Vento || il | 7 mat. [28. 1,0 3,1] 0,0) 83 Sc.Lev.| Nuvolo Ventic.|| j\19|] mezzog. |28.. 0,6 3,1 1,5] 85 Tr. Ma.|Nuv. nebb. Ventic. DI sera (27. 11,6 3,1 ;39| 79 Sc.Lev.| Nuvolo Vento 7 mat. |27. 10,5 9,5 4,9 100:| 0,47 Gr.Lev. Piovig. Venti i|10| mezzog. 127. 10,7 40 6,0 100 | 0,49 Lev. |P.con nebb. Calma | n sera l27. 10,2 44; Ostro |Nuv. ser. Ventic.| | 7 mat. mezzog. II sera rd mat. mezzogz. Il sera 7 mat. mezzog: 1{ sera 7 mat. |124| mezzog. tI sera m mat. ||25| mezzog. II sera 7 mat. mezzog. II sera tI sera o1qowuoteg È 27-711,0 28. 0,3 294 (0,1 28. 0,0 28. 0,75 128. 0;8 28. 0,7 28. 0,5 27.11,35 7 mat. 31| mezzog. | II sera 459 5,3 0179 w1015 ] 017 -QU101AN]K cid -09s0W9UY 98| 0,30|Scir. Tram. Scir. 100| 0,03|Scir. 100 Ostro 101| 0,32|Ostro Stato del cielo Ser. nuv. Nuvolo Ser. nuv. Nuvolo Nebbia Nuvolo 100,5] 0,01|Lib. Nuv. nebb. 97 | o,r9|Sc. Lev.| Piogg. 98! 0,05] Scir. Scir. Tram. Gr. Nuv. rotti Nebbia | Sereno Sereno —__—_ Tram. Gr. Ser. nuv. Sereno Sc. Lev. Sereno . G.|Bel sereno 'Lev. Greco Tram. Scir. Sereno Sereno Sereniss. Bel sereno Sereno Sc.Lev. Ser. nebb. Gr.Lev Piovigg. 5| 0,04|Os.Lib.| Nuvolo 0,66|Lev.Gr.| Pioggia 3| 0,07|Tr. Gr,|Nuvolo Tram. Scir. Scir. Sereno Ser. ragn. Ser. calig. 1Os. Sc.'Ser. nuv. 98| 0,02|Sc.Lev.]Nuvolo 93 Os.Lib.|Piovigg. 90] 0,11 Ostro Nuvolo ‘96 0,01 Gr.Lev Pioggia 89| 40,0| Lev.Sc.iNuv. nebb. 77 ©,15| Tram. Sereno Ventic. Ventic. Ventic. Ventic. Ventic. Ventic.| Vento Ventic.! Ventic.! Vento | Ventic.! Vento Vento Ventic. Ventic.! Vento Ventic. Ventic.: Vento Ventic.! Ventic. Calma Ventic. Vento Vento Vento Calma Ventic. Calma Ventic. Vento Calma Ventic. Calma Calma | Ventic. FENOMENI, DI VARIO GENERE. Nella sera del di 13 e nelle notte seguente scarica di neve sulle montagne di Pistoja e alla Vallombrosa. Il Barometro fino dalle ore 4 ‘22 aveva cominciato a risalire. | Nella notte del dì 28 si è coperto di Neve tutto il Monte Morello. PROSPETTO METEOROLOGICO DELL’ ANNO 1823. Barometro |Termom.medio Giorni mensuale Vento Mesi medio dominante ‘suoi ‘pari || 017901018] 047 -QUIOTAN]q Sereni |Piovosi mensuale Inter. | Ester. 270 1 97 Scirocco i Febbrajo | 27. 933 | 3 n Levante ‘Marzo 27. 10,9 8 Mik Tram. Greco Aprile 27: 11;6 5 4 Libeccio i Maggio 28... 1,3 5 Scirocco Giugno 27. II} Libeccio Luglio 28. 0,6 5 5 Libeccio } Agosto 28. ‘153 Libeccio Settemb. 28. 0,8 Scirocco Ottobre | 28. 0,2 6 Scirocco INovemb. 28. 2,3 8 Scirocco Dicembre > 6 8 Scirocco nnt p. CL) ‘ Barom. massimo 28. 5,3 il 22 Novemb. Termom. mass. 26,0 dal 25 al 29 Agosta minimo 26. 9,65 il > Febb. minimo —2,0 il dì 1 e 3 Gennajo Medio di tuttol’anno 27. 11,8 medio di tutto l’anno 12;2 | ‘Totale dei giorni piovosi 121; dei sereni 185: della pioggia poll. 34,9 i ANTOLOGIA N. XXXVII. Febbraio, 1824. Saggio sulla natura, lo scopo, e i mezzi dell’ imitazio- ne nelle belle arti, del sig. QuarreMzRE DI Quincy, segretario perpetuo dell'Accademia Reale di belle arti a Parigi. — Parigi, 1823. Un vol. in 8.° di 435 pagine. ( Cont. Ved. A. pag. 3. del pres. vol. ) p rogredisce l’ autore nella seconda parte a trattare del- lo scopo dell’ imitazione , e sebbene riconosca come la natura abbia in ogni modo sempre accompagnato il pia- cere al bisogno, e come nel soddisfare a questo l’ uomo abbia impiegato ogni mezzo dell’ingegno e dell’arte, non- dimeno un tale esercizio dovette infinitamente perfezio- narsi a misura che si accrebbero la civiltà , e le relazioni sociali. Trovati alcuni segni imitativi o convenzionali pel commercio delle idee , trovata la scrittura , le ciffre nu- meriche, le note musicali, sì imitarono in seguito an- che le forme dei corpi, e cominciando da ciò che fu pro- dotto dalla necessità , si pervenne a quello che prese di mira il diletto: quindi lo stesso diletto rigenerò nuovo bisogno , e potentissimo dell’ anima per gratificare, im- mortalare , divinizzare, commovere; e riunire il mondo astratto delle cose intellettuali alle cose sensibili, e le opi- mioni morali agli oggetti visibili delle religioni e del culto. Divide in più sorta di dilettazioni , e riconosce varie gradazioni in quel sentimento che emana dalle opere d’imitazione a misura della parte che vi prendono i sensi, T. XII. £edbbraio LI n e più particolarmente riconosce tre gradi di diletto cor- rispondenti alle varie facoltà dell’ uomo. Il primo viene prodotto sugli istinti grossolani dipendente dalla semplice configurazione assimilare delle materie che riproduce la realtà colla realtà , piacere troppo volgare ed escluso da queste nostre teorie. Il secondo sì limita alle impressioni dei sensi prodotte jcoi mezzi dell’ arte , imitazione piut- tosto materiale che intellettuale, la cui servilità ravvicina in tal caso ‘il modello all’ immagine, e l'immaginazione non esercita altra parte attiva che in quanto vien sotto- posta all’ impressione dei sensi. Finalmente il terzo grado di diletto è quello che senza escludere il precedente pre- senta il vero scopo dell’ imitazione, scegliendo ciò che v'ha di più insigne, di più raro, di più perfetto fra le cose imitabili , diletto che mette in movimento le facoltà più nobili dell’uomo, quelle che lo elevano sulle altre opere create, e che agisce immediato sugli organi intellet- tuali, tanto superiori per la loro natura e il loro magistero ai corporei; piacere che sebbene non si separi dalle fisiche sensazioni , viene però detto piacere morale. Partendo da queste teorie spiegasi più partitamente l’idea di realtà o identità dell’ imitazione, e rendesi . chiara quella specie di piacere che ne risulta. È appunto nel raffigurare questa identità che limitatore riproduce l’oggetto senza alterazione di parti o di circostanze, in modo che la verità materiale sia riconosciuta, ma limi- tandosi però a questo unico carattere , e senza che nulla ci elevi a scorgere una relazione tra le cause morali del. l’oggetto , le affezioni atte a renderlo interessante , o gli effetti che ne determinerebbero l’ importanza. Per indurre maggiormente chiarezza in questo se- condo paragrafo I autore parla del rifratto ; ma converrà tenersi in guardia , e limitarsi alla specie dei ritratti più materiali, a quelli cioè ove il pittore non curò se non che i tratti più superficiali e apparenti del suo modello, 3 poichè se fosse altrimenti non ne verrebbe così immediata la conseguenza che il diletto più limitato sia quello che produce un ritratto ( fatta astrazione dalle affezioni par- ticolari ); e ciò da noi si osserva poichè si riconoscono tali ritratti nei quali il talento sublime dell’ artifice pose tanto fino e nobile artificio , che indipendeuntemente da queste affezioni , vedesi attraverso i fisici lineamenti tut- to il morale: ritratti nei quali l’ artista seppe accoppiare alla riproduzione identifica con sommo magistero quanto abbisogna per eccitare un diletto ben superiore a quello di secondo grado, e certamente non volgare. — Per la qual cosa soltanto i ritratti comunemente fatti possono condurre alla conseguenza che /’ imitazione quando non ci presenta gli oggetti che nel senso della realtà , come quella che produce il diletto limitato dei sensi, questo non può dirsi lo scopo primario delle arti belle. Nel terzo paragrafo rendeci conto della superiorità del diletto dell’ anima nell’ imitazione in confronto di quello che agisce esclusivamente sui sensi, e discende al- l’utilità degli effetti che ne derivano per misurarne l’in- timità: utilità di cognizioni, di commovimenti , di idee, di imagini che dilatano i dominii della percezione, e ar- ricchiscono lo spirito di concepimenti nuovi, aprendo all’immaginazione innumerevoli strade verso i più lati campi del comprensibile. Dalle quali considerazioni de- duce con mirabile chiarezza evidentissime conseguenze, e pone al confronto l’ effetto che sull’ anima sono atti a produrre i quadri storici ed espressivi tracciati dal bello ideale di Pussino a fronte delle Tabagie , o dei soggetti campestri materialmente imitati da Teniers. E per uu seguito di nobilissime elevazioni di pensieri dedotti dal- l’essenza delle cose , e dalla realtà delle sensazioni si fa l’autore a concludere arditamente che le produzioni del- l’arte le più ammirabili , e le cui bellezze innumerevoli mon possono determinarsi, sono appunto quelle delle 4 quali non può citarsi un modello preesistente. La quale conclusione conduce l’autore a sviluppare in elevati ra- gionamenti qual sia realmente quel modo di imitazione di cui non può additarsi il modello, e con qual nome de- finirla convenga. "E riconoscendo in ogni arte ciò che è proprio della sublime intelligenza e del genio, non tro- vasi infatti materialmente la sua esistenza in alcuna par- te determinata, non si presenta a guisa di corpo, non occupa spazio, non è soggetto al dominio de’sensi, e que- gli stesso che lo produce non può per certo indicare dove ne abbia veduto il modello. Il genio che tutto trova ed inventa non ci insegna a scuoprire il suo tipo , che allora scuoprirebbe sè stesso, nè altro rimane che a spiare fur- tivamente sull’ orme sue analizzando gli effetti per iscuo- prire la teoria sistematica dell’imitazione. Dove furono , egli soggiugne, i modelli sublimi del Giove di Fidia , e dell’ Elena di Zeusi? chi presumerà di assicurare se sia il modello che presenta l’imagine della bellezza al Genio, ovvero se il Genio non scorga piuttosto la propria idea nel modello? L’immateriale esistenza delle perfezioni stà nel- l’idea del vero, i cui elementi benchè siano in natura , essa non li presenta riuniti dinanzi all’artista sotto l’as- petto di realtà , a quell’ artista che se non è animato dal genio non potrà mai deificare il modello individuale della natura. Quest'opera d’ imitazione tolta da un modello che per così dire diventa astratto , le cui forme non pre- sentano l’imagine d’ alcun oggetto positivo, emanata dal- lo studio dell’artista, viene prodotta da un insieme di parti e di perfezioni che alcuna realtà non ci lascia mai vedere accumulate in un solo oggetto, imitazione che non potendo afferrarsi che dall'idea, è appunto quella che chiamasi Zdeale. E passando alla difinizione di questa parola, sorgen- te dì infinite discussioni nell’ Estetica, immediatamente l’autore elimina le false interpretazioni d’immaginario 5 o chimerico, quasi che il capriccio o la bizzarria potesse- ro mai profanare il perfezionamento delle produzioni umane. Ed egualmente stabilisce le differenze tra l'ideale, ed il bello ideale, senza la quale ci troveremmo condotti a tale: confusione da non intenderci più. £L’ ideale può esprimere qualunque cosa o contro natura , o fuori del regno della stessa natura, per cui se dovesse intendersi con questa parola il bello ideale, la definizione non sareb- be esatta, poichè la bruttezza ha essa pure il suo ideale, siccome nell’orribile seppe trovarlo Milton nel suo Satano, quantunque lontano dal bello corporeo, che l’immagina- zione congiunge alla giovinezza, allorchè vuolsi raffigurare un angelo: e lo stesso accadendo quando il poeta ci pre- senta coi tratti ideali il coraggio di Achille, o la viltà di Tersite. L’imitazione ideale procedendo da uno studio sulla natura in graude , piuttosto che sovra una delle parziali sue produzioni allontana i difetti dalla specie, e si attiene al tipo presentato dal Creatore, la cui imagine non può raffigurarsi se non nel genere, e il mirabile dell’ arte ap- punto stà nel giudicare sulle qualità e i difetti dell’ indi- viduo ‘a. forza di confronti e di esperienza, che sono il risultamento delle più profonde meditazioni. Ecco la per- cezione sublime del genio, che al di là della vista limitata e materiale dei sensi, trova nell’ unione del sistema della natura e nel tipo originale delia creazione quegli elemen- ti di perfezione che formano l’oggetto primario dell’arte, ì quali, avrebbe cercati indarno nelle parti individuali della creatura sempre variabili, poichè subordinata a tan- te condizioni tutte straniere allo scopo dell’ artista. Dalla cognizione dei mezzi dell’ arte, e dall’insigne magistero della natura, si apprese a non più confondere l’oggetto parziale, colla massa generale degli oggetti di ciascuna specie, e.coll’unione di questa pratica e di queste astra- zioni si apprese a'dar forma e modificazione all’imagine, 6 conservando le multiplici sue relazioni col gran tipo ori- ginario. Nella regione materiale dei corpi presi separata- mente, egualmente che nella regione morale si riconobbe l'impossibilità delle perfezioni per l’ineguaglianza con cui alla matura piacque il distribuirla , e perciò l'artista osservatore abbracciando le idee generali , venne quasi a ridurre lo studio della natura a sistema, che è lo stesso che formarsi un tipo ideale d’ imitazione non già dedotto da una sola produzione isolata della natura stessa, ma tolto dalle leggi generali, e dalle ragioni che si manife- stano nell’ universalità delle cose. E bello è il. considera- re coll’autore di queste sì dotte e ben ordinate ricerche, come l’ artista nell’ eccellenza dell’ imitazione non aven- do preso a regolatrice del suo prodotto l’ opera individua- le, abbia tenuto di mira la ragione universale del Supre- mo Autore della natura. Difatti nel paragrafo VII dimostraci la somma infe- riorità dell’arte a fronte della natura, se non si attiene al modello ideale dell’imitazione: e discorrendo sull’errore delle menti umane l’autore si fa a considerare, come non sia certamente nel piano della volontà superiore il predi- sporre un modello parziale per l’ opera dell’ imitatore, sebbene l’amor proprio dell’uomo propenda all’ abban- donarsi a questa illusione: ma gli alti fini 'della natura in parte imperscrutabili, e coperti d’un velo, in parte palesi come la procreazione, la riproduzione, la conserva- zione , immancabili mediante |’ elaborato suo artificiosis- simo magistero, soggiacciono nondimeno a una quantità di cause seconde, che anche senza opporsi diametralmente all’impulsion generale della sua volontà, producono una quantità di modificazioni divergenti collegate alla catena generale di tutte le cause, i cui eterni disegni stanno al di là dell'umano concepimento. Di qui si riconobbe una sorta di protezione che la natura sembrò accordare alle specie negligentando l’indi- 7 viduo , e si vide la necessità di studiare su di quella per farsi strada alle perfezioni di questo : nella qual discus- sione risolvonsi le multiplici difficoltà che si affacciano , e le illusioni per cui è vano il cercare tutte le perfezioni raccolte in una sola creatura, poichè la natura non abbi- sogna per compiere il suo uffcio di adempiere il dovere dell’artista , e quelle irregolarità che ci appariscono par- titamente nell'ordine naturale, e che duopo è fuggire nella produzion dell'artista, diventano altrettante condi- zioni indispensabili nel supremo ordine dell’ universo. — Nessuna relazione hanno fra loro 1’ arte e la natura nelle lor produzioni ; l’arte non ha: che l’oggetto di piacere, quando i fini a cui tendono le opere del Creatore sono innumerabili , e llorgoglio umano convien che si abbassi, se mai creder potesse che appropriandosi anche le perfe- zioni delle esterne forme dei corpi , gli sia dato perciò di riprodurre un’ opera equivalente in ogni parte al suo tipo. Ciò che l’autore esprime in questo luogo sembrando aver più relazione agli oggetti che si imitano medianti le forme, lo estende del pari a quelli che si imitano colla parola , e siccome la natura fisica non presenta all’ imita- zione dei corpi modelli perfetti secondo le viste , e il bi- sogno dell’artista, così accade della natura morale per gli oggetti sottoposti al dominio del poeta. E come quella mano superiore che sembra sospendere il beneficio della sua cooperazione nelle forme dell’ individuo abbandonato alle cause seconde , che rimane perciò storpio e deforme, sebbene sia esso pure un'anello della gran catena degli esseri , così del pari la Providenza ha disposto nell’ anda- mento delle umane cose che gli incidenti multiplici , va- riandone l’ aspetto morale, trovinsi tra loro in vicinanza, e in opposizione le bellezze e i difetti, le virtù ed i vizi, nel cui mare fluttuante il poeta , sempre imitando un or- dine naturale, elevasi a quegli ideali concepimenti che costituiscono la sublimità delle sue produzioni. pe 8 Se la natura non presenta al pittore un modello in- dividuale interamente predisposto per l’ arte sua , accade lo stesso per ciò che riguarda il poeta, ed avvi una spe- cie di vero che l’ imitazione tramuta in falso, siccome una specie di falso che per l’ arte diventa il più alto gra- do di verità. Si noti però che ci è mestieri di servirci di parole il cui significato non va inteso così letteralmente , nè in così stretto senso da diminuire la perspicuità. della loro espressione; poichè alla grandezza talvolta delle idee non sempre corrisponde la povertà della lingua. Lunghe, profonde, e ripetute ricerche conducono l’autore ad es- primersi con molta, chiarezza , che ci fà riconoscere ad ogni passo la difficoltà di circoscrivere il suo, discorso in un quadro ristretto. Deduce egli finalmente in questa di- scussione ,.che se il poeta si avvisasse di seguire la natura sui campi della realtà, disertando da quelli della finzione cesserebbe d’esser poeta , e cederebbe un dominio che è tutto. suo. In ogni genere di poesia tutto ciò che si com- prende nel recinto dell’imitazione ha una specie di realtà pei sensi, e una verità di astrazione per lo spirito , la so- Ja che può elevare la forza dei mezzi imitativi all'altezza del suo modello. E di qui poi le varie gradazioni nell’idea- le medesimo , vale a dire varietà nei mezzi diversamen- te. proporzionati par produrre un: diverso genere d’im- pressioni e di dilettazioni nei vari generi di poesia come di pittura ,, scopo a cui sempre tendono le arti. del- ’ imitazione. Per questa via si fa strada l’ autore all’ importante dimostrazione del modo con cui l’ opera dell’ imitazione può sorpassare quella della natura, e dalle premesse essen- do stato provato all’evidenza che nel formarsi un’ idea generale della natura, quest'idea non si limita, mai al- l’ individuo, ma sempre abbraccia in un più vasto recin- to il genere o la specie, così l’arte nel prendere realmen- te la natura per modello, nol fa se non nella sfera delle 9 proprietà che costituiscono gli esseri in generale ; ed è allora che l’ opera umana improntando dal tipo morale o fisico i pensieri e le forme, ottiene un avvantaggio sui prodotti parziali o individuali , poichè abbiam visto che la natura ricusò a questi la proprietà di esprimere. quelle perfezioni che sono riserbate al prototipo generale, e che l’ esercizio di studi profondissimi può solo scuoprire ed appropriarsi. Ecco in qual modo l’arte tanto inferiore nelle realità individuali della natura, può trovare un mez- zo immancabile per ottenere un così sorprendente succes- so: ma questa perfezione deriva all’ artista unicamente dalla matura che gli somministra le armi per lasciarsi vin- cere, gli mostra il lato da cui poterla attaccare, e il cam- po dove gli cederà a palmo a palmo il terreno; vale a di- re l'ideale: quell’ ideale che riguarda come sterile il do- minio della realtà, e creando quasi un nuovo mondo pre- senta un quadro di oggetti tali come la natura saprebbe produrre , è quegli che nobilitando l’esistenza della sua produzione , instituisce una specie di cambio tra la verità dell’ imitazione individuale, e la verità astratta e natura- le che nella immensità delle sue relazioni comprende an- che la prima: Allora l’ individuo scomparisce, e rimane il quadro più ampio del genere, cosicchè il poeta, a ca- gione di esempio , in vece di presentare un essere delin- quente o virtuoso, presenta il prospetto del vizio o della virtù : non è più quindi Achille, Oreste, Cleopatra, Fe- dra; Maometto ( dice l’autore ) ma l'orgoglio, la vendet- ta, l'ambizione, l’amore, il fanatismo che vi dipinge coi tratti magistrali che caratterizzano le passioni ; carat- teri de’ quali la natura gli ha forniti i primi elementi , e de’ quali nessun individuo gli avrebbe potuto fornire l’in- tera espressione. Ciò non esime l’artista dal fare profondissimi studi sù modelli individuali , poichè anzi con questo solo mez- zo osservando le parti disgiunte giugner può al generale, 1 che è lo stesso che dire all’ideale, essendo suo ‘instituto' il concentrare quanto la natura ha già sparso nel genere o nella specie, mentre essa non si curò che di coordinare l’immensità , e l’artista non ha altro scopo che il dilet- tare; il quale scopo è il primo e più importante avvan- taggio dell’arte, ‘nè può ottenersi [che coll’ ideale , che lungi dall’ essere l'opposto del vero; altro appunto non è che il più alto grado di verità, quello dalla cui eminen- za si afferrano gli oggetti nella loro più vasta estensione, affine di presentarne l’immagine la più completa. Degna del chiarissimo autore è la bella dimostrazio- ne delle cause originarie che introdussero in Grecia, e vi perpetuarono lo stile ideale nelle opere dell’arte. Poichè i primi lineamenti figurati dall’ artista provenendo dai segni ideali e convenzionali esprimenti le idee astratte, morali e religiose dei popoli, fecero strada in un secon- do passo dell’ arte al personificare gli oggetti della scrit- tura simbolica, e ciò che da prima non aveva altra forma che di segni arbitrarii rappresentò ben tosto i tratti dell’ umana sembianza. Si videro difatti le prime figure parte- cipanti ancora di un resto del carattere imitativo e della semplicità de’ primi tipi originarii: si rese sensibile il principio d’ un’ esistenza astratta e di una natura lontana dall’ identità materiale : costretto per conseguenza l’arte- fice a rappresentare oggetti fantastici , imaginarii , o poe- tici trovò piuttosto il suo tipo nei campi dell’ ideale , che nel rappresentare una ristretta e determinata copia indi- viduale. Ed ecco per conseguenza nelle opere de’ primi tempi una mancanza quasi sistematica di particolarizzare le estremità , di determinare le forme , le fisonomie mo- notone, il secco, il rettilineo, la messuna varietà di espressione o di movimenti. Infatti osserva 1’ autore nel- l’epoca remotissima di questa prima imitazione che l’arte era sì lunge dal prendere a modello l'individuo in parti- colare , che nei ritratti fino al secolo d’ Alessandro non si II cercò mai la rassomiglianza; ma unicamente la bellezza delle forme. Obliati finalmente del tutto i segni primitivi, e tolta dalle opere d’imitazione 1’ impronta di queste pri- me attrazioni convenzionali , si concepirono le imagini in un altro ordine di idee, e le loro proprietà e carattere fu- rono desunte dalla personificazione poetica , cosicchè la scienza divenne Minerva, la luce Apollo, la forza Ercole ec. e il bisogno d’ un altro genere d’ ideale invase il genio dell’artista, e sì aprì una via nell’immensa carriera ove il poeta lo avea preceduto. Ecco le astrazioni, e tutte le passioni , e gli attributi corporali accumularsi per espri- mere uomini e dei ad un tratto , e riunire il naturale al sopranaturale secondo la credenza stabilita; studiando co- me esprimere il più degnamente la forza, la bellezza, la maestà. Aveva già la poesia indicati i motivi di queste astra- zioni, e si era innanzi spinta colla rapidità de’ suoi voli , e direbbesi Omero aver fissati i gradi relativi a ° principali attributi della Divinità , prima d’ ogni altra arte dell’imi- tazione. Ecco l’ artista in rivalità col poeta che dipinge e scolpisce un uomo al disopra della ristretta sfera dell’ in- dividuo atto a presentare l’ immagine d’un essere privile- giato , che non può assomigliarsi ad alcun uomo in parti- colare , ed ecco la più esatta definizione dell’ imitazione ideale. Gli attributi delle divinità sono le perfezioni ; nel- l’inritazione dell'individuo s’ incontra il difetto; dunque bisogna aver ricorso alla specie per desumervi quello di perfetto che vi impresse la natura osservata nella sua gran- de essenza primitiva, nel centro delle vere sue perfezioni; e da questo prototipo immancabile di verità doveva par- tire la sublime opera del genio, per la qual cosa di qui venne l’impero della religione sulle arti, e reciprocamente l influenza delle ‘arti sulla religione. L’ imitazione delle umane forme nor trovò per certo presso d’ alcuna nazione circostanze altrettanto favorevoli 12 come presso i greci, e per conseguenza giammai le arti di alcuna nazione , non troveranno un accordo maggiore tra la natura, e lo scopo, ed i mezzi dell’imitazione . E penetrando il gran segreto della natura , e riguardando le sue produzioni secondo le di lei prime e generali institu- zioni, gli artisti greci presentarono l’ uomo non come incontrasi nel ristretto confine dell'individuo degenerato, ma come esser deve nell’universalità della specie perfetta. Instituisce in questo luogo l’autore. un. confronto colle opere moderne che nella loro esecuzione non abbiano avuto il sussidio dell’ antichità come regolatore di una scelta così importante , e come il solo mezzo in favor dei moderni per ottenere un equivalente al difetto di circo- stanze. Osserva nell’ antico semplicità e purità di contorni, alienazione dalle minutezze , grandezza di stile, che sem- bra persino al di là della matura , accordò sistematico di forme, che danno quasi l’idea d’ una convenzione arbi- traria, un tal insieme di relazioni e proporzioni determi- nate con metodo e regolarità, e costantemente rimarca un'assenza di quelle parti accidentali che muociono alla forma generale: nota, sagacemente infine tutto ciò che caratterizza lo stile delle opere più insigni dell’ antichità, e prosegue argomentando ab «dverso a notare che in que- ste mai si scorge lo smorfioso nell’ espressione delle fiso- nomie, lo stile volgare delle parti minute che fa sembrare ritratti persino le teste che non sono destinate a presen- tare l’imagine di alcuna persona ; l'imitazione servile, e l’assoluta mancanza di sistema e di metodo nella disposi- zion delle forme, tutti difetti che il chiaro autore ( rive- rente nell’ arti come nelle lettere a tutto ciò che è clas- sico) attribuisce alla scuola moderna, senza eccezione, per distinguerla dall’ antica. Anzi al contrario riserba esclu- sivamente alla scultura antica dei greci l’aver dato un tal carattere alla figura umana, che crederebbesi essere quello il carattere originario e assoluto della specie; cosicchè 13 l'antico presentò l’uomo in genere, il moderno scolpi l’uomo individuo; l’ antico produsse l’uomo come potrebbe o dovrebbe essere, il moderno raffigurollo tal come egli è o sembra essere; e retrocedendo per gradi alle osservazio- ni donde il ragionamento è partito , sembra che la vene- razione per l’antichità abbia armato di un soverchio rigore la critica di questo dottissimo scrittore, e non abbia voluto pur anco riguardare con indulgenza , se non con ammirazione i progressi, e il risalir di quest’ arte verso la sua eccellenza nell’ epoca di Canova, e segnatamente nelle opere sue , il quale senza perder di mira tutto ciò che operarono gli antichi, senza mancare di penetrare a quelle altissime sorgenti, studiando nella preziosità di quei modelli con mente, e con occhio perspicacissimo le derivazioni del sublime, tentar parve, non senza successo, di accoppiarvi quel tanto di imitazion naturale, che senza far discendere il suo tipo all’ individuo, conservasse qual- che maggior analogia con ciò che è più proprio dei sensi, e meno subordinato al regno deile astrazioni. Si direbbe aver egli cercato piuttosto di risalire a quell’ epoca in cui l’antico si riconosce più grande, poichè meno convenzio- nale ; più vero, poichè più memore del suo modello; più castigato, poichè non ancora accostumato a quell’ accordo sistematico che vesti poi l’ apparenza di convenzione ar- bitraria . Le non equivoche espressioni però con cui apertamen- te il sir. Quatremère loda le opere del citato scultore, le quali trovansi in molti articoli e lettere dirette all’ artista vivente, servono ad attenuare il rigore di questa critica, se mai per avventura sembrar potesse a taluno troppo severa. Ma il citare le espressioni che potrebbero sospettarsi det- tate nell’ espansione dell’ amicizia ci spiacerebbe venisse attribuito a indiscrezione, quasi che i privati colloqui e sentimenti si volessero da noi cogliere in contradizione colla pubblica professione di alti principii, e di massime 14 \ generali. Nondimeno a noi pare che in questo luogo non debba spiacere all’ autore se riporteremo una bella testi- monianza della stima e dell’alta opinione che egli aveva delle opere di Canova , eccettuandole dal comune degli artisti moderni, come si legge in una sua lettera colla data di Parigi 27 febb. 1813, in proposito della statua di Paride. . + +. « Sono restato tre ore a considerarlo , or solo , or con diversi artisti ed intendenti , ora coll’ Imperatrice, e non ho potuto saziarmi di ammirazione . Semplicità e varietà di composizione, grandezza di stile, verità di natura , carattere così proprio del soggetto che è vera- mente l'ideale d’ un Paride : giustezza di disegno, armo- nia di contorni, purità e fermezza di forme, bellezza di tutti gli aspetti, espressione della testa e di tutta la mos- sa , aggiustamento di panni sul tronco scolpiti al par del- l’antico; esecuzione perfetta e sostenuta di tutte le parti, correzione dell’ insieme e dei dettagli, un certo fare che fa vivere la figura, e che incanta senza che sia sul marmo traccia di lavoro, e anche rarissima beltà. di marmo: vi assicuro amico, che si finisce di lodare per- chè manca l’ espressione ad esprimere quello che si sente » . Non piglieremo la lancia in resta per combattere in questo XI paragrafo un’ espressione egualmente un poco animosa intorno al caratteristico della scuola veneziana, che il sig. Quatremère sembra voler di soverchio deprime- re, allorquando non memore abbastanza delle grandi ope- re di Tiziano che splendevano tra le pitture di tutte le scuole in Parigi, escluder pare da questa scuola la gran- dezza dell’ ideale, dicendo che il suo stile è rimasto @ livello del genere dei ritratti. L'amore della patria adot- tiva potrebbe a chi non conosce la scuola render sospetto il calore della nostra difesa, ma possono per noi rispon- dere il gran quadro del s. Pietro martire che si vide in Parigi, e l’ Assunta che rimase a Venezià , le quali opere rr 15 quand’ anche non si elevassero in ogni particolare all’ al- tezza dell'ideale più sublime, vi si innalzano al pari delle opere d’ogni altro maestro per ciò che riguarda il concetto, l’ espressione, la composizione, il disegno, ed il colorito particolarmente, non potendo e non dovendo mai con un solo dei tanti mezzi dell’ arte limitarsi e circoscriversi la bellezza ideale, la quale pel multiplice concorso delle varie facoltà dell’ artefice, viene imitata dalle multiplici prerogative del suo modello. Che se avvi strada all’eccel- lenza per l'ideale delle forme, e per la purità dei con- torni, conduce egualmente al sublime dell’arte | ideale del comporre, dell’esprimere , del colorire : e l'ideale più perfetto nella pittura sarà sempre quello in cui sì riuni- scono in maggior numero queste varie facoltà. i L’appoggio dei classici scrittori in fine serve quasi di corollario alle dotte e profonde esposizioni che in questa seconda parte il sig. Quatrèmere ha riunite con tanta fi- losofia. Il perfetto oratore di Cicerone, la repubblica di Platone, i modelli di Seneca, e di Plauto, e che son eglino se non progetti di perfezioni riunite, e prodotti di quell’ideale, il quale non è poi altro se non verità e ra- tura, in quanto che in lui solo si scuoprono la natura presa in complesso , e la verità vista dall’ alto. — Ter- mina questa parte di lavoro col dimostrarsi che 1’ideale sulla sua teoria non deve essere spiegato che all’ intelli- genza, e non può esserlo che mediante l’analisi razionale. Molti autori vagarono colle loro idee filosofiche su questo argomento, intorno al quale alcune nostre idee particolari vennero emesse in sette ragionamenti pubbli- cati in Pisa l’anno 1808, e sebbene sembrar possa a talu- no che tra loro grandemente discordino tutti coloro che traitarono questo soggetto, nondimeno convien confes- sare che la discrepanza è assai minore che non apparisce, e tutti finiscono forse col trovarsi per diverse vie ad un 16 solo ed unico centro da cui è impossibile declinare. Se sî percorre l’ indice delle materie dell’ opera sul bello nell’ arti dell’imitazione pubblicata dal dotto ed ingegnoso sig. Keratry , s' incontreranno nei due ultimi capitoli del lib. Il alcuni dubbi e conghietture sul bello ideale: e una con- clusione che non avvi punto bello ideale: ma se si leg- geranno le sue pagine si scorgerà ; che sebbene riguardisi come un sogno: fantastico del platonismo anche |’ intro- duzione dell’ideale nelle arti, nondimeno bisognò con- venire che queste esistono mediante l’imitazione della scelta d'ogni eccellenza dedotta dalla natura apparen- te e sensibile. Or dunque chi fa questa scelta se non l’umana idea? Presentasi forse essa già fatta e disposta per l’arte nel quadro individuale delle opere della natura? Sembra che questo scrittore 8 avveda di essere pertanto sopra ùn terreno mal fermo, poichè trattando il dello ide- ale come un error della mente, lo chiama errore di grande e nobile origine. Ma l’idea che conduce a. fallire queste definizioni deriva dal supporre che i modelli del bello ideale si credano tolti da una natura imaginaria , e la falsità di tale ipotesi è quella che conduce fuori di strada, e che divide apparentemente in due classi i pensa- tori questionando sul nome della cosa, e trovandosi d’ac- cordo nel fatto. E ia tacita esclusione , allegata, che Pli- nio e Pausania sembrano averne fatto col loro silenzio sul bello ideale, non deriva che unicamente dall’ aver eglino narrate le cose senza imbarazzarsi delle teorie. Un modo dunque di esprimersi, egualmente che una preteri- zione non possono nè debbono variare l’ essenza di una dottrina, siccome non può trasmettersi una teoria , senza îrovare il linguaggio ad essa più proprio. Qual meraviglia che i nostri scrittori per meglio esprimersi abbiano ap- plicato al mondo visibile le idee astratte che Platone ave- va applicate al mondo morale ? e quand’ anche vogliansi 17 condannare le arti imitatrici al puro materialismo del- l’ esecuzione, non è così però circoscritto il confine del ge- nio che le guida da relegare ogni suo volo tra i delirii ed i sogni, ogni qualvolta il suo tipo è desunto dalla massa universale della specie, che è quanto dire dal gran qua- dro della natura. Arguta è per conseguenza la deduzione del sig. Ke- ratry qualora in proposito di Mengs e di Winckelmann li cn ammiratori passionati dei capi d° opera del- l’arte.greca del. secolo d° Alessandro, e di vari altri sotto il regno di alcuni Imperatori romani , come se il carattere di quelle bellezze fosse destinato a primeggiare sulla stessa specie umana. Ma in questo caso egli parve confondere l'individuo colla specie, essendo vero bensì che il carattere del bello trascelto da sommi artefici pri- meggia sull’ Uomo considerato isolatamente, mon. mai però sulla specie, poichè sarebbe lo stesso che dire sul tipo di perfezione immaginato dal Creatore. Oltre di che vi banno diversi gradi di bellezza in questa scelta, la qua- le può essere fatta con accorgimento maggiore o minore a seconda del modo con cui vede l’ artista: e qualora si fosse cercata una graduazione di merito più precisa, sareb- be stato più agevole e più esatto il trovarla sulle opere dell’ arte nel secolo di Pericle e di Fidia, ove la bel- lezza ideale più castigata e più sublime sembrò deri- varsi da una media assai più proporzionale coll’ imita- zione della natura, e assai meno vagante nei campi del- l’imaginazione. L’ idea confusa degli oppositori al bello ideale consi- ste precisamente nell’ipotesi che venga attinto da una fonte al di là del possibile umano, quasichè le fonti dal- le quali si deriva realmente, e i canoni che servono a sta- bilirlo, non potessero essere positivi, e situati nella perife- ria del visibile, del sensibile, dell’ umano. Eglino credono T. XII. Febbraio 2 13 che l’espressione di questo bello da noi si collochi al di là della realtà e del meccanismo organico della natura ; e anche in questo caso per comprovare il suo assunto, il sig, Keratry prende ad esame ( non già un lavoro ) ma un idea ineseguibile di Lavater relativa all’imagine del, Re- dentore , che voleva rappresentasse ad un tempo tutte quelle varie e tante espressioni, di cui la mobilità del- umana fisonomia si riveste.a seconda delle varie e tante circostanze per le quali ora esprime la bontà, ora la po, tenza , ora la sofferenza , ora la dignità, ora la mansuetu- dine, ora la fermezza e l’ autorità. Ma. il buon pastore di Zurigo fisonomista , oltrepassando i confini del regno del visibile, tentava impropriamente che venissero appli- cati ad una delle arti gli attributi d’ up’ altra, e nella con- fusione di queste prerogative dimenticava che la pittura e la scultura non hanno come la poesia un dominio illi- pilato sui regni astratti dell’ intelletto. Ma allorquando questi oppositori del della ideale in- tendono maggiormente di escluderlo, è appunto allor- quando lo riconoscono visibilmente. Una scelta felice nella periferia delle produzioni naturali è tutto ciò che una sana dottrina lascia in poter dell’ artista. Ammesso questo principio dall'autore, non è più vero che il bello ideale diventi un'ombra, e che sfugga da’suvi partigiani, quasichè l’Apollo indicar mai potesse altro 0g- getto che un bellissimo giovine tal come, non incontrasi già, ma potrebbe incontrarsi nell’ umana specie , e che la Venere esser potesse mai altra cosa fuorchè una donna arrivata alla perfezione delle sue forme, sotto un clima temperato , la cui figura elegante veniva abbellita dalle attrattive del pudore. E come mai può immaginarsi che fuori della natura si cerchino le bellezze chiamate ideali? È ben singolare che il dotto Keratry fermo in questa sua ipotesi supponga in proposito della Psiche di- mali pinta dal sig. Gerard, che ognuno cadrebbe in inganno se imaginar volesse che questo valente artista abbia cer- cato il suo modello fuori del mondo visibile , quasichè ciò fosse possibile all’ uomo , o quasi esistessero uomini capaci di supporre questo errore in un artista così di- stinto ? È vero che il supporre delle assurdità apre un adito per ispiegare tali teorie che sotto 1’ aspetto di opinione contraria finiscono a ripetere necessariamente ciò che fu sempre pensato da tutti gli uomini bene senzienti , e queste supposizioni farebbero nascere qualche volta il sospetto di essere adoperate per mettere in evidenza gli autori piuttosto che il vero, la cui luce risplende sì chia- ra di per sè stessa. Senza partire da tali ipotesi , per certo l’autore qui da ultimo indicato , non potrebbe indirizzarsi ai pittori e agli scultori convincendoli, che dovrebbero contentarsi della natura, e che hanno gran torto di stancarsi sulle orme fuggitive d’ una pretesa bellezza ideale , chimera incorporea ed informe, mentre possegono la realtà , ol- tre la quale non trovasi che l'errore o l'inganno. Ma e chi sognò mai fra gli scrittori sensati , e fra gli artisti ec- cellenti di tener mai altra strada ? e quando mai se per avventura vi fu delirio di mente umana debbe questi ve- nir preso di mira nell’ esame del vero ? Non sarebbe egli lo stesso che parlare di arti, di teorie , di metafisica a un imbecille (*) del Valese, o invitare i ciechi ed i sordi per giudicare di musica e pittura ? E in qual altra maniera mai da Fidia sino a Canova, da Apelle sino a Raffaello, da Omero fino all’ Ariosto operarono tutti coloro che giunsero all’ immortalità ? Gli (*) Chiamati in francese Cretins. 29 errori e le deviazioni non formano sistema: vi sono massime così fallaci che disvelano da sè medesime la de- bolezza de’ lor fondamenti; e il combatterle sarebbe tem- po perduto. Chi a cagione d’ esempio prenderebbe a com: battere ed a scrivere un libro contro coloro i quali tro- vando aperta la strada ai sommi progressi degli studi 0 delle arti, pensano essere maggiore accorgimento il retro- cedere ai primi scrittori di lingua nascente, ai primi artisti inceppati e timorosi, ai primi institutori che ope- rarono tentone, per emergere più grandi; quasichè il muovere sulle orme d’ uomini più illuminati dall’ espe- rienza non dovesse condurli più prontamente a gloria maggiore , e quasi che gli uomini d’un età non dovessero degnarsi di fruire degli avvantaggi e della luce che spar- sero quelli d’un’ altra? Tutto può nia di tema per met- tere in evidenza l’ingegno e multiplicare i libri anche ommettendo le cose per questionare sulle parole , e in questo caso ci sembra che sia duopo sognare un preteso error di criterio. per giugnere a persuadere sè stesso del bisogno di confutarlo. LeopoLpo CICOGNARA. ( Sarà continuato ) 21 Lettere di Anronio BeNcI all’ amico suo Prerro Virusseux, relative al suo viaggio nella Svizzera, e lungo le rive del Reno. (Continuazione; ved. Vol. XII. B. pag. i.) Vevay , a di 19 di Giugno 1823. Passando la notte in tranquillo ed ameno villagio, qualunque uomo più stanco è riposato all’alba. Io era già prima, che spuritasse il dì, nel prato contiguo alla locati- da, e non era solo: i più degli abitatori di Be* incomin- ciavano le giornaliere faccende, apparecchiandosi i giova- rietti alla scuola , nè uomini nè donne oziose. E in mezzo i prati, e sopre i colli, e dentro il villaggio, vedeva a ciascuno in volto una certa quiete che mi pareva nuova , essendo quivi universale. Non incresce dunque ad essi la sobrietà e la fatica ? Io son salito al vicino poggio, dove un uomo sudava traendo colla matra i sassi: e domandan- ‘ do, per chi s’affaticasse? per me, ha risposto, per la mia famiglia, il poggio è mio, sono cittadino del cantone di Vaud. — Non ho avuto bisogno d’ altre domande per sa- pere come ognuno sia e possa essere contento. Le leggi, da tutti osservate , comandano a tutti: tutti possedono : e come possessori hanno voce nella compilazione delle stesse leggi, talchè non è facil cosa ché marichi pi'ovve- dimento alla comunità degli uomini. Mancherebbe la pto- speriià degli abitanti, e con essa i loro buoni costumi, la loro contentezza, e la quiete dell’ animo clie trasparisce nel volto; se il governo fosse dissimile alla natura delle campagne che essi coltivano. Il luogo è presso i monti : sotto le alte cime , dove spesso è neve, abbondano i mi- nerali e le piante: ne’ burroni, nelle valli, nel piano e sulle colline veggonsi alberi annosi ed erba grande e fit- ta. La natura produce senza sforzo, ma con gran riposo ; e l’ agricoltore non fa che darle aiuto : se egli la forzasse* 22 = e se poi alcun dispòto forzasse lui, cercheremmo itivano quest’ ombra amena che ora ne dà conforto. Il veder tan- ta quiete in ogni fisonomia , e il veder la stessa quiete nella natura, questo è desso cagione che un tal paese a niun altro somigli: disposto perciò l’ animo di noi, che entria- mo di qui nella Svizzera, a moderare le voglie e a bilan- ciare 1 pensieri. Molti viaggiatori sogliono fermarsi nell’estate in Bex, ma la stagione non è quest’ anno opportuna. Poche ore dopo l’ aurora è oggi pure incominciata la pioggia , sicchè mi son rivolto a quella via, dove il tempo mai non muta, ne’ sotterranei delle saline. E per andarvi non ho già se- guito la strada nel piano, come fa meno godendo chi va in carrozza ; ma ho traversato il colle che è delizioso an- corquando piove. Gli alberi fruttiferi e massime i noci spandono ampiamente i rami, nè da sotto quest’ ombra non è impedito guardar la valle, poichè nel declive è bassa vigna tra pochi arbusti: e dall’ altura non solo si scorge il piano e le opposte montagne, ma anche il prin- cipio del lago, in cui trabocca il Rodano. La quale vista è tanto più grata, in quanto fa di subito rimembrar la storia de’ popoli sul lago Lemano : popoli che avevano tralignato come le altre nazioni, ma che essendosi poi ri- dotti a buone discipline , hanno alfine ottenuto di viver civilmente con ordini moderati e sicuri. Io mi congratu- lava guardando e pensando : poi sono sceso in un seno di montagne che chiamano Devi, ove conducono l’ acqua salsa per farla qui svaporare. V’è un edifizio grande, ret- tangolare, aperto da’lati , con tetto sostenuto da pilastri. Tutta l’altezza è occupata da fasci di pruni sopraposti in linee pa ralelle. E l'acqua salsa, perdendo umore, gron- da successivamente per le spine, fatta risalire e discende- re per mezzo di trombe e da quel lato ove giovino al- l’evaporazione i venti , finchè non sia condensata nel ri- chiesto grado. Dopo di che la trasferiscono in altro edifi- 33 #io, dove il fuoco fa deporre il sale nelle caldaie senza troppo dispendio. Nel medesimo luogo sono magazzini e case e officine per uso de’ sopraveditori e degli operanti , accomodata ogni cosa con tanta regola e pulizia che sem- bra pur qui esser in villa, continiandosi la campagna a poggi ben coltivati e ameni: Di qui si sale alquanto nel colle alla prima apertura de’ sotterranei. Ho chiesto licenza d’ entrare, e m'hanno dato una guida, facendo scrivere il mio nome, e indos- sandomi una cappa. Quindi mi sono avviato dentro il cu- nicolo, andando per lungo intervallo senz’altro incomodo che di vedere a poco a poco diminuire è sparir la luce, la quale viene diritto dalla suddetta apertura. E in questo spazio lio potuto conoscere l’ interiore montagna che è pietra limosa o argillosa ( come dice il Saussure ); di co- lore nerastro tendente all’azzurro, molle; rilucente, e divisa naturalmente in piccoli e irregolari frammenti ; essendo il dorso della montagna di gesso grigio o bianco che si decompone facilmente all'aria. Dipoi ho trovato una porticella, non già per chiudere il sotterraneo , ma per ovviar la corrente dell’aria che qui produce fortis- simo vento. E come esso tombi e spinga; ho io ben sen- tito aprendo l’uscio; poichè la porta si è dietro noi con impeto sertata; e um rumore simile a tuono pareva stri- sciare le volte. A questo strepito però è conseguitato su- bito silenzio; e noi col lume della lanterna siamo giunti al primo pozzo; d’ onde traggorio l’acqua. Secondo l' opi- nione d’Haller, il quale visse più anni in questi luoghi, non la pietra contiene il sale, ma l’acqua salsa filtra dal- la superiore e si conserva nell’interiore montagna. Che se Un pozzo comiricia a mancar d’ acqua, essa $i ritrova in copia, cavando quello più proforido : mia non è per tutto la medesima quantità di sale, per cui dividono opportu- namente le acque più o meno intense, mandandole in diversi canali all’ edifizio dell’ evaporazione. Ho ho visto 24 presso il primo pozzo una vasca grande, cavata nella ru- pe, ove serbano l’ acqua allorquando abbonda; e poi mi son rimesso in via pel solito cunicolo, giungendo ad altra porticella che ha fatto nell’ aprirsi il medesimo rombo. Aveva già camminato sotterra per più d’un miglio , senza incontrare nemmeno gli uomini che traggono fuori colla carretta i sassi. Nè mi tediava l’ andare innanzi per- chè non riceveva alcun fastidio nè di freddo o di caldo 0 di respiro, e la via è sopra tavole quasi piana, ben soste- nuta e non troppo bassa la volta. Ma procedendo ho sen- tito ca)biarsi l’ aria, e passando per un’ altra porta ho visto di repente gli operai che quasi tutti ignudi gronda- vano sudore , fatta poco prima saltar la mina. Io non mi sono contristato , perchè essi erano lieti, e vengono spon- tanei a questo lavoro; ma incresce che l’uomo abbia tanta cupidigia e si sia procurato tanti bisogni , che debba, per riparare a ciò, seppellirsi vivo. Peggio che tomba a me pareva quell’orribile caverna, lavorando essi con lume fosco in vapor caldissimo tra rotte pietre. Qui era, non è gran tempo, il limite del sotterraneo , benchè le saline fossero scoperte e rivolte all’ uso degli uomini fin dal- l’anno 1544. Ma un altro cunicolo, non so se prima o do- po questo, fu cavato nella parte opposta del monte; e seguitando gli scavi da amendùe le parti , si sono i Javo- ranti alfine incontrati, potendo ora traversar sotterra tut- ta la montagna. Io ho voluto compiere il giro , ma ho molto sofferto. Dalla cocente caverna , in cui riverberava rossigno lume, noi siam passati ad una grotta buia, dove piombava una corrente d’aria fredda e precipitosa. Che è questo? dico alla guida: niuna porta sì oppone in questo passaggio alla pressione dell’atmosfera ? Oh! mi ha egli risposto: noi siamo lontani, e passeremo per molti usci, ora bisogna salire questo obliquo pozzo che ha più che cinquecento scalini. Io mi sono introdotto nell’ angusta' scala , e mi pareva essere in uno stato insopportabile per 25 la violenta mutazione del clima: nè avrei forse prosegui- to senza il conforto d’ottimo vino, che consiglio portare a tutti coloro che non consueti qui vengono. Benchè più sano consiglio è qui non venire, se non si ha qualche utile scopo. In fatti che altro ne resulta , se non poter dire: ho viaggiato sotterra ? Il cunicolo, tale è in prin- cipio, e tale è nel mezzo, se non peggiore. La rupe è uniforme. Veder gli uomini in questi lavori, affligge. Quando si è visto un pozzo e un serbatoio , si può torna- re indietro, che sì ha di tutto cognizione. Mentre io saliva cecamente per l’ orrido sentiero, desiderava soltanto es- sere in cima : e qui arrivato ‘con sommo stento , ho udito dal mio compagno che si doveva fare anche una lega, prima di rivedere il giorno. Egli m'ha guidato ad un pozzo ampio, da cui tirano l’ acqua mediante una rota che ha trentasei piedi di diametro : il che piace vedere in questa gran cavità della montagna, fatta dagli nomini per forza di scalpello. Ma dopo aver visto le opere degli antichi romani, massime negli Abruzzi presso il lago Fucino, nulla di simil genere non da maraviglia , poichè sappiamo che s’ adempie quando si ha molti schiavi. Che se qui gli uomini son liberi, e l’ erario del pubblico è scarso, non è men vero che a sifatti lavori basta sol tem- po e pazienza. Io ho avuto sommo piacere , allorchè ho cominciato a sentire non più innanzi ma dietro a me il rombar dell’aria, significando aprirsi le porte incontro la luce. E visto alfine uno spiraglio , sono corso ratto al di fuori, godendo di trovare il celo sereno dopo una tempe- sta che aveva durato cinque ore. Poche case vedonsi in questa parte superiore della valle, benchè la coltivazione prosegua per le piagge me- no declivi. E costeggiando la montagna, mi piaceva tan- to più vederla alberata, in quanto m’era noto sopra che rupi l’ubertà si fondi. Presto però sono tornato ‘alla pri- ma apertura del sotterraneo , ove ho deposto la cappa e 436 lasciato la guida, correndo giù a Devin. Quindi lio présò nuovo cammino a destra pe’viottoli de’ prati, ora vedendo una famiglia tutta unita ne' lavori campestri ; ora passan- do per gruppi di case , tutte di legno , pulitissime ; e col- l’uscio aperto , benchè niuno vi fosse } ed ora incontran= do più contadinelle ben vestite e amorevoli , il cui sem- plice e moderato discorso non fa grave l’ indugio. Una di esse m°ha fatto deviare alquanto verso il villaggetto che nominava Avigly, per mostrarmi da sopra un colle un vaghissimo seno di montagne. Vista mirabile per le belle forme che ha il sinuoso giro tra le vette alpine, e per la e gliosa vegetazione di qualunque pianta selvaggia o gentile ! Girando gli occhi all’ estremità del piano, ho scorto un poggio con torre quadra e con rovine di castello. Che è? domando alla mia nuova guida. E una vecchia passando allora per la stessa via, oh / messieurs; ha esclamato, celà est du temps de la papisterie, c est s. Triphon: oh! Messieurs, il est bien ancien, du temps des guerres des Vaudois, il y a plus que deux mille ans. Per non ride- re in faccia alla buona vecchiarella , ho lasciato ancor la fanciulla, andando a veder davvicino s. Trifone che è un bel villaggio in elevata collina, con torre che sembra di costruzione romana. S. Trifone è un poco lungi a sinistra della via prin- cipale che da Bex conduce ad Aigle. Sicchè traversando due volte questa strada , l'ho alfine seguita, arrivando in Aigle un’ ora dipoi. Nell’ ultimo miglio mi si era accom: pagnato un buon villano, che aveva per intercalare c’ est très possible: tantochè m’ aveva dato spasso e lieto umo+ re, facendogli io dir possibile ciò che non può neppure presupporsi. Ma giunto in Aigle, ho avùto sì malaugurati incontri che m' umiliava |’ appartenere alla razza umana: La prima donna che ho visto nella città, era tutta goz- zuta : la seconda intendeva e non parlava : la terza par- lava, ed era sorda. Trovo un uomo lungo, garzone di mu- 2) gnaio, che portava un sacco di farina: gli domando della via , e per tre volte non m'ha risposto che con tre sospiri. Un altro udendo le mie domande, m'ha balbettato per che via poteva andare al castello. Giro per bellissime vi- gne, entro nel cortile del castello , vedo un vecchio che pialla, e che non alza il capo neppure al mio terzo saluto: m’ accosto , gli alzo il capo io, ed esso principia a ridere, e mi fa mille sciocche domande. Io non sapeva più come procedere. Sono uscito dal cortile, trovando finalmente un uomo che aveva l’ intelletto sano, e da cui ho saputo non esser nulla nel castello se non un piccolo spedale e po- vere abitazioni. Ma d’onde proviene , gli ho io soggiunto,, la stupidezza o l’ infermità di coloro che ho incontrati ? Ed egli a me: la cagione è ignota ; i più sono nati nelle prossime montagne; il popolo d’ Aigle è sano di mente e robusto della persona , essendo la città piccola sì ma lieta e di buon’aria, abbondevole di tutto ciò che è nutrimento agli uomini.—-Non sono qui crezizzi, ho allor domandato? Sì, ma pochissimi e non dì questa città, benchè sieno qui mantenuti. — In fatti ve ne sono ora due o tre soltanto, custoditi in varie case da povere donne, senza esporli alla vista del pubblico. Io ne ho veduto un solo , nativo d’Ormond.: È di statura ordinaria, e grasso : non parla mai, ed ha la bocca larga e sempre aperta , con labbri grossi e pendenti : è sudicio , ha gonfie palpebre , e guar- da come uomo che nulla ta : si muove verso dove è spinto : strappa ogni cosa quando va in collera: ordinaria- mente fa gesti e ride. A me sembrava quest’ infelice un pazzo nato; e facendone paragone con quelli che Saussure trovò in val d’Aosta, mi pare vi sia questa sola differenza: aver essi avuto il colore giallo in bruno, mentre costui ha il volto acceso e sanguigno. Del rimanente , o perchè sia migliorato il modo del vivere ; o perchè nelle passate guerre sieno stati molti cretini uccisi, non sapendo nè | fuggire, nè difendersi; il loro numero è adesso.molto 55 ) rninore, sì nella valle d’Aosta, come in cjueste mioti= tagne. La gentilezza e la bontà degli altri abitatori d’ Aigle m’ hanno indotto ad'amare la loro città , ma non tolto via quella mestizia che i miseri avevano promossa. Onde son uscito a divagarmi nell’amena campagna; vedendo maestosi scogli dove non è terra da alimentare le piante. E quando mi pareva esser in luogo più salvatico, dirim- petto alle montagne di Savoia troppo più orride quivi; ecco le vedo esse fare sponda al Lemano, giunto io sul- l’opposta riva. Quanto aveva prima corso, tanto indugia- va: lento lento sono entrato nella piccola città di Ville- neuve, per uscirne subito e tornar sul lido. Ho già narra- to come dilettino le campagne di Bex: or quelle stesse paiono qui trasportate da più vivace natura, tantochè si sente nell’animo quiete e gioia, placidezza e commozione d’ affetti. Non si può qui passare senzachè nasca un desi- derio nel cuore: e avendo già qualche segreta brama , ne è dolce la memoria, divenendo costante. Mentre io anda- va per la via che è sempre sulla sponda del lago, ogni erbetta cresciuta sotto gli sparsi rami della querce o del tiglio mi pareva un sedile opportuno a ricrear la vita. E ne’ piccoli golfi, dove l’acqua par chiusa: nelle valli che stringono fra’ monti: nel bosco, tra le vigne, al rezzo delle grotte, e sulle rupi, in capanne o in ville: per tutto qui , l’uomo sembra poter esser felice, e non dover esser solo. Nè ho più maraviglia che Rousseau avesse tanta eloquenza, ritraendo gli amori della nuova Eloisa : egli contentava la sua fantasia , ispirata dalla natura in questi luoghi. E sì , oltre le contadinelle che sono brune e gar- bate, ho visto più gentili fanciulle con occhio modesto e vivo contegno, il cui spirito , le cui maniere e la cui figura potrebbero a nuovo Rousseau consigliare nuovo romanzo. Esse sono altere per la loro innocenza e virtù , nè temono andar sole per la campagna , fidate al buon 29 costume dell’ uni versale. Ma conserverebbero esse l’alte- rigia, quando in solitario luogo e. senza distrazioni aves- sero a maestro Saint Preux? Si è molto gridato. contro il filosofo di Ginevra , quasi abbia se dotto le donne ad esse- re impudiche: siccome contro il segretario fiorentino, che inducesse i principi a diventar tiran ni. L'uno e 1’ al- tro conoscev ano i difetti e i casi della natura umana, e gli dipingevano. Avrebbero potuto tacere, ma non altri- menti parlare. Ed Eloisa che amava un uomo degno di lei, e che fu poi d’un altro moglie ese m plare e sincera, non si sarebbe mai compianta de’ giovanili errori, se per accidente non fosse stata figlia d’ un barone che misura- va la feli cità de’ figliuoli dall’ ambizione e superbia sua. Allontanato mi alquanto da Villeneuve, ho veduto un castello sopra ampia rupe, che sporge sul lago quasi a livello dell’acqua. Vecchii. soldati guardavano i vecchii merlì. E introducendomi con loro licenza, una vecchia sdegnosa m'ha fatto prima salir nelle torri, e poi scen- dere ne'sotterranei, da amendue i quali luoghi ho potuta affacciarmi a ‘vedere il lago. Il caste Illo, detto Chil/oz, fu fondato molti secoli innanzi da Pietro di Savoia , che sopranominavano il piccolo Carlomagno. I. sotterranei sono grandi e non oscuri, ma serviva no di prigione , e più volte hanno echeggiato de’ gemiti degl’ infelici. Onde più presto che entrando , ne sono uscito. E fuori del cor- tile ho incontrato due giovanette, fresche invero come la rosa d'aprile, tutte liete, amorose e confidenti, l'una dell’altra a braccetto. Portavano un pianerino in mano, per aver da merenda sotto l'ombra de’tigli. Eloisa e Chia- ra le avrebbe nominate Rousseau: io noto soltanto come sia dilettevole andare a piedi.e adagio per questi luoghi. Son passato per più villaggetti vicini a quello di | | Glarens (1). E di qui si spande la curva della montagna | (1) Molti viaggiatori vanno a Glarens , presupponendo vede- i re i luoghi e udire i casi della nuova Eloisa. E non trovando, Ì E | | Ì | 30 verso Montreux con sì molte e varie ville e colline, che mi son - fermato anch'io a merendare nel delizioso luogo presso Vernet, sotto una pergola apparecchiata per ciò in un giardino. Poi imbrunendo la sera , mi sono affrettato verso Vevay, e qui riposo. Losanna , a dì 20 di Giugno. Ne precedenti giorni ho visto molte cose e fatto lun- go cammino in tempo breve: oggi m’è accaduto il. con- trario con simile e forse maggiore diletto. Destarmi ques- ta mattina in Vevay m'è sembrato adempire un dolce sogno, tanto è grata la città che gli antichi nominavano ‘Viviscum. Il lago fa qui due golfi , entro i quali. sorgono le case fino a’ poggi della Chardonne. E questa montagna che seguita col nome di Jorat sopra Losanna, e impedi- sce i venti a settentrione e in' parte ancora ad oriente, fa st buona la temperatura in Vevay, che per tutto il giro del Lemano non è forse' altro luogo meno freddo e più salubre nel verno. Io sono andato dapprima ‘sull’ altura , dov'e una piazzetta ombrata ‘da castagni presso il tempio di s. Martino. -E di quivi, oltre la città che giace tutta tra vigne, ho veduto nuove cime di montagne'nella:po- steriore. Savoia , e le alpi stesse al di là del Rodano: Poi scendendo al ‘porto, vi ho trovato una piazza adorna di belli edifizi, e prossima ad un viale di pioppi; nel. ve- poi nulla consimile a ciò che hanno letto, biasimano Rousseau perchè non ritraesse il vero. Ma Rousseau medesimo dice nella pre- fazione: ,, io sono stato a Clarens, e nan ho visto alcuna casa consi- mile a quella che è in queste lettere descritta. Vi dinoto anzi tra- sposizioni di luogo, errori di topografia, ec. ,, Qnde è manifesto, aver egli usato i nomi e variato i luoghi, sì adoperando con lodevole fine, acciochè non fossero a niuna donna attribuiti gli amori dell’ Eloisa. E quindi è inutile andare a Clarens , perché non. vi si può trovare nè la villa , nè il boschetto di Giulia d’ Etange. 31 dere i quali, che sono gli alberi d’ Italia , oh! come è sta- to il mio animo commosso a repentina gioia ed a grande amore. Ho seduto , ho passeggiato sotto la cara ombra na- tiva, e non poteva più indurmi alla partenza. Le onde battevano placidamente il lido, come esse batte il remo del barcarolo che non abbia fretta. I marinari asciugava- no le vele, i giovani si provavano a notare : se avessi sentito qualche auretta marina, e non visto la neve su’ monti , mi sarei creduto di ritorno sulle nostre spiagge, Intanto però il sole cominciava a riscaldare, ed io voleva prima del mezzogiorno essere in Losanna. Onde mi son partito dalla memorabile sponda , e passato fuori la città il torrente della Veveyse, camminava forte per arvivar qui prestissimo. Ma avrei dovuto chiudermi in carrozza per far ciò che m’era proposto. Invece della mattina sono qui arrivato la sera per molte e piacevoli cagioni. Poco lungi da Vevay ho sentito odor di rose e d’al- tri fiori; e guardando nel giardino , ho visto un vecchio rispettabile che riposa la vita in questa soave cultura, at- . tendendo altresì alla bottanica. Poteva io non indugiare alquanto per istruirmi della sua esperienza ? Quindi ho trovato una fabbrica di gesso e una sola casa contigua per nso de’ lavoranti , l’ una e l’altra pulitissima, con orti e con alberi da frutto e da ombra. Poteva io non fermarmi a considerare, come ognuno in questi luoghi pensi ad ab- bellire. la sua abitazione, adoperando in ciò non le arti lussuriose ma i doni della natura? il che rende più grato il vivere senza crescere la spesa ; e fa l’uomo contento del proprio stato, e lo conforta a bene adempire gli obblighi suaì, Dappoichè sono in Svizzera, non ho veduto nè uten- sili, nè arnesi, che a me pure non piacesse maneggiare. Tutto ciò che è di metallo, è lucido: tutto ciò che è di legno, è ben levigato. Ogni vaso, ogni secchia , par sem- pre nuova. Dove mungono il latte, aggiungono un coper- chio per cagione di pulizia. E quando vanno a piedi per 32 qualche faccenda , uomini e donne portano pendente alle spalle un vaso di legno, lungo ed ovale, per mettervi o trarne senza disagio quello che loro bisogna. Dubiteremo noi che ciò sia inutile? Se vi è qualche differenza tra gli uomini, è la più o la meno gentile educazione. E veden- do questi contadini, amorosi, costumati , adoperare come ho detto, ognuno debbe amarli e rispettarli a sè eguali. Dopo queste considerazioni ho proseguito al villag- gio di s. Saphorin, che è distante una lega da Vevay, sopra un colle pieno d’ alberi e di viti; da cui scendendo, ho trovato una villa con superbi noci , e scorto poi il vil- laggetto di Riva su nell’ altura. Qui a destra della via un torrente manda un mulino, e fa cascatelle: il che non è stra- ordinario ; cadendo spesso da’ monti acqua nel lago; ma è stato nuova occasione a fermarmi, onde ho visto le piagge sotto diverso aspetto. Questi luoghi son tali , che guardati un poco da lungi sembrano alpestri, perchè lo sguardo passa allora sulla linea de’colli alle superiori mMon- tagne: e intorno al mulino è la campagna coltivata a vi- gne, ma con argini di pietra e in sulla rupe. Tantochè il lago apparisce di quivi senza sponde amene , chiuso da monti orridi e maestosi a un tempo. Niuno al mulino, fuorchè il mugnaio e la sua figliuola: esso attendeva a macinare il grano, ella stava sulla porta come una ninfa degl’idilli di Gessner ; amorosa negli occhi e nel discorso, gentile e svelta della persona, con veste e calzatura linda e pulita. Io cercava dove collocare l'amante suo per com- piere l’idilio; e guardando contro il torrente, mi si è mostrato un pastorello presso una capanna veramente im- periosa. No in questi paesi non può mancare il tenza a pastorali racconti; e chi gli scrive, darà sempre nuovo diletto , se non altera colla fantasia quello che qui di- scerne. La capanna sporgeva su nel botro , come un gran padiglione a curve tende , poichè usano costruir le case nel seguente modo. È a terreno un’aia grande per batter» 3 vi le biade e ripotvi i carri: dall’uno de’ lati sono le stanze degli agricoltori, e dall’altro le vaccherie e tutto ciò che è necessario alla cura degli armenti . Nel piano superiore veggonsi altre camere da una parte, e magaz- zini dall’ altra sopra le stalle ; ricorrendo al di fuori un terrazzino, che è pure di legno come il rimanente , per stendervi i panni e seccare i frutti. Poi decresce la fac- ciata e termina in punta, con altri piani a stanze o a fienili: avendo ogni finestra piccoli o grandi cristalli , con imposte o gelosie collocate esteriormente ; affinchè tiparino la grandine e i venti. Quindi un ampio tetto scende e si ripiega ad ogni piano, coprendo tutte le parti, e sopravanzando moltissimo i lati dell’ edificio. Nè v° è sempre regola o simmetria: non gli abitatori alle case, ma queste a quelli debbono accomodarsi ; talchè se una famiglia ha bisogno di più stanze , le aggiunge, e ripiega sopra esse un ramo del tetto. Le quali opere spesso produ- cono un capannone di sì varia ed anche strana figura, che non lo possiamo riferire ad alcun ordine architettonico , mentre non dispiace, nè è difforme. È un’ architettura campestre , utile, semplice e convenevole, da desiderarsi ancora nelle nostre ville, dove i palazzi e le torri con- trappongono male a proposito la superbia cittadinesca alla festività della natura. Partendo dal mulino, ho dovuto camminare tra’mu- ri che chiudono le vigne , trovando a pena di quando in quando un noce , sotto cui respirare all’ ombra. È questa una delle strade che i forestieri vantano come somma- mente tediosa , adirati contro le vigne che rendono il poggio troppo più uniforme. Tutto è guastato , essi dico- no, dalle continue viti; e volentieri le destinerebbero pasto alle capre, ingrati alla fortuna che gli ristora dolce- mente con questo buon vino. Quanto è a me, vi son pas- sato contanto diletto che non il maggiore. Essendo gli uomi- ni a frullanare ne’ prati, erano le donne qui adunate per T. XIII: Febbraio legar le viti e togliere le ridondanti foglie. Alcune canta- vano, altre dicevano motti. Se m' accostava a un gruppo di vecchie, m'invitavano a discorrer colle giovani. Queste mi chiamavano, e rampognando ch’ io nulla facessi , m' offrivano Ja paglia bagnata per legare anch’ io i pam- pini. Il loro cappello è fatto all’ uso chinese , 0 come il coperchio, grande d’ un vaso che abbia nel mezzo un ma- nico; talchè non asconde i tratti del viso e fa più rotonde le guance, privando però di maestà la bellezza: il quale uso hanno pur le contadine verso s. Stefano nella riviera di Genova, ma non mettono il ridicolo manico, e sembra- no perciò figure angeliche. Jodizianda e proseguendo, dopo. un’ intervallo che non sarebbe lungo se le vigne fossero men liete, io son giunto.ad amenissimo colle , non tedioso per certo ad al- cuno. Vedesi a destra in alto una vecchia torre, ed a si- nistra giù il villaggetto di Traitorant: tutto coperto di case il.declive della montagna , con spessi alberi benchè tra vigne. Poi sono sceso, girando intorno a bellissimo golfo, dove sono due piccole città, Argì nell’ altura, e Gulli sul- la riva del lago; ombreggiata la sponda da’ nostri piop- pi, e termine al viale una querce immensa. Questo pia- no e poggio è dissimile a’ precedenti, non avendo che pochi scogli. Pare. vi sia stata. una colonia romana, perche v’ hanno trovato e trovano ruderi antichi. Un con- tadino di Traitorant .m' ha detto che negli anni. scorsi lavorando la terra , trovò .e vendè a un forestiero due orec- chini d’oro. E presso Gulli fu scoperta una statua di bronzo, nel cui piedestallo era scritto Libero patri Cochliensi : statua da innalzarsi nuovamente. a: Bacco, perchè ne’ pros- simi poggi le viti danno dell’ ottimo vino di Lapazd (2). (2) I più celebri vitigni di questo cantone sono quelli. della Cote, di Lavaux , e D'Jvorne: coltivati i primi da' Coppet fino a Losamha, i secondi da Losanna fino a'Vevay ,'e gli'altri in- tofno a Aigle. or DI) Dopo Culli la via è, come innanzi , chiusa tra muri: Onde vi ho goduto di simile spasso nelle vigne, e poi ho traversato il villaggio di Villette , piccolo ma delizioso pe’ frequenti alberi , e tanto più romantico in quanto nori v'era alcuno de’ suoi abitatori. Quindi sono riandato per vigne: e dove la spiaggia diventa piana, sulla punta di nuovo golfo, è la città di Lutri. Quando si trova ad ogni breve spazio città o villaggi, intorno cui è rigogliosa vege- tazione: quarido si va sempre per poggi colla vista del lago: come può esser di ‘tedio il cammino per vigne, ancorchè non vi sieno le giulive contadinelle ? Uscito di Lutri , ho passeggiato tra giardini e orti in un viale di tigli che non possono aver più copiosi rami. E v'è un olmo sì gran- de, che più ragazzi saltano insieme e dal di sopra nel cavo fusto: anelli di ferro lo aiutano dalla vecchiezza: se fosse stato altrove , lo avrebbero già forse tagliato. Poco dipoi è il villaggetto di Paudex, da cui si sale alla piccola città di Pulli. E vedesi nuovo movimento, nuovo paese. Si ritro- vano le colline di Bex, interrotte le vigne da’ prati. E vie- più salendo , più mi dilettava ; ora scorgendo una villa , ora una bellissima capanna, finchè per continui e superbi giardini ho messo il piede in Losanna , parendomi entra- re nella città di Flora. Losanna a di 2: di giugno. Losanna è nella piaggia meridionale del monte Jorat, 432 piedi al di sopra del lago, e 1566 sopra il livello del mare. Questa sola notizia ho cercata oggi ne’ libri, pia- cendomi guardare i luoghi dapprima senza l’ opinione d’ altrui, E poichè mi piace eziandio conoscere quello che di fuori apparisca , innanzi che rivolgermi agli abitànti , ho consumato il giorno ; facendo il giro della città e della campagna. Sono salito per quella strada che chiamano grand S. Jean, verso la via di Francia: e pochi passi 36 ‘dopo le ultime case ho visto nuovi prati e giardini con somma varietà e frequenza. Non si può esprimere la. soa- vità che ne deriva all’ animo. Tutto è accomodato con arte, e tutto par naturale. Errando per la collina, son giunto alla Chablière, dove in mezzo al prato è un pog- getto di fiori con ampia vista giù nella valle fino alle rive di là e di. quà del lago. E da questa villa seguitando di salire, allorchè non vedeva più che semente e capanne con lontane selve , voltando a sinistra mi son trovato in un solitario e delizioso boschetto. Lo chiamano il Deserto, ma è conforto della vita: e scende per agevole balza ad un piccolo piano , ov’ è un bel casino e abbondanza d'’ al- beri fruttiferi. Non si vede la città, quasi non si scorge il lago: par che la natura asconda questo suo vago seno, per far più grata la rosa a chi qui la coglie. Quindi per nuovi giardini costeggiando il colle, ri- tornava in città; ma vedendo un bel viale a sinistra, non ho potuto non deviare , preso da maraviglia come non vi sia un punto solo intorno Losanna senza boschetti o fiori. La parte settentrionale mi sembrava anche più inanimata, essendo più spesse le ville con molti sentieri, ne’ quali amorose e fiere giovanette passeggiavano a lor diporto. E sì procedendo sono arrivato alla vetta d’un poggio, che chiamano il Segnale ( .Sigral ), nome derivato dall’ uso di far nelle guerre segno agli amici da quest’ altura. In- fatti è il punto più elevato sopra Losanna, la quale scen- de di quivi per due lati curvi alla linea retta che la chiu- de. Nè solamente la città, e il declive tra essa e il lago, ma molti altri luoghi si vedono del cantone di Vaud e della Savoia. Tutto il poggetto è bosco: a oriente, a occi- dente, son dirupi e burroni, coltivati anch'essi a giardini e boschetti: a settentrione è grande selva di querci, ove i druidi, come sì racconta , celebravano i loro misteri, Silva Bellini secondo l’ idioma del Lazio, Sauvabelin wel moderno volgare. Al principio della selva è un prato, 3g; ove spesso concorrono i cittadini, emulandosi a ben mi- rare coll’ archibuso: non mancando un luogo a siffatto. esercizio nè anche ne’ più piccoli villaggi della Svizzera.. Quindi fuori la selva, credendo ritrovar uniformi colline, mi sì è dimostrato un gran numero di valli con capanne: e villaggi ovunque sparsi. Avrei voluto andar per tutto & un tempo: e ciò dandomi incertezza, ho chiesto consiglio ad uno che passava. Questi era del nostro paese , nato, nella valle di s. Germano in Piemonte, e qui venuto a professar le lettere e la dottrina del vangelo. Onde si è stretto subito amicizia, e per consiglio di lui ( si chiama Monastier ) ho; salito. la più vicina valle che conduce al bosco di Vaud. L'ombra nera degli abeti ha qui ottenebra- to i miei pensieri. Non poteva più esultare, benchè vedessi armenti, pascere in prati doviziosi di fiori, E st ammirava, questa gran magnificenza della natura, ma attonito e in me ristretto, come umile e rozzo pastore che vegga di repente cose sublimi. Ho vagato per più d'un’ ora, senza trovar il fine della cupa selva, e poi verso le Pluzche e per la valle. di Mont sono risceso alla città presso al ca- stello che prima. era vescovato, ed ora palazzo del pubbli-. co. Le antiche torri son divenute magazzini. I sotterranei e i trabocchetti sono stati riempiti. Tutto l’edificio è ades- so accomodato per } uso. de’ tribunali e di altri pubblici uffizi. Entrandovi, ho veduto due grandi e belle sale , in una delle quali si convoca il grande , e nell’ altra il piccolo consiglio dello stato : avendo dalle finestre e. dal- le terrazze nuova spaziosa vista sopra la città e le spiagge. Un ameno sentiero, vicino al castello, m'ha indotto, pur qui a deviare: e andando. in piccola e gratissima valle che non pare nè dentro nè fuori la città, ho. visto, bella casetta ov è scritto Bains du vallon. Vi sono bagni pulitissimi a terreno, e trattoria nel piano superiore. So. mnava mezzogiorno, ed avendo già corso per più di sei ore. lo preso avidamente l’offerto ristoro. Poi sou salito dietro, 38 i bagni per un erte viottolo cavato nella rupe ; il quale conducendomi in breve al già noto Segnale, ho voltato su- bito in altra valle dove sono mulini. E di qui, sempre distratto dall’amena varietà , ho risalito fino alla via di Berna. Presso dove il sentiero mette nella via, è un prato con salici ed altri alberelli, destinato a’ sepolcri: d’ onde si scorgono vasti burroni, e colline o popolate o boschive. A destra è pianura, per mezzo la quale mi sono abbattu-- to a nuova villa, con bel bosco anch'essa, e chiamata 2el- le-vue perchè dalla sua terrazza sì vede gran parte della città e del lago. Sotto essa è Mor repos, villa edificata da pochi anni, con una torre in cima del giardino che non era necessaria , e con un palazzo troppo signorile : dispo- ste ancora in un semicircolo, che ha nobile apparenza ; le vaccherie, e le stanze, in cui abitano i giardinieri e si ripongono le frutte; come se fossero nella piazza d’ una città e non in mezzo de’ prati. Nè biasimo tali cose per- chè sieno inconvenienti, ma perchè si riposa meglio do- v'è minore artificio e fasto : e l’altrui consuetudine di- mostra che si può aver ogni agio e ingentilire qualunque edificio colla sola architettura campestre. Per entrare in Mon repos ho dovuto girare per città alla via di Vevay, e poi tornando indietro sono sceso in riva al lago, dove è amenità con più dolce temperatura. Un moletto fa riparo alle barche , e quivi è il villaggetto d’ QOuchi con vecchia torre, con belle case e piacevolissime ville. Guardando da un cancello un prato cinto da bosco, in cui è civile capanna ton salice piangente innanzi , oh! questo sì mi pareva un dolce riposo. ; Da Ouchi son tornato dritto alla città, camminando. per più d’un miglio : e in cima della salita ho veduto‘a sinistra una casa , dove il Gibbon compiè la sua grande opera, che riferisce al romano impero. M'hanno mostrato. il salottino, in cui egli scriveva ; e poi volevano raccon- contarmi le qualità e i particolari accidenti, per cui non 39 era il Gibbon vivente amabile. Ma ho interrotto queste narrazioni già troppo note, e inutilmente! ripetute perchè la vita di lui non fu che d’uomo privato. Qualùnque di- fetto avesse o del contegno o della persona, egli è vene- rando a’ posteri. i Dee i dui che” egli non era nè bello ne gentile, presuntuoso, egoista, e perciò intollerabile ‘a’ con- temporanei , nou può giovare che a que’ letterati o filosg-. fi, i quali permettono di sè alla presunzione ed alla su- perbia, obliando che la scenza debbe condurre gli uomi- ni a maggior civiltà , e che l’ gUiStoctazia. de’ dotti è come tutte le altre fastidiosa: Ho compito la giornata e il giro, andando per la via di Ginevra, ove sono viali di tigli spaziosi per pubblica passeggiata. E di qui si vede che meglio, come la città, sia tutta edificata sù e giù ne SATA la quale 1 inegua- glianza del terreno è la prima causa della varietà che si scorge nell’ ester iore , e dell’ incomodo che si ha nell’in- teriore città. Questa non ha altro pregio che esser pulita + non v'è alcuna strada , tutta diritta o piana: e le più del- le case hanno finestre rari: con ferriate in basso a finto. terrazzino , e con qualche segno d’arclutettura civile ne* cornicioni. Losanna a dì 22 di Giugno. Oggi domenica, sono stato svegliato. dal suono delle. campane, che indicava l’ora della predica ne’ diversi tem- pli. Il buon italiano Monastier m ha, condotto, dappri ma alla. Società di letgurg : sì conversa in una. stanza , e sì legge pell’ altra. Ogni socio può presentare un ip È inutile che an quanto giovino a’ priyati, ed al pub- blico queste istituzioni , perchè l’ utilità è palese : offrono, un mezzo facile ad istruire, e ritraggono gl’ inoper osì dak- Yozio che è causa di mali e disordini. 40 Dipoi siamo andati al tempio di s. Francesco, (3) ov era gran concorso, ufficiandovi uno de’ migliori predica, tori. Uomini e donne sono entrati, hanno fatto la pre- ghiera, hanno ascoltato, sono usciti, con somma modestia e sempre attenti: nè il sermone poteva essere o più grato o più istruttivo, indicando il male, confortando a’buoni co- stumi, senza rampogne , senza rimproveri, tutto fondato con amor cristiano nella morale evangelica. In principio ed in fine hanno cantato salmi, tutti a coro accompagna- ti dall’ organo, con tempo largo, e melodia piacevole sì ma soltanto per le voci varie e concordi. Niuna cosa dà incitamento alla distrazione ; ed i buoni consigli hanno perciò idoneo effetto. poi tempio sono salito al colleggio, dov’ è il museo, aperto oggi al pubblico. Vi sono minerali , conchiglie e dipinture, il tutto in una stanza: essendo questo luogo da pochissimo tempo istituito, e le più delle cose un dono de’ cittadini , i quali amano giovare quanto può ciascuno all’ istruzione dell’ universale. Così il professore Chavan- nes, che ha raccolto i volatili di molti paesi, gli vuol donare alla patria. Egli è direttore del museo , e m’ ha mostrato alcune antichità trovate in Arnex. Sono fram- menti di corazze o altre armature , non romani, non cel- tici: forse di arabi, forse de’ crociati , e forse di niuno di loro: vè sola la certezza che erano sotterra in ue di legno. Chiudendosi il museo , sono andato a veder la atte tedrale. È svelta e grande, di quell’ ordine chiamato goti- co : avendo una guglia di fuori, dove ora facciamo le cu- pole. Si ricordi il lettore che nella chiesa di s. Andrea in Vertelli, invece d’una guglia è una torre ottagona. To (3) In questo tempio si trasferì ed ebbe fine il concilio di Basilea nel 1449. Li 4I non so in che tempo sieno stati fatti questi edifici i. (4) Ma dinotano, mi sembra, il progresso de’ pensieri negli ar- chitetti. Una guglia posta per ornamento, o per indicare anche al Ui fuori il punto che separa la navata dalla tri- buna, fu variata in torre. Quindi la cavità della torre, lasciata libera nella chiesa interiore , è divenuta per suc- cessive modificazioni la cupola dei Brunelleschi, Davanti la cattedrale è una piazzetta con molti al- beri: è come una terrazza, perchè sporge sopra un bar- rone della città. Onde si può scorgere ben lungi intorno al lago ne’ dì sereni. Ma io non ho veduto che nuvole : e cominciando la pioggia , sono sceso per una scala di legno e coperta verso la locanda, con animo d’ esaminare allo- ra ciò che gli altri dicono di Losanna. Pertanto ho ‘preso l’itinerario d’ Ebel che è il migliore a giudizio d’ognuno; ed oltre molte cose relative alla storia naturale, ho letto: che nell’ anno 264 Aureliano condusse una colonia eque- stre, facendo edificare un borgo sopra quel colle, dov’ è ora una parte di questa città , e la via chiamata Bourg : che il nome di Losanna fu dato alla città nel quinto o sesto secolo, quando vi fu trasferito il seggio episccpale d’ Avenche : e che nell’itinerario d’ Antonino si fa men- zione di Lausonium, d’onde proviene il nome di Losan- na ; quantunque alcuni presuppongano esser derivato da Laus Annae, perchè i pellegrini venivano cantando lodi alle reliquie di s. Anna, conservate nella cattedrale. Gli etimologisti guardano spesso a soli gli accidenti delle pa- role. E v’ è pur la congettura, che Losanna e Lausonium sì derivino da’ più antichi vocaboli , Zous acqua, ona fiu- (4) Ho poi saputo che la cattedrale di Losanna ebbe prin- cipio intorno al 1000, e fù consacrata nel 1275 da Gregorio X. La chiesa di s, Andrea in Vercelli debbe esser molto poste- riore. Nella cattedrale di Losanna si conservano più mausolei, è ve pur quello d’ Amedeo di Savoia , che eletto a_ pontefice si chiamò Felice V. 42 me: talchè sarebbe un nome significante acqua fè imme» $i può forse opinare con minor dubbio intorno alla situa- zione di, Lausonium, perchè si sono trovati ruderi antichi presso le spiagge di Vidi, a mezza lega da Losanua verso Ginevra : e Bochat racconta che 29 dia fu quasi tutta sommersa, nell’anno 563, allorquando la rupe franò sul. l’ opposta riva } e commosse il lago. Pel quale accidente fu pure Finn. il castello e il borgo di Tauretum che giaceva tra i villaggi di Meillerie e n S. Giagoniph al di- sotto della precipitata montagna. Ebel indica pure i luoghi e le ville già ch me vedu. te. Onde a queste cose contento, mi son fatto dare il giornale che ha per titolo Fewille du canton de Vaud , in cui si riferiscono i modi e gli atti del governo. Questo cantone fu dominato fino al. 1536 da’ duchi di Savoia. Quindi fu congiunto. col cantone di Berna fino al 1798. Dopo il quale anno e per successivi accidenti si è ordinato. libero e indipendente ,. partecipe della confederazione elvetica. A. questi tre tempi dello stato suo risponde la. misura della prosperità nazionale. Trasmutati gli antichi Vizii in qualità virtuose, ora si governa con tale prudenza e concordia , che impedito il retrocedere nel male, ogni miglioramento, è promosso. La sua costituzione è quasi consimile a quella degli altri cantoni: un consiglio di sta- to, che pur dicono il piccolo consiglio : un gran consiglio: cit: un presidente col titolo di i cenni I poteri read sono qui centottanta ; tredici de’quali compongono il pic- colo consiglio. Ciascuno è deputato a rappresentare il Po: polo per tempo breve. Al gran consiglio appartiene accet- tare o riprovare le leggi e i decreti, che i consiglieri di stato propongono. Da questi ‘ordini’ poi, e dal vero amore che hanno. tutti alla patria , ne derivano sì buoni effetti che io. gode- va di leggerli ne’ ragguagli dati al pubblico. Il numero, delle liti sempre più diminuisce , conciliati i litiganti da’ 14 43 giudici di pace. I tutori hanno maggior cura de’ pupilli. Nel 1820 si compilarono 28 giudizi criminali e Go corre: zionali: nel 1821 soli‘ 12 de’primi, e 144 de’ secondi; Uomini 81, e donne '17} erano in galera nel 1820: e 70, e 12 nel 1821: notando altresi che 18 uomimi e 3 donne non erano nati nel cantone di Vaud. Per rispetto all’ istruzione pubblica, in questo can- tone che mon ha forse più di '150 mila abitanti, oltre i collegi non v è meno di 639 scuole elementari, ove concorrono incirca a'29 mila ragazzi e fanciulle. Ogni cittadino , povero o ricco ; è obbligata a saper legge- re e scrivere. E giudicando ‘l'insegnamento reciproco, siccome ‘è, il miglior: metodo elementare } lo ado- perano dove possono, esponendo al pubblico i fatti e l’esperienze. Imperciocchè le cose utili e nuove sono in principio e quasi in ogni paese o riprovate‘o sospette, non tanto pet l'ignoranza, quanto per la pigrizia degli uomi ni, i quali s'adagiano volentieri nelle già prese consuetu- dini. Laonde importa togliere il pretesto dell’ uso antico , facendo evidenti dimostrazioni. Io leggo iu questi.pubbli- ci ragguagli , che nelle scuole di Lucens:, di Valleyres, di Lavigny, di Cheseaux , e di Savuit, erano 543 ragazzi, de’ quali 153 leggevano bene., 169 non scrivevano male, 57 sapevano le quattro prime regole del’ ‘aritmmetica,, e 134 avevano imparato tutto il catechismo. Questo compu- to fu fatto nell’anno innanzi che fosse istituito il recipro- co insegnamento: e dipoi col nuovo metodo, diminuito il numero degli scolari tutti gli altri numeri sono cresciu- ti e massime quelli del sapere scrivere, del sapere l’ arit- metica e il catechismo. Il qual effetto non ‘solo dimostra che il metodo è utile, ina prova eziandio contro l’opinio- ne di quelli, cui pare l'insegnamento reciproco un tra- stullo meccanico, non idoneo alle scenze, non atto a pro- muovere le facoltà della mente, dannoso alla religione. I numeri sun'questi; 461 ragazzi: 185 leggono, e 276 scri- 44 vono bene: 1117 sanno le regole dell’aritmetica, e172 tuè- to il catechismo. Mi dispiace che in questo ragguaglio sie- no state ‘trascurate, due importantissime indicazioni . Se. avessero notato il numero degli anni, in cui.i giovanetti. frequentavano la scuola; avrebbero potuto soggiungere che gli effetti del nuovo metodo sono tanto migliori in tempo tanto più breve. Se avessero notato la diligenza ,, la disciplina ; l’ ordine, i costumi; la saviezza de'disce- poli; oh! quanti numeri maggiori avrebbero aggiunto, nel secondo calcolo: poichè a giovani distratti non posso». no insinuarsi e fermar nell’ animo le ragioni astratte di molti precetti , ed è raro caso che possano essere attenti quando ascoltano; secondo l’uso antico; un solo che parla. Non maraviglio però che alcuni sieno. sempre osti-. nati contro sì, chiare dimostrazioni, poichè vedo uomini pertinaci nell’ errore ancorquando si tratta della propria. salvezza. È ormai esperienza certa che la vaccina toglie. o almeno infievolisce il vaiuolo, morbo sovente Bega E pure io, leggo, esser tuttavia il medesimo dubbio con: tr essa, icome contro |’ insegnamento! reciproco. Ma la salute e la felicità degli uomini, che debbono essere il primo scopo de’deputati al governo, non sono qui, neglet-. te: e le scuole, e la vaccina , e l’ostetricia, e ta veterina-. ria, tutto ciò insomma che può essere utile , è ordinato 0. | consigliato istantemente. Talchè non repugnando i più, agli usi muovi e migliori; trarranno i meno nella loro, opinione. Gli abitatori del cantone di Vaud attendono prin. cipalmente all’agricoltura; ed avendo molte praterie ,, abbondano di cavalli e di bovi. Ma all'incontro non mie. tono tanto grano a sufficienza; e secondo il ragguaglio da, essi pubblicato, nel commercio colle altre. nazioni.,, oltre. il grano, l’ olio, ei generi coloniali, traggono senza, con- traccambio le tele, i panni, le stofe,.i cappelli, il sapone, le candele, e molte altre mercanzie. Il che dimostra: che 45 ted hanno fabbriche e manifatture , 0 almeno non tante ‘quante bastino: e che non possono supplire a’ loro biso- gni col solo scambio delle merci. Nondimeno questa per- dita non gl’ impoverisce : che se vi sono famiglie misera- bili, come se ne trova in qualunque stato, ricevono qui aiuto da’ loro stessi concittadini , essendovi la buona isti- tuzione di non abbandonare i poverelli , assegnata perciò una somma a ciascun comune. Il danno del commercio è riparato dagli utili seguenti: dall’ interesse de’ capitali , che molti hanno impiegato altrove: dalle pensioni che uomini e donne si procurano , vivendo alcuni anni fuori della patria con qualche fine utile e lodevole, come per esempio educando e insegnando , stimati questi precetto- ‘ri pe’loro buoni costumi e perchè usano la lingua france- se: dall’industria che molti esercitano fuori del cantone : e dallo spendere de’ forestieri, che qui frequentano. Que- st ultimo vantaggio è sì grande e sì apprezzato , che fan- no ogni cosa per attirare e fermare gli stranieri. Se ques- ti sono bene educati, ricevono cortese accoglienza. In molti villaggi sono buone locande, o ville da dare in af- fitto. E perciò anche i contorni di Losanna sono per tutto ameni giardini : abitati sovente da’ forestieri. Losanna a dì 23 di Giugno. Mia prima opera è stata !oggi visitare il professore Le Resch, che è ancora bibliotecario. Egli è d°’ aspetto grave , e universalmente stimato, Quanto più si conosce, più dimostra qualità lodevoli e interesse ad altrui . La libreria non ha che circa a 17 mila volumi, con alcune edizioni antiche e qualche manoscritto. Ogni cosa è qui nel suo principio , per la ragione già detta che il cantone di Vaud ha ordini suoi proprii da pochissimi anni. Ma i principii sono buoni , e l’ andamento non ha interruzione. Presso la libreria sono le scuole del collegio: 46 erano tutte piene , e vi si studiano le letter e e le-scenze » Non v'è alcuna specola, ma la vogliono edificare , ed hanno già qualche buono strumento astronomico. Il gabi- netto fisico è provveduto di molte macchine , ordinate da un professore oltremodo amabile. Il professore Le Resch m°’ha quindi condotto alla scuola del mutuo insegnamento, ove non tutti hanno ac- cesso. La sala è piccola e brutta, ma ne apparecchiano un’ altra: e il metodo è tale come si usa nelle migliori scuole. Non posso però non biasimare due cose. I ragazzi vi sono ammessi ancorchè sudicii, scalzi, e-con veste lacera: perchè non indurli ad essere puliti? L'acqua da lavarsi non costa nulla: il rattoppare è facile: la laidezza non è segno d’ uomo libero , ma d'uomo licenzioso e poltrone. Essendo la maniera del vestire una delle principali dif- ferenze nella società degli uomini , quanto meno sarà di- versa; tanto minori ostacoli avremo nella comune fratel- lanza. E importa che i ricchi e i poveri comincino ad amarsi fin dalla fanciullezza, frequentando insieme le scuole: senza di che l’amor cristiano è vinto dall’ egois- mo, l’alterigia diventa naturale, e la carità del prossimo si riferisce soltanto a quelli che similmente vivono. Io ho avuto maraviglia in veder tale trascuratezza nella scuola, mentre non aveva trovate sudicie neppur le contadine in mezzo le vigne. E sarà facile riparare a ciò, essendo il popolo qui generalmente pulito. L'altra cosa biasimevole è impedire l’accesso. Tali scuole debbono essere tanto più aperte a chiunque voglia entrarvi, in quantochè non tutti ancora sono persuasi alla bontà del metodo. Nè le visite non danno molestia. Ogni volta che sono entrato in queste scuole, i giovanetti si sono emulati a maggiore attenzione: il che è un effetto del metodo, perchè i ra- gazzi medesimi facendo tutto da sè, non vogliono compa- rire ignoranti. Ho visto all’ incontro distrarsi subito i gio- vani, quando sono entrato nelle scuole dove un profes- fia 47 sore o parla o detta, perchè non dovevano allora dimo- strare la loro propria intelligenza. | Dopo aver conosciuto gli ordini dello studio, mi premeva veder le carceri e gli spedali. Ho trovato quelle e questi in un medesimo edificio. Le camere de’ malati sono piccole a fine di riscaldarle meglio ne’freddi inverni, e v'è tanta pulizia e diligenza che me ne sono congratu- lato. Quindi ho chiesto se poteva introdurmi nelle stanze de’ galeotti. Ed uno che era presente , sì, ha risposto, vi condurrò io medesimo, nè potreste entrarvi senza mia licenza. Queste parole m° hanno mosso a ben riguardarlo. Discorrendo meco in diversi argomenti, m° aveva già in- dotto a stimarlo per buone qualità dell'animo suo: ed ora accorgendomi che egli era il sopraveditore delle pri- gioni, o come noi diciamo, il carceriere, l’ho tosto segui- tato per accertarmi se non fosse altr’ uomo nell’ adempi- mento del suo ufficio. Appena però siamo stati fra’ gale- otti, che ogni dubbio è svanito. Essi mostravano a lui amore e rispetto, come ad uomo giusto ed umano: ed egli a lor s’interessava, prevedendo i bisogni, e dando utili avvertimenti, affinchè il tempo della pena sia in- tervallo tra’cattivi e i buoni costumi. Se non avessero avuto al collo un cerchio di ferro che dinota punizione, io ‘mon ,avrei creduto essere fra’ condannati. Le loro camere sono pulitissime. Ogni letto ha un pagliaccio, un capez- zale, i lenzuoli e la coperta. Uomini e donne attendono a qualche mestiere , partecipando nell’ utile, e ricevendo il denaro quando è consumata la pena, acciocchè ab- biano allora con che seguitare l’arte che hanno appre- sa: nè mai escono a pubblici lavori, poichè si teme che ‘ciò gli renda impudenti è incorreggibili. Ed invero se si vuole correggere i colpevoli, non bisogna disperarli in verun modo. E quando essi per lungo tempo si presentas- sero cogl’ indizi del delitto al pubblico, non si avvezze- rebbero ( come accade in altri paesi, dove ciò si fa ) alla condizione dello schiavo reo, perdendo la speranza cliè gli altri credano a’ loro cangiati costumi ? In queste carceri si procura eziandio la correzione de’ traviati con opportuni sermoni, venendo qui un pre- dicatore due volte la settimana per dichiarare la morale evangelica ed ammonire con prudenza. Al che si conse- guita mirabile effetto. Ma questo nuovo procedere verso i condannati richiede nuovo edificio: dovendo la prigione essere come una fabbrica ovvero officina per più atti e mestieri, ben sopraveduta aun iano e in tutti i punti. La aiune necessaria edificazione è dessa la causa , per cui non è questo metodo ancora ammesso in molti paesi. O manca il denaro, o piuttosto non si vuole spenderlo in cose utili. Questo cantone non è uno stato grande, e non ba rendite esuberanti: e pure vi sì edifica la nuova pri- gione, in un ampio prato fuori di città, presso la via di Berna; dopo di che le stanze de’ presenti carcerati saran- no aggiunte allo spedale, ritrtaendo due beni da un’opera sola. Il nuovo edificio è così disegnato. Nel mezzo abite- ranno i sopraveditori, essendovi pure il tempio, e tutte le stanze necessarie alla cura ed all’ amministrazione de’ prigionieri. À destra e a sinistra saranno due lunghe ali, con un lungo cortile interiore e diviso da un andito nel mezzo: intorno al cortile essendo le camerelle, e nel cortile le officine, aperto l’andito a’soli sopraveditori. Quindi un alto muro circonderà il prato, ove 1 carcerati potranno passeggiare quando sia loro permesso. Ho dato a questo edificio il nome di prigione, benchè risponda piuttosto a galera. Ma quest'altro nome significa tanta infamia e di- sumanità che non si può adoperare. Un nome muovo sa- rebbe necessario. Vicino a detto edifizio che sarà presto compiuto, è lo spedale de’ pazzi. Andando a vederlo, mi pareva en- trare in una delle più amene ville di Losanna. E con che pazienza, con che amore, sono trattati gl’ infelici da | | Lo | | 49 chi ne ha cura! V'è una donna esemplare , che aiuta al medico nell’ amministrazione dell’ ospizio : appresso a lei non si può non ricuperare il senno : e per caso strano è nativa d’ Aigle, dicendomelo essa stessa, dopo aver udito da me poco prudente i miei famosi incontri nella patria sua. Essendo per tante conversazioni inoltrato il giorno, non ho avuto altro tempo che d’ andare col buon Mona- stier alla società dell’arco. In un bel prato alberato e chiuso, ma colla vista del lago, e presso i viali de’ tigli nella strada di Ginevra, s’ adanano molti per tirare. col- l’arco le frecce. Ancor qui ogni socio può presentare un forestiero, e ve un bel casino, ove si mangia e si beve. I più degli esercizi degli uomini sono qui marziali: il che po- trebbe però indurre i giovani a troppa petulanza, e gli at- tempati a troppa riservatezza , se temperati non fossero dalle maniere amabili delle loro onestissime donne. Fl. Merobaudis carminum orationisque reliquiae ex membranis Sangallensibus editae a B. G. NiesunRIO C. F. Sangalli, 1823, ex officina Wegelini et Rà- tzeri, in 8°. La celebre libreria de’ monaci di San Gallo , che nel secolo decimoquinto somministrò a Poggio Fiorentino co- pia di parecchi antichi scrittori, non cessa ancor di presen- te d’essere benemerita della Repubblica letteraria. Sono ivi alcuni palimpsesti, i quali però non contengono cose di molto pregio. Pure vuole esser distinto uno del nono se- colo, che è segnato col numero 908, e contiene un voca- bolario alquanto voluminoso, ma di poco valore. Quasi tutto è riscritto, e dianzi conteneva varie opere, fra le quali meritano d’ esser ‘ricordati i frammenti di Merobau- de, e alcuni avanzi d’antica liturgia, Si spera, che il P. D. T. XIII. Febbraio 4 50 Ildefonso Arx Reggente del Seminario di $. Gallo voglia. pubblicare i secondi, e intanto il signor Barone Niebuhr: ha con gran diligenza trascritto, su pplito dove potevasi ed illustrato i primi . I fogli secondo il solito sono confu= si, e mancanti. Il carattere è, come dicono, wrciale, si- mile a quello delle instituzioni civili di Cajo, è elegantis- simo; e forse dello stesso quinto secolo , in cui viveva l’autore. D'un Flavio Merobaude ci parla la storia , il quale fu console il 377, e il 383; fu guerriero, e dal ri- belle Massimo fu costretto a darsi la morte con -Balione Conte, come dicono Marcellino, Zosimo, ed altri. Pra- babilmente figlio di lui, o nepote fu il nostro Merobaude, cui nel foro Trajano fu inalzata una statua di bronzo il 435. Di questa statua fu ivi medesimo trovata la base so- no ora dieci anni con una iscrizione, che il sig. Abate Fea illustrò allora. Mi duole di non aver veduta la sua illu- strazione, che certamente sarà ricca di quella dottrina antiquaria, di che egli è largamente fornito. Reputo però opportuno di recar qui quella iscrizione, che il signor Ba- rone Niebuhr ha di nuovo stampata ne’ prolegomeri. Es- sa dice così. « Fl. Merobaudi VS. com. sc. — FI. Merobaudi, ae- « que forti et docto viro, tam facere laudanda quam alio- « rum facta laudare praecipuo: castrensi experientia cla- « ro; facundia vel otiosorum studia supergresso: cui a « crepundiis par virtutis et eloquentiae cura, ingenium « ita fortitudini ut doctrinae natum, stilo pariter et gla- « dio exercuit. Nec in umbra et latebris mentis vigorem « scholari tantum otio torpere passus, inter arma litteris « militabat, et in Alpibus acuebat eloquium. Idea illi « cessit in praemium non verbena vilis , nec otiosa hede- « ra, onor capiti Heliconius, sed imago aere formata, quo « rari exempli viros seu in castris probatos, sew optimos « vatum, antiquitas honorabat. Quod huic quoque cum « augustissimis Roma principibus, Theodosio et Placido: DI «Valentiniano, reràm dominis, in foro Ulpio detule- “« runt: remuneratìtes in viro antiquae nobilitatis, novae < gloriae, vel industriam militarem, vel carmen, cuius praeconio gloria triumfali crevit isneno do Dedicata « II. Kal. Aug. Gonss. DD. NN. Theodosio XV. et Va- c lentiano INIT ». La dedicazione della statua dunque fu fatta ai 30 di Luglio dell’ anno 435, in cui cade appunto il decimo- quinto consolato di Teodosio, e il quarto di Valentiniano. I frammenti pubblicati dal signor Barone Niebuhr non hanno il nome dell’ autore, e senza la scoperta della pre- cedente iscrizione sarebbe stato impossibile l’ indovinare a chi si dovessero attribuire. Due fra questi sono parte d'un’ orazione in lode d’Aezio; nome caro all'Italia , per- chè ricorda il dramma del Metastasio, che lo addolcì alcun poco; chiamandolo Ezio. Nell’iscrizione si legge, il/i ces- sit in praemium ....imagoaere formata, e questo ono- re cum augustissimis Roma principibus, Theodosio et Placido Valentiniano . . .: detulerunt: remunerantes . ... vel industriam militarem, vel carmeri, cuius praeco- nio gloria triumfali crevit imperio: e orazione più breve - mente dice , pro his me laudibus tuis (d’ Aezio ) ftoma cum principe victuro acre formavit. Se Roma, cioè il Se- nato, e gl’ Imperatori inalzarono una statua di bronzo a Merobaude per un elogio da lui fatto, e Il autore de'fram- îmenti dice esser ciò a sè avvenuto, e in parte lo dice col- le stesse parole, chi sarà tanto difficile che neghi essere ambedue la stessa persona? La congettura non poteva es- sere più felice . Scoperto in questo modo il nome dell’ autore, nasce quasi spontaneamente un dubbio , se tutti debbano all’au- tore medesimo questi frammenti attribuirsi, o se alcuno possa forse esser d’ altri. Il quinto componimento pocti- co, che è l’ultimo, par che concilii sì fatto dubbio; sì perchè ha in fronte le parole Epiî Paeto, delle quali la CSR CI 5a prima esser potrebbe o il nome, o parte del nome dell’au- tor suo; sì perchè vi si compiange Ia ruina della religion de’ gentili , il che mostra esser lui un gentile, quando Me. robaude può credersi un cristiano, perchè in due luoghi ‘parla del battesimo cristianamente. Ciò non ostante il chiarissimo editore vuol tutto attribuire a Merobaude, quantunque confessi, che non sa spiegare quelle parole Epii Paeto. Pare a lui di ravvisare tanta somiglianza nel- la dizione fra questo componimento ed i frammenti che lo precedono, che debbano credersi tutti del medesimo autore. In modo speciale vuol che osserviamo la voce pri- maevus , che sì in uno de’primi frammenti, come nell’ul- timo componimento, è adoperata in maniera insolita. Che se l’autore dell’ultimo componimento si fa conoscere ido- latra per la ragione detta testè, tale potè essere anche l’autore de’ primi frammenti. Conciossiachè ne’ secoli quinto e sesto , come egli dice, tranne pochissimi più fu- riosi, gli altri gentili erano cauti per timore, e delle cose alla nostra religione spettanti parlavano con gran riguar- do. Oltre a ciò-parla bensì del battesimo, ma consubstan- tiationem aliquari (egli dice) Divinae essentiae cum aqua sibi fingit , id quod vix in Christianum, sed facile in Ethricum cadit , initia secretarum religionum se- ctantem. p. IX. Tali son le ragioni, per le quali il nostro editore per una parte è d’ avviso che uno solo sia l’autore de’ fram- menti, e per l’altra cerca di rispondere a quei dubbi, che altri per avventura potrebbe addurre in contrario. Quan- tunque però l’ opinione d’ un uomo così dotto debba mol, to rispettarsi, pure confesso che non posso ancora indur- mi a seguitarla. Pare a lui di scorgere una certa somiglian- za nella dizione, e di questa somiglianza porta ad esempio la voce primaevus usata ne’ primi frammenti e nel quinto componimento in maniera insolita. Per esaminare, se ciù sla, rechiamo i due passi, il che servirà ancora per consi» 53 derare le cose dette dall'autore intorno al battesimo , € | per dare un saggio de’ versi pubblicati. Il primo è a c. 5. Primaevos pueri recentis artus Plenis numine fontibus rigavit : Qua puri Deus arbiter lavacri , Arcana laticum receptus unda Pellit crimina, nec sinit fuisse ; Et vitam novat, obruitque poenam . His te primitiis; puer, sacratum Excepit gremio micante Roma, ec. Le poche lettere in carattere corsivo sono glustissimo sup- plimento dell’ editore. i L'altro passo è a c. Ut vix prona novis erexit gressibus ora; Primaque reptatis nivibus vestigia fixit, Mox jaculum petiere manus > lusitque gelatis Imbribus , et siccis imitatus missile lymfis Temptavit pugnas, tenerosque ad proelia ludos Imbuit, et veras iam tune respexit ad hastas, Nec mora, cum Scythicis succumberet ensibus orbis; Telaque Tarpejas premerent Arctoa secures, Hostilem fregit rabiem, pignusque superi Foederis, et mundi pretiam fuit: hine modo voti Rata fides, ualidis quod dux premat. impiger armis Edomuit quos pace puer : bellumque repressit , Ignarus quid bella forent. Stupuere feroces In tenero iam membra Getae. Rex ipse, verendum Miratus pueri decus, et prodentia fatum Lumina, primaevas dederat gestare faretras ; Laudabatque manus librantem et tela gerentem Oblitus quod noster erat, ec. «Tutti sanno, che la voce primaevus ne’ buoni scrit- tori latini si trova usata sempre parlando dell’adolescenza, e perciò qui è adoperata in maniera insolita, come otti- mamente dice il signor Barone Niebuhr. V'ha però qual- che diversità di significato fra l’uno e l’altro de’due luo- ghi allegati . Imperciocchè il primo che è porzione d’ un carme genetliaco per un figliuolo d’ Aezio parla d'un fan- ciullo non solo lattante ma appena nato; il secondo, che m97 A 4 è per Aezio stesso, parla dî lui fanciullo, ma grandicello, che, dopo essersi trattenuto in giochi puerili fra le nevi della natia Scizia, fu mandato ostaggio d’Alarico, e presso a quel Re barbaro potè trattar dardi, e portare appesa al fianco una faretra . Ma'è poi vero, che questa voce non trovisi in altri scrittori almeno nel senso in ultimo luogo indicato? In questo appunto mi pare, che l’adoperasse Ausonio nel carme 211, che è il, ventunesimo fra quelli su i professori Trian , 0 di Bordeaux. Ivi a Vegpo Grammatico latino e greco si dice così : Tu quoque in aevum, Crispe , futurum Moesti venies commemoratus Munere threni Qui primacevos , fandique rudes 4 Elementorum prima docebas Signa novorunt. Quegli scolari fandi rudes ; che davano opera allo studio de’ primi elementi erano certamente piccioli fanciulli. Ne il solo Ausonio usò la voce primaevzs in questo men solito significato. Anche l’ autore dell’elegia sulla Fenice, che Rusia unirsi alle opere di Claudiano } dice 0.1 5; Ast ubi primaeva coepit florere juventa Evolat ad: patrias jam reditura domos. Anzi in età megliorianche NemesianodisseyCyneg.v. 115. Dum superant vires; dum laeto flore juventas. Corporis et venis primaevi sanguis abundati E finalmente Virgilio, Aen. lib. 10 v- 345: Hic curibus, fidens primaevo corpore, Lausus advenit. Più forte argomento trarsi potrebbe da quelle enfatiche parole mundi pretium fuit, che abbiamo vedute quì so- pra è sono dette d’ Ezio ostaggio ‘d’ Alarico. Or questa frase , e quel‘che è più per la stessa occasione; abbiamo ancora nel citato carme genetliaco. Ivi si legg e a c. 6 ché Aezio > Mgro” . vix puberibus pater sub annis , Objectus Geticis pwer catervis | (ILIgo Bellorum, mora ; foederum sequester "È Luio Intentas ;Latio faces removit, Ba; Ac mundi pretium fuit paventis, Il chiarissimo editore non ha posto mente a ciò; che ‘certamente ne avrebbe fatto uso a sostegno della sua opi- .nione. Osservo però che ancheadesso alcuni nei loro ver- si, e nelle prose van rubbacchiando le frasi, e si pavoneg- giano poi sperando che altri non se ne avvegga. Quella frase sarà stata detta in prima da, Merobaude nel citato carme genetliaco ed avrà ottenuto plauso rin. quel. secolo amante di simili maniere, ed altri potè giudicare oppor- tuno l’ imitarla, anzi copiarla. Se è usato sempre l' imi- tare e copiare i pensieri e le frasi degli scrittori antichi, perchè non potrà farsi lo stesso riguardo a un, moderno e contemporaneo ? Contemporaneo di Virgilio era Cinna, benchè più vecchio. Questi nel suo poema. intitolato Smyrna disse Te matutinus flentem conspexit Cous, Et flentem paulo post vidit Hesperus ident. ey Virgilio Georg. L. 4. v. 466. quel, pensiero medesimo prese > € lo racchiuse in un solo verso dicendo Te veniente die , te decedente canebat . er ame farebbe più maraviglia, che un poeta due vol- te parlando della stessa cosa usasse le stesse parole, mas- simamente quando la frase è è straordinaria: il che mostre- rebbe povertà d’ ingegno. E la maraviglia crescerebbe in me considerando, che ambedue i componimenti alla per- sona medesinia dovevano essere presentati, voglio dire ad Aeziò:.imperciocchè uno era fatto per la nascita d’un suo figliuolo; e l’altro conteneva le sue lodi. vo Detto avendo abbastanza della dizione, esaminiamo ora l’altro dubbio , che riguarda la religione dell’ autore; ovdegli autori. Che l’ autore del quinto componimento|fos- se.idolatra , è certo, come si è veduto. Ma il chiarissimo editore vuole che tal fosse anche l’autore de’ primi fram- menti, e abbiamo veduto altresì le sue ragioni . To confes- so, che un maestro in divinità non vorrebbe dire, che nel 56 battesimo Deus receptus est unda, ma un poeta il quale non vuol soggiacere alla teologica precisione , parmi che possa dirlo metaforicamente , o misticamente, o come di- cono in lato senso. Arroge a ciò che se il poeta era tanto ‘ammaestrato nella cristiana religione, che sapeva nascere il fanciullo col peccato originale , togliersi questo dal bat- tesimo (pellit crimina .<..vitam novat ), e di più to- gliersi la pena anche temporanea dovuta al peccato (obrwit poenam ), sarebbe strano, che poi ignorasse non essere Dio nell’ acqua battesimale nè per con sustanziazione co- me dice l’ editore , nè per transustanziazione . Il dottissimo editore ha aggiunte a questi frammenti prefazione e annotazioni succinte , ma degne di lui, e'del suo molto sapere. Pure non sarà difficile il supplire ad una di queste annotazioni. Nel primo frammento sì han- no questi versi. En nova iam suboles » quae vix modo missa sub auras Mystica iam tenero pectore sacra gerit. Egli egregiamente congettura che qui si parla di Placido Valentiniano nato allora . Dice poi, de eo ambigi potest qpacnale intelligenda sint, mystica sacra . Ma non si può dubitare ee” qui si parl della S. Eucaristia che anti- camente si amministrava ai fanciulli appena nati dopo il battesimo . Quindi continua il poeta dicendo Vagitu confessa Deum sentire putares Mollia sic tremulo moverat ora sono. O felix! uno geminam cui tempore vitam e qui finisce interrottamente il componimento per difet- to del codice. Quest’ uso d’ amministrare questo sacra- mento dopo il battesimo ai fanciulli è noto ; e ne parlano i teologi e i canonisti. Fanno ciò i Greci anche ora; ma nella Chiesa Latina questa pratica cominciò ad essere me- no frequente nell’ undecimo secolo, come si raccoglie da Ugone da S. Vittore de Sacram. deb. 1 Cap. 20. Pare però che nel dodicesimo secolo fosse cessata, perchè $i Tommaso, che allora viveva, e morì il 1274 insegna, che 5) non vuolsi fare. Dicendum quod pueris recenter natis . sa 0... 710n sunt sacra mysteria danda, quamvis qui- dam Graeci contrarium faciant. 3 part. quaest. 80 art. 9. ad. 3. Nè dee far maraviglia il chiamare mystica sacra la S. Eucaristia, perchè sì fatta denominazione non è ra- ra, ed in Teodoreto è frequente . CesarE LuccHESINI. Cenni critici sugli scritti intorno alle Belle Arti. (*) Due possenti motivi concorsero all’ aumento ormai soverchio di scritti teorici, per indagare e prescrivere precetti atti a formare quel criterio dietro il quale trovia- mo perfezione o difetto nell'opere degli artisti. Il primo ci sembra quell’abuso continuo della critica., la quale avendo d'altronde fatti grandi progressi, crede poter tutto sottoporre al suo esame, senza considerare di quante nozioni preliminari dev’esser fornito chi a tanto ufficio si accinge. Il seco ndo, e forse più incalzante del primo, pensiamo che sia il conoscere che ancor vuoto si trova uno splendido seggio nel tempio della Gloria, preparato per chi in siffatto genere di sapere avrà .il talento di conseguirlo. In fatti, scorrendo quell’enorme ammasso di scritti in ogni lingua; del quale si compone il sapere europeo, si troverà in ogni altra scienza , come in qualunque altra speculazione o di- sciplina,, un qualche gran luminare, che signoreggia in (*) Noi abbiamo invitato le persone intelligenti ‘di belle arti a comunicarci le loro osservazioni intorno a quanto nell’ Antolo- gia à stato pubblicato rispetto alla pubblica esposizione dell’acca- demia di Firenze , ed a quanto abbiamo estratto ( Vol. XI. p. 76 ) dell’ opera del sig. Conte Orloff. A quest’invito corrisponde ora il Sig. **, col presente scritto, l'inserzione del quale sia prova dell’imparzialità colla quale intendiamo di proseguire nel nostro divisamento. Il direttore dell’ Antologia. 58 quella, dà legge, ed è ogni dì consultato. Ma nellé ‘arti belle vi sono è vero molti frammenti sublimi), scritti per autori d’ogni nazione, e in età diversa , ma un complesso di dottrina riconosciuto per classico resta ancora a deside- rarsi. Indi è che molti aspirano a questa! palma; la quale ignoriamo se sia possibile ad uno solo di ottenere. Siano questi, o pure altri ignoti motivi, si adunò in- tanto una farragine di libri che ingombra una parte con- siderabile delle nostre biblioteche senza molto profitto. È omai tempo di porre argine a questo torrente che ne mi- naccia, e tentare di ridurlo nel suo confine. S Esaminando questa massa di scritti è facile l’ accor- gersi che, toltene rare memorie degli artisti e qualthe fi- losofico ragion amento , tutto il resto svela più i nei che le bellezze delle arti sorelle, ed.è vana fatica di scrittori sfuccendati, che frequentando gli ‘studi degli artisti, le gallerie, o'anche assai più spesso ‘i dotti rigattieri: della pittura; appresero alcune memorie depositate ‘nei dizio» nari, certe maniere dì dire ‘e vedere, e'‘poi tutte queste peregrine nozioni convertirono a' bell’agio ‘in’ sisternà e ne regalarono il:pubblico'con le stampe. Sono già dimenticate le speciose ‘controversie susci- tate dai paralleli strani del Perrault, e. con esso passarono nell'oblio molti altri scrittori. Ma ‘ai nostri giorni ‘allor- quando le arti subirono un gran cambiamento, sviluppossi a un tempo anco la critica, e s'intruse in queste faccende, ma d’una maniera poco dicevole. Una delle sue»prime opere , o a dir meglio il suo primo scandolo fu l'opuscolo del Milizia : ed ecco a quali combinazioni dovè la luce. — Egli lesse nell’Enciclopedia Met. (libro allora nuovo e alla \illoda) detto per incidenza che bisognerebbe far un’ arte di vedere per la pittura, come un'arte d’udire per la musica (1). Prese a volo questa idea il Milizia che (1) Dizion. Belle Lettere. 29 vedeva e travedeva, e compose da senno quel che per ipo- tesi fu detto arte di vedere ; ed era quella di vedere alla sua maniera. Questa. scritto menò rumor grande, tanto più che erano ancor superstiti gran parte de’seguaci di quei disgustosi manieristi accarezzati dal secolo Poe Ma la società in generale rise doppiamente, e peri sali , perle stravaganze dell'autore, e lo soffri credendo Mid st’ opera utile pel momento;;/e giudicando ch' ella potesse essere (per usare un termine dell’ odierna medicina ) il controstimolo del cattivo gusto. Si fatto esempio destò in molti coraggio ; e.sarebbe lungo annoverar quanti operoni ed.opuscoli furono spinti alla;luce, e tutti dotati di pre- tenzione didattica e.di gusto esclusivo. E siccome la più gran parte criticando decideva non solo delle opere e de- gli studi degli artisti passati ‘e presenti, ma ‘ancora. delle lorò adunanze o scuole dette accademie; così costoro con- sbituiti giudici inappellabili;.\ volendo deludere la diman- da ben lecita; a farsi;donde veniva tanto senno ; sì posero tutti sotto Ja protezione dei (consulti tenuti con un qualche grande artista teorico, il più delle volte innominato,; o di miolti insieme, che si presero cura \d’iniziare ai Piani mi- steri gli autori. di quelle, scorrerie letterarie nel campo delle belle arti;; col sicuro ,guiderdone d’ esser citati male a proposito; e di assumere; a.loro carico i: matti spropositi degli autori mecenati. in Un ‘antichissimo esempio potea pur loro mostrare il ‘ pericolo nel quale s’ incorre vanche sotto tal patrocinio. — Ghinonsàquanto ivantossi Filostrato (2) d’aver appreso per ben quattr’anni le cose alla pittura appartenenti helle fio- riterconversazioni che si:iteneano nell’ officina stessa del pittore Aristodemo di Caria; seguace della scuola accre- ditata di Eumelo. Non ostante che cosa sono quelle de- scrizioni di quadri sotto sì belli auspici concepite? miente di dvi (2) Filostsato! il Vecchio; Esordio alle Immagini, 60 vi è di pittorico e di tecnico, mancano spesso espressioni, e pur voci opportune e comuni alla lingua dell'autore, le qualisi trovano in scrittori mediocri. Si lopahe dunque pae pescarvi erudizione mitologica e molte memorie preziose, ma involte sempre in quel dire ricercato dei sofisti, nell’amba- ge de’quali Filostrato era assai più versato che in altra cosa, malgrado che in quel tempo esistessero moltissimi scritti di quegli artisti immortali, che oltre l’opere, avean tentato lasciare ai posteri precetti e memorie del loro procedere nelle discipline per essi esercitate. Un tale aneddoto fa compiangere an cora l’ artefice di Carla annoiato per tan” t'anni da sì loquace seccatore, e dovrebbe spaventare. chi è così buono da imitarlo. Ma le lezioni della storia poco profittano anche in più importanti materie, e gli errori degli avi non istruiscono i nepoti. Gli artisti intanto vedendosi quasi depredare .il land territorio da stranieri, nullardicono, e pochissimo: scrivono: E senza pretendere di penetrare nella. loro intenzione, si può credere che fanno bene : le loro opere sono le sole ri- sposte. In primo luogo non hanno tempo da perdere; e poi come distogliergli da quella vaga contemplazione della natura, da quei sogni piacevoli che reca loro l’idear nuove combinazioni, e il produrre nuove forme imitando eterno magistero della natura ? E avvezzi tutto dì a ritenerle , e a cercar avidamente piuttosto queste che le qualità degli obbietti, resta loro malagevole rivestir le concepite. imma- gini di parole , e poi con bel garbo in periodi collegati di- sporle , lo che facilmente riesce ad altri che sia imsiffatti studi addottrinato. 180 Non si creda per altro, che s {aivialitao proscritte tali produzioni dello spirito sagace: ciò sarebbe un: voler- ne impedire i progressi; anzi pan sémpre un dono gradito al pubblico, chi vorrà partecipargli le sue osserv azioni, qua- lunque sia l'occasione che le abbia provocate. Soltanto per maggiore incremento della scienza stessa, 61 urbanamente si consiglia per l'avvenire, chiunque o per naturale inclinazione , o per gusto dominante del secolo sia condotto verso questa parte difficile della letteratura, di premunirsi di tutto quello che a questa sì richiede, e di- scernere bene quali siano le parti che deve conoscere, e può giudicare anche il pubblico in generale; qu ali quelle che spettano all’ uomo dotto, e che versano sopra l’ erudizione e le cognizioni di un genere elevato; e quelle finalmente che sono proprietà dell’uomo culto e di gusto delicato. E certamente non conviene entrare su i particolari relativi all’arte a chi non congiunga l’ esercizio pratico allo stu- dio dell’accennate teorie, e non sia nel far paragoni adde. strato dall’ esperienza , e non abbia imparato da questa ciò che vuol dire allor che adopra il linguaggio tecnico del- l’arti. Senza la pratica, lo ripetiamo , non sì potrà mai co. noscere il perchè e il fine di certi modi di condurre un’o- | pera, nè la maniera di procedere delle arti e degli artisti, E la teoria, compagna indivisibile della pratica, deve occu- parsi non solo di quello che ogni arte ha di speculativo, ma anche dei limiti delle belle arti e della poesia, per- chè molti sedotti da un’apparente somiglianza fra esse fanno ogni dì paragoni, i quali debbono necessariamente posar sul falso senza questa intima, e quasi direbbesi ter- ritoriale conoscenza, di questi confini. Un’ altra fatica si potrebbe anche pretendere dai dot- ti. Furono citati superiormente i pochi scritti degli artisti, la maggior parte dei quali giaccion negletti, o quà e là sono sparsi, Questi domanderebbero di esser posti in più chiaro giorno, e commentati, trovandosi il più delle volte oscu- ri, o mal disposti. Il sublime frammento delle meditazioni di Leonardo, per esempio, stampato tante volte, e tradotta in tante lingue, non ha incontrato ancora un commen+ tatore , che si prendesse cura di renderlo più accessibile ai principianti, mettendo in qualche ordine di materia quei 62 capitoletti che sono distaccati, e confusamente dimostrano ora un soggetto or un altro senza metodo alcuno. Questa «non sarebbe un’ irriverenza al Vinci, perchè tutti sanno che furono stampati come si trovarono nelle schede origi- nali, deposito fedele dell’ autore, ma che non furono poi da lui ordinate , e perciò difficilmente si può rinvenire in esso un qualche opportuno aforismo senza conoscerlo quasi a memoria. Una doppia numerazione potrebbe conservare l’ ordine primitivo. Basti l’avere indicata fra molte que- st’ opera. — Faremo intanto onorata menzione del Cav. Azara, che raccolse e commentò le opere di Mengs, fatica che poì perfezionò il benemerito Fea. Ritornando in via, ci piace che per alcuni esempi la verità di quanto abbiamo asserito maggiormente sì mani- festi. Prenderemo questi dalle opere più conosciute di ar- tisti e di scrittori. Chi non sa quante lodi generalmente furono date al bellissimo quadro rappresentante la terribile scena del conte Ugolino, opera del cav. Benvenuti? Eppure malgra- do queste lodi non tacque la voce d’una critica, le cui cen- sure a noi sembrano sofismi. Non si pretende che le opere sieno perfette, ma quando si vuol additare i difetti, con- vien farlo appoggiandosi a ragionamenti più sani e a idee più giuste. Quell’aver ritrovato a ridire sopra una certa contrazione della bocca e degli occhi tendente al basso, come nociva all’ espressione, mal s'accerda coll’aver anzi ammirata l’ espressione, e quel forse non toglie di mezzo la contradizione. È manifesto che lo scrittore rendeva sem- bianza di chi viaggia in terra incognita ; ma se avesse con- sultato la natura , oppure (lo che è più ganare9 È gli scrit- tori, avrebbe trovato nel de la Chambre esser necessaria in quel caso ura certa contrazione che si fà nell’estremi- tà delle tabbra (3) E siccome i punti estremi degli occhi | (3) Marin Courcau de le Chambre. Caractères des passions, | | 63 ‘@ della bocca, nella passione opposta a quella che si dovea esprimer nell’Ugolino, cioè nella gioia e nel riso, s' in- nalzano; così all’incontro inella contrazio ne del dolore, debbono yergersi in senso opposto, cioè al basso. Lo stesso scrittore gli avrebbe descritti quegli occhi abbattuti e divenuti immobili, ed il tetro silenzio , d alla riunione delle quali caratteristiche si otterrà quel rim aner di sas- so. Ma era inutile e puerile che in quell’ attitudine fosse restato quattro giorni, e discuterne la possibilità. Il savio critico avrebbe anzi, potuto fare un interessante parallelo dei resultati tanto simili fra quello che insegna il filosofo ed ha eseguito il pittore, giacchè ambedue interrogando la natura; si trovarono sù la stessa via. Eccone un saggio nei seguenti ulteriori caratteri che possono citarsìi a que- sto. proposito. Ze mani si levano e subito dopo cadono tutto ad. un tratto sopra le coscie (4). Vi sì unisca l’idea del raccapricciarsi, e si ‘otterrà appunto l’azione delle braccia dell’ Ugolino. Fu medesimamente desiderata un poco più di verità nel disegno del. Gaddo, che potrebbe essere non affatto nudo. Bisogrerebbe sapere prima precisamente che cosa voleva significarsi per verità nel disegno: una imitazione forse più fedele d’ un corpo colpito dagli orrori di lunga agonia? non crediamo che lo scrittore volesse mischiarsi della correzione del disegno. Ma questa imitazione di quelle traccie; che morte come suggello imprime sopra un corpo esangue, sono evidenti segni della decomposizione , de- stano orrore, fan ribrezzo, e non convengono con lo stile sublime. Nel poeta, come nel pittore, niun tratto ne ri- corda la presenza. E que’ nudi che dispiacciono non sono qui per simbolo di miseria , e assoluta privazione d’ ogni Amsterdam. Michiels 1658-63, 4 vol. 12. trasportato dal francese da Mic. Salengio. Venezia. 1774. vol 5. in 12; il vol. IV. p. 299. ((4) vol IV. p. 309. 64 cosa ? In vece di questi lo stil comico o triviale avrebbe posti dei cenci forse più intesi dal volgo. Quante contradizioni poi sono state arrischiate ri- guardo a questo celebre pittore sul proposito di varie‘ sue opere. Dapprima lodato in'una sua grandissima composi- zione, e poi negatagli dose di genio. Accusato di mancan- za di ban e di caio e eten inontbii nella stessa pagi- na in queste stesse parti. Ripreso come trascurato nel colorito, e poi tacciato di troppo splendore. Le sue opere soffrire già cambiamento ne’ colori , quando tante n’ esi- stono al pubblico che può facilmente accertarsi che sono anzi conservatissime. Fiderassi la posterità a queste ac- cuse? Nò, ricorrerà alle sue opere, e formerà tutt’ altro giudizio. È grande il paola delle digressioni pei compilato- ri che miseramente s° appogg iano “all altrui sapienza: una nota scritta per uno può poi per dimenticanza essere ap- posta ad un'altro. Difatto quell’ osservazione d’ essere il Benvenuti troppo servile ai suoi cartoni finiti, non gli ap- partiene in verun modo. Fintanto che saranno conosciuti questi, e le opere delle quali furono l’ ombra, sarà. ma- nifesto che non solo ne’ quadri a olio si trova moltissima varietà , ma pure nei freschi, dove la necessaria celerità del meccanismo parrebbe che quasi la possibilità n’esclu- desse. I suddetti cartoni non sono mai stati qualificati di finiti ; e che cosa si dirà poi sopra la maggior parte delle opere dipinte senza cartone , nè grande , nè piccolo ? Ec- co manifesto che tale osservazione non apparteneva al luogo che occupa, ed era quindi per un altro pittore. Questi scrittori sono generalmente di candidissima indole, ma così bisognosi di soccorso che non possono fare un passo da sè soli senza cadere, e d’ordinario s° ap- poggiano male. Troppo docili alle altrui asserzioni er- rano nel biasimo o nella lode, e lasciano estinguere il lu- me del 4oro intelletto per alcuni che fanno le veci di | | 65 di spegnitoi , e con vocaboli grossi e generici abbassano quelli che non vorrebbero veder grandi, sotto pretesto di rendere omaggio alla verità . Sembra ancora che in questa classe di scritti signo- reggi un’ assoluta necessità di notare i difetti , dopo aver tessuto un’ elogio , e sempre si tema dall’ autore la taccia di parziale o di poco avveduto. Questo metodo sarebbe de- gno di approvazione se la ragione guidasse il giudizio , e in tutto si serbasse misura. Si fece uno spiritosissimo elogio del celebre Sabatel- li ( per portare un’ esempio ), e poi gli si apposero taccie che tolgono a questo elogio ogni fede. Mancanza di gusto, e talvolta ancora di giudizio : pesante, e spiacevole a ve- dersi : esagerato, e senza grazia, specialmente quando di- pinge figure femminili, ec. Tutto questo come s° accorda colla natura che lo creò pittore ; con l’invenzioni, e coi concetti felici ; con la profonda cognizione dell’ anatomia e del disegno; con l’aver destato con le sue opere un entusiasmo di cui da gran tempo non avevasi esempio, e dove poi ? in Roma. Si atterrano dunque i lettori alle lodi, perchè sinora le critiche sono contradittorie, fluttuanti, generiche, e lontane da serio raziocinio.; dipendenti il più delle volte da gusto particolare. — Se le donne gentili ci facessero più spesso grazia delle loro osservazioni per iscritto: di quanti pittori si leggerebbe allora , ron sa dare agli uo- mini piacevolezza! e noi benchè critici accortissimi , a dir vero, non ce n’avvediamo. S' incominciò da gran tempo a gridare sopra il trop- po studio dell’antico. Questa divenuta voce alla moda deve esser ripetuta a sazietà per ogni esaminatore. Perciò la udimmo sul proposito della scuola fiorentina, quasichè sì dimenticasse di studiare la natura. Forse s’ignorava che uno dei più bei regolamenti di questa Accademia è quello di studiare il nudo «in tutto il giorno durante T- XII Febbraio 5 66 l'estate, e nell'inverno la sera secondo l’uso comune a tutte l’ altre scuole. Ma se Carlo Maratti, il quale fu ben lungi dall’essere un purista, nulladimeno riconobbe la necessità di questo studio così a torto rimproverato, e scrisse sotto l’ antico; Mai abbastanza, che cosa dovreb- be poi inculcare una scuola più pura ? Si conceda che a tale studio mal si rivolgono o acerbi giovinetti , o uomini di mediocrissimi talenti. Pure il più degli artisti ne trasse profitto; e sono poi più sopportabili questi imitatori del- l’antico anche in caricatura, che gli autori di quelle serie bambocciate che si facevano, non sono poi tanti an- ni, per quadri storici. Altro rumor grande si leva di tanto in tanto con- tro le rappresentazioni tanto mitologiche , che eroiche. Tutti consigliano a trattare argomenti di storia patria, Si può suppore che ogni paese abbia soggetti interes- santissimi per le sue glorie; ma ciò non basta per gli artisti. Bisogna avere ancor la fortuna d' incontrare ante- nati che vestissero abiti convenienti per la pittura storica, Di fatto tra i greci ed i romani, e in qualche altro popo- lo ch’ebbe questa sorte , gli artisti non si fecero pregare , e veggiamo i fatti della loro storia effigiati non solo dai nazionali, ma dagli esteri ancora. Come fare oggetto di piacere e stabilire lo studio del bello sopra uomini vestiti spesso tanto capricciosamente, e di tanti colorinì , e di stoffe così diverse che distruggono ogni armonia, ogni forma, come ben sa chiunque conosca quei vestiari stra- nissimi dei quali lasciò la storia testimonianze? Se vengo- no mitigati da libertà pittorica, si grida subito, errore di costumanza; se vengono eseguiti con scrupolosa cura , que’ giudici stessi gli metterebbero nella classe de’ quadri di genere: onore che è stato fatto anche a bellissimi qua- dri Fiamminghi, che sono meri quadri storici. Si assicura che in alcune accademie d'Europa si danno tali temi alla classe dei ritratti, e non sembra fuor di proposito. 67 Le arti quando mirano al bello imitano i figli d’Ada- mo, quanto più da vicino si può, usciti dalle mani del Creatore, e non divenuti soggetti a costumi capricciosi, e cambiamenti da non riconoscerli tanto negli abiti, che nelle naturali sembianze, oud’è che alcuno non desidera storie di etiopi, oppure di ottentotti. E se tanti uomini insigni preferirono. dopo le sacre carte fatti mitologici e di storia Greca e Romana, ciò fu per modellarsi. quanto più si poteva da vicino sugli esemplari greci; ed igno- riamo perchè i moderni non debbano proseguire ad imi- tare anco in questo i loro maestri. Quante vaghissime scene non offriva 1’ Ariosto all’imitazione pittorica! Fu- rono fuggite, perchè quei ferrati Rodomonti somigliano agli armadigli e rinoceronti: in che si cercherà allora l’imi- tazione della bella natura? (*) Questo mischiarsi della scelta del tema non è sì age- vole, e molte cose insulse sono state dette su tal proposito. Succederebbe lo stesso se gli artisti pretendessero di sce- gliere i temi pei poeti. Le arti d'’imitazione hanno tutte un medesimo fine, perciò hanno regole generali; ma ognuna Vi perviene per tutt’ altro sentiero. Dobbiam notare altra difficoltà, cioè quella di dare con misura lodi alie belle produzioni: in generale si dis- sipa tutto il capitale colle predilezioni, e seguendo la vol- gare opinione contro la quale pochi vogliono contendere. Ma guai se troverassi cammin facendo gioventù da inco- raggire; allora si esaurisce il voca bolario dei superlativi : incontrandosi poi in opere degne di maggior lode, lo scrit- tore, per non ripetersi, si trova nella necessità di farne una breve e fredda menzione, e dal confronto dei diversi pas- (*) Ci sia lecito di qui rammentare, che uno dei più bei qua- dri, se non il migliore, del sig. cav. Benvenuti, è quello rappre- sentante il giuramento dei sassoni. Nota dell’ Editore. 63 si della sua ‘opera risulta ch'egli ha lodato più le speranze dei giovani che i frutti degl’ingegni maturi. A ciò dob- . biamo quella famosa e comica bilancia pittorica che parve una scappatoja all’ autore assai più arguto che dotto. Ma che avvien poi? Questi Minossi sì ratio così forniti di gusto e criterio stanno genuflessi in faccia a plagiarie imi- tazioni di Raffaello 0 Leonardo, ma imitazioni della pa- tina che il tempo comparti a sigla opere , e non del su- blime. Queste dovrebbero chiamarsi acquerelli eseguiti a olio, dove per conseguenza manca vera scienza del colo- re, nervo o bravura nell’esecuzione, in fine quel getto di onlfittalità proprio dell’ opere di quei famosi. E la stessa ignoranza fa lodare ad essi talvolta come gran disegnatore il diligente stipendiato dell’ incisore. Ci resta ora da rammentare altro fortissimo ostacolo. difficile ad evitarsi anche dall’uomo più spassionato, ed è quello di prestare facile orecchio al partito contrario, Questi come una schiera confederata và sempe cercando chi spanda le sue opinioni, e al par d’un’eco le ripeta in più alto tuono. Così spesso si sente una ripetizione fortis- sima senza sapere d'onde cominciò ad uscire una sillaba, la quale fu appena proferita a bassa voce, Di troppo tedio sarebbe il far conoscere in quanti modi possa nuocere il dare intiera credenza a questi suoni vaganti, Uno solo ne sceglieremo, e basterà per molti . ‘8’ ignora chi abbia accusato il Cav, Landi di non far le sue composizioni egli stesso . Contentiamoci di spiegar le sil- labe di questa voce, omettendo tante altre accuse che gli si danno. Ma prima si consideri ch’ era facile il non la» sciarsi illudere, pensando soltanto essere certo per chiun- que ha fior di senno che i soli artisti mediocrissimi men- dicano le altrui invenzioni, istruiti dall’ esperienza chie rendono così più accette le loro opere: non vi ha che il bisogno di vivere che possa bendar gli occhi dell’ amor proprio. Ma come sarà mal possibile che un’ uomo di ge. | | | | | I | | | î 69 tiio tinunzi ai primi e più vivi piaceri clie appotta quella specie di creazione , quell’ adunar idee sparse e spesso contrarie , quella facoltà di unirle, combinarle per pro- durne contrasti vicendevolmente armoniosi? Di più, dalle stesse critiche si rileva esser egli colorista distinto : or chi potrà mai offrirgli quelle combinazioni nelle quali è supe- riore? Forse nell’invenzione il colorito si presenta disgiun- to dal chiaroscuro e dal disegno , o ‘nella visione magica che si manifesta ad ogni compositore, nel momento del- l'invenzione, si offrono partitamente le masse componenti distaccate ed anatomizzate, comea gran pena si è fatto nei trattati , per renderle più particolarmente visibili ai prin- cipianti. Per conseguenza se si presentasse al Cav. Landi una invenzione già stabilita per esser colorita, converrebbe (crediamo egli stesso) che malgrado l’impegno che vi po- tesse impiegare, sarebbe sempre la più mediocre delle sue opere, e quella che gli sarebbe costata più fatica: perchè non dettata dal genio amico, perchè non prodotta dalle proprie sensazioni, perchè infine straniera del tutto a quella sensibilità che fa operare piuttosto in un modo che in un’ altro. Supponendo anche che questo artista potesse aver meni- dicato invenzioni da questo o da quello (giacchè da un solo era impossibile),le sue composizioni l’attesterebbero portan- do l’impronta di vari stili; inevitabile manifestazione che ai nostri giorni sarebbe ben conosciuta e provata in modo da non lasciar dubbio alcuno nell’ animo dei conoscitori. Intanto non solamente le composizioni eseguite, ma an- che; quelle tentate, e rimaste nel solo abbozzo, come spes- so accade, portano costantemente in tutte le loro parti lo stile , o com’ altri si esprime, il fare del loro autore, nè alcuna in verun modo se ne allontana . © Indaghiamo onde nacque; e a qual base poteva ap: ® i poggiarsi tale asserzi one. Il Cav. Landi da gran tempo si diletta assai più di dipingere, che di disegnare, e piutto- sto in grande che in piccolo: dispregia quel miserabile talento di fare un disegnaccio finito che per tanti vale co- me diploma d’ artista . Nondimeno si trova spesso nella necessità di mandare altrove un'idea di qualche sua opera, o al proprietario futuro, o ad altro curioso d’ottenerla. In tal caso chiama qualunque giovane artista avvezzo a tali esercizi affidandogli tal briga, e compensandolo poi del tempo impiegato. Possono dunque essersi raccolti di- versi di questi disegni che hanno varia esecuzione, ed esser serviti d’ appoggio a questo temerario asserto. Un vero conoscitore non sarebbe rimasto ingannato, e avrebbe fa- cilmente ravvisato che sono di segni fatti sopra una com- posizione già stabilita, enon quelle prime idee che la sug- geriscono e la producono . Dobbiamo pregare i nostri lettori ad esserci cortesi del loro perdono per aver preferiti nelle nostre conside- razioni gli esempi moderni agli antichi, e scelti tra i pri- mi i più famosi. Abbiamo voluto da ingiuste accuse di- fendere uomini, presente ornamento d’Italia. La riputa- zione degli antichi confermata da secoli non può da sofi- smi esser menomata . Il Moisè di Michelangelo, che una critica la quale non vede le cose che per metà scelse più volte per suo bersaglio, fu sempre più ammirato e studia- to, malgrado quei clamori ai quali dava autorità una cieca riverenza degli antichi Greci scultori, e desiderio immo- derato di esaminar tutto col compasso di una limitata ragione . Qui si ristanno le nostre riflessioni, lasciando alla sa- gacità dei lettori di farne molte altre. Dagli artisti chie- diamo compatimento se questi ragionamenti non sono del tutto secondo il loro modo di vedere , e se defraudate del vero lume sieno queste segrete cose, da un profano 71 che l'amor del vero condusse su questa via. Il nostro scopo fu di rendere giustizia al merito, e di provocare maggior precisione e chiarezza in molti scritti, dalla let- tura dei quali sorgono ogni dì tanti improvvisi giudici e maestri di quello che non sanno. PE I Sulla storia della riforma delle prigioni . Parum est coercere improbos poena, nisi probos efficias disciplina. Lezione Prima. Questa illustre sentenza che ad onore dell’ Italia sta scritta sulle prigioni di Roma, già v'annunzia, accademici, a che sieno indirizzate oggi le mie parole; e come io vo- glia parlarvi di gastighi e di delitti, e della necessità che nella buona direzione della pena si trovi l’estirpazione della colpa. Ma andreste assai lungi dal vero se vi pensa- ste che io voglia, o declamare sugli abusi presenti e scre- ditare le leggi che esistono, o dettare precetti di correzio- ne, e presumere d’erudire quei che governano, e preparare il futuro. A mal tempo assai io porterei la temerità fino al segno di correggere quelle nostre leggi penali che for- mano il primo titolo della gloria nostra nazionale , e dis- sentirei da me stesso se in proposito di scienze morali volessi proporre nuove cose avanti di esaminare partita- mente ciò che altri abbia fatto sin qui. La storia delle scienze morali è il grande argomento che la classe acca- demica, a cui appartengo, mi ha fatto l’ onore d’adottare, e fedele alla mia proposizione mi trattengo oggi in una delle più belle parti di questa storia , esaminando ciò che da pochi anni indietro si è fatto, per cercare nella pena, e specialmente nella prigionia , la correzione e la rieduca- zione del reo. Io parlo così del mio prediletto argomento, 32 i l'educazione, che come sapete, non è ristretta ai soli fanciulli, ma sì anche ai padri, ed ai poveri, e a tutti quelli che ne abbisognano , si distende, ed io tengo fer- missima l'opinione che il maggiore bisogno di questa esi- sta tra i miseri rei. Questi infatti o scordarono i buoni principj, o più veramente non gli ebbero mai, ed ogni di più si rende certa nei fatti la dimostrazione di quella gran verità che pure a molti non piace : che l’ ignoranza è la prima cagione della massima parte dei misfatti, e la mancanza d’ istruzione e di educazione è la cagione di questa ignoranza. Io rendo anche con questo argomento un omaggio pubblico alle cure instancabili della società del miglioramento delle prigioni e della correzione dèi giovani delinquenti di Londra, che mi onora della sua corrispondenza, ed è gran parte nella storia felice della correzione dei rei; e intanto proseguo avanti nel mio la- voro sull’utilità dello spirito d’associazione, poichè i gran- di miglioramenti in questo proposito sono stati particolar- mente cercati, e promossi, e proposti dalle società miste di lettere e di beneficenza. Finalmente se è dovere di chi parla pubblicamente il mischiare l’ utile al dolce, nè io conosco argomento più utile di quello che tende ad assi- curare la casa nostra e la nostra vita dalle depredazioni e dagli attentati del reo recidivo, nè pare che ad uomini benevoli possa mostrarsi più dolce spettacolo di quello che ci presenta la nostra specie in atto di respirare e di rina- scere dallo stato dell’ ultima degradazione, dall’ oppres- sione mortale, in cui la pone il peso congiunto de’ suoi delitti che crescono ogni dì più, e delle sue pene, che ove sieno mal dirette schiacciano il delinquente sotto la loro gravità, ed alla disperazione lo riducono , ed in uno stato peggiore assai della morte. fd a questa nuova creazione, a questa nascita nuova del reo tendono effettivamente gli sforzi che si fanno at- tualmente nell’ applicazione delle pene. 73 Gli uomini di singue the costituiscono nel genere umano la famiglia delle tigri non conoscono che un solo effetto nella pena, la vendetta della legge e della società nella distruzione del reo. Ahimè! non vedono essi che la legge non si vendica , che la società troverebbe nella fol- lia della vendetta la sua propria ruina ? Non sanno che la crudeltà della pena ispira il più tristo dei sentimenti , la compassione per chi la soffre, e l’odio per chi la dà? Che l’ aspetto del sangue indurisce i cuori degli uomini e gli avvezza alla strage? Altri maggior mente calcolatori e più benevoli pen- sarono che i rei spediti in lidi lontani , separati da ciò che potea ispirare loro avvilimento , o eccitarli perico- losamente al delitto , potessero in terre nuove, \in nuovi lavori trovare per qualche modo una nuova esistenza. È le colonie dell’ Oceanica si popolarono sul progetto di Philips con questo principio , e sono ora gli uomini colà moltiplicati, e le loro terre sono colte e fiorenti, quan- tunque sulla loro riforma varie sieno le lezioni, e molti illustri inglesi col sig. di Lansdovvne non credano questo sistema nè economico , nè morale. Ma di questo altra volta. Altri finalmente giudicarono che un sistema di pri- gionia solitaria ed operosa fosse la pena veramente propria a correggere il reo ( e questo è il primo e il più importan- te effetto della pena ), e non mancasse d’ attivita per al- lontanare i deboli o.i viziosi dalla via del delitto. Io ri- stringo specialmente le mie parole alla storia di quelle cose che si operarono da questi ultimi, e dei vantaggi che ottennero. I veri principj di questa materia secondo l’ il- lustre Dumont, nella sua relazione al corpo legislativo di Ginevra nel 1822., non si conobbero che verso la metà del secolo XVIII, e ne dà egli particolarmente ad Hov- vard la prima gloria. Io non amo di ricercare se avanti questa epoca alcuno avesse o tentato o pensato cosa che 74 combinasse colle scoperte ‘attuali. Si può pensare con D’Alembert e con Volney che la storia letteraria debba studiarsi rifacendosi dallo stato presente della scienza di che trattiamo, onde poi risalire utilmente insino ai primi discuopritori. A che pescare inutilmente nel vasto pela- go degli errori? A che palpare lunghi anni le ombre pri- ma di vedere la bella luce della verità ? — Comunque sia però di questa opinione, il certo è che a Hovvard noi dobbiamo nella massima parte le buone dottrine sulle prigioni, e come osservano nel Eilantropico gli autori del- la sua vita, gli abbiamo la grande obbligazione, che non pubblicò egli cosa alcuna finchè viaggiando per ogni par- te, non vide cogli occhi propri nell’interno delle prigioni il bene ed il male e le loro cagioni, e ridusse così sperimen- .tale veramente questa parte preziosa delle ricerche mo- rali. La Toscana fu pure onorata della sua visita, ed il suo cuore umano approvò molto le prigioni della nostra Firenze. In queste replicate sue osservazioni, e nel perpe- tuo confronto tra le buone e le catti ve prigioni , imparò Hovvard la teoria vera della prigionia, e predicò quindi altamente la separazione , o la classazione, la vigilanza, il lavoro, l’ istruzione , non che la umanità verso i pove- ri rei, di cui vedea sì rari gli esempi nelle prigioni eu- ropee. Consacrato alla causa sacra dell’ umanità, Hov- vard non cessò di visitare prigioni e spedali sinchè ebbe sostanze e vita, e questa vita medesima egli sacrificò vo- lentieri, cedendo all’infezione di questi luoghi funesti, che lo colpi d’una di quelle malattie che non fanno certamen- te l’ onore di chi gli governa. Pareano spenti con Hovvard i più cari interessi del- l'umanità; ma è pur vero , accademici , che non si spar- gono mai indarno le grandi ed utili verità! il tempo di- strugge i falsi sistemi degli uomini, ma feconda e con- ferma i retti giudicii che partono dalla natura. La società degli amici, che noi conosciamo sotto il 75 nome di quakeri, questa società, a cui apparteneva il fondatore illustre della Pensilvania Guglielmo Penn, co- minciò verso il 1780 i suoi sforzi nelle prigioni di quella provincia. Molti dei suoi membri, dopo molti contrasti, ot- tennero dal governo della loro patria la licenza di tentare colà ciò che loro sembrava utile, e dopo molti stenti e molti sbagli e moltissime persecuzioni , viddero coronati i loro tentativi. Le prigioni di Filadelfia descritte eloquen- temente dal duca di Rochefoucault Liancourt, da Turn- hull, da Buxton, le prigioni di Filadelfia divennero il modello delle prigioni del nuovo mondo; una società il- lustre si stabili alla Nuova-York , altre nacquero in varie parti d'America, e le prigioni di questi luoghi presentaro- no lo spettacolo consolante d’ una folla di uomini, che dall’ ultima depravazione risalivano a grado a grado insi- no a quella dignità umana , da cui il delitto gli avea mise- ramente sbalzati. E frattanto la nazionale economia, dallo stato di consumatori dannosi gli riaveva utili riproduttori, e bastavano col lavoro a sè stessi senza molto aggravio della patria, e pagavano le ammende a cui erano stati condan- nati, e ritornavano in società educati, operosi e virtuosi , e ciò che più vale, dei 4o per cento che per lo innanzi ricadevano dopo la liberazione negli antichi ed anche in più gravi delitti, due, o tre appena si trovavano ora reci- divi. L’ esempio di queste prime società divenne utile e fecondo, e i vari stati della Unione gareggiarono insieme nella intelligenza e nella filantropia. È dolce a rammenta- re, o accademici, che la più ammirabile fra le belle case di penitenza d’ America, secondo la relazione d’ Ed- dy, fiorisca oggi nel Mariland, e che in quella medesima . Baltimore ove si eresse la prima Chiesa cattolica , e dove il primo vescovo impose le mani la prima volta ai giova- netti cristiani d’ America, in quella stessa città, nelle più illustri e ricche famiglie, splendano i più fervidi esempi di verace carità a favore dei miseri condanuati, e che, non 56 colle ricchezze , ma coll’ opera loro e colla persoriale ass sistenza d’ogni giorno, provvedano questi uomini rari alla consolazione ed alla riforma di quelli infelici. Questa per- sonale assistenza d’un animo attivo e vigile ammirasi negli sforzi ultimi della società della Nuova-Yorck: avida di conoscere ogni di più nella scienza grande della cor- rezione dei rei, ha diretto nell’anno scorso a tutti gli Stati americani le più importanti questioni ; cercando sempre nuovi appoggi nei fatti alle dottrine correzionali. Frattan- to Filadelfia, sempre intelligente, sempre attiva, migliora ogni dì le sue cose , ed il suo corpo Legislativo nel 1821 decretava una nuova casa di penitenza per dugento rei, e nella Pensilvania due prigioni erano erette , ciascuna }ca- pace di 600 individui; e ciò che è più degno d’osserva- zione , capaci di contenerli ciascuno totalmente sepa- rati dagli altri. Ma mentre le società americane, diret- te a migliorare le prigioni ed a prevenire, come dicono il pauperismo; rendevano ogni dì più perfetta l’opera loro, ed eccitavano e soccorrevano i loro governi in questa im- presa eminentemente religiosa e sociale, l’ Europa pren- deva al generoso esempio nuovo vigore. E già una società per ogni modo illustre si congregava in Inghilterra, pren- dendo nome dal doppio suo fine di migliorare il, regime delle prigioni e di correggere i giovani delinquenti. Al- len, Buxton, Cunningham e molti altri con. essi, nomi cari alle lettere ed alla umanità, riunivano i loro pensieri ed i loro sforzi a meditare sulla grande opera, sulla rifor- ma dell’uomo eolpevole. Il regime ordinario delle pri- gioni, larga fonte di lacrime alle anime sensitive, avea già . esercitato la mente ed il cuore dell’ illustre Hovvard, e nella insigne sua opera erano segnate le prime traccie d’un ordine nuovo di cose. I pensieri: profondi, di Ben- tham erano già fatti pubblici per opera di Dumont; e la scienza penale usciva fuori essa pure dalle ombre della ignoranza e della barbarie, ed aiutava gli: sforzi della 77 verità operosa e benefica. L'esempio del Padre Augusto del Principe che ci governa già preparava la strada del bene e paternamente regnare, a’ suoi ed agli stranieri: la tortura abolita, la pena di morte o cassata,o negli ultimi confini ridotta della estrema necessità: il principio di prevenzione sostituito al poco utile principio di punizio- ne: tutto preparava necessariamente un nuovo regime alle case di detenzione e di penitenza e di pena, che dovrebbero essere nella loro disciplina affatto distinte. La società di Londra, senza attenersi servilmente all’au- torità degli scrittori, verificò le teorie colle sue proprie esperienze congiunte a quelle del sommo Hovvard, ed uscirono dal seno de’ suoi comitati una folla di scritti, ove le verità relative al regime delle prigioni ed al migliora- mento dei rei, erano trattate con quella solidità di pensieri, che nelle cose morali è particolarmente propria di quelle contrade. E mentre gli scrittori della società diffondeva» no sù questo grande argomento la luce del vero, un altra parte dei soci girando attorno per le prigioni inglesi, scozzesi, irlandesi, e presentandosi ai giudici, ed alzando la voce nelle due camere d° Inghilterra con quella autori- tà che dà la profonda convinzione in un argomento che interessa la causa dell’intiero universo, moltiplicava i fatti, confondeva gl’ignoranti e i malvagi, e preparava colla opinione pubblica una necessaria adesione dell’ au- torità ai suoi princip]. E già il parlamento ordinava che fossero visitate tutte le prigioni dei regni uniti, già co- minciavano i tentativi. E dove prima i prigioni moriva- no spesso , trista e tremenda memoria * per Za gran visita di Dio, colla quale frase nulla meno si denotava che il morire di fame e di stento, si videro riformare gli edifici, mutare i carcerieri, cambiare in meglio i regolamenti, sinchè in questi due ultimi anni si avviò verso la felice sua esecuzione la gran legge inglese sulla disciplina delle prigioni, che riunendo ai regolamenti 78 di Giorgio III ciò che si è trovato di meglio, stabilisce in sostanza una giusta separazione tra le varie maniere di detenuti, una continua vigilanza sopra di loro, una non interrotta istruzione religiosa e morale, e riunisce alle cure d’una esistenza sana e longeva del condannato, l’in- giunzione d’un lavoro non esagerato nè oppressivo, ma assiduo, e quieto, e produttivo, e capace di dargli il mez- zo per vivere. Intanto i sacrifici della società si stendeva- “no sù tutti i bisogni dei rei , li soccorreva essa nella pri- gione , forniva ad essi il mezzo di lavorare e d’ istruirsi, li accoglieva all’epoca della loro liberazione in un refu- gio permanente o temporario , apriva asili agli abbando- nati, dava mano ai pericolanti, e sopra ogni cosa ponendo cura al miserando accrescimento dei colpevoli tra i gio- vinetti privi d'istruzione e d’ educazione, stendeva un piano filosofico per riformare particolarmente i giovani delinquenti. E siccome |’ esempio non è quasi mai vano nelle città o pel bene, o pel male, gli esempi e le cure di questa rispettabile compagnia, altre ne producevano ani- mate dal medesimo spirito; e non già nella sola Inghilter- terra, ma nella Scozia e nella Irlanda, che singolarmente a questa maniera d’ opere buone , in mezzo alle sue gravi afflizioni, si mostra anche oggi ardentissima. E gareggian- do col nostro il sesso che noi chiamiamo debole, ma che nei fasti della beneficienza o ci pareggia o ci vince, le donne inglesi sotto gli auspici della illustre Elisabetta Fry si congregavano, e la correzione completa della ter- ribile prigione di New Gate a loro particolarmente si dee. Ma mentre la Società Brittannica facea sì grandi e perse- veranti sforzi per la correzione dei rei nella patria, non trascurava il vantaggio degli altri popoli. Io ho osservato, accademici, che tra le tendenze letterarie del nostro se- colo, una ne esiste solenne e chiarissima verso la diffusione generale delle dottrine. Buone o cattive che sieno, non restano più nè in un’ uomo solo nè in un sol corpo; ciò x 79 era altre volte, ma oggi pare che si provi un bisogno di spanderle: cosi le scienze fisiche non hanno altrimenti se- greti , le scienze morali si portano da un polo all’altro , e le medesime società religiose che erano o contrarie o‘ indifferenti alla missione, che è stata sempre il gran lavo- ro della chiesa cattolica, percorrono oggi la terra, investite d’ uno spirito nuovo di propagazione. Io penso che questa tendenza parta dalla stessa origine da cui nasce la ten- denza alle utili associazioni, e che annunci tra gli uomini una sociabilità più perfetta. Checchè ne sia, la Società del- le prigioni di Londra mentre attendeva a perfezionare le sue cose, non conosceva stranieri per le utili sue dottrine. Pubblicava senza risparmio importanti collezioni di pre- cetti pel buon regime delle prigioni, utili piani per le fab- briche, importanti macchine per rendere comune e pos- sibile a tutti i condannati il lavoro, e rendea di univer- sale cognizione le annuali osservazioni e le diurne espe- rienze che essa faceva. Intanto i suoi membri si diffon- deano volonterosi, e viaggiavano a proprie spese l'Europa e l'America per imparare e per insegnare nella scienza grande della riforma dell’uomo. E voi conoscete sicura- mente tra questi viaggiatori illustri Guglielmo Allen, di- stinto così nelle cose chimiche come nelle scienze morali. Ed io rammento con emozione il mio buon amico Stefano Grellet incaricato specialmente di visitare le prigioni italiane, che vedemmo tra noi, son già tre anni, pieno del più fervido zelo per la correzione dei rei , e che aprì a più d'uno in Toscana una generosa comunicazione colla società d’ Inghilterra. Ma chi parlerebbe senza ve- nerazione del terzo, dell’ illustre Gualtiero Venning, a cui particolarmente si debbono le cure sollecite ed effica- ci per la riforma delle prigioni di Russia? Sacrificò egli il riposo, le ricchezze, la famiglia, la patria, alla umanità che soffriva. Quattro intieri anni d’ una vita affaticata nel percorrere con ogni sorta di privazioni le Russie, le 80 più ardenti premure, le più eloquenti arringhe, i più dot- ti libri giunsero a fargli vedere coronate di un frutto prezioso le sue premure .... Ohime! perchè debbo io ‘aggiungere che quest’ uomo raro cadde alfine come il grande Hovvard, vittima del suo vivace amore per gli uomini, quasi alle porte di quegli alberghi medesimi dei rei pentiti, che con sì grandi sforzi e con una sì alta. co- stanza avea tentato di migliorare! Perchè i benefattori della misera umanità sì raramente si mostrano e durano sulla terra sì poco ! Così l’anno 1820 segna nella storia delle prigioni un’ epoca veramente dolorosa, la morte del virtuoso ed illustre Gualtiero Vanning nel fiore dell’ età, lungi dalla sua patria, nella capitale delle Russie. Ma perchè la Prov- videnza alterna sempre colle calamità le consolazioni, questa epoca stessa presenta un prospetto consolante in Europa per la riforma delle prigioni e dei condannati. Gl’incrementi della filosofia penale , gli esempi d’ Ame- rica, la generosa cooperazione della società illustre di Londra, ne furono le principali cagioni. Cominciando di là dove era maggiore il bisogno, mo- strò la Russia un'attività singolare in questo modo di co- se. Fin dai tempi di Gaterinva le buone massime di cose penali erano fissate nella capitale, e si studiava a diffon- derle, ma da questo centro qual mai immenso spazio non doverono percorrere i raggi di questa luce novella, e at- traverso a quale atmosfera! Ma tutto vincono gli sforzi generosi dell’ uomo, e gli sforzi dell’ Imperatore aglio dro perciò che interessa la felicità e la civiltà del suo regno non sono nè pochi nè lievi, e mentre la storia gior- naliera attestava la sua attività per giungere a questo gran segno, l’ ottimo Grellet faceami altamente testimonianza dell’ ardore del suo cuore benevalo, -e delle continue e fa- miliari premure sue per la correzione dei rei. Secondato dal principe di Galitzin ha egli quasi abolito le catene, 81 ha costrutte nuove prigioni sù i metodi miglio rati,;vi ha introdotto una retta, ,separazione, tra, ì rei gs iun lavoro non interrotto, una sana, vigilanza » Senza | che Vi. manchi istruzione. Ha favorito la fotulaziohe d’ una società, per la. cura delle. prigioni sul piede della società inglese ,,e nei ire. anni di vita che ha questa rispettabile compagnia, ne ha già prodotte altre filiali, ed, ha disteso e in pubblica- zionì e in viaggi e,in sussidj ed in reclami al governo largamente le sue premure. Le signore di Russia hanno imitato l’ esempio delle buone e virtuose inglesi, ed una società per assistere le, misere donne delle prigioni è nata pure in quel grande impero. i La Prussia ha pur cominciato a \ migliorare le. sue cose : il ministro di Prussia. cercava pochi anni sono da Venning tutti i\lavori della società d° Inghilterra per or- dine del suo governo, e le mire pubbliche si sono rivolte utilmente a questo gran fine. Il consigliere Van Coeverden che mi onora della sua amicizia (el amicizia d un’ uomo Virtuoso, dotto, ardente pel bene degli uomini è grande onore) il pRveni e Pu Van Casalini (viaggia l'Europa per visitare gli stabilimenti di punizone, e riferire al suo pae- se ciò che vi ha trovato di buono e di degno d' imitazione. lo La Svezia e la Norvegia. visitate da Allen nel 1819, presentavano uno spettacolo consolante; pochissimi rei of fiavala Norvegia, e il gran fenomeno che da ventisei anni niuno, si; contava, tra questi pochi colpevoli che avesse meritato la morte; le prigioni eran tenute con un regime degno di; lode; ; il re, sì tratteneva familiarmente e col «grande ARIEREANE sù questo, gran soggetto delle a cure, con Grellet e con Allen; ed i buoni. principii e le isqcietà relative, vi sì diffondevano mirabilmente ; ed dh dottore, Holst nel. 1821 e 23 viaggiava d’ordine del re per questo gran fine Li Europa; ed egli sà giù pubblicato nel .1823,le sue osservazioni. La Tarmera era più .in stato di dare esempi che di ricevere istruzioni. Quanto non può, TY. XII. Febbraio x 83 o'Accademidi’ i'anl'udtmo solo ‘veramente filantropot Fan: ciulli istat ‘soldati fatti morali e operosi, poveri educatà alla religione ‘d'al lavoro:,'rei divenuti industriosi e tran: quilli } éecò ‘dna! parte sola delle grandi opre del conte 'di Rumford in quel» regno: ‘Così i rei lavorano a vestire i sol» dati, i i soldati a migliorare ‘ì ih ‘prodotti della ‘terra, e questi rei ché altrove costanb ‘quanto n' giovane Ba bbolie da educare, ini Baviera Pa il nbrò mantenimento; @ vi resta ‘Un avanzo ancora Lasi la' pubblica economia . Il nome del conte di Rumfotd è così congiunto nei cuori di tutti gli domini dabBene'col nome del‘venerabile; barone di Wereld, alle cui personali cure "do tutto la mirabile prigione ‘di Moitàleo: | Pietaila dpi 1 Pilibéia che da ‘molti anni i Pif le sue leggi penali ; non ha dimenticato ‘il regime ‘delle prigioni, quantunque nè una, né l’altra di queste cure sien ail ie alla perfezione, e queste Jeggi sieti ‘ertide, e contro l’opi- nione di Bentham ‘questa trista parola ‘Za ‘morte vi sia Lroppo spesso pronunziata , e Villarmè e De La Borde abbiano trovato assai che dire ‘sullo’ stato delle prigioni, i} re ottimo è sapiente che la governa ha fondato una so- cietà delle prigioni sul metodo inglese , vi ha stabilito un comitato generale a Parigi e varii Corititati speciali nel regno, a cui son‘ date Hitalte cure importanti, e già molte utili cose son ‘pubblicate per la” gran ‘causa della riforma dei rei: e le vivaci francesi, di cui come ‘d’ Origene può dirsi che niuno le Vince o si volguno al bene ,'0 sì preci- pitino verso il male; son già riunite in compagnie per soc- correre alle misere condannate, e già si costruiscono nuove prigioni sul piano ormai generalmente approvato, che riu- nisce la salubrità e la sicurezza, il comodo pei comuni lavori diurni e per la indispensabile ‘separazione notturna, e finalmente il mezzo tanto predicato da Bentham' di Ve- dere tutto in un medesimo tempo, e di esercitare ‘suli’ "pre gioni una vigilanza continua, 83 Nulla.io dirò degli, sforzi benevoli degli altri stati europei; le. relazioni. aninuali della società di Londra , le opere di Buxton. e di Cunningham, di De Laborde, conten- gono molte notizie speciali su molti di essi: è questa altron- de una storia che merita d’essere seguitata tranquillamente nei suoi elementi ed io renderò conto di tempo in tempo allalclasse delle scienze morali delle notizie che mi per- verranno. Non posso però tacere a questo proposito l’ardore mostrato infino.da vari anni dal re di Wurtemberg, e la speciale affezione con cui egli accolse il buono e bravo Grellet, ed i segni di stima e d'onore che questo principe amabile e veramente amante de’ suoi ha dato alla società d'Inghilterra. La, lettera che egli diresse personalmente nell’ anno 1820 al presidente del comitato della società, ‘mostra veramente quelli alti e generosi spiriti che lo por- tano al bene del popolo, e prova: il suo desiderio di essere utile a questa gran causa della riforma di quelli. che, come egli dice paternaménte; sono erranti, ma son pure disgra- ziati , e però ispirano più compassione che sdegno. Dopo tutto questo alcuno attenderà forse che io parli di ciò che si è fatto in Italia, el specialmente nella nostra Toscana ; ima io non me parlerò. | ‘ Allorchè si loda! alcuna. buona intrapresa, mi pare che la modestia esteriore ;\ ed un certo nobile orgoglio .che inspira l’amore della patria, debba chiuderci la bocca sul- le cose nostre. O parliamo agli stranieri; e se non son. cie- ‘chi affatto; aprano gli occhi ele guardino e ne giudichino essi medesimi: o parliamo bai nostri, ed a qual prò per- dere il tempo in quel che ci è familiare ed è conosciuto da tutti? I principii.che. regolano la recente casa di forza a Volterra; i lavori che si eseguiscono nelle prigioni di Fi- renze, il regolamento del 1815, e finalmente lo stato mo- rale del Bagno di Livorno, e la rieducazione che hanno provato i colpevoli che vi son chiusi per l’influsso ammi- 84 rabile delle dolci massime del Vangelo predicato ‘da una carità veramente esemplare, son' forse oggetti pei forestie- ri di non spregevoli ricerche; ma noi che:sin ‘dall’ epoca rimota ‘della’ fiorentina repubblica vantiamo una società di buonomini stabilita, per opporsi all’ arbitraria severità del potestà di Firenze, e visitare del continuo le prigioni ed i prigionieri, noi nutriti nelle massime del gran Leo- poldo, dobbiamo noi avere oggi il bisogno o la vanità di Tammmentare e commendare le cose nostre ? Parliamo piuttosto dei' mezzi coi quali tutte queste ‘cose si fecero in'America ed in Kuropa ye dei frutti spe ‘ciàli che ‘da questi mezzi si colgono, onde vedere quali sono le strade che si hanno'a battere per giungere insino al cuore ‘dei colpevoli } e convertirli e dorriggerliv 1 Vedia- mo come la classazione e l'ispezione prevengono ‘muovi delitti , come l’ istruzione esercitando col lavoro le mem- ‘bra del reo ; e distraendolo dall’ orrore de’ suoi antichi deliri, rannoda i suoi vincoli sacri colla terra e col cielo, e gli mostra il padre e i fratelli, eriforma e risana que” cuori ulcerati e corrotti, nel sacro riposo della solitudine e del silenzio. Augusta religione , è a te particolarmente che questo prodigio si dee ! Tu scendi insino negli abissi ‘della ‘corruzione e della miseria: tu..spandi un'aura di- ‘ina di creazione sulla faccia del mondo : tu. ..... ma già là sera che avanza m’ impone silenzio: e il vasto campo che'mi s’apre dinanzi chiede a me le seconde mie cure, a ‘voi, o ascoltatori , un nuovo ‘argomenta della. vostra pa- pienza. i | SII CER ( Sarà continuato ) FiLAnpRa, 85 A DIAGORA DI RODI Lu” Vincitore nel pugilato. Ode Olimpica VII. Argomento. Proposizione (v. 1-35). Loda il padre, gli avi, e la patria ( v. 36-155). Loda lui per questa , e per altre sue vittorie ( v. 156-170). Fa voti a Giove ( v. 171-188). L’ ode fu scritta l’anno primo della 79 olimpiade, 464 avanti Gesù Cristo: Dice lo Sco- liaste che i rodiani fecero scolpire in lettere d’ oro nel tempio di Minerva Lindia. Il che fecero, come io penso; pel racconto che vi si fa della divina loro origine. Qual generosa mano Se calice aureo piglia Primo di sua magion fregio sovrano ; Del convito splendore , 5 In cui di tralcio figlia Gorgoglia la rugiada , Dal tetto suo, libato appena , in dono Del nuovo imene a onore Al giovanetto genero l’ invia, 10 Cui fra gli amici fe’ d’invidia obbietto Per unanime letto : Così se dolce di mia mente frutto E delle Muse dono Verso nettar soave ai forti atleti, t5 D’ Olimpia e Delfo i vincitor fo lieti. Felice è quei che della fama il grido Empie di sua virtude. Or questo suole, or quello ergere all’ etra Grato dell’ alma avvivatore il canto 20 © della tibia fragorosa al suono, O della dolce cetra. Ed ora d’ambo armato Con Diagora scendo, e alla marina Leggiadra figlia della Cipria Diva , 25 Alla sposa del sol guerriera Rodi Mentre inni intesso e lodi, 36 30 35 4o 45 50 60 A lui disciolgo il canto Che di Castalia e dell’ Alfeo sul margoy Meraviglia de’ prodi, Di pugilar tenzone Il premio faticato Intorno al crin si pone. Seco dirò di Damageto il nome, Genitor fortunato Ch’ ave giustizia amica. Entrambi accoglie colla gente Argiva Quella per tre cittadi isola altera Cui vicin dell’ aprica Asia s° incurva La flessuosa riva. D’ Ercol germe possente Questi a’ miei carmi farò segno, e al canto Fie Ì’ antico Tlepolemo principio Di sì chiara progenie alta sorgente. Scender la patria stirpe Dal figlinolo di Rea vantan costoro . E per la madre Astidamia si fregia Del sangue d’ Amintorre il sangue loro. Folto d’ errori innumerevol stuolo La mente de’ mortali accerchia intorno , Nè avvien che scorga arte d’ umano ingegno , Come il favore, onde or la sorte amica Finò al fatal non cessi estremo giorno . Arde di sdegno, e di robusto olivo Armato il braccio il fondator di Rodi Fiede in 'Tirinto e ancide Lui che spurio german nacque ad Alcmena, Licimnio del furtivo Letto di Midea inonorato frutto. Lungi dal cammin retto anco le sagge Menti talor impeto insano tragge. L’oracol chiese poi che al nume venne. Dallo speco odorato Parlò l’aurichiomato : E dal lido lerneo Drizzar gl’ impose le veloci antenne Ver la cinta dal mar famosa terra, Cui d’auree nevi il Re del ciel coperse , Quando , opra di Vulcan, l’enea bipenne 70 75 80 85 90 95 100 103 87 Dalla paterna testa b Palla con: grave strido, emerger feo:., Onde la terra e il cielo Improvviso .d’ orrori scosse, alto i La prole allor d’ Iperione.,.il nume, Che su l’umane torme Spande (il diurno lume; A’ figli suoi ricorda , i Che intese all’ avvenir tengan, le ciglia, Ed in aprico loco offran, primieri Solenne ara alla Diva ,e..caro dono Di vittime devote. . Onde a letizia invito Ret er Facciano a lui, che sull’ Olimpo impera, E alla vergine figlia ,; Che scote la fremente asta guerriera. Antiveggente provvido consiglio Versa a’ mortali ‘ognor gioja e yirtude. Ma inaspettata poi ne invade e copre Nebbia .d' oblio ,.che a nostra. umana mente Delle laudevol opre Il cammin retto chiude. Venne la rodia gente, Nè seco della fiamma il seme.avea » Quinci nell’ ardua rocca Fondò tra l’ are del pio foco ignude Sacro il bosco alla Dea. Ratto su loro bionda nube accolse Saturnio , e di molt’ oro Piovve caro tesoro ; Mentre in ogni arte l’ occhiazzurra Diva I figli della terra Nilde lor diede colle mani industri. Onde ogni via porgea Nelle bell’ opre illustri Simìli al vero le animate forme, Sì che respirin sembra, e impriman orme ; E di Rodi la gloria alii sorgea. Scevra da impura frode in uman core Sapienza grandeggia ognor maggiore. Divisa avean la terra (è fama antica ) r1o Giove egli altri celesti , 88 115 Nè Rodi anco apparia 194 Sal rimugghiante mar, ma st salso abisso L’ isola ricopria. ‘ i È Poi che niuno del dans sole Segnuta avea la sorte, e ’1 puro nume Parte non ebbe del diviso impero, Ei lo rammenta, e trarre il Re del cielo Nuove sorti volea. Ma nol concede il Sole, e, veggo, dice, 120 Nello spumante mar novella terra ; 125 130 1/40 145 150 Cuì ’1 fondo imo disserra, Lieta d’armenti e d’ uomini nudrice. Ed all’aurifregiata s 9 Lachesi a un tratto impone’, Ch’ ambo ( pegno di fe ) le palme tenda, E non invano il paventato giuri Giuramento de’ Numi, Ma col voler di Giove il suo consuone. Sì ch’ ove fuor l’isola emerga , a lui Tardo si dia ma caro don. Nel vero Cadde 1’ inchiesta , ed ebbe Dall’ evento corona. L’isola germogliò dal ‘marin flatto, E ’l desiato impero Ne tolse il padre dell’ acuta luce, Lui che a’ foco-spiranti Corsier divini è duce. Poscia alla bella Rodi ivi s’ unio , E amato frutto ottenne Di settemplice prole , Che di gran senno armata Alla vetusta etade in pregio venne. Poi per un de’ suoi figli ebber natale Camiro e Lindo ed il maggior Gialiso.;;() Che l’ impero diviso Tennero sul natio suol tripartito , Del genitor retaggio ; Ed alle sedi loro il nome diero. Qui dolce libertà dal reo servaggio Degli aspri affanni de’ Tirinzj il duce Tlepolemo ebbe alfine, e come un nume Per immolati greggi ara fumante, ‘Ed onorato agone. | Di questo i fiori due fiate al crine 155 Diagora compone. Pur quattro volte fa per lui seconda La sorte all’ Istma , ed in Nemea sovente E d’Atene petrosa all’ aspra sponda. Lui l’ Argolico bronzo 160 Conobbe vincitore , E lui d’ Arcadia, lui di Tebe i ludi Lui di Beozia la sudata ‘arena. Nobil serto d’onore Sei fiate in Pellene ed in Egina 165 Gli ricinse le chiome. Nè i Megarici marmi Fregiansi d' altro nome. O Giove, o padre, tu ch’ hai d’ Atabirio Sull’ ardue spalle impero, 170 Tu l'inno onora , e il prode, Che nell’eleo certame ebbe vittoria, E in pugilar tenzone Levossi a nova gloria. Fra i cittani e fra gli estrani altero 175 Ei per te vada d’onorato plauso: Ei che col piè sol preme Il nemico d’ orgoglio almo sentiero , Ei che memore ognor le voci ascolta Del suo core, che puro 180 Dal puro fonte de’ grand’ avi scende. Nè fra l’ oblio di Callianatte il seme Ascondi, o degli Eratidi l’ onore. Or fra i conviti la città s’ allegra: Ma nova in un momento 185 Si scatena talor furia di vento. Annotazioni. v. t. Pare da questo luogo , e da un altro d’ Ateneo Deipn. Lib. 13. che i ricchi il giorno delle nozze d’una loro figlia soles- sero mandare in dono al genero una magnifica tazza piena di vino generoso. Quale era il piacere cagionato da sì fatto dono, tale, dice Pindaro, è quello, che i canti di lode producono ai vinci- tori. 90 v. 20. La nimfa Rodi, che diede il nome all'isola , era figlia di Venere, e secondo Erofilo citato dallo Scoliaste ebbe per padre Nettuno. Altri le danno altri genitori. Sposò il Sole; e fa madre di Teage, Faetonte, Atti, Macar o Macareo, Triopa , Cercafo, ed Ochimo. Alcuni in luogo degli ultimi due pongono Crisippo e Can- dalo. v. 23. Il fiume Alfeo scorre vicin d’ Olimpia, e la fonte Ca- stalia è a Delfo. Perciò si allude qui alle vittorie olimpie'e pizie di Diagora. v. 33. Damageto era padre del vincitore Diagora. v. 36. Argivi si dicono i Rodiani, perchè dall’Argolide fu presa la colonia , che andò ad abitarvi, condottiero Tlepolemo. v. 37. L’ isola di Rodi aveva tre città, la fondazione delle quali si accenna inferiormente. v. 38. In varie maniere si spiega questo passo di Pindaro. Io ho seguito l’ Heyne il quale prende 7éAxc’EpB6Aw per xarà rov’E. e dice: accipiam de Peraea, quae Rhodo objecta est, ita ut in cuneum fcre exeat: ut in tabulis geographicis cernere licet. Così opina anche il Gedike nella traduzione tedesca. Non biasimo però chi spiega altramente. v. 4Jo— 47. Questi, cioè Damageto e Diagora venivano per retta linea da Tlepolemo figlio di Ercole e di Astidamia d’ Amin- tore. La loro famiglia dunque sì per parte d’Ercole, come per quella d’ Astidamia discendeva da Giove. Omero Il. 2. v. 658. chiama Astiochea la madre di Tlepolemo. v. 53. e segg. Elettrione dalla sua legittima moglie Lisidice ebbe Alemena, e da Midea sua concubina ebbe Licimnio, che perciò era fratello spurio d'Alemena. Egli fu morto da Tlepolemo o per ira secondo Pindaro , o per caso secondo altri. L’uccisore costretto d'abbandonare la patria, consultato l’ oracolo , ‘trasportò a Rodi una colonia d’Argivi. I conduttori d’ una colonia’ sî' chiamavano fondatori, e si accor davano loro gli onori ‘divini’; î quali perciò ebbe Tlepolemo , come si dice qui sotto ai versi 151 — 153. Per questo motivo l’ ho chiamato Fondator di Rodi al v. 54. quan- tunque altri fossero propriamente i fondatori delle tre città , che erano in quell’ isola , come si legge ai v. 144 — 148. Le parole greche , da me spiegate così, da altri chiiarissimi interpetri si spiegano 7 abitatore di questa terra, e certamente possono avere.. ancora questo significato. Per le cose dette però ho preferito l’al tro, che ridonda in lode dell’ eroe aitenato del vincitore. v. 57. 58. Un dottissimo traduttore di Pindaro non'approv? Questa maniera di spiegare il passo presente, e crede che segue? 9 I dola si abbia una viziosa ripetizione di ciò che si è detto , che Licimnio era bastardo. Quindi col Lonicero, Arrigo Stefano, ed altri spiega, che veniva dal palagio di Midea, e vuole che qui si indichi il tempo in cui fu ucciso , cioè tostochéè , fatto adulto, sì staccò dal fianco di Midea abbandonando la casa materna per recarsi a Tirinto. Ma egli si sarà staccato dal fianco della madre, quando era giovinetto, e allora Tlepolemo , essendo suo pronepote, probabilmente non era ancor nato, o almeno non era tanto cre- sciuto, che potesse ucciderlo, Per questo io ho tradotto nell’altro modo seguendo l’ opinione dello Schmid , e dell’ Hevne. Né scorgo qui la temuta ripetizione, ma una spiegazione, come fosse spurio fratello d’Alcmena. v. 64. Il lido lerneo è V’Argolide , detta così dalla palude di Lerna. v. 66. Rodi. Nota è la favola della nascita di Minerva dalla testa di Giove, In tale occasione questo Dio piovve su Rodi una pioggia d’oro, simbolo delle ricchezze, che apportò all’ isola il coltivamento della scultura. Si sa che molto valevano i Rodiani nelle arti, e principalmente nella scultura , di che si dà un cenno ai versi 99—106. Era prossima ad accadere la nascita di Minerva, quando il figlio d’Iperione (v. 73-) cioè il Sole ammonì i Ro- diani, che come prima fosse nata la Dea , innanzi ad ogni altro, le inalzassero un’ ara e le facessero sacrifizi: imperciocchè era scritto ne’ fati, che essa avrebbe sede presso quel popolo, che prima di tutti facesse ciò. Ubbidirono i Rodiani, ma dimenti- catisi di portare il fuoco sacrificarono senza questo. Non avend 0 adunque fatto il sacrifizio perfetto non ottennero l’intento, ch© fu serbato ad Atene. Ottennero però almeno , che Minerva li proteggesse, e rendesseli esperti nell’ arti. A coloro, che giu- dicano secondo le idee dell’ età presente, queste sembreranno mi- nuzie indegne d’essere consegnate a nobile poesia. Ma non così opineranno quelli che si portano col pensiero a’ tempi antichi, e secondo quelli danno giudizio de’ greci scrittori, e de’ latini. v-. 76. Figli del Sole erano i Rodiani, sì perchè l'isola era di questo Dio, come si dice ai versi 109—137, sì ancora, e molto più, perchè que’ primi erano nati dai sette figli del Sole e della nimfa Rodi; di che si vedano i versi 138—148. v. 124, Il chiarissimo signor professore Mezzanotte oppor-. tunamente ha allegato a questo luogo un passo del libro de mundo attribuito ad Aristotele. Secondo questo scrittore a cia- scuna delle tre Parche è data la cura d’uno dei tre tempi passato presente e futuro, e Lachesi ha cura dell’ultimo. ‘Era dunque 92 conveniente il chiamarla a confermare con giuramento il. dono di quell’ isola, che Giove, prometteva al Sple. v. 138. La nimfa Rodi, che, come si è detto, diede il nome all’isola, e fu sposa del Sole. v. 144. Questi tre nepoti del Sole si divisero l’ imperio del- l’isola, e vi fondarono tre città, cui diedero i loro nomi Gia- lino, Camiro, e Lindo. v. 153- e segg. In onore di Tlepolemo si stabilirono i giochi da lui detti Tlepolemj. Nominati questi il poeta si apre la via per tornare a Diagora , che in essi fu vincitore due volte, quattro negl’ Itsmi, molte nei Nemei, in quelli d’ Atene, d’ Argo, d’ Ar- Cadia, di Tebe, di Beozia, di Pellene sei volte, d’ Egina, e di Megara molte volte. Quale sia il gioco di Beozia, diverso da quelli di Tebe, Pindaro nol dice. Erano a ‘Tespia gli Erotj o d’Amore, a Platea gli Eleuterj o liberali, a Lebadia i Trofonj, ad Oropo gli Amfiaraj. v. 159. Uno scudo di bronzo era il premio ne’ giochi d’Argo. v. 166. Solevasi a Megara incidere in colonne di marmo il nome del vincitore. Tante volte vinse Diagora ne’ giochi di Me- gara, che Pindaro per iperbole dice, non avere le sue colonne altro nome che il suo. v. 168. Sul monte Atabirio nell'isola di Rodi era un tempio dedicato a Giove. v. 181. Callianatte era genero di Diagora; avendo sposata la sua figlia Callipatira. v. 182. La tribù di Diagora chiamavasi degli Eratidi. v. 185. Qui si allude certamente a qualche avvenimento spia- cevole per Diagora; ma s’ignora che sia. CESARE LUCCHESINI. »» Palazzo di Scauro, ossia, descrizione d’una Casa romana. Frammento d’unviaggio a Roma fatto circa il finire della Repubblica da Meroveo principe degli Svevi. — Parigi DipoT 1822. 8.0 con figure. Dalla breve, ma spiritosa dedica all’ architetto sig. Carlo Percier si rileva che l’autore di questo erudito ed elegante libro è il sig. MAZOIS. Nella prefazione si rende ragione della supposta circostanza che fece nascere la descrizione del viaggio di Meroveo figlio del re Ariovisto, cioè la promessa fatta da lui all’amico Segimero di rendergli conto delle cose vedute allor quando G RE Matt Segni 93 Cesare lo mandò come' ostaggio a Roma. La prima parte con- tibne ‘in'XV. capitoli la descrizione del suntuoso palazzo di Scauro. Il capitolo I. serve d’introdazione, ed è unalettera da Meroveo scritta all'amico Segimero nella quale gli ratifica la promessa, infor- mandolo dal suo arrivo a Roma, e della fortunata combinazione di essere alloggiato in casa dell’ erudito architetto Crisippo , dal quale era guidato nell’osservare le maraviglie di Roma. Qualche giorno addietro, gli scrive tra le altre cose, stando in compa- gnia di Crisippo a sedere nell’emiciclo del suo giardino, inco- minciai a raccontargli qualche cosa ‘de’ costumi, degli usi e della natura campestre, ed a fargli la pittura dell’orrore dei nostri boschi sacri, de’ nostri sacrifizi, ed ‘altro. Quando poi venni a fargli il quadro delle nostre case fabbricate senza cemento , senza mattoni, grossolanamente ornate con qualche striscia di colore che appena merita il nome di pittura; Crisippo, sforzatosi di contenere le risa, mi disse: Meroveo, voi siete ormai così bene incivilito , par- late già il latino, e gustate tanto la magnificenza di questa mae- stosa città, che non penserete più (lo spero) a tornare ne’vostri - affummicati tugurj; in confronto de’ quali, da quanto mi dite, la capanna di Romolo sarebbe un vero palazzo. Ma per finire dj disgustarvi anche più delle vostre case }'demani voglio condurvi da Scauro , uno de’nostri patrizj, che ha il palazzo più magnifico che in Roma siasi veduto mai. Nel secondo capitolo incomincia la ‘descrizione della casa di Scauro, Infatti nel seguito di questa descrizione l’autore sagace- mente, e con grande diilitalne procura di riunirvi, e richiamarvi quanto nei diversi scrittori latini è sparso. sia intorno a Scauro ed alla sua casa, sia intorno all’‘architettura e sue vicende in Roma; alle parti delle case romane: dei gran signori; ‘agli usi della vita domestica e delle relazioni loro col pubblico, citando accuratamente i luoghi dei varj scrittori, e di quando in quando spargendovi delle massime di sana morale dedotte dalla circostanza dei racconti, richiama il lettore alle riflessioni utili che debbono al- fine esser lo scopo'd’ ogni lettura che «ha da tender sempre a farci migliori. Così nel Cap: IIl; pag; 43. ,; Grisippo rallegrandosi della nostra sorpresa, che vi pare, ci disse, de’ principj di questo pa- lazzo? quale sfoggio di colonne! poichè misono accorto che questo vi colpisce di più. Tale e tanto è il lusso che domina în oggi delle colonne , che si tratta dai censori d’imporvi una tassa per mode- rarlo. Dovete sapere che queste colonne qui costan poco, ma ben presto ne vedrete di quelle che. vi faranno dimenticar queste... ad onta peraltro di tanta magnificenza , non erediate già che Scauro 94 sia l’uomo favorito dagli Dei. Gli hanno, dato è vero ricchezza immensa, ma non gli concedettero il più grande dei beni: for- tezza d’ animo, e spirito rischiarato dalla sapienza. Avvicinatevi; osservate questo chiodo levato via. da un sepolcro e posto alla porta principale per allontanare da questo palazzo le visioni, e li spaventi notturni! osservate queste giaculatorie magiche scritte con lettere rosse sulle mura! con questo mezzo crede di preser- var la fabbrica dagli incendj. Tutte queste superstizioni popolari provano che Scauro non si separa dal volgo per altro che per le sole ricchezze , che non ha una vera cognizione della natura delle cose, nè una giusta idea dél potere e della bontà degli Dei. ,, AI cap. IX nell'osservare la galleria de’ quadri. ;; mirate, dice Crisippo ; questa pittura di Zeusi come nulla affatto si risente delle ingiurie del tempo. ;, 3 Vi sono anche de’ quadri dell’ amico mio Metrodoro, celebre non meno nell’ arte del dipingere che nella filosofia. È un grande sbaglio il credere che lo studio dell’ arti sia incompatibile con quello delle lettere e della filosofia! Socrate al contrario sostenne che gli artisti erano i filosofi, per eccellenza. ;, Le angustie d’un brevissimo articolo non permettono di spaziare nel riferire molti squarci di questo libro ; laonde esor- tando caldamente gli amici ‘della piacevole ed utile lettura ad occuparsi della lettura di questo, faremo qualche. riflessione ge- nerale sul metodo di trattare così l’ archeologia; metodo del quale abbiamo già luminoso esempio nel viaggio di Anacarsi del celebre Barthelemy, ripetuto dall’ autore del viaggio di An- ‘onore, e recentemente da Alessandro dei. Theis nel viaggio di Policleto a Roma. Non mancarono già più articoli antichi che raccolsero notizie sulla vita. privata de’ greci e! dei romani; ma quell’ opere troppo secche; 6 puramente didattiche non erano che per coloro i quali amano di istruirsi nelle antichità. Ma poichè si pensò a presentare in prazica quella medesima erudizione, ed a legarla colle azioni della vita in guisa che il lettore fosse trasportato a vivere e conversare con quelle antiche persone nelle loro città, ne’ loro palazzi. ei case; ne’ loro giardini ec. si aprì una nuova strada facile e dilettevole alle persone d’ogni classe, ed alle stesse donne per imparare senza avvedersene quello che parea riserbato alle sole veglie degli antiquari e degli eruditi più gravi, e mescolandovi a tempo certe riflessioni morali, si diede alle ricerche antiquarie quell’utile ufficio di giovare alla mente ed al cuore, che pareva riserbato unicamente allo studio della storia e della filosofia, mi, 9° Dio volesse che questo metodo si.adattasse anche alla storia de’secoli più bassi, e si andasse così mostrando il carattere dei tempi decorsi da Scauro fino a noi, e profittando dell’ occasioni si mo- strasse l’uomo ora sempre uniforme a sè stesso, ora pieghevole alle circostanze de’ tempi, che per la moltitudine sono come la forma per la cera e pel gesso. Abbiamo è vero qualche romanzo che tratta , or’ uno or un altro soggetto di que’ tempi; ma troppo \ lungi sono tai libri dall’ avere, nella benchè minima parte, otte- nuto il fine che intendiamo; non essendo che nomi o fatti antichi rivestiti secondo l’idee del tempo di chi scrisse. Vedemmo non ha molto comparire un libro intitolato Viaggi del Petrarca, ma restammo defraudati nell’ espettazione desta ta dal frontespizio, al- meno in quanto al metodo di cui parliamo. Un altro libro si è affacciato in piazza col titolo di Apo- logia de’ secoli barbari del P. Costantino Battini; ma il solo titolo ci mostrò subito che non era permesso sperarne nulla di buono, come avremmo potuto almeno lusingarci se fosse stato intitolato — Quadro de’ secoli chiamati barbari. Con tale fron- tespizio uno scrittore di criterio e di sapere fornito, e senza spirito di partito avrebbe potuto far credere che si volesse mo- strare lo stato delle lettere, delle scienze e delle arti, i costumi» gli usi del vivere, del vestire, dell’abitare di quelle genti, il modo del pubblico reggimento e della guerra, del culto divino, ed altre pubbliche costumanze, e le opinioni dominanti; spar- gendovi giudiziose riflessioni per metter tutto nell’ aspetto di evi- tarne i vizi , conoscerne le cagioni , ed imitarne quel che di buono poteavisi ravvisare, seguitando il metodo del viaggio di Ana- carsi, ed altri venuti poi. Prima di finir questo articolo non ci dispiaccia di osservare qual mai sarebbe la sorpresa dello Scita Anacarsi se oggi rive- desse quella Grecia che già conobbe tanto dotta e civile! Qual sarebbe la meraviglia di Meroveo se tornasse a rivedere la sua Germania e le Gallie! Che direbbe Crisippo che non potea fre- mar le risa in udirne le descrizioni di Meroveo! Ma ravvici- nandoci a noi: che direbbe il Petrarca se potesse tornare a Pa- rigi! Avrebbe egli più tanto coraggio , quanto sentiva d’ averne allora che così arditamente in quella sua lettera mostrò di quanto inferiori erano i francesi a’ suoi italiani? Ss €. 96 Biografia universale antica e moderna, tradotta in italiano, ed ora pubblicata in Venezia per le cure di G. B. MISSIAGLIA. Lettera al Direttore dell’ Antologia (*) Livorno 7 Gennaio 1822. Più io leggo la Biografia universale , più io vi trovo degli articoli mancanti, o mutilati. Se io avessi il tempo occorrens te a fare degli accurati riscontri, son persuaso che potrei rin- tracciare non poche aggiunte necessarie a questa utilissima ope- ra. La mia Serie Cronologica , voluminoso lavoro , che mi occupa da più di dieci anni, mi ha somministrato di già mol- tissimi interessanti articoli, e non pochi supplementi a quelli esistenti nella Biografia medesima. Devesi convenire che la pubblica condotta di un uomo è talvolta ben diversa dal suo costume privato ; e che per de- cidere del carattere di una persona è necessario di conoscerla a fondo. Ma come potremo ottenere questo fine se l’ opinione viene troppo sovente basata nel solo raggio delle pubbliche azioni, e si trascura il confronto dei fatti privati? Le biografie sono destinate a conservare la memoria di quelli che per le loro virtù o per i loro vizi hanno meritato l’estimazione , o l’ ese- crazione degli uomini, ed è per questo che il biografo deve esser diligente a raccogliere tutte le notizie interessanti il suo soggetto: Plutarco è certamente il maestro dei biografi. Egli nella sua opera immortale ha scrapolosamente descritti tutti i più piccoli fatti, ed in ciascuna delle sue vite ci ha, per così dire , distinto l’ uomo pubblico dall’ uomo privato: ignoro il perchè molti di coloro che dopo di esso si sono dati a scri- vere biografie, abbiano sdegnato di prenderlo a modello. Con- vengo che negli articoli biografici la concisione è necessaria ; ma il defraudare i leggitori dei fatti essenziali è una colpa imperdonabile. Si può esser concisi ed accurati - alcune volte una bella azione, un grave delitto hanno la loro sorgente da un piccolo fatto; ma nel giudizio che si fa del carattere de- gli uomini, il trascurare o il nascondere questa sorgente. può indurre in errori gravissimi. A questo’ riflesso io ho creduto necessario di formare alcuni supplimenti agli articoli biografici già stampati, protestando di nuovo , che io non intendo d’in- (*) Vedi pres. vol. A. p. 131. 97 colpare i bravi traduttori della Biografia Universale delle man- canze, o mutilazioni che vi si riscontrano. Supplimento all’ articolo Asou-IosePH della Biografia uni: versale. T. I. pag. 89. Abou-Ioseph era un famoso dottore musulmano, che cuo- prì il posto di gran giudice di Bagdad , e che in seguito fu il primo eletto alla carica di Cadi-al-Codhat, cioè giudice dei giudici; si dice che egli ammassasse in poco tempo moltissi- mi beni, e si cita il seguente aneddoto come una delle sor- genti principali della sua ricchezza. Il Califfo Haroun-al-Raschid essendo divenuto amante di una delle schiave e concubine di suo fratello Ibrahim voleva comprarla, e ne offrì una grossissima somma; ma Ibrahim ave- va giurato di non venderla o donarla a chicchessia. Fra i mu- sulmani il giuramento è sacro. Intanto il califfo, ardente nei suoi desideri, sollecitava vivamente suo fratello di cedergli a qualunque prezzo la bella schiava. Ibrahim che l’amava con tenerezza, e che d'altronde non ignorava che la propria vita dipendeva da un cenno del califfo, volendo fare il sacrifizio del suo amore, ed accordare al tempo istesso la propria co- scienza con la volontà del principe, consultò. Abou-Ioseph per sapere ciò che doveva farsi in una tanto delicata circostanza: se voi volete evitare lo spergiuro, disse il dottore, dovete vendere per métà la vostra schiava, e donarla per il rima- nente. Ibraim contentissimo di questo espediente, degno di Esco» bar (1) inviò. immediatamente la schiava a suo fratello, il quale. senza tener conto della sottigliezza di Abou-Iuseph, pagò per intiero la somma che aveva offerta, ed Ibraim donò al cadì la metà del danaro ricavato dalla schiava .. Aroun, ricolmo di contento, voleva sull’ istante godere dei suoi diritti; ma la legge vi si opponeva,, perchè, secondo il rito maomettano, un fratello non può dormire con la concubina del fratello, se essa non è per lo innanzi passata nelle brac- cia di un’ altro. Fu consultato Abou-Ioseph anche sopra que- sta difficoltà , ed egli consigliò. il califfo a fare sposare quella donna da uno dei suoi schiavi, a condizione che esso |’ avreb- be repudiata all’istante. Infatti fu|celebrato questo momenta- (3) Escobar Antonio, sopranominato De Mendoza , gesuita spagnuolo., e famoso casista, morto nel 1669 in età di 80 anni, è autore di molte opere teor- logiche, nelle quali sembra: appianare la. via della salvazione, T. XIII. Febbraio ” 98 neo matrimonio, ma lo schiavo, divenuto amante; ricusò qua- lunque offerta, e negò di aderire al divorzio: questa cireostanza pose alla prova la sottigliezza ‘del cadì onde soddisfare ai vio- lenti desideri del califfo; lo consigliò adunque di regalare questo schiavo ribelle, del quale egli era sempre il padrone, alla donna che aveva sposato, ed in questa maniera rompere il matrimonic, giacchè secondo la legge di Maometto nessuna donna può esser la moglie del proprio schiavo. Fu seguito questo consiglio, e la bella si trovò finalmente nelle braccia del principe, ed ambedue furono generosi e riconoscenti ver- so il dottore, agli espedienti del quale l'uno doveva il go- dimento di un bene desiderato, 1’ altra lo stato, la fortana, e la felicità . Supplimento all’ articolo BEHADER-KAN, 0 BEHARDUR-KAN (Alaed-Dyn Abou-Sayd ) della Biografia universale. Tom. V. pag: 177. Dopo la morte di Genghiz-Kan, quel famoso conquista- tore che in pochi anni stese il suo dominio ‘in uno spazio di più di 800 leghe dall’ Est all’ Quest, e di più di 1000 dal Nord al Sud, i suoi vasti stati furonò, divisi fra i di lui di- scendenti. Vi fu an ramo della sua famiglia che s’ impadronì dell’ Iran, o la Persia. Il nono Kan di questa parte dell’im- pero dei mogoli si chiamava Abusaid, o Abòu Sayd, ed era successo al di hu padre A/giapta . Allorquando questo principe montò sul trono non aveva che dodici anni, onde gli fu dato per tutore Iuban-Noyan, gene- ralissimo delle armate. Esso corrispose alla confidenza del prin. cipe e dei sudditi, dando, in tutte le occasioni, le più lumi- nose prove di una inviolabile fedeltà: ma una fatale passione fece perdergli il premio dovuto ai suoi servigi; e fu cagione della di lui morte. Questo potentissimo ministro aveva una figlia chiamata Ba- gdad-Katoun, la quale erà una delle più rare bellezze dell’Asia. Essa fa maritata all’Emir Hassan-Ilkbani, e questo matrimonio non potè esser nascosto ad Abou-Sayd, al quale, dai cortigia- ni, gelosi del favore di cui godeva Iuban-Noyan, ne era stato fatto il più seducente ritratto ; ciò che indusse il pribcipe a dimandarla per moglie. Questa richiesta nulla aveva di. con- trario alle leggi dei mogoli, poichè ciascun particolare è ob- bligato di repudiare la propria moglie , quando la richieda il sultano. Iuban, sentì tutta la delicatezza della sua posizione, ma: 99 confidando nel suo credito, e nell’ impero che esso fino a quel punto aveva ‘avuto sopra lo spirito del principe, ricusò di con- sentire al divorzio, qualunque fosse il vantaggio che poteva spe- rarne , € preferendo. all’ ambizione, l’ onore ., giunse anche a parlare poco rispettosamente del principe, e:per guarirlo della passione che lo divorava, e che egli riguardava come un ca- priccio di gioventù, condusse Abou-Sayd a Bagdad; ed allon- tanò. dalla corte la figlia ed il genero. Abou-Sayd aveva allora diciassette anni, età nella. quale le passioni ordinariamente sono impetuose , e sopratutto quaus do si ha in mano il potere. Il principe amante sempre più di un’ oggetto abbellito dalla sua immaginazione, confidava il suo affanno. a dei favoriti, i quali lungi dall’ addolcirlo , lo irrita- vano e dipingevano il ministro come un tiranno. Iuban istruito della disposizione del sultano, e. delle accuse che gli veniva- no date, ebbe l’ imprudenza di abbandonare la corte sotto .il pretesto di andare a reprimere una piccola sedizione scoppiata in una provincia del regno; e credè di aver riparato a tutti gl’inconvenienti che potevano risultare dalla sua assenza lasciando uno dei suoi figli, chiamato Damashk, che era l’amico del sul- tano, e che. incaricò, di ayvertirlo di tutto quello che poteva avvenire. Sventuratamente per altro questo figlio era divenuto amante. di una delle donne del padre di Abou-Sayd. Il suo credito gli aveva procurato la facilità di vederla: i nemici del ministro nou, trascurarono .di riportare ad Abou-Sayd che Da- mashk manteneva un criminoso commercio con una donna del serraglio. Il principe volle assicurarsene da sé stesso , e fu te- stimone di un’ abboccamento ‘dei due ‘amanti, e trasportato dal furore condannò ‘a morte Damashk, che tentò la fuga, ma fu preso e decapitato. Abusaid, ritornato in quiete, temendo che Iuban-venuto in cognizione del fatto volesse tentare di ven- dicare il figlio, spedì degli ordini per farlo morire. Questo ministro che poco innanzi aveva un potere uguale a quello del sovrano , si vedde allora abbandonato da tutti quelli che da lui erano stati beneficati, Dopo .di avere errato in varie par- ti, non trovando un’ asìlo sicuro, si ritirò presso un governa. tore di provincia, che esso aveva gradatamente inalzato a, quel posto; ma la riconoscenza fu sacrificata all’interesse. L'infelice luban, in luogo di trovare un’ amico, non trovò che un car- nefice. Questi tragici, ‘avvenimenti lecero ban conoscere .all’ \emir Gassan che egli, ne era linnocente cagione, e preferendo al- 100 limore la' vita repudiò la bella Katoun, e la mandò ad Abon- Sayd. Questo principe la sposò solennemente, e ben presto essa divenne potente. Da alcuni istoriei si vuole che Katoun essen- dosi accorta di qualche cambiamento nello spirito del sultano, e temendo la di lui incostanza, lo facesse avvelenare in età di 32 anni. È certo per altro che il successore di Abou-Sayd, chiamato Arbah, fece perire la sultana Bagdad-Katoun, come complice della morte di suo marito ; ciò accadde l’anno 1335. Supplimento all’articolo ACHOMAT della Biografia universale, T. I. pag. 158. Achomat era figlio di Chersech; sovrano di Montevera, nel- la Schiavonia, e chiamavasi Stefano . Fer cagione di disgusto abbandonò la corte di suo padre, si fece turco , e si ritirà presso l’imperatore Bajazet II, del quale sposò una figlia. Questa azione, ispirata da un dispetto amoroso-,-divenne utilissima ai cristiani. Dopo la presa di Modona, nella Morea, Achomat col suo credito salvò dalla morte molti nobili venezîani; colle sue rac- comandazioni fece ottenere la libertà a molti prigionieri, ed altri ne riscattò con le sue ricchezze, e fece risolvere Bajazet II a pacificarsi con i veneziani: finalmente per di lui mezzo Giovanni Lascaris, inviato da Lorenzo de’ Medici, ottenne un libero accesso in tutte le biblioteche della Grecia per farvi ri- cerca di tutte le opere interessanti , che dal momento in cuî l'impero d’ Oriente era caduto in potere dei turchi , erano rimaste come sepolte ed ignorate. Sono intanto con la salita stima , BARTORELLI. Lettera al Direttore dell’ Antologia. Nel fascicolo di novembre 1823 dell’ Antologia, jeri sola- mente pervenutomi, vedo ricordata la storia, ch’ io ho scritta dell’ ultima malattia di Antonio Canova; parlando ‘della qua- le; l’autore di quell’ articolo pose nella fac. 31. le seguenti parole : 3, Il medico Paolo Zannini, nell’ accurata descrizione della 5; malattia che lo rapì (intendi che rapì il Canova) alla gloria 5 delle arti nell’età di 64 anni, osserva che negli ultimi istanti toi 5, e quando già la morte occupa@a quasi tutte le sue membra ; y» Îl volto improvvisamente si colorì , i suoî occhi brillarono di », nuova luce , ed apparì quasi assorto in profonda estasi. Era- ,; no a ciò presenti li suoi amici, e tutti ne furono maraviglia- nti : | Se a quegli amici del Canova, che circondavano il letto di lui nelle ore estreme della sua vita, e che non lessero per ancora la storia della sua malattia , venisse fra le mani que- st articolo, essi dovrebbero farsi davvero le mille maraviglie; che il solo scrittore di quella storia abbia osservato colorirsi il volto esangue dell’ illustre moribondo, e drillare di nuova luce i di lui occhi, già appannati alcune ore prima della sua morte ; e crescerebbero le maraviglie riflettendo, che un gior- nale così meritameate stimato, com’ è l’ Antologia di Firenze, conceda l'onore dell’ accuratezza ad una storia rallegrata da simili fantasie. Onde evitare l’uno sconcio e l’altro, io la pre- go, sig. direttore, di voler inserire nel prossimo fascicolo del suo giornale questa mia lettera ; la quale ha per iscopo non solamente di dichiarare immaginata di netto la novelluccia del volto colorito, e degli occhi brillanti di Canova moriente, ma ancora di far conoscere ai leggitori dell’ Antologia , che nella mia storia della malattia che lo trasse a morte, non v'è, nè vi poteva essere cenno alcuno di questa romanzesca invenzio= ne. Null’ altro essendo quella storia, che la schietta narrazio- ne di un fatto, era suo debito di non ammettere tali addizio= mi, che mirassero a sformare il fatto istesso, con renderlo ma- raviglioso, e quasi quasi soprannaturale. Gli ultimi istanti di quel Grande farono per guisa conformi all’ eccellenza della sua vita, che non hanno mestieri dei soccorsi dell’ immaginazione per essere ammirati; e d’ altra parte sono tanto preziose le memorie concernenti al Canova , che vuolsi porre tutto lo stu- dio nel conservarle illese da ogni maniera di illusioni, o di errori. Ho l’ onore, sig. direttore, di dirmi con tutto il rispetto Venezia, 18 Gennaio 1824. | Suo Dev. Osseg. Serv. 7 PAOLO ZANNIN}» 102 lle rta Accademia dei Georgofili. 7 sr Adunanza del 1. Febbraio 1824. li Sì aprì l'adunanza preseduta dal sig. prof. Gazzeri V. Pre. sidente. Letto ed approvato il processo verbale della precedente seduta, fu dal Segretario degli Atti reso conto verbalmente di quanto aveva egli disposto per introdurre in Toscana la razza delle Capre del Tibet tosto che fosse indubitàto che questi ani- mali, come ne dicono alcuni giornali francesi, avessero abitu- dini diverse delle Capre comuni, per il che non riuscissero dan- nose ai boschi col loro morso. La qual cosa però avendò egli riscontrata del tutto falsa dovette abbandonare l’intrapresa, te- mendo che da essi fosse per emergere piuttosto danno che utile al paese. Il Segretario delle corrispondenze partecipò all'Accademia i ringraziamenti del sig. Badalla di Sartirana per la sua nomina di corrispondente ; la soluzione di un problema idraulico del sig. Pallone inviata manoscritta dal sig. marchese di Breme; l’opera del sig. P. Filippo Uccelli intitolata Anno di Clinica esterna del R. Ospedalé di S. Maria Nuova donataci dal ch. autore. Dopo di ciò si udì la lettura del sig. D. Giov. Gualberto Uccelli, il quale prese a sostenere la riputazione in genere delle acque termali e minerali a torto egualmente ora troppo enco- miate, ora cadute in disgrazia nell’ opinione dei medici , opinione che fa spesso divisa circa al riconoscere l’azione medicamentosa dei bagni piuttosto dai loro princip) fissi che gasosi e viceversa, scissura che non sempre nacque figlia di una filosofica ossetvazione, Quindi il sig. Ferdinando Tartini supplendo per il sig. Mar. Gino 'Cap- poni, trattenne lal Società con una succinta LE MULIONO delle ope- razioni fatte per determinare la distanza di longitudine di varj luoghi d’Italia per mezzo dei segnali a polvere dati sul monte Cimone, operazioni che l’esito il più felice ha coronato premiando lè fatiche di quelli che con tanto ‘zelo se ‘né somo occupati. Il sig. P. Gazzeri Vicepresidente in nome di una commissione, delle quale si fece relatore, lesse un rapporto sul libro del sig. Sacco, che tratta dell’ invenzione di una macchina per maciullare la canapa ed il lino, e di un processo per spogliare di glutine il tiglio di queste ,piante consistente nel tenerle sommerse in acqua circa a cento ore, o poco più; tempo sicuramente troppo breve per de- stare quella fermentazione creduta fin qui necessaria per otte- 103 nere l’effetto; ed a tal proposito concluse il sig. Relatore che tenuto per vero quanto afferma il sig. Sacco, e che la commissione non ha potuto verificare coll’ esperimento , dei due ritrovati del nostro corrispondente sarebbe il secondo che offrirebbe maggior vantaggio e novità. Il sig. D. Carlo Passerini lesse poi per il sig. P. Ottaviano Targioni un rapporto di altra commissione , della quale esso sig. Passerini faceva parte, diretto a provare che l’ invito del sig. Acerbi a formare almeno in Italia una sinonimia delle infinite specie coltivate di viti e loro varietà, era quanto interessante e bello in astratto altrettanto penoso e difficile in pratica per non dire impossibile, come quasi il dimostrano le reiterate prove a ciò dirette di molti botanici, del che si ha un recentissimo e so- lenne esempio in Francia, per tacere d’ altri lavori meno vasti; Aggiunse in oltre che qualora con improba fatica giunger si potesse a descrivere la maggior parte delle specie delle viti e delle principali varietà loro, resterebbe sempre a dubitare for- temente che non ne venisse utile alcuno all’ agricoltura , ed all’ oenologìa, in di cui prò dovrebbe imprendersi un lavoro tanto spinoso , essendo provato che l’istessa vite dà vino sempre diverso col solo variarne la cultura, l’esposizione , il terreno, e più ancorà la manipolazione dell’ uve. Il sig. Conte Girolamo Bardi presentando l’élenco dei lavori accademici dal Giugno 1755 a tutto il 1797, i quali per essere ine- diti pel maggior numero son poco conosciuti dal pubblico, colse l’occasione opportuna per accennare varie brillanti notizie relative all’ istoria dell’Accademia in quei tempi, ed all’ origine della fama nella quale allora salì, e che seppe sempre mantenersi dipoi. Mostrò finalmente il sig. P. Taddei come un imbuto da esso immaginato e di costruzione assai facile, possa utilmente esser sosti- tuito a quello a chiavetta che il celebre Davy ha posto al suo appa- recchio per determinare la quantità dei carbonati esistenti in un terreno da analizzarsi dallo sviluppo proporzionale del loro gas acido carbonico, essendo questo imbuto a chiavetta un istrumento costoso o almeno non abbastanza comune. Dopo di ciò l'adunanza si sciolse. G. RIDOLFI: 104 Opuscoli di Plutarco volgarizzati. — Tom. VI. Firen: ‘ze, presso il PrAatTI, 1820. Ad istanza del Piatti imprese il cav. Ciampi a vol- garizzare quelli opuscoli di Plutarco, che mancavano a completare il volgarizzamento incominciato già dall'Adri- ni. Il sesto volume, di cui fu principiata la stampa fino dal 1820 è restato compito sul cadere dell’anno decorso 1823. Esso contiene i seguenti quattro opuscoli. 1.° De mancamento degli oracoli; 2. Delle contradizioni degli stoici; 3° Delle percezioni universali; 4° Di Iside e Osiride, e ciascuno di essi è accompagnato da prefazioni, e annotazioni ec. Fra i diversi modi che nel tradurre si possono segui- re, sembra che il P. Ciampi non siasi curato di rendere severamente parola per parola , e di tener dietro al suo autore da scrupoloso e fedele interprete; nè che abbia licenziosamente trascurato affatto la parola, attenendosi soltanto alla generalità: ma che abbia adottato un modo di mezzo fra l’ uno e l’ altro, il che da Cicerone fu chia» mato tradurre non da interpetre ma da oratore. E ques- to ci pare avere egli più spezialmente fatto ne’ primi tre opuscoli di questo volume; i quali se fossero stati resi parola per parola sarebbero forse divenuti di difficile in- telligenza e quasi enimmatici: come poteva forse avve- nire che trasportandoli troppo genericamente sarebbesi fatto dire talvolta all’ autore ciò che non intese di dire. E di queste cose il P. Ciampi ha dato ragione nelle lettere e negli avvertimenti uniti a ciascuno dei detti tre opu- scoli, dei quali, non meno che delle note di cui sono cor= redati, se non temessimo troppo dilungarci, daremmo un più esteso ragguaglio. Ci contenteremo pertanto di averle indicate, limitandoci per ora a dar-conto più speciale di ciò che concerne all’ ultimo opuscolo. 105 Il Cav. Ciampi pose mano a volgarizzare il quarto opuscolo dopo essersi restituito in Italia, ed aver fissato temporariamente il suo soggiorno in Firenze, lo che gli diede agio di trar profitto da alcuni pregevoli codici di Plutarco che si conservano fra i CC. greci della libreria Laurenziana, alcuno dei quali viene confusamente citato dal Wittembach. Sembra però che sieno stati da quel let- terato meno diligentemente osservati, non avendone egli fatto quell’ uso che farne avrebbe potuto a chiarire e cor- reggere parecchi luoghi importanti delle edizioni di quel greco scrittore. A tal’ opera si è in modo speciale ac- cinto il P. Ciampi , il quale alle osservazioni fatte dagli eruditi, aggiunge le sue proprie , e che gli sono sembrate le più opportune, non pretendendo però, come egli mo. destamente sì esprime, di avere emendato affatto ciò che lasciarono d’ imperfetto quei valentuomini: ma se avrò aggiunto qualche cosa, non sarà totalmente inuti- le l’ opere mia a tale scopo. | Frutto della sua critica, e delle sue attente osserva- zioni sopra un codice fra gli altri prezioso , della lib. Lau- renziana, sono varie lezioni restituite al testo , e che ei si è proposto di seguire nel suo volgarizzamento, e che sem- brano per la massima parte assai importanti; e in confer- ma di ciò ne daremo qui un saggio fra le altre scegliendo le seguenti. La nota 3 apposta alla pag. 271 del volgarizamen- to, e riportata alla pag. 403. Nel testo: ©yfBafos sinora x. 7. A. Questo passo considerato come inintelligibile da tutti gli interpreti ad onta delle molte congetture, il prof. Ciampi l’ha corretto, e lo interpetra sacrari somiglianti a' sot- terranei tebani indotto a dare questo senso dalle scoperte recenti del sig. Belzoni. La nota 1? alla pag. 289 cap. IV, e riportata alla pag. 410. 106 Testo : Kai Tdy Afovla riusci, za) yicuari AeoyIeion tà Twv ispiy Fupis pala soste, 91 TANpUPET tèv NezAov. Si propone di legg ere invece di rà r@v iepiov Fupuopala, piut- tosto Tè T@v powv Fupspala. La nota 3 alle pag. 300 riportata alle pag: 412. Testo: l'ava9èv x. 7. A. Luogo come un enimma lasciato dal Filandro alla sorte d’un indovino, e dagli altri in vari modi inutilmente tentato. Il P. C. legge &vo$ey, e co- sì vien tolta ogni difficoltà. Egli fu guidato a questa cor- rezione da una lezione del codice Laurenziano 21 tra i greci . Alle copiose note , apposte alla sua versione per l'intelligenza del testo, e per giustificare in più luoghi la sua versione medesima precedono altre annotazioni filo- logiche , nelle quali ci sembra trovarsi molta erudizione; con un calendario Isiaco applicato specialmente a questo opuscolo, e confrontato con i calendari romano e volgare. Ha creduto inoltre di riprodurre in compendio un emero- logio di genti e nazioni diverse, del quale diè notizia nel- le sue novelle letterarie per l’anno 1798 il celeb. dott. Lami: ed ha avvisato di far ciò ariani utilità di che può essere per gli eruditi, tanto per sapere il nome che s'ignorava o in tutto o in parte, dei mesi di alcuni popoli; quanto per conoscere la corrispondenza che questi mesi avevano con quelli de’ Romani. Nell’ avvertimento a’lettori non trascura il p Ciampi di ricercare quale sembri essere stato lo scopo cui abbia inteso Plutarco nello serivere il presente opuscolo: cioè ; di mostrare che il culto egiziano e generalmente il poli- teismo era connesso colla scienza delle cose naturali, le quali prima nascoste in semplici allegorie, si strasforma- rono successivamente in mostruosi racconti; giusta lo avviso dello stesso Cicerone nel suo libro della natura degli Dei, ove dopo avere spiegate le dottrine simboliche ed allegoriche del politeismo prosegue « pidetis ne igitur 107 ut a Physicis rebus, bene atque utiliter, inventis, tracta ratio sit ad commentittis et fictos deos, quae res genuit falsas opiniones erroresque turbolentos , et superstitio- nes pene aniles ec. Passa quindi ad esaminare se quest’opuscolo sia ope- ra dell’istesso autore degli altri antecedenti contenuti in questo volume, e gli sembra di trovare somiglianza di dottrine e di stile: ma non asserisce che possano essere dello stesso Plutarco di cui abbiamo le vite parallele, che anzi accena di dubitarne, senza però dar gran peso al suo dubbio. Crediamo superfluo il parlare del pregio di questo e degli altri opuscoli , essendo omai note abbastanza le dot- trine da Plutarco esposte e dichiarate ne’ suoi scritti. Per venir dunque a parlare della versione fattane dal Prof. Ciampi diremo che essa ci sembra dettata con stile disin- volto e naturale , non meno che opportuno e proprio alle diverse materie dall’autore prese a trattare :e ci pare inoltre che in questo forse più che negli antecedenti opu- scoli il volgarizzatore abbia seguito la parola, quando l’in- ‘dole della lingua, o altre ragioni non l’ abbiano obbligato ad allontanarsene. Per quanto concerne poi più specialmente alla fe- deltà della versione e all’intelligenza del testo, gioverà il riportare in questo luogo quanto ne scrive al direttore dell’ Antologia il chiarissimo sig. Canonico Francesco Boni ellenista del valore che ognuno sa. La lettera è la seguente. « Ho letto con avidità la nuova traduzione dell’Iside, e Osiride di Plutarco da lei favoritami e mi son compia- ciuto di trovarvi non solo franchezza di stile, ma esatta intelligenza del testo riportandolo con fedeltà nella nos- tra lingua , senza punto forzare il genio di questa; pregio caratteristico che distingue a mio credere la nostra ver- sione dal volgo dalle altre, parafrastiche d’ ordinario, 0 108 tratte del latino, e che più luminosamente risalta in mol: ti luoghi travisati fiella traduzione latina; scabrosi non tanto pel valore intrinseco delle voci, quanto per la dif- ficoltà della materia. Le note testuali confermano l’ in- telligenza, insieme e l’industria del traduttore. Egli vi ha in più luoghi ripescata la vera , o almeno la più ragione- vole lezione : e quel che più dee lusingare un italiano, ha scoperta altresì l’indolenza, per non chiamarla. altrimen- ti, degli editori precedenti , che spacciando di aver. ve- duto, e citando i codici Laurenziani , non vi hanno tro- vate quelle varianti che egli diligentemente riporta. Io non ho relazione fuorchè di cappello col professor Ciampi; ma godo sinceramente che anco in questo saggio rivendichi l’ onore della patria, e mostri che il gusto del greco non è confinato nel Settentrione » ec. Non abbiamo creduto per verità di riportare verun saggio del volgarizzamento del P. C. confrontandolo © col testo, o con altri antichi volgarizzatori, potendolo fare a suo comodo chi n’ avrà desio ; e in quella vece ab- biam pensato di darne uno d’ altro genere, per dilettare colla varietà i nostri lettori. Nel suo discorso o avverti- mento che dir vogliamo apposto a quest’opuscolo , pren- dendo occasione dalla riverenza religiosa che gli egiziani avevano verso alcuni animali, egli fa le seguenti riflessioni. « Qualunque pretesto ( egli dice ) voglia portarsi a difesa del culto dagli egiziani tributato agli animali, non sarà mai sufficiente a giustificarli, e compariranno sem- pre per un lato ridicoli, e per l’altro superstiziosi, ed empi verso la Divinità. Ma accanto alla stoltezza degli egiziani, e alla ragionevolezza di chi gli deride, fa egli una bella comparsa la crudeltà che si pratica quasi gene- ralmente verso degli animali, come se dovessero essere sempre crudelmente puniti i discendenti per gli onori usurpati dai padri, della da loro non pretesa divinità ? È tal- 109 mente negli umani petti spento verso di essi ogni senso di compassione , e se ne vede senza ribrezzo la strage, il sangue , il macello, il tormento , come se a noi non so- migliassero niente più degl’insensati sassi, e fossero sen- za molti dei nostri stessi bisogni , delle nostre passioni ; in una parola, se per le doti sensuali non fossero anco più sensitivi di noi? Nè intendo per questo d’inveire con- tro l’uso di mangiar carne d’ animali a cui, o la natura che gode di riprodurre ed alimentare, col distruggerli a vicenda, i suoi parti , l'abitudine degenerata poi in neces- sità fecero riguardare come necessario agli uomini il nu- trirsi di carni. Ma questa abitudine crebbe a tanto che nel fare scempio degli animali anco non necessari all’ali- mento noi non rimuove cosa alcuna, e dirò con Plutarco, non aspetto fiorito di colore, non suwave persuasione di voce, non vivacità dell’ anima, non purità del vivere, non eccellenza di apprendere degli infelici animali, anzi per piccola particella di carne priviamo un anima del sole , della luce, e del corso della vita destinata nel primo loro nascimento: così le tremanti voci di essi sti- miamo essere senza significato, e pur sono preghiere, supplicazioni e giustificazioni di ciascuno di loro. ( PLurarco: del mangiar carne, traduz. dell’ Adriani. ) » « Ma condonando , come dissi, alla necessità o al- l'abitudine il mangiar carne, non sarà mai perdonabile incrudelire, come pur di sovente veggiamo, contro d’ogni genere d’ innocenti animali, anco non adoprati nel nutri- mento, e di lasciarli abbandonati al mal talento e alla libidine d’impunemente straziarlì ; e di essere costretti a vederne l’ uccisione , lo scorticamento , lo squarto a pub- blico spettacolo in mezzo delle più popolose contrade di fiorite città: sicchè le quasi ancor belanti o mugghianti gole squarciate, e le ancor palpitanti viscere si appenda- no in pubblica mostra: e va tant’ oltre la barbara indi- ferenza di questa carnificina, che tu vedi spesso a piè di 1IO nobili palazzi scannarvi i mansueti agnelli, e con le abi- tazioni dei cittadini alternarsi gli scannatoi ed i macelli con appese membra di caldo sangue grondanti. A questi pubblici scannamenti , come a lieto spettacolo, ferman- dosi spesso la gioventù crescente , s' imbeve d’una imbel- le ferocia, impara quelle crudeli frasi di altercazione: ti voglio vedere il fegato ; ti voglio scannare; ti voglio tirar fuori V anima; impara a non avere orrore all’ ef- fusione del sangue, e così senza avvedersene si rende più agevole a trasportare dagli animali agli uomini V in- differenza per la strage e per l’ uccisione ; assuefacendo non solamente gli occhi alla carneficina , ma le orecchie: a non commuoversi dalle miserabili voci di quelle vittìi-. me , ed il naso a non offendersi più del fetore del putrido: sangue nelle prossime latrine versato. Or che diremmosse; usciti dalle nostre ridenti contrade, ci trovassimo in un tratto , non avvezzi a simili orrendi spettacoli, a vederli in un paese straniero? grideremmo certamente: luogo di barbari ! luogo d’ogni senso di umanità privo!, All’ opt posto , che diranno gli stranieri, se avvezzi a sistema più umano vedano tali spettacoli presso gente, che pretende ( e non senza diritto in molti conti ) al magistero della cultura e dello incivilimento ? « Questa crudeltà contro i mansueti animali, questo sempre aperto teatro della loro strage non può certamen- te giovare al costume. /ihil quod crudele, utile: :est enim hominum naturae , disse Cicerone (1), quam sequi debemus, maxime inimica crudelitas. Per questa ragio- ne anche nell’uccisioni degli animali sanzionate dalla re- ligione o dal costume, non si trascurò dagli antichi. di mostrare l’avversione contro quelli che n° erano lo stro- mento. La prima volta che in Atene, regnando Eretteo, (1) Cic. de officiie lib. III. 46. III fu immolato il bove a Giove Polieo , il sacerdote , dopo d’averlo ucciso , getto via la bipenne e fuggi. Fu la bi- penne raccolta e portata in giudizio con accusa di uccisio- ne, e quindi assoluta : ogni anno sì rinnovava questa ce- remonia per dare una pubblica testimonianza dell’abbor- rimento dallo spargere il sangue. Il simile facevasi d’ al- tre uccisioni d’ animali, ( 7. Pausania lib. 1. cap. 20 ) e. persino dopo l’ uccisione delle bestie feroci erano pre- scritte ceremonie di purgazione. » « Che più? quei feroci Romani che in mezzo alla strage d’uomini e di ‘fiere pascolavano gli occhi alla vista dei sanguinari combattimenti, da loro chiamati Giochi detestavano ciò non dimeno i Gladiatori che ne erano i principali stromenti : ed anche le civili ed ecclesiastiche leggi riguardando per incapaci agl’impieghi civili ed ec- clesiastici, ed escludendo dal clero i macellari , assai mo- strarono la persuasione di doversi detestare la crudeltà anco verso gli animali, se non per compassione di quelli, almeno per non farne tornare le, conseguenze a scapito dell’ umana società con inferocirne il costume. (2) » « Ma ciò basti su questo proposito. (3) » (2) V. le costituzioni di Clemente V , pubblicate nel con- cilio di Vienna ; e fra esse la prima de vita et honestate Cleri- corum. Anche dal governo inglese non ha molto fu fatta un’or- dinanza per reprimere il maltrattare e straziare gli animali utili e domestici. (3) Un eccellente libro su questo argomento è il saggio fi- losofico ,, fino a qual punto i barbari trattamenti esercitati sopra gli animali interessino la morale pubblica, e se converrebbe fare delle leggi a loro riguardo : di L. G. Grandchampe ec. tradotto in lingua toscana dal profess. Gio. Gualberto Uccelli ec. Firenze 1815 in 8. Ma ad onta di tutto quello che può scriversi e consigliarsi , dice il citato autore .,, Si solleverebbero invano i filosofi contro un tale abuso di potere dell’ uomo sopra gli animali, e contro il pericoloso errore che il fargli soffrire non è un delitto contro 112 Le premure dell’ editore per pubblicare con solleci- tudine questo volume di opuscoli , del quale, come di- cemmo fu cominciata la stampa qualche anno fa, e le molte e varie occupazioni del prof. Ciampi non gli per- misero di corredare il suo lavoro di tutte quelle note delle quali ei lo trovava capace. Ma per una seconda edi- zione, quando che sia, egli ha già preparate molte nuove annotazioni ed Mastvanionis ed ha fatto al suo volgariz- zamento medesimo varie correzioni , e cambiamenti che egli ha trovati essere opportuni , concessogli agio maggio- re di esaminare più tranquillamente la sua opera. Q. l’ umanità , senza un’ educazione generale e particolare , senza delle istruzioni consacrate a quest’ oggetto., che sviluppino, nu- triscano e consolidino questo sentimento , senza che vi si uni- sca l’ appoggia d’unasaggia legislazione , tutti i loro sforzi sa- ranno vani ed inutili, ,, ivi. pag. 114. 113 Del commercio e dei suoi pubblici lavori in Inghilter- ra e in Francia. Discorso letto il dì 2 giugno 1823, | nella pubblica seduta dell’Accademia delle scienze di Parigi, da CarLo Durim membro dell'stituto di Fran- cia. Tradotto dal francese. (*) Preambolo. I popoli lontani dal mare non han nulla da temere dalle flotte dell’ Inghilterra, e molti più popoli non han nulla da temere dalle armate di lei; ma tutti risentono necessariamente l’azione del di lei commercio o per be- nefizi o per danni. Importa al genere umano il conoscere (*) È ormai qualche anno che i nostri lettori avranno sentito rammentar con lode il nome del Sig. Dupin, e per la esten- sione delle cognizioni, e per la profondità delle sue opere, per le quali tuttavia in giovine età seppe meritamente acquistare di- ritto all’estimazione dei suoi compatriotti. Egli ha avato per scopo principale ne’ suoi lavori il far conoscere le istituzioni e l’ amministrazione dell’ Inghilterra, di un paese che ebbe ed ha di presente tanta influenza su i destini del globo. Egli ha adem- pito al suo scopo da uomo di stato, animato dai più generosi sentimenti, spogliato da qualunque preoccupazione. Concepì ul- timamente il felice pensiero di fare egli stesso 1’ analisi delle sue opere di pubblica economia, e di offrire in poche pagine la conclusione dei suoi scritti. Abbiam creduto che gradita potesse riuscire ai nostri lettori la versione di questa analisi, la quale egli lesse in una adunanza della R. Accademia delle scienze di Parigi; opuscolo interessante, non solo per l’importanza del sog- getto, quanto ancora per essere presentemente rivolti gli sguardi di tutti sull’ Inghilterra. Le opere che riguardano questo argomento e che sembrano contemplate nel presente opuscolo , sono le seguenti: Voyage dans la grande Bretagne : t. partie. Force muilitaire, 2. vol. 4.° avec atlas, 1820. fr. 25. 2. partie. Force navale, 2. vol. 4. avec atlas 1821. 25, 3: partie. Force commerciale (sotto il torchio ) 4. partie. Force productive. T. XIII Febbraio (es) 114 un’ industria, i prosperi e felici successi della quale influi- scono universalmente sul destino delle nazioni; e la gran- dezza di tale importanza ha fatto sì che abbiamo rad- doppiato il nostro zelo e le nostre fatiche, per restar meno che fosse possibile inferiori ad uno scopo troppo alto per noi. Abbiam tentato di studiare profondamente la natura e i mezzi di una forza commerciale straniera, ad oggetto di rintracciare i principii della di lei prosperità, portar questi principii fra noi, ed offrirli nel tempo stesso a tutte le altre regioni. Ecco quali sarebbero state le nostre mire nel pubblicare la terza parte dei nostri viaggi in Inghilterra. Abbiam creduto che fosse util cosa il riepilogare in poche parole le principali resultanze d’ una faticosa im- presa: e quindi abbiamo composto il presente discorso: e lo diamo in luce coll’ oggetto di presentare, a coluro che non hanno nè tempo nè volontà di scorrere una lunga opera didascalica , i pochi fatti e pensieri che giova di fis- sare nella memoria e d’imprimere nella convinzione di tutti i cittadini, per giungere al ben pubblico mercè la generale persuasione. Potendo noi amar la patria senza odiare gli altri po- poli, nè sapendo dimenticar d’ esser giusti eziandio verso coloro che troppo spesso si dimenticano d’ esser tali verso di noi, intendiamo principalmente di mostrare ciò che in essi sarebbe giovevole imitare. Sarebbe , non vi ha dubbio, cosa più popolare l’ encomiare soltanto i nostri belli in- traprendimenti , e le grandi reminiscenze , retaggio della gloria nostra. « È facil cosa, dice Socrate per bocca del Systeme de l'’administration britannique ; en 1822. Paris, 1823, 8.° fr. 3. Considérations sur les avantages de l’industrie et des machines en Frunce et en Angleterre , in 8. 1821. fr. 25. Mémoires sur la marine et les ponts et chaussées en France et en An- gleterre, contenant deux relations de voyages faits par l’auteur dans les ports d'Angleterre, d’Ecosse et d' Irlande, durant les années 1816 , 17 e 18, in 8. 1818.In Parigi presso Bacaeme, Libraro, Nota del direttore dell’ Antologia, | | i 115 suo più eloquente discepolo (1), il far sentire e gustare in mezzo ad Atene il panegirico d’ Atene ». Noi abbiam tentato di farvi sentir quello di Sparta: non per un basso desio d’ esaltar chi c’ invidia, e d’umiliar noi; ma per spronarci a riportar nuovi trofei, onde non discendere da quel grado d’onore ove i padri nostri hanno inalzata la patria fra le più illustri nazioni . Non abbiam fatto invano assegnamento sulla nobil pazienza de’ nostri uditori ai quali, senza volere , un cri- tico ha reso l’ omaggio più lusinghiero. « Non si sarebbe osato, egli dice , far così il nostro elogio al cospetto delle più illustri assemblee del popolo isolano di cui ci si van- tano i lavori ». Ciò è lo stesso che il confessare che se questo popolo ci contende per più d’ un titolo la palma, ci cede in generosità d’ animo. 4 In seno alla società reale di Londra, non si ardireb- be (ci si dice) pronunziar l’ elogio di lavori francesi. Eppure lo abbiamo fatto. Nel 1817, nel palazzo di Som- merset ove risiede l’accademia ch’ ebbe Neutono a presi- dente , a nome dei nostri ingegneri e dei nostri dotti ab- biam reclamato le prime idee, e il primo onore dei più luminosi perfezionamenti d’ un’ arte , sulla quale fonda in parte l'Impero britannico la sicurezza del suo potere; qual’ è l’ architettura navale. Rispose nobilmente a questo richiamo la società reale , pubblicando nelle sue iransa- zioni filosofiche la memoria colla quale si difendevano da noi i diritti del talento francese. Vero è che alcuni gior- nali inglesi ne fecero allora un delitto a quell’ illustre accademia : ma tutti gli animi alti e generosi resero giu- stizia alla dignitosa equità di tal procedere. Non bisogna darsi a credere che il pubblico in In- ghilterra non voglia sentirsi fare l’apologia della Francia, quando sia dettata dal sentimento della verità. Avem- mo coraggio di farlo quando nella Camera de’ Pari lord Stanhope propose , che il flagello dell’ occupazione a 116 mano armata fosse per la nostra patria prolungato. A. ciò si aggiunga che se per parte nostra vi fu qualche merita nell’adempire un dovere tanto naturale , non consistè nel. pubblicar la difesa della Francia, e la minaccia dei nostri, mezzi, in Inghilterra, ma sul continente, in faccia alle baionette straniere, e alle passioni europee. Ecco qual è V anglomaria di cui possiamo essere accusati, Del commercio e dei suoi lavori pubblici in Inghil- terra e in Francia, Jo avviso esser proprio di un vero cittadino preferire la salute dei pubblici interessi al favore procacciato da un linguaggio adulatore, Demosr. 3. Olintiaca. Per fare una analisi ordinata degli elementi che com- pongono il potere britannico, abbiamo cominciato dall’esa» minare le istituzioni ei lavori della forza militare, e della forza navale. Abbiam mostrato i mezzi offensivi e difensivi di un paese che la natura divise dal rimanente della terra mercè l’ ostacolo del mare, e per mezzo dell’ arte nautica circondato da baluardi a ad ora inespugnabili , baluardi che servono pure per attaccare, che trasportano armate da un emisfero all’ altro , e che sulle coste le più remote ‘ trovano tuttavia l’ Inghilterra, L’ambiziosa e prudente Inghilterra tiene dei posti avanzati alle spiaggie di tutti i continenti, i quali secondo la di lei fortuna servono ora di punto d’ appoggio per la conquista, ora di luogo di rifugio per la ritirata, e sempre di centro d’ intrapresa d’ un commercio irrequieto, e che affronta qualunque rischio. F ermiamoci un momento a contemplare questo spet: tacolo senza esempio nell’ isioria delle nazioni. L’ impero britannico si estende a un tempo in Eu- 119 ropa} a settentrione alla Danimarca, alla Germania ; all’ Olanda; alla Francia ; verso il mezzodì alla Spagna, alla Sicilia , all’ Italia , alla Turchia occidentale ; possiede le chiavi dell’ Adriatico e del Mediterraneo ; comanda allo sbocco del Mar Nero, come a quello del Baltico. Per un momento la sua marina arbitra dell'Arcipelago ha cessato d’essere avversa ai greci; e tosto i porti del Peloponneso han trovato i loro liberatori nella posterità degli Eraclidi; e da Corinto a Tenedo il mare che conduce al Bosforo, è divenuto pei figli degli argonauti la strada della vittoria e di un altro vello d’ oro , l’ indipendenza nazionale: L'im- pero britannico tollera in Europa questa conquista: In America confina colla Russia dalla parte del polo, e con gli Stati Uniti da quello delle regioni temperate: Sotto la zona torrida domina in mezzo alle Antille , cir- conda il golfo del Messico; e si trova in faccia ai nuovi stati; che egli è stato il primo a sottrarre alla dipendenza della loro madre-patria , per porli con maggior sicurezza sotto quella della sua industria mercantile: E per spa- ventare nei due mondi qualsivoglia mortale che tentasse involargli la face del suo genio e il segreto delle sue con- quiste, fra l’Affrica e l’ America, sulla via dall'Europa in Asia, custodisce lo scoglio ove incatenò colle proprie mani il Prometeo moderno. In Affrica dal seno all’ isola consacrata già; sotto il simbolo della croce, alla sicurezza di tutte le bandiere cristiane , l'Impero britannico impone ai barbareschi il rispetto della sola sua potenza. Dal piè delle colonne d’ Ercole porta il terrore fino nel fondo delle provincie del Mauro. Sulle spiaggie dell’ Atlantico ha inalzati i forti della Costa d’oro e della montagna del Leone ( Siera Le- one ); e di là sì getta sulla preda fatta dalle razze europee a quelle de’ negri, di là destina alla gleba quei che invola alla tratta. Sullo stesso continente, oltre i tropici; e nella parte più vicina al polo australe, si è impadronito d’un rifu- 118 gio. sotto il capo delle tempeste. Ove lo spagnolo e il porto- ghese.avean solo veduto una stazione, e gli olandesi un luo- go conveniente ad una piantazione ; ei forma una colonia d’un nuovo popolo britannico; ed unendo l’attività dell’in- glese alla pazienza del batavo, in questo momento amplia i confini d’uno stabilimento, che si aggrandirà nel sud dell’ Affrica al pari degli stati fondati nel nord dell’ Ame- rica. Da questo nuovo centro di azione e di conquista stende lo sguardo sulla strada dell’ Indie , scopre ed in- vade le stazioni più convenienti al suo corso commercia- le, e così rendesi padrone esclusivo degli scali affricani del levante d’ un’ altro emisfero. } Finalmente l'Impero britannico, temuto del pari sul golfo persico, nel mare Eritreo, sull'Oceano pacifico , e nell’ Arcipelago indiano, possessore delle più belle regioni orientali, vede i suoi fattori regnare sopra sessanta milioni di sudditi. Le conquiste dei suoi negozianti. cominciano in Asia ove si fermarono quelle di Alessandro , ove non potè giungere il dio Termine dei romani. Oggi dalle rive dell’ Indo alle frontiere della China, dalle foci del. Gange alle sommità del Tibet, tutto riceve legge da una compa- gnia mercantile confinata in una angusta strada della città di Londra. In tal guisa un’ isola che nell’ Arcipelago oceanico potrebbe appena valutarsi di terzo ordine , mercè il vigo- re delle sue istituzioni e i progressi nelle arti civili e militari, fa da un centro unico sentir l’effetto della sua in- dustria, il peso del suo potere alle quattro parti del mon- do; e nel tempo stesso ne popola ed incivilisce una quinta, la quale seguirà le sue leggi, parlerà la sua lingua, e adotterà i suoi costumi, il suo traffico unitamente alle arti e a’ lumi suoi. Tante colonie e provincie disperse che formerebbero la debolezza e la rovina di qualunque altra nazione, fan la salute e la forza del popolo britannico. Essendo Y' In- 119 ghilterra separata a immense distanze delle sue esterne ‘provincie, ne viene che essa non è vulnerabile con queste: e trovandosi queste separate fra loro per sì grandi inter- valli, non potrebbero a un tempo soccombere sotto un solo nemico. È difficile attaccarle, il bloccarle impossibile. I bisogni dell’ industria, del traffico, e del governo fra la metropoli e le possessioni disperse sulle spiagge di tutti i mari esigono anco in tempo di pace un immenso numero di vascelli ; e questi spiegando le vele al primo segnale verso il punto minacciato, vi recano riuforzi e soccorsi che lo rendono inespugnabile o per forza o per penuria. Certamente l’ Inghilterra non varrebbe a resister sola al vicino più potente in ciascuno di questi remoti pos- sessi. Ma ovunque il popolo più formidabile è per gli altri oggetto d'invidia e di odio sotto il velo del timore. Ma un’ industria saggiamente adoperata dall’ Inghilterra è l’arte di mutare in ostilità dichiarata la segreta nimicizia delle nazioni limitrofe ; e questo pure è un guadagno che a lei portano i tesori del suo traffico. In quanto ai popoli non istabiliti alle frontiere delle loro possessioni ; la sfera della loro azione è più limitata che quella della loro influenza. Nissun di loro potrebbe regger la pugna con la Gran-Brettagna sopra un. campo distante del pari dalle due patrie madri; perchè nissun popolo possiede mezzi sì grandi da trasportar rapidamen- te tanto lontano le sue armi, i suoi difensori: è questa la superiorità della forza commerciale. Un grand’ esempio renderà anco più potente questa verità, non ben cono- sciuta . ‘Si vede il popolo romano a guisa d’ un ostinato mi- natore attaccarsi alla terra; procedere colla zappa e di parallelo in parallelo per impossessarsi gradatamente di tutti i posti militari dell’antico mondo. Egli ha impie- gato otto cento anni a continuare l’ assedio dell’ universo. La sua forza d’ aggressione sì è fiaccata in faccia al Parto 120 fuggitivo e al resistente Germano: e si è fermato per stant- chezza prima di giungere all’ Indiano. Allora 1’ impero rimase in certo modo oppresso dalla propria grandezza. La sua difesa chiese armate più numerose di quelle che furo- no necessarie per le sue conquiste. Pure questi nembi di soldati sparsi sopra un’ immensa frontiera senza strade, senza mezzi solleciti e facili di trasporto e di riconcentrazio- ne, si trovarono ovunque deboli ed isolati. I guerrieri non furono più bastanti, e bisognò ricorrere alle fosse e alle mu- ra per mettere in salvo dalle mani de’\barbari l'impero dei Cesari e degli Scipioni. Ma questi ripari vagliono solo per gli armati che li difendono, e non posson trattenere la violenta irruzione dei popoli i meno addestrati nell’ arte della guerra. L'impero compresso da ogni parte si rim- piccolì più presto che non erasi aggrandito, e passando di nuovo pe’ limiti dei suoi aggrandimenti, arrivò alla sua totale distruzione. Se Roma avesse avuta una industria commerciale e marittima paragonabile a quella dell’ Inghilterra, in- vece di rendere immobili le sue forze offensive, avrebbe fatte mobili ancora le propie forze difensive; le avreb- be opportunamente trasportate sopra ogni punto minac- ciato, e sarebbesi mostrata superiore alle aggressioni iso- late e intermittenti dei popoli privi dei vantaggi della ci- viltà. L'Impero britannico possiede dunque un principio di resistenza di cui mancava l’impero romano, e questo principio è quello della forza commerciale. Vi fu un tempo nel quale chi avesse osato misurare la potenza di un popolo rivale nella sua vera grandezza, e palesare questa misura, invece di amico de’ suoi concitta- dini, sarebbe apparso nemico della loro gloria, e dispre- giatore d’una patria che voleva rimanere accecata. I piag- giatori delle nazioni, corruttori e dannosi quanto quelli dei re, presentavano ai popoli del continente il dominio del- l’isolano come giunto all’ orlo della sua ruina, discen- 12I dendo alla fine dalla sua altezza, anco allotchè scavava abissi per ascondervi le fondamenta d’ una forza affatto nuova. La potenza delle nazioni è agli occhi del savio un fatto che egli studia come un naturalista studia un feno- meno, come un geometra studia le verità matematiche, cioè coll’investigarne i principii e scoprirne le conseguenze. Tale è la filosofia che deve essere di scorta al viaggiatore se vuol dare a’ suoi racconti l’autorità dell’ istoria , o piut- tosto se vuole ricondurre l’ istoria alla sua nobile origine, e riporla nella classe delle scienze di osservazione, e ren- derla tale qual era a’ tempi di Erodoto, di Xenofonte, di Polibio, di Tacito, cioè la scienza delle cose e de’ luoghi , osservati e veduti da sè medesimo (2). i Poche parole son bastate a far comprendere di quan- ta fortuna sia debitore alla forza commerciale l’ Impero britannico considerato sotto questo aspetto. Ma quali mezzi, quali operazioni han prodotta questa forza? Eguali operazioni, mezzi analoghi erano idonei ad inalzare altri popoli all’isteso grado di potere ? E potrebbero anco farlo presentemente? Ecco ciò che c’ interessa sapere: come francese per l’ interesse della Francia; come amico di tutta l'umanità, per quel retto e generoso sentimento che ci fa prendere interesse per la dignità, per la pace, per l'indipendenza, per la felicità di tutte le nazioni, qua- lunque siasi il punto del globo, ove la natura ha posto la patria loro. Inspirati da questi grandi motivi vorremmo noi in- dagare le cause della prosperità commerciale dell’Inghil- terra; badiamo bene dal vederle soltanto nelle frodi della malizia , e nell’ abuso della forza. I successi ottenuti nel governo delle arti, sono simi- li a quelli che si ottengono nel governo degli uomini. Si può conquistare per frode , per sopresa, per violenza ; nè è possibile sostenervisi con altri mezzi se non per vie con- 122 trarie. Ciò che mantiene la superiorità dei prodotti e del commercio del suo paese non è solamente il coraggio e |’ attività, ma bensì l’intelligenza, l’avvedutezza e l’ econo- mia, e sopra tutto la probità dell’uomo industrioso. Se mai l’ utile cittadino dell’ isole britanniche perdesse le proprie virtù , è indubitato che per l’ Inghilterra, come per qualunque altra regione, i vascelli d’un commercio degenerato, scacciati da tutte le spiaggie , ad onta della protezione delle più formidabili flotte militari, e. non ostante la previdenza e gli aiuti della più estesa diplo- mazia e della più stcafonla politica, sparirebbero dai mari che oggi cuoprono dei tesori dell’ universo cambiati coi tesori dell'industria dei tre regni. Bisogna internarsi più avanti nella cognizione d'un carattere cui deve il commercio britannico la sua più maravigliosa prosperità. Ponghiamo mente a quel carat- tere che imprime l’ impulso al pensiero del pari che al- l’azione degl’ individui , che eccita un’ ardenza irresisti- bile, insaziabile di superare ogni rivale, e soprattuto di deprimere lo straniero con una gara personale e nazionale al tempo stesso. E quali sono i mezzi per ottener ciò? Una attività tranquilla, continuata e metodica; un’audacia pensata, che muove lo speculatore a tentare tutto ciò che la previdenza, e dirò quasi la divinazione dei calcoli pre- senta come capace d’ offrire nella totalità minori casi di cattivo che di buen esito. À ciò si aggiunga una perseve- ranza nelle imprese comuni o private, dipendente dalla stabilità delle istituzioni, dalla quale a lungo andare proviene la costanza dei caratteri, e tante altre energiche virtà che esercitano sugli animi un’azione, la cui prima molla è uno spirito pubblico, inspirato dall’ eccellenza dell'ordine pubblico, e dalla. protezione inviolabile di leggi accettissime. A queste cause morali si aggiungano ancora regole di politica e domestica economia favorevoli ad ogni in- 123 teresse, eccitanti di ogni maniera } industria animatrice d’ ogni talento. «©. In quanto alle cause materiali porremo in primo luogo le strade pubbliche, e gli stabilimenti che agevolano i trasporti e i depositi nell'interno, e prossimamente alle coste; l’arte stessa dei trasporti e-de’cambi ; la creazione dei prodotti d’industria, che formano la materia dei cambi. Incominceremo dal descrivere i lavori eseguiti su ciascun punto della Gran- Bretagna onde rendere spediti , facili , ed economici i viaggi e le comunicazioni del com- ‘mercio interno: mercè dei quali si sono, diremo così, rav- vieinati i porti; le coste, e tutti i centri di produzione stabiliti dall'industria nel seno dei tre regni: nel tempo stesso che i progressi e l’ economia della navigazione rav- vicinavano questi regni a tutti i continenti, ove può ab- bordare la bandiera britannica. {-. Dopo aver tenuto dietro ai prodotti dell’ industria inglese fino al mare, seguendo tutte le strade di co- municazione interna, li seguiremo su i vascelli a tra- verso l’ oceano. Prenderemo terra colla marina d’ Albio- ne presso tutti i popoli che trafficano con -lei. Esamine- remo questa lotta apparentemente pacifica, che senza interruzione si mantien ‘viva fra il commercio dell’ In- ghilterra e quello delle altre nazioni. Ciascun popolo ci presenterà lo spettacolo di un nuovo genere di conflitto. Vedremo uno alzarsi alla concorrenza colla sua prudenza e colla sua economia : l’altro eolla delicatezza ‘e il buon gusto de’ suoi prodotti, un terzo ancora colla sua audacia ed attività. Ma vedremo che per la maggior parte riman- gono inferiori e son vinti, non avendo saputo combatte- re con tutti questi mezzi riuniti. Allora ci sarà palese cosa vi sia di fortuito nella grandezza marittima e com- merciale dell’ Impero britannico , e quel che vi si trovi di previsto, di calcolato , di necessario.-Sapremo non solo 124 enumerare il valsente attuale delle vendite, e degli acqui- sti territoriali o mercantili: questi dati ci serviranno a scoprir nel passato le conseguenze che potrà avere sul- l’avvenire. Nell’ istessa guisa che un alunno d’ Archimede impara a misurar la stabilità d’ un vascello conosciu- tane la grandezza, la forma, l’ azione del carico, delle ve- le e del timone ; così impareremo noi a misurare la. sta- bilità della potenza britannica, conosciuti i suoi mezzi fisici e la sua popolazione, seguendo l’ azione combinata delle sue istituzioni e delle sue leggi. L’ ordine da noi adottato nell’ esaminare la forza commerciale dell’ Inghilterra, facendoci da principio a studiare e descrivere i lavori che la favoriscono, e la fan- no fiorire anco nel centro dello stato, per quindi grada- tamente seguitarla fino alle spiagge più lontane, que- st'ordine, io ripeto, è il solo di cui debba presentarsi l’esempio alla Francia. Fa di mestieri prima di tutto vi» vificare l'interno per svegliarvi una energia , che possa quindi all’ esterno farci prender posto su tutti i punti del globo su’ quali la nostra industria commerciale si porterà a diffondere i suoi benefici. Pure un tal ordine è il contrario di quello che han tenuto gl’inglesi per impossessarsi del traffico dell’ uni- verso: almeno così ci dice la loro storia: Al principio del secolo decimosettimo 1’ Inghilterra ha appena strade praticabili , e mon ha canali: ma il mare ha strade e canali, immensi quanto i desideri e le speran- ze dell’ Inghilterra. L’arte non ha peranco nulla ag- giunto ai doni di natura ne’ porti britannici, e già la re- gina Elisabetta ha fatto accuratamente esplorare |’ uni- verso dai vincitori della Grande Armada: sotto gli auspi- ci della loro illustre sovrana han già formata la compa- gnia dell’Indie orientali per speculare sopra un traffico conosciuto , e la compagnia dei mari settentrionali col- l'oggetto di scoprire e acquistare fonte di traffico ancora 125 ignoto. In tal guisa, il popolo sovrano, fedele al culto della propria ambizione, nel Panteone delle divinità conquistate ergeva ‘un altare agli dei ignoti, cioè agli dei che gli re- stavano da conquistare. Le interne turbolenze che tosto successero al regno d’ Elisabetta, portarono all’ estero con nuovo ordine l’e- nergia e l’attività degl’ industriosi cittadini; e i cambi lucrosi del commercio estero furono riguardati come le più feconde sorgenti della pubblica e privata ricchezza, come l’elemento della superiorità del popolo britannico. E quindi i grandi sforzi per acquistare il dominio dei mari, e la preponderanza per abordare ogni conti- nente . Ma una potenza slanciatasi per dir così al di là del territorio che le serviva di punto d’ appoggio, non aveva in sè stessa la sicurtà della propria durata , e la guarenti- gia delle sue proprietà. La guerra poteva ioplicrte ciò che la guerra le aveva dato, e l'industria marittima delle potenze rivali rapirle ciò che la sua industria marittima le aveva procacciato. Uno di quei geni i quali nascono per stabilire su nuovi fondamenti il destino degl’ imperi, un ministro che non avrebbe avuto l’eguale nel suo secolo, se probo verso i suoi concittadini, fosse stato tale ancora verso gli stranieri, Lord Chatham imprese a trapiantare sul suola della sua patria Je radici della potenza esterna dell’ In- ghilterra. Ei yolle porre in salvo dagli eventi e dai bi- sogni della guerra la fortuna de’suoi concittadini, e con- seguentemente quella dello stato. Fedele sempre agl’im- pegni contratti co’ particolari, osò di rendere il credito un’ arme per le battaglie, stabilì alleanza fra le forze pubbliche e la individuale, fra la politica delle corti e i sussidi delle arti, onde assalire per ogni verso la potenza e la ricchezza dei popoli rivali. In una parola la guerra istessa, non meno che la pace e i trattati, intrapresa e 126 continuata con un’ oggetto di semplice industria ; ebbe la. vittoria per mezzo, la conquista per circostanza, il. cal- colo per ausiliare , e il commercio per scopo principale. Nella sala ove fanno le loro adunanze {generali le corporazioni mercantili della città di Londra, ho letto sul piedistallo del monumento dalla gratitudine inalzato alla memoria di Chatham, il seguente scritto che mi fece una profonda impressione: Al ministro il quale fu il primo a scoprire il mez- 20 di far fiorire il commercio e l'industria in tempo di guerra ancor più che in tempo di pace. Fa di mestieri mostrare le risultanze di questo me- raviglioso concepimento. Sotto il ministero di Chatham, in mezzo alla guerra de’sette anni, si viddero cominciare tutte le grandi opera- zioni interne proficue al commercio, e che oggi formano l’ammirazione dello straniero. Nel 1756 l'Inghilterra non possedeva una sola linea di navigazione artificiale, ed aveva per terra soltanto un piccol numero di strade mal tagliate e mal mantenute. i Tutto ad un tratto un particolare concepisce il pen- siero di trarre profitto dal moto generale impresso all’ in- dustria, per scavare un canale che trasporti a Manchester il prodotto delle sue miniere. Immediatamente sì solleva a maggiori progetti Liverpool , città di prospero stato ; e la cui esuberante ricchezza cerca ovunque degli sbocchi produttivi. Essa imprende ad aprire un canale navigabile fra il mar d'Irlanda e l’ oceano germanico. Sono poi gradatamente aperte altre strade più estese : e nello spa- zio d’ un mezzo secolo , coll’ oggetto di mettere in comu- nicazione mari opposti , bacini separati da numerose ca- tene di montagne e di colline , porti opulenti, città indu- striose, campagne fertili, miniere inesauribili, un doppio sistema di canali per la minore e maggior navigazione , presenta una estensione che eccede le mille leghe di lun- ” PELINE 127 ghezza sopra una porzione di territorio, che non è eguale a un quarto della Francia. Per distribuire l’acqua necessaria ai bisogni della vita degli abitanti, e il gas che produce quella luce sì brillante e sì pura che apparisce nelle nostre città nelle notti le più profonde come un’ aurora anticipata, oggi si rammificano sotto il pavimento di Londra de’ condotti e de’ canali per la lunghezza di quattro cento leghe. Le altre vie di comunicazioni sono l’ oggetto di una egual sollecitudine. Le strade già esistenti. sono allargate e con arte maggiore costruite di nuovo, mante- nute con più cura; le nuove son consacrate al commercio, e vien formato un sistema di strade, la total lunghezza delle quali al dì d’oggi eccede 46 mila leghe nella sola Inghilterra. Nel tempo che si operano tali prodigi, si scavano de’ porti e dei bacini per contenere de’ vascelli ; nuovi moli, muovi fari, nuove gettate accrescono la sicurezza degli sbarchi e di tutte le spiagge per più di sei cento le- ghe di costa. Mercè questi lavori, venti due mila tre cen- to vascelli mercantili montati da cento sessanta mila uo- mini , e capaci di caricare due milioni di tonnellate di mercanzie, bastano appena in questo momento ai traspor- ti da costa a costa, all’ esportazione marittima del super- fluo della circolazione interna; e all’ importazione dei prodotti forestieri necessari per mantenere questa immen- sa circolazione. Sono questi i progressi, l'origine dei quali risale alla metò della guerra dei sette anni, progressi ‘che la, guerra tanto disastrosa contro le colonie americane ha rallenta- to sì ma non ha potuto interrompere; che sonosi tutto ad un tratto rianimati per l'abbandono di queste stesse colo- mie; e che han preso un passo così gigantesco special- mente nel tempo delle guerre lunghe ed ostinate della Repubblica , del Consolato , e dell’ Impero francese. 123 i In tal guisa l’ Inghilterra fioriva nell’interno, quan- do pareva che i suoi sagrifici all’esterno ne accellerassero la caduta e ne preparassero la rovina. In tal guisa anco dopo la pace, entrando in guerra d’ industria contro tutti i popoli, animata dalla sua forza commerciale interna, co- me un essere vivente, e dalla sua forza vitale, ha rovesciati tutti i suoi rivali, tanto all’ estremità del nuovo quanto nel cuore del vecchio mondo. Divenuta una volta supe- riore in questa lotta, essa getta via il suo antico usbergo, e fa cadere gli argini delle sue proibizioni. (3) Apre tutti i suoi porti ai forestieri, ed offre loro i suoi magazzini di deposito (4) . Nè altro implora da’ suoi rivali d’industria che un solo favore, cioè che come,lei scendano nudi nel- l’ arena ove le sue nuove prodezze le assicurano la vittoria. Cosa ha fatto dunque l’ amministrazione britannica per produrre in sì breve tempo lavori pubblici capaci di render possibili i gran resultamenti , dei quali abbiam presentato il prospetto? — Niente affatto — Essa ha la- sciato fare al commercio, credendo di fargli "assai servi- gio dandogli protezione all’ esterno , giustizia dovunque, e libertà nell’interno. Ha lasciato che i fabbricanti, i . proprietari, i negozianti di grandi, di mediocri e di picco- li capitali conferissero fra loro, circa i reciproci bisogni, le opere che potessero esser loro vantaggiose , finalmente intorno ai mezzi di intraprendere ed eseguire eglino stessi queste opere (5). | Tali lavori che danno nuova prosperità al com- mercio, han pure al tempo istesso il vantaggio di aumen- tare la proprietà fondiaria. Ai possessi territoriali , che sapere umano non potrebbe dilatare oltre i limiti stabiliti dalla natura , aggiungono essi de’possessi industriali , il- limitati nelle loro varietà , nella loro ricchezza , e nella loro grandezza quanto il genio che li ha fatti esistere’ In simil modo nel breve spazio di sessant’ anni l’ industria commerciale ha creati dei valori inseparabili dal suolo 129 per cinquecento milioni sulle strade, e per un altro mili- ardo in tutti i porti , e sulle rive del mare. Nè il fare questi nuovi acquisti è soltanto un cresce- re in opulenza. Divenendo i cittadini proprietari dei ca- ‘nali, delle strade, dei ponti, dei bacini , delle spiagge e dei magazzini necessari a’ depositi delle merci, prendono al tempo stesso lo stabile interesse che si attacca al pos- sesso degl’ immobili , e l'interesse mobile che muta og- getto e luogo a seconda delle speculazioni e delle vicende del commercio esterno. Ma queste creazioni han prodotto nella Gran-Brettagna un altro benefizio. Nel tempo che alcune antiche leggi favoriscono in Inghilterra che le eredità fondarie si concentrino in un troppo ristretto numero di mani onnipotenti, vi sono altri provvedimenti savissimi che porgono un termine a questa invasione della ricchezza a favore delle proprietà di associazione. Freno salutare stabilito colla mira di ri- parar le perdite deplorabili che incessantemente fanno i molti proprietari, che conservano una parte nel possesso del territorio. Encomiando la felice divisione delle proprietà pro- dotte dal commercio, se contenerci vogliamo ne’ limiti mostratici dall’ esperienza e impostici dalla giustizia, non devesi considerare affatto come un flagello la concentra- zione della ricchezza , anco agricola. La diseguale distri- buzione delle ricchezze territoriali ( come la maggior parte degli stabilimenti imperfetti consolidati dal lungo esistere) ci presenta un miscuglio.di beni e di mali, i quali, mercè la bizzarria degli uomini, e specialmente l’ aberrazione dei loro interessi privati, somministrano apologisti ad abusi che muovono a ira , e detrattori alle più felici com- ‘peusazioni . «Bisogna convenirne: in Inghilterra gl’ immensi ca- pitali di alcuni particolari contribuiscono potentemente a intraprendere ed eseguire lavori di una comune utilità, T. XII. Febbraio. 9 130 che esigono che i socii per questa data intrapresa facciano considerabili anticipazioni o lunghi sagrifizi. I gran pro- prietari non sono i nemici dei perfezionamenti e delle in- venzioni propizie all’industria e favorevoli al commercio. Invece d’ invidiare i prosperi successi della classe labo- riosa, impegnano il popolo tutto al lavoro, alla previden- za, alla economia; le quali cose , nel tempo che le procu- rano agi e felicità, possono renderla fiera ed indipendente, come deve essere un popolo ricco e libero (6). d Sovente le più grandi famiglie d’ Inghilterra sono di- scese nella classe dell’ industria per acquistar nuovi titoli di popolarità , di stima, di orrore, e così han saputo pro- durre lavori di una utilità generale, e che appariscono su- periori ai sagrifizi d’ un privato. Se discorrerete le campagne e le coste della Gran Brettagna, ovunque scoprirete monumenti di questo spirito magnanimo. Volete voi sapere quali sieno stati i creatori di quel canale, che diffonde la vita e l’attività nelle vici- nanze, fin nel cuore di una gran città manifatturiera? — Il duca di Bridgewater immaginò e condusse a termine questa bella impresa. Quali sono i creatori di quella stra- da di ferro per la quale si carreggiano a dieci miglia di di- stanza i prodotti d’ una miniera e si conducono i viaggia- tori d’un paese fino al lido del mare in un porto artificiale? Qual potente società ha cestruiti i bacini , i cantieri , i moli e gli edifici di questo portico? Il duca di Portland, che basta solo a sì vasti lavori. Se percorrerete le più belle città della Gran Bretta- gna, troverete pure ad ogni passo monumenti di pubblica utilità inalzati dalla sola munificenza di qualche opulento e generoso proprietario. Un semplice mercante fece fab- bricare la borsa di Londra. Un cavaliere fece costruire a proprie spese il grande acquedotto della rowpelle rivière. Un Cavendish , un Bedford han creato nel proprio suolo, ne’ più bei quartieri della metropoli, piazze tanto vaste 13% quanto quella di Luigi XY, strade Lui regulari quanto la rue Castiglione, e più spaziose ancora dei la rue de la Paix . ‘All’aspetto di così nobili creazioni , ( chiederete senza dubbio di visitare i palazzi dei patrizi e dei plebei regal- mente facoltosi, autori di si grandi lavori. Ebbene! Quan- do vi sarà indicato l’esteriore e la situazione delle sem- plici loro abitazioni in seno della capitale, durerete fatica a distinguerle fra quelle che stanno loro intorno. Questo maraviglioso contrasto non richiama forse al nostro pensiero alcuni passi dell’ elogio detto da Demoste- ne sugli uomini famosi, i lavori, la moderazione e le virtù dei quali diedero tanto lustro alla florida Atene? « Tali essi furono alla testa de’ popoli della Grecia (egli dice, rammentando i loro servigi politici e militari). Ora mirate cosa fossero e per loro stessi e per. lo stato. Per la patria hanno eseguiti sì vasti lavori; inalzati tali edi- fici; edificati, abbelliti con sì gran magnificenza tanti no- stri templi ; consacrati ne’ santuari di quelli sì rari doni, spoglie così gloriose, da non lasciare di che la posterità gli sorpassi... Quanto a loro furono sì moderati, sì fedeli ai costumi della repubblica, che se talun cercava nelle città le case d’Aristide e di Temistocle , e di altri uomini illustri de’ loro tempi, le trovavano semplici e modeste ome quelle dei loro vicini i più meschini. Poichè non in- tendevano a dirigere i pubblici affari per aumentare le oro facoltà , ma per accrescere la fortuna pubblica. Leali erso i popoli della Grecia, più verso gli Dei, equi verso i loro concittadini, salirono per una via tanto sicura al col- o della felicità e delle prosperità (7) ». Un sì magnifico elogio, che non conviene certamente e non ai più felici giorni d’un secolo onninamente eroico, ò applicarsi solamente e in parte agli uomini potenti ella Gran Brettagna (8); ma rammemora almeno alcu- i 132 na delleoro virtù e dei loro sforzi per aggiungere allo splendore , all’ opulenza e alla civiltà della patria loro . Questo bell’officio della classe opulenta e privilegiata, questo saggio patrocinio , questo vero patriziato non pos- siamo forse sperare di vederlo adempito fra noi? Ah! se la reminiscenza dei benefizi prodigati alla società dai Bed- ford, da’ Bridgewater , dai Fox, dagli Chatham, da’Port- dada: dai Cavendisch si associa a tutte le idee di genio, di sapere , di eloquenza; a tutti i sentimenti di amore al paese , di zelo verso il Principe; a tutte le memorie de’ servigi resi all’industria nazionale, alla fortuna de’ citta- dini, alla potenza dello stato , non abbiam forse anco noi nomi del pari illustri da rammemorarsi alla Francia ed al trono? I nomi dei Colbert, dei Vauban, de’ Molé (9), de’ Sé- guier (10), dei Malesherbes, dei Daguesseau , dei Laura- guais, degli Choiseul (11) e de’ La Rochefoucault non vivono forse anche oggi in mezzo alla Francia? I lavori pubblici , e l'industria de’ cittadini non ‘si onorano anche oggi de’loro soccorsi? I nostri più belli istituti non han- no forse per guarentigia e per sostegno la maggior parte delle famiglie che decorano questi nomi, famiglie che rammentano alla nostra gratitudine quei padri del popolo, quei sostegni del trono, i quali ( come l’ Hòpital ne'con- sigli, Montausier alla corte , Sully in campo e alla custo- dia del tesoro ) consolidavano la suprema autorità con la direzione dei loro talenti, e colla tutelare resistenza delle loro austere virtù. No certo, non sapremmo per un sola istante dimenticare nomi che negli annali della nostra fama si associano inseparabilmente alle rimembranze di tutte le nostre grandi opere , di tutti i nostri monumenti, e dei più bei tratti del nostro carattere nazionale. È duopo segnar lo stadio delle illustrazioni moderne coll’ esempio delle antiche illustrazioni ; e questo esempio non rimarrà 133 ‘mai sterile sopra un suolo ove Ponore è il primo bene , e la più nobile ricompensa. Accanto alle reminiscenze lasciate fra noi dalla grandezza patrizia, rammentiamo con pari orgoglio per la celebrità della Francia le opere benefiche, e le patriottiche intraprese dei J. Coeur, dei Riquet, dei Laborde, dei Beaujon, dei Turgot, Wi Necker e di tanti altri che ren- dendosi illustri ad epoche anco più recenti colle opere, co’ costumi e co talenti loro, han segnalato i titoli delle loro famiglie, e il posto d’ora innanzi istorico della loro posterità . Ma non andiamo in traccia soltanto per la patria di glorie isolate e di celebrità ereditarie. Volgiamo i nostri sguardi con egual favore su tutte le classi della società ; adopriamoci a diffondere un generoso spirito di associazio- ne indiritto a imprendere lavori utili alla patria. Allora vedremo formarsi vincoli di comune interesse, di privata | amicizia, di stima particolare fra tutti gli ordini, in mez- zo a tutti i partiti: e forse la pubblica cancondi con la for- tuna e la forza dello stato saran la conseguenza meno lon- tana che si potesse sperare delle associazioni, e dei rav- | vicinamenti, di cui vorremmo in questo momento mo- strare gl’immensi benefici in tutto il loro splendore. Nè questa è già una vana utopia. Una splendida e grande esperienza presso il popolo di cui ci occupiamo a conoscere le prosperità, ha mostrato il potere che han queste fortunate occupazioni per addolcire l’asprezza delle passioni politiche , e per ricondurre la pace interna per mezzo del ben essere generale. Dopo la rivolta del 1688, dopo la ribellione del 1745, quante ferite versavan sangue da tutti i cuori, quante diverse reminiscenze laceravano tutte le anime! Allora un’ utile diversione sopravvenne. I cittadini d’ogni condizione , simolati da un abil gover- mo a rivolgere verso oggetti di comune utilità il fuoco concentrato che divorava gli spiriti, posero tregua alle loro 134 erudeli divisioni. Alcuni Whigs; e alcuni Torys comin- ciarono ad intendersi sul ilo il corso di qualche fiume, sul taglio di qualche strada, sulla creazione di qualche porto. Ciascuna parte riconobbe con meraviglia che non era vero essere ella la sola a volere il ben gene- rale , la gloria dello stato , la fortuna pubblica. Ciascuno conservò l’ attitudine sociale in cui posto l’avevano la sua indole e le sue idee ; alcuni continuarono a servir la pa- tria sotto l’ ombra maestosa della prerogativa , altri allo splendore delle loro popolari virtù. Ma ponendo avan- li a tutto l’amore del proprio paese, unito nel loro cuore. all’ affetto verso il principe, questo sentimento divenne negli animi la sorgente d’una felice simpatia; la tolleranza s' introdusse nelle opinioni politiche come erasi introdot- ta nelle opinioni religiose: e l'inglese in pochi anni, libe- rato dalla umiliante condizione di un popolo vinto ; non solo fuori dagli eroi francesi, (12) ma sul proprio suo ter- ritorio da montanari senza esperienza, si inalza alla gloriosa condizione (1 3) d’un popolo che detta la legge della guerra e della pace. . Tanto è grande all’ esterno 1a prepon- deranza d’un impero che fa fiorire l'industria e il com- mercio col benefico e vivificante influsso del patriottismo e della concordia. Se noi confortiamo i nostri concittadini a tener la via per la quale da un mezzo secolo in qua 1’ Inghilterra ha proceduto alla sua felicità e alla sua fortuna, non si creda già che noi intendiamo di far discendere la Francia a rappresentar la parte subalterna d’imitatrice. La Francia, relativamente al grande interesse di cui ci occupiamo, del pari che di qualunque altro interesse pubblico O) patticola- re, anzi che ricevere, ha dato esempio di ciò che è bello ì’ intraprendere: Il forestiere ha dovuto cominciare dal- l’imitare per tentare di pervenire all’altezza di lei: e se talvolta l’ha sorpassata , ciò è avvenuto soltanto quando ella ha cessato dall’imitar sè rnedesima. Ma invece di . 7 | 135 encomiar la patria con vane parole lasciamo che parlino i fatti. Il medio evo era tuttavia barbaro , e già Carlo Magno insegnava al suo secolo che un canale aperto fra le sor- genti riavvicinate del Danubio e del Reno avrebbe po- tuto unire l’ Eussino all’ Oceano, e il nord deli’ Europa all’occidente dell'Asia. Frai moderni Enrico IV è il primo che dal concepimento procedè all’ esecuzione per riunire per mezzo d’ un canale bacini separati da una catena di montagne. Scortato dall’istesso genio con cui meditava l'alleanza dei re per la felicità delle nazioni, meditava l’al- leanza de’ mari per la prosperità de’ continenti , quando l’assassinio troncò il corso de’ suoi disegni, che segnavano all'Europa il vero cammino della civiltà e delle prospe- rità sociali. Due generazioni di grand’uomini sotto suo fi- glio e suo nipote bastano a pena per portare ad esecuzio- ne la più piccola parte dei suoi disegni. Le opere maravigliose intraprese durante il suo regno per congiun- gere la Senna alla Loira , interrotte per trent'anni dopo la disgrazia del Sully, cioè dopo i funerali del suo reale amico , furono condotte a fine dal Richelieu. Questi ma- nifesta alle monarchie europee il vantaggio nazionale di lasciare ai cittadini il dominio e l'esecuzione delle vie interne delle navigazioni artificiali . Il Colbert ne’ giorni d’ un regno che ricevè da lui tanto lustro , fa vedere alle moderne popolazioni come si possa riunire l Oceano al mediterraneo favoreggiando lo zelo, e lasciando agire il talento d’un semplice particolare ; e il gran Corneille con canti degni del secolo d’ Augusto consacra all’immor- talità la magnificenza di tali lavori. Finalmente Luigi XIV, legislatore di questi stessi lavori, ordina che un giurì composto de’ più cospicui abi- tanti concilii come arbitro i dispareri che possano insorgere sulla proprietà di questa nuova strada pubblica , e di tut- ti i beni limitrofi ; e cente anni dopo l’ Inghilterra, tro- 136 a vandovi il genio delle sue leggi, sì è ascritta a onore di seguir questo esempio. i E noi, miei cari concittadini, noi francesi saremo meno solleciti a seguir gli esempli lasciati in retaggio al- la posterità dai bei regni di Enrico IV e di Luigi XIV ? Vorremo noi permettere che il forestiero, più che noi stessi, goda il plagiato di una prosperità inventata da’nostri antenati? E tarderemo a riprendere questa palma, nostra gloria ereditaria ? Sì, la riprenderemo, già i felici succesi ottenuti da alcuni utili cittadini autorizzano ad aver questa speranza. Unasemplice compagnia ha condotto rapidamente a termi- ne uno de’ nostri più bei monumenti , il più grande, il più ardito fra i nostri ponti, gettato sulla Gironda per la città di Bordò, il Liverpool del mezzogiorno. Un'altra compagnia sta per riunire mediante una strada di ferro l’officine, e le fabbriche e le fucine di saint Etienne alle sponde del Rodano in vicinanza a Lione, per aprire una comunica- zione fra il Birminghan e il Manchester della Francia, Alle porte di Parigi tre compaguie hanno impreso a sca- var tre canali, ed altri ne sono scavati coll’ istesso scopo sopra altri punti del nostro territorio. Contemplando queste opere tanto lodabili avvisiamo noi esser già prossimi al fine de’ nostri sforzi ? Giudichia- molo in confronto dei nostri emuli. Noi siam per avere cinque leghe di strade di ferro, e i nostri rivali ne hanno cinquecento : noi avrema dieci o quindici compagnie per le navigazioni artificiali, e i nostri rivali ne hanno cento. Presso di noi l'autorità si trova tuttavia nella necessità di eseguire con maggior spese e con maggior lentezza cer- ti lavori, i quali potrebbero essere intrapresi da de’ parti- colari, riunendo i loro capitali, se fossero animati da una nobile ambizione. È vero; dal fondo del nostro cuore noi con tutta la Francia renderemo grazie al potere, quando supplisca , 137 quanto in lui sta, al genio delle intraprese, alla emulazio- ne laboriosa che animar dovrebbe l’universalità dei citta- dini. Ma un più segnalato servigio sarebbe (14) l’ incorag- giare ed eccitare nelle anime quel genio produttivo, quell’ emulazione generale, quella combinazione ed ar- monia di sforzi individuali, che cangiano l’aspetto di tutto un territorio, facendo sorgere da ogni parte e al tempo stesso i prodigi delle arti e della civiltà. O miei compatriotti. In nome della gloria sì cara a tutti i cuori magnanimi, la Francia istessa v'invita ad una nuova lotta, ove vi aspettano benefiche ed illustri vittorie. Al tempo delle giuste difese noi sapemmo domare l’ ag- gressione de’popoli, e per immortale vendetta, riassumen- do le opere dei Faraoni, de’Cesari, e dei re, arricchimmo le sponde del Nilo , del Tevere e del Reno con monumen- ti consacrati al ben essere dei vinti. Sorpassiamo coi no- stri lavori per la patria quei che abbiamo fatto per l’ este- ro. Procuriamo esser grandi da per noi, e a pro nostro. Non lasciamo tutta la cura e la fatica di operare in favor nostro alla mano che ci governa. Osiamo di gareggiare con lei di abilità, di vigore e di costanza , per trionfare degli ostacoli della natura, e per assoggettarla ai nostri bisogni sociali. Eccovi delle conquiste degne dei più inciviliti popoli, degne degli uomini i più illuminati; e tutti pos- siam partecipare a tali conquiste secondo i mezzi grandi o mediocri delle nostre facoltà, del nostro talento, onde acquistare un onore collettivo e nazionale, di mezzo al quale sorgeranno rinomanze, delle quali potrà andar su- perba a ragione la Francia. Per dimostrar co’ precetti dell’ esempio gl’ immensi vantaggi di una via d’associazione, per la quale noi tentia- mo a fatica di muovere mal sicuri i primi passi, non ebbi timore d° offrire a’ vostri sguardi lo spettacolo d’una riva- lità, che conforta del pari le nazioni famose e gli uomini » 138 illustri ad elevarsi al di sopra di loro stessi per mezzo del- la necessità di superare i propri emuli. Richiamate al vo- stro pensiero come un modello degno di voi, o nobili figli della Francia, quell’ eroica emulazione sorgente d’im- mortalità per quel gran cittadino che fu la salute e l'onore di quello stesso popolo che voi fate rivivere nella magna- nimità e nelle attrattive sociali mediante |’ umanità dei costumi , l’ atticismo dello spirito e l'amor della gloria. O Temistocle, una continua voce interna interruppe i tuoi sonni, e ti tolse al riposo rammentandoti i trofei di Mil- ziade, fino a tanto che non lo avesti superato con più il- lustri trionfi! possa la mia debole voce produr lo stesso effetto sulla mia patria, finchè mon avrà superato le opere tutte della sua infaticabile rivale! E guardiamoci bene dal credere, neppur per ombra, che tali vittorie sieno impossibili alla nostra perseveranza. Voi l'avete veduto: tanto l’ Inghilterra è oggi superiore , tanto ella era cinquanta anni addietro inferiore alla Fran- cia e nell’intraprendere e nell’ eseguire le grandi opere utili all’ industria, indispensabili al commercio. Ciò che essa ha fatto nell’intervallo di un mezzo secolo, noi lo possiamo anco fare con maggior sollecitudine. Possiamo ‘ riprendere il nostro posto traendo profitto dalla sua espe- rienza , come ella seppe trar partito dalla nostra. Abbiasi l’ animo di volerlo. Al nostro beato paese non manca ar- dore, attività, scienza, talento. Il nostro territorio è più vasto; il nostro clima più bello; il nostro suolo più fertile. Un’immensa frontiera e due mari aprono lo smercio dei prodotti dell’ interno, e della superficie del nostro territo- rio. Ma per giungere a questo non abbiamo tanto numero di comunicazioni interne bastantemente facili ed econo- miche. Osiamo intraprenderle , riunendo gli sforzi e i sa- crifici comuni di molti cittadini. Io Jo ripeterò un’ altra volta: consacrandoci noi a questi lavori di associazione, 139 consolideremo l’ alleanza di tutte le classi dello stato, e quella degl’individui di ciascuna classe; e procederemo al tempo stesso all’ aggrandimento della forza fisica, e alla solidità della potenza morale della nostra patria. Sforziamoci di pervenire a questo scopo prima che giunga il termine della nostra carriera. Agli uomini della nostra generazione, secondo il corso della mortalità uma- na, restano alcuni anni di vita. Voglia il cielo che sul de- clinare dei loro giorni possano dire alla generazione che dopo loro verrà: Noi ricevemmo da’ nostri padri una Francia impoverita , agitata, lacerata: ricevete da noi una Francia coperta di monumenti di pubblica utilità , eretti dalla nostra industria ; esuberante di ricchezze, prodotto del nostro lavoro; più ricca ancora in virtù, in concordia, in magnanimità. Trasmettete a’ vostri nipoti questa ere- dità ingrandita da voi come lo fu da noi: e tutti i popoli della terra illuminati dal nostro sapere, arricchiti dalla nostra industria, fatti migliori dai nostri esempi, possano di età in età ripetere per la Francia quel voto che un grand’ uomo morendo formava per la sua patria: esto perpetua! Ella sia immortale . . . Note. (1) Platone , Dialogo di Menexeno. (2).... Ad visenda foca, et mores hominum cognoscendos peragrare: Viaggiare da istorico, per conoscere i luoghi e le cose , gli uomini e i loro costumi. Tale era l’idea che Plutarco concepiva del vero spirito de’ viaggi. (3) Da tre anni in qua il Parlamento britannico revoca suc- cessivamente le più odiose restrizioni delle famose leggi cono- sciute sotto il nome. di atti di navigazione. (4) Per la legge dei depositi, Londra è destinata a diven- tare il ritrovato di tutte le nazioni , e il mercato dell’ universo. 140 (5) Anche in Toscana, da molto tempo a questa parte go- diamo dell’ inesprimibile vantaggio di una illimitata libertà di commercio ed industria, della quale manifesti per tutti gli stra- nieri sono i felici resultamenti ; ma desideriamo ancora quello spi- rito di associazione, il quale combinato collo spirito pubblico, fa sì che i proprietari e i negozianti, i capitalisti e facoltosi d'ogni ceto, uniscono i loro sforzi ed i loro mezzi pecuniari , per concepire ed eseguire delle grandi intraprese a pro dell’industria, del commercio, dell’agricoltura, delle scienze e delle lettere ; intraprese che sareb - bero al disopra dei mezzi di un semplice particolare . Nota del traduttore. (6) Nell'opera da noi pubblicata col titolo: Sistema dell’am- ministrazione Britannica nel 1822, dopo aver fatto conoscere i bei resultati dei banchi di risparmio favoriti a pro della classe degli operai, e dalla classe opulenta e dal governo, noi soggiun- ghiamo. ,, Così il ministero britannico nel far render conto de’suoi atti, delle sue mire e dei suoi pensieri, dichiara in faccia alle nazioni che fra i benefici dell’ordine pubblico e delle prospe_ rità sociali pone non solo i progressi delle arti utili, e l’ at- tività delle manifatture, e le risorse del commercio , e.la felicità delle. classi superiori che dirigono i lavori; ma eziandio lo svol- gimento dell’indipendenza fisica e morale delle classi inferiori , le quali eseguiscono questi lavori. Si compiace a enumerare fra î suoi titoli di gloria , i mezzi di dare elevatezza ed eccitatamento al carattere nazionale, rendendo per tuttii conti meno servile, e più felice la condizione dei mediocri cittadini. Sentimenti di un ministero di un popolo libero! Sentimenti ai quali farà onore ogni nomo che apprezza la dignità della specie umana, Sentimenti che meritano di essere offerti come modello ad ogni governo che vuol procedere verso la prosprità nazionale. (7) Proclamando le belle azioni e gl’insigni lavori di questi uomini potenti, non dissimuliamo nel corso dell’ opera i fatti che per qualche lato diminuiscono la gloria di questi titoli. (8) Si conceda, e si perdoni al tempo stesso all’ Antologia di Firenze un modesto vanto di amore verso la patria, se rammen- terà in questo proposito che anco i fiorentini diedero, in altri tempi, luminosi esempi di sì laudevole consuetudine. Non vi è quartiere, e forse non via nella nostra città, ove non esistessero, o non esi- stano tuttora monumenti di pubblica utilità, opera di particolari cittadini. Gli ospizi, o ricoveri, 0 spedali destinati per diversi or- dini di persone, de’ quali o per emblemi, o per iscrizioni, o per { 141 tradizione si conservi memoria, ascendono a un numero conside- rabile; alcuni più, altri meno insigni, secondo la maggiore o mi- nore opulenza dei fondatori. Nota del Traduttore. (9) La Francia non ha obliato che i più bei lavori pubblici eseguiti in un'epoca, nella quale abbiamo inalzati tanti mara- vigliosi monumenti in seno della patria e presso i popoli con- quistati, ebbero per direttore generale un Molé. Se fra i lavori di minor conto intrapresi con uno scopo d’utilità, potesse esserci permesso di citare i nostri viaggi nella Gran Bretagna, e l’opera che ne è il resultamento, saremmo in dovere di dire che trovarono nel Conte Molè, che allora dirigeva il ministero della marina, il più nobile incoraggimento. (10) È cosa degna di attenzione il vedere oggi due fratelli di questo nome, uno presedere alla giustizia nella prima corte reale di Francia, e l’altro console generale dei nostri interessi in In- ghilterra , al quale devo testificare la mia riconoscenza per avermi comunicato i suoi lumi, le sue osservazioni e i suoi manoscritti sul commercio e sull’ amministrazione della Gran Bretagna. (11) Non è bastantemente noto presso di noi che le magnifiche strade aperte dalla capitale ai punti principali delle nostre fron- tiere, sono state eseguite per la maggior parte- sotto il ministero del duca di Choiseul, uno dei primi uomini di stato del secolo XVIII; di quel secolo che nel corso d’ una sola generazione fece vedere in tre altri ministri, Turgot, Necker, e Malesherbes tanti talenti e maggiori virtù che ne’ ministeri delle più luminose epoche della monarchia. (12) a Fontenay. (13) Si sa che oggi gl’inglesi son decaduti da questa gloria; ciò dipende da cause estranee al commercio, e che per questa ragione passo sotto silenzio. (14) Come pure di fare sparire quella folla di ostacoli oscuri ma potenti, ultimi e tristi vestigi di tutti i dispotismi che abbiam sofferti da trenta anni in poi. 142 % Ino e Temisro , tragedia di G. B. Niccorini, reci- tata per la prima volta in Firenze nel teatro della Pallaccorda, il dì 16. febbraio 1824. Il felice incontro che ebbe questa nuova produzione del sig. G. B. Niccolini ; l’attenzione dell’ udienza; la spontaneità colla quale venne applaudita dal pubblico, che volle udirla per tre sere consecutive per rinnovare gli applausi alle tante bellezze che vi si trovano, e che seppe ancora con un sagace silenzio fare accorto l’autore sopra alcuna parte del suo componimento, la quale lascia qualche cosa da desiderare; tutto insomma ci poneva in dovere di consacrare un lungo articolo del nostro giorna- le per render conto di questo lavoro drammatico. E ciò avremmo fatto tanto più volentieri, in quanto che ci avrebbe offerte moltissime occasioni di lode , pochissime di critica. Ma per farlo era d’ uopo aver sott’ occhio il manoscritto, onde giustificare con opportune citazioni le une e le altre. Ma il sig. Niccolini, il quale ha pur ritirato dalle mani degli attori il suo manoscritto, non intendendo per ora aderire a questo nostro desiderio, dà risposta alla richiesta da noi fattagliene, col seguente biglietto. Gentile amico. Mi chiedete pel vostro giornale una qualche scena della mia tragedia. Mi duole di non poter soddisfare al vostro cortese desiderio, avendo in animo di darla alle stampe dopo avervi fatto a mente tranquilla le correzioni additatemi dall’ esperimento della scena, dall’ opinione del pubblico, e da’ consigli di quei pochi generosi che sanno lodare senza viltà, e criticare senza livore. Addio. G. B. NiccoLini. Rispettando noi la di lui lodevole riservatezza, aspet- tiamo ansiosamente l’ opportunità di occuparci quanto prima di questo soggetto importantissimo. X. BULLE'TTINO SCIENTIFICO N°. V. Febbraio 1824. Meteorologia. Il colonnello IVright, della società letteraria ed agricola di Ceylan, dice avere scoperto che sotto i tropici il mercurio si alza e si abbassa nel barometro due volte nelle 24 ore del giorno con tal regolarità, da poter servire alla misura del tempo . La sera dei 23 maggio 1823 fu osservata a Kiel ( Holstein) una meteora luminosa, che è stata assomigliata al fenomeno chiamato drago volante , e che fu veduta quasi nel tempo stesso anche a Coppenaghen, cioè alla distanza in linea retta di circa 60 leghe. Osservata da Kiel, la sua direzione appa- riva dal S. O. al N. O, la sua elevazione di 30°, Ha durato a vedersi per ro minuti secondi, ed è disparsa gettando un ammasso di scintille , e lasciando una traccia luminosa nello spazio percorso. Nel fascicolo per dicembre 1823 degli annali di chimica e di fisica di Parigi, dopo un’ epilogo delle osservazioni meteoro- logiche fatte all’ osservatorio reale, si dà un cenno dei terre- moti sentiti nel decorso anno 1823, nei paesi e giorni che ap- presso, 30 gennaio , a Nornkelji in Svezia, due scosse. Nella notte, del giorno stesso, nell’ isola d’ Alond , una violenta scossa ac- . compagnata da un fragore sotterraneo. g febbraio, a Bucharest, più scosse violenti. 1o detto, a lassy in Moldavia, scosse violenti. 27 detto, a Foggia e S. Severino nel regno di Napoli, forti scosse. i 2 marzo, a Madras, una scossa sentita anche a Ceylan. 5 detto, a Palermo, una forte scossa. i 27 detto, un forte terremoto nell’isola di Favignano vicino a Trapani in Sicilia. Cadde una parte dell’ antica fortezza, e perirono 22 persone . 31 detto, a Messina, una scossa senza danno. 18 aprile, alla Martinicca, una sola scossa. 12 settembre, al convento del monte S. Bernardo fu sen» 144 tita una forte scossa di terremoto accompagnata da un gran fragore . + 21 novembre, a Friburgo in Brisgovia, ad Kentzingen, e Strasburgo, furgne sentite forti scosse dall’ O. all’E. accompa- gnate da rumore supo simile a quello di un forte colpo di vento . 24 detto, a Stockolm e in Dalecarlia una debole scossa; preceduta da un fragor cupo che sembrava scendere dall’atmo- sfera. 13 dicembre, a Belley, dipartimento dell’Ain in Fiandia; sì sentirono più scosse molto forti precedute da una detonazione simile a quella di più cannoni di grosso calibro. Un abitante di Benonces, distante 20 miglia da Belley, che si trovava sulla cima della montagna alle ore 3 della mattina (ora in cui fu sen- tito il terremoto) affermò d’ aver veduto un momento prima della detonazione il cielo tutto infuocato, benchè niuna meteora luminosa comparisse sull’ orizzonte . Nel 28 agosto 1823, nella parrocchia di Champlain al Ca- nadà , un’ estensione di terreno assai considerabile cominciò ad un tratto a muoversi orizzontalmente, e percorse rapidamente 360 metri, rovesciando siepi, alberi, case o altro che incon- trasse. Un fragore assai forte precedè questo fenomeno, attribui- to da molti ad un terremoto. Si sparse contemporaneamente nell’ atmosfera un vapor soffogante di pece e di zolfo. Eruzioni vulcaniche. Nei giorni 8 e 12 novembre 1822, il vulcano Ga/ong Goe- ning di Giava fece due terribili eruzioni. Il fenomeno cominciò con una forte esplosione. Poco dopo si vide un'immensa nube di fu- mo elevarsi dal piede della montagna. Le successe un vento così im- pètuoso , che alcune case e molti alberì ne furono rovesciati. La pioggia di ceneri durò 3 ore; il piano di Sangapama era coperto di fango, e di zolfo acceso. Si dice che perissero più di 3000 persone . i In gennaio 1823 il ZVesterjokul in Islanda ha fepitita ce- neri e pietre. Il Ko//ugian dello stesso paese, che da 68 anni stava tranquillo, fece nel di 26 luglio dell’ anno stesso una ter- ribile eruzione seguitata da altre due simili. Enormi masse dì ghiaccio staccate dal monte caddero al piano. Alcuni vascelli a 20 leghe di distanza in mare si trovarono avvolti in nere nubi di polvere vulcanica. Ciascuna ;delle tre eruzioni fu accompa< gnata da terremoti. 13 4 Il capitano 7Vebsten essendo entrato col suo bastimento nel mese di marzo 1823 in una piccola baia di Barren-Island, senti ad una notabile distanza dalla costa soffiare di tratto in tratto un vento soffocante. Un dito immerso nell’ acqua del mare non poteva sop- portarne il calore. Le pietre che venivano bagnate dalla marea lasciavan sentire un certe sibilo, e gettavan fumo; l’ acqua bol- liva all’ intorno. Un cono vulcanico si mostrava alla distanza di 1/j di miglio circa. Il capitano sbarcato, ed avendo con pena camminato alquanto lungo un precipizio formato di lave, si condusse ad un punto donde il vulcano si scorgeva perfettamen- te. Egli ne valuta l’ altezza totale mezzo miglio. La bocca get- tava continuamente un fumo bianco e leggiero. Il cono vulcani- co è centro d’ un’ anfiteatro di montagne che lo circondano quasi interamente . Lista dei vulcani attualmente accesi. Questa dotta ed in- teressante notizia è stata inserita nell’ annuario dell’ufizio delle longitudini per l’anno 1824; essa è dovuta al sig. Arago, il quale confessa d'aver consultato per questo lavoro i sigg. de Humboldt e de Buch, i due uomini che meglio conoscano la storia fisica del globo. Il sig. Arago cita le eruzioni principali avvenute do- po il principio del secolo scorso, e solamente i vulcani che pos- sono esser considerati come attualmente accesi. Il Vesuvio, l'Etna e Stromboli, sono con 8 vulcani dell’ Islanda , e V' Esk nell’isola di Giovanni Mayen , i soli vulcani europei — 12. Le isole vicine ai continenti dell’Affrica ce ne presentano 6; Il continente d’ America 58 — Le Antille 3; Il continente d’ Asia $; Le isole vicine all’ Asia 24, 10 dei quali in quelle del Giap- pone; L’ Oceanica 52; Totale 163 vulcani attivi. Terminando la sua notizia , il sig. Arago fa osservare che , se si eccettuano due vulcani dell’ Asia centrale, l’ esistenza dei quali può altronde sembrar dubbiosa, non se ne troverà un solo nella sua lista che sia a più di 50 leghe dal mare. Sembra dif- ficile il non concludere che l acqua deve avere una parte im- portante nell’ eruzioni vulcaniche . Un fenomeno egualmente degno dell’ attenzione degli osser- vatori è quello della propagazione di quel fragore che. precede o accompagna l’eruzioni. Le detonazioni del T'omboro dell’ isola di Sumbava nell’ eruzione del 1815 si fecero sentire fino a Su- matra distante dalla montagna , in linea retta, 300 leghe, Il sig. T. XII. Febbraio 10 ' 146 i de Humboldt ha riferito un fatto quasi egualmente sorprenderite rispetto ai vulcani dell’ America meridionale . Fisica e Chimica. Tutti i chimici ammettono una combinazione del potassio col- l’iodio, che chiamano ioduro di potassio, ne descrivono i caratteri e proprietà, na accennando il processo della sua preparazione, o di- cono che la combinazione delle due sostanze si effettua tranquilla- mente, o nulla dicendo in contrario, lo lasciano presumere. Questa asserzione e questo silenzio hanno esposto a grave rischio il Cav. Se- mentini professor di chimica a Napoli. Imprendendo egli con tutta si- curezza ad operare quella combinazione, ebbe luogo al momento dell’unione dei due corpi un’espolsione violentissima, dalla quale per ventura non risentì, come poteva, verun danno. È da desiderarsi che egli continui le sue ricerche intorno a questo fatto singolare , di cui potrebbe essere stata causa qualche particolar circostanza non av- vertita . Il sig. Becquerel proseguendo le sue ingegnose ed interessanti ricerche intorno all’elettricità che si sviluppa nell’esercizio delle diverse azioni chimiche, per metterne in evidenza le più piccole quantità, ha modificato il galvanometro del sig. Schweigger, ren- dendolo molto più sensibile. Tre galvanometri esattamente simili, ed in ciascuno dei quali è contenuto un delicato ago magnetico, sospeso a un sottilissimo filo di seta, sono disposti in modo ed a tali rispettive distanze, che il polo australe del primo si trovi nella sfera d’ attività del polo boreale del secondo, e così di se- guito, in guisa che i tre aghi agiscano obliquamente uno sull’al- tro. Messe in comunicazione l’estremità fra loro contigue dei fili metallici dei tre galvanometri, con immergerle due a due in pic- coli vasetti contenenti mercurio, qualunque piccola quantità di fluido elettrico li percorra, facendo proporzionatamente deviare gli aghi, quello del mezzo , sentendo l’ influenza d’ambedue gli altri, devìa d’ una quantità più notabile, e che però si rende sensibile anche in casi nei quali un solo galvanometro non la manifesterebbe. 3 Si è creduto quasi generalmente che la facoltà di cui gode la Torpedine, di dare forti commozioni elettriche , abbia per og- getto l’intorpidire i pesci che ella vuol fare sua preda. Così Pen- nant trovando una triglia nello stomaco d’una torpedine, conclusa 147 che essa doveva prima essere stata paralizzata per la commozio- ne, poi ingoiata . Il sig. Jonathan Couch adduce a sostegno del- l’ opinione contraria l'aver trovato nello stomaco della Razza or- dinaria un gambero marino, che è assai più agile d’ una triglia, sebbene la razza, priva dell’ apparato elettrico, non abbia la fa- coltà di dare le commozioni . Però , senza negare che la torpe- dine faccia uso della sua facoltà per istupidire i pesci che vuol predare, egli pensa che l’ uso principale di quella facoltà sia re- lativo alle funzioni della digestione , privando di vita i pesci in- goiati, e ponendoli così nella condizione in cui i sughi gastrici possono avere azione sopra di loro. Se qualche animale può aver bisogno d’ una tale facoltà, è specialmente la torpedine, in cui il canale intestinale non è più lungo che la metà del suo sto- maco . Il sig. Faraday, continuando le sue esperienze sulla conden- sazione dei gas in liquidi, e seguendo alcuni suggerimenti del sig. Davy, ha ridotto il gas cloro in un liquido taliichte volatile” che raffreddato prima a circa 14 gradi sotto zero R. ed aperto il tubo in cui si era formato, una parte si evaporò istantanea- mente, raffreddando la rimanente a segno, che si mantenne li- quida sotto la semplice pressione atmosferica. Alla temperatura poi di 8°. R,. aperto un’ altro tubo che ne conteneva, la parte che si dissipò istantaneamente in vapore raffreddò talmente il tubo , che sulle sue pareti esterne si agghiacciò il vapore atmo- sferico. Egli ha egualmente liquefatto i gas acidi solforoso , idro- solforico , carbonico , i gas ossido di cloro, protossido d’ azoto , cianogene , ammoniaco , ed acido idroclorico. Quest'ultimo era stato prima ridotto in liquido dal sig. Davy. Il sig. Gmelin di Tubinga, avendo introdotto in un vaso ci- lindrico di vetro del gas idrogene a traverso del mercurio, e quindi un poco di platino spongioso avvolto in carta emporetica, fattevi in seguito entrare alcune bolle di gas ossigene, accadde una violenta esplosione, che ruppe il tubo in minuti pezzi. Il Sig. March. Ridolfi ha verificato che nel platino spon- gioso s’indebolisce e si estingue per la sua più o meno lunga esposizione all’aria la facoltà d’infuocarsi allorchè si esponga ad. un getto di gas idrogene, Ha per altro osservato che se si giunga a determinarne una prima volta l’ infuocamento , questo si ripro- ‘duce agevolmente ripetendo l’ esperignza a breve intervallo. Per 148 I riconoscere quale specie di cambiamento induca nel platino spon- gioso la sua esposizione all'aria, e quale ostacolo opponga al suo infuocamento per il gas idrogene , egli intraprese i seguenti espe- rimenti. Infuocato un poco di platino spongioso in un crogiolo dello n stesso metallo, ne pesò diligentemente due denari, che lasciò sul piatto della bilancia. Dopo 12 ore trovò, come aveva preveduto , che il peso del platino era aumentato di due grani ‘ff, dopo, altre 12-ore di altri tre ; finalmente dopo altre 12 ore d’un’al- tro grano e mezzo, e però in tutto di grani 6 3%}, dopo di che non parve provare ulteriore aumento. Esposto al getto del gas idrogene un frammento di questo platino, potè, non senza molta pena, determinarne l’ infuocamento, che in seguito riprodusse , al solito, con molta facilità. Scal- dato quindi il rimanente del platino spongioso in un apparato opportuno, vide svilupparsene un vapore che si condensò in pura acqua, Il Sig. March. Ridolfi ha concluso che il platino spongioso assorbe dall’ atmosfera dell’acqua, che annidandosi nelle di luj cavità, le rende impervie o meno accessibili al gas idrogene, o impedisce che questo si combini all’ ossigene , per formare acqua, A questa circostanza egli attribuisce molto ragionevolmente il non successo delle sue prime esperienze, e di quelle di più altri fisici, In fine egli ba riconosciuto che il platino spongioso, prima infuocato , poi conservato nel yuoto torricelliano, o in un’atmo-. sfera resa artificialmente ben secca, non cresce di peso, ed è prontissimo ad infuocarsi sotto il getto del gas idrogene. Era noto che mescolando intimamente l’ una all’ altra, me- diante l'agitazione; le due amalgame solide di piombo e di bismuto, si liquefanno. Il ‘sig, prof. Orioli di Bologna ha recen- temente osservato che, servendosi per agitare quelle due amal- game, del bulbo d’un termometro , il mercurio discende in esso di 22 gr. R. mentre segue la liquefazione. Si trova la ragione dell’ intensità e prontezza del raffreddameoto nella. facoltà con- duttrice rispetto al calorico delle sostanze metalliche impiegate in quest’ esperimento, molto maggiore di quella delle materie onde si compongono le comuni mescolanze frigorifiche. Geologia» Il sig. Eschevvege ha illustrato la geognosia del Brasile in un ragguaglio ch’ egli ha dato della costituzione di questo terreno, 149 del quale non avevamo che poche e sparse notizie. Le mon- tagne che si elevano su questa provincia hanno una direzione, che in generale è dal N. al S., l’altezza delle quali giugne fino a 6000 piedi. La principale catena è quella che in alcuni luoghi ha il nomedi serra da montigueira, eda è un limite im- portante relativamente alla geognosia, non meno che alla zoolo- gia ed alla botanica. A levante di essa dominano le prime for- mazioni primitive di roccie a tessuto granitoide, e schistogranitoide; A ponente le seconde formazioni primitive, composte di roccie schi- stose o schisto-granitoidi, il ferro oligisto, l’oro, i diamanti, ed i terreni di transizione. La prima formazione primitiva è composta di granito, gnesio, micaschisto , lignite e trappo, delle quali le prime tre roccie si ele- vano fino a 3500 piedi, ma in generale tutte. più ordinariamente si mostrano verso le pianure, che in alto. Queste roccie costi- tuiscono dei terreni estesissimi o sole o alternando, eccetto che la sienite, la quale non alterna con verun altra roccia, ed al più un ‘ passaggio dello gnesio a questa roccia si vede , coll’ aggiunta del- l’anfibolo nel senso della divisione degli strati dello gnesio me- desimo. La 2.a formazione prirbitiva ricuopre in gran parte la prima, ed è formata di quarzo, di schisto argilloso , di talco in dif- ferenti strati, di ferro-ossidato , ed un poco di calce. In questa re- gione si incontra l’unione del quarzo col talco e colla clorite in una roccia che l’ A. chiama itacolumite, e che relativamente al ferro micaceo schistoso è nel modo stesso che lo gnesio è alla sienite. E come una dipendenza di questa formazione si può riguar- dare la riunione in regioni più elevate del ferro oligisto, oli- gisto micaceo , ed ossidulato , riunione che all’A. è piaciuto di chiamare itabdirite. L’ itacolumite si eleva fino a 6000 piedi so- pra il livello del mare, lo schisto argilloso ed il ferruginoso non passano i 5000, l’itabirite giunge ai 5500. La formazione intermediaria è composta di schisto argilloso, di lidia comune, di grauvacche comune e schistoso , e di calce compatto. Lo schisto argilloso e la pietra lidia si elevano in strati orizzontali anco all’ altezza di 3000 piedi, e formano delle belle spianate (plateaux) nel Serthoes di Minas e di Goyaz. Il compatto si eleva fino a 2845 piedi, ed è una roccia impor- tante per i Brasiliani che cavano il nitro dalle grotte che esso forma. Le formazioni secondarie , se ne vogliamo eccettuare qualche poco di coperchio di grès, mancano affatto nel Brasile, ma inte- ressanti sono i terreni di trasporto, sì per la loro ricchezza in 150 oro , sì per le relazioni loro co’terreni antichi. Di questa sorta di terreno se ne trova sulle montagne in conglomerato ferrugi- neo, o in terra vegetabile argillosa spesso aurifera, e nelle val- late in conglomerati quarzosi solidi, spesso cementati dal ferro-os- sidato bruno, o rosso, contenenti oro e diamanti, ed al qual genere di terreno i paesani hanno dato il nome di cascalho. In quanto alla formazione alla quale i diamanti apparten- gono , il sig. Eschewege osserva che a prima vista creder si po- trebbe che l’itacolumite ne fosse la matrice, se la vasta esten- sione di questa roccia non contrastasse colla rarità dei diamanti, e quindi osservando che attualmente non si trovano se non alla super- ficie delle montagne , o nel letto dei fiumi, si può ammettere l’opinione del sig. Camara , che la matrice originaria di questo prezioso combustibile non esista più. Sono bensì stati trovati dei diamanti incorporati nel ferro-idrato bruno, e 6 pezzi si citano di questo minerale, contenenti diamanti. Si può dunque credere che la matrice originaria dei diamanti fosse il ferro idrato bruno, pro- veniente dallo schisto ferruginoso o dalla itabirite. Ed una mag- gior probabilità che all’ alterazione di questa ultima roccia sieno oS i diamanti che si raccolgono nel terreno di trasporto , risulta dall’ osservare che sono essi egualmente sparsi in quei terreni, i quali sono stati coperti da una decomposizione della itabirite che occupava in avanti tutte le cime contigue delle mon- lagne, e che essi sono inegualmente sparsi ove si conosce che questa decomposizione è accaduta in vertici isolati e non con- tigui. Mineralogia. Fra i fenomeni mineralogici, uno dei più atti a sorpren- dere si è quello degli anidri, nè si è peranco data una suffi- ciente spiegazione della causa e del modo pe’ quali I’ acqua 0 altro liquido sia rimasto chiuso dentro sostanze compattissime , e che nessun vestigio presentano all’esterno di una qualche aper- tura che sia stata in seguito chiusa dal sopraggiungere di nuova materia, Il sig. Deuchar osservando che se in un vaso di vetro, che abbia già qualche pelo, s’infonde dell’ acqua calda, o se invece se gli fa risentire una pressione che tenda a disgregarne le parti, il pelo si va accrescendo, ma che ritorna poi alla pri- mitiva dimensione subito che o la temperatura o la tensione sono ritornate al primiero stato, crede di potere con ciò dare una so- disfaciente spiegazione della formazione degli anidri , supponendovi introdotto il liquido in una cavità preesistente, per motivo di una _———tm —— 151 delle due indicate cause, cessate le quali, le pareti siensi del tutto richiuse e sigillate, senza che framezzo restata sia traccia alcuna del liquido o di aria, che facciano percepirne la discontinuità. Gl’indiani sono di opinione che nei terreni di alluvione si vadano tuttora formando i diamanti, ed il sig. Jameson parten- do da questa ipotesi e dal sapersi che varie piante segregano delle sostanze che possono riguardarsi come analoghe alle mine- rali, quali sono l’idrato di silice segregato dal bambù, una specie di selce corneo che si ha dalla fectona grandis, il carbonato di calce prodotto dalla chara e da alcuni licheni, presume che il diamante, o un principio ad esso analogo , entri nella composizione dei legni più duri. L’uso del goniometro a reflessione del cav. Wollaston va ret- tificando alcune inesattezze che nella determinazione delle forme cristalline i goniometri meno esatti avevano introdotto. Il siga P Rilips, aiutato dal matematico sig: Levy ha potuto rilevare lo sbaglio del celebre Hauy nella determinazione della forma primitiva del rame piritoso , la qual forma gl’inglesi osservatori hanno trovato non essere il tetraedro , ma bensì un ottaedro acuto di 101,°52”' agli an- goli laterali, e 126,30 alla riunione delle piramidi. La chimica analisi ha poi condotto il sig. Philips a giudicare questo miné- rale composto di due atomi di protosolfato di ferro, e di uno di persulfuro di rame. Collo stesso goniometro il sig. Philips ha tro- vato essere la forma primitiva del diasporo, o Wawellite un prisma doppiamente obliquo, e da questo minerale l’ analisi ha ricavato circa 77 per cento di allumina. Cogli stessi mezzi goniometrici pare che sia giunto .il sig. Brevvester a potere asserire che la stil- bite di Anchen differisca da ogni altra varietà di questa specie. E fra le molte prove che l’ istoria della mineralogia ci fornisce della corrispondenza dei resultati cristallografici ed analitici; una recentemente ne ha fornita il sig. Berzelzus nell’ analisi della con- drodite comparativamente a quella della Maclureite, già fatta dal Sig. Seybert, le quali due specie già riunite dal cel. Hauy in una sola hanno dato all’analisi gli stessi prodotti. Così pure l’ analisi com- parativa di dieci varietà di anfibolo , fatta dal sig. Bonsdorf, giustifica pienamente la loro riunione in una sola specie , mercè dei caratteri cristallografici, mentre i più esterni ed apparenti ne consigliavano la separazione. Il terreno dell’ America offre un campo assai vasto alle ri- . w 152 terche mineralogiche i in quella regione , soprattutto agli Stati uniti, ove valorosi dotti si occupano d’ illustrare i differenti rami della | storia naturale del loro paese. Pare che come nella formazione geologica di quei terreni, così nella qualità dei prodotti minerali vi sia non piccola somiglianza fra i due continenti, antico e mo- derno , e che come la natura si è compiaciuta distinguerne e dif- ferenziarne i corpi organizzati, eccetto un qualche piccolo numero di specie che sono comuni ad ambedue, così al contrario nei corpi inorganici abbia seguitate le stesse leggi di formazione, di combinazione , e di distribuzione, se se ne eccettui qualche leggiera e non sullo differenza. A questa conclusione ci conducono le molte analisi di minerali americani fatte dai sigg. Sybert 3 Tor- rey, Bower ed altri, ‘che .non istiamo a riferire qui ad una ad una, per le quali però resulta una identità assai vistosa fra, i mi- nerali americani e quelli dell’opposto continente. Non, è che fra questi non ve ne sieno alcuni ignoti nell’antico continente, come la Gibsite , che però sembra essere una varietà dell’ allumina idra- ta, la ani trovata nei terreni magnesiaci, della natura chimica dei quali essa partecipa, ma queste, giova il ripeterlo , non sono che rare eccezioni alla regola generale. Altri minerali sono pure stati ritrovati .nell’antico continen- te. Il sig. ail in una cava abbondante di piombo ne cha sco- perto uno ; il quale sembra essere una combinazione della. stron- ziana e della barite solfate , ond’ egli propone di chiamarlo bari- stronzianite; ad Orrijarri s2 (ph Finlandia è stato trovato un mi- nerale, che dal nome del suo ritrovatore.è stato detto Steinheilite, ma che probabilmente riferirsi deve alla dicroite; il sig. Trereylan ha veduto nell’ is. di Ferroe una varietà capillare di mesotipo, che compressa fralle dita trapelava un fluido, biancastro, come pure delle stallatiti di mesotipo di recente formazione, non meno, che delle belle opali sparse in un banco di porfido feldspatico. Sui Pirenei è stata trovata una lega nativa di nickel ed antimonio, lega che sembra essere però mescolata col cobalto , coi solfuri di zinco, e di piombo, e con alquanto ferro. Un bel lavoro sulle turchine è stato fatto dal sig. Fischer, del quale ci crediamo in dovere di render conto. Distinguendo egli le due specie differentissime di turchine che vengono in ‘commercio sotto il nome di vecchia e di nuova rocca, le prime delle quali sono dette orientali e costituiscono un vero minerale,, al quale è siato dato il nome di Calaice, mentre le seconde provengono da === 153 petrificazioni di animali, e che egli chiama turchine od onzoliti, distingue. ‘tre varietà della calaite, la prima delle quali proveniente da Nichabour'nel Khorassan, sembra provenire da un terreno di alluvione, ed è per ordinario in masse mastoidi. Conservando a questa il nome di Calaite ha dato quello di Agafite ad un’altra varietà a rottura concoide, di color celeste, che divien più vivo bagnandola, e che trovasi in vene sottili. Alla turchina che è di color turchino celeste il quale passa al verde, che ha la rottara scagliosa, ed è dura più delle altre, fino a solcare il vetro , ha conservato il nome usuale che ritiene in commercio.. Sospetta il sig. F. che a questa varietà riferir si debba un saggio di pietre turchine ch’ egli vedde presso alcuni mercanti bukarii, le quali pietre erano sparse im un quarzo ialino che forma delle vene in una selce piromaca. Paleontografia. Ta maggior premurà che si è messa da qualche tempo nella ticerca degli ossi fossili ha non solo accresciuto il catalogo geo- grafico delle regioni che le contengono , quanto ancora ha aumen. tato il numero delle ‘specie che ci serenita che le grandi rivola- zioni; le‘quali il globo ha sofferte, hanno affatto distratto non poche specie di animali. L'animale descritto dal sig. Cuvier nei volu- îimi TIT: ‘è IV della sua grande opera, trovato nella cava del car- bon fossile di Cadibona verso Savona, è un doppio acquisto per la Scienza, sì per il ritrovamento di una nuova specie fossile , sì per ‘appartenere essa ad una formazione pressochè nuova per i fossili mammiferi. Oltre questa specie, che il sig. Cuvier ha denominata Antracoterio, il Lofiodonte e \ Elasmoterio sono conquiste che le ricerche dei moderni ‘naturalisti hanno fatto in un mondo, dal quale siamo separati per l’ intervallo di secoli e di subissamenti. f. nota poi, per i lavori del sig. Buckland rianiti nell’ opera cui egli ha dato il nome di E diluvianae, la scoperta di ossa di 27 specie di animali nella caverna di Kirkdale, sette specie dei quali sono carnivori, quattro pachidermi, quattro ruminanti, tre rosicatori, quattro uccelli, le quali 15 specie ultime sembrano es- Servi state trasportate dalle specie carnivore , le quali sono l’iena, il lupo, la tigre , l’orso, la volpe, la forhote: ed un altro ani- male incognito, della statura del lupo, giacchè le ossa degli altri “sono mezze TORE , e morse. Nella contea di Norfolk sono state trovate ossa ‘di rinoceronti , di elefante, ed una assai grossa zanna di questo afiimale è stata ‘scavata nella ‘contea d'York; come 154 pure un cranio d’orso differente dalla specie vivente e da quella. delle caverne della Germania. Di una specie pure d’orso, differente da queste due ultime, scavata nel nostro Valdarno, è stato dato ragguaglio dal prof. Nesti. Il sig. Kotzebue, nel suo viaggio allo stret- to di Behring dice di aver veduto ravvolte in gran parte nel ghiaccio moltissime ossa di elefante. Il sig. Bourdet annunzia di aver tro- vato nell’isola di Scheppey due specie di testuggini fossili, una ma- rina, ed una palustre, ed una pure palustre è stata scavata nel Valdarno di Sopra. Il sig. Germard ha dato il nome d’ idotea an- tiquissima ad un crustaceo fossile non per ancora conosciuto, ch'egli ha trovato nello schisto bituminoso de’ contorni di Heustadt. Nello schisto nero attenente al carbon fossile presso Hagenaes nella Scania sono stati trovati dei fuchi, dei denti di squalo, ed un frammento di elitra di un’ insetto aquatico. Parimente nel grès che è prossimo al carbon fossile è stato trovato un pesce impietrito, che sembra attenere alla famiglia dei Labroidi. Le ossa fossili umane trovate nella caverna di Durfort hanno dato occasione al sig. Marcel-de-Serres di trattare in una memoria dei caratteri della fossilità delle ossa, i quali soprattutto desu- mendosi dall’antichità del masso nel quale si trovano, riconosce l'A. per non fossili le supposte antropoliti di Durfort, perchè circondate da un terreno nuovo e di attuale aggregazione. La correntezza colla quale si attribuisce alla specie umana ciò che può avervi meno appartenuto, apparisce in un modo singolare in un annunzio pub- blicato di recente, che in una caverna di Fontainebleau, esisteva un cavallo ed un uomo, petrificati ambedue. Qualcuno in seguito es- sendo espressamente andato a visitare questi fossili, trovò che non erano essi che due pezzi di grès nei quali l’immaginazione sola avea scolpito delle forme umane, e che osservate più tran- quillamente, erano lontanissime dal rappresentare i due esseri an- nunziati come petrificati. Botanica ed Agricoltura. Il sig. Du/ac farmaco di Roano ha riconosciuto nel muriato di calce la facoltà di stimolare ed affrettare la vegetazione, per un’azione che egli riguarda come elettro chimica ; ed il sig. Le- maire , come elettro-organica, Il gran turco irrigato tre o quattro volte. con acqua contenente 1/6 di quel sale, ha acquistato un volume doppio di quello bagnato con acqua pura. Il grande Elianto x nnuo si è alzato a 12 e 15 piedi d'altezza, le foglie hanno acqui 155 stato da 18 a 20 pollici di larghezza, ed il disco dei fiori da 12 a 14 pollici di diametro. Ha prodotto dei semi che hanno dato la metà del loro peso d’un’ olio buono a mangiare, ed ha lasciato trasudare una resina terebintinacea. Altre piante ne hanno risen- tito un’ effetto consimile. Le patate hanno prodotto tuberi di circa due libbre, e molto nutritivi. i Un’ abitante della Za/pe (Brabante meridionale ) ha inven- tato un nuovo aratro , mediante il quale può lavorarsi la terra senza l’ opera dei cavalli o dei buovi, e che imita una specie di cariola, a cui è attaccato il vomere in un modo diverso dal- l’ ordinario. Un uomo spinge e guida nel tempo stesso lo stru- mento, che può esser tirato da due ragazzi di 12 o 15 anni. Se da un lato niun pregio meccanico raccomanda questo strumento, dall’ altro la sostituzione degli uomini agli animali ricorda l’opi- nione di quelli che addebitano le macchine di usurpar la fatica e l’opera degli uomini. Sebbene fosse noto che le ossa possono essere utilmente im. piegate ad ingrassare i terreni, pure non si può non trovare una certa singolarità nell’ annunzio seguente, ricavato da un giornale inglese. È stato calcolato che nello scorso anno sia stato introdotto dal continente d’ Europa nel porto di Hull nella contea di Yorck la quantità d’un milione di staia d’ ossa d’uomini e d° animali macinate per servire d’ingrasso ai terreni. Si sono spazzati , dice l’autore di questa notizia, i contorni di Lipsia, d’ Austerlitz , di Waterloo, e di tutti i luoghi ove sono state date nell’ ultima guerra le principali battaglie. Le ossa degli uomini e dei cavalli così raccolte, irmbarcate ad Hull, e trasportate nella Contea d’Yorck» vi sono: state ridotte in polvere per mezzo di macchine a ciò e e messe in azione dal vapore; quindi spedite per la più gran parte a Doncaster, centro principale del commercio delle cose agrarie in quella Quanta; vi sì vendono per concimare i terreni. Si ha recente notizia dal Senegal che alcune piante di moro e di nopal (caetus cochenillifer ) mandatevi di Francia nel 1822 vi prosperano assai. Una sola pianta di nopal ne aveva già pro- dotte più di 200. Questi felici risultamenti hanno fatto ‘nascer l’idea di naturalizzarvi i bachi da seta‘e la cocciniglia; ed il mi- nistro della marina di Francia pensa ad inviarvi, con altre piante di quelle due specie , gl'insetti preziosi che ne ricavano il loro untrimento. 156 . Nel mese .di Luglio ultimo è tornata felicemente all'isola Bourbon una spedizione inviata a Moka dal capitan Freycinet, governatore della colonia ,, per riportarne dei semi di caffè dj quella specie superiore, che cominciava a degenerare a Bourbon. Vi sono arrivate 11 botti di semi di caffè delle piantazioni più rinomate d’ Arabia, che il sig. di Freycinet si disponeva a distri- buire fra i giardini reali e le abitazioni particolari della colonia. L’Imano di Soanna ha accolto nel modo piu lusinghiero l’inca- ricato della spedizione, gli ha accordato ogni facilità per il suc- cesso. della sua missione ; ed ha esternato il desiderio di veder ran- nodare e. mantenere utili relazioni commerciali tra i francesi edi suoi, stati. Il sig. Neemia Bartley asserisce d’ aver ricavato da certa spe- cie di patate fino a 38 per 100 di farina secca più sostanziosa di quella. di .framento ,, quantità molto superiore a quella, che. ne hanno ricavato i sigg. Percy e Vauquelin. La. società J. d’ economia rurale di Mosca ha stabilito una tenuta sperimentale dell’ estensione di 243 hettari, e una scuola d’agricoltura a un quarto di lega dalla detta città. Pare che si tratti di un terreno d’ alluvione soprapposto a uno scoglio cal- careo . Fino dall’ anno scorso si sono. incominciati i lavori per il disseccamento delle parti. più basse, e in quest’anno si ulti- meranno le fabbriche occorrenti. Il fondo è stato preso .in affit- to per dodici anni con facoltà di rinnovare l’ affitto medesimo per un tempo indefinito. Ogni proprietario, che desiderasse d’in- trodurre' nei suoi possessi gl’ istrumenti e . le. pratiche adoprate nella tenuta d’esperimento, potrà inviaryi un apprendista, che sarà ammesso ;, e nutrito gratis purchè resti dae anni. Il sig. Rogers oriundo! Inglese è il direttore di questo stablimento, sor- vegliato. ancora dal presidente , dal vice presidente e dal consiglio della .società di Mosca. A questa istituzione va unita come dicemmo una scuola d’ agricoltura, destinata a formare degli. abili, ,intendenti di campagna . Il corso degli studi durerà cinque. anni, e mentre col loro mezzo acquisteranno gli alunni le cognizioni teoretiche relative all’ agronomia,,ne seguiteranno la pratica: applicazione. fra ilavori della tenuta. Per essere ri- cevitolalunno di questa; scuola occorre 1’ età di 14 anni, e il pagamento di 500, franchi per ;il primo anno e di 400. per tutti gli altri. Direttore di questa scuola è il sig. Perlaff, professore di mineralogia e d’ economia rurale a Mosca. Possa il successo 157 coronare ùn’ intrapresa così utile, e destare in tutti i paesi emi. nentemente agricoli l’ amore per simili istituzioni . La società d’ agricoltura del dipartimento del Doubs ha stabilito per il 1825. un premio di 300. franchi all’ autore della migliore memoria sugli effetti che producono sulla vegetazione del grano i diversi ingrassi conosciuti. Le memorie debbono es- sere rimesse al segretario avanti il 1. Gen. 1825. Nel programma la detta società, affine di far meglio cono- scere ai concorrenti lo spirito che anima le sue ricerche, ha creduto di dover manifestare la propria opinione sopra diversi punti della questione, e pare che ella consideri |’ impiego de- gl’ ingrassi animali non fermentati come spesso impraticabile, e sempre accompagnato da gravi inconvenienti . Il sig. Cosquiro! di Limoux invitagli agricoltori a profittare di un agitatore da lui inventato per smuovere frequentemente le uve in fermentazione. Siccome però le sane teorie, e la buo- _ na pratica hanno dimostrato esser dannoso il disturbare la fer- mentazione vinosa, noi crediamo che nessuno saprà buon grado all’ invenzione del sig. Cosquirol col profittarne . Gcografia e viaggi scientifici. | Società geografica di Parigi. Nel penultimo nostro bullet- tino abbiamo riportato un passo della notizia letta all’adunan- za generale del 28 novembre ultimo dal Sig. Maltebrun, sui la- | vori di questa società nell’anno 1823, che "fa il secondo dopo la sua formazione . L’abile geografo ha rappresentato con inte- resse li sforzi fatti da essa, ha annunziato che la commissione per il concorso ha conservato le due interessanti questioni che aveva proposte sulle montagne dell’ Europa e sui popoli dell’ Q- ceanica ( vedi Ant. vol. VI. pag. 573. ): ha parlato della conti- nuazione dei lavori della sezione di pubblicazione incaricata di far trascrivere e stampare un manoscritto prezioso ed in parte inedito del viaggio di Marco Polo ( vedi Ant. vol. IX. pag. 174. C. ); di diverse comunicazioni ed offerte fatte alla società ; del progetto in fine di pubblicare una Raccolta di relazioni e di memorie. ,, La vostra commissione, dice il Sig. Maltebrun, 3, ne ha adottata la prima base. Affinché questa raccolta formi 3, un’insieme, ed abbia un carattere di specialità che la distin- 37 gua, la commissione ha ordinato la pronta esecuzione della »» Seguente misura preliminare. Sarà stesa una serie di questio- 158 ni, le quali fra le lacune attuali della geografia; segnaleran- no quelle che possono essere riempite con lavori di gabinet- to, con ricerche dotte; queste questioni anderanno a provo- care, anche in paesi lontani, quelle descrizoni fisiche e stati- stiche, le quali un’ osservatore che risieda sul posto eseguis- ce assai meglio che un viaggiatore di passaggio. Se a que- ste due classi di lavoro si aggiungano le relazioni che, al nostro invito, possono uscire dal portafogli di più d’ un viaggiatore dotto e modesto che siede fra voi, o signori, se vi si uniscano le memorie che i nostri concorsi potranno pro- durre, ci sarà permesso sperare che la raccolta della Socie- tà adempirà degnamente una delle promesse del nostro rego- lamento fondamentale , quella di pubblicare delle opere uti- li ai progressi della geografia. ,, Sarebbe qui il posto del pezzo brillante che abbiamo rì- portato i “n . »» Mentre meditiamo sui mezzi d’ incoraggiare i viaggi , di versi membri della Società scorrono già lontane regioni. IL Sig. Dubois de Beauchene si dirige verso l’ India ed il Thi- bet ; il Sig. Zeschenaut de la Tour s’ incammina verso le contrade che bagna l’ Amazone ; i Sigg: Duperrey e Dumont Durville solcano il grande oceano orientale; il sig. Chomette des Fosses torna da quei paraggi ove le tempeste del mar glaciale battono l’ultimo pramontorio d’ Europa, Tutti que- sti viaggiatori ci appartengona, ma il Governo è quello che ha dato ai sigg: Leschenaut Duperrey e Durville la loro missio- ne; basti a noi averla indicata ; ci sarà senza dubbio per- messo ben presto di celebrarne i felici risultamenti ,, »» Il sig. de Beauchène ha domandato e ricevuto dei con- sigli dalla vostra commissione ; egli ha discusso con alcuni di noi i migliori mezzi ( se alcuno n’esiste) di penetrare sino a quel famoso pianoro dell’ Asia centrale, ove lo spirito di si- stema pone senza fondamento i monumenti d’ un’ antichità fa- volosa, ma ove lo spirito della scienza studierà ben presto quei grandi fenomeni che caratterizzano le montagne pri- mordiali del globo. Voi non ignorate che le catene dell’ Hi- malaja sono state riconosciute come le più elevate del nostro pianeta ( vedi Ant. vol. XII. p. 171. B. ); le Cordigliere si sono abbassate avanti ad esse, ed il Chimborago è detronizzato. Ma immense e fertili valli scendono dal fianco settentrionale di queste catene colossali verso un bacino mediterraneo poca conosciuto ; là Marco Polo viaggiava , son già cinque secoli; | | | | 159 » si perdono le tracce in mezzo a tenebre folte. Il sig: de »» Beauchène ci porta un commentario autentico sopra la rela- > zione ancora sì poco intesa dell’Erodoto del medio evo. ,, Dizionario geografico universale , che contiene la descrizione di tutti quei luoghi del globo, che interessano la geografia fi- sica e politica, l’ istoria, la statistica , ec. fatto da una so- cietà di geografi. Parigi 1823, tomo 1°. presso PIQUET e RILIAN. Non abbiamo ancora sotto gli occhi questo primo volume di un’ opera che avevamo premurosamente annunziata, e la cui pub- blicazione era generalmente aspettata con impazienza; ma trovia- mo un primo articolo critico negli annali dei viaggi del signor Maltebrun , ed i nostri lettori gradiranno senza dubbio che fac- ciamo conoscere il giudizio di questo celebre geografo intorno ‘al ‘principio d’un dizionario, di cui ogni giorno più si sente il bi- sogno, e del quale avevano fatto concepire da noi stessi grandi speranze i nomi posti sopra il prospetto . Il sis. Maltebrun, dopo aver parlato con disprezzo di tutti i dizionarii ed altri libri di geografia nati per semplice specula- zione di librai e di facitori di carte , aggiunge: ,, noi sdegniamo » di occuparci di tutte queste speculazioni; ma ecco finalmente un »» dizionario geoghafico, che si annunzia come fatto nell’interes- », se della scienza’, che invoca come mallevadrice /° approvazio- ,» ne dei dotti, e di cui basta svolgere alcune pagine per distin- »» guerlo dalla folla. Però abbiamo promesso d’ esaminarlo. In »» quest’esame cercheremo di combinare una giustizia severa colla » benevolenza dovuta ad un’opera che ha costato molto dispen- 3) dio e molta pena. Non seguiremo quì il sig. Maltebrun nelle sue dotte critiche, e nemmeno ne ripeteremo le cose, imparzialissime senza dubbio, ma durissime per gli autori di alcuni fra gli articoli generali di questo primo volume: ci basti indicare come egli conclude. ,, Noi » diremo che, come opera scientifica , questo dizionario di geo- »» grafia non corrisponde interamente all’ aspettazione che gli 3» autori hanno eccitata, sia coi nomi rispettabili che hanno po- 3» sti nel loro prospetto, sia coll’apparato d’ un’ introduzione ge- 3, nerale, sia finalmente col tuono decisivo degli articoli gene- »» rali, ec. ,,, Per altro, anche come opera scientifica, questo di- 1 4 x . . . . . . . zionariv è superiore alle compilazioni ordinarie di questo genere. Come opera usuale, come aiuto per il comune dei viaggiatori e \ 160 dei traduttori, merita la preferenza su tutti gli altri, tanto per l'abbondanza che per 1’ esattezza delle. notizie che racchiudono gli articoli speciali; e siccome questo è il fine che i più sì, pro- pongono comprando un libro di questo genere, possiamo di buo- nissima fede, nel tempo stesso che critichiamo molte cose, rae- comandare l’ insieme dell’ opera, e desiderarle. un, trionfo. com- pleto su tutti i Z'osgien. I Viaggio d’un tartaro in Affrica — La. notizia relativa a questo viaggio è registrata nel Giornale dei viaggi, quaderno di novembre 1823. Il tartaro di cui si tratta era arrivato al Capo Coast, scortato da dei messaggeri del Re d’ Ashantea , e vesti- to d’un vecchio uniforme della compaguia inglese affricana , Questo spettacolo eccitò molto la curiosità; ma siccome il tar- taro non parlava nè l’ inglese, nè sufficientemente alcuna delle lingue affricane intese al Capo Coast, dagli abitanti del paese non sì poterono avere da lui che notizie poco precise ìutorno al viaggio straordinario che egli aveva terminato sì felicemente. Ecco i principali fatti che si sono potuti raccogliere , mentre si attende che trasportato in Inghilterra, egli possa trovare un interpetre che.lo metta in grado di spiegar meglio i motivi della sua intra presa , e le particolarità del viaggio. Egli si chiama ZVargee; è tartaro, e probabilmente d’ana delle onde stabilite a piè del Caucaso. Egli dice d’ esser nato a Kislar, capitale del governo di detto nome ; crede d’avere 70 anni, ma non ne dimostra che 50 , o Go. Nell’ età d’ anni 15 mi- litò al servizio della Russia contro i Turchi. Fatto prigioniero da questi, fu condotto a Costantinopoli, e divenne lo schiavo d’un turco ; al servizio del quale rimase 7 anni. ,, La ma- 33 niera in cui accoglieva le domande che gli erano fatte su »» questo punto, mostrava che egli avrebbe voluto evitare di s) rispondervi, forse perchè il genere di funzioni esercitate pres- 3) sO il suo padrone nonera molto elevato; o per la repugnan- », za che egli provava a fare le sue comunicazioni per mez- > 20 d’ un’ interpretre che evidentemente gli dispiaceva, e la 3» ignoranza e stupidità del quale erano effettivamente una sor- » gente continua d’ imbarazzo. Egli è giusto il dire che ri- »» guardo ad ogni altro oggetto, e principalmente a ciò che ,; concerne il viaggio e l’ itinerario, ZYargee ha mostrato il 3) più gran desiderio di farsi intendere , ,, Col tempo egli diventò a Costantinopoli buon commerciante, e come tale viaggiò molto nell’ impero ottomanno. Fu a Bas- sora, poi a Bombay, a Calcutta, a Java; tornò a Moka, | 161 si portò alla Mecca. Di là fece un viaggio al Cairo, e si rimbarcò ad Alessandria per Costantinopoli. ,, Si è fatta par- » ticolare insistenza per ricavar da lui le particolarità di que- sto viaggio, che durò due anni, perchè la maniera esatta »; in cui egli ha indicato una strada facile a verificarsi , può 33 fino ad un certo punto dar la misura della fiducia che ,» meritano i suoi rapporti intorno ai viaggi che egli ha fatto », in seguito nell’ Affrica ,,. Dopo quel tempo egli fece frequenti viaggi nel mediter- raneo , sulle coste d’ Affrica, a Malta, e s’inoltrò fino a Gi- bilterra . Il principio del suo viaggio attuale è da lui descritto co- me avvenuto da cinque anni. Egli partì da Costantinopoli per Tripoli. Restò lungamente a Tripoli, poi andò a Mourzouck (capitale del regno di Fezzan) con una carovana, per Sokna in 43 .giorni, e vi si trattenne due mesi; da Mourzouck passò a Kashna in 6 giorni. A Galibaa, paese di Kashna, Wargee fu derubato d’ una gran parte del suo equipaggio. In. 5 altri giorni giunse da Kashna a Kano, paese del Sultano di Hous- sa, di cui la capitale è Secwu. Il nostro viaggiatore si trat- tenne lungo tempo verso. questa città , donde sembra che egli abbia viaggiato in varie direzioni. Egli nomina un gran numero di città che ba visitato, e di fiumi o laghi che ha traversato. A Cumba egli passò il Quolla inun dattello a 16 «remi, impiegandovi quasi un’ ora. Per quanto egli afferma, la direzione di questo era da levante a ponente. Dopo circa 90 giorni di cammino coi cammelli egli arrivò a Tombuctou . Wargee si fermò cinque settimane in questa capitale, in- torno alla quale somministra molte notizie particolari che pos- sono reputarsi esatte, per quanto permette di supporre il di-. fettoso e ristretto modo di comunicazione avuto con lui, Per parlarne ai nostri lettori aspetteremo che ci sia pervenuta una relazione più autentica, stesa coll’ aiuto di migliori interpreti, perchè non ci vien detto ancora cosa sia avvenuto di Wargee dopo il suo arrivo al Capo Coast. Lasciando Tombuctou , egli andò a trovare il Bar ee ( fiume Niger) che scorre a piccola distanza, e navigò 22 giorni per arrivare a Zinne. Da Iinne andò per terra in 5 giorni a Sooroon Doomah. Da Sooroon in 34 giorni visitò diversi paesi e città in varie direzioni, trattenendovisi più o meno lungamente. In 35 altri giorni di cammino pervenne alle frontiere del regno d’ Ashantea. Gli bisognò trattenersi lungamente alle frontiere, e T. XII. Febbraio Il 162 superare molte difficoltà , derivanti principalmente dal non poter più farsi intendere dagli abitanti, per ottener la permissione di traversare il regno per portarsi allo stabilimento inglese del Capo Coast, ove sperava trovare il mezzo d’ imbarcarsi per ritornare nella sua patria. Dopo 38 giorni di cammino fatto in varie direzioni egli giunse a Cormasia capitale dell’ Ashantea, donde in 21 giorni pervenne al suo destino. E una circostanza curiosa che Wargee abbia in qualche modo confermata |’ ipotesi della riunione del Niger al Nilo di Egitto , avendo stabilito che il Quo/la , preso a torto per il Niger, ed il Bar Neel che lo è in effetto, scorrono in dire- zioni opposte, cioè il primo da levante a ponente per gettarsi nell’oceano, il secondo da ponente a levante per riunirsi al Ni- lo passando per Sego, Samanding, Sciime, Tombuctou, poi per paesi che egli non ha visitati, poi finalmente per il ‘Turiaclk ed il territorio d’ Habesh * L’ accoglienza amichevole incontrata da Wargee presso il Sultano di 'Tombuctou, che egli dipinge come un’uomo assai dolce ed ospitale, sebbene mai uomo bianco fosse là penetra- to prima di lui, permette di sperare che se il nostro Belzo- ni arriva una volta a questa città, vi sarà ben ricevuto. Ec- co notizie recentissime che si sono avute di lui, Progressi del sig. Belzoni in Affrica — Si sono finalmente ricevute nuove del celebre viaggiatore Belzoni, per mezzo di una lettera indirizzata ad uno dei suoi amici in Inghilterra» In essa; dopo molte particolarità intorno agli ostacoli frapposti al suo viaggio da certi agenti stranieri, i quali per vendicarsi del non avere egli voluto far loro la corte, hanno tentato di farlo passare per un’ agente del governo, asserzione che il sig. Belzoni smentisce formalmente, dichiarando di non aver mai contato che sui suoi propri mezzi, egli aggiunge ciò che se- gue .,, Queste persone s’ ingannano grandemente se pensano con 3; tali mezzi di svolgermi dalla mia intrapresa; la sola morte 1; potrebbe impedirmi d’ adempirla. Fatemi il piacere di con- », futare in Europa le calunnie dirette contro di me, e siate », sicuro che qui tutto va bene. Par altro è cosa penosa per 3, me il pensare, che in vece d’ esser secondato , io sono per- »» Seguitato . Ma colla pazienza condurrò a fine il mio disegno, 3) con grande mortificazione dei miei avversarii. Io sono adesso 3, al grado 21 di latitudine nord;, questo è tutto quello che 3) io posso dirvi per ora, temendo che i miei nemici non ven- 3» gano a sapere duve io sia, 163 Il sigr Belzoni ‘unisce alla sua lettera (sicuramente per da- re un'idea dell’ accoglienza lusinghiera che ha ricevuto nel regno di Fez) copia d una nota che gli è stata indirizzata al suo arrivo dal ministro moro. Essa è concepita in questi ter- mini : 3» Sappiate che S. M. I. ha ordinato a me, Sidi Benzul , 3, di fare questa comunicazione al nostro amico sig. Belzoni. » Abbiamo ricevuto la vostra lettera, colla quale annunziate » il vostro arrivo a Tanger, ed esprimete il desiderio d’esser » presentato all'Imperatore. Voi potete venire ; tutte le cose 3» di cui avete bisogno vi saranno accordate colla grazia di » Dio, secondo i vostri desiderii. Giuda Benalish , nostro agente » a Gibilterra, ci ha scritto a questo proposito, pregandomi 3» d'avere ogni sorta di riguardi per voi, e di facilitare tutto »» ciò che» voi potreste desiderare. Questo non era necessario; perchè io conosco la vostra situazione meglio che egli non 3 me l’ ha spiegata ; bastava che mi diceste che voi siete lo stesso 3) uomo che io ho conosciuto in Egitto. Il mio padrone, che Dio » conservi, ha già ordinato che voi veniate a Fez cogli onori ed 2 3 i riguardi convenienti, e che siate ammesso avanti l’alta sua » maestà. Io v' indirizzo a quest’ effetto un’ ordine che vi per- » mette di passare e ripassare in tutte le città che vi pia- » cerà, e prescrive di accogliervi ovunque con' rispetto ed 7, ONOre ,,. Secondo le minute informazioni che dà il ‘sig. Belzoni, le spese del suo viaggio e del suo soggiorno ‘a Fez, compresivi i doni necessarii, son montate alla somma ‘di ‘mille lire ster- line, che egli ha pagate della sua propria borsa, aspettando che il prodotto della soscrizione aperta in Inghilterra per aiu- tare la sua intrapresa, permetta di fargli arrivare dei denari. Si assicura che il ministro moro di Fez, il quale prende per questo viaggiatore un così vivo interesse, ha spedito al signor Belzoni del danaro e delle lettere per un’ espresso che era partito da Fez, montato sopra un dromedario, con ordine di proseguire fino a Tombuctou, nel ‘caso in cui la caravana di cui questo viaggiatore faceva parte fosse già arrivata a questa ultima capitale. ‘ Dopo che la lettera precedente fu pubblicata nei giornali inglesi, altre lettere hanno fatto conoscere la vera direzione presa da questo viaggiatore intrepido . L’ imperatore di Maroc- co gli aveva proibito di oltrepassare il moute Atlante, nelle gole del’ quale egli già si trovava. La catena principale di 164 pi questi monti non consiste che in colline. Il sig. Belzoni, par- tito di muovo da Mongador, si era imbarcato a Teneriffa sopra un bastimento inglese che andava alle isole del Capo verde ; da quest’ ultimo punto egli voleva passare al fiume Gambie sul continente; ma essendo informato che niuna occasione si pre- sentava qui per passare immediatamente alle rive dell’Affrica, continuò la sua navigazione a bordo del bastimento su cui era, e venne a sbarcare al Capo-Coast (Capo-Corso), ove? s’ imbar- cò subito sul bastimento /o Swinger per la costa di Benin. A Benin egli tenterà di penetrare nell’ interno . ,, Io an- 3» derò , egli scrive, in una direzione nord verso la città di 7» Hooussa, ed io devo incontrare il Niger prima di arrivarvi, » ed all’ est di questa grande città. Da Hooussa il mio viag- 3g gio. si dirigerà forse sopra Tombuctou: forse anche io ten- ;»» terò di ritornare per la via d’ Egitto. ,, Il sig. Belzoni è accompagnato da un negoziante moro do- miciliato ad Haoussa , e che doveva servirgli di protettore se- guitando una carovana; è questi un compagno meno utile tra- versando i paesi negri; per altro sembra che sulle rive del Niger i mori godano di qualche considerazione. Il nostro viag- giatore porta anch’ esso l' abito da moro ed una barba vene- rabile, Auguriamogli tutto il successo che merita il suo corag- gioso impegno. Carta delle acque minerali della Francia, formata se- sondo .la carta del Cassini, dal sig. Bréon Dottor medico, e conforme alla divisione adottata dalla commissione delle acque minerali. Parigi 1823, presso Co/ac, prezzo fr. 5. I giornali sii duo di questo lavoro tanto sotto il pun- to di vista ride che sotto quello dell’ uso dei ba- gni. Sarebbe da desiderarsi che tutte le contrade ricche di acque minerali richiamassero egualmente l’attenzione dei dot- Qualche sorgente appena conosciuta oggi, può in pochi an- ni richiamar molti ad usarne per bagno e per bevanda. Ab- biamo in Toscana più d’ una sorgente che non è stata ancora sottoposta all’analisi chimica, e che quest'arte perfezionata po- trebbe forse trovare dotata di proprietà pregevoli e rimaste inutili fin qui, Due membri dell’ università di Casar (Impero di Russia ) hanno terminato felicemente un viaggio scientifico ai monti Oural ; essi sono i sigg. senator So:inzonof ed il dottor Fuchs, 1! loro fine principale era di visitare le miniere d’oro che so» 165 no state scoperte da alcuni anni. Essi hanno riconosciuto che le miniere situate all’ est dell’ Oural son ricchissime e di facil lavoro. Questo metallo vi si trova sotto la forma di grani o piccole particelle d’ oro, in un’argilla che s'incontra quasi im- mediatamente sotto l’erba. Vi sono state scoperte delle pietre preziose, fra le quali una simile allo zaffiro ha ricevuto il no- me di Soimonite. Superficie e popolazione dell’ America . — Diversi giornali hanno pubblicato una tavola statistica del sig. Barone di Hum- boldt, che presenta l'estensione di superficie e la popolazione di diverse parti dell’ America. Questo quadro è ricavato dal 3°. vo- lume della relazione istorica del viaggio alle regioni equinoziali del nuovo mondo, che verrà fra poco alla luce. Il sig. de Hum- boldt, mentre biasima una pubblicazione fatta in paese straniero, e senza suo assenso , ha rilevato alcuni errori di numeri, e noi diamo qui questa tavola colle correzioni comunicate dall’ autore. Superficie in leghe quadrate Popolazione DIVISIONI POLITICHE. di20 per grado equinoziale. 1823. EEE AI EIN EN iu er'acer ran 'arcutet eric] WE TRAI AI 1. Spagnoli - Americani. — 371,380 — 16,785,000 Mexico, o Nuova Spagna _. 75,830 . 6,800,000 Guatimala . . . TIRI 16,740 1,600,000 Cuba e Portoricco . . . 4,430 800,000 MIMO ;i js: osano fe se 91,950 2,785,000 ieri li ione 41,420 1,4.00,000 e eri o Li 14,240 1,100,000 Buenos lAyres.. 0. Lili 126,770 2,300,000 nn 2. Portoghesi - Americani, ( Brasile ) 296,990 — 4,000,000 3. Stati Uniti anglo-americani 174,300 + 10,220,000 Fondazione d’ una nunva città in Svezia. La Dieta svedese ha deciso la questione importante relativa al canale di Gotha, di cui si temeva vedere interrotti per snancanza di danari j lavori, già molto avanzati. Questo canale è destinato a stabi- 166 lire delle comunicazioni facili ed. economiche. fra Stockolm .e Gotemburgo, fra il Baltico ed il mar del nord, senza passare il Sund. Il sentimento dell’ onor nazionale ha trionfato , e la Dieta ha conclaso un imprestito di 1,600,000 scudi da rimbor- sarsi in 4 anni , per mezzo del quale i lavori saranno con- tinuati con vigore, ed il canale sarà navigabile nel 1829. Oltre le città ed i paesi vicini al canale, la nuova città di Mota/a che vi è il progetto di costruire sulle sue rive, ne ‘ricaverà vantaggi incalcolabili. Si sa che già più di 4oo persone si sono presentate per farvi fabbricare delle case. Esplorazione della nuova Zembla. Diversi viaggi poco co- nosciuti sono stati intrapresi dai russi per riconoscere le coste della nuova Zembla fino dal 1768, e quindi nel 1806 , e nel 1819. — Nel 1821 e 1822 un brick da guerra sotto il comando del luogotenente Zitke ha seguitato le coste di questa contrada gla- ciale fino alla latitudine di 76° 1/2, ove una barriera impene- | trabile di ghiaccio lo arrestò. Quivi è la punta settentrionale di quella terra. Il sig. Litke ha rilevato quasi tutte le coste oc- cidentali, ed ha smentito tutte le relazioni esagerate dei suoi predecessori sull’ inaccessibilità di quelle coste e sul carattere micidiale del clima. Vi si trova un gran numero di porti eccel- lenti. Il sig. Litke essendo ritornato a Pietroburgo, si spera di veder presto pubblicate le sue carte e le sue relazioni. Scienze matematiche, Astronomia. Geodesia. Mentre estesi e ben diretti lavori topografici si moltipli- cano nelle varie parti d’ Europa, si acquistano notizie sem- pre più precise sulle distanze dei luoghi, il paragone delle quali colle diverse posizioni astronomiche , che. contemporaneamente si cerca di stabilir con tutto il rigore, condurrà ad un più com- pleto scioglimento di quel celebre problema, il qual dee far più esattamente conoscer la figura della terra, Una triangola- zione, che di concorde volere dei governi Austriaco e Piemon- tese si eseguisce in Savoia, sarà collegata a quella dei Francesi con- dotta lungo il parallelo medio dall’ Oceano all’Alpi, e allorquando sarà un tal lavoro compito, e l’altro non men arduo che i te- deschi van facendo nella misura della catena di triangoli condotta da Fiume a Orsova, sì avrà l’estensione’ lineare d’ un arco di pa- rallelo di 24.0 Frattanto gli astronomi si son sforzati e si sforzan tuttavia dj i 167 eongiungere alla misura trigonometrica la determinazione delle latitudini e longitudini dei punti estremi ed intermedi dell’arco. Di molti dei quali punti, se erano state con ragione per il pas- sato determinate le latitudini, ben incerte ne erano le differenze di longitudine, della qual ricerca per questo appunto si son oc- cupati con maggior premura gli astronomi. 4 Fu stabilito di far uso per determinar queste differenze di Jongitudine del metodo dei segnali a polvere. Del qual metodo la buona riuscita era stata già confermata in Italia nell’anno 1821, allorchè con dei segnali dati per tre sere consecutive dalla mon- tagna detta la Rocca Melone, si volle collegare l’ osservatorio di Milano con quello che era stato eretto di recente sul Monte Ce- nisio, e se ne ottennero dei resultati medii concordi fra loro entro 2, o 3 decimi di secondo. Il buon esito di questo primo tentativo fe nascer il desiderio d’applicare il metodo istesso alla determinazione delle differenze di longitudine di un assai maggior numero di luoghi : il Monte Cimone fu il luogo destinato per i segnali, come quello che fu credato il più opportuno per la sua posizione, e per la facilità colla quale può esser veduto dal maggior numero delli osservatori d° Italia. Il Sig. Cap. Hawliezek per ordine del Sig. Colonnello Bar- di Welden, capo dello stato maggiore in Milano, si portò sul monte Cimone per eseguirvi il difficile assunto dell’ accensione della pol- vere ; i chiarissimi ed instancabili astronomi italiani Carlini e Santini si portarono, il primo a Parma, il secondo a Monte Cerro, mentre dei programmi stampati invitavano gli astronomi di Mo- dena, di Bologna, di Firenze, di Lucca, e di Pisa, e gli altri dilettanti di cose astronomiche, a rendersi attenti all'osservazione dei segnali, la quale dovea aver luogo nei giorni dei 7,8,9 Maggio 1822. Se l’esito delle osservazioni avesse completamente corrisposto alle espettative di coloro, che con tanta. diligenza e sì delicate precauzioni le avean disposte , si sarebbe ottenuta la differenza di longitudine fra Milano e Firenze. Ma il Monte Cimone separato dalla prima di quelle due città dal corso del Pò, è spesso invisibile sull’orizzonte di essa, a motivo delle nebbie che frequentemente s’inalzano sul fiume d'Italia; que- sta e le altre circostanze dell’ atmosfera fecero sì che restaron perdute le osservazioni delle due stazioni più lontane, non essendo stati veduti i segnali accesi sul Cimone da Milano e dal Monte Cero. Non ostante però, come il diligentissimo Carlini avea con ottimo cronometro trasportato a Parma il tempo di Milano , così 168 fu in qualche modo supplito alla mancanza dell’ immediata os- servaziohe da qual luogo. i # Modena il Prof. d’ astronomia Sig. Bianchi, aiutato dal capo degl’ ingegneri topografi di quel Ducato Sig. Maggior Caraudini; a Bologna il Sig. Prof. Catunegli e il suo allievo Sig. Ceschi ; a Firenze gli esperti aiuti del dottissimo Padre Ingbirami, assente dalla città per non meno importanti cagioni, osservarono i se- gnali a polvere, e i resultati delle loro osservazioni sono ab- hastanza importanti, e servono a somministrar dei dati per ri- solvere idubbi e le anomalie incontrate nel confronto delle posizioni geodesiche ed astronomiche di molti punti della penisola. L’im- portanza dei quali risultati fece risolvere gli astronomi, i quali avean disposti ed osservati i segnali del Monte Cimone, a ripeterli da un lato sul Monte Balbo, per esser veduti da Milano , da Padova, da Modena, e da Bologna, e dall’altro sul Monte Tabor in Savoia, per essere osservati dal Monte Cenisio, e dai monti posti sul coufine della Francia. Scoperta di una nuova cometa. — A ore 4 e minuti 50 della mattina dei 29 dicembre 1823, il sig. Pons osservò da Marlia, fra la spalla sinistra del serpentario , e la testa dell’ Erco!e, una co- meta benissimo visibile a occhio disarmato, e ornata di una coda di tre o quattro gradi di lunghezza. Contemporaneamente que- ‘st’ astro fu veduto dai viaggiatori, dai contadini, da tutti quelli in somma che han l’ abitudine di alzarsi di buon mattino, Il cielo costantemente ingombro di nubi negli ultimi giorni del passato anno, fece sì che la cometa comparendo improvvisamente nella sua maggior bellezza, non fosse osservata prima dagli astronomi che da quelli, i quali inalzano casualmente li occhi al cielo stellato» Il prof. Santini osservò da Padova la nuova cometa nei 3. gennaio 1824, mentre gli astronomi di Bologna avvertiti dal sig. Pons della di lei apparizione, l’ avevan veduta fino dal primo gior- no dell’istesso mese assai più presto del chiarissimo Carlini di Milano , il quale a motivo dell’ inopportuno stato dell’ atmosfera, non incominciò le sue osservazioni prima del giorno otto. Il sig. Carlo Brioschi, direttore della specola di Napoli, nella sessione tenuta in quella città dall’ accademia delle scienze nei 20 gennaio, comunicò una sua memoria contenente gli elementi del- l’ orbita della nuova cometa, uniti alle osservazioni da esso falla nei giorni 6, 10, e 14 gennaio. } L’ instancabile e dottissimo astronomo di questa nostra città e E 169 il P. Inghirami, fa tardi informato della comparsa del nuovo astro, del quale pur non ostante egli tien dietro accuratamente al corso, e giova sperare che sarà senza ritardo pubblicata la serie delle sue importanti osservazioni. I giornali esteri ci fan sapere che in molti altri luoghi, e in Alemagna specialmente, la cometa fu veduta avanti la fine del- l’anno 1823. Il dì 31 dicembre essa fu osservata sull’ orizzonte di Strasburgo , ed il giorno precedente aveala veduta il sig. Schutz a Duren, e dopo di esso il sig. Miinchou prof d’astronomia a Bonn, ed il sig. Encke a Gota. Colle prime osservazioni del prof. Carlini è stato pubblicato anche il calcolo che esso ha fatto dell’ orbita della cometa , dal quale sembra potersi concludere che quest’ astro si mostra per la prima volta agli abitanti di questo nostro globo. Non possiamo terminar l’ annunzio della scoperta della sud- divisata nuova cometa, senza rallegrarci con noi stessi per esser stati posti in grado di assicurare con l’istessa sollecitudine i no- stri lettori, che è stato digià riconosciuto il corso che que- st’ astro ha tenuto finora e che terrà in appresso. Quest’ avver- tenza sembrerà del più gran peso a chi sa ehe poche diecine di anni indietro la determinazione dell’ orbita parabolica d’ una co- meta era un problema difficilissimo. I rapidi avanzamenti che le scienze han fatti ai giorni nostri, ci dan diritto di sperarne dei proporzionati in avvenire , e ci fanno invidiare ai nostri nipoti la cognizione di tante cose le quali son ora arcane, e saran forse a loro palesi. È stata per la terza volta pubblicata la traduzione nel no- stro idioma degli elementi di Geometria del sig. Legendre. La rapidità colla «quale sono state esaurite le due prme edizioni basta a dimostrare quanto abbia incontrato il gradimento delli studiosi delle‘: matematiche questo lavoro , nel quale si ritrova tutta la precisione e la chiarezza dell’ originale. Che anzi, come nella dimostrazione dei teoremi fondamentali della teoria delle parallele, sembrava che il sig. Legendre si fosse un poco disco- stato dal rigore in tutto il resto della sua opera costantemente osservato , così nella traduzione italiana trovasi sostituita una più esatta dimostrazione di quei teoremi data dal sig. Bertrand. Non ostante che l’ autore di questa traduzione siasi sforzato di tenere occulto il suo nome, egli è notissimo al pubblico , e noi non facciamo che eco alla voce co mune dicendo che il sig. Cel- lai, segretario della Deputazione sul nuovo catasto, ha eminen- 170 temente meritato dell’ universale riconoscenza. Nè la traduzione della Geometria di Legendre è il solo dei lavori di tal genere che a lui si debba. Egli ha pur tradotto l’ intiero corso di ma- tematiche elementari del sig. La-Croix , e per quanto non sia- si discostato dall’ originale, una giudiziosissima modificazione da esso indotta nella distribuzione delle materie, ha aumentata l’ utilità di quell’ opera. Avea il sig. Cellai osservato che mol- ti studenti, dopo avere percorsi gli elementi di aritmetica e di geometria , non andavan più oltre negli studi matematici , e che alcune nozioni necessarie ai. medesimi erano state dal sig. La Croix inserite nel corso dell’ Algebra. Per questo egli ha trasportate alla fine dell’ aritmetica la teoria delle proporzioni, la spiegazione del modo d’ estrar le radici , ed altre materie , delle quali è più generalmente necessaria la cognizione. In somma il sig. Cellai ha provveduto il nostro paese della serie completa degli elementi delle varie scienze matematiche , ed ha il merito della scelta dei migliori originali , e quello di una diligente e accurata traduzione. Dopo avere annunziata la terza edizione della traduzione italiana degli elementi di geometria del sig. Legendre, non pos- siamo dispensarci da notare che di recente è stata pubblicata la dodicesima dell’originale, da Didot stampatore di Parigi. In que- st’ edizione è contenuta una dimostrazione affatto nuova delle proprietà delle parallele. Il sig. Poncelet ha in una sua opera pubblicata col titolo Trattato delle proprietà projettive delle figure ec. cercato di perfezionare il modo di scoprire in semplice geometria, indipen- dentemente dal soccorso dell’ analisi algebrica, fondandosi sulla dottrina delle projezioni, e sul principio di continuità. Egli con- sidera la figura, della quale vuole indagar le proprietà , come derivata, per mezzo d’una data maniera di trasformazione, da un’ altra figura della quale le proprietà son note : e ammette che tutte le proprietà delle figure si riproducono nella figura trasfor- mata. Non dubitiamo che l’opera del sig. Poncelet non abbia il merito di riportare a questi soli molti teoremi, la dimostrazione dei quali dipendeva da un più gran numero di principii. Era già noto che colla considerazione del moto si riducevan più semplici molte dimostrazioni geometriche d'altronde assai difficoltose. Con quanta rapidità e certezza si ottenevano fin qui i pro- gressi nello studio delle arti di leggere e di scrivere nelle scuo- le elementari di reciproco insegnamento, con altrettanta difficoltà, 17! bisogna confessarlo , si conseguivano quelli nell’arte di calcolare per la mancanza di un corso , che essendo composto sopra i buoni principii , si prestasse alle pratiche del rammentato metodo. Giun= ge a noi la notizia che il sig. Jomard abbia reso quest’ impor- tantissimo servigio ai bisognosi dell’ istruzione primaria. Noi sia- mo assicurati che quest’ autore abbia graduati in modo i precetti primordiali e il meccanismo delle operazioni, che gli studenti non rimangano giammai arrestati da alcuna difficoltà. Sappiamo che egli ha pure immaginato un ingegnoso meccanismo per fare apprendere le più estese nozioni sul sistema metrico e sulle sue più comuni applicazioni, Sarà cosa grata per noi l’essere posti nel caso di poter esaminare quest’ opera interessante , e a quel. l’ epoca ci faremo un dovere di farne rilevare i pregi e lu» vilità. Società e intraprese scientifiche e filantropiche. Atento reale di Parigi. ,, Fra tutti li stabilimenti lette- rarii di Parigi, l’ Atenèo reale è uno di quelli che hanno mag- giormente contribuito ai progressi delle scienze e delle lettere , che i dotti ed i letterati più distinti della Francia vi hanno professate. Per questo stabilimento La Harpe fece il suo Corso di letteratura ; Ginguené , la sua storia letteraria d’ Italia ; Fourcroy, il sistema delle cognizioni chimiche ; e Lemercier il suo Corso analitico di letteratura generale. In esso il sig. Cu- vier ha fatto quelle belle lezioni di storia naturale e d’ anato- mia comparata, che gli banno meritato i suffragi di tutta l' Europa, Le cattedre dell’Atenèo sono state continuamente aper- te a tutti i professori celebri, e vi si è sempre avuto cura d’ incoraggiare i giovani talenti. Sodisfare il gusto delle perso- ne istruite, supplire all’ istruzione delle altre , rammentare agli uni ciò che essi sanno, insegnare agli altri ciò che essi ignora- no ; 0 ciò che non hanno appreso se non imperfettamente, ispirare il gusto dei buoni studi a quelli che non l’ hanno an- cora , secondare li studi degli altri, occupare piacevolmente le persone d’ età che sono annoiate dei piaceri , finalmente, offri- re ai giovani che hanno fatto male i loro studi classici , o che non gli hanno finiti, i mezzi di completarli o di. perfezionarli , tale è il fine e tale è l’ utilità dell’ Atenèo ;,. 172 Così si esprime la Rivista enciclopedica di Parigi , annun- ziando i corsi che vi si fanno in quest’ inverno, e che sono in numero d’ otto , cioè : fisica sperimentale , chimica, anato- mia e fisiologia, astronomia, letteratura, storia letteraria della Francia, arte oratoria; storia d’ Inghilterra; il tutto fatto da uomini del primo merito. Indipendentemente da que- sti corsi regolari; i sigg. Jormard , membro dell’Accademia delle iscrizioni, Denon membro dell’ Accademia delle belle arti, ed altri dotti e letterati avevano promesso di fare delle lezioni so- pra diversi soggetti di loro scelta. Quanti mezzi in questa Parigi per quelli uomini ai quali piace impiegare il loro tempo in un modo utile e piacevole insieme! A canto a quest’ Atenèo, il quale non costa che 120 franchi per anno a ciascun soscrittore (bensì il numero di que- sti è considerabile) si vedono molte altre istituzioni poco co- stose o gratuite, che tutte hanno per oggetto la propagazione dei lumi e l’ utile impiego del tempo. Università di Berlino. Ecco quali corsi vi si fanno nel semestre d’ inverno 1823-24. Essi sono in numero di 189, di- visi in 1o classi come appresso. I. cLAsse. Cognizione della Divinità; 20 corsi diversi con- sacrati alla spiegazione dei diversi libri della Bibbia, all’ enci- clopedia ed alla storia delle scienze teologiche, alla storia delle diverse epoche del Cristianesimo , ‘alla letteratura ed alla poe- sia sacra, alla morale teologica, alla morale pratica, ec. II. casse. Studi legali. Sono in numero di 21 i diversi corsi sopra tutte le scienze che vi si riferiscono. Citeremo quello che ha per oggetto l’ esposizione del sistema della le- gislazione amministrativa in Prussia . III. cLAsse. Cognizioni mediche, 63 corsi. Vi sono dei professori che trattano unicamente delle epizoozie particolari agli animali domestici, delle oftalmie , ec. IV. cLaAsse. Scienze filosofiche , 11 corsi, dei quali uno sulla pedagogica, o scienza dell’ educazione . 173 V. cLASSE. Scienze matematiche ; 14 corsi. VI. cLASSE. Scienze fisiche; 22 corsi. VII. cLasse. Scienze economiche ed. amministrative, 11 corsi. Vi si comprende l’ applicazione delle diverse scienze ne- cessarie ai funzionariù pubblici. VIII. cLASsE. La scienza storica e politica insegnata da 6 professori. IX. cLasse. Storia delle belle arti, 2 corsi. X. cLAssr. Scienza filologica, grammatica gencrale e sto - ria delle lingue, 19 corsi. Questa notizia potrebbe essere argomento ad un’ articolo importantissimo. Noi desidereremmo che qualche persona di ciò capace volesse occuparsene , e ci comunicasse le sue idee. La società di medicina di Lovanio, ha coronato all’ unani- mità nella seduta generale del 2» ottobre ultimo una memoria sulla seguente questione: esiste egli nello stato di malattia una condizione generale delle forze, della quale sia necessaria la cognizione per fissare l’ indicazione curativa? Se questa condi- zione esiste , determinare in che consista, e quali segni la ca- ratterizzino; se non esiste, far conoscere le cause che indu- cono in errore î medici che l’ ammettono. Questa memoria è opera del sig. Dot. Begin di Lovanio, uno degli estensori del Dizionario compendiato delle scienze mediche, di cui si fa in questo momento una ristampa a Milano presso N. Bettoni. Societa filantropica e straniera in sollievo delle classi la- boriose a Londra. Si è formata a Londra una società che ha per oggetto l’ offrire alle classi inferiori dei soccorsi per- manenti, con stabilire delle comunità, in seno delle quali la cooperazione attiva d’ ogni membro contribuirà all’agiatezza ge- nerale, e che per mezzo dell’ educazione , dei buoni esempi, e del lavoro debbono giungere ad estirpare i mali generati dall’ ignoranza , dalle abitudini viziose, dalla miseria, e dal- l’ozio. Questa società veramente filantropica non ristringe la sua sfera. d’azione alla sola Inghilterra, ma vuole estendersi su tutta la superficie del globo, ed a quest’ effetto ha preso delle misure per far conoscere alle classi elevate di tutti i paesi come esse possono senza sacrifizi pecubiarii, e forse anche con vantaggi reali concorrere a quest'opera di beneficenza. Il prospetto pubblicato espone prima l’organizzazione della società, quindi presenta i regolamenti che devono servir di base alla formazione delle comunità proposte, Le sue viste sono analo- 174 ghe a quelle che sonò state segnalate in proposito della colo- nia di Nuova Lanark in Scozia (vedi Antol. vol. X. A. p. 67) 37 Abbiamo colto con premura quest’occasione, dice la rivista » enciclopedica , di partecipare ad una bella intrapresa con- 3, tribuendo a farla conoscere. Senza dubbio | esecuzione di 3) questi progetti d’una filantropia illuminata è difficile; ma » non vi è ostacolo che il vero zelo non possa sormontare . »» Quello che uomini privi d'una volontà forte avranno chia- 3, mato bel sogno, uomini attivi ed energici . giungeranno a », realizzarlo. Bisogna far dei voti perchè l’ energia necessaria 5, sia congiunta, nei membri della Società filantropica; ai lu- 3; mi dei quali hanno dato prove pubblicando il loro piano ,;. ‘ Progetto d’ una società per la propagazione della fisica sperimentale , a Coppenaghen. — Il sig. Oersted ha fatto inserire nei giornali danesi un’invito indirizzato a tutti gli abitanti del. regno , e che ha per oggetto di formare una società per la pro- pagazione della fisica sperimentale. Egli comincia da esporre la grande influenza che una simile società potrebbe avere nell’ am- ministrazione interna d’ un paese. La società progettata stabilirebbe un comitato centrale a Coppenaghen nella doppia veduta, primo ; di contribuire alla propagazione delle scienze tisiche , ed alla loro applicazione in tutti i rami dell’ indastria; quindi di formare dei giovani atti ad essere inviati nelle provincie per professare la fi- sica in lezioni pubbliche. Ovunque si stabilisse una cattedra di professore, si avrebbe cura d’inviare una collezione di strumenti, ‘di libri e di disegni. Il professore dovrebbe trasferirsi di sei in sei mesi da una città in un'altra, di modo che in poco tempo tutto il paese avrebbe goduto del benefizio di questa istruzione egualmente utile a tutte le classi. Ogni professore sarebbe obbli- gato a portarsi una volta all’ anno al comitato centrale di Cop- penaghen per prender cognizione delle nuove scoperte , di cui la scienza si fosse arricchita nell’ intervallo. Il comitato si occupe- rebbe anche di far fare, a sue spese, dell’ esperienze nuove, per affrettare i progressi della fisica, e di fondare uno stabilimento a comodo di quelli che desiderassero imparare a farne le applica- zioni. Estratto delle radunanze dell’ I. e R. Istituto di scienze, lettere ed arti di Milano, tenute nel 1823, Adunanza del 2 Gennaio 1823, — Il sig. Carlini rende conto dei lavori eseguiti di concerto cogli astronomi di Parigi, di Torino 175 e di Ginevra, e relativi allo stabilire le longitudim e latitudini di diversi punti del parallelo medio che si stende dall'Oceano nelle vicinanze di Bordeau, fino a Fiume nell’ Istria. Il Cav. Bossi legge un rapporto a nome di una commissione incaricata di render conto dei progressi della manifattara dei cappelli di feltro d’invenzione del sig. Ambrogio Seregni. Il Sig. Conte Luigi Castiglioni dichiara con altro rapporto fatto in nome della commissione di ciò incaricata, esser degna di stampa l’opera presentata manoscritta del sig. Agostino Fappani, riguardante il più util regime per allevare e mantenere le pecore padovane. 16 detto. — Il Sig. Canonico Bellani legge una sua memoria risguardante alcuni fenomeni del mercurio e del vetro, e dimostra. l'importanza che le canne destinate alla costruzione dei barometri conservino costantemente il vuoto dopo esser state do//zte , avendo osservato che l’aria venendo a contatto delle pareti interne di esse, vi depone un velo umido aerco che può solo discacciarsi con nuove diligenti do//iture. Osserva di più che l’inalzamento dei termo- metri, il quale avviene dopo averne segnata la scala (inalzamento che gli rende difettosi ) accade in gran parte per colpa della nuova disposizione che le molecole del vetro prendono dopo il loro raffreddamento. Il sig. Cav. Bossi legge quindi una Îunga lettera del sig. Brocchi (naturalista che ora viaggia per l'Egitto) datata da Ales- sandria, la quale si raggira sopra argomenti letterari piuttosto che scientifici. 6. Febbraio, Il Sig. Cav. Bossi legge un capitolo di un’ opera che sta scrivendo relativa alla teoria ed alla storia dell’ arte tin- toria. Occupatosi egli dell’istoria di quest'arte in Italia, prova che i Veneziani nel secolo XV. servivansi di quasi tutte quelle so- stanze che ancora si adoprano nell’arte in questione, e che solo le chiamavano con nomi diversi ; lo stesso accadendo delle chi- miche preparazioni, le quali con esse sostanze si fanno, o almeno con altri metodi giungevano ai resultati stessi che oggi si ottengon con_ altri processi. Di più, mostra che gl’ italiani adoperavano in quel tempo l’indaco; cosa negata dal celebre Berthollet, e che ad essi devesi la scoperta del Tornasole. 20. detto, — Il Sig. Cav. Bossi continua la lettura che sopra, e propone il dubbio se gl’italiani adoprassero prima della metà del secolo XVI la cocciniglia col nome di grana, e conchiude che l’arte della tintura fioriva nei bassi tempi fra noi, ed era nei secoli XIV. XV. e XVI. salita al più alto grado di per- 176 fezione, adoprandosi a quell’epoca l’indaco, la gomma lacca, la scorza del pioppo, e forse la cocciniglia , sostanze che a torto si credono d’ uso moderno; che prima dell’ ultima epoca gl’ ita- liani adoperavano l’ oricello ed il tornasole, lo che molto dopo in Francia si fece per ammaestramento degl’ italiani , e che questi prevennero tutti i popoli ed anche i moderni chimici, nell’ arte d' alluminare, d’ingallare, d’arrobbiare , di maestrare i panni, ec. non che di cavarne, cambiarne, soprapporne e modificarne i colori. Vi è ancora di più, che essi conobbero pratiche e sostanze, che oggi dimenticate a torto, potrebbero figurar di nuovo utilmente nel- l’arte, come le foglie del corniolo , la scorza dell’ orno, la mo- ladura fresca ec. Vien offerto dal Sig. Canonico Bellani d'eseguire sotto gli occhi di una deputazione un termometro della più grande esat- tezza, il quale restando presso.l’I e R. Istituto, serva di campione sicuro in caso di bisogno; e quest’ offerta viene accettata. 6. Marzo. — Il Sig. Carlini continua e termina la lettura della sua relazione sull’ intrapreso viaggio astronomico. Espone i mezzi adoperati per la misura di una piccola base presso Torino, e l’accordo trovato colle operazioni dei topografi francesi e con quella del Barone di Zach. Da questa verificazione deduce il sig. Carlini che non può cader più dubbio sull’ampiezza lineare at- tribuita all’ arco del meridiano che si estende da Mondovì ad An- drate. J 20. detto. — Il Sig. Carlini parla della costruzione di un am- plissimo globo terrestre, il quale per la libreria di Brera si fa sotto la sua direzione, e mostra quanto sarebbe utile per lo studio della geografia l’uso delle carte eseguite sopra segmenti sferici, sui quali le parti del mondo possono figurarsi senza alterarle colle projezioni. Il Sig. Conte Castiglioni legge quindi il suo rapporto in- torno alle diverse specie di viti, le quali si coltivano in Lombardia; e conclude che il miglior sistema da seguirsi nella loro nomencla- tura si è quello di dipartirsi dai nomi volgari, e ‘formare così una nomenclatura la quale abbia rapporto alla forma, al colore o a qualche altra qualità manifesta del frutto, evitando di notare come qualità diverse quelle varietà che dipendono dal suolo, dal clima , dalla cultura ec. (1) (1) L’I. e R. Accademia dei Georgofili nominò una commissione incarican- dola di un simil lavoro. Ha questa concluso ben diversamente dal Sig, Casti- glioni quanto alla parte teoretica, e quanto alla parte pratica essa ne ha mo- strato l’immensità e Ja difficoltà , dubitando forte che l’utile corrisponda all’improbo lavoro occorrente. i; Yo, Aprilé. — Il Sig. Cav.. Morosi toscano, che fino dal 1816 aveva fatto conoscere una sua macchina per tribbiare il riso, ha ereduto che dopo l’uso felice fattone nei beni del sig. Marchese Saporiti, fosse utile di dar del suo ritrovato un mintito ragguaglio, lo che incomincia a fare in quest’ adunanza. L’I. e R. Governo incarica l’{stituto di dire il suo parere sulla causa déi rumori sotterranei sentiti nell’ isola di Meleda nel Marzo 1822, Resta di tal rapporto incaricata una commissione speciale composta dei sigg, Breislak, Rossi, e Configliacchi. 24. detto. Il Cav. Rossi legge la sua introduzione alla tra-. duzione dal Greco dell’ Epitome di Giovanni Sifilino, la quale epitome supplisce in parte alle mancanze che trovansi nei codici della storia di Dione. Si legge poi il rapporto della commissione di sopra nominata, del quale è autore il sig. Breislak, E quanto alla causa del rumore sotterraneo più volte sentito a Meleda, nella detta epoca, si affaccia l’ipotesi, probabilissima dietro la natura geologica dell’ isola, che dipendesse dalla caduta e dal rotolarsi di enormi macigni nelle grotte della parte montuosa dell’ isola stessa, e non già da fenomeni vulcanici ec. 1. Meggioi — Il Sig. cav. Rossi legge una relazione sull’opera intrapresa dal sig. Rampoldi col nome di annali Mussulmani, e rende a questa intrapresa il debito elogio. Il Sig. cav. Morosi prosegue la lettara del suo scritto sul trebbiatoio da riso, e mostra esser impossibil cosa il giungere a stabilir colle teorie disgiunte dalla pratica il numero dei giri che la macchina dee fare in un minuto per produrre l’effetto completo, 22. detto. Il Sig. Breislack. cominicia la lettura di una sua memoria, la quale ha per oggetto di descrivere la natura e le modificazioni dei terreni appoggiati alle basi meridionali delle alpi, e compresi tra il Lago di Como e il Lago Maggiore. Si legge quindi altra parte dello scritto del sig. Morosi sul tribbiatoio da riso. Si comunica finalmente una lettera del sig. Canonico Cat- taneo di Edolo relativa alla scoperta di una miniera di rame ar- gentifero presso Corteldolo, 5. Giugno. — Il sig. Rossi presenta un saggio del suo lavoro per informare 1’ I. e R. Governo dei diversi prodotti naturali e manifatturati delle provincie lombarde. ° 19. detto — Il sig. cav. Morosi legge un seguito del suo lavoro sul trebbiatoio da riso, considerando particolarmente quali T. XIIL Febbraio 12 173 sieno le migliori condizioni che le diverse qualità di riso deb- bon ayere per ben trebbiarsi dalla sua macchina. Il sig. Dott. Ignazio Lumeni rimette all’I. e R. Istituto un modello ed uno scritto relativo ad un nuovo sistema da esso proposto per pigiare le uve. 3. Luglio — Il Cav. Aldini apre la seduta informando di molte notizie raccolte in un suo viaggio in Toscana e negli stati Pontificii, relative a varie branche d’ industria e di pubblica eco- nomia. Il sig. Carlini presenta il risultato favorevole dell’ esame di una commissione incaricata di riferire sopra un apparecchio chi- mico adoperato dal sig. Rosina per riprestinare da una amal- gamazione della massa di tremila quintali metrici. il mercurio in essa chimicamente combinato collo zolfo, col rame, col cloro, coll’idrocloro, e coll’ossigeno, non meno che mescolato a gran quan- tità di terra vegetabile. 17. detto. —.Il sig. Prof. Carminati parlò dell’ utilità della cultura del sesamum indicum et orientale introdottasi in Roma. gna, e fece osservare che dessa non era nuova per l’Italia, poichè conoscevasi nella provincia di Lodi. Scese quindi a mostrare l’im- portanza della cultura del papaver somniferum, come pianta oleifera ed officinale, potendosene cavar olio eccellente dai semi; ed oppio purissimo dalle capsule e dagli steli incisi a suo tem- po. (2) Il sig. Cav. Rossi continna il suo saggio sui prodotti na. turali e mapifatturati della Lombardia, e presenta una descri- zione geologica inedita della provincia di Bergamo, opera del sig. Prof. Mairone da Ponte. 7. Agosto. — Il sig. Prof. Paletta comincia in questa seduta nltima dell’anno accademico la lettura di alcune sue osservazioni sull’ indurimento cellulare dei neonati. Le sue osservazioni lo conducono a discuoprire un vizio nella troppa fretta che le le- vatrici si danno nel legare e recidere il tralcio dei neonati, per la qual cosa riman sospesa talvolta la necessaria circolazione san- guigna, Il Prof. Configliacchi invia un suo rapporto sui fenomeni (a) Molti anni sono il Sig. Conte Francesco Guicciardini coltivò il papavero grigio in Toscana, e diresse un saggio dell’ olio prodotto all’ Accademia dei Georgofili, Ja quale molto apprezzò il tentativo, ma previde a ragione che questa cultura sarebbesi abbandonata nel nostro paese, ché non può avere i benefizi de- rivanti dalle irrigazioni artificiali. | 199 dell’isola di Meleda, dei quali parlammo di sopra, e gli spiega. in un modo differente da quel che ne pensa il sig. Breislak, poichè esclusa ogni influenza diversa, riguarda lo strepito più volte uditosi sotterra ed accompagnato da tremori, al moto in cui si pongono enormi masse d'acqua per passar da una cavità all’ altra, e trova nelle vicinanze delle analogie conosciutissime. Il med. Prof. Configliacchi dà notizie di aver estese le ri- cerche del sig. Seebeck sull’ azione elettromagnetica di diversi me- talli saldati fra loro, e trovata la cosa coerente alle sue teorie già pubblicate, aggiunge di esser riuscito a costruire degli aghi magnetici artificiali, cioè senza ferro, acciaio, nichel 0 egludlto; i quali si dirigono ai poli tosto che vi si eccita lo stato elettrico . Prima adunanza dell’ anno accademico 1824 della classe fi» sico-matematica della Reale Accademia delle Scienze di To- rino. 28. Dicembre 1823. Il sig. P. Giobert a nome di una commissione legge un parere intorno ad una terra magnesiaca proposta dal sig. Teodosio Bo- tacchi come una delle migliori per la costruzione dei forni e dei crogioli inservienti all’arte vetraria . Lo stesso Sig. Prof. a nome pure di altra commissione, fa rapporto intorno ad una nuova maniera di tingere il cotone in colore naturale del Nanckin, proposta da un piemontese domi- ciliato all’ estero. (3) Il Sig. Dott. Collegiato Bellingieri a nome di una commis- sione legge un parere intorno alla nuova sperienza fatta a Pie- troburgo dal sig. D. Marochetti sulla cura degli uomini morsi da animali idrofobi. Il Sig. Prof. Borson legge una sua memoria col titolo Cor= tinuazione del saggio di orittografia Piemontese. Il Sig: Conte Vapron legge una memoria sur le Corindon du Diellais, sur l° amianthe des Alpes de Praduret, commune de Mocchia , Vallée de Suze ec. ec. Il Sig. Prof. Vittorio Michelotti legge una Note sur le plomb carbonate de la mine de Monteponi dans la Sardaigne. Il Sig. Segretario Carena legge una parte delle /Votizie intorno ai lavori della classe di scienze fisiche e matematiche nel corso dell’ anno 1823. (3) Vedi il rapporto della seduta dei Georgofili dei 4. Gennaio a pag. 124» A. del pres. Vol. i 180 Invenzioni utili 0 curiose, varietà éc. } Il sig. Baylus di Birmingham bha fatto dei perfezionamenti importanti alla sua vettura meccanica, che corre senza cavalli. Sembra, che quest’ invenzione, riguardata fin qui soltanto come curiosa, possa riuscire utile. È: Il sig. Zames Booth di nuova Yorck ha inventato un nuovo torchio con cui si stampano 1500 esemplari in un’ora, coll’opera di due sole braccia. La macchina a vapore che muove tutto ha la forza d’ un cavallo. Nel dì 30 luglio 1823 farono presi al Capo Mai con un sol tratto di rete 279 pesci della specie detta dagl’ inglesi drum fi- shes, che pesavano 6765 libbre, e che furono stimati al merca- to di Fladelfia mille tollari. Dice un’ antico proverbio, che il cieco non giudica dei co- lori. Per altro si sono veduti dei ciechi che avevano abituato altri loro sensi, e specialmente il tatto, a giudicarne con molta giustezza, ed anche a distinguere i varii tuoni d’uno stesso co- lore; specialmente sopra i panni o altri simili oggetti. Si cita il Duca Luigi Engelbert d’ Aremberg, che all’ età di 30 anni ac- cecato per inayvertenza da un’ amico alla caccia, acquistò in se- guito per abitudine la facoltà di distinguere al tatto le carte da giuoco e molti altri oggetti, e con tutta sicurezza e precisione i diversi colori ed i varii tuoni di ciascuno. Una volta in fra le altre, un panno, che da tutti si giudicava turchino al lume di candela, fa da lui riconosciuto per verde cupo, quale fu trova- «to di fatto alla luce del giorno. Si sa che il verde si compone di turchino e di giallo, che il giallo, specialmente chiaro, di npot- te si distingue appena dal bianco, e che però il verde cupo sem- bra turchino , ed il verde chiaro celeste. GIUSEPPE GAZZER: 181 Gentiliss. sig. Direttore Firenze a1. Febbraio 1824. Son ben contento di poterle comunicare un nuovo sistema per preparare alla stampa i disegni litografici. Questa operazione; . incertissima sempre coll’antico processo, anche fra le mani le più esercitate, diviene tanto facile e sicura col nuovo da potersi affidare al più goffo operajo. Il sapone fa parte essenziale di quella matita artificiale o pa- stello che si adopra per disegnar sulla pietra. I tratti di questo pastello sono solubili in acqua , e però si ebbe ad immaginare un mezzo per ridurli insolubili tosto che si volle ( come fa di me- stieri per ridurre la superficie della pietra, che dee restar netta dall’ inchiostro da stampa, idonea a respingerlo nei processi del- l’ impressione) tenerli sommersi in una soluzione acquosa di gomma arabica senza che si alterassero. A quest’ oggetto adoprano i li- tografi dell’acqua leggermente acidulata con acido nitrico per lavare i disegni prima di sottoporli alla citata soluzione di gom- ma. L’acido scompone il sapone esistente nei segni del pastello, toglie loro la parte alcalina, e la parte oleosa si fissa sulla pie- tra e vi diviene insolubile, i Un tal processo però non limita i suoi effetti chimici sul solo disegno come vorrebbesi, ma gli estende ancora sulla so- stanza della pietra, lo che fa in molti casi gravissimo danno alla finitezza del lavoro; indisponendo anche l’ animo degli artisti con- tro l’innocente litografo, che accusano a torto di poco esperto o di trascurato, Egli proporziona scrupolosamente la forza dell’ a- cqua acidula che adopera colla qualità del disegno e della pietra sulla quale deve agire, ma che colpa ha egli se I’ acido nitrico attacca nel tempo stesso il sapone del pastello ed i carbonati della pietra; e se mentre aspetta che i primi scuri del disegno siano totalmente ridotti insolubili, le grazie dei tratti più delicati e le mezze tinte più leggere son portate via perchè fu corrosa la pie- tra che loro serviva di base ? A far cessare questo pericolo , il quale troppo spesso diviene un fatto , ecco quanto immaginai e che posi in pratica felicemente. Saturai con pietra litografica polverizzata una certa dose d’aci- do nitrico di commercio diluito con peso d’acqua pari al suo. Aiutata l’azione dell’acido col calore, non cessai dall’agitare il tutto e dall’ aggiungere della detta polvere se non quando vidi af- fatto cessata ogni effervescenza; allora aggiunsi molt’acqua piovana 182 alla massa, e filtrai per carta raccogliendo il liquore per serbarlo all’ uso cui si suol destinare l’acqua acidula sopraccitata. Doman- derà taluno perchè non abbia io preso del puro nitrato di calce ; risponderò che il litografo ha facilmente fra mano la sostanza da me prescelta e non il marmo statuario , e che volli appunto saturar l’acido colle diverse terre costituenti le pietre litografiche e non di sola calce, onde pormi al coperto d’ogni giuoco chimico che un sale potesse aver su di un altro a base diversa. Questo liquore versato sui disegni litografici ne scompone il sapone e ne fissa benissimo i tratti, ma non ha nessuna azione sulla pietra, la quale nulla risente dal lungo contatto con esso, e però non vi è caso nel quale. possano i disegni restare nella lor menoma parte alterati. Tutto il resto del processo preparatorio, e 1’ impressione medesima si compie al solito, nè vi è cosa alcuna ad avvertire se non se ad una estrema precisione e pulizia tanto nel dar la grana alla pietra per parte del litografo, che nel disegnarla per parte dell’ artista. La traspirazione della mano ed ogni altra cosa per pochissimo untuosa che sia, venendo a toccare la superfice delle pietre la dispone a macchiarsi lentamente nell’ impressione ; questa macchia si trasmette alle copie e si manifesta in principio come una nehbia che diventa sempre più densa, e che produce nelle stampe quel brutto effetto che i francesi chiamano planches estompees, e contro il quale l’arte ha ben poche risorse. L'acqua acidula at- taccando la superficie della pietra la puliva da queste improprietà allorchè vi erano state commesse ad un grado leggero, il nuovo metodo non ne cancella la più piccola parte, ed è questa appunto la riprova della sua eccellenza in certi casi difficili e complicati della litografia. I disegnatori poi che vedranno guastarsi i loro ‘ disegni per la causa citata, avranno a dolersi di loro soli e non dei litografi. Se le premure che io mi son dato per introdurre in To- scanala litografia e quindi per diffonderne la pratica non mi avessero ancora procurato alcun titolo all’altrui gratitudine, terrei per certo che la candida pubblicazione del mio semplice ritrovato me ne farebbe meritevole adesso. Ella mi creda al solito Suo Dev. Servitore:. M. Cosimo RIDOLFI. oli init a 183 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNESSO ALI’ ANTOLOGIA (*) i N° IV. Febbraio 1824. 72. Grande Anatomia Mascagni. — Niccolò Capurro fa noto a tutti gli studiosi e professori della scienza salutare , che, se- condo le promesse del Prospetto del 30 giugno 1822, dentro lo scorso anno fu da lui pubblicato il primo fascicolo dell’ opera intitolata: PAULI MASCAGNI, ANATOMIA UNIVERSA , xLI7 tabulis aeneis iusta archetypum homuinis adulti accuratissime repraesen- tata, dehinc ab excessu autoris, cura ac studio eq. Andrae Vaccà Berlinghieri j Jacobi Barzellotti , et Joannis Rosini , in Pisana Universitate Professorum absoluta atque edita. Questo fascicolo è composto dalla prima figura intiera del corpo umano , sulla proporzione presa di un’ uomo di tre braccia. Questa figura esibisce la parte anteriore e superficiale del corpo umano , toltone il tegumento ; e perciò i vasi sanguigni arteriosi e venosi, i nervi, ed i muscoli del primo strato. Dessa è conte- nuta in tre grandi tavole, che possono fra loro facilmente inne- starsi. Ciascuna tavola è in carta velina di Fabbriano, di un braccio e due terzi di larghezza, e un braccio ed un quarto di altezza. Altre due tavole della stessa carta, altezza, e larghezza , accompagnano le tre indicate, le quali contengono 19 figure di dettaglio , atte ad illustrare la figura intiera, Tutte queste tavole sono corredate dalle respettive contro- tavole , delle stesse dimensioni , e tirate nella medesima carta velina. La materia in esse designata con lettere e numeri, viene «illustrata e spiegata in latino in 16 fogli di stampa in carta papale; a due colonne , e impressa con caratteri nuovi di Didot. Un bel frontespizio coll’ intaglio del monumento eretto al grande anatomico autore; a spese del benemerito. sig.. Giulio (*) I giudizi letterari dati anticipatamente sulle opere arnunziate nel pre- sente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati dai sig. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna con- fonderli con gli articoli che si trovanò sparsi nell’Antologia medesima; siano come ' estratti ‘o analisi, siano come annunzi di opere. 184 del Taja , nella famosa Libreria del Duomo di Siena , adorna l’ atlante delle tavole. Si raccomanda quindi questa’ grande Anatomia, non solo agli stadiosi ed ai professori dell’ arte salutare , ma eziandio a tutti i bibliotecari, Rettori di spedali , e di stabilimenti d’ istru- zione pubblica e privata. Può asserirsi senza timore, esser dessa la più utile, e più completa che offrano gli Annali della scienza salutare. Giova ripetere per lume di tutti la dichiarazione della fa- miglia Mascagni , resa pubblica colle stampe , e data dal Ga- stelletto sotto il dì 24. aprile 1822. »» Gli eredi del fu prof. Paolo Mascagni, dietrò la sentenza - »; proferita dalla competente autorità , in data de’ 15 di aprile ,) di questo anno 1822, deducono a pubblica notizia , che gelosi »» dell’ onore e della gloria del celebre loro Parente; non han ;; créduto di poter meglio affidare tutto quello che il prelodato » Professore lasciò della grande OPERA ANATOMICA , quanto nelle » mani dei sigg. cav. Andrea Vaccà Berlinghieri , Giacomo Bar- 3; zellotti e Giovanni Rosini, professori nella Università pisana; 3) ai quali hanno venduto tutti i disegni , tavole incise , e MSS. »» lasciati dal prof. Paolo Mascagni ; ciatenido e trasferendo ad sessi tutti e singoli i loro dritti ; e dichiarando falso, apo- SEDE sarfettinie quanto della suddetta grande opera ana- », tomica da ogn’ altro venisse pubblicato , fuorchè dai suddetti 4, professori Vaccà , Barzellotti , e Rosini, NiccoLA MASCAGNI Tutrice. GiroLAaMmo MATTEI Contutore. Per assicurare ai compratori la realtà dell’acquisto di questa ‘grarid’ Opera , gli editori suddetti, hanno contrassegnate le ta- vole tutte, con bollo formato colle iniziali dei ‘loro cognomi. Sene trovano degli esemplari esposti presso i Sigg. Giusep- pe Molini, Niccolò Pagani in Firenze, al mio negozio in Pisa, ‘e nelle altre città dai principali librai. Ogni fascicolo tirato in nero, compreso il testo delle illu- strazioni e spiegazioni, vendesi al prezzo di franchi 125 , e le tavole colorite al vero, franchi 185. n3. Saggio sull’indifferenza in materia di religione, del sig. Abate: DE LA MENNAIS. — Programma. FrA le opere moderne riguardanti la Religione e la morale, l'e i rn 185 ‘’non’ve n’ha forse che per più titoli meriti di venir considerata co- me classica, e che goda di una fama europea, quanto questa. Le molte edizioni francesi, e le versioni che se ne sono fatte in quasi tutte le lingue d’ Europa, lasciavano bramarne ancora una traduzione italiana. Quelle che comparvero finora si ristrinsero al solo primo volume dell’ opera, e alcuna di esse fu pur mu- tilata in più luoghi . La traduzione che ora esce dai nostri tor- chi avrà il pregio non solo d°’ esser completamente conforme all’ originale, e di offrire i due primi volumi già conosciuti; ma dî comprendere, unitamente alla difesa del secondo volume com- posta dal medesimo autore, gli altri tre tomi recentemente usciti ‘ în Francia, che quanto interessanti pel soggetto, altrettanto non conosciuti sono fra noi. Tutta l’ opera verrà divisa in cinque volumi in ottavo, in carta spiera reale sopraffina, carattere nuovo simile a quello del programma, al prezzo di centesimi 20 per ogni foglio. Chi darà 12 associati avrà la tredicesima copia gratis. ‘Le spese di porto e dazio restano a carico dei signori associati. Le associazioni si ricevono in Modena dai sottoscritti edi- tori della presente opera, e presso i principali librai d’ Italia e dell’ Estero distributori del presente programma. Nel finire del prossimo venturo Febbrajo sortirà il primo yolume . de Modena. Gennajo 1824. Geminiano Vincenzi e Compagno Stampatori-Librai . 74. Il Generale in Campo, ossia Trattato di grande tat- tica, raccolto dall’ opera di Guibert ed altri celebri autori , con XV tavole di manovre, il tutto applicato alle attuali teo- rie e pratiche, dall’I. R. Capitano pensionato ANTONIO CoL- TELLI. Dedicato all’Ecc. I. R. Aulico Consiglio di guerra . VENE- ZIA ; presso Giuseppe Picolti, 1823. Vol. in 8°. di p. 150: prezzo per gli associati Lire 7. per i non associati Lire 10 italiane. N. B. Quest’ opera, è corredata di una lettera del tenore seguente. Padova li 24 Luglio 1822. L' eccelso presidio dell’ aulico consiglio di guerra ha incombenzato questo comando generale di comunicare la meritata lode pel Manoscritto intitolato il Generale in Campo, presentato a. questo Aulico Dicastero li 12 Aprile a. c. “ motivo della diligenza in esso usata, e delle buone viste che vi si scorgono, 186 e nel caso che lei nutrisse il desiderio di volerlo consegnare alle stampe, d’im- partirne pure l’ assenso . Nell’ informare V. S. Illustr. di tale graziosa decisione, sì restituisce con ringraziamento la copia del di lei A. N. $. rassegnata all’ eccelso presidio dell’ aulico consiglio di guerra pel di lei ulteriore uso. Il faciente funzioni di Comandante | Cav. Barone Wimpffen Tenente Maresciallo Al sig. Coltelli Imp. Reg. Capitano pensionato - 75. Francesca da Rimini; Tragedia di LUIGI BELLACCHI, senese—in 8°. Siena, 1824—presso Onorato Porri: prezzo paoli 2. 76. Storia delle belle arti friulane, scritta dal Conte Fa- bio di Maniaso. Edizione seconda ricorretta e accresciuta . Udine, pei fratelli Mattiuzzi. Un vol. in 8°. di p. 420 — con tavole e rami. 77. Biografia universale antica e moderna, opera affatto nuova compilata in Francia da una società di dotti, ed ora per la prima volta recata in italiano, con aggiunte e correzioni. Venezia press. G. B. MISSIAGLIA. 1823, Tipog. A/visopoli in 8°. Volume XIV. di p. 480 — Let. CO—DA. 78. D'un nuovo coltro da sostituirsi alla vanga ; memo- ria del March. Cosimo RIDOLFI: si riporta al programma del- ll. e R. Accademia dei Georgofili, 1824—Firenze, Luigi Pez- zati; prezzo paoli 2. BIRLIOTECA D’ EDUCAZIONE (Vedi il manoscritto pubblica- to col precedente fascicolo. dell” Antologia) Firenze, al Gabi- netto scientifico e letterario di G. P. VIEUSSEUX. i NB. una seconda edizione del manifesto, in data del dì 1°. marzo porta la seguente aggiunta: P. S. Desiderando di rendere l’ opera soprannunciata il più economica ch’è possibile, dopo mature riflessioni ho divisato di fissare a soldi 3. 4, ossiano crazie 2, pari a centesimi 14 di » franco , il prezzo di ciascun foglio di stampa di pagine 24: cosicchè un volume di dieci fogli ( pag. 240.) costerà soli paoli 2 5, eguali a fr. 1. 4o. Mi giova sperare che tal determi - nazione, mediante la quale la Biblioteca d’ educazione diviene di facile acquisto per le famiglie ancora le meno agiate, m’in- dennizzerà colla quantità degli associati della considerabile di- minuzione fatta sul prezzo. VIEUSSEUX, Editore. Firenze 1. Marzo 1824. Fine del Fascicolo XXXVIII. {Xi sera OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. GENNAJO 1824. i T'ormonnetro. Tai = E n did del È el Ora 5 EI EA Ss |FsES Stato del cielo î Doe BI S A A : poll. lin. pe pr: !{ 7 mat. |27. 11,2 5,8 +30 9° Tram. |Sereno Calma I] mezzog. |28. 0,5 6,0 Greco |Sereno Ventic. rt sera |28. 0,3 5,81 gol Ba O. Scir. Sereno Ventic. 7 mat. |27. 11,5 5,3 3,0| 101 0,070. Scir.| Piog. con neb. Vento mezzog. |27.10,45 459 5,0 ro1| 0,35/Lev. |Pioggia Ventic. II Sera |27. I0,I 5,3 4,5| 101 0,06, Gr. Tr.| Nuv. ser. Ventic. 7 mat. |27. 10,3 5,0 3,5| 101] 0,01 'Gr.Lev| Nebb. foltis. Calma 3| mezzog. |27. 10,9 a 5,5| 1OI Sc. Lev| Nebbia Ventic. _V rt sera |27. 11,0 459 3,5] 10t |Lev. |Nebb. foltis. Calma 7 mat. {27. 11,5 4,9 0,0] 101 Scir. |Ser.nebb. Calma 4| mezzog. |28. 0,95 4,9 8,0] 45 Tr. Gr. | Sereno Vento | 11 sera |28. 1,8 4,9 4,5| 50 e Tr. |Ser. nuv. —Ventic. 7 mat. |28. 2,1 4,2 4,o| 43 — Greco. Sereno Vento forte mezzog. |28. 2,9 49 4,5| 42 Greco | Sereno Vento forte ti sera |28. 3,5 4. 3 3,5| 50 Greco Ser. nuv. Ven. forte 7 mat. |28. 3,6 dll TAROT 2,5] 60] {Gr Tr. [Ser. con nuv. V. for. 6) mezzog. 28. 3,7 44 43 54 Gr. Tr. |Calig. Vento forte it sera |28. 2,4 4,0 3,0) 63 Gr. Tr. |Ser. Vento forte 7 mat. |28. 1,3 3,5 2,5] 60 Gr. Lev | Sereno Vento 7| mezzog. |28. 0,7 3,6 4,0] 56 Gr. Tr. {Ser. calig. V. forte 28. 0,1 3,1 3,0| 59 Greco |Ser. nebb. Vento | ct PRMASIE. S| Ora Si 3 | Di SS i | BE | Stato del cielo & 1538 0, e) ai ni pei 3 È: = ng Dago e o 0 pa I | 7 mat. |28. 0,2 | Sil + DI 63 nei rLev.|Nuvolo Vento 8 mezzog. |28. 0,3 3,9 4,5) 64 :|Gr, Tr. Nuvolo - Vento forté ‘L rr sera !28. 1,2 3,6 3,51 55 Gr. Tr.! \Nuy. rot. Vento forte I sa 7 mat. p8 20 37 4s0| 57 Tr. Gr. Ser, con nuv. V. for Ù gi mezzog. 2,0 42 5,0) 58 Greco |Nuvolo Vento forti, | ri sera prù n] 430 4,5| 65 ‘Gr. ‘Tr. | Sereno Ventich|. il | 7 mat. |28. 2,55 4,0 4,9, 64 Tr. Gr. Sereno Ventic]|, dro mezzog. |28. 2,1 4,6 7,0 63 Sc.Lev.|Sereno Venti ch: ri sera |28. 2,0 44 49 70 Tram. |Ser. rag. Venticf è n” ‘mat. |28. 1,5; 40 259, 82 |Sc.Lev.'Ser. nav. Venticf | Fri mezzog. ‘28. 1,9 | 459 6,0 72. \Sc.Lev, Ser. calig. . Venti | sera? (20% 1,0) | 6 94,41 2,9 34 Lev. Sereno Calma, j n mat. |28. 2,4 4,2 0,9] 87 Scir. |Ser.calig. Venticf| 12| mezzog. |28. 2,2 42 4,9) 78 Scir. . |Ser. calig. CalmaW _| rr sera 28. 3,5 44 é 3,01 7I Misa” Gr. Tr. Sereno Calma | 3: 7 mat. |28. 5,15 3:53; 10) 79 Scir. 'Ser. calig. Vento‘ î|r3 mezzog. |28. 5,0 4,0) 40, 73 Scir. |Ser. calig. Venticfi dl © rr sera |28. 439 4,0! 10! 78 Scir. |Sereno Calma Ri | 7 mat. (28. 4,6 2,8] — 0,5] 84 Scir. |Ser. calig. . Ventol il14. mezzog. |28. 4,25 453] + 2; 8 74. Scir. |Ser.calig. Calma $& È __| pr sera 128. 3,1, 3,6 1,2) 90° Scir. Ragnato Ventic. f î |.7 mat. |28. (2,3 3,9 0,3 94 Scir. ‘Ser. nuv. Calma ff #15 mezzog. 128. 133 | 3,4| 3,0. 87 Scir. Nuv..nebb. Calma 7 | xt sera |28. 0,6 | 3,61 3,0. 97 | Scir. |Nuv. ser. Venticf! i 7 mat. |28.. 0,0 3;9 2,0 101 | Scir. |Nuv. nebb.. VenticfP Hil16|] mezzog. |28. is 3,8 6,0. 65 e eco far, nebb. Vento 11 sera |28. 1,8 | 3,6 4,9, Greco Nuv. neb. . Vento i 7 mat. |28. 2,9 3, © bg sx Greco Sereni Vento | \17| mezzog. 128. 3,0 9b, 3,0 54 Tram. !Sereno Vento forte & ri sera 28. 2,9 3,1] rea |'Tr. Gr. Ser nebb. Ven. fort 7 mat. |28. 2,55 2,4 1,0| ‘43 Tram. |Sereniss... Ventog d(18 mezzog. |28. 2,7 3,11 — 4,0| 37 Greco |Sereniss, Vento f È _|_1t sera pra 2,7 2,7 | 0;3| 55 Lev. Bel sereno Vento | 7 mat. (28. 2,0 t33| 2,0. 67 Scir Sereno i Calma 19] mezzog. 128. agg hi + 30 53 {Scir Ser. calig. Ventic 11 sera. 128. Dea 2,2! 0,9 _60 Scir. ‘Ser. nuv. Calma 2 © Termom. a mu > È 5 ti 21 Slo 3 Ora È. s Ei A È 3 SÈ Stato del cielo | SA OR GO A. il 7 mot. |28. 1,0 2,2| + 0,0] 73 Scir. |Nuv. nebb. Calma Ì fb| mezzog. [28. 0,6 2,2 3,0] 65 Scir., {Nuv. nebb. Calma Î f| 1rsera [28. 0,9} _ 232) 10 95. TAR) Scir. _ Nuv. nebb. Ventic. | 7 mat. |28. 0,3 1,3) — 0,9] 83 Scir. |Rag. nebb. Vento | fir| mezzog. |28. 0,1 2,6) + 4,0) 65 Scir Rag. calig. Calma 11 sera |27. 11,4 2,6 2,0) 77. Scir |Ser, con neb. Calma 7 mat. |27. 10,0 ‘2,0 0,0| 85 | Scir Ser. calig. Vento mezzog. È9. 9,25 | . 3,1 3,81 82 Scir. |Ser. nebb. Calma ri sera |27. 7,2 3,1 2,9, 77 | |Scir. |Ser.nuv. _ Ventic. fd | 7 mat. |27. 6,1 3,1 2,0| 97 | 0,13|Scir. |Piovigg. neb. Ventic.! 13] mezzog. (27. 5,1 3,5 3,0) 97 |0,07|Scir. |Nebbia folta Ventic., | 11 sera |27. 34 3,5 4,0] 101, o,1t|Lib. Pioggia Ventic.' d | 7 mat. |27. 3,3 3,7 5,0| 82 | 0,07 Tram. Nuvolo Vento I4| mezzog. |27. 4,6 4,2 6,0| 71 Tram. |Nuv. ser. Ven. forte. | | trsera |27. 9,1 46 5,5| 65 ___'Tram Bel sereno Vento. |; 7 mat. 28. 0,3. 4,6 6,5] 57 | Tram. |Sereniss. Ventic.!| $5| mezzog. |28. 1,9 5,8 9,0) 46 Tr. Gr.|Ser. bellis —Ventic. ri sera |28. 4,0 6,7 7,0) 45 ‘Tram. |Sereniss. Calma 7 mat. |28. 4,55 6,3 7,0| 44 Tr. Gr. Bel sereno Vento 6| mezzog. |[28. 4,8 7,1 9,8) 62 Lev. |Ser. calig. Ventic.| r1 sera |28. 4,6 8,4 6,0) 61° Scir. |Sereno Calma {| 7 mat. [28. 3,9 6,4 3,0, 77 Scir. |Bel sereno Vento »7| mezzog. |28. 3,7 7,5 7,0 | 66 Scir. |Bel sereno Ventic. ri sera 28. 1,9 8,0 3,5! 75! Scir. Sereno Calma 7 mat. |27. 11,d 6,4. 3,0| 96 Scir. |Nebb. foltiss. Calma .8| mezzog. |27. 10,6 6,4 4,5| 99 Scir. |Nebb. folta Calma ri seta |27. 5,45 6,7 6,0 7Ò Ostro |Nuvolo Calma @ 7 mat..|27. 4,5 6,2 5,0| 9I 0,25 Maest. |Nuvolo Calma 29| mezzog. |27. 5,9 6,3 T,3) d3 Tram. |Nuvolo Vento r1tsera |27. 5,5 5,8 3,5 75 | Os.Lev. Sereno Ventic.! 7 mat. |2g. 6,2 5,3 2,7] 89 Ostro |Nuvolo Ventic. { 30| mezzog. |27. 8,0 5,0 4,5] 80 ScLev. {Cali gine Calma ri sera |27. 10,5 44 2,7] 79 {Lev. |Ser. con neb. Ventic.'f | 7 mat. |27. 11,5 3,0 1,5] 84 Os. Sc.|Ser. nuv. Ventic. 131| mezzog. 128. 0,0 4,3 5,5] 66 Os. Sc.|Ser. calig. Ventic.! È 11 sera 128. 0,8 4,0 1,7| 80 Sc.Lev. Serenis, Ventic.f | apebit 53 IE SRO aid + A da "i ii De: fi i Da LE i peste aa ciida fron te ° Frodi] UÈ | VaR sn Pirati: (timo era. osa hs £3 od ragorniii Senall!ts, sii obo ‘n è colorati. ibi. ic cillenaa: ste ni: oi petto an® DI E: Igeere OS RS k ANTOLOGIA N° XXXIX. Marzo, 1824. Lettere di Antonio Benci all’ amico suo Pietro Virussevx, relative al suo viaggio nella Svizzera, e lungo le rive del Reno. ( Continuazione, ved. pres. Vol. B. pag. 21 ). Nyon, a dì 24 di giugno 1823. i vv quelli che hanno frequentato le conversazioni di Losanna, dichiarano gli abitanti ospitali e gentili. Onde per questo e per gli altri accidenti naturali piace far quivi lungo soggiorno. Io però doveva partire, e scendendo la collina che è sempre piacevole , sono giunto a Morges, picciola città sulla riva del lago, con molti alberi intorno «a due larghe strade. Alquanto dopo Morges erano tende militari, ove accampavano artiglieri. Ed avvicinandomi ho saputo essere giovani svizzeri d’ ogni condizione, i quali per due mesi dell’anno attendono con disagio al- l’ esercizio dell’ armi: avendo qui la buona consuetudine, “come gli antichi romani, che ogni cittadino debba servire la patria in tutti gli uffizi, soldato in guerra e magistrato in pace, senza differenza da’ primi agli ultimi gradi fuor- chè la propria virtù, la militare prudenza, e la civile «dottrina . Dal suddetto campo seguitando il cammino, io mi ‘sarei annoiato, se fossi stato in carrozza, perchè la via T. XIII. Marzo I 2 è piana, gli alberi son pochi, e non si vede il lago. Ma andando a piedi, aveva sempre alcuna cosa a dinotare nelle opere de’ cuntadini: e ciò toglieva non solo il fasti- dio , ma anche le false opinioni. Uno de’ massimi difetti, comune a quasi tutti i viaggiatori, è la presunzione , con "che giudicano del proprio e dell’ altrui paese: non accor- gendosi che la diversità proviene dall’ uso, il quale sedu- ce noi e i nostri giudizi. Oh! quanti forestieri ho udito in Toscana biasimare le nostre coltivazioni. E quante volte io ne’ loro paesi facendo argomenti che non erano biasi- mati, ho sentito rispondere : ciò sarebbe opportuno, ‘ma questo non è l’uso! Entrando dapprima nel cantone di Vaud , poichè vedeva la natura non forzata ma aiutata dagli uomini, non mi sembrava da migliorare siffatta cultura: ma discorrendo poi cogli agricoltori, m’ hanno essi stessi dato a conoscere che potrebbero far meglio senza tali e tali usanze. Onde è per tutto l’uso buono e il cattivo, e se non m’ inganno, è da questi paesi a’nostri la seguente differenza: qui rendono la campagna più grata a chi vi dimora, noi la disponiamo ad utile maggiore: alla nostra miglior coltivazione risponde qui maggior perizia nel raccogliere ed apparecchiare il frutto. Vedendo oggi i contadini che tagliavano colla falce i rigogliosi pruni, non solo per aver uggia minore, ma anche per dare più bell’ordine alle siepi, io mi ricordava delle campagne di Fiesole, ove mancano spesso gli alberi da ombra, ma non l’ ordine, non la pulizia e l’industria. Son passato quindi per più villaggi alla piccola città di Rolle, ove piacendomi il sito ho fatto colazione. E poi rimessomi in viaggio, oh! come sono stato commosso guardando indietro. Fin a quel punto aveva sempre visto qualche sommità delle alpi, sotto cui era sceso in Sviz- zera. Ma allora non ne vedeva più alcuna, e sentiva forte dolore quasichè avessi smarrito la via da ritornare in pa- tria. Nè m’ha rallegrato il salire a Prangin, ove in bel 3 poggio è deserto palazzo e abbandonato giardino. Solo in i Nyon ho avuto conforto. Nyon fu la prima colonia ro- i mana condotta da Cesare nell’ Elvezia : colonia iulia e- x questris, detta Novidunum. Nyon è situata sopra un colle amenissimo , non lungi dal lago nè in mezzo a giar- dini come Losanna, ma sulla sponda che sale fra vigne e pometi, tutta lieta e campestre siccome Vevay. E men- tre la parte bassa della città apparisce più viva, perchè vi sono il porto e le fabbriche della porcellana e delle O terraglie ; la parte alta è invero più inanimata, ‘essendo consacrata agli studii. To già sapeva che v'era ottima scuola di reciproco insegnamento, e m’importava conoscerla, massime per- chè vi si educano i ragazzi e le fanciulle a un tempo. Onde sono andato subito verso il castello, cui la scuola è prossima ; e salendo le scale, e bussando alla porta , è venuto il maestro a dirmi: perchè non entrate? qui l’uscio è sempre aperto . Di che lodandolo, mentr’io salutava : avete ragione e v’intendo, ha egli soggiunto, molti mae- stri chiudono la porta della scuola e fanno male, io bra- mo che tutti veggano le opere nostre , e desidero le vi- site frequenti perchè danno più emulazione a’ miei di- scepoli : ho collocato perciò alcune sedie intorno la cat- tedra mia, d’ onde potrete esaminare ed avvertire senza disagio vostro, e senza impedimento a’nostri esercizi. Egli proferiva queste parole con tanta mansuetudine e dolcezza, che m’induceva ad amarlo; contento io pure ‘alla sua fisonomia che dà chiari segni dell’ animo onesto e sincero. Entrando poi seco nella scuola ho avuto ma- raviglia, vedendo bottiglie e frutti in Siscambio di libri. Oggi è la mia festa, ha esclamato il buon maestro: io mi chiamo Giovanni DANIELLE SONNAY : ieri sera tornando a casa , trovai un gran paniere che sotto i fiori nascondeva ‘diversi doni; ed all’imbrunir della notte fui rallegrato dal concerto di più strumenti, [e vidi fuoco d’artifizio ; . 4 tutto provenendo da questi cari amici ‘per, mostrarsi grati alle mie lezioni; oggi do loro vicenda colla . riconoscenza mia. Quando gli scolari ed il precettore fanno tali prove di spontanea amicizia, è inutile indagare come quelli s’ educa- no; come questi insegna. Bisogna venire alla loro scuola per imparare e godere. Felici i padri, a’ cui figli è dato per mae» stro un Sonnay! Io lo vedeva tutto amoroso invitare i giova- netti a bere, mentre sosteneva quella disciplina che fa più pura sentir la gioia.E dopo aver votato i bicchieri e intonato inni santissimi, egli ha licenziato i giovani, rammentando a ciascuno gli obblighi del proprio stato. Quindi rivolto a me, io sono, ha detto, figlio d’un contadino : e per non obliare la nascita mia, vado spesso ad una. capanna poco di quà distante: oggi abbiamo là merenda, venite colla mia famiglia e co miei primi discepoli. Io per risposta l’ ho abbracciato e seguito, ammirando la nobiltà de’ suoi pensieri, e giudicandolo tanto più idoneo all’insegnamento del popolo, in quanto è nato e vive con esso , senza iattanza e senza invilirsi. La di lui capanna è in mezzo una vigna, d’onde il lago e le ripe si scorgono, La moglie, i figli, i primi monitori e le monitrici attendevano il nostro arrivo, imbandita la mensa di laiticini , di frutti, e di caffè e di vino, sotto una pergola. O santa ospitalità come colleghi gli animi onesti! Ame non pareva essere straniero, e giubbilava ritrovando improvvisi e. cari amici, quando appunto più mi doleva esser lontano dalla patria. Il sem plice e modesto e libero contegno di ciascun convitato procurava a tutti agio e diletto. Una torta grande e squi- sita è stata messa in tavola; mangiate, mi offriva Sonnay, il dolce della riconoscenza; era pur questa focaccia sotto que’ fiori, di che v'ho parlato. Intanto è venuto. nuova ed amabile commensale, Monnard, professore di lettere greche e latine , studioso della bottanica e partecipe nel- la Società elvetica. E seco allora discorrendo ho saputo ù 5 chie in questa città , la cui popolazione non giunge a ‘tre mila anime, è ottimo liceo diviso in tre classi. Nella terza, col metodo dell’insegnamento reciproco, s’ impara a leggere, a scrivere, la calligrafia, 1’ ortografia, la pun- tuazione, la grammatica , l’aritmetica fino alle frazioni è proporzioni , il canto de’ salmi , il catechismo, gli ele- menti del disegno lineare applicato alle arti ed a'mestieri, e ‘gli elementi della ‘storia j esercitandosi pure i. gio- vanetti nel compendiare buoni ed utili discorsi; nel leg- gere le dottrine della storia naturale, e nell’ arte di te- nere i libri e le scritture mercantili: Nella: seconda classe, continuate le suddette lezioni; vi si aggiunge la gram- matica ragionata e lo studio del latino: e nella prima si prosegue alla geometria, alla mitologia ; alla geografia , alla storia universale, agli elementi della sfera ed allo stu- dio dell’idioma greco. Che altro rimane a desiderare nel- la primaria istruzione ? La logica è in tutti gl’ insegnamen- ti. I maestri sono filosofi. E le lezioni suddette non sono in troppo gran numero, perchè i giovani debbono qui fre- quentar le scuole , sopravveduti da’ precettori, dopo sette fino a sedici anni; la qual età compiuta, ricevono la co- munione e diventano cittadini e soldati. Discorrendo e merendando, è sopravvenuta la notte. Andiamo, Sonnay ha proposto , a riverire il nostro buon pastore , il professore Gaudin. E levandoci dalla mensa, siamo tornati in città., ricevuti con nuova amicizia dal buono e dotto e rispettabile Gaudin, e dalla sua famiglia. Io numero questa giornata tra le più felici del viver. mio. Un'altra simile ne godei l’anno scorso: nel collegio di Sorese in Francia, dove pure i professori son tutti concordi, amabili, ed amici a’ loro discepoli. Deh! perchè non s'imita ovunque l’ esempio. Quale maggiore utilità che promuovere con forte volere l'istruzione de’ giovanetti! Quale maggiore virtù, che la comune fratel- 6 lanza; priva d’egoismo e di superbia! Quale maggiore. ri- compensa , che l’amore de’ contemporanei e de’ posteri! Ginevra, a dì 25 di giugno. Avendomi Sonnay avvertito che la scuola principia- va alle ore sette della mattina, vi sono andato alle sei: e come presupponeva conoscendo l’ animo suo, ho trovato lui già nella scuola che accoglieva i più diligenti ed aiu- tava a chi non avesse bene inteso le lezioni. Ognuno comprende la doppia utilità di questo procedere. l ragaz- zi non si sbigottiscono alle difficoltà, e non hanno luogo d’ attrupparsi e di romoreggiare sulla piazza; per aspetta- re che s’ apra la scuola, disponendo intanto l’ animo al chiasso più che alla meditazione ed allo studio. Persuaso alla necessità di non divagare i giovani con esercizi inu- tili, e di non mai divagarli affatto prima della scuola, ho. veduto ;sempre con dolore il caso contrario che pur troppo è comune. E sì l’ ho udito approvare anche da uomini provetti ed esemplari, adducendomi che la liber- tà conceduta a’ragazzi gli rende amimosi e forti. Ma essi medesimi che hanno consuetudine. ed esperienza , sono essi capaci di rimettersi utilmente al lavoro, subito! dopo essersi divagati ? È stato. mai idoneo alle imprese un eser- cito senza disciplina? Ed ha avuto mai paura del nemico un esercito ben disciplinato? No; non si toglie alla gio- ventù il coraggio con impedir che sia licenziosa. Diventa bensì: vigliacca, se ha rampogne e punizioni continue da’ maestri: il che tanto più accade, quanto più essa vie- ne-distratta alla scuola. Nè v'è stato sociale senza ordine. Nè mai sarà moderato, nè potrà, nè saprà conservare Pordine, quei che s° avvezza in qualunque modo al di- sordine. A chi possono piacere gli uomini animosi che sieno pure insolenti ? E la ginnastica medesima quantun- 7 que necessaria, se non è ordinata bene ed.a tempo oppor- tuno, nuoce all’ animo, mentre accresce. la robustezza della persona. i Il procedere di Sonnay è è ancor più lodevole, perchè egli insegna a ragazzi ed a fanciulle insieme. Io gli ho veduti venire a piccole brigate; modesti; tranquilli, e con viso ed occhi che non dinotano al certo nè viltà, nè paura. Le giovanette erano quasi tutte pulite, portando in un panierino i libri ed. il lavoro. Tra’ ragazzi ne ho di- notati alcuni male. vestiti e sudici. Che volete ch’ io fac- cia , ha risposto Sonney: debbo mandarli via perchè son poveri ?:.noi non abbiamo una società degli uomini ricchi, i quali a chi non ha, provvedano: la comunità paga il maestro e l'affitto della sala: tutto'il rimanente è a spese del padre per ciascuno de' figli. Pur: troppo è vero che l’ educazione pubblica de’ gio- vanetti e massime de’ poverelli non (si. può bene adempire, se fatta la loro società , non se ne conclude un’ altra degli opulenti. L’erario della comunità non è quasi mai bastan- te al necessario dispendio; e quando fosse , mancherebbe- roi particolari provvedimenti, vi sarebbe spesso la causa senza l’effetto. La prima ed importante, causa di perfe- zionare l’ educazione del pubblico , si è migliorare la vita civile: Il. suo effetto è che non sia più alcuna interruzione fra la società degli uomini. Ma questa non può esser con- tinua da individuo a individuo , perchè vi si oppone il vario: umore de’ cittadini: e non può essere universale, se le classi ;;in cui la ricchezza o il caso divide gli uomini, tra lor non si collegano, educandosi partitamente se vo- gliono ma giovando l’ una all'educazione dell’ altra col- l° opera e col consiglio. Collegar le classi, non solo è pos- sibile, è anche facile, onesto e ragionevole. Dove si sono collegate, l’ esperienza dimostra il buon successo. Con questo ragionamento io dichiarava le parole di Sonnay , ed egli a me: « quantunque vi si mostri ora ò qualche negligenza, spero alfine toglierla via del tutto. La veste lacera indica sovente non la povertà; ma il cattivo governo delle famiglie: io non voglio obbligare alcuno, gl’indurrò coll’ esempio a migliori usanze. Poichè i padri debbono provvedere i figli di carta, di libri, etc., ho consi- gliato che paghino pochi soldi la settimana: e questa somma la ricevono i monitori. Essi amministrano: e tenendo il libro de’ conti, e dovendo renderne ragione, si avvezzano economi. Quindi mi propongo istituire uno o più monitori per ciascun quartiere della città , i quali esercitino il suddetto ufficio , e sieno pure di consiglio a’ minori in tutte le opere della vita » . In questo punto ho interrotto il suo discorso, dubitando che i monitori. di ‘quartiere abusino dell’ autorità lor conceduta. « No, Sonnay ha ag- giunto : essi non possono fare il male, perchè sarebbero innanzi a me pubblicamente accusati e puniti da’ loro stessi compagni. E colle nostre azioni, qualunque misura si prenda, vogliamo raffermare che l'utile d’ ognuno è l’ utilità comune ». « Noi abbiamo una somma di denaro assegnata a’ premii. Ma io ho proposto che sia divisa in due parti: conceduta la più piccola in generale e pubblica adunanza a tutti coloro che l’abbiano in qualunque modo meritata: e repartita l’ altra parte maggiore tra’ monitori e gli alun- ni più esemplari, secondochè abbiano meglio adempito il loro ufficio, o data maggiore attenzione allo studio nella classe loro. Inoltre, nell’ adunanza pubblica'i soli moni- tori sono chiamati ad alta voce per venire a prendere il premio ; stantechè non si reputa il premio se non una'ri- compensa al lavoro ed al zelo , nell’adempire quegli uf-. fici che hanno per scopo l’utilità di tutti piuttostochè il vantaggio apparente d’ un solo discepolo ». « Con questo metodo i giovani s° inducono a quel- l’opinione giustissima e poco divulgata ne’ nostri paesi, cioè che chiunque adopera in utilità di tutti; s’ accorge ii A GE i ict al fine d’.aver ‘operato in utile suo proprio più che se iso- lato si fosse: Le gelosie e gli lodii , conseguitanti sempre all’ antico modo del dare i premii; non si derivano forse dall’essere i premii assegnati ad. un merito che spesso, è un dono della natura più che l’effetto degli ostacoli [supe- rati collo: studio.?. Che merito è aver più scenza di quei suoi compagni che abbiano più: di lui studiato, per la ra- gione che ha maggior facilità nell’ apprendere? Egli ha ricevuto molto dalla natura; e riceve ancora dagli uomi- ni: dovrebbe essere grato e riconoscente, e diviene super- bo.. Nè queste considerazioni ;non' sfuggono a’ più de’ ra- gazzi: le fanno anche i più stupidi: e s'irritano contro quei che ha tutto ricevuto;e tutto conserva. L'uomo forte è abbastanza favorito, avendo fortezza. Il debole ha biso- gno d'essere inanimato . È già molto essere il primo: è troppo, essere nel medesimo tempo il più ricco, massime quando non è generoso » | « Nelle scuole di reciproco insegnamento non può e non debbe questo intervenire. Chi è. più utile; ha più merito innanzi a tutta (la scuola: e per esser più utile, bisogna dar buon esempio ; e. divenir. monitore, e bene adempir l'ufficio ; il che richiede molto studio ed opera. Quindi il premio dato a’ monitori col titolo di ricompen- sa , non può commuovere alcuno a gelosia. Essi lo hanno meritato a giudizio di tutti: essi sono felici, potendo ado- perare in vantaggio proprio, mentre sono utili agli altri : nè possono diventar superbi, perchè hanno conosciuto la necessità di lavorare e studiare, la quale cognizione non s' acquista che dopo quella dellà propria iguoranza. Onde poi ne deriva emu lazione virtuosa e modestia , pregi no- tabili in tutti que’ giovani che si educano in tali scuole. L’ antico modo del premiare essendo adulazione a’ super- bi, induce pure all’ egoismo, che è già uno de’ primi no- stri vizil ». | Questa divisione de’ premii è opportunissima. Non: dar- ne alcuno in generale sarebbe stata imprudenza; mancan- do allora di che soddisfare all’ambizione ; la quale si; può rivolgere verso un fine utile, ma non estinguere nel pet- to agli uomini. E dando i più de’ premii a coloro che più utili sieno, non s’ avviliscono i deboli , ei forti imparano a far di sè giusto governo. Forse alcuni opporranno' che questo metodo pure favorisce i più forti , sotto l’apparen» za dell'utile comune: imperocchè giungeranno sempre più presto e più facilmente all'ufficio di monitore! quei che hanno da natura migliore ingegno. Ma non dobbiamò forse por mente alla ragione delle azioni? Anche :gl’ ip- pocriti adoperano bene sovente: come differiscono! allora agli uomini virtuosi? questi procedono colla ragione di- retta ‘a’ beneficare altrui: quelli colla ragione reciproca in sè medesimi. Non basta indurre i giovanetti alle \ope- re buone: bisogna persuaderli eziandio a pensare onesta- mente. Io non aveva più che un dubbio per rispetto a Sonnay ; ed egli risolvendolo; m'ha convinto. Si trattava di sapere come eleggesse i monitori. « Adesso lo vedrete, ha egli risposto. Tutti questi giovani intorno a me: sono idonei a tale ufficio. Ma non. saranno ‘oggi monitori ( ed ogni giorno si mutano) se non quelli che avranno meglio operato fuori della scuola. Io ho dato loro ad imparare 0 morali discorsi, o ragionamenti storici. Se si sono distrat+ ti, non meritano che lor si confidi l’attenzione :d’altrui ». Così egli dà ogni giorno il premio della saviezza : e non sì ode alcuna voce imperiosa;, come l’ ho udita in altre scuole; dove il maestro elegge a senno suoi monitori, e poi grida agli altri: ubbidite a questi. Intanto che Sonnay esaminava i ragazzi, una. fan> ciulla educata da lui operava similmente appresso le fem- mine. E domandando se mai nasceva alcun male dalla frequenza de’ diversi sessi, ho saputo : che prima i ragaz= zi molestavano per la strada le finciulle , ora le rispetta- no: cheli ragazzi dell’ alta pugnavano con quelli della bassa città incontrandosi, ora son amici: € che in altri luoghi del medesimo cantone è lo stesso esempio. Inoltre Sonnay ha ordinato gli esercizi in tal maniera , che poi dirò, sicchè donne e nomini stanno nella medesima sala, e mai non s'incontrano. Prima di cominciare la scuola mi ha mostrato an- cora dove nell'inverno si spiega il catechismo. La cat- tedra 0 il pulpito è nella porta che introduce a due stanze : in una stanno i maschi; nell’ altra le femmine , amendue «vedendo il solo predicatore. Nondimeno sarebbe meglio avere un’ altra scuola per le donne. E la fanciulla che è prima monitrice, può da sè stessa ordinarla,, emu- lando alla signora Vernier che con questo metodo e con grandissimo zelo educa le giovanette, ricche e povere , nella città di Nismes. Per intendere ora come si facciano gli esercizi , bi- sogna delineare la sala. È molto grande e divisa in due parti secondo la larghezza. Nella parte anteriore , che è contigua alla porta ; sono collocate in mezzo della stanza alcune colonnette di legno, intorno le quali s'adunano i giovani per recitare o leggere, come fanno intorno al muro nelle più delle scuole. Nella parte posteriore sono panche a destra e a simistra con un corridore a’ due lati è nel mezzo verso la cattedra. La scuola è principiata alle 7. Nell’ inverno inco- mincia alle 8. Le femmine: erano tutte nella parte poste- riore, e i maschi nell’ interiore. Sonnay collocandosi umilmente appresso la porta ., ha cominciato a recitare 1 precetti del decalogo, proseguendo i monitori. a vicen- da: Poi ha fatto una commuovente preghiera, la quale varia ogni giorno per aver occasione d’avvertir utilmente i discepoli. I monitori hanno recitato l’orazione domini- cale , e disposto le classi intorno alle colonne per la Jets tura, mentre le fanciulle attendevano a far la calza. Que: ste cucivano nella seconda lezione che principia ad un'ora dopo mezzogiorno , e finisce pe’ ragazzi alle 37, per esse alle 4. La lettura continua tre quarti d’ ora. Poi è movi: mento generale. I giovani passano nella parte posteriore, girando tralle panche e il muro. Le giovanette passano nella parte anteriore, camminando. pel corridore di mez: zo. Queste e quelli cantano ad ogni nuovo esercizio e con soave armonia inni santissimi (1). | Le fanciulle nella seconda ora leggono. I giovanetti scrivono, e imparano l’ortografia che è difficilissima nel- la dgr! francese. Dopo di che tutte le tabelle si danno per ordine a Sonnay , il quale nota gli errori e gli ‘regi- stra, ponendo zero dove. non è sbaglio alcuno. Questo registro indica a un tempo quali scolari sono assidui ‘alla lezione: perchè nulla è notato a quei che sono: assenti. Tantochè Sonnay a ciò si contenta , e non fa la rassegna de’ giovani in principio della scuola. Ma egli mi permet terà manifestare che è meglio seguire l’uso comune, non potendo mai conoscere col metodo suo la negligenza degli scolari. In fatti sarà ognuno stimato diligente » purchè arrivi all’ ora della scrittura. E so bene d’ stgle proviene il difetto, e lo dico apertamente perchè si deriva dalla troppa bontà di Sonnay. Egli vuole tutto da sè adempire, e non ha un monitore generale, nè un monitore che stia all’ uscio della scuola. Desidero che gli ammetta per. dar compimento al suo buon procedere, e per diminuire an- che a sè medesimo la fatica e il travaglio ; sì nocivo alla sua salute. Nella terza ora le fanciulle scrivono, ed i ragazzi atten- dono alla grammatica , ripassando da una all’altra parte della sala. Dopo di che i più de’ giovani partono , restan- 13 do que’ soli che hanno bisogno di risolvere qualche dif- ficoltà; e cui Sonnay dà nuovo aiuto. Le fanciulle riman- gono pure un’altr’ora intiera , perchè non escano insieme co’ ragazzi, e perchè studino nella grammatica : oltrechè le femmine hanno maggior bisogno di più lunga occupa- ziorie, avendo meno da operare fuori della scuola. Io go- deva di leggere come le bambine scrivessero secondo la grammatica , ben consapevole che in molti paesi nep- pur le donne attempate non sanno il proprio nome sottoscrivere ! Erano oggi in scuola 35 fanciulle, e 100 ragazzi. Per l’ ordinario sono 72 le prime , e 140 i secon- di. La differenza è relativa alla stagione: ora sono molti costretti a lavorare ne’ campi. Nella seconda lezione del giorno , in iscambio della grammatica si studia l’ aritme- tica e il disegno lineare, Il giovedì e il sabato si prolun- ga d'un’ora la scuola mattutina per la lezione di mu- sica. Finita la scuola ho abbracciato Sonnay ; e _ son. par- tito verso Coppet. Questa città è piccola ma ben situata, come tutte le altre che sorgono dalle rive del Lemano in coltivata piaggia. Io bramava entrare nella villa in cui vissero, e nel boschetto ove sono sepolti la signora De Stael e Necker suo padre. Ma il portinaio ha gridato : qui non s’ entra , il barone non vuole. E il grido e il titolo, cui non era più assuefatto , facendomi fuggire ( non sa- pendo ancora che il mentovato barone è uomo stimato e amabile ), non ho potuto onorare la memoria degl’illustri defunti. Son giunto presto a Versoix, città piccola anche essa e non lieta perchè è in pianura: non è gran tempo che apparteneva alla Francia: ora è Svizzera, essendo tra essa e Coppet il confine del cantone di Vaud e del cantone di Ginevra. Subito dopo Vorsoix ho letto in un bivia, che voltan- do a destra sarei andato a Fernex-Foltaire. Ond’io im- 14 paziente , tutto che incominciasse a piovere, mi son de- viato per quattro miglia nel territorio francese. La cam- pagna intorno la villa di Voltaire è amenissima , appa-. rendo oggi anche più bella perchè la nebbia copriva tutto il paese al di là de’ giardini. Davanti la casa ho veduto a sinistra la ‘cappella che Voltaire, edificò, apponendovi l'iscrizione: Deo erexit Voltaire. E nella casa m' hanno mostrato a pian terreno il salotto e la camera sua , ove di- cono esser da lui medesimo collocati, siccome'ora si vedo- no, i quadri e il letto. Di questo non vi sono quasi che le panche. Tra' quadri «ho visto i ritratti di Federigo , di Caterina , etc. e l'effigie di Clemente XIV. La pioggia ha impedito che godessi di questo pelle- grinaggio , nè è stata più interrotta. Sicchè partendo da Fernex, a pena ho potuto discernere che la via prosegue dagli ameni poggi fra spesse ville: ed entrando in Gine- vra non ho indugiato che pochi minuti fuori la locanda , perchè ho visto una strada intitolata di Gian Giacomo Rousseau, ed ho voluto sapere se egli mato qui fosse. M° hanno risposto : ciò essere incerto. Alcuni presuppon- gono che nato vi sia : altri che vi fosse portato in fasce, essendo nato nella via grande. (1) Aggiungo qui alcun esempio di quest’ inni. O Dieu, dont les bienfaits Ne se lassent jamais, O Dieu de paix! Pour louer tes présens S’ unissent tes enfans, Ecoute leurs accents i Reconnaissants. 15 Tu gardes nos berceaux , ‘Tu dannes le repos A. nos hameaux. Tu bénis nos travaux, Tu nourris nos troupeaux , Tu couvres nos còteaux De fruits si beaux! Pour combler tes faveurs , O Dieu, rends nous meilleurs , Garde nos coeurs! Nous voulons te servir, Nous voulons te bénir , Et mettre à t’ obéir Notre plaisir. De la voix et du coeur Bénissons le Dieu sauveur Qui nous appelle à l’ innocence. Il nous appelle tous, Tous ses bienfaits sont sur nous, Célébrons notre délivrance. Chez nous il n’est point de chaumière Où ne règne la liberté : C’ est chez nous qu’on voit la lumiére Montrer à tous la vérité Enfans de l’ heureuse Helvétie Nous le bénirons à jamais, Ce Dieu qui sur notre patrie A. repandu tant de bienfaits. 16 Saggio sulla natura, lo scopo, e i mezzi dell’ imitazio- ne nelle belle arti, del sig. QuarremÈRE DI Quiner, segretario perpetuo dell’ Accademia Reale di belle arti a Parigi. — Parigi, 1823. (Conclusione, ved. pres. vol. B. pag. 1). I lettori che ci hanno seguito pel corso dei due prece - denti articoli sull’ argomento ampiamente trattato dal sig. Quatremère intorno l’inzitazione nelle belle arti, e da noi ristretto in poche pagine , avranno cercato inutilmente gli squarci letterali del testo nei quali riconoscere la penna maestra dell’ autore , i quali realmente non abbiamo tra- scritti alla distesa, ma per quanto è in poter nostro ab- biamo con liberissima versione talora esposti, ed altrove compilati, concentrando possibilmente le profonde idee del chiarissimo autore, se non con altrettanta chiarezza , (che difficilmente può in iscorcio ottenersi ) certamente con tutta la fedeltà di un espositore. Eccoci alla terza ‘ed ultima parte dell’opera con.cui por termine al nostro la- voro . costi Introducesi l’autore preliminarmente:a parlare dei mezzi dell’ imitazione , secondo l’oggetto e l'indole della sua teoria, vale a dire i mezzi astratti e speculativi, non già quelli dell’ esecuzione pratica e. meccanica , che non formano punto lo scopo delle sue ricerche; ma quelli per cui si concepiscono e sì sviluppano le facoltà proprie del- l'intelligenza , riconoscibili soltanto per l’ accurato esame e per i risultamenti delle produzioni del genio. Procede quindi a trattare delle convenzioni come mezzo d’imita- zione, e queste distingue in convenzioni pratiche e teo- riche. Questa parola corverzione esprime l'accordo mu- tuamente stabilito tra l’uomo e l’imitazione, accaduto per la natura delle cose stesse, anzi teoricamente parlando, le convenzioni sono il mezzo dell’imitazione, poichè sen- za di esse non potrebbe questa operare. Siamo debitori a el. queste mediatrici dell’ esecuzione dei compensi che deri- vano e rimediano all’ angustia dei mezzi meccanici, col- l’ impedire che ciò che manca all’imitazione per essere completa , non ci lasci accorgere della sua imperfezione, e per conseguenza non renda più debole la sua impres- sione. Le convenzioni pratiche possono riguardarsi come le condizioni dell’ esistenza d’ogni arte , e fra queste si riconoscono le teoriche come relative all’ azione indi- viduale di ciascuna delle arti d’imitazione. In forza di queste convenzioni non si esige nella pittura il rilievo reale, nè alla scultura si domanda il colorito dei corpi ; si accorda alla pantomima l'espressione del gesto , e alla musica quella degli accordi misurati, fino a rappresentare la morte col canto; si permette in fine alla drammatica di far parlare i greci o i romani in francese, e non le si negano tante altre convenzioni per. l’unità dell’ azione , l’unità del tempo, e quella del luogo. Dalle quali osser- vazioni passa 1’ autore a trattare delle convenzioni poeti- che, e dei mezzi generali e comuni a tutte le arti impie- gati dall’ imitazione per giugnere all’ ideale. Ogni convenzione in merito d’arte, dice l’ autore, ha per oggetto una specie di transazione tra la realtà dei fatti, dei discorsi, delle forme, e ciò che riguardasi come il meccanismo riserbato all’imitatore per operare la rappre- sentazione di questi oggetti. Deriva da questa transazione un tacito permesso accordato all’arte di cangiar più o meno ciò che prende a modello, e un allontanarsi con convenienza e misura più o meno dal reale , e dal posi- tivo, secondo lo scopo della stessa imitazione, e per con- seguenza avendo sempre di mira l'oggetto principale che è quello di piacere. La maggior latitudine per ottener questo fine proviene da quelle che chiamansi convenzioni poetiche; non già perchè esclusive della poesia, ma seb- bene iu essa dominanti, applicabili nondimeno in un senso più lato ad ognuna delle arti dell’ imitazione, per T. XIII. Marzo 2 18 i quel dominio che esse esercitano sul circoscritto mondo della realtà, modificandone gli elementi con quel più vasto dell'ideale, il quale senza oltraggio della natura e del vero debbe alla sublimità del genio tutta la sua esistenza. Questa modificazione o concambio non può aver luogo se non medianti certe operazioni dell’arte che con- sistono nel ricomporre tutti gli oggetti d’imitazione, pren- dendo per iscopo il nuovo aspetto che sono destinati a raf- fisurare. Elementari e teoriche sono le convenzioni che deviano insensibilmente dalla realtà delle cose, e poeti- che diconsi quelle che servono ad operare il cangiamento morale , siccome a due riduconsi le operazioni del genio e dell’ intelligenza comprensibili e definibili dall’ analisi delle teorie, quella cioè di generalizzare, e 1° altra di trasformare o trasportare: le quali cose ricevono un’ evidenza dai paragrafi successivi. E primieramente considera l’azione di generalizzare come un mezzo per giugnere all’ ideale nella poesia. Non vuol dirsi particolarmente in quest’ arte che il gereraliz- zare significhi ingrandire, mentre l'estensione illimitata delle immagini del poeta, e l’artificio con cui egli può con- centrarne i tratti, generalizzano un soggetto tanto ampli- andolo, quanto restringe ndolo a norma del suo bisogno. — Nè mai bisogna credere che l’ abbreviare voglia indicare diminuzioni di sostanza nel sogg etto , ma al contrario rin- chiuderne il valore e l’ essenza in una massa minore, come di Tacito diceva Montesquieu /Z abrège tout , car- il voit tout. Dal saper bene generalizzare dipende il gran merito dell’insieme, che forma il carattere dell’ Epopea, presentando nel poema una specie di specchio concentri- co ove tutto si riunisce, in vece che offrire un cristallo la- vorato a faccie che tutto frange e suddivide particola- rizzando. Per dare un paralello di questa concentrazione o di- 19 spersione di oggetti nell’Epopea, presentasi dal nostro autore la Gerusalemme , e il Furioso. Trova egli, e qui mal non s’ appone, collegato nel primo un tutto istorico, che si riporta a un solo avvenimento principale , fecondo bensì im belle imprese, e pieno d’interesse pei caratteri, le passioni, le virtù ? i vizi d'un’ epoca memorabile , e narrando uno de’ più grandi avvenimenti della guerra delle crociate, inalzasi dal poeta un monumento postumo alla gloria di quel secolo di cui sembra esser la storia . L'Ariosto poi, segue il sig. Quatremère, ha voluto esten- dere, spezzare con un sistema inverso ciò che poteva es- sere il quadro storico di un’ epoca non meno celebre. Il suo poema in luogo di presentare un piano tessuto dal- l’arte di ricomporre i fatti, non offre che una successione di squarci cuciti assieme di narrazioni incoerenti, e di azioni che si succedono senza legame; e passando di par- ticolarità in particolarità, il riga arriva sino al termine, senza esser stato in alcuna parte , e senza aver mai potu- to afferrare un punto centrale nella composizione : sono parti senza tutto, e il poema d’ Ariosto sembra piuttosto una cronaca verseggiata delle avventure di que’ tempi. Per quanta sia la venerazione del dotto autore alla letteratura classica, ci sembra però che questo suo giudizio sia dettato da una prevenzione, quasi direbbesi, sinistra contro l’Omero italiano, le fila intralciate del cui lavoro poetico si avviluppano e si disciolgono con molto artificio, e il cui andamento pare molto più collegato e coerente che a lni non sembra. Non ci diffonderemo su di questo argo- mento, e in una questione tante volte agitata senza che mai la gloria di una di queste produzioni abbia punto oscurata quella dell’ altra, e richiameremo il chiarissimo autore al principio fondamentale delle arti d’imitazione stabilito da lui medesimo, che è sempre quello di piacere, ritenuto il quale, rimarrà indubitatamente al Furioso tun- ta gloria da equivalere al merito di ogni più esatta con- 20 concentrazione , e d’ ogni insieme più rigorosamente con- dotto secondo le leggi dell’ Epopea, leggi che non prece- dettero mai i prototipi da cui furono derivate. Queste considerazioni non potrebbonsi fare egual- mente sul vario ordimento dell’Illiade, e dell’ Odissea ? Fu in virtù di altrettali riflessi che dubitossi persino se quei poemi furono l’ opera d’un uomo solo; difatti l’auto- re del marmo rappresentante l’apoteosi d’Omero non raf- figurò il poeta con una sola effigie, e due ne vennero scolpite nello stesso monumento quasi desumendolo dalla varia indole dei due poemi, e dal vario loro carattere mo- rale vennero impresse nei due volti omerici due fisonomie, siccome a ppunto due diversi e distinti italiani, Vincenzio Monti, e Ippolito Pindemonte temprati dalla natura con sommo ingegno, e forniti d’immensa dottrina, ma dota- ti di varia indole che parve in relazione alla varietà dei due poemi, fecero ricca l’ Italia di due egregie versioni che difficilmente escir potevano dalla penna d’un solo scriltore. Non y'ha genere di lavoro, per quanto sembri ri- stretta la sua misura, che non abbia diritto all’ideale, e nel quale non possa accadere lo sbaglio che mira a con-, fondere gli elementi dei due gradi d’ imitazione; la qual cosa viene dall’ autore comprovata coll’A polo go, che, mal- grado la popolarità dell’ indole sua, non onorerebbe quel- l’autore che lo spogliasse interamente del suo costume ideale per sostituirvi minuzie zoologiche , o troppe inge- nuità descrittive , che nell’immaginazione suppliscono la realtà dell’essere alla finzione che è destinato a rap- presentare. Lo stesso si dica per ciò che ha relazione alle arti del disegno nell’imitazione del corpo umano. Le osser- vazioni critiche e analitiche non si fanno per solito che parzialmente nella periferia isolata di ciascun arte: ma per poco che con uno studio più esteso si riguardino tutte , sì 21 trovano immediatamente i principii che sono tra loro comuni, e certe leggi generali da cui risulta nei loro mo- di separati d’imitazione una azione consimile , che non diferisce se non per la diversità dei sensorii sui quali eser- cita le sue impressioni. Il generalizzare del pittore non si estende sulla composizione del soggetto come sulla con- figurazione delle parti del corpo : la prima si conforma a quella del poeta, ma ciò intendesi sistematicamente, non gia nelle applicazioni particolari. Il pittore concentra nel minor numero di lineamenti, per gli occhi, ciò che il poeta epiloga nel più piccol numero d'idee, per lo spirito: ma con filosofico accorgimento cangia egli talora l’effetto fisico e materiale della scena colla più sublime impres- sione morale di certe situazioni, che divengono per lo spettatore interpreti di ciò che gli occhi non possono dir- gli, e talora rinforza l’ effetto stesso della scena mediante la soppressione di quelle parti le quali distrarrebbero di troppo l’attenzione. Rafaello e Pussino furono eminenti in questa primaria prerogativa dell’arte loro. L'incendio di Borgo, e il diluvio sono ricordati dall’ autorè a confer- ma e a sviluppo di queste osservazioni. La stessa operazione deve fare l’ artista nell’ imita- zione delle forme : ma quantunque a primo aspetto ciò sembri più facile, incontra nondimeno maggiori difficol- tà. L'insieme che debbe imitare è un composto di parti, che però non presentano nell’ individuo l’ armonia corm- pleta da cui risulta il bello dei corpi; e quindi ne viene la critica dei confronti che si forma sulla cognizione d’un tipo assoluto di perfezioni, e la necessità di generalizzare anche in questo caso, riconducendo tanto le idee quanto ogni imagine particolare al suo principio generatore che costituisce l’ essenza primitiva. Nessuna cosa meglio che la testa ritratto può ren- der ragione dei due sistemi opposti e inconciliabili d’imi- tazione: poichè certamente al corpo di un Apollo o d’una 22 Venere non sarebbe mai adattabile, quantunque bella, la testa d’ un ritratto, siccome al bello d’ una testa antica non si potrebbe sottoporre la statua fedelmente imitata dal modello naturale che il nostro autore chiama nel gusto moderno. Nella prima di queste imitazioni detta ritratto, o modello, ogni parte del corpo, ogni contorno, ogni musco- lo è stato raffigurato con tutte le singole irregolarità , e le particolarità accidentali che l’azzardo della generazione , o mille altre cause fortuite fanno intervenire in tutti i corpi. E chi non vede per conseguenza alterata la forma ordinaria delle ossa e dei muscoli, e per necessità modificata la forma esteriore e i contorni a cagion della pelle , della pingue- dine, e dei tessuti cellulari che producono tanta varietà negli individui ? e chi non sà che le relazioni di tutte le parti del corpo fra loro, relazioni da cui dipendono Ìa bellezza e l'armonia delle proporzioni, derivano da infinite cause e circostanze che ne arrestano o modificano lo svi- luppo? Nulla è più ordinario nell’ imitazione del corpo umano che questo aggregato di circostanze costituenti il ritratto. Al contrario nell’ antico la grandiosità delle for- me esclude ogni mihutezza accidentale, e la giusta rela- zion delle parti produce un concerto di proporzioni che sembra essere la regola fissata dal Creatore stesso per la ‘natura umana, prima di sottometterla a quei fortuiti eventi che la generazione, il lavoro, la” povcnne le ma- lattie vi hanno prodotti . Di qui viene l’esistenza patticolate dell’ individuo, e l’ esistenza astratta di specie e di genere, e per conse- guenza divengono sinonimi Zdeale e generico o genera- lizzato ( che pur duopo è servirsi di vocaboli atti ad espri- mere le idee dell’ autore , mettendo a patte il rigore dei puristi ove trattasi di render conto di opere profonde scritte in lingue straniere ). Questo è il prodotto dell’ os- servazione, della scienza, dell’ imaginazione, del senso interno che lavorano concordi per riunirne le parti. Que- 25 sto tipo di.perfezioni per l’ imitazione dell’uomo fisico, è ciò che sono le regole del bello e del vero per le arti d’ imitazione immateriale che riguardano l’uomo mo- rale, sulle quali il poeta traccia il carattere de’ suoi personaggi, e forma l’ incanto della. sua. produzione. Che se tali per conseguenza sono gli elementi di questa scienza ; bisognerà convenire che non sono poi così pal- pabili e visibili a’ soli occhi del corpo come sì crede, vo- lendo tutto spiegare troppo materialmente, mediante la sola azione de’ sensi esterni. Da queste belle e chiare osservazioni viensi all’ esa- me di ciò che comunemente chiamasi scelta di forme, e riunione di beltà sparse nelle opere dell’arte. Lungi per conseguenza in questa spiegazione ogni nozione di mezzi positivi o pratici o materiali , mentre tutto risulta dalle astratte meditazioni, e dalla clevatezza de’sentimenti. L'idea di scelta è puramente sistematica, ed è sol pro- pria del gusto , dell'intelletto , del genio: e questa ope- razione che vorrebbesi sottrarre al principio morale, si ricusa diametralmente ‘a qualunque pratica spiegazione, sopra tutto quando si voglia esaminare partitamente. E disingannando i lettori dal falso supposto che questa scel- ta possa essere fatta sulle frazioni imitate separatamente da varii individui, dimostra; che mai il successo duna grand’opera dell’ arte può dipendere dal concorso fortuito di modelli appropriati ai soggetti che deggiono essere trattati. Nè certamente l'artista consultando un modello positivo potrà attenersi a quello in parte, e sostituire in parte la forma di altri corpi che egli non vede, o che sono tracciati nella sua immaginazione. Queste scelte, e queste riunioni non nascono da azioni materiali e sensibili, o da comparazioni positive , mentre ognuno vede che appar- 9 tengono alla sfera delle operazioni superiori dell’ intel- letto . Spiega in seguito l'autore ciò che intender si debba 24 per riunione di beltà sparse. E poichè ognuno è portato a credere, che il bello ideale è la riunione delle bellezze d’ogni forma/parzialmente dalla natura distribuite sù di- versi individui, ma raccolte ed espresse dall'arte in una sola figura, egli ci avverte che questa difinizione non può essere giusta se non in quanto essa si ritiene nei limiti delle definizioni astratte : mentre è bensì vero che non può esservi bellezza o perfezione se non appartiene a trat- ti naturali, e che l’ artefice non può senza assurdità, cer- car tali bellezze fuori di questo recinto : ma d'altronde è parimenti evidente che non incontrandosi mai un indi- viduo compitamente bello e perfetto relativamente al- l’arte, se il potere dell’imitazione è giunto a comporre il complesso di questa perfezione , è certo che quest'opera offrirà una riunione di bellezze che non esistono. se non diversamente ripartite fra tutti gli esseri viventi. Ciò ammesso , come l’arte ha potuto mai operar questo pro- digio? Ciò non è il prodotto degli sforzi isolati d’un artista, poichè non è mai possibile il preparare tanti modelli quanti ve ne vorrebbero per ottenere un tal ri- sultato, e i fatti maestri dell’ esperienza dimostrano esser questa l’opera del tempo, d’ una multitudine di saggi successivi, d’ un numero immenso di osservazioni dirette costantemente a un centro di studi e di combinazioni da cui nacque la scienza dell’ideale a noi trasmessa dai greci. Ecco i motivi dei capi d’opera dell’antichità, e non già l’ accidentale accozzamento di parti che gli artisti abbia- no meccanicamente tolte da vari modelli, o dovute al caso , ma dedotte da una più magistrale ricomposi- zione di forme d’individui, secondo i diversi caratteri de’ soggetti, e dipendentemente dalle leggi della natura. La qual cosa non può farsi che per un sistema studiato ne’ suoi principi, nelle sue conseguenze, e negli esempli che servono a farlo conoscere. Dimostra con evidenza di raziocinio, non già con sottigliezza di sofismi, che quei nu- i a 25 merosi modelli consultati da scultori e pittori greci per produrre le Elene e le Veneri di cui ci riferisce la storia, non sono che puri modi di espressione allegorica per far- ci ben conoscere che dal genere più che dall’ individuo traeasi l’ essenza del bello, e per servirsi di un linguaggio metaforico e più intelligibile, piacque agli antichi scrit- tori di adottare modi di espressione più propri della nostra intelligenza di quello che dedurli dalla realtà dei fatti. ‘Anche nelle arti vi sono i suoi misteri, vi sono i suoi sacerdoti, ma vi è anche il suo volgo, e un linguaggio parabolico è fatto per render chiari gli effetti delle cose più oscure. Questa |parte del lavoro del nostro autore è dettata con gran profondità di dottrine, e con squisi- tezza d’ingegno , non senza attenersi all’interpretazione dei classici più accreditati. Dal generalizzare passa l’autore a trattare dell’ a- zione di trasformare o trasportare, considerata come mezzo d’imitazione ideale; sia nell’invenzione del poeta , sia nelle forme del suo linguaggio, e vi riconosce una maggior estensione di mezzi per giugnere all’ ideale più elevato. La finzione che è la base il più spesso dell’ edi- ficio poetico è quel passaggio dalla realtà, che più propria- mente vuol dirsi trasposizione, poichè non essendo in facoltà dell’uomo la creazione ‘altrimenti. che coll’ acoz- zamento svariato di parti diverse , non saprebbesi in qual modo riunire due cose che erano disgiunte, senza traspor- tare l’una o l’altra, e talvolta amendue. Di tal maniera sono le creazioni e il meraviglioso dell’ Epopea, siano essi principii od effetto d’un sistema di poesia ideale; la quale osservazione può estendersi anche alle forme e allo stile delle figure rappresentanti le divinità presso gli an- tichi attribuendo alle umane forme, che sole si prestano al linguaggio allegorico, una parte di quella forza e gran- dezza attribuita agli abitatori dell’ Olimpo. E l' iperbole poetica per cui i lettori d’Omero credevano vedere gli 26 Dei come giganti , passò nell’ officina di Glicone a pres- tar forma ideali al suo Ercole. Queste astrazioni o trasfor- mazioni resero difficile per conseguenza la finzione poeti- ca nella sposizione degli avvenimenti contemporanei, ove la memoria della realtà di fatti di cui siamo stati testi- moni, e di persone che abbiamo conosciute, è inseparabi- le da noi; ed è un ostacolo troppo gagliardo per ammet- tere la finzione. Ma secondo la differenza di ciascuna del- le arti d’ imitazione è duopo anche variare i mezzi delle metafore, e nelle arti del disegno possono da ciò aver luogo sensibili sbagli, le quali cose nell’ottavo paragrafo . sono discusse.— Privo il poeta dei mezzi visibili della pit- tura, e forzato a sostituire un equivalente a ciò che gli manca , col sussidio delle metafore supplisce all’ idea dell’ oggetto fisico e sensibile quella dell’essere morale ed astratto, e con questa pittura affacciata agli occhi dell’ im- maginazione, sembra dar corpo a tutte le essenze incor- poree ; quindi i lampi che scintillano dagli sguardi d’ un uomo furioso, le rose e i gigli che splender fauno l’incar- nato d° un bel volto; e dicasi lo stesso dei sussidii della comparazione che confronta il coraggio al leone, la pru- ‘denza al serpente , la dolcezza all’ agnello, e così del re- sto. — Diverso modo presentasi al pittore per soccorrere col suo ideale a’ concetti che vuol esprimere , e guai se colla latitudine del poeta usar volesse gli stessi modi e traslati metaforici, cadrebbe in ridondanze viziose, e in luogo di esprimere la freschezza d’ un bel mattino, se adoperando il linguaggio poetico figurar volesse una gio- vinetta infiorata dalle cui dita cadessero lucide perle, ri- nuncierebbe all’ avantaggio di adoperare una realtà più parlante ed espressiva , giacchè colorando un mattino se- reno il pennello di Claudio non abbisogna di sensi meta- forici ad esprimere la cosa già per sè stessa significata. I campi del poeta non sono in tal caso gli stessi di quei del pittore: pel primo non sono determinate le | sal misure reali e le proporzioni , e il sole gigante percorre la sua carriera nell’ immensità dello spazio , e gli occhi della sua innamorata sono altrettanti soli: nulla è Impos- sibile per un’ arte che non è circoscritta da; dimensioni; ma al contrario per l'artista disegnatore tutto è visuale, proporzioni , simmetria, e misura; e mal si addice al pittore il figurare gli amori siccome le api che Anacreonte descrive giacenti nel calice de’ fiori, e così dicasi di ogni altro caso in cui voglia rendersi materiale il senso morale delle idee poetiche coll’ opera del pennello o dello scar- pello , che allora senza avvedersene viene anzi ridotto in basso linguaggio di prosa qualunque più elevato concetto poetico. i Dalle quali critiche e profonde osservazioni non de- ve. dedursi che non siavi poetico nelle opere del pittore, e pittorico in quelle del poeta: ma osservansi e vengono determinati i modi appunto che esclusivamente sono pro- prii di ciascuna di queste arti d’imitazione. Questi traslati considerati come mezzi d’imitazione ideale nelle arti del disegno sono dal chiaro autore suc- cessivamente sviluppiati con quell’ evidenza sì propria di queste profonde ricerche: e tutto il metaforico dell’imi- tazione ideale prevalente in tal caso al materiale dell’imi- tazion positiva, eleva i concetti dell’ artista a quel genere di poetico che è il più proprio dell’arte sua. Egli è quindi che in virtù della corrispondenza inseparabile tra il fisico e il morale egli può elevare VP animo degli osservatori alle idee grandi, ai nobili sentimenti, alle gran relazioni, e mezzo a ciò opportuno sono appunto le forme grandio- ‘se, i puri contorni, € P armonia del totale : e se le idee del poeta sussidiano la nostra immaginazione , per farci concepire le forme delle cose e de’ personaggi , in pittura e in scultura poi le forme son quelle che presentano i segni delle idee che voglionsi produrre. Ed. ecco la ne- cessità per le arti del disegno di cangiare in ogni soggetto 28 di cui voglia esprimersi il bello morale, non tanto la for- ma esteriore del personaggio, quanto lo stile della compo- sizione e gli elementi dell’esistenza reale e materiale, con- tro quelli di un'esistenza convenzionale e ideale. Cangia- mento indispensabile, che ove non venne operato; l’arte cade in tutta la deiezione, e noi possiamo citare in questo proposito la statua ignuda di Voltaire che scolpita da Pigal si vede nell’ accademia di Francia, ove dimenti- cando questi precetti l’ artista cadde nell’ abbiezione , e figurò il suo Eroe come il simulacro della miseria umana, presentando ignudo un vecchio scheletro non atto a ca- gionare che il ribrezzo. Distingue l’autore in modi di composizione storica, allegorica e simbolica i vari generi di traslati che dall’ar- tista s' impiegano nella rappresentazione de’ suoi soggetti. Più assoluto e più positivo il genere di composizione istorica elevasi dai generi minori, ma però non si allon- tana a tal grado dalla realtà apparente da perdere di mi- ra il suo tipo, e soltanto ne ingrandisce le proporzioni , e abbellisce le fisonomie ; ed elevandosi sopra il volgare con un certo carattere di nobiltà e di grandezza, sem- bra piuttosto somigliare ne’suoi caratteri al gusto del- l’eloquenza che a quello della poesia. La troppa fedeltà di imitazione, cioè a dire il tenersi al materialismo del ritratto indebolirebbe l’effetto del suo quadro: se Alessan- dro ci vien descritto piccolo di statura , Annibale guercio, il maresciallo di Vandome gobbo , non mettono a neces- sità il pittore di storia di conformarsi a queste materiali circostanze contrarie al suo scopo, e all’ effetto che deve produrre il suo lavoro. La linea tracciata per il genere storico è una proporzionale tra il vero positivo e l'ideale, e piuttosto vuol dirsi una modificazione che una trasfor- mazione intiera del soggetto, del qual numero saggiamen- te osserva il sig. Quatremere è ‘la nudità metaforica e poetica, che sopra tutto è convenzione propria della scul- 29 tura, «e di cui la pittura non deve usare indistintamente in tutti i soggetti del genere istorico. Non così nella trasformazione convenuta per le com- posizioni di stile allegorico che si dirige ad un tempo al- la mente e alla vista, dimostrando tal volta un oggetto per esprimerne un altro ; e talvolta sotto il velame d’ una fisura imaginaria designando un personaggio reale, e per- sino sotto la forma di un corpo esprimendo un pensiero o l’idea la più astratta : per ottenere il qual fine in tutto o in parte trasforma gli oggetti. La scultura trasformò tanti personaggi in divinità, e si servì del modo poe- tico per esprimere le qualità morali, come la forza , la prudenza , la grazia , scolpendo Ercole, Minerva, Venere, nella stessa maniera che i più moderni artefici personifi- carono le virtù. Richiama in questo luogo al pensiere il nostro auto- re le allegorie morali e filosofiche di Apelle descritte da Luciano, e imitate da Rafaello. E riguardando poi l’arte dello scultore come più prossima a quella dei segni pri- mitivi convenzionali, riconosce tutto ciò che più stretta- mente è proprio di questa per esprimere l’allegoria. Dopo aver detto come l’allegoria può interamente trasformare la composizione del pittore e dello scultore, sostituendo ai personaggi reali l’immaginarii, e impadronendosi delle azioni per metamorfosare cangiando la loro sostanza, e talora trasportandole dall’ ordine morale al fisico, e talo- ra dalla regione delle realtà a quelle più astratte dell’in- telletto, discende a far conoscere il sommo pericolo d’in- convenienza in cui l’ artista incorre mescolando lo stile allegorico nei soggetti storici massimamente moderni, ove non lice tasformare le apparenze con totali can- giamenti di costumi; e più grandemente è riprovevole l’associare personaggi diversi quando i reali conservassero l’ esteriore non alterato dei tempi nostri e gli allegorici vestissero poi l’ esterno attributo delle convenzioni poeti- 30 che; i quali due generi di apparenza contradittoria si contenderebbero l’ esistenza del soggetto. Cosa più facile a combinarsi, quantunque però non senza incontrare gran scogli, nei soggetti antichi, ove il costume dei per- sonaggi riputati reali sì avvicina assai più a quello dei personaggi immaginari o poetici, Prende motivo l’autore da queste riflessioni a de- durre come l'antica mitologia, avendo personificate la prudenza, la scienza, la forza, la vittoria , la giustizia , il valore , la beltà , la grazia, i doni dello spirito, e le pro- prietà e gli effetti fisici con altrettante specie di divinità, le allegorie de’ moderni, nella loro rappresentazione sì confondono quasi interamente con quelle appunto per la proprietà della analoga espressione. E giustifica molto saggiamente l’ autore quegli artisti che vennero censurati d’ impiegare talvolta le figure del Paganesimo in sogget- ti moderni, quando necessariamente sì confondono tra loro il mitologico e l’allegorico. La qual censura venne fatta confondendosi i soggetti che esclusivamente appartengono al culto con quelli che appartengono a un paese e ad un epo- ca ove domini il Cristianesimo, il che importa gran differen- za. E se mostruoso sarebbe nel quadro , o nel monumento storico cristiano l’alleanza di numi pagani espressi come ta- li, coloro propri nomi e attributi, qual cosa contraria alla imaginazione e alla ragione, altrettanto non si dirà se si tratta di soggetto eroico, ove la metafora trasportandoti nel regno delle cose imaginarie , senza offesa della {cre- denza religiosa, serva a una perspicuità di espressione senza alcuna sorta di incoerenza ; la qual distinzione è dettata particolarmente dal buon senso e dal gusto, per- chè la religione cristiana , la quale rigetta l'unione delle cose profane cogli oggetti della credenza, non disapprova, ed ammette , rispetto alla rappresentazione di ogni altro oggetto nelle composizioni pittoriche o poetiche, l’ usare delle figure allegoriche o delle virtù personificate , che . TAG come abbiam veduto sì esprimono sotto le stesse forme del- le mitologiche. Nondimeno è duopo convenire col dotto autore che l’ impiegare l’allegoria ne’ tempi moderni vale assai meno, e produce minor effetto in poesia che in pittura ; e il mo- tivo è ben chiaro, poichè sebben anche vogliasi dal poeta come dall’artista aver ricorso nell’ alle$oria moderna al personificare le essenze morali, prendendo in luogo'‘di Minerva la Sapienza, in vece di Venere la Voluttà, rimpiaz- zando gli esseri , che ne’ tempi anteriori si imprimevano con un carattere più evidente nella sua imaginazione coi nomi delle qualità morali, dei fenomeni fisici, dei prin- cipii attivi della natura, nondimeno debolissimo succes- so attender si può da un tal sforzo, mentre i nomi che nel discorso non richiamano al pensiero le forme, non sono atti a produrre l’ imagine , e simili esseri allegorici non ebbero altro più che un’ esistenza nominale o gram- maticale. Fisonomie senza tinta, forme senza contorni sfuggono agli occhi della mente, e queste surrogazioni , queste pretese invenzioni lunge dall’ animare il compo- nimento poetico , vi gettarono il gelo della loro propria essenza metafisica. Il linguaggio non è bastevole per dare alle idee astratte corpo e vita ad un tempo; e quella fa- coltà efficace ed attiva che permetta di farne in poesia il movente principale delle cose umane, cosicchè i personaggi di una allegoria puramente morale impiegati dalla poesia moderna, hanno l’ inconveniente di nullità per l’imagina- zione, non essendo oggetti di credenza nè positiva nè imaginaria, essendo non solo incerta la loro esistenza ma ‘anzi conoscendosi che non sono reali, e non possono esi- stere, e per conseguenza non possono aver parte od azio- ne nè convenzionale, nè verosimile. Le quali obiezioni si potrebbero ben anche fare al pittore , se dovesse esser giudicato dal puro ragionarnento mentale, ma stà in suo favore il possentissimo sussidio dei sensi, e col mezzo 32 degli occhi rende assai più credibile l’esistenza degli esseri ch'egli presenta caratterizzati, e vestiti di forme corporee da lui messi in moto, e in azione. Aggiu- gne inoltre che l'intervento delle figure allegoriche nel quadro non fa una parte sì attiva come nel poema ove as- sume il più spesso la direzione suprema di ogni avveni- mento, mentre in’ pittura sì limita a un’ azione particola- re, od a spiegare più o meno convenzionalmente il sog- getto a cui và unita, nel qual caso diventa piuttosto un segno emblematico o simbolico. Intorno a questi segni simbolici prende a trattare l’autore, riguardandoli appunto come segni figurativi, che soccorrono colle loro imagini le facoltà dell’intelletto, non bisognevoli che di forma meramente indicativa. In- fatti il più circospetto dei compositori di storia Nicolò Pussino non si salvò dall’ errore allorchè ardì allontanar- si dalla semplicità di questa pura indicazione, nel quadro di Mosè trovato sul Nilo , ove per indicare il luogo, impro- priamente colori una sfinge che avrebbe dovuto trattare in chiaroscuro a modo di pietra , riferendo il simbolo a quei tanti che vedevansi in Egitto scolpiti, e mal fece quel per altro dottissimo artista, nell’allontanarsi da que- sta regola, pretendendo di dare un aspetto di realtà ad un oggetto che non l’ebbe se non chimerico e simbolico. Le medaglie, e le pietre intagliate servirono più d’ogni. altra cosa a determinare il siguificato de’ gerolifici e dei simboli, e insegnarono all’ artista il modo di utilmente e convenientemente impiegarli, talora come segni delle idee, talora come supplementi convenzionali alla forma degli oggetti, e quando in figura di porzioni o abbrevia- zioni delle imagini, rappresentando presso alcuni popoli i caratteri della scrittura. Associati però i simboli alle figure allegoriche , per rendere più chiara la loro intelligenza esigono più par- ticolarmente che queste figure siano di stile totalmente 33 ideale , tolte dal generalizzare sull’ imitazione, e lontane ben molto da quelle imitazioni parziali che tendono alla realtà individuale. Male si addice per conseguenza il sim- bolo in mano a una figura che rappresenti un ritratto volgarmente , e comunemente eseguito, come fece lo scultore che pose in mano a Molière uno specchio per esprimere l’arte del poeta , riguardando quest’arte secon- do la metafora della parola come specchio della vita civi- le: ma la figura di Molière vestita alla foggia del suo tem- po non dava altra idea che d'un mercante di specchi, e sì termina questo. importante paragrafo conchiudendo che il simbolo riceve dallo stile ideale della figura a cui è accompagnato il senso intellettuale , ma non potrebbe imprimerlo a quella che mancasse di questo stile, poichè allor quando il genere volgare della figura riduce al senso semplice e materiale l’ idea del simbolo, si dilegua anche ogni senso metaforico della figura medesima. Il simbolico serve di preferenza alla scultura come. la più bisognevole di sussidi per. la spiegazione dei sog- getti nel sommo laconismo dell’arte sua , bisogno tay- to minore nell’arte del verso, che con. mezzi infiniti può esprimere ogni idea benchè astratta , e per il poeta le descrizioni d’ attributi o d’emblemi sarebbero fredde per sè stesse, e non auménterebbero l'energia del discorso restando sovente languide e oscure. Le quali cose più praticamente dimostra, facendo una dottissima analisi d’ alcuni luoghi d’ Orazio intorno alla pera zoppicante, e alla recessità, con quei tanti simboli espressi nell’ ode alla Fortuna. Tratta l’autore, nel finire-la terza parte del suo. ln- voro sui. mezzi poetici esclusivamente proprii dell’arte del disegno, ed.in ispecie della nudità poeticamente consi- derata. Difatti a che servirebbero per il poeta tutte le minute descrizioni delle parziali beltà d’un individuo a fronte dei mezzi di cui servesi lo. scultore, e il pittore? T. XII. Marzo Zi 34 i Differiscono tra loro altrettanto quanto la descrizione d’una persona fatta in parole, e un ritratto eseguito in colori. E venendo alla nudità impiegata come metafora già. con- venuta nei soggetti storici dell’artista , sebbene presentar possa in sè stessa qualche cosa che secondo i tempi e i costumi, e secondo i varii paesi, vada a ferire le opinioni, bisogna sempre però osservare che una delle prime con- dizioni dell’ esistenza delle arti è la imitazione delle for- me del corpo umano, e che non possono tra loro confon- dersi le espressioni della nudità , intese filosoficamente come parte del linguaggio imitativo col mezzo delle for- me del corpo, e la nudità licenziosa di altre imagini di cui la morale e il buon gusto condannano l’esecuzione e la vista. Cosicchè qualunque sia il modo per cui l’ uso della nudità sia stato ammesso, tanto se connesso alla religione o alle instituzioni sociali, tanto come un certo lusso convenuto nella società, o dilettamento più nobile delle facoltà intellettuali, le arti non possono mai rinun- ciare nell’ impiego delle forme dei corpi allo scopo loro principale , che è quello di piacere ; il qual piacere non può derivare più intenso e più profondo di quello che dan- no le impressioni del bello, delle proporzioni , dell’ armo- pia di cui è sorgente inesauribile l'organismo del corpo umano. E quanto all’ impiegare la nudità rappresentando ‘ personaggi moderni, sebbene apparentemente sembri che i nostri costumi possano opporvisi più che nol facevano le abitudini de’ greci e de’ romani , i quali per le loro in- stituzioni civili e religiose erano assai più accostumati a vederla pubblicamente , vi concorre a raccomandarla , e per meglio dire a giustificarla l’improprietà delle forme dei vestimenti assoggettati a’ variabili capricci della moda, fatti per sfigurare il modello dell’ arte, e nascondere al- l’ artista tutto il bello della natura, neutralizzando in certa maniera ogni sforzo sublime del suo ingegno, e privando l’arte del suo scopo primario , quello di diletta- 35 re in ogni tempo, e in ogni luogo. Per la qual cosa. seb- bene a’ nostri giorni il linguaggio metaforico della nudità esser possa più ardito che nei tempi antichi, non è per questo meno necessario, nè meno giustificabile. In ogni tempo osservasi che fu.sacra al linguaggio dell’arte la facoltà di rappresentare la figura umana, non tal quale si vede nelle forme individuali, ma tal come esser dovrebbe, se l’occhio abbracciar potesse il genere complessivo dell'umana bellezza : cosicchè la nudità nel- la rappresentazione de’ personaggi contemporanei, consi derata come teoria generale, non è altro che una conven- zione eguale ad ogni altra che serve allo stile. ideale nel- le arti del disegno. E sbaglio dell’ artista imperdonabile è quello di presentare al pubblico queste convenzioni in una maniera oscura e non intelligibile, qualora per un miscuglio mal combinato accada che l’imitazione volgare e materialmente tolta dal modello non elevi lo spettatore all'altezza del concetto, volendosi. nello . stesso, tempo usare il linguaggio metaforico della nudità. La figura soltanto il cui simulacro si destina alla posterità pel comun voto acquista una celebrità, ed esce dalla periferia circoscritta delle società private a cui lo- calmante appartenne , diventando l’ uomo di tutte le età, di tutte le nazioni. Le quali cose abbiamo lette con com- piacenza espresse in questo libro del modo che le aveva- mo più difusamente trattate nei prolegomeni della Storia della scultura lib. 1. cap. VI. Tali convenzioni non costringono però altrettanto il pittore come lo scultore a questo linguaggio metaforico, mentre l’arte sua si esprime con assai più di mezzi che quella dello scarpello, e gli permette l’ uso per così dire di molte narrazioni e descrizioni, ingiungendogli il debi- to di osservare una quantità di corrispondenze vere e na- turali, inseparabili dall’ esecuzione del suo lavoro ; e ag- giugneremo di più che la materia di cui compone il suo 36 lavoro , che i luoghi ove lo espone , non assicurano altret- tanta durata al suo quadro come il marmo od il bronzo , la gemma, o la moneta perpetuano l’opera dello scultore, al quale più severamente spetta tenere un linguaggio che possa esser comune a tutti i secoli. E bellissime sono le giustificazioni che il chiaro au- tore produce in favore della nudità del Laocoonte, rispon- dendo alla critica di alcuni pedanti censori che non avreb- ber voluto ignudo il sacerdote sacrificatore nel momento che esercitava il suo ministero. Lo scultore del Laocoonte l’ ha figurato ignudo, dic’egli, poichè non era nè annalista, nè istoriografo della guerra di Troia; l’ha scolpito ignudo, poichè ha preferito d'essere lo storico della natura, e del- l'impressione che può produrre una scena sì tragica ; è nudo perchè senza nudità l’artista avrebbe rappresentato troppo debolmente questo spettacolo di terrore e di pietà che produce la contrazione d’ogni parte del corpo in pre- da ai dolori; poichè le ritorte dei serpi, e i loro morsi non avrebbero, per la realtà , e per gli occhi dello spet- tatore prodotto altrettanto effetto sù di un corpo vestito: Laocoonte in fine è mudo poichè l’artista si curò meno di eternare la memoria della tragica morte , supposta an- che vera, del sacerdote Troiano, che di mostrare il potere dell’ imitazione, e il trionfo dell’ arte nell’ espressione delle più crudeli angosce dell’anima e del corpo. Ed ecco il più gran genere di metafora per cui le arti tramutano un fatto particolare d’ una storia parziale contro una.sce- na generale della natura fisica e morale. E per parlare della nudità, deriva argomento l’ au- tore di esporre i suoi pensieri sull’ abbigliamento ideale o i costumi antichi trasportati nei soggetti moderni. E os- serva da prima come la nudità delle statue non derivò mai dall’ averle volute assimilare agli atleti, che abitual- mente vedevansi ignudi, e tali venivano rappresentati, mentre nessuna allusione a ciò si faceva colla nudità 37 dei principi; dei guerrieri, degli oratori , dei filosofi, de’ poeti , in questo modo rappresentati anche per ele- varli a quel maggior grado di dignità al quale 1° adu lazione solleva pur sempre gli uomini celebri. Se al poeta è permesso di chiamare Divino l’ uomo insigne, così lo scultore lo raffigura con quelle perfezioni corporee colle quali esprime la statua della Divinità. E quanto a quella specie di soddisfazione che provasi dal più abietto volgo 'degli osservatori nel riconoscere in alcune statue moderne ogni accessorio del vestiario, questa è simile af- fatto a quell’ istinto materiale che pretenderebbe la real- tà nell’imitazione ; questi è il piacere della moltitudine ignorante, che si attacca sempre alle cose minori nelle opere dell’ arte, come la critica del calzolaio nel quadro d’ Apelle che si diresse immediata ai calzari. Il vestiario > moderno è troppo uniforme , tagliato sempre sugli stessi modelli senza nulla di naturale, compassato , e più fatto per deformare e nascondere le forme , che per lasciarne veder la bellezza. Oltre di che l'ampiezza dei panneggia- menti all’antica produce una certa somiglianza tra i personaggi moderni e gli antichi , e li riunisce e li gene- ralizza sotto l’aspetto della celebrità, con quel diritto che l’ artista ha di servirsi dell’allegoria nella rappresentazio- ne de’ suoi soggetti. E poichè il monumento è sacro a tutte le età e tutti i luoghi , così le fogge de’ vestimeniti antichi sono appartenenti ad un costume generale, e può ben dirsi alla moda universale della natura, poichè sotto la voce antichi abbracciasi una grande estensione di se- coli, di nazioni, di luoghi, ove fu in uso di non assogget- tare gli artisti a troppe modificazioni, e a servitsi di quel- .le ampie e facili maniere di panneggiare le figure. Interesse è dunque d’ ogni nazione che confida allo scultore la cura di perpetuare la memoria delle sue inì- prese e de’ suoi gran personaggi , di vigilare sul guisto e l’ imitazione di tali opere che già ispirano rispetto per sè 38 medesime; ed al contrario la fedele rappresentazione del- le nostre mode in scultura non predispone che $sog- getti di ridicolo non solo per le nazioni future, ma per la nostra età; mentre l’ intolleranza de’ nostri costumi è di creder ridicolo tutto ciò che non è conforme al gusto del giorno ; nè mai quell’ arte clie è destinata a perpetuare nei secoli , e recare alle future età le testimonianze del gusto e dell’ intendimento del popolo , che la costituisce depositaria della sua gloria, può avvilirsi tenendo il regi- stro delle futilità passeggiere della moda. Termina le saggie sue riflessioni 1’ autore conclu- dendo che l’ artista nel rappresentare i suoi personaggi moderni non deve però imitare alla cieca senza scelta e senza misura ogni particolarità del costume greco o ro- mano. Una fedeltà scrupolosa in questo proposito escireb- be dai limiti di un sistema , il cui scopo è generalizzare l'oggetto raffigurato; una metafora che sia resa troppo identica con ciò che soltanto deve indicare, degenera in abuso: poichè se dal costume greco; o romano si imitano alcune esteriorità nelle forme , non si fa ciò mai per pro- durre una completa illusione , o piuttosto un anacronis- mo. D'altronde un abbigliamento puramente ideale, sen- za pretesa di esprimere esattamente l'antico, deve da qualche lato esser libero in maniera che i critici non pos- sano con quello confonderlo: Lo sbaglio degli artisti, e l’ equivoco dei censori sta sul confine dei due abusi con- trari, mentre gli uni hanno spesso il torto di produrre in vece dell’ ideale un greco troppo positivo, e un ro- mano troppo romano; gli altri s' ingannano ancor ‘più so- vente, prendendo per greco o per romano ogni abbiglia- mento che in fatti è ideale per la sua indole propria, ed in conseguenza può rappresentare il costume di tuttii pae- si, e di tutte le età. LropoLpo CicoGnARA na d9 Lezione di Vinceenzio Forirni sopra alcune difficultà che si incontrano nella storia del lavoro delle porte di bron- zo del Barrisrero Frorentino . Detta da esso nell’ adu- nanza dell’Accapemra peLrs Crusca il dì 13 Gennajo 1824. La libertà dell'argomento concessa dalle savie' leggi del- l Accademia alle nostre mensuali lezioni, se altra volta mi animò a trattare in questa dotta adunanza di cosa alle belle Arti spettante, oggi nuovamente mi anima a ragionarvi sopra la stessa materia, trovandomi in circostanza non molto diver- sa da quella d'allora, perchè da una stessa causa, vale a dire dalla Storia della scultura del celebre sig. conte Cicognara, a ciò fare son mosso. E se già del Riminese bassorilievo in marmo spontaneamente vi parlai, volendo confermare una mia opinione, la quale a me certissima parve, come parmi tutto- ra, e che egli si degnò inserire con le mie stesse parole nella sua bell’ opera, quantunque non restasse persuaso di doverla abbracciare, mi trovo adesso in servigio della stessa opera , quasi necessitato allo schiarimento della storia delle famose porte del nostro Battistero Fiorentino. Io dico quasi, per non averne ricevuta dall’autore alcuna immediata commissione, ma perchè avendo egli ad un rispettabilissimo Signore di questa città esposte in una lettera alcune difficultà che si incontrano nella cronologia di questi lavori, le quali bramava di scioglie- re nella nuova edizione che va facendosi della sua opera, ed essendomi stata comunicata la lettera perchè io dicessi il mio parere, mi trovai obbligato ad un rigoroso esame di queste difficultà. Nascono queste dal complesso di alcune asserzioni e supposizioni che io traggo dalla lettera, e sono le seguenti. I. Il Cambi storico fiorentino dice che nel 1424 fu posta la bella porta di bronzo di Lorenzo di Bartoluccio alla fac- ciata dove sono le colonne di porfido, talchè bisognerebbe sup- porre che le colonne abbiano cangiato sito se questa porta è la seconda del Ghiberti . II. Se fu questa porta la seconda del Ghiberti cade la supposizione che fosse commessa nel 1428. III. Si suppone che nel 1443 Lorenzo comprasse la casa dove fabbricava nel detto anno le porte di S. Giovanni. at. IV. Sè Lorenzo comprò la casa nel 1443 non può sùssi» stere che nell’ istrumento di compra possa essere indicata per quella ubi fabricantur ianuae S. Joannis Baptistae, come in questo ‘asserito istrumento di compra si legge. V. Che il Ghiberti possa averle finite in 24 anni, collo- candosi la sua seconda, come vien supposto, nel 1424, che non ce ne volessero di più, anco senza ajuti, e che si possano fare anco in meno tempo - Per procedere con ordine e chiarezza nell’ esame di que- ste asserzioni e supposizioni, stimo necessario il cominciare la storia delle tre porte di S. Giovanni dal suo principio sì per- chè non è scevra d’ errori e di dubbiezze anco nel fatto della prima antica porta, sì perchè ha qualche necessaria relazione con quella delle porte del Ghiberti; non appartiene meno di esse alla Storia generale della Scultura ; ed ha per conseguenza egual diritto, che in quella venga rettificato ciò , che intorno alla medesima non fu esattamente da qualche scrittore notato. Simone della Tosa adunque nostro annalista che morì nel 1380 essendo nato poco dopo il 1300, e che nell’ anno 1330 avea già esercitati decorosi ufizi , come rilevasi dalle notizie prefisse dal Manni a’suoì Annali, così scrive al detto anno 1330. E in quest’ anno si cominciò le porti del metallo di S. Gio- vani, le quali fece maestro Andrea da Pisa. Ciò concorda con l’ iscrizione che vi pose Andrea cioè « Andreas Ugolini Nini de’ Pisis me fecit ann. MCOCCXXX. Il Vasari affermò che Andrea lavorò sul disegno già fatto da Giotto dicendo «gli fi data a finire di bronzo una delle porte del Tempio di S. Giovanni, della quale avea già fatto Giotto un disegno bel- lissimo, gli fu data dico a finire per essere stato giudica» to il più pratico e giudizioso maestro ec. Si può argomen- tare da queste parole che Giotto avesse già fatto tutto quello che dovea necessariamente precedere il getto, innanzi al 1330 senza escludere forse la stessa forma, dicendosi gli fu data a finire di bronzo. Asserisce lo stesso Vasari, che fu compita del tutto nel 1339 dopo aver detto che in termine di 22 anni la condusse a quella perfezione che si vede, talchè par- rebbe che bisognasse porre il suo principio nel 1317 e non già nel 1330, Se non si vuole includere nei 22 anni il prece= hi ‘dente lavoro di Giotto; îl quale pare secondo l’espressione del Vasari che le forme eziandio fatte avesse, dicendo gli fu da- ta a finire di bronzo, comecchè di terra l’ avesse fatta pri- ma Giotto, sarebbe necessario il credere che avesse errato il Vasari o ‘sul cominciamento o sul fine dell’ opera. Avendo errato nel fine sarebbe stata terminata non già nel 1339 ma nel 1352, perchè 22 anni appunto corrono tra’l suo principio del 1330 e il 1352, vale a dire sette dopo la morte d’Audrea, posta da esso Vasari nel 1345. Io terrò sempre fermo il prin- cipio d’ Andrea nel 1330 attestato da due storici contempo+ ranei al medesimo, vale a dire Simone della Tosa, e Giovan- ni Villani, che convengono con l’ iscrizione , la quale nota il principio e non il fine. E in fatti, chi non vede che l’iscri- zione già formata nel tempo del primo getto non potea anti cipatamente darci l’anno del compimento, allora incerto, come lo avrebbe potuto dare , se fosse stata in distinta lamina ag- giunta nell’ ultimo anno del lavoro? Considerando pertanto che Giotto avea fatto tanto per quella porta prima d’ Andrea, potette Andrea in nove anni condurla alla sua perfezione, ed anco in otto’, quando vo- lessimo col Baldinucci porre il suo principio nel 1331., lo che per altro si oppone all’ autorità de’ due citati storici ed alla iscrizione, quando non nascesse la varietà dal computo de’ fio- rentini. Lasciando adunque intatta l’ opinione del Vasari che fosse finita nel 1339, e concedendo pure che 22 anni abbia du- rato il lavoro, purchè i primi innanzi al 1330 si assegnino alle operazioni continue o interrotte di Giotto, non. voglio frattanto che alcuno resti ingannato dalla nota che fa il Pia- cenza al Baldinucci nella vita di Andrea Pisano, il quale così riporta un passo di Simone della Tosa « 1330 corse tutta Fi- renze a vedere la porta di bronzo fatta da Andrea Pisa no a S. Giovanni, che fu collocata alla porta di mezzo, poi trasferita dalla banda di mezzodì, e la signoria non mai solita di andar fuori di palazzo se non nelle maggiori so- lennità, vennero a vederla alzare con gli ambasciadori del-. le due corone di Napoli e di Sicilia. Queste parole, che con- tradicono al vero passo di Simone già riportato, nel quale si pone il principio e non l’ alzamento della porta nel 1330, le 42 tolse il Piacenza bonariamente dal. Richa, il qual Richa fu in- gannato dal Migliore, il quale asserisce alla pag. go con l’au- torità del Villani e di Simone che la porta fu alzata nel det- to anno, e vi fu il concorso della signoria ec. L’ asserzione del Migliore è affatto temeraria quanto al Villani che si po- teva leggere stampato, e parla chiaramente del principio e non dell’ alzamento della. porta. Quanto poi a Simone, ch’ era tut- tora inedito, se gli dovette presentare in qualche codice alte= rato dalle postille marginali intruse nel testo , siccome accadde per avventura al Gamurrini, citando altro passo della mede- sima storia che non trovasi ne’buoni testi de’quali fece uso il Man- ni, a cui non isfuggì la corruzione del passo citato dal Richa. Nè Simone nè il Villani, testimoni di veduta, potevano in que- sto errare, e specialmente il Villani che asserisce al cap. 178 del libro X, di essere stato uficiale di questo lavorìo per l’Ar- te de’ mercatanti. E molto meno questi due storici erano in grado di parlare della traslazione di questa porta, che accad- de tanto tempo dopo la loro morte , vale a. dire quando il Ghiberti avea già fatta almeno la prima sua porta. Ma io so- no di parere che quella traslazione messa in parentesi dal Ri- cha sia un’ aggiunta tutta sua propria, benchè nella nota del Piacenza sia tolta la parentesi, e passi tutto per testo di Si- mone, a cui nè questa asserzione nè il resto appartiene. Os- serverò intanto che il Richa fondandosi sul Migliore non fu causa innocente d’ errore al Piacenza, perchè ridusse a vero testo un preteso sunto delle parole del Villani e di Simone, o di quest’ ultimo solamente, che il Migliore con le sue pro- prie parole, e non già con le originali avea notato - Resta adunque stabilito che la porta d’ Andrea Pisano per quello che appartiene ad esso, escluso il precedente lavoro di Giotto, fu fatta dal 1330 al 1339, ed in quest’ anno pro- babilmente alla porta maggiore collocata . Il Bottari nelle no- te al Vasari, riprende il Baldinucci perchè nella vita del Ghi- berti attribuì questa prima porta a Niccola Pisano, ma savia= mente dice il Piacenza più discreto censore, come esser dovea in questo caso, che ciò fu per difetto di memoria; ed. è tanto vero, che nella stessa vita più sotto la dice espressamente d’ Andrea, nè si dee credere ch” egli avesse o aver potesse altra FI sin ae opinioné . Infatti nella vita di ‘Giovanni Pisano, dove parla an_ cora delle opere del figlio Niccola, non fa di questa menzione, e în quella d’ Andrea la dice chiaramente sua opera . Venghiamo adesso alla seconda porta , cioè la prima del Ghiberti. Che questa si cominciasse nel 1402 come dice il Bottari nella’ nota del Vasari T. L pag. 224 della romana edizione , ricavarsi da alcuni ricordi presi in quel tempo , si può facilmente concedere . Lorenzo stesso autore della porta dice al foglio 10 della sua opera MS. nella Magliabechiana che nel 1400 si partì di Firenze nella sua giovanile età per causa della corruzione dell’ aria, e del male stato della patria, în compagnia d’ un pittore richiesto da Malatesta da Pesero, e lavorando per esso, in questo istante fu avvisato dagli ami- ci che si faceva in Firenze il concorso per le porte di S. Gio- vanni. In conseguenza di questo avviso chiese tosto licenza a Malatesta, ed ottenutala, ritornò a Firenze. Dando pertanto due anni di tempo alle prove de’ concorrenti si viene appunto al- l’ anno 1402. Giovanni Cambi asserisce nella sua storia, che la porta del Ghiberti fu alzata il dì 20. Aprile 1424. Ecco le sue parole tratte dal MS. originale esistente nella Magliabechiana P. III. Cod. 69. al foglio 18. Addì 11 d’ Aprile 1424 cad- de una colonna delle due di porfido che sono dinanzi al- la porta di Santo Giovanni , quella da manritta, e dove era ropta si misse un cierchio di ferro, e a dì 20. detto vi si mise - quella bella porta di metallo dorato dove sono dette colonnie, e costò più di XII. m. ducati. La- worolle Lorenzo di Bartoluccio d’ anni xliiii. Il Cambi avea scritto per fallo di penna diuanni invece d’ anni, ma ripertissi tosto, e cancellò con una linea la seconda e terza - Lettera. Il P. Ildefonso che nelle Delizie degli Eruditi To- ‘scani pubblicò questa storia, omesse la prima lettera, che non è per niente rifiutata, e stampando anni 44, venne a darcelo ‘per il numero degli anni del:lavoro, che sarebbe so- verchiamente eccessivo per una sola porta, e da non ammet- tersi, e quindi cambiò la voce ducati in scudi. Nè questo pe- rò fece capricciosamenté perchè la sua lezione si accorda col nostro Codice. Magliabèchiano 72. P. III. che è una moderna 44 copia del secolo XVII. Ma un’altra copia che è di mino dej Biscioni vale a dire il Cod. 70. P. III della stessà Libreria, preferibile all’ altra, seguita il Cod. originale, leggendo d’ an= ni come quello, e ducati. Il Ghiberti parlando della sola sua prima porta dice nel MS. di sopra citato, che costò coll’ adornamento d’ intorno circa a ventidue migliaia di fiorini. I nomi di fiorino e du- cato significavano una stessa moneta , vale a dire il fiorino d’oro, come può vedersi nell’ opera del Vettori, che ha per titolo Fiorino d’ oro Illustrato pag. 140, e in quella del Pagnini della decima e gravezze T. I. pag. 116. Il Vetto- ri stesso dice alla pag. 13 che coniato il fiorino d’ oro per derono le monete d° argento di lì a qualche tratto di tempo la loro antica denominazione, essendone state battute d’ ar- gento più e diverse specie in appresso; tanto che fiorino fu detta solamente la moneta dell’ oro. Niuno potrebbe certa- mente mettere in dubbio che a’ tempi del Ghiberti , e nel 1424 il fiorino d’oro avesse già acquistato il semplice privati- vo nome di fiorino, sì perchè è dimostrato da infinito numero di scritture ; sì perchè dal 1252 in cui si coniò la prima volta erano scorsi per lo meno 192 anni, tratto di tempo assai maggiore di quello che potesse avere in mente il Vetto- ri, per introdurre questa denominazione speciale dell’ oro. Ma come potremo coriciliare il Ghiberti col Cambi? Io per me son di parere che quell’ inesatto copiatore, il quale oltre la me- tà del secolo stesso del Ghiberti, ma probabilmante dopo la sua morte, trasse dalle carte originali quest'opera, e la stor- piò in più luoghi, leggesse un numero 12. non ben distinto per 22, e quindi in lettere sciogliendolo scrivesse circa a ven- tidue migliaia. Checchè sia di ciò, è manifesto per le parole stes- se del Ghiberti; che questo prezzo appartiene, o sia vero o al- terato dal copiatore, alla sola prima porta da esso fatta, no- tando egli stesso che vi sono le storie del Testamento nuovo . Ma si potrebb’ egli dire chei due prezzi appartengano a due diverse porte, e che il Cambi intenda parlare della seconda , come il Ghiberti parla certamente della prima? Non si può ammettere in verun conto I, perchè il Cambi se avesse inteso di notare al 1424 l'erezione della porta seconda del Ghiber= 45 ti, come avrebbe potuto omettere al suo luogo la precedente collocazione della prima, che sebbene di merito inferiore, eb- be maggior grido nel suo comparire, sì per la novità del la- voro, sì per la circostanza del celebre concorso ? E se pure l'avesse obliata di sopra, come avrebbe potuto non richia- marla in questa occasione , invece di nominare Lorenzo di Bar- toluccio come uomo nuovo?.II. Perchè se la porta del Cam- bi fosse la seconda, e però diversa da quella dei 22 mila fio- rini, sarebbe la più ricca, la più bella, e al tutto maravi- gliosa porta, costata circa la metà della più semplice, e quan- tunque pregevolissima, assai meno a confronto riputata. HI. Perchè il tempo dei 22 o 2/4 anni non potea esser sufficiente ad ambedue le porte, come più sotto vedremo. Il Lumachi in quelle sue infelicissime Memorie del Tempio di $. Giovan- ni stampate in Firenze nel 1782, alla pag. 103, dice che l’epo- ca della prima porta di Lorenzo è del 1420, e costò in tut- to fiorini 16594; e aggiunge che ciò risulta dai Libri de’ Con- soli ricopiati dal sen. Carlo Strozzi riferiti dal Gori MS. nella Marucelliana. Quel che intenda per epoca non è chiaro, ma se gli dee concedere che in quell’ anno il Ghiberti certa- mente vi lavorasse su, e quanto al prezzo, che varia dai due riferiti, lascerò mallevadori lo Strozzi, il Gori, o lui medesi- mo. Ma non è egli veramente piacevole quando alla pag. 109 discorrendo della seconda porta dice, fu messa su nell’ anno 1421; vale a dire, un solo anno dopo la così detta epoca del- la prima porta? Nè a questo ebbe difficultà di aggiugnere, ed il Ghiberti impiegò 8 anni nel lavoro d’ ambedue le dette porte , mostrando d’ ignorare affatto il tempo del concorso e del ‘principio della prima porta, e grande imperizia nelle cose dell’ arte . A me pare che dal sin qui detto veriga dimostrato che questa prima porta del Ghiberti, di cui parla certamente il Cambi, fosse subito posta alla facciata» principale , dicendosi chiaramente collocata dove sono le colonne di porfido, le qua- li non hanno mai cangiata la prima situazione. Non è vero adunque che la porta di Andrea fosse trasferita alla facciata che guarda la Misericordia, quando il Ghiberti ebbe termina- ta la seconda porta, come il Vasari seguitato dagli altri asse- ld 46 risce in queste parole ce visto quanto Lorenzo l° avea avan- zato ( cioè Andrea Pisano ) risolverono i consoli a mutare la porta di mezzo dove era quella d’ Andrea , e metterla all’ altra porta ch'è dirimpetto alla Misericordia, e che Lo- renzo facesse quella di nuovo per porsi nel mezzo. Da que- ste parole ne risulterebbe, che i Consoli vista la porta di Lo- renzo, la facessero collocare alla porta che guarda l’ Opera di S. Giovanni, dove è al presente, come luogo più cospicuo do- po la facciata principale, e decretassero che Lorenzo ne faces- se. una per la porta maggiore, alla quale dovesse dar. luogo quella d’Andrea che si sarebbe trasferita dove ora la veggiamo. Ame piace:di preferire il semplice ed ingenuo racconto. del Gambi all’ autorità del Vasari, il quale si esprime in tal guisa, che fa quasi credere un solo atto il vederla i Consoli, il col- locarla dove è adesso, cioè, secondo lui, alla primiera sua sta- zione in faccia all’ Opera, e l’ ordinare una nuova porta a Lo-, renzo pér sostituirsi a quella del Pisano, da trasferirsi alla fac. ciata opposta alla Misericordia’, o Bigallo. A me sembra cosa naturale, che dopo la. mostra fatta della porta a’ Consoli, e la collocazione della medesima sia da porre un. intervallo, che separi gqaesti due atti dall’ ordinazione della nuova porta. La maraviglia ‘che risvegliò quest’ opera di Lorenzo ,. frutto del. l’emulazione dei più celebri ingegni che in quel tempo nelle belle arti esercitavansi, non poteva al suo primo comparire far credere ai Consoli, e a tutta la città, che si potésse far me- glio, sicchè meritamente dovea in mezzo a tanti applausi occu. pare subito il più degno posto, che occupava già quella d’An- drea : E certo, quantunque ognuno dovesse credere e sapes- se avere i Consoli intenzione di far fare la terza porta di bron- zo, disdicendosi che una restasse di legname, se avessero così tosto sperato che la porta da farsi potesse superare quella già fatta, non sussisterebbe quella maraviglia e pienezza d’appro- vazione che incontrò la prima porta. Collocandosi in fatti po- co dopo terminata, vale a dire nel tempo delle lodi universa- li, doveva e poteva far determinare i Consoli a porla nella parte più degna, paragonandola a quella d’ Andrea, ma non fare sì presto concepire ai medesimi speranza di un più esqui- sito lavoro. Non ci volea a parer mio se non Lorenzo stesso 47 che questa speranza potesse far nascere ed alimentare, ed io sospetto che l’ idea di far la nuova porta da porsi alla faccia- ta maggiore, nascesse principalmente dalle di lui promesse e sollecitazioni fatte correre tra i cittadini, allorchè la porta pri- ma occupava già l’ antico posto di quella d’ Andrea, e veniva dai forestieri non che dai cittadini altamente lodata. I consi- gli, le premure, i ragionamenti, le promesse di questo valen- tuomo, doveano universalmente riscuotere stima avendo dopo il suo applauditissimo esperimento acquistato grandissimo cre- dito nella città. E vaglia il vero, se per la prima porta gli fu necessario il concorrere ad una prova, e sottoporsi a un severo giudizio, per la seconda i Consoli si misero affatto nelle sue braccia, e vollero da esso al tutto dipendere, come da quello ch’ egli stesso ci lasciò scritto rilevasi. Ma qual mag- giore attestato del suo credito può darsi, di quella cieca fidu- cia ch’ ebbero in esso i cittadini facendolo compagno del Bru- nellesco nell’ edificazione della cupola ? La sua seconda porta adunque potette benissimo essere stata ordinata nel 1428 come si suppone, e avendo veduto che il Cambi parla della prima collocata nel 1424, sta ferma V’as- serzione dello storico e questa supposizione; e di più lo spa- zio di quattro anni che precede l’ ordinazione della seconda, serve di conferma a quel tratto di tempo che fra la. colloca- zione della prima, e questa ordinazione mi parve ragionevole. Ma è tempo di far vedere, siccome io promisi, che 22 o 24 anni non potevano a Lorenzo esser bastanti per fare ambedue le porte, lo che servirà pure a confermare l’ intelligenza del- le parole del Cambi, cioè ch’egli della sola prima porta parlasse. Il Migliore alla pag. 91, citando il Petriboni, il quale per al- tro non dovette intendere di darci se non l’erezione della stessa prima porta, la pone all’ anno 1421, talchè sempre più resta diminuito il tempo del lavoro delle porte presso quelli , che circa questo tempo le vogliono ambedue finite - Si è già detto che Andrea Pisano impiegò nove anni nel lavoro della sua, quantunque Giotto avesse fatto tal preparativo, che il Vasari non ce lo dà per autore della por- ta, ma per quello che la gettò di bronzo e finì. E da osser- varsi inoltre che 1’ opera di Andrea è meno laboriosa; e che 438 riducesi alle due sole imposte, giacchè l’ ornamento fisso degli. stipiti e architrave che oggi si vede intorno a quelle, è opera del Ghiberti fatta dopo il termine delle sue porte, come ab- biamo dal Vasari. Se il Ghiberti adunque che cominciò da per sè stesso, senza aver trovata alcuna precedente operazione, avesse terminate ambedue le porte nel 1421 0 nel 1424, le avrebbe fatte in 21 o in 24 anni al più; cosa che piacque mol- to al Bottari, e molto più all’ illustre storico .della scultura , come dall’ asserzione sua in principio. riportata si rileva, am- mettendo che far le potesse in questo tempo, ed anco in me- no, e senza aiuti, opinione alla quale non saprei. certamente aderire. Il Bottari adunque nota a questo. passo del. Vasarice e ben le potè Lorenzo condurre, avendovi dall’ età sua di 29 anni che le cominciò, lavorato su 4o anni con fatiche via più che estreme». che lo stampatore non abbia bene intesi i nume- ri. Richiamiamo adesso. alia memoria quel che. dice il Vasari stesso nel passo di sopra riportato della vita d’ Andrea Pisano, vale. a dire che. in termine di 22 anni condusse la sua porta. a quella perfezione che si vede, nel, qual tempo si dee a mio parere includere il primo lavoro. di, Giotto ‘che. fu in sostanza tutto il fondamento. dell’ opera . E riflettendo che Andrea non fece che le sole imposte, come potremo francamente negare, che Lorenzo, il quale dovette fare di più i maravigliosi ornamen- ti, che possono, sto per dire, ad un’ altra porta corrisponde- re, abbia in 4o anni terminate le. sue due porte con tutti gli ornati , cioè in quattro anni di meno, a ragione del tempo impiegato nelle due sole imposte della prima? Chi ben riflet- te sulle espressioni del Vasari «e e ben, le potè condurre aven- dovi lavorato su 4o anni con fatiche via più che estreme, non potrà non ravvisarci questo sentimento; cioè che Lorenzo po- tè. condurre le sue porte a quella perfezione, perchè vi lavorò con fatiche viepiù che estreme per lo spazio di 4o anni, lo che senza quelle viepiù che estreme fatiche far non avrebbe pog- tuto. Se noi volessimo adunque che lo stampatore avesse er- rato nel numero, e detto. 40 per 22 o 24, non so come il Va. sari avesse potuto avvertire che se le porte vennero perfette , ciò fu per le molte fatiche e il lungo tempo del lavoro . In- fatti non sarebbe toccato a ciascuna, se non la metà o un anno, n 49 più della metà del tempo che il Vasari senza scandalizzare i critici avea già dato alle due sole imposte, cominciate da Giot. to, e finite da Andrea Pisano. Avrebbe piuttosto in questo caso dovuto farci sentire la sua maraviglia, che un sì perfetto la- voro in così breve spazio di tempo fosse stato terminato. Il Baldinucci non trovò alcuna difficultà in questo numero, quan- tunque il Piacenza suo annotatore non lo tenga per probabile, facendo caso della nota del Bottari . Io non dubito punto che Lorenzo lavorasse sulle porte 40 anni con fatiche viepiù che estreme, come dice il Vasari, il quale intelligentissimo come era delle grandissime difficultà di quel maraviglioso lavoro, non poteva errare da goffo; e con- cedendosi ancora che niuna memoria di ciò avesse trovata, e l’ avesse col proprio giudizio supposto, considerata l’ invenzio- ne, la fatica e la squisitezza di questo lavoro; ognuno che co- noscesse nelle difficultà dell’arte quanto egli conosceva, avrebbe abbracciato di buona voglia questo suo giudizio. Verrò tosto a spiegar meglio l’asserzione del Vasari, ed in tal guisa, che tenendo fermi i 4o anni dal principio al finire dell’ opera, ne risulterà maggior gloria a Lorenzo . Osserverò frattanto che oltre l'avere per 4o anni lavorato sulle porte del Tempio di S. Giovanni, che vedonsi alle due facciate, si può dire che dal 1400 in poi sino alla morte fu-occupato nel lavoro delle por- te del medesimo Tempio, essendo stato da quella colpito men- tre lavorava sulla terza da sostituirsi a quella d'Andrea Pisano e della quale avea già quasi fatto il modello, e condotto molto avanti l’ornamento di bronzo per la medesima . Nè al conti. nuo lavoro dei 4o anni fa ostacolo il supporre che avesse l’or- dine di fare la seconda porta nel 1428; cioè quattro anni do- po collocata la prima, perchè è da credersi che in questo spa- zio di tempo si apparecchiasse ad un lavoro che confidava do- versi fare, ed al quale egli stesso probabilmente confortò i Consoli, appena rizzata la porta prima, come io di sopra ho sospettato . Non potendosi nè dovendosi considerare il lavoro del modello che lasciò quasi fatto, cioè non finito, per cosa fatta dentro i 4o anni, ma dal 1443 in poi, come pure l’ orna- mento della porta d’ Andrea, che lasciò parimente imperfetto T. XII. Marzo i 4 50 alla sua morte, e fu terminato da Buonaccorso Ghiberti se=. condo il Vasari, perchè cominciato dopo il fine delle porte, si giugne col solo lavoro di queste all’ anno 1440 o 1442. In questi anni adunque 1440 0 1442 si dee credere che re- stasse terminata la seconda bellissima porta, e che venisse col- locata alla facciata principale dove è al presente, rimossa la sua prima, che già stava, come ora questa, tra le colonne di porfido, e posta alla Paani che guarda l’ Opera di $. Gio- vanni, dove oggi si vede. Nè fu già causa di tal mutazione l’ esser riuscita la nuova porta tanto superiore per ogui titolo all’ altra, come fu a quella d' Andrea la maggior bellezza di quella che fece dapprima Lorenzo, ma perchè fu ordinata a bella posta per la facciata maggiore, e. come io già supposi, probabilmente a suggestione di Lorenzo stesso, a cui in mezzo ‘alle lodi che riscuoteva la prima porta già collo cata, crescen- do l’ animo, potea venir talento di fare maggior prova, e di persuadere i Consoli a ordinare la seconda porta, per collo» carsi nel luogo della sua prima. Io non so come il Bottari, il Piacenza, e "chiunque cre- dette eccedente il numero di 40 anni, ne’ quali lavorò Loren, zo sulle porte, che occupano la miglior parte della sua vita restando fuori di questi i primi 20 anni e gli ultimi dodici o poco più, dicendo il Baldinucci che nel 1455 fece testamen- to, e probabilmente morì, non abbiano pensato alle altre ope- re, alle quali dentro quel tempo attese, e che non trovereb- bero spazio per esser fatte nella sua vita fuori di quei mede- simi 4o anni, se poche se n° eccettuino della prima ed ultima età , o altre da quelle ch’ io sono per notare diverse, e di minor conto. Egli stesso infatti, dopo il lavoro della prima porta, e prima dell’ordinazione della seconda, ci dà notizia nel suo libro delle seguenti opere. La statua di S. Gio. Battista per Orsanmichele. Le storie del battesimo di Cristo, e di $. Gio. Battista menato ‘ad Erode per il battistero di Siena. La statua di S. Matteo per un’ altra nicchia d’ Orsanmichele . Il sepolero di Leonardo Dati in S. Maria Novella . 1 sepolcri di Lodovico degli Obizi e Bartolommeo Valori in S. Croce, e la cassa fatta fare da Cosimo e Lorenzo de Medici per le reliquie de'SS. Proto Giacinto e Nemesio della chiesa degli Angeli di Fi- | 51 renze, che barbaramente spezzata da quelli stessi da’quali dovea sperarsi maggior venerazione alle reliquie de’ Martiri, se non rispetto all’eccellente lavoro, e venduta a prezzo di bronzo, fu quindi ricuperata e collocata nella Galleria di l'irenze, essendo stati riuniti i pezzi nel miglior modo possibile. Fu fatta questa nel 1428, come notò Lorenzo nella medesima, sicchè converrebbe nel tempo col principio della seconda porta. Fa inoltre menzione il Ghiberti della legatura di una rara corniola d’ eccellente in- taglio antico, d’ un bottone da piviale per Martino V, d’ una mitra d’ oro per Eugenio IV, d’ altra statua per Orsanmiche- le, vale a dire quella di S. Stefano, e della bellissima cassa di S. Zanobi. Essendomisi presentata l’ opportunità di ragionare di queste opere del Ghiberti, non vi sarà forse discara una di- gressione, relativa ai mentovati sepolcri di S. Croce. Parlando di questi Lorenzo nella sua opera MS. si esprime in tal guisa, feci produrre di marmo la sepoltura di Lodovico degli Obi- zi et Bartolommeo Valori, i quali sono sepolti ne’ frati mi- nori. Queste parole che dettero motivo di errare al Vasari, potrebbero eziandio far credere che Lorenzo si fosse esercitato ne’ lavori di marmo. Perchè da esse non ne tragga alcuno de’ lettori argomento, il medesimo Ghiberti ci spiega poco sopra | come debba intendersi il produrre dicendo produssi di mia mano la statua di Santo Matteo. Questa statua adunque fu fatta di sua mano, e il sepolcro sopra il suo disegno e modello fu da altri fatto di marmo. Il Vasari non commise meno di tre falli parlando in tal guisa dei sepolcri, da questa ( cioè di Lionardo Dati ) ne nacque una che fu fatta fare in Santa Croce da Lodovico degli Albizi e da Niccolò Valori . I. credendola una sepoltura sola comune a due, o fatta di con- cordia da essi per altra persona. II cambiando il cognome di Lodovico, da Obizi in Albizi, e il nome del Valori di Barto- lommeo in Niccolò. Esistendo tuttora in S. Croce le sepoltu- re dell’ Obizi e del Valori distinte e separate, ci danno il vero sentimento delle parole del Ghiberti. INIL dandoci per fatta fare la sepoltura da quelli stessi che vi son sepolti, dopo aver detto che Lionardo Dati fece fabbricare la sua a Lorenzo men- tre viveva, lo che è falso come notò il Bottari, essendogli sta- tà fatta a spese del convento e della repubblica, seguitò la 52 stessa opinione nel darci notizia della sepoltura dell’ Obizi e. del Valori. Ma il Bottari correggendo il Vasari manifesta una strana e nuova opinione dicendo si crede, che debba dire. fi non da Lodovico degli Albizi, ma da Niccolò Valori a Lo- dovico degli Obizi da Lucca che morì in guerra generale | de’ fiorentini contro il duca di Milano. Lasciando adunque intatto lo sbaglio del Vasari nel nome di Niccolò, e seguitan- do pur l’ altro dell’ unica sepoltura, fa sparire affatto la sepol- tura del Valori che fi può ancora vedere da tutti; e senza al- cuna ragione attribuisce ad un privato il monumento dell’ O- bizzi che dovea certamente essergli decretato dalla repubblica. Ripigliando il filo del mio ragionamento ognun vede esser questi lavori del Ghiberti più che bastanti per giustificare l’as- serzione del Vasari d’ aver lavorato sulle porte 40 anni, per- chè essendogli stati noti, e avendoli descritti, non potea cre- dere che dentro i 4o anni ne’ quali dette finite le porte, non avesse atteso se non a quelle. Egli intese adunque di dire che il lavoro delle porte, il quale fu sempre il suo principale, che lo fece venire in gran fama, e da cui sempre maggiore ne dovea sperare, fu dentro i 4o anni la sua prima occupa- zione, essendo probabile che ogni giorno o rinettasse di sua mano o per mezzo di que’ valentuomini che sotto la sua di rezione lavorav ano, e probabilmente l’ aiutavano pure negli altri lavori, quando per sè stesso attendeva alle porte . Un’ opera adunque che se pur si considerasse fatta da chi ad altro non avesse atteso, poteva meritare lo spazio dei 4o anni, che al Vasari non dette assolutamente fastidio, come potea farsi in questi 4o anni da chi tante opere ebbe contemporaneamen,, te alle mani? E come possibile sarebbe stato a Lorenzo il condurle senza aiuti, e senza quelle fatiche via più che estre» me, alle quali è da attribuirsi principalmente l’aver potuto in quello spazio d’ anni compire tante opere ? Parmi adunque;, considerate queste cose, che resti spiegata e difesa l’asserzione del Vasari, e che ne ridondi a Lorenzo piuttosto lode di ce- lerità che biasimo di lentezza . i Or che diremo del Lumachi, che, come abbiamo veduto, ci dà per fatte ambedue le porte in cinque anni ? A me pa- re che di questa autorità non sia da far verun caso, essenda 93 per sè stessa cosa ridicola , e atta solo a dimostrare la sem- plicità dello scrittore', che vien confermata quasi in tutte le pagine di quella operetta . Prima di passare ad altro non voglio omettere una dife- sa che pur merita il Vasari, circa l’ età in cui Lorenzo con- corse al lavoro della prima porta. Al Bottari non parve da seguitarsi la sua opinione, ove dice che il Ghiberti non pas sava i 20 anni, facendo questa nota «// Baldinucci dice che aveva 23 anni, ed è più probabile, o meno improbabile che un’ opera che costò 22 mila fiorini fosse messa în mano a un giovinotto di 20 anni. Di questo prezzo registrato nel libro del Ghiberti, non occorre qui parlare, avendo detto di sopra il mio parere, ma io osservo primieramente che il Baldinucci, come leggo nella edizione originale, dice anni 22 e non 23, e quindi non so come si possa far gran conto di soli due o tre anni di più, che lasciano tuttavia la cosa improbabile , ben- chè meno improbabile. Egli è certo che non all’età, ma al me- rito di una vittoriosa esperienza dovea concedersi il lavoro . E trattandosi del Ghiberti, apparisce che non solo di 22 0 23 anni, ma di 20 eziandio fosse abilissimo e da considerarsi fuor del numero degli scolari, sapendosi che di questa età servi- va il signore di Pesero in qualità di maestro . Questo servi- zio è contemporaneo al concorso , essendo restato interrotto per questa sola cagione. Parlando Lorenzo di questo tempo dice nella mia giovenile età. Il Cambi, come abbiamo letto nel testo originale scrisse Zaworolle d’anni 44, parlando, co- me dimostrai, della prima porta, vale a dire, ch’ ei la compì essendo di quella età: La nascita di Lorenzo si pone nel 1378, cosa però che non parve indubitata al Baldinucci , sicchè nel 1424 in cui si alzò la porta, avrebbe avuti circa 46 anni, lo che non è molto distante dal 44 del Cambi. Se il lavoro per- tanto della porta cominciò nel 1402 secondo i ricordi citati dal Bottari, l’ avrebbe cominciata di 24 anni, età che non sa» rebbe a mio credere stata dal Bottari giudicata assolutamente probabile, perchè l’ aumento d’ un solo anno sul preteso 23 ma infatti 22 del Baldinucci, doveagli sembrar poco per cre- derla probabilità assoluta. Ma riflettendo io che l’ anno 1378 della nascita non parve certo al detto Baldinucci, se si recasse 54 questa come si può facilmente al 1380, si accorderebbero il Cambi e il Vasari, perchè ponendo come si dee il vero prifi- cipio dell’ opera all’ anno 1400 del concorso, l’ avrebbe comin. ciata appunto di 20 anni e terminata nell’ anno 44 della sua vita - Ma venghiamo allo strumento di compra di una casa fatta dal Ghiberti nel 1443, e che nel detto strumento è no- tata per quella ubi fabricantur Ianuae S. Ioannis Baptistae. Se questa compra si avverasse in tal anno, contradirebbe cer- tamente a quel che dice il Vasari, cioè che avea comprata una stanza dirimpetto a S. Maria Nuova per fabbricare la por- ta prima, che sino dal 1424 era collocata , e distruggerebbe affatto l'opinione di chi le credette in quest'anno ambedue fi- nite. Una tal compra per altro non farebbe gran danno alla mia opinione, sì perche fissando il termine delle porte al 1440 o 1442 potrei facilmente cedere alla differenza di un anno, e dare la maggior parte del seguente 1443 al compimento dell’opera, sì perchè avendo già dimostrato, che lavorò Lo- renzo sulle porte di S. Giovanni fino alla morte, e notato ciò che lasciò imperfetto di questo lavoro, qualunque anno della sua vita dal 1400 in poi, è per me tempo di fabbricazione di porte. Ma come dovette risolversi a comprare un luogo per fabbricare le porte, allorquando ambedue erano finite, o po- co restava da fare sulla seconda? Sarebbe certo disgrazia che la più ragionevole opinione del Vasari dovesse cadere, come caderebbe infallibilmente a confronto di uno strumento auten- tico. Prima di condannare il Vasari esaminiamo questa scrit- tura . A me sembra non essere altra che quella riportata dal Baldinucci nella Vita di Lorenzo, dopo queste parole del Va- sari,, dopo fatta e secca la forma con ogni diligenza in una stanza, che aveva compero dirimpetto a Santa Maria Îuo- va, dove è oggi lo spedale de’tessitori, che si chiama l’ Aia, fece una fornace grandissima la quale mi ricordo aver vedu- to, e gettò di metallo il detto telaio. Il Baldinucci per farci meglio conoscere la situazione dell’Aia riporta di questo do- cumento quella parte che indica il suo confine. Leggendolo adunque, osservo primieramente che non appartiene al 1443, ma sibbene al dì 12. dì Maggio del r445, talchè si oppone - | 55 vie più all’opinioni dei frettolosi giudici del lavoro delle por- te. Secondariamente apparisce manifesto che questa carta ap- partiene a tutt’altro che a una compra del Ghiberti. Si dice adunque in essa, che donna Maritana già figlia di Taldo di Ricco Taldi, o di Taldo moglie di Michele di Iacopo di Van- ni Cittadini setaiuolo del popolo di S. Margherita, vende il dì 12 maggio 1445 al prete Andrea de’ Simoni rettore e spe- dalingo di S. Maria Nuova una casa con tutte le sue appar- tenenze , posta nel popolo di S. Michel Visdomini in via S. Egidio, alla quale confina a primo detta via, a 2° i beni del detto spedale, a 3.° e 4.° hortus et area ubi fabricantur ianuae S. Ioannis Baptiste de Florentia etc. Ognun vede che in questo contratto non ha che far niente la compra dell’ Aia fatta da Lorenzo, la quale intanto vi è nominata in quanto che confinava a 3.° e 4°. con la casa che vendè Maritana allo spedalingo Simoni. Non mentisce dunque il Vasari che fa com- prar l’Aia a Lorenzo per fabbricare la prima porta, lo che può essere accaduto circa il 1401 o 1402, e parmi dimostrato ab- bastanza che non solo nel preteso anno 1443 dello strumento, ma nel suo vero anno 1445 si fabbricavano tuttora porte per S. Giovanni , perchè questo lavoro non si interruppe se non per la morte di Lorenzo, che può essere accaduta nel 1455. Non restandomi altro da dire intorno alla storia di queste por= te, chiuderò il mio ragionamento con una cronologica dimos- trazione del lavoro delle medesime, perchè si veda a colpo d'occhio lo scioglimento delle proposte difficultà, che io m'av- veggio con troppe parole, e non senza abusarmi della vostra sofferenza aver tentato. 1317. Giotto circa quest’ anno pare che intraprendesse il disegno della prima porta per S. Giovanni, e quindi prose- guisse il lavoro, facendo il modello, e forse la forma sino al 1329 circa. 133c. Andrea Pisano comincia a far di bronzo la porta suddetta . 1339. Resta finita detta porta in 22 anni, i primi 13 de quali si danno al lavoro di Giotto, e gli ultimi nove all’opera in bronzo d’Andrea. Si colloca alla facciata principale di S- Giovanni. 56 1400. Lorenzo Ghiberti circa questo tempo parte da Pe- sero per concorrere al lavoro della nuova porta di bronzo del Battistero Fiorentino, nell’ età di 20- anni. 1401 o 1402, Essendo Lorenzo rimasto vittorioso nel con- corso compra il luogo detto l’ Aia dirimpetto a S. Maria Nuo- va, e vi edifica la fornace per fabbricare la porta. 1402, Comincia Lorenzo il lavoro della porta. 1424, Terminata Lorenzo la sua porta nell’ età di 44 an- ni, il dì 20. Aprile è collocata alla facciata principale di $S. Giovanni tra le colonne di porfido, che non hanno mai can- giato luogo; e si trasporta quella d’ Andrea alla facciata di- rimpetto al Bigallo. 1428, incirca, Lorenzo riceve l’ ordinazione della secon- da porta, per doversi collocare alla facciata principale in luo- go della sua prima, dopo essersi probabilmente preparato a tal lavoro dal 1424 in poi, rizzata che fu la prima porta. 1442, Circa questo tempo si pone il termine della detta seconda porta del Ghiberti, la traslazione della sua prima alla facciata che guarda 1’ Opera di S. Giovanni, e la collocazione della nuova porta alla facciata principale . 1443. In quest’ anno si pone all'incirca il principio degli ornamenti per la porta che guarda il Bigallo, opera di Loren. zo, e successivamente il suo modello della nuova porta da farsi per la facciata medesima, e da unirsi ai detti ornamenti, to- gliendosi quella di Andrea, lavori che rimasero ambedue im- perfetti alla sua morte, il primo de’ quali fu terminato da Buonaccorso Ghiberti, e il modello andò male, nè la porta si fece altrimenti . 1445. In quest’ anno, come rilevasi da uno strumento di compra di casa fatta dallo spedalingo di S. Maria Nuova, si notano tra i confinanti l’ orto e l’ Aia dove si fabbricano le porte di S. Giovanni , perchè Lorenzo vi lavorava certamen- te come apparisce di sopra al 1443 e qui sotto’ al 1455. 1455 In quest’ anno si crede che morisse Lorenzo, lavo= rando sopra gli ornamenti/, e il modello come notasi al 1443. 57 Cenni sulla perfettibilità della umana famiglia dell’ ABATE Down Fierro Tamsurini Cayaliere dell’ ordine della Corona ferrea , professore emerito ec. ec. Milano 1823, per VINCENZO FeRRARIO. vol. I. 12°. di pag. 65. Un uomo per il suo carattere, non meno che per varia dottrina, e per molta età rispettabile; un uomo, che tanta esti- mazione si ebbe meritamente acquistata con il pubblico insegna- mento, e con opere a stampa, e di cui il nome suonò in altri tempi sì alto in Toscana, imprende, col libretto, che ora an- nunziamo , a ragionare sulla perfettibilità della specie umana la quale, siccome egli dice, è argomento del giorno. Con la quale espressione pensiamo essersi voluto significare non già , che la perfettibilità della umana specie argomento sia ora nuovo ma ora più, che in altro tempo trattato , per questo forse ap- punto, ehe ora più, che in altro tempo il naturale cammino di essa affrenar si vorrebbe. E in fatti lo stesso signor Abate Tamburini nella sua Opera Elementa juris naturae stampata in Milano nel 1815 non si valse dell'argomento della perfettibilità dell’uomo a provare dell’uomo la sociabilità? E fino dall’anno 1797 nella sua Introduzione allo studio della morale filosofia part. JI. cap. V. | 2. non aveva insegnato, che 2 uomo ha per natura il dritto della propria conservazione , e perfezio- ne? Soggiungendo , che la perfettibilità dell’uomo si sviluppa assai più nella civil società per l’ abbondanza\ dei mezzi, che essa somministra per siffatto sviluppo? Ma veniamo a ciò su che discorrer si vuole . Precede alla operetta una lettera al tipografo sig. Ferrario nella quale l’ A. miodestamente dichiara, che questi cenni so- no molto meschini, e digiuni, sì per la erudizione, che per l’ ordine, e per lo stile; ma siccome poco appresso soggiunge, che questi informi elementi insieme raccolti , e maneggiati da chi abbondi di ozio, e d’ ingegno possono servire di ferma base per un ampio, e ben costrutto edifizio, non inutile cosa giudichiamo il considerare quali mai essi siano questi elementi. La dottrina dell’ A., se la sua mente è stata da noi ben compresa, conchiude a ciò, che l’uomo è fino a certo deter- minato grado perfettibile, che la sua perfettibilità non è quin- di indefinita, e che allo stato di completo perfezionamento non può giungere con i poteri suoi naturali, ma solo per opera di soprannaturale prodigio. Mon si può negare , egli dice, che Vl uman genere tenda al perfezionamento degl’ individui , ma 58 ancora della specie. E poco dopo soggiunge: non volendo bur- tarsi della natura, e di Dio siamo costretti ad ammettere come ottenibile siffatto perfezionamento, avendo l’uomo un pe- renne desiderio di conseguirlo, e le facoltà necessarie all’uopo + Ne avverte però, che questa perfettibilità non può essere indefi- mita perchè ,, egli è certo, che le umane facoltà perfettibili so- »» no circoscritte dalla natura dell’ essere, e dal fine ad esso » prescritto , osservando , che come l’ ordine fisico di tutti gli » esseri, così il morale, e politico di tutte le nazioni ci conduce 3» a distinguere nel proposito tre epoche della umana società, », cioè una epoca progressiva, una epoca stazionaria, ed una 3) epoca retrograda, che queste tre epoche percorse costantemente 3, dalle umane società provano ad evidenza , che l’ ordine stabi- 3) lito dalla natura per la felicità progressiva delli stati ha stabi- 3 lito certi confini, oltre i quali non si progredisce, ma si re- ») trocede, dal che deduce essere una vana pretesa dei filantropi 3, il voler trovare un perno fermo , e costante su cui si aggiri 33 Immobilmente la prosperità delli stati, e di là si avanzi per- 3, petuamente ad ulteriori progressi ; mentre, egli segue, la fi- »» losofia potrà ottenere progressi inverniciati di piaceri, e di 3) commodi , d’ invenzioni, e di mode nelle scienze naturali, e », nelle arti; ma nella scienza del cuore dell’ uomo sarà sempre 3) bambina, se non le è compagna e guida la religione, e se la »» politica dei governi non l’ha per appoggio stabile e fermo: 3» onde egli stesso atterrito dalla corruzione del cuore umano, 3» e dall’ esperienza infelice di tanti secoli inferisce non essere 3) lo stato attuale della umana specie capace di tanta felicità, 3) e che questa esser debba impresa degna dell’ Onnipossente, 3, che la serba ai mortali in una vita futura, ,, quantunque poi venga a stabilire, che per opera sempre dell’Onnipossente, ì’ uman genere otterrà anche in questo mondo il vero perfe- zionamento . ,, In un secolo (così a termine dei sùoi pensa- » menti ei conclude} in cui la religione o si sprezza, o non > si cura aver non si può, che un perfezionamento superfi- 3 ciale e leggiero, che metta in moto le passioni dell’ uomo, » ed aguzzi sempre più l’ appetito di nuovità , che porti un » giorno una convulsione terribile nelle famiglie, che invochi » per pietà dell’uman genere il comun padre a recar per con- 3) forto dei mali una radicale riforma, che sia il vero perfezio- 3, namento , che egli solo è capace di dare all’ uman genere, e ») che darà a suo tempo così in questo mondo col ritorno de- »» gli ebrei alla religione cristiana , che- formerà di tutti gli EE SO, _ e n ., e Lg, , 0° 59 », uomini una sola famiglia, come nell’ altra vita con un re- ,»; gno perenne di pace, e di sempiterna tranquillità. ,, Non sia mai, che noi vogliamo negato grandissima essere stata, e grandissima dover pur sempre essere la influenza della cristiana religione nei progressi dell’ incivilimento della umana specie, e nel suo perfezionamento. La religione ‘cristiana, sic- come quella, che ha per suo autore Iddio, il quale è ugual- mente autore dell’ ordine morale di natura non solo non può con quest’ ordine stare in opposizione, ma a questo è anzi di sussidio valevolissimo, di perfetto compimento, e più chiara- mente lo appalesa anche ai meno veggenti, e tutti sconforta dall’ allontanarsene con una sanzione, che derivando da un Essere giustissimo insieme, e potentissimo è al tutto in vita, o dopo morte inevitabile, e quindi efficacissima., Così non si fossero mai o per ignoranza, o per errore, 0 più spesso per brama sfrenata di ricchezze e di possanza allontanati gli uo- mini dalle massime, dai consigli, dagl’ insegnamenti, dai pre- cetti santissimi dell’ Evangelio! Chè ora ne sarebbe già più da presso, che certo non ne è quel fine morale, la vera inces- sante tranquillità, la fratellevole generale benevolenza, per cui la creazione dell’ universo ha un motivo al corto vedere an- cora degli uomim , e la travagliosa loro esistenza ottiene, qui in terra ancora, un conforto! Ma intendere non sappiamo per- chè mai questo perfezionamento il genere umano sperar non lo possa, che da una convulsione terribile nelle umane fami- glie, che invochi il comun padre a recare per conforto di mali una radicale riforma. Iddio ha creato l’ uomo perfetti- bile, e il negarlo, como dice l’A., sarebbe un durlarsi del- la natura, e di Dio; a giungere al suo perfezionamento affer- ma esso stesso, che gli ha dato un perenne desiderio di conse- guirlo, e le facoltà necessarie all’ uopo: gli ha dato cioè, secondo che a noi pare da credere, con l’uso della ragionevolezza da svilupparsi solo nello stato sociale, il poter conoscere |’ ordine morale di natura, per cui, come mezzo indispensabile; poter pervenire al suo fine, alla felice sua conservazione ; gli ha dato con la rivelazione un ajuto sicurissimo a meglio, e più com- piutamente ravvisarlo, un motivo molto più impellente a se- guirlo. Perchè dunque non potremo tenere per vero, che la umana generazione a gradi a gradi, abbenchè pur troppo len- tissimamente, e framezzo a mille e mille ostacoli naturali al- cuni, artificiati moltissimi vada però sempre avvicinandosi a quella felice perfezione, che può aversi qui in terra, inferiore 60 di gran lunga, non vi ha dubbio, a quella, che 1’ Onnipos- sente serba ai mortali in una vita futura, ma per cui tanto più sarà fatto meritevole di quel regno perenne di pace, e di sempiterna tranquillità da godersi nell’ altra vita? Nè da questa credenza nostra saremo rimossi per dichiarare, che faccia l’ A. la perfettibilità umana non essere indefinita, per- chè Ze umane facoltà perfettibili sono circoscritte dalla natura dell’ essere, e dal fine ad esso prescritto . In vero, che non mai si ebbe la stolta pretensione , che l’ uomo aggiunger possa alla perfezione delle celestiali creature, che l’ uomo divenir possa un Iddio. La speranza di noi è posta tutta in ciò, che l’ uomo per- venir debba alla perfezione , ma alla perfezione propria della natura sua, che è appunto il fine ad esso prescritto , eda cui sono le facoltà sue perfettibili circoscritte: perfezione subordi- nata sempre a quelle invariabili leggi, con che 1° Onnipossente mosse da prima le create cose, e quindi da ottenersi solo nei tempi, per i modi, e con i mezzi da queste eterne leggi pre- stabiliti. Il perchè non possiamo coll’ A. far le grandi maravi- glie considerando, che dopo tanto alternare di stato nelle nazio- ni, dopo trascorsi tanti periodi di non mai ferma civiltà , dopo istituite tante variate forme di governo, sperimentati tanti varia- ti sistemi di amministrazione, dopo tante, e tante divérse legi- slazioni, dopo tanti, e tanto diversi metodi ‘di pubblica, e pri- vata educazione , e dopo il volgere di sei-mz/a-unni la umana spetie non pertanto giunta ancora non sia alla vantata sua per- fezione. Quando si afferma, che la umana specie cammina verso il suo miglioramento non si dice già , che ciò avvenga solleci- tamente, e pienamente , e senza che tra via in ardui ostacoli , e moltissimi si avvenga, e senza, che spesso si soffermi non solo, ma talora fin anche or in una, ora in altra par- te della terra, ove più, ove meno retroceda. Si è affermato , che la umana specie perverrebbe alla perfezione sua naturale, studiata la umana natura si sono almeno traveduti i mezzi per i quali vi perverrebbe , ma non mai si è stabilito il tempo in cui appunto vi perverrebbe. Che se la ragione, e dalla ragione non discordante la rivelazione ne affida a tenere per indubi- tato, che una perfezione anche terrena potrà ottenersi dalla umana specie , la debolezza d° altronde dell’ umano intendimento ne fa velo onde non vedere quando esisteranno gli avvenimenti per i quali ne sarà somministrata l’ occasione di pervenire a grado a grado a questa perfezione ; nè scorger ci è dato quali mezzi, e quanto valevoli ne offriranno le circostanze , e quali effetti 61 usciranno da essi, che siano poi causa ad altri succedentisi ef- fetti finchè al grande scopo si giunga. Onde lungi dal maravi- gliarci del lento progredire della specie umana noi, se non ne facesse forza un’ autorità sopra tutte rispettabile e veneranda, dai progressi, che essa ha già fatti trarremmo anzi motivo di credere, che dalla creazione fino ai nostri giorni ben molti più, che quasi sessanta secoli siano trapassati . Nè sembra a noi, come vuole l’ A., che ;; il dire, che sia- no mancate nel giro di tanti secoli le combinazioni opportune per un felice sviluppo delle umane facoltà, sia un’ ingiuria, che si fa alla natura, la quale avendo portato tutti gli altri es- seri creati alla loro perfezione, all’ uomo solo sia stata avara nel somministrargli le opportunità necessarie allo sviluppo del- le facoltà , che per un tal fine gli diede ,, perciocchè con tale ragionamento si verrebbe a stabilire, esser far ingiuria alla na- tura (cioè a Dio autore di lei ) il dire, che le leggi cui l'umana specie è soggetta diverse sono in parte da quelle cui gli altri esseri creati debbono obbedire. A differenti inalterabili leggi i differenti esseri, quando dal nulla gli trasse , volle sottomessi l' Eterno ; e sarebbe pare a noi tracotante ardimento , per non dire empietà, il pretendere, che la somma Sapienza avesse do- vuto imporre al creato leggi diverse da quelle, che gl’ impone- va, e alla umana specie avesse dovuto comandare di giungere alla sua perfezione nel tempo, con imezzi, e per i modi affatto istessi, per cui gli altri esseri vi volle far pervenire . Per questo appunto, che non perfetto, ma ereato era l’ uomo perfettibile, per questo appunto, che con un potere limitato quale è sempre quello di una creatura esser doveva autore del suo bene del suo male , non altrimenti posseder poteva la perfezione alla na- tura sua consentanea, che trascorrendo per impeto dei sensi or in una ora in altra strada, e quasi che mai, o per brevissimo tempo calcando la vera; non altrimenti, che brancolando tra le tenebre addensate dell’ ignoranza , tra gli avvolgimenti complica- ti dell’ errore; non altrimenti che adorando or più, or meno. caramente i fantasmi dalla sua} immaginazione idoleggiati: fin- chè dopo la or trista, or lieta, or miseranda, or felice esperienza di molte, e molte generazioni di esseri della sua specie , che è quanto dire dopo il corso di molti secoli, le norme seguisse, le vere norme dalla pura sua ragione a conseguimento del suo ve- ro bene additateli. Dal che si può argomentare non aversi certo la stolta pretensione, come pare, che pensi l’A., di credere, che dopo sci mille anni tocchi a noi quasi figli primogeniti della 62 natura il formare un incivilimento , che come se lo fingono i filantropi è stato il voto universale fin qui, e non si è mai ottenuto dal genere umano . Non si ha nò Vl orgoglio di formare il completo incivilimento, ma istruiti dalla esperienza dei passa- ti tempi, e dalla nostra, ma per investigazioni sempre più nella natura profondate dell’ uomo, noi ci lusinghiamo di avere al com- pleto incivilimento col progresso delle scienze e delle arti contri- buito non poco. Se non tutto prezioso, sarà certo il patrimonio che trasmettiamo ai futuri assai più di quello, che ci fu legato dagli antenati, abbondevole. E gli errori, gli stessi mostri er- rori, i nostri traviamenti, i molti nostri casi, le nostre tante scia- gure non saranno già senza frutto; che come gli antichi tem- pi erano utile insegnamento ai presenti, così dei venturi in- segnatori saranno, e insegnatori autorevoli i presenti. Non è dun- que da noi, come pretende l’ A. recata ingiuria al sapere dei vec- chi, che al nostro secolo ha servito, e serve tuttora di guida . Dal sapere dei vecchi noi fummo giovati d’ assai, ma non poi tanto, ( che non era possibile ) da essere esso norma infallibile al sapere nostro , il quale norma non può essere infallibile , ab- benchè meno incerta, al sapere dei posteri, che diverrà col vol- ger dei secoli guida sempre meno fallace alla perfezione della umana specie. I vecchi antenati per questo appunto, che sono nostri antenati in tempi vivevano nei quali, meno che ora non è, il mondo era vecchio: e se saviezza è da presumer maggiore nei vecchi, che nei giovani nomini, non intendiamo, perchè debba saviezza vantarsi maggiore nella balbettate infanzia , "che non nella età assennata del mondo, e in quella che verrà sapiente sua vecchiezza. Sapienza ognora crescente, vecchiezza, fin- chè il mondo duri, non mai declinante. Che se gl’ indivi- dui uomini nascono, crescono, declinano , e muojono, la umana specie dura col mondo, e il di lei perfezionamento cammina con i secoli. Il perchè a noi non pare, come par vero all’ A., che co- sì l’ordine fisico di tutti gli esseri, così il morale, e politico delle nazioni ci conduca a distinguere al proposito nostro tre epoche della umana società , cioè una epoca progressiva, una epoca stazionaria, ed una retrograda ; onde si abbia poi ad af- fermare francamente con l’ A. stesso, che queste tre epoche per- corse costantemente dalla umana società provano ad evidenza, che l’ ordine stabilito dalla natura per la felicità progressiva delli stati ha stabiliti certi confini, oltre î quali non si progre- disce, ma si retrocede . La ragione anzi ne persuade, e gli an- nali del mondo il confermano, che /’ ordine morale, e politico 63 delle nazioni lungi dal doversi assomigliare a//’ ordine fisico di tutti gli esseri i quali nascono, crescono, muojono, e rinascono poi sempre di una sola ed istessa maniera, all’ opposto è da dire, che subisce solo metamorfosi morali, per cui la vita delli stati diviene una continuata rivoluzione , e la loro moralità acquista differenze , ed incrementi tali da non potersi lo stato morale, che in essi sussegue, a quello assomigliare, che precedette. Si citano le storie delle antiche più rinomate nazioni , e se ne deduce, che /o stato permanente delle umane società sia sempre un perenne, e costante giro di alternative di beni e di mali, di progressi e di decadenza. Ma era da avvertire, che nelle umane società i mali della loro decadenza non sono gli stes- si, che quelli della loro primitiva barbarie, e che le rivoluzioni dei popoli prendono sempre qualità dal grado, e condizione dell’ incivilimento cui erano pervenuti prima di piegare alla de- cadenza , onde diverso è poi sempre nei diversi decadimenti delle diverse nazioni l’addentellato che per il nuovo riedificamen- to sociale ognora rimane. I vizi e le sciagure dei greci al ca- dere dell’ impero d’ Oriente non sono da raffrontarsi con la vita quasi brutale dei greci nei tempi di Teseo; e la ferocità degli uomini raunati da Romolo non è certo da assomigliare alla abie- zione cui il despotismo dei romani Imperatori condusse il popolo sovrano del mondo, che ebbe poi a farsi soggetto ai barbari del settentrione : barbari, che fecero meritato scempio di noi inci- viliti italiani; barbari, che in loro furibonda ignoranza, gran par- te distrussero dei monumenti della greca sapienza, della sapien- za, e potenza latina; barbari, che quasi tutte depredarono, ed occuparono quelle terre, che noi non si valeva a difendere , ma barbari, che nol sapendo , nol volendo a noi , che neghittosi sì lacrimava , crudamente , ma efficacemente soccorsero . Fu per i barbari invasori d’ Italia, che Italia non sprofondò nella totale sua dissoluzione, e a quella selvaggia stupidità non venne in cui vediamo sepolte e nell’ Affrica e nell’/Asia tante or miserande e già un tempo famose nazioni. Furono i barbari, che vigoria e forza rimisero nelli sfibrati petti degl’ italiani, i quali in ricam- bio, e a gradi a gradi con gli avanzi del sapere latino educa- rono a costumi ognor più mansueti gl’ iotelletti dei barbari; on- de poi surse non del tutto barbarica non del tutto italiana quel- la morale e politica restaurazione , la quale se dalle nordiche selve avventati sopra Italia non si fossero i barbari, o non più mai, o dopo molti e molti secoli sarebbe esistita. E questa, era questa la sola vera, la sola valida arme; con che avrebbe potu- 64 to battagliare a vittoria il campione adiroso dei secoli barbari. Nè qui possiamo non maravigliarci del non esser tornato a mente dell’A., che se molte antiche illustri nazioni e dell'Asia e dell'Africa decaddero , molti popoli si sono ‘inciviliti e camminano verso il perfezionamento nelle Americhe, e con tanto più di sollecitudine, perchè, aiutati dalla civiltà europea; han potuto non toccare molti dei gradi, che esistono intermedii tra la barbarie, e la ci- viltà, onde erronea si appalesa l’ affermazione sua, che cioè 4 misura de’progressi europei declinò al peggio il restante del mondo. E dovea anche l’A. riflettere, che le antiche decadute nazioni da esso ricordate non poterono avere, o solo l’ ebbero in parte , a sostegno, ed avanzamento della loro civiltà quel mezzo che egli tiene per il primo , e più efficace, il Cristianesimo: mezzo che divenendo ogni giorno più comune a numero sempre maggiore dl popolazioni non può non contribuire ognor più validamente al- l’umano perfezionamento a giudizio dell’ A. medesimo, il quale dichiara /@ diffusione quasi immensa della Bibbia modello della più pura morale, e della comune fratellanza, che si è fatta e si fa nell’ Asia, nell’ Affrica, nell’ America, e il sentimento della dignità dell’ uomo, che si va eccitando anche tra i popoli barbari esser passi, che ci possono condurre ad un miglio» ramento della umana prosapia. Il che sembra non al tutto concordare con ciò che aveva poco prima affermato, che cioè la piaga del secol nostro è la corruzione dei costumi figlia e madre del disprezzo e non curanza della Religione ; siccome dal cotanto suo esaltare il potere del Cristianesimo a render mi- gliore la specie umana niuno si sarebbe aspettato , che egli si do- vesse poi tacere sugli sforzi di ogni decaduta cristiana nazione, e solo volesse ricordare, e commendati gli sforzi del magnanimo Vice-rè di Egitto , che animato per la cultura delle arti, e de miti costumi apre a quel paese una via di perfezionamento atto a rial- zarlo dalla sua decadenza all’ antico splendore. E del durare il miglioramento , la perfezione loro quando col volger dei secoli vi saranno gli uomini pervenuti pare non possa omai dubitarsi dopochéè l’arte si è creata della stampa; arte più di tulte giovevole, per cui ogni utile ritrovato, ogni salutare ammaestramento, le dimostrazioni tutte della verità, e, ciò che più vale, le confutazioni tutte dell’ errore , si eternano, Magnifica |’ A. le scoperte degli antichi, ed osserva, che roi crediamo nuovi i progressi che ci presenta il nostro secolo, senza ri- flettere, che i secoli precedenti poteano aver progredita ne’costumi, o nelle arti al pari, e forse più felicemente di noi, Sia pure, che al- 65 eune delle seoperte nostre fatte le avessero prima di noi gli an- tichi;che alcune fatte ancora ne avessero, che noi fatte non abbiamo. E che per questo? Le scoperte da noi fatte, ignorando, che già fatte le avevano gli antichi, non saranno nostre? Ben ne dovrà dolere, che ignoratasi dagli antichi l’arte della stampa, per cui delle scoperte loro sarebbesi la memoria conservata , abbiamo noi dovuto impiegare a far nuovamente le già fatte scoperte quel tem- po; il quale in farne altre al tutto nuove avremo adoprato, onde tanto più avanzato , che attualmente non è, l’ incivilimento sarebbe della umana specie. Gran parte della esperienza degli an- tichi è stata per noi perduta, ma coll’ uso della stampa i posteri, e da quella che ne rimane degli antichi stessi, e saranno giovati dalla nostra. Può il tempo col battere incessante delle prepotenti sue ale distruggere le opere della mano dell’uomo, ma i frutti dell’ umano ingegno son fatti con la stampa immortali: verranno essi solo a mancare quando nuovi migliori frutti gli rendano inu- till, o quando vani siano palesati, o perniciosi. Sì, col mezzo della stampa , e con esso solo, si distruggono le opere di quelli scrittori, che l'A. chiama mostri licienziosi di dissolutezza, e di oscenità ; e si perpetuano quelle , che confessa in mezzo a tante opere di libertini essere uscite non poche di morale saviezza ri- piene, e di gravità filosofica. Il che d’ assai ci riconforta dall’ af- fanno, che l’ A. stesso ne aveva cagionato dicendo veder egli mi- rabili avanzamenti nelle scienze naturali, ma veder un moto re- trogrado nei costumi, e nella religione dei popoli. Noi non vogliamo adesso la opinione nostra palesare, nè molto meno farci giudici a sentenziare, se più che presso i moderni pro- gredito avessero presso gli antichi le scienze fisiche ; ben sapendo, che quantunque il vero metodo di ragionare siasi in tempi a noi vicini discoperto , all'avanzamento tuttavia delle scienze fisiche è richiesto, che i fatti fondamentali sopra i quali deve aggirarsi la osservazione , si offrano ad essa, e siano avvertiti dall’osservatore, il quale perciò deve non di rado le sue scoperte al caso. Quello che crediamo poter francamente affermare si è, la scienza dell’uo- mo , la scienza sociale aver tra noi molto più che non presso gli antichi , siccome doveva accadere, progredito. Nè ciò si dice per menomare la estimazione in che si tengono le opere, che degli antichi ci rimangono di morale , e politica filosofia ripiene : no ci diamo anzi vanto niuno poter vincerci , pochi uguagliarci nella ammirazione , e diremo anche nella venerazione alle opere di un Platone , d’un Aristotile, di un Cicerone. Che se il modo dram- matico adoperato da Platone; da Cicerone ( come al risorgere della T. XIII. Marzo 5 66 vera filosofia Galileo lo adoperò , ed il Tasso) col divagare ta- lora ad oggetti dal principale scopo distanti non ti lascia così tosto ravvisare del ragionamento l’ insieme , e le dottrine in maravigliosa eloquenza scorgi ravviluppate , ne hai però a compenso un diletto grandissimo, perciocchè dilettevole assai è certo quel modo, e perché dilettevole , per questo appunto opportuno ad usarsi quando uscite di poco le umane società dall’ impero della immaginazione incominciano ad esser governate dalla maestra vera della vita, dalla ragione. E se nelle opere di quei sovrani ingegni non vedi sempre tal rigoroso collegamento d’idee da poter dire averci essi tramandato un completo sistema di scienza ; quelle solenni, generali, fecon- dissime verità vi ammiri però risplendere, le quali fortemente sentite , profondamente pensate, liberamente espresse l’anima ti convellono tutta e la mente, onde la dignità intendi dell’uomo, e del santo vero innamori, e ovunque e sempre , e ardentemente, ed esso solo ricerchi, e coraggiosamente il palesi, e le anzietà non curi nè i perigli della vita mortale. Abbenchéè si debba concedere maggiori progressia questi nostri tempi essersi fatti nelle scienze fisiche, che nelle morali , si vuole tuttavia per cosa tenere indubitata le morali scienze assai più aver tra noi progredito , che non fra gli antichi. I fatti essenziali, i quali esser debbon base all’ edifizio della scienza dell’ uomo, della scienza sociale erano, è vero, sotto gli occhi degli antichi come lo sono sotto i nostri, ma o perchè il loro numero fosse ancor poco , o perchè nei moltiplici loro aspetti non si fossero ancora palesati, o anzi perchè per le ristrette gradazioni dello sviluppa- mento dello spirito umano l’arte non sì fosse ancora perfezionata di osservarli, gli antichi non rilevarono ordinatamente di quei fatti la storia , non ne analizzarono accuratamente i rapporti , e quindi un complesso non ne formarono di sistematici risultamenti , sic- come alcuni egregi dei moderni hanno fatto. E oltre a ciò è da riflettere dalle dottrine, che sparse leggiamo nelle opere degli antichi scrittori non potersi ragionevolmente argomentare quale essa fosse la morale degli antichi popoli, quale degli antichi go- verni la politica. Pur troppo ciò , che è già assioma in teorica non è egualmente per assioma tenuto subito in pratica : pur troppo lunga stagione deve trapassare prima che una verità compiuta- mente dimostrata divenga per gli uomini, e massime per i go- verni, una regola di condotta, E se la storia si consideri infatti delle antiche nazioni do- vremo rimaner persuasi, che la loro moralità pubblica , e privata era figlia di sentimenti naturali al ‘cuore dell’ uomo , piuttosto 67 che conseguenza della perfetta cognizione di ciò, che dall’ordine morale di natura è richiesto: la opinione, che dirigeva le anti- che nazioni fondata era tutta non sopra ciò, che realmente è vero, che realmente é utile, ma sopra ciò, che vero ed utile era creduto ; e la loro prosperità piuttosto che da antivedimento , da prudenza , da sapienza , derivava dai pochi loro desideri , e da circostanze per le quali pochi lumi eran bastanti. Il perchè quando col volger del tempo, coll’ alterarsi il primitivo temperamento , coll’avvicendarsi gli avvenimenti ebbe in esse vita un diverso più complicato sisterma di circostanze , quel precario ordine già sta- bilito fu ‘al tutto insufficiente , poichè quella moralità non della ragione, ma del cuore non era altrimenti alla sopravvenuta po- tenza delle nuove circostanze proporzionata. Allora nel decadi- mento , che ebbe a susseguire dei costumi , della pubblica potenza doverono sorgere, e difatti sorsero alcuni da natura privilegiati uomini, i quali fattisi benefattori dell’uman genere col senno, non potendo colla mano alla pericolante fortuna dei popoli, al loro imminente sovvertimento , al sovrastante loro scempio tenta- rono, anche con proprio danno coraggiosamente soccorrere. Ma alle sante intenzioni di essi non erano, nè esser poteano pari gli effetti: privi dell’esempio dei secoli non potevano quei virtuosi un sistema di completo ordine morale discuoprire e proporre ; nè i popoli abi- tuati a governarsi più coll’ impeto delle passioni, comunque talora virtuose, che con le norme dall’ ordine delle cose , e degli uomini realmente, e necessariamente in natura esistente, potevano volersi ritrarre a tempo da quella politica corrazione cui la stessa loro prosperità conducevali, o l’artificiato accorgimento degli ambi- ziosi gli sospingeva. Non così tra i moderni. L'ordine morale di natura per la esperienza del passato è assai più , ed anzi per gl’in- segnamenti del Cristianesimo è al tutto conosciuto» niente altro rimane quindi a farsi, ( e rimane pur troppo moltissimo ) che ‘creare negli uomini un sentimento costante d’ interesse conforme ai dettami di quest’ ordine. Moltissimi, potentissimi , e rinascenti, e talora non preveduti ostacoli si oppongono a cotanto egregio divisamento, ma col mezzo facilissimo della stampa ricordandosi ora incessantemente, ed estesamente diffondendosi la cognizione di questo ordine morale medesimo , non può a meno, che non si formi, e mantenga negli uomini un generale sentimento ad esso consentaneo, e perchè ad esso consentaneo sommamente energico, e perchè sommamente energico al fin vittorioso , e perchè tale atto a condurre trionfalmente la umana specie a quella perfezione a lui connaturale qui in terra. Il non esservi essa già pervenuta non 68 sarà mai prova, che pervenir non vi debba, se prima non sia dimostrato mezzi ora non aversi ognor più efficaci a conseguirla, un mezzo non aversi valevolissimo a conservarla ; se dimostrato non sia , che la umana specie diversa cotanto dagli altri esseri creati deve con leggi non diverse da quelle degli altri esseri creati regolarsi ; e se in fine dimostrato non sia non esistere quel feno- meno morale, che per costante esperienza vediamo certamente esistere, non effettuarsi cioè l'ordine progressivo del perfeziona- mento della umana specie proporzionato sempre al progressivo svi- luppamento dello spirito, e del cuore dell’ uomo. E il fin qui discorso pare poter servire ancora a rispondere alle domande, che in una aggiunta alla sua operetta l'A. ha voluto fare. Eccole : , Il filosofo vuole, che l’ uomo sia buono naturalmente, », e sgrida il teologo, che gli aserive un fondo cattivo. ,, 3» Ma si domanda : se l’uomo è naturalmente buono come »» mai il mondo è tanto cattivo ? ,, 33 Si risponde ciò avvenire per' la cattiva educazione, ,, », Ma se l’uomo è naturalmente buono, onde nasce la cattiva 3, educazione, che lo rende cattivo? ,, 3, Non è questa una bellissima petizione di principio ? ,, Onde nasce la cattiva educazione ?.... Noi potremmo ben dirlo, ma lasciar si vuole , che i benevoli leggitori il deducano essi stessi da ciò che per noi si è detto. A, Sulla storia della riforma delle Prigioni , ( Vedi pres. vol. B. p. 71.). Lezione seconda , Allorchè s’imprende a tessere la storia d’ una o d’ un’altra dottrina, non bisogna arrestarsi ai nudi fatti, ma secondo il pre- cetto di Bacone debbonsi investigare le cause ed i mezzi pei quali i fatti poterono prodursi, e descrivere si debbono gli strumenti e il modo con cui s’ adoperarono, e tutto in fine esporre ciò che servì d’elemento alle cose che si produssero. Si onora così l’animo umano, e se ne conoscono ogni dì più le forze ed il modo d’agire, e l’ uomo impara a far bene, osservando come altri facesse quando operò con profitto . In questo concetto io avrei imperfettamente servito al mia 69 argomento, Accademici, se dopo avervi promessa in brevi pa- role la storia della riforma dei rei tentata negli ultimi tempi colla prigionia, non parlassi poi dei mezzi coi quali i riformatori filantropi giunsero ad ottenerla. Io vi mostrai l'Europa e l’Ame- rica occupate con ardore in questa grande opera, ma in questo ardore medesimo io rendeva omaggio anzi alla volontà degli uo- mini che al loro intelletto. Vediamo ora da quali principj partis- sero , quali vie, quali mezzi adottassero per giungere a questo fine, e mostriamo la forza della mente congiunta in questi be- nevoli all’ ardore della volontà. Organo dei loro principj e dei loro ragionamenti , io narro da storico e non giudico da censore: espongo come altri pensasse in questo argomento, e non ho affatto la boria di trattenervi co’ miei privati pensieri: narro con quali arti operasse altri la riforma, e non aspiro ad erigermi io stesso in riformatore. Si ritenga questa protesta, e siccome niuno m’im- puterebbe le dottrine d’ Elvezio, o di Malebranche se io narrassi le varie opinioni ideologiche, niuno mi accusi o mi lodi se io riporto alcuna volta i forti pensieri di Bentham o di Howard, senza annunziarne gli autori. Con queste premesse, io entro nei penetrali della scienza , ove si formarono i pensieri della riforma delle prigioni, e segaito la storia delle idee che diressero questa grande opera* Principj. La prigione è destinata a tenere in sequestro coloro su cui cade sospetto d’ alcun delitto, finchè il sospetto si avveri o si escluda : essi fanno un sacrifizio assai grande alla società se ri- nunziano alla loro libertà: ogni ulteriore sacrifizio è un attentato, poichè non è necessario alla salute del popolo che è la legge su- prema. I luoghi della loro prigionia non devono quindi avere altri incomodi che quelli inseparabili dalla sicurezza e dall’iso- lamento: altrimenti diceva Lord Coke imitiamo quel giudice del- l'inferno, di cui parla Virgilio, che punisce, e poi ascolta e giu- dica , Castigatque auditque dolos. Questi principj son quei me- desimi delle leggi romane al titolo de Custodia reorum . La prigione è poi particolarmente eletta a contenere e pu- nire i rei condannati. Essa dee dunque corrispondere al fine della pena . Il reo nuoce in due modi alla società j abusando della sua libertà. Nuoce coll’ atto delittuoso, col quale offende o le pro- prietà, o l’onore, o la vita d’ alcun cittadino, o turba col- 70 l’azione la pace comune ed il pubblice ordine. Nuoce coll'esempio, poichè i deboli , gl’ ignoranti e i cattivi al vedere consumarsi tran- quillamente un delitto nella città, prendono facilmente ad imitarlo. Il fine della pena mirando dunque ad impedire i delitti e ripararne: le conseguenze, tende a mettere il reo fuor di stato di nuocere, impedendo le sue male azioni future, e ponendolo fuor del caso di rinnuovarle: e colla pena medesima con cui toglie al reo i mezzi di danneggiare la città con nuovi delitti, ammortisce il pernicioso esempio del delitto coll’ esempio sa- lutare della pena, col quale allontana gli altri lalla imitazione dell’ azione colpevole. La pena dee dunque essere tale dal superare il calcolo di utilità che il delinquente fa nel delitto collo svantaggio che gli fa temere, per allontanare coll’ esempio: quindi il regime delle prigioni dee mostrarsi con un tuono di severità di’ di- sciplina, ed impedire così l’effetto funesto che produce l’esempio del delitto impunito . La pena deve poi essere tale che tolga al delinquente i mezzi di nuocere un’ altra volta . I mezzi d’agire d’un uomo sono nella sua potenza e nella sua volontà . Bisogna dunque togliere al reo per tanto tempo la potenza materiale di nuocere, per mezzo della prigionia, quanto possa riputarsi sufficiente a torgliene la volontà - Due sono i grandi influenti sulla volontà dell’ uomo, l’ a- more e il timore, La pena ritrae il reo dalla voglia di de- linquere col timore di subirla di nuovo; e questo è poco. La pena bene amministrata può ritrarre il reo dalla voglia di pec- care civilmente per amore della virtù”, a cui egli siasi volto con una riforma interiore ; e questo è tutto . Il regime della prigione dee dunque in primo luogo essere severo: il reo dee sentire che è in uno stato di punizione e di forza, e lo spettatore dee vederlo in questo stato. Sommesso al lavoro, obbligato ad una stretta ubbidienza, ad un regime austero , ove tutte le sue inclinazioni viziose sono contradette; ridotto ad una stretta temperanza dee conoscere il colpevole quanto sì paga caro l’abuso della libertà, allorchè essa si volge al delitto: e paragonando la libera e tranquilla esistenza del- l’uomo innocente che ha saputo frenare le sue voglie allorchè si trovavano in opposizione alle leggi, colla sua esistenza at- tuale dee cominciare la sua imperfetta moralità dal fermo pro- posito di non ricadere altrimenti in delitto, per non ricadere nella pena. 74 Ma se-la severità stessa del regime porta il condannato a ‘proporre, per suo proprio interesse, di vivere in appresso lonta- no dai delitti, una certa dolcezza che in questa stessa severità deve necessariamente regnare , non per infrangere le regole o per cedere debolmente ai desideri de’ rei, ma per accordare lo- ro ciò che è necessario alla loro salute e non si oppone allo stato di punizione, dee preparare il condannato ad ascoltare do- cilmente i consigli di quelli che lo dirigono, e che son rivolti alla sua interna riforma. Mentre questa docilità d’ animo si prepara dai modi cortesi ed umani, con cui teraperano i cu- stodi l’ austerità della legge, l’ allontanamento d’ ogni incentivo a male oprare dee fargli scordare appoco appoco le antiche idee che non hanno altrimenti segni che le rinnuovino , e le. antiche voglie che inutilmente si concepiscono ove si vede chiarissima l'impossibilità di sodisfarle.—Si perdono così le antiche abitudi- ni non sostenute dall’ azione , non vivamente dipinte dalla me- moria, e ad esse sottentrano nuove ed utili usanze, che per la regolarità delle loro repetizioni divengono ‘esse pure abitudini . Si forma così l’ abito alla ubbidienza ; all’ ordine , alla tempe- ranza , al lavoro, e nulla allora è più facile che il fare come volgarmente dicono , di necessità virtù. Allora se si predicano al reo tali dottrine che riuniscano per lui l’ interesse al dove- re; se gli sforzi congiunti si portano così sul suo intendimento colla istruzione che dissipi in lui l’ ignoranza e gli errori, e gli mostri i suoi veri vantaggi; se si portano sul suo cuore colle amorevolezze , sul suo fisico stesso col sottoporlo ad una serie d’ atti che non riescendo troppo penosi possano volgersi in abi» tudini, è molto da sperare che la massima parte dei rei si da> ranno per vinti, e si troveranno riformati. Per ottenere tutto questo, bisogna prevenire la fuga dei rei, impedire ogni discor- so, ogni azione colpevole mentre dura la loro detenzione , to- gliere tutto ciò che può esserne causa o incitamento al male ; piegarli al. lavoro , alla decenza, ‘alla nettezza ed alle altre abitudini virtuose; dirigere queste abitudini a procurare al con- dannato i mezzi per la sua futura esistenza. E intanto bisogna avere cura della di lui sanità, preservarlo da qualunque cattivo trattamento illegittimo, procurargli tutto il ben. essere di cui la sua situazione è capace senza contradire il fine della pena , dargli tutta l’ istruzione che gli è necessaria, e che per la sua futura vita sociale può essergli vantaggiosa . E bisogna poi ope- rare tutto questo colla. maggiore economia delle rendite pubbli. che che sia possibile, perchè non è giusto’ che la rieducazione 72 dei colpevoli sia più grave allo stato che la edacazione degl’ in- nocenti . Ecco in qual modo, Accademici , il problema della atilità della prigionia fu tradotto nell’ altro della corrispondenza della prigionia col fine della pena; e poichè questo si tradusse nel terzo di impedire gli effetti del male esempio o di togliere al reo la potenza e la voglia di nuocere, questi ultimi subalterni problemi vennero a compiere la soluzione della questione prin- cipale, ove fossero essi medesimi risoluti a dovere. — Prosegui- rono innanzi i nostri filantropi a risolvere anche questi subal- terni problemi, e si trovarono tra mano perfezionata la’ teoria della prigionia. Se si deve agire continuamente sull’ animo e sul corpo del reo, eglino dissero, bisogna vegliare su lui del con- tinuo ; l’ ispezione è dunque la prima condizione d’ ogni tentati- vo su i detenuti. Se un ispettore vegliando sopra di loro dee sottoporli ad un tal regime che allontani ogni male, bisogna che i rei sieno separati e divisi per modo che non si comunichino mutuamente nuovi errori e novelle arti maligne: bisogna separarli e clas- sarli; Za divisione è conseguentemente altrettanto necessaria quanto la continua ispezione. Se la prigione dee formare. nel condannato una serie di buone abitidini che in lui sottentrino alle abitudini perverse e dannose, una disciplina regolare ed intelligente dee regnare co- stantemente nelle prigioni. E siccome in qualunque stato della vita l’ uomo è destinato per organizzazione , per ragione, per religione alla fatica, il /avoro dee formare in questa disciplina una parte essenziale . Ma siccome le abitudini non possono radicarsi veramente nell’ animale ragionevole, se le operazioni del suo fisico non si accordano colla persuasione della sua mente e coll’ adesione della sua volontà, l’ istruzione dee compiere ciò che l’ ispezione , la divisione; la disciplina hanno cominciato, e deve perfezionare essa sola la riforma del’ reo, poichè essa sola agisce direttamente sull’ intelletto e sulla volontà. Mezzi per cui i principj si applicano. Per questo modo possiamo dire che gli ultimi problemi che abbiamo enunziati si traducono in questa formola: introdurre nelle prigioni e serbarvi una continua vigilanza su i rei per mezzo della ispezione . 73 Allontanarne il contagio. morale per mezzo della divisione. Introdurvi e mantenervi le buone abitudini per mezzo della disciplina . Comprendere nella disciplina come parte essenziale e pri- maria il /uvoro . Perfezionare e ridurre veramente morale tutta l’opera della riforma per via della istruzione - Primo mezzo. .L’ ispezione . Se l'ispezione è diretta a vegliare perchè si allontani dalla prigione ogni male, e ad introdurvi e serbarvi ogni buona abitudine, bisogna che sia fidata a tali che conoscano il bene ed il male, e quello amino e vogliano, e questo detestino in sè stessi e negli altri. Inutilmente si parla però d°’ ispezione se questa non è raccoman- data a custodi intelligenti, filantropi, interessati per ogni modo nella buona riuscita dei regolamenti e nella conversione dei rei. Che il capo, il custode d’ una prigione sia intelligente perchè senza avere propriamente lo spirito d’ osservazione, non può va- lersi di ciò che vede per impedire il male, per eccitare e pro- muovere il bene con una salutare disciplina : che sia filantropo e umano, poichè diversamente quella vigilanza che è istituita per la cura morale dei miseri rei diverrebbe il loro tormento e la loro disperazione. L’ uomo poi si nasconde con più grande in- dustria quanto più teme colui che l’ osserva, e l’ ipocrisia che è il gran male da temersi nella educazione dei giovani e nel- la, rieducazione dei rei, impedisce sicuramente ogui utile 0s- servazione. Per cinque anni intieri un forzato francese , nella speranza di fuggire dalla sua prigione, finse sì destramente una paralisi nelle membra inferiori, da ingannare le più rigide osser- vazioni dei medici e dei custodi che lo crederono per altrettan- to tempo privo dell’ uso di queste parti; sinchè giunto il tempo, in cui la sua pena finiva, si alzò tranquillamente dal letto ove era giaciuto cinque interi anni, e se ne andò sano € valido pe’ fatti suoi. Che il custode finalmente sia interessato per ogni modo nella riuscita{dei regolamenti: un profitto su i lavori dei detenuti, o per sistema di locazione come vorrebbe Bentham, o per modo di partecipazione come si fa in America ed in Inghilter- ra; può assicurare la buona ispezione meglio assai che la sola speranza sulla probità del custode, o sull’ effetto di un ricco salario, atto anzi a corrompere che a rendere l’ uomo intelli- 74 gente ed attivo - Finalmente, che il custode sia appropriato a quelli che debbonsi custodire, onde a. guardiano di pecore non scelgasi il lupo! Un uomo è proprio custode agli uomini; una donna soltanto può utilmente vegliare sulle donne . I disordini del contrario sistema narrati da molti, i mirabilli effetti dovuti alla vigilanza delle donne sopra Newgate, sopra le prigioni di Borrough—Compter , sulle carceri di Ginevra, mostrano la ne- cessità che si adotti questo principio. Il 8: proposto al corpo legislativo d’ Inghilterra nel 1820 ne forma un articolo di legge, e l’ America l’ ha già posta in pratica . L’ ispezione fidata a mani capaci dee perpetuamente esercitarsi su i condannati. Pochi sono gli uomini che ardiscono commet- tere un’ azione vietata in presenza di tali che la condannino ; chi mal fa odia naturalmente la luce ; ma niuno certo osa pec- care in presenza di quello che ha la potenza e la volontà di punirlo. L’ ispezione impedisce così il turpiloquio, le risse, non che gli abominevoli eccessi che regnano nelle prigioni 3 mentre somministra al carceriere utili osservazioni St i vari caratteri, sulle diverse abitudini o tendenze dei suoi prigioni, e su ciò che con un buon regime può ottenersi : l’ ispezione in una parola previene i mali presenti e dà il modo d’ ovviare ai futuri. Le prigioni debbono però prestarsi colla loro costruzione alla conti- nua vigilanza del carceriere . Esse debbono essere costrutte per modo che egli sia e possa essere presente per tutto , ed anche restando nel centro dell’ edifizio, vegli su tutte le parti di quel- lo, come un ragno, per servirmi del confronto di Bentham, ve- glia dal centro su tutti i raggi della sua tela . È celebre il di- segno proposto dall’ istesso Bentham d’ un edifizio che egli ha chiamato Panottico, e di cui ha reso conto ampiamente : Questo edifizio che rende trasparenti tutte le stanze dei rei e le rende tutte visibili dalla torre centrale dell’ ispettore , adottato dai le- gislatori di Francia e d’ Inghilterra, e mai compiutamente eseguito, è grandemente imitato nei modelli di prigioni prescelti dalla so- cietà illustre di Londra; e le case di detenzione costruite per servire all’ esecuzione dei metodi migliorati nei differenti paesi sì ravvicinano a questo principio. Si vuole che alcune prigioni di Fiandra e d’ Olanda abbiano anche migliorate le idee di Ben- tham : in tutte però l’ ispettore siede nel centro; in tutte parto- no dal centro, quasi altrettanti raggi, i quartieri delle diverse clas- si dei detenuti, separate industriosamente tra loro da un muro di divisione; in tutte infine dee essere tale la forma, che l’ ispettore possa trovarsi pronto in un momento per tutto; pronto ed attivo come lo spirito che vivifica l’uomo; con una vigilanza operativa e perenne . Secondo mezzo. La divisione. Ma questa vigilanza attiva e perpetua a poco vale se le cause del male non si rimuovono, se non si dividono per mo- do i condannati che possa esercitarvisi una salutare influenza, Non è ispezione possibile ove non è divisione. Se si ammas- sano insieme i condannati senza discernimento in un luogo me- desimo , se i giovanetti colpevoli di piccoli falli si mischiano cogli scellerati più consumati, se l’uomo esercitato nei misfatti può narrare le sue avventure e i suoi felici successi a una turba di meschini fanciulli ‘che ascoltano con una profonda at- tenzione |’ istruzione della cattedra di pestilenza, se il feroce assassino, se il ladro dissimulato e traditore, se il dissoluto che ha perduto ogni senso della prima sua dignità si uniscono insieme a consulta, si forma una società di malfattori che mettono a profitto comune il loro tesoro d'iniquità, si stabilisce, dicea nello scorso anno l’ illustre Dumont, si stabilisce e si fonda una scuola d’ insegnamento mutuo per la scelleraggine. E dalle prigioni, se- condo la parola d’Howard, come da un centro mortifero si span- de il contagio pestilenziale in tutta la società. A questa orrenda mestura di ogni maniera di detenuti che conosce due sole classi, il povero e il ricco, ma che riunisce nella stessa catena il galeotto invecchiato e curvo sotto il peso non so se più delle sue colpe o delle sue pene, e l'uomo educato ed intelligente che subisce un leggiero gastigo per un. peccato di pensiero o di lingua, a ‘questa orrenda mistura son da ascriversi quei profondi misteri d’iniquità, di miseria, (e di corruzione, dipinti a sì tetri colori nelle opere di Howard, di Gerney, di Bentham, di Michaud, di Villermé, e rese autentiche dagli ultimi lavori di Cunningham, Buxton, e dalle ultime relazioni al parlamento del Marchese di Lansdowne e del Lord Sidmouth. A questa si dee la mortalità spaventevole che regna in tante prigioni straniere, ove al furore d’ una disperata dissolutezza, succedono miseramente la consun- zione e la morte. (1) Quindi non è prigione, ove siasi fatto qualche profitto sull’ animo dei colpevoli, ove non siasi fatto uso della divisione . Portata questa all’ eccesso da alcuni, volevasi che ogni (x) L’Etisia, secondo i conti di Villermé, che è coi medici di Parigi di questa opinione , consuma la massimia parte dei detenuti. 76 reo isolato perpetuamente dagli altri lavorasse solo, e piangesse nella solitudine e nel silenzio le sue mancanze. Ma l’istesso. Ho- ward conobbe, come Bentham osserva, che ciò che era per poco tempo un rimedio fortissimo d’ interiore disciplina, non poteva essere lo stato abituale di un reo: è osservato dai medici con Villermé che pochi mesi di isolamento perfetto, o come diciam noi di segreta , possono portare laj follia , la disperazione; o uno stato d’ assoluta insensibilità. Ogni reo secondo i principj am- messi anche ultimamente a Londra, a Filadelfia, e generalmente per tutto, ogni reo dee stare nelle ore del riposo notturno in una distinta celletta affatto separato dall’ altro: una lunga esperienza ne mostra la necessità. Dee abbandonarsi nel giorno la cella, ma la posizione , le inclinazioni viziose, lo stato diverso dei rei dee naturalmente partirli in classi distinte e separate di luogo. Gli accusati di misfatti son divisi dai prevenuti di colpe leggiere ; i condannati per questi son naturalmente divisi dai condanna- ti per quelle, e questi son separati dai semplici vagabondi . Gli statuti di Giorgio III ammettevano undici classi nelle pri- gioni; il Bill del 1820 ne propose forse alcuna di più. Oltre le classi fisse e determinate dalla posizione politica dei dete-. nuti, è poi da fare una classazione fÎmorale determinata dalle osservazioni quotidiane del carceriere . Bisogna che la classa- zione, come diceva alla società di Londra il relatore del 1821, impedisca la contaminazione , sicchè i delinquenti che ricono- scono una causa del delitto nel loro carattere, e sono spinti, a modo d’ esempio, dall’ ardore della dissolutezza , sieno separati da quelli che riconoscono per cagione di loro errori il desi- derio di roba altrui, e questi di coloro che animò la ferocia, giacchè queste son particolarmente le tre cagioni dei misfatti. E i rei pentiti, purchè non lo siano per l’effetto d’una sottile ipocrisia, non avranno a separarsi da quelli che son tutt’ ora viziosi e duri nel vizio ? Certo che sì, poichè verso ciascuna di queste classi, ritenute le regole generali per tutti , è da provvedere con una speciale disciplina . ‘Terzo mezzo. La disciplina. Ma scendiamo a parlare di questa disciplina medesima, da cui propriamente incomincia la rieducazione dei rei. Destinato il regime delle prigioni ad operare coll’ esempio della pena su- gl innocenti, ed a rimuovere i colpevoli da nuovi delitti, dee necessariamente avere severità nella sua disciplina. 77 L'ordine e la fermezza sono i due grandi cardini della disciplina: il suo carattere è la severità non disgiunta dalla umanità: il suo fine è l’estirpazione delle cattive abitudini, e la formazione di abitudini buone e vantaggiose. Se dee estirpare le cattive abitudini, come potrebbe una buona disciplina soffrire nella prigione 1’ ubriachezza, il gioco, le turpi e disoneste parole, i cattivi discorsi , i libri empi ed osceni? Il tumulto, le risse, le liti, come potrebbero avervi Juogo? E come potrebbe tollerarsi nella prigione un sonno pro- lungato al di là di sette ore, atto a favorire per lo meno l’ozio e la pigrizia ? Come soffrire il lezzo e la sporcizia del corpo nei detenuti, mentre si oppongono altamente ad ogni regola di decenza e di salute, mentre secondo l’ osservazioni di Howard e di Bentham esiste una sì frequente connessione tra l’impu- rità dell’animo e la sozzura del corpo? Ed ove queste cose si vietino , e i detenuti ostinati proseguano innanzi nel male ope- rare e nel peggio parlare , come potrà un carceriere che abbia fior di senno ed alcun amore, non dirò solo alla disci- plina, ma al suo stesso decoro, come potrà tollerarle? Una ubbidienza esatta , pronta, ineluttabile; un’ ubbidienza che segua il comando tanto necessariamente quanto l’effetto segue la causa, è così il primo elemento della disciplina, il, primo dovere del detenuto , il primo diritto del carceriere. Alla inobbedienza dee essere necessariamente accompagnata la pena, e questo pure è un articolo di essenziale disciplina. Questa pena però sarà essa riposta in battiture , o in strazi del corpo ? I filosofi di cui riferisco l'opinione, i popoli di cui narro gli usi aborriscono codeste pene : Howard le detesta, Bentham le proscri- ve: vi declamano altamente le società delle prigioni , 1’ Inghilterra le vieta nella sua legge del 1820 , l’ America le ha prese in or- rore, poichè tutti gli stati hanno unanimemente condannato questo uso come costume di uomini barbari in barbari tempi. Le battiture, essi dicono, non fanno che irritare col corpo l’animo, e svegliarvi un eccitamento che ha spesso prodotto il furore e la morte in mezzo alle smanie della frenesia più feroce. Il custode d’una pri- gione non dee per questo modo disporre arbitrariamente della vita degli uomini. E questa disciplina di repressione e di preven- zione non appartiene solamente alle prigioni dei condannati: una. prigione anche per l’accusato è un luogo d’ordine e di tran- quillità, e siccome niuno può invocare la continuazione d’un’usanza viziosa, niuno può ardire di farne pompa nella casa istessa della pubblica autorità. 78 Questa è dunque la differenza fra la disciplina degli accu- sati e quella dei condannati: che \a tutti debbono impedirsi le azioni indecenti o viziose. Ai condannati soli possono ingiungersi le buone abitudini, comunque penose, il silenzio di una gran parte del giorno , che gli riconduca a sè stessi, la privazione dei liquori, e quante altre possono trovarsi necessarie e proficue. Ma se tutto questo devono i detenuti al loro custode, e tale è la disciplina che debbono essi osservare, molte cose dee pure il carceriere ai suoi detenuti. E dee loro in prima una esatta giustizia ed una perfetta eguaglianza. È da leggere in que- sto proposito ciò che gravemente dicono Villermé e Delaborde sugli abusi di molte prigioni, e sul costume di preferire i danari del ricco alla vita ed alla salute del povero. Dee loro in serondo luogo un rigoroso buon’ esempio , sicchè non si veda azione in esso meno che grave ed onesta, non si oda parola turpe o men savia. Al riferir di Guerney e della illustre Fry il solo esempio del car- ceriere ha spesso riformato una intiera prigione. Dee loro tut- to ciò che è necessario, non solo per conservare l’ esistenza, ma per serbarla sana e tranquilla, poichè secondo l’osservazione di Bentham, chi ha pensato che non poteva torsi la vita con un colpo solo ad un reo, non può lentamente distruggerlo. Dee loro un vitto semplice e sano, banditi sempre i liquori; dee pure restarvi tanto che possa l’uomo vivere senza soffrire; dee loro i mezzi di nettezza e di riposo. Ma delle cure fisiche sulle prigioni e su i detenuti altri vi parlerà colle dottrine della sua scienza; io mi tengo alla mia, e poichè un articolo essenziale della disciplina è il lavoro dei condannati, vado brevemente a parlarne. Quarto Mezzo. JI Lavoro. Il lavoro è nell’ordine della società e della religione il gran dovere dell’uomo che non può sottrarsi al Decreto Divino, che non dee consumare senza riprodurre : ed il lavoro è il gran bi- sogno dei condannati. Il lavoro è necessario alla loro salate ; è necessario alla loro morale ; è necessario alla economia loro; è necessario alla econo- mia dello stato. Una prigione senza lavoro è un corpo senz’anima: la corruzione vi s’ introdurrà in pochi momenti. Dee mirare il lavoro ad occupare intieramente le facoltà fi- siche e morali del condannato: occupando il suo fisico, lo pone in una esercitazione muscolare che lo conserva in salute; occu- 79 pando la di lui mente , la distrae dai suoi pensieri depravati, torb ; e ferocî, dai suoi perversi consigli; occupando il di lui cuore con la speranza di un lucro attuale e d’una migliore esistenza futura nello imparare un'arte utile, comincia a dare alla sua vo- lontà una nuova direzione. Ma non ogni maniera di lavoro può adempire queste con- dizioni. Bisogna in primo luogo che si alterni pel condannato il lavoro sedentario col lavoro che esercita ed affatica: la. monotonia d’un lavoro uniforme è capace a produrre la più cupa malinconia, e ad impedire così tutto quel bene in cui si confida. Bisogna in secondo luogo che sia conforme alla complessione ed allo stato fisico del condannato. Ramazzini, Foucroy, Patissier hanno detto tutto ciò che è necesssario, e per questo rapporto rien- trerà il lavoro nell’Igiene delle prigioni che io vi annunziai. Il lavoro dee mirare a dare al condannato un’ arte che lo sostenti dopo la sua libertà: i lavori che non tendono a questo fine possono essere utili per intervalli, ma non possono essere i soli che esercitino costantemente il reo. Bentham preferiva peri lavori dei rei le ruote che si fanno muovere, ascendendo col peso stesso del corpo ; e l’ingegnere Cubitt ha inventato un mulino, in cui molti detenuti muovono colla semplice ascensione codeste ruote. Esercita esso l’intiera persona, non dà altra fatica che quella che si prova nel salire una montagna, ed obbliga il detenuto a lavo- rare anche contro sua voglia. Ma non adempie la gran condizione di preparare al condannato una felice esistenza futura, e d’ eser- citare l’attenzione e il giudizio d'una mente ordinariamente in- torpidita dalla pigrizia , e però bisognosa di nuovo esercizio, o aguzzata dai raffinamenti d’ una colpevole sagacità, come spesso accade nelle varie specie di ladri, e però sommamente adatta a riuscire nelle arti che esigono industria di mente e di mano. Lo ‘stesso rimprovero fecero Bentham, Cunningham e Dumont ai lavori a cui si destinano i rei nelle pubbliche strade. Dumont non temè di asserire, essere questa maniera di occupazioni affatto contraria al fine della pena. Le repubbliche dell’ unione ameri- cana risposero l’anno decorso alla società di Nuova Yorck, bia- simando altamente i lavori in pubblico; quelle catene trascinate nelle vie di una città libera hanno avuto probabilmente gran parte ad ispirare questo orrore. Nonostante , io terrò sempre a me- moria ciò che mi diceva un gran personaggio del Nord; avere sperimentato egli stesso che quei condannati, i quali erano avvezzi ad una vita laboriosa nell’ aria libera, non potevano senza pericolo VA 80 | della loro vita ritenersi chiusi perpetuamente nella prigione, co- sicchè avea dovuto ordinare che i lavori esterni fossero continuati. P SKI , il quale è è ba- sato sul Korano, ed il jus della forza che vien detto orfi , 6pf:. Quello dunque che è vietato al sultano ed ai suoi delegati dal jus scritto , gli è poi permesso dalla forza. Ho detto che il sultano ha il diritto di uccidere 14 persone al giorno, senza cadere i in nessun sospetto di ar- bitrio e di censura;, il qual fatto patrà senza dubbio strano e poco credibile. Quando però sì rifletterà che esso come califfo è riguardato qual vicario di Maometto, e riconoscendo dalla sola i ispirazione quello che è giusto‘ ed ingiusto , cesserà ogni maraviglia , e non si potrà far altro che compiangere la specie umana per le sue aberra- zioni. V’ è anche qualche cosa di peggio. I turchi, come. discendenti dai nomadi, non hanno nè l’idea nè il vo- cabolo per esprimere la patria . Tutto l impero appar- tiene al sultano, ed in conseguenza tutti è suoi abitanti si riconoscono come servi e schiavi del sultano medesimo, che può, secondo il suo capriccio, togliere gli averi, ed anche la vita ai suoi sudditi. Non pare possibile che la natura umana giunga a pervertirsi a tal segno: e pupe malgrado questi dogmi politici , gli ulema, di i gianniz- zeri sempre ‘mossì (in primi, fanno bene spesso comosce- re a questo semideo , che. egli non è che un turco come ‘ gli altri; e per conseguenza quando accadono delle' di- sgrazie, quando il popolo di Costantinopoli non è contento, del suo governo , e negli ultimi tempi quando si sospetta che il Divano voglia distruggere i giannizzeri, si comin- cia ad appiccare il fuoco alla città che è tutta di legno, e se il governo non ascolta queste petizioni infuocate, allora corrono tutti alle armi, ed in poche ore sono tagliati a pezzi i ministri e i favoriti del sultario ; e qualche volta, per compir l’opera, anche il sultano stesso, è strangolato. gd Leggo spesso nei giornali che il sultano ha prese delle misure per riformare il corpo dei giannizzeri, e questa opinione è stata adottata anche dal ministero in- glese in un’opera che ha fatto molto strepito.; e perciò voglio fare qualche osservazione su questo corpo. 0.3, gianmizzeri furono la prima infanteria che aves- sero i turchi, ed hanno resi dei grandi servigi a quell’im- pero. Nel principio si reclutavano dai giovani prigionieri di guerra, e dal tributo che molti popoli cristiani dove- vano pagare ogni anno in giovani scelti. Questi giovani erano educati dai vecchi giannizzeri, e venivano riguar- dati come schiavi del sultano, perchè erano senza casa, senza parenti, e senza qualunque proprietà. Ma essendo divenuti molto importuni al governo , ed avendo dall’al- tra parte acquistato grandissimo lustro-presso la ‘nazione ottomanna ,; il di lei governo non trovò altro. mezzo di salvezza, che nel far cessare dal primario reclutamento dei giannizzeri , e quindi dall’ accrescerne il numero, per distruggere fra loro lo spirito di corpo. In conseguenza di che, da più d’ un secolo in quà, tutti i giovani turchi } della Turchia europea particolarmente, si sono iscritti nelle diverse squadre dei giannizeri : di modo che presen- temente formano la maggiorità degli ottomanni europei. Da ciò chiaramente si vede, se il governo turco abbia o nò 1 mezzi di riformare questo corpo insolente ed ignoran-. te, che è tutto devoto agli u/enzas, promotori , ed istiga- tori di tutte le rivoluzioni , sapendo bene che la riforma dei. giannizzeri attaccherà anche i loro privilegi , ed essi saranno costretti a contribuire alle spese del governo. ‘ Non eranvi che due mezzi coi quali si poteva rifor- mare questo stato di cose, o d’impiegare, cioè, la forza dei comandanti turchi nell’ Asia e nell’ Europa, (i quali pervennero a stabilirsi nelle provincie, e formarono delle truppe particolari, di non giannizzeri ), o di chiamare nelle milizie anche i cristiani. Questi due mezzi sono stati gbe *, tentati negli ultimi tempi, ma non sono riusciti per l’im- perizia di chi li tentò , e per la pazzia dell’attuale sultano che ha uccisi i migliori suoi generali, e distrutti tutti quei turchi, che potevano combattere i giannizzeri. Que- sti dunque rimasero padroni assoluti a Costantinopoli , e nelle provincie non v' è più mezzo di formare un corpo capace a misurarsi con loro. À Il sistema amministrativo dei turchi \non è meno difettoso di quello delle loro armate, e di quello della giustizia. Le provincie sono governate dai pascià, i quali come vicarii del sultano , hanno il diritto di orfi, dp@p', cioè , sono padroni della vita e della morte di tutti i loro sottoposti. Ogni pascià ha una casa militare, e vive da vero luogotenente del sultàno; uccidendo indistinta- mente i ricchi del suo governo, derubando ciò che gli piace; ed impinguandosi arbitrariamente colle spoglie dei suoi sottoposti. E siccome l’ esperienza ha dimostrato che un sì gran potere ispira ai pascià la tentazione di ribellarsi, presentementejil sultano ha diviso i pascialichi, li cambia ogni anno, e quando giungono a Costantinopoli le Ja- gnanze dei poveri sudditi angariati ed oppressi da quei piccoli tiranni; il sultano fa strozzare i pascià,, ma non restituisce nulla del mal tolto agli spogliati. Questo siste- ma ha accresciute le spese dello stato: e ridotti in gran- dissima miseria tutti gli abitanti dell’ impero. Dalla mi- seria alla disperazione non c’è che un passo, e senza l’insurrezione dei greci, (la quale però si deve attribuire in gran parte al pessimo sistema dei pascià, ed alla bar- bara e bestiale politica del Divano ) sarebbe accaduta quella di tutti i maomettani contro il loro governo, da non potersi paragonare in verun conto cogli ammutina- menti dei giannizzeri. Non vi sono in Turchia entrate regolari. Il sultano. ha due tesori, il privato , cioè, ed il pubblico. Il privato. lo riempie colle spoglie degl’impiegati uccisi, coi doni 3 97 che gli vengono fatti, e colle eredità che gli ricadono, essendo egli legatario universale. Il tesoro pubblico poi è poverissimo, e non basta a far fronte alla decima parte dei bisogni dello stato. Perciò i giannizzeri e gl’impie- gati pubblici sono meschinamente pagati, e devono vi- vere, ed anche arricchirsi a forza di vessazioni contro i sudditi cristiani, e colla protezione e col patrocinio dei pascià, e d’ altri loro subalterni. — Nei paesi cristiani, e dov’ è un governo civilizzato , le spese vengono regolate sull’introito , ed a seconda delle circostanze. In Turchia non v' è nulla di tutto questo; e benchè i turchi abbiano perdute molte provincie, benchè il rimanente siasi impoverito, e siagli mancata una gran parte della sua popolazione ; le spese continuano$ sullo stesso piede, ed i rimanenti sudditi devono fornire quan- to è necessario. Non occorre aggiunger qui che il peso. delle contribuzioni cade tutto sui non maomettani, e che la Turchia non conosce contribuzioni indirette , perchè tuttociò è sottinteso. In ogni società ben regolata, i\nazio- nali sono preferiti ai forestieri; ma in Turchia gli estranei pagano due, o tre per cento in dogana, e sono liberi da qualunque contribuzione , mentre i sudditi pagano il tri- plo, e non si è mai pensato a domandare per essi lo stesso vantaggio presso le potenze estere. La Turchia dunque è priva di sistema finanziero ; di armate regolari , di sistema giudiziario, che protegga i sudditi, ed il suo governo :non rassomiglia a nessuno dei governi europei. Vediamo ora se l’ educazione del principe, se la morale pubblica ponga qualche freno al capriccio del sovrano , ed all’ abuso del di lui potere as- soluto e teocratico. i Lo spettacolo dei principi reali, che hanno Spesso prese le armi contro i loro sovrani , ha colpito il governo turco, e non vi ha trovato altro compenso che di rin- chiudere ghi eredi al trono nel fondo del sersaglio di Ca- T. XII. Marzo n ‘ 98 stantinopoli , senza permetter loro la menoma comunica- zione con alcuno. Questi sciagurati principi dunque, ve- getano nella loro prigione , e passano il loro tempo studiando la lingua dotta turca, immersi nell’ ozio e nelle turpi voluttà dei serragli. Quando il sultano regnante ha dei figli, questi escono qualche volta dal serraglio, ma non è loro confidato mai niente, e non sono neppure chiamati al Divano. Da più di un secolo in quà non v'è esempio neppure che un sultano sia uscito di Co- stantinopoli, che per essi è tutto l'impero, e per con- tentare la numerosissima popolazione di quella città , sa- grificano delle provincie intiere , le quali devono fornire a vilissimo prezzo i loro prodotti, per non somministrare alcun pretesto di ammutinamento alla plebe di Costanti- nopoli. Per darne un esempio mi contenterò d’ un solo fatto , e d’ una sola provincia. La Tessaglia , fra gli altri tributi che è costretta a mandare a Costantinopoli, deve somministrare. 44000, pecore, o capre, per servire ai sacrifizi del Zairamo. Questo incarico si dà a dei pubblicani, i quali hanno bi- sogno di più di 600 uomini, per ispedirli nelle diverse parti della provincia, a raccogliervi non già 44000 bestie, ma più di Goooo, perchè un terzo muojono per la strada, e il prefetto delle carni a Costantinopoli è inesorabile per la quantità fissata. Quando fu stabilito la prima volta questo tributo,, ogni pecora costava una piastra turca, che differiva allora di un decimo dalla piastra forte di Spagna. Sei anni sono ( perchè adesso è tutto cambiato ) ogni bestia si ven- deva 15 piastre; tuttavia il governo turco le paga sempre una piastra, che non si dà poi neppur mai ai poveri pa- droni del bestiame, i quali non solamente devono nutrire splendidamente questa numerosa turba di fattori, ma de- vono anche arricchirla. L’ avarissimo Aly-Pascia di Iani- na si era accorto di questo guadagno , e nel 1816 so po- 99 sitivamente ch’egli si appropriò più di 40000 montoni i più grassi, e toccavano ancora 450000 piastre ai pub- blicani di questo tributo , il capo dei quali non si conten- tava di meno di 250000 piastre per suo conto. Negli ulti- mi tempi il medesimo Aly-Pascià s’incaricò soltanto di mandare a Costantinopoli il tributo di 44000 capi di bestie, ed egli guadagnava il triplo. La Macedonia, la Tracia, la Bulgaria , la Dacia, e molte provincie dell’ Asia minore, forniscono presso a poco nella stessa maniera la carne bisognevole per l’ im- © mensa città di Costantinopoli. Altre provincie mandano dei grani e dei legumi, altre il riso, ed altre il burro. Altre l’olio, e vi sono dei cantoni che devono fornire al serraglio una grandissima quantità di essenza di rose, e molti commestibili per P armata numerosa delle Odalis- che del sultano. E qui cade in acconcio il dire che i turchi conservano. il costume dei loro antenati , di non far’ uso cioè, che di carne di pecora e di capra. Essi disprezzano la carne di bue , e non permettono ai cristiani di cibarsi di quella di smajalle. Ma giacchè ho toccato uno dei tributi della Tessaglia mi sia permesso di estendermi sù questa provincia ,, per mettere fuori di ogni dubbio le mie asserzioni. Questa provincia è condannata ad approvisionare ogni anno Co- stantinopoli di una quantità fissa di grano., e di fornire panni per l’uso dei giannizzeri. In luogo di lasciar man- dare da quegli abitanti stessi questi tributi irremissibili , si sono stabilite due cospicue cariche per esigerli; e gl’in- caricati a tale oggetto hanno il diritto di vita e di morte. su quelli, cui tocca di fornire i tributi, che devono an- che alimentare la splendida corte dî questi esattori. Nè si creda che questa provincia sia libera dopo di aver forniti questi tre surriferiti articoli , perchè tutti i cittadini de- vono pagare ogni anno anche. il loro testatico, dal quale. 100 non son eccettuati , nè i ragazzi, nè. i vecchi, e nè tam- - poco i mendicanti. Questo testatico è conosciuto. sotto il nome di carazi. Un decimo , e talvolta un quinto dei loro prodotti appartiene agli Spaî, specie di cavalleria feudale dei turchi. La coltivazione della vigna e del coto- ne, come quella delle sete , è soggetta a dei dazii a parte. In tutte le città v è una dogana , e si paga in tutte quelle , per ove passano le mercanzie. La proprietà dei poderi è stata appropriata agli -4gà, alle moschee , ed alle sultane ; e l’ infelice coltivatore cristiano mon par- tecipa che di un terzo , col quale deve nutrirsi e fornire il bisognevole a tutte le ricorrenze dei Pascià , dei Mol- lah , dei Vaivodi , dei Cadì , dei pubblicani , e di mille . altri esattori. E questa maniera di amministrare è presso a poco generale in tutto l’ impero. Se si aggiunga che la guerra civile continua da trent’ anni in quà, che la pe- ste è divenuta endemica , si può facilmente conoscere la causa della spopolazione e della miseria di quel bellissimo e fertilissimo impero. I turchi, come tutti i popoli teocratici hanno una ci- vilizzazione sedentaria. La loro religione fa loro disprez- zare i non maomettani , e quindi non hanno alcun con- tatto coi cristiani. Le gesta dei loro antenati li hanno resi orgogliosi ; e come quelli disprezzavano allora i cristiani loro contemporanei , così anche i discendenti loro hanno per essi lo stesso disprezzo. Riconoscendo però la prede- stinazione, non si curano punto nè poco di migliorare il proprio stato. Il supremo bene pei turchi è il vivere come i loro padri, avere un’Harem, una splendida tavo- la, e farsi temere da quelli che li avvicinano. E siccome tutto si fa tra loro colla forza e colla grazia del Sultano , così tutti i loro pensieri sono diretti a questo intendimen- to. Quindi è che non vi si trovano nè banchieri, nè com- mercianti, nè navigatori, nè artisti. Tutti questi mezzi di | ricchezza e d’incivilimento d’ uno stato sono abbando- 101 nati ai cristiani ed agli ebrei, dei quali per altro uccido- no di tanto in tanto i più ricchi, per arricchire sè stessi ed i loro satelliti. ‘ Oltre tutti questi impedimenti alla civilizzazione dei turchi, ve n° è ancora un altro più grande. I primi turchi avanti il maomettismo non avevano lettere, ed il solo contatto loro cogli arabi, ha fatto ad essi introdur- re nella propria lingua l'alfabeto arabo con qualche va- rietà. Si sa che questo alfabeto non ha segni certi per le vocali , ed in conseguenza quanto si renda malagevole il leggere francamente e correttamente. È siccome ancora in lingua araba sono scritti i libri di teologia e di legis- lazione , ed anche la lingua persiana era stata coltivata prima della loro, così hanno introdotto nella lingua ver- nacola non solo una grandissima quantità di vocaboli di queste lingue, ma eziandio delle intiere frasi; di modo che un giovane turco, ha bisogno per intendere la lingua scritta di studiare l’arabo e il persiano. E per il difetto intrin- seco dell'alfabeto arabo, e per la mancanza di buone grammatiche e dizionarii, come ancora per l'assoluta mancanza di metodo , un giovane turco passa venti anni della sua vita in questo studio, ed assai rari sono quelli che possano bene maneggiare la lingua scritta. Ognun vede da tutto questo , quali progressi possa fare un uomo che ha passati venti anni della sua verde età nei rudi- menti scolastici di una lingua. Similijuomini sono perduti per i progressi delle lettere. Aggiungasi ancora che i turchi non hanno il vantag- gio delle stamperie; che la loro sicurezza personale è tan- to precaria , quanto quella dei non maomettani; che la sola giurisprudenza conduce i suoi alunni a dagl’impieghi lucrativi ; che i loro pochi libri sono pieni di esagerazio- ne e di disprezzo contro gli altri popoli ; e si vedrà facil- mente se un turco abbia qualche mezzo di civilizzarsi , î02 e giungere a concepire qualche Nelgione meno falsa sul conto degli europei. In tutte le circostanze nelle quali ho potuto favel- lare coi turchi, non solamente gl’ ignoranti, ma an- cora i loro dotti, credono che l’ Europa sia divisa in set- te regni , che essi chiamano cra/ati, cioè, Ospodarati. Questa meschina idea circa le forze degli europei è pro- dotta, o da ciò che anticamente non avevano incontrati che i piceoli principi di Moldavia, di Vallacchia, di Tran- silvania, di Servia, i regni di Polonia, di Ungheria, e di Napoli, o più tosto dai sette elettori dell’ impero ale- imanno, coi quali guerreggiarono. Checchè ne sia di ciò, l’ignhoranza dei turchi in geografia è tale, che nel 1769, quando sentirono dire che una flotta russa era per venire ‘nel Mediterraneo dal mar Baltico, chiamarono il grande interpetre del divano, e gli domandarono se si poteva credere l’arrivo straordinario della flotta russa. ( Si sa che gl’interpetri erano cristiani, ed in conseguenza non si devono involgere nella barbarie turca ). L’ interprete rispose di sì, e per convincerli della sua asserzione, pre- sentò loro una carta, nella quale mostrò loro che la sud- detta flotta poteva entrare nel mediterraneo per lo stretto di Gibilterra. H gran Visire; vedendo la strettezza del passo sulla carta , esclamò che ciò era impossibile, e mi- nacciò quel disgraziato interpetre; ma per altro lo con- gedò senza fargli alcun male, e chiamò un impresa- rio dei viveri, nomo vecchio, e che aveva percorsa tutta la Turchia europea. Questo fido del Visire, rispose che la flotta russo poteva andare nel mediterraneo dal golfo di Venezia. Il Visire fu contento di questa spiegazione , e ricompensò largamente il suo vecchio geografo. Questo aneddoto è conosciuto da molti, e non si creda che appartenga solo all’ignoranza del Visire d’allo- ra: se fosse necessario , potrei riportare altri fatti ulterio- 105 r, e chiamare in testimoni delle persone tuttora viventi, le quali possono confermare la grandissima ignoranza dei turchi in geografia , e soprattutto in ciò che riguarda i popoli europei. Ma qui non v'è bisogno di altri fatti e testimoni. Sono oramai tre anni dacchè le primarie po- tenze cristiane mettono tutto in opera per convincere la porta ottomanna , che l’imperatore Alessandro non è per nulla nella insurrezione dei greci; che è del suo in: teresse di risparmiare questa nazione, e che deve con ogni mezzo astenersi dal provocare l'immenso colosso russo. E pure fino ad ora non si è fatto gran cosa. I turchi , co= me tutti i barbari, non stimano che la forza: Le maniere civili paiono loro segni di debolezza ; e siccome non han- no alcun mezzo per conoscere il vero stato dell’ Europa cristiana e la sua predominante politica ; credono chela Russia, come tutte le altre potenze, abbia paura di loro. È più d’ un secolo dacchè i turchi sono stati sempre perdenti colle potenze cristiane, e pure non convengono mai di essere stati battuti. Con queste opinioni dunque, e con questi impedimenti a istruirsi ; con una letteratura falsa, e semplicemente scolastica; colla privazione di tut- ti i mezzi d’ essere a contatto coi popoli più civilizzati , come mai possono i turchi migliorarsi? E qual mezzo ha un sultano quando esce dal serraglio per acquistare del- le idee nette e secondo la natura delle cose? Vediamo fra di noi che l’autorità pervertisce anche gli uomini i meglio educati. A quali eccessi dunque non deve abban- donarsi un sultano nell’ esercizio di una autorità assoluta; in mezzo ad una nazione che lo crede sacro , ed ha pet assioma , che nessun ordine del sultano deve rimanere ineseguito ? La sua persona è riguardata come sacrosanta, e quelli che lo toccano per i servigi i più usuali sono egua- li in grado ai visiri. Generalmente tutti i sultani escono dalla prigione del serraglio, animati dal più alto disprezzo peri noti 104 maomettani, Il sultano Mustafà , verso il 1760, salendo al/ trono , e vedendo per la prima volta in una contrada di Costantinopoli una grandissima quantità di cristiani, i quali sono distinti dai turchi dai colori delle loro vesti, e dalla maniera di coprirsi la testa, esclamò : levatemi davanti questi cani! volendo intendere che fossero ucci- si per non più vederli. Il suo consiglio gli dimostrò il danno che poteva ridondare all’impero da una simile azione ; ma per non lasciare ineseguito l’ ordine del sul- tano , lo presero alla lettera, e fecero uccidere dei veri cani. II sultano attuale si è trovato in critiche circostanze, le quali hanno sviluppato in lui un gran carattere. Ha di, più il vantaggio di conoscere bene la lingua scritta, ed ha anche la pretenzione di ben maneggiarla ; ma queste due circostanze lo hanno infatuato delle sue prerogative, ed è forse il più testardo di tutti gli ottomanni. Il seguente aneddoto ci darà una sufficiente idea delle sue opinioni. Nella rivoluzione di Costantinopoli , quando fu ucciso il famoso Mustafà Bairatari, ed egli corse grandissimi rischi, e fu salvato dal capitano Pascià d’allora, Ramir- Pascià , il sultano lo ringrazio, e lo consigliò a salvarsi colla fuga dall’ odio del popolo. Questo pascià si rifugiò in Russia, e continuò ad avere un carteggio col sultano, il quale gli passava del denaro, lo chiamava suo intimo amico, e lo consigliò affettuosamente dopo la pace a ri- tornare a Costantinopoli. Ma nel suo passagio da Lukare- st, lo fece uccidere. E perchè? Qualcheduno che si trova- va allora in istato di conoscere la cagione di questo mis- sfatto, me l’ha spiegata. Il sultano, come sovrano, credeva necessario al suo decoro di non lasciare in vita uno che gli aveva resi degli straordinarii servigi. Da quello che si è detto fin adesso, si vede bene qual sia lo stato politico dell’ impero turco e la sua eco- nomia interna ) qual siano le opinioni predominanti in 105 esso , il carattere necessario dei sovrani; se si possano di- struggere o riformare i Giannizzeri , € se quel popolo, do- po aver commessi due grandi misfatti verso l’ umanità , estinguendo due volte i lumi nell’oriente, possa miglio- rarsi, e far dimenticare tutti i suoi delitti, ed essere riconosciuto degno di possedere il più bel paese dell’anti- co emisfero; ed anche se vi sia speranza di vedere un giorno cessare per opera sua , la pirateria dell’Affrica, e la peste che vi è divenuta endemica. Non sarà forse discaro ai miei lettori che io mi esten- da ancora un poco sulle opinioni nazionali dei turchi. Non solamente la religione, ed i loro antecedenti, li ren- dono un popolo stupido e barbaro, ma eziandio i: loro opinioni intorno agli attributi del governo. Non sanno intendere come possa esistere un stato senza l’onnipoten- za dei governanti, i quali devono essere secondo loro accompagnati sempre dal terrore. Un nuovo visire a Co- stantinopoli, è creduto buono se fa impiccare per le stra- de i venditori dei commestibili, e se uccide chi incontra. Questa opinione è così inveterata nella nazione, che si vedono spesso uomini pacifici ed affettuosissimi nel loro commercio privato , i quali salendo a qualche impiego ragguardevole, commettono senza scrupolo degli orrori , e ritornano subito nella loro primaria amenità ‘e gio- vialità di volto. Lo spettacolo deî nostri principi, che passeggiano in mezzo ad una popolazione che li adora; , pare cosa meschi- na ai turchi, e ci riguardano come ui , che non c' in- tendiamo punto di buon governo. Perciò , non solamente il sultano, ma anche tutti i suoi pascià, vanno sempre accompagnati da un boia, che in un batter d’occhio, fa cader delle teste. La pittura, la scultura, l’arte drammatica, e la mu- sica stessa, o non sono punto conosciute dai turchi, 0 ven- gono disprezzate. La tavola , il bagno, il fumare, il caffè, 106 le favole orientali ;igli haremi sono la sola loro occupa= zione. La loro pertinacia nelle cose una volta ricevute , è tale che non si sono punto curati d’ introdurre l’anno s0- lare. A Costantinopoli, ed in molti altri paesi, dove sono molti greci, la sola necessità ha potuto forzarli a servirsi del calendario solare in molte transazioni; ma la massa della nazione ed il governo, si servono ancora del calen- dario lunare. L’ esistenza di questo grandissimo sbaglio, mostra la massima incuranza di quel popolo per divenire un giorno europeo. La mia opinione su questo articolo è tal- mente forte e così fondata, che ardisco dire, che senza la conquista degli stranieri, la Turchia rimarrà eternamente Turchia. Ma quando non esistano potenze altrimenti sta- bilite, come mai la Turchia può durar lungamente ? Oltre le provincie che si sono distaccate dalla Tur- chia , o sottomesse all’ Austria , o alla Russia , la Bosnia non si può riguardare come membro di questo impero . L'Albania ha conservato presso a poco la sua autonomia. Le due provincie di Vallacchia e di Moldavia, scappe- ranno presto dalle unghie del sultano. La guerra contro PA Date , e l’insurrezione dei greci, gli hanno fatto perdere pet. setapro le provimere meridionali , che o soggiogate, o nò, non saranno più di alcun sollievo all'impero. Il rimanente della Turchia europea và a grandissimi passi verso la spopolazione, ed è già quasi un deserto. Le guerre ed i ladrocini dei Griz- zialli , TpiCaAMdes ; la peste e le devastazioni che vi cagio- nano i soldati turchi, gli assassinamenti che vi hanno eseguiti secondo gli ordini del sultano contro i cristiani i più ricchi ed industriosi : tutte queste cose riunite in- sieme hanno ridotta la Turchia europea in tale stato, che appena un governo paterno e la pace di un secolo posso- no ripristinarla nell’ antico suo splendore. Le provincie dell’ Affrica sono distaccate del tutto 107 dalla Turchia, e se le prestano qualche aiuto nella guerra contro i greci, lo fanno per ispirito di religione, e per amore di ladroneccio. La potenza dei Z°ehabiti non è distrutta , e va anzi ripigliando nuove forze nell’ interno dell’ Arabia. La guerra coi persiani ha dimostrato che an- che la Mesopotamia ed i Drusii nella Soria, seno di fatto indipendenti. Nell’ interno dell’ Asia minore sono stati commessi degli orrori; e nella prima guerra colla Russia si vedrà conquistato facilissimamente tutto l’ antico stato degl’ imperatori di Zrebisonda: e mentre che 1’ Europa sta attenta per non lasciare inghiottire ai russi Ja Turehia europea col soccorso dei greci, altri cristiani, ed un altro popolo, presteranno loro dei servigi più grandi nell’ Asia. Avanti di terminare questo articolo, devo rispondere a quelli che mi diranno: ma come ha potuto dunque sus- sistere fino ad ora questo impero? avrà senza dubbio qualche cosa che lo salva. E poi non parlano tutti della buona fede dei turchi, e della loro ospitalità? L’ uomo che rapisce i frutti dell’ altrui sudore, è ospitaliero senza grand’ incomodo. Un grand’impero può resistere lungo tempo agli urti che lo scuotono, colla mole stessa della sua estensione. Nell’ Asia, e nell’ Affrica non hanno i turchi un nemico che possa attaccarli , e si è veduto cosa hanno potuto fare gl’ ignoranti e poveri vehabditi. Che si ponga mente alla resistenza dei greci, i quali pel corso di tre anni hanno superati tutti gli sforzi dei turchi, malgrado i loro inconvenienti interni ed esterni. È fuor di dubbio che i turchi conservino la fede delle promesse, ma questo riguarda i particolari, e poi non è tanto gene- rale , e non deriva da idee nette sull’onesto, e sul giusto. Il turco commercia poco , e preferisce di rapire e di ru- bare. E se gli manca qualche cosa, il greco, l’ armeno e l’ ebreo sono là per fornirgli tuito il bisognevole. I miei lettori sarebbero forse più curiosi di vedere dei quadri particolari di tutti i diversi popoli che abita- 108 no la Turchia , sulla loro origine, la loro lingua e la loro istoria ; ma un tal soggetto richiede maggiore spazio , e potrò anche contentarli in-qualche altro articolo. Il pre- sente è divenuto abbastanza lungo, e devo terminarlo ; protestando per altro che la mia immaginazione non mi ha fornito nulla, e che non ho fatto altro che esporre l’intiera mia opinione sui turchi. (NIOCTA Sopra una lezione di bella letteratura del prof. Ville- main di Parigi, lettera al direttore dell’ Antologia. Parigi 25 Gennaro 1824. Mio caro amico . Io m'era proposto di prendere oggi la penna in ma- no per rispondere alla gratissima vostra del 13 corrente; ma, come accade a colui che intento a faccenda piacevole sì, ma ordinaria, è soprappreso da forte e straordinaria sensazione, che rompe il filo delle presenti idee, continuo sì nel primo proposito di scrivervi, ma cambiato consi- glio, intendo parlarvi di cose affatto diverse del nostro ordinario carteggio . i Sappiate dunque, che quest’ oggi ho passato un’ ora e mezzo circa in una quasi direi estasi letteraria, udendo una lezione di bella letteratura del prof. Villemain nella gran sala dell'antica Sorbona di Parigi. Dio buono! Quanto è vero ciò che diceva Cicerone, cioè che il tempo distrug- ge i deliri, dell’ opinione, e conferma i giudizi della na- tura. Cominciando dal Boileau , e procedendo fino al Voltaire e al la Harpe, con quanta leggerezza, per non dire ingiustizia, sia stato giudicato in Francia il nostro sommo Epico, lo sanno tatti quelli che-hanno letto le pa- gine immortali de’ primi, due scrittori, per non parlare 109 dell’ ultimo, il quale, come ad unanime approvazione della numerosa e scelta udienza il menzionato professore ha francamente asserito , traduceva dalle opere straniere senza intenderne, o saperne la lingua (1). Con tutto que- sto però bisogna confessare che la Gerusalemme liberata ha sempre avuto in Francia, spezialmente dopo la pub- blicazione della Storia letteraria dell’ Italia del signor Ginguené, un buon numero d’ammiratori; anzi questi medesimi lo inalzano al di sopra dell’ Ariosto contro il parere di alcuni Italiani (2), che questo a quello sogliono preferire. Qualunque però siano state o siano le antecipate opi- nioni de' letterati francesi intorno al Tasso, a me pare che il P. Villemain in due lezioni consecutive ne abbia fissata la vera norma, e se altre ne restano nelle opere de’ loro maestri che siano o meno esatte o del tutto false, parmi ch’ ei sia disposto a correggere le une, ed attissimo a distruggere le altre. o |. Figuratevi, caro amico, quella gran sala (dove per avventura il nostro gran padre Alighieri disputò in ber- retto e zimarra teologica, co’ discepoli di P. Abailardo), figuratevela, dico, piena zeppa d’uditori d'ogni età; grado, ceto e nazione. Tre o quattro cento giovani studenti fran- cesi, componevano, com’ era naturale , il maggior nume- (1) Io son d’opinione che la medesima causa possa. scusare anche i primi due, ed altri rispettabili letterati francesi. Di fatti, egli è certo che il sommo Voltaire inetà più avanzata , conoscen- do meglio la lingua italiana, rettificò molti de’ suoi giudizi ed o- pinioni intorno a Dante, all’Ariosto, e al Tasso medesimo. (2) Una tale diversità di giudizi nasce dalla diversa dispo- sizione degli animi de’ giudicanti , dalla loro maggiore o minore adesione alle regole classiche dell’arte, e dall’intrinseco valore che loro attribuiscono. Egli è certo che la Gerusalemme e il Furioso differiscono grandemente nel genere, nella materia e nel- la forma, intendendo particolarmente per questa. anche il ma- neggio della lingua. 110 ro della prima specie, e dell’ ultima notai molti signori russi, ai quali l’amor di patria fa per avventura concepi- re la nobile speranza che la loro crescente letteratura pos- sa un giorno pervenire a quella grandezza a cui le lette- .rature meridionali successivamente pervennero nei cinque secoli già decorsi. Cominciò il dotto professore il suo di- scorso , € lo proseguì tessendolo tutto con singolare ed in- gegnoso artifizio in forma drammatica. Dopo la precedente. lezione , ei finge d’ avere incontrato un suo dotto amico francese, il quale con quel calore che l'amor dell’arte. ispira, gli dice: « Voi avete bene e saviamente dissertato, ma in fine a che si son ridotte le vostre osservazioni sulla Gerusalemme? Dopo averne indicati alcuni pregi generali e rilevate alcune particolari bellezze e difetti, vi siete molto compiaciuto di arrestarvi sul carattere, sulle av- venture, e sulla sorte infelice di questo gran poeta: ma pensate voi d'esservi sdebitato con ciò verso lui, e verso. la numerosa gioventù che concorre ad ascoltarvi? Bisogna caro amico; che mostriate non solo la magnificenza, l’am- piezza esteriore , di questo grande edifizio poetico, ma fa pur d'uopo che penetrando nelle più interne parti, n’esa- miniate l’ ordine, la struttura, e la corrispondenza al fi- ne proposto; la proprietà e gli ornamenti , la saggia loro scelta e distribuzione, la giudiziosa mescolanza dei diversi generi, e che in fine secondo il precetto, classico del sim- plex dumtaxat et unum, facciate risultare quell’ unità , ch’ è il fondamento del Bello nell’opere dell’arte ». Fatto questo preambulo l’ amico stesso. , introdotto a parlare, si pone ad esporre , ad esaminare , e. a giudicare quello che noi diremmo progressiva condotta, di tutto il poema . Nè crediate già ch'io voglia o. possa qui seguire a passo a passo il fecondo ed elegante dicitore nella sua fe- dele sposizione , e ne’ suoi biadini sulle diverse parti del poema, ma gradirete per avventura che alcune cose vi accenni, che mi hanno fatto maggiore impressione sia per 111 la loro importanza, sia pel vezzo di spontanea e facile eloquenza, sia infine per una: cert'aria di novità che a me per lo meno sembrano avere. Dopo aver considerato i no- bili e solidi fondamenti di quella macchina epica nel primo canto , egli passò a giudicare il celebre episodio del secondo, creduto inutile e come non legato col resto dal Voltaire arzcora giovane, e da altri critici francesi che fecero eco a quel celebre scrittore. Egli è ben vero. che con Ginguené e con altri critici, lo qualificò come utile ed opportuno episodio per introdurre in isplendida maniera sulla scena del poema l’ interessante e nobile personaggio di Clorinda, ma egli accennò che nella pre- cedente lezione avevalo dimostrato come necessario e ben legato con l’unità del resto, ad evitare uno scoglio di mo- rale inconvenienza di carattere del vecchio Aladino , nel quale per rispetto di quello di Turno contrapposto ad E- nea, urtò il gran Marone. Di fatto tutti ammirano in que- sto giovane principe italiano un carattere fiero, magnani- mo, intollerante, che coraggiosamente si oppone ai ma- neggi e alle soperchierie del pietoso Enea, il quale sospinto dal fato viene inopinatamente da stranio paese a rapirgli la sposa , ed una ricca successione. Qual odioso carattere ha egli, o qual vituperevole azione ha egli commesso per sua mala indole e natura, perchè c’interessiamo non a lui ma all’eroe trojano, e ginstifichiamo l'ingiustizia dell’at- tentato di costui? Certo Venere e Giunone si erano messe d’accordo, e il Padre degli uomini e degli dei doveva an- ch'egli obbedire alato, ma nell’immutabile e ferrea volontà di quest’Ente, quale ch’ei siasi, deve pure scorgersi, oalme- nointravedersi qualche ombra di giustiziae di rettitudine, oltre quella dell’ tilità. Perocchè le azioni ordinate a ri- svegliare la nostra ammirazione debbono essere non solo utili, ma belle ed oneste, ed a questa norma immutabile ed eterna, debbe pur conformarsi quell’ Essere immuta- bile ed eterno che governa le cose umane, se pure non 112 vogliamo essere pretti manichei, ed ammettere non solo un Arimane ma la sua fatale preponderanza sopra il buo- no Oromaze; lo che non è fondato in ragione, cioè nella natura del notro concepire. Il fatto sta, che per queste inconvenienze morali, alla fine del poemaVirgiliano, quan- dola vita del giovane Turno fugge e precipita sdegnosa fra l’ombre d’averno, troncata dalla mano del tenero sposo di | Creusa, dal pietoso figlio d’ Anchise, e dal galante sedut- tore ‘della vedova di Sicheo, quanto sento di commisera- zione e di stima verso il primo, altrettanto e forse più sevto di disprezzo e d’ aborrimento verso il secondo. Or nel poema del Tasso, il pietoso Buglione è scel- to da Dio per cacciare i Saracini da un paese sacro alle venerabili memorie della religione dominante in Europa, e sbalzare dal trono un vecchio regnante che gli governa . Se quest” uomo avesse tenuto un reggimento paterno , ed avesse permesso sì ai cristiani il libero esercizio della lo- ro religione, come ai pellegrini europei la facoltà di visi- tare il santo Sepolcro; se insomma non avesse tenuto sotto |’ oppressione d’ un despota i primi, e vessati e anga- riati in mille modi i secondi, con qual diritto se non con quello della forza, delP ambizione, e dell’avarizia, sareb- bero andati sotto il comando del Buglione a conquistar quel paese lontano? Si sarebbe allora potuto attribuire al- la volontà e alla potenza divina l’idea di quella spedizio- ne e il suo felice risultato? Quindi, quando il Tasso era in tutto il suo buon senno, non intitolò it suo poema la Geru- salemme conquistata, ma la Gerusalemme liberata, nè si contentò a dire che Dio sceglieva il Buglione A liberar Gerusalemme oppressa nelle persone de’ suoi antichi abitanti , e ad accennare in generale le oppressioni che soffrivano, ma volle ancora metterne sotto gli occhi del suo lettore una che nelle sue particolarità tutte le altre rappresentasse, e farla nel tempo stesso servire, non solo alle belle comparse della generosa 113 Glorinda sulla scena dell'azione, ma ancora a rendere som- mamente odioso il vecchio Aladino, e a fondare la vera gloria del Buglione e la giustizia della sua causa . Queste ed altre simili osservazioni aveva fatte per av- ventura l’ eloquente professore nella precedente lezione, alla quale non potei assistere, perchè ne aveva già ricono- sciuta la giustezza in un colloquio avuto con un letterato italiano, e perchè entravano nel suo piano di difesa del poe- ma . Ed a proposito del suddetto episodio, una delle più belle e giudiziose narrazioni che si trovino nella moderna e nell’ antica Epopea, e che il Tasso, tutto che flessibile alle rimostranze letterarie degli amici, s’ostinò a ritenere, sì potrebbe domandare se debba escludersi dalla generale censura che lo stesso sig. Ginguené fece di tutte le narra- zioni della Gerusalemme, allorch’ ei disse ( Hist. litt. de l’ Italie, tom. V. pag. 364. ):: «Dans les narrations, on peut regarder comme un dé- faut opposé à ce jugement, à cette sagesse, à ce bon sens que recommande Horace, et que les deux anciens maîtres de i’ Epopée ne blessent jamais; toute circonstance inuti- le, et qui ne sert que d’un vain ornement; tout détail mi- nutieux, tout effet exagéré , toute particularité purement et inutilement accessoire , etc. etc. ,, To sono di sentimento che non solo questa narra- zione dettata sempre con giudizio e buon senso , ma talu- ne ancora delle altre debbano escludersi da questo trop- po severo anatema . Perocchè quando il Tasso compose il suo poema, non era travagliato di spirito, come dopo averlo pubblicato, quando sospettò per fino d”avere avuto il pensiero di comporre non un vero poema epico, ma un’ allegoria ; egli era giovine, e giovane ardente di glo- ria e d'amore. Quindi. se vogliamo trovar la causa non solo degli accennati difetti in a/cure sue narrazioni, in quelle specialmente nelle quali o direttamente o indiret- tamente entra la bell’Armida, la dobbiamo cercare, come T. XHI. Marzo $ 14: hà benissimo osservato il nostro. egregio professore, in quel. lusso d’ imagini, in quella sovrabbondanza di. rap- porti, in quella forza di colori troppo vivi, che sono il pro- dotto passeggiero di brevi deviamenti d’ un’ immagina- zione piena e trasportata dalla più possente delle umane affezioni;,, e l’indizio di piccole perdite parziali in una gran battaglia fra lei e il buon giudizio, il quale alla fine riporta una compita vittoria. Da questa sorgente final- mente debbono derivarsi i difetti notati per troppo stu- diodi parte dal giovare Galileo, le antitesi ricercate , i-rapporti forzati, ec. Crediamo noi che questo gran pre- cursere; e maestro di Newton, dopo aver profondamen- te meditato sulla natura e sul generale sistema delle sue parti, portasse il medesimo giudizio sul merito intrinseco e reale della Gerusalemme? Certamente non lo portò nè egli, nè que’ suoi concittadini, i quali ascritti e congrega - ti in particolari accademie letterarie commendarono e di- fesero il poema del Tasso, condannarono ben presto all’ oblio e al disprezzo le rabbiose invettive de’ due barbassori, che staccatisi con altri pochi dal loro corpo, avevano get- tati i primi fondamenti della nuova Accademia della Cru- sca. Il Salviati e Bastiano de’ Rossi erano certamente buo- ni grammatici, ma non per avventura buoni filosofi, e va- levano qualche cosa nella dispensa di Messer Apollo, ma non nella sua splendida sala d’udienza, dov'ei riceve i gran- di dignitarii, cioè gli altissimi ingegni d’ogni età. e na- zione. Io non vi parlerò, amico mio, di quanto il profess, Villemain ha saggiamente notato sulla rassegna prima dell’ esercito Cristiano, e sull’ ultima dell’ Egiziano; sulla bellezza, proprietà e forza dei caratteri. dei primi perso- naggi della Gerusalemme sì Cristiani come Pagani; della gradazione giudiziosa data ai colori per distinguere nelle medesime forti pitture.i primi dai secondi, sulla deserizio. ne delle battaglie, ec. ec: anzi non posso neppur trattener- 115 mi per farvi gustare le sue filosofiche riflessioni sulla con- veniente e felice invenzione della selva incantata, soggetto anch’ essa di critica riprovazione d’alcuni. Non posso però far di meno di non accennarvi alcune ri flessioni dell’illu- stre professore intorno ad un altro non meno ‘bello e su- blime episodio del poema, quello cioè dove un ‘solo super- stite della orribile strage, fatta dal tremendo e ‘sempre nell’ avversa fortuna invincibile Solimano , delle schiere Danesi capitanate da Sveno, racconta i particolari di quel sanguinoso combattimento, e della morte del cond ottiere. Questo episodio fu, com’ egli è evidente , immaginato ‘dal Tasso per introdurre sulla scena d’azione il gran Solimano, e grande veramente ci comparisce : ma i critici osservano che Massimo di Tiro raccontando un tal fatto , aggiunge che questo valoroso giovane era accompagnato da un’amo- rosa e bella principessa; onde la dolorosa situazione di lei per la perdita dell’ adorato principe poteva somministrare al Tasso un bel campo per introdurre oppurtunamente questo personaggio istorico , che lo avrebbe fornito d’ un soggetto o patetico, o maraviglioso, in una parola interes- sante. Ma il prof. Villemain ha con molta giustezza os- servato in generale che il Tasso non era tale dal perder di vista le belle proporzioni , e quella sobria e giudiziosa distribuzione d’ ornamenti che un poema richiede. Di questo genere ne aveva abbastanza nella Sofronia , in Ar- mida , in Erminia, in Clorinda, in Gildippe. Un accumu- lamento più grande d’ avventure donnesche sarebbe stato di troppo, e perciò vizioso. Al'che parmi, che si potrebbe aggiungere, che il Tasso aveva messo in azione l’ amore saggio e matronale in Sofronia , il disordinato e voluttuo. so in Armida, l’ ordinato e tenero in Erminia , il fiero ed intrattabile in Clorinda, e il conjugale in Gildippe ed Odoardo amanti e sposi caduti l’uno accanto all’ altro perla spada del feroce sul- tano di Nicea; e non contento di questo quadro patetico 116 ne dà ‘infine una piccola miniatura nella tengegnia dell’ e» sercito ‘egiziano , allorchè ei canta Nè te, Altamoro, entro al pudico letto Potuto ha ritener la sposa amata ec. Che sarebbe dunque restato per rendere interessante il personaggio della bella principessa che accompagnava il giovane Sveno ? Che se alcuno mi dicesse, ch’ e gli avreb- be potuto rappresentare in essa una delle donne menzio. nate, io direi che quelle erano già benissimo, e con mira. bile artifizio introdotte, e che il Tasso allora avrebbe imi- tato troppo d’ appresso l’Ariosto nei particolari principali, riproducendo o la.sua Bradamante, o la sua Isabella. Que. sta è riprodotta quasi nella sua Erminia, ma con quanto diversi non men belli e soavi colori, e 1’ istesso può dirsi quanto a, Marfisa riferita a Clorinda . Risponderei ancora che questa nuova douna avrebbe formato un episodio d’ episodio, e queste deviazioni erano permesse all’ Ariosto ma non al Tasso. Di fatto l’ Ariosto dicendo nella sua protasi ; Le donne, i cavalier, l’ armi, e gli amori Le cortesi, l’ audaci imprese io canto ec. dice che vuol cantar di molte cose, e non d'’ una sola, cioè di molte e varie avventure romanzesche avvenute in un certo tempo; non dice di voler cantare la liberazione di Parigi. Ma il Tasso si propone di cantare una cosa sola, cioè la liberazione del Santo Sepolcro: Canto l’ armi pietose e ’1 capitano Che il gran sepolcro liberò di Cristo ec. A questo scopo o risultato egli deve sempre mirare, verso questo interessante avvenimento debb' egli affrettarsi, se- condo il precetto Oraziano , e non deve come il primo prolungare l’ azione a suo piacere con episodi di secondo ordine, comunque fossero per essere di bello effetto, il che quanto era opportuno e dicevole nel general disegno del Furioso, altrettanto doveva evitarsi nel Goffredo . Solto quest’aspetto principalmente io credo che deb- 117 bano riguardarsi le nostre due famose epopee, quando vogliasi mettere l’ una a confronto dell’altra, e se ammi. riamo la prima per la varietà dei colori versati da ricca vena d’immaginazione, dovremmo sempre ammirare la seconda per la sapienza e il buon giudizio che vi regna . E sopra questo pernio si è costantemente aggirata la le- zione del nostro professore, quando seguentemente ha parlato della invenzione del bosco incantato, del giardi- no d’Armida, e degli ultimi suoi sforzi nel campo Egi- ziano ec. Il timore di eccedere i limiti d’ una lettera, e quello di non alterare per quanto posso le idee del mede- simo professore , acquistate pe’ soli orecchi , mi obbliga a stringere in queste poche linee le sue considerazioni in- torno ai punti sopra indicati, e di passare oltre questi ul- timi. Egli su tutti questi durò a parlare per circa un'ora , e ne spese poi più d’un’altra mezza, introducendo a par- lare un’amico italiano, incontrato da lui dopo il francese; il quale italiano gli dice: esser verissimo trovarsi alcuni difetti di stile nella Gerusalemme, come il giovane Ga- lileo ed altri hanno notato; ma oltrechè questi derivano parte dalla naturale intemperanza d’ un’ ardente e ricca immaginazione del poeta ancora giovane, parte dall’ esu- berante ricchezza della lingua italiana, parte da pochi cat - tivi esempi del Petrarca ec. bisognava convenire ch’ erano poche e piccole macchie in un sole, che tanto gettava di splendore anche nel medesimo genere; e qui, come sug- geritogli dall'amico, ha tradotto dal testo con tutto il lusso e l’eleganza, di che è suscettiva la prosa della sua lingua, alcuni fra i moltissimi pezzi scritti con bella correzione di stile, fra quali mi sovviene quello della morte di Clo- rinda, quella bella similitudine tratta dalle vaste inonda- zioni del Pò, che accresciuto da molti fiumi diapl arsoi Apare Che porti guerra e non tributo al mare ee, Quale credete, mio caro Vieusseux, che sia stato lo * 118 scopo che mi sono prefisso nello scrivervi questa lettera ? Quello di convincer voi e i miei compatriotti che a poco a poco va compiendosi il voto espresso dal nostro Prof, Salfi, continuatore della Storia letteraria d’ Italia di Ginguenè (nome che sarà sempre di cara ricordanza a lui, a me,e a tutti gl’ Italiani) quando sulla fine dell’ elogio da lui dettato di questo insigne letterato francese, osser- va che l’ opera di esso Ginguené possa essere come l’olivo della pace letteraria fra le due nazioni, e che i dotti del- l’ una e dell’ altra, scossi i pregiudizi, i rancori, e la riva- lità, impareranno vicendevolmente a stimarsi senza studio di parte. Il menzionato prof. Villemain , 1’ autore della bella versione in francese della Repubblica di Cicerone, e delle felici sue divinazioni aggiuntevi, ne va sommini- strando in tutte le sue applaudite lezioni una riprova ben luminosa . LAMPREDI. Waverley, or? Tissixty years since. (ossia sessanta anni fà.)—Quentin Durvvard.—Romanzi di WALTER Scorr. Articolo II. Del Romanzo storico, e di Walter Scott. Le immagini a ciascuno in mente desta, Glie le figura quasi, e glie le addita. Gerusal., Canto XX, Tanti sono i libri, che si pubblicano al dì d’oggi in diverse parti di Europa, che si rende più che mi ardua cosa assegnare a ciascuno quel vero grado che gli compete di. censura, o di lode. E siccome l’attual generazione accorda molta importanza alla politica, assai spesso i giu- dizi letterari dipendono dalla differenza, o conformità o) r19 d’ opinione , che esiste su tale argomento fra critico ed autore. Sicchè pubblicandosi opere, le quali, comunque non appartenenti ai più gravi generi di letteratura, si leggono volentieri da tutti, e con l'ammirazione universale sì procacciano, benchè non assoluto, il suffragio dei dotti, non sarà senza motivo, nè senza profitto, ricercare quali siano i loro legittimi titolia tanto e così unanime applau- so. Parliamo dei romanzi storici in lingua inglese, senza nome di autore, e che generalmente si attribuiscono all’.il- lustre Walter Scott. (1) In pochi anni ne sono venuti alla luce diciassette ; ma la natura di questo giornale non permette che si dia ragguaglio partitamente d’ ognuno. (2) Ci limiteremo a (1) Walter Scott era già rinomato per i suoi poemi, tra i quali si distingue la Donna del Lago, nota all'Italia per più d’una traduzione. Da qualche tempo a questa parte egli ha lasciato la poesia, e in apparenza ogni altro lavoro letterario, poichè dei romanzi, sebbene non abbia mai negato, non ha mai convenuto d'essere autore. Ma l’Europa glieli attribuisce, ed anche in Inghilterra, ove per qualche tempo si è disputato se suoi fossero, o nò, ora per universal consenso si chiamano romanzi di Walter Scott. Noi adottiamo la comune opinione , senza toccare i diritti, che altri potessero far valere in seguito. (2) Il primo fu Waverley, che non porta nome d’autore. Negli altri si legge in fronte = dell’ autore di FVaverley =. Eccone i | titoli. Guy Mannering The Autiquary Rob Roy The Black dwarf Old Mortality The Heart of Mid Lothian The Bride of Lammermoor The Legend of Montrose I cinque ultimi vengono chiamati Racconti del mio Ostiere. Ivanhoe Kenilworth The Monastery | 120 riferire con la maggior brevità. possibile I’ argomento del primo, e dell’ultimo, quantunque non intendiamo decidere che siano i migliori. Prima però si osservi l'indole generale di questo scrittore, e la qualità dei famosi suoi romanzi. A molti è sembrato che il rispetto sacro, dovuto alla verità , potendo essere offeso dalla combinazione di fatti storici con avventure romanzesche , questo ritrovato dei moderni debba piuttosto chiamarsi perdita che guadagno pei buoni studi. In simile concetto romanzo storico si con- sidererebbe sinonimo di storia romanzesca, e la stessa cen- sura caderebbe sull’ annalista che altera la verità, di cui esso si è dichiarato interpetre , e l'inventore di un piace- vole racconto, nel quale dandosi luogo a personaggi reali, volessero rappresentarsi con quelle sembianze, che furon proprie del loro individuo, del lor secolo, e della loro nazione. Ma veramente la differenza che passa tra i due non è minore (si perdoni il confronto) di quella , che esiste fra il ciarlatano, che ti vende come balsamo le sue perniciose droghe, e il chimico diligente, che non dissimula di diverse sostanze esser composto il suo amalgama, onde ta sappia co- me, e sino a che segno possa giovarti. Gli uomini non sa- The Abbot The Pirate The Fortunes of Nigel Peveril of the Peak Quentin Durward Nella traduzione francese è stato mutato nome ad alcune di queste opere. (*) (*) Mentre quest’ articolo è sotto il torchio leggiamo nel Mercure du dix” neuvieme siècle la lettera d’un Zuglese , nella quale si dice che secondo tutte le apparenze i romanzi dell’autore di Waverley sono opera del sig. Greenfield , e non già di Walter Scoti, e che questo non ha scritto se non le poesie, che quà e là vi si incontrano, e le introduzioni. Si aggiunge che nella Rivista d’Edimburgo si leggerà una dissertazione dello stesso Walter Scott, nella quale egli esamina se i romanzi che gli vengono attribuiti sono suoi. Siano vere o false queste notizie , ci sembrano aver più curiosità che importanza. Se il sig Greenfield è 1’ autore dei romanzi, avremo parlato delle sue opere , e lodato i suoi meriti, e il lettore non dovrà far altro che sostituire il di lui nome tutte ie volte che incontra quello di Walter Scott. 121 ranno mai ingannati laddove non si vorrà ingannarli. Ma pure, come si pensa che Ja verità storica possa debilitarsi, orimaner velata, e presso chi? Presso coloro, che sono stu- diosi e pratici di storia non pare; poichè, se avranno a memoria il ritratto, a cagion d’ esempio , d’Alessandro Ma- gno, quale sì trova delineato in Ariano, o in Plutarco, non riceveranno impressione alcuna da tale autore , che intro- ducendo in un’opera d’ immaginazione lo stesso eroe, lo dipingesse malamente, e sotto aspetto non suo. E coloro, che non posero mai occhio sopra documenti storici, potranno anzi riportar benefizio dalla lettura di un romanzo della specie che ragioniamo , poichè non è improbabile che sve” gli in essi utile curiosità , e li diriga verso lo studio di casi veri in autori veridici. L’ amore della sapienza , se fa tanto di nascere in cuor gentile , è come la favilla foriera della fiamma; e quando hai seguitato con viva attenzione le im- maginarie avventure applicate a certe epoche, o a certi personaggi storici, di leggieri t'invogli di conoscere i fatti, quali sono realmente avvenuti, e con qual grado di fedeltà li abbia il romanzo ricordati. (3) Ove ciò non si ottenga, avranno pure appreso qualche cosa di men che falso talune menti , che per leggerezza o pigrizia non ne sarebbero state altrimenti capaci. Che se per difetto dello scrittore fosse ancor questo impossibile , egli solo meriterà censura , quando non si voglia apporre all’arte le colpe dell’artista. Se ì miei racconti, dice il romanziere scozzese, potessero indurre qualche ozioso a studiare la storia della sua patria, dovrò io temere di esserne biasimato ? (4) E il celebre sig. Sismondi, scrivendo la Iulia Severa, ha certo creduto d’il- lustrare i primi secoli della Monarchia Francese, e della storia, ch’ei ne va pubblicando, e sembra aver considerato questo romanzo molto opportuna appendice. (3) Introduzione al Peveril of the Peak. (4) Introduzione alle Avventure di Nigel. 122 «Chi nega stima al genere di Walter Scott non ha forse avvertito che i più famosi poemi epici, compreso l’ Iliade, l' Eneide, e l’ Odissea, se per un momento li spogliamo dei loro attribuiti poetici, e delle loro metri» che forme, conservano varie altre condizioni essenzialis- sime, che ad essi, e alromanzo storico sono comuni. Quan- do il poeta sceglie a suo eroe un personaggio che è real. mente esistito, e quando l’azione della sua Epopeja è realmente accaduta , viene a determinarsi un'epoca certa, ed egli è obbligato, secondo ogni canone di buona critica, ed aggiungiamo di buon senso, a non dilungarsi dalla verità nella pittura generale dei costumi, e non può nemmeno alterarla rispetto al carattere degl’individui , che la storia gli ha somministrati. Con tutto questo la parte favolosa di un poema non vuol’ essere esclusa , e l’alleanza del finto col vero non riesce, per universale opinione, menoma- ‘ menle incompatibile. Lungi da noi il pensiero d’instituir confronti, ma l’ Odissea, diversificata, com’ ella è , nel suo argomento, or umile , or eroico, che or ti descrive ca- panne, e pastori, or ti conduce nei palazzi del Re d’Itaca, o di Sparta, contiene molti elementi del romanzo storico, e reca una qualità di diletto, che sovente in questo si ritrova. Ma senza parlare oltre d’ Omero e Virgilio, giac- chè poco lume abbiamo intorno all’epoche ove è posta l’ azione dei loro poemi, e così non ci è dato di conoscere in qual rapporto siano essi verso la storia, ci sembra di poter meglio applicare il nostro ragionamento alla Geru- salemme liberata. La fedele osservazione dei costumi del tempo, e il carattere di molti, che si recarono alla con- quista di Palestina, delineato conforme alle tradizioni scritte, son pregi di questo lavoro immortale, che fra tanti altri si notano da chi è anche mediocremente istrutto ne- gli avvenimenti delle Crociate. Eppure, sebbene l'ingegno fecondo del poeta sabbia intessuto fregi al vero, ed abbia adornato le carte con vario genere di diletti , nessuno osò 123 asserire che dalla lettura della Gerusalemme possano ac- quistarsi nozioni false su quelle fortunose epoche dei po- poli moderni. Anzi essa rappresenta , come in rilievo , il vero della storia ai dotti che sanno distinguerlo , e sepa- rar lo dagli ornamenti accessori , ond’ è accompagnato, mentre il vero condito dall’ immaginazione e dall’ arte , ser ve ad allettare i più schivi, e senza sforzo li persua- de. Queste parole di Torquato noi le rispondiamo ai de- trattori del romanzo storico. Ma ci sia norma il fatto. Non è alcuno che ignori, come i grandi avvenimenti nascano da piccole cause, e come gli uomini, anche posti nel più eminente grado che dir si possa, non giungano a liberarsi dalle lor vane e prave ‘ passioni , e perciò sì trovino spesso in contatto con altri nomini , vili di nascita e d’ animo, e le cui qualità e sen- timenti agiscono di soppiatto, e producono grandi conse- guenze. Ma la storia, che di queste nulla omette, ci lascia assai spesso in totale ignoranza sulla segreta causa, che ebbero , nè potrebbe invero istruircene, senza detrimento del suo fine, che è la nuda verità. Chi dirà allo storico quan- do, e dove, e per opera di chi cominciò il tortuoso raggiro, che fu remota origine alle risoluzioni del Principe, e recò allo stato gloria, o disastri? Coloro che vi ebber parte, hanno interesse a nascondersi e tacere , e tutti gli altri sono ridotti a nutrire un sospetto od a formare un'ipotesi. Mas- simamente quando la civilizzazione è poco avanzata, e manca nei popoli critica e letteratura, non sarà poco se qualche incolto narratore verrà scrivendo ciò che è di mano in mano accaduto ai suoi tempi; ma privo di ogni filoso- fia, e non immaginando qual sia l’ uso della storia, le sue cronache non somministreranno alcuna istruzione morale, e dovremo piuttosto indovinare che giudicare gli uomini € le cose, che egli ci reca dinanzi agli occhi. In altre più fortunate epoche abbondano i materiali, e negli autori contemporanei s'incontra diligenza e criterio: Luttavia sono 124 essi nell’impossibilità di conoscere molte rilevanti circo- stanze; che hanno preceduto, accompagnato, e seguito un gran fatto, quelle circostanze, che dipendono dalle debo- lezze, dalle passioni, e dai vizi del Re, del Ministro, e forse dell’infimo suddito. Inoltre la dignità della storia ci toglie di penetrare e di trattenersi nell’interne stanze ove questi si riducono , di vedere ciò che ivi si faccia, ascol- tare ciò che vi si dica. In tale aspetto , le gravi lezioni di questa maestra della vita sono di necessità deficienti, ed ella apparisce come un testimonio, che non dice certo menzogne, ma non vuole o non può manifestare tutta la verità. Se dunque la verità, per esserci in parte occulta, non porta seco tutta l’ istruzione morale, di cui siamo avidi, non sarà male chiedere aiuto alla verisimiglianza , con- fermato prima negli storici il dovere di narrare soltanto ciò che posa sopra dati certi ed autentici documenti, e di non sostituirvi giammai apparenza comunque speciosa, e supposizione comunque plausibile. Così non avremo per. duto niente da un lato, e dall’ altro l'ingegno del roman- ziere ci darà ragguaglio di molte cose, che non si arrogan posto fra le accadute, ma siccome a queste non ripugnano, harno valore d’ illustrarle. Illustrare la storia, senza invadere ciò che è di sua esclusiva pertinenza , e senza mettersi in opposizione con le verità generali, che ella insegna, è la lode propria di Walter Scott. In un mare, famoso per naufragi, egli ha trovato la direzione, che altri non videro, e si è reso mo- dello in un genere istruttivo e dilettevole a pari grado. Si è egli prefisso d’ innestare nei casi finti .d’ignoti indi- vidui il prospetto in grande delle vicende politiche delle nazioni , in modo che gli avvenimenti generali , e la vita privata gli servissero, come di tema, per ridurciin mente i costumi di tale o tale altro popolo a una data epoca. È ormai assioma critico, che lo storico, non solo debba nar- 125 rare le gesta dei conquistatori, la virtù o l’ignavia di chi domina, ma ben anche ricordare lo stato morale della so- cietà, le alterazioni in bene o in male che esso sperimenta, i progressi della civilizzazione, e dell'industria umana. Trattata su queste basi, l’istoria vale a farci conoscere gli uomini in massa , la società tutta nel suo aspetto generale ed esterno. Ma noi amiamo anche di vedere l’interno delle famiglie , e illoro vivere domestico, d’apprendere i costu- mi, l’ educazione, le consuetudini, le opinioni, li pregiu- dizi, l'influenza di tutte queste cose sugli avvenimenti po- litici, e reciprocamente degli avvenimenti politici sù di esse. Non potendo la storia abbracciarle, nè dar loro quel- l'estensione che meritano, elleno formano soggetto di se- parato supplemento; ma se venissero descritte in un trat- tato, o registrate in una serie di dissertazioni, uopo è confessare che non ecciterebbero curiosità se non fra eru- diti di professione. Importa di collegare insieme tante no- tizie isolate, di maniera che abbiano unità e interesse» Questo effetto si ottiene spargendole opportunamente en- tro un racconto seguitato , ove sia azione e movimento d’affetti. Laonde, così concepito, non è paradosso chiamare il romanzo vero supplemento alla storia (5) . (5) Avvertiamo come Walter Scott introduce spesso quei detti notabili, che per sorte ci sono stati conservati. Per esempio nel Waverley (Tom. 3. Capitol. 3.) troviamo molto a proposito ado- perate le ardite parole, che disse dal pulpito il predicatore pre- sbiteriano d’ Edinburgo, mentre la città era in possesso del prin- cipe Stuart figlio del Pretendente. ,, E quanto al principe, che è venuto fra noi per cercare una corona terrestre , concedi, o Si- gnore, ch’ egli abbia presto in cielo la corona di gloria ,, ( Humes continuation by Smollett, Lib. 2. Cap. 8,). E nel Quentin Dur- ward (Tom. I. Cap. 8.) ci è ridotto in mente il discorso di un gentiluomo francese a Luigi XI. quando il Cardinal Labalue volea . dare istruzioni ai soldati. ,, Prego vostra Maestà di mandarmi a regolare il clero, poichè il cardinale fa far l’ esercizio ai sol- dati, 126 Con tutto questo ci sembra andare errato chi non vede nel romanzo di Walter Scott se non particolari rag- guagli di costumi e d’ usanze, e in esso non riconosce come la sincera pittura degli umani affetti in loro stessi, ossia l'istruzione morale, faccia sempre acquistar consi- stenza all’istruzione storica, e l’avvalori, e l’ accrediti. La massa dei lettori d'ogni paese d’ Europa non si sareb- be invaghita delle sue opere, se altro non contenessero che notizie utili, all’antiquario, o (parlando delle sue belle descrizioni locali ) curiose pel geografo osservatore ; comunque ben distribuite in un connesso argomento , e.a tempo e con vaghezza introdotte ; e invano si domande- rebbe qual'è la prerogativa , che lo rende più dilettevole di altri celebri romanzieri, sebbene da qualche lato gli siano superiori. Ma, a parer nostro, potrà rispondersi, che essi considerano la famiglia umana nei suoi cavatteri ge- nerali, e somigliano al naturalista, che non formasse ar- gomento delle sue lezioni le qualità distinte di ogui specie, ma intendesse solamente a renderne istrutti di ciò che spetta al genere; laddove Walter Scott ci appaga in due modi, e chiamandoci fra uomini, che hanno con noi molta conformità che sappiamo, e qualche differenza che ignoriamo , fa servire quella a fondamento di questa, onde essì ci appariscono quali sarebbero stati in ogni condizione di società, e si manifestano a un tempo con le modifica- zioni che derivarono dal. paese e dal secolo. E forse perchè l’effetto è più completo , il diletto è maggiore. Coll’ andar del tempo, e mercè le opere del nostro contemporaneo , il romanzo storico, venuto in quel pre- gio, che niuno gli avea saputo per lo innanzi procacciare, sarà coltivato da altri buoni e lodati scrittori, ed ai cri- tici che lor succederauno, non riuscirà malagevole sta- - bilire le regole a cui conviene assoggettarlo. Noi per ora non ci crediamo da tanto, e ci pare-che saremo più volen- tieri ascoltati riportando alcune idee fondamentali di 127 Walter Scott; relative al suo genere di lavori, le quali, se non c inganniamo, fanno molto all’ uopo, Nel primo ca- pitolo del Waverley (che come dice il suo titolo è un fatto di recenti tempi) egli così ragiona—«. L'oggetto del mio romanzo è piuttosto la descrizione degli uomini, che delle usanze. Un romanzo che abbia la mira a queste, se vuol esser letto con amore ; deye referirsi a un’ antichità così remota che induca venerazione, ovvero presentare un quadro vivo delle scene, che ci passano ogni giorno sotto gli occhi, e che si traggon dietro la nostra attenzio- ne per la loro novità . » . « + . . Perciò il pittore di usanze, o molto antiche, o di moda, ha un gran vantaggio sopra colui , che dipinge le usanze della passata generazione. Per rifarmi in qualche modo, ho cercato di riporre il nerbo del racconto nei caratteri e passioni dei personag- gi, quelle passioni comuni a tutti gli uomini in qualsi- voglia condizione di società, e che hanno sempre agitato il nostro core. Sulle quali le usanze , e le leggi imprimo- no diverso colorito, senza cambiare la natura loro che rimane sempre la stessa, sebbene la tinta non solo sia varia, ma apparisca assai volte distinta ed opposta (6).» Adattando quindi il discorso all’ /varhoe, che prende argomento dall’ istoria inglese del secolo XII, ecco le sue. riflessioni. — « Mi pare che vi sia una gran quantità . di sentimenti e di usanze, comuni a noi e al nostri an- tenati, o perchè ce li hanno trasmessi tali quali, o per- chè, derivando dai principj costituenti la natura umana, devono esistere in qualunque stato di società .... Le passioni , in ogni loro modificazione , e le sorgenti , onde traggono origine, sono le medesime in tutte le classi e condizioni , in tutti i paesi e in tutti i secoli. Ne segue che le opinioni, i pensieri abituali, e le azioni ancora , comunque soffrano l’ influenza particolare dello stato di (6) Waverley, Cap. I. 128. società , conservano una certa somiglianza fra loro. ... e l’autore di un romanzo, quale è quello, che mi sono provato a scrivere, troverà nelle usanze come nel linguag- gio del tempo presente molta parte, che non è diversa dalle usanze, e dal linguaggio dell’ epoca , onde è tratto il suo argomento . ....... Sicchè è in sua facoltà d’ estendere il disegno dell’ opera, in quanto riguarda a passioni e sentimenti, oltre i limiti, che verrebbero stret- tamente indicati nei documenti storici, o nelle tradizio- ni onde egli imita , purchè non introduca cose incompa- tibili con le usanze di quel tempo, e di quella nazione - +++... + Rispetto alla lingua (si soggiunge ) non deve certo essere troppo antiquata ed astrusa, ma con- viene schivare frasi e vocaboli di origine troppo moderna. Una cosa è servirsi del linguaggio, e dei sentimenti co- muni a noi, ed ai nostri antenati, ed un’ altra suppor- re in essi le espressioni , e i sentimenti che non possono appartenere che ai loro discendenti (7)» . Quando un autore abbia adottato codesti principj; e sappia farne buon uso, non sarà meraviglia se i suoi ro- manzi recheranno ugual piacere al pensatore e all’idiota. È cosa da notarsi, come ognuno concede somma lode a Walter Scott per l’esatta pittura di particolari costuman- ze, o per la veridica rappresentazione di epoche lontane. Eppure il più dei lettori non può essere in caso di giudi-. carne, perchè veramente pochi fra essi sono così eruditi quanto occorrerebbe per aver ognor presenti quelle epo- che, e quelle costumanze, e per metterle a paragone della copia che ne van vedendo. Vale a dire, che dove manca il modello originale, la somiglianza di un ritratto non può asseverarsi se non da chi ne ha osservato un altro, di cui la fedeltà non sia dubbia: Ciò mon impedisce a quanti francesi, ed italiani trovano descritta la vita, e le usanze (7) Introduzione all’ Ivanhoe. 139 dei montanari scozzesi nelle pagine di Waverley, e di Rob Roy, di riconoscere dappertutto sembianza di vero , sebbene nè mai furono tra essi, nè per relazione prece- dente n° ebbero contezza alcuna. Qui consiste la grand” arte dell’ autore, che egli stesso ci ha dianzi svelata. Tu credi che abbia posto principal cura nelle vesti, e nelle abitudini occasionali , e transitorie degli individui, men- tre il suo studio fu altresì costante nelle passioni e nei sentimenti inseparabili dalla specie umana. Gli uomini, quali tu li conosci, ti si fecero innanzi agli occhi, e ti par- vero appartenere a quella nazione, e a quel secolo, che ti fu detto, pel solo motivo che se li spogli di quanto iè in loro dipendente da due circostanze, luogo, e tempo, li ravvisi perfettamente simili ai tuoi contemporanei, ed ai tuoi concittadini: cosa che da per sè stessa accade, quan- do nel progresso del romanzo si faccia larga porzione a tutto ciò, che può esservi di comune fra noi e coloro che ci vengono descritti. Il colorito del quadro, tutto vivez- za, e proprietà, ti trasse in inganno, e lo credesti origi- ne del diletto, che attribuir dovevi massimamente alla naturalezza , e verità delle forme. Noi non ci siamo proposti di moltiplicare le citazio- ni dai romanzi di Walter Scott, non volendo essere ac- cusati di prolissità, tanto più inopportuna dacchè essi vanno per le mani di tutti. Inoltre ci ritenne il timore di non poter presentare i nostri estratti in tutto quel lu- me, che naturalmente ricevono da ciò che precede, e da ciò che succede. Ma in questo luogo, per giovare alla chia- rezza, ed affinchè ben si comprenda come facciansi va- tere le circostanze particolari tanto dell'individuo, quan- to dell’epoca, approfittiamo di un bell'esempio tolto dal Quentin Durward. Nell’istoria di Francia del secolo XV. ne è posta l’azione. S' introduce fra altri personaggi Ga. T. XII. Marzo 9 130 leotto Marzio da Narni, (8) filosofo ed astrologo italiano alla corte di Luigi XI. Il suo appartamento è pieno di strumenti di matematica e d’astrologia, di urne sepol- crali , di bacchette magiche, di manoscritti cabalistici in caratteri orientali, e di altra suppellettile , propria della scienza e della ciarlataneria di quei tempi ——. L’ insie- me di tali cose ( dice l’ autore ) formava una scena da colpire potentemente la fantasia , avuto riguardo alla cre- dulità che allora generalmente prevaleva intorno al pre- gio delle scienze occulte ; e l’ effetto ( si soggiunge ) era reso maggiore dai modi e dall’ apparenza dell’ astrologo stesso , il quale, riposato in una sedia a braccia, esami- nava con diligenza e curiosità un saggio, ultimamente uscito dai torchi di Francoforte, dell’arte di stampare poco prima inventata . .. .. «Mi pare, disse il re, che la vo- stra attenzione sia tutta rivolta a quest’ arte, che hanno trovato , di moltiplicare i manoscritti per mezzo di mac- chine. Come mai cosetanto meccaniche e terrestri usurpa- no i pensieri di un uomo, che può leggere pei volumi del cielo? Fratello , rispose Marzio , ( che così l’abitatore di questa cella deve chiamare anche il re di Francia, se es- so condiscende a visitarlo in qualità di discepolo: ) credi- mi che ponderando sulle conseguenze di quest’ invenzio- ne, io prevedo le più gravi e maravigliose vicende , con augurio così certo, come se io lo leggessi nella congiun- zione dei corpi cilena Quando penso come scarse e par camminarono sinora le onde della scienza ; con quanta difficoltà l’acquistano quelli ancora, che ardentemente la bramano; come la trascurano tutti coloro che si danno a vita pigra e molle; come facilmente è deviata, e facil- mente inaridita dalle invasioni della barbarie; posso io (8) Se ne hanno curiose notizie presso il Tiraboschi. Non è ben certo ch’egli andasse alla corte di Luigi XI; ma il*roman- ziere si vale dei suoi diritti, e lo supponé. I3E contemplare senza maraviglia, e senza stupore, la sorte della generazione avvenire , sulla quale la sapienza scen- derà, come la prima e la seconda pioggia, senza interra- zione, senza scemamento , senza misura, fecondando alcune terre, altre inondandone, mutando in tutto la forma della vita sociale, producendo e rovesciando re- ligioni, fondando e distruggendo reami? Un momen- to, Galeotto, disse Luigi. Accaderanno queste vicende in tempo nostro? Nò, fratello, rispose Marzio. Que- st’ invenzione somiglia adesso a un’ arboscello , poc’ an- zi piantato, ma in progresso di tempo porterà frutto non meno funesto, e non meno prezioso del frutto d’Eden, la conoscenza , cioè, del bene e del male. Rispose Luigi, dopo breve pausa: pensino i nostri posteri a ciò che loro riguarda. Noi siamo uomini di questo secolo, e a questo secolo vogliamo limitare le nostre cure. Bastano a ciascun giorno i travagli che lo accompagnano (9). » In que- sta breve disgressione sul ritrovato della stampa , dovrà ammirare ogni lettore una qualità di bellezza inaspettata e naturale, che ha potere di ridurgli a memoria tutto un secolo, mentre egli è intento‘ad osservare un indivi- duo. Qui non solo conosciamo Galeotto Marzio da Narni, ma il pensatore europeo del secolo XV. Ragionando di Walter Scott vien fatto d’usare espres- sioni, che si applicano comunemente all’arte della pittu- ra. Questa riflessione, che ci corre in mente, riandando noi stessi le anzidette cose, sarà nostra scusa verso quei lettori, che ne avessero incolpati di rinscire monotoni. Ma a coloro , a cui sono famigliari i romanzi dell’ autore scozzese, se mediteranno sull’ effetto che produce la sua ‘ maniera di scrivere, confrontandola coll’ effetto di un bel quadro, apparirà esistere fra l’uno e l’altro tutta quella analogia, che è mai possibile di supporre. Noi non abbia- (9) Quentin Durward, Tom. 2. Cap. 3. 132 mo tolto ad essere i panegiristi di questo scrittore, e nol difenderemo perciò dall’ accusa di lasciarsi trasportare dalla viva sua fantasia, che non gli fa spesso distinguere i limiti, che separano eloquenza da pittura. Laonde, non solo mancano in lui quei tratti o energici o commoventi, che, composti di poche parole, simprimono nella mente, o nel core con più vigore che non fanno le mille, ma ti accade di essere importunamente trattenuto da lunghe descrizioni o da prolissi discorsi , mentre arrivato in me- dias res, sei tutto desiderio di sapere ciò che è per succe- dere. Pare che l'immaginazione di Walter Scott sia in- sieme così flessibile e potente, che non gli lasci vedere oggetto, se non unito a tutte le qualità accessorie , di cui è suscettibile. Ed egli te lo descrive in modo, che ti sembra veramente di averlo presente, e quando si tratta di perso- na viva credi allora allora d’ascoltarla. Perocchè , sebbene egli goda di descrivere, gode ancor più di far parlare i suoi personaggi. Si direbbe avere egli considerato che a sostenere l’illusione dei suoi racconti sia efficacissima la forma drammatica, mercè della quale egli è come pit- tore, che sappia aggiungere ai suoi ritratti il dono della parola. Una volta che ti ha fatto conoscere l’ apparenza degli uomini fra cui ti conduce, vuol che ti sia palese animo loro dai loro discorsi, non dalle sue osservazioni. In questo modo si stabilisce relazione immediata fra te, ed essi, nè la sua presenza ti frastorna obbligandoti a se- guitare il suo ragionamento. Che non è suo massimo pre- gio l'indagine profonda del core umano, per ammaes- trarti nelle cause onde le azioni derivano, e nemmeno è suo difetto quella sottigliezza metafisica, che notomizza i nostri affetti, presumendo d’ insegnarci chi siam noi, e chi sian gli altri, a forza d’ingegnosi concetti, e di di- stinzioni arbitrarie. Esente affatto da ciò che i Francesi chiamano marivaudage, non si manifesta d'altronde così gran moralista come l’autore di Gilblas. Eglì dipinge 3 133 egregiamente la sembianza esterna delle cose, e pone in atto con maravigliosa naturalezza gli uomini e le passio- ni loro. Non sappiamo se ebbimo sorte di spiegare conclu- dentemente l’ origine dell’ attenzione , a cui ci costringo- no i romanzi di Walter Scott, e del diletto che; in leg- gendoli, si mantiene per lo più costante dal primo ca- pitolo all’ ultimo. Per noi si volle ascrivere non meno quella che questo all’arte di renderci visibile e sentito il vero generale e speciale, facendoci contemplare e ascoltare più ancora che riflettere e giudicare. Non ostan- te sono taluni, che proponendosi una difficoltà capriccio- sa; domandano come è che Walter Scott si trae dietro così a sua voglia l’ animo del lettore, sebbene non com- muova fortemente gli affetti. Ma quando la curiosità no- stra è soddisfatta, e la nostra immaginazione appagata con quei modi che la natura dell’ uomo richiede, non crediamo sia indispensabile farci piangere e tremare per mantenere la nostra attenzione, e procurarci diletto. Sa- rebbe in noi argomento di pochissimo amore per la ve- rità, se la rappresentazione varia, ma non esagerata, dei casi più frequenti della vita, e dello stato ordinario del nostro core, fosse capace di annojarci; e se la mente, non contentandosi di un godimento equabile e tranquillo; avesse necessità d’esaltarsi per mezzo della compassione o del terrore. Come possa piacere una tragedia , senza valersi di tali stimoli, sarebbe problema difficile a scio- gliersi; ma chi cerca come piaccia Walter Scott, sebbene non sempre commuova gli affetti, non ci par diverso da colui, che chiedesse perchè, senza allettare principalmen- te l'immaginazione, riesca così patetica la tragedia di Racine, e così terribile quella d’ Alfieri. Dall’immaginazione del nostro autore, che ci sforza, anzi , si dica meglio, ci persuade ad ammirarlo, procedo- no indirettamente i difetti, che in lui sì notano. Zradiretta= 134 mente, si avverta, poichè sarebbe grave fallo supporre che codesta precipua facoltà della mente di Walter Scott ap- parisse in sè medesima viziata e stravagante. Ma bastante danno produce il suo eccessivo vigore, quando non gli permette di arrestarla nel corso , e di porre la dovuta di- ligenza intorno a quelle doti di un buon romanzo, che non si oltengono se non da tranquilla, e lenta pondera- zione. Qual’ è critico, comunque benevolo, che abbia potuto lodare nei romanzi di Walter Scott la bella dispo- sizione delle parti? Qual'è lettore che, avendo riposato il pensiero, dopo la varietà e il movimento delle tante dilettevoli scene , che gli vennero magicamente esibite, non rimanga o deluso o perplesso se cerca la connessione di quelle, e la probabilità dell'insieme ? Sia pur vero, come egli dice, che « nei primi capitoli convenga es- ser diffuso narrando i fatti, e non omettere le più minute particolarità di ogni carattere, onde il lettore ne acquisti chiara ed intima nozione, più che non può sperarsi da freddo e ragionato descrivere; ed all’incontro che avvi- cinandosi alla catastrofe debbansi toccare di volo quelle circostanze, ancorchè importanti, che l'immaginazione può aver di leggieri antiveduto , lasciando pieno arbitrio di supporne molte altre, che narrate una a una rischie- rebbero di stancare la più esercitata pazienza ». (10) Ma l'abuso di questi principj sarà tuttavia riprensibile, mol- to più quando arriva a tale , che non solo tolga le giuste proporzioni nel disegno generale dell’opera, ma renda eziandio malagevole a chi legge di concepire idea chiara dell’ argomento in ogni sua parte, come non sarebbe fa- cile all’ autore di ben spiegarlo, senza aggiungere alcuni incidenti, ed alcuni altri sbandirne. A noi pare che i romanzi di Walter Scott abbiano acquistato presso taluni nome di monotoni, malgrado la diversità assai distinta (10) Waverley, Tom. 3. Cap. 23. 135 dei loro argomenti, appunto perchè l’azione ne è sempre condotta in egual modo, vale a dire lenta in principio; abbandonata a molte deviazioni nel suo corso , e talvolta così rapida verso il fine, che appena si può seguitarla. In quel passo, che abbiamo ora citato dagli ultimi capitoli del Waverley, l’ autore assunse di giustificarsi. Forse egli stesso non ignorava che il suo ragionamento era una scusa ingegnosa, ma gli parve opportuno di ad- durla, accortosi che anche nel suo primo lavoro potea riprendersi la mancanza di regolarità e di proporzioni, Quando poi ebbe pubblicata la maggior parte delle sue opere , e che le altrui critiche non lasciarono di avverti- re gli errori, nei quali trascorre il suo bellissimo ingegno, furon le sue parole d’altro tenore, e non negò di meri- tare le accuse che gli si danno. Ascoltiamolo — « Non è che io ometta di prendere le solite precauzioni d’ autori. Quando mi accingo a scrivere un’ opera , dispongo più e più volte le parti in giusta proporzione , la divido in vo- lumi e capitoli, procuro di formare un intreccio , che vada svolgendosi grado a grado, con effetto sempre cre- scente, onde l’animo sia tenuto sospeso, e la curiosità stimolata, e preparo tal catastrofe, che colpisca vivamen- te, e naturalmente concluda. Ma credo che un demonio mi si ponga sulla penna , quando comincio a scrivere, e la tragga fuori di strada. I miei personaggi mi conduco- no d’ una in altra amplificazione , si moltiplicano gl’ inci- denti , l’azione progredisce lenta, mentre nuovi mate- riali si accumulano; ciò che doveva esser un edifizio re- golare riesce una, fabbrica gotica, e l’ opera è finita quan- do io sono ancora a gran distanza dalla meta che mi era prefissa ..... Allorchè m’imbatto in certi caratteri, l’ immaginazione mi si accende , ed ogni passo che muo- vo in lor compagnia è un guadagno per la chiarezza del- le mie idee, benchè essi mi facciano deviare assai miglia dal cammino tracciatomi , e mi obblighino a saltar 136 fossi , e traversare siepi per rimettermi sul retto calle. Se non cedo alla tentazione ; i miei pensieri divengono fred- di , monotoni , insipidi , scrivo con stento, e consapevo- le del mio imbarazzo mi sento sempre più imbarazzato. La luce della fantasia , che splendeva su i miei racconti , li abbandona, e rimane ogni cosa cupa e smorta. Jo non son più lo stesso scrittore: come il cane ansante, condan- nato molte ore a girar la ruota , non par più quello, che correva e saltellava a sua posta in tutto il godimento d’ illimitata libertà. In conclusione, direi talvolta che sono ammaliato (11) ». Così egli nel proemio del /iget , dopo che , a proposito del ben ordinato piano del Tom Jones di Fielding, ha fatto osservare ‘incidentemente che « Lesage, Smollett, ed altri, emancipandosi da così stret- te regole, hanno anzi scritto le diverse avventure di un individuo che trattato l'argomento di una storia misurata e connessa , nella quale passo a passo si pervenga alla ‘ca- tastrofe finale ; e che questi gran maestri si. contentaro- no di render piacevole ai lettori il viaggio che facean lor fare, sebbene si arrivasse alla conclusione per la. ragion sola che il romanzo deve avere un fine, come il .viag- giatore entra nella locanda perchè il sole tramonta — » (12) Alle quali parole è ovvia la risposta, che. i citati au- tori non apparecchiano , come il moderno Scozzese , l’ or- ditura di una vasta tela, ove s'imbrogliano varie fila , senza essere più sviluppate, e che ad essiì non, può chie- dersi mantenimento d'una promessa, che non pensarono giammai di fare. Quanto altro si adduce in quel curioso proemio , a titolo di spiegazione e di scusa , dovrebbe si- milmente riferirsi, se la schiettezza d’animo di uno serit- tore, e certa sua nè arrogante', nè volgare indifferenza sull’ altrui opinione potessero obliterare le mende de’suoi (11) Introduzione al Nigel. (12) Ibid. 137 lavori. Diremo assai trita cosa. Se la posterità è l’ultima ambizione di un grand’ ingegno ,, deve esso dimenticare che da lei non si tien conto alcuno dei principj, delle inclinazioni , e dei capricci individuali dell’ uomo, sorda com’ ella è a qualunque ragione, che non emerga dall’in- trinseco valore delle cose? Dai più pregievoli giornali inglesi è stata censurata la passività del protagonista, o, come suol nominarsi, del- l’eroe, nei romanzi, di cui ragioniamo. A quale più, a qua- ‘le meno; fu applicata questa censura, essendo unanime il parere che non tutti egualmente la meritano. Ma a noi sembra altresì di dover suggerire una distinzione. In quelli fra essi che non forse con assoluta proprietà si chia- mano storici, (13) ( poichè non hanno per base un fatto narrato dalla, storia; o che a lei si connetta, ma inve- ce lo fingono, per illustrare lo stato sociale di un popo- lo in una certa epoca ) la qualità passiva , o la non efli- cienza del principal personaggio , sarebbe certo colpa del romanziere; il quale, avendo piena libertà d’invenzione, può, se vuol usare criterio e diligenza, disporre gli av- venimenti nel. miglior modo, onde non rimanga nel- l’ombra chi dovea esser posto in luce, e viceversa. Ma par- lando della classe, a cui bisogna necessariamente attribuire nome di romanzi storici, non è lontano che l’autore pos- sa scusarsi con qualche. principio di buon successo. In un articolo della Biblioteca Italiana,(14)meritevolissimo d’es- ser.letto, ove si dà ragguaglio dei viaggi di Petrarca del Levati, troviamo la riflessione che a salvarela verità stori- ca, senza vincolarsi la fantasia , deve il romanziere sce- (18) Per esempio il Nano nero, e Guy Mannering. (14) N° 68. Agosto 1821. Nell'articolo che citiamo si sostiene l’ opinione contraria alla nostra disopra emessa, vale a dire si biasima in genere il romanzo storico. Il lettore potrà consultarlo con frutto per determinare il suo parere, dopo intese le ragioni pro € CONÉro. 138 gliere a suo eroe un individuo, che nonè appartenga alla storia. Perciocchè, ivi, « il romanzo storico non debb' es- sere diretto a raccontare le gesta d’un illustre personaggio, ma a descrivere un secolo: il protagonista ha da essere, per dir così, straniero a’pubblici fatti, nè dee servire che a le- gare insieme gli sparsi avvenimenti . . . . Così la fantasia dello scrittore ha libero campo di spaziare , inventando pel suo personaggio quei casi, che gli tornan meglio ; lad- dove se il personaggio è storico, è impossibile che l’ in- venzione sia senza danno della realtà. « Ora, sia per accidente, sia fatto ad arte, siccome questa regola di buona critica è osservata da Walter Scott, chi bramasse alleggerire il peso dell’ anzidetta censura , avrebbe occa- sione di dire, che ove il protagonista non deve aver par- te attiva nei principali avvenimenti, ma servire piuttosto a mantenerne il filo, ne verrà di conseguenza che egli rimanga assai volte passivo , e sarà questa una difficoltà del genere poco meno che insormontabile. Sarebbe prosuntuoso parlare collettivamente delle mol- tiplici opere del più popolare fra i viventi scrittori , se non avessero nel loro aspetto generale molta reciproca analogia, o, come suol dirsi, aria di famiglia. Walter Scott confida sempre nella forza , e nella disposizione na- turale del suo ingegno. Fornito di vasta erudizione , egli ha memoria capace e pronta per valersene in ogni sua opportunità (15). Con questo inesauribile soccorso, essen- do egli l’accorto e vivace osservatore che dicemmo, la sua maniera di rappresentare è tutta propria di lui, ed (15) Prima di esser romanziere, Walter Scott è stato anti- quario. Nelle opere poetiche pubblicate col suo nome, ed in altre di cni egli fu editore, diede a conoscere la sua estesa erudizione. Come Giureconsulto (essendo egli Assessore al supremo Tribunale d' Edimburgo ) ha acquistato generale cognizione delle leggi del proprio paese , e degli altri. Così non gli manca alcun elemento per ben riescire nel romanzo storico. 139 egli si mostra poco obbediente alle leggi critiche; quando si oppongono all’ impulso che lo domina. Le norme del- l’arte hanno questo di svantaggioso , che rendono meno riconoscibile l’ indole particolare di un autore , facendo- gli acquistare molti punti di somiglianza con una quan- tità di altri scrittori soggetti alle medesime norme. L’ ef- fetto non è diverso da quello che produce nei popoli l’uni- forme civilizzazione, la quale toglie evidenza alle qualità originali e distinte di ognuno di essi, sovrapponendo a tutte un velo eguale di convenzioni e di modi ; onde av- viene che una qualsiasi nazione moderna apparisca este- riormente più consimile alle altre vicine nazioni , che non a sè stessa quale era nel tempo degli antenati. La rapidità altresì , con cui il nostro autore è andato dettan- do le sue numerose |epopee romanzesche , facilita ‘a pari grado in ciascheduna la libera manifestazione del suo genio, con le virtù che lo distinguono, e le mancanze che lo accusano : per la ragione stessa che non jpuò l’ uo- mo nascondere ciò che è in lui di bene o di male, se nei casi della vita e nel suo procedere ordinario agisce con precipitosa impazienza. Duole agli ammiratori di Walter Scott che esso , strascinato da certe infelici ‘predilezioni della sua penna, introduca così sovente personaggi d’ in- telletto esaltato, ma non smarrito , caratteri misteriosi è ipesplicabili, buffoni di mestiere, che adoprano da pazzi, e parlano da furbi. Spiacciono quei dialoghi prolissamen- te concettosi fra persone di bassa e vil condizione , che, per sè stessi poco naturali, lo sono tanto meno su) lab- bro di coloro che li pronunziano. Simili'e ‘altri difetti , che gli scemano onore presso i più rigorosi, farebbero supporre poca fantasia , e poca cognizione di mondo, in ogni altro scrittore, non ammirabile, come è egli, per la ricchezza e verità delle sue creazioni. Parlando di Walter Scott conviene piuttosto darne carico a codesta intemperanza di scrivere } che non gli lascia intervallo 140 di tempo, onde riflettere maturamente sulle sue opere, e dove bisogna correggerle. Ma se noi seguitiamo in que- sta serie d’-idee , s' incorrerà sospetto di maldicenza , ed invece di criticare un autore, ci potrebbe accadere invo- lontariamente di offenderne molti. Nel nostro secolo, che sarà così lungo argomento di elogi , e di satire , ammire- ranno i posteri quell’ amore dello studio, che è produt- tivo di tanta abbondanza di libri, e per sè stesso lo lo- deranno. Loderanno essi ancora la smania di scriver molto e di scriver presto, le promesse anticipate di comporre e pub- blicar volumiin un dato spazio di tempo,il pensiero di asso- ciarsi.in due per mettere insieme un’ opera «d’ immagina- zione, quasi che l’ arte dell’ oratore , e del poeta fosse un meccanismo , e il culto delle muse potesse esercitarsi co- me un traffico? Noi non sappiamo indovinare il giudizio dell’ avvenire imparziale. Se esso è disposto a biasimo, il nostro autore dovrà sopportarlo ; per la soverchia sua fe- condità, e, per aver rigettato i benefizi del tempo, e della lima , in compagnia di molti altri, che si lasciarono se- durre dalla. stessa moda. Che l’influenza di questa fu sempre potente anche sulle opere dei classici, e non vale a liberarsene nemmeno un ingegno della tempra di Wal- ter Scott. Dicevamo che 1’ analogia esistente fra i diversi suoi vomanzi permette di tenerne unito ragionamento. Perciò continueremo ad applicar loro in genere le altre osserva- zioni che ci restano a fare. Ma intanto riferendoci per un momento ai suoi romanzi propriamente di soggetto scoz- zese , ci par di vedere una prova estrinseca del loro pre- gio reale nell’ applauso che ottengono fuori del regno bri- tanico , sebbene a ogni lettore, che non sia nato nel pae- se di Walter Scott, manchino due requisiti necessari per gustare tutte le loro bellezze. I suoi personaggi, massi- mamente quelli d’ inferior ceto , parlano di continuo in dialetto Scozzese, e siccome la differenza che passa tra 14t esso e l’ idioma Inglese è molto rilevante , la cognizione anche perfetta di questo non basta a render gli esteri co- sì padroni del primo , che non rimangano assai volte in- certi, o almeno siano costretti ad arrestarsi per rinvenire il sentimento dell’ autore. Questo è svantaggio sommo per l’effetto che egli vuol produrre. Una sorgente poi principale dell’ ammirazione, che fin da principio sì pro- cacciarono i suoi romanzi, fu la vera e topografica descri- zione delle località , la quale reca diletto non lieve a chi le conosce per lunga dimora, o le ha visitate con diligen- za. Ma per chiunque altro ella è sovente cagione di noia; onde , per questo motivo ancora, Walter Scott avrebbe avuto assai fredda accoglienza oltre i limiti della sua iso- la, se veramente non possedesse molte delle qualità, che sì richiedono per estendere la propria fama in ogni pae- se, e per fare altrui sentire che essa dovrà vivere in ogni tempo. Questa verità descrittiva dei siti sembra che sia per lui una regola, dalla quale non voglia mai dipartirsi, giacchè anche nel Quentin Durvvard , di cui la scena è posta in Francia, l'esattezza del suo pennello fra le ame- ne campagne , che irriga la Loira, è così grande quanto nella montuosa Caledonia. Laonde gli si danno molte lodi nei giornali francesi , che ragionano di questa sua ultima produzione. Laddove Walter Scott prende ad esporre le debolez- ze e i difetti degli uomini , egli non ha ombra di misan- tropia , e si mostra alieno da qualunque sentimento di malignità. Conserva una bontà sua propria , e pare essere anzi animato da compassione e indulgenza, che da ran- core e disprezzo. Egli non cerca di attribuire anche alle buone azioni un recondito motivo d’ amor proprio o d’in- teresse, e non è di quelli, che han meditato sulla specie umana col proponimento di renderla odiosa. Non è ch’ egli non faccia abborrire quanto conviene i suoi per- 142 sonaggi depravati e perversi, ma dove si tratta di carat- teri virtuosi , o di esseri infelici, non lo vedi contento se non ha persuaso i suoi lettori ad amarli, e a compian- gerli. E così come in mezzo alle più nobili sue ispirazio- ni egli è capace di tanta sublimità e tenerezza , che la- scia a pochi la speranza di arrivarlo , ugualmente abbon- da di piacevolezza e di brio, e quando sparge larghissi- ma la sua vena comica, sa destare il sorriso sulle labbra dei più gravi, ed esilarare gli spiriti nell'animo de’ più afflitti. A maraviglia sono rappresentate nei suoi roman- zi quelle ridevoli persone, originali nelle maniere e nelle abitudini, ma dotate di buon cuore ; e quelle altre, dove la semplicità naturale acquista grazia dai sentimenti in- genui, o diviene maggiormente giocosa dai pregiudizi dell’ educazione , e dalla schietta singolarità dei discorsi ; come sarebbe il Sancho Panza di Cervantes, che è quasi l’idea archetipa di questa sorta di caratteri. Talvolta l’ ironia innocente , e l’ atticismo di Walter Scott somi- gliano al riposato buon umore, e alla giocondità propria italiana, della quale avremmo pur troppo perduta anche la memoria, se i nostri allegri antenati non ce l’ avessero trasmessa nelle novelle, e nei poemi romanzeschi . Che Walter Scott li abbia molto letti e studiati apparirà , cre- diamo, a chiunque abbia fatto le riflessioni occorrenti sul- le sue opere e le loro. Chi sa se 1’ arrivo di Riccardo Cuor di Lione nel romitorio del frate guerriero, e le scene che vi accadono, e che sono fra le più belle cose dell’ Ivan- hoe , non si debbano in parte a Monsignor Carteromaco ,, dove ci narra l’incontro di Rinaldo con Ferraù Eremita, e nella cella di questo ci fa fare così matte risate ? (16) Una lode del nostro autore , che dovea essere la pri- ma, l’ abbiamo tenuta in serbo, e la ponghiamo dopo le (165 Ricciardetto , Canto 3.0 4.0 143 altre , perchè varrà a decorarle tutte, pacificando quegli austeri, che ove sentono odore di romanzi, temono onte gra- vi alla morale privata e pubblica. Fortunatamente il nos- tro secolo non ascolta troppo volentieri empietà eloquenti , e lascivie canore, e non è perciò d’uopo difendere da code- sti sospetti Walter Scott, le cui opere si leggono avidamente, e si pregiano in tutta la culta Europa. Ma esse, vuolsi osser- vare , neppure espongono la gioventù alla seduzione co- lorita dall’ onestà del linguaggio, e non nobilitano i di- sordini delle passioni con l’ eroismo de’ gran sentimenti. Lo scrittore che si manifesta senza verecondia, e spande di bruttura le sue pagine, si disonora più di colui, che ha la modestia sulle labbra, e la corruzione nell’ anima; ma, come da molti è stato osservato , la famigliarità con questo è tanto più fatale quanto il pericolo è più occulto. Fra altre prove delle virtuose intenzioni di Walter Scott e della premura che egli dimostra di non nuocere ben- chè lontanamente alla morale , devonsi addurre le eroi- ne dei suoi romanzi, col carattere che vien loro appro- priato , e la condotta che ordinariamente tengono. L’ af- fezione che esse inspirano nel lettore nasce per lo più dalle qualità umili e modeste , dal rispetto figliale , dal la rassegnazione alla sorte , dalla dolcezza e ingenuità dei costumi. Dotate di sensibilità e di tenerezza, nelle passioni amorose si descrivono così care ed insinuanti , che il loro core non apparisce men bello, quantunque manchi di grand’impeto, e di gran fuoco. Pare che Walter Scott abbia voluto somministrare utili consigli al- l'immenso numero dell sue leggitrici. E quando intese .a produrre un ritratto di donna , che non tanto fosse ama- bile per virtù femminili, quanto dovesse ammirarsi per altezza di sentimenti , e vigore di affetti, ci recò innan- zi agli occhi il dignitoso orgoglio di Rowena, ( Ivanhoe ) o l’eroico attaccamento di Flora per i decaduti Stuardi 144 | (Waverley ):e in simili ed altri esempi attribuendo al bel sesso tempra d'animo ardente, e virile, non la fece servire alle esagerazioni d’un amore eccessivo, che supera ogni riguardo ed affronta ogni rischio. Così, non è mai che l’illustre scozzese ponga in non cale quelle sane consi- derazioni , che non ebbero disgraziatamente vari altri ro- manzieri , la lettura dei quali può essere perciò cagione di rimprovero. Avendo consacrato il suo ingegno a quel genere di libri, che non solo vanno per le mani di uo- mini colti e letterati, ma sono anche gratissimo passa- tempo agli oziosi e alla gioventù d’ ambi i sessi, Walter Scott deve ripensare, non senza interno compiacimento , che la suà fama è pura da qualunque imputazione d’im- moralità , e che i dilettevoli suoi romanzi non si avvili- scono mai a fomentare le peggiori propensioni della no- stra natura , ma anzi svegliano le migliori, e dove non sono utili sono almeno innocenti. ( L’ abbondanza delle materie, riunite in questo fascicolo, ci obbliga a differire al successivo l’ estratto degli argomenti del IWaverley e del Quentin Durward, ed altre notizie sù di alcuni recenti imitatori di Walter Scott, che formano il compimento del presente articolo .) S. UzieLLI. ( Sarà continuato ) 145 ‘Al sig. Direttore dell’ Antologia; articolo sopra la parola Gon- faloniere. Trovandomi alcune sere fa in una erudita conversazione, nao- que il discorso intorno a varie cose scientifiche e letterarie, e fra le altre: come direbbesi latinamente la nostra magistratura civica chiamata il Gonfa/oniere . Allora più d'uno vi fu che dichiarò la sua sentenza. Chi, tenendosi alla significazione del nome Gonfalonie- re, disse potersi benissimo tradurre in latino Vexi/larius 0 Vexilli- fer : chi, non considerando il nome, ma le attribuzioni ed inge- renze del magistrato volle doversi dire in latino Praefectus ur- bis, altri Praetor, altri Magister urbis; nè mancò chi lo chia- masse con diversi altri nomi. In mezzo a tanta diversità di pa- reri fui richiesto anch’ io della mia opinione; ma vedendo, come in casi simili suole avvenire, essere ciaschedano incalorito per sostenere la sua sentenza; e già vicina essendo a discioglier- si la dotta brigata, risposi promettendo di portare in iscritto per un’ altra sera quello che io mi pensassi sopra la nata qui- stione ; come poi feci. E perchè mi avete mostrato piacere d aver questo mio scritto, qualunque egli sia ve lo mando, per- chè ne facciate l’ uso che alla saviezza vostra potrà sembrare conveniente. Eccovelo dunque tal quale fu letto, »» Prima di entrare a discutere, o Signori, la quistione nata fra noi jeri sera sul modo di latinamente dire la parola Gor- faloniere, nome della nostra principale magistratura civica, mi rifò dal dichiarare un’altra mia opinione , cioè, che cosa impos- sibile sia, lo adoperare vocaboli della buona latinità per indi- care e spiegare idee delle cose che non erano, quando la buona latinità fu lingua di popolo, o come dicesi, viva. In questo caso pertanto non altro resta da fare che servirsi di que’ vocaboli, i quali meglio vi si possono avvicinare. Ma perchè di questo ravvicinamento non abbiamo un giudice solo ed universale , e dipende dal modo di credere degli eruditi: di qui ne nasce che d’ una medesima cosa troviamo spesso molte perifrasi, e la veg- giamo indicata con differenti vocaboli tolti sì dall’antico latino, ma imperfettamente applicati, di maniera che se da quelle frasi, o da quei vocaboli se ne dovesse pigliar cognizione , non mai arriveremmo a farcene la giusta e vera idea, volendo attenerci allo schietto e vero liaguaggio latino, Per conseguenza di che io penso esser meglio lo scrivere in buona lingua volgare le cose moderne , piuttosto che riassoggettare a gemere. sotto un nuovo conio, come le medaglie ricuse, gli antichissimi vocabo- T. XIII. AZarzo +0 146 li battuti ed improntati nella zecca dell’ antica lingua latina ; altrimenti non saranno nè antichi né moderni; ed all’ occhio del bravo conoscitore presenteranno sempre un’ impronta guasta e sfigurata per la nuova impressione . Or dunque lasciando tutta la libertà a chi vuole scrivere in buon latino di cose convenienti alla lingua latina, e adattabili alle idee di que’tempi, non meno che a chi si vuol prender la bega di fare delle iscrizioni latine piuttosto che volgari per cose che it da leggersi meno dai pochi lati- nisti, che da tutto il popolo, il quale non sa un’ acca di lati- no: certamente mi vien da ridere quando leggo non solo tante latine barbare iscrizioni, ma anche qualcuna fatta con buona latinità per cose comuni, e per pitaffi di morti che non ebbe- ro la menoma tintura di lettere, e che non potranno mai in- teressare alcun dotto, nè sono intese neppure dai loro stessi congiunti ed amici (a),,. (a) Dopo essersi persuasi i Dotti d’ogni nazione che bisogna coltivare le lingue vernacole, e adoperarle invece del latino convenzionale per le cose mo- derne, rimane tuttavia presso molti l’ opinione che per le iscrizioni debbasi preferire la lingua latina, Io non ne tolgo e non ne condanno l’uso in qual- che caso; ma certamente non ne posso approvare l’ abuso che se ne fa con manifesto danno del buon latino, ed anche del nostro volgare. In quanto al primo lo mostrano le cose dette in questo articolo, e molto più in altro già iuserito in questo stesso Giornale sull uso di parlare e di seriver latino» In proposito dell’ altro: appunto la smania di fare iscrizioni latine ha fatto trascurare l’epigrafica italiana; e non è stato formato uno stile. Ma, dicono, la lingua italiana è meno adattata della latina, che è più senutenziosa, più concisa e più grave. Io non negherò questo; quantunque non mancano esem- pj che mostrino anche tali pregi non affatto stranieri alla lingua italiana . Ma non è meglio farsi bene intendere, usare vocaboli propri e convenienti in volgare, che servirsi (parlo sempre dell’uso del latino per esprimere idee moderne) di vocaboli spesso enimmatici, o traslati, o imperfetti, de’ quali allorchè non si può più consultare chi scrisse, non si trova spesso la via di indovinarne il siguificato ? Certamente moltissime iscrizioni italiane fanno ri- dere non tanto per l’ imperizia di chi le fece, quanto per non essere per fezionato lo stile epigrafico; che invece di adattarlo all’indole della lingua ordinariamente è fatto schiavo dello stile latino, Ma i nostri antichi fecero delle semplicissime iscrizioni, specialmente per cose pubbliche, che non in- vidiano le iscrizioni lative; le quali non eran tutte tenute per modelli, tran- ne quelle che si componevano dagli uomini dotti . Oggi alcuni ammiratori del celebre Morcelli (il quale nelle cose prette latine è per verità sommamente stimabile, e può dirsi il Cicerone del no- stro secolo) vanno tant’ oltre da costituirlo il giudice senza appello nell’uso e nella applicazione delle voci latine alle cose moderne. Non si negherà che mon di rado siavi ben riuscito, ed anche se vuolsi; niuno più felicemente di lui; ma la difficoltà che egli stesso ha incontrata , e l’ oscurità che in non pochi vocaboli si trova per intendere ciò che intese di dire conferma appun- 147 » Ma tutto questo, mi intuonate, non ba che fare al propo» sito nostro: vogliamo saper come direste in latino, sia con vo- cabolo proprio, sia per approssimazione, il nostro Gorfaloniere, Per non più dilungarmi dunque dico, che bisogna stabilire pri- mieramente il significato del vocabolo Gonfaloniere; e poi ve- dere quale corrispondenza abbia nell’antica lingua latina, Che egli derivi da Gonfalone insegna, bandiera, vessillo, non può mettersi in dubbio. E la parola Gonfalone nata dai vocaboli teotischi Gunt Vir e Fanon Vexillum, flammulum in latino (5). La pa- rola Guntfanonarius vir Vexillarius in senso di capitano d’ar- me si trova, fra gli altri esempj, nei Capp. di Carlo Calvo: apud Tusiacum Cap. XII. ,, unusquisque Episcopus vel Abbas, sex Abbatissa cum omni plenitudine et necessario hostili apparatu et ad tempus suos homines illuc transmiscrit cum Guntfanona- rio. ;, (€) », Anche nel sinodo ottavo Costantinopolitano , leggesi all’ a- zione X. Ex parte Ludovici Pii adfuit Suppo primus Guntfa- nonariorum ef consobrinus uxoris ejus ,, ( Arast: ad camdem synodum act. X.) ,,. » Che quegli antichi Gonfalonieri fossero così detti da Gon- to la verità del nostro pensare. Si lodi il Morcelli per quello che merita, si consulti; si faccia conto delle sue osservazioni, e de’ suoi esempi; ma mon se ne faccia un zesto di lingua latina nelle iscrizioni, nè per l’ antice , nè pel moderno; perchè ne accaderà che i giovani invece di servirsi di lui come per lacerna nel ricalcare i sentieri da esso battuti, si fermeranno al suo libro, giureranno in perda magistri, si faranno stultum pecus, Fmita- tores; é quel che è peggio, sempre più verrà a stabilirsi il pregiudizio che si possano e si debbano esprimere in latino anche quelle idee che non si conobbero ai tempi della buona iatinità. (6) Questa voce si trova spesso composta con altre parole anche nei ns- mi proprj di persona come Guntbertus, Guntboldus, Guntharius. Che que- sti nomi siano composti di due voci, è manifesto dal vedersi la seconda parte congiunta ad altri vocaboli come: Angel-bertus. Amal-bertus. Adel-bertus. Adal-bertus. Gisse-bertus. Luit-bertus. Lam-bertus. Lant-bertus. Al-bertus. Sigo. bertus . Ingo-bertus. Hu-bertus. Wandre-bertus. Willa-bertus . Ro-bertus Wingo-boldus. Teut-boldus. Hilde-boldus. Gor-boldus, Air-boldus * Ausc- avius. Bereng-arius. Heildeg-arius. Huvg-arius + Loth-arius . (c) Alle quali parole così comenta il P. Sirmond nelle note alla sua ediz. di Parigi 1623. p. $2 « cum Guntfanonario , Vexillifero vel duce. Man sit vocis usus apud Italos qui Vexillum @onfalonem vocant, ac Romae nùne etiam Gonfanonarium, sive ut vulgo enuntiant Gonfalonerium Ecclesiae nun» gupant magistrum , seu praefectum Vexilli militiae Ecclesiasticae ; et apud Florentinos superioribus saeculis status fuit magistratus qui Gonfalonerius iu- stitiae dicebatur . 148 ifanon 0 Guntfanon, dal portare il vessillo militare alla testa d’un corpo d’ armi, non può mettersi in dubbio . Che nel medesimo significato si prendesse anche nel secolo XII, ce lo mostrano gli antichissimi statuti Pistoiesi di quel tempo pubblicati la prima volta dal P. Zaccaria (Anecd. Medii aevi etc. collectio etc. Augu- stae Taurinorum 1755. in f. p. 8. N. 7., e poi di nuovo dal Murato- ri). Nel giuramento del Potestà gli si prescrive che giuri tra le al- tre. cose: ,, item non dabo, nec dari faciam asbergum, et Pan- thieram nec aliquid loco eorum alicui civi pistoriensi habenti valens ultra CCCCC. libras ... nisi sit Gonfalonerius, aut Re- ctor militum. ,, Che al Gonfaloniere di giustizia della Repubblica fiorentina , ed altre di Toscana e di Italia, fosse affidato il pubblico vessillo, è manifesto da mille memorie de’nostri scrit- tori. Tralasciando le molte e più antiche, per la brevità saremo contenti di poche testimonianze. Il celebre Poggio nel lib. 1. della Storia Fiorentina scrive: ,, Capitaneum sibi populus et duodecim seniores ac vexilliferos viginti, quorum consilium Res- publica administraretur , instituunt . .... Decennio post Ve- xillifer iustitiae, trigesimoque deinde anno duodecim viri, qui Boni appellantur, electi, et numeras viginti vexilliferorum ad sedecim redactus.,, » E nella Orazione funebre per Leonardo Aretino : ,, Fun- ctus est etiam summis magistratibus civitatis: nam bis ex De- cemviris sammo civium favore factus fuit, Vexillumque societatis tribus gessit, ac ex Prioribus unus creatus est. Ad id quoque ( quod praecipuum est in civitate ) Vexillum pervenisset , nisì mors vivendi finem attulisset. Il portatore di questa principale insegna era detto in latino /exi/lifer iustiatie Comunis et Populi florentini (d). I portatori delle Insegne minori, come delle Ar- ti etc. erano chiamati solamente Vexi/liferi ,,. “,»Il Gonfaloniere di Giustizia doveva tener dentro al Palaz- zo nell’abitazione propria un bianco stendardo di buono e sodo zendado entrovi una croce rossa, che tutto lo stendardo ab- bracciava; quale gli era consegnato pubblicamente dal Capita- no di Giustizia dopo preso il suo giuramento , stando presenti li sigg. nuovi e vecchi Priori, e questa funzione fu solo os- servata nell’elezione del primo Gonfaloniere di Giustizia, quale (4) Il Capitano del popolo avea il Gonfalone principale « E il Gonfalon principale del popolo che avea il Capitano ( del popolo ) era dimezzata bianca e vermiglia. Gio. Villani lib. VI. cap. 39. Questo stesso Gonfalone passò poi nella riforma fatta dieci anni dopo al Gonfaloniere di Giustizia, | | | 149 finito l offizio, per il tempo futuro di sua propria mano con- segnava al suo successore lo stendardo suddetto, rogandosene di simil funzione ogni volta un contratto ,,. », Oltre allo stendardo suddetto teneva nel Palazzo cento pavesi di scudi, ovvero, cento elmi o celate dell’ insegna del suo stendardo dipinte , cento lance, venticinque balestre con li quadrel- li, e suoi fornimenti, ed altri simili materiali in grand’ abbondan- za. V. Tommaso Forti Foro Fiorentino p. 8: che è MS. nella libreria Magliabechiana ,,. »» Da tutte queste testimonianze pertanto è manifesto che il Gonfaloniere di Giustizia della Repubblica Fiorentina non altro fu che l’ antico Capitano del popolo, dal di cui cenno dipende- va il gran Vessillo o Gonfalone; e stando alla proprietà del nome e dell’ufizio fa chiamato volgarmente il Gonfaloniere di Giusti- zia, ed in latino Vexillarius, e Vexillifer Iustitiae, cioè il Ves- sillifero del pubblico potere. Vediamo adesso a quale ufizio appres- so i Latini corrisponderebbe il Gonfa/oniere di Giustizia . E pri- mieramente dico doversi distinguere il nome, dalla cosa. In quanto al nome, clie dalla prima istituzione fino a noi è stato sempre quello di Gonfa/oniere , 1’ hanno tradotto in lati- no gli antichi nostri, VexiMarius, o Vexillifer iustitiae, avato ri- guardo all’ essere stato il Gonfaloniere capitano generale del po- polo, e depositario del pubblico vessillo della milizia e del su pre- mo potere. Sotto questo punto di vista dunque non parmi mal detto vexi/larius o vexillifer, perchè chiamarono i Latini vexil- larius e vexillifer il porta-bandiera e la insegna militare. Se poi abbiasi riguardo alla cosa, ovvero alle attribuzioni del Gonfa/o- riere , non furono sempre le stesse, ma variarono secondo î tempi è le riforme del pubblico reggimento , restando peraltro sempre fermo il nome di Gonfaloniere di Giustizia, o di Gonfaloniere soltanto. Se i Latini non chiamarono vexi//arius il supremo co- mandante, gli diedero bensì l’autorità sopra il pubblico militar ves- sillo com’ebbe il Gonfaloniere: Caesari omnia uno tempore erant agenda : vexillum proponendum , quod erat insigne cum ad ar- ma concurri cporteret: Caes. lib. 2. de B. G. cap. 20. e ,, ren- nunciatum est ab speculatoribus Pompejum in acie stetisse. Hoc nuncio allato vexillum proposuit. (Hist. de Bello Alex.) E Vir- gilio (Aeneid. lib. VIII) ,, ut delli signum Laurenti Turnus ab arce extulit et rauco strepuerunt cornua cantu ,,. 3.Dopo queste osservazioni concludo che trattandosi di voler trovare non il vero e proprio nome latino della parola Gonfa/o- 150 niere, ma quello che meglio vi si accosti tanto per la parola chè per la principale attribuzione, non altro mi sembra più conve- niente del vexillarius, o vextllifer, perchè dà subito l’ idea del nome e dell’ufizio, come dicono le scuole, per genus et differens zian:. AI contrario i nomi di praefectus, praetor, magister ur- Bis e altri nulla banno di comune caratteristica con la voce e l’ufizio dell’antico nostro Gonfaloniere ; ma viene a chiamarsi il Gonfaloniere con voeaboli di magistrature l’ une dall’altre dispa- ratissime ,;è s 3, Ma qui non debbonsi dissimulare le ragioni che potrebbero far pensare in contrario, cioè che le voci vexillarius o vexillifer mon abbiano da riguardarsi per le più approssimantesi al Gonfa= leniere di giustizia dei Fiorentini; perchè I. Vexi/larius ec. non era presso i Romani lo stesso che Dux o Imperator, e molto meno un capo d’un magistrato rappresentante il supremo potere. St ri- sponde esser verissimo tulto questo: non si tratta peraltro di trovare il nome proprio equivalente; ma l’approssimativo, che dia l’idea dell’ ufizio principale e del nome di Gonfaloniere ; che viene as sai distinto nel suo grado dall’aggiunto /ustitize, per cui distin- guevasi anche» dagli altri Gonfalonieri minori delle Arti ec. Ma mel prefetto, nel pretore ec si trovano molte attribuzioni lonta- missime da quelle del Gonfaloniere, e nulla che indichi qualche cosa di analogo al nome di lui. H. VexilZarius, e Vexillifer in- dicano portatore del vessillo: ove che il Gonfaloniere non portava e non porta il Gonfalone. Si risponde: in antico lo portava; di versamente come l’ avrebbero tradotto vex:/lifer fino dai primi tempi della sua istituzione? Le parole stesse del Poggio citate di sopra ne danno la conferma; mentre a proposito del Gonfa- lonierato minore di Leonardo Aretino dice che vexillum societa- tis tribus gessit , e poi: ad id quoque quod praecipum est in ci- vitate vexillum pervenisset. Ma per chiamarlo vexi/lifer non è mica necessario che lo portasse egli stesso ; altra è l’azione ma- teriale, altra, come dicevano le Scuole la virtuale : Il Gonfalo- miere ordinava di condurre il vessillo ; lo custodiva presso di sè, e di sua mano lo consegnava al successore. Così quando di Cesare leggiamo che vexi/lum proposuit, e che Caesari omnia uno tem- pore erant agenda, vexillum proponendum ec. non è necessario eredere che egli materialmente portasse il vessillo, come ognu= no facilmente comprende. III. Si potrà finalmente op porre che: sia pure il vexi//ifer la voce latina più adattata per indicare lo antico Gonfaloniere di giustizia della repubblica Fiorentina: ma il Gonfaloniere moderno non mai; perchè mantiene un puro no- 151 ne, che nulla ha più che fare nè col Gonfalone, nè col Capita- nato del popolo, e sono tutte affatto cambiate le sue ingerenze, avvicinandosi in oggi più ad un regio presidente della economia ci- vica, che ad altro. Si risponde: non esser vero che non abbia più nulla affatto che fare col Gonfalone, e col popolo , essendo egli il capo della Comunità, ed il vessillo del Comune trovandosi sempre raccomandato alla sua custodia ,,. », Ma quantunque sieno nella massima parte mutate le sue at- tribuzioni, e non gli resti, se così vuolsi, altro che il nome: trattandosi appunto di voltare in latino il suo nome, non altro useremo che il vexillarius 0 il vexillifer, lasciando per indicare il cambiamento la parola zustitzae. E non è egli accaduto sem- pre così, quando mutate le attribuzioni delle magistrature e delle dignità, è restato il solo nome? I moderni scrupolosi latinisti hanno eglino difficoltà di servirsi dei nomi latini Princeps, Dux, Comes, Eques sebbene questi vocaboli non siano che per approssi- mazione convenienti ai nostri principi, duchi, conti, cavalieri ec. ? Anzi tra li stessi Latini non veggiamo adoperati tanti vocaboli che perdettero la primitiva loro significazione? Imperator signifitò egli, dopo Augusto , quello che propriamente volle dire nel terà- po più antico? I Consoli del basso Impero che altro aveano dell’ antica dignità e potenza fuori del vano nome? or dunque perchè sebbene non più corrisponda in tutto al primitivo signi- ficato, vorremo abbandonare l’uso d’un vocabolo analogo al buon latino, ed ormai ricevuto universalmente da tempo antichissimo nel latino convenzionale, per sostituirne a capriccio dei nuovi che non hanno veruna sanzione, e che neppure danno idea del nome stesso che vuol tradursi in latino? ;,. »» Terminerò col ripetere che ogni qual volta si vuole adope- rare la lingua latina in vece della volgare per gli usi moderni, bisogna perdonare le voci introdotte di necessità , quando la lin- gua antica non ha, nè può avere i vocaboli proprj; specialmente poi se le voci sieno parce detortae dalla loro legittima signifi- cazione; e se abbiano l’jaccettazione di coloro che passano per li scrittori più autorevoli nel caso di cui si questiona. Questo appunto conviensi alla parola vexi/Zifer adoperata per indicare il Gonfaloniere della repubblica Fiorentina dal secolo XIII prin- cipiante, fino ai tempi nostri dai Segretari della Repubblica, e dai più purgati scrittori latini moderni che sono stati nella ne- cessità di dire in latino il Gonfa/oniere, non escluso l’Ab. Lanzi, celebre latinista del tempo nostro ;,. S. C. I e R. AccADEMIA DEI GEORGOFILI Adunanza dei 7. Marzo 1824. La Società, adunata sotto la presidenza di S. E. il sig. Mare. Cav. Paolo Garzoni Venturi ec. ec., udì dopo la lettura del processo verbale dell’ antecedente seduta le seguenti comu- nicazioni del segretario della corrispondenza. Il sig. Can. Brizzi di Poggibonsi trasmette un ragguaglio di sperimenti fatti con un col/tro usato già nelle pianure Pisane e di recente intro- dotto nel distretto della terra citata = Il sig. Girolamo Guidoni dona una copia della sua memoria sulle viti e sui vini delle cinque terre = Il March. Ridolfi offre una copia della sua me- Inoria sul nuovo coltro stampata con permissione dell’Accademia, Il sig prof. Meli invia la sua operetta sul peperino e sul- l’olio acre del pepe nero proposto come febrifugo. = Il redattore degli annali d’agricoltura ec. del Belgio invita l' Accademia ad associarsi all’opera sua — finalmente il sig. avvocato Lorenzo Col- lini accademico fa dono del I. Tomo delle sue orazioni civili e criminali, Ebbero quindi luogo le letture che appresso, delle quali erano le prime tre stabilite per turno, e straordinarie le rimanenti. Il sig. prof. Giuseppe Gazzeri Vicepresidente, contro l’opi- mione sostenuta da altro socio in una precedente adunanza, prese a mostrare che l'invenzione delle macchine (e specialmente di quelle per le quali si opera con somma economia la filatura del cotone ) ha procurato un grande e perpetuo Denefizio alla società in generale, facendo discendere a bassissimi prezzi e mettendo a portata d’ ogni classe del popolo molte specie di tessuti utilis- simi, ed ha dato grandi profitti all’ Inghilterra ove prima nacque tale industria. Coi quali vantaggi provò non esser da porre in bilancia il dissesto temporario di un numero d’operaj di quel paese privati di lavoro non già dall’ introduzione delle macchine come si è erroneamente supposto, ma dall’ inazione a cui la con- correnza ed altre cause hanno condannato una parte delle mac- chine stesse. Il sig. Dott. Giuseppe Bertini provò di quanta importanza potesse riuscire la redazione esatta di un prospetto annuale il quale apertamente mostrasse non solo le meteorologiche osser- vazioni occorse nell’indicato periodo, ma amcora l'influenza che i fenomeni atmosferici esercitarono sulla vita dei vegetabili e degli animali, indicando di più quei fatti particolari dei quali non si 153 fossero determinate le cause potendosi forse col tempo e coll’os- servazione trarre ancora da questi delle utili conseguenze. Il march. Ridolfi (supplendo per il sig. D. Antonio Moggi) trattò delle Colmate di Monte ossia del metodo immaginato e praticato dal fù Agostino Testaferrata per ridurre a buona cul- tura quei luoghi di collina, che lasciati per lungo tempo in balia del corso disordinato delle acque piovane si ridussero fondi di miun valore perchè inetti a qualunque prodotto. La detta me- moria si raggirò particolarmente intorno ai fondamenti di questo industrioso ritrovamento , riserbandosi l’ autore di mostrarne gli sviluppi e le applicazioni in altra occasione. Il sig. Giovanni Bettoni, preso motivo da quanto ha egli ocu- larmente osservato intorno al taglio effrenato delle querci annose nella provincia del Mugello , ( osservazione che ha dovuto persua- derlo del falso calcolo di quei possidenti e dei mali che imman- cabilmente le terranno dietro ), fu sollecito a far di pubblico di- ritto i suoi savj suggerimenti in proposito colla lettura di una memoria concernente questo importante argomento. Il sig. Sabatino Guarducci, socio corrispondente, lesse finalmente una sua memoria diretta a mostrare la difettosa cul- tura dei Pioppi invalsa in qualche distretto della Tosca na, dalla quale erronea cultura vengon prodotti non lievi danni alle viti ad essi affidate non solo, ma ancora alle sottoposte semente. E considerando questo lavoro come un appeudice alla sua memoria premiata già dall'Accademia nel 28 Settembre caduto, ne con- sacrò una parte all’esposizione di quei precetti ai quali dee prin- cipalmente appoggiarsi questa interessante branca d’ agricoltura. Dopo di ciò la seduta pubblica si sciolse, e l'Accademia tenne adunanza privata. Il Segretario degli Atti. Lettera al Direttore dell’ Antologia. Giunto in questa città, sono ora pochi giorni , ricevei il vo- lumetto 38 dell’ Antologia. Pervenuto , leggendolo, alla facc. 49 dove è l’ articolo su i frammenti di Merobaude lessi ancor questo per osservare se v’ erano errori tipografici ; nè vi trovai cosa me- ritevole di molta considerazione, tranne che a c. 53. lin. 17. in vece di Cous dee porsi Eous. Del tipografo dunque non mi dolgo : mi dolgo bensì di me, che per inavvertenza, trascrivendo quel- l'articolo per mandarglielo , tralasciai un tratto non brevissimo. \ 154 Da questo tralasciamento nasce una brutta confusione di cose alla quale debbo ora riparare. A c. 54 dopo aver mostrato cori un esempio d’Ausonio, che la voce primaevus adoperavasi non in significato di gioventù solamente, ma anche della puerizia, ag- giungo il seguente dell’ autore della Fenice vw. 113. Ast ubi primaeva coepit florere juventa Evolat ad patrias jam reditura domos. Dopo questo dovevasi seguitare così: ,, Qui io credo che primaeva Juventa sia usato non a significare la vera giovinezza, ma sì la puerizia , se è lecito adoperar questa voce parlando della Fenice» In fatti ivi si discorre prima la sua nascita, si descrive quando è tuttavia senza penne, e si pasce di rugiada, donec maturan proferat effigiem v. 114, poi senza più si aggiungono i due versi allegati, i quali parmi che si debbano intendere del tempo, in cui nate appena le ali comincia a volare. Ma questa non è che una congettura probabile , ed io non ho bisogno di congetture , quando ho un esempio chiarissimo d’ Ausonio. Oltre a ciò vuolsi considerare che primaevus venendo da primum aevum non può non significare la prima età cioè propriamente l’ infanzia e la pue- rizia, e mero propriamente l’ adolescenza e la gioventù. Che se nel senso, che io reputo proprio non si hanno esempi antichi , ciò è forse perchè il tempo fra tanti scrittori ci ha involato quelli , che in questo modo l’adoperarono. ,, Tralascio poi, come confessando però, che negli scrittori che ci rimangono si trova usata quella voce solo in senso d’età giovenile, raccoglieva qualche esempio de’ secoli chiamati bassi ed aggiungeva anzi în età megliore ec. Tralascio questo come inutile adesso, bastandomi d’ aver tolta quella confusione di cose. Ella mi farà cosa grata se vorrà porre questa mia lettera nell’ An- tologia, e con vera stima mi dichiaro. Firenze 13 Marzo 1824. Suo Dev. Servitore CESARE LUCCHESINI: siii sian n 155 BULLETTINO SCIENTIFICO N°. VI. Marzo 1824. Medicina pratica , e Materia Medica. Quanto più sono ostinate e recalcitranti le malattie, tanto più sembra che si metta a tortura e si affini l'ingegno de’ me- dici, onde trovare un qualche rimedio, se non per vincerle, per impedirne almenoi progressi, e minorare nel tempo istesso le angoscie di chi ne è vittima, Nel far la qual cosa se il successo non cor- risponde sempre al desiderio, merita per certo riconoscenza ed applauso sì filantropico divisamento, da cui sembrano mossi in special modo i medici dell’età nostra ; dallo zelo dei quali si vedono poste a cimento per l’incremento della medicina pratica molte sostanze dei tre regni della natura, o non sperimentate fin quì, 0 lasciate poi anco in oblio. Così il Sig. D. Farre assicura di avere ot- tenuti dall’ uso del fucus Relminthocorton molti vantaggi nello scirro e nel cancro , contro le quali malattie l’ efficacia di questa pianta , secondo questo medico , è più evidente di quella degli altri medicamenti adoperati per lo passato ; quantunque un’ altro medi- co, il sig. Dho/off, non ne abbia sperimentate grandi utilità nelle esulcerazioni cancerose, e ne abbia ottenuto qualche buon successo nelle sole scirrosità. La miglior maniera di amministrare questo rimedio, è quella di usarlo alla dose di mezz’oncia in un litro di acqua bollente, sia che vogliasi adoperare l’ infusione, o la deco- zione ; e lasciata riposare questa infusione per dieci o dodici ore, si filtra, e quindi se ne fa bevere tre bicchieri per giorno , un’ora, o un’ ora e mezzo prima del desinare e della cena; qual dose è benissimo tollerata senza incomodo dai soggetti anco deboli. Il sig. Farre riporta , in appoggio della sua asserzione, molti fatti, che militano in favore del fucus helminthocorton ; ed il sig. Dho- loff crede che questo succo debba la sua virtù antiscirrosa , 0 anticancerosa alla presenza dell’ iodio che egli crede esistervi ; ma che non è ancora provata, come non crediamo bastantemente provata la efficacia di questa pianta contro le due terribili ma- lattie, per le quali è vantata. Nell’ efficacia dell’ iodio è pure stata ri posta molta fiducia dal D. Hennemann per debellare il cancro uterino giunto oramai all’ul- timo grado di sua ferocia. In una donna, travagliata già da sì atroce malattia , e trattata senza frutto dai medici, che l’avevano assistita drima di lui; il sig. D. Hennemann imprese a sperimentare il 756 valore della tintura di iodio , data alla dose di tre goccie mattina e sera in una cucchiaiata di acqua di cannella. È da osservarsi che all’ epoca in cui fù incominciato l’uso di questa sostanza la malata era in pessimo stato, in estrema magrezza, ed aveva le gambe gia edematose ; l’ utero offriva una gonfiezza paragona bile a quella che si osserva pochi giorni dopo al parto; la vagina talmente ristretta, che appena vi poteva penetrare il dito con somma difficoltà; la parete destra di questo canale ristretta e tubercolosa ; la sinistra al contrario era spungiosa, degene- rata in masse simili al cavol fiore, e trasudava da queste parti una sierosità giallastra, che macchiava i panni. L’uso dell’ iodio non solo non arrecò verun disturbo, ma fu seguito anzi da sen- sibili miglioramenti: perocchè la vagina si dilatò, ed andò a diminuire quello scolo che ne fluiva. Ad onta di questi vantaggi la malata perì; e quantunque si trovassero colla sezione del cadavere molte alte- razioni nelle parti vicine all’utero, pure non si riscontrò in que- sto viscere, più sviluppato al certo di ciò che suole essere per l’ ordinario, veruna apparenza scirrosa. È molto verisimile che questa osservazione, la quale ha per resultato la morte della inferma, non sia a prima giunta ravvi- sata molto opportuna ad ispirare confidenza nel rimedio di cui vuolsi commendar l’ efficacia: ‘ma se si rifletta da un lato che sotto l’ uso dell’ iodio si sono ottenuti dei cambiamenti molto sen- sibili nello stato generale della malattia, e se si ponga mente dall’ altro alla qualità veramente spaventosa del male contro cui vien proposto questo rimedio , i piccoli vantaggi che se ne sono ottenuti potranno essere ba stanti ad indurre i medici pratici a far nuovi esperimenti di questa sostanza medicamentosa, nella quale sembra essere stata riposta molta confidenza dai medici d’og- gidi. Il D. Zollickoffer assicura aver ricavato molto vantaggio dallo stramonio comune , datura stramonium , nel romatismo cronico. Egli adopera per uso interno la tintura fatta. con una oncia di semi di stramonio, in una libbra di alcool: o preparata con due oncie di foglie di questa pianta in libbre una di spirito di vino ; amministrando di queste due preparazioni, otto o dieci gocce mattina e sera; ed aggiungendo all’ uso interno di questa pianta l'applicazione esterna di una pomata fatta colle di lei foglie polveriz- zate, e miste all’ assungia porcina, con cui fa spalmare le parti dolenti solo però allora quando. la tintura sopra indicata, presa interna- mente, arrechi qualche sconcerto. Il sig: Zollickoffer riferisce molte 157 cure felici, eseguite con questo metodo , per le quali non sem- brerebbe inconsiderata la confidenza che si potesse riporre nella virtù anti-reumatica di questa pianta. Dal medesimo medico è altamente preconizzato il prussiato di ferro per debellare quelle febbri intermittenti e remittenti, nelle quali è bene indicata la china. A suo parere questa preparazione marziale ha sulla corteccia peruviana i seguenti vantaggi, v.° il prussiato di ferro è inodoro; 2.° le dosi che se ne impiegano sono molto piccole (dai quattro ai sei grani tre volte al giorno) lo che è molto vantaggioso nei bambini e nelle persone deboli ; 3.° esso previene l’ accesso febrile ugualmente bene che la china , e ritarda molto meno la convalescenza. E perchè il prussiato di ferro di cui vuolsi fare uso sia buono, bisogna che sia preparato di re- cente; il suo colore deve essere di un blù carico, pendente al nero; la sua frattura deve offrire la lucentezza del rame, e deve attac- carsi alla lingua; assicurando infine che undici malati, ai quali è stato amministrato questo rimedio , ne hanno ottenuto buonis+ simi effetti. Un’ altra preparazione marziale dicesi essere stata coronata da ottimo risultamento nella cura di una nevralgia faciale cono- sciuta dai francesi col nome di #ic doul/oureux. La preparazione di cui vuolsi quì far parola è il carbonato di ferro, con cui il sig. M. B. Hutchinson ha vinto molte matattie di questo nome, ribelli ad ogni altro medicamento , e che cederono perfettamente all’ uso di questo rimedio, amministrato dai venti grani fino ad uno scropolo, due o tre volte per giorno, —Il carbonato di ferro è stato pure adoperato con pieno successo , nella’malattia di cui si ragiona, dal D. Stewart Crawford a Bath, il quale ha liberato con questo solo mezzo due individui da sì penosa infermità ; mentre il sig. Thompson di Londra ha guarito esso pure altri in- dividui con la medesima preparazione marziale, cui però ha as- sociato la della donna. Uno dei più difficili cimenti pel medico pratico è quello , se- condo l’Astruc, di provocare o di richiamare nelle donne l’ eruzione menstruale, alla di cui ritardata comparsa, o alla di cui intempe- stiva disparizione, deve spesso quel sesso acerba iliade di guai. A rinfrancarci però dai timori dell’ Astruc starebbero, se vere, o almeno più generalizzate nella pratica medica, le osservazioni del sig. Lavagna, il quale dice avere ritrovato un rimedio effica- 158 cissimo contro } amenorrea nelle iniezioni fatte coll’ alcali volatile. diluto nel latte. Egliha unito dieci o dodici gocce di ammoniaca a, tre o quattro cucchiaiate di latte tepido, e mescolato il tutto con. acqua ha fatto delle iniezioni nella vagina, che ripetute tre o quattro volte nelle ventiquattro ore, hanno costantemente rior- dinato le funzioni dell’ utero in cinque o sei giorni, facendo nel tempo istesso sparire tutti quei fenomeni che sogliono d’ ordinario accompagnare l’amenorrea. In quattordici casi felici da lui rammen- tati egli ha potuto convincersi che, in generale , le iniezioni pro» ducono una sensazione più o meno spiacevole, e talvolta anco do- lorosa a seconda della quantità d’alcali che «si adopra, o della maggiore o minore sensibilità della parte. Ciò non pertanto egli non cà mai osservato verun fenomeno, che dimostrasse rischioso l’uso di questa sostanza; la di cui efficacia merita però, a senso nostro, la conferma di un maggior numero di osservazioni. I felici risultamenti, ottenuti negli anni ultimamente decorsi dall’applicazione dei vapori solforosi alla pelle, sembrano aver de- stata, o richiamata almeno l’ attenzione dei medici sopra questo nuovo ramo di terapeutica, impegnandoli ad insinuare nel corpo. umano per questa via, e sotto la medesima forma, altre sostan- ze medicamentose , l’azione delle quali non era destinata a limi- tarsi unicamente sulla cute, ma ad internarsi ben anco fino ad, un qualche viscere più recondito, ad affetto da malattia. In que- sta veduta fa proposto e sperimentato dal Sig. YVa//ace l’uso del cloro in molte malattie interne, ed in quelle particolarmente del fegato. Egli amministra per bocca questa sostanza diluta nell’acqua, ma ripone maggior fiducia nell’uso esterno della medesima , che egli fa penetrare attraverso alla pelle in istato di vapore. A tale oggetto adopera un processo analogo a quello di Guitton-Morveau , e colloca l’infermo in un’apparato simile a quello de’ quali si fa uso pei bagni a vapore, 0 per le fumigazioni solforose Con que- sto mezzo egli assicura di aver sanato completamente molte an- tiche malattie, ribelli a qualunque altro metodo curativo; e no- verando gli effetti dell’azione del cloro sulla pelle fa riflettere, che pochi momenti dopo la prima applicazione alla cute di questa so- stanza o in vapore, o diluta nell’acqua, suole incominciarvi una molesta sensazione , simile al prurito che cagiona la morsicatura di piccoli insetti, che si prolunga in seguito senza divenir più in. tensa, e cessa poi all’uscir del bagno, Dopo le fumigazioni la pel- le acquista e conserva, per più o meno tempo, una squisita sen- sibilità, che è seguita da copiosa traspirazione, la quale comincia, - | 199 per ordinario al comparir del prurito, e continova in seguito con molta abbondanza. A questa traspirazione suole in qualche caso tener dietro un fenomeno non meno singolare, e consistente in una generale eruzione di un gran numero di piccole bolle, so- pra quasi tutta la superficie del corpo, ma specialmente al dor- so, ai reni, al petto, all’ addome ed alle braccia; l’ apparizione della quale è riguardata dal Sig. Wallace come un presagio del- la guarigione della ‘malattia. Il cloro misto all’acqua è stato ritrovato dal D. Braun come un medicamento molto efficace contro alcune malattie, e special- mente contro la febbre scarlattina, cosicchè assicura che da dieci anni a questa parte avendo egli fatto uso costante di questa so- stanza nella febbre summentovata, ne ha ottenuto sempre ottimi risultamenti, anco nei casi più complicati. Egli pensa che il cloro, misto all'acqua, annichili il contagio di questa malattia, e condu- ca nella massima parte de’casi, alla guarigione senza che insorgano malattie consecutive; lo adopera unito all’acqua (agua 0xy-mu- riatica), e lo amministra alla dose di una cucchiajata da thè, 0 da caffè, ripetuta ogni due,o tre ore per i ragazzi dai tre ai sei anni, ed in quella di una cucchiajata da minestra , ripetuta col- l’istesso intervallo per li adulti. Il D. Braun raccomanda l’uso della sua acqua ossimuriatica(1) anco in altre malattie, e specialmente nella pustola maligna, e nel tifo, contro la quale assicura di averne sperimentata la salutare efficacia nelli anni 1813.—14. In forma pure di vapori o di fumigazioni furono di recen- te proposti dall’Hufland i narcotici per la cura dell’epilessia. Al giusquiamo ed alla bella donna viene accordata la preferenza dal professor tedesco , cui piace di aggiunger talora anco l’ oppio a corroborarne l’azione. Ecco il metodo con cui li adopra: si pren- dono sei once delle prime due sostanze, e dieci o venti grani del- l’ultima, si umettano leggermente con acqua, e si stendono so- pra una lastra di ferro, cui si applica il calorico per mezzo di una lampada a spirito, finchè non abbia luogo la carbonizzazione di questo miscuglio, e non si sia ripieno del fumo, che si solle- va, un bagno a vapore. Si espone quindi il malato all’azione del- l’atmosfera carica di questi vapori per un quarto di ora ed ancor più ; dal che resultò talora un aumento di traspirazione , ed una (1) L'acqua ossimuriatica si compone con tre dramme di cloro, otto once di acqua stillata , ed un’ oncia di siroppo semplice . 160 certa tendenza alla congestione attorno alla testa: tal'altra però eb- bero luogo sintomi più spiacevoli come vertigini, tremori, e spa- smi, per cui fu necessitato il medico ad apprestar qualche rime- dio agli sconcerti presenti, e ad evitare la sopravvenienza di nuovi, cambiando la quantità o la qualità dei narcotici. Con una serie di concludenti osservazioni mostrò il Sig. Car- minati essere l’azione del colchico autunnale eminentemente anti- flogistica, ed atta a riordinare o riattivare la secrezione delle ori- ne morbosamente alterata o sospesa ; imperocchè amministrato que- sto rimedio sotto forma di ossimiele in casi di grave peripneumonia, a cui si era pure associata un’ effusione acquosa entro al torace, per- sistendo tuttora lo stato flogistico, si accrebbe la separazione del- l’orine, si dissipò ogni tristo fenomeno della presenza dell’idrope, e fu ridonata ben presto la quiete e la salute alli infermi . Suc- cessi sì lusinghieri incoraggiarono il pretodato professore ad estendere i suoi tentativi sopra un numero maggiore di malati e di malattie, e specialmente sulla numerosa famiglia delle idropi universali, e parziali, prodotte, o mantenute da condizione flogistica ; non che alle tossi , all’ asma, al catarro, alla retropulsione dell’esan-. tema scarlattinoso ec. nè i resaltamenti delusero mai la sua espettativa ; talchè colla larga copia di orine, e la riordinata azione dei vasi assorbenti, potè far di meno della sanguigna.—A gloria poi del Professore italiano è da notarsì in questo luogo, che il discuoprimento delle virtù deprimenti, o controstimolanti del colchico devesi al Sig. Carminati, come quello che fino dal 1802 l’aveva palesata con fatti autentici; mentre l'inglese Stader che, secondo alcuni, credesi poter pretendere alla priorità di que- sta scoperta , non fece di pubblico diritto le sue osservazioni sul colchico, che nel 1820. Le lodi tributate , forse con troppa precipitanza , all’azione deprimente del tasso baccato da Gatereau , da Hormand, da Huffe- land ed altri, sono tutte smentite dal sullodato Sig. Carminati die- tro la scorta di esatte ed imparziali osservazioni; mercè le quali potè riconoscere, che nelle affezioni reumatiche, nelle cachessie con. clorosi, nelle febbri intermittenti, nelle epilessie ec. non si otten- gono mai da questa sostanza i buoni effetti, che le vengono at- tribuiti dai mentovati scrittori. Nè dissimili furono i risultamenti che egli ne ebbe nella cura de’mali stenici, mentre osservò più, volte risvegliarsi sotto l’uso di questa pianta , sintomi di ardore, nausea, convulsioni al ventre, e alli arti, talvolta brevi, tal’altra, i 164 molto più prolungate: dal che tolse occasione di consigliare i me- dici, e pel loro decoro e pel bene dell’ umanità, di evitarne pru- denzialmente l’uso nei mali sopraccitati, e di riserbarla unica- mente per la cura del morso della vipera. Allorche il Sig. Professore Taddei fece di pubblico diritto il suo metodo di togliere al sublimato corrosivo la sua così detta azione venefica, neutralizzandola colla mescolanza del glutine di framento , egli non sospettò , o non fece almeno parola, che il Sublimato corrosivo , preparato in questa forma conservasse tut+ tora la sua azione antivenerea . Posteriori osservazioni ed espe- rienze avendo per altro mostrato al prelodato Professore, e ad altri suoi colleghi, che l’aggiunta del glutine di frumento al sublima+ to, mentre rende tollerabile una dose maggiore di questo rime- dio, non ne distrugge però l’efficacia per la cura della June ve-- nerea, nci crediamo utile, per la maggior diffusione di questo salu- tevole preparato farmaceutico, di additare la formula con cui il Professor Taddei compone le sue pillole di sublimato e glutine di frumento. Prendasi fior di farina di frumento libbre una, e ridotto in pasta per mezzo di acqua piovana, si manipoli conveniente- mente sotto un filo di acqua per separare il glutine dall’amido, Dopo aver abbandonato il glutine a sè medesimo per lo spazio di circa ventiquattro ore in inverno, e di sole otto o dieci ore in estate, si comprima e si agiti fra le palme di ambe le mani dentro a una soluzione acquosa di sapone, fatta con mezz’oncia circa di sapone da seta, e una libbra di acqua distillata o piova- na. Si continui a dibattere e agitare il glutine fino a tanto che per la miscela e unione dell’uno coll’ altro non siasi formato un liquore più o meno omogeneo; dopo di che si filtra per setac- cio o per tela. Prendasi quindi sublimato corrosivo purissimo dramme una, sciolgasi in acqua distillata quanto basti, e in questa soluzione si versi in eccesso il liquido glutinoso anzidetto, continuando cioè fino dopo la cessazione dei fiocchi o stracci che si formano, on- d’ esser sicuri della totale e completa decomposizione del subli= mato corrosivo operata dal glutine. Dopo alcune ore di riposo si filtra il precipitato per tela di lino, si asciuga fra della carta hibula, e impastato conveniente= mente con estratto di guaiaco o di ginepro, si divide in tanti boli da raddoppiare precisamente il numero dei grani di subli» T. XIII. Marzo II 162 mato impiegato; lo che corrisponde a mezzo grano di sublimato corrosivo per ciascuna pillola. Le già divisate pillole contengono il sublimato in tal gui- sa scomposto dal glatine, che esse ponno essere amministrate impunemente nel numero di due e tre per giorno; dose che può portarsi a sei, otto e più anche in brevissimo spazio di tempo. Questo stesso composto di sublimato corrosivo e glutine è stato impiegato, e tuttora impiegasi, con molto buon successo nel trattamento delle malattie veneree, nello spedale militare di S. Bonifazio di Firenze. I sigg. Orfila e Sertuenner hanno da qualche tempo in poi inspirato dei giusti sopetti contro l’ uso dell'aceto, come contra- veleno \dell' oppio , attesa la somma facilità , di cai gode questo fluido, per disciogliere 1’ oppio medesimo. Im questo stato di in- certezza , rispetto al modo più efficace di rimediare alli avvele- namenti prodotti da questa droga, e dalle sue preparazioni, cre- diamo ‘utile di richiamare l’attenzione de’ medici sopra un fatto, il quale se venisse sanzionato da altre osservazioni, potrebbe esser fecondo di utili conseguenze, additando un mezzo per ri- mediare efficacemente alli avvelenamenti de’ quali si (ragiona, È questo la fiebotomia a cui ricorse il sig. Ros per soccorrere un disgraziato , il quale tentò di togliersi la vita, col prendere due once di laudano liquido del Sydemham. Dopo avergli apprestato il solfato di zinco, come emetico, il sig. Ros trovato il malato in preda ad uno stato comatoso, simile a Matto che tien dietro alla compressione cerebrale, determinò di praticargli un’ abbondante sanguigna di sedici once. L’ apertura della vena fu seguita dalla disparizione dell’ assopimento, ed il malato, tornato in capo di due ore aj godere di un miglioramento notabile , fu ben presto libero da ogni sconcerto . La sanguigna, come antidoto contro l’ avvelenamento prodot- to dall’ acido prussico è stata pure proposta dal sig. Hume. Ecco, come egli ha scoperto, o almeno come ha creduto che 1’ emissio- ne di sangue potesse portare questo utile risultamento. Facendo una esperienza sopra un cane relativamente all’ azione velenosa dell’ acido prussico , egli pensò di accellerar la morte dell’ ani- male aprendogli la vena giugulare. Ma tosto che l’ animale ‘ebbe perduto una certa quantità di sangue cessarono le convulsioni, al- le quali era stato in preda, sembrò essere in un migliore stato, e si alzò sulle gambe .' Tal miglioramento che dal sig. Hume fa E\ 163 attribuito, e forse non senza ragione, alla perdita di sangue cui l’animale andò soggetto, dovrebbe determinare a ripeterce ad am- pliare esperienze simili a quelle del medico inglese, dalle quali ‘ potrebbero forse ottenersi utili risultamenti per la pratica medica. È noto che li abitanti delle Indie adoperano le infusioni del pepe, per guarirsi dai lauguori di stomaco: che Celso faceva uso di una decozione di pepe e d’ aglio per dissipare i rigori di freddo che accompagnano |’ ingresso delle febbri intermittenti; che l’ Etmullero avverti doversi guardar bene il medico dall’ adope- rare il rimedio di Celso in troppa vicinanza dell’ accesso, giacchè così facendo si aumenta per lo più l’ intensità della febbre; che l’ uso del pepe nelle malattie inflammatorie ha prodotto, secondo la testimonianza del Murray, tristissimi effetti; che Galeno lo ha vantato come an buono antelmintico; e che finalmente è stato preconizzato da Dioscoride come un’ eccellente afrodisiaco. —Si- mili autorità avevano fino ai nostri giorni fatto ascrivere al pepe ( specialmente al pepe nero o comune ) una virtà stimolante ; e fu probabilmente in grazia di tali autorità , che si manten- ne fino ai dì nostri la pratica popolare di far uso del pepe nelli ingorghi linfatici, e nei rilasciamenti dell’ ugola e del velo pala- tino. Se non che il sig. John Cravoford, chirurgo della compa- gnia inglese al Bengala, vantando, sono pochi anni, la virtù di que- sta droga, e specialmente del pepe cubebhe nelle blenorragie, sem- bra aver dato occasione a considerare questa sostanza come do- tata di una virtù opposta a quella che se le era ascritta prima di lui, e per la quale non si sarebbe mai stati indotti a crederlo ‘un rimedio proficuo nelle infiammazioni. Dopo il sig. Crawford molti altri medici inglesi e francesi dicono di averlo sperimen- tato utilmente in queste malattie, ed il sig. D. Dosl/and assicura di aver confermata l’efficacia tanto del pepe cubebe, che del co- mune nella blenorragia, amministrandolo alla dose di una dram- ma mattina e sera, diluto in un conveniente veicolo TO La- sciando al tempo, unico e sicuro estimatore delle vere' “virtù dei 7medicamenti , la sanzione delle vere proprietà di questo PARC, avvertiremo soltanto che secondo ciò che è stato osservato da “quel - li nei quali fu fatto esperimento di tal sostanza, il pepe cubebe non ha alcuna virtù curativa sulla blenorragia delle donne , lo che sembrerebbe limitare azione di lui alle. sole vie orinarie ; e non alli organi della generazione , come pare che accada di altre sostanze, ed in special modo del balsamo del ‘copaiba . 164 Non vi fu forse rimedio in medicina di cui siasi menato tanta ‘rumore , nè che sia salito a tanta celebrità per numerose con- troversie, per dotte scritture, e sopra tutto per decreti di magi- strati, come lo fu fino dal 1666 l’ antimonio e le sue prepara- zioni, E già fino dal secolo xv. Basilio Valentino nel suo Carro trionfale dell’ antimonio, fece conoscere che questo metallo era il rimedio sovrano ai suoi tempi contro le febbri acute; mentre l’ Hu- xam, nella prima metà del secolo passato, ne faceva la base del suo, metodo curativo in tutte le infiammazioni di petto ; ed il nostro D. Bicchierai usava con sommo vantaggio esso pure, sul cadere del medesimo secolo , il tartaro emetico, come nauseante, per la cura delle malattie inflammatorie del torace. In progresso di tem- po le preparazioni antimoniali divennero una delle armi più po- derose dei medici italiani, che militarono sotto il vessillo del controstimolo, dai quali se tu credi a ciò che ne scrivono, ne fu por- tata la prescrizione a dosi poco meno che incredibili. Nè fu sola la medicina italiana a fare encomio delle virtù medicamentose di que - sto metallo, chè incoraggiati li stranieri dai felici risultamenti ottenuti nella nostra penisola, ricorsero , nè senza frutto, alì’aso generoso di questa sostanza nelle più gravi infermità. Di fatti, M. Peschier assicura di aver debellato con questo solo rimedio, e senza bisogno di ricorrere alla sanguigna, molti e gravi pleu- riti, e pneumoniti, nelle quali, come in molte altre malattie egli prescrive l’ uso del tartaro emetico alla dose di tre ‘a quindici grani, diluto in conveniente quantità di acqua, e preso epircra= ticamente ogni due o tre ore. Risultamenti simili a quelli di M. Peschier ha pure ottenuto modernamente il sig. Hu/feland dal- l’uso generoso del tartaro emetico, cui però, a differenza del me- dico ginevrino, consiglia di far precedere le evacuazioni sangui- gne generali, o iocali e ripetute secondo il bisogno. Questo istesso rimedio unito alle evacuazioni sanguigne fa sperimentato utilissimo anco in Francia per la cura di una it- terizia acuta , che fu vinta in pochi giorni dal D. ontanelles con questi due soli presidi. L’ azione sedativa del tartaro eme- tico nelle malattie eminentemente inflammatorie è stata pure riconosciuta e confermata in Inghilterra da due distinti medici il D. Balfour, ed il D. Jeffreys; i quali amministrano questa preperazione alle dose di tre o quattro grani, ed un’ oncia di sal d’ Epson , sciogliendo il tutto in otto once d’ acqua, di cui fanno prendere al malato due o tre cucchiaiate ogni mezza ora, finchè non sopravvenga il vomito. Ed i risultati di quésta pratica furono 165 sì infelici da far concepire ai due dotti medici tal fiducia delle pro- prietà sedative di questo rimedio, da indurli a crederlo un suc- cedaneo delle sanguisughe, alle quali portano Spizione che possa pur anco essere sostituito. Dopo tanti rimedi proposti contro l’idrofobia, dei quali di- sgraziatamente l’esperienza non ha potuto confermare l'efficacia; sì annunzia non solo nel modo più positivo un nuovo sicuro mezzo d’ovviare ad un male così terribile, ma si danno ancora no- tizie certe intorno alla maniera, ed alle circostanze, onde si ma+ | nifesta e si sviluppa nell’ uomo morso da un’animale rabbioso. Tutto ciò è contenuto in una iemoria letta dal sig. Marocchetti avanti la società medico-fisica di Mosca . Egli vi espone come risultamenti costanti delle sue numerose osservazioni; che ove un’ animale rabbioso morda un’ uomo, il veleno non sì arresta nella piaga formata dal morso, ma viene prima assorbito , e quindi depositato in una parte determinata del corpo, cioè nelle glandule sublinguali, ove si manifesta per due o tre piccoli tu- mori, che compariscono, ordinariamente tre o quattro giorni dopo il morso, all’ estremità dei condotti escretori di quelle glandule. Trascorse 7 settimane, senza che questi tumori appariscano, non vi è più nulla da temere. Il veleno idrofobico dopo aver sog- giornato circa 24 ore in quel luogo , sparisce di nuovo, ed allora si manifestano i sintomi terribili della malattia ; a prevenire i quali è però necessario, appena concepito il sospetto dell’ infe- zione, visitar più volte il giorno l’ ammalato, esplorandone di- ligentemente la bocca per riconoscervi la comparsa degl’ indi- cati tumori, che bisogna aprire e cauterizzare profondamente, facendo quindi lavar la bocca del malato con una forte infu- sione di ginestra, la quale, è utile amministrare in bevanda sì avanti che dopo la comparsa dei tumori . Nell’ aprirsi questi ne sgorga una sanie verdastra, che l’autore riguarda come il vero veleno idrofobico . i Sebbene possano far dubitare dell’ esattezza di queste osser- vazioni più cose , riguardate dal comune dei medici come fatti provati, e che per esempio il successo che si ottiene o si crede ottenere bruciando o cauterizzando la piaga fatta dal morso di un’ animale rabbioso ; talvolta anche dopo molti giorni, mal si combini coll’ opinione che il veleno non si arresti nella piaga, e che non si trattenga nella nuova sede che gli si assegna, se non circa 24 ore, pure ci sembra un grande argomento d°’ ingenuità nel sig. Marocchetti il non attribuirsi egli alcun merito in ciò; 16G confessando avere acquistata la cognizione dei sintomi e del mè-. todo carativo da un paesano dell’ Ukrania , aggiungendo che in una circostanza infra le altre, in cui 15 individui erano stati morsi da uno stesso cane arrabbiato, riservatone a sè uno, che curato coi metodi ordinarii morì rabbioso, gli altri 14 fatti curare dal paesano col suo metodo furono tutti salvati, come lo furono poi tutti quelli che dallo stesso sig. Marocchetti furono trattati con metodo eguale. Egli è desiderabile che i nostri medici più zelanti profit- tino delle occasioni, disgraziatamente non rare, per istituire le opportune osservazioni, e porre il metodo proposto al cimento dell’ esperienza . ì È stato tentato nel corso di quest'anno in Francia un nuo- vo metodo per curare l’idrofobia, già sviluppata nell’uomo. Con- siste questo nella iniezione di semplice acqua tepida, fatta nelle vene del malato, e praticata per la prima volta dal sig. Magen- die in un’idrofobo portato all’ Hotel Dieu di Parigi nello scorso ottobre . In esso il furore, la smania di mordere, le grida e l’ orrore per l’ acqua erano all’estremo grado, quando fu inieta- ta circa una pinta di acqua nelle vene del braccio di questo in- dividuo, cui succedè ben presto tal calma di tutti i sopraenun- ciati disordini, che in capo a mezza ora, dopo la fatta iniezione, l’infermo riacquistò l’ uso della ragione. Questo ben essere però non andò molto lungi, giacchè nel giorno appresso l’ am- malato morì. Il dot. Murray inglese in seguito d’ esperienze fatte prima sopra granocchie, e conigli, quindi sopra sè stesso, raccomanda cone antidoto efficace nell’ avvelenamento prodotto dall’ acido prussico o idrocianico l ammoniaca, e ciò con tanta sicurezza da affermare che non esiterebbe a beverne una dose sufficiente a dargli la morte , potendo contare sopra una persona che gli amministrasse opportunamente la dose necessaria di, questo ri- medio . i Ma il dot. Murray parla evidentemente dell’ acido prussico o preparato col processo di Scheele, o se con altri, pure d’una forza eguale , e non già di quello purissimo e concentratissimo che il sig. Gay-Lussac ha insegnato a preparare, ed una piccola goccia del quale uccide istantaneamente un’ animale, come ha dimostrato il primo il dott. Magendie. L’ estensore di questo bullettino, ripetendo da alcuni anni questi sperimenti nei suoi pubblici corsi di chimica , ha qualche volta provato ad appli. 167 care l’ ammoniaca ed anche il cloro immediatamente e nell’ istes- so istante che la goccia micidiale dell’ acido prussico, ma la morte dell’ animale non è stata nè impedita nè ritardata sen. sibilmente. Bensì si è osservato sotto |’ applicazione dell’ammo- niaca un’ effetto in qualche modo contrario a quello dell’acido prussico. Una goccia di questo, ed anche una frazione di goc- cia, uccidendo istantaneamente un coniglio, distrugge in esso l’irri- tabilità degli organi muscolari locomatori, sicchè le gambe spe- cialmente posteriori cadono come stracci. Ma quando immedia- tamente dopo il contatto dell’ acido, e sul luogo stesso sì ap- plica l’ammoniaca, l’animale prova, specialmente nelle gambe posteriori, contrazione e movimenti violentissimi, ma un istante dopo perisce. Meteorologia. x Nei giorni 30. e 31 ottobre 1822 una tempesta atmosferica, notabile per la violenza insieme e per l’ estensione , infuriò con- temporaneamente in Inghilterra, in Francia, ed in Svizzera. Quanto all’ Inghilterra, svelse e spezzò molti alberi nel Wiltshire e nel- l’Oxfordshire. In Francia fece i maggiori danni salle coste N. E. In Svizzera, dopo una giornata molto calda , rispetto alla stagione; la temperatura si abbassò ad un tratto nella notte, e si cuopri- rono di neve de:montagne intorno al lago di Ginevra. Il raffred- damento fu quasi eguale in Inghilterra ed in Svizzera, benchè il vento traversasse le due contrade in direzione opposta , spirando in Inghilterra dal N. E,, in Svizzera dal S. O. Nella notte del 15 gennaio 1824 fra le ore 9 e le 10 della notte caddero alcune pietre meteoriche nella provincia di Fer- rara , alla distanza di 4 miglia dalla città di Cento, nella parte inferiore della parrocchia di Renazzo. La caduta delle pietre fu preceduta dalla comparsa d’ una viva luce, che si dissipò lam- peggiando , da tre grandi scoppi, sjimili a colpi di cannone; sentiti sopra un’ estensione di più miglia, quindi da una succes- sione di scoppi minori, come scariche di moschetteria, poi da uno strepito quasi di metalli percossi, o di campane. Tre pietre :farono trovate, distanti la prima dall’ ultima di circa un miglio. Una di esse è del peso d’ una libbra e mezzo. Alcuni dotti ci fanno spe- rare più minute e più esatte notizie del fenomeno, e l’analisi delle pietre. 168 Si è ‘recentemente veduto in una gazzetta un’ articolo diretto a provare che il suono delle campane non attrae il fulmine, o piuttosto a combattere gli argomenti coi quali si è preteso da al- cuni provare il contrario. Convenendo nella prima opinione , noi crediamo bensì che non sia questa una verità o una notizia da gazzetta, tale cioè che sia utile o necessario di renderla popolare. Lo sarebbe l’opposta se fosse vera, come reputavasi una volta, giacchè il divulgarla poteva , come lo potè, fare abbandonar l’uso di suonar le cam- pane all’ occasione dei temporali; uso che faceva spesso delle vit- time al fulmine, chiamato non dal suono delle campane, come avverte anche la stessa gazzetta, ma dall’altezza, figura ,, ed ap- pendici metalliche del campanile, Però, quanto fu utile quell’er- rore , altrettanto potrebbe il divulgar questa verità divenir dannoso agl’idioti, che senza curare quela distinzione, potrebbero con- cepire una funesta sicurezza, ed esporsi al pericolo. Si annunzia da Stockolm che a Skeleftaa , sù i confini della Lapponia, si è manifestato un nuovo vulcano, il quale per ora, non tramanda che solo famo. Si promettono più minute notizie relative. Un vascello della compagnia inglese delle indie ; che faceva vela per l’ Inghilterra , si trovava nel dì ro febbraio 1823 a ore 1- min. 10 di mattina a 52 gradi latitudine nord, e ad 85 gradi min. 33 longitudine est. Benchè lontano da terra d’ alcune cen- tinaia di miglia, ed in luogo ove esplorandosi il mare non sì trovava fondo , fu sentita a bordo una forte commozione, come se il vascello avesse urtato in un banco di corallo. Per altro il mare limpidissimo lasciò riconoscere non esservi alcuno scoglio o altra cosa. Il fenomeno fa attribuito all’ eruzione di ‘qualche vulcano sottomarino. La sera del dì:4 febbraio 1824 alle ore 10 e minati 51. fu sentita a Voghera in Piemonte una forte scossa di terremoto, che durò 4 minuti (non ci si dice se primi, o secondi). Una gran parte degli abitanti faggì all’ aperta campagna, L’atmosfera era oscura per molte e dense nubi. La mattina susseguente sof- fiava un gran vento. S 169 Fisica e ehimica Il Sig. Berthier ha fatto conoscere un nuovo processo con cui prepara il chermès minerale. In un crogiulo . brascato, cioè vestito internamente d’ un’ impasto d’ argilla e carbone polve- rizzato , egli pone io parti di solfato di soda, e 15 di solfuro d’ antimonio. Fatto fondere il mescuglio, ottiene una massa de- liquescente, che trattata con acqua bollente lascia per residuo del, cherméès di color carico , formando un liquido bruno, nel quale versa a poco a poco e fino a saturazione acido idroclo- rico , il quale ne separa soltanto del chermès, senza che si Pr duca zolfo dorato . Si deve al sig. dott. Antonio Fabroni d’ Arezzo un' altro metodo per la preparazione dello stesso medicamento , metodo pregevole per la sua semplicità, e per la bellezza e copia del prodotto. Egli mescola una parte di solfuro d’ antimonio con quattro di tartaro o gruma di botte polverizzati, scalda grada- tamente il mescuglio finchè la cessazione del fumo dimostri com- piuta la scomposizione dell’ acido tartarico . Disciolta la massa in acqua bollente, filtra il liquido , da cui si separa per raffredda- mento il chermes. L’ossido di cromo, con cui si fanno i bei colori verdi sulle porcellane , si può ottenere economicamente fondendo un miscu_ glio a parti eguali di cromato di piombo e di zolfo , e lavando A più riprese il residuo con acqua . Il cromato di piombo, con cui si tingono di bellissimo e ric- chissimo color giallo le carrozze, ed altri oggetti di lusso, e ehe è stato modernamente applicato anche alla tintura della seta, della lana, del lino, e del cotone, si ottiene talvolta d’un colore aran- ciato e tendente al rosso. È stato riconosciuto che ciò dipende da un’ eccesso d’ alcali nel cromato di potassa impiegato. Di fatti si può far prendere un simil colore aranciato o rossiccio al cro- mato di piombo puramente giallo, facendolo bollire in un liquido alcalino. Un eccesso d’ alcali è anche necessario per ottener cri- stallizzato il cromato di potassa, il quale sembra non poter con- servarsi neutro che in stato di soluzione nell’ acqua . Il sig. Murray inglese riguarda l’ ammoniaca come un’ anti- doto talmente efficace contro l’ avvelenamento per l’ acido idro- 170 cianico 0 prussico, da affermare che egli non esiterebbe a pren- dere una quantità di tal acido capace di dargli morte , quando fosse sicuro che una persona capace e premurosa fosse pronta ad amministrargli quel rimedio , che egli ‘consiglia d’ apprestare ap- plicando alla fronte un point bagnato d’ ammoniaca liquida e facendone ispirare l’ esalazione . Per riguardare come esatte l’ esperienze del sig. Murray e le conclusioni che ne ha dedotte, convien supporre che egli abbia fatto uso d’ acido debole , o al più del grado di forza di quello preparato col metodo di Scheele. Taluno qui in Firenze, ripeten- do annualmente nei suoi pubblici corsi di chimica |’ esperienze del dottor Magendie , e mostrando |’ azione orribilmente energi- ca che esercita sugli animali |’ acido idrocianico puro e concen- rato, preparato col metodo del sig. Gay-Lussac, del quale basta una frazione di goccia per uccidere istantaneamente un coniglio o altro simile animale, cui si applichi nell’ interno della bocca o sul bulbo dell’ occhio, ha voluto qualche volta tentare l’ uso im- mediato d’ alcune sostanze nelle quali poteva presumersi un’azio- ne contraria a quella dell’ acido idrocianico, e capaci di distrug- gerne o neutralizzarne |’ effetto, come 1’ ammoniaca ed il cloro ; ma niuna di esse, applicate immediatamente e quasi nell’ istesso istante che l’ acido, e sul posto stesso , ha impedito o ritardato sensibilmente la morte dell’ animale. Si è bensì osservato un’ ef- fetto visibile d’ un’ azione contraria. Mentre applicando |’ acido solo si estingue istantaneamente nell’ animale che ne perisce l’ir- ritabilità degli organi locomotori, e specialmente delle gambe po- steriori, che cadono come stracci, e nelle quali è impossibile des- tar più alcun movimento, nè per l’azione galvanica, nè per quella degli stimolanti i più poderosi; all’ opposto nell’ istante del con- tatto dell’ ammoniaca, quasi contemporaneo a quello dell’ acido, e non estinta ancora la vita, le gambe posteriori provarono con- trazioni violentissime,‘alle quali successe tosto l’ inazione e la morte. Il sig. prof. cav. Sementini di Napoli, continuando le sue ricerche, ha trovato che l’ unione dell’ iodio al potassio , anche operata nel gas azoto, è sempre accompagnata da esplosione , la quale ha luogo anche senza riscaldamento , comprimendo le due sostanze a contatto . Egli è giunto a formare una nuova combi- nazione d’ iodio e d’ ossigene, che diversifica per una minor pro- porzione di quest’ ultimo dall’ acido iodico fin qui conosciuto. Egli , lo ha chiamato acido i0doso,e |’ ottiene triturando prima, e poi distillando un miscuglio a parti eguali d’ iodio e di clorato di po- I 7! tassa. Fra i suoi caratteri, il più singolare è quello di determiz nare per il solo contatto |’ accensione del potassio e del fosforo : Impiegando nella preparazione una maggior dose d°’ iodio, ottiene l’acido con un’ eccesso di questo; però lo chiama in questo caso acido iodoso iodurato . Se in un tubo di vetro chiuso da una parte si scaldi del tar- taro di piombo finchè si converta in una massa nera, questa si trova essere un’ eccellente piroforo, che si accende spontaneamen- te al contatto dell’ aria, con maggior facilità e vivacità degli.altri pirofori . L’ analisi fatta recentemente delle tele di ragno', vi ha fatto trovar sostanze che non vi si sarebbero sospettate, cioè gli acidi solforico, ed idroclorico, la calce e l’ ammoniaca . Il sig. Robiguet, e dopo di lui i sigg. Pelletier e Caventou, hanno ricavato dai semi del caffè un nuovo alcali, che hanno chia- mato cafeina. L° analisi di questo prodotto della vegetazione ha offerto una singolarità, cioè una proporzione d’ azoto superiore a quella di molte sostanze animali. Essa contiene sopra cento par- ti in peso, di carbonio 46, 51, d’azoto 21, 54, d’ idrogene 4, 81, d’ ossigene 27, 14. Il sig. Canzoneri di Palermo , applicando ai frutti del ca- stagno d’ India, aesculus hippocastanum il processo usato dal sig. Alemani per la preparazione dei solfati di chinina e di cinconina, ne ha ricavata una nuova sostanza, che ha chiamata escu/ina. Il di lei sapore è prima dolciastro e poi piccante; è incristallizza- bile, di color fosco, solubile nell’ alcool e nell’ etere; si gonfia al fuoco, poi brucia alla maniera degli olii . Siccome si aggiunge che l’ esculina ha la proprietà di formare un solfato, che cristallizza in aghi setacei color d’ amianto, è da credere che essa sia di na- tura alcalina, come tante altre sostanze analoghe, delle quali cre- sce ogni giorno il numero, e fra le quali convien riporre la Da- Zina che il sig. Payen ha ricavato dai tuberi della Dahlia, la Zau- rina trovata dal sig. Bonastre nelle bacche del laurus nobilis, e V emetina indigena, scoperta dal sig. Boullay nella viola odorata, ed in ogni parte della pianta che la produce. Tutti i chimici sanno, dopo Scheele, che scalda ndo fortemente in un crogiuolo il perossido di manganese con nitrato di potassa, 172 o con potassa, si ottiene una materia. verde, che dà all’ acqua uri colore eguale, ma che si cambia successivamente in turchino ; paonazzo, e rosso, per lo che fa chiamato Cameleonte minerale. Il sig. Marabelli ha recentemente riconosciuto che in questo pro cesso il perossido di manganese si spoglia d’ una parte dell’ ossi- gene, riducendosi a protossido , ed ha insegnato a preparare con maggior facilità un bel camaleonte , sostituendo al perossido il protossido di manganese, ottenuto dalla scomposizione dei sali di questo metallo per mezzo del sottocarbonato di potassa . Il sig. Clarke inglese, per ottenere la pronta evaporazione dei liquidi, impiega in luogo delle caldaie o vasi comuni un siste: © ma o viunione di tubi metallici posti verticalmente, comunicanti fra loro e con un serbatoio comune, che restituisce loro il liquido a misura cho và evaporandosi. Il fuoco applicato a questi tubi; e circondandoli da ogni lato, opera una rapida evaporazione . Il sig. conte Paoli di Pesaro; in una sua memoria sulla traspi - razione polmonare, dopo aver discusso varie questioni agitate in proposito dai fisici, conclude che tutto il gas ossigene consumato nel processo della respirazione è impiegato nella formazione del- l’acido carbonico, e niuna parte di lui nella formazione dell’acqua, come si era supposto ; che il vapore acquoso espirato si svolge da tutta la superficie degli organi respiratorii, per semplice per- spirazione della membrana che li riveste; che la formazione del- 1’ acido carbonico cominciata nel polmone, si continua e si compie nel sistema arterioso . Lo stesso sig. Paoli avendo intrapreso, alle richieste del sig. cav. Domenico Meli, alcune ricerche intorno all’ estrazione della peperina dai semi del piper nigrum, oltre a ricavarne questa so- stanza, credè riconoscervi un poco di zirconia. La singolarità di quest’ ultima circostanza fa desiderare di udirla confermata da al- tri chimici . Geografia e viaggi scentifici. Ritorno del capitano Sabine dallo Spitzberg. — ll capita- no Sabine è ritornato un mese dopo del eapitano Parry, ed il di lui viaggio, di cui si è meno parlato , è stato forse più fecondo di risultamenti. Dotto fisico ed astronomo , egli si era proposto di fare delle osservazioni sulla lunghezza del pendolo, ed anche, per quanto credi amo, sul magnetismo ter- restre . Ma nel tempo del suo soggiorno allo Spitzberg , il ba 173 stimento il Griper, comandato dal suo secondo,.si è inoltrato fino a 75 gradi di longitudine est da Greenwich, ed è giunto più volte fino a gradi 81 di latitudine nord. Se queste indica - zioni sono esatte, la strada tenuta dal Griper si estenderebbe nel mar glaciale di Siberia più all’ est di quelle fatte da na- vigatori cogniti ; perchè nè Berentz , nè Wood, nè Gilles sono andati tant’ oltre. Altronde il Griper ha toccato la costa orien- tale della Groenlandia, ma in una latitudine meno elevata, cioè a 75 gradi; egli vi ha veduto degl’ indizi di abitanti . A queste notizie interessanti, i giornali inglesi ne aggiungono un’ altra assai Cupelosa, che riportiamo tale quale. Alcuni ufficiali del Griper, che è tornato dallo Spitzberg, vi hanno visitato le tombe d’ alcuni russi sepolti da 85 anni. Dopo aver rimosso la pietra sepolcrale, essi trovarono i corpi perfettamente conserva= ti. Le carni erano intatte, le guance colorite come nello stato di vita; ed i cadaveri vestiti dell'abito del paese, con calze, stivali e berretto da notte. Questa singolarità ha impegnato il capitano Sabine a portar seco uno di questi corpi unitamente ad una pietra sepolcrale. Notizie intorno ai viaggi nell’interno dell’ Affrica. Nel pre- cedente bullettino non abbiamo potuto dare se non estratti d’al- cune lettere incomplete intorno all’ intrapresa del sig. Bo/zonz. Ecco ora delle notizie autentiche . Il sig. Belzoni essendosi presentato al forte di Capo-Corso , ed avendo annunziato il suo progetto di penetrare nell’ interno dell’ Affrica , il comandante in capo della stazione navale britan- nica diede ordine il dì 21 ottobre al comandante del bastimento lo Singer di condurre questo viaggiatore alla fattoria inglese, all'imboccatura del fiume di Bellina | A bordo della fregata Owen-Glendover si trovava a caso un marinaro conosciuto sotto il nome di Guglielmo Pasco, ma il di cui vero nome è Abou-Bouker, nativo di Houssa , di circa 33 amni , intelligente e di buona condotta . Questo negro aveva la- sciato nel 1805 Birnie-Kaschna, cioè la città di Kashna, ed era venuto con una caravana fino ad Annamabou, sulla costa di Gui- nea. Avido di cognizioni e pieno di coraggio, egli si era fissato al servizio marittimo dell’ Inghilterra. Una circostanza recente gli aveva ispirato il desiderio di tornare in patria. Era stato pre- so un vascello portoghese che aveva a bordo 187 schiavi: Abou- Bouker riconobbe fra essi diversi individui di Houssa e di Kas- chna che conoscevano la sua famiglia ; egli seppe da essi che una persona, oggetto dei suoi primi affetti, era tuttora senza 174 marito, nella ferma persuasione cha egli tornerebbe per sposar- la. Egli aveva ottenuto appunto la sua licenza e si disponeva a tornare al suo paese nativo , traversando il paese di Gunja (o Kong ) quando fece conoscenza col sig. Belzoni e risolvette di viaggiare con lui. Gli sforzi che fa il governo inglese per ottenere una cogni- zione esatta dell'interno dell’Affrica, traggono senza dubbio la loro sorgente dalla convinzione in cui egli è, che quelle incognite regioni forniranno al commercio britannico una nuova sfera di attività. Si unisce un calcolo di utilità agli slanci dell’ orgoglio nazionale ; e la fama ripetendo da per tutto il nome di una nazione, estende | le sue relazioni ad un tempo, e la sua influenza. Questi sforzi non sono però meno degni dell'interesse, e degli applausi del- V Europa. Il Pascià, o Bey di Tripoli aveva offerto di fare scortare fino alla città di Bornù, capitale di un regno del medesimo nome, le persone cui piacesse al suo cugino , il re d'Inghilterra , d’ in- viarvi. Lord Bathurst, ministro delle colonie profittò di una tale offerta per aprir delle comunicazioni con una città , che si era sempre riguardata come il Tombuctù della Nigrizia orientale , e come il centro della parte orientale dei paesi incogniti, fra l’Egit- to e la Guinea. Tre persone capaci si prespuiarone volontaria- mente per compire questa commissione, cioè: il Dottore Oudrey, scozzese istruitissimo; il Tenente di marina Clapperton , ed il Te- nente oggi maggiore Denham, allevato al real collegio militare, e che ha servito in Ispagna ai quali si unì un falegname dell’ ar- senale di Malta per nome Giovanni Hillmann. Dopo il soggiorno di quasi un anno a Murzuk , capitale del paese di Fezzan, ne partirono nel mese di novembre 1822, sotto la scorta di 300 ari a cavallo, comandati da un capo Sona, Bu-Khalum , particolare amico del Bey di Tripoli. Eglino pre- sero la strada di Tegherri, di Bilma,e di Agades, secondo le indicazioni date dal capitano Zyon nella relazione del signor Rit- chie. I tre luoghi nominati quì sopra, non possono essere certa- ‘mente situati con esattezza su di una linea da settentrione a mezzo giorno, come sembrerebbe risultare dalle lettere dei tre viaggia- tori, estratto dal Quarterly-Review ; ma la direzione totale del viaggio è nondimeno dal settentrione al mezzogiorno. Lary prima città del Bornù che eglino toccarono, è situata a 14 gradi 40 mi- nuti di latitudine settentrionale, e quasi sotto il meridiano di Mur- zuk. "Tutto lo spazio intermedio, nella larghezza di più di 700;mi- 175 glia geografiche, di 60 al grado, nòn è ripieno che di deserti, più o meno aridi. Da Zegherrì fino a Bilma s'incontrano delle piccole vallate con dei pozzi, intorno ai quali cresce qualche ciocca d’ erba. I Tibbos, che differiscono ad un tempo dai Mauri , e da Negri, errano per queste solitudini con alcuni bestiami ; sono po- veri, ma ospitalieri, e sono essi che vi mantengono quei pozzi, per commodo proprio e dei passeggieri, cui non domandano che una lieve retribuzione ; ma un’altra razza più beilicosa, i Pazriki, ti- ranneggia i 775505, spoglia spesso le miserabili loro capanne, e non si arresta che davanti ad un piccolo numero di città murate, poste sulle roccie nude e brunastre che s’inalzano dall’ immensa pia- nura , come degli scogli nel mare. Le saline di 22m a fornisco- no 30000 carichi di sale, che i Tairikà esportano per vendere nella Nigrizia. Di là fino ad Agades, le sabbie non sono interrot- te che dalle piccole catene di roccie di pietra bigia-nerastra che vi s' inalzano di tratto in tratto. Entrando nel territorio di Born, tutto prende un aspetto più favorevole. Qualche pianta , qualche acacia ricuoprono un poco la nudità del suolo. Turbe di Antolopi, sciami di galline di Faraone , e di tortorelle, popolano i boschetti che vi si trovano. Le capanne si aggruppano in villaggi, e mostrano da lontano i loro tetti elevati in forma di campane e coperte di paglia del- l’ holcus dauria. Ma ciò che anima sopra tutto il paese è il gran lago di Bornù , chiamato nel paese Tsaad, che si comincia a scuoprire da Lary. Esso è pieno d’isole, ove si vedono degli ele- fanti pascere fra delle grandi canne. Nei luoghi ove i tre viag- giatori ebbero un libero colpo d’occhio su questo lago, non poterono scoprirne i limiti. Eglino ne costeggiarono in gran parte la riva occidentale , che dee aver per lo meno duecento miglia di estensione dai settentrione al mezzogiorno. Due considerabili fiumi vi si gettano , dei quali parleremo or ora. Il regno di Born, di ‘cui pare che questo lago occupi il centro , era già stato l'oggetto di molte relazioni: si sapeva che, con maggior popolazione e maggior fertilità degli stati vi- cini, egli possedeva ancora una sorta di governo fisso, e che era una specie di potenza in mezzo a deboli tribù della Nigrizia ; ma si variava molto sulla vera sua posizione. Ella si è trovata essere 3 a 4oo miglia più al mezzogiorno, e 5 a 600 più al po- nente , di quello che si era generalmente supposto . La potenza attuale dei sultani di Bornà è ridotta ad un ombra: il sovrano circondato da una corte numerosa, ove on- deggiano le penne di struzzo , i ventagli e le ombrelle, riceve 176 ancora gli omaggi apparenti dei popoli indigeni; ma il vero pa< drone è un Arabo di Fezzan, che il proprio genio ed il proprio. coraggio hanno elevato dal rango il più umile ed abietto al su- premo potere. Sciumen-el-Kalmì, tale è il suo nome, sapeva leggere e scrivere. Con questa prerogativa assai rara in quei paesi acquistossi ben presto la riputazione d’ un sapiente in- terpetre del Koraro. La sua fama gli valse a 21 anno il sopran- nome di Sceyk-el-Koran, che vuol dire, principe della Santa scrittura. Questi si pose alla testa di un piccolo corpo armato nel Bornz, che egli liberò dalle incursioni di un popolo selvag- gio chiamato i Fe/lata, fra i quali egli stabilì l’ordine ed Al culto musulmano. La gratitudine popolare gli offerse il titolo di Sultano, ma egli lo ricusò per collocare sul trono un principe dell’ antica blica al quale egli prestò omaggio alla testa di tutta la sua armata . Lo Sceyk-el-Koran, non è meno, per la forza delle cose, rimasto il padrone del vero potere. La sua ar-, mata è presentemente di 50,000 uomini, due terzi dei quali a cavallo , e passabilmente disciplinati. Alcune migliaia di questi cavalieri portano delle corazze, forse introdottevi da alcuni mam- malucchi fuggitivi, giunti fin là dal Aordufan e dal Darfur. Lo Sceyk risiede a Kuka, ed il Sultano a Bornù. Quest’ ultima citta ha 30000 abitanti; ma la città più popolata di quelle con- trade è Engorni, che ne conta 50,000. Si calcola molto vaga- mente però la popolazione del regno a circa due miglioni di anime . 7 Abbiamo detto che due fiumi si scaricano nel gran lago cen- trale della Nigrizia orientale. L’ uno di essi è il Skary, che vie- ne dalla parte del mezzogiorno, ed è REA identico col Gyr degli antichì, e col Djyr di Burckhardt, e col Bahr-Koulla di Browne . Egli si getta nel suddetto lago per cinque o sei boc- che colera bili L'altro fiume viene dalla parte di ponente sotto il nome di Yaou. Esso non ha che cento piedi di larghezza, ciò che pare ben poca cosa per il famoso Niger, che nella parte percorsa da Mungo Parck, ha già una larghezza sette od otto volte o maggiore. Vi sono però altri grandi fiumi che per la na- tura del terreno si ristringono considera biente ed il corso del Congo, e quello del Reno ne somministrano degli esempi. Egli è certo che dietro l’ idea generalmente ricevuta il fiume Giolida,. dal porto di Tombuctù si dirige per il paese di /aussa, e di, INiffe, precisamente sulla regione ove i viaggiatori inglesi fissa- no oggi la posizione di questo gran lago centrale da si lungo tempo sospettato. Questi viaggiatori non dicono nelle loro let-. 177 tere se eìso è un lago ‘di acqua dolce, ma.i compilatori del Quar-: terly Review lo concludono dal loro stesso, silenzio; e special- mente dalla circostanza che ci vivono degli ippopotami, e dei coccodrilli. Se questa conclusione è giusta il lago deve avere uno scolo, perchè le acque stagnanti senza scolo acquistano alla lunga una qualche qualità salata o amara, singolarmente quan- do la loro superficie è considerabile. ed esposta ai raggi di un sole ardente come quella del lago in questione. Il Miger si sca- rica egli in questo lago sotto it nome di Yaou? il lago ha egli nella sua parte orientale uno scolo verso il Nilo di Egitto? Que- ste sono due questioni che restano ancora a risolversi. Niente di ciò che i tre viaggiatori hanno veduto è favore- vole ad una comunicazione fra questo gran lago e le acque del Nilo ; ma eglino hanno ricevute delle relazioni su di un fiume Dago ,.che deve comunicare col Skary; e nel tempo stesso col Nilo. Eglino suppongono che queste singolari unioni fra due ba- cini di fiumi distinti abbiano luogo nella regione bassa ove si es-| tendono i laghi di tri, ed altri. Noi crediamo che si finirà per riconoscerle verso le sorgenti del /Vil-e/- Abiad,.come fa pro- posto nella carta dell’ Affrica settentrionale nell’ Atlante unito ‘al compendio di geografia del sig. Malte-Brun. Il Maggiore Denham trascinato dal suo gusto militare, ac- compagnò il comandante tripolitano Bù.Ka/ùm in una spedizio- ne contro i Fe/lata; spedizione il di cui scopo dichiarato era di portar via degli schiavi. Questi Negri montanari difesero corag- giosamente i loro boschi e le loro. capanne; Bù-Aa/ùm ‘stesso perì sotto le loro frecce avvelenate ; ed il maggiore inglese, fe- rito, e spogliato, stentò molto a raggiungere gli avanzi del cor- po, aggressore. Egli tornò peraltro felicemente. a. Bornù, dopo essere stato a ciò ch’ei pensa, fino al di là del 9°. paralello od a 300 miglia dall’ antico Ca/abar sulla costa di Guinea. Così l’Affrica è quasi traversata in questo senso, ed è pos- | sibilissimo che il signor Belzoni andando dalla costa di Benin ‘al settentrione, raggiunga i tre viaggiatori, recandosi da Bornù &' Tombucti. Il velo che copriva queste misteriose regioni, non è mai stato più vicino ad essere intieramente squarciato, : Pare che i signori Oudney, e, Clapperton si propongano di risalire il fiume Yaow, per verificare se egli è il /Viger. Egli-., no sperano di ritrovare le cataratte ove perì Mungo-Parck, ed, i Giardino di Vie, ove è sepolto Hornemann. Quanto al Mag- giore Denham i guerrieri di Bor lo supplicarono di accompa- $ narli in una campagna contro il regno di Baghermé , per aju- T. XII Marzo 12 178 tarli a tirare dodici razzi alla congreve, dei quali” egli fece do- no allo Sceyk. Uno solo dicevano essi , scoppiando in aria, farà ) capitolare la città di Baghermé . Invenzioni utili o curiose. Nel bullettino del mese di gennaio indicammo ‘un processo ‘ proposto come nuovo in Inghilterra per unire insieme saldamente più pezzi d’ acciaio o di ferro, ad una temperatura assai meno elevata di quella che è necessaria alle saldature ordinarie, me- diante un miscuglio di borace con poco sale ammoniaco e calce, ‘ di cui si aspergono i pezzi da riunirsi. Ragion vuole che rileviamo essersi prima d’ora ottenuti presso di noi effetti analoghi con mezzi poco diversi. Sono circa dieci anni che il sig. Dott. Cioni sopriatendente alle lavorazioni ed edifizi della magona del ferro a Pistoia, suggerì l’uso del borace per unire saldamente insieme due pezzi di ferro ad un ‘ calore bastante appena ad infuocare questo metallo, e ne fece fare esperimento ad alcuni fabbri di quella città. Allora egli si con-' tentò di proporre questo mezzo a prò dell’arte, specialmente per risaldare lavori sottili di ferro, come per es. una sega, la quale se dovesse bollirsi verrebbe a perder molto della sua grossezza nelle parti adiacenti alla bollitara ; e non pensò a dar ragione del fatto. ; Saranno oggimai due ‘o tre anni che un certo sig. ‘Fossi di Firenze esibì allo stabilimento d’arti e mestieri di S. Caterina un' saggio di ferro che, per ‘essere stato trattato al' fuoco col borace, aveva acquistato la proprietà di prendere per la tempera nell'acqua la durezza dell’acciaio. In tale occasione il soprintendente suddetto non solo fece noto al sig. Fossi il processo per saldare o unire in- sieme due pezzi di ferro, mediante la spalmatura con borace , l’infaocamento a rosso, e la percussione col martello, ma gli comu- nicò un’ idea formatasi, cioè che tanto nel caso in cui si opera la riunione di due pezzi di ferro per mezzo del borace, quanto, ove il ferro scaldato fortemente col sale stesso ‘acquista la ‘proprietà d’indurirsi per la tempera , si formi una combinazione di doro' è‘ di ferro. Ci piace anche d’ aggiungere che il celebre meccanico Pig, cavalier Morosi, fio dal 1821, in una sua memoria pubblicatà in Milano, fece conoscere un’ ingegnoso mezzo péer cui era giunto a. riunir saldamente insieme due pezzi di ghisa-'0 ferraccio con un miscuglio di 9 parti d’ottone di Germania ‘e 3 di zinco , anter-. postavi prima ‘ùina lamina di ferro ben nétta , ; che, serve ‘a guidare VIS e fare aderire la saldatura , e senza cui è impossibile ottener l’ef- | fetto. | Sotto i nomi di Componium e di Improvvisatore musicale alcuni giornali francesi avevano annunziato un nuovo strumento, al quale si attribuivano effetti in qualche modo maravigliosi. Una lettera inserita nel N. 35 del Monitore universale di Pari- gi, e scritta all’ estensore di quel giornale da una persona in- tervenuta ad un’ esperimento formale, a cui erano stati invitati ad assistere il sig. Biot dell’ Accademia delle scienze ; il sig. Bregaet figlio, meccanico celebre ; i sigg. Catel, Berton, Le- sueur, Boyeldieu dell’ accademia reale delle belle arti ; i sigg. Hibeneck direttore dell’ opera francese e Paer direttore de ll’opera italiana , con molti altri distinti soggetti, dopo aver lodato la giustezza dell’ intonazione, la regolarità dei movimenti, la qualità del suono di questo strumento , 0 piuttosto di quest’ orchestra . meccanica , tenta di dare un’idea di ciò che in esso è vera- mente singolare, e che gli ha fatto dare il nome d’improvvisatore . Eccone |’ espressione. » Lo strumento fa sentire un tema, regolarmente com-' posto , per quanto mi pare , di 16 battute ; tema che ognuno può riconoscere scritto sopra il cilindro. Dopo ciò una molla è messa in libertà, ed ecco lo strumento ( secondo |’ espressione felice d’ uno degli uditori) abbandonato alla sua imaginazione. Iu effetto egli riprodace il tema variandolo, con una rettitudine armonica irreprensibile, e senza la minima irregolarità , il mi- nimo errore di composizione. Dopo un certo numero di varia- zioni egli si riposa. Gli si permette di continuare, egli rico- mincia e varia di nuovo. Si dirà dunque che egli improvvisa? Nò certamente; ma il più ingegnoso meccanismo, secondato dal più preciso calcolo, e dalla più sicura esecuzione, guida suc- cessivamente sotto la tastiera un certo numero di frasi eguali fra loro , e che portano seco il loro accompagnamento , frasi composte in modo da incatenarsi fra loro , secondo che il caso le conduce, ed a formare una connessione regolare fra una pri- ma ed un'ultima frase, che restano sempre le stesse, e che riproducono il principio ed il fine del tema. Così, impresso il movimento , l’ orchestra continuando. a suonare, può riprodurre queste frasi all’ infinito, e per la quantità delle combinazioni che il caso induce nell'incatenamento di queste frasi, una perpetua ripetizione veste l’ apparenza d’ una continua varietà. Quindi que- 180, sta specie d’improvviso può definirsi -- una variazione che si forma - per la riproduzione casuale di ciascuna delle frasi di cui si com- pone. , Questa lettera, finiva con fare sperare che i sigg. Biot e Catel farebbero un rapporto delle cose udite e vedute alla sezione mecca- nica dell’ Accademia delle scienze ed all'Accademia delle belle arti, Difatti questo rapporto comparve in un'altro numero dello ste sso monitore, ed è il seguente: sl proprietarii del Componium, desiderando dare al pubblico un'idea precisa e fedele dello strumento che in questo momento espongono alla di lui attenzione, hanno pregato noi sottoscritti di esaminarne il meccanismo interno, e di caratterizzare noi stessi le proprietà che avremmo riconosciute in lui. Noi crediamo. poterlo fare nei termini seguenti; i quali presentano. l’ espressione più strettamente esatta, della realità , comunque questa apparisca ma- ravigliosa ,,. 3» Quando questo strumento ha ricevuto un tema variato, che l'inventore ha avuto il tempo di fissarvi per un processo che gli è proprio, lo strumento ne decompone da se stesso le variazioni; e riproducendo ‘le loro diverse parti in tutti gli ordini di permu- tazioni possibili, come potrebbe farlo l’ immaginazione più capric- ciosa, ne forma delle successioni talmente variate, e determinate da un principio talmente arbitrario; che nemmeno la persona che conosca meglio d’ogni altra la sua costruzione meccanica, potreb+ be prevedere in veruno istante gli accordi che suggerirà allo stru» mento la sua fantasia, ,y 1 3 Un solo esempio basterà per far concepire la libertà di scelta ,, di cui egli gode. Ciascuna delle arie che egli varia dura circa .un minuto; se si supponga che egli suonasse una sola di queste arie, continuamente, senza alcuna interruzione , modifican- dola per il solo principio di variabilità che egli possiede , potrebbe, senza riprodurre completamente la stessa combinazione, continuare a suonar così, non solamente per anni o per secoli, ma per un numero di milliardi di secoli così grande, che si potrebbe scri verlo in cifre, ma non esprimerlo nel linguaggio usuale, Parigi 2. febbraio 1824. Fi . >, I. B. Biot. dell’Accademia delle scienze paratia ,» Gatel, dell’ Accademia delle belle arti ,, ) 131 Necrologia. Come l’istoria delle scienze, delle lettere, e delle arti si lega bene spesso con quella degli nomini -che le coltivarono con suc- cesso, sembra che un giornale il quale si propone di annunziarne i progressi, debba anche far conoscere le perdite che elleno van facendo per la morte dei più distinti loro cultori, onorandone la memoria . Nel che proponendoci noi d’ essere in avvenire più esatto che non in addietro, imprendiamo qui, sebbene succintamente , a riparare i nostri torti verso alcuni uomini d’un merito distin- to mancati di vita fino dal decorso anno, o dagli ultimi mesi di quello che lo avea preceduto. Pare che la perdita del gran Canova fosse in qualche modo il segnale della strage che la morte avea meditata; e che non tardò ad eseguire sopra gli uomini più insigni in ogni genere di sapere . Delambre in Francia, Herschell in Inghilterra erano stati rapiti all’ astronomia, 4#zuy alle scienze naturali, e specialmen- te alla mineralogia, che egli aveva tanto illustrata col suo bel sistema di cristallografia, quando £Bertho/let li seguitò nel se- polero . Datosi prima allo studio della medicina , fu poi trasportato dal suo genio per la chimica, nella quale ravvisò il campo che era chiamato a coltivare; anzi a fecondare con molte ed impor- lanti scoperte. Era giunta l’epoca in cui questa scienza doveva risplendere di luce vivissima , e Berthollet era destinato a concorrervi effi- cacemente. Abbattuta per le belle scoperte di Lavoisier la teoria ‘ del flogisto, e posti i fondamenti della nuova dottrina pneumati- ca, Berthollet fu il primo a rinunziare a quella, ed abbracciando questa con persuasione, e con ardore, somministrò una gran parte dei materiali preziosi, onde si compose il maestoso e so- lido edifizio della chimica odierna . In quella parte dell’ istoria di questa bella scienza, che ne comprende l’ epoca più brillante, non vi è pagina in cui non s incontri il nome di Berthollet, legato ad osservazioni preziose, a scoperte importanti. Tacendo d’ altre moltissime, ricorderemo quelle sulla natura dell’ ammoniaca , sull’ azoto, sull’ argento e sull’ oro falminanti, sugl’ idrosolfati, sui solfiti, sull’ applicazio- ne del cloro alla nuova arte dell’ imbiancamento, creata da lui, sui clorati, genere di sali che egli primo formò e fece conosce- 182 re, e specialmente sul clorato di potassa, sopra le materie co- loranti, e sopra tutto ciò che attiene alla bell’arte della tintura, di cui.se gli deve un trattato celebratissimo, come se gli deve nel suo Saggio di statica chimica, una bella illustrazione della dottrina delle affinità. È noto che egli concorse con Lavoisier, Morveau, e Fou- reroy alla creazione della nomenclatura sistematica , introdotta nella chimica dopo la sua rigenerazione; che trovandosi nel nu- mero dei dotti illustri che accompagnarono la spedizione del general Bonaparte in Egitto, fu uno dei principali membri dell’ Istituto del Cairo, come lo era dell’ Istituto nazionale di Francia, ec. Se il suo molto sapere gli guadagnò la stima universale dei dotti, lo resero caro a tutti i buoni i’ aureo suo carattere , e le sue sociali virtù, sulle quali nulla poterono la perversità dei tempi, e le molte vicende cui la sua patria soggiacque. Egli morì nel mese di dicembre 1822. Sebbene in età di anni 74, parve rapito inaspettatamente ai molti suoi amici ed estimatori, ai quali il di lui robusto temperamento faceva spe- rarne lontana la perdita . L’ Italia piangeva ancora quella recente del cav. Gio. Bat- tista Venturi, morto nel 10 settembre di quello stesso anno. Membro dell’ Istituto, e di più altre società dotte d’ Europa, antico professore dell’ università di Pavia, ed autore di molte opere stimate, nella sua lunga carriera , protratta fino ai 76 anni, aveva dato non dubbie prove del suo sapere, e del suo zelo per gli avanzamenti delle scienze e delle lettere, che professa va per dovere, ed amava con trasporto. Occupato soprattutto nelle scienze fisiche e matematiche , egli si distinse nella geo- desia, nell’idraulica, e nell’ arte delle fortificazioni. Fra le sue opere si distinguono le memorie intorno agli scritti di Leonar- do da Vinci e di Galileo. La morte lo sorprese mentre si oc- cupava a completare l’ edizione della sua ottica in due volu- mi in 4. Nel mese di novembre dello. stesso anno 1822 erano man- cati di vita in Parigi due altri italiani, celebri per il talento della poesia estemporanea, MYancesco Gianni romano, e Barto- lomeo Sestini toscano. Questo secondo, mossi poco più che i primi passi in quella carriera , mostrava, col suo ingegno ve- ramente prodigioso, di voler superare il primo; giunto ormai al- 183 l’età di 65 anni. Se il genere in cui essi hanno brillato, e la memoria. che ognuno ne conserva in Italia, ci fanno astenere «da dirne più a lungo, abbiamo però creduto di dover consegna- re in quest’ articolo i loro nomi cari agl’ italiani . Sal principio dell’ anno 1823 le belle arti fecero in Francia nella persona di Prevost una perdita difficile a ripararsi . Egli aveva acquistato una grande celebrità per la perfezione a cui aveva portato l’arte di dipingere i Panorama , arte che egli aveva trovato nell’ infanzia. Tutti quelli che sono stati a Parigi hanno ammirato gli effetti veramente magici prodotti dai suoi magnifici quadri circolari. A quest’ occasione non sappiamo trat- tenerci da esprimere la nostra sorpresa perchè , fra tanti artisti distinti che sono fra noi, niuno ancora abbia concepito l’ idea felice di farci godere, e di trasportar quindi al di là dei monti, rappresentate in egual modo, alcune di quelle località della no- stra Italia, che un’ aspetto pittoresco e ricordanze care o gloriose rendono interessanti . Ma una perdita sopra d’ogni altra grave e dolorosa all’ uma- nità fu quella del celebre Eduardo Ienner, uno dei più grandi suoi benefattori per la scoperta e propagata inoculazione della vaccina. Nato a Berkley nella contea di Glocester il dì 17 marzo 1749, egli era il figlio più giovane d’ una famiglia numerosa e molto considerata nel paese. Nell’età di otto anni appena , inoculatogli il vaiolo umano , come’era l’ uso di quel tempo, 1’ orribile ma- lattia che ne risultò rimase sempre presente alla sua mente. Fu questo il più importante avvenimento della sua infanzia, nella quale lasciò distinguere un’inclinazione decisa per lo studio della storia naturale. Compiti li studi classici, fu affidato alle cure del sig. Ludlow abile chirurgo di Sudbury , sotto del quale apprese i principii dell’arte salutare, Quindi inviato a Londra e divenu- itovi allievo di Giovanni Hunter , si guadagnò talmente l’ affezione di quest’ illustre maestro e la pubblica stima , che gli furono fatte le offerte più vantaggiose , sia per restare in Londra , sia per pas- «sare all’ Indie, sia per imbarcarsi col capitano Cook; ma nè la fortuna , nè gli onori, nè il suo attaccamento per Hunter poterono vincere la naturale inclinazione, che lo invitava a coltivare le scienze e la storia naturale nel suo paese nativo , in seno alla sua famiglia. Si ritirò dunque a Berkley per esercitarvi la chirurgia. Ma 134 non molto dopo, essendosi maritato , ‘andò a stabilirsi a Chelte- nham , e prese il grado di dottore in medicina. Una sua memoria sull’istoria naturale lo fece ascrivere alla società reale di Londra. Diverse osservazioni che egli fece sulla medicina , e che descrisse, presentano molto interesse e novità. Finalmente guidato da al- cune’ notizie vaghe ed incerte, arrivò a scuoprire nella vaccina il preservativo sicuro contro il vaiolo. Fu questa l’ epoca più brillante della sua vita. Non ci dilungheremo qui sopra una scoperta, di cui le con- seguenze e le particolarità sono oramai notorie , e ci limite- remo a rammentare che nell’anno 1778 Ienner, dopo moltiplici fortunate esperienza, pubblicò la sua scoperta, il segreto della quale gli avrebbe procurato ricchezze immense. Egli avrebbe cre- duto di commettere un delitto verso la società , occultandole, o facendole pagare un sì prezioso mezzo di conservazione. Tenner dovè combattere le passioni, l'ignoranza , la malevolenza , e la gelosia; ma trionfò di tutti questi ostacoli ; il tempo ha sempre più confermato ciò che questo sagace osservatore aveva stabilito, e l’umana specie gode d’un sì gran benefizio, Richiedendolo l’ interesse della sua scoperta, egli si era por- tato a Londra, donde tornò a Cheltenham appena n’ebbe assi- curato il successo. Ma nel 1815, avendo perdata la sua sposa, si ritirò a Berkley col suo figlio e la sua figlia. Quivi egli consacrava il suo tempo a stendere alcune memorie sulla medicina, quando un fiero colpo d’apoplessia lo tolse di vita il di 26 gennaio 1823 in età di anni 74. Un monumento deve essergli inalzato nella città ov’ ebbe i natali. Il suo amico dot. Baron si è incaricato di rac- cogliere e pubblicare le ultime di lui opere. Nel giorno 27 di gennaio 1’ Inghilterra perdè il celebre ma- tematico Carlo Hutton, membro delle società reali di Londra e d’ Edimburgo , nell’avanzata età di anni 86. Nato a Newcastle , vi aveva formato fino dalla sua gioventù una scuola di matema- tiche. Nel 1764 si fece conoscere al mondo dotto per un trattato d’ aritmetica pratica. Il suo trattato di trigonometria pubblicato nel 1768 fu il titolo della sua ammissione nella società reale di Londra. Nominato professore di matematiche all’accademia mi- litire di Wolwich, sodisfece ai doveri di. quest’ incarico finchè nel 1807 ne fu impedito da incomodi di salute. Egli aveva pub- blicato successivamente diverse altre opere fra le quali un Di- zionarìio matematico e filosofico, ed aveva arricchito d’ articoli molto importanti le transazioni filo sofiche e gli atti della società i ‘ 185 reale, che ha perdato in lui uno dei più distinti suoi membri. L’uomo virtuoso, qualunque ne sia il talento , l’ inclinazione, le cognizioni, purchè abbia coraggio e perseveranza, può lusin- garsi d’ essere presto o tardi utile ai suoi simili. I. A. Z/orente, spagnolo morto a Madrid il 7. febbraio dello stesso anno 1823, ne ha data più d’una prova. Il suo maggior titolo alla riconoscenza degli uomini saggi e moderati è la sua zstoria dell’ inquisizione. Vittima dello spirito di partito , egli dovè soccombere nell’ età di anni 70 alle molte fatiche fisiche e morali da lui sofferte. I francesi non dimenticheranno mai che quest'uomo rispettabile raccolse negli anni di terrore 1790 e 1792 un numero considerabile d’ecclesia- stici francesi allora proscritti, e che li nutrì a sue spese per più anni. Llorente era un uomo dabbene in tutta l’estensione del termine. Le sue qualità personali, la sua pietà sincera, le sue cognizioni profonde, le sue opere, le sue sventure, devono far sentire vivamente la di lui perdita agli arnici della religione e dell’ umanità. Anche la Svezia ha fatto nell’anno decorso gravi perdite , fra le quali basti citar quella del Barone Hermelin di Stockolm. Gli deve la Svezia l'immenso sviluppo dato all’ escavazione delle sue miniere di ferro nelle provincie settentrionali, le mumerose officine create e poste in azione, e strade eccellenti per traspor- tarne i prodotti. Hermelin faceva tutti questi miglioramenti a sue spese ; ma le sue mire generose e benefiche non furono secondate. Ostacoli accidentali le arrestarono, i mezzi pecuniari del filan- tropo furono successivamente esauriti, e le di lui proprietà pas- sarono in altre mani. Il solo indennizzamento che egli ottenesse fu una medaglia che il collegio dei nobili fece coniare in onore di lui con questa leggenda: offerta ad Hermelin dai suoi concitta- dini ed amici per aver fatto vonoscere meglio la nostra patria, e per aver popolato dei deserti. Nel 1777 era stato ascritto al- l’ Accademia di Stockolm. Nel 1815 lasciò l’ amministrazione delle miniere dopo 54 anni di servizio. Egli è morto poverissimo ; bensì ha lasciato molti scritti sulla statistica del suo paese e sulla mi- neralogia. Ncl 9 marzo 1823 morì ad Amsterdam in età d’ anni 77 il celebre professore di matematiche, di fisica, d’ astronomia Van Swinden. Quest'uomo illustre aveva un carattere veramente an- tico: è noto che egli ricusò i titoli e le decorazioni offertegli dai piversi governi ai quali soggiacque il suo paese. ‘186 Nel 7 aprile di quello stesso anno mancò di vita a Parigi Charles bibliotecario dell’ Istituto di Francia. La fisica sperimen- tale gli deve moltissimo. I francesi si ricordano ancora che egli fece con Robert il primo viaggio aereo da potersi chiamare di lungo corso. Nel giorno 23 dello stesso mese ed anno mancò di vita Ar- rowsmith, uno dei più celebri geografi d’ Earopa , autore delle più belle carte che sieno state pubblicate nell’ ultimo secolo. Egli aveva 73 anni. Nei primi giorni d’agosto 1823 la Francia perdè in Prussia uno dei suoi più illustri cittadini, ed il mondo dotto una delle teste meglio organizzate del nostro secolo. Fu questi Carrot morto a Magdeburgo all’età di 70 anni, ,, Ecco un’uomo, dice la Ri- vista enciclopedica, che i suoi contemporanei hanno veduto quale la posterità lo giudicherà, e la cui vita intera è conosciuta da tutta l’ Europa. Per altro non è tempo ancora di scriverne la storia. Il suo nome e la sua memoria sono sì essenzialmente con- nessi ad una grande serie di fatti, che non è possibile d’ iso- larnelo in una biografia. Per parlarne convenientemente bisogne- rebbe scriver la storia della rivoluzione. ,, Carnot. entrò assai giovane nel corpo del genio, e prima d’aver compiti 20 anni aveva composto l’ elogio di Vauban coronato dall’ Accademia di Digione. Egli pubblicò successivamente le altre seguenti opere: saggio sulle macchine — principii fondamentali dell'equilibrio e del moto — trattato di geometria di posizione — riflessioni sulla metafisica del calcolo infinitesimale ; ma niuno di questi scritti fece tanto strepito quanto il suo trattato della difesa delle piazze. ,, Carnot , prosegue il detto giornale, ebbe per nemici tutti coloro che si arricchirono e s’ inalzarono per la rivoluzione ; la saa vita intera fu, per così dire, il loro atto d’accusa.... Venerato dagli stranieri presso i quali aveva trovato un’asilo, caro ad un gran numero d’amici affezionati, ammirrato da tutti quelli che hanno qualche elevazione nell’ anima , il suo ritiro non fu senza dolcezza; nè il suo fine senza consolazione. Gli abitanti di Magdeburgo, ultimo luogo di sua abitazione, con- serveranno per lungo tempo la memoria d’un’ ospite così degno della stima che gli dimostrarono. ,, Vincenzo Coco , illustre autore del Platone in Italia, è morto a Napoli il dì 13 dicembre 1823 in età d’anni 52. Un di lur 187 amico ne. fa sperare una notizia biografica. che saremo premu- ‘rosi di far conoscere ai nostri lettori, © Dando fine a questa prima notizia necrologica per l’anno 1823, dobbiamo dichiarare che avremmo potuto comprendervi più altri nomi illustri e cari alle scienze, se non ce l’ avessero impedito i limiti d’ una semplice sezione di bullettino. Ma già l'anno 1824 offre altre perdite non men dolorose. Dopo lunga malattia di languore, cessò di vivere nel dì 19 ‘gennaio il conte Pietro Moscati, in età d'anni 83 e mesi 6. Fi- glio d’ un’ illustre chirurgo, coltivò le scienze fisiche e mediche ‘sì di buon’ ora e con tal successo, che in età di soli 22 anni fu eletto professore di medicina all’ università di Pavìa. Zelantissi- mo di tutto ciò che attenesse all’ istruzione dei giovani studenti medicina e chirurgia, ed ‘al sollievo dei malati, specialmente poveri, v' impiegò non solo l’ opera sua più diligente e più as- ‘sidua, ma compose e pubblicò opere relative assai stimate . 'L’ alta fama in cui ascese il suo nome, rese la società Italia> na e lefaltre più illustri nazionali e straniere premurose d’am- metterlo nel loro seno, Sotto il cessato governo, sostenne ul- fici importanti e cospicui, essendo stato eletto consultore di stato, e direttore generale della pubblica istruzione , chiamato a sedere fra i senatori, ed insignito delle decorazioni della le- gion d’ onore e della corona di ferro. Dalle quali prerogative quanta considerazione e potere gli derivasse, tanto ne impie- gò sempre a promuovere gl’ incrementi delle scienze, delle let- ‘tere, e delle arti, ed a favoreggiarne i coltivatori. Quindi la ‘sua casa era divenuta un tempio sacro al sapere. Ivi una scelta ‘biblìoteca, macchine di fisica e d’ astronomia, laboratorio chi- mico, mezzi ed apparati per ogni genere d’ esperimenti, col- lezioni di preparati anatomici in cera, e di strumenti chirur- gici, modelli di macchine e d’ invenzioni ingegnose ed utili, ‘oggetti di storia naturale, stampe, disegnì, gessi, ec. non erano argomento a vana ostentazione, ma util soggetto ai dotti studi ‘di lui e di chiunque ne avesse vaghezza. Oltre a ciò aveva ‘stabilito nella torre della soppressa chiesa di S. Giovanni in conca un’ osservatorio astronomico e meteorologico, di cui, a benefi- zio dei suoi concittadini, fece dono al liceo di S. Alessandro. ‘Tanti meriti ; uniti alle più dolci e cortesi maniere, lo fecero giustamente e generalmente apprezzare in vita, e piangere in morte . Una grave perdita hauno fatto le arti e le lettere italiane nella persona del cav. Giuseppe Tambroni, morto nello stesso 188 giorno 19 di gennaio, dopo una penosissima malattia. Le tante e belle virtà che l’adornarono in vita, renderanno sempre dol» ce e onorata a tutti la di lui memoria, siccome è a tutti acer- bissima la sua morte. Speriamo di legger presto l’ elogio di sì distinto soggetto nel Giornale arcadico, del quale egli era uno fra i combpilatori . Langles, membro dell'istituto di Francia (Accademia delle iscrizioni e belle lettere) amministratore conservatore dei ma- noscritti della biblioteca del re, professore di lingua persiana, amministratore della scuola speciale di lingue, orientali, presi= dente della società reale degli antiquarii di Francia, e della società di geografia, è morto a Parigi il dì 28 gennaio ultimo in seguito d’ una breva malattia. Un’ erudizione estesa e pro- fonda, un carattere amabile e benevolo, una lunga serie di lavori importanti, avevano acquistato a Langlès una stima me- ritata, ed una riputazione che si estendeva al di là dei mari. Amarissima n’ è stata la perdita ai suoi molti amici ed a tutto il mondo dotto. Nel di 2 del decorso febbraio cessò di vivere il barone Innocenzo Isimbardi, nato in Milano nel 1767. Chiamato da un’ inclinazione ingenita e viva ad osservare i fenomeni della natura e dell’arte, e ad investigarne le cause, e per eccessi- va vivacità di temperamento impaziente d’ ogni istruzione pas- siva, senza precetti, senza direzione, e senza studio alcuno teorico , col solo suo ingegno, singolarmente dedito alla mec- canica, giunse non solo a comprendere la struttura e 1 uso degli strumenti e delle macchine più difficili e più complicate, ma ad imaginarne ed eseguirne perfettamente egli stesso alcune ingegnosissime. Senza alcun tirocinio delle lingue dotte e delle uma» ne lettere, mostrava gusto squisito in giudicare delle produzioni let- terarie non meno che di quelle delle arti, e specialmente della mu- sica. Viaggiando presso le più colte nazioni, mentre vi acqui- stò nuovi lumi , fece ammirare il suo ingegno e la sua pene- trazione anche da artisti celebratissimi, come Breguet, Bordier e Adams. Col solo mezzo di ricerche e di tentativi intrapresi da se stesso, si rese anche esperto nella chimica e nella pirote- cnia. Chiamato poi dalle vicende dei tempi alle magistrature, e ad ingerenze di pubblica amministrazione, sostenuti altri uf- fici ? Atena direttor generale delle zecche e miniere dello stato e consultore di goveruo, insignito anche dei titoli di barone < 189 e di cavaliere dell'ordine della corona di ferro. Fu eletto mem- bro dell’ I- R. Istituto, da cui fu spesso consultato , special- mente intorno ad oggetti d’ industria e di manifatture. Occu- patosi in particolar modo della fusione dei minerali di ferro, giunse ad eseguire le più difficili fra le opere di getto; sù di che consegnò negli atti dello stesso Regio Istituto una sua me- moria. Visitate le miniere , cave, ed officine metallargiche dello stato, formò una copiosa e scelta collezione di minerali. Ac- coppiando a sommo ingegno modi piacevolissimi, conseguì la stima e l’ affezione:.di\ tatti quelli che lo conobbero, lasciando di se vivissimo desiderio. Nella notte che seguitò al giorno primo di febbraio man- cò improvvisamente di vita in Firenze il celebre professore di chirurgia Zuigi Giuntini, in conseguenza d’ un vizio organico già prima annunziatosi in lui. Non contenti della parte presa al pubblico cordoglio , i di lui discepoli gli van preparando solenni funerali, all’ occasione dèi quali ne sarà recitato l’elo- gio, di cui daremo contezza ai nostri lettori, G. GAZZERI, BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNESSO ALL’ ANTOLOGIA (*) N° V. Marzo 1824. no: Trattato di Armonia, ordinato con. nuovo metodo, e corredato di tavole o dichiarazioni delle cose in esse esposte ; di GASPARO SELVAGGI.— Napoli 1823. presso Ra/fael Miranda. V.. S:0 di 169 pag. e 33 tavole. 80. Delle scienze , lettere ed arti dei romani, dalla fonda- zione di Roma sino ad Augusto, del CAV. FEDERICO CAVRIANI. Mantova, coi tipi Virgiliani di ZL. Caranenti. 2. volumi in 8.0 Con rami 17 a contorno, e 96 tavole sinottiche: prezzo L. 10. 88 ita- liane. — si trova in Firenze presso G. Molini. 81. Della piena e giusta intelligenza della Divina Commedia 3 (*) I giudizi letterari dati anticipatamente sulle opere annunziate nel pre- sente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati dai sig. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna con” fonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima, siano come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. 190 Ragionamento ‘ di FiLiePo ScotARI. Padova. Tipi della Miner- va — 4.0 di p. 82, 1823 con tavole in rame. 82. Delle sedie cause delle malattie , anatomicamente inves=: tigate da Gio. B- MorGAGNI. Libri cinque, Prima versione ita- liana di Pietro Maggesi dottor di filosofia e medicina ; Milano 1823 — Tip. Rusconi Vol. primo. 8. di pag. 284 — col ritratto. del- l’autore. Prezzo di associazione , L. 2. 96 italiane. ro volumi for-' meranno il totale dell’opera, il prezzo della quale sarà approssi-' mativamente di L. 30 italiane. 83. Saggio di congetturesulla grande iscrizione etrusca sco. perta l’anno 1822 e collocata in Perugia nel gabinetto di an- tichità; proposto da Gio. BATTISTA VERMIGLIOLI. Se l’ antica Etruria, la quale un giorno tenne il dominio d’Italia, sventuratamente smarrì ogni suo scritto, avanzano tanti monumenti di essa, che sono pur sufficienti a persuaderci della sua grandezza , e cultura su di ogni ragione. Fra questi tiene un distintissimo luogo la grande iscrizione Etrusca enunciata, e distesa in 45 versi, e di cui nell’ Etruria, e nell’ Umbria finiti- ma, dopo le celebri Tavole Eugubine, non si vide peranche Mona- mento Diplomatico e Paleografico più ricco di questo, il quale tra i marmi scritti della nazione tiene il primato fin qui. Questo Saggio di Congetture per quanto permette l’ oscurità somma del Monumento, d’ altronde sì celebre, e prezioso, uscirà dai nostri torchi al più presto possibile; e 1’ opuscolo diligentemente stam- pato con una tavola in rame, e con il corredo di {qualche nuo- vo Monumento inedito, sarà intitolato a S. E Ra. Mopsig. Uco Pietro SPINnoLA Delegato Apostolico di Macerata. Non si debbe che a LUI questo piccolo, ma devotissimo omaggio, come al generoso e benemerito donatore di un Cimelio archeologico farissimo, che illustrando doviziosamente la Paleografia, e le an- tiche lingue d’ Italia, la Storia dalla nazione Etrusca, e di Pe- rugia, ne fece generosamente l’ acquisto, onde ornare il gabinetto de’ Monumenti antichi della medesima città . — / tpografi Vin- cenzio Bartelli, e Giovanni Costantini . 84. Giornale di farmacia chimica e scienze accessorie, essia raccolta delle scoperte, ritrovati e miglioramenti fatti in farmacia ed in chimica; compilato da ANTONIO CATTANEO .: Milano, pres- so G. P. Giegler. 1824— Sono pubblici i numeri 1 e 2, Gennaio e Febbrajo, ciascuno di fogli 3 4.— in 8. Il prezzo di questo Giornale è di L. 16 austriache per un anno, franco alle frontiere. 85. Repertorio medico chirurgico , Trimes. I. Genn. Febb. IQI e Marzo 1824— vol. I. fasc. 1. Perugia 1814. presso Garbinesi e Santucci. Di questo giornale se ne pubblica un fascicolo ogni 3 mesi di fogli 12 in 8. prezzo franchi 24. all’ anno. 86. Intorno varj antichi monumenti scoperti în Brescia, diser- tazione del DorT. GiovANNI LABUS. Relazione del prof. RipoL- Fo VANTINI; ed alcuni cenni sugli scavi del sig. L. Basiletti, pubblicati dall’ ATENEO BRESCIANO. Brescia, per Miccolò Bettoni. 1823 — Vol. in 4. di pag. X e 143 — con 4 tavole in rame, 87. Esposizione della medicina fisiologica del Cav. prof. F. G. V. Broussais primo medico dell’ ospedale di Val-di Gra- ce di Parigi, e membro di molte illustri accademie. Versione libera, con prefazione e note di E. BASSEVI, dottore in medicina ed in filosofia, socio corrispondente dell’ I. e R. Accademia de Georgofili.— Livorno dai torchi di Glauco Masi. 1824—Tomo primo di pag. XLV. e 122—. (vedi per il prezzo di associazione il n°. del presente bullettino ). 88. Questioni sul Magnetismo del Cav. LEOPOLDO NOBILI, Modena, Eredi Soliani . 1824 — volum. in 8°. di p. 182—con 4 tavole in rame. 89. Geografia moderna universale, ovvero descrizione fisica, statistica , topografica di tutti i paesi conosciuti della terra; per G. R. Pacnozzi. Vol. VI: Distrib. XII. Messico-America Au- strale-Columbia. Firenze 1824 — Vincenzo Batelli ec. prezzo ded; 13: i Fine del fuscicolo XXXIX, vini "i v v ts Amici. RETTO counko i «0 “dio 0610 nat. pa qu rorpponagli, AA ‘aog=eB sp, i # ‘ni «purlor = date cia nodisiominb Pd 1 vasi pende sar i ario alti ilniszono9, ianag, i db db neghi PO asi, poiasnzogieobi; HZ liniei(i, SIX, doc VAT BY ; ORIITY, 1:99] atei camion e dal osua, BRESSO Prg Ki N i, i i È ira #1 È #1 Li-f ì 7 044 da sy î PAM diet gw i) n € { ‘di î TORO ) î vt. ( a! Perno A “i Tia Kodi Mon' èvi 4 n rate Piras ty vl > QB shots ta Sur . f si PAS #9 UTE ; i r” $ i 4 sia i bots DA side K sit o uri ; ario RINTENTIO, 7 d' i ; 3 x "R "n 9 w LX — LI ; te de “I PRA o t O) { n ò NE icà i ur i DI sl LA MT 14 Ù ; wii; : : ssnrtori: 100) i k ’ Loy n Ja ‘ ì, i e » alta ae) DMI 4 gt Pi: Ì î a OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE” FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livelle del mare piedi 205. FEBBRAJO 1824. Termometro di de rg P O s o" bi 3 Ss 3 | Ss Ora S 5 CA 8 | s. "3.8 Stato del cielo EA a Re BOE mi 0] PI) 7 poll. lin. n | nai | .| 9 mat. |28. 1,0 4,0) + 1,5 70 Tr Gr. Sereno Venti 1] mezzog. |28. 1,5 4,7 5,0! 53 Gr. Tr. Ser. nuv. Vento rt sera |28. 2,0 4,9 2,0| 59 Gr.Lev. Sereno Calma 7 mat. |28. 1,9 4,0 0,7| 65 | Tram. \Sereniss. Calma 2| mezzog, (28. 1,9 4,7 4,5| 52 (Gr. Tr. Sereno Vento 11 sera |28. 1,9 4,9 1,5| 61 \ Tram. |Sereniss. "Calma gi=|{ = |-=T-T- ,| ———_—_|—__—_ -——_{ |! ——_ ————+—.—— 7 mat. |28. 1,4 3,8] — 0,2| 70 Gr. Tr.| Sereno Ventic. 3| mezzog. (28. 1,4 4,0] ++3,5|] 56 Greco |Ser. nuvol. Vento 11 sera |28. 1,3 3,6 1,0| 65 |Se,Lev.|Ser. bellis. Ventic. 7 mat. ad 1,0 2,7) — 1,2| 78 \Lev. |Ragnato Vento 4| mezzog. 128. 1,5 3,3| #4,5| 49 .Gr.Lev.'Ser. calig. Vento 11 sera |28. 2,3 | 3,6 1,5] 59 | Lev. Serenis. Ventic. | 7 mat. 128. 2,1 3,1 0,7| 74 ;Scir. {Coperto Ventic. | 5| mezzog.|28. 2,2 2,9 3,2| 61 ‘Scir. |Nuvolo Ventic. î ti sera |28. 2,2 | 2,7 2,0, 76 Scir. |Nuvolo Ventic. i 7 mat. 128. 2,3 3,3| 3,51 86 | 0,01[Scir. |Nuvolo Ventic. {| 6} mezzog. 128. d,ò 3,5) 4,0) 92 | Scir. |Piovigg. Calma 1t sera |28. 2,3 30 4,0] 101 0,23|Sc.Lev.|Nuvolo Ventio, JU. | 7 mat. 128. 3,2 4,t 5,0) 62, 0,09|Tr. Gr. [Coperto Vento. {| .7| mezzog. |28.. 4,2 4,7 6,5 67 Tram. {Nuvoli rot. Vento, 4) | 11 sera |28. 5,6 4; 390 _70 Lib. Sereno Ventic. | _-- ED ; Termom. | T- I | IO 3 o Hi 12 5152 se i Sf Ora 5 5 A 3 [3 3.8 Stato del ciélo E. 3. S 3 8 dr È ò St BL SLESA RI LR I | i | 7 mat. '28. 5,7 4;4| +35 | 61 Tram. |Ragnato: | Ventic. | | $' mezzog. 28. 5,9 5,1 7,2! 43 Tram. |Bel sereno Vento | rr sera. 28. 6,2 5,3 5,0, 46 Gr. Tr. Tr. Sereniss, Vento | 3a) 7 mat. 28. : 5,8. 437 1,3| 70 Pre Rn Vento 9! mezzog. 28. 5,8 5,8] 10,2) 22 , Tram.. | Sereno Vento | ri sera 28. 5,3 731 4.5: 49 'SciLev. Ragnato Ventic.l | 7 mat. |28. 4,6 6,3 3,0 65 ‘Scir. Nuv. nebb. Galma 10 mezzog: |28. 4,2 6,2 8,0 48 | [Scir. Folio Ventic.| ri sera Lilo 4,3 67, ‘49 60 \Scir. (Sereno. Calma | 3 mat. |28. 4,7 | 5a 2,8 83 | Sei, = rag. Calma [| ri mezzog. 28. 1,9 6,0 65 65° iSeir. Nuvolo Calma | II sera 27. 11,7 | mt 7,7 89° ‘Po.Lib. Nuv. nebb. Calma | 7 mat. |27. 11,2 6,9} 48) 96 |Scir. |Sgr.calig.'’ Ventic”| 12| mezzog. |27. tt,2 7;) 9;9| 68 Scir. |Caliginoso Ventic.| II sera |27. 11,7 8,0 6,0, 49 {Scir. |Ser. ragnato. Vento 9 nat. |27. 11,6 6,6 5 89 ‘Sci |Nuv. fott_Ventic.|| t3) mezzog. |27. 11,I VALI ;353 70 Scir. Nuvolo Calma |l ri sera |27. 9,9 8,0 | 8,0 70 Scir. |Nuvolo Ventic. | 7 mat. 27: 7,6 8,0 8,5, 75 | Lev.Sc. Nuvolo Vento 14 mezzog: (27. 739 550) | 15/402 Lib. ‘Coperto veti furioso | sxsera_ :27. 7,2 9,8] 11,0 72 Os.Lib.! Nuvolo Vento | 7 mat. |o7. 7,3 9,3 8,984 Os.Lib*' Nuvolo Vento 15 mezzog. 127. 7,2 10,2 13,0 60 | Os. Lib'|Nuvolo Vento 11 sera ,27. 8;0.]. 10,7) 11,0, 63 | (Scir. |Nuvolo Vento . .| 7 mat. |27. 7,5 ro,gl 12,0, 73 [Scir. Piovigg. Vento {|16| mezzog. |27. 73 11,5 13,0. 56 !Lev.Sc. |Nuvolo Ven. forte 1; sera |27. 5,6 tI,I __1955| YA 0,08 Lev. _|Nuvolo Vento 7 mat. |27. 4,2 10,2 90 76 0,01 Scir. |Nuvolo Vento 17| mezzog. |27. 5,3 10,0 9,0 ci [gs Ostro. Pioggia Calma rx sera 127. 70 8,9 7,0 0,03 Sc.Lev. Ser. nuv. Vento 7 mat. |27. 5,9 8,2. 301 È 0,01| Lev.Sc. d'a 1 rot. Ventic.| 18| mezzog. |27. 10,0 8,9 30| 70 P. Lib.'Ser. con nuv. Ventic. li sera |27. LI,f 8,4 8,0 85 Lib. Ser. nav. Ventic, 7 mat. ‘27. I1}I 8,0, i nà 4 go | o,10 Scir, |Nuvolo Ventic: f\i9| mezzog. 27. 10,9 8,9 10,0 73 0,02 Sc.Lev, Nuvolo Vento 1) sera 27. 10,6 | 8,9' 13) 7,9 _ 99 _1 9307 Scir. ‘ INuvolo -' Calma Stato del cielo 017211038] 01} - don] ord -oosow9uy |È- | +#+9,0| 70 | o,or|Scir. |Nuvolo Ventic. 8,0 96 | 0,02|OsScir. Pioggia pento: 6,51 99 0,25 Lib. |Ser. nuv, Cal mnà i ; | | 99 Os.Lib. Ragnato Venti: dI mezzog. |28. 0,8 8,4 9,5) 75 Lib. ‘Ser coùnuv. Ventic: È Ji | risera |28. 14 89 — 9:09 gii Os. Lib. Ser. nuvoli. Calma È | 7 mat. ‘28. 2,0 7,5) 45 99 Scir. |Nuv. nebb. Venti. { 22| mezzog. 28. 2,2 ”,7 9,0, 89 Scir. |Nuv. nebb. Ventic. f bi: ti sera 28. 1,0 8,0 Tio 1001 Scir. |Nuvolo Calma (j ® 7 mat. 23. 0,5 8,2 — 8,0 100 6,02|Scir. | Piovigg. Calma i} 33| mezzog. ‘28. 635 8,4 9,9|100 | o,or]Lev. !Piovigg. Ventic. j ti sera 28. 0,4 6,41 è 8,5, 100 | 0,01|Scir. __Nuvolo Calma |f I 7 mat. . 128. 0,2 8,6 | 98 100 |0,06 Scir. {Nuv. nebb. Ventic; | |24| mezzog. 28. 0,3 Bol #15: gt 'Scir. Nuvolo Calma |} ti sera 28. 93 8,9! 85 76 |0,04 Greco {Nuvolo Calma || e mat. |27. 119 | 8,9 7,0 87 \o,01 Gr. Tr.|Nuv. nebb, Calma |i 25| inezzog. |27. t1,2 9;!| t0,0 73 Greco {Nuvolo Vento |! Ir sera ,27. Q,it 39 7,0 75 Tram. {Ser. nuv. Vetito È Gr. Tr. Tr. Ser. con nuy. V. forte ; 7 mat. pr 8,2 8,6 7,5 73. Gi. Tr. Nuvolo V. forte $ 26] mezzog. 127. 7,9 8,6. 10,0 tI sera |27. 8;0 8,4 8,0, 27 1A 0,08|Gr. Tr. Nuvolo Vento | | 7 mat. [27. 80 8,6, 7,5. 85 Lev: |Piovoso Calma 27 mezzog. è 0 è è e è. © è 0» | * € OR IE RIO RT E A I 0 10 sca È rr sera /27. 8, 3 8,9 8,5 79 Lev. ‘Ser. nuv. Vento || 7 mat. |27. 8,1 8,9 8,0] 82 Greco [|Rag. calig. V. forte 28| mezzog. |27. 8,7 gi] 11,5) 65 Os.Lib.{Nuv. sereno Calma 1tsera |27. 10,0 | 9,8 B,o| 94 Lev. |Sereno Ventic.ij 7 mat. |27. 10,6 9,1 7,0 9% Scir. |Nuvoli Ventic. | 29| mezzog. |27. 10;8 93] 11,0 76 Lib. |Nuyoli © Ventiè. 11 serà 27. 10,9 Di 9,0 83 Greco 'Nuvolo _. Calma. alinea TP DI MIT. ti e ae a i ? Li Pi * PI a 4 1 SA Mai him Si lf i tu 452 PS ISYTA. rt kE [4 fi - edit le: È 4 î iundvicie dine , A È » È ‘set ca Bel” , Y perl gi ‘ n IR REI? «MU ) E | «a FIL. ° 5 n è : i dio te 009 ATI Sat e $ b PI ® ra PELI VA MBALIA è xd a ‘ Ù bi vr 3 CO, , fi ‘obladt] | î » SR) è LI ) EMMI x î vi Un fi I 4 y ESTE UIAATANI Yad FORI SR. da a PONI x ed ” PI ri di marie R VETEE Dpr p Li È" 0 n x gissin NI IO MM a 14 ; é ge VIET IRR fiati Mi ‘ i CIR : di Sire i Cirnoe a difese PRIN "gt | | L Ù © ” SP ì % Ù x Z A fa . . ea Sinonimi i * vel ' dA Pa \ fi j SCESO [BN RASTA IONE Sign ani ce e iti Bian x $ n ì| } PENTITO DELLE MATERIE CONTENUTE ° n NEL DECIMOTERZO VOLUME SCIENZE MORALI E POLITICHE. Gi eremiti in prigione, ossia le consolazioni di S. Pelagia; dei sigg. Jouy e Jay. Art. II. (Q.) A. P. 40 La Grecia, ossia descrizione topografica della Livadia, Morea ed Arcipelago; di Depping. Art.II. (F. G.) ,» » SI De typographicae artis abusu, etc. ab Eligio Vol- pini . (SLC 00 Sulla storia della riforma delle prigioni. Fi/andro. Lezione I. B..-,, 71 i Lezione II. Ci. “DO Del commercio e dei suoi pubblici lavori in In- ghilterra e in Francia, di Carlo Dupin. ; ( Traduzione). Mi. gg ITò Cenni sulla perfettibilità dell’ umana famiglia, dell'ab. Pietro Tamburini. (3 pl ratto. . Dei greci e dei turchi. Art. IL Milalete:: ‘3 (a. 63 GEOGRAFIA , VIAGGI, ec. Lettere di Antonio Benci a Pietro Vieusseux, re- lative al suo viaggio nella Svizzera, e lungo le rive del Reno. De ea Gio OS Bullettino Scientifico N. V. PREREPAORO: (1: N. VI. Gi enna SCIENZE MATEMATICHE. Bullettino scentifico. — Astronomia, Geodesia. -B. ,, 166 FILOLOGIA, CRITICA LETTERARIA , ec. Breve rivista letteraria inglese. (S. U.) A. 79,27 Grammatica compita della lingua greca di Au- gusto Matthiae , Volgarizgata da Amadeo Peyron. tino Ces. Lucchesini. , > 116 Lettera al direttore dell’ Antologia ; in proposito dei lavori dell’ Accadeinia della Crusca. (8. €.) + > 122 Biografia universale di GE Missiaglia. Bartoretl® ,, ‘,, 1a B. ,, 96 Ode d'ligpi VII — Vidiicne del mM. Ces. Lucchesini. ,,) » 85 Lettera sulla morte di Canova. Paolo Zannini. ,, ,, 100 Opuscoli di Plutarco valgarizzati dal cav. Ciampi. (Q.) , >» 104 Ino e Temisto. Tragedia. di G. B. Niccolini. (X.) Sopra una lezione di: bella letteratura del sig. Vil- lemain di Parigi di pas C. ,, 108 Del romanzo storicé, @ di Walter Scott. Art. II. dl Si Uzielli, 3x0, 118 Sulla parola Gonfaloniere; lettera di (Ss) cane! 143 ARCHEOLOGIA. Su di un’antico sarcofago nella chiesa de’ PP. Conventuali di Messina; pochi cenni del dottor Carmelo La Farina. Zannoni. A. i, 24 Breve ragguaglio di due medaglie d’ un nuovo re di Tracia. Sestini. ;, ;x 113 Lettera sull’ alfabeto geroglifico del sig. Champollion. D. Valeriani. ;; 3 126 FI. Merobaudis carminum orationisque reliquiae et Membranis Sangallensibus editae a B. G. Nie- bubrio. M. Ces. Lucchesini. B. ,, 49 G. 0371163 Palazzo di Scauro, ossia descrizione di una casa Ù romana. (Hr€.}ob, 075; 92 BELLE ARTI. Saggio sulla natura , lo scopo, e i mezzi dell’ imi- tazione nelle belle arti, del sig. Quatremère di Quiney. do Leop. Cicognara. N. ,, 3° Bi. sare 1713106 ù D’ una tavola bellissima di Leonardo, nota appena di nome agli ultimi illustratori della sua vita. (M.) A. H Salvatore bambino , di Carlo Maratta, inciso da Geovita Garavaglia. da Cenni critici sugli scritti intorno alle belle arti. ob Lettera sulla litografia. M. Ridolfi. ,, Lezione di Vincenzo Follini sulle porte di bronzo del Battistero fiorentino. C. BULLETTINO SCIENTIFICO. N. IV. Gennaio 1824. A. »» V. Febbraio B. sx VI. Marzo. C. SCIENZE NATURALI. Bullettino scientifico. Meteorologia, A. B. 7 C. Fisica e chimica. A. B. È Gi Geologia B. Mineralogia. E Paleontografia b3 Botanica e agricoltura. si SCIENZE MEDICHE. Bullettino scientifico. Anatomia umana e comparata. A. Fisiologia. sal Anatomia patologica e patologia. » Medicina pratica e materia medica. da SOCIETA ED INTRAPRESE SCIENTIFICHE I. e R. Accademia de’ Georgofili. Adunanza del dì 4 Gennaio 1824. 2. Cos. Ridolfi. A. Adunanza del dì 4 Febbraio. 5. Adunanza del dì 7 Marzo. G. Baullettino Scientifico N. V. B. »”» 2) 133 143 155 156 143 167 156 146 169 148 150 153 154 133 138 144 155 124 102 152 171 ARTI INDUSTRIALI ; INVENZIONI ; SCOPERTE, ec. 0 Ballettino ciali) «Pv: sich Rò » 164 Idem Ve. B. ,, 180 Idem VI. GLIE NECROLOGIA. Berthollet. G; ‘154 G. B. Ventari. 9 > 182 Francesco Gianni. 3 183 Bartolommeo Sestini . si *. 3, TS Prevost. i 4 51193 Eduard Jenner. 13 3a BS Carlo Hutton. > 33 184 T. A. Llorente. RA Barone Hermelin 39 125 Van Swinden. ti die) .Charles. sp vi .06 .Arrowsmith. pl 431600 Carnot. i si pI06 Vincenzo Coco. 30: 190 .Pietro Moscati. » » 187 Langles. ni 75 1008 Isimbardi. 9° » N08 Luigi Giuntini. 19. ‘an 189 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO N. III: Gennaio 1824. Pig fue i >, IV... Febbraio. B. 86 » Vi... Marzo. Ci. #99 DN) ee nt Fener: be Aha SATA pedich d smalto opel 0 ce i Ni E Piro; i, NONA i È mA î va : Ebraico rei ae gl TROVA vate ai. {TA È " beietaiso, Mr LE c Vecorttsimith N y Naschl, pe ; Vibucato Tosa Ù AME LTT TT LAM gior, i ò li ù È, bed < NEL Lu nS t “ SIT VR o SPUTI BA (CA DAI ÙD Mi. TIR Ca sgia GA Me NE ia i o in Table / x î dj xt Mira; ATL ” n fl so i de da nau ” veti ‘ STA PARRA Mi nat, are gii po. cea \ °, 1 Y mt IA } “ele: 0 } PMO 7: den i i x Sa pe È >» &. Si x e