23 Badskio, 22 O, id te STTEITA F Sata ira dici =» siii mer È Dili La È i nai ANTOLOGIA GENNAIO, FEBBRAIO, MARZO 1025. TOMO DECIMOSETTIMO FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE E EDITORE TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. MDCCCXXV Ai Signori Associati e Corrispondenti - dell’ AnToLOGIA . Das principio alla quinta annata di questo nostro giornale, noi potremmo parlarvi degli ostacoli , che ci fu d’uopo di vincere, onde sostenerlo ; della. nostra costan- za e del vostro favore, di cui sentiamo tutto il prezzo ; del bisogno che abbiamo di accrescere il numero de’ no- stri soscrittori ; della speranza d’aiuto che in voi giusta- mente abbiamo posta. Ma basteranno, non ne dubitiamo, queste poche parole ad ottenerlo , come basterà il fascico- lo, che ora vi si presenta, a provarvi, che noi siamo sem- pre animati dal medesimo spirito e dal medesimo deside- rio, altra volta manifestato , di meritare la vostra appro- vazione e quella di tutti gli uomini, che amano il vero e vogliono il bene. Vi sia grata per altro la promessa che vi rinnoviamo di contribuirvi con ogni nostro potere , confermandovi quanto vi abbiamo detto a questo riguar- do nel nostro proemio dell’anno 1823, e aggiugnendovi che, mercè lo zelo de’ nostri saggi collaboratori, il po- ter nostro si è felicemente assai accresciuto . Voi tutti , abitanti della Toscana , che leggerete i pri- mi queste carte, e voi, o italiani degli altri stati della penisola, vogliate bene esser certi ( e veramente abbiamo ragione di credere che già lo siete ) che l’Antologia è af- fatto esente da quello che chiamasi spirito di municipio; che per lei vi possono essere Alpi, ma non vi sono Appen- nini; che la gloria letteraria d’ogni parte del nostro diletto paese le è preziosa ugualmente; che mai ne’ suoi giudizj non potrà aver luogo la minima prevenzione; che tutte le fatiche degli ingegni italiani indistintamente avranno sempre in essa una schietta apprezzatrice del loro merito. Noi abbiamo cominciato, col fascicolo dello scorso mese, a presentarvi una rivista letteraria di certa esten- sione ; e sarebbe inutile il parlarvi qui della importanza di un simile lavoro, che ci proponghiamo di rinnovare al compirsi di ogni trimestre. Ma come dargli quella perfe- zione , che da noi e da tutti si bramerebbe, se gli autori e gli editori d’ opere nuove non si danno cura di farcele conoscere? Vaglia ad eccitarli il dir loro che d' ogni ope- ra, cui si compiacciano di trasmetterci , si stamperà im- mediatamente l’annunzio nel nostro dbullettino dibliogra- fico ( ved. Ant. vol XII, pag. 179 ); indi se ne porgerà sommariamente ragguaglio nella rivista, e in seguito se ne farà soggetto di un articolo speciale , ove ci-sembri che la materia lo richiegga . Il dullettino scientifico , che abbiamo dato regolar- mente in tutto l’anno pur dianzi compito, incontrò l’ag- gradimento di quanti amici ha il sapere; e sarà nostra cura che questo aggradimento divenga sempre maggiore - Non dissimuliamo per altro che finora ci è stato più fa- cile il render conto di ciò che avviene o si opera al di là de’ mari o de’ monti, che non di quello che avviene o si opera nel nostro paese, vogliamo dire in tutta l’Ita- lia. Rinnoviamo quindi più caldamente che mai la no- stra preghiera agli scienziati, di cui l’Italia si onora, perchè ci vogliano communicare di mano in mano quanto crederanno opportuno per quel du/lettizo, assicurandoli anticipatamente della nostra più viva riconoscenza. La quale preghiera e la quale assicurazione facciamo pure ai signori presidenti e segretarj delle accademie e società scientifiche o letterarie, delle quali ci sarebbe sì caro il far conoscere a giusti intervalli le utili fatiche, e a cui ci piace di raccomandare le nostre , dirette ad un medesimo fine, il decoro cioè e il vantaggio della nazione . VIEUSSEUX Direttore ed Editore. D’una Scelta di Prosatori Italiani. Prirrro Griornani a Gino Capponi Marchese. Firenze 1 Gennaio 1825. Può giustamente parere cosa stolta che l’uomo parli di pensieri i quali non condusse ad effetto . E mondimeno io spero poter di siffatto ragionamento essere scusato, par- lando ad un amico ; e parlando quasi indotto da una neces- sità di rispondere a’ rimproveri di molti benevoli. A benevoli rispondo ; poichè a malevoli certo nè dovrei nè vorrei. Da lungo tempo molti buoni amichevolmente mi riprendono che io non abbia fatto cosa che valere e durar possa nel mondo . Ai quali voglio ora giustificarmi, ragionando con voi ottimo e carissimo Gino ; e mostrarvi che se di nulla ho potuto esser utile nel mondo, almeno 1’ ho desiderato. E tra molti lavori che ho faticosamente agitati nell’animo, uno mi occupò lungamente , del quale mi risolvo a parla- re dacchè mi è fuggita ogni speranza di compierlo. Molto ho pensato al bisogno grande e alla gran diffi- coltà di avere in Italia buoni scrittori. E perchè il formare ur degno scrittore non è opera fortuita nè breve ; composi nella mente, e desiderai descrivere in carte l’idea del Perfet to scrittore Italiano. Al quale molte cose bisogna che sieno donate dalla natura, molte: concedute dalla fortuna, molte da una rara educazione e da lunghi ed eletti studi acqui- state. Delle quali cose in me sentivo assai potente una che, per mio male, natura mi diede; le altre dalla peggiore tra le pessime educazioni italiane, e da una ostinata malignità di fortuna mi erano impedite: sicchè a consolarmi cercai se forse potessi altrui agevolare l’ altezza della quale non avevo speranza. Questa figura dunque di ottimo scrittore italiano io la distendeva in tre libri. Nel primo esponevo qual uomo vorrei colui nel quale poi si formasse la desiderata eccellenza dello scrivere. E prima domandavo alla natura che me lo desse robusto, ed altamente ingegnoso: comandavo alla educazione che alle grandi e continue fatiche mi crescesse con assidui e libe- VI ri esercizi idoneo quel natural vigore della mente e delle membra; e per consuetudine lo facesse intolerante degli ozii, cercatore di piaceri ne’ travagli. Vedevo necessaria una liberalità non consueta della natura, che mi fosse copiosa donatrice di due qualità, nel comune degli uomini scarse, ne’ migliori disgiunte , forte imaginativa e forte discorso , molto affetto e molto giudizio. Le quali due forze che la riatura d’ordinario fa camminare lontane, e se per avventura si trovano congiunte sogliono più presto nell’ operare tur- barsi insieme e impedirsi che aiutarsi; bisogna che una di- ligentissima educazione le assuefaccia a soccorrersi e raf= forzarsi l’una coll’altra nell’opera dello scrittore : che se l’uomo non le avrà potentissime da natura, e da regolato esereizio congiuntissime; egli potrà ben farsi in altre opere o d’ingegno o di mano valente e famoso, ma della gloria di bene scrivere dee disperare. Perocchè lo scrittore che vuol essere utile deve trovare accortamente e sicuramente tra molte oscurità il vero, deve fervidamente dee fortissimamen- te amarlo ; dee pubblicarlo senza paura, dee imprimerlo negli animi altrui con ardente forza. A questo uffizio sa- crosanto, e non a vani trastulli di fantasia, non a mercato di adulazioni, è destinato il mio scrittore. Ma se la ma- nifestazione del vero è il maggiore e più necessario be- nefizio che si possa fare agli nomini; è anche il più odio- so e pericoloso: perchè da non so quale destinato maligno della umana generazione avviene che qualunque vero, es- sendo sempre utile all’universale, si trovi contrapposto a qualche falso; donde cavano, a danno di molti, laido e scel- lerato profitto pochi. Di qui a’ banditori di qualsivoglia verità che paia nuova l’odio iniquo de’ pochi, e l’ iniqua ingratitudine dei molti. Ben lo sa il celeste Galileo ; che dai vili e feroci sdegni di questa vile e misera terricciuo- la non fu salvo nemmeno nel sole. Oggi ancora, centono- ‘vant’anni dopo l’abominata vessazione di quel divino spi- rito, alcuni furiosi vorrebbero che il discorrere intorno al corpo umano, o all’antichissima formazione della terra , fosse con danno della libertà o della vita. E perchè so che il mio scrittore dev'essere odiato da’ tristi, ma non voglia Vil che possa essere oppresso; domandavo alla fortuna che non gli negasse nobiltà nè ricchezze. Molto è creduto dal vol- go al nobile; molto è comportato da’ potenti al ricco. Quis bene dicentem Basilum ferat? Disprezzati e bistrattati Tor- quato e Giangiacopo; riveriti e temuti il signor di Voltaire, il conte Alfieri ed il barone di Zach. Parlavo poi degli affetti che bisogna inserire, e de’ costumi che bisogna abi- tuare in colui che dee riuscire sovrano scrittore: al quale è necessario innamorarsi potentemente del bello e del buono; amare gli uomini; ma nulla da loro mai desiderare, nulla temere: è necessario alternare colla solitudine la conversa- zione; acciocchè dal conversare prenda il poter conoscere e Prileraio gli uomini quali sono; dal meditare solitario acqui- sti forza di rivolgerli a ciò che dovrebbero essere. Nutrita sino all’ adolescenza con educazione specialis- sima quella generosa indole, che vuole prepararsi alla più legittima e nobile e sicura monarchia sovra menti libere; per la quale il mio scrittore a molti milioni d’uomini vi- venti e da nascere farà liberamente pensare e volere quel ch'egli penserà e vorrà: io proseguiva a ragionare in tutti quegli studi che ad investirsi di tanto imperio gli bisogna- no. Che se all'arte di forzare gli uomini o oi i comecchè per lo più ci appaia temerariamente sospinta dal caso, pure alcuni studi sono creduti convenienti; non è da stimare che pochi nè leggieri bastino all’ arte del persua- dere. Acciocchè al dipintore fruttifichi gloria il sapere di- segnare, e il delineato vestir di colori; fa mestiere che sap- pia l’anatomia delle ossa e de’ muscoli ; sappia alquanto di chimica di statica e di ottica, sappia la prospettiva, e parte di architettura; conosca le storie le religioni le fa- vole i costumi de’ popoli e de’ tempi; intenda specialmente gli affetti umani; e di molti animali e di molte piante non ignori la natura e le apparenze. Però venivo partitamente trattando di quali tra le molte scienze, e quanto, per avere util materia e degno artifizio a scrivere, debba il futuro scrittore fornirsi. Quindi, correndo la varietà dei secoli e delle nazioni, esaminai coloro che da quest'arte gnadagna- rono maggior fama; e in ciascuno cercai quali vantaggi e 3® vil quali difetti da natura o da fortuna, o dalla educazione o dai tempi o dagli studi, per avvicinarsi più o meno alla cima del perfetto, ricevessero. Formato così, nel primo libro, il mio uomo sino alla età di 25 anni; gli mostravo, nel secondo libro, un corso di speciale studio, per dieci anni, in quest’ arte propria dello scrivere ; la quale, per essere la più sublime e la più utile all’umano genere, è necessariamente la meno facile. Dap- prima esponevo con brevità le doti principali e le più mi- nute che a quest’ arte sono richieste: la quale i buoni greci e latini chiamarono arte del dire ; poichè la fortuna di quei tempi dava che un uomo sovra molti eccellente a moltis- simi radunati per cose gravissime parlasse. Noi moderni la chiamiamo arte di scrivere; quando a noi, in questo no- stro vivere disgregato , senza interessi comuni e senza ra- dunanze , non è impedito del tutto che separatamente colle scritture parliamo a ciascun uomo di luoghi e di tempi lon- tano : parlare a popolo adunato rimane solamente in po- destà di alcuni, i quali di tali cose e a tali parlano, che nè d’ ingegno nè d’arte abbisognano . L’ arte che fu di par- lare , ed ora è di scrivere, tiene stretta somiglianza colla pit- tura; colla quale ha comnne l’ intenzione , ma più largo il subbietto, e differenti i mezzi. Come dunque Ia pittura non è solamente nel disegnare, o solamente nel colorire, ma in queste due cose congiunte ; poichè a rappresentare i visibili oggetti, si vogliono contraffare ne’ loro contorni, e negli effetti della luce, e ne’ contrasti di lei colle om- bre: così non bastano allo scrivere i fini colori delle pa- role elette; come in Italia lungamente fu creduto da molti , che le vanità chiamavano letteratura ; nè un proffilare di buoni pensieri basta; come oggidì van dicendo molti , che sperano di mantellare col nome di filosofia la propria bar- barie. Ma bisogna che lo scrittore sia di lingua , cioè di vocaboli e di frasi, come di colori efficaci, ricchissimo; e che nello stile , cioè nella disposizione de’ concetti, e dei segni loro, cioè delle parole e dei modi, come in buon disegno sia accuratissimo. De? pensieri e degli affetti non parlo, perocchè all’ ingegno non all’ arte appartengono . 1 gi è L’ idea e le regole dello stile, che in alcune parti essen- ziali son forse comuni a tutto l’ uman genere ; anche in molte parti principali son comuni alle antiche e alle mo- derne genti del mezzo giorno d’ Europa ; se non che per certe minutissime parti ha sue speciali regole ciascuna lin- gua di esse. Però il greco ed il romano ebbero le stesse cagioni e le stesse norme di ottimo scrivere, che possono avere il francese lo spagnuolo e l’italiano. Nè i migliori secoli della greca eloquenza mi danno cosa che di altezza e di forza mi paia vincere la sentenza che nel senato di | Parigi per la guerra di Spagna disse il Duca di Broglio ; nè di artifizio e di efficacia agguagliarsi al discorso per la compra di Chambord dettato da Paolo Courier. Ma l'italiano che vuole perfettamente scriyere , oltre.il dovere pienissima- mente possedere la propria lingua , deve alle universali re- gole dello stile aggiungerne alcune specialmente adattate alla favella colla quale ama vestire i propri concetti. Quindi in lunga schiera di autori greci e latini e nostri venni ri- . cercando quali ciascuno avesse più cospicue parti dell’ ot- timo, e quali più o meno difettuose. Parendomi di tutte le regole verissima e fecondissima quella alla quale Stefa- no Bonotte di Condillac ridusse quasi in somma la sua magistrale Arfe di scrivere, cioè mantenere il più stretto legame delle idee ; con questa discorrendo i più lodati scrit- tori greci e latini, mostrai come le perfezioni loro sì ori- ginassero principalmente dall’ averla osservata : e venen= do ai nostri, feci vedere come i vizi del Boccaccio ( ad esempio ) e del Guicciardini ( facondi scrittori e studiati, ma di stile viziosi-) e le virtù egregie del Bartoli, deri- vassero massimamente dall’ osservarla o trasgredirla . E perchè il più diritto e lucido ordine delle idee non dareb- be ancora buon effetto ; quand’ esse avessero magagna, per così dire , o nella persona loro o nella veste; ragionai d'un principio ch’ io vedeva cagion comune del bello morale e del bello nelle arti d’ immaginazione , cioè la verità. E in fatti chi ben guarda vedrà i vizi della vita essere altrettante falsità. Vedrà falso il superbo , che si tiene dappiù che non è; lontano dal vero il pusillanime, che si / x L pregia meno del proprio valore. Vedrà falso il temerario ; che o non conosce il pericolo, o crede sufficienti a supe- rarlo le sue forze, le quali non sono da tanto; falso il ti= mido, che vede il pericolo dove non è, o non sente che a vincerlo basterebbero le sue posse. Discorrendo tutta la vita umana si troverà la virtù non esser altro che un giu dizio verace di se medesimi e delle cose ; i vizi un tra smodare, in più o in meno, dal vero. Nè altrimenti erra il pittore o lo scrittore nello stile, se non mancando dal vero: o stia la falsità nel concetto, o stia nella espressione di esso. Perocchè è falsità nel pittore se dia alla figura un at- teggiamento una posizione un colore un’ apparenza che la natura disdice; se mi fa vedere quello che veder non do- vrei; come di certi muscoli il Buonarroti, di certe minuzie - degli abiti il Francia: ed esce pure dal vero lo scrittore o per la non sussistenza del sno concetto, o per la non corrispondenza della imagine colla quale me lo rappresenta; sia ch’ egli adoperi vocabolo non -proprio, cioè non accet= tato a tal significazione dall’ uso comune e migliore ; sia che la frase o la figura ch’ egli compone esprimano più © meno di quel ch’ egli vorrebbe; ossia che nel complesso delle imagini, accozzi quelle che tra se ripugnano. De’quali difetti sarà ben difficile trovar esempio negli eccellenti greci che da Erodoto sino a Demostene scrissero : non raro ac cadrà di vederne in qualcuno de’ latini anche sommi, co- me Cicerone e Tacito: negl’italiani è frequentissimo. Onde trapassai a mostrare quanto, e per quali cagioni, lo scrivere italiano rimanga ancora lungi dalla sua possibile perfezione; quante innumerabili ed efficacissime bellezze, e per qual modo, si potrebbero in lui trasportare dai greci; come dai latini (contro la opinione di molti, mezzanamente e però tortamente intendenti) si possa prendere più di buoni pen» sieri che di acconci modi; e come ammollire e temperare e piegare debba i modi che dal latino prende, chi voglia evitare il duro e pedantesco. ; Maturato da 35 anni bene spesi il mio italiano, e già aitante sì di ardire e sì di forze ; a quali opere dovrebbe por mano, per acquistare la maggior gloria possibile, cioè . xI per fare il maggior bene possibile all'Italia? Anche a spe- culazione sì ardita non dubitai di arrischiarmi: e conside- rando i tempi che viviamo, lo stato degli altri popoli e il nostro , il non molto che abbiamo, il moltissimo che ci manca per far sanì i costumi, sensate le leggi, provvida l’ economia, popolana la utilità delle arti e delle scienze, concorde la società, lieta la vita, tutto quello che o pro- ficuo o piacevole ci potrebbe esser dato da felici e ben nutriti ingegni; osavo, nel terzo libro, proporre e delineare gli argomenti e le materie di molti libri, che utilmente Jeggessero i legislatori, gli educatori, le donne, i giovani, gli oziosi, gli artigiani. Materia copiosa assai, e perla sua naturale abbondanza, e per la sventurata povertà d’Italia: nè a tanta materia, a tanto bisogno, a tal nazione pochi valorosi a scrivere basterebbono. Ma qual è il decreto che disdica all’ Italia, ciò che alla Francia all’ Inghilterra alla Germania è dato, di avere molti valenti ed utili scrittori? Ci è forse nemica la terra, nemico il cielo? Nemici abbia- mo altri, ma vincibili certamente : pessimo di tutti una bieca educazione; la quale da molti secoli persevera osti- nata a spegnere o a torcere i bellissimi ingegni che . pro duce naturalmente il più bel paese del mondo: educazione pestifera , che non solo di scrittori ci priva, ma anche di chi possa e di chi voglia e di chi sappia utilmente leggere. Sorge talora in questa bella Italia, che potrebb’essere giar- dino e noi la facciamo deserto, sorge per benignità di natura qualche felice pianta , che vince gli ostacoli vince le crudeli guerre della comune stoltezza: quante ce ne educherebbe una giusta e savia cultura! Ma come si pos- sono aver uomini in copia, e belli e buoni, dove si sta continuamente intenti a troncare ogni virilità? Non è a sperare che ratto si muti in meglio la educazione pubblica: anco è da aspettare che ‘meno rea divenga 1’ educazione domestica. Non ostante io tengo che se qualcuno, scampato se non sanissimo almeno vivo e in parte uomo dalle torture dell’intelletto, e giovane tuttavia, non ricusasse la fatica dei buoni studi; potremmo lavere scrittori, pogniamo lontani da quella perfezione che è desiderabile, pur bastanti a fare xIl l'Italia più savia e più félice, e non priva di sua gloria tra le nazioni che si vantano di civiltà. A questa bellissima lode, a questo immortale benefi- zio verso la comune patria mi animai ( conchindendo il mio lavoro ) di pregare e confortare la nobiltà italiana: la quale tanto, e non più, sarà da noi e dagli stranieri stimata, quanto civile ed utile alla nazione si mo» strerà. Già ab antico ci venne ignorante e feroce dalla Ger- mania, seguitando le armi e le ambizioni degli Ottoni dei Federici degli Arrighi; quando l’uccidere e il rapire si stima va supremo ed unico vanto. Si piacque nel molle e dilet- toso terreno, che ebbe per suo; quando l’antico e giu- sto possessore nol poteva. difendere. Gridò il perpetuo grido de’ forti, Tutto è de’ forti; e ritenendo le armi dopo la guer= ra, forzò le misere greggie de’ popoli che agli oziosi piace- ri di lei come bruti faticassero. Contro la impazienza, che le inique vessazioni irritavano, si afforzdò nelle ròcche sui monti: combattè le nascenti libertà; dalle quali fu più vol- te battuta e frenata. Tardi fu e suo malgrado condotta a partecipare la civiltà de’ popoli industriosi, a vergognarsi della sua grossa e fiera ignoranza. Finchè nel secolo deci- mosesto la vedemmo comanemente onorarsi del pregio della penna e della spada. Che se l’avarizia e l’obliqua ambi- zione non avessero impedito a quel secolo che le nobili spade italiane stessero tutte da una parte; non era sì lungo e ruinoso il contrasto, e non avrebbe forse l’Italia avuto padrone, o forse ne avrebbe un solo. Certo è che in quella età si videro tuttavia cavalieri senza lettere; ma erano armati: i disarmati , anzi pur molti degli armati, trattarono con lode la penna. Erano per lo più sterili quelle lettere; ma non senza gentilezza, valevano meglio della barbara ignoran- za. Nell’età seguente, sotto il sospettoso e crudele spagnuolo, Italia gettate le armi patì guerre senza gloria e senza speran. ze, paci senza riposo. Non sapeva a chi desiderare vittoria; questo sapendo che sarebbe stato il peggiore chi vincesse, Molti de’ cavalieri italiani cercarono tra nobili studi consola- zione alla vergognosa e misera servitù. Non so come negli ul- timi tempi i discendenti dai valorosi d’Italia abbiano potuto X1]] persuadersi che non sia vilissimo e ignobilissimo l’ozio della ignoranza. Per loro ci viene dagli stranieri quella insultante commiserazione all’ Italia, la quale dicono terra de’ morti. Non è di morti la terra che ha dati al mondo il Visconti il Marini il Mascagni il Belzoni, i quali pur ieri vivevano. Non mi sarebbe necessario nominare il divino Canova: del quale poco fa in Parigi (da chi pur si mostra schivo di trop- po lodarlo) fu scritto, doversi vantare per felice chi dappres= so vide l’uomo cui il consenso del mondo stimò la prima cosa del secolo. Mi astengo dal. nominare altri, ai quali benchè duri la vita già è cominciata la posterità e tace l'invidia: piccolo numero, ma di grandissimi; che da niun paragone di altre genti devono temere. Ma quando in Fran= cia in Germania ed Inghilterra sono sì frequenti i no. bili ad onorare coll’ingegno e cogli studi la nazione; trop- po è chiaro e dolente che l’onore d’Italia ci viene quasi tutto dalla minore fortuna. E nondimeno il patriziato avreb- be tanto maggior debito quanto ha più mezzi; chè non gli bisogna sudare per vivere; può eleggersi le fatiche non che lo nutriscano ma che lo dilettino. Si rivolgano dunque agli studi quando le armi cessarono. Negli studi, non è minor lode, e non è pericolo. Nè già intendo il pericolo di mo- rire: chè non mi degnerei parlare a chi preponesse la vita alle degne cagioni di vivere: ma voglio dire che nelle ar- mi è sovente pericolo di sfortunato successo; non manca mai di frutto l’eloquente sapienza; necessariamente vincono la battaglia degli errori le verità fortemente e costantemente pubblicate. Nobilissima guerra ed utilissima, che i cavalieri italiani possono e dovrebbono combattere; sola vittoria che può mantenere alla nobiltà il primato nella nazione. Alla qua- le se ricuseranno di servire, quando essi potrebbero affrettare e moltiplicare il comun bene; altri non si staranno. Ma in un secolo che disprezza i tumori e le ciance, ed abborri- sce le ingiuste superbie , si dissolveranno come nuvole i nomi usurpatori di riverenza ; i quali avendo vissuto una volta gloriosi, rifiutarono di mantenersi immortali: noi po- polo mal disprezzato ci sforzeremo di dare alla nazione la XIV nobiltà vera dell’ uomo, la nobiltà dell’animo; smmarranno ignobili, vera plebe, gl’ignoranti e gli oziosi. So bene che molti ridendo a questi miei vani pensieri, giudicheranno temerario l’avere io rivolte per 1’ animo cose troppo maggiori; nè altra cagione vorrebbero udire per che io non abbia colorito questo disegno. Altri più benigno, e forse voi ancora benignissimo e amatissimo Gino, mi do- manderanno perchè io di tanti desiderii sia venuto sin qui digiuno. Ma pronto è il vedere se questa era opera da uo- mo debolissimo e sfortunatissimo; il quale non ebbe mai tanto di salute nè di quiete che potesse durare a grave e lunga fatica. E nondimeno io potrò ad uno amicissimo dire senza presunzione, che di tutta l’opera non mi spaventò, nè mi avrebbe forse stancato, il trovare ed aver pronta la materia ( pognamo che fosse pur molta ) nè il comporla nè l’ordinarla: ma la disposizione ultima e l’ornamento, que- sto superò le mie forze. Perocchè se io non doveva presu- mere di farmi esempio di stile ( che .sarebbe stata piutto= sto pazzia che arroganza ); l’invitare i migliori ingegni ita» liani a farsi ottimi scrittori adoperando io uno stile meno che mediocre, era fastidioso e non iscusabile ardimento; quando a tali opere più che ad altre qualisivoglia è necessario un dettato puro e copioso ed elegante. E sempre più mi al- lontanava dalla temerità, il ripensare ai tre divini libri di Cicerone; i quali dopo tanto volgere di tempi mantiene vivi e gloriosi non più la materia, ma solamente la forma. Poi- chè sono periti, non pure dal mondo ma dalla memoria di quasi tutti gli uomini, quella republica, quelle provincie, quelle leggi, quelle cause, quei giudizi, quei costumi, quel senato, quel foro, quella favella, ai quali con tanto inge- gno e tanta eloquenza Tullio formava il suo oratore per- fetto: rimane ad esempio ammirata e gustata la sublime e soavissima arte del facondissimo savio in tutte le grandi e minute parti di quel politissimo lavoro. A me, senza la povertà di tutti gli studi, de’ quali nessuno ho potuto fa= te a mio modo, troppo mancò dello studio negli autori gre- ci, i quali mi proponevo a modelli da imitare; e negl’ ita- xv liani, che mi parevano esempi per lo più da correggere: e quasi tutto mi mancò dell’esercizio che mi bisognava in quest’arte; la quale (come pur le altre ) non meglio nè più efficacemente che per esempio si mostra. Quello per- tanto che io ho invano benchè fervidamente desiderato, sarà fatto da voi caro Gino, se di farlo vi piacerà: o forse dal conte Giacomo Leopardi; se a quell’ingegno immenso e stupendo, se a quegli studi fortissimi, se a quella gioven- tù promettitrice credibile di cose straordinarie, la fortuna (che già troppo gli è invidiosa) permetterà una vita, non chiedo felice e lieta, ma almeno tolerabile . Io intanto così languido e caduco, venuto per lunghi sospiri a quella sconsolata stanchezza di tutte le cose uma- ne, dalla qual fugge colla speranza di operare il desiderio di vivere, ricogliendo su questo misero confine un misero avanzo di spirito; per mostrare che almeno di buoni desi- derii non fui vacuo, penso di tanta mole già propostami dare una piccolissima e forse non inutile porzione di la- voro: colla quale spero soddisfare ad una ragionevole e frequente e sin qui trascurata domanda, che molta gioven- tù italiana e molti gentili forestieri ci fanno, Che dobbia- mo leggere di tanti scrittori italiani? quando nè tutti pos- siamo, nè i migliori sappiamo; nè vorremmo per la politez- za delle parole sopportare la inutilità e il fastidio delle materie . Alla quale domanda non credo che soddisfacessero i Mi- lanesi, i quali dal 1802 al 15, raccolsero i Classicì Ita- Ziani. Non fu certamente inutile quella impresa ; per la quale si propagò tra gl’ italiani un desiderio e una possi= bilità di conoscere molti de’ nostri buoni scrittori, che per lo più erano abbandonati o non conosciuti. Ma 250 volu- mi spaventano ogni lettore , o italiano o forestiero , che non sia molto disoccupato ; nè molti si trovano cui piac- cia donare ‘a quella lettura ducentosessanta scudi, e al- meno cinque anni di tempo. Lascio il peccato non tolle- rabile e non escusabile , che più o meno svergogna tutta Italia, la scorrezione di assai di quelle stampe ; tale che di alcuni autori, non per lievi errori, ma per grosse om- xVI missioni di parole e spesso di linee, è quasi continua mente disperato il senso; la quale maledizione conturba specialmente grave il Guicciardini, gravissima il Baldinuc- ci. In oltre coloro che non di scegliere ma di raccogliere avevan proposito, non s'intende come avendo accolti tanti men che mediocri e più che inutili, escludessero poi tanti, o per la materia, o per lo stile, o per l'una e l’altra condizione pregiati. Tralascierò di nominare i molti che troppo indebitamente furono annumerati ai classici : ma certo non sarà odioso ch’ io nomini molti i quali giustis- simamente sono possessori di tale dignità. Chi o nello sti- le o nella materia più classico di Andrea Palladio? Qua- le più eminente artefice di stile che Daniello Bartoli nelle istorie? la materia delle quali in massima parte è di pro- fitto piena e diletto. Non era grande maestro di pensare e di scrivere in politica Donato Canali ? Le storie di Francesco Capecelatro , di Giambattista Adriani, di Giambattista Na- ni, le storie e i discorsi politici di Pablb Paruta, a quale studioso di cose italiane è lecito di trascurare? Il Tesoro di Brunetto Latini, desiderabile per fina lingua dell’ antico traduttore , importante come enciclopedia di quel secolo cominciatore della civiltà; lo aspettiamo già lungamente dai fiorentini , che soli cel posson dare dottamente pur gato, e tanto più utilmente se lo accompagneranno col- l’originale francese : ma frattanto era qualche cosa poterlo avere e in qualunque modo leggere fuori di quella unica e rarissima e turpissima vecchia stampa veneziana. Perchè onorato Giovanni Villani, disprezzato Matteo ? eppure la storia di costui , scevra di favole, poichè narrò unicamente i suoi tempi, abbraccia l’ Europa, è per la varietà degli accidenti e il candore della narrazione è gustosissima. Non è un’ amenissimo giardino 1’ Europa del Giambullari ; la più compita prosa del cinquecento , la meno lontana dal rendere qualche somiglianza ad Erodoto? Non è una mara- viglia di scrittore Dino Compagni, contemporaneo di Dan- te; e autore di tal prosa, che per brevità, precisione, vi» gore non avrebbe da -vergognarsene Sallustio? Non è am- mirabile di purità e di grazia nelle sue dotte opere italia- xvVII ne Giambattista Doni? dovea dimenticarsi 1’ aureo volu- metto del Porzio ? potevano dimenticarsi il Pallavicini e il Segneri? Non è bellissimo e raro esempio di filosofica precisione :di stile ne’dialoghi dello Speroni? Le lettere di Torquato Tasso non sono le più belle da Cicerone in qua? le altre sue prose non sono faconde mirabilmente e digni- tose, e spesso eloquenti? I viaggi raccolti da Giambattista Ra- musio, la prima raccolta di viaggi che il mondo vedes- se, potevano e per l’onore d’Italia e per l’importanza del subbietto lasciarsi in abbandono ? Le lettere di Principi e a Principi, divenute per unica stampa rarissime e appena a pochissimi note, egregio esempio di abilità e dignità ita- liana nel maneggio e nella esposizione di grandi negozi , non doveano recarsi a quella luce della quale sono degnis- sime? Assai più di cento volumi, ed assai buoni, potevano aggiungerci que’ raccoglitori Milanesi. Certamente se vogliamo, lasciato per un poco da par= te il valore delle materie , considerare unicamente il det- tato , io credo che la sovrana eccellenza di esso nella no” stra lingua si trovi nel Compagni e nelle vite di Domenico Cavalca , quanto al primo secolo; in quello del cinquecen- to sovrastino a tutti colla sua Europa il Giambullari, e coi suoi Arimali Angelo Firenzuola ; in quello poi del seicen- to (ingiustamente abominato da chi di quel secolo cono- sce solamente le pazzie de’poeti de’ predicatori de’ roman- zieri ) abbia dato esempio di stupenda perfezione colle tre parti della sua Asia il Bartoli. Nè mai (a mio parere ) sti- merà giustamente a qual segno la prosa italiana salisse chi non avrà ben misurata l'altezza di que’ cinque. Alla raccolta de’ classici italiani de’ tre primi secoli seguitò , pure in Milano , una raccolta in cento volumi del secolo decimottavo : secolo che non mancò di studi ; ma l’ arte di scrivere trascurò e corruppe e perdette. Venne ultimamente Niccolò Bettoni, non raccoglitore ma scegli- tore in tutti quattro i secoli, e in certoguaranta volumi propose non i migliori, ma un misto di eccellente e di mezzano , al quale anche del non buono si aggiugnesse . Peraltro egli dichiarò di attendere assai più alla materia che XX XVII allo stile : nè io voglio biasimare il suo giudizio. Prima di lui Giovanni Silvestri cominciò, e tuttavia prosegue a qual. che centinaio di volumi, una biblioteca scelta, prenden» do, con vario giudizio, da ogni tempo gli autori; e giovan- do se non altro in questo che si moltiplichino i leggitori di cose italiane. Tutti costoro posero in ischiera coi prosatori i poeti, E certo i grandi poeti sono grandissimo onore alla sua na= zione : e per alcuni de’ suoi poeti n° ebbe già tanto Italia che a nessun'altra ( per dir poco ) rimane addietro. Il mio pensiero è oggi dirizzato non ai vanti ma all’utile. Parmi che di poesie noi possediamo una traboccante, e poco fe- lice , ricchezza: e ciò non ostante , come se questo fosse il nostro più grave bisogno , appena è che alcuno oggidì, spe- cialmente tra i giovani, prenda la penna, se non a do- narci ancora de’ versi. Dai quali nè gloria nè utilità può sperare ( a mio avviso ) l’Italia , se da tanta innumerabile e incomoda turba non si alza qualcuno che ci arricchisca di bellissime liriche ( delle quali abbiamo troppo maggior penuria che altri non crede ) o soccorra alla povertà ma= nifesta e deplorata del teatro . Degno è da considerare come nelle arti della imagi- nativa la facilità degli strumenti e de’ mezzi niente age- voli la grandezza e la perfezione di esse . Conciosiachè non volgari, ma in mano a pochi, sono e i colori e il disegno, mezzi della pittura: e non ostante abbiamo noi italiani trop- po maggior numero di veramente grandi pittori, che di egualmente grandi poeti; a’ quali è strumento la parola. E la parola del poeta , quanto alla scelta de’ vocaboli e dei modi e a’ legami del verso , è meno comune mezzo che la publica e sciolta favella , strumento del prosatore : e ciò non ostante di buoni prosatori è più scarsezza che di lo- devoli poeti. Ma nelle arti liberali molto può 1’ ingegno; del quale, per queste arti, è grandissima porzione l’ af- fetto : il quale se da natura e da educazione e da eserci- zi e da puri e severi costumi, non è nutrito fortissimo e de- licatissimo , niente giova che lo strumento non sia recon dito : nè l’artista trova le difficoltà nel fabbricare lo stru- XIX mento, ma nell’ adoperarlo. Per la forza dell’ affetto bene educato i greci e i latini scrivendo rassomigliarono al so- le, che spande luce e calore : per poco affetto e per inala educazione il numero degli scrittori italiani, e gran parte degli altri moderni ( dico di quelli ancora che non man- cano di valore ) o non illumina, o non riscalda. Sono allo scrittore ( come ad ogni artista ) necessari gli esempi; se non altro per farsi più corta e più sicura la via: ma la moltiplicità di essi reputo più bisognevole al prosatore che ai poeti. Perocchè stimo che oltre Dante e il Petrarca e l’Ario= sto e il Tasso e il Parini e il Monti abbia l’ Italia altri poeti da leggere volentieri ; ma da farne scala a chi voglia mon- tare le poetiche cime non so quanti nè quali altri ne abbia. Ne hanno i greci e i latini che alla nostra prosa possono recare molti lumi : chi possa giovarla tra i poeti italiani, fuori del Petrarca dell’Ariosto del Boccaccio e di Dante non conosco . Temo anzi che per mal consiglio non potes- sero gli altri guastarla: mentre il poema di Dante da cima a fondo, e le sue liriche, sono mirabile soccorso non pur a qualunque genere di poesia, ma alla prosa ; per la forza de’ concetti, la viva verità delle imagini , la proprietà dei modi . Del rimanente conviene che il prosatore italiano dai prosatori prenda e il capitale della lingua , e l esempio sì delle virtù e sì de’ vizi nello stile. Vano è rimemorare quelli che per ampiezza di opere o di fama sono presenti all’uni- versale : in altri di minor volume o di minor grido non è però minore utilità . In questa classe pensò già Carlo Dati ( ora sono 164 anni ) a raccogliere , non da tutta Italia ma da sola Firen- ze, non so quanti volumi ; de’quali dopo aver dato il pri- mo nel 1661, e preparato il secondo , che fu smarrito , ces- sò. E parve morto quel pensiero , finchè cinquantacinque anni dipoi in alcuni fiorentini rinacque ; i quali continuan= do ventinove anni ci diedero 17 volumi di Prose Fiorenti= ne, divise in quattro parti. Nè so per qual cagione tra- scurassero un’ altra parte indicata dal Dati, di cose istori che ; la quale certamente più delle altre gradita e profit- tevole, causerebbe forse che le Prose Fiorentine non si stessero xXx oggidì abbandonate e forse dimentiche . Il quiale abbandone per verità può non parere ingiusto. Conciossiachè se dai quattro. volumi dell’ ultima parte , ne’ quali si comprendono 408 lettere, si tolgano le giudiziosissime di Vincenzo Bor- ghini e le amene e spiritose del viaggiatore Filippo Sas- setti ( così fosse piaciuto ai raccoglitori di abbondare mol- to più in questa migliore materia ) quale umana pazienza basterebbe a sostenere i due volumi di materie scherzose e piacevoli ? scherzose ? sien pure : ma piacevoli, dio buo- no, quelle 27 cicalate! Dacchè il genere umano imparò a scrivere , si vide mai più strano abuso di parole e di tem- po? In quale altra nazione entrò mai tale delirio? E non- dimeno può tanto una foggia qualunque , se giunge a pre- valere , che dal far cicalate non si salvò neppure la pro- fonda testa di un Lorenzo Bellini. Le 50 lezioni accade- miche in cinque volumi della seconda parte ( nella quale voleva il Dati introdurre discorsi e trattati, e dialoghi di scienze d’arti e di varia letteratura ) se posso dire quello che sento, mi riescono per lo più vanissime e noiose cian- cie. Nè la prima parte che in sei volumi porge 65 orazioni vedo che molto insegni a chi cerca modelli di eloquenza ; come a suo tempo dimostrerò . L’ accademico Smarrito ( anche la ridicola stravaganza de’ nomi fu in pregio, e colle inutilità di molte accademie deturpò il senno italiano ) e quelli che al suo pensiere se guitarono , fatto principio dagli scrittori poco innanzi alla metà del secolo sestodecimo , da tutto poi il succedente, e da’ primi anni del decimottavo ne presero : ma"nella distri- buzione degli autori non serbarono verun ordine di tempi. Così quelle Prose Fiorentine non diedero alcun profitto allo studio della lingua; la quale pura e ricchissima nel secolo decimoquarto, fu poi nel cinquecento non già mondata (come alcuni malamente si avvisano ) ma sconsigliatamente ristretta e impoverita di molto: se non che il Muratori ed il Manni con assai miglior provvedenza trassero dalle tenebre molti di que’ buoni scrittori, o a nuova luce riprodussero . Nè la raccolta fiorentina giovò punto allo stile, nè alla eloquen- za: perchè se gli scrittori del cinquecento giudicarono sa» XXI viamente che alla semplicità de’ trecentisti, graziosissima- mente efficace per la proprietà e vivezza delle voci e dei modi, mia snervata per nessun giro hè legame operoso di clausule, fosse da aggiungere alquanto d’arte; che reggen- dola quasi con filo interiore , e movendola più arditamente, la dotasse di simmetria , di nuove forze , di nuovo colore ; andarono poi dalla buona via lontanissimi, per correr die- tro all’ iinico e imprudente esempio .del Boccaccio, è al pessimo giudizio del Cardinal Bembo ; i quali dislogarono le ossa e le giunture di nostra lingua, per darle violente- mente le forme che meno le si confanno dal latino. Quan to possa una semplicità maestosa , senza niun aiuto di ap- parente artifizio, potevano vederlo nelle vite del Cavalca : efquanto vaglia una profonda e veramente filosofica arte, nel condurfé come in ordinanza stretta i pensieri, e dalla de- strissima collocazione delle parole ottenere chiarezza luci- dissima , senza mai niuna ambiguità, e nobile e grato tem- peramento di suoni ; ce lo mostrò poi nelle sue istorie il Bartoli ; appena conosciuto da qualcuno, quando tutta Ita- lia non potrebbe mai dargli di ammirazione e di gratitu- dine tanto che bastasse. La filosofia propagata dal Galileo è da’suoi buoni discepoli fece più ricche e più diritte e più chia re le teste; e quello che agli scrittori mancò di purità e di grazia, per difetto di necessari studi, che pigrizia o super- bia vana trascurò ; fu supplito dalla consuetudine divenu- ta universale di pensare più maturo e più vero, e di espri= mersi più conciso e più sodo . Ma quanto a vera eloquenza ; io ardirò , carissimo Gi- no, pronunciare una opinione , che farà gridar molti ; ma confidandomi nel giudizio vostro e di alcun altro somigliana te a voi, dirò pure che l’ eloquenza sinora ci è mancata. Perchè se non s’ingannò Tullio, separando i copiosi e i puliti e gli ornati dicitori dagli eloquenti ; se la eloquen- _ za sta in eletta copia di vasti e forti pensieri, che nelle menti de’ lettori si dilatino , e mettan radici, e germo- glino; se sta in una forza di raziocinio non ripugnabile ; ein un ardore impetuoso e non resistibile di affetti ; po» so affermare che nulla di più eloquente nè di tanto elo- xx quente abbiamo come la breve ma sublime apologia di Lorenzo Medici: vorrei dire che null’ altro abbiamo di vera eloquenza. Sfortunato giovane! Le focose parole di Pompeo Colonna vescovo di Rieti al popolo Romano nella malattia di Papa Giulio; le ragioni che affettuosissimamente furono porte a Francesco Saverio per dissuaderlo dalla pe- ricolosa missione alle isole del Moro, e la generosissima ri- sposta del Missionario ; ( che si trovano nel decimo della storia d’Italia, e nel secondo dell’Asia ) non sarebbero indegne a Livio, ed appartengono certamente a verace eloquenza; e mostrano che a quella non mediocremente erano disposti il Guicciardino e il Bartoli: ma il natu- ral fuoco non ventilarono ; e rimasero ‘facondissimi senza eloquenza. Nè asserisco perciò che in tanta penuria o mancanza di eloquenti siamo rimasti poveri di facondia ; ma dagli oziosi e sterili diletti ai fecondi e operosi pensieri è immensa distanza. Avrò altra occasione ad investigare per quali cause ci sia avvenuto di non sollevarci a vera elo- quenza nella prima metà del secolo decimosesto ; quando pure e la materia e gli strumenti ci avanzavano: perocchè l’Italia ebbe allora e necessità di gravissimi interessi, e stimolo di fortissimi travagli : nè tra quelle speranze e quel- le calamità dovevano dormire le gagliarde passioni. Ave- vamo nemici interni molti ; a debellare i quali bastava la ragione armata di eloquenza; com’ era bastato in molte parti della Germania: avevamo nemici esterni; ai quali vincere e cacciare bastavano buoni consigli e buone armi, e con- corde e costante volere ; e a muovere le armi, a collega- re i consigli si richiedeva, non frasche di rettorici; ma vigore di eloquenza civile. Nè gl’ ingegni italiani ne pa- revano incapaci; quando pure si esercitavano in molti stu- di, ed avevano universalmente famigliari da fanciullezza gli esempi di Atene e di Roma, che oggidì appena da po- chissimi s'intendono ; e parlavano una splendida e copiosa e corretta lingna; nè d’altra cosa tanto si curavano come di conseguir lode e fama dallo scrivere. Ma s’ insegna e s° impara la facondia, non V eloquenza . Non so io se noi italiani mai diventeremo eloquenti; benchè le cagioni e il XXI bisogno sieno venuti più d’una volta a ritrovarci: so che anche dalla facondia, voglio dire dal purgato e chiaro e schietto e nobile parlare ci siamo disusati: il quale po- tremmo e dovremmo ripigliare dagli esempi; di che siamo piuttosto non curanti che poweri. Di tali esempi; in di- verse maniere di scritture , mi propongo io ora di scegliere e di radunare tal quantità che basti e non soverchi, tal qualità che da niuno si possa ragionevolmente rigettare . Mi propongo; o amico ottimo , di fare tal raccolta che il meno ricco la possa comperare senza disagio , e il meno faticante leggerla comodamente in un anno. In trenta ma- neschi volumi di 26 fogli ossia 4oo facce, che non costi- no più di 24 scudi, stimo potersi raccogliere, non certa- mente tutto il buono che gl’ italiani in cinquecento anni scrissero, ma quel che basta perchè un italiano e un fo- festiero conoscano quanto seppero e poterono gl’ italiani scrivendo. Dividerò la raccolta in cinque parti; non per materie ma per tempi: facendo prima parte i contempora= nei di Dante, ultima il secolo che al nostro vivente finì. Le quali due parti avranno poco volume, perchè i tem- pi di Dante non molto scrissero ; l’età ultima quanto fu copiosa di opere tanto fu scarsa di stile. Il secolo quarto- decimo ; e il decimosesto e il seguente daranno assai vo- lumi ; perchè di belle scritture abbondarono. Le quali quan- to comodamente potremo saranno distribuite secondo’ l’or= dine dell’età : parendoci che quest’ ordine ci. meni qua- si per una storia della nazione e della lingua; e varian= do le materie, colle quali varia naturalmente la forma dello scrivere, allontani quella sazietà, che si genera da continuata somiglianza. Devo dire di quali materie com- porrò questa raccolta. E vi dico primieramente che non raccoglierò facezie nè scherzi; perchè; Gino , questi non sono tempi da ridere. Non darò lettere ; perchè quella materia è quasi infinita : e io desidero e voglio sperare che un vero amatore d’ Italia sorgerà che non ricusi una bellissima ed utilissima fatica, di adunare tutte le let- tere che nel cinquecento nel seicento nel settecento scrit- te da lodati italiani furono in diverse raccolte e in varii XXIV tempi stampate ; e lasciando le inutili, dispenga ordina- tamente lè migliori ( che pur sono innumerabili ) e pér es- se ci rappresenti i più sinceri testimonii della storia; i più fedeli ritratti dell’indole e della vita di coloro che le scrissero. Che se al moltissimo che in questa materia è stampato, aggiungesse quel moltissimo che rimane tuttavia sepolto nelle librerie e negli archivi, di che sopratutto gli archivi Medicei conservano preziosissima abbondanza ; costui farebbe opera che l’Italia dovesse avergliene obbli- go immortale . Ma tale opera domanda un uomo infatica- bile, di giudizio grande , erudizione vasta , favorito da po- tenti. Poco darò delle orazioni. Chiunque ha veduto al- meno quelle che i fiorentini radunarono , e quelle che dopo la metà del cinquecento raccolse Francesco Sansovino , può dire s’ elle vagliono il tempo che l’uomo spende leg- gendole. £ nondimeno daronne alcune poche, le migliori ; acciocchè dalla scarsità del numero e dalla mediocrità del valore si confermi quello che dolente affermai, esser noi privi di eloquenza. E che peggio è appariremo anche inetti giudici di essa , qualora si guardi quali cose furono lodate ed ammirate. Parlò nel 1528 Bartolommeo Cavalcanti alla milizia fiorentina, nella quale stava la salute di quella glo= riosa repubblica. Niun uomo ebbe mai maggior cagione di eloquenza : ed egli parve eloquentissimo a quegli uomini; e non si stancarono di celebrarlo poi le storie. Noi ag= ghiaccia quella lettura; e me riempie di tristezza e di vergogna. Ma di queste cose al suo tempo ragionerò. La materia di questa mia raccolta debbono essere cose isto= riche , scientifiche, filosofiche, erudite; elette per utili» tà e per eleganza tra le scritture che meno son divulga- te, o per la rarità delle stampe, o per la minor fama non rispondente al merito degli scrittori. Non darò quello che a tutti è notissimo, non quello che dalle stampe moltipli» cato può facilissimamente venire alle mani d’ ognuno. Ma assai cose buone ha l’Italia che molti ignorano, che pochi possono procacciarsi. Nella raccolta avranno luogo alcune traduzioni, che pregiatissime siano e per finezza del tra» duttore, e per importanza dell’originale: dal greco , perchè XXV essendo oggidi inteso appena da qualcino , mon rimanga- no ignorate affatto alcune opere bellissime che ‘anche ai hostri tempi possono giovare : dal latino , affinchè gl intel* ligenti, oltre 1’ approfittàrsi della materia ; facciano dello stile e dell’una coll’ altra lirigua paragone . Infine è sco- po; e spero che sarà effetto di questa racolta, cessare quel detto ingiusto di molti e stranieri ed italiani, che per im- parare la nostra lingua bisogni in un deserto noioso di vane parole perdere assai tempo. Alla quale calunnia pare che dovrebbono essere sufficienti confutatori il Machiavel® li, e il Guicciardini, e il Vasari, e il Galileo, e il Bal- dinucci ; e il Redi ; che di cose tutti e buone son pieni: ri- sponderà viemeglio un maggior numero di scrittori , meno letti, ma non meno eleganti nè meno fruttuosi di questi. Io intendo che i lettori della mia raccolta non abbiano a giudicarsi di aver perduto il tempo ; non abbiano innanzi a se niente d’inutile; ed abbiano abbastanza per conosce- re e stimare in ciascun secolo la maniera di pensare e di scrivere degl’ italiani. Precederà ad ogni parte, e per lo più a ciascun volume, un mio discorso; nel quale ragionerò per- chè tale scrittore è tale opera io abbia prescelta; qual pre- gio contenga e la materia e lo stile; quali cagioni o pub- bliche o private avesse l’autore alla elezione del subietto, e alla sua maniera di trattarlo. Nè solamente parlerò degli autori compresi nella raccolta, ma de’ contemporanei ch’essa non potrà abbracciare, e dirò quali di loro e per quali meriti vogliano esser letti. Nè per avventura sarà senza effetto la somma di que? discorsi; ed abbozzando quasi un ritratto filosofico delle menti italiane per quattro secoli, supplirà in qualche modo ad altra maggior opera ché non ho potuta compire. Perciocchè io considerando la lingua come uno specchio, nel quale cadano i concetti da tuttii pensanti della razione, e dal quale nella mente di ciascu- no si riflettano i pensieri di tutti; volli con diligenza di storico e sagacità di filosofo ‘esaminare il vario corso del pensare italiano per le vestigia che di mano in mano la- sciò impresse nel variare della lingua; della quale i voca= boli e le frasi, o nuovamente introdi sie) o dall'antico mu- XXVI tate fanno certisimo testimonio:( a chi ’l sa interrogare ) d’ogni mutamento nella vita intellettiva del popolo. Ma il seguitare colla necessaria minutezza i nascimenti e i tra= monti e il trasustanziare delle parole, quanto è richiesto a cavarne istoria chiara e continua e provata, vuole oltre a molta erudizione e molta acutezza e molta pazienza » grand’arte perchè la fatica e il tedio dello scrivente si con- verta in profitto e piacere a’ lettori. In vece di una ras- segna ed esame di vocaboli, daranno i miei discorsi un pa- ragone de’ secoli italiani, dedotto dalle diverse materie che travagliarono gl’intelletti, e dalle diverse forme che le menti impressero per ciascuna età allo stile. Così mireranno quasi in breve specchio gli stranieti di quanto gl’italiani in ogni parte della civiltà universale precorsero ; riconosceranno gl’italiani quanto, e per quali cagioni, sulla via mostrataci dai maggiori siamo rimasti addietro; e come non torcendo ma continuando quella, e senza adulterare la mostra lingua e la nostra indole, possiamo raggiungere le nazioni che appresso noi surte ci sorpassarono. La debolezza dell'ingegno mio nel giudicare gli scrittori potrà non difficilmente essere perdonata , come po- co o niente dannosa: ma potrebb’essere molesta e biasi= mevole ai lettori quanto allo scegliere o al tralasciare ciò che tra tante centinaia di scrittori e migliaia di opere, debba essere a loro offerto. A ciò fia provveduto col vo- ler io, diffidando sì del mio giudizio e sì della memoria, pregare di soccorso all’uno e all’ altra i migliori. Nè in città così abbondevole di cortesi e dotti, saranno pochi a volere e potere di buoni consigli a questa impresa , co- me utile ed onorata per l’Italia , mostrarsi favorevoli. Nè certamente mi mancherete voi, mio caro Gino; che d’ogni cosa buona sincerissimoe fervidissimo amator siete, e a questa potete coll’ingegno tanto felice e tanto esercitato soccor- rere. Col vostro nome ho voluto muovere questa impresa, e perchè da voi ne spero aiuti certissimi; e perch’ ella mi è paruta bella occasione ad onorarmi pubblicamente della vostra amieizia; la quale è venuta a consolare gli ultimi tem= pi della mia vita infelice ed inutile. Non dovrò parere am- XXVII bizioso nè adulatore, se io che libero d’invidia, libero di paura, vituperai sempre la superba ignavia di molti patrizi, ve- dendo volentieri in voi la nobiltà e la ricchezza come stru- menti pronti a molto bene comune, a voi rendo quel mag- gior onore che uom libero può, chiamandovi amico. Vi amai, ottimo Gino, non ancora veduto, perchè vi udivo ama- to da molti, lodato da moltissimi, Molto più vi amo ora ab esperto conoscendovi giudicatore della virtù e della fortuna giustissimo tanto solo gradire gl’ invidiati pri- vilegi di questa quanto vi conceda di servire alle disprez- zate ragioni di quella. Godo che a voi sia pervenuto uno de’ più gloriosi cognomi d’Italia; poichè voi potete con diversi meriti rinnovare quella gloria; e nella fama de” vostri maggiori così vi compiacete come dee l’uomo che riponga la vera grandezza nella grande bontà. To son certo che voi non invidiate l’oppressore di Pisa: bensì adorate l’intrepido Piero, che salvò la patria dall’ insolenza di Carlo; amate il suo buon figliuolo, che morì accorato di non potere sal- varla dall’ostinato furore di Clemente. Mi compiacerò d’ogni .vostra prosperità, come dovuta alle vostre virtù: mi con- piacerò della vostra gloria; poichè non dubito che di tanto ingegno e di tanti studi non vi facciate splendido e du- rabile monumento. È Ipo: Arpa iero petto 3: Pit far Sad A laine di ‘Renna SÙ IF , pe ita ARNO 8 ARE CPN va Ae ai Lolli: ag Bi phon AA "i E gini: dae sd le pron pad 3) RA divi ci « md Me e cl aa oviglati A sal asta; at ptt prat i tilt Le igfatazzo ras maso SE x it: NE irene i Lagoon sets è «SIMO Cha Va n pepati; sat Satta Snai faronì SANI Rd O spa 4) ai A cib ai i MPT PARE 6 st LOL ti VON I. at n RA, i a bi L'ARIA KA v Tai SL gi 0, ieri Pest, Vetta: Po Tipi atrio a \ , SCELTA PROSATORI ITALIANI DA PUBBLICARSI IN FIRENZE SOTTO LA DIREZIONE DI P. GIORDANI La lettera, che precede, deve considerarsi come il Manifesto di questa opera. Con DIZIONI DELL’ AssocIAZIONE - 1.9 Il sesto sarà in 8.° II.° Il carattere sarà di filosofia nuovo della Fonderia Bodoni di Parma. III.° Due saranno le edizioni: una in carta reale sot- tile; 1’ altra in carta de’ classici prima qualità, IV.° Per gli associati che si sottoscriveranno prima della pubblicazione del primo volume , l'elenco dei quali verrà pubblicato col medesimo , il prezzo dell’edizione in carta ordinaria sarà di soldi 4 toscani ( centesimi 17 ) il foglio; quella in carta dei classici soldi 5. toscani ( centesimi 21 ) il foglio ; la legatura e coperta saranno date gratis. V.° Pubblicato che sarà il primo volume il prezzo re- sterà invariabilmente fissato a soldi 5 (cent. 21) per l’ed. in carta ordinaria, e soldi 6. ( cent. 25) per quella in carta de',classici. VI.° Un volyme non sarà minore di fogli 20, nè ol- trepasserà i 25, VII.° Tutta la collezione si comporrà di circa 25 vo- lumi. VIII.° Ne saranno pubblicati non meno di 4 volumi all’ anno. IX.° Gli associati non pagheranno che all’atto di rceve” re ciascun volume. X.° Le associazioni sì riceveranno al mio Gabinetto a Santa Trinita: e presso il Sig. Guglielmo Piatti. In FirENZE bb) 29 bb. Livorno Pisà SIENA AREZZO PisToJa Prato AMSTERDAM AucustTA BASILEA BerLINO BerNnA BoLocna 3? 93 2» 39 2» 23 29 23 Boston ( America) ,, BrussELLE Corru FRANCOFORTE Genova GiNnEvRA LOSANNA Lione Lipsia LonDRA 2» Lucca Lucano MANHEIM MantOVvA Massa DI CARRARA ,, Messina Mirano 23 Giuseppe Molini. Gaspero Ricci. Glauco Masi. Sebastiano Nistri, ‘Onorato Porri. Becherini Manfredini. Giachetti. Dufour e C. Jenisch e Stage. Tourneisen . Schleisinger . Clias, al Gabinetto Letterario. Avv. Pietro Brighenti. Cumming Hilliards et C. Le Charlier. Ciampolini . Schaeffer. F. Gravicr. Paschoud. Fischer. Cormon et Blanc. Grieshammer. Treuttel et Wurtz. Molini. F. Bertini. Vannelli e C. Artaria e Fontaine. Caranenti. G. Testoni Dir. della posta . Pappalardo. Fusi Stella e C. G. Silvestri . MopeNA NapoLi PALERMO Parici PARMA PesaARO PIETROBURGO PIACENZA RAVENNA Roma STRASBURGO STUTTCARDIA Torino UDINE VENEZIA VERONA VIENNA Zurico presso il Sis. __ _ —— — — — — _— _— —_— — n — — na) — _ G. Vincenzi et C. Marotta e Vanspandoch . Boeuf, Gruis, presso Lenzitti e C. Gallignani. Barrois l’ainé R. deSeine n.° ro G. Blanchon. A. Nobili. Florent e Haver. Mauro del Maino. Collina . Eredi Raggi. Levrault, Cotta. Pomba. Fratelli Matteuzzi, G. B. Missiaglia. Eredi Morona. C. Schalbacher , Gessner. VirussEUX, editore, NA j ta i Mons Po, ea CRE AM} pani Aso fà va dp Hi sa dui ANTOLOGIA N.° XLIX. Gennaio, 1825. Prosa detta dal Matematico Regio PretRo FERRONI nella Sala dell'adunanza de’ Georgofili il dì 5 Dicembre 1524. A ben intendere, e saper quindi promuovere la dottrina e la pratica agraria, oltre ai nomi volgari registrati in acconcio Dizionario botanico, ed al Vocabolario rustico delte campereccie faccende secondo lo stile e'l parlare del Fiorentino contado, sa_ rebbe mestiere d'aversi il pieno possedimento di non poche par- ticolarità inavvertite e cognizioni locali, e di quelle più spe- cialmente, che si riportano allo stato fisico e commerciale della vegetazione e pastorizia nel piano. e coste adiacenti a Firenze 3 come più popolose e quasi centrali in riguardo d’altre contrade Toscane o troppo prossime alla marina o troppo.accoste alle falde dell’A pennino; pel seducente prospetto dei quali contorni mara- vigliato cantò alla Città, che siede prima in sull’ Arno, giunto al colmo dell’Apparita l'Ariosto, e ripetè nel tornare a goderne: dall’ Uccelliera del giardino e parco: di Boboli: » Se dentro un mur, sotto un medesmo nome: », Fosser raccolti i tuoi palazzi sparsi » Non ti sarian da pareggiar due Rome. Rivolgendo per ora solamente il pensiero a stabilire saldissime fe- fondamenta, sopra le quali riposa l’atile impiego e sempre sicu- ro dei capitali di ricchezza o d’industria, e, meglio, dei due prest insieme, quando sian posti in confronto d’ogni altra applicazione: d’opera umana a qualunque subietto o concreto od astratto, quanto pur si voglia ingegnosa e di larghe speranze eh’ ella si fosse, si fa necessario determinare, e render pubbliche e comu- nali le notizie classiche dei prodotti della terra netti e perma- nenti, vale a dire computati a grado di cultura ordinaria e net T. XVII. Genngio pI 2 corso d’un /urgo periodo meteorologico, cioè medii o ragguagliati arnuali, lo che torna l’istesso che il più possibile avvicinatisi al vero. Dunque dopochè l’ agricoltore, il proprietario ; l’agronomo speculativo, ed altro chiunque ei si sia, persuaso della massima orinai dimostrata dal fatto, che un per l’altro (indipendente menta dar prodotti del bestiame) son di rendita pari nel conguaglio di mezzeria 0 colonia tanto i cereali d’ogni maniera; quauto i frueti dei pomari con tutte le subalterne sotto diverso nome rimanenti riprese, bisogna che sappiansi e sorte e interesse pertinente a cia- scun di quelli e di queste, e segnatamente del frumento, viti ed olivi coi varii alberi domestici fruttiferi, che per consuetudine antica si tengono in maggior conto dalle incivilite popolazioni. L'impiego del denaro nella riproduzione continua e miglioramento dei vege- tabili, destinati alla sussistenza. più o meno grata degli uomim, degli animali addimesticatisi e lavoratori insieme connessi, ed al nasci- mento dei materiali greggi per le manifattare e le arti, a tutto in sostanza il complesso dei bisogni, de’comodi, dei godimenti, che si risolvono in vantaggio de’primi, 2pieg0, appunto perchè noto a po- chi e non divulgato abbastanza in numero, peso, e misura, produce la conseguenza che molti si voltino ad altre estranie speculazioni, quasi adontando come ingrata o matrigna la terra, e pensando ad al- iîri guadagni in apparenza più ricchi, ma variabili a un tratto, spesso effimeri, sempre poi men sicuri, d’esito incerto alla fine del conto, e non di rado rovinosi e fatali. Dalle sperienze sin adesso riunite sembrandomi d’aver potuto. dedurre alcuni. elementi del calcolo conducente a valutar il:guadagno del denaro, che impieghisi nel coltivare giudiziosamente le piante; elementi da considerarsi non soltanto tali dal lato del lucro, che ne provenga, ma ancora in veduta d’ estendere ‘dove non sia, di riformare ove sia, difettosa l’agricoltura Toscana; passo in breve a spiegarli? perocchè, quan- tunque in genere meriti lode, e serva ad altre nazioni d'esempio, e’ non è poi tanto vero in ispecie che sia quanto suol decantarsi la cultura de’ nostri campi perfetta, osservandosi fino nei luoghi più colti e più fertili fendersi ancora il terreno coll’ aratro alla china , trascurarsi non poco la vangatura , in vece di ruotazioni 0 avvicendamenti tenersi oziosi e zrnfeltriti dalle mal’ erbe i mag- gesi, potature crudeli e nelle più crude stagioni, letami alla peggio adoprati e profusi, superficie estesissime di sodi lasciati a perdi- ta d’ occhio, qua e là acque torbide e chiare disalveate, pendici spaziose senza cigliowi che la terra vegetale sostengano grado a gra» do onde non si scalzin le piante, e.mon sian le rimzesse di piccol frutto, dilavate dalle pioggie, disertate; (franato, e si direbbero in 3 sembianza» di scheletri giganteschî, effetti non già di vetuste, ma di moderne catastrofi diluviade ed eruzioni quasi vulcaniche, Ora ritorniamo in noi stessi allontanandoci da questo tristo spettacolo, anche fuor delle:crete o diancane, e delle due maremme del Gran- ducato; e concludiamo se alla terra debbasi o no per iscarso o del tutto mancante profitto cotanto abbandono. Nè ciò in pochi luoghi, nè spopolati, nè ascosi: presso Firenze, nel superiore Valdarno, e chi’l crederebbe? a vista, degli esempi parlanti) quasi in contatto di giardini più che poderi, a vergogna dei possidenti, e neghittosi co- Joni vicini! A Si prenda in primo luogo di ‘mirà |’ arbore sacro a Lièo, e sì noti. brevemente il' processo del suo governo, e della retribu- zione de’suoi benefizi. L'età della vite, della bassa ia ispecie, com- putandola dalla minima di-venticinque e sotto la massima, suol rag- guagliarsi alla durata d’anni quaranta, ed anco sessanta maritandola al pioppo; di vita eguale, appellato dai rustici Zoppo e loppio in ‘ana- gramma imperfetto, o sostenendola con pali, cannucce, bronconi, lanciuole, disposta/a pergola, a vigna bassa, o vigneto. Atteso la va- rietà dei. magliuoli rispetto al frutto i Trattati di agricoltura li distin- guono:in quattro classi, e ragguardano ancora ‘alla loro più o men favorevole situazionecosì digradata, cioè pianura, mezza-costa, costa, mezza-collina, collina, poggio, edinultimo monte, Qual risultamento. costante di pratica ‘si tiene da tutti i periti, che dieci libbre d'ava ben manipolata e ‘condottà somministrino un fiasco di vino, e che questo subito dopo la svinatura venduto in sul luogo costi un anno per l’altro dieci lire il barile ossian venti la soma; e tornava dire senza niun peso di conservarlo a più acconcia sta- gione; senza nessuna speculazion di commercio, che rilasciasi tut- ta per premio della straordinaria indastriaà del colono, e del pro- prietario. E il'medio prodotto annuale della singola vite, su i pioppi, dall’infima alla quarta classe inclusive, due libbre d’uva e tre oncie, e perciò una libbra ed un’oncia e mezzo di parte domenicale; d'onde detratta ogni ‘spesa, che sia a carico del padrone fino al termine della vendemmia, compreso guardia, agenzìa, e mantenimento delle tina, sebben compensato dai cogni, il possessore ricava, libero, certo, e’ netto un soldo e mezzo per anno. Consistono le spese-vive nella fossa ‘vota-piena (rustical frase) e spianata insien col divelto’, vale'a dire disegnatura, scavatura, fognatura, riempitura, e quindi nell’opere di portatura e piantagione del magliuolo e del /oppo, palatura, ove occorra, o altro sostegno od appoggio della tenera pianta, cavatara, fermatura, legatura-a-buono, rilegatura, dove abbisogni, tre governature sino al tempo dell’ incisione, vanga- 4 tura, e nettatura delle barbe. fra le due terre; ad alcune delle quali lavorazioni secondo i patti ed usi locali concorre in parte il lavoratore. Da questi dati di fatto innegabile deriva chiaris- sima la conseguenza, che il frutto di cento viti in annata meteo- rologica (ossia con rendita certa) conyertesi in centocinquanta soldi, cioè lire sette e mezzo entrate sonantî nella cassa del proprie- tario, senza forse ch’ ei sappia dove resti il terreno amico, che: lo benefica, senz’ occuparsi nè punto nè poco d'’assistere ai ven- demmiatori, con incassarle tantosto o al tino o con più agio agli urbani sì celebri finestrini delle cantine, e quello ch'è più notabile, senza darsi nè fatica nè pena di serbare a miglior tempo il traffico del vino raccolto, nè di rendere questo dono della natura di maggior: pregio e valore coll’arte assecondando le moderne scoperte fisico- chimiche, ed imitando l’esempio della ricchezza de’ più rinomati tra i vini Europei. Nei pometi agrarii (lasciando di parlare degli orti con acqua perenne, e de’giardini più d’ombra che di fruttuosa delizia, i quali fanno eccezione) prezioso sarebbevi.il gelso, la cui foglia tramutasi in seta filata dal Filugello, e così bravamente nelle Bigattiere raf- fazzonate come oggi è costume, che si direbbe quel verme, in su- premo grado industrioso nel farsi il suo bozzolo, il passaggio dal- l’animale sensibile al sensitivo; nel modo stesso che studiando la continuata catena degli esseri si conta l’anello d’ unione de’ fos- sili cristallizzati, fibrosi, dendritici coi corpi organici; e l’ultimo anello di questi organici o vegetabili, che gli congiunge cogli a- nimali, suole dai naturalisti assegnarsi nei così detti Zoofiti. O sia per natura di suolo; o per non bene appropiata cultura, o per idrope che d’assai ne distrugga; o per vizio di non comprendersi per lo più in mezzeria la foglia brucata dal gelso, 0 più presto ciò avvenga dalle mercantili vicende , o dal perpetuo volteggiar della moda, che alla Persica seta or preferisce il cotone e la paglia,,. egli è indubitato di fatto dopo lunga esperienza, che la coltiva- zione del moro bianco oggimai è decaduta non poco tra noi, ed havvi ragion da temere che senza nominare il papirifero della China venga il tempo di vederlo in Toscana rarissimo a pari del nero 0 moro dell’Indie; gelso fruttifero, che prospero alligna, vegeta, ed arricchisce col suo frutto edùle violaceo, eguale e simile nella mole, gusto , e figura alla dilicata perina moscadella di primavera .;.i territorii di Montpellier, di Marsilia, l’isoletta di Sant’ Onorato tramezzo a Santa Margherita e le Isole Jeres, e Je due fecondis- sime anco d’ esotiche frutta Genovesi meridionali riviere. Rimettendo eziandio alla scuola botanica altre piante pomi- #\ s fere, che peregrine tra noi, a motivo della sdegnosa maturazione dei loro frutti, quai datteri ed ananassi; germogliano nelle sole stufe e nei tepidarii, passiamo a dir dell’olivo, il quale venuto di Grecia come amava l’antica, così ricopre de’suoi preziosi prodotti la nuova Atene, è si compiace convivere in compagnia tra i fi- lari delle viti e loro propaggini, piantato da prima nella medesima fossa, e sostenuto com’ esse bambino; trasferendolo dai vivai od ovolaie, o propagandolo mediante i piantoni, o meglio seminandone il nucleo. Eccetto i posti di troppo fredda e rigida temperatura (Nihil est ab omni-Parte beatum) (il Lirico Venosino , ode 16. del libro II°.), o sulle alpestri montagne della Toscana, ove vive stentato il silvestre ‘oleastro, ed il domestico giovanissimo muore; tranne i più che ritolgano secolari infortuni d’una catastrofe mi- cidiale simile a quella del MDCCIX. e X. noverandone l’anno sul vecchio stil Fiorentino anteriore al cinguanta; compariscono i nostri oliveti sorgere dal terreno come spontanee boscaglie, nè abbisognare della premura e della man del cultore. Longevi vi- von gli olivi, ordinariamente poco men degli abeti, e verso il finire del secolo scorso nelle colline di Chiusi là per le Chiane alcuni pa- revano annose quercie, a segno che da due o tre uomini a mani unite s’abbracciavano appena, e scampati da quello istorico gielo segnavano senz’epigrafe l'epoca del settecento. Dagli anni cinquanta principia secondo l’uso la scala vitalizia dell’ età di un olivo, e nella sua crescenza di grado in grado salendo arriva a toccare il novanta, apice della sana e matura vegetazione , e non sempre questa decrepitezza trapassa. Ma sì fatta longevità non è né tam- poco può essere messa a calcolo come fruttuosa egualmente in tutto il suo stadio; che anzi la dividono i pratici per decenni, e vuol dire in nove epoche o età differenti. La progressione del frutto annuo in questo quasi centenario periodo ha il suo minimo e mas- simo decennale; il primo di ott’oncie d’olio, il secondo di sei lib- bre e quattr’oncie, contando sul barile legale di libbre ottantotto (non già rovanta) suddivise in sedici fiaschi, e tenuto ferino il peso specifico cell’olio nostrale. Quindi è che il medio dei medi de - cennali prodotti toccherebbe le libbre tre e mezzo di ragguagliato per ogni divo, non cagionoso, ben custodito, e governato, e po- sto in terrino nè troppo prossimo ai monti altissimi, nè troppo in veduta del mare; e ciascun anno darebbe al possessor diligente la rendita re:tz domenicale della metà di lire una e nove soldi pu- rissimi, pres di quarantadue lire il prezzo azedio del barile dell’o- lio, registratosi nei mercuriali alla Piazza, e trentasette detrattone il trasporto, gabella, e altri carichi. Impertanto nell’amministra- 6 zione agraria l’olivo, man per l’altro considerato, figura a pari di un capital pecuniario intorno a quindici lire, fondato al cinque per cento su ciascuna vegeta pianta a pro del padrone: lo che dimostra qual fondo immenso di poco conosciuta opulenza in se contengano gli oliveti, massimamente nelle espasizioni felici a co- perto dei venti settentrionali,v. gr., nelle vallate tra i monti di Calci, di Beti, di Lucca, irraggiati dal sole; il prodotto dei quali boschi d’olivi supera molto di più pel gusto e chiarezza quello de- gli olii meridionali di Paglia a proporzione di ciò che gli manca per le sue qualità in confronto dell’ ottimo di Provenza. Rendita a/ netto poco innanzi io diceva, perchè la pianta, emble- ma prisco di Pallade, corona degli Olimpici atleti, segno di pubbli- ca pace, impresa del secolo d’oro, poetico o eroico che dir si debba, esigendo dalla cultura non pochi particolari riguardi e dispendii ad- dimesticata che sia, molto ha in se di passivo a carico del proprie- tario; e questo passivo dall’attivo , 0 al lordo nel nostro Volgare , detratto dà un resto minore, ma sempre certo e copioso di quin- quennio in quinquennio . Quella abbondezza d’ avanzo, così de- purgato come far sogliono gli Analisti cumulando il negativo col positivo, non è bastata contuttociò per non trattenere taluni dei possidenti da moltiplicare nel suolo Toscano le piantagioni di oli- vi, nominatamente a motivo che nei primi dieci anni poco frut- tano o nulla , nè forse chi pianta adulto di nuovo giunge al go- dimento del tardo interesse’ del suo capitale, e lo invidia all’ere- de: tanto egli è yero che prevale la filauzia nelle umane fac- cende delle generazioni presenti all’ affezione per le future ancora vicine fin dalla nascita dell’individuo , nè v’ ha correttivo ca- pace ad appieno sanarla: Pid 0g &UTO TAS avbpwros Quei TE EG4* Amans sui homo nascitur et est: il divino Platone scriveva an- ‘ che correndo l’ aureo Secolo della Grecia nel V. Diilogo delle Leggi. Non può, e vaglia il vero, mettersi in dubbio che non sia continua e gravissima la custodia del tenerello olivo dall’ ovolo in poi, o dalla formella , lunetta, o muriccia , dov’ eso si pian- ta, si governa, e difendesi. Vuole le barbe in costa sempre sotterra, scoperte non mai, sceltissimo il sugo ; combino, ri- tagli di pelli, rottami o raschiatare di corni, ma più che altro potatura studiata, vale a dire opposta alla volgare danrevol pratica dei campagnuoli del Fiorentino Distretto. Usan costo quasi a di- leggio dell’insegnamento uniforme di tatti i buoni trittati e corsi elementari d’agricoltura potar la pianta del più prezioso pro- dotto tagliando col ferro improvido il fusto centrile ed i rami Nu, me 7 maggiori; laddove pel massimo frutto , a scanso di cotante fe- rite di tarda e difficile cicatrice, dovrebbonsi conservare intatte le loro cime, nelle quali appunto risiede il vigore del cresci- mento e della vita dell’ arbore, che non tanto dalle radici quinto e ancor più dalle frondi e dalle foglie riceve il suo nurimento , moltiplica fiori, gemme, vermene, e cede o sa- criica al taglio il seccume e i virgulti , detti perciò parasiti, sucioni, ghiottoni, e di consimile umanizzata significanza . La piciolezza della foglia , differentemente agli alberi, i quali sten- doio orizzontali, o per l’ ingiù come piangenti i lor rami, la dirmazione tendente negli olivi alla vetta ( salvo la varietà del solmorinello ) fan sì che un ramo non adaggi il vicino , e perchè anora dall’ asse centrale Ja luce equabilmente diffondasi a rav- vivre la mignola e fioritura , vivificare i germogli , maturarne il fatto e di sugoso pericarpo impinguarlo ; laonde la potatu- ra lesce nociva or conformata a paniera, ora in foggia di pina; e pre che la Natara n’abbia tolto il modello o la forma in- nocete sino dai penetrali della Geometria imitando il Parabo- loide che disegnovvi poscia il grande Archimede. E ben vale- va laena che ad educare un Albero cotanto apprezzato, quanto di fati lo è, si prestasse volentieri il cultore, e dopo d’averlo rizzato sostenuto , legato 4 duono, dopo d’ avere assicurate le sue raci, onde ben attaccarsi alla terra, diligentemente averlo potato , ustodito , curato nei malori, che 1’ assalirono , e mas- sime nel. rogna , persin raccogliesse alla fine dall'inferno del fat- toio picci avanzi di succo oleoso spogliandone le ossee sanse per mezzo dngegnose macchine messe in moto dagli animali o dal- l’acqua . Minocara e attenzione , e men di spesa eziandio richiedo- no le alt: Piante fruttifere, indigene tra le silvestri, inne- state quiri e potate , che rallegrano le nostre campagne. O poste in ‘ola tra i seminati, o rilevate insiem nei Pometi coll’ idea. famiglia, dove la.loro vita media si protrae fin all’anno qdragesimoquinto , rendon ciascuna , libere di qua- lunque aggvio colonico , due lire l’anno, onde una al padro- ne ; il cheli assicura un bel capitale di venti lire per ogni ‘arbore , e aggiore assai se il possesso stia vicino alle grandi ‘e ghiotte Cadi, ove le primizie di cotali riprese non solo si apprezzano na con ansietà e per vanagloria appetisconsi , con- tuttochè, a Gapito del numero dei frutti maturi , acerbe, mal- sane , e di inor grazia, nutrimento , e sapore . Comincian- do dalle baatelle salvatiche ; o dalle pianticine nate , custo- 8 dite, e governatesi nel derrzceio de’ vivai, traportate da questi in mezzo alle adulte coltivazioni pomarie, e condotte prospere sino al punto della loro assoluta consegna al lavoratore, la quale suol’ essere l’ anno quinto pe’ i peschi, cotogni, fichi, e susini, il settimo nei ciliegi, e meli invernali, ed il decmo in riguardo ai mandorli, albicocchi , e peri da estate e da in- verno, e combinati nella medesima fossa, di cento braccia lin- ga, cinquanta magliuoli di vite, quattro olivi, dieci pioppi d' ip- poggio , ed ugual numero di pomiferi eduli, quando non mmn- chino vigilanza e custodimento per parte del proprietario ed agricoltore, animati ad un tempo da comune interesse , cone quasi condomini del medesimo fondo appoderato riproducnte nel contratto Zilaterale o tacito o espresso di mezzeria , risan sempre vivo, e singolarmente presso Firenze , un suburbanonal conosciuto zesoro a moltiplico dai sei anni a’ dieci, e da e- sti ai venti, trenta, quaranta , cinquanta , secondo la variein- dole e consumazion delle poma , la qualità e posizion delter- reno più o meno 4 bacio, meno o più dalle nebbie infeato, giusta la perizia chirurgica di chi pota ed innesta, e secodo la progressiva salubre età delle Piante . Se per un lato or questi or quei pomi hanno più prontcdeca- dimento , e minor pregio delle uve ed olive in commercio princi- palmente nei paesi meridionali, dove non usino i sidri ed are spi- ritose bevande e tisane tratte dalla polpa zuccherina del frutta domestiche ed anco silvestri, e dalle punte stesse dei moscelli d’alberi, e frutici di specie odorose e piccanti, sono alincontro inaggiori le spese, il mantenimento maggiore, e maggî forse il pericolo dell’ influenza di sinistre meteore rispetto alle ti, e agli olivi. Sino al decimo anno son quasi i secondi e le prin infrutti- fere; crescendo d’ anni, giunte che sono al trigesimoqnto , fior d'età per le viti, dopochè nel precedente quinquennio progres- sione dell’ augumento di frutto ha seguitata la legge ei numeri donna 1 Li 1 1 1 1 1 1 1 > 7 4 a, 1% 9 6 E ph dano conforme agli ultimi sperimenti rurali, decadono ,cemano di prodotto , s' ammalano , perdon occhi, si stralciano? spogliate a poco a poco di fiori e di pampani non decrepite mjono; men- tre all’ opposto dall’anno trentacinque in poi sommitra abbon- danza uguale di frutto l’ olivo , e sempre giganteggiaivace nella virilità più avanzata . Ed oh tolti di mezzo dai pensieri degli uominanti inutili e sterili eoncepimenti, come il Gran Federigo II, A solito dife 9 dell’Abbate de Saint Pierre ,, egli è un uomo ‘buon, che va- neggia ;, e dando comiato alle vane speranze , le quali rendono malinconosa la vita -Key} ” eAris avrwy-Inanis haec spes ipsorum sclamava Sofocle ad alta voce or nel Piréo ora nel Foro d’Atene, frequenti pur fossero ai tempi nostri i Cincinnati, i Varroni, che dedicati al beato ozio campestre, c adesso emulando le institazioni di Fellenberg; del Varese, e altrettali pratiche Scuole d’ Agri- coltura, di Bigattiere, di Pastorizia, raddoppiassero i loro sforzi, promovessero Macchine , Istrumenti, Esperienze non più tentate, tatte tendenti a ritrarre dall’inesausto fecondo sen della Terra quei beni reali, e non finte ed insussistenti ricchezze , restativi per avventura ancora nascosi! Ridotte in Aforismi di pratica le nuove invenzioni, sarebbe allora la vita rustica contentamento e riposo della vecchiezza ; l’uomo di Lettere, rivolgendosi al Supremo Fattore dell'Universo, ripeterebbe devoto il famigerato pentame- tro del Sannazzaro- Fecisti Vatem, nunc facis Agricolam-; ac- cennerebbe l’uomo di mondo quell’ esametro inciso sul limitare della villa magnifica di Caserta, architettata da Vanvitelli- ic habitant Nymphae dulces, et suada voluptas-;e menando i suoi giorni l’uno e l’altro tranquilli, è forse restoreî, capirebbero me- glio con quanta ragione nell’ottavo sopra il vigesimo della prima Cantica Dante scrivesse nel suo ritiro non esservi mai felicità pari a quella della sinderesi scevra da ogni pungente rimprovero,, sotto l’osbergo del sentirsi pura ,,. Da tutto insieme il complesso dei fatti premessi, e da’ miei passati Divisamenti risguardanti in genere e specie alla retta am- ministrazione dei beni rustici, e massimamente delle vaste tenute, egualmente che dall’altre mie Prose come quelli incluse negli Atti prodotti alla pubblica luce dall'Accademia e sulle piantazioni a fine di rendersi regolari, ed intorno al trascurato governo delle Boscaglie, soprattutto dopo il taglio dannosissimo della massima parte delle Macchie verso la cima dell’Apennino; quanto pure sun i temi deghi arginamenti traversi, delle colmate naturali e artefatte, in piano e in declive, dei laghi e paludi; sovr’alcune dottrine splendide ri- cavate in materia di fattura de’vini,. e dell’ vinica e certa salutar opera a benefizio delle Maremme dagli scritti del Galileo, del Ma- chiavelli, e di altri esimii Filosofi, onore immancabile dell’Italia» e del Mondo; ecolraccogliere le mie Proposte inserite nell’Opera del Tolomei, la quale ba per titolo ,, Saggio d’agricoltura Toscana ,, par- ticolarmente del Fiorentino contado, e le giunte fatte, e le varianti indicate rispetto ai libretti ed opuscoli del Pievano di Villamagna, e del Verri; parevami che a formare un Corpo di tutti i speciali, 10 ma più ponderosi articoli delle cose georgiche mancasse ancora un quadro, prospetto, manualè agrario, o comunque denomi- narlo piacesse, talmente composto e nelle sue multiplici ramifi- cazioni distribuito, che a colpo d’occhio mostrasse in guisa d’albero genealogico i varii nomi, attenenze, affinità, relazioni, ecc. dei di- versi prodotti de’ Vegetabili, coltivati con più o men industria dagli Agricoltori Toscani. Questo tal quadro didattico contenente due sole parti, o principali figure, aver dee di necessità , ad imi- tazion dei dipinti d’Istorie, i gruppi minori diversamente coloriti, e atteggiati. La prima parte descritta avanti di voi, miei Colleghi chiarissimi, e corredata d’ una Tavola atlantica d’Industria uni- versale campereccia abbracciava gli unici farinacei, edinsieme alla loro nomenclatura annotava tanto i specifici cereali sinceri, quanto le loro mischianze. Rimanevano adunque il disegno ed il colorito appropiati alta composizione dell’ altro quadro col suo avanti ed indietro convenienti al maggiore o minor risalto , al chiaro, allo scuro, alle mezzetinte ; alla mossa e grado di luce , che dee corri- spondere alle tante specie e varietà d’ Industria colonica, quanti sono i frutti della terra ingentiliti dall’arte, o pronti a dimesti- carsi applicandovi Ja mano addestrata dell’uomo. Di questo se- condo quadro, come accompagnatura del primo, avevane già anticipata una breve notizia, come altresì della di lui somma importanza nella Azienda rurale, d’ esser, cioè il subietto dell’altra metà dell’agraria ben procacciata ricchezza. A due gran capitali permanenti, e nella loro totalità ragguagliata sempre e poi sempre proficui , s'appoggia la Coltivazion della terra; cònciossiachè ret- tamente intesa ed appien praticata ha in suo favore la guarenzia della natura e dell’arte , industriosa ad un tempo quando s’accorda' con essa; ed il fondo d’uno dei capitali presso a poco quello del- l’altro pareggia. Ora il capitale secondo comprende tante piante di vario genere e specie domestiche , tante più n’ abbraccia delle salvatiche , da poter reggere non solo al bisogno, al capriccio, al lusso, alla moda, al gusto, alle manifatture , alle arti, al com- mercio , alla goerra , alla pace , da dar tosto luogo a voltar le rustiche lavorazioni surrogando le une alle altre. In sì fatta su- stituzione però, che non puossi eseguire all’istante , fa di mestieri avvertire a due lucidissime proposizioni: in primo, che i periodi della ruota delle raccolte son corti, diversi, ordinarii nel rustico calendario; lunghi, lunghissimi, e parimeute varii sono gli ano- mali e straordinarii; i quali debbon però nell’ accuratamente tenuta scrittura per la campagna esser sommati co’ i primi per ricavarne la media annata della rendita vera @ contanti, la quale vi si versa in realtà dentro dell’ arca pecuniaria del possidente : in secondo luogo, che nella civiltà , così detta e creduta, accadendo sovente dei cambiamenti, ogoi mutazione , la quale di simil sorte avvenisse atteso l’ irrequieto volere e disvolere dell’uomo, mas- sime in società congiunto con altri suoi simili, e cresciuti note- volmente di numero , di vigore, di gara, e d’invidia i vicendevoli di lùi rapporti, rivolgerebbesi dopo d’un piccolo e breve colpo sovr” alcuni Individui da questo a quel lato a dettatura dell’ inte- resse, numerosissimi essendo anco gli oggetti dalla medesima ado- perati; e presto lasciata a se stessa ritornerebbe al più volte spe- rimentato consolante e necessario equilibrio. Il perché chiaro parrebbemi, che il di recente avvenuto nel giro e prezzo delle derrate le più importanti alla vita siasi ormai di per se medesimo compensato avendo riguardo alla ricchezza nazionale generalmente considerata. Esempi sì fatti, edin ispecie familiari o domestici, dovrebbero , piuttosto che no, instruire an- cora i più timidi e meno assuefatti all'andamento di tutto ciò che pertiene a questa sorte di rustica ruotazione lasciandone libero il movimento, e far loro dirittamente conoscere che gli uomini , purchè non'ebeti, sollecitati a procurarsi quei godimenti, i quali giusta la frase dell’Oratore d’ Arpino appellansi Pro se et domo sua, abbandonati alla sola lor propria balìa arrivano sempre al fine da essi bramato, ogni volta che pongano mente agli avvicenda- menti economici ed antichi e moderni, anco delle uniche produ- zioni dell’ agricoltura ed arti Toscane. L’opulenza , popolazione , e grandezza della Repubblica Fiorentina crebbero pel lanificio ; l’arte si propagò , e prese lustro maggiore in altre regioni ; i commercio dei panni e pannine voltò tergo al Tirreno, e i Fio- rentini si volsero anch'essi a sustituire or vello la seta, colorirla, e indrapparla. Avevano il primato nel traffico le tintorie di Fi- renze per tingere in iscarlatto le lane sino da quando verso del MCCC. venne un Rucellai di levante , e portò seco il lichene Oricello, che unitosi all’acido urico dava quel gradito colore pa0- nazzo, e ad un tempo stesso'il casato alla Famiglia del portatore, Piacque alla volubilità della meda vestir di lana più presto che di seta in estate, o di cotone finissimamente filato ancor nel più crudo del colmo d’inverno ; ed ecco che una tisica ed immatura ma lucida paglia di grano marzuolo lavorata in cappelli ricom- pone quello sbilancio passivo , raddirizzandolo (e forse a trabocco) con altro nuovo ramo d’industria assai ricercato , ed attivo. Che più? Poco innanzi provvidero all’ indigenza pubblica le patate; nulla importa alla civil sussistenza che si trascurino adesso queste 12 piante tuberose e pomi derrestri, e che le scarse or coltivate ser- vano intanto sotto nome sì bello di poma all’ingrasso di ‘appetitosi poco civili animali. Porge il sen della terra, anco fuori de’cereali , cotanti modi di fenderla e governarla, e può sì agevolmente ricevere tanti semi diversi alternati o perpetui, i quali sovr’ essa germoglino, a segno di raddoppiare sotto il nostro Cielo benigno, e negli appoderamenti a colonìa , la rendita netta del fondo in- siememente co’ i primi. Qui, a causa d’esempio, metterà conto per avventura cambiare in lupinella o in altro foraggio praterse la seminagion del frumento ; lì profitterebbe assai più al pro- prietario convertire in salvatico di ginepri un coltivato pressochè sterile ed infruttifero: qua ad una mostra di vigna s’adatta me- glio piantare una foresta rada con pascolo , ben ordinata e man- tenuta a regola del Duhamel e Rozier, specialmente di quercie ; là converrebbe non più lavorar coll’ aratro quell’ appezzamento ingratissimo ad ogni cura , e ritornarlo a produrre almeno quel piccol numero di fili d'erba, natural suo destino. Questi speri- menti comuni non parranno già paradossi, maraviglie , miracoli dell'Industria: imperocchè non mai manca di suggetti adattati dove posarsi con utile, nè tampoco di succedanei, su cui rifarsi ora di questo ora di quel caduto lavoro, smercio , e interesse . Rassomigliatela all’ Ape, ma libera: ella sa trovar sempre dei fiori, comunque d’iadole varia, da trasformare o ridurre il net- tare loro in cera, ed in miele - F/oriferis ut Apes in saltibus omnia lustrant-; assiepatela, vincolatela, matricolatela, spaventatela con fatui fumacchi, e malsonanti rumori; tutto, sì, tutto allora è perduto. Alcuni pensieri sulla economia agraria della Toscana. Di- scorso letto nella seduta dell’I. e R. Accademia de’ Geor- gofili, il dì 12 Dicembre 1824 dal GewerRAL CorrerrA nominato socio corrispondente nella precedente tornata. Parte 1.8 I. In tutta Italia il lamento degli agronomi e gli scritti di alcuni economisti attristano gl’Italiani (già proclivi a timidezza per troppe avverate sventure); e confondono e insospettiscono le menti dei governanti, che fra pensieri 13 di regno si vorrebbero serene e sicure. Gli uni vedono po- vertà nel presente, carestia nel futuro : gli altri, fra dot- trine ‘risuscitate } o ‘novellamente generate ‘da fervido in- gegno , propongono dei supposti mali stravaganti rimedj . Ed in' mezzo a queste o disperazioni o mal fondate speran- ze, una parte di popolo , sempre querula e sospettosa , maledice ‘il presente, più teme dell’avvenire, e fa motivo di scontentezza l’abbondanza, come se fosse penuria . Io credeva che le descritte sollecitudini si confinas se- ro fra’1l Tirreno e le Alpi; ma un recente scritto del Si- smondi palesa che sono ‘europee. Gli diè risposta il Say . I due chiari nomi aggiunsero gravezza ai timori degl’Ita- liani:; così come i nostri lamenti aggiungeranno |fede a’ creduti pericoli d’ oltramonti ; e frattanto la ‘consueta il- lusione ‘delle distanze centuplica alla comun fantasia e l’attual povertà, e la fame sopravvegnente. Ond’è mio pri- mo pensiero veder quei mostri da presso , descriverli, man- suefarlij:ed. ho speme (lusinghiera forse ) che questa mia fatica ‘abbia lena di salire i monti, e giugnere alle mani degl’ illustri contendenti . II. 1. È vile il prezzo delle produzioni agrarie riferito al valore delle produzioni di arte . 2. Soperchiano in alcune parti d’ Italia ( non anco in Toscana ) le granaglie e ’l vino , materie che il tempo corrompe . | 3. Le granaglie che produconsi nelle ‘terre intorno al Mar-nero ed in Egitto, si coltivano ‘con ‘ininor dispen- dio che in Italia; nè il trasporto insino a noi soperchia o eguaglia la differenza. Verità son queste che lo spirito di contesa negar suo- le, ma ‘che in Italia han’testimoni e depositari tutti i possedenti di terre . Io perciò ne farò ‘base del mio di- scorso ; e per prima sentenza ne discende che nelle vi- cende varie dei valori, oggi sono invilite le produzioni agrarie, come invilirono'in altri tempi quelle del commer- cio e delle arti ; e come inviliranno col passar dei gior- ni quelle che or sono in altezza. L’ altezza istessa è ca- r4 gione del futuro decadimento ; e questo è il circolo con-, tinuo , necessario delle. ricchezze. III. Ma quale è il. grado dell’ attual rinvilio È AI dir dei timidi egli .è, tale dd all’. agricoltura, manca, premio, e_si abbandonano .i campi, .e. languono non ricercate; le braccia degli agricoltori . Ma, o signori, non ha guari ho inteso lamentare; che la mano d’ opera era troppo alta j e proporre; espedienti per abbassarla, ai.\quali più veggente economista ,coni dotto scritto. fece contrasto... Or dunque non temiamo. coi. più timidi, diamoci animosamentée a discuoprire..le nostre ferite; ed. a saldarle. Ma ;innanzi di progredit nel; discorso, tolgo. argomento dalle cose. det- te per esplicare il paradosso che la mano d’opera si man+ tien cara.mentrè iidi lei prodotti sono inviliti.! I capitali.; che già impiegaronsi all’ acquisto emi» glioramento déi . poderi, non, fruttano come se vcollocati! ad altroiramo:d’ industria è rendevano, il 5, il.6, e tal- volta lî.&,ed,.il 9, per 100}. ora rendono il. 3.stentata-. mente siMa poichè. trovansi infissi alla terra ,- rimane al possessore la dolorosa scelta fra il poco e il nullal;: onde elesge il poco , lagnasi e spera . Se dunque nella misera fortuna, dell’. ‘agricoltura si fanno, gli stessi lavori che ]nel- la prospera facevansi , l’opera non, è sminuita }, nè, quin di il bisogno di. «operai , nè la RA b Di là nasce, che la classe dei lavoranti, poverissima (un tempo) della società, oggi molto traendo dalla. sua fatica, poco spendendo al suo vivere, fa ;cumulo di rispar- mi, compra. casa 0 podere, e come vuole natural.talen- to si dà ventura di moglie e di figli , Un sol ricolto, ab- bondante è conforto di povertà ; ma. la lunga abbondan- za è progresso di agiatezza e di vita . Ciò che dunque tie- ne afflitti i possedenti ha fatto. ricchi. i lavoratori; e la civiltà è avanzata, Però comun ‘pericolo ci sovrasta; chè la strettezza Fabi possedenti se cresce. o se regge, non s’imprenderanno nuovi lavori, mancheranno i capitali a migliorar le industrie , si lasceranno le terre alla naturale fertilità, diminuirà l’ope- ra e il prodotto, scemerà la mercede; crescerà il vivere. Nè f 15 lo stento dei lavoratori gioverà ai possedenti, come or lo stento di questi giova a quelli, dapoichè è necessità del- l’ abbondanza il versarsi, almeno , sopra di alcuni, come è natura della scarsezza smagrir tutti. Facciamo senno, o signori; e se vi ho confortato a non prender terrore dei tristi auguri dei troppo timidi, ora vi esorto a. non. ripo- sare spensierati sulle dottrine troppo sicure dei confidenti. L’Italia non ha arti fuorchè poche e rozze , nè pari ai suoi bisogni di popolazione e di lusso; le intraprese interne o le sono impedite dai suoi destini, o le fan pericolo ; unica vena di ricchezza è l’ agricoltura ; se questa inaridisce, la ci- viltà italiana e le speranze di futura felicità saran sepolte. Son questi i nostri mali e i pericoli. Io quindi ( ed è il subbietto del mio lavoro ) discorrerò gli espedienti che fuori Italia o fra noi si propongono; gli porrò ad esame; esporrò in fine i miei pensamenti, che a voi, giudici del mio dire ed accademici sapientissimi, io consacro. Ed oh così veder potessi felice appieno questa terra, che è patria a voi, e di me spatriato albergatrice ospitale ! IV. Nulla dirò del pensiero di accrescere le consuma- zioni improduttive , essendo della indole dei compensi.che intendono a. diminuire le produzioni; onde il lusso ozio- so, che si vorrebbe promuovere è della stessa scura fami- glia delle macchine da distruggere, delle scienze da retro- gradare,, della sterilità, della carestia, dello scemar , degli uomini: opinioni assurde e ridevoli. E nulla dirò della più recente proposta di assicurare ai lavoranti certa. mer- cede, dapoichè il dottissimo Say ve ne ha mostrata la fal- lacia. L’ autore di quella sentenza fu sedotto da lusinga di umanità; ma più sincero consiglier dell'animo va dicendo che la certa e continua mercede dei lavoranti non potrebbe iscompagnarsi dalla certa e continua loro fatica, e dalla stabilità delle loro sorti civili, e dal ritorno in Europa della servitù industriale: condizioni contrarie alla ricchez- za, sovversive degli ordini delle. società moderne , incon* ciliabili col secolo. Restringerò quindi il dire ai tre. più conti espedienti: i 16 x.° La non libera importazione delle granaglie . 2.° Il ribasso dei tributi fiscali. 3.° I provvedimenti del governo. V. La Toscana sperimentò le leggi restrittive del com- mercio , indi le libere; dipoi tollerò procella passeggera di servitù; ed in fine, punita e pentita dell’ errore , fece ritorno alla libertà col proponimento della costanza. Or non è già che vacilli, ma incitata dall’esempio di stranie- re nazioni e dall’autorità di elevate menti , teme e contrasta. Questo è il fato delle politiche] verità ; si vuol lungo tempo e fortuna varia priachè diventino persuasione comune e co- scienza dell’uman genere. Difendiamo dunque dall’ acca- demico assalto il commercio libero della Toscana. La importazione delle granaglie straniere può nuocere alle proprie in doppio modo o facendo inutile tanta parte del nostro fromento quanta dello altrui ne è stata introdotta : o ribassandone il natural valore a cagione della maggiore abbondanza, e del minor prezzo di quello immesso , e del pericolo di novelle immissioni. Son queste le accuse so- lite, alle quali i difensori della libertà risposero con argo» menti di scienza; ma è mio pensiero in questo scritto di dar risposta solamente di fatti. In qual anno (sin dall’editto di Leororno ) in qual loco, a di cui danno, il fromento toscano è marcito per difetto di consumatori? Dal 1818 sino al 1824 in cui scri- vo, la mano dell’ Onnipotente ha benedetto le messi; grani, granaglie, cereali di ogni specie sono stati abbondanti, e intanto i porti dischiusi, il traffico sicuro , la pace ( per fino coi Barbareschi ) mantenuta. O dunque il fromento esterno ha supplito alle mancanze naturali della Toscana; o ha dato a lei opportunità di esportazione: nel primo caso, voi dovete alla libertà il risparmio della fame ; nel se- condo, voi le dovete il benefizio del commercio attivo : nell’uno ha impedito che il prezzo salisse a tropp’ alto; nell’ altro ha operato che rincarasse. Ho visto ben io nella mia patria marcir granaglie, ma per massima di servitù qual’ era l’annona. Annona ehiamavan tra noi le provvigioni pubbliche di fromento > Sp che facevansi in ogni comunità ed inogmi anno. Il sospetto di futura fame, le sollecitudini, lo zelo e spesso le frodi degli amministratori, destavansi dopo appena il ricolto, e si metteva in serbo il vivere di quattro o cinque o più mesi, secondo gli usi del luogo e ’l1 vario ingegno delle autorità municipali. La timidezza delle comimità spande- vasi nelle famiglie ; chiunque avesse ventura di ricchezze o si desse vanto di prudenza facea le sue provviste an. nuali; ai conventi, alle case di pietà e di educazione era preseritto dalle ordinanze. La metà delle consumazioni an- nuali del regno si detraea. perciò dal circolo delle con- trattazioni, e ne derivava che il prezzo delle granaglie era nelle aie sempre alto. Ma col passar dei mesi e ’1 porre in uso le materie annonarie , sminuendo le ricerche di mercato , sminuiva il prezzo del grano ; il pane annonario, divenuto così più caro del pan comune, non avea compratori ; la municipa- lità per atto dispotico (che però chiamava amministrazio- ne ) vietava che altro pane, fuorchè lo annonario, si ven- desse in mercato ; qualunque dei cittadini avea tenne ri- sparmio ne fabbricava in casa, l’uso dello annonario .re- stava a quei poverissimi che stentatamente nel giorno gua- dagnano quanto appena basta al meschino vivere: le gra- naglie di annona non trovavano smaltimento ; i magazzini erano inadatti a lunghe conservazioni;le cure dei custodj o tiepide o nulle; le provvigioni marcivano. Non dunque da libertà di commercio ma da vincoli di servitù derivava quel danno. E difatti, abolite le annone nel 1810 (edio me ne fo glorioso ricordo, dapoichè fui non debole parte dell’ utile riforma ), nè più granaglie distrug- gevansi; nè più i prezzi stranamente variavano colla ro- vina di private fortune; nè più offendea l'umanità l’in- gratissimo aspetto dei poveri paganti il pane più caramente dei ricchi. Ritorno al subbietto. VI. Se il grano straniero , perciò il commercio libero, non nuoce alla Toscana per il guasto di egual quantità di granaglie proprie, rimane a vedere se le nuoccia col soper= chio rinvilio dei prezzi. Questa seconda tesi si contien nella T. XVII. Gennaio 2 18 prima, dapoichè le masse delle consumazioni e delle pro- duzioni constituiscono il valor venale delle cose; onde dal non aversi in Toscana nè stimolo di bisogni, nè soper- chianza di mezzi , il prezzo rimane fra limiti necessari, da cui non può muovere per provvedimenti o per industria. Ma abbandonando le dottrine, mi rivolgo ai fatti. Vi ha in ogni anno in Toscana immission di fro- mento ed uscita: questa non starebbe senza quella ; e i compratori delle materie introdotte , i venditori delle estrat= te ( gli uni e gli altri Toscani ) non farebbero il guadagno che deriva dal doppio commercio. E se voglian supporsi uniche le immissioni ( senza uscita) noi ci dorremo del ribassato prezzo? Vorremmo che per le granaglie di Mosco= via o di Egitto, noi dessimo più di quel che diamo di danaro ‘o di altra merce? Qual disordine di desideri è mai questo! Il fromento immesso nel 4823 ( terrò vero ciò che ho letto in altra memoria ) monta a sacca 300 mila; non ter- rò conto delle esportazioni. Le consumazioni annuali della Toscana, come tra poco dimostrerò , ascendono a sacca più che quattromilioni ; e perciò non è l’ uno che dà norma di prezzo al 15, ma ne riceve. Pria che le 300. m. sac- ca fossero successivamente introdotte era il prezzo così basso come lo è stato dipoi ; avvegnachè i prezzi dei ge- neri stranieri prendon misura men dal loco onde partono, che da quello ove immettonsi : nè però mi arresto a que- sta tesi perchè mi spingerebbe verso il limite delle astrat- te teorie ; e mi basta di andarle accennando , onde voi , dottissimi accademici, non abbiate a riprendermi di trop- pa trascuranza degli argomenti di scienza . Scorriamo col pensiero le circostanti regioni d’ Italia, ove la terra è men ferace ed il commercio non libero, noi vi troveremo le granaglie a prezzo più basso che in To- scana, e i lamenti degli agronomi più grandi e più giu- sti. Indi arrestiamoci in Napoli, di cui conosco le par- ticolarità, e le paleso a voi , non a consolazione di mali { dapoichè il ristorarsi colle nostre afflizioni saria malevo- lo sentimento ) ma ad argomento della mia tesi . In Na- poli non è libero il commercio , perchè gravissimo dazio 19 d° immissione chiude 1° entrata alle granaglie straniere : la città contiene 400. m. consumatori ; nulla produce in sè; tutto riceve da lontane provincie ; riscuote alle porte un dazio di soldi 66. a cantaio ; il miglior grano vi si ven- de a carlini 17. al tomolo. Le quali pre , ridotte a valori toscani, dimostrano che uno staio (detratto il so- lo dazio di barriera ) vendesi in Napoli Paoli quattro men- tre che sei in Firenze. Nè parlo della condizione della seconda Sicilia, ove il commercio è così servo come nel- la prima , ed il prezzo delle granaglie ancor più basso . Ritorno alla Toscana. Il vino, l’olio, i legumi non ricevono ombra dalle produzioni straniere ; e frattanto il prezzo ne è vile. Or dunque, se nei paesi d’Italia, ove il commercio è libero e dov'è servo, è basso il prezzo delle granaglie : se nella Toscana istessa e sotto le stesse ley- gi, altri generi agrari, abbenchè non tocchi da commer- cio esterno , serbano gli stessi vilissimi prezzi , convien di- re che il rinvilio, di cui giustamente ci dolghiamo , non dipende da condizion di commercio , ma da altre cagioni, che andrò ricercando. VII. È verità ormai chiarita che la massa delle pro- duzioni agrarie è cresciuta in Europa e per migliori me- todi di agricoltura, e perchè i due famosi blocchi, l’ uno chiamato continentale, l’altro messo a danno del conti- nente, avendo interrotto o fatto difficile per molti anni il traffico fra lontane regioni, ogni stato provvide ai suoi principali bisogni: la terra ( come vuole amorevolissima natura ) è adatta sotto ogni cielo a produrre grano, o gra- naglie , o altri generi che delle granaglie sono compensi ; i depositi chiamati di abbondanza, e che meglio chiame- rebbonsi di penuria, sono aboliti : altre leggi, anzi per maggior senno , nessuna legge regola le annone interne ; non più vi son guasti nè distruzioni nè monopoli. Così in Europa. L° [talia alle cagioni comuni aggiugne le proprie : quà le terre sono spartite fra molti per effetto dî leggi ricevute sotto il dominio francese ( parlo d’Italia, o signori; della Toscana sono più antiche le origini di pro- 20 sperità ). E poichè i possedenti, dopo il ricolto , conver- tonsi in AIA sono molti, di poca entrata, abbiso- gnosi di vendita, si fa impossibile il monopolio tra loro , e perfino la previdenza di tener le granaglie in serbo d’in- dustria. Ne deriva nelle ricolte abbondanti la natural bassezza dei prezzi. E che dirò della Toscana, ove le leggi francesi erano state precedute dalle più provvide, di LropoLpo ; e sono doppiate ( mi sia questa.voce permessa ) dal di lei gene- re di coltura? Avvegnachè il sistema di medietà genera al- trettanti possessori di granaglie quanti sono i poderi: vi ha dunque di venditori quanti ormai di consumatori : de- gli univi bisogni di economia; degli altri i bisogni del vivere livellano i prezzi alla misura della abbondanza. Poichè ho dimostrato (lo spero ) che dei bassi prez- zi è solamente cagione l’abbondanza, e dell’ abbondanza la benignità dei cieli e la provvidenza delle nostre leggi; on= de ai danni dell’agricoltura non sarebbe rimedio qualunque vincolo di commercio, fo passaggio agli altri proposti e- spedienti, cioè al ribasso dei tributi fiscali ed ai provve- dimenti di governo. VIII. Entro in materia dirittamente. fua tassa predia- le è di lire 4,090,600 : colpisce ogni entrata infissa al suolo, quindi gli edifizi, le fabbriche, le ville, i vigneti oliveti boschi pascoli e campi. Se si pon mente alla coltura to- scana si dirà che le granaglie constituiscono a mala pena la quarta parte delle entrate generali dei predii rustici ed urbani; ma sarò liberale nei supposti; le crederò metà del tutto; indi la tassa fiscale per le sole granaglie, di lire 2,045,300. La popolazione della Toscana, secondo l’ultimo censo, è, 1,237,738 abitanti. Chi è pratico dei lavori statistici sa che i falli sono inevitabili, e che in tatto di popolazione tutti cadono in diminuzione del numero, mancando l’in- teresse e perfino la possibilità all’augumento. Ma sup- porrò esatto quel censo; e la Toscana affatto sgombera di forestieri permanenti o di transito. 3 Le consumazioni annuali di granaglie son quì consi- derate in vario modo : il vostro Bandini, ammirabile eco- nomista del suo tempo, le valutava nell’anno 1737 staia 12 a testa : le menti più sobrie le valutano staia 10: ed io, viste le consumazioni di altri popoli e gli usi e l’agia» tezza del toscano, abbenchè credessi minore del vero e l’uno e l’altro computo, pure il lascerò qual si pretende dai più modesti, ed avrò per certo che in ogni anno si con- sumino e solamente si producano (altro strano supposto ) staia 12,287,380. Nè ho computato le semente, che pur sono ,7.ma 0 6.ta parte dei prodotti, perciò 2 milioni di sta- ia, perchè le contrappongo ; con larghissima ipotesi, alle granaglie straniere . Ed or comparando il contingente della tassa alle pro- duzioni, risulta che ogni staio trovasi gravato dal fisco di soldi 3. 3f10. Or dunque supponendo (arditissima supposizione in qua- lunque ricca finanza pubblica) che la tassa fosse sminuita di una terza parte , cioè di soldi 1. 1f1n. a staio , si avrebbe il benefizio di soldi 3. 3/10. ( due erazie ) a sacco. Ma siamo sinceri : se il grano che vendesi lire 12, si vendesse 12. e a crazie , sarebbero forse minori o i danni dell’agricoltura o i lamenti degli agronomi? IX. Ma sento dire sommessamente : se /a finanza fos- se meglio ordinata! Del qual subbietto io vi tratterrò, da- poichè gli espedienti che ho in pensiero di proporre non entreranno in persuasione se prima i più conti e più facili non fuggono dalla mente e dalle speranze degli agronomi. quinido la finanza pubblica, nelle società incivilite , si alzò al grado di scienza, era opinion comune che le ricchezze risiedessero nel denaro ; e dipoi, sedotti gli uo- mini dalle apparenze, le riposero or nei prodotti della terra, or nelle arti, or nel commercio, or nella popolazio- ne: che le ricchezze si confondano in tutti i valori, è verità giovane ancora, non da tutti sentita. In così varia occorrenza di opinioni e di tempi, fu eretto in ogni stato l’edifizio finanziero ; e ad esso uniformaronsi gl’ inte- essi di società, di classi, di famiglie, di persone ; e, a 22 dirla più brevemente, le transazioni pubbliche e private : si compraron poderi , s’ intrapresero industrie , si ergerono fab- briche di arti, si contrattò in cento modi colla norma dei pesi pubblici. Tal che fra gli elementi del patrimonio di ogni cittadino vi ha il sistema finanziero del suo stato, onde il mutarlo porta seco necessario turbamento di proprietà. Alla vostra memoria, e, dirò meglio, sotto i vostri occhi ne son le pruove. Negli ultimi sconvolgimenti poli- tici della Italia, i Francesi colle armi nuove, ci arrecarono nuove leggi; e come volea spirito di durabil conquista e di secolo , le novità partivano da principii certi di scien za. Per quel che riguardava la finanza si osservarono due mirabili esempi: 1.° molte proprietà si mossero, tutti i va- lori cambiarono ; le ricchezze migrarono dagli uni agli al- tri dei cittadini : il qual movimento fu sapienza di gover- no, per gli nuovi stati che formavansi, ma sarebbe rovina dei già formati. 2.° E l’interesse della conquista e la per- suasione dei novatori, e la vivacità francese, e la poten= za degli eserciti, e la necessità dei vinti non bastarono a superare alcune abitudini locali, e vi si mantenne qualche gravezza dimostrata erronea dalle teorie finanziere. E perciò , o signori, separiamo le dottrine governati ve dalle economiche; non riguardiamo i governi come le accademie; queste son libere nei concetti, quelli son le- gati nel formar leggi a mille bisogni di stato : ciò che il volgo nei governanti chiama ignoranza di economia politi ca, è spesso prudenza o necessità di governo. E di là na- sce che società civilissime, come la inglese la francese le italiane, son cotanto differenti nell’ amministrazione delle ricchezze mentre che uniformi nei pensamenti. Il riordina- mento della finanza debbe farsi per moti insensibili, ossia accrescendo l’entrata fiscale per il progressivo accrescimen- to delle private; e ponendo nuova taglia sol quando creasi novella rendita : la stessa abolizione di alcuna tas:a non potrebbe farsi per salto senza invidia o danno pubblico. La finanza in astrazioni si compone di pochi e facili teo- remi; la finanza in fatto, di difficili e molti. Se ad un punto si creassero popoli, leggi, ordini, ed usi, il go» 23 verno degli uomini sarebbe opera agevole; ma le società trovansi formate di elementi vari ed interessi discordanti e passioni ed errori. Ond’è che la perfezione ideale è guida facile ma ingannevole degl’ingegni nuovi . Non si creda, di grazia, che io qui proponga la in- flessibile stabilità dei tributi, e desideri ( non come è mio costume ) in tanto moto di società il quietismo fi- nanziero : ma poichè trattasi di un gran male parmi debito di riconoscere la vera efficacia dei rimedi, e non fondare in falso computi e speranze. La minorazione della tassa prediale non al certo sarebbe ristoro ai danni dell’agricol- tura ; bensì respiro dei possedenti, aiuto ed animo a so- stener le spese , ritardo alla rovina (se in pena di pigrizia è prescritta dai fati ) della industria agricola italiana. Ma espedienti maggiori io proporrò, che se convenienti, voi migliorateli coi vostri lumi accademici valentissimi, e se ancor essi sconvengono, sieno per me appo voi documento di zelo. I quali pensieri racchiuderò nella seconda parte di questo discorso, Parte II. X. Sono elementi della prosperità agraria la feracità delle terre , il prezzo elevato delle; produzioni , l’ altezza della mano d’opera. La Toscana ebbe feracità dai doni del cielo e dalla propria industria : è in oggi alta la mano d’ opera; e spero che non ribassi per miseria di avvenire, o per vertigini di economia pubblica. Se dun- que vi ha mezzo da accrescere il valore delle produzioni agrarie , la vostra prosperità è accertata . ] Le granaglie, poichè di molte specie e di coltura va- ria, aventi, le une, cagione di fertilità nelle meteore istesse, che cagione di scarsezza sono alle altre ; coltivate in tutta Europa , abbondanti, soperchie , impediscono l’uni- versal penuria, > perciò assicurano i popoli dal pericolo della fame. Si vorrebbe non so qual ira dei cieli perchè in tutta Europa e in quelle parti di Affrica e di America che mercantano con noi, fossero così scarsi i raccolti delle 24, cento specie di grano, e del gran-d’ India, e dei pomi di terra, e delle castagne , da non bastare alle consumazioni dei popoli. Della quale rassicurante abbondanza noi ab- biamo debito ai progressi della civiltà e delle scienze. Si può dunque gradatamente sminuire la coltivazione delle granaglie, e ne deriverà scemamento di produzio- ni, rincarimento di prezzo: ai nostri bisogni accorrerà il commercio straniero; cambieremo per granaglie le nostre merci, e denaro che è merce. Oh di quanto scandalo sarà questa sentenza! chi vi scuoprirà paralogismo ; e chi ve- drà pendere a nostro danno la bilancia del commercio: delle quali tacce farò prima opera di mondarmi. Lo spirito di contesa ha risuscitato il nome di bilan- cia, che nacque ed avea. senso ‘quando credevasi che il solo denaro fosse ricchezza; ma dipoi spento quell’ errore, la bilancia è rimasta parola vota , poichè si è visto che non vi ha bilancia o tutto è bilancia in commercio ; che si dà quanto si riceve, s' immette quanto si estrae, Se le granaglie di Odessa si cambieranno colle merci della To= scana, non varieranno i valori, dapoichè questi solamente scemano per consumazioni, solamente crescono per pro- duzioni ; il cambio che nulla consuma, nulla produce, non gli muta fuorchè di loco. Nè altro dirò della bilan= cia, che oramai il pesar con essa in economia, è come risolvere a’ dì nostri i problemi astronomici coi sette cieli di Tolomeo. Passo alla seconda accusa. Ho ben detto nella prima parte del discorso che il prezzo dei generi nelle importazioni prende misura dai valori interni; e mi son rallegrato al considerare che po- che merci toscane controcambiavano abbondanti granaglie straniere. Onde sembra difetto di ragionamento il deside- rare che cresca il prezzo del fromento , la quantità delle importazioni, la massa perciò delle merci da dare in cam- bio. Ed invero se il mio disegno si arrestasse a questa pagina, se non altro bramassi che il rincarimento delle granaglie per lo scemamento delle produzioni , direi cosa contraria alle già dette , ridevole, biasimevole ; anch’ io sarei eome voglioso di carestia. Ma più vasti pensieri io 25 volgo in mente. Col diminuire la coltivazione del fromen» to, io spero accresciute ed introdotte altre industrie di agricoltura ; tal che le novelle produzioni di molto avan- zino le perdite che deriveranno dall’ augumentato prezzo dei generi stranieri. Per la ricchezza di uno stato si vor- rebbe carissimo ciò che gli soperchia, bassissimo ciò che gli manca; ma queste condizioni di prosperità sono idea li ; ricerchiamo, di grazia, e speriamo le possibili. XI. Ogni terra è , o addiviene , adatta al fromento ; ma la vite, il gelso, l’olivo son piante che in pochi luo ghi del mondo sotto cielo benigno coltivansi . Fra le re- gioni predilette dalla natura è 5A Toscana . È caro in Toscana il legname da usi e da fuoco; e intanto molte terre e poggi d intorno alle città, non lun- ge dalla coltissima Firenze , io vedo incolte e nudi. Vedo altrove vaste pianure, fiumi che le traversano, ma non greggi che poche e nomade. Ecco dunque, o Toscani, cinque vene di ricchezza: il vino - l’olio - la seta - il bosco - il pascolo . Ma non ne sperate il godimento usando dei modi tenui e soliti delle italiane industrie. Quando 1’ Inghilterra associava capi- tali e pensieri: quando la Francia spinta dalle penurie del blocco, e concitata dal braccio e dall’ animo di un uomo immenso , creava per arti chimiche le produzioni del nuovo mondo , l’ Italia fra guerre , obbedienza , fa» zioni e deliri), vedea disfatte le antiche fondazioni, re. spinte le arti, le ricchezze o fuse o nascoste. Ne derivò differenza sì grande d’ industria che le italiane produzio- ni, in confronto delle inglesi e francesi, sono rozze ca- rissime non ricercate. Convien dunque imitare il gran ge- nere che consiste in associazioni, macchine , stabilimenti , vastità . Un’ associazione (dirò in prosieguo come composta ed ordinata ) dovrebbe migliorar le vigne, introdurre mac- chine per la fabbricazion del vino, sperimentar metodi, pubblicar processi : imparare a conservare il vino , o colle arti semplici usate in altri luoghi, o versando i liquore materie conservatrici, È Hr in Toscana che il vino 26 non si regga oltre al secondo anno ; la è in Napoli, la era in Sicilia. Frattanto per sole cure di cava e di vasi, io son pervenuto a mantenere per anni ed anni il vino delle Calabrie; ed il Sig. Woodhouse fondò in Sicilia la fabbrica del Marsale, che naviga e dura quanto il Madera ; ed ha fatto ricchissimo l’intraprenditore , ricca la provincia, e rallegra tutte le mense di Europa. Il vino del Chianti ed altri squisiti vini, di cui abbonda questo suolo , per poche cure , per piccolo magistero ; si conserverebbero lun- gamente . L’ Inghilterra, la Germania, la Francia istessa ne farebbero inchiesta ; chè non ancora è un secolo che i vini toscani navigavano nel Tamigi : il qual commercio fu cagione della prosperità del Chianti, che or vediamo mi- sero e cadente . La società comprerebbe i vini indigeni che le venis- sero offerti qualora avessero le qualità necessarie alla con- servazione ; ed in cotal guisa si darebbe ad ogni vignaiolo stimolo di miglioramento ; s’ingrandirebbe la mole di quel commercio ; i prezzi del vino terrebbonsi alti anche nei ricolti abbondanti ; il beneficio dell’ associazione si slar- gherebbe in bene pubblico . XII. Altra società prenderebbe cura dell’ olio : miglio- rerebbe la coltura degli olivi e la potagione: spandereb- be in tutta Toscana i metodi di Pisa e Lucca: conserve rebbe l’olio diligentemente : ne comprerebbe da chi ne offrisse : troverebbe mercato in Inghilterra, America ed Alemagna. XIII. Così altra società curerebbe i.gelsi, i bachi, i boz- zoli, la seta. Non vi ha ramo d’industria che più di questo addimandi studio o prometta premio ; nè in tutta Italia vi ha regione più atta in ciò della Toscana per suolo , cie- lo, genio e costumi degli abitanti. XIV. Per la piantagione dei boschi sarebbe presente lo spendere, futuro e lontano il profitto ; condizione che fa ostacolo all’ intrapresa ed impossibilità alle associazio- ni. Volgerò quindi il pensiero in consiglio ; ed a chiun- que abbia lunga vita a sperare o carità dei figlinoli , io propongo di rinnovare i boschi , che i nostri maggiori e pa noi stessi, per ignavia ed intemperanza di coltura , spie- tatamente abbattemmo. Sarebbe il risorgimento opera for- se di governo ; ma la mia voce a così alto segno non giugne . XV. Resta a parlar dei pascoli. Ho stentato a cre- dere che nella Maremma sanese le vacche fossero selvag- ge, e dessero al padrone dei boschi ove annidansi sol profitto di scarsa prole , dura carne, e picciol cuoio. Chi non altro sapesse della Toscana crederebbe alla infanzia della civiltà la patria del Galilei governata da leggi di Leopoldo . E poichè il subbietto dei pascoli trovasi in mia mente legato alla Maremma, io ne tratterò alquanto più lun- gamente degli altri quattro già discorsi . La Maremma dividesi in sanese e pisana . Nella pi- sana il maggior dei possedenti ha variato in quest’ anno parte della sua coltura , diminuendo i campi di granaglie, augumentando i pascoli naturali e le fide : il profitto ne è stato grande ; la mano d’ opera non è scemata ; nessun ter- reno gli è rimasto incolto o improduttivo. L’ esempio, non richiedendo sforzo d’ industria o di spesa, può essere imi- tato dai possedenti minori ; e così noi calmando per alcun tempo le sollecitudini per quella parte di Maremma , le addoppieremo per l’altra, la sanese , ove molte terre già si abbandonano , e la mano d’ opera è ribassata , e le produ- zioni nè premiano nè compensano \’ agricoltore . Una striscia di terra variamente larga fra i due laghi di Piombino e di Orbetello, tenendo all’ovest il mare, all’est molti poggi isolati ( ultime pendici di più alti monti ) è ciò che chiamano Maremma sanese. Nel di lei seno osser- vansi tre bacini; nel più basso fondo del primo trova ri- cetto il lago di Castiglione , in cui versano il fiume Bru- na e molti torrenti: scorre il secondo il fiume perenne e regio dell’Ombrone: scorre il terzo, minor fiume , V’Albi- nia. Di varie terre che compongono il suolo più vi ab- bonda l’argilla : e per ciò, e per la tiepidezza del clima, e per la licenza delle acque , l’ aria è insalubre , abbenchè in antico no ’l1 fosse, come attestano gli avanzi di Populo- nia, Roselle, Talamone , città degli andati secoli popolose 23 e superbe. È ferace la terra s sono scarsi gli abitatori e per malore estenuati; i campi poco colti, i pascoli natu= rali, i boschi disordinati ed a foresta. Le industrie agrarie che più convengono alla Marem- ma son perciò le meno abbisognose di braccia , boschi e prati. Ma non si può ad un punto cambiare affatto d’in- dustria; ond’ è che la Maremma dovrebbe dividersi in tre fasce longitudinali, e tre colture; cioè boschi lungo il mare ; prati artificiali al piede dei collì ; campi di semente nel mezzo. I boschi piantati ad arte e ad utilità d’ indu- stria e di salute ; i campi coltivati da moto di macchine e di bestie più che da uomini; le aie acconciamente di- sposte , le strade facili, i trasporti abbondanti ; ricoveri , case, comodi di vita; chè in cotali luoghi più si muore di trascuranze che di miasma. La pastorizia ( cioè prati, armenti, metodo di custo- dirli alimentarli tirarne il frutto, fabbricazion dei formag= gi, spaccio dei vitelli, ultimo prodotto delle carni e dei cuoi) la pastorizia intera esser debbe del genere artifizia- le. Delle varie erbe sceglier quell’ una che più conviene al terreno : erger nei siti più salutevoli dei colli stalle, officine, abitazioni: i fiumi, che scendendo dai monti tra- versano i tre bacini, deviarli nei siti alpestri, innalzar- li per macchine nei siti piani , onde irrigare i campi: il padule di Castiglione, che naturalmente restringesi per opera dei torrentuoli che vi si versano , viepiù restrin- gerlo colle naturali colmate , dirette ed accresciute dal- l’arte: prosciugar quel padule ov’è basso, renderlo in- nocente ov’ è profondo, acquistar nuova terra alla coltu- ra, togliere all’ aria la maggior fucina d’infezione ........ Ecco il perfetto ideale ( rapidamente descritto ) della Ma- remma sanese . Come possano le speranze ridursi ad atto per tutti i.rami d’industria che ho discorso , io il dirò nei seguenti articoli . XVI. Possedenti di terre , non ingannate voi stessi: senza mutar coltura , senza studi novelli, senza fatica, il vostro decadimento vicino o lontano è inevitabile. E voi, | #9 possedenti di denaro , senza intraprese e moto d’industria , o nulla, o assai poco, dai capitali trarrete . I poderi , mentre che fruttano scarsamente, si vendono a prezzo al- tissimo , indizio perciò non di avventurosa agricoltura ma di abbondanza di denaro , *di mancanza di ogni altro «impiego. In altre parti ed in occorrenze simili alle vostre, i capitali s' impiegarono al gioco dei fondi pubblici ; ra- pide fortune si videro, più rapide sventure ; nulla avvan- taggiò lo stato ; nulla guadagnò il governo, fuorchè la in- felice facoltà d’ indebitarsi. Ma questa istessa lotteria di fondi pubblici (rendetene grazie alla sapienza del vostro governo ed alla felicità delle vostre sorti) non ha bottega in Toscana, L'associazione dei possedenti e di terre e di denaro è il cardine dei miei disegni. Una e più associazioni per ogni ramo d’industria. — Centro di ogni associazione un uomo di rieco patrimonio e di più ricca fama — Altri azio- nari — Una cassa per ogni società — L’ amministrazione affidata ad azionari scelti a voto comune — Le sessioni pubbliche nella società; i libri di registro sempre aperti. L’ obbietto dell’ associazione definito ; descritte le re- gole, il cominciamento , il corso , il termine dell’ intra- presa : tenui le prime spese, piccolo il primo moto, ma erescente verso scopo altissimo. — Frutto dato ai capitali, frutto all’ opera — Ogni azionario partecipe alle vicende prospere o sventurate dell’ intrapresa — Assicurata dipoi l’ industria, nuovi capitali imprestati a mutuo per ingran- dirla — Fissato il tempo delle restituzioni e degl’interes- si ; rilasciate ai creditori le cedole di credito ; ogni cassa di associazione trasformatasi naturalmente a banca pubbli- \ ca; e, se più felice, a cassa di sconto. Tutti questi benefizi privati o pubblici, che sono ele- menti di ogni associazione, non trovano intoppo nelle leg- gi della Toscana, o nella giustizia, o nella ragione ; on de la volontà dei socii basta a comporre società libera , si- cura , indipendente. Alcuno esempio farà più chiare le idee . XVII. Un foglio descriva un bacino della. Maremma 30 ( sia dell’Ombrone ) nelle sue parti geologica , agronoma, sanitaria : indichi i mali, proponga i rimedi: segni le li- nee delle tre fasce destinate a bosco a campi a prati : di- ca per la prima quali alberi dovran piantarsi ed in qual modo , onde trarne maggior benefizio di frutto e legno quando il bosco è maturo , di pascolo naturale mentre è giovane. Dica dei campi il miglior metodo di coltura con uso di macchine e di bestie : disegni le aie e le strade : descriva i trasporti . Per la terza fascia destinata alla pastorizia , il foglio disegni i canali d° irrigamento , che avrebbero origine dal fiume ; e le stalle, le officine, le abitazioni : indichi l’er- ba più convenevole al loco ed il modo di coltivarla , Sette associazioni ( senza parlar dei boschi e del pro- sciugamento dei paduli) trovan dunque materia per un sol bacino della Maremma ; cioè una delle macchine per la coltura dei campi , altra delle strade, altra delle aie e degli edifizi , altra dei trasporti ; una quinta dei canali d’ ir- rigamento ; una sesta degli edifizi per la pastorizia ; una settima del preparamento delle terre per i prati. Sembreranno (io lo vedo ) colossali questi pensieri, e si crederà che la Toscana non abbia nè ricchezze nè mezzi pari al bisogno . Così sono le opere viste in qua- dro. Chi descrivesse in poche righe le arti, le cure , la fatica, il vivere, il consumare di una città, apporterebbe ad ogn’ ingegno smarrimento e disperazione ; e frattanto Londra e Pechino reggono e fioriscono senza stento di al- cuno , e senza maraviglia degli abitatori : chi esponesse per sommi capi la Compagnia delle Indie ( associazione anch’ essa ) sarebbe tenuto favoloso narratore ; e intanto noi stessi veggiamo la vastità e i miracoli di quella im- presa. Divise perciò in parti di spesa e di tempo le sette associazioni delle quali ho parlato, cesserebbe lo stupore e lo scoramento. Queste particolarità vorrei descrivere : vorrei dimostrare la di loro influenza al miglioramento dello stato, e come per la via degl’ interessi , più che dei precetti o delle dottrine, un popolo avanza in civiltà ed in ricchezze. Ma mi avvedo che ho già trascorso i limiti SI di un accademico ragionamento ; onde, se questi miei pen= sieri, alombrati appena , avran ventura di laude e di effet- to, io, richiesto o volontario , altri lavori presenterò. XVIII. O Toscani, governati da giovine principe, depo- sitario, per gloriosa perpetuità, del nome ; e per educazione, delle virtù; e per proponimento, dell’animo del felicissimo LropoLpo ( dapoichè felice è solamente il principe che fa felici i suoi popoli ) aprite il cuore a speranze di du- revole e ognor crescente prosperità. E voi , fra Toscani (e ben molti ne vedo e gli numero in questo consesso ) a cui la fortuna fè dono di ricchezze , e la natura d’ inge- gno, e ”1 secolo di virtù, voi rendetevi soscrittori dei primi fogli di associazione , ed azionari e garanti, e vita ed anima di ogni impresa. Tu(1), abbenchè abbi eletta tua Sede oltre il Pò ma nascesti sull'Arno, e sei di affetti e di costumi Toscano ; e tu (2), degno di maggior fama, giovine fiorentino, abbondanti entrambo di meccanico ingegno, inventate, introducete le macchine , che alle arti nostre (compagne delle nostre intraprese ) son necessarie. Voi (3) che primi or sedete tra noi, ed altri cultori di chimiche dottrine, conducete la vostra scienza alle terre alle cave ai frantoi, più benefica, al certo, se non più brillante , e più cittadina se non più compensata di allor che illumina i teatri e le reggie. Voi tutti, accademici sapientissimi , instruite cogli scritti e l’ esempio , persuadete, infiammate. E pur io sarò partecipe ad ogni intrapresa, azionario di ogni cassa. Quai capitali impiegherò ? pensieri , espe- rienza , fatica. Qual frutto ne ritrarrò ? il sentimento di aver pagato a voi, civilissimi Toscani , il debito della ri- conoscenza. Firenze 12 Dicembre 1824. (1) Cavalier Morosi. (2) Tito Gonnelli . (3) Professor Gazzeri Vice-Presidente , e Marchese Ridolti Segretario del- V Accademia . 32 ‘ Conversazioni di lord BrRon, raccolte dal capitano MeDwIN . Parigi 1824, tomi 2 in 12.° Lord Byron, nel tempo del suo soggiorno in Venezia, avea consegnato ad un figlioletto di Moore (presente il padre che il condusse a visitarlo ) le proprie memorie, dicendogli : sono, mio bel bambino, due migliaia di ghinee per voi; ma aspetterete a valervene quand’ io sarò morto . — E non compiva forse i trent’ anni quando facea questo dono; ma pare che pre- sagisse la sua fine immatura, come poi standosi in Pisa presagiva ché passato una seconda volta in Grecia più non rivedrebbe nè il nostro nè il suo cielo nativo. Moore , di ritorno in Inghilterra, non pubblicava e non te- nea segrete le memorie; e già una dama ne- avea tratta copia che poi bruciò . ‘Tristo augurio per l'originale! Ignoro se By- ron ne fosse informato. Ben fu consigliato di ritirare il suo scritto, onde prevenirne le falsificazioni ; ciò ch’ egli non curò . Era ben lungi dal pensare che ciò fosse ancor più necessario onde prevenirne la distruzione . 3, Voi vedrete le mie memorie, ei diceva qualch’ anno ap- pres®o al nostro capitano Medwin, e vi meraviglierete ch’ io abbia avuto tante cose da confessare, e che tante io ne ab- bia confessate. ,, Sapendo che gli uomini lo giudicavano assai severamente , pare che si confortasse col pensiero , che avreb- bero da quelle memorie imparato a meglio conoscerlo. Ma voi , lettor mio, correggete forse la mia ultima frase, e le sostituite» a guardarlo sotto un lume più favorevole. Già so quel che sì dice generalmente: la biografia di sè stesso non può essere dettata che dalla vanità o dalla paura, o da am- bidue insieme queste passioni. Gli altri non scriveranno di me tatto il bene ch’ io merito; — oppure ne scriveranno inesorabil- inente tutto il. male; + il mio ritratto non sarà abbastanza bel- Jo, o sarà troppo brutto se non è fatto da me medesimo. Que- sto sembra il linguaggio, che tiene in fondo al proprio cuo- re chiunque si accinge a scrivere le proprie memorie. E sup- pongasi pure ( voi aggiugnete ) l’uomo più ingenuo: è vano sogno l’imaginarsi ch’ ei si dipinga con imparzialità. La predi- lezione e |’ indulgenza per noi stessi ci sono ispirate dalla nostra natura ; e chi è migliore pruova l’ una e l’altra più fortemente, o per un maggiore bisogno che ha dell’ altrui sti- ma, o per una più alta idea che tu dell’ umana perfezione, da cui non vorrebbe trovarsi lontano . Cellini più rozzo poteva nie. essere più schietto biografo di sè medesimo che Alfieri 0 Ruus- scau . Pure, come il coraggio porta al sagrificio della vita, porta anche al sagrificio d’una parte della riputazione, o se volete al cambio di questa colla fama. Poiche quanto la schiettezza sul conto proprio è più insolita, tanto si spera che sembrerà più mirabile. Nè chi scrive la propria vita ignora che non solo non gli sarebbe creduto, ma non gli sarebbe perdonato il bene che dicesse di sè medesimo, ove non dicesse anche il male. Però la schiettezza gli diventa più facile a misura che la giu- dica più necessaria. Nessuno, certo, parlerebbe francamente di sè , ove non avesse, secondo il suo concetto, più a guadagnar- vi che a perdervi. Qaindi , tolto il caso di un’ estrema im- pudenza, ch'è un®=specie di follia, nessun pessimo vorrà di- pingersi qual è. Ma chi alternò la vita piuttosto fra l’ errore e la virtù che fra la virtù ed il vizio; chi trova in sè una mescolanza di debolezze comuni e di qualità straordinarie, non veggo che abbia interesse a falsificare il proprio ritratto, Quan- do non si può essere Marte od Apollo, è ancor glorioso esser Diomede od Achille, . Ma voi, dirà il lettore, sapete qual grave accusa si fa- cesse a Byron: egli avea sacrificato l’ altrui felicità e n’ era punito colla perdita della propria: l’ ipocrisia del sentimento non copriva ma rendeva in lui più odiosa la durezza del cuo- re: l'agitazione della sua vita e gli sviamenti del suo ingegno faceano testimonianza di un gran fallo, con cui egli avea creato a sè medesimo un destino persecutore. »» Nelle mie memorie ( or bisogna pure che ascoltiamo an- che l’ accusato ) trovasi l’intera istoria del mio matrimonio e della mia separazione . Finite che l’ ebbi, scrissi a lady Byron, offerendomi di sottoporle al suo esame, perchè il minimo erro- re, la minima inesattezza, che mal mio grado vi fosse incorsa, potesse correggersi. Ella rigetto la mia offerta senza addurne alcuna ragione ; mi fece sentire che , se non pel mio, almeno per l’interesse di mia figlia, desiderava che le mie memorie non fos- ero mai pubblicate; e dopo aver espresso il suo desiderio finì com una minaccia. La mia risposta fu la cosa più aspra che mi uscisse dalla penna in mia vita: due citazioni, una di Sha- kespeare e l’ altra di Dante, servirono ad accrescerne la seve- rità. Dissi apertamente a lady ch’ ella ben sapeva che quanto io avea scritto era la pura verità ; ch’ ella negava di ratifi- carla; ma ch’ io ( non ne dubitasse ) l'avrei fatta conoscere T. XVII. Gennaid, 3 d4 a tutto il mondo. Dopo questo carteggio soltanto resi Moore depositario del mio manoscritto ,,. Or come avvenne che Moore tanto amato da Byron, e obbligato dalla sua piena fiducia alla più religiosa custodia d’un sì prezioso deposito , si lasciasse indurre a distruggerlo ? Come avvenne che Hobbouse , non meno amato da quell’ uomo illu- stre e sì poco felice, chiesto da Moore di consiglio, acconsen- tisse (se i fogli pubblici furono esatti nelle lor relazioni ) ad un atto cradele, che dava per sempre in preda alla calunnia la memoria dell’ estinto amico? Più pietoso il capitano Medwin ci presenta nelle conver- sazioni che ebbe in Pisa con Byron nell’anno 1821 e nel se- guente, e ch’ egli registrò di mano in mano nel suo portafo- glio, quanto spera che possa servir di compenso per una parte troppo importante delle memorie perdute. Byron , dipintoci così spesso come intrattabile e misantropo , era, al dir suo, affabile e affettuoso con quelli ‘che sapevano ispirargii fiducia. Il suo cuore avea ricevuto dagli uomini troppe ferite, per potersi apri- re a tutti facilmente ; ma, quando si apriva ad alcuno, si apriva intero, e per naturale ingenuità e forse per bisogno di sollie- vo. In uno di quei momenti di libera espansione , che gli era- no tanto più cari, quanto meno erano per lui frequenti, ei narrava a Medwin, in proposito di ciò che particolarmente ci preme sapere di lui, presso a poco quel ch’ io riferirò. Egli vide per la prima volta quella che fu poi sua sposa presso una comune amica. Salendo le scale incespicò , e disse a Moore che lo accompagnava : cattivo augurio! Si pentiva, ciò ricordando, di non averne fatto caso. All’entrar nella sa- la, ov’ erano adunate varie signore molto adorne, osservò una giovane vestita semplicemente , e seduta sola sopra un sofà , sicchè la credette una damigella di compagnia. Chiese di lei a Moore, il qual gli rispose a bassa voce: è una ricca ere- ditaria; e vi darebbe, sposandola, di che risarcire il vostro vec- chio castello di Newstead. Byron si fece a guardarla più at- tentamente : la trovò leggiadra, modesta, senza affettazione , piena di non so qual sua grazia particolare, e amabilissima . Desiderò di piacerle , coltivò la sta relazione, e finì con una proposta di matrimonio, che non fu aggradita. Egli non se ne offese, perchè il rifiuto era fatto con delicatezza, e gli pa- reva che venisse piuttosto da un comando materno che dalla volontà della giovane. Un anno dopo, infatti, questa cercò spon- tanea di rivedere Byron così familiarmente come in passato , 35 purchè non si parlasse d’ amore ma dî sola amicizia . L'amore però vi si wolle mischiare; e seppe far in modo che una se- conda volta non fosse proposto invano un matrimonio, che se- condo ogni apparenza dovea riuscire de’ più avventurati. Il giorno in cui questo fu conchiuso, uno degli anelli della madre di Byron, ch’ era stato smarrito , si ritrovò sotto la van- ga del giardiniere di Newstead.,, Io lo riguardai , diceva Byron, come mandato espressamente per le mie nozze. Ma il matri- monio di mia madre era stato poco felice ; e il suo anello (sio avessi saputo accorgermene ) mi era pegno di tale unione, che costerebbe assai più affanni ,,. E qui rammentava che certa signora , la quale si compiaceva a far l’indovina, gli avea pre- detto che l’anno vigesimosettimo e il trigesimo settimo della sua vita sarebbero stati per lui fatali . La prima parte della profezia , ei soggiugneva , sì è pur troppo avverata : saprò poi dirvi dell’ altra . Tutte le persone presenti alle sue nozze, secondo il suo racconto, erano commosse : la sola sposa non lo era. La ma- dre di lei piangeva; ei tremava come una foglia, rispondeva a sproposito, e ancor chiamava miss Millbank quella che già era divenuta lady Byron. Dopo la cerimonia ei partì con lei per una casa di cam- pagna di sir Ralph Millblank Noél, che le era padre, ma lascia- a, per quel che apparisce , esercitare alla consorte ogni sua autorità. Aveano messa in carrozza fra lui e la sposa una ca- meriera ; ciò che gli ruscì molto strano; ma sembrandogli trop- po presto per far da marito si contentò di non mostrarsi di buon umore. Venni accusato, ei soggiugnea, di aver detto mon- tando in carrozza ch’ io avea sposato lady Byron per vendi- carmi del suo rifiuto. S’io fossi stato capace di proferire si- mile brutalità sono ben certo ch’ ell’ era capacissima di pian- tarmi lì sull’istante; e ne avrebbe avuto ragione. Nel mondo si è pur preteso, ch’io l’ avessi sposata per la sua ricchezza ; ma il fatto è ch'io non ne ho ricevuto che 10,000 lire ster- line, (da me poi doppiamente rimborsate ) e non è BO che ne riceva altre mai più. Sul primo suo mese di matrimonio egli si esprimeva così: »» ll tempo della nostra luna di miele non fu sempre sereno : Hobbouse ha in mano alcune lettere che servono a spiegare l’alzamento e l’abbassamento del nostro barometro conjugale : esso però non cadde mai a zero ,,. Le cose economiche di Byron non erano in buono stato. 36 La posfessione di Newstead non gli dava di prodotto annuo si- curo che 1,500 sterlini, e quella di Lancashire, che già gliene costava in processi 14,000, mon pare che gli rendesse nulla . Come nè egli nè la sua signora mostravano di avvedersi delle loro strettezze , ma faceano le spese larghe per non dire stra- vaganti , le 10,000 ghinee della dote furono ben presto con- sumate . Allora cominciò l’ assedio de’ creditori, a cui ven- nero in seguito i sequestri de’ tribunali. E poichè la signora non amava esserne testimonio, fu convenuto che andrebbe a stare in campagna col padre suo, fino a che la tempesta fosse dissipata. Strada facendo ella scrisse a Byron con frasi ben po- co tenere ; sir Ralph, subito dopo l’arrivo di lei, gli scrisse egli pure ma con stile ancor più disamorevole, e finì col dir- gli che non rivedrebbe sua figlia mai più. ; Nella mia risposta ( continuava Byron ) io protestai con- tro quest” atto della paterna autorità riguardo alla mia sposa, e mi mostrai convinto che i sentimenti espressi da sir Ralph non erano quelli di lady Byron. Ma il corriere seguente mi portò scritta dalla mano di lei medesima, e segnata dal suo sigillo , la conferma della decisione di suo padre. Seppi dappoi per mez- zo della sua cameriera, moglie del mio valletto Fletcher, che dopo aver mandata la fatal lettera alla posta ella fa inquietissi- ma, e non si diede pace finchè non l’ ebbe riavuta. Nuove sug- gestioni, però, di persone avverse la indussero ben presto a far- anela pervenire, Queste suggestioni, non ne dubito , furono quel- le che prevalsero sul suo affetto per me. Voi però mi doman- date s’io creda veramente di non averle dato alcun motivo di così subitanea risoluzione? Vi dirò schietto quel che ne penso. », lo ho de’ pregiudizii intorno alle donne. Per esempio non amo vederle mangiare : Gian-Giacomo fa la sua Giulia un po’ go- losetta; e ciò non sarebbe stato punto di mio gusto. Così non amo essere da loro interrotto mentre scrivo o sono in qualche modo occupato, e lady Byron, che lo sapeva, avrebbe do- vato avervi riguardo. Una sera, mentr’io stava in piedi al mio camminetto pensando ai miei affari molto imbrogliati, ella mi venne presso e mi disse : Byron vi son io incomoda? Damnably! le risposi; e questa è la sola cosa dura ch’io mi ricordi d’averle detta dacchè la conobbi. Ne fui adiratissimo con me stesso , quantunque l’avessi proferita mal mio grado, e quasi senza av- vedermene ,,. Una confidente della sua sposa faceva intanto spiare tutti i suoi passi; e giunse perfino a violare il suo portafoglio. ,, Vi na | ——r — k._——_— 37 furono trovati, ei diceva, un libro che non dava grande opinione del mio buon gusto in letteratura , e alcuni biglietti d'una don- na maritata, con cui io aveva avuta qualche relazione galante prima del mio matrimonio. L’ uso che si fece di essi ( per non dir nulla dell’abuso di confidenza con cui si venne a sco- prirli ) è veramente imperdonabile. Lady Byron li mandò al marito della donna il quale fu sì prudente di non badar punto al loro contenuto. 1, La più grave accusa , ei soggiugnea , che mai mi ve- nisse fatta (e quest’ accusa , se ben ci ricordiamo, è vittorio- samente confutata nella Biografia de’ Contemporanei o nella Ri- vista Europea ) fu d’aver avuto degli intrighi con mistriss Mar- dyn ( celebre attrice ) nella mia propria casa, e d’averla am- messa alla mia tavola. Mai calunnia non fu così priva di fon- damento. Com’ io era membro del comitato di Drari-Lane, riceveva. talvolta , nol niego , alcune attrici, che aveano biso- gno di parlarmi. Quanto a mistriss Mardyn, la cui bellezza avrebbe potuto renderne pericolose le visite, appena io la co- nosceva ,,. Seguitando i suoi racconti , ei diceva a Medwin come es- sendosi una volta ritirato in una via appartata di Londra per comporre uno de’ suoi poemi , si vide a un tratto comparire in camera un attuaro e un notaio per prendere ( come poi confessarono ) prova legale della sua demenza. Egli non impu- tava questo turpe maneggio alla sua sposa; ma piuttosto alla madre di lei, che sempre lo avea detestato, e non si curava punto di occultarlo. In prova di che, egli narrava, che pran- zando un giorno da sir Ralph ( uomo com’ ei chiamavalo di buonissima pasta ) ed essendosi rotto un dente, quella signo- ra gliene fece un complimento ironico, mostrando che n° era molto lieta. 1» Voi vorreste sapere, ei proseguiva, se lady Byron ab- bia mai sentito amore per me. Già un’altra volta vi ho ri- sposto che no. Io era alla moda, quand’ ella comparve nel mondo ; avea la riputazione d’un gran sventato anzi d’un gran scapestrato ; qualità seduttrici per le giovani donne. Ella mi spo- sò per vanità, sperando riformarmi: e farsi un trionfo della mia fedeltà ,,. E seguitava a dire come gelosa per carattere , secondata scaltramente da chi voleva muocergli, molto prevenuta in fa- vore delle proprie idee , e subitanea nelle sue risoluzioni, dopo essersi resa tempestosa la vita in sua compagnia, era venuta ad 33 una separazione. Appena questa fu conosciuta dal pubblico , il nome di milord fu coperto d’ ogni specie d’ ingiurie . Amici, parenti, tutti furono contro di lui. ,, Io era guardato, ei di- ceva , come il peggior de’ mariti, come il più perfido degli uomini; e la mia sposa era dipinta come un angelo sofferen- te, come il modello della feminil perfezione. Che non si di- ceva contro di me, ne’ fogli pubblici, e nelle private conversa- zioni ? Accolto con disprezzo nella camera de’ pari, insultato nelle strade , io più non osava mostrarmi al teatro, onde la sventurata mistriss Mardyn era stata espulsa con insoffribile oltraggio. L’ Esaminatore (allora compilato da Hunt) fu il solo foglio che osasse alzar la voce per mia difesa ; e lady Jersey la sola persona al mondo, che non mi riguardasse come un mostro ,,. I suoi affari intanto andavano peggio che mai: già parea imminente quella rovina, a cui i suoi nemici aveano voluto condurlo ,,. Io fui obbligato , egli dicea, d’alienare il mio castello di Newstead , ciò che per altro il mio cuore non mi avrebbe permesso, vivente mia madre, e di cui mai non po- trò esser lieto, benchè mi dicano, che oggi quel castello non varrebbe la metà di quanto allora ne ritrassi. Io aveva a re- stituire la dote della mia sposa, e voleva aggiugnerle 10,000 sterlini, il che feci; abborriva, come sempre ho abborrito ; dal far debiti; e non mi rimaneva altro mezzo di trarmi d’ im- paccio, che una vendita. Com’ ebbi dato qualche sesto alle cose mie (e questo fu un anno circa dopo il mio matrimonio ) presi dall’ Inghilterra volontario esilio, coll’ intenzione di mai più non mettervi piede ,,. La malevolenza de’ suoi compatrioti si attaccò per così di- re a’ suoi passi, massime nel primo tempo delle sue peregrina- zioni. Molti di essi, viaggiatori com’ egli, cercavano di vederlo per semplice curiosità ; molti pel piacere di tormentarlo . Ciò lo indispetti a segno, che decise di non voler più ricevere alcun in- glese, che non fosse de’ suoi intimi amici, o da essi raccoman- dato. Tutti sanno ch’egli ebbe dal suo infelice matrimonio una bambina a cui pose il nome di Ada. Un giorno , mostrandone a Medwin il ritratto in miniatura , dicea fra |’ altre cose: ,, So che il mio nome non è mai pronunziato in sua presenza; che una cortina verde nasconde continuamente a’ suoi occhi la mia effigie, come cosa di cui deve abborrire la vista; che si vuole eh’ella iguori d’ avere un padre, finchè l’età sua non ren- 39 da necessario lo scoprirgliero, il che non si farà senza insegnarle ad odiarlo. Lady Byron lo soffre, forse perchè teme ch’io un giorno gliela tolga o per forza o per inganno . E ben potrei farlo legalmente, senza usare nè l’un mezzo nè l’altro. Ma io ante- pongo la mia infelicità a quella di una madre. La cara bambina probabilmente io non la rivedrò mai più. ,, Indi aperto uno scrittoio mostrò a Medwin una ciocca di capegli, che disse essere di sua figlia. La sera passeggiando fu molto malinconico, ricusò di tirare alla pistola , suo ordinario divertimento , nè quasi pro- ferì parola . Medwin non osava domandargliene il motivo; quando egli stesso glielo manifestò quasi involontariamente. ,, Que- sto è il giorno di nascita della mia Ada; giorno che dovrebb' es- sere per me il più felice, ed è ...,, Qui s interruppe, quasi vergognoso d’aver lasciato trasparire i suoi intimi sentimenti ; e cercò ; benchè invano, di cangiar discorso. Strada facendo udì uscir lamenti d’una capanna: spronò il cavallo verso di essa per saperne la cagione: intese ch’erano d’una povera contadina sovra di un unico figlio , che le era morto: quest’accidente aggiunse alla sua tristezza non so qual presentimento di sventura. ‘ Non posso esser tranquillo , diss’ egli tornando a casa, finchè non sono accertato che mia figlia sta bene. Oh gli anniversari mi fan- no spavento! Chi ne ride certamente non ne ha tenuto nota. In quello di mia figlia sempre chiedo a mia sorella notizie di lei. E singolare che la lettiera, che le scrissi l’anno scorso, le pervenne il giorno del mio matrimonio, e la sua risposta mi giunse a Ravenna il giorno della mia nascita! — Quante cose straordinarie mi sono mai accadute in tal giorno! E così a Napoleone nel giorno della sua; e così all’infelice Maria Anto- nietta ! ,, . L’anno appresso Medwin si trovò a pranzo da Byron il giorno anniversario delle sue nozze. Tutti i convitati si accor- gevano ch’ egli era triste, benchè si sforzasse di sembrare il con- trario. Uno di essi propose un brindisi a lady sua sposa; e By- ron fu il primo a farlo e con manifesto piacere . Allora cadde il discorso sulla sua separazione e sulla probabilità di un riav- vicinamento . ,, Ah! nò, gridò egli, dopo aver perduto i cin- que anni più belli della nostra vita, questo non è più possibile. Ma la colpa non è mia: io l’ho cercato più volte, ed orà più non debbo pensarvi. Imaginai un tempo che il matrimonio , cal- mato alfine l’impeto delle passioni, fosse pell’ uomo uno stato di felicità. Non voglio dire adesso che nol sia; ma certo non lo è per me. ,, 40 Medwin, scrivendo all’ indomani a persona confidente i collo- qui di questo convito, terminava la lettera così» ,, Malgrado ciò che Biyron diceva jeri di non avere a sua moglie altro obbligo, che della felice impossibilità di rimaritarsi; malgrado lo scherza- re che fa nel Don Giovanni intorno alla sua separazione ; ben si scorge che questa è per lui una spina dolorosa , un veleno che gli attossica l’esistenza. Egli si sforza di coprire i propri senti- menti, d’ ingannare sè stesso con una gioia simulata. Ma senten- do pur troppo rotti duramente per lui i più cari vincoli della vita, erra di paese in paese senza trovar riposo . ,, . Qualche giorno appresso, tornando alla casa di Byron, osservò che tutta la sua gente era vestita a lutto. E già stava per do- mandarne a Ini medesimo la cagione, quand’egli così gli parlò: “ Ricevo oggi notizie della morte di lady Noél, e ne sono de- solatissimo per la povera sua figlinola, che l’adorava. Il mondo creilerà forse ch'io ne goda; e il mondo s’inganna, Io non ho mai desiderato aumento di fortune, bastandomi quelle che godo senza il possesso di Wentworth. Ho scritto una lettera di con- doglianza a lady Byron, e ne’ termini più affettuosi come ben potete credere. Essa cominciava con queste parole: mia cara la- dy, se noi non siamo riconciliati, non è mia colpa! ,, — Oh! quanto sarei lieto, l’interruppe allora Medwin, di vedervi resti- tuito alla vostra sposa e alla patria vostra, che voi amate sem- pre (io posso renderne testimonianza } malgrado ciò che dite e scrivete contro di essa. Vi ricordate voi di quella vostra senten- za nei Due Foscari ,, Amar non sa chi il patrio suol non ama?,;— Ogni giorno, ei riprese dopo alcuni istanti di silenzio, mi rende vie più impossibile il ritornarvi, e le ragioni son molte. No, la- dy Byron oggi. meno che mai vorrebbe riunirsi meco , per te- ma di far cadere sopra sua madre tutto il biasimo della nostra separazione . E vedete se lady Noél non ha desiderato fino all’al- timo respiro che questa fosse eterna! Ella prescrive nel suo te- stamento che il mio ritratto, chiuso per suo ordine in una cas- setta, si tenga nascosto a mia figlia, finchè non sia fuori di mi- norità , e allora pure le si nieghi se lady Byron ancor vive. ,, Quanto all'eredità della dama, potendo egli pretenderne l’ intero usufrutto , consentì volentieri a dividerlo colla sua sposa di quel modo che alcuni arbitri da lui scelti avessero stimato opportuno, dichiarando che volentieri le avrebbe ceduto ogni suo dritto, ove sì trattasse di schivar le contese. E poi che la divisione fu fatta, ei le oflerì in aggiunta della parte assegnatale il godimento della casa ov’ era nata, e quasi sempre vissuta, e che parea doverle 4I essere carissima per le memorie della sua famiglia. Ella lo rifiu- tò; e Byron, parlandone a Medwin, se ne mostrava dolente . Tutte queste particolarità vi sembreranno importanti o let- tore; perchè è sempre importante il poter conoscere il vero, e il trovar degna di qualche stima la condotta degli uomini, il cui talento ci sforza all’’ammirazione . Infelice chi sente altrimenti! La paura di crearsi degli idoli, non so qual gelosia secreta, una co- scienza poco dignitosa fa che non potendo abbassare quanto si vorrebbe nel nostro e nell’altrui concetto le intellettuali facoltà d’alcuni uomini straordinari, si cerchi di abbassare le loro mo- rali qualità. Queste non hanno, come le altre, testimonio tutto il mondo ; sono quasi alla discrezione della benevolenza o della malevolenza di pochi. E già si ascolta più facilmente la seconda che la prima , e si crede fondata perchè le sue voci sono molto ripetute. Ma la nostra facilità nell’ ascoltarla potrebbe spiegarci l’eco di queste voci, che ci trae così spesso in inganno. Una specie d’incredalità alla virtù si unisce oggi a questa. credulità dell’amor proprio o della, passione per mostrarci che. tutto è fango sulla terra, o che se avvi qualche poco d’oro anche que- sto è avvolto, nel fango. Trista scoperta; se pure è vera. sco- perta, e da piangerne anzichè da motteggiarne coine si fa! Io per altro non so rinunciare ad una mia gradita persuasione, che se mai l’oro quaggiù tocca da qualche lato. il fango, se mai la grandezza dell’ingegno paga sempre qualche grave tributo alla debolezza della natura, si unisce pur sempre e necessariamente alla grandezza del carattere. Quanto è più bello. occuparsi nel cercar le prove di questo, che il cercare ed. esagerare le prove del contrario! Quindi noi; dopo aver cercata nelle conversazioni di Byron una giustificazione della sua condotta in ciò che diede motivo ad una serie interminabile di rimproveri che gli vennero fatti ; cer- cheremo pure altri argomenti che scemino i dubbi sulla sua bon- tà. La bontà di certi uomini è come una quavtità negativa; è una, specie di astinenza dal. male, che. può. spesso, spiegarsi coll’indolenza, la paura 0 l’imbecillità. Una bontà, che costa dei sagrifici o si arrischia a qualche cosa, è ben, rara ; e credo che bisogni tenerne gran conto massime in un’ epoca di singolare egoi- smo. Lord Byron, per ciò.che raccontava a Medwin, avea mani- festato in certa occasione e in certa città alcuni sentimenti assai vivi, che potevano renderlo sospetto a chi anche senza so- spettarne era forse inclinato a turbarlo. Un capo militare diven- ne ancor più sospetto di lui; e fu, secondo l’opinion sua, im- 42 molato da un nemico, il quale non temeva procedure pel suo assassinio . ‘ Era l’ ora solita della mia passeggiata ; io già avea un piede nella staffa per montare in arcione quando il mio cavallo diede un balzo allo scoppio d’un arme da fuoco. Alzai gli oc- chi; e vidi un uomo, che gettata la carabina fuggiva a gambe, mentre un altro, a poca distanza da me, giaceva disteso al suolo. Corsi verso di lui e riconobbi ch’ era lo sventurato comandante, Già la folla lo circondava, e nessuno ardiva di porgergli soccor- so. Lo feci raccogliere dal mio servitore ( a cui io medesimo porsi mano ) e trasportare insanguinato com'era nella mia abi- tazione. Mi fu fatto sentire da qualche benevolo, che così io confermava il sospetto d’ essere del suo partito, e incorreva la disgrazia di chi poteva più di me. Non credetti dover bilancia- re un momento tra l’ umanità e il pericolo. Ma l’ infelice, quan- Udo fa steso sovra uno de’miei letti, era già morto, senza con- vulsione però , tanto la sua fisionomia era tranquilla.]1l suo aiu- tante ne accompagnò il cadavere alla sepoltura, e mi ricordo le parole che proferì in mia presenza: povero diavolo! non avea fatto male neanche ad un cane.,, Un’ altra volta Byron si trovò vicino ad un luogo d’Italia , ove (cosa per altro incredibile a’ nostri giorni) dovea darsi, giusta le voci che n’erano sparse, il feroce ed ivi non più veduto spetta- di un quto da fe. Un amico, lo sventurato Shelley, entra da lui inorridito , gli propone di salire quando ne sia tempo a cavallo con numerosa compagnia onde impedirlo ; e Byron trasportato da un sentimento di umanità promette di farlo ove ogn’ altro mez- 30 riesca insufficiente. Intanto scrive, gridando in nome della ra- gione e dell’umanità, a nomini potenti, i quali, se mai egli so- gnava, non credettero punto disprezzabili le grida da lui al- Zate per questo sogno. Dicesi che un ottimo principe, a cui ne erano pervenute di somiglianti, operasse efficacemente, perchè ove avessero altra causa che un sogno non riuscissero vane. Byron narrava un giorno a Medwin d’ una giovinetta di Gian- nina fatta lapidare dal crudele Ali pascià pe’ suoi amori con un napolitano, che ricusando di rinnegare a scampo la propria fede fu mandato a morire in una città, ove infariava la peste. Indi proseguiva. ‘“ Uno de’ principali incidenti del mio Giaurro è tratto da un avvenimento vero , in cui io medesimo ebbi gran parte. Non ne feci motto nella prefazione di quel picciolo poe- ma, per timore di non essere creduto ; e il marchese Sligo, il quale ne sapeva le particolarità, rammentandomele in Inghil- terra, si mostrò molto meravigliato del mio silenzio... Mentr' io 43 stava in Atene mi accesi d’una fanciulla mussalmana, quanto mai potessi accenderini di persona bellissima. Tutto andò bene, sino al ramazan o quaresima ( digiuno un po’ lungo per due amanti ) in cui dalla legge e dalla religione de’ turchi è proibita ogni corrispondenza tra i due sessi, né possono le donne metter piede fuor della soglia de’ loro appartamenti. Io era disperato , e appena mi riusciva di farlo comprendere a quella in cui era posto tutto il cuor mio, mandandole cenere di carbon fossile ( giusta il costume d’ oriente ) con quatehe mazzolino di fiori, come pegno della mia tenerezza. Noi non ci eravamo veduti da parecchi giorni; ed io andava pensando ai mezzi di vincere un istante gli ostacoli che ci separavano; quando il nostro avverso destino volle che il secreto fosse discoperto. Una morte orribile - già pendeva sul capo dell’amata fanciulla; ed io l’ignorava, tanta cura si era posta nell’occultarmelo. Il solo caso fece ch’io potessi essere all’ infelice di qualche soccorso. Una sera cavalcan- do, secondo il mio solito, lungo il mare vidi una folla che trae- va in verso alla riva, e tra la folla un luccicar d'armi, che in- dicava trovarvisi de’ soldati. Io non era sì discosto, che non po- tessi intendere un gemito fioco e compresso , che ne usciva di tempo in tempo; onde ordinai ad uno del mio seguito, che mi sapesse dire cosa fosse. Qual raccapriccio fa il mio quando udj, che si portava cucita in un sacco una sventurata , per gettarla all’onde! Non esitai un istante su quello che avessi a fare. Si- curo de’ miei fidati albanesi corsi all’officiale , che dovea presie- dere al supplizio ; gli chiesi arditamente la prigioniera; lo mi- nacciai se ricusava. Sia ch’egli eseguisse a controcuore i suo; ordini; sia che l'attitudine della mia guardia lo sgomentasse, acconsentì di ricondur meco alla città quella misera che tosto riconobbi per colei ch'io amava. Il favore ch’io godeva presso il principale magistrato , reso più efficace da un ricco dono, mi giovò a salvarla. Ma ciò non ottenni che a patto ch'io tronche- rei seco ogni relazione, e ch'ella, lasciata Atene, sarebbe im- mediatamente condotta a Tebe, ove avea de’ parenti. Ivi, pochi giorni dopo il suo arrivo, morì d’una febbre... forse d’amore ... ed io non posso ricordarla senza un sospiro. ,, Questo Byron avea il cuor tenero più che non volesse con- fessare. Il suo affettato disprezzo per le donne, che gli ha data una sì cattiva riputazione presso di esse, me ne è di pro- va. Vi sono delle pagine, che sapendole ben leggere ci dicono quello che l’autore non ha voluto dirci o anche il contrario dì quello ch’ei ci dice; vi sono delle parole, che ben interpretate 44 le une per mezzo delle altre ci scoprono de’ secreti forse ignoti a chi le pronuncia. Byron parlava un giorno a Medwin del suo soggiorno in Venezia. Ivi, gli diceva, le donne sono state per me quelle che furono sempre, il mio veleno. Come Napoleone ( e il confronto. era giusto più ele Byron non pensava: lo vedia- mo dalle memorie di Las Cases ) io ho sempre avuto per esse un gran disprezzo. Nè questo sì fonda sopra un’ opinione leggie- ra, ma sopra una fatale esperienza. ;, Eccone abbastanza per chi sa intendere. Ma aggiungiamo ‘qaesta scusa, con cui egli volea palliare una manifesta contradizione fra le parole del suo dispetto o del suo dolore, e le belle creazioni della sua innamo- rata fantasia. “ I miei scritti, è vero, tendono ad esaltare il loro sesso ; la mia imaginazione si è sempre compiaciuta a rive- stirle di un bello ideale. ( Medora, Leila, Zuleika, Tyrza, An- giolina, Ada, Mirza, Aidea, modelli di grazia, d’ affetto, di co- stanza appena hanno d’ uopo d'esser ricordate a chi legge.) Ma io non ho fatto che disegnarle, come farebbe un pittore od uno statuario, quali dovrebbero essere. Forse ( notate bene quest’ in- dustria per ismentire sè stesso ) le mie prevenzioni contro di lo- ro, e la mia perseveranza a tenermene lontano (non ridete o lettore?) hanno contribuito a perpetuare la mia illusione per le loro cele- sti qualità. ,, Ma eccovi in quest’ altro periodo la vera chiave, come suol dirsi, del suo linguaggio sdegnoso contro le don- ne. ‘“ Sempre, a mia memoria, il sesso feminile mi ha fatto soffrire: ho cominciato coll’ esserne il zimbello; ed ho finito col restar senza moglie. ,, E un’altra causa di malcontento riguardo alle donne gli veniva dalla sue rimembranze di Venezia: voglio alludere specialmente ad una scena di quella sua Fornarina, come la denominò Murray che ne fece incidere il ritratto. Costei era scal- tra quanto bella; voleva a forza piantarsi di casa nella sua casa; minacciò d’ uccidersi col ferro , d’ affogarsi in canale se le si resi- steva: non creduta lasciò stare il ferro , che in ogni modo era pericoloso, e saltò ove le gondole pronte rendeano nullo il suo pericolo, Byron pagò d’ infinite molestie il suo momentaneo ca- priccio per questa bella; e i suoi malevoli trassero dalla scena che si è accennata, e ch’ essi raccontarono a loro modo, nuovo argomento di dipingerlo come un tiranno di quelle che, secondo loro, aveano la sventura di amarlo. Medwin per altro, che ha conosciuto le sue intime relazioni con quella per cui scrisse. la Profezia di Dante, ci assicura ch’ egli era capace di un -profon- do attaccamento anche cessato l’amore. E ricorda un detto del suo domestico Fleteher ( quello che ha raccolto a Missolonghi 45 il suo ultimo sospiro ), prestatogli da Shelley già da noì nomi- nato: “ è ben strano che tutte le donne siano capaci di condur- re milord, eccetto milady! Quello che si potrebbe ragionewolmente rimproverare a By- ron oltre la dissipazione della sua gioventù (e le sue confessio - ni erano al dir suo un atto di accusa contro sè stesso che avrebbe potuto prevenire la dissipazione altrui } sarebbe d’ essersi assoggettato al vincolo matrimoniale, per cui non era in alcun modo disposto» ,, Lo spettacolo delle dissensioni domestiche , di cui io era stato testimonio, egli diceva a Medwin, mi fece con- cepire di buon’ ora una decisa avversione pel matrimonio. Il mio spirito ne era vivamente occupato il giorno delle mie nozze: una voce secreta mi diceva ch'io stava per segnare la mia sentenza di morte : ed io avrei voluto scansarmene se avessi potuto. In fatto di presentimenti la mia credulità è grande. Il demone di Socrate non era una finzione; l’autore del Monaco ( Lewis) avea. il suo monitore; Napoleone credeva ai presagi. Io pensava inol- tre ad uno de’ miei amici, il quale avea sposato una giovine ricca e bella, e nondimeno era infelice. Egli mi aveva fortemente dis- suaso dal curvare il collo a quel giogo , sotto cui egli conduce- va insopportabile vita. E ciò che prova com’io fossi risoluto di seguire il suo consiglio , si è che scommisi con Hay cinquanta ghinee contr’ una che rimarrei sempre scapolo. Sei anni appresso gli mandai il danaro della scommessa. Ma vi assicuro che la vi- gilia del giorno in cui offersi la mia mano a lady Byron io non aveva la minima idea di venire a questo passo decisivo » ,, Quin- di noi chiameremo Byron molto imprudente; ma non crederemo giammai ch’egli portasse de’ sentimenti tirannici nella più intima delle unioni ; egli che diceva a Medwin con sì dolce espansione di cuore: “ taluno definisce la donna giustissimamente una crea- tura che ama ,, e nel canto quinto del Don Giovanni scriveva : “ il cuore delle donne, a qualunque nazione appartengano, è un fonte di tenerezza: esse versano amorevoli il vino e l'olio ri- storatore ; sono per noi il pietoso samaritano che addolcisce le nostre pene in ogni situazione della vita. ,, Il desiderio di riconciliare colla sua memoria un sesso , di cui a giudizio di lui medesimo non può esservi il miglior giudice della bontà, ma che credendosi da lui offeso poteva essere un giu- dice mal rfelata, ci ha dilungati alquanto da quelle azio- mi, onde apparve in lui più manifesta una tale virtù . È dol- ce il ritornarvi per qualche istante. Ognuno sa com’ egli partì di Toscana verso l’estate del 1823 per consecrare alla Grecia 46 | risorgente e i suoi averi, € la sua persona . ‘‘ Straniero alla Gre- cia ( diceva commosso un cittadino di Missilonghi nella sua ora- zione funebre, che leggiamo qui unita alle conversazioni raccolte da Medwin), avvezzo ai piaceri ed al lusso d’ Europa, ei po- tea, senza abbandonarli, contribuire efficacemente alla nostra ri- generazione. Ben era bastante per noi che alla saggezza e all’ abi- lità del nostro governo si aggiugnessero da lungi iî suoi incorag- gimenti e il suo aiuto generoso; ra ciò non era bastante per lui. Nato all’ aure felici di libertà ; istruito di buon’ ora da’ libri de’ nostri maggiori (funte eterna di sapere per chiunque li trat- ta ) a distinguer nell'uomo ciò ch’ egli è e ciò che debb' essere; destinato dalla natura a difendere i diritti degli oppressi, vide i greci risoluti di spezzare i loro ferri e volgerli in spade vendi- catrici contro i loro barbari oppressori, ed accorse a dividere i lor perigli e le loro fatiche. Morire in Grecia e per la Grecia fa l’ultimo voto della sua vita; e questo voto, ahi troppo pre- sto compito, è ora la fonte delle nostre lagrime, e lo sarà del nostro perpetuo dolore . ,, Or mentre egli facea vela verso la Grecia, recandole quanto potea giovare al suo doppio risorgi- mento, armi, danari, strumenti matematici , strumenti da stam- pa ; musica guerriera, ei le recava pure (e questa pietosa sol- lecitudine distingue il suo cuore ) medicine per gli infermi, bende e ristori pei feriti. Assoldar uomini, allestir navi da guer- ra, sostenere il greco governo nelle sue spese , mentre si appa- recchiava a sostenerlo colla spada nelle sue imprese (sulla fine del gennajo dello scorso anno fu nominato comandante generale all'assedio di Lepanto ) era poco per lui se non andava con- tinuamente in soccorso de’ privati bisogni. Però il suo medico dicea , come leggiamo nella relazione della sua dimora in Gre- cia, aggiunta alie conversazioni: il giorno gli sembra tristo, quando non ha avuto occasione d’impiegare la sua generosità . Ma il .profondere le ricchezze ad altrui beneficio non è sì rara specie di generosità che non ve ne sia un’altra ancor più rara , e per la quale si richiede un cuore ancor più facile ad esser cornmosso . Di che generosità io parli si raccoglierà da questo aneddoto, di cui siamo debitori alla citata relazione. Mentre Byron, prima di recarsi a Missolonghi, soggiornava a Mataxa- ta nell’ isola di Cefalonia, avvenne che per uno scoscendimento di terra parecchii lavoratori rimanessero sepolti. Egli era a pran- zo quando gli fu annunciato il tristo accidente. Tosto egli ac- corse coll’ amico suo medico, recando seco quanto credeva do- ver essere di qualche utilità agli infelici, che si fossero potuti nn Lin GEIE 47 sottrarre alla rovina. Se non che gli uomini, impiegati a cer- carli, temendo per sè medesimi, a un tratto si arrestarono, e vollero far credere che tutti i sepolti già fossero trovati. Byron usò pereghiere ed offerte quante seppe, onde indurli a continua- re. E poichè queste riuscivano vane, presa con nobile impeto una vanga, si diede egli medesimo a far l’opera ch’ essi ricusa- vano, onde stimolati dal suo esempio vari di essi il seguirono; e così a due altri sventurati fu salva la vita. A Missolonghi, giu- sta la narrazione da noi citata, ei diede altra prova di quella specie di generosità di cui parliamo, occupandosi a diminuire i mali della guerra, a far cessare quella ferocia che ne avea resi sì orribili i cominciamenti (Jussuf pascià e Beker aga poco man- cò che non divenissero per lui protettori de’ greci ) ; infine a con- ciliare i partiti, e ad assicurare così il trionfo della greca libertà. Questo spirito di conciliazione, onde meritò dal suo fu- nebre encomiatore il nome di vero fille/eno , ben deve fargli perdonare an po’ di spirito di battaglia contro i pedanti, mas- sime ch’egli non fu mai il primo ad assalire. Certo quelle sue Ore di piacere, con cui cominciò la sua carriera poeti- ca, non poteano dare gran piacere a chi avea gusto di poe- sia. Ma gli aristarchi d’ Edimburgo, che vollero tanto divertirsi a spese del giovane poeta, non dovevano lamentarsi ch’ei si ostinasse a mostrare a loro spese che il suo estro era maggio- re che non supponevano. Quanto al laureato Southey suo ac- cannito sindacatore, noi siamo ben lungi dall’approvare la ven- detta ch’ei ne fece nel Don Giovanni e altrove; ma lo scue siamo tanto più facilmente che vediamo ch’egli ebbe cogli altri critici una mirabile pazienza. Taluno dirà forse ch’ era sprezzo o indifferenza; e non vogliamo contradirgli. Quella in- dipendenza di spirito che lo portava a trascurare, scrivendo » le regole conosciute, lo portava altresì a trascurare le altrai opinioni su ciò che scriveva. Egli era quasi in tutto |’ al- lievo della natura. “ Onde mi sia venuto il gusto di far ver- sì, diceva egli a Medwin, io medesimo non lo so. Ma è pro- babile che le scene selvaggie di Morven e di Loch-na-Gerr, e le rive del Dee siano le vere creatrici della mia vena o della mia proluvie poetica, se così vi piace chiamarla. Questa però non uscì fuori, o almeno non si manifestò chiaramente che all’istante che mi sentii trar fuori di me medesimo per un sentimento non ancora provato, e a cui la novità dà tanta possanza. L’amor di Dante per Beatrice principiò, se ben mi rammento, nel suo dodicesimo anno. lo era quasi ezualmente 48 | giovane quando m'innamorai alla follia. ;, E qui gli narra- va come essendo egli collegiale di Harrow, e trovandosi, per le vacanze a Newstead, vide la prima volta quella per cui si accorse d’esser poeta. ‘ Quell’ anno passai | estate delle nostre vacanze fra le montagne di Malvern. Veri giorni di ro- manzo per me! Maria era per la mia giovanile imaginazione l’ ideale della bellezza. E tutti i miei sogni sulla natura ce- leste delle donne io gli ho derivati da quella perfezione ehe il mio spirito creava in lei. Dico creava, poichè , come tutte l’altre persone del suo sesso, ella non era agli occhi miei niente meno che una creatura angelica. ,, Il suo ardore durò a lungo, ma era tutto com’ei diceva dalla sua parte. lo era serio , essa leggiera ; mi amava come un giovane fratello ( aveva alcuni anni più di lui) si prendeva spasso di me, e mi trattava come un fanciullo, Mi diede nondimeno il suo ritratto; e questo era ben qualche cosa come soggetto di ver- si. ,, Medwin dice che lo portava sempre al collo (e proba- bilmente lo ha portato sino all’ ultimo della vita) e narra l’ agi- tazione ch’egli provò un giorno che credeva di averlo perdu- to. Anche da ciò apparisce, mio caro lettore, ch’ ei non fosse riguardo al bel sesso quel mostro che alcune belle signore seguitano a vociferarlo. Ma pur troppo quando una qualifica è data è data; quando o a dritto o a torto si è stabilita un’ opi- nione riguardo ad un uomo, egli dev'essere quello che non è, deve fare quello che non fa. Si argomenti da quest’altro rac- conto di Byron a Medwin. ‘ Durante il mio soggiorno in Gi- nevra, la mia salute era pur troppo in pessimo stato, e in istato peggiore si trovava il mio spirito. Ma il riposo e il lago, migliori medici del mio buon Polidori, giovarono molto a ristabilirmi. La vita ch’io conduceva era la più morale che mai avessi condotta. Nondimeno la mia riputazione non vi gua- dagnava nulla; e si facevano sul conto mio racconti i più assur- di. ,, E seguitava a dire dei canocchiali che si piantavano con- tro di lui dall’altra sponda del lago, degli esploratori che gli tenean dietro nelle sue passeggiate in carrozza; delle accuse che gli fecero a madama Staél, cui visitava di tempo in tempo nella sua villeggiatura di Coppet. “ Una volta ella m’invitò ad un pranzo di famiglia. Trovai la sua sala piena di stranieri venuti per guardarmi, come fossi uno ‘di que’ strani animali » che si mostrano ne’ gabinetti di rarità. Una signora, al miò com- parire, cadde in deliquio; e all’aria del resto della compa- pagnia ben pareva che vi fosse entrata nel mezzo sua satani- 49 ca mnestà. Madama Staél si ‘prese la libertà di farmi, pre- sente quella folla, una buona ramanzina; ed io mi contentai di risponderle con un 4 /ong bow, vi son servitore, ,, Ma co- me mai, soggiugnerà taluno, tanto consenso d’opinione sfa- vorevole s’ei non l’avea meritata? — Oh! nòn ho detto «a principio con che facilità si ripeta 1’ eco della malevolenza ? E avrei anche potuto aggiugnere (or me ne avveggo ) l’eco della semplice credulità. Byron stava in letto a Patrasso con una febbre ardentissima. E in Londra sì giurava nel giorno mede- simo ch’egli era stato a San James, e avea scritto il suo no- me nel libro in cui s’inscrivevano quelli che andavano ad in- formarsi della salute del re. Più ragionevole è il credere alle parole delle sue conver- sazioni; tanto più ch'egli non sapeva che sarebbero scritte; onde possono accettarsi per sincere anche da quelli che avreb- bero diffidato delle sue memzorie. Molte cose abbiamo già ri- ferito di queste conversazioni, e debbono far conoscere ab- bastanza il fondo del suo cuore. Ma non abbiamo ancor detto nulla di un affetto, che non può esscre vivamente sentito che dai buoni, e che racchiude in se medesimo il germe di molte virtù; voglio dire l’ amicizia. Un giorno Byron parlava a Med- win della sua vita di collegio e gli diceva : ‘# Ho avuto de’ mo- menti, in cui mi sarei potuto chiamar felice nel collegio di Harrow , se non fosse stato un collegio, — Oh vi è là en luo- go, che amerei pure di rivedere! — Quel. suo campestre cimi- tero avea per me un’ indefinibile attrattiva. Io vi stava sedu- to rimpetto le ore c le ore; e pensava, e piangeva, e brama- va d’ esser ivi sepolto. — Di tutti i miei camerata d’allora io non mi rammento altri, per cui abbia conservato tanto affetto, come per lord Clare. Da che seppi ch’egli era in Italia, non ho quasi lasciato passare ordinario senza scrivergli. Qual piacere quando lo rivedrò; quando standoci insieme ci raccon- teremo lo nostre antiche storie di collegio ! — Avvi piacere nella vita che uguagli quello di ritrovarsi con un amico dell’infan- zia? — Voi sapete qual fu il mio trasporto nell’ incontrarmi con Hay. Perchè Davies non è venuto a vedermi ? Qualcu- no mi ha detto ch'egli era a Firenze: — impossibile . ,, Abbiamo più sopra nominato Shelley fra i particolari amici di lord Byron. Si erano conosciuti a Ginevra nell’ estate del 1816; ma si stimavano già da un pezzo pei loro talenti poe- tic:, quantunque fossero assai discordi per le loro opinioni me- tafisiche. Byron avea reso a Shelley il più lusioghiero suf- T. XVII. Gennaio & di 50 | fragio in una nota ai Due Foscari; Shelley, per quanto di- cesi, rese a Byron un gran servigio contribuendo co’ suoi con- sigli alla perfezione del Manfredo, del Prigioniero di Chillon e del terzo canto del Child Harold, che gli fu pagato (ed egli allora ne aveva bisogno ) più di due mila sterlini. Si di- staccarono a gran pena l’uno dall’ altro; ma Shelley dovea ri- ra in Inghilterra, ove non aveva per anco esaurita quella tazza i dolore che la sorte gli destinava . È difficile trovare in tutta : storia letteraria un ingegno più singolare e più sventurato : ragione troppo potente perchè Byron lo amasse oltre ogni di- re. Nel 1818, se non m’inganno, Shelley lasciò per sempre la patria, e venne colla sua giovane sposa a cercare qualche riposo in Italia, che lo avea innamorato di sè: testimoni i suoi canti di viaggiatore sul lago di Como e negli Euganei. A Ve- nezia strinse viepiù i suoi legami d’amicizia con Bien e dopo alquanti mesi di soggiorno a Roma e a Napoli, il raggiunse di nuovo in Toscana ove passò gli ultimi quattro anvi della sua breve, e infelicissima vita. Già da due mesi i due amici si vedeano giornalmente: erano divenuti necessari l'uno all’al- tro. Quando Shelley che, come Byron, avea sempre avuto un gran trasporto pel mare, essendosi imbarcato alla volta di Ge- nova, naufragò fra Livorno e Lerici, e di 29 anni compì sventn- ralissimamente la sua troppo sventurata' carriera. Quindici giorni dopo il naufragio il suo corpo non era ancora discoperto ; e quando lo fa non era più in grado d'essere trasportato. Si pensò ad arderlo onde inviarne le ceneri a Roma, ove l’infelice avea mostrato desiderio d’essere sepolto; e Byron, come esecutore delle sue ultime volontà, partì di Pisa per assistere alla do- lorosa cerimonia. Ciò intese Medwin, giugnendo in questa città la sera dei 18 agosto del 1822. Anch’egli partì quindi in tutta fretta il giorno seguente per le coste del Mediterra- neo, ove trovò all’ancora un legnetto di Byron presso una capanna solitaria coperta di giunchi al piè d’un vecchio tron- co d’abete quasi disseccato. Le onde del mare erano azzurre ed in calma: vedeansi dall’una parte in lontananza 1’ Elba e la Gorgona; dall’altra le alpivcolle loro cime di bianco mar- mo, che pareano coperte di nevi: tutto all’ intorno era un deserto di arene, appena variato da alcuni cespi d’ erba, che il vento incurvava, e da alcune torri ivi inalzate ad uguali intervalli contro la peste e il contrabbando. Medwin inoltran- dosi vide alfine Byron ritto in piedi sopra di un rogo con un amico al fianco ( Trelawney ) e alcune guardie all’intorno ; DI mentre un altro amico (Hunt) non avendo coraggio di mirare l’orrido spettacolo che si preparava, stava chiuso in un cocchio, a cui erano attaccati quattro cavalli di posta sudanti e languenti sotto la sferza del mezzo giorno . “Il silenzio di quella scena non era interrotto che dai gridi acuti d’ una crecola solitaria, che attirata forse dall'odore del morto corpo si aggirava vicinissi- ma intorno al rogo, nè poteasi discacciare. Byron, guardan- do l’estinto amico: ‘ perchè, disse, questa vecchia cravatta di seta nera conserva meglio le sue forme, che il tuo misero corpo? ,, Appena compita la cerimonia, egli, forse per dissipar- ne l’impressione, si lanciò al mare, e giunse nuotando al suo legnetto, che era a qualche miglio di distanza. Ma non era uscito dall’onde che il prese una febbre, la quale divenne vio- lentissima prima che egli fosse di ritorno alla sua Pisa. Shelley , l’infelice e calunniato Shelley (se vi piace di ben conoscerlo o lettore ) ha lasciata chiara memoria de’ suoi inti - mi sentimenti nelle sue ultime composizioni specialmente. 4/a- store o lo spirito della solitudine ( modello, secondo Medwin, di versi armoniosi benchè sciolti da rima ) è un grande. inno alla natura di cui il giovane poeta era contemplatore entusia- sta. Dimorando nella contea di Buckingam, poco prima di par- tirsi per sempre dall’ Inghilterra, dipingeva in esso le scene maestose e selvagge, che I’ Elvezia avea offerto a’ suoi sguardi. In Roma, aggirandosi fra le rovine de’ bagni di Caracalla, ten- tava di far rivivere una tragedia d’ Eschilo perduta , il Promce- teo liberato . Il senso recondito di questa sua poesia è la ri- forma sociale o il miglioramento dell’ uman genere, grande e quasi unico scopo di tutti i suoi scritti, ai quali bisogna per- donare in grazia di esso molte bizzarrie e molte illusioni. Una seconda poesia tragica egli scriveva in Roma, il cui titolo è Cenci: Byron la stimava superiore a tutte le tragedie inglesi di questo secolo , e degna de’ primi posti, dopo qhelle di Shake- speare. Qui in Toscana, sotto gli occhi di Byron medesimo, ei finiva la sua carriera poetica con un altro dramma, intito- lato l’ Ellade o il trionfo della Grecia , ultimamente tradotto in greco, e dedicato al suo amico Maurocordato, che Pouque- ville chiama, se ben mi ricordo , il moderno Focione. È impossibile parlare delle amicizie di Byron, senza par- lare delle sue opinioni intorno agli scrittori contemporanei , di cui era l’amico. Chi sa cos’ abbiamo perduto anche per que- sta parte, perdendo le sue memorie ! Quindi abbiamo tanto maggior motivo di tenerci care queste sue conversazioni, fram- 52 mento prezioso di ciò che passava nella sua mente . È sin- golare, egli diceva a Medwin, ch'io possa contare adesso fra miei più intimi amici quelli che furono il principale soggetto della mia satira de’ Poeti Inglesi. Io non ho mai ritrattate le mie opinioni sulle loro opere, non ho mai cercata la loro conoscen- za; ma vi hanno degli uomini, che sanno perdonare e oblia- re ,,. Ciò dicea particolarmente in proposito di Moore, a cui avea affidate le sue memorie, e che forse non aveva obliato del tutto le antiche offese , o almeno se ne ricordò nell’istante che potè risolversi a gettare quelle memorie alle fiamme . La riconciliazione di Byron con lui peraltro era stata generosissima; e se avvi qualche cosa di più generoso è questo lodarlo che ora faceva di perdono e di oblio. Moore nella sua irritazione gli aveva scritta una lettera in forma di cartello , che andò smarrita. Alcuni anni dopo, quando Byron tornò in Inghilterra, non dubitando che gli fosse pervenuta , desiderò cancellarne I’ impressione , e gliene fece parlare da Rogers ,,. Che imba- razzo per me! diceva Byron. Una mano mi presentava una pistola ; un’ altra mi si stendeva in segno d'amicizia . Se la lettera veniva trovata da altri che da me, cosa si sarebbe pensato? Volle la mia buona sorte che la trovassi io medesi- mo, e la rimandassi a Moore col sigillo intatto. D’ allora in poi siamo stati i migliori amici del mondo; anzi egli è il so- lo, con cui io abbia tenuto sempre un carteggio il più rego- lare ,,. — Byron confessa , dirà il lettore, che la nuova ami- cizia cogli scrittori non gli ha mai fatto ritrattare le opinioni già esternate sui loro scritti. ‘Qual era l’opinion sua sugli scritti di Moore ? — Possiamo raccoglierla da questo passo ch° io riferirò. Un giorno egli diceva a Medwin d’ avar avuta l’idea d’ ag- giugnere una scconda parte al suo Mistero del cielo e della terra, e dopo avergliene esposti vari particolari, soggiugneva : ,, pensai altresì di condurre i due amanti in alcuno de’ pianeti, verbigrazia nella luna; ma non è facile alla fantasia il crea- re un mondo più bello del nostro. Quanto alla luna, mi ri- cordo che Fontenelle dice ch’ essa non ha atmosfera, e che le sue macchie oscure sono caverne in cui dimorano i suoi abi- tatori. E inverità temeva, collocando i miei amanti in simile soggiorno , di far perdere loro ogni umana attrattiva. Fu un complimento irlandese ma ragionevolissimo quello di Jeffrey riguardo al poema di Lalla Rockh del Moore. Notò che gli amo- ti de) suoi eroi erano proprio amori d’ angeli, volendo dire che non somigliavano a nulla in sulla terra. Che dirà egli del 53 suo poema degli Amori degli Angeli ? Non gli resta a dire se che non somigliano a nulla nel cielo ,,. Moore, per quello che apparisce da qualch’ altro passo delle confessioni , amava poco le critiche verbali, che talvolta Byron faceva alle sue poesie. Meno, probabilmente, avrà amate le scritte , che forse si trovavano nelle memorie. Pure è da presumersi che vi si trovasse unito qualche suffragio conforme a queste lusinghiere parole che Medwin ci ripete : ,, Moore è uno de’ pochissimi scrit- tori, che sopravvivranno al nostro secolo, il qual riceve da lui sì bell’ornamento . Le sue melodie irlandesi colle loro note pas- seranno sicuramente alla posterità, e dureranno quanto l’ Irlan- da, la musica e la poesia ,,. E di Hobbause, complice pur troppo dell’ arsione delle sue memorie, che pensava egli? voi domandate. ,, Hobbause è il più antico e il migliore de’ miei amici. Di quante scene sia- mo stati testimoni insieme! La nostra intimità cominciò a Gam- bridge. Noi menavamo allora lo stesso genere di vita: ci fa- cemmo poi compagnia viaggiando gran parte dell’anno 1809, e dei due seguenti. Egli assistè alle mie nozze, ed' era meco nel 1816 dopo la mia separazione. Era pur meco a Venezia e a Roma nel 1817. Quasi tutto il mio Childe Harold fu com- posto, mentre eravamo insieme , ed io non potea mostrargli meglio la mia riconoscenza che dedicandoglielo ,,. Indi parlava della dissertazione dell’ amico sulla letteratura italiana, ben su- periore, secondo lui, alle note che fece al Childe Harold, che pur son piene d’ una profonda conoscenza dell’ antichità, e finiva lodandosi del di lui cuore eccellente, marrando come qualch’ anno innanzi , al falso anruncio della sua morte in Gre- cia, era svenuto di dolore. Questo nome della Grecia, per la quale Byron ebbe sempre un sì vivo trasporto , anche prima d’imaginarsi che sacrificherebbe se stesso alla sua rigenerazione, ci fa pensare ad un grande scrit- tore che divide con lui la gloria di avervi contribuito , come divide con lui, ma in altra proporzione, la gloria dell’ in- | glese parnaso. Ciascuno sente che noi parliamo di Walter Scott, quantunque non lo abbiamo ancor nominato fra gli amici di Byron. Divenuto ricco pei favori delle Muse ei credette do- vere, come Byron, consecrar parte delle proprie dovizie alla pa- tria delle Muse, benchè le sue opinioni politiche fossero assai differenti da quelle del suo nobile amico . Pare che questi scri- vendo da Genova poco innanzi alla sua seconda partenza per la Grecia al sig. Beyle ( lo spiritoso autore della storia della 54 pittura italiana e delle vite d'Heyden, di Mozart e di Rossini ) conosciuto sotto il nome di Stendhal, gliene paghi un tribu- to di gratitudine. ,, Trovo.nel vostro opuscolo ( sopra Racine e Shakespeare ) alcune osservazioni, su cui vi prego a permetter- mene alcune .altre. Esse riguardano Walter Scott, le cui ope- re vi sembrano meritamente ammirabili, ma il cui carattere è secondo voi, poco degno d’ entusiasmo. Io conosco Walter Scott da lungo tempo; lo conosco molto , e l’ ho veduto in circostanze che fanno ben chiaro il vero carattere dell’ uomo. Posso dunque accertarvi che il carattere suo è degno d’ammi- razione , ch’ egli è il più /eale, il più onoruto, il più ama- bile degli uomini. Quanto alle sue opinioni politiche , poi ch’es- se differiscono dalle mie, non mi è facile parlarne. Ben vi di- rò che nelle sue opinioni egli è sincerissimo ; e laf,sincerità può esser umile ma non può mai essere servile. Vi prego dunque di correggere o di addolcire la frase che avete usata a suo ri- guardo . Voi attribuirete forse. questa mia sollecitudine offi- ciosa ( che altri chiamerebbe affettazione di candore ) a non so quale interesse d’autore , poichè anch’ io vo stampando dei libri. Ma io sarò contento di qualunque interpretazione , pur- chè crediate la verità. Walter Scott, ve lo confermo, è il più eccellente uomo che possa imaginarsi ; ed io lo so per espe- rienza _,,. A Medwin diceva un giorno che Walter Scott era uno degli scrittori meno. gelosi del suo tempo, come quegli che dovea confidar troppo in sè medesimo per temere i suoi rivali. Egli ha scemata, gli soggiugnea , la sua riputazione di pocta con quella che si è acquistata come prosatore. La for- za e la pieghevolezza del suo talento nell’ arte di scrivere è tale, che se il mondo ( ciò che mi sembra impossibile ) venis- se a stancarsi de’ suoi romanzi, egli potrebbe applicarsi a qua- lunque altro genere di composizioni ed essere sicuro di riu- scirvi. Quanto ai romanzi egli ne parlava con questa predile- zione : ,, Io non viaggio mai senza di essi: sono una vera bi- blioteca : un tesoro letterario inapprezzabile. Potrei rileggerli ogn’ anno e con sempre nuovo piacere ,,. Byron ( e in ciò non veggo che possa tacciarsi d’ orgoglio ) era piuttosto sul rifiutare che sul ricercare nuove relazioni . Quella sola di Goéthe , a ciò che sembra, fu per lui oggetto di vivo desiderio. ,, Io mi compiaccio, diceva a Medwin, pen- sando che fra il suo e il mio carattere , fra il suo e il mio scrivere possa trovarsi certa somiglianza ,,. L'autore di Caino, soggiugnerà taluno, dovea necessariamente sentirsi portato ver- 5a, so quelio di Faust. Infatti egli era curiosissimo di quanto a lui si riferiva. E come non sapeva il tedesco ( sapeva il fran- dese ma nol parlava: l’ italiano sì perchè di tanta dolcezza che n’ era vinta la sua insofferenza ) aveva offerto cento lire sterline a chi gli traducesse le memorie di quel poeta per la sua lettura particolare. Goéthe, a rincontro, provava anch'egli per Byron una singolare simpatia. Il poeta tedesco (egli scri- veva di sè medesimo a Medwin nel luglio dello scorso anno ) abituato da lungo tempo a pesare imparzialmente il merito de- gli uomini celebri del suo secolo, sperando che questo fosse un mezzo di accrescere il proprio, dovea certamente fissare la propria attenzione sopra lord Byron. Egli vide con meraviglia spuntar l’aurora di questo grande e precoce ingegno , e ne se- guì costantemente i progressi nella sua brillante e troppo pre- sto interrotta carriera. Vide la pubblica ammirazione per lui andar crescendo col successivo perfezionamento delle sue ope- re, le quali si teneano dietro le une alle altre con tanta ra- pidità ; e vide altresì i suoi amici rammaricarsi in mezzo alla loro gioja; perchè il volo della sua imaginazione sublime fosse spesso rallentato dall’ inquietudine delle sue passioni che il ren- devano infelice. Intanto , per non precipitare i giudizii, segui tava ad osservare e quest’ agitazione e quel volo, che pareva- no fra loro in tanta opposizione, e presentavano un fenomeno non più veduto ne’ secoli trascorsi. Byron anch’ egli pareva pure attentissimo al poeta tedesco , e non solo dava segni di conoscerne le opere, ma ancora di bramare la sua relazione inviandogli non di rado saluti amichevoli. Non contento di ciò gii fece indirettamente comprendere che gli avrebbe intitolato volentieri la sua tragedia del Sardanapalo , ove fosse assicu- rato del di lui aggradimento, che già non potea mancargli. Il tedesco , peraltro, che ben sentiva come il proprio nome non poteva dare alcun lustro a quello di un ingegno sì elevato , t riconosceva dalla sola sua generosità il pensiero di quella in- ttolazione, non fu punto commosso, quando vide apparire la tragedia senza di essa, e gli bastò di possederne una copia in ltografia, pegno lusinghevolissimo di sì cortese pensiero. Or mentre si preparava a dargli un pubblico e durevol. segno della sia gratitudine, ricevette a Weimar, per mezzo di un genti- l: viaggiatore , un breve suo foglio datato da Genova, e udì id un tempo ch’egli si disponeva a recarsi in Grecia , a cui tra deciso di consecrare i suoi talenti e le sue fortune. Quin- li, più non potendo rattener sè medesimo » gli inviò alquanti w/% DIO versi, che gli giunsero nelle mani a Livorno, ove per tempe- sta insorta, dopo avere trascorso alquanto di mare', fa costret- to a retrocedere . ,, Il dì innanzi alla sua partenza, che fa il 23 luglio 1823, egli trovò il momento di farmi una rispo- sta piena delle più belle idee, dei più divini sentimenti. Io la conserverò fra le mie cose più care come una testimonian- za preziosa della sua stima e della sua amicizia. Quanta gio- ja, quante speranze essa aveva in me eccitato! Di che sospiri oggi mi è cagione, per la morte immatura del suo nobile au- tore! Io non posso guardarla , pur troppo , senza sentire ag- gravarsi sopra di me la tristezza che per questa morte è sparsa su tutto il mondo morale e poetico . Poichè applaudendo agli sforzi generosi di un genio così sublime , di un amico sì feli- cemente acquistato , io già andava vagheggiando il giorno del suo ritorno , jin cui lo avrei salutato come il più umano dei conquistatori ,,. _ Non trovo nelle conversazioni di Byron, nè in alcuna par- te della notizia biografica loro premessa, ch'ei fosse legato di pari amicizia con. altri dotti stranieri. Trovo solo che, parlando del suo soggiorno in Ginevra , egli dice: ,, e mostrai sempre a Sismondi il più grande rispetto. ,, Quanto alla Staél, ei 1’ avea conosciuta in Inghilterra qualch’ anno innanzi, e pare che fosse molto addentro nel suo affetto, se il mondo pensava ch’ ella potesse dargli in isposa sua figlia, or duchessa di Broglie. Egli ne parlava a Medwin con certa tenerezza, ma in modo da la- sciarci credere che mancasse o all’ uno o all’ altra qualche co- sa, per istabilire fra loro una perfetta corrispondenza ,,. Ma: dama di Staél aveva un gran talento per la conversazione, una volubilìtà di linguaggio, che facea meraviglia. Si diceva un giorno d’ una società numerosa, in cui tutti sforzavansi di brillare : non v'è alcun di loro a cui resti un pensiero da portare a casa. Nella società di madama questo non poteva avvenire. Ella era spesso importuna ( altri dicono indiscreta ) nelle sue interrogazioni, Io peraltro non ne fui mai offeso, poichè sapeva, che non gliele dettava una vana curiosità, mi il desiderio di penetrare il carattere delle persone. Onde pe. netrare il mio ( veramente vi bisogna uno scandaglio un po’ lun: go ) ella si dava una sollecitudine infinita. Una volta mi do; mandò s’io mi stimassi ben descritto nel romanzo di G/ener. von allora in gran voga, e alle cui menzogne molta. buona gente dava credenza. Io non trovai di strano nella sua do- manda che la bruschezza con cui mi era fatta. Mai non ho i _-oneiitei 97 conosciuto donna di maggior buona fede che madama Staél : e questa buona fede proveniva realmente della bontà del suo cuo- re. Essa vedeva con pena i miei dissidii con lady Byron, 0 piuttosto quelli di lady Byron con me, e potendo molto sul suo spirito ( meno di sua madre, ma più d°’ ogni altra per- sona , il che non è poco ) fece, credo, quanto potè per ope- rare una riconciliazione. Era proprio la miglior creatura del mondo. Ma le donne, continuava , quasi mai non veggono le cose pel loro diritto, o come dovrebbero : sono tutte come le figuranti dell’ opera, che fanno cento pirdette, per tornare al punto onde sono partite. Così madama Stael era talvolta biz= zarra e indefinita nella sua maniera d’esprimersi; e sforzan- dosi d’ esser nuova diveniva oscura e inintelligibile . Che idea era la sua, per esempio, quando diceva che Napoleone era un sistema e non un uomo? Non credo ch’ei sapesse tutti i sar- casmi ch’ella aveva continuamente in bocca contro di lui, o sapendoli, forse li credeva di poca importanza . D'altronde egli era tanto da lei ammirato, che avrebbe potuto affezionarsela con una parola ,,. Medwin, fra questi discorsi, gli fece av- vertire ch’ era un po’ difficile il conciliare le diverse opinioni da lui medesimo manifestate nelle sue poesie intorno a quel grande , di cui serbava qual reliquia una ciocca di capegli man- datagli dalla sorella sua mistress Leigh , come la notizia ci nar- ra. Ma egli rispondeva; ,, come avrebbe potuto essere altri- menti ? alcune mie poesie prima di tutto dovrebbero riguardarsi come traduzioni , poi ch'io vi parlava il linguaggio d’un fran- cese e d’un soldato: poi Napoleone fu la sua propria antitesi , se così posso esprimermi: fa un glorioso tiranno ,, . Queste ultime parole, ne sono certo , portano il vostro pensiero, o lettore, sulle sue opinioni politiche, e vi fanno desiderare intorno ad esse qualche sua confessione . Se non che di politica propriamente detta pare che egli poco si curasse; e il modo con cui parlava degl’ intrighi a cui si dà il nome di politica non lascia credere ch’ ei fosse per prendervi parte . » Due volte sole , egli diceva a Medwin, ho parlato nella ca- mera dei pari; e fui avvisato che la mia eloquenza non si tro- vava degna che della camera dei comuni: mi figuro che fosse un’ eloquenza alla Don Giovanni ,,. Una di queste due volte se vi piace saperlo o lettore ) fu per una rissa di Manche- ster ; e l’altra per la questione tante volte agitata de’ cattoli- ci d’ Irlanda. E Medwin nota che persona presente al suo di- scorso sopra questa questione gli narrava che tutti i pari, quan- 58 tunque la maggior parte da lui discordanti, lasciati i loro seggi si accerchiarono intorno a lui; segno, se non di una- nime adesione , certo di unanime applauso. Il processo della regina fornì a Byron, dice la notizia biografica premessa alle confessioni, una terza occasione d’ esprimere seriamente il suo pensiero come inglese e come membro del parlamento. Del re- sto ei confessava che, piuttosto che agli affari del suo paese’, pensava al bene dell’uman genere ,,. Io sono diventato citta- dino dell’ universo. Di nessun uomo io invidio tanto la sorte come quella di lord Cochrane. Il suo ingresso a Lima, che veggo annunciato ne’ fogli, è uno de’ grandi avvenimenti di questo tempo . Maurocordato , che voi sì ben conoscete, è pur degno de’ più bei giorni della Grecia. Il patriotismo e la virtù hanno ancora albergo in qualche cuore, ,,. E qui con- tinuava , applaudendosi di aver profetizzato nel Child Carold e in altre sue poesie l’eroico risorgimento de’ discendenti dei Leonidi e de’ Milziadi, e manifestato , presente anche Shelley; un primo pensiero di prendervi parte. Quando vi fu deciso (leggo nell’ appendice alle conversazioni ) scrisse da Genova ad uno de’ suoi intimi amici, che quasi mai non lo avea lascia- to, e allor trovavasi a Roma: ,, Trelawney avrai sentito ch’ io vo in Grecia ; perchè non vieni a vedermi? La Grecia ( par- lo seriamente ) è il solo paese ov’ io mi sia sentito felice . Non ti ho scritto prima, per non farti fare un viaggio inutilmen- te : ora la mia risoluzione è presa, e non può cangiarsi. Si dice ch’ io posso essere molto utile alla Grecia: veramente non so come, nè credo che altri lo sappia: ma si provi; addio ,,. Trelawney, che lo conosceva assai bene, attribuiva la sua ri- soluzione ad un magnanimo desiderio di farsi un nome grande per le sue azioni, come già se lo era fatto pe’ suoi scritti. L’ode, ch’ei compose poco tempo innanzi alla sua morte sul trigesimo sesto anno che allor compiva della sua vita, prova evidente- mente al parer suo questo nuovo desiderio ,,. Tu piangi, ei dice in essa a sè medesimo, la tua gioventù che sen vola? Perchè seguiti a vivere? Tu sei sopra una terra ove ti è fa- cile cercare una morte gloriosa. All’ armi, adunque, all’ armi. La Grecia non ha d’uopo della tua voce per risvegliarsi: ben tu hai d’uopo di risvegliarti, o mio coraggio ! ,, E già al pri- mo giugnere nella terra classica delle muse e della libertà si era cinto di quaranta prodi compatrioti dell’ eroe della Selleide, Marco Botzaris. E questi sul punto di battere i turchi a Car panissi e vietar loro l’ ingresso dell’Acarnania , scriveva ralle- 5 grandosi dell’ arrivo del nobile poéta , e mostrandosi dpi te di raggiagnerlo e di unirsi a lui. Ma, riportata la vittoria, non ebbe tempo che di ada- giarsi , coperto com’era di ferite, sopra un letto di allori e - rendere il suo magnanimo spirito. Lasciava però un fratello , lasciava un figlio, eredi della sua fama e della sua virtù. E questi si accostavano a Byron e al suo Trelawney, che lo aveva accompagnato , ed ebbe titolo di suo ajutante di cam- po; quando a lui fa dato quello di comandante generale de- gli stranieri ausiliarj. Questo Trelawney (bisogna pur cogliere l’ opportunità di far conoscere un altro prode ) andato a visi- tare nell’ ottobre del 1823 la città allora assediata, che fu poi sede del governo, ed ove Byron fra pochi mesi dovea finire la sua vita, gli scriveva in modo degno d’ambidue: ,, Il pre- sidio di Missolonghi è composto di quegli intrepidi sulioti, che condotti dal fu Marco Botzaris diedero e vinsero trenta batta- glie. Or sono rinchiusi; la città è minacciata ; e se cede, Atene è in pericolo, e innumerevoli teste cadranno sotto la scimitarra de’ barbari. Con alcune migliaja di piastre si po-- trebbero mandar navi in soccorso di essa e. de’ valorosi che la difendono . Parte della somma è già in pronto: zo farei far mone- ta del mio cuore per salvare questa chiave della Grecia ,,. Fu un tempo in cui Byron pensò di trasferirsi nell'America setten- trionale. Gli americani, diceva , sono l’unico popolo a cui io non ricusi di manifestarmi interamente : sento un vero bisogno della loro stima. Sul punto di partire per la Grecia fu eccitato da alcuni di essi, ancorati con lui in un medesimo porto, a seguirli fino alla città che s’ intitola dall'amore de’ fratelli. Egli non pareva ancora ben certo nè di ciò che potrebbe fare per la Grecia, nè di ciò che la Grecia stessa potrebbe . E di quei giorni appunto ne scriveva per consiglio ad uno de’consoli ame- ricani, il sig. Curch, dicendogli : ,, un cittadino degli Stati Uni- ti, più che altri qualunque , ha diritto di additare ad una ri- sorgente nazione i mezzi di ottenere quella libertà, ond’ è glo- riosa la propria ,,. Quindi esitò alcuni istanti a rifiutare l’ in- vito: ma vinse in lui il sentimento che gli parve jpiù gene- roso . Le opinioni di Byron sulla gran questione che oggi divi- de e seguiterà forse a dividere il mondo letterario finchè il politico non si componga di parti concordi, sembra inutile chiederle alle sue confessioni, poichè le abbiamo impresse in tanti suoi scritti. Ei doveva dar tutto all’ ingegno e pochis- 60 simo al gusto, dirà probabilmente il lettore: una libertà illi- mitata doveva essere il suo gran canone letterario: una pre- dilezione decisa per la poesia del settentrione doveva regola- re tutti i suoi giudizii. — Questo discorso è ben naturale , e forse forse è giustissimo . Pure udite quello che Medwin ci riferisce. Un giorno egli entra da Byron , e lo trova mani ed occhi sul prospetto della nuova traduzione di Shakespeare in prosa francese. Gli fa qualche domanda in proposito , e Byron gli legge (ridendo sottocappa giusta il suo costume ) un pezzo della prima scena della Tempesta; gli cita Chateau- briand che nega agli inglesi un teatro , e aggiugne: ,, a ra- gione i francesi ci rimproverano la ridicolezza di mettere in iscena un personaggio dimbdo al prim’ atto e barbogio all’ ul- | timo. Sempre io sono stato partigiano delle unità, persuaso che non manchino soggetti facili a trattarsi d’un modo stret- tamente conforme alla regola che le impone. Chi sarebbe sì sciocco da sostenere che siano un fallo o un difetto ? Vedete le tragedie d’Alfieri, e ditemi ciò che loro manca. Pur egli mai non si allontana dai precetti degli antichi, e, dalla loro classica semplicità ,,. E proseguì, lodandogli il gusto italiano in proposito specialmente del Filippo e della Mirra; e scher- zando sopra il gusto inglese e tedesco , che pur crederebbesi il suo. ,, Era facile, nota Medwin, accorgersi che facendo queste riflessioni sul teatro, e dirigendole contro Shaskespeare parti- colarmente, lord Byron era mosso dalla spiacevole rimembran- za del poco successo ottenuto dal suo Marino Faliero e da certo sdegno contro i critici, che gli negavano il talento dramma- tico ,,. Poteva peraltro esser mosso nel medesimo tempo da un sentimento del bello , ch’ egli ancora non aveva avuto la sofferenza di analizzare, ma che in lui poteva molto, e sareb- be diventato predominante, quando si fosse calmata l’ agita- zione della sua vita. Sotto il puro cielo della Grecia , sotto quel cielo che ispirò Omero e Sofocle, Simonide e Tirteo for- s’ egli avrebbe mostrato col tempo come potessero di nuovo unirsi sulla terra l’ entusiasmo più vero e il gusto più inge- nuo . Veleggiando verso di essa nell’agosto del 1823 (ci narra l’ appendice alle conversazioni ) ei volle avvicinarsi all'isola di Stromboli, onde ammirarne il vulcano . Già egli era avvez- zo ne’ suoi viaggi. marittimi a passare gran parte delle notti nella tacita contemplazione della natura, che come Omero cer- cava di riprodurre ne’ suoi poemi. Le rive del Mediterraneo gli avcano fornite pitture senza numero; ma gli mancava an- 61 cor quella di un fenomeno, onde gli antichi trassero la favo- la dell’eterna fucina ove son fabbricati i fulmini a Giove. Con gran rammarico di Byron il vulcano di Stromboli , sempre ac- ceso, questa volta non dava fiamme. ,, Il maestoso vascello scorreva lentamente all'ombra dell’ antica montagna , e il poe- ta guardava intanto il corso melanconico dell’ onde, e sebbene si mostrasse immerso ne’ suoi ordinari pensieri , il suo occhio pa- rea più tranquillo, e la pallida sua fronte assai più serena ,,. Ecco un’ imagine di ciò che sarebbe stata la sua poesia nella patria delle Muse, terminata una volta la lotta sanguinosa che ancor dura fra la civiltà e la barbarie, ed ottenuta quella guerrieraje civile coro- na a cui egli aspirava. Certo almeno che in Grecia non sarebbe usci- to dalla sua penna verun componimento simile al Mistero o al Caino, che sembrano avere più d’ogn’ altro giustificato l’ epi- teto di satanica dato alla sua scuola . Egli se ne? difendeva con Moore, con Hobbause , con tutti gli amici. E scriveva a Murray; a cui per la stampa del Caino si minacciava un pro-. cesso: ,, se il Caino è blasfematorio, il Paradiso perduto an- ch’ esso lo è . L’espressione , di cui mi si fa un sì gran rimprovero : male sii il mio bene è tratta da quel poema, ove si trova in bocca di Satana. IP Lucifero del mio Mistero dice anch’ esso altrettanto. Se Lucifero e Caino parlano come il primo ribelle e il primo omicida sembra che dovessero par- lare, quasi tutti gli altri personaggi parlano anch’ essi con- forme ai loro caratteri. D’ altronde è sempre stato permesso ne’ drammi il linguaggio delle più violente passioni. ,, E a Me- dwin aggiugneva che Johnson, il quale sarebbe stato contento di poter gettare un’altra pietra contro Milton, lo assolve d'aver messa l’empietà e la bestemmia nella bocca de’suoi spiriti in- fernali; e gli citava il linguaggio di Mephistofele e del suo discepolo nel Faust di Goète , non solo ammirato ma rappre- sentato in Alemagna, paese , ei diceva, ove la morale non si rispetta meno che in Inghilterra. Queste cose noi le rammen- tiamo per far sentire che quell’ epiteto, di cui sopra si disse» è molto ingiusto; ma sempre ci duole che Byron abbia speso il suo ingegno in tali componimenti, che dessero motivo a si- mile epiteto. Non se ne possono accagionare sicuramente che i suoi eccessi di malinconia, i quali lo portavano a crearsi e colorirsi un mondo imaginario di un genere orribile. E ciò che Medwin dice dello scetticismo, che gli veniva imputato, moi lo diremo del diabolicismo di cui venne accusato il suo 62 genio poetico : non fu che accidentale. Più contento di sè, vivendo in un ordine di cose al cui stabilimento avesse egli medesimo contribuito , Byron sarebbe stato altro poeta: la sua fantasia si sarebbe rasserenata , i suoi scritti avrebbero portato l’impronta di pensieri e di sentimenti che forse nessuno in lui sospettava. Un dì, narrando egli a Medwin d’avere spesso avuto il desiderio d’inalzare a Pope un sepolcro in Westmin- ster, e ricordando che simile onore fu lungo tempo negato a Milton, e ancor mancava a Voltaire: quando mai, esclamò, impareranno gli uomini che ogni gran poeta, come si espri- me Coleridge, è necessariamente un uomo religioso? ,, Quel giorno, io credo , egli rivelò il suo più intimo secreto. Per- chè, quanto a certa dolcezza di affetti, di cui farebbero du- bitare lo scherno e l’amarezza, che abbonda ne’ suoi scritti ( altro motivo dell’epiteto di satanica dato alla sua scuola), già dai suoi scritti medesimi ne eravamo troppe volte avvertiti. Ma non avendo potuto raccogliere in poche ‘pagine lo spi- rito delle conversazioni ( come srchibe voluto il piacer nostro e la giusta curiosità del lettore ) raccogliamo a conclusione i prin- cipali tratti dell’imagine che ci presenta di lui chi ha regi- strate le conversazioni medesime . Fu questi presente al mo- dellarne che fece il nostro Bartolini quel busto sì espressivo, che poi abbiamo veduto in marmo, e dice che al confronto non potea desiderarsi cosa più somigliante. L’imagine da lui delineata colle parole avrà facilmente da chi conobbe l’ origi- nale la medesima lode . Byron, al dir suo, mostrò fino dall’ infanzia uno spirito alto e impaziente di freno, che una lunga minorità e la con- discendenza della materna educazione abituarono ad ogni specie di libertà, Accensibile ma generoso egli fu ognor pronto all’ira, ed egualmente pronto alla pace. Troppo otipogitaca per giusti- ficarsi quando avea ragione , o soffrire d’essere condannato quan- do avea torto , si arrendea però facilmente alle rimostranze dell’ amicizia , e ai consigli d’una rispettosa benevolenza . Ari- stocratico per nascita egli diceva ( poi ch’ era nipote al celebre ammiraglio del suo cognome; e dalla madre portava nelle ve- ne il sangue degli Stuardi ) lo sono egualmente per caratte- re. Le sue Ore di piacere e specialmente il suo Addio a Ne- wstcad mostrano che fin dagli anni più giovanili egli traeva gloria da’ suoi maggiori, Sembra però che non ne traesse una gloria vana. Perocchè, dolendosi che in non so qual porto gli fosse 63 fatta calar bandiera da un capitano di suna nazione, questo solo disse : ben avrebbero potuto rispettare in me il nome del gran- navigatore. Sebbene d’animo opposto alla politica esterna del- l'Inghilterra, ei ne amava gli statuti, e li augurava ad ogni paese che voglia inoltrarsi nella civiltà . Ma i suoi voti più caldi farono per la rigenerazione della Grecia, ove sempre era vissuto col pensiero , ed ove presagiva che avrebbe mandato l’ultimo sospiro. Si mostrò figlio pietoso , fratello amorevole , padre assai tenero , e se fu sposo infelice, non per questo lo chiameremo colpevole. L’ amore , benchè mal corrisposto , o forse perchè mal corrisposto, il fece poeta: più alti sentimenti gli dettarono sino al fine della vita versi sublimi. Non errereb- be, crede Medwin, chi nella poesia lo assomigliasse a Miche- langelo: ei tendeva al grande anzichè al perfetto: la profon- dità e l’arditezza sembrano il suo carattere distintivo. Confes- sava che scrivendo mai non sapeva ( per valerci d’una frase del suo Don Giovanni ) le parole che uscirebbero dalla sua penna: scriveva d’ ispirazione e quasi mai non si correggea . Qual è la più poetica delle sue opere? Chi vanta il Child Harold , chi il Manfredo, chi il Corsaro, chi altre. Diver- sità di giudizii , che prova la versatilità del suo ingegno , on- de potè eccitare l’ ammirazione in generi assai diversi. ,, Agli occhi de’ lettori superficiali o prevenuti parve ch’ei confondes- se sovente ( sarebbe stato tristissimo abuso di tanto ingegno ) il vizio e la virtù. Ma s’egli scoccò, per così dire, gli strali dello scherno su tutto l’ uman genere, quegli strali, ove ben si guardi, non erano diretti che contro l’ipocrisia , la vanità, gl’ intrighi del secolo, le basse passioni. Nessuno rispettò più di lui la libertà onde emanano le sociali virtù; nessuno fu più di lui portato ad esaltare la dignità dell’umana natura . Un’ a- zione generosa , una prova di nobile coraggio, di sincero pa- triottismo lo commoveano altamente , e gli ispiravano idee ed espressioni laminose. Ciò che gli ispirava il suo sdegno contro la tirannide o la corruzione piombava come la folgore dal cielo , e potea chiamarsi una gran punizione. E questa certa- mente (Goéthe nella lettera già citata si mostra dell’ istesso pa- rere ) fu la causa degli odi privati e politici di cui egli fu bersaglio. Se non che la sua forza si accrebbe coll’ oppressio- ne; e i clamori degli antagonisti , di cui egli si rideva, par- vero moltiplicargli in ogni tempo gli applausi ch’ ei non cer- cava. Egli non fu perfetto: chi può negarlo? Ma quanti uomini furono migliori di lui? Quanti fecero più bene e meno male 64 nella loro vita? La saa carriera fu breve e gloriosa, e si può scrivere sulla sua tomba come su quella di Ralegh: » Se i falli suoi rammenti, Rammenta le virtù: Fur aspri i suoi cimenti; Grande, ma uomo, ei fu ,,. M. ll PP —————————__P__1ÉÉm——_t "i All’ornatissimo Sig. M... Autore dell’ articolo intorno alle Poesie di LABINDO. ( V. Antologia Vol. XV- B. p. 1.) Quel giovane Uomo , che tenne con voi sì lungo di- scorso intorno alla persona ed alle Opere di Labindo, non fu solo a conoscerlo e ad amarlo. Anch'io lo conobbi e l’amai. Erano cessate le lezioni fatte da lui con tanto pla- uso nella Università di Pisa, ma non pertanto seguitava Labindo a frequentare quella città, ove concorre tanta gio- ventù studiosa, ed era l’amico e il maestro di quanti col- tivavano con amore le lettere e le scienze. Fra questi io vidi e quel Francesco Benedetti rapito poi da immatura tra- gica morte alle Muse , e quel nostro Petrini pien di filosofia la lingua e il petto, che cadde egli pure innanzi tempo pianto da tutti i buoni. Ed io fui sovente ammesso a quei soavi non meno che utili colloquj, allorchè reduce dal Collegio di Soreze , (1)e balbettante appena il patrio idio- ma, tornava ad apprenderne gli schietti e delicati modi dal facondo labbro di Labindo, ed ‘imprimeva nella mia mente ancor tenera i versi bellissimi della Decuria . Pieno di queste care memorie ho letto il vostro dia- logo critico, e l’effetto che ha prodotto sopra di me è in- descrivibile. Io vedeva Labindo accusato a vicenda, e difeso senza che di lui si desse poi decisiva sentenza. Ora egli mi compariva un uomo insensibile e freddo, che spin (1) In un prossimo fascicolo verrà inserita una succinta notizia intorno al suddetto celebre collegio. seit i 65 gendo la leggerezza fino all’egoismo ia faccia alle sciagure, ond’ è funestata la terra , mena vanto della propria indiffe- renza, quasi che nessuno soffrisse, poichè egli non soffre: ed ora un filantropo benefico , un amico della plebe op- pressa, e dalla stessa vostra bocca udiva celebrare fra le virtù del suo animo la schiettezza , e 1’ umanità ; ora mi si mostrava imbevuto de’ più profondi e sublimi precetti della filosofia : ed ora affatto digiuno di ogni filosofico sa- pere, al segno di non aver lette non che meditate le opé- re di Rousseau, e di Montesquieu ; ora finalmente vedeva in lui un’ infelice e servile imitatore, e poco più che tra- duttore del Venosino, ed ora l’ emulo suo glorioso , e de- gno perciò di essere chiamato 1’ Orazio Toscano . Ben mi doleva che aveste assunto le ingrate parti di censore , la- sciando ad altri il più dolce incarico di difendere la fama di Labindo; ma più mi doleva il dubbio che dopo una discussione sì lunga erasi fatto maggiore. Prestavate al vo- stro contradittore tutto il prestigio della vostra eloquen- za, e sebbene pur troppo faceste pendere la vittoria dalla vostra parte, quasi pareva che vi compiaceste di lasciarla incerta. Bensì nel rileggere le vostre critiche mi si para- vano dinanzi molte opportune risposte , che trovava poi con sorpresa taciute dal più zelante che sagace panegirista di Labindo ; ed ora non credo inutile il sottoporre queste mie idee al giudizio vostro , ed a quello del pubblico : im- porta ai molti superstiti amici di Labindo, importa ai sin- ceri suoi ammiratori che si chiarisca qual fosse il vero suo carattere , la sua filosofia, ed il suo poetico valore . Voi credeste di ravvisare in lui un Egoista : e quali indizj adduceste di una qualità si prava? non altro che poche strofe della sua Ode a Delio Ligure. (2) Danque pochi versi sfuggiti dalla penna ad un poeta varranno a smentire la. testimonianza di tutti coloro , che l’ avvicina- tono ? e mentre essi vi dicono che fu umano , compassio- nevole, e benefico, voi appoggiato unicamente a quei versi , (©) Lib. 2 Ode 3. T. XVII. Gennaio WI - 66 seguiterete a chiamarlo insensibile e duro? Quelle strofe ‘ medesime sun cui fondaste la vostra opinione non escirono dal core di Labindo; ma piuttosto gli furono suggerite da qualche reminiscenza oraziana.—Labindo cantava : A me che giova se il glacial Britanno, Del mar conservi l’ ottenuto impero ec. ed Orazio cantato aveva nell’Ode 26. del Libro I. e. im unt e = + Quis sub Arcto Rex gelidae metuatur orae : Quid Tyridatem terreat, unice Securus. e nella undecima del secondo : Quid bellicosus Cantaber, et Scythes, Hirpine Quincti, cogitet, Adria Divisus objecto, remittas Quaerere ec. , Io bevo e canto! ........... (esclamava Labindo) ed Orazio esclamato aveva nell’ode stessa ad Irpino Quinto: Cur non sub alta vel platano, vel hac Pinu jacentes sic temere, et rosa Canos odorati capillos, Dum licet, Assiriaque Nardo; Potamus uncti ? ec. Voi stesso mi porgeste armi valevoli a respingere il vostro attacco, allorchè rammentaste quel mecum Dioneo sub antro quaere modos leviore plectro (3), con cui vivolgendo- si alla Musa, termina Orazio l’ ode sulle. guerre civili. Crederem’noi per questo che egli vedesse con indifferenza le orribili fraterne stragi de’ suoi concittadini, quando ogni campo, ogni spiaggia, ogni mare, ogni fiume; erano conta» minati dal sangue romano? Quis non Latino sanguine pinguior Campus sepulcris impia praelia Testatur, auditumque Medis' Hesperiae sonitum ruinae ? Qui gurges, aut quae flumina lugubris Ignara belli ? Quod mare Dauniae (3) Lib. 2 Ode 1, «inàLit init tnt e n —_-_ n ——rr_———_eeo" e a 67 Non decoloravere caedes? ’ Quae caret ora cruore nostro ? è . è, » e non ha egli lasciato nell’ Epodo (4) espresso nel modo il più sublime tutto il ribrezzo che gl’ inspiravano le inte- stine discordie? Quo quò scelesti ruitis? ec. Così il moderno Orazio, che se una volta sola potè sem- brare indifferente e leggero , svelò poi tante altre volte i veri sentimenti del suo core generoso e sensibile , pianse le umane sventure , e chiamò su di esse l’ altrui compas- sione! Invano (egli diceva ) i saggi ahimé sì rari in terra ! Gridan che siam fratelli, invan sospirano ! È vittima la plebe in pace, o in guerra Di pochi avari, che fra lor si adirano (5): Nell’ ode sullo stato d’Europa nell’anno 1787 dipinge con sì vivi colori i sanguinosi e miserandi effetti della guerra, che resta egli stesso compreso dal raccapriccio nel rimirare l’orrida scena (6): Cadde Vergennes, del Germano Impero L’Eroe vecchiezza nella tomba spinse : Pace smarrita coprì il volto, e cinse Marte il cimiero : Rise Discordia non chiamato auriga, Saltò sul carro apportator di guerra, E con un guardo misurò la terra Dalla quadriga. D' allor percossa da maligna sorte Par che di sdegno tutta Europa avvampi : Spira su i mesti abbandonati campi Aura di morte. Ma ahimè d'’ estinti la campagna è piena; | Veggo chi spira, e chi rivolto al Cielo. . .. . + Musa ricopri di pietoso velo L’ orrida scena. Altrove mentre descrive i piaceri dell’ amicizia, lo ri- (4) Ode G. (5) Lib. 4 Ode 16. (6) Lib. 1 Ode 20, 608 scuote il periglio d’ Italia, e tosto si converte in doloroso l’ allegro canto (7) : Musa t’ arresta : un pigro gel mi morde Il caor, la destra si smarrisce debile , E le tremanti inorridite corde Rendono un suono doloroso, e flebile. Che se Labindo profondamente sentiva le universali calamità, più lo toccavano quelle della cara sua patria ; se- guitando con libero volo Petrarca e Filicaja, ora ne com- piangeva l’infelicità e l’avvilimento, ed ora ne rampogna- va l’ignavia e la stoltezza, e celebri sopra tutte le altre sue odi son quelle, in cui adempì il sacro uffizio di poe- ta cittadino. Ma forse era meno commosso dalle private che dalle comuni disgrazie ?.. . . . citaste qual monumento eterno della sua freddezza quel pianto stesso, che egli consacrò alla memoria della bella e virtuosa sua amica, e gli con- trapponeste l’ode di Orazio a Virgilio per la morte di Quintilio Varo (8). Chiunque però voglia instituire un tal. confronto troverà più negletto lo stile dell’ ode italiana, perchè l’ infelice poeta trovar non seppe Sì dura lima Rime aspre e fosche a far soavi e chiare ma vi scorgerà nel tempo stesso tutti i segni dell'immenso affetto che portava a quella cara Angioletta, e della de- solazione , in cui lo immerse una perdita sì acerba. Egli chiama a nome l’amata donna, maledice l’infida corte delle cui arti cadde vittima quell’ innocente, nè più forma al- cun voto che di seguitarla nel sepolcro: (9) Anelo teco esser congiunto,.teco Soavemente favellar d’ amore, E fuor di questo aer maligno e cieco Stringerti al core. Te omai partita quà dimoro invano. Altro non veggio in queste spiaggie odiate (7) Alla Conversazione di Anna Berte di Livorno, Zid. 2 Ode 2. (8) Lib. 1 Ode 24. (9) Lib. 3 Ode 23. 6) Che volpi, e lupi di sembiante umano : Che anime ingrate. La poesia dell’ode oraziana è più elegante e più ter- sa; ma pure finisce con quella rassegnazione , che fa ar- guire un debole e passeggero dolore: durum! Sed lavius fit patientia quidquid corrigera est nefas. Labindo è inconsolabile, egli non spera conforto nè dalla pazienza, nè dal tempo. Si lasci dunque al primo la pal- ma poetica, ma non si accusi di freddezza il secondo. Questi ebbe molti invidiosi, e molti nemici, e non mai tinse di amaro fiele i suoi versi, mai nominò alcuno fra quanti lo avevano offeso, e spezzando le ultrici Licam- bee saette, si contentò di ripetere ai Mevii: Il vostro biasmo la virtù non morde, Muore nascendo, e freddo oblio |’ assale (10). Ma non tacque ne’ suoi carmi il nome di alcun benefat- tore, di alcun ospite cortese (11) di alcun’amico. Tutte le culte e gentili persone d’Italia ricercarono la di lui ami- cizia, e se furono allettate in principio dalle produzioni del suo ingeno, lo amarono poi ben piuttosto per la bontà del suo animo schietto, espansivo, e riconoscente: egli ha tra- mandato ai posteri il nome de’suoi più cari i Belforte , i Boccardi, Forteguerri, Bertacchi, la filosofica famiglia de’ Vaccà-Berlinghieri, la dotta e amabile conversazione di An- na Berte, e Sproni, e Piazzini, e Brunetti, è quel suo ca- ro Zipoli saggio dal purgato scrivere, che sapeva Di lode mal donata avaro Far plauso al merto, e in regia corte vivere . A Zipoli sottoponeva Labindo quanti componimenti gli uscivano dalla penna, ed era di lui che diceva scriven- do al Cav. Scipione Piattoli (12) Chieggo i consigli e la censura amica Di un severo Quintilio: Il loro carteggio conservatoci dallo stimabile compilatore. (10) Lib. 1 Ode 25. (11) Egli aveva disegnato di scrivere un’ ode con questo titolo : ZL’ Ospita= lità , e doveva essere indirizzata al suo amico Luigi Frassi, che l'aveva accolto sovente in sua casa , quando si recava a soggiornare in ed ( 7.3 pag. 319. ) (12) T. 2 pag. 100, 70 delle memorie sulla vita del Fantoni fa manifesto qual fos- se la deferenza del poeta ai suggerimenti del critico, e quale la vicendevole e costante loro amistà : e costante del pari sarebbe stata quella, che l’unì sino dall’ infanzia al marchese Malaspina di Fosdinovo, senza lo spirito di parte, che corrompe ed avvelena anche i più saldi e du- revoli affetti (13). N’è rimasta almeno la traccia in molte poesie di Labindo, e segnatamente nel bel poemetto indi- rizzato allo stesso Malaspina. Voi che conoscete 1’ amici- zia, e sapete distinguerne gli accenti, rileggete i seguenti versi , e ditemi poi se non trovate in essi alcuna parola che vi scenda al core e lo commova, alcun suono che bra- maste di udir nuovamente al momento della vostra afflizio- ne? (14) Ospite io salgo nell’armata rocca De’ padri tuoi: tu m’ accogliesti: in volto Nunzia del cuor non ti ridea la gioja, Che sull’altera mal chiomata fronte S’ agitava una fosca nuvoletta ; Tentai tre volte sollevar le braccia Onde cingerti il collo, e oh Dio! tre volte Cadder delusi gli indecisi amplessi. Gelai di tema, che coperte avesse La lontananza le memorie antiche D'’ obliosa caligine profonda. Ma il mio timore era un inganno; appena Tu favellasti, nei soavi sguardi Tutta l’ anima tua candida apparve. Teco sei lune, quasi lieto sonno, Mi fuggiron veloci: altrove un cenno Del genitor mi chiama: ecco la notte Della mia tenerezza, e del mio pianto. I benefizj tuoi tento nè posso Numerar singhiozzando, e tu vorresti Consolarmi, ma invan. ..... m’abbracci, io parto; Da quel momento un sol destin ci strinse, (13) ,, Altro danno gli aggiunsero le disparità dell’ opinioni, cagionando- gli il disgusto di alcuni suoi amici, e segnatamente di Carlo Emanuelle Ma- laspina. ,, Memorie Istoriche T°. 3. pag. 288. (14) T. 3 pag. gu. 74 Nè sciorré ne potrà l’amato nodo D’astro maligno velenoso influsso, Aura lusinga di ricchezza, o figlio Di pallida viltà freddo spavento . Non dall’ urtar dei coronati nappi Nacque in noi l’ amistà sull’ebrie mense, Non dai lascivi garruli concetti Padri della licenza; e delle risse. Ci animò la virtù, la non velata Sincerità ci palesò l' occulta Somiglianza dei cuori, e li congiunse : Ambo cadremo nel promesso giorno , E nell’ istessa lagrimevol ora, Che taceranno dei tuoi colli i veltri, Dell’arpa mia s’ ammutiranno i nervi. La guateranno rispettosi appesa Alle pareti di deserta stanza I futuri cantori, e a quella appresso Non oserà di brancicar l’ imbelle È Col fiacco braccio il concavo tuo ferro Morte di belve dal fulmineo lampo. In riva al mar c’ inalzerà la tomba.‘ La pietà dei nipoti: un nuovo scoglio Serberà il nostro nome ; ai naviganti Diverrà segno fra l’orror dei nembi, E il ligure nocchier salvo dall’ onde Dirà, baciando le muscose pietre: Quì dorme il vate , ed ha l’amico accanto. Non meritava dunque di esser chiamato Egoîsta ques gli che fu compassionevole e benefico , ottimo cittadino , tenero amante, ed amico schietto e fedele; quegli che con- sacrò tanta parte della sua vita, all’ educazione della gio ventù, all’ insegnamento delle belle lettere in Pisa, al lu stro ed incremento delle belle arti in Carrara (15). Ed oh! così vivesse ancora come son certo che conoscendolo d’ap- presso negar non gli potreste la vostra stima ed amicizia, (15) Io sono grato ai moderni editori per aver pubblicato i discorsi pro- munziati da Labindo nell’ accademia di Carrara, non tanto per le utili idee che contengono, quarto e maggiormente perchè patlando egli ai soci ed agli aluns nì come a fratelli ed a figli, palesò meglio che in altri più limati suoi scritti tutto il candore del suo carattere, e l’operosa bontà del suo cuore. 72 e ragionando seco lui scorgereste non meno adorna di scel- ta OE l’ elevata sua mente , che fornito il suo cuore delle doti più rare. Egli ebbe amici il Filangeri, Cirillo, e Mario Pagano in Napoli; ed il senatore Francesco Gianni in Toscana: al primo consacrar veleva un'interessante ‘episodio nel Adi gettato suo Poema Georgico ; all’ ultimo destinava un’ ode »sulla pubblica felicità. Or crederete voi che l’amico di tali uomini non avesse attinto agli stessi filosofici fonti? ‘e che pago di aver dalle opere di Platone, e di Tullio, e dai ver- si di Flacco libato i precetti della vetusta sapienza, sde- gnasse di consultare anche gli aurei volumi della filoso- fia moderna? questi anzi facevano la sua delizia, e pere- grinando come soleva negli ultimi anni in varie provincie della Toscana, li voleva sempre compagni; ma sebbene abbracciasse forse con soverchio calore i principj del cit- tadino di Ginevra, e meditasse con ‘assiduità quanto: scrit- to avevano Montesquieu e Filangeri, non per tanto egli non credeva che la poesia fosse destinata ad interpetrare agli uomini tutte indistintamente le dottrine che si ap- prendono nel contratto sociale, nello spirito delle leggi, o nella scienza della legislazione. — Molte verità per sè stesse utili agli uomini di stato, ai rettori de’ popoli, ed ai popoli medesimi, sono di natura così prosaica che sde- gnano i poetici ornamenti : Ornari res ipsa vetat contenta doceri . ( Manil. ) Lo spirito analitico, la rigorosa deduzione e concate- nazione delle idee , quanto si richiedono in un libro det- tato in prosa, altrettanto repugnano alla poesia, e se quella che chiamiamo didascalica difficilmente perviene a supe rare questi ostacoli, non senza il sacrifizio di molte bel- lezze, (16) che sarà della lirica, avvezza ai più liberi vo- li, e schiva di ogni compassato andamento ? Tutti gli ama- (16) Vedete in proposito le Lettere sopra i Classici di Lorenzo Pignotti al senatore Mozzi impresse negli atti dell’Accademia Italiana, Lettera 4 Tom. 1 pag. 72. ( Anno 1808. ) xv 73 tori della vera poesia fecero plauso a Parini, quando così dichiarò Jo scopo de’ suoi versi: Va per negletta via Ognor l'util cercando La calda fantasia, Che sol beata è quando L’ utile unir può al vanto Di lusinghevol canto. ( La salubrità dell'Aria. ) E tutti convennero aver’egli conseguito questo duplice sco= po in que’celebri canti, i Cbe il lombardo pungean Sardanapalo ( Foscolo, i Sepolcri ) e nella canzone a Bicetti sull’ innesto del vajuolo, nel- l’anacreontica a Silvia, e nelle odi intitolate l’educazione, la laurea, la tempesta ec., ma in altre parve che troppo accordasse all’utile, e troppo poco al diletto (17) ravvisari- dosi piuttosto in lui l’amico dei Verri, e di Beccaria, che non il seguace di Pindaro, e di Orazio : vedete, il princi- pio dell’Ode su//a musica; e quest'altra, il cui primo; verso dichiara 1’ argomento: Venerabile impostura Io nel tempo almo a te sacro Vo tenton per l’ aria oscura Or se tanta potestade Hai quaggiù, col tuo favore Che non fai pur me impostore ? WropeLi cadiupprrvo Gig eta Di tua man tu il collo alquanto Sul mance’ omero mi premi, Tu una stilia ognor di pianto Da mie luci aride spremi E mi faccia casto ombrello Sopra il viso ampio cappello ec. (17) Bensì non poche sono all'opposto assai leggiadre, ma senza alcun’og= getto di pubblico, o privato vantaggio, e in questo numero devono riporsi: dé Brindisi, la Primavera, il Pericolo, Piramo e Tisbe, Alceste, il Dano ec. 74 . Non vi par forse di udire # pulchra laverna da mihi fallere da mihi justum’sanctumque videri del satirico?....,. ma ben altro era lo stile di Orazio nelle odi, che nelle satire, o ne’ sermoni. Voltaire da voi mentovato possedè la difficil arte di condire col riso le più importanti verità, ma non seppe vestirle di liriche forme ( forse perchè più alla prosa accostandosi il verso faceto che non il sublime, era più agevol cosa il tradurre nel primo che nel secon- do quelle filosofiche massime spiegate appunto in prosa dai loro primi ritrovatori ). Lo stesso accadde a Lamothe nelle sue odi tanto nojosamente scritte, quanto saggiamen- te pensate. Lebrun si mise per una diversa strada, e mi unisco a voi ‘salutandolo il primo fra i lirici francesi, sebbene egli non vada esente dai rimproveri di ampollosità e di neo- logismo, e stia. per la purezza, e l’armonia dello stile non poco al disotto di Giov. Batta. Rousseau e di Racine. Le- brun lungi dal piegare l’estro suo vivacissimo a sviluppa re poeticamente recondite ed astruse dottrine di morale, o di politica, prese ad illustrare le più ovvie, ma le più utili alla moltitudine , e le più atte nel tempo stesso a fornir materia nobilissima alla lirica. Le sue odi al giovane Ra» cine, ov’ è la bella Prosopopea del Dio. delle ricchezze, quella a Buffon contro i suoi detrattori, e 1° altra sulla morte di quel naturalista eloquente, altro non sono che splendidi commenti de’ più grandi ed universali principj di giustizia e di morale. L’ode ai francesi divenuti codar- di sotto il regno effeminato del decimoquinto Lodovico , quella sull’anarchia e quella sull’eroico fine del vascello vendicatore, altro non fecero che alludere ad avvenimenti contemporanei , o risvegliando il valore guerriero ne’ petti ove languiva, come fatto aveva Tirtéo , Tyrthaeusque mares in martia bella versibus exacuit, o celebrando le più nobili gesta, come fatto aveva Pinda- ro, non senza eccitare nella greca gioventù una emulazio- ne virtuosa; o ritraendo al vivo i lacrimevoli effetti degli er- rori, de’ vizij, e dei delitti popolari, come fatto aveva Ora= 75 zio. Or qual'è il segno, cui tendono le odi di Labindo, se non quello stesso , cui già mirarono e ‘Pindaro , e Tirteo, ed Orazio, e Lebrun? ; Inspirare 1’ amore de’ semplici e virtuosi costumi, far detestare la sfrenata ambizione, la sacrilega fame dell’ oro, ed il cruento fanatismo, dipingere le conseguenze funeste della guerra, svelare le insidie e le trame delle corti bu- giarde , tributare un dovuto omaggio agli uomini virtuosi in qualsivoglia, grado locati dalla fortuna, invitare i po- poli ed i cittadini alla concordia, ridestare l’amor sacro di patria e l’ energia nazionale; celebrare i trionfi degli eroi brittanni e le paterne virtù degli etruschi monarchi , ove furono mai più utili argomenti o più sublimi ? Questi ri- pongono Labindo in uno de’ primi seggi fra i poeti mora- listi italiani, di cui pur troppo è sì scarso ancora il nume- ro, e lo dividono dalla infinita turba degli inutili compo- sitori di sonetti, ottave, canzoni, ed. anacreontiche , dalla quale seppe scevrarsi per tempo ; nè colpa è sua se l’ edi- tore moderno ha volute conservare e raccogliere non po- chi suoi versi giovanili, che 1’ autore codannati avrebbe certamente alle fiamme ; ma in vece perirono i più robu- sti parti del suo ingegeno virile, e nella distruzione di qua- si tutti i suoi manoscritti, la di lui memoria salvare non potè se non quelle odi quasi tutte mirabili che pubblicò in Genova sotte il titolo di Decwria (18). E non sentite in esse al pari che in quelle di Pari= ni, e di Lebrun, la perpetua consonanza de’ versi con gli insegnamenti contemporanei della filosofia? Nè la moderna è poi tanto diversa da quella professata dal Venosino' nel- le odi morali, che poste l’ una all’altra accanto, ne resul- ti discordanza notabile; e non so comprendere perchè do- vesse Labindo scegliere piuttosto per suoi esemplari il can- tore di Laura, o il discepolo di Brunetto Latini. Se que- (18) ,; Per aderire alle premure di pochi amici vi offro in nitida edizio» ne di caratteri Bodoniani alcune odi) oraziane,. che nella perdita della mas- sima parte de” miei manoscritti la mia ‘memoria ha salvato della distruzione di un’anno tanto fatale all'Italia, e troppo 1rifame né’ fasti de’ popoli civi- lizzati. ,, ( Prefazione della Decuria ) sti due grandi poeti penetrarono molto addentro nella scien» za dell’ uomo, fu piuttosto frutto della loro esperienza e perspicacia , che non della filosofia insegnata in que’tem= pi barbari e superstiziosi , Ben diversi erano quelli in cui visse Labindo. Cancel- late omai quasi del tutto le nuove impronte, che nelle co- stumanze nostre stampate avevano dopo la caduta del ro- mano impero gl’invasori goti, o longobardi; presso che an- nichilato il mostruoso feudalismo ; succeduta alla scolastica una filosofia, la quale perchè più vera, più si accosta a quella degli antichi; dato alle scienze un più vivo im- pulso, e comunicato loro un movimento ognor progressivo; ricondotte le lettere al più alto grado di eleganza e di de- licatezza ; ingentiliti i costumi, e con gli esempj dell’ an- tico valore, ricomparsi ahimè! quelli de’ vizj che di Ate- ne e di Roma segnarono la decadenza; tanta somiglianza doveva a parer mio richiamare naturalmente il lirico mo- derno a cercare nelle odi oraziane modelli più adattati al- le circostanze ed ai tempi, di quello che fessero la Divina Commedia, o il Canzoniere . Ma Labindo attinse ancora ad ‘altre fonti, e non è ve- ro ch’ ei non conoscesse dell’uomo se non quanto ne cono- sceva il Lirico Latino, a cui d’altronde soprastava , e per l’ indipendenza dell’ animo e per l’altezza dei sentimenti. Orazio non arrossiva di confessare ne’suoi versi di ave- re, essendo tribuno legionario, abbandonato lo scudo in battaglia « relicta non bene parmula ( lib. a ode 7) il che 3 ( dice Alfieri ) equivarrebbe ad un colonnello che in ») Ottimi versi tramandasse ai posteri scherzando di aver ;; ricevuto uno schiaffo. ,, Labindo cantava più nobilmen- te di sè, che nè i belici rischi, nè quelli corsi presso il Gorgonio Lido gli avevano mai impallidita la faccia (19). Orazio dopo la rotta e la fuga di Filippi si fece corti- giano e fu cortigiano finchè visse. Labindo sedotto un’istan- te dalle corti, fu disingannato ben presto, orde cantò po- scia con parole non dissimili da quelle usate dal buon vec- chio agricoltore della Gerusalemme , (19) Lib. 2 Odc 11. Hi Sta sulla soglia dell’ iniqua corte L’astuto inganno: fuggi i suoi favori. Son quei, che ti offre, ambiziosi onori Ami e ritorte. Il quinto lustro m’ ombreggiava il mento, Quando le volsi disdegnoso il tergo: Or nell’asilo del paterno albergo Dormo contento (20). Orazio non si accinse a coltivare le muse se non che spin- to dal turpe bisogno (21), e confessava a Giulio Floro che diversamente avrebbe preferito di abbandonarsi al sonno, ed alle oziose piume (22). Unde simul primum me dimisere Philippi Decisis humilem pennis, inopemquae paterni Et laris et fundi, paupertas impulit audax Ut versus facerem. Sed et guod non desit habentem Quae poterant unquam, satis expurgare cicutae, Ni melius dormire putem quam scribere versus ? Non così Labindo, che: ricusando sempre di render schiavo il libero pensiero, manifestava fino dai primi anni questi sensi generosi (23): Me non sedute l’amistà, non preme Bisogno audace, non venal timore , Stolta non punge d’ insolente onore Avida speme. . E facendo una splendida aggiunta alle semplici parole di Orazio Diis pietas mea et musa cordi est (24), scioglieva poi quel canto a cui ricusar non poteste la vostra ammi- razione (25): La mia pietade ai numi è cara, ai figli Del nobil fango la mia musa è cara, Musa d’ inganno e di viltà nemica Di lode avara ec. Il poeta latino, che fu maestro nell’ adulazione, for- (20) Lib. 2 Ode 3. (21) Et metus et malesuada fames et turpis egestas Virgil. Eneid, Lib 6. (22) Lib. 2 Ep. 2. (23) Lib. 1 Ode 2. (24) Lib, 1 Ode 17. (25) Lib, 4 Odg 21. 78 se ne dava il più squisito saggio con rammentare, parlan- do ad Augusto , superbi Iunii faces aut Catonis nobile le- thum: che l’ ipocrita Ottavio, dopo di aver conseguito e consolidato l’ impero per mezzo della guerra civile e delle proscrizioni, amava di non comparire se non il capo del- la repubblica, si associava alle antiche sue glorie, e per- metteva, anzi gradiva un libero linguaggio, utile, simulacro della omai spenta libertà (26). Ma confrontando con alcune odi oraziane altre di La- bindo di analogo argomento, vedremo ancor meglio quanto. la filosofia di quest’ ultimo fosse più perfetta, e più, pura. Descrive Orazio (27) la famosa inondazione del Tevere, accaduta poco dopo la morte di Cesare, e che insieme con altri naturali fenomeni, fu dai lusinghieri poeti attribuita all’ ira divina per l’uccisione di quel grande; quindi Ora- zio finge di temere il ritorno del secolo di Pirra, e scon- giura gli Dei a prò de’romani; ma più di tutti i numi invoca Augusto vendicatore di Cesare, e successore nella di lui potenza usurpata. Molto apprenderanno da questa ode i moderni vati adulatori, ma quale utile precetto ri- cavar ne potranno i filosofi moralisti ? . . . . . Leggiamo ora l’ ode italiana per l’ inondazione del Pò e del Mincio accaduta nell’anno 1792 (28). Udite grave e maestoso prin- cipio: Nò nonè ver che sia virtude un vano Nome, è un bisogno dei mortali : pave Chi altrui fè danno e palpita Solo al pensier di un punitor lontano. Mira quell’empio timido ed ansante Destarsi, o padre, dall’oscena ebbrezza, Mira sull’oro gemere L’ irrequieto avaro palpitante . Videro il nembo e il rotolar da lange (26) ,, L’arte sua ( dice il Muratori ) fu quella di saper fare da. padrone senza mostrar di esser tale, e di conservare il decoro della repubblica come era in addietro , ma con ritenere per se il meglio dell’ autorità, e del coman- do. ,, ( Annali d'Italia , anno 1.) (27) Lib. 1 Ode 2. (28) Lib. 1 Ode 6. LI 79 Udir del tuono :-nell’ammanto avvolto Delle notturne tenebre Sovra un carro di fuoco ei giunge. . . . . . ei giunge! Ecco il Signor dell’ universo ! ardenti Scuopron la faccia sua lampi striscianti: Scendete; o Re, dal soglio; Temete o grandi, e vi prostrate o genti. Ponete quindi accanto alle vane rimembranze del fa- voloso diluvio, allorchè gli armenti di Proteo videro gli alti monti, e si aggirarono i pesci fra gli olmi già sede del- le colombe , la vera pittura de’ miseri agricoltori. sorpresi dalla furia delle acque: ammirate l’armonia imitatrice del verso, e soprattuto vedete come il poeta rimanga com- mosso a quel doloroso spettacolo, e tornate poi, se ve ne dà l’animo, a chiamarlo freddo, leggero ed egoista : ° Ei parla, e all’ urto di sua voce l’ onda Del mar si slancia ad inghiottir la spiaggia, Le pregne nubi squarciansi , Ed il Mincio ed il Po sdegnan la sponda, Veh! come il flutto vincitor si estolle E peri campi predator si estende, Come sonante e rapido Nei vortici trasporta alberi, e zolle!...... I vicini abituri inonda e scaccia Lo sbigottito agricoltor piangente, La paurosa greggia, E la sposa che i figli ha fra le braccia. Là per salvarsi invan nuota e si affanna Co’ stanchi tori il misero bifolco : Quà percosse dal fulmine Ardon le querci e avvampa una capanna . Ascoltate finalmente come in luogo di porgere ai grandi adu- lazioni servili , severo gli ammonisce, ed annunzia la tar- da ma invitabile caduta degli empj: Gran Dio! perchè le tue saette accendi Contro i rozzi tuguri, e su le torri, Ove l’ iniquo domina, Il tuo vendicator braccio sospendi ? Lo sò, tu serbi a una più giusta e orrenda Pena l'empio esaltato, e forse il tempo Del tuo ritorno è prossimo, so Forse è pronta a scoppiar.l’ ira tremenda . Tremate, o regni, lacrimosa gue rra Devasterà l’ Europa, e dall’abisso Verrà co’ morbi pallidi La smunta fame a desolar la terra. Orazio loda la vita rustica (29) e contrapponendola a quella cittadinesca tanto piena di pericoli e di travagli, ne fa la più seducente pittura ; ma sul finire vi accorge- te con sorpresa e dispetto che si è preso gabbo di voi, e che queste lodi de’ semplici e virtuosi costumi erano state da lui poste in bocca di un avaro usurajo, che ben presto pentito abbandona i campi, e riprende le sordide sue consuetudini (30). Labindo loda egli pure il vivere cam- pestre, ma vuole che Minerva, e le utili figlie della memo- ria sieno compagne dell’ uom solitario (31). Orazio data aveva al suo per consorte un’ abbronzita villanella della Puglia o della Sabina Quod si pudica Mulier in partem juvet Domum atque dulces liberos, Sabina qualis aut perusta solibus Pernicis uxor Appuli ec. Labindo così descrive la felicità del suo buon padre di famiglia : Dai lunghi studj dell’ amica sposa Lieto riposa fra le caste braccia, E frai giuochi e i precetti, l’amorosa Garrula prole sorridendo abbraccia. Ma non vuole che l’ uomo ritirato dal mondo vegga con indifferenza i mali altrui, e da quelli universali rivolgen- do lo sguardo alle sventure della sua cara Italia, invoca a di lei favore la protezione e l’ appoggio de’ potenti, nul- la chiedendo per sè, pago aneh’ esso de’ piccoli suoi cam- pi e degli scarsi armenti (32). (29) Epod. Ode 2. (30) ,, Haec ubi locutus Foenerator Alphius so Jam Jam futurus rusticus, 3» Omnem relegit idibus pecuuiam, 33 Quaerit Calendis ponere. ibid. (31) Lib. 4 Ode 16. (32) »,:Non ut juveneis illigata plartbus SI Nè ciò desio perchè più aratri io veggia Con vasto solco i nostri campi fendere, Q il lunense pastor più ricca greggia Guati dalle alpi alla maremma scendere; Benigno il ciel tanto mi diè, che basta Da non bramar stolta ed inutil copia: Chi ha di voglie indiscrete anima casta Vive contento e non paventa inopia. I romani, conoscendosi superiori alle altre genti, le di= cevano barbare, ed aspirando a conquistarle , consideravansi in un perpetuo stato di guerra con esse, e le. chiamavano nemiche. Mentre ognun di loro stimava dolce e glorioso il morire per la patria, mentre considerava intangibile e sa- cra la persona di ogni romano cittadino; guardava gli stra- mieri con occhio sprezzante ed ostile, ne faceva orrende carnificine in battaglia, ne incendiava, e distruggeva le città, riduceva i miseri abitanti in servitù, e strascinava al Campidoglio i re vinti incatenati dinanzi al carro de’ trion- fatori. Le guerre esterne avevansi per necessarie all’ ingran- dimento ed alla gloria di Roma, e le civili soltanto. tene= vansi in conto di calamità. Quindi anche sotto il regno del pacifico Augusto, Orazio non mai si dolse che delle discor- die intestine, non mai porse alcun voto pel bene dell’ u- manità. 5 La morale Evangelica, e la moderna filantropìa (33) hanno dato agli uomini più savj consigli, più miti, e più benefici, e questa diversità medesima che corre fra la filo- sofia de’ romani e la nostra, voi la ritroverete fra il lati- no poeta ed il toscano. Già citai l’ ode sullo stato d’ Eu- ropa nel 1787. Altra non meno rimarchevole, ma pure ten- +» Aratra nìitantur meis ss Pecusve Calabris ante sidus fervidum, so Lucana mutet pascua etc, Epod. Ode 1. (33) Io chiamo Fi/antropia moderna quell’amore disinteressato: dell’uma- nità, per cui molti virtuosi uomini, o con le proprie loro individuali risorse, © collegati dali’utile spirito di associazione soccorrono agl’indigenti, agl’infer- mi, ag” indotti, ai miseri schiavi, ai carcerati, ai rei, somministrando a se- conda dei bisogni pane, lavoro, instruzioni, e morali insegnamenti, onde ren- derli meno infelici, e migliori. T. XVII. Gennaio 6 32 dente allo stesso fine, si è quella intitolata il Merito, ove Labindo celebrando le virtù pacifiche di un ottimo rettore di provincie , lo cingeva di poetici serti, che negava sde- gnoso agli ebri duci di rapina onusti. In que’ saffici armoniosi pare che si riconosca lo stile di Orazio; eppure non havvi una strofa, non un verso che sia imitato dalle di lui odi; e le idee sono poi tanto più pure ed elevate!... Se Orazio fosse vissuto ai dì nostri avreb- b’egli potuto insegnare una più eletta filosofia? avrebbe po- tuto vestirla di forme più belle e peregrine? Originale è pur anche un’ ode intitolata il Vazicirio come l’altra, fatta scopo delle vostre critiche, ma in questa l’ oggetto del poeta non è punto oscuro. Gli eventi da lui predetti erano lon= tani, quando intuonava il suo canto, ed ora li veggiamo realizzarsi non senza nostra maraviglia (34). Ti assidi e tacito, Belforte, ascolta: le selve tremano Voci dall’ antro ignote Mugghiono : un Dio mi scuote : S” ergon le chiome........ rabbia fatidica M° innonda ’1 petto! qual luce insolita ? Chi mi squarcia 1’ oscuro Vel che copre ’l futuro! ec. Dallo scosceso Taigeta scendono Gli eguali agli avi spartani intrepidi Grecia si desta, impugna L’asta e corre alla pugna. Gli empj tiranni dispersi fuggano Là s’ardon navi, là vinte traggonsi Con la turba cattiva Sulla libera riva. Grandeggia Sparta: Tebe rinnuovasi Alfea risorge, Corinto il bimare Larissa, Argo, Micene, E la Cecropia Atene, Salve, delle arti madre Palladia, Già i dissepolti licei t’additano (34) Lib. 4 Ode 12 nelle varianti, 33 Gli archi e le tombe gravi Della gloria degli avi . Le non poche odi fin qui citate da me non sono già le sole,in cui Labindo camminasse senza la scorta di Ora- zio. Quelle bellissime consacrate a Rodney (35), e le altre non meno vaghe alla regina di Napoli (36), e quella per la pubblica apertura della nuova accademia delle belle ar- ti (37), e tante altre che troppo lungo sarebbe l’annoverare, appena contengono pochi versi imitati da Orazio, e nel ri- manente sono originali, sebbene abbiano e P andamento ed il colore oraziano. Ma quando ancora trasse dalla feconda miniera del lirico latino la materia delle sue odi, non fu mai Labindo un servile copista, nè un traduttore, e non meritò di essere assomigliato a quegli scultori dozzinali che copiano alla peggio il Paride o la Venere di Canova. Corre fra il copista e l’imitatore moltissima differen- za. Il primo adopra sempre la materia stessa dell’ origina- le : l’altro impiega spesso una materia diversa. Così non sono che semplici e servili copisti tutti coloro che tor- nano a scolpire nel marmo le stesse egregie forme, che pure nel marmo impresse aveva l’immortale scalpello di Canova. Ma quando l’altro Fidia italiano avendo dinanzi altra Venere non già scolpita, ma mirabilmente dipinta, la ritrae non più sulla tela, ma nel marmo, egli imita e non copia, e lo spettatore sorpreso ed incantato rimira al- ternativamente la Venere colorita, e la marmorea, ed ap- plaude con eguale trasporto al genio di Tiziano ed a quello di Bartolini. Inoltre il copista riproduce quanto più può esattamente l’originale, mentre limitatore ne conserva in parte le sembianze, ed in parte le cambia, aggiunge, to- glie, modifica, e abbellisce. Questa duplice distinzione fra l’imitazione e la copia fu già magistralmente spiegata dal nostro Metastasio nell’ illustrare la poetica d’Aristotile (38) e (35) Lib. 2 Odi 4,5 e n. (36) Lib. 1 Odi 15 e 16. (37) Lib. 2 Ode 14: (38) Cap. .4. 34 si ritrova nella recente opera del sig. Quatremère de Quincy, alla quale serve anzi di fondamento (39). Restami da sog- giungere che l’imitazione si fa o direttamente dalla natu» ra, o indirettamente dalle opere di coloro che già la imi- tarono; ma il più delle volte essa è duplice e mista in guisa che la propria si unisce, e si confonde con l'altrui precedente imitazione. E quest’ ultimo artifizio si è quello appunto che ha renduti immortali e Virgilio, ed Orazio, e Catullo, e Plauto, e Terenzio fra gli antichi, e Poli- ziano, e Torquato, e l’Ariosto, ed il Metastasio , e Raci- ne, e Boileau, e Moliere fra i moderni, e tanti altri che da noi si appellano a ragione C/assici. Ad essi allato ho fede che debba riporsi il nostro La- bindo , che sebbene molto dovesse allo studio della natu- ra, e al fertile ed inventivo suo ingegno , molto pure im- prestò dal Venosino , nel modo stesso che questi aveva già da Saffo, da Alceo, e dagli altri lirici greci tolta non poca materia de’ suoi carmi. Quindi alla rara lode di poe- ta creatore ed originale , che tale è spesso come vi ho mo- strato, unir seppe l’altra non meno rara d’ingegnoso , e fortunato imitatore. Voi gli accordaste nella imitazione stessa più fran- chezza che felicità, nè tralasciaste di riferire alcune strofe, ed anche non poche odi, in cui vi parve che fosse rima- sto troppo inferiore al suo modello. Di quella a Pompeo Grospo trascriveste il seguente passo: Non enim gazae , neque Consularis Summovet lictor miseros tumultus Mentis et curas laqueata circuni Tecta volantes e nella corrispondente strofe dell’ode di Labindo diretta a Francesco Micali, vi doleste essere stata distrutta senza compenso l’imagine del littore, che non può allontanare le passioni, che assediano l’uomo potente; ma non vi risovven- ne allora aver Labindo in altr’ ode (40) trasportata non solo (39) V. Autologia Gennajo 1824. (40) Lib. 4 Ode 21° 85 quest’imagine, ma adombrato con altre anche più belle ed espressive il concetto medesimo: Che per la reggia de’ custodi ad onta Volan le cure del poter tiranne : Timide in faccia all’ indifesa soglia Delle capanne (41) e vedete nella strofe precedente altra non meno felice imi- tazione: Non avium cithareaque cantus Somnum reducent. Somnus agrestium Lenius virorum, non humiles domos Fastidit, umbrosamque ripam ( Orazio Lib. 3, Ode I.) Placido il sonno ama le case agreste E i poggi lieti per i fiori, e l’erbe E le invidiate de’ Monarchi fugge Torri superbe. Qui non ritroverete è vero / avium citharaeque cantus, ma questa perdita vi rimarrà largamente compensata dagli ul- timi due versi, che accrescono all’antitesi tanta forza ed evidenza, e così bene preparano la strofe che succede. Disapprovaste Labindo per aver ripetuto nell’ode 13 del libro 4 ciò che detto aveva Orazio (42) alludendo alla magnificenza de’ romani patrizi, e forse la vaghezza dello stile doveva farvi perdonare la leggera alterazione del co- stume; ma perchè taceste di altre strofe in cui Labindo seppe dare un nuovo risalto alle pitture, oraziane (43)? (41) Usando un simile artifizio già /Ma/herde aveva dagli stessi versi d O- razio combinati con il famoso Pallida mors aequo pulsat Pede pauperum tabernas Regumque turres (Ode 4 Lib. 1.) formata questa bellissima strofe: Le pauvre en sa cabane, où le chatime le I Est sujet à ses lois Et la garde, qui veille aux barrieres du Louvre, N’en défend pas nos rois. (42) Lib. 2 Ode 18% (43) Lib. 2 Ode 18, Quid quod usque proximos 80 Del vicino cliente Insidiator la fama altri deturpa, Nell’ insaziabil foro Lo spinge incauto ed i suoi campi usurpa; Lo scacciato marito Dalla soglia paterna invan si dnole , E con la moglie altrove Guida piangendo la cenciosa prole. Erra sott’ altro cielo Pietà chiedendo, e per i trivj e i tempj Agli stranieri addita Delta nostra avarizia i tristi esempj. Di quest’ ultimo tratto così commovente ed energico non esiste vestigio alcuno nell’originale.. Descrivendo poi in quest’ ode medesima la vita innocente de? brasiliani, rav- viva Labindo con maestrevoli tocchi la-pittura di quella degli sciti già pennelleggiata da Flacco (44). L’ ospital Brasiliano Che il corretto Europeo chiamò selvaggio ’’ Quanto ne’ patrij boschi Meno ingiusto è di noi quanto e più saggio! L'oro inatìo disprezza, Che aduna il Lusitan con tanto (affanno ‘ E pago è della messe i Che il libero terren gli rende ogn’ anno . L’ ozio turbar non mira Di sua capanna avidità maligna Nè agl’innocenti figli Mescer freddo velen losca matrigna ; Nè dotata la sposa Capricciosa gl’impera, o l’ ange infida, Nè a lusinghiero drudo La sua difesa o la vendetta affida. Revellis agri terminos et ultra Limites clientium Salis avarus? pellitur paternos In sinu forens deos Et uxor et vir sordidosque natos. (44) Lib, 3 Ode 24. Campestres melius scythae etc: Dote per lui di padri È la virtude, e delle figlie il vezzo La fedeltà costume E pronta morte delle colpe il prezzo. Dal confronto di pensieri o di versi isolati, passando a quello d’intieri componimenti, vi fermate sull’ ode al servo per la pace del 1783, ed. io per dir vero non vorrei chiamarla oraziana sopra tutte le altre, come soleva quel- l’uomo di spirito , di cui taceste il nome; ma neppure trovo che tanto si allontani dai modi del poeta. latino, quanto a voi è sembrato. Supponete che nel dettarla aves- se Labindo volto il pensiero a quella di Orazio ad Puerum, che è l’ultima del primo libro, e all’altra ad Lyder, che del terzo è la vigesimottava. ,, Orazio ( voi dite ) ama di 3» associarsi in qualche modo al suo servo: neque te mi- so nistrum - dedecet Myrtus - neque me sub arcta » vite s» bibentem - Labindo all’opposto comanda al suo servo 3; come un tenente maggiore alla sua ordinanza in una ss notte che non può dormire ,,. Tralascio di osservare che non troppo si addirebbe ai nostri usi l’antica familiarità dei padroni co’ giovani servi, e forse alcuno avrebbe ma- lignamente sorriso, vedendo quello di Labindo incoronato di mirto ; piacemi piuttosto di avvertire che non dalle due summentovate , ma da altra ode oraziana derivano i princi- pali concetti di questa , e vedrete che l’ antico lirico usato aveva prima del moderno quel tuono assoluto e durò el- l’imperare al servo, che tanto vi spiacque : I, pete unguentum, puer, et coronas Et cadum Marsi memorem duelli, Spartacum sì qua potuit vagantem Fallere testa : Dic et argutae properet Neaerae Myrtheum nodo cohibere crinem : Si per invisum mora janitorem Fiet , abito (45) E notate che questi ordini si davano da Orazio men- tre solennizzava il ritorno d’Augusto, nè in occasione tana (45) Lib. 3, Ode 14: 88 to lieta condiva egli il comando di alcuna piacevole espres- sione . Più grave, e conviene confessarlo , più ragionevole e giusta è la censura vostra all’ode già intitolata il Vatici- nio, e che allude alla guerra dell’indipendenza americana, ed alle sne conseguenze: anch’ io ravviso l’ incertezza e l'ambiguità del fine morale, o per meglio dire politico del- l’autore, e la poca franchezza, con cui procede sulle orme delle due celebri odi latine: Justum et tenacem etc. , e Pa- stor cum traheret etc. Ma vorrei che con eguale ingenuità riconosceste che non poche altre volte gli è sortito di combinare la mate- ria di più odi oraziane con tanta maestria da formarne un tutto ben ordinato , e pregevole non meno per le sue bel le proporzioni , che per la venustà dello stile. Ho testè parlato dell’ ode all’ Italia; essa è imitata in parte dalla sesta del libro terzo di Orazio, in parte dalla sedicesima dell’ Epodo : nel resto è originale. Dopo di aver desunta dall’ Epodo la sentenza avvalorata dalla storia che Roma fu invitta fintanto che fu virtuosa : Tu fosti invitta finchè il tuo valore E le antiche virtù serbasti impavida, Labindo passa ad assegnare la causa di tanta corruttela; e qui opportunamente si vale di alcune idee dall’altra ci- tata ode di Orazio (46), ma parlando dell’ Italia moderna, allude con ottimo accorgimento all’invasione de’ barbari in questi versi : Spinte a tuo danno dai negletti numi, Barbare torme poi dall’ alpi scesero E italami macchiando ed i costumi, Più fecondi di colpe i tempi resero . Segue il quadro di tanta depravazione , ed il poeta sag- giamente si vale di colori più adattati all'Italia serva, e divisa, che non all’antica padrona del mondo agitata dalle interne discordie , e snervata dai viz]: (46) Lib. 3. Ode 6. Fecunda culpa saecula etc. a . Or druda e serva di stramere genti Raccorcio il crin, breve la gonna, il femore Sulle piume adagiato, e di languenti Passi oziosa e di tua gloria immemore ec. , È in questo luogo che egli ha collocato quei versi dei quali era soltanto il germe in quella latina ( motus doceri gaudet Ionicos matura virgo etc. ) e che svelano come La- bindo anche imitando creava : La verginella dal materno esempio i Lascivia apprende e all’ozio e al lusso dedita, Dal malchiuso balcone, o in mezzo al tempio Notturni furti sogghignando medita. Sì accosta all’ara e mal trascorso un’anno Arde non sazia di desio colpevole, E il nostro disonor compra il (Brittanno Mentre dorme lo sposo consapevole . ... sfogando quindi la bile sua generosa; egli esclama: Schiatia sì vil di padri infami Roma noi Non tolse a Brenno ec. ed è pur questa un’ altra ingegniosa imitazione (47); ma. è l’ultima poichè Labindo abbandonando Orazio .s’inalza al di sopra di luiye, prorompe in quella veemente e, sublime apostrofe all’Italia che tutti conoscono , e che mirabilmen= te chiude un componimento. ;così bene ideato ie condotto . Felicissimo fu pure 1’ impasté (se così posso esprimermi ) che fecé Labindo delle proprie idee con quelle di Orazio nell’ode 1%:@ del libro quarto. Già aveste un saggio di: al- cune più pregevoli imitazioni che ella racchiude (48), e se vi compiacerete di rileggerla , vedrete con quale artifizio sie- no collegate fra loro ‘per ‘mezzo ‘di versi ‘originali inspirati a Labindo dall’infelice condizione de’ tempi (409) . (47) Non his juventus orta parentibus Infecit aequor sanguine punico Detta Ode 6 nel Lib. 3. (48) Vedasi di sopra alla pag. Merita ancora di esser motata l’ultima strofa che-corrisponde alla ultima parimente {dell’ ode 14 Lib, 4 di Orazio; Declina il mondo e invecchia A Sordo de’ saggi ai providi consigli : Noi siam peggior de’ padri E peggiori di noi crescono i figli. (49) Stan vegetando alteri 90 L’ode pel ritorno di Pietro Leopoldo da Vienna si com» pone in gran parte della materia di tre odi del Venosino , che bene avrete presenti. In una di esse Orazio supplicato .aveva Augusto di affrettare il suo ritorno a Roma (50). Or questa preghiera stessa tenera ad un tempo e dignitosa , Labindo la rivolge a Leopoldo (51). Figlio immortale dell’Austriaca Diva , Principe, e Padre dell’ Etrusche genti I nostri ascolta del Danubio in riva Voti frequenti etc. E con ardito trapasso dipingendo il benefico monarca già reduce in mezzo al suo popolo, celebra questo evento con versi analoghi a quelli che usò già Orazio festeggiante il ritorno di Augusto [(52). Voi non ignorate che mentre alcuni commentatori hanno voluto generalizzando applica- re al ceto delle caste matrone queste parole del latino: Unico gaudens mulier marito __ Prodeat justis operata divis E opinione de’ più: culti che alludesse a Livia ‘moglie d’Augusto:, e che la'voce urico non sia sinonima di solo { quasi: che fosse ‘una rara lode per le donne romaniè fatte vaghe de’ divorzi il contentarsi di un solo marito) ma si- gnifichi grande e ‘preclaro : che tale era Augusto , di cuî Li- via gloriavasi di esser consorte. Adottò Labindo quest’ul- tima interpetrazione’, ma vedete quanto l’ abbellì con ima- gini. appropriate ai luoghi ed alle persone: © Lascia. la stanza del fecondo letto : Ibera donna per pietà famosa ; La bella guida; onde la stringa al petto Prole animosa. - 1 Delle virtù degli avi i grandi all’ ombra E prepotente inerzia Ly'incolta plebe popolare ingombra ec. fovan mi affanno: il vulgo I vaticinii miei stolto deride E il nobile, ed il ricco Fra i diplomi, e i tesor sbadiglia, e ride. (50) Lib: 2 Ode 26. (51) Lib. 4 Ode 5. (52) Lib. 3 Ode 14. 16 Nelle due strofe segueriti ‘troverete una bella parafrasi di quella d’Orazio che incomiricia Virgînum Matres etc., ma non darete per certo biasimo a ‘Labinido di aver nelle ul- time abbandonato il suo esemplare . Già vedemiîo che il poeta epieureo volendo trapassare quella notte ‘in festa e in giolito ordinò al suo servo ii chiamare la vezzosa Neera; se poi ( egli sosgiunge ) vi sé opponesse il portinaio mal- nato, vientene ; che il crine incanutito ha reso più PCOS il mio animo già cupido di risse proterve e di liti: ciò non avrei sofferto nella' mià fervida ‘gioventù , sotto il conso- lato di Plauco! e così finisce l'ode sul ritorno d’ Augu- sto . Labindo espresse più nobilmente la sua letizia , e non volendo ‘pure staccarsi del tutto' da Orazio , ebbe ricorso ad una terza ode da cui trasse la seguente: strofe So ‘ Di nostra vita , e dell’onor' custode Pietro ritorna an meritato soglio, Non temo insidie non pavento frode Sprezzo l’ orgoglio . e direte ancora che egli era un poeta senza avivedidento; che i di lui versi sono quali il’ caso, o il buon’ ingegno li daà?. .. e che male si appropriava / apis. matinde mo- re modoque carmina fingo? .. . Avendo fin quì ragionato assai distesamenté delle odi morali ed eroiche , su cui. cadde principalmente il vostro biasimo , poco mi resta a soggiungere intorno a quelle amo= rose , di alle altre di argomento leggero e festoso , ver= so. le quali vi mostraste più snc gente , dichiarando La- bindo più atto di Orazio, ron che più del Parini ad espri- mere con brio il linguaggio della galanteria. ed i trasporti della voluttà. A voi pare bensì che Flacco sia più bentile di Labin- do nelle odi dettate ‘da sprezzo e furore , che egli ferisca scherzando , e temperi con la scelta delle espressioni l’in- decenza delle invettive. ,, Vedete ( voi esclamate ) vedete fi- ,, nezza e quasi bontà del lirico latino ; egli non presenta ad (53) Lib. 4 Ode 15. Custode rerum Caesare, non furor Civilis aut vis exiget otium etc. 92 ,, una vecchia l’idea della morte che indirettamente e sotto », brillanti colori: esto beata, dicendole, fumus atque ima- ;» gines ducant triumphales tuos . :.. ,, Spiacemi che abbiate voluto,estendere il paralello fra.i due lirici anche alla parte meno lodevole delle loro poesie ; ma. che Labindo sia più degno di riprensione:che Orazio, io non posso day- vero .concederlo. Se per quella cieca venerazione che por- tava alle opere di lui , che fu il. suo maestro ed il suo autore, . s- indusse pur troppo. ad incettare una sà brutta derrata., almeno voi non troverete ne’ suoi versi quelle pu- tidissime contumelie; che Za bontà del latino regalava alle ,sue vecchie romane , aggiugnendo per maggiore strazio le più pungenti ironfe , cher voi chiamaste copioni (Lib. 1. Ode 25. Epodo. odi 8, e 12. ). Nè però sempre Orazio si valse d’ironiche frasi: che anzi parlando con la vecchia Clori moglie del povero Ibico spiattellatamente le disse (54): Uxor pauperis Ibici, Tandem nequitiae pone si Pron ; Famosisque laboribus: Maturo propior desine faneri Inter ludere virgines. ai quali versi corrispondono se non erro quelli di Labindo : Lascia gli amori, e apprestati Dovuta a morte nella tomba a scendere, Ma inyece di cercare quale dei due poeti sia più, o me- ‘no da riprendersi per avere offese le leggi della convenien- za, e della urbanità, cerchiamo piuttosto chi di loro avesse le grazie più amiche, quando ‘gli piacque di esercitarsi in- torno a temi delicati e gentili. Paragoniamo 7Ode 1. del libro quarto ‘di Orazio che allude sr nozze di Massimo , con quella di Labindo ad Amore (55), che similmente ac- cenna la progettata unione del sno amico D. Carlo di Rosa con Giuseppa Caracciolo ; egli i incomincia cen una libera imitazione della citata ode , ma v° innesta felicemente an- che un passo dell’ altra ERE Vixi puellis nuper idoneus etc. (56) x (54) Lib. 3 Ode 15. (55) Ode ultima del libro terzo 4 (56) Libro 3 Ode 26, Non vile atleta alle pareti Idalie Appesi le armi in voto Or del Rosaro sul fiorito margine Vivo alle Grazie ignoto. E come Orazio bramando allontanare da sè le formi- dabili saette d'Amore, gli accenna altra più nobile preda, e lusingando poscia il nume colla veduta di una ricom- pensa a lui sicuramente più accetta, che non le statue marmoree ed i versi cantati al suono della tibia, (57) ec- co le immagini gradite che gli appresenta: Sposi felici ove più il bosco è tacito T' inalzeranno altari E i loro voti, e i sacrifizi, ‘e i palpiti Sempre ti fian più cari; Quando dal mar tremante il raggio languido Fugge, e la notte bruna Cade su i monti, e in vetta al colle assidesi La taciturna luna, Vedrai la coppia indivisibil riedere All’ avito soggiorno E i figli at padre ed alla madre simili Pargoleggiarle intorno. Voi non avrete dimenticato a quali inopportune e indeco- rose smanie si abbandoni il lirico nel finire il suo. Carme . Nuziale )58). Con quanto maggior garbo, e delicatezza La- bindo termina il suo, figurandosi ognor presente il Dio in- vocato e temuto! Ma ancor non parti ?.., e all’ arco.... e a me. volubili Bieco rivolgi i rai, Il nervo tendi? .. incocchi il dardo? ah! perfido Senti .... ferma .... che fai! Ah! son ferito..... il piè mi manca, gelida Mano mi stringe il core : Fille soccorso, dove sei? che veggio ? Chi mi soccorre è Amore, Anche nell’ode a Venere ( Za prima dello stesso libro (5”) Albanos prope te lacus Ponet marinoream sub trabe Citrea etc. (58) Sed cur, Ligurine, cur Manat ara meas Lauryma per genas? etc. 94 terzo ) parmi che Labindo siasi lasciato Orazio molto ad- dietro: ln me tota ruens Venus Cyprum deseruit : nec potitur scythas Et versis animosum. equis Parthum dicere: nec quae nihil attinent. Così l’ antico poeta nell’ode. decimanona del 1. libro. Qui il concetto rimane incompleto. e tronco, e si passa senza transizione ad accennare i preparativi di un sacrifi- zio: Labindo finisce il pensiero, e' gli accresce molta gra- zia, e vivezza: In me di strali gravido jin Tutto vuotò il turcasso Amor, terribile , Nè vuol più che l’impavido Canti duce del mar Rodney invincibile; Ma un sen di latte tumido, Su cui tra fiori azzurro vel s’intreccia, Due negre ciglia, un’ umido Labbro di rose, ed una bionda treccia. Taccio il dialogo fra Labindo, e Licoride, perchè di esso non tacque il giovane vostro interlocutore ; ma tacere non debbo delle due brevissime odi ad una amica (59) ed a Fille (60) non meno vaghe per certo del bigliettino a C/oe ritrosetta , e parmi che contrapporre si possa all’invito a Tindaride quello a Malaspina a riposarsi dalla Caccia (63), e l’altre allo stesso amico richiamandolo in Pisa, ove pre- paravasi il famoso giuoco del ponte ; cedo al piacere di trascrivere le prime strofe di quest’ ode, che all’ originalità de’ pensieri accoppia mirabilmente l’oraziana eleganza (62). Metà dell’anima del tuo cantore Che fai sul gelido Papirio monte? Qual cura vigile cinta d’ orrore Ti siede in fronte? Fra le sollecite straniere genti Con occhio cupido ricerco indarno (59) Lib. 3 Ode 2. (60) Detto Lib. Ode 17. 161) Lib. 1 Ode 1. (62) Detto Lib. Ode 12. L’amico tenero su le frequenti Sponde dell’Arno. Qui si rinnovano gli esempi arditi Dei scontri fervidi de’ campi Elei, Tutti già sognano danze e conviti Pugne, e trofei ec. E chi meglio di Labindo cantar seppe gli amorosi sdegni (63) e le paci? (64) e chi tolse mai dagli amori più affettuoso congedo? Io parlo di que’ versi leggiadri che servono di epilogo al libro intitolato gli Scherzi (65), ove accanto a molte poesie, che non meritavano di vedere per la seconda volta la luce , se ne contano alcune pochissi- me che direste dettate dalla musa stessa di Anacreonte (66). In queste Labindo lasciò i metri oraziani, ed altri ne scelse più delicati e leggeri, quali appunto gli adoprarono e Rolli, e Metastasio, e Chiabrera, ed il gentile vostro Vittorelli. E come Labindo adattarli sapesse all’argomento vedetelo ne’ versi al genio degli scherzi, ed in quelli alla cetra, che singolarmente contrastano fra loro: brillanti ed amorniosi i primi (67); cadenti e flebili i secondi (68) siccome il pen- siero diversamente lo richiedeva. Non è però che l’ indole della nostra poesia esiga un metro particolare per ogni ge- nere di componimenti: che il metro stesso serve non di (63) Lib. 3 Ode 10. (64) Detto Lib. Ode 15. V. ancora il poemetto intitolato la Pace a Fille Lucumonia, Tom 2 pag. 98. (65) Detto tomo pag. 139. fino alla fine. (66) Avrei voluto trattenermi ancora intorno ai poemetti ed agl’idilii, che non meritavano ( specialmente’ i primi ) la poca stima che ne faceste, ma è riescito omai soverchiamente prolisso il mio ragionamento, ed appresi da Boi- leau che : Le secret d'ennuyer est celui de tout dire. (67) Scherzoso genio che i sonanti crotali Con le vibrate dita agiti e guidi Nelle danze dittee l’itale spose Col ripercosso fuggitivo piè; Lascia di Pafo ebrifestoso ì lidi Sulla materna conca, e meco assiditi Cinto la fronte di lascive rose Dell’ ospital convito arbitro e re. (68) Eco de’ miei lamenti Cetra fedel che tenti? Spiegare il mio dolore Non può lo stesso Amore, 96. rado a generi diversi, e dirò quasi opposti. Nè perchè Dante adoperata aveva la terza rima nelle sublimi sue can- tiche, si credè poi questo metro meno confacente alle ber- nesche facezie, non che ai mesti canti elegiaci. E non ab- biamo forse il sonetto proteiforme, che si presta a qualsi- voglia soggetto o filosofico, o sacro, o tenero, 0 giocoso ? Ma da un’altro canto' non vietasi l’uso di metri differenti nel trattar materie conformi, ed anzi una tale varietà ci piace a cagion d'esempio nell’ epica italiana, che a vicen- da si giova delle terzine, delle ottave, e degli sciolti. Labindo (voi diceste ) trovò una Lirica già formata : sì quella lirica delle canzoni, e de’ sonetti nata insieme con la nostra lingua , educata dallo stesso Alighieri (69. ) e condotta poco dopo dal Petrarca al più alto grado di perfezione. Non mi è ignoto che alcuni pochissimi sonosi valsi con lode di queste antiche forme poetiche , ed han- no scritto canzoni e sonetti, che piacciono, e si ammirano dopo quelli del Petrarca (70), ad altri è sembrata troppo (69) La Canzone: Amor, che muovi tua virtù dal Cielo — come il sol Lo splendore ec. ed il sonetto: Tanto gentile e tanto onesta pare La donna mia quand’ ella altrui saluta ec. poco o nulla avevano da invidiare ai più delicati componimenti del cantore di Valchiusa. (70) Vincenzo Monti ha con il suo congresso d’ Udine emulato le più famose canzoni di Filicaja, di Testi, Guidi, e Manfredi, ed alcuni de’ suoì sonetti meritano di essere annoverati fra i più belli che vanti la nostra poe- sia. In quanto poi al Bembo, ed agli altri Petrarchisti antichi e moderni, ve- dete la pittura che ne ha fatta Ippolito Pindemonte in uno de’ suoi sermoni intitolato il Parnaso. Egli finge che Amore avesse affisso un nuovo bersaglio. ad un tronco: Il cantor malinconico di Laura S’ avvolgea per la selva, ed un suo arco Portava in mano, e un suo turcasso al fianca Donde frecce traea, che il segno in mezzo Colpiano. Bembo con immensa turba Gli andava dopo: arco simile in vista, Simili frecce avea ciascun; ciascuno Piantava in terra il passo, il braccio alzave E la mira prendea non altrimenti Che di Laura il cantor: forte anche il dardo Fischiava, eppur sempre iva il colpo a vuoto!!!.. i 97 simmetrica la forma di talî poemi , e forse ancora troppo difficile la distribuzione artificiosa de’ versi , ed il ritorno delle stesse rime : il Guidi trasportato dalla fervida sua fantasia alterò la regolarità delle strofe , e le dettò. inegua- li : il Redi fece rinascere la poesia ditirambica, nume- risque fertur lege solutis ; e Chiabrera, sostituendo ) ode greca ; e latina alla italiana canzone, aprì un più vasto campo ai nostri lirici. Da indi in poi ogni poeta si pro- vò d’ inventare nuovi modi , e se alcuni furono giudicati strani , e disarmonici , altri piacquero., e. sono. rimasti. Parini e Monti scrissero alternativamente odi e canzoni , nè si fecero scrupolo di allontanarsi dalle forme già con- sacrate dalla vetusta lirica nazionale . Labindo invece d’ imi- tare i metri ritrovati da altri, o di. crearne. egli stesso , ebbe la felice idea di trasportare nella nostra lingua quel- li oraziani, e di aggiungere alla, già formata nna lirica novella . Ora vorremo rimproverarlo di aver moltiplicato così i nostri diletti , ed arricchita la nostra poesia ? Ma voi riflettete che passava molta affinità fra il gre- co idioma , ed il latino , ed era già quest’ ultimo avvez- zo alle metriche combinazioni del primo , allorchè Ora- zio si pose ad imitare i modi lirici di Alceo, di Saffo, e di Pindaro, mentre all’ opposto. doveva trattenere Labindo dall’adottare i metri del Venosino i/ gerio della nostra poesia, che ama di rallesrarsi di piccole strofe di gentile arso- mento , e precedere grave con gravi versi. di ben $propor- zionata misura in lunghe strofe di argomento elevato ; e soggiungeste ,, Petrarca; e Filicaja, Metastasio ; e Vitto- »» relli parmi; che di questo suo genio s’° intendessero as- ss sai. più, che il grecizzante Chiabrera , il quale forse ha ,» tratto in inganno il nostro Labindo ,,. E come poteste obliare che Petrarca lodò i belli oc- chi della sua Laura ( argomento di cui cerchereste invano il più gentile ) con versi di proporzionate. misure, ed in lunghe strofe simili a quelle, con 'vcui parlava a Cola di Rienzo, a Prospero Colonna , ed all’Italia, o intuonava l'Inno sublime . Vergine bella che di sol vestita TV. XVII. Genuaio ” 08 E nel rammentare Metastasio,, come vi fuggi dalla mente il cantico di Giuditta : Lode al Gran Dio , che oppresse Gli empj nemici suoi, Che combattè per noi Che trionfò così ec. ove trattando un sì elevato argomento quel gran maestro di poetica armonia prescelse le brevi strofe , edi versi settenar] ? Ah!no, che il genio della poesia italiana non esige le lunghe strofe , come il genio della prosa non esige i lunghi periodi, nè la nostra favella figlia di quella del Lazio ha un’indole così diversa dalla inaterna , che non si possano i di lei metri adottare con successo da noi. Pe- rò Labindo non rinnovò i tentativi infelici di Bernardo T'asso , e del Tolomei, ed anzi, come dimostrò egli stesso scrivendo al novellista letterario di Firenze, non impiegò comunemente che versi per l’ innanzi usitati dai nostri poeti (71), innestandoli però con sì bell’ artifizio , che ri- cordano i metri oraziani , e vi si accostano quanto la differenza delle due lingue il concede . L’uso, che seppe fare delli sdruccioli, e in fine, ed in mezzo ai versi, gli giovò come bene osservaste per accre- scere vivezza alle poesie amorose e galanti. Ma nelle odi eroiche , e gravi si valse o del semplice metro saffico , o di altri non meno gravi, e solenni. Comparate la maestosa armonia delle odi sulla inon- dazione del Pò, e del Mincio, all'Italia, a Massena, a Boc- cardi (72) con quella sì tenera, e soave dell’ode a Glice- ra imitata dalla prima elegia di Tibullo (73) o dalle odi (71) T. 1 pag. 258. (72) Lib. 1 Ode 6, e Lib. 4 Odi 14, 16 e 22. (73) Di questa citaste alcune strofe , senza però fare avvertire la imitazio- ne che contengono, e la superiorità loro su’ versi dell'amante di Delia, che ne hanno somministrata l’idea; avreste pure potuto meutovare il bellissimo Epi- talamio per nozze Veneti, imitato liberamente dall’ altro di Catullo, per quelle di Giulia, e di Maolio. 99 a Venere (74) e ad Amore (75), di cui ho già riportato di sopra alcune strofe. Comparate i saffici pel ritorno di Pie- tro Leopoldo con questi sì leggeri, e volubili, che imitano col suono il pensiero che esprimono (76) Caro alle Vergini vissi vagante Non senza gloria guerrier d'amore, Suggendo il nettare qual’ ape errante Di fiore in fiore. Quanta è mai la robustezza di quelli diretti a Salomone Fiorentino! (77) Perduta gloria de’ passati tempi, Tu ci rinfacci il nostro onor sepolto, Nè a tanto obbrobrio per vergogna abbassa Italia il volto. Si scuota. ..... ah ! sento mormorarmi intorno Suono possente di Tirteo la voce !...... Cauto rallenta le sdegnate corde, Genio feroce. Ed all’ opposto quanta dolcezza non spira da quelli del dialogo fra Labindo, e Licoride ! (78) Mia cura è Licida Garzon fortissimo Che Alcide in valide membra pareggia , A cui la guancia di pel biondissimo Il quarto lustro ombreggia. Sembrami che il genio della nostra poesia debba restare appagato da tante verietà di metri, Per cui suona più bella L’ italica favella, e spero, che voi stesso considerando meco attentamente è pregj del nostro poeta, non più vorrete negargli il nome di Etrusco Orazio datogli da quel grande’, che era pur tan- to alieno dall’adulazione, e parco di lodi. In fatti Labin= do non fu dotato di meno squisita sensibilità di Orazio , ed ebbe più ‘fermo, e indipendente carattere. La di lui fi- losofia pura al pari di quella del Venosino ricevè nuovo (74) Lib. 3 Ode 1. (75) Detto Lib, Ode ultima. (76) ibid. Ode 24. (77) Lib. 4 Ode 24. (78) Lib. 3 Ode 20, 100 alimento dalle opere dei moderni, e dal''conversare con i Filangeri ed i Pagano: sovente originale, fu anche imitato- re felice, e non copista, e gareggiò col suo modello: e tal- volta ancora lo vinse. Non 'vi fu suono acuto, o grave della cetra di Orazio, a cui non rispondesse quella af La- bindo, e le loro muse sono come le ninfe oceanine di Ovi- dio, i cui aspetti indie (Li; benchè diversi guales decet esse, SOTOTUTI. alle famose questioni intorno alla lingua trascorsero non ha guari i varj popoli d° Italia a disputare della pre- minenza letteraria ; ed ognuno andava premurosamente. an- noverando gli scrittori: si maggior grido nati in questa, o in quella della italiche provincie, e gli uni agli altri con- trapponeva ;5 «quasi che: non. fossero ‘tutti figli di una pa- tria medesima, quasi che la gloria dell’opre loro non fos- se comune agl’ italiani tutti. Nòn*poteva essere allora, nè fu dimenticato il nome di Labindo, ma fu dubitato un’i- stante se ‘appartenesse alla schiera dei poeti toscani , sup- ponendosi da taluni che egli fosse di Massa di Carra re. L’ errore cessò ben presto, e fu riconosciuto da tutti che egli era nato in Fivizzano castello del Gran-Duca- to, e discendeva da una antica famiglia ghibellina di Firenze (79). Ora non vorrei che alcuno male informato delle cose , sentendo voi non toscano censurare il nostro autore, ed io toscano difenderlo , s'immaginasse essere sta- to nostra intenzione di entrare a parte .di quelle infelici gare municipali, ultimo avanzo delle civili discordie , che laceravano un tempo. l’Italia; onde io credo che non sa- rete a smentirmi , se, facendomi interpetre non solo dei miei, ma pur anche de’ sentimenti vostri, mi affretterò di dichiarare che siamo egualmente estranei allo spirito di par= te, e che nel giudicare un poeta, non ci curiamo se sia nato in riva, all’Arno,, o all’ Eridang, lungo il Tirreno, o lungo l’ Adriatico ; della quale imparzialità avete pur dato una recente luminosa riprova, tributando giustissimi encomj] al toscano traduttore di Pindaro. Nè meno s° in- TO. gaunerebbe chiunque vedendomi così combattere le. vostre opinioni, ne. arguisse. che io facessi imeno, conto, de’ rari vostri talenti.;.e mutrissi meno, attaccamento alla-vostra per- sona, cui mi piace sanzi di professare. pubblicamente .we- race. stima, e rispéttosa amicizia, Livorno 15 Novembre 1824. M. Corneliù Frontonis; et _M. Aurelii imperatoris: epistu- lac, L. Veri, et Antonini pii, et Appiani epistularum reliquiae. Fragmenta Frontonis, et scripta grammatica. Editio prima romana plus centum epistulis aucta ex. co- dice rescripto bibliothecae pontificiae. vaticanae: curan- te Angelo Maio bibliothecae ciusdem. pracfecto ... Ro- mae 1823. 8.°. Il nome di Monsignor Mai è in alta fama salito, e chia- ro durerà finchè siano in onore le umane lettere, e finchè gli animi gentili serbino gratitudine per quelli, onde ha avn- to incremento l’ umano sapere. Le opere che egli ha tratto dai codici rescritti dell’Ambrosiana e della Vaticana ,.han.re- cato nuovi lumi alla letteratura, sì e principalmente di per sè stesse, e sì eziandio mercè del modo con che quel dotto le ha fatte di pubblica ragione. E, questo secondo affermia- mo riguardando alla dottrina e al bel criterio dei prolegome- ni ,, e delle annotazioni, delle quali ha saputo arricchirle . Rifulgon tra queste opere i frammenti dei libri di Tullio intorno alla; Repubblica , a cui illustrazione ba tratto 1’ eru- dito editore quanto era mestieri da tutti gli altri scritti del- l'oratore romano, da S. Agostino , dai grammatici antichi, e da quelli autori eziandio , dai quali o niuno o pochi sareb- bonsi, avvisati, potersene aver profitto: argomento del molto sapere del Sig. Mai. Nel qual lavoro: ha egli mostrato ,. che la critica classica, nata e cresciuta in Italia per opera massi- mamente del Poliziano, e di Pier Vettori, alligna ancora in questo, bel paese, nè è divenuta privativa dei letterati oltra- 102 montani, e oltramarini, come alcuni di loro , che hanno in dispregio il nome italiano, falsamente si avvisano. Di questa critica classica, e della letteratura ba pur ben meritato il Sig. Mai nella nuova stampa di Frontone, e de- gli altri scritti, che si comprendono nel libro, di che ora incominciamo a dar ragguaglio . Due codici rescritti appartenuti già alla celebre biblio- teca di Bobio, e contenenti una gran parte del concilio cal- cedonense primo , serbano nella prima scrittura i frammenti di Frontone, di Marco Aurelio , di Lucio Vero, e d’Antonino Pio. L’uno di questi due codici si custodisce nella biblio- teca Ambrosiana di Milano , l’altro nella Vaticana. Da quello deriva la prima stampa fatta già dal Sig. Mai; da esso mede- simo e da questo ha origine la seconda , che perciò è più ric- ca, e più vicina nella disposizione degli scritti all’ ordine , in che gli pose il copiatore. Non s'ha riguardo in quest’ ordine nè al tempo, nè alle persone, nè alle materie; il quale è presso che universal costume degli antichi trascrittori. A chi però dispor volesse cronologicamente questi scritti , come di recente si è fatto dell’epistole di Cicerone, dà, ove si può, certa norma il Sig. Mai mercè di opportune annotazioni. Il codice frontoniano emendato fu da un Cecilio, che l’ editore vorrebbe poter credere , esser quello, che disputa con Otta- vio appresso Minuzio Felice , il quale ebbe comune la patria con Frontone , e visse al suo tempo. Se non che i molti er- rori, che son nel contesto, il ritraggono alcun poco da que- sto divisamento . Non dubita però egli d’ affermare, che la scrittura del codice appartenga ai tempi di Comodo , o di Severo . Frontone nacque in Cirta, sede una volta dei Re numi- di. Non diè per tempo opera alle lettere , e più applicò al latino che al greco. Non è noto quando dall’Affrica si recas- se in Roma, ove imperando Adriano, tenne, giusta la testi- monianza autorevole di Dione Cassio , il primato nella elo- quenza. Molte volte lodò in senato questo imperatore; e sem- bra, che per comandamento di lui prendesse a erudire Marco Aurelio. Fu pur maestro a Lucio Vero (1), ed anche a gio- (1) Frontone ascrive questo a somma sua gloria , assai lodando 1° elo- 103 vani di private famiglie. Ebbe consolato e proconsolato. Seri- vendo del consolato ( pag. 55. ) dice, che egli avea ai piedi i ceppi d’oro, e che aspettava le calende di ‘settembre, in che dovea deporlo, come i superstiziosi aspettar ‘sogliono l’astro , il qual veduto, dopo lungo digiuno prendono il ci- bo. Il proconsolato, colto da malattia, non potè esercitarlo . Grazia ebbe nome la moglie sua , e Aufidio Vittorino chia- mossi il genero, che a Marco Aurelio fu carissimo. Eb- be dal senato l’onor della statua a richiesta del nominato imperatore: e quantunque non ben fosse sano del corpo, pur giunse a molta vecchiezza. Di quali costumi si fosse , egli medesimo il dice in una lunga lettera a Marco Aurelio , nella quale piange a grandi lacrime la morte del suo picciolo nipo- te. Nè a ciò, ch’ei di sè dice in questa lettera , si vorrà negar fede, perchè nel grave dolore tace ogni altro affetto, e l’adito si chiude alla menzogna: ed un gentile, che non è, siccome il cristiano , raffinato all’umiltà della croce, se in alcun suo infortunio riparasi alla coscienza , sentendola pu- ra, va predicando altrui fastosamente le sue virtù. Socrate, il sapientissimo, e il santissimo dei gentili, è grande argo- mento di ciò che affermiamo. Ciò pertanto dice Frontone di sè nella lettera rammemorata ( pag 220: ): Me consolatur aetas mea prope iam edita et morti proxima . Quae cum aderit, si moctis, si lucis id tempus erit, caclum. quidem consalutabo discedens, et quae mihi conscius sum protestabor. Nihil in longo vitae meae spatio a me adniissum, quod de- decori aut probro , aut flagitio foret: nullum: in aetate agun- da avarum, nullum perfidum facinus meum extitisse; con- traque multa liberaliter , multa amice, multa fideliter , mul- ta constanter , saepe etiam cum periculo capitis consulta . Cum fratre optimo concordissime vixi, quem patris vestri bo- nitate summos honores adeptum gaudeo, vestra vero amicitia satis quietum et multum securum video. Honores quos ipse quenza di L. Vero. Fx eloquentia autem tua , dice in lettera a lui indi- rizzata ( Pag. 195. ) quam scriptis ad senatum litteris declarasti, ego ian hic triumpho . Recepi , recepi , habeoque teneoque omnem abs te cumula- tam parem gratiam: possum iam de vita laeto animo excedere , magno operae meae pretio percepto , magnoque monumento ad aeternam gloriam relicto ce. to adeptus sum, nunquam ‘improbis ‘rationibus concupivi . Ani mo potius quan .corpori ivando operam dedi. Studia do- ctrinae rei familiari meae practuli . Pauperem me , quam ope cuiusquam adiutum 3, postrcmo egere me, quani poscere malui. Sumptu nunquam prodigo La , questui interdum. ne- cessario.. Verum dixi sedulo ;'verùm audivi libenter. Po- tius duri negligi quam blandiri, tacere quam fingere 3 in- frequens amicus esse, quam frequens adsentator. Pauca pe til, non,pauca merui. Quod cuique potui, pro copia commo- davi . Merentibus promptius!, immerentibus. audacius opem tuli . Neque me pel um gratus quispiam vepertus segniorent effecit ad bencficia: quaccumque possem prompte impertien= da . INeque ego, unquam ingratis ' offensior fi < Ghe Frontone. rifuggisse dall’adulare ; com’ ei protesta tra gli altri altissimi sensi del passo or.da noi riportato, confermasi da più luoghi di questo libro. Sono da considerarsi in special modo le parole, che seguitano, indirizzate. pure. a, Marco Aurelio ( pag. 110. ): Nonnunguam ego te coram paucissimis ac familiaris- simis meis «igravioritus verbis absentem insectatus sum ...cum tristior quam par erat. in ‘coetu hominum progr ederere., vel cum in theatro tu.libros, vel in convivio lectitabas: nec ego, dum tu, theatris, nec dum \conviviis abstinebam. Tum ‘igi- tur ego te durum et intempestivum hominem, odiosum etiam nonnunquan ira percitus appellabam. Ma queste parole cer- tamente, non offesero il. mite. animo.gli. Marco Aurelio ; che aborriva l’adulazione, e facile e paziente. porgeva l’ orecchio ai veraci, detti, ond’ era ripreso, In una lettera a Frontone ( pag. 57..) sdegnasi con Plauto contro quelli, À Qui data. fide firmata fidentem fefellerint, ‘ Subdoli subsentatores., regi qui sunt proximi, Qui .aliter regi dictis dicunt , aliter in animo habent : e soggiugne Li da a sè: lu enim olim incommoda re- gibus solis fieri solebant : at enim nunc adfatim sunt, qui et regum filiis, ut Nevius aitì, Linguis faveant , atque adnutent et subserviant . E iu un’ altra leitera al medesimo ( pag. 75. ) chiamandosi beato nell’ essere da lui ripreso intorno al modo, onde avea critto una morale sentenza , dice: non Roc est quod, me fe- 105 licem nuncupo . Quid est igitur ? quod werum dicere ex te disco . Del resto anche altrove per questo libro apparisce Fron- tone riprensor libero di Marco Aurelio: e se alcuna volta sembri adular esso, e Lucio Vero, non dee credersi contra- dire a sè, ma ciò nascere da altra cagione, che non è diffi- cile investigare. I due principi stati erano,, siccome è detto, discepoli di Frontone , e a lui, massime il primo , onor fa- ceano pel sapere , lui amavano teneramente , e lo sviscerato amore gli attestavano e a voce, e per lettera, con parole di calda amicizia. Ora ne insegna l’ esperienza, che l’amore di grato discepolo verso il maestro ha sovente tanta; forza. sul cuore di questo, che a lui fa apparir grande il picciol. me- rito, e il grande grandissimo; cosicchè. al cultor dello;spiri- to non di rado si appigli il pregiudizio medesimo che i pa- dri hanno verso i loro figliuoli, che usi sono di riguardare con occhi, che bene si assomiglierebbero ai vetri del microsco- pio . E questo dee in ispecial modo intervenire quando il gra- to discepolo sia d’alto affare ; perocchè 1’ affabilità dei gran- di e le prove di sincero amore di loro verso gli uomini di mediocre o bassa condizione, paiono sempre a questi un do- no, cui per qualunque buon fatto mai non potessero . aspira- re : sia per la scarsezza dei lodevoli esempi , sia per animo intimorito dalla grandezza, sia per altra cagione che or non rileva l’ indagare. Ma Lia particolarmente delle cose } che si leggono in questo volume. In cinque libri sono comprese le lettere scrit- te da Frontone a Marco Aurelio, quando, vivente. ancora An- tonino pio, egli era Cesare, e quelle , che da questo inviate furono a Frontone . Sono esse piene di scambievole affetto , il quale massimamente regna nelle brevi e. confidentissime , di che si compone il libro quinto , dalle quali sceltene quat- tro , vogliamo ora comunicarle co’nostri lettori. Sono le se- guenti . Magistro meo Ego dies istos tales transegi. Soror dolore muliebrium partium ita correpta est repente, ut faciem horrendam vi- 106 derim: mater autem mea in ea trepidatione imprudens an- gulo parietis costam inflixit : eo ictu graviter et se, et nos adfecit. Ipse cum cubitum irem, scorpionem in lecto offendi : occupavi tamem eum occidere priusquam supra accumberem. Tu si rectius vales, est solacium. Mater iam lewior est Deis volentibus. Vale mi optime, dulcissime magister. Do- mina mea te salutat . Domino meo Quom te salvom et inlaesum Dei praestiterunt , ma- ximas Deis gratias ago . Te, certum habeo , cum tua in- stituta reputo (2), haud perturbatum: ego , quamlibet vos sapientes me inrideatis , consternatus equidem sum. Vale, domine dulcissime , et Deis curae esto. Dominam saluta . Domino meo . Modo mihi Victorinus indicat dominam tuam magis va- luisse quam heri. Gratia (3) leviora omnia nuntiabat. Ego te idcirco non vidi, quod ex gravidine sum imbecillus. Cras tamen mane domuni ad te veniam. Eadem , si tempestivom erit , etiam dominam visitabo . > Magistro meo . Caluit et hodie Faustina: et quidem id ego magis hodie videor deprachendisse. Sed Deis iuvantibus aequiorem ani- mum mihi facit ipsa, quod se tam obtemperanter nobis ac- commodat . Tu, si potuisses , scilicet venisses. Quod iam potes et quod venturum promittis, delector mi magister. Vale mi iucundissime magister . Quantunque Frontone molto non fosse esercitato nel gre- co linguaggio , quantunque in ciò egli paragoni sè allo scita Anacarsi (. pag: 43. ); pur nondimeno sono nel secondo dei nominati libri due lettere scritte in greco a Domizia Calvilla, ed è nel primo un discorso erotico od amatorio, in che se- (2) M. Aurelio era stoico . (3) La moglie di Frontone. 107 guendosi le tracce di Lisia e di Platone si prova ad un fan- ciullo, ch’ei dee più attenersi a quei che castamente hanno in pregio la sua bellezza, che agli amatori, che sono sempre lascivi uomini. Rispetto al qual discorso gridiam noi insieme col Sig. Mai : ad ipsum thema quod attinet mera scelerum detestatio est j ma ne abbiam ‘voluto fare passeggiera men- zione , per notare che da esso sembraci, aver bella conferma le dottrine del Mazzocchi e del Lanzi su’ monumenti , in. che leggesi la parola x@Aòs; la quale dee sempre, giusta chi men- te di questi dotti, riputarsi amatoria, ed aversi per acclama= zione passata dalla viva voce alle opere dell’arte ; sentenza cui una volta credemmo, e il crediamo'ancora , di aver dato forza adducendo la iscrizione : KAAOEZEI che leggesi in un anti- co vaso, e che da noi fu sciolta , e questo era ben facile, in uadds È, sei bello (4). Seguitano comprese in due libri le lettere scambievoli di Marco Aurelio fatto imperatore e di Frontone; e sono, riguardo al vicendevole affetto, dello stesso tenore, che le già ramme- mocate. È mestieri di trattenersi alcun poco su d’unailettera scritta dal maestro al regio discepolo ; ch' è la seconda del primo libro. Video , ci gli dice, video te Antonine principem tam egregium quam speravi , tam iustum, tam innocentem, quam spopondi, tam gratum populo romano et acceptum, quam opta- vi,tam mei amantem, quan ego volui, tam disertum, quam ipse voluisti. Nam ubi primum coepisti rursum velle, nihil offuit interdum noluisse . Ed in vero Marco Aurelio dedito non fu troppo allo studio dell’ eloquenza j anzi, siccome avverte pure il Sig. Mai, egli in iscrivere di sè ringrazia gli Dei di non aver fatto in essa , e nella poetica, quegli ampi progressi, che in danno tornar potessero’ dei suoi studi più gravi. Non ne fu però egli dispregiatore, e il testimoniano molte lettere d’ esso a Frontone, e di questo a lui. Frontone il volea d’essa amatore più caldo, scorgend» avervi attissimo l'ingegno: e senza adoperarsi per distornarlo dalle filosofiche discipline, gli inculcava l’ affetto alle lettere, dicendo con molto senno, che le alte sentenze debbono essere degnamente vestite , e che il (4) IMustr. di due urne etrusche ‘e di alcuni vasi Hamiltoniani p. 105. 108 far ciò è cosa di difficilissima riucita. Il qual suo giusto di- visamento afforzava I'rontone, quando; scrivendo della Eloquen- za:;( pag..230.) e ad.essa nuovamente esortando Marco Au- relio gli diceva: Evigila et adtende quid cupiat ipse Chry> sippus . Num contentus est docere, rem. ostendere , definire explanare 2 Von est contentus:; verum auget in quantum pot- est; exaggerat, praemunit , iterat ,, differt , recurrit , in- terrogat, describit, dividet, personas fingit, orationem suam alii vaccommodat.. ..». Vides ne ab eo poene omnia orato- rum \arma-tractari ? lota: Ma ciò che importantissima rende quella lettera, è un bel frammento dell’ arringa, di. M. Porcio Catone, che egli intitolò de. sumptu suo.: il: qual frammento, che noi crediam pregio dell’opera il riportare, adducesi dal maestro di Marco Aurelio per additare a questo il più bell’ esempio di preteri- zione;;iche. per lui (si. fosse mai letto. Îussi caudicem pro- ferri. ubi mea oratio scripta erat. De ca re quod sponsio- nem feceram cum M. Cornelio, tabulae prolatae: maiorum benefacta perlecta: deinde quae ego pro re p. fecissem, le= guntur.. Ubi id utrumque perlectum est, deinde scriptum erat in.oratione . Nunquam ego pecuniam neque meam , ne- que sociorum per ambitionem dilargitus sum. At at noli scribere.s. inquam.: istud nolunt audire . Deinde recitawvit - Num,.quos. pracfectos per sociorum vestrorum oppida impo- sivi; qui eorum. bona , liberos, diriperent? Istud quoque de- le ; molunt audire ., Recita :porro . Nunquam ego praedam, neque quod de hostibus captum esset, neque manubias inter pauculos amicos imeos divisi , ut illis eriperem , qui cepis- sent,» Istuc. quoque dele .. Nihi!o minus volunt dici; reci- tato .. \Nunquam ego evectionem (5) datavi, quo amici met per symbolos, pecunias magngs caperent. Perge istuc quoque uti. cum, maxime delere . Nunquam ego argentum pro vino congiario inter apparitores atque amicos meos disdidi ,, neque eos malo: publico, divites feci. Enimvero usque istuc ad li- gnum dele .. Vide sis quo loco .res p..siet, uti quod rei p. bene, fecissem, unde gratiam capiebam , nunc idem illud :(5) Diploma, quo usus publici cursus concededatur. Nota del Sig. Mai 1091, memorare non audeo , ne invidiae siet .. Ita inductum est male facere , inpoene, bene facere , non inpoene licere . Questo frammento e l’ autor d' esso, dovranno rammentarsi più innanzi ; ora è da continuare il ragguaglio . Vengono, raccolte in un libro, le lettere di Frontone a Lucio Vero, e di Lucio Vero a Frontone. Uno dei princi- , pali servigi renduti alla letteratura dal Sig. Mai colla pub- blicazione di questi scritti, si è quello di vedere mercè di essi confermate molte cose che si leggono in altri antichi autori. Confermasi ciò che Capitolino scrive di Marco Aurelio ; e con- fermasi pure quello ch’ ei medesimo asserisce di Vero . Se questi ebbe, secondo lui, licenziosi costumi, fu però , giu- sta lui medesimo , di schiettissima indole. Questa schiettezza si manifesta specialmente nella lettera ch’ ei mandò a Fron- tone quand’ era duce della guerra contra i Parti: la qual let- tera comprende le ragioni, onde Vero non avea da gran tem. po scritto al diletto maestro, e abbonda di tenerissimo affet-. to. In questa stessa lettera , od in un’ altra ( lo che non può definirsi per essere il codice in questo luogo mancante) Vero fa preghi a Frontone , perchè voglia scrivere la storia di quella guerra . Ecco le sue stesse parole. Za vero, quae post meam profectionem gesta sunt, ex litteris ame scriptis, a negotio cuique praepositis ducibus cognosces. . . . Ego vero, ut et consiliorum meorum rationes commemorare possis, meas quo- que litteras,, quibus quidquid gerendum esset demonstratur, mittam tibi. Quod si picturas quoque quasdam desiderave- ris, poteris a Fulviano accipere. Equidem quo magis te quasi in rem praesentem inducerem, mandavi Cassio Avidio Mar- tioque Vero eommentarios quosdam mihi faccrent , quos tibi mittam, ex quibus mores hominum, et censum eorum cogno- sces. Quod si me quoque voles aliquem commentarium face- re, designa mihi qualem velis faciam, et iubes ut faciam, Quidyvis enim subire paratus sum, dum a te res nostrae in- lustrentur . Plane non contempseris et orationes ad senatum et adlocutiones nostras ad exercitum. Mittam tibi et sermo- nes meos cum barbaris habitos. Multum haec tibi confe- vent. Unam rem volo, non quidem demonstrare discipulus magistro , sed cxtrmandam dare. Circa causas, et initia 110 belli diu commoraberis , et etiam ea, quae nobis absen+ tibus male gesta sunt. Tarde ad nostra venies. Porro ne- cessarium puto , quanto ante meum adventum superiores Parthi fuerint, dilucere , ut quantum nos egerimus appa- reat. An igitur debeas quomodo Tevtynovtastiav Qounvdidys exposuit , illa omnia corripere, an wero paulo altius dice- re, nec tamen ita, ut mox nostra dispandere, ipse di- spicies. In summa meae res gestae tantae sunt , quantae sunt scilicet, quoiquoimodi sunt: tantae autem videbuntur , quantas tu cas videri voles. O io m’ inganno, o si scorge in questa lettera un uomo, il quale se vuole che le sue geste siano poste in chiaro lume (e in ciò non troppo pretende l’amor proprio , e la brama di meritata nominanza ), desidera pur anche, che ad ogni patto di lui scrivasi secondo verità . Di questa guerra partica avea ragionato Frontone in lettera in- dirizzata ad esso Vero ( Pag. 199- ), ma innanzi che egli la capitanasse: nella qual lettera il consola ingegnosamente con esempi tratti dalla storia di Roma , riguardo alla rotta data dai Parti all’ esercito imperiale. Se Frontone scrivesse la sto- ria della guerra partica , che tanti scrissero e derisi ne furo- no da Luciano , è ignoto . Restano solo i frammenti del proe- . mio ( Pag. 312. ) diretto a Marco Aurelio , ove sono queste parole: Udi primum fi'ater tuus commentarium miserit, rem copiose scribere adgrediemur , si tamen hoc, quod gustui mit- timus, non displicebit. Se questo saggio piacesse, non può definirsi. Certo è però , aver esso molt’ enfasi , la quale se ad ogni scritto si disdice, più specialmente disconviene alla storia . Ma perchè questo era vizio del tempo , non potè ostare all’ ap- provazione . Il proemio della storia partica è preceduto da altri scritti di diverse materie. Hanno il primo luogo le Ferie alsiensi , che prendon nome dalla imperial villa d’Alsio, e contengono quattro lettere , due di Marco Aurelio imperatore a Fronto- ne , e due di questo a lui. La terza nell’ ordine, ch'è la se- conda di Frontone, è più che le altre estesa, e da esser qui brevemente considerata . Frontone vi consiglia M. Aurelio a darsi a vita più lieta, rimanendosi alcun poco dall’ impal- lidire sulle cure dello stato, e più ore concedendo al sonno; 2II sul quale prende a narrargli una sua favola, di cui questo è 1’ argomento: Giove creando il mondo divise il tempo in due parti, nel giorno cioè, e nella notte, attribuendo al primo il lavoro, e la quiete alla seconda. Ma gli uomini nondimeno operavano di dì e di notte. Giove allora pensò di dar la cura di questa o a Nettuno , o a Plutone suoi fratelli. Ma essi ri- cusarono , adducendo amendue in [pretesto proprie faccende. Gli altri Dei pure si mostrarono più inclinati al faticoso ve- gliare, che alla tranquillità del riposo. Allora Giove ingenerò il Sonno, il fornì d’erbe atte a sopir le cure degli uomini, gli diè ale lievi per recarsi a loro placidamente, e sogni giocondi per rallegrargli. Fu il Sonno, giusta Esiodo, figliuolo della Notte. Tor- nava bene a Frontone di farlo nascer da Giove: per ciò solo ei sel credette permesso. Così Pindaro volendo nella. pri- ma ode dell’ Olimpiche parlar di Pelope con dignità, negò che Cerere avesse fatto pasto delle sue carni, siccome scritto erasi innanzi, e dipoi anche si scrisse. Liberamente e senza scrupolo alteravano i gentili le loro antiche tradizioni, e all’uo- po inventavano fatti e con inventati particolari gli racconta- vano . I Ciclici, i Lirici, e i Tragici s’incolpano principal- ‘ mente di questa licenza: e si accagionano del turbamento i filosofi, che trasser le favole ai loro vari sistemi; i gramma- tici, che di loro stolto arbitrio presero a dichiararle ; e quelli pure che scrissero d’ astronomia, i quali adattarono al sistema celeste alcune favole, che si erano innanzi con altro intendi- mento inventate. Così Ganimede, che, secondo Omero, a cagione della bellezza fu rapito dagli Dei per esser coppiere di Giove, si trasmutò dagli scrittori astronomici nell’Aqua- rio. Si aggiunga a tutto questo la origine delle favole da fonti diversi: origine e di per sè manifesta, e contestata spesso dalle testimonianze di scrittori antichi, e di molta autorità ; e poi ci si dica, se lodevole estimar si debba l’adoperare di quelli che per vie varie, e perciò sempre sospette, massime se siano quelle dell’allegoria, han tentato , e tentan pur oggi, in tanta luce dei filosofici studi, di ridurle ad un solo principio. Lo che sembra esser anche più da riprovarsi nella interpretazione dei monumenti figurati; molti dei quali sono certamente compo- 1]9 sti senz'altro particolar fine sulle tracce de’ versi d’ Omero, di que’ de’ Tragici e d'altri, com’ or si compongono le scul- iure e le pitture su’ versi dell’ Ariosto, del Tasso, e d’ altri poeti - Ma tornisi al ragguaglio dei frammenti frontoniani . Se- guitano il Pianto per la morte del nipote, del quale abbiamo sopra parlato; la storia d’Arione, in che nulla dicesi che non sia già noto; uno scritto sull’ eloquenza, ed uno intorno alle orazioni : dal primo dei quali, ch’ e importantissimo, abbiam tolto il passo pertinente a Crisippo, recato di sopra, e del secondo tornerà discorso più avanti; e le lettere di Antonino pio a Frontone, e di questo a lui; tra le quali è special- mente da ricordar la terza, che torna a gran lode di Frontone. Egli era amico a quel Nigro, stato più volte console, che il la- sciò erede delle cinque parti del suo patrimonio e che accetto fu ad assai uomini valenti, ed un tempo eziandio allo stesso Aaotonino. Decaduto poi, per discordia nata tra sè e Gavio Massimo ‘prefetto del Pretorio, dalla grazia dell’ imperatore che più rimase offeso per le invettive scagliate da lui con- tr’ esso Gavio nel testamento (6), Frontone ritenendo da leale uomo amici atque heredis officium, siccome egli dice, così fran- camente scrive ad Antonino: Haud sciam, an quis dicat de- buisse me amicitiam cum eo desinere postquam cognoveram gratiam eius apud animum tuum imminutam. Nunquam ita animatus fui, imperator, ut coeptas in rebus prosperis ami- citias, si quia adversi increpuisset , desererem. Et omnino; cur enim non sententiam animi mei expromam? Ego eum, qui te non amabit, hostis numero habebo: quem vero tu mi- nus amabis, miserum potius quam hostem iudicabo: Succedono le lettere agli amiei comprese in due libri; incominciando il primo da una lettera greca dello storico Ap- piano a Frontone, in che quegli vuole a questo mostrare per più argomenti, non aver esso dovuto ricusare i due schiavi (6) Ciò che noi diciamo , risulta chiaramente dalla citata lettera ad An- tonino pio, da quella a M. Aurelio, e da quella a Gavio Massimo , che amendue ‘si comprendono in questo libro, intitolato, come abbiam detto , ad Antoninum pium. i 113 da lui offertigli in dono. Risponde pur in greco Frontone , provando prima quanto sian deboli gli argomenti d’Appiano, e adducendo quindi il motivo, ond’egli rifiutava l'offerta, ch’ era quello d’esser essa grande più che non convenis- segli, e conchiudendo , che i piccoli doni sono i soli che vo- glion farsi dagli amici, i quali poi siano da ugualmente pic- cioli ricambiati : sentenza di nobile animo, che sdegna per accrescer suoi comodi di vendersi altrui (7). E che questa nobiltà d’animo veramente avesse Fronto- ne, è confermato dal conoscersi per certa prova, che l’ami- cizia, ch’ ebbe grandissima con Antonino pio, con Marco Au- relio e Lucio Vero, non fu da lui volta ad arricchirsi. Scarso di averi si dice, e non se ne. lagna, nella lettera a M. Aure- lio, in che parla dell’estinto nipote, e lo abbiam veduto nel luogo d’ essa recato di sopra; e lo.stesso afferma in un’altra lettera a L. Vero, nella quale raccomandando a lui certo Ga- vio Claro scrive: Jam ego, sì res familiaris mihi largior es- set, ne quid ad senatoris munia facile toleranda deesset (8) omni ope subvenirem... Nunc et nostrae res, haud copiosae (7) Il Sig. Mai è d'altro avviso scrivendo alla pag. XXIII. dei prole” gomeni ; Ceteroquin noster patronus, legem cinciam fortasse reveritus , ne gravius quoddam munas cogeretur accipere, sophisticam oravit excusatio- nem. Noi forse ci saremo ingannati; ma il veder virtù anche ove essa poi in realtà non sì trovi, è un’ illusione che piace, massime nel tempo nostro, che di virtù non dà esempi frequenti, di quella in ispecie, di che qui si ragiona . (8) Fa ricordanza Frontone di una sua villa suburbana in una lettera ad Avidio Cassio ( Pag. 283 ). D’altre sue possessioni è notizia in altre let- tere : ed egli medesimo dice, suoi esser gli orti di Mecenate , così scrivendo a M. Aurelio: ZMoratius Flaccus memorabilis poeta, mihique propter Moe- cenatem ac moecenatianos hortos meos non alienus ( Pag. 36. ). Osser- wando però noi, che Frontone palesa francamente ad Antonino Pio, a M. Aurelio e a L. Vero le sue possessioni, e che ai due ultimi dice insieme d’avere ristrette rendite, crediam vero ciò che qui afferma; cioè ch’ ei mon aveva quanto bastasse a sostener decorosamente e al pari degli altri la carica di senatore ; ed osiamo dissentire dal Sig. Mai , che rispetto a ciò così scrive nei prolegomeni (Pag. XXIII ) : Fronto prae innumera romanorum procerum pe- eunia fortunas suas > tot cuvidorum more mortalium, verbis extenuat, neque sibi tribuit domesticorum commodorum summas facultates. E che Frontone, sebben possessore di non poca campagna, fosse veramente scarso d’ averi, sì renderà credibile ad ognuno il qual rammenti che ai tempi di lui era in gran decadenza l’agricoltura; facendosi allora lavorare agli schiavi quelle terre, sulle quali nell’età precedenti sudato aveano ì dittatori ed i consoli. T. XVII. Gennaio 8 114 et huius paupertas artior me compulerunt ut eum invitum expellerem in Suriam ad legata, quae ei in testamento ho- minis amicissimi obvenerunt, persequenda . Un’ altra lettera di questo primo libro, ed è la quindi- cesima, dirigesi da Frontone al suo genero, e vi si parla di M. Aufidio Vittorino Frontone, educato nella indulgenza e tenerezza dell’ottimo avolo; non però così ch’egli non in- tendesse a correggerne l'indole, e a farne buono il costume. Cum isto quidem sive Victorino nostro, sive Frontone, egli scrive, cotidianae mihi lites et iurgia intercedunt. Quum tu ( Victorine ) nullam unquam mercedem ullius rei agendae di- cendaeve a quoquam postularis ( Qual maravigliosa concor- dia d’opinione tra il suocero e il genero! ), Fronto iste nul- lum verbum prius, neque frequentius congarrit, quam hoc DA: eso contra, quod possum, aut chartulas ei, aut tabellas porrigo, quarum rerum petitorem eum esse cupio . Veggano gli educatori dei fanciulli con quali piccioli mezzi si governi la tenera età; nei quali però dee estimarsi riposta una som- ma sapienza ; dacchè con essi istituiscesi a quella virtù, che vano è predicare quando il vizio profonde ha messo le sue ra- dici . Scrisse Frontone anche di materie scherzevoli : e restano frammenti delle lodi del fumo, della polvere, e della negli- genza , cui sono premesse in pochi tratti le regole per que- sta sorta d’argomenti, in che si ricrearono eziandio nobilissimi scrittori di tempo più antico. Vengon dopo le dispute grammaticali tratte dalle Notti attiche d’Aulo Gellio ; il già noto trattato delle differenze dei vocaboli, e quel pur noto, che s’intitola: exempla elocutio- num, che Cassiodoro, ed alcun codice veduto da Niccolò Ein- sio, attribuiscono a Volusiano Messio. Compiesi il libro con sei indici, ciò sono quelli delle persone, degli scrittori, delle cose, dei vocaboli, della latinità , e l’ortografico ; con alcune . emendazioni, e con due appendici, l’ una pertinente a varian- ti, l’altra contenente un frammento di Libanio. Due opposte opinioni si leggono negli antichi rispetto al genere della eloquenza di Frontone, chiamandosi secco da Macrobio, e 70mposo ( pompaticus ) da Mamerto. Monsignor 115 Mai dichiara prima, d’intender con Cicerone per genere secco quello, che è sincero e pago di pochi ornamenti, il quale piacque agli Attici; e per pomposo quello che abbonda d’ im- magini: e poi concilia le due contrarie sentenze, opinando che Frontone adoperasse il primo genere nelle cause giudiciarie , e il secondo nei panegirici. Sebbene ciò che or resta di Fron- tone più consista da lettere, che da altri scritti , nondimeno esso è bastante per mostrare che il parere del sig. Mai è l’ unico vero. Rispetto al genere pomposo egli lo ha dimo- ‘ strato con prove di fatto. Riguardo al secco, ne ha tratto ar- gomento da un passo delle lodi del fumo e della polvere, che è questo: Ir orationibus iudiciariis.... sedulo curamus, ut pleraeque sententiae durius interdum et incautius finian- tr. Può anche citarsi la lettera ottava del libro primo di quelle indirizzate a M. Aurelio Cesare, in che-pare inserito ua tratto d’ un’ orazione riguardante certa lite d’ eredità nell'Asia ; nella quale orazione intendea mostrar Frontone, non dover essere i testamenti dai paesi d’ oltremare mandati a Roma all’imperatore ; ma tosto aprirsi, perchè i congiunti, se mai diseredati fossero, non godessero indebitamente per lungo tem- po i beni del vefunto, e non gli dilapidassero. Ora in questo frammento di orazione è forza di argomenti, che si succedo- no senz’ ombra nemmeno d'’ ornato. Ma a conoscer meglio l'opinione di Frontone rispetto a ciò, e più convincersi che il sig. Mai dirittamente opinava, ne piace addurre il seguente passo tratto dalla lettera 16 del lib. 3 dei cinque rammemorati a M. Aurelio Cesare: Cum aeque tres quasi formulae sint orationis, icyyòv (il tenue ) pécov (il mediocre ) &dpdy ( l’ubertoso ), prope nullus in epidicticis To, icyya locus, qui est in dicia multum necessa- rius. Omnia &y TO, ETidemtInt ddpas dicenda, ubique ornan- dum, ubique phaleris utendum. E ben dicea Frontone, che deesi ornare nel genere dimostrativo. Ma come ornava egli? chè altra cosa è la massima, ed altra il modo di recarla ad effetto. Come egli ornasse, il vedremo tra poco. Ne giova ora considerare altre massime di lui. Nel frammento intitolato: de orationibus, diretto a M. Aurelio, scrive saviamente , esser meglio non coltivar l’eloquenza, che coltivarla male, soggiu- 116 gnendo: confusam eam ego eloquentiam catachannae (9) ri- tu partim igneis (leggasi ligneîs giusta la ingegnosa conget- tura dei ch. Orioli e Buttmanno ) nucibus Catonis, partim Se- necae mollibus et febriculosis prunuleis insitam , subverten- dam censeo radicitus, immo vero plautino irato verbo exra- dicitus. Riprova con buon criterio l’uso di dire in più modi la medesima sentenza, paragonando con molto spirito quei, che così adoperano, agl’istrioni, i quali quum palleolatim saltant, caudam cycni, capillum Veneris, Furiae flagellum eodem pallio demonstrant (10); e rispetto a ciò medesimo biasima, e non a torto, gli scritti di Seneca, e il proemio di Lucano, il quale iritio carminis sui septem primis versi= bus nihil aliud quam bella plus quam civilia interpretatus est. Dee pur darglisi ragione quando correggendo M. Aurelio di un suo troppo ardito ‘traslato ( pag. 99 ) scrive: Megue id reprehendo, te verbi stranslatione audacius progressum: quippe qui Ennii sententia oratorem audacem esse debere censeam (11). Sit sane audax orator, ut Ennius postulat; sed a significando quod volt eloqui, nusquam digrediatur . Medesimamente andar si dee nella sua sentenza, quando af- ferma, esser necessario che l’ oratore faccia buona scelta delle parole : ma si dee altresi tenere che egli professi una massi- ma pericolosa, quando dice ( pag. 244): verborum omnium, ut ita dixerim, de populo, sicut in bello, ubi opus sit legio- nem conscribere, non tantum voluntarios legimus , sed etiam latentes militari aetate conquirimus; ita ubi verborum praesi= diis opus sit, non voluntariis tantum, quae ultro obvenerint, utemur, sed latentia eliciemus, atque adimperandum indagabi- mus: Vero è che egli dichiara colle seguenti parole il suo divisa- (9) Questa voce si adopera un’altra volta da Frontone ( pag. 59. ) e ancor da Sparziano (Ju Hadrian. c. 16 ), come ha ben osservato il ch. sig. Orioli ( Epist. ad Alois. Cardinalium nelle Efemeridi di Roma, Genn. 1823 ) e divota qualunque pianta, dal cui tronco provengano per via d'innesto varie sorte di frutti . La descrive Plinio ( XVII. 15) senza però dirne il nome; e bene lo ha veduto il dottissimo Niebuhr. (10) Non pochi altri luoghi sono in questi frammenti di Frontone, che assai giovar possono agli studiosi delle antiche costumanze; dei quali luoghi alcuni contengono cose, che da altri scrittori non si rammentano, e alcuni servono di opportuno schiarimento e di conferma a quelle che già si conoscono. (11) Iguoravasi questa opinione d'Eunio. I} 7 mento: Verba quaerantur ut non hiantes oscitantesque expe- ctemus, quando verbum ultro in linguam quasi Palladium de caelo depluat; sed ut regiones et saltus noverimus, ut uhi quaesitis opus sit, per viam potius ad vestigandum quam invio progrediamur; ma è vero ugualmente, che in questo esercizio di cercare sì studiosamente le voci, è assai difficile di potersi tenere nei limiti di una scelta giudiziosa; ma ben si corre pericolo di cadere in affettazione e di sacrificare l’ idea alla parola. Se non che scarsa è d’idee quell’età, in che si pone special cura di indurre ammirazione in altrui mercè delle parole. Ed in vero Cicerone, che d’ingegno abbondava e di dottrina, e che insieme studioso era delle parole, e opinava, aver esse gran parte nell’eloquenza , scrivea ora nel suo libro de Oratore: rerum copia verborum copiam gignit, ed ora: res atque sententiae vi sua verba parient, quae semper satis ornata mihi quidem videri solent, si eiusmodi sunt, ut ea res ipsa peperisse videatur. Ma le buone e vere massime di Tullio aver non poteano autorità nei tempi di Frontone , in che un grandissimo crollo dato erasi all’ eloquenza. A Frontone e ai suoi seguaci piacea Catone sopra ogni altro oratore e si ponea da loro ogni studio in imitarlo servilmente, senza punto curare il savissimo giudizio di Cicerone, che dopo averlo lodato a cielo nel Bruto, dice: antiguior est huius sermo, et quaedam horridiora verba ; ita enim tum loquebantur. Id muta, quod tum ille non potuit; et adde numeros, et aptior sit oratio . Ipsa verba compone, et quasi coagmenta, quod ne Graeci quidem veteres factitaverunt; iam neminem antepones Ca- toni.... Nec vero ignoro , nondum esse satis politum hunc oratorem, et quaerendum esse aliquid perfectius. Ma ascoltisi, come Frontone giudicasse dì Tullio ( pag. 95. ), che fu certo il primo onore della sapienza ed eloquenza romana: Eum ego arbitror usquequaque verbis pulcherri- mis elocutum, et ante omnes alios oratores ad ea quae 0s= tentare vellet , ornanda, magnificum fuisse (12). Verum is mihi videtur a quaerendis scrupulosius verbis abfuisse, vel magnitudine animi, vel fusa laboris, vel fiducia, non quae (12) In una lettera al genero di Frontone chiama Tullio eximiae elo- uentiae virum ( pag. 289 ). 118 renti etiam sibi, quae vix aliis quaerentibus subvenirent, praesto adfutura.Itaque comperisse videor, ut qui eius scripta omnia studiosissime lectitaverim, cetera eum genera verborum copiosissime uberrimeque tractasse , verba propria , transla- ta, simplicia, composita, et quae in eius scriptis ubique di- iucent , verba honesta, saepenumero etiam amoena: quom tamen in omnibus eius orationibus (13) paucissima admodum reperias insperata atque inopinata verba, quae nonnisi cum studio atque cura, atque vigilia, atque veterum carminum memoria indagantur . Insperatum autem atque inopinatum verbum appello quod praeter spem atque opinionem audien- tium aut legentium promitur: ita ut si subtrahas , atque eum qui legat quaerere ipsum iubeas, aut nullum, aut non ita ad significandum adcommodatum verbum aliud reperiat. E quest ultimo dicea Frontone, perchè opinava, siccome è manifesto da alcune parole contenute nel passo or trascritto, che in ciò star si dovesse quasi unicamente agli antichi. Egli è vero, che gli antichi scrittori d’ogni lingua sono d’ ordina- rio assai precisi nei vocaboli e nei modi, ed han certa lim- pidezza , che mai non uguagliano quei che vengono dopo; i quali se fan più ricco il nativo idioma con nuove voci e con nuove frasi, alcuna però delle antiche e d’oîtima lega fan ca- dere in dimenticanza, e d'altra d’esse or estendono il naturale e primitivo significato, ora il ristringono , ed ora il piegano al metaforico. Ciò però nondimeno male adoperan quelli, che voglion porre scrupolosamente il piede nelle vestigie dei soli antichi. Infatti oltre che essi eleggono di far viaggio per sen- tieri più angusti, pretendono anche di ottenere mercè, dello studio, ciò che gli antichi ebbero dalla propria natura e dall’indole dei tempi, in che si abbatterono a vivere. Il per- chè dee spesso trovarsi negli scritti di questi imitatori e stento ed affettazione. E che noi non c’inganniamo in siffatto divi- samento, può ognuno di per sè conoscerlo paragonando quello che resta del maestro di Marco Aurelio col frammento di Ca- tone, ch’ ei riputava il primo degli oratori, come sopra è detto, (13) Alle quali orazioni Frontone preferiva l’epistole ( pag. 161 ): Omnes autem Ciceronis epistulas legendas censeo mea sententia vel magis quan omnes eius orationes, n nt Sennett ne 119 e le cui parolé e quelle d’Ennio e di altri antichi a tutt’ altre preferiva (pag. 95). Ciò medesimo è pure intervenuto a tutti i nostri che nei loro scritti han solo voluto tener dietro ai trecentisti. S'intenda una volta: ognuno è scrittore del tempo, in che vive; e chi voglia parerlo del passato , non è nè di questo, nè quasi del suo. Debbono gli antichi leggersi e rileggersi; ma al modo, in che gli leggeano, fra’ Latini, Cicerone, Virgilio ed altri; e tra’ nostri, il Casa, il Davanzati, il Redi, il Salvini, e somiglianti scrittori, i quali coglier vi sep- pero quei fiori, che bella e vaga comparsa facessero nelle ghir- lande, ch’essi intessevano giusta le foggie del loro secolo. Tornando a Frontone è da dire, che egli non desse bel sug- gerimento a M. Aurelio quando scriveagli ( Pag. 34 ): Te Do- mine ita compares, ubi quid in coetu hominum recitabis, ut scias auribus serviendum; plane non ubique, nec omni mo- do.... Ubique populus dominatur, et praepollet. Igitur ut po- pulo gratum erit, ita facies atque dices. Hic summa illa virtus oratoris atque ardua est, ut non magno detrimento re- ctae eloquentiae auditores oblectet.... V. obis praeterea, qui- bus purpura et cocco uti necessarium est, eodem cultu non- nunquam oratio quoque amicienda est. Facies istud, et tem- perabis et moderaberis optimo modo, ac temperamento. Ma non è qui luogo alcuno a temperamento. O tener fer- me le buone e vere norme, non mai venendo a patti, o ca- gionar l’estrema rovina all’eloquenza. E rovinò essa difatti ; e l’età, che succedette a quella di Frontone, altro non fece ‘che renderla peggiore. Colui, che scrive o parla a grazia d’un popolo, che ha incominciato a smarrire le tracce del vero bello, non fa che renderlo più cieco nel suo traviamento. Una mente, che sia sana, sa appagarsi sempre del vero, o nudo lo vegga, o di sobrii e sinceri ornamenti vestito. Ma quando re- sti per sua mala ventura abbagliata dal falso, ha bisogno di scosse sempre più forti per essere eccitata alla maraviglia ( alla passione non diciamo, perchè non scende al cuore se non quello ch’è naturale ): le quali scosse, alla guisa delle apoplettiche, col ripetersi e rinforzare, portano alla stupidezza, e quindi alla morte. Chi a ciò, che noi diciamo, aver voglia riguardo , tro- verà in esso, e nell’orgoglio di non voler seguir l' orme di quei x20 fortnnati che l’ apice toccarono del vero e del bello; le cagioni del danno sempre crescente in ogni infausta vicenda delle let- tere e delle arti. i Nè, a nostro credere; meno errava Frontone quando dalle immagini e dalla lor frequenza consister credea il più bello ornamento degli scritti oratorii. Moltp ad esse egli applicava l'animo, vi consigliava M. Aurelio, e gliene dettava i precetti ( pag. 71): e il buon principe estimò certo di dar a lui gra- ta notizia scrivendogli ( pag. 69): Ego hodie a septima in lectulo non nihil lesi; nam &nvas ( imagines) decem ferme evpedivi. Alcuna immagine, che spontanea venga in iscrivere x e solo allora può ben quadrare al sabietto ), se con brevi det- e buon discernimento si tratti, reca lume all’orazione e di- ade a chi la legge, o l’ascolta; ma se prima si componga, e poi a sangue freddo, siccome dicono, il luogo si cerchi per inserirla, è gran pericolo, che riesca languida e arrechi danno all’interesse del ragionamento. Lo che dee a più forte. ragione intervenire quando non sia di facile e schietta origine , ma sì venga da ricercata e maravigliosa ; siccome la seguente , che Frontone suggeriva a M. Aurelio, perchè egli l’ Ne pria in un rendimento di grazie ad Antonino pio. La traeva dall’ isola Ebaria, così scrivendo ( pag. 70): Ut illa in mari insula Aena- ria fluctus maritimos ipsa accipit atque propulsat , omnemque vim classium, praedonum, belluarum, procellarum ipsa per- petitursintus autem în lacu aliam iusulam protegit ab omni- bus periculis, ac difficultatibus tutam; omnium vero delicia- rum, voluptatumque participem. Namque illa intus in lacu- insula aeque undis alluitur, auras salubres aeque accipit, habitatur aeque, mare aeque prospectat. Item pater tuus imperit romani molestias, ac difficultates ipse perpetitur, te tutum intus in tranquillo sinu suo socium dignitatis, gloriae bonorumque omnium participem tutatur. Hac imagine mul- timodis uti potes ubi patri tuo gratias ages, in qua oratio- ne locupletissimum et copiosissimum te esse oportet... -Po- siea ego quameumque einéva huc addidero, non aeque pla- cebit tibi, ut haec quae ad patrem tuum pertinet. Questa immagine non ricorda quasi lo stile dei nostri predicatori del secento? Nè ciò dee far maraviglia; perchè le lettere e de arti È 121 siccome sono per tatto presso a poco le medesime nei loro principii, così si assomigliano nei loro decadimenti . Che se Frontone ebbe lode d’ orator massimo, ciò solamente vuol dire ch'egli fu primo tra gli oratori del tempo suo, in che l’ elo- quenza era grandemente corrotta. Del resto quel suo studio soverchio delle immagini, che nausea oltre misura nella let- tera greca a Domizia Calvilla, si trasfuse in lui dal greco Atenodoto, che gli fu maestro, testimoniandolo egli in iscriver cosi a M. Aurelio ( pag. 109. ): A meo magistro... Atheno- doto ad exempla et imagines quasdam rerum, quas ille einévas appellabat, apte animo compraehendundas, adcommodandas- que mediocriter institutus sum. E di questo, come del mo- do di scrivere tenuto da Frontone, e del parere, di che egli fu rispetto a Tullio abbiam noi voluto dar contezza, perchè da queste tre notizie ne pare, aver bella conferma l’ opinio- ne del Tiraboschi intorno alle cagioni del corrompimento dell’elo- quenza. Esaminate egli nelia sua storia della letteratura ita- liana con molta acutezza di mente le ragioni a ciò addotte dall’ antico autore del dialogo: De causis corruptae eloquen- tiae, e da altri, nè trovatele sodisfacienti, passa a darne la propria. Avea Cicerone, egli dice, condotta l’eloquenza alla maggior perfezione a cui fosse mai arrivata. Que’ che ven- nero dopo... voller essero migliori di Cicerone, vollero con= durre l’eloquenza a una perfezione ancora maggiore. Or che ne avvenne? Questa maggior perfezione non fu che il prin- cipio di un total decadimento . Ripresero lo stile di Cice- rone come troppo sciolto e diffuso, e cominciossi allora a in- trodurre quello stile tronco e conciso e oscuro, e pieno di sotti- gliezze;il ripresero come non a bastanza elegante e colto, e si prese allora a usare di parole e di locuzioni affettate (14). Del qual traviamento incolpato è a buon diritto dal Tirabo- schi Asinio Pollione, di cui scrisse l’autore del citato dialo- go: Asinius quoque quamquam propioribus temporibus na- tus sit, videtur mihi inter Menenios, et Appios studuisse. Pa- cwvium certe et Attium non solum tragoediis, sed etiam ora- tionibus suis expressit, adeo durus et siccus est. E parlando (14) Tom, 1. par. 2, pag. 157. ed. di Pisa. 122 altrove il Tiraboschi (15) del totale decadimento della latina eloquenza, non dubita d’attribuirlo in gran parte ai greci sofisti. Ne sembra adunque che questo parere del Tiraboschi, per le conferme che ne ha oggidì dagli scritti di Frontone, non possa esser più richiamato in dubbio. Ora in sul fine di questo esame degli scritti di Fronto- ne è da dire alcun chè sopra cose che la lingua riguardano e la storia. Non pochi vocaboli nuovi appaiono in questi scritti, e non pochi ugualmente, i quali si riputavano appartenere alla barbara latinità, o come dubbi si escludeano dal Forcellinì . Il diligentissimo indice fattone da Monsignor Mai, da noi ram- mentato di sopra, ci dispensa dal trattenere in ciò lungamente i nostri lettori. A soli tre nuovi vocaboli ristrigneremo le nostre osservazioni. Sia primo il vocabolo altipendulus. L?adope- ra M. Aurelio Cesare trattolo da un antico, così scrivendo dalla Villa a Frontone: Deinde uvis metendis operam dedimus, et consudavimus, et iubilavimus, et aliquot, ut ait auctor, reli- quimus altipendulos vindemiae superstites. Vale adunque fa parola altipendulus il grappolo dell'uva che pende dall’ alto della vite e che facilmente lasciasi da chi voglia fare una co- moda vendemmia, come certo dovette esser quella di M. Aurelio e della famiglia imperiale; ed è da credere che adoperassero i Latini la voce pendulus a significare qualunque grappolo d’uva. Abbiam noi la voce perzolo, la quale dicesi, secondo che ben definisce la Crusca, @ più grappoli d’ uva uniti insieme, e pendenti da qualche luogo . La trasse il Menagio dall’ addiet- tivo pendulus andando a generale idea; ma dobbiam noi, re- candoci a particolare, crederla nata dal detto sustantivo, che in suo composto veggiamo adoperato ad esprimere il grap- polo dell’uva sospeso in alto- Scrivendo Frontone a Precilio Pompeiano usa nel fine della lettera la parola anuce/la, che nella glossa marginale è così dichiarata: 45 anu, anucella. Certamente anucella la stessa cosa è che aricella (vecchierella) voce usata da Varrone (16) e per avventura così ridotta dai copiatori per ammodernamen- (15) Tom. 2. par. 2. pag. 306. (16) De L. L. XVIII, 45. fe — O Ot, pg e _p°° e Ve, 123 to. Da anucella o anicella nacque, a giudicio nostro, il vo- cabolo arcilla, mutata la e in é per la parentela di queste due vocali, onde i Latini, siccome afferma Donato (17) scris- sero here ed heri, mane e mani, vespere e vesperi; e tolta la i, come in ardum per aridum e caldus per calidus . La quale etimologia della voce @anci/la pare a noi più naturale che quella di Festo, il quale la facea nascere da Anco Mar- zio, quod is bello magnum feminarum numerum ceperit, e dal verbo anculare, che adoperaron gli antichi invece di 727- nistrare, onde Anculi e Anculae, gli Dei e le Dee dei servi e delle serve (18). Ma anculare il medesimo è che anci/lari che nasce dalla voce arnci/la, lo stesso che anucella o anicella siccome è detto: voci tutte che han per prima radice il vo- cabolo anus ( vecchia ), da cui esse nacquero, perchè talora proprio fu delle vecchie il prestar ministero. E per recarne esempio, è nel Curculione di Plauto (19): Anus hic solet cu- bitare , ianitrix ; e appresso Petronio (20): Anus praeci- pue lippa, sordidissimo linteo praecincta, soleis ligneis im- paribus imposita, canem ingentis magnitudinis catena trahit, instisatque in Fumolpum. Adunque dalla parola anus si for- maron nomi e verbi indicanti servizio; come il 727c dei Greci, il puer dei Latini e il fanze dei Toscani vagliono fanciullo e servo per essersi i fanciulli a ciò medesimo deputati. : La terza nuova parola da considerarsi è samentum. Nar- rando M. Aurelio per lettera a Frontone, di aver torto nell’an- dare in villa il cammino ad Anagni , e di aver diligentemente osservata la città, scrive: Deinde in porta cum eximus , ibi scriptum erat bifariam sic: flamen sume samentum. Rogaviî aliquem ex popularibus quid illud verbum esset? Aît lingua hernica pelliculam de hostia, quam in apicem suum, flamen cum in urbem introeat, imponit. Nell’indice dei vocaboli reca il sig. Mai le due parole: Sume samentum,) alle quali ap- pone questa nota: De vocabulo sume, quod est etiam in ta- bulis eugubinis, legatur Lanzius L. E. in tertio indice locis= (17) Apud Vossium de lit. permut. pag. 12. col. 2. et d, (15) V. Pitisc. Lex. Autiqu. R. ad h. v. (19) Act.15c.1v. 76. (20) Satyr cap. 95. 124 que ibidem laudatis. Ceterum in codice sume superponitur seeunda manu Tò samentum; de quo postremo vocabulo nihil iudico," si certe sume hernicum nomen, non verbum latinum est. Ma non pare a noi che sue sia parola degli Ernici, ma bensì dei Latini; e M. Aurelio non ebbe difficoltà che sulla voce samentum , che sola gli si rispose appartenere alla lin- gua degli Ernici, tra i quali si noveravano i cittadini d’Anagni. Ridotta però era essa già alla foggia latina: e latina è certo tutta l’iscrizione, che vale: Flamine, piglia il Samento, cioè una piccola parte della pelle tratta alla vittima, per portela in sull’Apice prima d’entrare nella città. E sebbene così ridot- ta, potè però sempre dirsi degli Ernici, come dir potevasi etrusca la voce Xistrio sebben fatta da Hister, con che gli Etruschi dinotarono i giocolari, al dire autorevolissimo di Ti- to Livio (21). Nè poi la voce samentum è tale che non possa scoprirsene l’etimologia. Pare a noi, esser lo stesso che il latino amentum , che vale /orum, in italiano Za striscia del cuoio, e che secondo la giusta opinione di Festo deriva dal greco ‘4upe, voce dello stesso valore. E giusta abbiam detta l’opinione di Festo, perchè solamente riputiam vere quelle eti= mologie, che al medesimo suono delle voci, il quale di per sè solo è guida mal sicura, uniscono la medesimezza o la quasi medesimezza del significato. E se ci si domandi, come dal greco ITATTO siasi fatto prima same o samen ( che così dovett’ essere in Ernico ) e poi samentum colla costante ag= giunta in principio della s, rispondiamo , che nelle antiche lingue d’ Italia, compresavi pure la latina , si compensò spes- so con questa lettera lo spirito aspro ed il lene delle paro- le greche le quali incominciano da vocale (22). Anche 1’ antica storia ha nuovi lumi dagli scritti di Frontone ; ciò che ha veduto il sig. Mai, e noi nel darne il saggio seguitiam volentieri Je traccie di lui. Il dotto Oli- vieri, che meritò sì bene di Pesaro sua patria, tenne opi- nione che la famiglia Aufidia a Pesaro appartenesse . Ciò è (21) Lib. 7. c. 2. ; (22) V. Voss. de Lit, perm. pag. 31. col. 3. anzi sag. di L. E. tom, 1. pi 130, 125 confermato da una lettera di M. Aurelio a Frontone ( pàg. 112. ), ove certo Caio Anfidio è detto nativo dell’ Umbria . Ignoravasi , che M. Aurelio avesse una figlia chiamata Cornificia + È noto ora da una lettera di lui a Frontone ( pag. 142): e che fosse quella stessa che al dir d’ Erodiano, il quale ne tace il nome, fu uccisa poi da Caracalla , è fatto manifesto dagl’ inediti Escerti del Porfirogenito, che tra poco per opera medesimamente del sig. Mai verranno alla luce. M. Aurelio già imperatore arringò in senato sul terre moto di Cizico , assai adoperandosi perchè i desolati abit a- tori di questa città dignz senatus misericordia , et auxilio viderentur, siccome scrive Frontone. Sifilino e Zonara asse= gnavano questa calamità al tempo in che imperò Antonino pio , contro Dion Cassio , il quale in ciò con Frontone è d’ accor- do. Sta adunque salda }’ asserzione di questo storico ; e quei che han creduto aver egli confuso Cizico con Smirne , sono , come conchiude il sig. Mai, convinti d’ errore. Scrisse Sparziano nella vita d’ Adriano Augusto, che non avea egli potuto rendersi soggetti i Britanni ; ma non sapea- si , e cel dice ora la prima volta Frontone ( pag. 200. ), che essi avesser fatta grande strage dell’ esercito romano . Ma ba- sti il detto su questa materia , e sulle altre discorse nel pre- sente articolo . Noi gli diam fine, come lo abbiamo inco- minciato , colle lodi cioè del sig. Mai, le quali a lui tribu tiam sincerissime per avere con buon criterio , con molta di- ligenza e ampio corredo di dottrina posti in luce scritti im- portanti per più riguardi, massime per quello di meglio co- noscere lo stato della eloquenza e della lingua latina (23) nei tempi , in che visse Frontone : le quali cose non sono pic- cola parte della storia dei progressi e dei decadimenti del- l’ umano sapere . G. B. ZaxnonI. (23) Dicendo di sopra che Frontone fu stndiosissimo degli antichissimi scrittori latini, non abbiam voluto dire , che egli adoperasse solamente i vocaboli di loro. Usa eziandio dei correnti ; lo che , come ognun vede , dovea massimamente avvenir nelle lettere familiari, che si scrivono, siccome di- cesì tra noi, non in manichini, ma in veste da camera. Veggansi gl’ indici dei vocaboli, e della latinità di Frontone compilati dal Sig. Mai, e vi two- vereimo la tendenza a quel guasto , onde poi nacque la lingua italiana: 126 Elogio accademico di FRANCESCO FoGGI, Professore nella Univer- sità di Pisa, letto il dì 21 Agosto 1824. Quando il Capo supremo di uno stato, che in tutta la vita eb- be i cittadini per figli, e sempre usando moderatamente del pote- re, sempre ne congiunse l’uso alla volontà di giovare agli uomi- ni, cede improvvisamente al destino , tetta è commossa la città : per tutto o si prega, o si loda o si piange, perchè ognuno sente acerba e propria la privazione, ripensando a’ benefic] che ritrasse da quell’ illustre perduto ; e non havvi consolazione nel pubblico , se non solamente nella speranza che porge l’erede del trono, poichè dai forti e dai buoni nacquero ordinariamente e formaronsi i buo- ni ed i forti. Ma quando il padre di famiglia operoso e modesto, che in silenzio faceva la causa pubblica, e vivendo vita virtuosa e privata, non ambiva le lodi, non aspirava a parer grande tra gli uomini, ma ad esserlo veramente nel testimonio della propria coscienza, chiude gli occhi a questa luce fuggitiva, non s’odono ge- miti che tra i suoi; e gli uomini incuranti, che nulla stimano per- duto, se non ciò che apertamente cade loro di mano, non si dol- gono affatto. Altramente però ne giudicano que’ pochi, che retta- mente sentono delle cose civili; e se quella prima perdita stima- no gravissima e deplorabile al sommo, di questa seconda pure come di grave male si dolgono, e stimano che non senza lodi, non senza segni d'animo grato debba passare al sepolcro la spoglia del mor- to. I servigi che si rendono alla città, nella quiete d’uno stato me- diocre, colla tranquilla e tacita occupazione d’ogni giorno per tut- to il corso d’una lunga vita, vagliono per la comune utilità assai più che molte azioni di strepito: e il lento effetto de’privati ser- vigi diretti a formare colla educazione l’ uomo ed il cittadino, merita bene delle società , quanto le più nobili imprese di guerra o di pace. La memoria di questi uomini rari dee quindi esser be- nedetta con pubblici ringraziamenti, ed è da cercare nella narra- zione della storia della loro vita, se alcuno volesse tentare a pub- blico benefizio di camminare su quelle vestigie onorate. In que- sto concetto io vi annunzio, o Accademici, la perdita del nostro So- cio corrispondente il Professore Francesco Foggi j e poichè i vin- coli che abbiamo a comune di cittadinanza e di associazione let- teraria fanno alla nostra accademia un dovere di onorare la me- moria degli uomini che illustrarono il nostro paese, e faticarono per utilità della patria comune, nell’annunziarvi la morte di que- sto dotto e virtuoso uomo, mi propongo di aggiungere poche cose TU 127 della sua vita, onde mostrarvi che nel suo carattere d’istitutore, nella prima università di Toscana, illustrò egli veramente la cit- tà nostra in cui nacque, e provedde alla utilità della patria co- mune + Se ogui giorno che spunta conferma i giudizj della natura, e mina e distrugge le capricciose opinioni degli uomini, ogni giorno aggiunge qualche cosa alla dimostrazione del principio: che la nostra mente nulla porta seco dal seno materno, fuorchè la potenza di sentire e di agire; che tutte le cognizioni della mente tutte le felici abitudini del nostro volere sono acquistate: e quauto più questo principio si rende evidente, malgrado le idee dei nuovi e degli antichi Platonici, che ci vorrebbero già provvisti avanti di nascere e di faticare, tanto maggiormente è sentito da tutti i saggi il bisogno della educazione. Di una educazione, o Accademici, che occupandosi nell’ istruire l’uomo e nel formarlo all'adempimento di tutte le leggi che impose alla sua natura l’ Autore augusto di lei, e che si manifestano ogni giorno alla ragione sviluppata dell’uomo, gli faccia una felice abitudine della sapienza e della virtù. Di una educazione, che riconosca queste leggi divine, scuo- prendole nella intima costituzione dell’uomo, legge di conserva- zione, legge di perfezionamento, legge di socialità, legge di mo- rale. Di una educazione che a queste leggi risponda, trasforman- dosi per esso il bisogno in educazione fisica , formatrice e con- solidatrice degli organi ed istitutrice delle facoltà , per servi- re alla legge di conservazione; in educazione intellettuale, diret- ta a fornire alla mente le idee delle cose create, sollevarla ai più sublimi pensieri ed insegnarle l’arte di pensare e parlare, per servire alla legge di perfezionamento : in educazione mo- rale che inspiri la verità e il costume, per servire alla legge che la concerne, e finalmente in educazione economica e politica, onde sia felicemente sviluppata e rettamente eseguita la legge di socialità. Così questa arte santissima della educazione non ha un solo ufficio da compiere, nè può escire intiera dalle ma- ni di un solo artefice: e la legge di conservazione è natural- mente data ad eseguire alla madre; e come nel suo seno si sbozza l’uomo e se ne formano le prime masse, così tra le sue braccia deve egli prendere sveltezza e forza e formazione comple - ta, e le sue membra debbono apprendere le loro azioni e cambiar- si o isuoi gesti in suoni articolati e distinti, o i suoni ordinarsi in linguaggio che risponda alle idee, e debbono stamparsi tra le tenere carezze materne i primi passi del corpo e dell’ animo, e singolarmente formarsi i sensi a conoscere; e tra questi i due Li 128 grandi maestri dell’uomo debbono perfezionarsi , l'occhio io voglio dire e la mano, questi strumenti preziosi di analisi, questi primi prov- veditori del nostro pensiero. Subentra la legge del perfezionamento, e questa al padre è fidata singolarmente, al padre che dee guidare er mano l’uomo giovinetto in mezzo all’immenso popolo degli esseri, ed all’immenso numero delle cose, sicchè un popolo d’idee egli ne ritragga in virtù dell’ astrazione e dell’ordine, e impari a usare di questi materiali pensando, e a comunicare ed accrescere i suoi pensieri, ragionando con una lingua perfetta. E mentre queste cose si fanno, al padre e alla madre congiuntamente coi ministri della religione è fidata la legge della morale, e la madre la mostra e la fa naturale, istillandola in quel cuore nuovo che se n’imbeve fin dai primi anni; e vera la mostra il padre cogli argomenti della ragione ; e sanza la predica il Ministro della religione. Ma a chi è fidata, o Accademici, la esecuzione della leg- ge della socialità nella educazione dell’uomo? Essa è fidata alla patria, e la patria l’esercita nel seno delle università colla pub- blica istruzione. Che se tra le mani della madre e del padre si forma l’uomo ragionevole e congiunto co’suoi nella naturale com- pagnia di famiglia; nell’università (solamente si forma l’uomo so- ciale, elevato allo stato augusto di cittadino. Così quegl’ illustri uomini, a cui dalla patria fu dato l’incarico d’educare i figli di lei in ogni maniera di sapienza e di virtù civile , sono in istato di grandissima dignità , poichè non havvi niuna dignità maggio- re di quella che forma gli uomini della città; e come hanno gravissimi doveri da compiere, così grandissimi hanno i diritti al- la venerazione ed alla gratitudine del pubblico. Sono essi rive- stiti d’una paternità universale ; e come i diritti di tutti gli uo- mini son riposti nelle mani della pubblica autorità, per servirse- ne alla difesa ed alla felicità di tatti, così i diritti di tutti i pa- dri son depositati nelle mani degl’ istitutori dell’accademia dalla patria e dai padri, onde se ne valgano alla istruzione ed alla educazione di tutti i figli. Nè altro significano le accademiche giurisdizioni riconosciute da tutti gli stati, se non la patria po- testà che nel suo grado più alto è riunita nell’ accademia per una duplice delegazione: delegazione del governo, che non può permettere che giovanetti minori di età e riconosciuti per biso- gnosi di direzione, restino sprovveduti di tutore o di padre ; de- legazione dei genitori, che, malgrado loro, staccandosi i figli dal fianco , intendono certo che la patria che gli accoglie rappre- senti la diligenza paterna, e si rivesta di tutta l’autorità che in es- si riconosce la società e che in noi padri di famiglia la natura LT e e 12 istessa trasfuse. Grande ed illustre per ogni modo è certamente questa paternità, ma grandissimi ne sono i doveri. Basta per in- tendergli il ripensare in che l’ultimo fratto di questa istituzione, e l’ultimo fine di questa paternità sia riposto. Ed è riposto pri- mieramente nel formare l’ intelletto all’acquisto ed all'uso di tut- te le cognizioni veramente civili, poichè tutte le scienze della Università debbono consumarsi in alcuna arte che immediata- mente serva al vantaggio del pubblico. Ed è riposto in secondo luogo nell’ ispirare ed accendere nell’animo dei giovanetti l’amo- re vero e pratico della virtù, che fondato sulla religione si con- sumi nel sacro amore della patria. Quindi questa paternità de- ve essere illuminata, amorosa, infaticabile. Iluminata per cono - scere i generali bisogni della educazione e gl’ individuali biso- gni di ciascuno educato: amorosa perchè l’ affetto ai figli del- la patria, come ai propri figli, può solamente sostenere l’ uomo con un amore ardente del proprio stato, ad acquistarne le co- guizioni, ad eseguirne i doveri, a scansarne o vincerne gli ostaco- li, a soffrirne lietamente le tribolazioni e le pene, di cui ogni stato ha larga messe e continua : infatigabile e laboriosa al som- mo per ciò che domanda, e l'istruzione la più facile, la più ve- ra, la più sociale che sia da sperarsi, e la educazione la più ret- ta e la più conforme allo stato civile degli edacati, accurata nel consigliare, industre nel correggere, amorevole nel premiare, at- tenta nella vigilanza, alla protezione prontissima, e domanda in- fine l'esempio purissimo di umane, di religiose , di civili virtù, perchè le tenere menti dei giovani meglio imparano a praticare gli esempi che vedgno , che non le dottrine che ascoltano. Ora, che questi caratteri della pubblica paternità di che par- lammo finquì, fossero veramente nel Foggi insino dalla prima sua gioventù , i fatti che vi son noti lo dicono meglio assai di molte parole. E che avesse egli, allorchè fu elevato al grado di pubbli- co professore nella illustre Università pisana, le cognizioni che una illuminata paternità richiede in quel posto sublime, ne ab- biamo per garanti due fatti grandi e solenni, e ciascuno di noi può quindi invocare a conferma la testimonianza sua propria. La scelta del Foggi a maestro dei giovani toscani è il primo di questi fatti : la di lui elezione in precettore dei Figli reali, è, in un Principe illastre e sincero qual. era il Gran LeopoL- DO, una conseguenza di quella prima elezione, ma ne è pero noi la solenne conferma ed un fatto distinto, che non solamen- te per sè, ma per le sue conseguenze illustra il nostro vene- T. XVII. Gennaio 9 ’ 130 rabile istitatore. E veramente, che un Principe sapiente non solo, ma vigile al sommo, e conoscitore dei suoi, e sincera- mente voglioso che l’istruzione st spargesse, e se ne moltipli- cassero i mezzi, non a pompa di munificenza reale, ma a si- curezza d’ effetto in tutte le classi sociali, volesse o potesse scer- re un’ uomo dappoco ad istitutore di quella università che fù il continuo oggetto delle sue cure , chi ’l crederebbe ? E che quindi ingannato nella sua scelta , volesse confermare l’ errore primo e renderlo anco più funesto allo stato, rendendo comu- ne ai figli la calamità dei suoi sudditi, poichè un istitutore dappoco in un’ accademia è veramente una pubblica cala- mità, chi potrebbe pensarlo ? Certamente nessuno : e se alcu- no potesse cadere in errore sì stolto e sì grave, noi lo ri- manderemmo ai frutti di quella scelta, e alla testimonianza di quelle lacrime , di quei sospiri che stanno sulle guance , che esalano dal cuore di ciascuno, e che nel rammarico della per- dita mostrano il prezzo delle virtù, che per quella scelta feli- ce una più felice educazione sviluppava in quelle Anime reali ad ogni buona cosa felicemente inclinati dalla natura, e pre- parati dalle prime cure di quel Padre sommo, di quella Ma- dre amorosa che fù modello d’ ogni virtù. Ma a che cercare testimoni che la mente del Foggi era veramente illustrata da quella luce che dee circondare sulla cattedra dell’ università l’ istitutore , poichè ne siamo testimoni noi stessi, che nella relazione di discepoli, di concittadini, di colleghi di questa accademia nostra, usammo familiarmente con lui? A che cercar- ne mentre vivono le opere sue, che se non danno il nome loro al secolo che le produsse , pongono veramente il Foggi fra i nobili cultori delle discipline che professava , e lo mostrano, qual sempre ei fù, non solamente amico e conoscitore delle al- ire scienze, ma singolarmente convinto della reciproca loro pa- rentela, e singolarmente studioso di cercare in ciascuna 1’ appog- gio ch’essa era in istato di prestare alla sua scienza ed ai giovani studiosi di lei? E queste opere ‘sue e ie sue istituzioni e i suoi trattati e lè dissertazioni canoniche sempre rivolte alla scien- za che egli insegnava, dimostrano che questa era lo scopo con- tinuo dei suoì pensieri, e che nulla altro cercava studiando , se non di esercitare sui suoi una illuminata paternità . E che veramente paterno fosse l’ animo suo verso i suoi allievi, e che all’istruzione congiungesse egli veramente l’ amore del suo stato e dei suoi, abbastanza lo avrebbero mostrato quei dolci suoi modi, e quella cortesia nel trattare, e quella pazien- 131 za nell’ ascoltare, e quella amorevolezza nel consigliare , e quell’ offerirsi sempre pronto ai bisogni di tutti, e quel ren- dere comuni a tutti i suoi libri , la sua casa, la compagnia della sua virtuosa famiglia, se non vi fossero anche segni più chiari della bontà del suo cuore. I giovanetti di un accademia, comunque ben nati, comunque buoni e pieghevoli al bene, più che altri non pensi, hanno certi momenti di vivacità , certe tali quali fanta- sie , certa indifferenza o difficoltà per tali o tali altre disci- pline, le quali per la loro gravità naturale male si legano colle disposizioni di anime giovanili ed ardenti, piene di forza nel- l’ immaginazione, abbondantemente forse troppo nutrita cogli stu- di della bella letteratura , piene del sentimento d’ una libertà forse troppo repressa nella domestica educazione, che presen- tano agl’istitutori frequente occasione di dissimulare , di com- patire, di perdonare. Il nostro Foggi insegnava in una scienza poco conforme alla vivacità giovanile : ebbe egli quindi non infrequenti occasioni all’ avvertimento, alla correzione, ma per ismodata che fosse l’ altrui vivacità, non escì egli mai dai con- fini della pazienza , della cortesia, nè mai permise che alcuno a suo riguardo fosse punito. Sempre tranquillo, sempre amore- vole , sempre pronto a scordare que’ leggieri falli, era coi suoi scolari sempre lo stesso e sempre degno di quel venerabile Con- sesso di padri, nei quali noi e î nostri genitori ed i nostri figli trovarono costantemente e troveranno una paternità illumi- nata , amorosa , infatigabile , E che infaticabile veramente si fosse il Foggi nelle sue cu- re paterne , però ricavasi dalla natura stessa delle sue attribu- zioni e confermasi col fatto . Ha egli professato lunghi anni la giurisprudenza ; e quali gravi cure esiga cpdesta specie d’ insegnamento , e quali mo- lesti pensieri debba destare la responsabilità unita a codesta cattedra in chi vi siede, voi lo sapete. A. questa scuola sì for- mano gli uomini pubblici , quelli che un Principe sceglie a pro- porgli le leggi, a farle eseguire, ad amministrare le finanze, a dargli consiglio ed aiuto in ogni modo di cose pubbliche, a giu- dicare dei diritti di proprietà, a prevenire i delitti colla vigi- lanza , a reprimergli colla pena. Ove la pubblica istituzione fallisca nelle sue strade, manca d’ effetto, e siccome ad una felice ignoranza non possono arrestarsi i discepoli, e la mezza sapienza petulante ed ardita sa farsi scambiare colla scienza, s' ingannano i maggiori e i falsi dottori invadono le sedi dovu- te alla sapienza ed alla virtù. E allora ogni relazione è ne- 132 gletta , ogni diritto pericola, e lo stato di società diventa peg- giore del bosco . In questo timore , l’istitutor che detta legi- slazione nell’ accademia è sicuramente agitato e non gode tran- quillo riposo , se l’ amor del proprio stato, questo primo carat- tere dell’uomo pubblico, gli parla al cuore . Allora egli ag- giange al soffrire del suo cuore la fatica della mente, e conosce la gravità delle sue funzioni, e cerca Ja via della istituzione con tutte le forze dell’animo. E veramente il battere cotesta via, e batterla rettamente, non è opra di gente da poco, Si pensa' per molti che il primo bisogno di uno stato sia il rivedere le sue leggi, e riformarle ad un tratto, sicchè solamente col sussidio di codici nuovi abbiano a formarsi illustri magistrati, gravissimi di- fensori, amministratori perfetti. Chi si ricorda però a qual mole sia giunta la giurisprudenza dei novelli codici francesi, chi ode che Ja Baviera rifonde d° intiero nel 1824. il codice penale del 1813, chi contempla l’effetto del codice di Federigo e d’Amedeo, in quella opinione non discende . Pensa egli che l’ istituzione acca- demica debba e possa supplire alla imperfezione delle leggi in più d’un modo, se quella imperfezione non è somma; e che ove questa sia tale che meriti veramente l’ opra del riedificatore, e mon quella solamente del correttore, l’ istituzione accademica debba preparare i legislatori, avanti che si ponga mano al no- vello edifizio. A questo doppio effetto , o di correggere in una legislazione i difetti, o di prepararne la totale rinnovazione, per due modi provvede l'istituzione accademica. È convinto ‘ogni buono spirito che l’ accademia deve fornire i principii della pru- denza civile; e questi principii debbano naturalmente avere in ul- timo resultamento : che s° impari a pensare ed a parlare in giu- risprudenza, sicchè l° istituzione riducendosi a questo solo, la lo- gica e la grammatica della scienza legislativa , del gius costitui- to e del gius costituendo, si riduca ad una lingua ben fatta di questa Scienza , ad una lingua che presenti col mezzo di tradurre le questioni nel linguaggio più semplice la spontanea loro de- cisione nell’ultima traduzione. Per giungere a questo punto due sono le operazioni da fare. Bisogna in primo luogo riunire le leggi in sistema se non esistono riunite, e per questo modo i di- diversi stati, specialmente Alemami, hanno trovato più d’una vol- ta che le loro leggi che divise erano impossibili a studiarsi nella loro confusione, per opra di corpi accademici erano ormai ridot- te in ordine e riunite aî principii ricevuti del diritto comune . Gon questo metodo solamente le leggi di un paese possono ridursi a nozioni veramente elementari, e con questo mezzo conoscono ì LE LOT SLC RI TL _ TOO 133 legislatori i vuoti delle leggi, le loro imperfezioni, e distinguono le leggi da tenersi in vigore, o da supplirsi, da quelle che non servono altrimenti ai bisogni sociali, e che domandano d’ essere tolte di mezzo. E senza un lavoro di questa fatta ( che pure è l’opera necessaria di un istitutore di legislazione nazionale ) è impossibile che si rivedano le leggi e se ne faccia lo stato lo- ro, come è impossibile che senza un dizionario, in cui le opere sieno classate nell’ordine delle idee, si riveda la lingua d’un po- polo. Riunite le leggi, bisogna percorrere i varii rami di legisla- zione, ed in ultima analisi stabilirne ed insegnarne i principii . E questi sono, per servirmi della partizione d’un grand’ uomo , i principii della giustizia distributiva privata, o del diritto di pro- prietà, e poi quelli della giustizia punitiva, e quindi que’ che spettano al modo di agire nell’una e nell’altra . E seguono poi i prin- cipii della distributiva pubblica che appartengono alle relazioni fra 71 popolo e quei che lo reggono, e le massime della tattica po- litica che non si scostino dal giusto, e le relazioni colla finanza, edi principii distinti della pubblica economia, ed i principii dei rap- porti esterni o le leggi internazionali; e finalmente quelli che insegnano a unire e comporre insieme ogni cosa ed a fissare le parole e le idee della scienza legislativa . Ecco quali sono le grandissime cure che la natura delle cose comanda ad un profes- sore di giurisprudenza nell’accademia, e quali le cure che furono sempre presenti all’animo del nostro Foggi. E cercò egli ,sempre di riunire in un punto solo di vista le nostre leggi , e lo attestano le opere sue, e in singolar modo le sue istituzioni; e posto a det- tare i canoni della Chiesa adottati nel dritto, ebbe sempre que- sto pensiero, che i giovanetti cominciassero di buon’ora a rico- noscere e conservare una perpetua armonia fra le leggi della re- ligione e quelle della città. Nè per alcuno si pensi che a lui fossero stranieri que’grandi e numerosi principii che colla loro ri- unione, come io diceva, conducono a formare la mente del giure- consulto, come se ristretto alle cose canoniche dovesse egli trascu- rare ogni altro pensiero. L’Istituzione dell’accademia è una sola : le scienze, diverse, di cui si compone lo studio del dritto, non son che parti di un medesimo tutto : tutti gl’ institutori si tengono per mano, e gl’ istitutori nella scenza legislativa non hanno che un sol linguaggio ed uno stesso pensiero. E come io ho ultima- ‘mente udito con gioia dalla cattedra dell’Ideologo stabilire le dot- trine per cui possa conoscere il giureconsulto se il sordo muto sia capace degli atti civili, e dalla lingaa eloquente che detta le dottrine penali ho ascoltate svolgere sulla certezza le dottrine 134 di Locke, dì Kant, di Condillac, ho udito spesse volte dal nostro Foggi mentre insegnava a valutare gli argomenti, per formargli in prove canoniche, esporre tutte le dottrine civili e filosofiche, come io l’ ho spesso udito, parlando di dottrine penali, istituire fra le classi dei diversi principii un perpetuo confronto, o altri» menti valersi come d’ un tutto solo delle dottrine che le diffe- renti scienze giuridiche presentavano. Così egli faticava sempre o. a concentrare nei minimi termini il massimo numero di disposizione, o a trovare le più chiare forme dell'istituzione, poichè l’ordine, e la chiarezza, o piuttosto la chiarezza che nasce sempre dall’ or- dine, sono gli ultimi termini della istruzione. Che se l’ istruzione della gioventù studiosa del diritto gli lupa a cuore , pensate se egli era indifferente per la educazione di lei, particolarmente per quella che accende nella volontà un’amore ar- dente del giusto, per quella che desta nell’animo un bisogno del ve- ro, ma un bisogno sì urgente che l’uomo non perdona a fatica , non accetta riposo finchè non trova la verità , un bisogno così feli- ce che da essa solo si trovano formati gli uomini pubblici, i ma- gistrati inaccessibili ad ogni altro amore che a quello della giu- stizia, ad ogni specie di protezione fuorchè a quella dell’ inno- cenza, ad ogni timore fuorchè al timore d’ essere disapprovati dell'Essere Supremo o biasimati dagli uomini virtuosi: quei ma- gistrati che non sono stranieri nè nuovi nè rari alla nostra età . Importantissima è questa educazione che volga propriamente la gioventù all’ amore della patria, al desiderio della pubblica fe- licità, ad un affettuoso rispetto per coloro che governando la cercano, ad una nobile ambizione di appartenere al proprio pae- se, che si trasforma poi nella ferma volontà di cooperare coi reggitori delle pubbliche cose a conoscerlo perfettamente, a difenderlo, ad adornarlo colle lettere e colle virtù. Così i gio- vani si attaccano alla città in un modo insolubile, così con una sola volontà cospirano al bene, e prima si sforzano di for- marsi alla virtù ed al sapere, e di quì poi dipendono la per- petuità delle leggi e la pubblica pace , i due sommi argomenti della pubblica felicità. S’empiono così i giovinetti del sentimento della propria loro dignità, e questo sentimento è loro ispira- to dai riguardi del pubblico , dalle amorevolezze de’ loro mae- stri. Ogni istitutore che consiglia, ogni istitutore che corregge , ogni istitutore che carezza, che loda, che approva, è un mezzo infallibile per conservare , o ristabilire nella virtù i giovanetti, purchè la dolcezza e la prudenza accompagnino coi loro modi amorevoli e moderati questa specie d’ educazione, purchè sia es- 135 sa esercitata individualmente, nel che particolarmente il nostro Foggi era veramente degno di lode. Era egli sommamente pro- prio alla educazione, poichè padre d'una famiglia, aveva speri- mentato in privato i mezzi per riuscire nel pubblico ; e niuno sente meglio d'un padre i bisogni, i doveri, i sentimenti affet- tuosi della pubblica paternità. E riuscito eminentemente nelle cure della educazione familiare , fino a rendere la sua famiglia un modello di virtù e di dolceaza , è ben da credere che non inu- tilmente si occupò nella educazione dei discepoli. E così fu ve- ramente: e se quella modestia, con cui amò egli sempre di ope- rare lentamente e nel silenzio della oscurità, non avesse impe- dito di notare i suoi passi sempre misurati e sempre prudenti, po- tremmo nominare molti di quelli che alle cure del Foggi debbono un grado eminente, se non nelle alte moli dell’ambizione umana, certamente nelle sedi modeste del sapere e della virtù. Nè ciò che predicava colle parole smentì egli mai coll’ esem- pio , e quelle virtù che l’ accademia presentava ad imitare nei vecchi , ad emulare nei giovani istitutori, non furono mai dal nostro illustre collega o attentate , o dissimulate, o neglette. Esempio e modello di pubblica paternità si fece a’ suoi segno costante di private virtù, e quell’ amore del proprio stato che lo animò al lavoro, e sempre lo sostenne sulla cattedra, fino a farlo alcuna volta nei cambiamenti delle cose pubbliche e delle incombenze sue letterarie venir meno di spirito per la fatica, quan- do si trattò di professare in vece delle leggi la storia, questo ardente amore del proprio stato lo elevò ad ogni maniera di virtù nel- l’ intimo seno della sua famiglia. Tale si fu la vita sua virtuosa, eh’ io sfiderei volentieri il pubblico ad accusarlo d’ un wizio ; ma all’eguaglianza dell’ animo suo , all’ aurea moderazione e a tutte le virtù che risplendono in una vita eguale e tranquilla, io voglio dare singolarmente la palma . A queste è da ascrivere quel suo amore della mediocrità che lo fece restare sempre nei limiti di una condizione solitaria e privata : a questa quel suo pas- saggio per le pubbliche nostre vicende senza che ì’ amor proprio di alcuno trovasse a ridire qualche cosa contro di lui: a questa finalmente quella modestia , con cui amico dei Principi, maestro dei Regi gli visitava egli come figli elevati al trono, ma nulla esigeva , nulla chiedeva , nulla mostrava di sperare da essi, esem- pio raro e costante di quella filosofica temperanza , che forse per la oscurità sua medesima non conta gran copia d’ eroi, ma che pure negl’ istitutori che formano gli uomini pubblici è la più bella tra le virtù, che offra l’esempio alla imitazione. Possa , o ac- 136 cademici, la cattedra onorata da Francesco Foggi conservarsi eter- namente adorna della sua virtù, eternamente pura com’ egli la lasciò! Possa escire da lei sì dolce lume che rischiari le menti dei giovanetti nelle vie della virtù, e che dolcemente gli scaldi ad entrare nell’ agone che questa anima generosa designò colla vo- ce , e illustri colle sue vestigie onorate. FILANDRO. (-— —_____te-\ÈkÈ_r_—mt—t—rrr-————-...+—_ e! Intorno al Codice Bartoliniano . Urzano Lamprepr al Direttore dell’ Antologia . Mariemont nel Belgio 1. Ottobre 1824. Stando io per partire da queste contrade a motivo del clima, e d’ altre cause, che non importa nulla riferire , ho ricevuto da Parigi due opere, non ha guari pubblicate in Italia, le quali mi avrebbero tenuto buona e cara compa- gnia in questa solitudine, e genialmente occupato durante l’inverno , se qui, com’erami proposto , l’ avessi passato . Queste opere sono la stampa del codice Bartoliniano della divina Commedia, che si conserva in Udine , e l’ ultimo volume della Proposta ec. ec. del Monti. Egli è ciò tanto vero, che dentro lo spazio di pochi giorni sono andato di- vorando grossi pezzi or dell'una , or dell’altra , e nella mia magrezza ho dopo il pasto più fame che prima; benchè di quando in quando nella prima, e spessissime volte nella seconda io siami incontrato in amarissimi bocconi. Ma che volete? La dolcezza naturale della verità ne neutralizza mol- ti, in modo che facilmente si trangugiano , e si tira avanti non solamente senza disgusto o nausea, ma con diletto - Io voleva perciò scrivere una gratulatoria al fiero critico Fer- rarese , il quale nell’avanzata età sua Siccome antica quercia in vetta Alpina Mette sè verdi e rigorose foglie, e simile all’ Entello di Virgilio Torna a lotta accanito ; ira l’ aizza, Pudor Vl afforza, e il ricordarsi Entello (1). (1) Applico questi due versi al Monti, non perchè volendo egli menare 137 E non solamente io voleva scrivergli per congratularmi con lui dell’opera felicemente compita, ma perchè ancora mi trovo con lui in debito d’una risposta a quella molto graziosa ed onorevol lettera ch’ei m’indirizzò , ed inserì nella Proposta ec. dopo aver lette alcune mie lettere filo- sofiche e critiche pubblicate a Napoli e poi a Milano, nelle quali sono certe mie osservazioni sopra alcune sue corre- zioni e giudizi ; parte delle quali osservazioni egli giudicò non dispregevoli, e parte si proponeva di confutare a suo tempo . Ma io mi rimarrò dallo scrivergli ; sì perchè non è giunto a mia notizia ch’ egli abbia per anche , siccome ave- va promesso , sceverate le mie , ch’ ei diceva buone , dalle cattive osservazioni ; sì perchè le lodi grandissime ch’ io do- vrei tributargli, potrebbero ai più sembrar per avventura dettate più tosto dal mio amor proprio che dalla mia, quale ch’ ella siasi, letteraria coscienza. Voi non mi domanderete, cred’ io, donde in me nasca questo timore ; perchè avrete senza dubbio letta quella sua epistola , con la quale pre- senta all’I. Istituto di Milano il suo già compito lavoro , e parla della cortese profferta fatta da quei dotti d’ uni- re la loro alle cure dell’Accademia della erusca , e del l’assoluta disdetta dei membri di questa? Quivi pertanto alla pag. IX, dopo aver registrati in una nota i preclari scienziati, e letterati dal Milanese Istituto, appone in un’al- tra i nomi degli altri Italiani, che per eccellenza di bello scrivere tengono î primi seggi e che l’ Istituto per tutta la terra Italica (se Ja proposta alleanza fosse stata accettata ) un gran colpo, sia stramazzato a terra, e perciò sia dal pudore afforzato , ma perchè gli convengono bene le altre parti, e perchè mi pare che fac- cian fede del gran valore del venerando mio amico e maestro, il P. Solari delle Scuole pie, del quale non mì stancherò mai d’ onorare la memoria. In questi egli volse i due Virgiliani del lib. V dell’ Eneide, Acrior ad pugnam redit, et vim suscitat ira ( Entellus ). Tum pudor accendit vires et conscia virtus. La versione del Solari mi sembra prevalere per forza, brevità e fedeltà , a quella pur bella del Caro in un baleno Risurse, e più spedito , e più feroce, Che 1’ ira, la vergogna, e la memoria Del passato valor forza gli accrebbe. 138 aveva in animo d’ invitare con efficati preghi all’ impresa di perfezionare il vocabolario. In questa nota, ei comincia, come di ragione, dal Giordani , dal Cesari ec. , e procede con gli altri ben conosciuti fino al Perticari, allora per l’onore delle nostre lettere vivo : e questi sono tutti o Lom- bardi, o Piemontesi, o Romagnoli , o Napoletani, . . . e dei Toscani ei ne nomina uno solo , e questi sono io. Vero è, che tenendo egli in molto pregio , per quanto almeno dichiara egli stesso, i diciotto accademici della crusca, tutti fiorentini, nota me come non Accapemico , ma dopo me avess’ egli almeno aggiunto cor molti altri che fioriscono in Toscana ec. ec. Io ne conosco, ne stimo, e ne amo mol- ti, e gli nomerei, se come investito di molto minore au- torità di magistero , non temessi di cadere in peggiore scon- cio : anzi se il Monti mi avesse nominato l’ultimo di tutti , non mi avrebbe dato minor prova della sua troppo officiosa amicizia . Dopo ciò che mi resta da fare? Null’ altro cred’io, se non se, rilesgendo più riposatamente l’ opera sua, in vece di notare i luoghi , che a vero dire sono moltisimi, ne’ quali spicca l'ingegno, il gusto, e la buona critica, noterò , anzi cercherò , come diciamo noi toscani, col fuscellino quelli ‘ soli, ne’ quali guandoque bonus dormitat. In tal guisa mi sforzerò almeno di scemare il rimprovero che il Monti si merita per tanta prodigalità di favore verso di me, e per tanta ingiustizia verso molti de’ miei rispettabili amici e compatriotti (2). Ma di ciò ad altro tempo. Ora intendo parlarvi dell’al- tra opera, cioè del codice Bartoliniano , edito dal Sig. Q. Viviani. Non può certamente negarsi che questo codice non sia pregevolissimo, e degno dell’ attenzione de? Filo- logi Italiani, sì per molte belle lezioni che confermano quelle della Nidobratina , e dei migliori codici Trivulzia= ni ec., e quel che più importa, quella della sana critica; ma ancora per molte altre tutte nuove, che sembrano do- (2) Eccettuati però quelli dei quali il buon Dante si lagna nella Pro- posta ( V. III: P. III. pag. CXXXV.) 139 versi preferire a quelle della comune edizione del 1595. Con tutto questo io non voglio dissimulare che la venera- zione del Sig. Viviani verso il suo codice prende sovente l’aspetto di superstiziosa , quand’ ei tenta d’ insinuare ne- gli animi l’ opinione , che il suo codice possa essere scrit- to, e dettato dallo stesso Alighieri, e si mette a difen- dere con animo risoluto tutte tuttissime le sue lezioni (3). Inoltre io non so se sarà da tutti ammessa senza alcuna eccezione la massima, o principio generale , che sembra guidarlo in molte lezioni, cioè che una lezione debba sti- marsi vera e genuina di Dante , solo perch’ essa è migliore e più conforme alle nostre moderne espressioni. Percioc- chè non è inverisimile che come alcuni copisti ne hanno in molti luoghi alterate e storpiate le lezioni, così alcuni altri in altri luoghi possono averle a loro fantasia corrette e talvolta migliorate, o raddrizzate ; e questa possibilità è pure riconosciuta dal Sig. Viviani, ma pare ch’ ei voglia destramente insinuare negli animi altrui, trovarsi nel suo co- dice lezioni corrette , o mutate dal medesimo autore , pèr- chè si l’una che l’altra sono belle , e degne del suo alto ingegno . Oserei ancor domandare per qual motivo il Sig. Vivia- ni protesti che , per confrontare il suo Codice , ad altro non pensò che a farne il riscontro co’ Sozr testi conservati nelle librerie dell'Italia SertENTRIONALE , e perchè si propose di dare una stampa di Dante turra FrivrianA (4) ec. ec* (3) Dico tutte tuttissime, perchè molte non sembrano accettabili ; ma la schiettezza m’ impone di notare che una volta almeno trova più convenien- te la comnne lezione della Ed. F. al v. 80. del C. 1: Oh! se’ tu quel Virgilio e quella fonte Che spande di parlar sì largo fiume. Le Bartoliniana legge spandi. Forse ei cederà il campo ancora in qualche altra lezione . Ei dice poi di condiscendere a questa lezione , benchè tutti i codicì leggono spandi . Egli intenderà per avventura dei codici esistenti in Lombardia , perchè quelli solamente ha consultati, e) di questi esclusivamen- te sembra egli fare stima . (4) In memoria, diè egli, della permanenza del poeta nella corte degli antichi Patriarchi Aquileiosi. Va benissimo. s$ ma in molte altre corti e città e per più lungo tempo ancora fece permanenza , e se i Veronesi, i Raven- mati, ec. pubblicheranno nn antico Codice, che presso loro sì conserva , non 140 Egli soggiunge ancora, nè saprei indovinare in qual seti= so o con quale intenzione egli dica che dopo il riscontro fatto sopra tanti orrrmi codici (tutti esistenti in Lombar- dìa ) e dopo aver ravvisato quasi una PERENNE UNIFOR- mira pensò che pubblicando questo codice farebbe omag- dio alla LEZIONE UNIVERSALE dei testi antichi , e protrebbe dare incremento alla storia letteraria con parecchie non co- muni notizie ec. Veramente potrei rendermi ragione di que- ste proposizioni con altre , che s° ingombrano in quella sua epistola al dotto suo amico M. Trivulzi, e da questa di- scussione risulterebbe per avventura una conseguenza da me preveduta molti anni fa , quando scrissi al mio dilet- tissimo e sì pianto amico L. Lamberti, allor vivo; che pareami fin d’ allora vedere i samaritani gettar le prima fo n- damenta d’un altro tempio in Garizim, e che questo tem- pio va progressivamente inalzandosi sotto la presidenza di ardito Pontefice, e che non mancan le cure di zelanti Le- viti, che vegliano e cooperano ali’impresa. Ma senza en- trare in materia sì disgustosa , ed in questione tanto inu- tile, piacemi di riprodurre l'antica mia opinione deposi- tata in quelle mie soprallegate lettere filologiche , e con- tenute nei seguenti articoli : 1. Che Dante dettò la divina Commedia nel suo dia. letto toscano. 2.° Che di questo dialetto non prese tutte le voci po- polari, ma le stacciò con molta cura e giudizio. 3.° Che viaggiando per l’Italia adottò sì ed usò alcune voci degli altri dialetti d’Italia del suo tempo, parte ( ma ben poche ) scrivendole secondo che si pronunziavano nelle respettive contrade , come Cò del Ponte , in vece di Capo del Ponte ec. , e parte accomodandole al modo di pronun- ziare toscano, specialmente nelle loro desinenze. 4. Che servendosi il Dante in generale di voci e di modi toscani, usò molte volte per accidente voci e modi avranno , cred’io, un minor diritto dei Friulani, e quindi pretenderanno che debba il loro aversi nella stessa venerazioue , e lo potranno spacciare come scritto, o almen dettato dallo stesso Alighieri , 145 Lombardi, Romani , Pugliesi, Siciliani ec. , perchè il lin- guaggio italiano comune o volgare , essendo tutto dello stes so genere, si divideva in varie specie composte di voci e modi, alcuni de’ quali erano diversi in tutto, ma la più parte dissimilissimi quanto alla struttura e alla desinenza. 5. Che tutti gl’ Italiani, cominciando dalle Alpi fino al capo di Spartivento nella Calabria , avendo preso per ca- po - Scuola il Dante, e seguentemente il Petrarca, e il Boc- caccio , e secondo le scritture di questi tre sommi toscani avendo modellato le loro , e prodotto opere insigni, han- no sempre più perfezionato ed ampliato il tesoro della lin- gua, onde questa di dialetto toscano, cioè di lingua mu- nicipale è divenuta ed è lingua italiana, e patrimonio co- mune di tutti gli scrittori Italiani , e perciò 6,° Che concedendosi all’ accademia fiorentina ; detta della Crusca , tutta la supremazia d’ onore, non solo non dovrebbe nè potrebbe rifiutare il concorso e la cooperazio- ne delle accademie d’altre famiglie Italiche, ma dovrebbe anzi graziosamente invitarle a deliberare sul perfezionamen- to dal vocabolario nazionale. 7.° E se queste insistono perchè si purghi l’antico di alcuni motti, dizioni, e proverbi municipali di Firenze , o usati dal Burchiello o dall’ autore del Pataffio ec. 1’ acca- demia fiorentina dietro i precetti , l’antorità e il fatto, di Dante stesso acconsentirà pienamente ec. ec. Parmi che se questi articoli fossero accettati } cesse- rebbe ogni filologica divisione nel regno delle lettere ita- liane. Che s’ ella non cessa, le vicine nazioni e molti de- gl’italiani seguiteranno a ridersela. Ma questo non sarebbe un grandissimo male. Il peggio sarebbe che , come sapete, regnum divisum desolabitur. S'io fossi rivestito di qualche autorevole zimarra , pro- porrei questi ed altri simili articoli , e chi sà che non fos- sero per avventura più fortunati del proponente? tentiamo questa utopia, cioe, tentatela voi, col vostro mensuale qua- derno dell’Antologia , e nel tempo stesso fate una piccola scaramuccia col Sig. Quirico Viviani, editore del DantE Lomparpo , inviandogli queste poche osservazioni critiche 142 che ho incominciate nella mia solitudine , e che prosegui- rò a mandarvi se faranno piacere a voi ed agli amici. State sano . Osservazioni critiche sopra alcune lezioni del codice Bartoliniano . I. Così vidi adunar la bella scola Di quel Signor dell’altissimo canto, Che sopra gli altri come aquila vola . Inf. c. 4.° 94 Il Bartoliano con altri leggono Di quei signor dell’ altissimo canto, Jo non so spiegare perchè ad onta degli sforzi che faccio con me stesso, non posso indurmi ad abbracciare con piena persua- sione questa variante. Cagione di questa difficoltà sarà per av- ventura il lungo abito della mente di riguardare e venerare Ome- ro, come quello a quo, ecce fonte perenni Vatum Pieriis ora rigantur aquis. Virgilio informando il suo discepolo Dante di quell’ orrevol gen- te, che possedea un luogo luminoso in una circolare divisione del primo cerchio infernale , gli mostra Omero, il quale siecome sire, precede gli altri con la spada in mano , e lo intitola poeta sovrano. Se a questa considerazione si aggiunge quella dell’ in- tero e compiuto significato della voce scola, ed altre dell’ inge- guoso professore Scolari, tutte ne confortano , se si adotta la lezione comune, a concludere che quel signor dell’altissimo canto sia Omero . Nè meno speciose sono le considerazioni del profes- sor Francesconi, dei Sigg. Mazzari, Amalteo ec. , per farci in- clinare all'opinione che quel signore sia Virgilio, anzi altre se ne potrebbero aggiungere tratte dall’ analisi del verso preceden- te - Fannomi onore, e di ciò fanno bene : che io giudico do- versi intendere nel suo natural senso. Insomma attenendomi alla comune lezione, ondeggierò sì, e quel signore ora parrammi Omero , ora Virgilio, cui poco prima l’Alighieri ha dato lo stesso titolo, Dimmi, maestro mio, dimmi, signore, ec.: ma come attenermi alla lezione del codice Bartoliniano. senza cadere nello sconcio di dover credere che Dante confonda in 143 un fascio quei cinque poeti, e faccia la medesima stima non solo d’ Omero e di Virgilio ( quando questi ha già predicato il primo come sire , e pocta sovrano e perciò superiore di se e degli altri ) ma ancora di questi due, e d’Orazio e d’ Ovidio ; e di Lucano, e finalmente di sè stesso ? Credat Iudaeus Apel- la, non ego. ... II. Come d’autunno si levan le foglie L’ una appresso dell’altra infin che il ramo Rende alla terra tutte le sue spoglie . Inf. cap. Il C. B. legge vede alla terra. Cominciamo dall’ esaminare le ragioni addotte dal Sig. Vi- viani per sostenere la lezione del suo codice , conforme sì al Caet, all’Antald. all’Ang. e al Vat. ma difforme ad una infinità d’al- tri che leggono rende, e non vede. La differenza di questi due luoghi, nota il dotto Editore, non è CERTAMENTE errore di copisti. E‘ questo’ il caso in cui o Dante ha esposto in due maniere il suo pensiero ; 0 qualche bell’ ingegno , sostituendo al rende il vede , ha inteso di far maggiore onore alla filosofia di questa sentenza : Chi ha detto al Sig. Viviani che qui non possa esserci er- rore? Dimostriamo dunque questa possibilità. Posto il caso che Dante abbia scritto rende, è certo che la r un poco aperta prende la forma di v: si sa poi da tutti quelli che leggono codici , che i copisti quasi sempre omettono la n e la indi- cano con una lineetta orizzontale sopra la e scrivendo rède. Se dunque un copista avesse omesso la lineetta , ed avesse fatta la r un poco alterata, un altro avrebbe potuto benissimo leg- ger vede. Che in fatti si possa prendere nei manoscritti anti- chi la r per un v, ed anche per un «, hasta dare un'occhiata alla forma della prima lettera alle voci atroci e protinus del suo secondo fac simile tratto dal Codice Trivulziano. Ma quan- do ancora si voglia presupporre questo sbaglio non si potesse fare per la forma del v che anticamente non differiva dall’ u ; allora basta supporre che in un codice si trovasse la lineetta salla €: e il copiatore non trovando acconcia la lezione vende, ab- bia creduto lo sbaglio essere nella lineetta, e non nell’u, e letto vede. Ma queste sono congetture alle quali non vuolsi dar molto peso: per altro servono per dimostrare la possibilità dello sbaglio. Dante poi non era uomo ‘certamente da non sa- 144 persi determinare ad una di dae espressioni , e se un bell’ in- gegno ha fatto la sostituzione , certo non sarà la sola che si trova in questo Codice, e ciò prova, per confessione dello stes- so Signor Viviani , quanto ho detto di sopra, che se una espre- sione è più forte o più bella, non ne segue che sia di Dante, perchè ci sono copisti begl’ ingegni, secondo lui: ma in questo caso non tema ch'io ricorra a questo sutterfugio per provare che il vede non può esser uscito dalla penna di Dante. Lo proverò più sotto per un altro principio ben più certo, e sicuro. La ragione, seguita il Sig. Viviani, addotta dagli acca- demici ( della Crusca ) d’ aver prescelto RENDE xS1 é PER ESSER DATO DALLA TERRA IL NUTRIMENTO E IL CRESCIMENTO ALLE PIANTE. Però indipendentemente dal concetto , il quale potrebbe benissimo esser giustificato , dirò solo che al perchè accademico avrebbero potuto rispondere î vecchi Fisici , che non la terra soltanto , ma l’aria, il foco e l’acqua, danno NUTRIMENTO E CRESCIMEN- TO ALLE PIANTE, € che tutti gli elementi hanno ugual diritto su quelle spoglie . i Poveri accademici della Crusca del, 1595! Voi non sape- vate che tutti e quattro i volgari elementi concorrono al nu- trimento e al crescimento delle piante, perchè Inghenoux , Bon- net, Lavoisier, e cento altri fisici sperimentatori sono nati nel secolo XVIII, cioè due secoli dopo ; ma i vecchi fisici del se- colo XIV , cioè due secoli avanti di voi, sapevano benissimo tutte queste belle cose , e si sarebbero fatti beffe del vostro accade- mico perché . Non sì dica più dunque che il bambino riceve nu- trimento e crescimento dalla madre, ma dall’ aria , dall'acqua, e dal fuoco ; e nella litargia non si dica più, ricordati, uomo, che sci polvere o terra, ma che sei acqua, aria e fuoco ec. ec. Temendo poi l’ editore Udinese, nè si sà perchè, che la metafora Dantesca d’ un albero che vede ci sembri troppo ar- dita, ne riferisce una molto più ardita, che si legge nel libro di Giobbe, d’un albero la cui radice si sarà invecchiata , e se il suo tronco, sarà morto nella polvere, Arv’opore dell’acqua germoglierà , e rifarà la sua chioma . Non c’ era bisogno di tan- to. Più d'autorità fa nel nostro caso il gran Torquato , che il Sig. Viviani assicura aver proposto questa per modello di quelle traslazioni delle cose inanimate , che giovano a destare la com- mozione degli affetti. Io non ho presso di me le opere del Tasso, nè il Dante commentato dal P. Lombardi, il quale, siccome diligentissimo , ne farà qualche motto ; ma io presto 2 fede al Sig. Viviani perchè la proposta è ‘possibile, e non in- 145 degna del gusto di quel grand’ uomo ; e ignoro se il Tasso co- nosceva ancora l’altra lezione adottata dalla Crusca, se la metta a confronto l’ una con l’altra, e se dia la preferenza alla pri- ma. Aggiungo poi che quando ancora il Tasso abbia fatto que- sto confronto e pronunziato questo giudizio (il che non credo), ciò non proverebbe che Dante abbia scritto vede , ma che se- condo il gusto del Tasso, il fur vedere a un albero le sue fo- glie cadute in terra è una metafora più espressiva e più for- te, che il fargliele rendere alla terra , la quale è pure un'espres- | sione metaforica più chiara ancora e più naturale della prima. Dico ciò perchè per questa medesima ragione principalmente il Sig: Viviani difende la lezione di quel verso , £ durerà quanto il mondo lontana : e dice che deve preferirsi alla comune, £ durerà quanto il moto lontana ; cioè perchè questa seconda è più filosofica, e perciò meno chiara e naturale della. prima . Vero è che in un altro luogo si contradice apertamente, là dove preferisce la lezione Del mezzo puro del suo Codice alla comune dell’ aer puro, notando che la prima è più filosofica ( Purg. c. I, p. I): ma quando il lume della critica è urtato dal soffio delle particolari affezioni, non è maraviglia che qual- che volta si spenga. Sia ciò notato di passaggio ; ritorniamo al- l’ annotazione del Sig. Viviani. Dopo aver discorso tutte queste belle cose, il Sig. Vivia- hi, con opportuno artifizio rettorico se la prende con gli anti- chi accademici della Crusca, e sospetta che per ruggine con- tro il Tasso non abbiano adottata la sua lezione. Ecco le sue parole: Che se non fosse per la mia deliberazione di non deni- grare alla fama degli accademici, sarei tentato a sospettare aver ‘eglino abbandonato questa lezione, non per convincimento di mente ma per ruggine d’animo contro il Grande che l'aveva tanto esaltata. p Almeno il Sig. Viviani avesse avuto qualche sentore o no- tizierella che gli accademici fossero informati di questo giudi- zio del Tasso, o che l’avessero posto im discussione! Ma que- sto a che monta? Quel corpo benemeritissimo delle lettere Ita- liane si dee maimenare a torto e a traverso in ogni occasio- ne; anzi deesi questa cercare anche in una ingiuriosa supposi- zione. ... Ebbene: ponghiamo il caso che veramente il giu- dizio del ‘Tasso ( qualch’ ei siasi ) fosse dagli accademici co- hosciuto , e che abbiano veramente messo in confronto | una lezione vede alla terra e l’altra rende alla terra, quale delle T. XVII, Gennaio 10 146 due lezioni avrebbero eglino dovato abbracciare? Certamente la seconda. Non già per ruggine d’animo contro il Tasso, ma per- chè vede alla terra è uno sproposito bello e tondo in gram- matica: portando la legge e il genio della lingua che si dica l albero vede a terra e non vede alla terra le sue foglie. In- fatti quando la terra, o altra cosa, si considera come luogo, e non come cosa estesa, allora il modo è avverbiale, e non dee porsi, nè si pone l’articolo. Diremo - sceso da cavallo 4 ter- ra, e non dal cavallo a/Za terra. Or se l’ albero vede le fo- glie, dove le vede ? 4 terra , o pèr terra; anzi potrà dirsi ezian- dio per la terra, perchè la proposizione per suppone estensio- ne, cioè diversi punti o luoghi, onde allora si considera come cosa estesa; ma la proposizione 4 suppone un punto solo di luo- go. Dove vede l’ albero le sue foglie? « terra, a chi le rende? alla terra. Più parole o esempi di Dante stesso sarebbero inu= tili per chi non vede alla prima la verità di questa osservazione. Infine si pensi, conclude il valente editore Udinese, che un vero assioma dell’ arte poetica é quello che Dante mede- simo propone nella vita nuova , cioè che i poeti devono attri- buire senso e ragione alle cose inanimate , e poi si deduca quale delle due lezioni debba essere stata dall’ autore prescelta . Dopo le cose dette io non dubito che Dante non abbia prescelto la comune, perchè anch’ essa attribuisce senso e ra- gione alla terra che ha dato, e all’ a/bero che rende. E vero che la prima è, se così vuolsi, un’ azione più forte ed ardi- ta; ma la seconda viene espressa co’veri e genuini colori della lingua, che Dante sapeva ben comporre sulla sua tavolozza : ella è più conforme alle idee ricevute al tempo di Dante, e finalmente tale che anche’ il Sig. Viviani la rimetterà in seg- gio, donde ha tentato di cacciarla, se la predilezione verso il suo codice e lo studio di parte non gli bendano l’intelletto . Della dominazione degli stranieri in Sicilia, discorsi due di Saverio ScroranI SICILIANO . Parigi 1824. Qaesto nuovo libro , che rafferma la riputazione letteraria dello Scrofani, è ‘un’ opera divisa in due discorsi con molte no- te in appendice. Queste abbondano d’ erudizione, e quelli di filosofici pensieri : narrata la storia, o per meglio dire , me= ditando lo Scrofani nella storia sicula da’ tempi de’ prischi greci 147 sino a Carlo III Borbone . Quindi è par troppo giusto il tito- lo apposto dall’ autore al libro. Occupata la Sicilia da' gre- ci, e guerreggiando Egesta con Selinunte, chiese la prima di queste città soccorso a Cartagine. E gli affricani pronti a na- vigare verso un'isola cotanto ubertosa, furono al primo sbarco fugati da Gelone , tiranno tollerabile a Siracusa, e prode guer- riero : sconfitti anche dipoi da lui medesimo , quando ritornaro- no chiamati da Terillo tiranno d’ Imera, forti di trecento e più mila soldati. Ma settanta anni appresso , per causa della stessa città d’ Egesta approdando i cartaginesi nella Sicilia , non solo poterono vendicarsi delle prime sconfitte, che fermarono pur quivi il dominio. E nell’ intervallo precedente era stata una parte del tempo prospera alla Sicilia , e forse anche la più prospera di tulte le età, ma non mai durevole, e non senza mali gravissimi. Udiamo lo Scrofani. ,, La Sicilia, famosa per am - pie città e ricchezze, rinomavasi tanto per gli apparecchi ma- ravigliosi del re di Siracusa contro Serse, e perle date scon- fitte a’ cartaginesi, quanto per l’ eccellenza de’ suoi filosofi e de’ suoi poeti, stupore e lume del mondo. Ora celebrata nei giochi istmici, pitici, nemei, -olimpiaci; ora frequentata dai più chiari ingegni della Grecia . Pittagora disceso a farvi ama- re la virtù sotto nuove dottrine, n° ebbe per discepolo Empe- docle d’ Agrigento sommo in filosofia, in medicina , in poeti- ca. Da questo imparò quell’ Erodico di Leontini che aperse il primo ad Ippocrate Coo gli ardui sentieri della medicina ; e quel Gorgia d’ Erodoco fratello e maestro in eloquenza di Ctizia , d’ Isocrate, d’ Iseo , d’Alcibiade , ammirato da Pericle e da Tu- cidide , imitato da Eschilo e da Eschine . Epicarmo di Siracu- sa inventa allora la commedia: Dafni di Tindaro la pastorale: Diome la Boccolica. E mentre Stesicoro d’Imera colla soavità dei suoi canti estingue nell’empio petto di Falaride la fiamma di tirannia, Empedocle rigetta la corona offertagli da’ suoi con- cittadini; e il divino Gelone, dopo aver sostenuta per molti | anni quella di Siracusa, la rende al popolo più illustre che non ebbela, poichè di civil sangue non tinta. Non così da Ge- lone a Gerone secondo. Veggonsi dall'una banda lontane genti affollarsi da più parti a soggiogar la Sicilia: cittadini farsene tiranni: numerosi eserciti, fiere battaglie, sanguinose vittorie, Cimpagne guaste dall’armi straniere ,\e più dalle proprie, e a ‘\vicenda , città sforzate, saccheggiate, templi predati, incene-- riti: mazioni intere andate in pezzi o in catene; e da per tutto perfidie , spopolamenti; strage, e licenza più atroce che schiu- 143 vità. Dall'altra banda, nell’interno, principi giusti, santa libertà e sommi compositori di leggi: città erette, rifornite, accre- sciute: alzati templi e monumenti magnifici : in onvre le arti e le scienze. Maraviglioso quanto lacrimevole fu talvolta lo scorgere in così vario alternare di beni e mali, nello stesso iempo e sullo stesso terreno, unite con mostruoso accordo fe- rocità di costumi e squisita urbanità, tirannia e libertà; ac- coppiati nelle stesse città odii eterni a’ tiranni e servile sommis- sione: gl’inventori industri di pacifiche arti e di strumenti di- struttori ‘degli uomini: albergare nelle stesse corti Stesicoro e Falaride, i Dionisii e Platone, il piacere e i tormenti: alligna- 3e infine nello stesso cuore (de’ tiranni ) insigni tradimenti e fede incorrotta, crudeltà e clemenza. Così per fatale vicende- vole corso, trascorrendo d’una in altra fortuna, ma più afllit- ta nell’avversa che confortata nella buona, cedette in ultimo quell’isola, non già senza sua gloria benchè infelice , dopo quasi trecento anni al fato de’ romani. ,, La stessa Egesta ed altre città chiedendo in aiuto gli ate- niesi : ed i siracusani legandosi con Sparta e Corinto: Alcibiade, "Timoleonte, gli affricani, e Pirro, furono successivamente di bene o di male cagione alla Sicilia, finchè il popolo di Roma decretò guerra a Cartagine. Lo Scrofani ristringe in questi po- chi termini le guerre puniche. ,, Dal primo irrompere de’ ro- mani in Sicilia fino alla distrazione di Cartagine, per 118 an- ni, accrebbe Roma ventuna volta le sue legioni, e sette volte reintegrolle : che iu 8 pugne sterminatrici affrontaronsi in terra, 5 in mare: e Cartagine quindici volte rinnovò le sue, e venti. tre rifornille: ch’ ebbersi 52 assedii e 63 fatti d’arme: che ven- deronsi, avanti che si combattesse a Zama, 240000 barbari ; e 22000 romani restarono solamente in Affrica prigionieri: che naufragarono e sconquassaronsi in questo spazio 2500 puniche navi, 1900 romane: che più di 230000 affricani perirono da- chè ahbatteronsi in sì fatti nemici, e di qnesti goooo: in ul- timo, che dal primo infelice giorno, in cui per sventura loro e della Sicilia presero i cartaginesi le sue terre, sino al tem- po del secondo Scipione ( quasi per 400 anni ) vi perdettero essi più di 700000 uomini o uccisi dal ferro, o sommersi nell’onde , 0 estinti per fame, pestilenza, e altri mali, inseparabili da guerre ostinate, in istranio paese, e fra gente non che per origine di- versa, ma per indole, costume e religione , nimicissima ,y. i I romani ebbero l’ubbidienza della Sicilia per quasi setta scgoli. Detestata quindi la signoria de’ Cesari, i siciliani sì ris CI 149 volsero a’ barbari. Detestando poi i barbari, ebbero muovo ri- fagio in Bizanzio. Talchè Genserico, e Teodorico, e Belisario, e Narsete, e Totila disertarono la Sicilia. Chi opina in favo- re de’ bassi tempi, oda lo Scrofani.,, I vandali, gli eruli, i goti, i visigoti rapirono in Sicilia quanto era per sorte sfuggito di vista a' suoi passati dominatori. Genserico più volte strin- sela con fiere devastazioni. I vecchi, i fanciulli, i giovani, le donne stesse uccidevansi da’ suoi, o imprigionavansi per averne preda o riscatto. Odoacre ebbe da Genserico per annuo prezzo la Sicilia. Ma se quegli rinfrancavasene col sudore e il sangue della meschina, questi sboccando sovente da Lilibeo, a lui ser- bato per patto, toglieva per forza quant’egli stesso avea la- sciato per inganno a’ siciliani ed agli eruli. Fino il saggio Teo- dorico caricolla d’intollerabili pesi, talchè l’'altero Totila , do- po molti anni, rinfaccionne l’ oratore del pontefice che in prò de’ siciliani studiavasi. Nè il ferro o il fuoco fu la sola via da sì fatta genia tentata a consumare quegl’ infelici popoli, che vi ag- giunsero pure l’esempio di perduti costumi; onde lo sfrenato lusso ( più mostruoso in mezzo alla miseria e alle stragi ) scemonne il numero e n’ estinse l’ industria. I vandali e i goti non ebbero per dritto che la spada e il voler d’un solo. Se i loro capi al partire dalle native foreste dipendevano dal con- siglio della nazione che con esso muovevasi, se dalla loro roz- zezza ci vennero le prime funeste tracce del viver feudale, se questi stessi pericolosi governi degenerarono alla loro giunta in Italia sotto opposto celo e costume: infine se ebber eglino qualche legge, quali mai furono, al dir di taluno, se non asinine e. porcili? o secondo qualche altro bestiali, ferine ed immani, paragonate allo splendore e all’ umanità delle roma- ne? Nulla era la proprietà e la persona, e i sacri dritti e doverì da ogni banda sì sconosciuti che, non che vagillarono per più secoli le civili società incerte della loro origine e del loro scopo, ma la stessa santa religione, spesso avvolta tra le tenebre dell’ignoranza e della superstizione, servì di pretesto all’altrui ambizione e crudeltà. Affinchè da un solo esempio il tutto argomentisi, dirò, che dopo aver punito ogni colpa (© le presupposte colpe ) colle catene e gli strazii, si vietò infine colle forche a' siciliani di più trafficare in lontane terre, e che straniero alcuno non penetrasse tra loro ,;. Con tali considerazioni conclude lo Scofrani il primo di- scorso. E collo stesso metodo prosegue a’ tempi degli arabi, de' normanni, degli svevi, degli angioini, degli arragonesi, e di 150 quanti ebbero lungo o breve dominio, in tutto o in parte, so- pra la Sicilia. Quest’ isola che aveva otto milioni d’ abitanti quando reggevasi a repubbliche, dicadde poi tanto che nel 1548 non aveva se non incirca 731560 abitanti. Nemmeno ora non ha la Sicilia la quarta parte dell’ antica popolazione, benchè nello spazio di 167 anni, dal 1548 al 1715, crescesse al numero di 1253161. Essendo il libro dello Scrofani di sole 280 pagine , non si può ristringere più che non ha egli stesso già fatto. Quindi non potendo qui tutto trascriverlo, invito i lettori a procurarselo ed a meditarvi, Il Sali, che stando in Parigi non oblia la pa- tria, e che scrivendo per la rivista enciclopedica attende quan- to può a’ libri, alle opere, ed a qualunque buona dimostra- zione italiana, per desio di farla nota agli stranieri: egli be- nemerito a noi e buon giudice, così favella dello Scrofani . 3» Quest’ autore , già noto per altre opere, ha voluto nel pre- sente libro rammentare a’ suoi concittadini quale utilità e quali massime sventure sieno derivate nella Sicilia da’ suoi diversi conquistatori. Le di lui intenzioni sono ottime, i suoi pen- sieri giustissimi, accomodata la sua locuzione. Quest’ opera può essere utilissima a’ lettori e principalmente a que’ siciliani, che non cessano ancora d’ interessarsi al loro paese ,,. ANTONIO BENCI. e_——— = - > M>m=à=à*ÀÌ\)à*— —<— «> y>»v»yvwvwuvNyv\WwWYY< —ylf.«=—« «<—.——= Pietro Giordani al Direttore dell’ Antologia. Firenze 1 Gennaio 1825. Sono venuli a me i signori Colzi e Fineschi, avvisandomi che l’avere trovato e conosciuto l'angelo di Leonardo è tutta opera del signor Luigi Fineschi solo, nella quale non ebbe niuna parte il suo amico signor Colzi: e m'hanno richiesto ch'io to- gliessi l’inganno che potrebbe farne altrui ciò che scrissi nella mia lettera al conte Cicognara. Ben volentieri pago il mio debi- to alla verità, ed al giusto voler loro ; pregando la vostra ami- cizia, caro Vieusseux, di pubblicare nel prossimo quaderno dell’An- tologia questa dichiarazione : E caramente vi saluto. 151 BULLETTINO SCIENTIFICO N. XVI. Gennaio 1825, SCIENZE NATURALI. Meteorologia- Fra i molti disastri che i disordini delle meteore hanno ca- gionato nel decorso anno, sopra varii punti: del globo, è singo- Jarmente deplorabile l’ inondazione cui soggiacque Pietroburgo nei giorni 18 e 19 del decorso novembre, di cui tutti i giornali hanno parlato, e di cui non ci sono ancora ben noti tutti i danni, Riporteremo qui alcune osservazioni relative, estratte dai Nuovi annali dei viaggi, della geografia, e della storia dei sigg. Eyries e Malte-Brun. N.° 3 del Vol. XXIV. »» La situazione di Pietroburgo in un terreno basso , traver- sato dalla Neva , l’espone naturalmente a quelle inondazioni che provengono dall’ ordinaria escrescenza dei fiumi. Ma un’altra causa l’espone a disastri straordinarii, come quello ultimamente accaduto. Questa causa è la posizione di Pietroburgo in fondo ad un golfo lungo e stretto, che per un vento impetuoso d’ovest- sud-ovest riceve necessariamente un immenso accrescimento d’ac- qua, che viene dal Baltico, ed in conseguenza s’ inalza verso la sua punta orientale ad un livello eccessivo, nel tempo stesso che la massa delle sue acque spinta nella Neva , impedisce lo sgorgo di questo gran fiume, largo e rapido quanto il Reno, e che in sostanza non è se non l’emissario del gran lago Ladoga. În queste circostanze l’imboccatura della Neva diviene uno stretto, in cui due masse d’acqua si urtano e si fanno ostacolo l’una all’ altra. Niuna diga, niun canale di sbocco potrà mettere la nuova capi- tale della Russia al sicuro da questo flagello, che presto o tar- di potrà produrre la sua distruzione. Sarebbe stato necessario creare un terreno elevato dieci o dodici piedi sopra il livello at- tuale delle sue strade. ,, 3» Ecco la lista delle inondazioni più considerabili, a cuì Pietroburgo è stata soggetta fino dalla sua fondazione. » Negli anni 1721, 1726, 1736, 1752, 1777 1824. » Le tre ultime sono state le più disastrose, ma si rassomi- gliano tutte nelle particolarità e nelle cause. Citeremo qui la de- scrizione di quella del 1777 quale si trova nell’Annual Register 132 di quell’anno, onde si scorga fino a qual punto ella rassomigli a quella del 1824. ;; »» Vi è stata nel dì 14 settembre a Pietroburgo un’inondazio- ne, la quale, per ia violenza e per i danni cagionati, sorpassa tutto ciò di cui si abbia memoria. In quattro ore di tempo un vio- lento uragano dall’ ovest-sud-ovest, che aveva cominciato a due ore della mattina, fece alzare le acque a 14 piedi al di sopra del livello ordinario della Neva ; in pochi istanti la città intera e tutta la pianura all’intorno furono inondate. L'acqua restò cir- ca mezz'ora alla sua più grande elevazione ; ma il vento avendo girato un poco verso il nord, l’acqua rientrò prontamente nel suo letto ordinario. È impossibile stimare la perdita che lo stato ed i particolari hanno sofferto . Il numero degli annegati deve es- sere stato considerabile. Nei principali quartieri della città molte case sono state spogliate dei loro tetti; nei giardini del palazzo d’estate un gran numero dei più belli alberi sono stati spezzati o sradicati. Le parti basse della città, occupate dai più poveri fra gli abitanti, presentavano una scena di desolazione più facile ad imaginarsi che a descriversi. Molte persone erano rimaste anne- gate nei loro letti; altre che avevano cercato di salvarsi salendo sui tetti delle loro case, ne erano state precipitate dal vento, e quelli sventurati che avevano salvata la vita, erano ridotti alla miseria per la perdita delle loro abitazioni, e di tutte le loro pro- prietà. La strada ove è la borsa ha molto sofferto, come pare i magazzini e le botteghe dei piani inferiori ; la quantità. delle mer- canzie che sono state distrutte è incalcolabile. Molte barche ca- riche di ferro, di canapa, di grano e di legno sono state spez- zate , calate a fondo, o strascinate nelle strade e nei campi. Di- versi grossi bastimenti, che erano ancorati fra Pietroburgo e Cronstadt, sono stati gettati sulla costa in giardini ed in ho- schi; la maggior parte delle case di campagna all’intorno sono distrutte. Il villaggio di Caterinehoff e diversi altri sulla stessa riva sono stati traspertati con tutto il bestiame, e molte per- sone vi hanno perduto la vita, non meno che dal lato del porto delle galere , ove il terreno è molto basso. Il gran ponte di bat- telli sulla Neva è stato portato via, e quasi tutti gli altri, ec- cettuati quelli che si trovano sulla nuova strada di pietra (la quale non è stata danneggiata gravemente in veruna parte ) sono stati rovesciati. Apparisce da osservazioni esatte che l’altez- za delle acque ha oltrepassato d’un piede e mezzo quella della grande inondazione del 1752. ,, 3; È da osservarsi che 1’ inondazione del 1777; diminu) to- 153 stochè il vento cangiò dall’ ovest al nord; quindi è dimostrato che'‘i movimenti dell’acqua e dell’aria sono le sole cause di queste inondazioni a periodo irregolare, che devastano Pietrobur- go. I terremoti sottomarini, che si è voluto farvi intervenire , non sono conosciuti, almeno fin qui, e non avrebbero prodotto probabilmente gli stessi effetti. Celerità dell'uragano dei 18 e 19 novembre. ,, L’uraga- no, 0 piuttosto il vento tempestoso , che ha spinto le acque del golfo di Finlandia sopra Pietroburgo, si è fatto prima sentire il dì 18 a mezzo giorno sulle coste dell’Iutland e della Norvegia; ha gettato un gran numero di navi sulla costa iutlandese ; ha fatto alzare le acque del golfo di Christiania ad un livello straordina- ; ha spinto delle onde enormi nella baia d’ Uddewalla, che si i direttamente al sud-ovest ; i rottami dei battelli sono stati spinti fino a 4000 piedi dentro terra , e la parte bassa della cit- tà è stata devastata, Nella sera dal 18 al 19 l’uragano è passa- to a traverso il mezzo della Svezia sopra il lago Wener, ed ha cagionato dei guasti a Stockolm. Finalmente la mattina del di 19 era arrivato avanti a Cronstadt, ed accumulava le acque del golfo di Finlandia, Sembra che il suo furore abbia cessato verso due o tre ore dopo il mezzo giorno. In conseguenza ha scorso in 24 ore (o in una rivoluzione diurna del globo ) una linea di 400 leghe. Si dette già notizia ( Antol. ottobre 1824 pag. 166} d’uno strumento imaginato dal sig. 7Vrigh americano, dal quale si pre- tende essere anticipatamente annunziati i cambiamenti del tempo. Ora qualcuno, rintracciando varie descrizioni che si aveva - no di strumenti analoghi, ha preso a mostrare che quello non è nuovo. Si cita, sotto il nome di prognostico, uno strumento di cui fu pubblicata la descrizione a Parigi nel 1782, e che consi- ste in un tubo di vetro chiuso ermeticamente, contenente un mescuglio di canfora, d’allume, e di sale ammoniaco, e pieno di spirito di vino con un poco d’etere solforico. Si afferma che questo strumento annunzia molto bene il vento, mediante l’ap- plicazione ineguale dei cristalli alle pareti del tubo, sostenendosi più elevati dalla parte opposta al vento. Si conviene bensi che le indicazioni di due o più di tali strumenti non corrispondono esattamente fra loro. Un'altro strumento, chiamato Z7'etterglass, si compone co- me appresso. Si prende una boccetta, vi s’ introduce una mezza dramma di salnitro, una mezza dramma di sale ammoniaco , e 154 tre dramme di canfora; quindi si empie d’acquavite, e se ne cuopre l’apertara con un poco di vescica, nella quale si fa un foro con uno spillo. Quando il tempo si fa cattivo, le ‘materie concrete risalgono dal fondo ed intorbidano il liquido , il quale si mantien chiaro al bel tempo. Un notabile ed istantaneo intor- bamento annunzia imminente una tempesta. Noi non abbiamo gran fidacia in simili strumenti, dei quali se l’effetto fosse sicuro e costante, non sarebbe facile darne so- disfacente spiegazione. Non sappiamo quale altra influenza possa trasmettersi a traverso del vetro alle. materie contenute nello strumento , oltre quella del calorico. Fisica e Chimica. Sono pochi anni che il sig. Gerbi, professore di fisica teo- retica nell’università di Pisa, pubblicò per uso dei suoi scolari i suoi Elementi di fisica, i quali ottennero il suffragio degli scienziati italiani e d’ oltramonte., Che se da alcuni volle riguardarsi in essi come un difetto la poca estensione datavi alla parte sperimentale, fa giustamente rilevato che l’egregio professore, scrivendo pei suoi discepoli , aveva dovuto piegarsi al regolamento di quella università, ove l’ insegnamento della fisica sperimentale, affidato ad altro profes- sore , è distaccato da quello della fisica teoretica. Ora si va dallo stesso autore pubblicando in Pisa colle stam- pe del Capurro un nuovo Corso di fisica diviso in cinque tomi, dei quali i primi quattro son già comparsi alla luce. La parte sperimentale non è la sola aggiunta che contribui- sca a render superiore ai primi elementi il nuovo Corso di fisi- ca. Nella prima parte di questo, ove si contiene la meccanica dei solidi e dei fluidi, è commendabile il modo facile ed elemen- tare col quale vi è dimostrato il celebre principio delle velocità virtuali ; e là dove si espongono le leggi del moto dei gravi, è molto migliorata la parte che concerne i moti per la cicloide ed assai rischiarata la determinazione della brachistocrona. Un’ importantissima aggiunta si trova poi al capitolo 19 del tomo secondo, consistente in una breve ma chiara esposizione del sistema del mondo, la quale era necessaria per fare intendere agli studiosi le applicazioni della teoria della gravitazione universale . La qual teorìa è esposta con molta dottrina nel corso del prof. Gerbi, come ne sono ottimamente dedotte le spiegazioni dei fe- nomeni, 155 La fisica particolare, che costituisce la seconda parte del Corso da noi preso in esame, comincia in questo, come già negli Elementi che lo precedettero, da una sommaria esposizione della filosofia chimica, alla quale nell’ attual pubblicazione ha il prof. Gerbi aggiunto un breve ma chiaro prospetto del così detto sz- stema delle proporzioni determinate. Seguono i trattati del calorico, dell’ elettricismo, del gal- vanismo , del magnetismo. È da notarsi nel secondo la dottrina delle atmosfere elettriche, Il trattato del galvani smo è per av- ventura il più completo di quanti se ne trovino nei corsi ele- mentari, Il trattato del magnetismo ha subito molte notabili modificazioni. Fra le cose aggiuntevi si trovano molte esperien- ze accuratamente descritte , le osservazioni del P. Stansteen sulle variazioni dell’intensità nella forza magnetica nelle varie lati- tudini , le osservazioni di Scoresby sull’ equatore magnetico, e quelle fatte dai viaggiatori inglesi verso il polo artico sulla situazione dei poli magnetici della terra. Vi si trova esposto il sistema di States e l'indicazione delle sco perte elettro- magnetiche fatte in Europa in seguito di quella d’ Oersted. È questo il primo corso elementare; nel quale si trovino le no- tizie riguardanti le accennate interessantissime scoperte, e le grandi conseguenze che si è creduto poterne dedurre. Annunziando il nuovo corso di fisica del sig. prof. Gerbdi, non abbiamo avuto altro scopo che quello d’istituire un con- fronto fra questo lavoro, e l’altro da lui pubblicato qualche anno indietro sullo stesso soggetto. Bene informati del favore con cui erano stati accolti nel mondo scientifico gli elementi di fisi- ca del prof. Gerdi, e testimoni noi stessi dell'utilità che ne cavavano gli studenti, abbiamo voluto indicare le numerose ed importanti aggiunte fattevi posteriormente dall’ autore. Possia- mo poi assicurare che quei pregi pei quali furon tanto com- mendati gli elementi, cioè abbondanza di materie, ordine, e chiarezza, brillano anche di più nel nuovo corso, cosicchè cre- diamo poter concludere, aver molto meritato della gio ventù stu- diosa il chiarissimo autore, il quale si occupa ora indefes- amente a preparare i materiali per l’ultimo vo lume, esclusiva- mente destinato al trattato della luce. Il sig. Arago ha comunicato all’ accademia delle scienze il seguente fatto assai curioso. Se si faccia oscillare un ago ca- Jamitato in uno spazio terminato da un cerchi o di rame, esso oscilla per un tempo più corto che dentro un cerc hio di ferro» 156 di modo che la presenza del rame produce sopra i di lui moti l’effetto d’un mezzo più resistente. Taluno pensa che questa scoperta possa divenire utile alle arti industriali. L’alterazione che prova coll’ andar del tempo la maggior parte dei colori impiegati nella pittura a olio, e che si deplo- ra tanto ed a sì gran ragione in molti dei più insigni lavori dell'arte, ha impegnato il sig. Coulier ad una serie di espe- rienze dirette a cercarvi un rimedio. Era noto da lungo tempo che la biacca, o carbonato di piombo, di cui è si grande l’uso in pittura, prova e fa pro. vare ad altri colori, ai quali s’incorpora, notabili cambiamenti. Però era stato proposto di sostituirvi i carbonati di calce, dei quali è opinione aver fatto uso alcuni maestri, le cui opere sono meglio conservate, ma nell’uso dei quali il comune dei pittori trova degli inconvenienti. Il sig. Coulier, preparati con diligenza , e provati compa- rativamente alla biacca, altri sali di piombo, ha trovato che il sotto-muriato di questo metallo riunisce alla bianchezza ed. agli altri pregi della biacca più perfetta un’ inalterabilità quasi assoluta. Di fatti, avendo esposto comparativamente la biacca ed il sotto-muriato di piombo all’azione d’un mezzo chimico sì potente , che rappresentava in pochi istanti quella che |’ aria esercita in molti secoli, trovò che, mentre la biacca era di- venuta perfettamente nera, il sotto-muriato di piombo aveva provato un leggerissimo imbrunamento tendente al color rosato , il quale egli calcola non potere operarsi naturalmente in una pittura in un tempo minore di seimila anni. Il sig. Peschier , farmacista abilissimo di Ginevra, che aveva dimostrato l’esistenza del titano nei talchi, nei mica, ed in altri minerali ( vedi Antol. novembre 1824 pag. 162), si è in seguito accorto che la proprietà di cui gode l’ idroclorato d’am- moniaca di precipitare il titano dalle sue dissoluzioni unita- mente all’allumina che vi si trovi presente, non gli aveva lasciato riconoscere nelle sue analisi l’intera quantità di quel metallo. Egli è ora giunto a ricavarlo in totalità col seguente processo. 1. S'infuoca una parte di minerale con due di potassa: 2. Si stempera in acqua e si getta sopra un filtro, lavan- do poi esattamente ciò che il filtro trattiene. 3. Per ricavare dalle lavazioni (2) il titano che possono 157 contenere, si soprasaturano debolmente , si evaporano a consi- stenza salina umida, si stempra il prodotto in acqua, esi ver- sa sopra un filtro, che trattiene la silice. Questa, lavata e sec- cata, si espone all’azione dell'acido ossalico o idroclorico al- lungato, che sciolgono il titano o altre sostanze depositatesi colla silice. Si unisce questo liquido a quello della filtrazione quì sopra indicata, si trattano coll’infusione gallica, si alca- lizzano leggermente , si concentrano , e se, col prendere un color rosso bruno, indicano contenere titano, si conservano per usar- ne come appresso. 4. Ciò che la potassa non ha disciolto (2) si tratta con aci- do idroclorico allungato di sei o otto parti d’acqua, e bollen- te. Se resta indisciolta una molto notabile quantità di materia, si tratta di nuovo colla potassa, come sopra. La dissoluzione acida si satura con sottocarbonato alcalino, e separatone il precipitato, si evapora a consistenza salina umida. Questa ma- teria si tratta come l’altra (3); le lavazioni poi dando coll’in- fusione gallica segno di contener titano, si riuniscono alle altre di sopra (3 in fine). 5. Il precipitato che il sottocarbonato alcalino ha forma- to (4) nelle dissoluzioni acide, si espone all’azione della po- tassa, che discioglie o rende solubile in tutto o in parte il ti- tano unitamente all’allumina. Quest’ ultima è precipitata sola per mezzo d’una soluzione di solfato d’ammoniaca; si lava l’allumina, e riunita la lavazione al liquido onde l’ allumina si era separata, si evaporano a consistenza salina umida, proce- dendo poi come sopra (3e4). 6. Il titano non essendo disciolto dalla potassa tanto facil- mente quanto l’allumina, il residuo indisciolto conserva un ca- rattere gelatinoso. Per separarlo dalle materie alle quali si tro- va mescolato, si discioglie il residuo in acido idroclorico , che ne separa ancora un poco di silice. Si precipita dalla disso- luzione il ferro, mediante l’idrocianato di potassa e di ferro, quindi si satura il liquido con un sottocarbonato alcalino, e si fa bollire. Il precipitato bianco, abbondante, e d’aspetto alluminoso, che si forma, potendo contenere mescolate al tita.. no della magnesia e della calce, si rende il primo insolubile negli acidi con scaldarlo fortissimamente, e si disciolgono quelle terre tenendo il mescuglio in digestione per alcune ore in un’ aci- do debole, come l’aceto stillato. Si separano dal liquido filtra- to la magnesia e la calce, per mezzo dell’ ammoniaca, e dell’ 0s- salato d’ammoniaca. Se l'operazione è stata ben condotta, quel 158 liquido non deve provar cambiamento per l’infusione gallica, Il liquido da cui si è separato il ferro e le altre sostanze sì riunisce ai precedenti. 7. Evaporati a siccità tutti i liquidi riservati, che conten - gono il titano, ed infuocato il residuo dell’ evaporazione, si stempera in acqua e si getta la soluzione sopra un filtro, che trattiene la parte indisciolta . Questa infuocata, per distrugger- ne un poco di materia carbonosa, e lavata nuovamente con acqua acidulata, resta sotto la forma d’una polvere bianca ; che è il titano cercato. Ove sia colorato dal ferro o dal man- ganese, si libera da questi, tenendolo prima esposto ad un vi- vissimo calore, quindi facendolo soggiornare nell’ acido nitro- idroclorico . Ripetendo due volte sulle acque delle lavazioni questa se- rie d’operazioni, ed aggiungendovi ogni volta dell’ infusione galli= ca, si arriva ad ottenere tutto il titano contenuto nel minerale analizzato. Il sig. Seru//as, esponendo dell’iodio e del cianuro di mer- cario all’azione del calorico in un tubo chiuso, in modo ana- logo a quello praticato dai sigg. Davy e Faraday per la lique- fazione dei gas, ha operato la combinazione dell’ iodio al cia- nogene o il cianuro d’iodio, composto bianchissimo, forma- to in aghi molto lunghi e sottili, d’odore penetrantissimo che irrita gli occhi, provocando le lacrime, di sapore causticissimo, più pesante dell’acido solforico, volatile senza scomporsi ad una temperatura superiore a quella dell’acqua bollente, solubile nell'acqua e nell’alcool, nè acido nè alcalino. Pensa il sig. Serullas questo nuovo composto dovere esercitare un’azione molto energica sull’ economia animale, e poter presentare utili applicazioni alla medicina. Non gli è sembrato tanto deleterio, quanto la natura dei suoi componenti potrebbe farlo supporre. Gustatolo , e respiratone il vapore, non ha provato che abbat- timento di forze, e violenta irritazione d’ occhi, che si è pre- sto dissipata. Il sig. Brunnen prof. di chimica a Berna ha reso molto più facile e più economica la preparazione del potassio e del so- dio, Il suo apparato consiste in una storta di ferro battuto , a cui è adattata a vite una canna da schioppo ) piegata in forma di U, che s’insinua in un recipiente cilindrico di rame picno d’olio, e circondato all’esterno d’acqua fredda. 159 Formano la parte più interessante del lavoro del sig. Brunnen i saggi comparativi da lui fatti trattando nell’apparato indicato le seguenti diverse mescolanze, cioè: 1.° 4 once di potassa caustica fusa, 6 di tornitura di ferro, 1 di carbone vegetabile , ricoperto il tutto con due once di trucioli di ferro; 2.° 8 once di carbo- nato di potassa, 6 di trucioli di ferro, 2 di carbone vegetabile, il tutto ricoperto con 1 oncia di trucioli di ferro; 3.° 6 once di potassa e 3 di carbone: 4»° 4 once di potassa caustica e 6 di trucioli di ferro ben privi di parti carbonose; 5.°, 6.°, e 7.° dei mescugli di carbonato di potassa e di carbone risultanti dalla calcinazione , 1.° di 24 once di cremor di tartaro, 2.° di once t4 1f2 di cremor di tartaro unito a once. 1 1f5 di carbone in polvere , 3.* di once to 1f2 di tartrato neutro di potassa: $.° 14 once di cremor di tartaro, e 4 once di trucioli di ferro ; 9.° 16 once di tartrato di potassa e di soda cristallizzato ; 10.° e 11.° una mescolanza delle stesse sostanze indicate ai num tI e 3, se non che nel luogo della potassa era la soda. Da questi saggi è risultato che per la preparazione del potassio e del sodio de- vono preferirsi alle mescolanze d’ alcali caustici e di ferro quelle di carbonati alcalini e carbone, o anche meglio il residuo alca- lino della calcinazione dei tartrati acidi, nel quale il carbone ed il carbonato alcalino sono nel più intimo contatto. Il sig. Durand di Cherburgo da varie sue ricerche intor- no ai fenomeni della nitrificazione era stato condotto a conclu- dere che il cloro non è una sostanza semplice, ma un composto di due volumi di gas nitroso e d’un volume di vapor di car- bonio, ovvero di volumi eguali d’ acido carbonico e d’ azoto. Egli pensa d’ aver trovato una conferma della sua dottrina nei risultamenti d’alcune sperienze da se intraprese, e nelle quali gli è sembrato generarsi dell’ acido idroclorico per l’ azio- ne reciproca dell’acido nitrico e del carbone ad una tempera- tura discretamente elevata. Egli crede che l’acido nitrico scom- posto per il carhone produca da una parte l’ossido di carbo- nio e l’acido carbonico, dall’altra azoto ed i suoi diversi os- sidi che occupavano la parte della boccia vuota di liquido. Il raf- freddamento, sviluppando un’ azione elettrica, che produce delle reazioni fra tutti gli elementi della mescolanza aeriforme, ha de- terminato nuove combinazioni. Non considerando che l’azio- ne reciproca dell’azoto, dell’ acido carbonico, e del vapor d’acqua, egli concepisce che gli effetti dello sviluppo d’un’a- zione elettrica su questa mescolanza sieno analoghi a quelli che 160 egli aveva osservato nella nitrificazione, cioè che l’acqua sia scomposta, che il suo ossigene acidifichi una porzione dell'azoto della mescolanza, e che l’idrogene , unito all’ acido carbonico e ad un’altra porzione d’ azoto, generi l'acido muriatico. La poca solubilità del cremor di tartaro obbligando a pren- derlo stemprato e non disciolto nell’ acqua, lo rende un me- dicamento sgradevole, Essendosi riconosciuto che l’acido borico aggiunto al cremor di tartaro lo rende molto più solubile, si adattò da lungo tempo questo miscuglio sotto il nome di cre- mor di tartaro solubile, o di limonata catartica allorchè è di- sciolto in acqua. Il sig. Soubdezran, in seguito di molte esperienze da se in- traprese, riguarda il cremor di tartaro solubile, non come un semplice mescuglio, ma come un vero composto chimico; cre- de che in esso l’acido borico saturi alla maniera delle basi l’ec- cesso dell’ acido tartarico, ed insegna a preparare questo com- posto così. Si prende 1 parte d’ acido borico, 4 di cremor di tartaro, e 24 d’acqua. Disciolte per ebollizione le prime due materie, si evapora il liquido fino a grande concentrazione. Al- lora si modera il fuoco, e si agita sinchè la materia sia dive- nuta solida. In questo stato si prova se sì disciolga nell’ acqua fredda, lo che se accada, l’operazione è terminata. Diversa- mente si stempra nel doppio del suo peso d’acqua, si versa sopra un filtro che ritiene il semplice sopratartrato poco solu- bile ; il liquido evaporato a siccità, dà il cremor di tartar® solubile . Il sig. Buckner scaldando in un piatto, sormontato da un cilindro, dell’acido benzoico impuro mescolato a 1/6 del suo peso di carbone vegetabile per purificarlo, ed avendo fatto succedere ad una temperatura assai discreta una più elevata, osservò nell’ in- terno del cilindro dei lampi di luce assai viva, che si succedevano con molta frequenza, finchè durò la cristallizzazione o sublima- zione. I cristalli formatisi a temperatura più elevata, e la cui formazione era stata accompagnata da quel lampeggiare, pre- sentavano forme assai meno regolari di quelli formatisi a più bassa temperatura. Il sig. Buchner attribuisce quei lampi ad una neutralizzazione di elettricità. Abbiamo già fatto parola , non tanto del primo lavoro del sig. dot. Liedig sull’argento detonante o fulminante, sull’aci- 161 . do contenatovi e da lui detto falminico, e sui sali da esso formati, tutti detonanti egualmente che l’acido solo, quanto delle successive ricerche relative, che sono gli comuni col sig. Gay- Lussac. ( vedi Antologia gennaio 1824 pag. 163, e maggio 1824 pag. 128 ). Comparisce ora nel Giornale di Pavia una lettera diretta nei 26 maggio 1808 dal sig. Giuseppe Moretti, professore di chimica e storia naturale nel liceo di Passariano , al sig. Michele Haussman chimico e manifattore a Colmar, ed una responsiva di questo a quello dei 2 giugno dello stesso anno, dalle quali risulta che fino da quell’ epoca il suddetto ‘sig. prof. Moretti studiando l’azione dell’ acido nitrico sopra diverse sostanze or- ganiche , aveva scoperto che, mediante la distillazione di quel- l’acido sopra l’indaco, si formava un’acido nuovo, dotato della singolar proprietà di fulminare, o pinttosto di detonare sui car- boni accesi, e di formare con diverse basi salificabili dei sali egualmente detonanti; e che prima di lui, ma senza di lui sa- puta, il suddetto sig. Haussman aveva per lo stesso mezzo ot- tenuto un composto detonante. Sembra che l'acido scoperto 16 anni addietro dal sig. Moretti sia poco diverso da quello ri- conosciuto modernamente dal sig: Ziedig nell’ argento fulminante, ed in altri composti analoghi, e che viene ora riguardato co- me un composto d’ ossigeno e di cianogene, e però quello stesso radicale che unito all’idrogene forma l’acido idrocianico o prussico. Il Sig. P. Giuseppe Branchi ha nel suo libro sulle falsi- ficazioni delle sostanze medicinali ec. annunziato che il solfa- to di chinina potrebbe adulterarsi coll’ acido borico ; ed ha così predetto ciò che l’amore di un illecito e criminoso guadagno ha realmente consigliato poco dopo . Il Sig. P. Giovacchino Taddei analizzando del solfato di chinina che fra noi si spaccia a più o.meno buon prezzo, vi ha realmente riscontrata questa falsi- ficazione spinta tavolta al segno di non restare nel miscuglio il solfato di chinina ché come 1. a 3. d’acido borico . ‘Egli pro- pone a tutti quelli che voglion fare acquisto di questo prezioso medicamento, per quindi impiegarlo in vantaggio dell’ umanità, di saggiarlo nel modo seguente. Si esponga il sale ad un fuoco assai forte in un vaso di porcellana o di platino. Quando sarà la massa apparentemente tutta scomposta per il fuoco, e sem- brerà che di essa non resti che la parte carbonosa , si tratti il residuo con alcool caldo, e si filtri. L’alcool così separato dal resto si infiammi fino a che da se stesso non si spenga. Se il T. XVII. Gennaio II 162 solfato di chinina conteneva acido borico, questo sarà annunzia- to dalla fiamma verde, che l’ alcool offrirà. abbruciandosi, e re- sterà a nudo dopo la total consumazione. di lui. Geologia L’ Etna, secondo che il sig. Geme/laro ce ne informa, ha vomitato diverse lave granitoidi stagnifere delle quali lave egli ne descrive cinque varietà. I fenomeni di questo vulcano saran- no da quì in avanti più esattamente studiati, mercè la fondazio- ne dell’ accademia delle scienze naturali di Catania . La geologia di Aspramonte e di alcuni luoghi della Calabria ha formato il soggetto di una operetta del sig. Me/ograni, rifa- cendosi dalla descrizione dei graniti che sono fra S. Giovanni e Piale, come pure di quelli delle vallate di Zagarella. Il gres granitoide fa la base di Aspramonte, la qual montagna si eleva a 5080 palmi, ed alla cima termina in una sienite, la quale con- tiene l’amfibolite. Le colline della costa che guarda la Sicilia si elevano alla medesima altezza, e sono della medesima materia e formazione delle opposte adiacenti alla costa dell’isola, lochè può servire a spiegare la formazione del canale di Messina, che pare essere stato dapprimo una gran vallata fralle montagne di Aspra- monte e di Valdemona, ed egli crede ammissibile 1’ ipotesi che questo canale siasi formato per l’effetto di un terremoto . Attri- buisce poi l’origine dei vulcani al bitume animale: in prova di che egli cita i calcarii bituminosi degli appennini fra Salerno e Giffuni, come pure quei del gruppo delle montagne di Acerno. Lo stesso Sig. Melograni in una memoria ha dato un più speciale sviluppo alle sue idee sopra l’origine dei vulcani , ed in essa tende a stabilire, che le roccie vulcaniche sono di ori- gine ignea , che la formazione delle montagne vulcaniche è poste- riore a quella delle montagne secondarie, e che la sorgente del- l’azione vulcanica è una materia appartenente soprattutto al fon- do del mare ed all’interno dei continenti, la quale egli sospet- ta che possa essere il carbon fossile, e finalmente che essendo il fuoco che si manifesta nei vulcani a due diversissimi gradi di intensità, e di durata, le loro roccie debbono essere anco diverse . L' uniformità nella natura delle roccie e delle loro: posizio- ni, che è uno degl’importanti resultati delle molte geologiche osservazioni, fatte nello spazio di poco più di 3o anni, si è ri- trovata dal celebre Jameson anco sulla costa orientale della Gro- 1653 enlandia , la quale, secondo i saggi che ne sono \ stati portati dal Sig. Scoresby , sembra essere costituita da terreni primitivi dell’indole medesima di quelli della costa occidentale, sicchè forse vi si sarebbero trovati gli stessi minerali che il Sig. Gie- secké ha portati da quest’ ultima regione, con sommo accresci- mento della scienza mineralogica, e che fanno il più hello or- namento dei musei di Europa e di America . Pare che tutte le roccie primitive, dal granito allo schisto argilloso, si trovino in quell’isola. La formazione secondaria appartiene a quella del carbon fossile e dei porfidi e trappi secondarii. La prima di que- sta è traversata, appunto come ir Scozia, dalle vene di ciò che gl’inglesi chiamano greanstone . Alineralogia L’illustre Sig. Profes. Regnier di Padova, conosciuto per gl’importanti suoi lavori geologici, relativi soprattutto alla sto- ria de’ molluschi, ha nel decorso anno incominciato a pubblicare a fascicoli i suoi Elementi di mineralogia , nei quali esponendo la storia della scienza, particolarmente rileva i meriti degl’ Ita- liani, che in qualche modo hanno contribuito al di lei progres- so ; non tanto per la parte mineralogica propriamente detta, quan- to per la geognosia , e per la cristallografia. Dà un catalogo di tutte le collezioni mineralogiche esistenti in Italia, e di tutti gli stabilimenti, nei quali questa scienza è pubblicamente in- segnata: e dopo avere esposte alcune vedute generali sulla co- stituzione fisica del globo, termina la sua introduzione col dividere i corpi terrestri in generale, e la scienza mineralogica in particolare. I tre capitoli che succedono alla introduzione hanno per oggetto di stabilire le basi della mineralogia , vale a dire caratteri (i quali ha divisi e trattati secondo i principi del gran riformatore della scienza; Haùy) la classazione , e la nomenclatura, ed ha dato un sugoso e completo estratto della teoria cristallografica di quel celebre mineralogista . Il Sig. Bournon ha reso conto al pubblico di un goniome- tro di nuova invenzione del Sig. Adelmann, pel quale si può «contare con una esattezza quasi consimile a quella che si ha dai goniometri di reflessione, e che di più ha il vantaggio di poter essere applicato ai cristalli che non hanno nè dimensioni piccole, nè superficie refiettenti. Composto, come varii altri goniometri, di un semicerchio e di righe mobili, egli è poi fisso, e l’ esat- 164 tezza delle osservazioni è per ciò resa più indipendente dalla de- strezza e dalla pratica dell’ osservatore . Un nuovo minerale di piombo è stato analizzato dal Sig. Berzelius, che vi ha trovato ossido di piombo go, 13; cloro 6,344; acido carbonico 1,03 ; acqua 0 354 ; silice 1,46. È di co- lor giallo paglia, facile a rompersi in frammenti che presen- tano un angolo di 102 a 103. Decrepita leggermente , e si fonde quindi facilmente al cannello 3 dando un bottone giallo più pieno, sul carbone si riduce , esalando odore di acido mu- riatico . ' La pinite di S. Pardoux analizzata per mezzo del carbo- nato di barite ha presentato al Sig. Gmelin una sostanza anima- le frai suoi componenti, della qual sostanza se ne ha un non equivoco indizio dalle esalazioni ch’essa tramanda al fuoco del cannello. Lo stesso Sig. Gmelin ha analizzato 1’ essonite del Cei- lan. Un minerale della Cumberlandia, che credeasi barite car- bonata, esaminato dal Sig. Brooke, presentò delle forme diffe- renti da quelle di questo sale, come da ogni altra sostanza mi- nerale , colla quale potesse confondersi; ed il Sig. Chu/dren aven- done fatto l’analisi , trovò esser esso una combinazione della cal- ce carbonata colla barite carbonata, nella proporzione di 33 2/3 a 66 1/3, al qual minerale nuovo egli ha dato il nome di darito- calcite . I Sigg. Lardaer-Vanuxrem e Keating in alcune osservazioni che essi hanno pubblicato relativamente a diversi minerali trovati a Franklin nella nuova Jersey , annunziano che la sostanza descritta sotto il nome di Zeffersonite altro non è che un pirosseno , il quale non contiene che 0,04 di magnesia; che la frankAlinite trovasi in grandi masse drusiche vestite di ottaedri, associati collo zinco solforato , che all’aria si cuopre di zinco carbonato. Ivi pure si trova lo zinco carbonato selcioso in prismi esagona- li ed in concrezioni. Ad Aruba nell’ isola di Curacao trovasi da poco tempo in quà l’ oro nativo, e ne sono stati scavati varii pezzi di 14 a 16 libbre ed uno di 32. Questo metallo s’ incontra. in pezzetti che hanno l’ apparenza di aver subìto una fusione , lochè c’ in- durrebbe a crederlo tratto fuori in addietro da qualche vulcano ora estinto . 165 Paleontografia | Tre denti fossili ditruminante, scavati insieme colle ossa di elefante nella Siberia, sono stati esaminati dal Sig. Boyanus, che confrontandoli con quelli delle specie conosciute, non ne ha ravvisato alcuno consimile , ma solo ha riscontrato una certa analogia di forma con quelli delle specie ovine e di cammel- lo. Poichè però questi denti sembrano indicare un animale di grande statura , e che d’ altronde non possono, secondo il Sig. Bojanus, riferirsi ad alcuna specie o genere dei viventi , egli ha creato provvisoriamente il gen. Mergatherium , dando alla specie dalla quale questi denti sono provenuti il nome specifico gigas: Alcuni dubitano che l’animale potesse essere una giraf- fa, ed il Sig. Cuvier opina che fosse il cammello. Nel porto di Dunmore è stata trovata una balena fossile , alla distanza di un mezzo miglio o tre quarti dal letto del fiume, a 3 in quattro piedi sotto il suolo di alluvione , e 20 sopra le maree più alte. Questo fossile è lungo 70 a 75 piedi. Varie ossa di elefante , di rinoceronte , e di bove sono state trovate ad Ilford nell’ Essex, a 17 piedi di profondità . Diverse ossa di elefante fossile sono state trovate in una mama argillosa presso Lione, unite ad alcune di bove; e qualche osso di ruminante è stato trovato in Italia nella lignite di Valcandino. Presso Whitchill nel Gersey occidentale è stata trovata una por- zione di mascella di coccodrillo a denti ottusi, e, per quanto pare, differente dalle specie viventi, e dalle fossili cognite. Il terre- no dal quale è stato tratto questo fossile, appartiene ad una vasta formazione , che si stende lungo la costa americana per qual- che centinaio di miglia dal settentrione di Long-island fino al golfo del Messico , ed è costituito da un’argilla verde con ciot- toli di quarzo, contenente terebratule, ostriche fossili, belem- miti, favositi fistularie ec. ossa di squalo, di testuggine, di un ichtiosauro non per anco descritto, e di cetacei. Il Sig. Har- lan, che ha descritto questo terreno, lo crede corrispondente nella - sua formazione al gres verde. GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI. Viaggio del sig. Rupper nell’interno dell’ Africa . Nel- l’ Antologia { Vol. XIV. C. pag. 170. ) i nostri lettori han veduto che il sig. Ruppel dava le sue nuove dal vecchio Don- ‘gola, nel dì 10. novembre 1823. Dopo quell’ epoca non scrisse 166 più al sig. Baron di Zach fino al dì 24. febbraio 1824., dan- dogli alia notizia delle difficoltà e pericoli sofferti , perchè il paese diventò il teatro della guerra. Egli trovavasi in quel giorno 4/ Campo presso Kurgos, e dà ragguaglio di nuove an- tichità da lui scoperte, in questi termini » « Una moltitudine di rovine dell’antichità più remota trova- sì presso il nostro campo a Aurgos . Io aveva sotto gli occhi da molto tempo questi venerabili avanzi senza poter avvicinarmi ad essi ; perciochè erano sull’ altra sponda del Nilo all’ oriente, op- posta a quella in cui siamo accampati. Tutti gli abitanti han- no abbandonato questo paese , ed i nemici vi faceano continue scorrerie . ,) 3 Finalmente, dal nostro commandante in capo ho ottenuta una scorta assai forte di cavalleria , la quale mi ha accompagna- to ; ma il tempo assegnatomi per visitare queste rovine era così breve, che ho dovuto vederle in fretta il che CODEC anco- ra dalla relazione , che ho l’ onore di farvene . ,, ;: Passando il Nilo dalla sponda occidentale all’ orientale e se- guendo il cammino sul parallelo del villaggio Gurk25 per entrar‘ nel deserto, sì passa per 57. minuti una lunga pianura di fango del Nilo coperta di cespugli ed erbe assai alte. Si scorgono in più Inoghi le vestigie degli antichi canali colmati, i quali vanno in direzione parallela al letto del Nilo il che prova, quanto altre volte sieno state coltivate queste contrade ora deserte. Vedesi all’ estremità di questa pianura, sul margine del deserto, un villaggio abbandonato , il quale credesi che , non ha molto, fosse abitato dagli Arabi Zuhelin . ,, »» Dopo aver camminato dieci minuti per questo deserto di sab- bia gialla , si giunge a un gran cumulo di piette e di mattoni cotti a fuoco doppio . Il dente divoratore del tempo ha quasi di- strulta ogni cosa , e ciò che resta, è sepolto nella mobile sab- bia. Ho potuto scorgere appena alcuni fusti di colonne di due piedi e mezzo di diametro con capitelli ornati di teste d’ Zside ; i quali indicano |’ esistenza di qualche tempio considerabile . ,, », Su questa pianura di sabbia, dodici minuti più avanti, al- I’ oriente delle suddette rovine, s’ innalza un altro gruppo di mausolei di forma piramidale . Io ne ho contati fino a tredici di pietra, alti presso a poco 30. piedi, con gli angoli acuti , con le superficie esterne a gradini, con i margini di pietre liscie, con de sommità troncate . Non vi si riconosce ingresso da parte veru- - Vedesi colà presso, giacente in terra, una testa mutilata di lione di granito nero , la quale forse è stata una porzione di sfin-. 167 ge simile a quella da me veduta vicino ai tempi di Meroe , e di Scheck-Selim . ,, 3» Trentuno minuti più innanzi, sempre verso oriente, incon- trasi di nuovo un altro grappo di sepolcri più considerabile del primo . Sul pendìo di una collina di sabbia, veggonsi in ordine poco regolare ventuno di questi monumenti , uno dietro all’ al- tro, nella direzione del nord al sud. Alcuni hanno la forma pi- ramidale con i margini a gradini , altri sono con gli angoli acu- ti, coni margini ornati di un orlo liscio : tutte queste piramidi hanno la punta troncata . Un solo di questi monumenti , cioè il più meridionale , si distingue da tutti gli altri. per una parti- colare struttura . Primieramente ba per base uno zoccolo di 20 piedi in quadro , e 6. piedi alto ; due file di pietre , che spor- gono in fuori , formano un piano; su cui posa una torre prisma- tica alta 15. piedi. Questo mausoleo ha , come tutti gli altri , un ingresso dal lato orientale ; che serve di vestibulo o di gal- leria , come ne’ sepoleri di Meroe. Le pareti sono abbellite al- l’ intorno di sculture di un gusto squisito . I bassi rilievi. sono presso a poco come quelli di Meroe ; ma di maggior. perfezio- ne, e rappresentano sem pre l’ apoteosi del defunto . Fra queste piramidi, come fra quelle di Meroe , ve n’ è sempre una, che si distingue fra tatte per il suo ingresso ; il cui soffitto è for- mato di pietre benissimo unite insieme a forma di volta . Essa è la quinta partendo dal mezzogiorno , e distinguesi ancora per la sua facciata esterna tutta adorna di bassi rilievi. Da due lati dell’ ingresso , veggonsi due figure femminili , che tengono in ma- no una lancia in atto di trafiggere una truppa di prigionieri. I panneggi, le attitudini di queste vittorie, superano per la na- turalezza , per il finimento, per la bellezza quanto ho vedu- to in questo genere , sia in. Egitto , sia in Nubia: queste scul. ture si avvicinano ‘onninamente alle forme greche più clegan- ti, e de’ tempi migliori , non eccettuato neppure il tempio di Tentyra; giacchè le vittorie, delle quali io parlo , non hanno quella durezza, che notasi in quel tempio nei gruppi de’ Bria- rei. Non posso in genere astenermi dal credere, che la mag- gior parte di questi monumenti sieno senza contrasto di data «e di origine più recente che quelli di ZMeroe, opinione però affatto contraria ‘a quella che è ammessa generalmente, Sareb- ‘ bero forse del tempo stesso che le iscrizioni e l’ obelisco di ‘Axum? A quell’ epoca le relazioni di commercio fra Alessan- dria e i paesi interni più meridionali «erano frequentissime ed attive. La ragione, la quale m’ induce a dare una più alta 168 antichità ai monumenti di Meroé , che a quelli di Aurgos ,é in parte fondata sullo stato in cui sonosi conservati , anche senza considerare che la posizione più meridionale ; le. piog- ge più abbondanti , ed il sole più ardente hanno dovuto con- tribuire a’ loro danni . ,, 3 Mi rimane ancora a parlare di un terzo cumulo di sepol- cri situati al sud-est dell’ ultimo gruppo cinque minuti distan- te. Trovansi quivi nove piramidi ad angoli acuti, con i mar- gini orlati di pietre liscie . Ciascheduna piramide ha il suo in- gresso dal lato orientale , le di cui pareti interne son ricoper- te di scultare. I monumenti degli ultimi due gruppi hanno questa particolare distinzione , che i loro bassi rilievi rappre- sentano apoteosi di figure feminee , mentre in tutti gli altri di- mostrano eroi a’ quali si fanno offerte, Parimente i mausolei più meridionali sono i più piccoli, giungendo i più alti appe- na a 4o. piedi; ma nel gruppo delle 21 piramidi, ve me so- no alcune, che hanno almeno 90 piedi di altezza . Tutti que- sti monumenti sono di pietra e fabbricati a secco senza calcina . Ecco tutto quello, che in fretta ho potuto vedere e rac- cogliere intorno a questi monumenti. di antichità nella mia bre- ve e furtiva corsa ..,, Nel dì 3. maggio 1824. il sig. Ruppel scrisse un altra let- tera al sig. Baron de Zach, da Ambukol, dov’ era ritornato, non potendo più restare a Kurgos senza pericolo . Ma poi ave- va ripreso animo, e si proponeva di fare una nuova gita per tentare di entrare nel. Kordoufan, dove aveva udito trovarsi co- se curiose di molta utilità ed interesse , e dove ;, ( dic’ egli ) esiste un intera catena di vulcani estinti, una sommità altis- sima dalla quale, di figara conica, fuma sempre, e getta sen- za interrompimento ceneri calde ..,, Trovasi sopra uu altra montagna al sud-ovest di Ubeit una quantità di camere scavate nel sasso , sulle: pareti delle quali sono incise figure di animali; regnano intorno panche di pie- tra, e le volte son sostenute da pilastri di pietra . »» Uno schiavo delle vicinanze di Ko/dagì mi ha spontanea- mente narrato, che nel suo paese vi era un animale grande quanto una vacca; che aveva la forma svelta di una gazella, con la pelle fornita di un pelo corto e di un colore fra giallo e rosso, con una lista bianca sulla fronte e sul naso; il ma- schio porta sulla fronte un corno lungo e diritto , e la fem- mina non ne ha veruno. Questo animale vien detto nel pae- se Milukma . Ho più ragioni per credere ai detti di questo schia- 169 vo , che altronde non era mai stato interrogato sull’ esistenza del liocorno : il medesimo schiavo mi fece pure una descrizione esattissima dell’oca di Gambia assai comune nel paese di lui. ,, Il sig. Ruppel ba potuto disegnare una carta del Kordoufan e dei paesi intorno al Nilo dal 12.° al 19.° di latitudine , va- lendosi de’ materiali somministratigli dal generale Mehemet Oeg genero di /Mehemet Alì Vicerè di Egitto, uomo appassionatis- simo per la Geografia, cosa non comune fra i Turchi ; la quale carta comprende i luoghi da esso generale percorsi nelle sue campagne . Il sig. Barone de Zach ba unita questa carta ad uno de’ numeri della sua corrispondenza , insieme con le tavo- le itinerarie del sig. Ruppel. Ma le speranze di questo istancabile viaggiatore , che si lu- singava di percorrere ancora le parti interne dell’ Affrica , fu- rono deluse per una sollevazione generale dei contadini dell’ Al- to Egitto contro le truppe di Mehemet Alì . Perciò il sig. Rup- pel fù costretto a ritornare al Cairo, d’ onde scrisse al sig. Ba- ron de Zach il 27. luglio 1824. Egli però si proponeva a quel- I’ epoca di ritornare nel Kordoufan, insieme con le truppe che il Vicerè avrebbe di nuovo spedite nel mese di settembre ìn quelle contrade . Società Ceografica di Parigi, seconda assemblea generale per l’anno 1824. Quest’ adunanza preseduta dal Sig. di Chateaubriand, aveva richiamato un concorso straordinario, ed ha dato un’idea favorevolissima dei progressi: di quest’ onorevole società . Il sig. Malte-Brun , come segretario generale della Com- mission centrale , ha fatto conoscere , in una notizia istorica, i lavori della società nell’anno 1824, la pubblicazione del primo volume delle memorie della Società , la stampa della prima se- rie delle questioni, l'estensione delle corrispondenze , i doni fatti alla biblioteca dai due ministri della marina e degli affari este- ri, e dal direttor generale dei ponti e strade, Fra i molti oggetti presentati all’ assemblea erano i princi- pali i seguenti: una carta della Siria fatta dal Sig. Rousseau, antico console generale ; un’ altra carta dell’ Arcipelago Gascone scoperto dal sig. capitano Chemissard; una carta mineralogica della Corsica ; un viaggio a Surinam, stampato a Caienna dal Sig. Zeschenault de la Tour, che è di ritorno dall’Indie oc- cidentali ; i disegni interessantissimi dei monumenti della Cire- naica del sig. Cervelli , comunicati dal sig. Jomard. Il primo volume delle Memorie, presentato anch’ esso alla 170 società , conteneva un testo francese ed un testo latino della re- lazione di Marco-Polo , stampati secondo iì manoscritti della bi- blioteca del Rè, preceduti da una dotta introduzione del sig. Roux , e seguitati da una raccolta di varianti di tutti i ma- noscritti esistenti a Parigi. Il sig. Barone di Férassac, segre- tario dell’assemblea , ha letto il proemio di questa raccolta di memorie , che era stato composto dal sig. Malte-Brun, e che ha ottenuto l’ approvazione dell’ assemblea . Il sig. Jomard, presidente della Commissione centrale , ha vivamente interessato l’ uditorio colla lettura d’ alcune conside- razioni intorno allo stato delle scoperte in Affrica. Egli ha an- nunziato che , secondo le ultime osservazioni ‘astronomiche del sig. Dusault, sembrava esservi fondamento per credere che tutti i luoghi situati fra Galam e Tombouctou sono stati segnati due gradi troppo all’est, lo che abbrevia la strada del viaggiatore che volesse penetrare nell'interno . Il sig. Jomard ha dimostrato che i nuovi viaggi fatti nell’interno non hanno accresciuto le nostre cognizioni che d’ una cinquantaduesima parte di questo continente , non comprendendo che il paese veduto realmente dai viaggiatori. Dopo che il tesoriere ebbe fatto conoscere il florido stato delle finanze della società, un forestiero d’ alta distinzione , il sig. conte Orloff, senatore dell’impero di Russia, ha dichiarato che metteva a disposizione della società una somma di mille franchi, o per un premio, o per qualunque altra destinazio- ne, a scelta della commissione centrale . Questo tratto di ge- nerosità del sig. conte Orloff ha eccitato gli applausi unanimi e prolungati dell’assemblea . Possa un esempio sì onorevole servir di stimolo a tutti quelli che, in ogni paese, dovrebbero essere i primi a sostenere le ‘istituzioni che possono divenire gloriose insieme e vantaggiose alla patria . SociETA' SCIENTIFICHE L’I. e R. Accad. dei Georgofili tenne la sua mensuale adu- nanza il 2. gennaio 1825. In essa dopo i consueti rapporti dei segretari ebbero luogo le seguenti letture: Il Sig. Commend. Lapo de’ Ricci mostrò esser privo di fon- damento il timore che l'abbondanza dei prodotti d’ogni sorta d’industria possa tornare a danno dell’indastria medesima, mentre al contrario anderebbesi incontro a manifeste calamità ove si pre- tendesse di regolar la produzione con civili provvedimenti, e 171 prese l'opportunità per applaudire alla recente abolizione della tassa dei macelli, abolizione che da qualche tempo avea l’Ac- cademia invocata . Il Sig. V. P. Prof. Gazzeri prese a confutare alcuni argo- menti di fresco prodotti contro l’ uso illimitato delle macchi- ne opificiarie, provando che gl’ inconvenienti attribuiti loro nop ne dipendono essenzialmente , sono passeggieri , e fuori d’ ogni proporzione coi grandi e permanenti vantaggi che da loro ri- sente l’ umanità . Il Sig. D. Gaetano Cioni, ricordate le straniere utilissime isti- tuzioni per l'educazione dei ciechi, parlò dell’ importanza che que- sti stabilimenti avrebbero fra noi, mentre si osserva che que- sta infermità presta più al vagabondaggio che alla commisera- zione, spesso strascinando in quello individui perfettamente sani i quali servono ai ciechi di guida, e vivono dei loro guadagni , Finalmente il Sig. Avv. Paolini espose in compendio alcuni fatti e ragioni per servire alla soluzione del Programma Accademico del 26. settebre 1825. proposto al concorso per l’anno corrente . Accademia Labronica di Scienze, Lettere ed Arti in Li- vorno . Adunanze tenute nell’ anno 1824. A dì 7. Febbraio . Sopra i viaggi recentemente tentati nell’ interno dell’ Affrica , e sui fiumi Negro e Nilo, memoria del sig. dott. Giuseppe Man- cini socio ordinario. Di Cicerone, come modello di ogni genere di eloquenza, lezione del sig. Bali Avv, Martellini soc. ord. ‘Osservazioni sopra le vicende della poesia erotica presso gli Italia- ni, del sig. Tomm. Papanti. Estratto di un’ epistola del dott. Sam. Johnson sul carattere morale di Eschine , del sig. Cancell. Ang. Santoni soc. ord. Poesie delle sigg. Giovanna ed Angelica Palli, e del sigé Tomm. Papanti . A di 6. Marzo . Sull’ ornativa delle facciate delle chiese , me- moria del sig, Rice. Calocchieri soc. ord. Se cogli strumenti a riflessione, ed in particolar modo col circolo a riflessione di Ami- ci si possano ottenere osservazioni tanto esatte, quanto cogli strumenti astronomici i più perfetti, memoria del sig. prof. Giu- seppe Doveri soc. ord. Adi 19. detto. Adunanza pubblica . Rapporto dei lavori accademici fatti nell’ anno 1823, del sig. Franc. Pistolesi segret. perp. Continuazione della storia generale di Livorno : Epoca ter- za , Livorno castello sotto il dominio .della repubblica fiorenti- na, lezione del sig. dott. Gius. Vivoli soc. ord. Promulgazione del Programma con premio di zecchini trenta, da noi già ri- 172 ferito nel precedente volume. Poesie dei sigg. 4ng. Santoni, Angelica Palli e Sansone Uzielli . 4 dì 24. Aprile . Rapporto sulla macchina a galleggianti del sig. Ingegnere Architetto Domenico Casamurata, fatto dalla De- putazione a tal’ effetto incaricata; e composta degli Accademici sigg. 4b. Carlo Celesia ; Luigi Mancini e Prof. Gius, Doveri re- latore. L'Accademia approva Ie favorevoli conclusi oni della preet- ta commissione. Ragguaglio degli avanzamenti delle scienze e delle arti relativi alla navigazione , fatti nell’anno 1823., parte pri- ma ; del sig. Cav. Col. Ranieri d’ Angiolo , Presidente. 1 prin- ‘ cipj del Consigliere Degerando nella sua memoria intitolata, le Visiteur des pauvres , applicati alla morale , del prof. avv. F. Del Rosso soc. ord. Osservazioni sulla geografia fisica dell’ inter- no dell’ Affrica, e sul corso de’ primarj fiumi di quella, parte del globo , del sig. dott. Giuseppe Mancini, soc. ord. Poesia del sig. Enr. Mayer . A dì 29. Maggio . Dell’ istoria , e de’ suoi rapporti colla pe- dagogica , lezione del sig. Prof. Avv. F. del Rosso soc. ord. Sul. l’utilità della storia patria , dissertazione del sig. Canonico To- rello Pierazzi soc. corrispondente in S. Miniato . Del probabi- bile sbocco nel golfo di Ghinea di una porzione del fiume Ne- gro , del sig. dos. Giuseppe Mancini soc. ord. . Adi 3. Luglio. Riflessioni sugli storici, del sig. Dirett. qnt. Dom. Cappelli soc. ord. Fine della suddetta dissertazione del sig. Canon. Pierazzi. Poesia del P. Pasquale Malipiero . A dì 31. detto . Ragguaglio degli avanzamenti delle scienze e delle arti relativi alla navigazione, fatti nell’ anno 1823. Par- te seconda, del sig. Cav. Col. R. d’ Angiolo Presidente . Della benevolenza considerata ne’ suoi rapporti colla pubblica felici- tà , lezione del sig. Ab. Fil. Marchetti soc. ord: Di alcune opere di scultara del Cav. Daneker, lettera scritta all’ Accademia dal sig. Enr. Mayer, soc. straordinario in Stuttgard . A dì 28. Agosto. Elogio del socio corrispondente Prof. Fran. Foggi , del sig. Prof. Avv. F. del Rosso soc. ord. A dì 15. Settembre . Pensieri sulla vita, del sig. Profess. Giacomo Adragna, socio corrispondente e medieo di sanità in Trapani . A dì 27. Novembre. Al’ ornatissimo sig. M..... autore del l'articolo intorno alle Poesie di Labindo , /ettera del sig. Avv. Gio. Castinelli soc. ord. Sulle ragioni dei progressi dell’ odier- na filosofia, memoria del sig. ab. Carlo Celesia soc. ord. Osser= vazioni sopra una memoria inserita nell’ Antologia ( T. XII. pag. E ci ii =__t14qzz. - ina rr rae.mr.-=detettteterocore-—-ine-‘1rrei_... 173 go.) ed intitolata dei rapporti del gusto e del bello coi sens e colla ragione, del sig. Dott. Giuseppe Gordini soc. ord. A dì 38. Dicembre . Dell’ anteriorità nella creazione ed avan- zamento delle scienze economiche , rivendicata in favore degli Italiani ; memoria del sig. Avv. Aless. Mugnai soc. ord. Sopra l’e- sposizione degli oggetti di arte e d’ industria nazionale in Stugar- dia, del sig. Enr. Mayer socio straordinario . La R. Accademia di Torino, Classe di scienze morali, sto- riche e filologiche. ha tenuto adunanza ordinaria nella quale il segretario ha riferito una lettera del presidente, in cui an- nunzia essere il metro sessagesimale eziandio il decimo della larghezza , ed il vigesimo della lunghezza di quella camera , che si trova, sola , nella maggiore delle piramidi di Menfi. Quindi il sig. conte Napione ha letto il discorso intorno ai frammenti dei libri di Cicerone delle cose di stato. Finalmente 1’ accademico ab. Costanzo Gazzera ha principiato la lettura d’ una disserta- zione manoscritta del Sig. Avvocato Datta intitolata «: Di Abene fondatore del monastero novaliciense , e del preteso suo patri- ziato. Il 5. del corrente mese tenne adunanza la classe fisico-ma- tematica . Il Prof. Giacinto Carena, a nome di una giunta, lesse il parere intorno all'uso di alcuni moderni apparecchi di distillazione , costrutti secondo i metodi perfezionati di quest’ar- te. L’ accademico Luigi Colla Avvocato lesse: I/ustrationes et icones plantarum rariarum quae floruerunt in horto Ripulensi , anno 1824, addita eidem horto appendice prima. Il segretario, signor Carena predetto , continuò la lettura, incominciata nel- l’ adunanza precedente, della otizia intorno ai lavori della classe di scienze fisiche e matematiche , nel corso del 1824. Sul principio d'ottobre era stato inalzato nella corte del palazzo della R, Accademia suddetta uno dei più rari monu- menti dell’ antichità egiziana ; è questo un colosso monolite , forse il maggiore che v’ abbia fino ad ora in Europa, e rappresenta un re d’Egitto. La statua nuda con una sola fascia alla cin- tola è in piedi in atto di muovere il passo ; colla mano sini- stra tiene un bastone tutto coperto al di fuori di segni gero- glifici, ripetuti poscia sul plinto, e colla destra impugna un rotolo guarnito d’ un cartoccio parimente scolpito di geroglifici; la testa della statua è guarnita d’un alto berretto a penna guar- nito di due corna di caprone e di un disco solare. Essa è di pietra arenaria durissima, e la sua altezza è di piedi 8, on- cie 8. Piem. — La totale altezza del monumento, presa dalla 174 base , sulla quale posa la statua, è di piedi 10, oncie 3. Dai segni geroglifici surriferiti si ricava che il nome proprio di que- sto re d'Egitto è Manduci, e sembra essere quel gran conquista- tore, che i greci chiamano Osymanayas + Speriamo che i dotti lavori del Sig. Champollion il giovane , e di altri nostri eruditi , spanderanno una chiara luce sopra questoprezioso avanzo d’una remota antichità . La società agraria di Torino ha tenuto adunanza il 23 dicembre; alcune cose sono state presentate, e alcune disserta- zioni lette, che possono meritare l’attenzione del pubblico. Dal Sig. Direttore varii saggi di corda formata con legno della Ti- lia Europea, con la descrizione del modo di fabbricarla ; del suo uso e pregii; per parte del Sig. Cav. Morelli il modo e la descrizione di un magazzino curioso da grano, per cui il seme si rivolge per se, sempre che se ne estrae; e per parte del me- desimo una dissertazione sulla sarchiatura del riso. A nome di una giunta è stato reso conto di una interessante memoria del Sig. Pellini sulla fabbricazione dei formaggi alla maniera del Lodigiano; per parte di S. E. il Sig. Marchese di Breme un esame comparativo dei pregi dei poderi sperimentali, e dei così detti poderi di modello; per parte del Sig. Cantù sostituto Pro- fessore alla scuola di Chimica generale , fu letta una notizia sul- l’oppio indigeno comparato a quello del commercio nella sua na- tura, e nelle mediche qualità . Il Sig. Cav. Provana di Colegno ha letto una memoria sulla importanza di estendere in Piemonte la coltivazione del lino, e di introdurre semenze delle migliori varietà . Il Sig. Conte Civrone ha presentato una bella raccolta di fratti, e ha letto una dissertazione intorno alla coltivazione de- gli agrumi. ARTI INDUSTRIALI . Si è adunata nello scorso giugno a Londra nna numerosa assemblea, di cui facevano parte i personaggi più distinti per nascita, per grado, e talenti, all’ oggetto di deliberare se con- venisse inalzare un monamento al celebre Watt, perfezionato- re della macchina a vapore, come un tributo di riconoscenza nazionale all'uomo, che col suo genio ha moltiplicato le risorse del suo paese , e migliorato la sorte di tutto il genere umano . Il monumento è stato decretato all’ unanimità, ed essendosi to- sto aperta una soscrizione per eseguirlo , le somme segnate pri- Lu 175 ma che l’ assemblea si sciogliesse ammontavano a circa 2000 lire . sterline . Il sig. Aunth a Berlino ha preso di mira in una sua me- moria la questione — Se le macchine sieno dannose o utili alle manifatture — Egli si maraviglia che si discreditino le macchi- ne , mentre i nostri antenati non hanno mostrato simili pregiu- dizi contro i molini, e altri meccanismi che hanno preceduto d’ assai gli attuali. L’ autore avrebbe creduto inutile riprodur- re , dopo Giacomo Stewart, argomenti in favore delle macchi- ne, se recentemente un economista distinto (il sig. Sismondi ) non avesse prodotto nuovi dubbi riguardo ai vantaggi della. grande estensione che ha ricevato in Inghilterra l’impiego delle mac- chine. È facile al sig. Kunth provare che in Inghilterra an- che la popolazione e la prosperità pubblica hanno prodigiosa- mente guadagnato per l’ uso delle macchine. Egli aggiunge che se il sig. Sismondi avesse veduto in Slesia la quantità di lana che si fila a mano e quindi si converte in lavori di maglia si- milmente eseguiti a mano, e nell’Erzgebirg sassone la quantità di cotone filato e lavorato a maglia con macchine, avrebbe pro- babilmente tirato altre conclusioni, giacchè le macchine in que- sto paese hanno dato una grande attività all’ industria , senza fare alcun danno alle fabbricazioni eseguite semplicemente colle mani. L’ autore rammenta la condotta insensata tenuta a più riprese riguardo alle macchine. Nel 1768 il popolaccio inglese distrusse un edifizio ove una sega meccanica era messa in moto dal vento, per timore di non aver più legno da segare. A Stra- sburgo fu proibito l’ impiego della macchina conosciuta sotto il nome di Grue colla veduta di favorire i facchini. Un ordine imperiale proscrisse in Germania l’ indaco, il vetriolo , la gal- la, il sommacco. I primi telai da nastri furono perseguitati come tentativi criminosi nei Paesi-Bassi ed in Germania. Nuova società per l’ incoraggiamento dell’ industria. Que- sta società, formatasi nel Granducato di Bade , fa periodica- mente delle esposizioni d’ oggetti d’ arti e d’industria, al fin delle quali si fannò delle lotterie per gli oggetti che gli artisti ed i fabbricanti desiderano di vendere. La Società va formando per suo conto una collezione d’oggetti di questo genere , e si procura , quanto i suoi mezzi lo permettono, le opere, le rac- colte periodiche, i modelli, i campioni, che possono essere di certa utilità. 176 INVENZIONI E SCOPERTE Si comincia a sostituire con economia e vantaggio lastre di zinco a quelle di rame ed alle pietre litografiche per la stam- pa. Laske, libraio a Darmstadt, ha recentemente pubblicato la prima grande opera, di cui le tavole sieno fatte così. È que- sta una raccolta di monumenti d'architettura , che si comporrà di 20 distribuzioni. Si disegna sopra lo zinco come si farebbe sulla pietra. Il sig. Eberhard, autore di quella raccolta, ha pub- blicato a Darmstadt nn’ opuscolo sull' impiego dello zinco. da sostituirsi alle lastre di rame ed alle pietre litografiche. Notabili perfezionamenti introdotti nell’ arte di laminare lo zinco hanno cominciato a render comune , specialmente in Prussia ed in Pollonia, l’uso di cuoprire le case ed altre fab- briche con sottili lastre di questo metallo . Il peso di questa coperta, molto minore di quello dei tegoli di terra cotta , ren- de sufficiente una molto minor’ quantità di legname per i tet- ti così costruiti, i quali però riuniscono la leggerezza all’ co- nomia , ed alla stabilità, non essendo soggetti ai danni che fre- quentemente cagionano ai tetti ordinarii le tempeste atmosferiche. Similmente in Pollonia, ed anche in altri paesi, si è in- trodotto , per cuoprire le case, specialmente della campagna , l’uso d’ una specie particolare di cartoni, formati di pasta di paglia, ed imbevuti di catrame , a cui si aggiunge della calce spenta e della sabbia, onde prevenire il pericolo degl’ incendii . Sotto il nome improprio di cera da scarpe e da stivali , si vendono e s' impiegano composizioni diverse, fra le quali hanno maggior credito alcune che ci vengono dall’ Inghilterra . Il sig. Braconnot , avendone recentemente analizzate alcune va- rietà, le ha trovate tutte, presso a poco, composte degli stes- si ingredienti , dei quali erano soltanto diverse le proporzioni . Facendo poi dei saggi sintetici per ricomporle , ed in alcune adot- tando qualche cambiamento, ha trovato preferibile ad ogni al- tra, per il buon' effetto, per l’ economìa , e per la semplici- tà della preparazione , la seguente . Si fanno macerare in una discreta quantità d’acqua qua- si bollente cinque once d’ orzo germogliato e poi disseccato , quale s° impiega per la fabbricazione della birra . Passato il li- quido a traverso d’una tela, si stemperano con esso in una bacinella di rame venti once di gesso finissimo ; passato per ve- 177 lo, e cinque once di nero di fumo. Mediante l’ evaporazione , si riduce questo mescuglio a consistenza pastosa , quiadi vi si aggiunge un’oncia , o un oncia e mezza d’ olio d’ oliva , incor- porandovelo esattamente , mediante l’ agitazione , e qualche goc- cia d’ essenza di spigo, o altra, se si vuoldargli odore. Questa composizione, meno costosa d’ ogni altra, è molto bella, si stende molto egualmente sul cuoio, si asciuga pron- tamente , ed acquista molta lucentezza per. il leggiero frega - anento d’una spazzola, e non ha l’ inconveniente di bruciare il cuoio . Siccome ciò che l’acqua estrae dall’ orzo germogliato è una materia estrattiva e zuccherina , si potrebbe supplirvi o colla de- cozione di qualche vegetabile sugoso , cui si unisse un poco di zucchero , o col sugo di liquirizia , o anche col semplice zuc- chero della più bassa qualità . Molti preparano la tinta per le scarpe e per li stivali , se- guendo ricette varie, nella più gran parte delle quali è pre- scritto , fra gli altri ingredienti, l’ acido solforico ed anche l’ idro - elorico . Il lavoro del sig. Braconnot ci ha aiutato, a compren- dere qual funzione esercitino questi acidi in tali cora posti. E' da premettere che la sostanza colorante comuneinente impiegata- vi, in vece delnero di fumo, è il nero d'’osso o quello d’ avo- rio, materie che , unita a poco carbone finissimo e nerissimo , contengono una grande quantità di fosfato di calce , il quale for- 5merebbe un impasto ruvido, indocile . e poco aderente all’ acqua o altro liquido che vi s’ impiegasse . Ora , mentre l’ acido idro- clorieo ne discioglie una parte , l’ acido solforico converte il ri- manente in solfato di calce, o gesso artificiale , materia finissi- ma , docilissima , che sta unita a grande quantità d’acqua, con cpi forma un liquido atto a cuoprire una superficie proporziona- tamente estesissima. Così nel processo del sig. Braconnot, in ve- ce di comporre del gesso artificiale , con spesa assai maggiore , s’ impiega del gesso naturale , che ha un prezzo piccolissimo . Al- tronde quì non resta nell’ impasto , come nell’ altro processo , una quantità notabile d’ acido fosforico , che il sig. Braconnot ha ri- trovato nei composti da se analizzati , e che non può non dan- neggiare le scarpe e li stivali . Il sig. dott. Chapotin raccomanda l’ uso della scorza di me- lo-grano come sicuro rimedio contro.il verme solitario, o Tenia - Egli fa bollire un oncia e mezza o due once di quella radice secca in due libbre e mezza d’acqua, riducendola per evapora- T. XVII. Gennaio L2 178 zione ad una libbra. Amministrando due once di questo liquido ogni due ore , accade spesso che il verme sia gettato fuori del corpo 12. ore dopo bevuta la prima bottiglia di decozione . Non ottenendosi l’effetto in uno o due giorni , si ripete l’ uso del ri- medio fino a quattro o cinque di seguito, sospendendolo bensì ove il malato provi dellé vertigini , del dolore negl’ intestini , o altri incomodi . Il dott. Chapotin suol dare dopo la quarta bot- tiglia un purgante d’ olio di ricino , anche quando il verme è sta- to reso. Si può anche amministrare la scorza in polvere , alla dose d’ uno scrupolo per giorno ai ragazzi, e di due scrupoli agli adulti, divisi in frazioni, di mezz’ ora in mezz'ora. ‘ G. GAZZERI. - = MTA e ee 179 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*) . N. XV. Gennaio 1825. N° 1. Biblioteca economico-portatile di Educazione. ( Estratto del manifesto.) Abbiamo già stampato il terzo volume delle ,4v- venture de’ Viaggiatori raccolte dal signor Pietro Blanchard, primo anello della Biblioteca. Il volgarizzatore di questa piace- vole operetta si è ingegnato di render la sua traduzione italiana di una lettura assai più utile dell’ originale, corredandola di molte, e brevi note, geografiche, nautiche e morali, secondo l’ oppor- tunità. Le Avventure de’ Viaggiatori servono a dimostrare per qual modo l’uomo , ridotto all’estremo della miseria, possa con qual- che forza d’animo trovarvi de’ rimedi onde non cadere in quel fatale avvilimento, che spesso conduce alla disperazione. Il gio- vane leggendo come uomini coraggiosi e costanti hanno saputo affrontare tanti pericoli, e superare .indicibili disastri; imparerà egli pure a non lasciarsi abbatter al primo male, che lo assalga, e a non desistere, per ostacoli che incontri, dell’ onorata carriera in cui è entrato. Il quarto volume è già sotto ai torchi, e sarà susseguito re- golarmente dagli altri tre, in uno de’ quali sì troverà la rela- zione dello scoprimento d’America, appositamente scritta per questa nostra Biblioteca. Tale relazione, che servirà a celebrare le avventure d’un nostro illustre italiano, Cristoforo Colombo, sarà seguita da quella de’ più strepitosi naufragi, 0 fatti più lu- minosi tolti da Depertes, da Laharpe e da altri autori. Così ì nostri associati avranno in sette volumetti e con piccola spesa il fiore delle avventure degli antichi e moderni viaggiatori. Abbiamo pure pubblicato in questi giorni una terza edizio- no del libro intitolato: Ze Bellezze della Storia o quadro delle virtù e dei vizi, il quale forma l'ottavo volume della no- (*) I giudizi letterari, dati anticipitamente sulle opere annunziate nel pre- sente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati dai sigg. librai e editori delle opere stesse , e non bisogna con- fonderli con gli articoli che sì trovano sparsi nell’ Antologia medesima , siano come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. Li 1.80 stra Biblioteca. Lo spaccio sollecito delle due precedenti edizio- ni, anzi il titolo solo basta per raccomandarle al pubblico, senza che ne facciamo qui particolare parola. Abili uomini intanto hanno già posto mano agli Elementi di Fisica in trenta lezioni, contenenti lo scioglimento delle teo- rie più importanti dî questa scienza del sig. A. TEYSSENDRE stampati in Parigi nel 1824, e all’Astronomia insegnata in venti- due lezioni, o le meraviglie dei cieli spiegate senza + l’ aiu- to delle matematiche ; opera tradotta dall'inglese sulla’ de- cimaterza edizione dal sig. F. C., vecchio allievo del. famoso ° Delambre, seconda edizione parigina fatta nel 1824: le quali due opere verranno da noi pubblicate l’ una dopo l’ altra adorne di tavole. Abbiamo sotto ai torchi la Roccolta di storiette morali, istruttive e piacevoli ad uso della gioventù da varie lingue tra- dotte per cura di M. SANTAGNELLO, professore di lingue a Londra, ed autore di molti libri elementari, coll’ aggiunta d’altri racconti morali, scritti o tradotti in buona lingna italiana da uomini di- stinti, i quali hanno dedicato o dedicano le loro cure particolari alla miglore educazione della gioventù. Altra raccolta di novelle d’autori classici italiani, una scelta di lettere, una guida della storia, un dizionario storico e crono- gico, una geografia particolare della nostra Itàlia appositamente scritta, una nuova gramatica italiana, un corso di belle lettere, un trattato di logica e metafisica alla portata di tutti, una scelta di vite d’uomini celebri italiani, alcuni romanzi veramente istrut- tivi e classici, ed altri libri di simil fatta si andranno succeden- do a vicenda nella nostra Biblioteca, al buon successo della quale attendono uomini d’acquistata riputazione. Il prezzo dì ciascun volume, siccome abbiamo già annuncia - to nel nostro manifesto primo luglio 1824, resta fissato di ital. lir. 1, 5o per gli associati a tutta la Biblioteca , e di Ital. lir. 2, per quelli che desiderassero le operette separate. Milano 15 gen- naro 1825. FRATELLI SONZOGNO. 2. Sull’ azione del Solfato di Chinina nelle febbri periodi- che, opinione del dottor Giorgio Franchi, medico della città di Narni — Pesaro 1825. Presso Annesio Nobili 8.° di pag. 16; 5. Ragionamenti sul sistema d’ogni coltura in Toscana di Fabio Gori Pannilini. Siena, presso Onorato Porri. 1 vol, 8° di pag. 146. — prezzo lire 2. È 4. Scelta di racconti storici e favolosi, tratti da ottimi tes 1 CS TL Arc sci —_—_—r————_— | I | | | 131 di lingua italiana, ad uso delle scuole, per cura di Terenzio Maz- zoli — Pesaro 1824 dalla tipog. di 4nnesio Nobili — Vol. in 8.° di pag. 368. 5. Orazioni Civili e Criminali dell’ Avvocato Lorenzo Colli- ni fiorentino. Firenze per Miccolò Conti. 1824 — Vol. terzo 8.° di pag. 312. 6. Poesie varie di Lodovico Ariosto con annotazioni. Firenze 1824 — presso Giuseppe Molini —'Un vol. in 32 tascabile di pag. 770— prezzo paoli 12. E il diecimo quarto volume della col- lezione scelta di scrittori italiani in versi e in prosa che si pub- blica dal suddetto Giuseppe Molini. 7. Sulla maniera di fare le orazioni funerali, ragionamen- to didascalico di Francesco Bonciani. Firenze per il Magheri, 1824. Ed. Domenico. Moreni. 8.° di pag. 71, 8. Per l'avvenimento al trono di S. A. I. R, LEOPOLDO II. Granduca di Toscana ec. Stanze di yverardo Genovesi, pro- fessore di rettorica nelle regie scuole di Samminiato — Pisa presso Niccolo Capurro. 8.° di pag. 24. 9. Saggi sopra il Petrarca pubblicati in inglese da Ugo Fo- scolo e tradotti in Italiano. Lugano presso G. Vanetli — Ecco il titolo di un libro, che or ora esce in luce da questa no- stra tipografia. Per consueto l’Italia viene in cognizione dei libri inglesi, soltanto col mezzo delle traduzioni francesi ; e do- ve sieno esse trovate rilevanti per la materia, o piacevoli per la forma, vengono ritradotte in italiano. Il quale costume quanto ritardi la pronta propagazione delle opere inglesi in Italia, e quanto sia nocivo alla fedeltà ed alla eloquenza delle traduzioni italiane, ognun sel vede. Ma, se di ogni buon libro ; scritto in lingua forestiera, è desiderabile, a chi quella ignora, una tra- duzione immediata dalla lingua , in cui fu dettato, questo desi- derio dee nascere principalmente in quanto al libro , che ora an- nanziamo. L'argomento e-l’autore pertengono alla letteratura italiana, e quindi il libro non può a meno di non destare la curiosità degli uomini colti della nazione. Si fatta ‘considerazione persuase un italiaao a fare egli stesso quello, che avrebbe des i- derato fosse fatto da altri, se egli si fosse trovato in patria. Que- sti saggi si aggirano intorno all’Amore , alla Poesia, e al Carat- tere del Petrarca. {Un Paralello tra questo poetaj e Dante dà materia al quarto Saggio, il migliore di tutti, essendo anche ri- levato dalla rapida storia dello stato d'Italia a’ tempi de’ due poeti. L’ingegno e l’acume critico di Ugo Foscolo è già sì co- nosciuto nel paese, ov'egli ha percorso la maggior parte della 182 sua carriera letteraria, che tornercbbc ora ozioso il parlarne Ci restringiamo pertanto a dire che il lettore troverà in questa recente opera di lui quegli stessi caratteri, che danno una faccia origi- nale agli altri suoi seritti. Stessa soppressione delle idee secon- darie e. concomitanti . Stesso sforzo di penetrare nel midollo della materia, e di risalire alle cagioni prime e costanti de’ fenomeni morali. Stessa perspicacia e stesso buon gusto nell’additare le bellezze più squisite e più riposte della poesia. Stessa tendenza al ridurre i concetti all’ universale, e quindi al sentenzioso. Stessa concisione di stile robusto è meditato. Quanto è al traduttore la coscienza gli non rimorde di aver ommesso veruna delle diligenze, che potevano render grato il suo lavoro al pubblico , al quale egli rimette intero il giudizio della parte sua. Agli usati topici delle prefazioni volle sostituire un dialogo tra il Genio della lettera- tura italiana e lui. Parecchie note aggiunse , altre accrescitive, altre illustrative della materia , altre di critica letteraria, altre contenenti opinioni che divergono da quelle dell’ Autore. In fine sostituì una brevissima Appendice ad una assai lunga dell’Auto- re; la quale, destinata agli inglesi, sarebbe riuscita superflua agl’italiani. — Possano le nostre tipografiche cure, unicamente intese a gratificare il pubblico , essere sostenute dal suo ineo- raggimento! Lugano 15 agosto 1824. ( MANIFESTO ) to. La Magia del Credito svelata, istituzione fondamentale d j pubblica utilità, di GiusePPE DE WELZ, offerta alla Sieilia ed agli altri stati d’Italia. /apoli nella stamperia francese; vo- lume secondo , di pag. 472 in 4.* con molte tavole — si vende in Firenze, presso G. Piatti, ed a Livorno presso Glauco Masi» ti. Della politica Militare. Libri quattro di Giuseppe Cridis, Torino 1324. per l Alliana. 8.° di pag. 340. 12. Calendario Generale pei Regi stati ( Sardegna), pub- blicato con autorità del Governo e con privilegio di S. S. R. M. — Primo anno 1824 — Torîno, dalla stamperia 7. Pomba e figlio. Un volume 8.° di pag. 670 — prezzo lire 6. IV. B.Il Calendario pel vresente anno 1825 sarà pubbli- cato in breve. bra SAP Vogt; ni ali RON N) PA) Te n AE K RO) a data idol: rpg pi btE 103, i DT, MOR: : Di Mo I SIC, “DIRE ht BIO PT PUT IONI RR Ì % Mei, fi feb af Mb: strappato va ‘depp PEA se parati et otte | PRA) È s d } PAS } Ardant ff È, d* 1 n SI) tp di MI n ni / piatta da DAREI (i Si w dry n 208; O. ) wp i PAL Wi Tg "A Ù) ve. by BEGIN I 3 0 . y pr e ito ne eno io ” PESATA NA vi \ i) : | iL dioa x sugfa da AL U Paini ti i d> Mic AR dA uo { j AJ ela PgRn + 4, AO I LI Poi fumi igiani A ipaato dA poi Mn % LA $ Ù Le n rap 4 i n up > str STRA IESAPANI Tis 1 Lr pr DI di oi; bd x Vai pipe SLI SURE Lara dii pie Wa L) sia . 19 Ma A fi N Y ap - N \ . A 9 x i] v I ) MARR) PI di da Ri Ai % Ci ao è Mao: ab piro " AGR n OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 905. DICEMBRE 1824. = Termometro a Ho! > S PI STNERVAE NA n 5 mi 5 [oi | lo) Ò mi bi ° - = tina Ora 3 3 D DSS, E E Stato del°cielo ii ioi (eStoe | Re E 6 (c) (S) (e) À | o | | 7 mat. |28. 1,6 8,0 7,6 to0 ‘(0,03 , Tram. Nuv. calig. Calma I| mezzog. |28, 1,6 8,2 9,1! 99 | Tram, :Nuv. neb. Calma rt sera |28. 1,2 8,6 8,4 100 '0,04 |Lev. |Neb. folta Ventic. 7 mat. |28. 0,2 8,4 7,3|103 [o,or Lev. |Nuvolo Calma 2| mezzog. |27. 11,2 8,9j 10,0] 88 | Tram. |Nuvolo Calma 11 sera |27. 10,0 9;3| 11,0] 87 [0,14 |Scir. |Pioggia Vento 7 mat. |27. 9,7 9,3 9,0|100 |1,44 Scie. Pioggia Ventic. 3| mezzog. |27. 9,9 9; 9:95] 99 {0,38 |Ostro |Nuv. piov. Calma 11 sera |28. 0,2 9,3 ori 98 [0,03 |Pon.LijNuvolo Calma 7 mat. pe 1,0 9, 8,5] 95 Pon.Li|Nuvolo Calma 4| mezzog. 128. 1,9 9,3| 10,0] go Pon.Li |Nuvolo Calma Si 11 sera |[28.. 2,2 9,1 7,0|100 Lib. |Nuvolo Calma | 7 mat. |28. 2,3 8,9 7,6 100 — |Os.Sci. Nuvolo Calma 5| mezzog.[28. 24 89] 8,9/100 ‘Ostro |Nuv. neb, Calma «| rr sera |28. 2,9 89] 10,0] 94 Os. Sci.' Navolo Calma || | 7 mat. |28. 3,0 8,9 8,4! 100 Ostro |Sereno Calma 6) mezzog. |28. 3,2 8,9 9,3 | 100 Ostro {Nuvolo Calma xt sera (28. 2,4 9,I 8,6 100 Ostro |Nebbioso Calma 7 mat. 28. 1,6 8,7 8,0/100 Scir. |Nuv. neb. Calma |7| mezzog. |28. 0,7 801 8,9; 100 Scir. |Nuvolo Calma 11 sera |28. 10,6 } 8,9 8,6, 100 |Sc,Lev.|Ragn. _ Calma | I I | Termom =) Hi _P © > CETO 2 o Ora 3 s d 8 |35 7.8 Stato del cielo 5 © SG lo) o) 5 1 HA - lana 5 Na. E LI | 8 E; o S ° Ù Ù I 7 mat. |27. 10,4 9,1 9,8 93 [0,02 Lib, Navolo Calma. 8 : mezzog. 127. 10,9 11,6} 11,0 85 Pon.Li Ser. nuv. Calma Î tr sera 128. 0,3 8,4 84 94 Scir. |Sereno Calma rà 7 mat. 128. 0,9 84 5,5 100 “—— |Scir. {Sereno . Calma 9 | mezzog. 128. 1,2 8,2 8,0 95 Scir. |Nuv.rotti Calma II sera 128, 0,5 8,4 8,4 100 0,04 Scir. |Pioviggi. 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(28. 4,3 6,2 Tg n Scir. |Nebbia Calma :ir9 mezzog. 128. 3,9 6,2 5,9 100 Lev Nebbioso Calma LE | 11 sera 28. . 3g j_ 60 4,9 100 | Grec. |Nuvolo Ventic. 7 mat. |28. 2,0 5,8 4,9!100 | |Grec. {Nuvolo Calma 16! mezzog. |28. 6 6,0 6,2|100 _{Grec. |Nebbioso. : Galma 17 sera |25. 1,3 6,2 6,2! 100 Grec. |Nuvolo Calma 7 mat. |28. 0,5 —_ 62| 59 100 Lib. ‘Nebbia Calma 17| mezzog. (28. 0, 5 6,4 7;1'100 Lev. |Nuv.neb. Calma! rv sera !28. 0.8 6,7 6,9'100 Ostro | Nebbia Galma 7 mat. |28. 0,0 6,7 6,5, 100 Ostro |Neb. foltis. | Galma 18| mezzog. |28. 0,2 731 8,0 100 Ostro \Nuv. neb Calma rIsera |28. 2,0 7,1! 6,2 100 Scir. |Sereno Calma 7 mat. {28. 3,0 6,5 Ts, 00 Scir. |Neb. fol. Calma , 19| mezzog. |28. 3,8 6,4 4,9 100 Scir. | Nebbia Calma ri sera 128, ) 6,4. 100 Scir;. Nuvolo Calma | Nuvolo ‘ Vento il del S |e5/:33 8 |d 3° ol Stato del cielo dieta | |, mat. |28. 4,2 6,7 Hip ico tut. avoto Calma f 20 mezzog. |28. 4,0 7,1] - 8,0! 97 Maestr|Nuv. neb. Ventic. i pura sera {28. 3,2 7,6 a 99 Scir. |Nuvolo Calma di 7 mat. 28. 1,4 prc $,9| 90 Ostro |Nuv. ser. Vento fi21| mezzog. |28. 0,4 8,2| 10,7| 87 Pon.Li Nuv. neb. Vento i ri sera |28. ‘0,2 ‘84|. 9,3| 90 |o,rt]Lev. {Nuvolo Ventie. 7 mat. |28. 0,2 8,4 8,9 100 | 0,08 Pon. Li Piovoso Ventic. ‘22| mezzog. |27. 11,9 8,9 10,0! 95 Os. Lib Nuv. neb. Calma |j ri sera ‘27. 10,7 8,9 9,3, go | 0,02|0.L. |Nuvolo Ventic.! 7 mat. (27 9,7 9,8 8,9] 86° 65] Ostro |Nuv. gonfi Ventic. ‘23| mezzog. |27. :8,6 9,3] 10,7] 73 Pon.Li Nub. neb. Vento | 8,9| 6,0) 92 ! 0,07| Tr. Gr. Pioggia Vento | 7 mat. !27. 10,0 6, 4,9 70 0,24! Tram. 24 mezzog. 127. 10,2 ”, 6,7, 52 l'Tr. Gr. |Ser. connuv. Vento tI sera 27. r1,6 6,7 4,0 75 | Scir. Le' Sereno Ventic., N 7 mat. (27. II,I 5,5) ig: 188. Scir. {Sereno Calma || 125 mezzog. (27. 11,6 5,51 4,4 55 ‘Gr.Lev Sereno Vento jj | ri sera (28. 1,0 5,3 2,5 73 Scir. |Sereno Calma |f | 7 mat. |28. 1,0 4,2 1,6 8tr Î |Scir. |Sereno Calma |î ‘26| mezzog. |28. 1,t:| 4,9! 44 75 | Scir. |Ser. rag. Calma |j I rI sera |28. 1,8 5,1) 3,6 91 | Scir. {Sereno Calma | 7 mat. [28. 2,9 454 1,8 04 | Scir. |Sereno Calma |l 127| mezzog. 28. 3,8 44 3,0 99 | Scir. {Rag. Calma |f | tr sera !28. 4,5 | 44 2,5 99) Scir. |Sereno Calma | 7 mat. |28. 5;2 3,6 1,0 98 Scir. |Coperto Calma ‘28| mezzog. |28. 5,0 44 3,5 92 Tr. Ma.| Misto Calma rt sera |28. 4,9 4,6 4,9 100 Tram. |Nuvolo Calma 7 mat. |28. 4,3 47 4 100 |Pon. {Nebbia Calma 29' mezzog. |28. 3,3 4,9 5,5 100 Pon. |Nuv. neb. Calma |j | xt sera |28. 3,0 DI 6,3 100 } Scir.. |Nuvolo Calma || | 7 mat. |28. 2,5 5,8 7,0] 100 | 0,02|/Ostro [Nebbia Calma ji ti3o] mezzog. 28. 2,6 5,9 7,1|100 Ostro |Pioggia Calma |} Il rrsera |28. 4,2 6,2 5,8} 88 Sc. Le.|Sereno Vento |l | 7 mat. |28. 5,5 4,9 3,1f 95 Scir- |Ser. bel. Calma \j31| mezzog. |28. 6,2 5,8 6,0) S2 Scir. |Sereno Calma | rrsera |28. 6,4 6,0 4,9) 90 iScir. 'Sereno Ventic. È PROSPETTO METEOROLOGICO DELL'ANNO 1824. Barometro | Termom.medio : È . mensuale Mesi medio mensuale | Inter. | Ester, ‘SUS "po wa Gennajo { Febbrajo | 27. y Marzo, 27. i ‘Aprile 27. i Maggio 28. : Giugno 27. ; Luglio 28. P Agosto 28. & Settemb. | 28. Ottobre .| 27. | Novemb. | 28. Dicembre] 28. 1, Barom. massimo 28. 6, 4. il 31. Dicem. a ore 10 di sera — minimo 26. 11,2il 2 Marzo a 6. 3/4 disera medio dituttol’anno 28. 0;2 01791018] Giorni iorni Vento 01) Up Sereni |Piovosi] dominante ° Th | Scirocco Scirocco Scirocco. Libeccio | Libeccio Libeccio Scirocco Scirocco Scirocca Scirocco Scirocco Scirocco Termom. mass. 27,6 il 4. Agosto a ore 3 1f> pomerid. minimo —2° il 19 Gennajo È a7. di mattina medio ditutto l’anno 11,9 Totale dei giorni piovosi 103 ; dei sereni 164, della pioggia poll. 33,6 ANTOLOGIA N.° L. Febbraio, 1825. - elle forze commerciali della Gran Brettagna, ragguagli è del cav. Dupin tratti dalla Rivista Europea. "n L Gran Brettagna ha impero sì esteso, che tocca il set= tentrione , l’ occidente e il mezzogiorno dell’ Europa; il settentrione e il mezzogiorno dell’America; l’occidente e il mezzogiorno dell’Affrica ; e l'oriente dell’Asia. Il nume- ro, la varietà, la distanza delle sue provincie , distintis- sime fra loro per clima, per bisogni, per prodotti , le dan- no e cagione e mezzi di mantenere il più vasto commer- cio che mai siasi veduto , e a cui nessuna guerra dell’ al- tre nazioni ( testimonio il famoso blocco continentale ) può quasi recar nocumento. Roma ampliando il suo impero lo debilitò ; la Gran Brettagna invece, ampliando il proprio, seppe fortificarlo . Perocchè si servì dell’ India per conqui- stare colle genti ivi raccolte il capo di Buona Speranza e l'isola di Francia; si servì di Malta per comandare alla Sicilia e alla Sardegna, e fare all'uopo degli sbarchi sul continente d’Italia; si servì in questi ultimi tempi dell’iso- le Ionie a sorvegliare la Grecia, e può ancora servirsene ( di che avrà non mediocre vantaggio ) a favorire in essa la causa dell’ incivilimento e dell’ umanità. Ma, prima di parlare delle sue provincie più o meno distanti, parliamo di lei stessa, e di quanto fece la natura , onde preparar di lontano il suo commercio, che porge argomento al no- stro discorso . E la Gran Brettagna di forma irregolarissima, come chi dicesse d’un triangolo allungato , la cui picciola base è T. XVII. Febbraio I 2 al mezzogiorno e la cui sommità è al settentrione , con ra- de e golfi e porti frequenti lungo le sinuose sue coste, opportunissime perciò alle commerciali relazioni. Ma non meno opportuno è a queste relazioni l’interno suo suolo, tutto attraversato da torrenti e da fiumi , nutriti dalle piog= gie copiose e dalle spesse nebbie, che un moderato calo- re, e i venti occidentali, quasi continui, sogliono cagio- narvi. I torrenti che si veggono in maggior numero dalla. parte del mezzogiorno, per la vicinanza d’una catena secon- daria di montagne alla base del triangolo , di cui si fe’ cen- no, veramente sono poco atti alla navigazione. Ben lo so= no moltissimo i fiumi che scendono dalla gran catena, pa rallela al lato occidentale, e si rivolgono nel maestoso loro corso verso la costa orientale, come il Tamigi, il Wash, l’Humber, il Forth e il Tay. Gli altri fiumi più ragguar- devoli, come il Mersey, il Trent, il Clyde scorrono tutti fra il settentrione e il mezzogiorno, se ne eccettui la Sa= verna , la qual riceve l’acque di molte picciole valli , spe- cialmente del paese di Galles, e tiene la stessa direzione della gran catena che già si disse, Nessuno già imagina che questi fiumi, dati sì oppor- tunamente dalla natura, non abbiano avuto bisogno delle cu- re dell’arte, onde servire al comodo a cui oggi servono. Ma tali cure, bisogna pur confessarlo , non corrisposero per lungo tempo.se non imperfettamente all’intenzione. Pe- rocchè malgrado di esse, le deviazioni, gli straripamenti, le alluvioni, la distruzione degli argini e de’ ripari, e quin- di la necessità di lunghi e faticosi giri per chi navigava, erano cose, di cui ogni giorno moveasi querela. Quindi nacque il pensiero di abbandonare i letti naturali de’fiumi e di scavarne in una direzione parallela degli artificiali, ove il corso dell’ acque potesse regolarsi colle chiuse. Si ammira, per quell’ingegno che vi si sente , la de- finizione che Montaigne ha data de’ fiumi, chiamandoli stra- de che camminano . JChe vantaggio, si dice, è l’ avere si- mili strade! E questo è verissimo , diaodo si va a secon» da della corrente; ma in tutt'altro caso è un grave inco- modo. Tutto considerato , le strade, che l’uomo può farsi 3 con acque tranquille, sono ben preferibili a quelle che cam-- minano. Brinckley , chiamato un giorno a consulta dinan- zi ad una commissione della camera dei comuni, sostene- va vivamente la necessità di scavare certo canale, malgra- do la vicinanza di un fiume, che parea bastare all’ uopo della navigazione. A che fine, gli disse un deputato, cre- dete voi dunque che la Providenza abbia dati tanti e sì bei fiumi all’ Inghilterra? E l’illustre ingegnere non esitò a rispondere : per alimentare i canali. Il quale ardito pen= siero, se mai a taluno sembra bizzarro , finirà pure col sem- brare a tutti ragionevolissimo, specialmente tra i popoli più industriosi e commercianti. Ma un pensiero ancor più ardito fu quello di sca- vare canali navigabìli in direzione diversa da quella dei fiumi, onde stabilire communicazioni fra valle e valle at- traverso colline ovvero montagne. I francesi furono i pri- mi a darne esempio col canale di Briare, che unisce la Senna alla Loira, scendendo verso questi due fiumi per due opposti pendii. Gli inglesi non seguirono che tardo un tale esempio, ma fecero cose veramente grandi e am- mirabili. Perocchè avevano a traversare una gran catena di montagne, rinforzata da colline più o meno elevate ( nessun ostacolo somigliante si opponeva all’operazioni idrauliche in Lombardia , nel Belgio e nell’Olanda soli pae- si che siano per esse paragonabili all’ Inghilterra ) e non- dimeno riuscirono ad unire per mezzo di ventun canali i corsi opposti de’ fiumi che si scaricano nell’oceano Germa- nico, nel mare Atlantico e nel mare d’Irlanda. Questi ca- nali, onde aver l’ acque all’ altezza che bisognava , richie- sero niente meno di quarantotto sotterranei, la cui lunghez- za totale è valutata quasi settanta kilometri. Ciò basti a dare idea di ciò che gli inglesi ebbero il coraggio di spendere per l’interna navigazione , e il comodo del loro eommercio , che andò così ognor più prosperando . Quattro gran porti commerciali noi troviamo in Inghil- terra : due appartenenti alla costa orientale, cioè Londra sul Tamigi, ed Hull su l’Humber; e due appartenenti alla co- sta occidentale , cioè Liverpoo] sulla Mersey , e Bristol sulla 4 «Saverna. Questi fiumi , e il suolo che li separa, non com- prendono in superficie la metà del paese, ma ne compren- dono la parte più importante per la navigazione. Peroc- chè vi si trovano le città più industri e più popolose, e tutt’ all’intorno, le campagne più belle e più feconde. In questa parte, che tanto deve ai canali da cui è intersecata, il numero degli abitanti giugne a 10,814 per ogni miria- metro quadrato; numero ancor piccolo ove si porga orec- chio ai voti dell’ industria! Che dovrebbe dirsi in Francia ove nella parte intersecata da canali, che non è forse la la quinta di tutto il paese, per ogni miriametro quadrato non si contano che 7,221 abitanti? Eppure il clima di que- sta è tanto più tepido , e il suolo è tanto più fertile che non il clima e il suolo della prima. Se non che in uguale spazio l’ una ha quattro volte meno canali che 1’ altra; e nel totale, avuto riguardo alla sua estensione, essa non racchiude che la ventesima parte di quelli che l’altra rac- chiude. Quindi, mentre per ogni miriametro quadrato l’In- ghilterra nutre all’incirca 8,007 abitanti; la Francia, mal- grado molti favori di natura, non mostra nutrirne che 5,680. Tutti i canali, che da sessant'anni a questa parte fanno sì comoda agli inglesi l’interna navigazione , si riferiscono a qualche gran centro di produziene e d’industria, di cui sono per così dire le chiavi o le vie. Osserviamo i canali di Manchester, e fra essi citiamo primieramente quello del duca di Bridgewater, che servì di modello agli altri, e fece annoverare il suo nobile autore fra i più illustri benefat- tori della patria. Invidiabile distinzione, e ben più glo- riosa che tutte quelle di cui suol compiacersi il volgo degli opulenti, titolati e non titolati. Volgo veramente, che non vede in qual secolo vive; che non comprende come il fa- sto e la vanità siano divenuti oggetti di scherno, e come ermai per non incorrere la pubblica malevolenza bisogni farsi perdonare i favori della cieca fortuna , consecrando= li a publico beneficio! Vuol l’ opulento aver nome onora- to , e lasciare a’ suoi un’ eredità di rispetto e di amore? Ardisca essere più che un voluttuoso insolente , più che un ozioso consumatore: imiti il duca di Bridgewater: pro- tà, cuti alla patria qualche monumento di vera e durevole utilità. Dopo il canale di cui si è fatto cenno deve annove- rarsi primo il laterale della Sankey , che serve al continuo trasporto di prodotti minerali d’un gran valore. Secondo è quello di Botton e Bury, dipendenze di Manchester, i quali all’ epoca dell’ultimo censimento, cioè nel 1821, facevano insieme ottantaquattro in ottantacinque mila abitanti, che ogni giorno debbono crescere col crescervi dell’ industria. Terzo è il canale di Rochdale che si riunisce in Manche- ster con quello del duca di Bridgewater, e va fino ad Ha- lifax, città che nel 1811 non contava che settantatre mila e quattrocento abitanti , e diec'anni appresso passava i no- vantadue mila e ottocento ; la qual cosa (ove si consideri il prodigioso numero di macchine , che ha diminuito in tutto il suo terrirorio il bisogno delle braccia) mi sembra molto notabile e fatta per dimostrare i buoni effetti del- l'industria. Quarto è il canale di Peak-Forest, e quin- to quello d’Ashton e Aldham, due parrocchie , arricchi- te dalla filatura del cotone e popolate ( ciò pure è am- mirabile ) di settantacinque in settantasei mila abitanti. Ultimi si presentano i canali d’ Huddersfield e Ramsden, che formano coll’ antecedente una linea continua, la qua- le si unisce alla Calder e alla Mersey , e dal mare d’ Irlan- da conducono così all’ oceano Germanico . Il canale d’ Hud- dersfield è celebre per la sua galleria sotterranea , la più lunga ( poichè ha quattro mila ottocento ventotto me- tri ) di quante se ne siano formate per la navigazione ar- tificiale nella Gran Brettagna. Si prendano insieme , ove si voglia fare qualche paragone di questa colla Francia, i quattro gran canali di Briare , di Loing, d’Orleans e di San Quintino , i soli navigabili intorno a Parigi in un raggio di quarantadue leghe ; si pieghino e si ripieghino in un cir- colo trentasei volte meno spazioso, e si avrà un'idea pre- cisa de’ canali che si diramano intorno a Manchester fino a sette leghe di distanza. Ai quali ove si aggiunga il corso navigabile dell’Irwell e della Mersey; sette grandi strade con barriere, che partono da Manchester; e molte più pic- 6 ciole, ma di ferro , che da diversi canali conducono a mi- niere o manifatture isolate , più non fa meraviglia che con tanti mezzi di comunicazione i ventisette mila abitanti], i quali nel 1758 popolavano quel centro d’ industria, siano cresciuti pel 1821 fino a cento cinquanta mila. Altro centro non meno degno della nostra attenzione è Liverpool, a cui pure si riferiscono molti canali, che or verremo annoverando. E primieramente ci si presentano i quattro , che s’intitolano da Ellesmére, l’uno de’quali co- mincia al porto di questo nome sulla sinistra della Mersey e va a Chester e a Nantwicch , onde ricevere i prodotti delle ricche saline della contrada ; un secondo scende ver= so la bassa Severna e s’ inoltra fino a Shrewsburg; un terzo risale verso l’alta Severna, penetra nel cuore del paese di Galles, e si carica dei prodotti dell’ agricoltura di molte valli, e di quelli delle miniere de’ monti e de’ colli che le circondano ; un quarto mette capo a Slandsilio in riva alla Dee , ed è nomitatissimo pel suo acquedotto di Chirz, e principalmente per quello di Pont-Cysylte, di cui non può parlarsi senza ammirazione. Imaginatevi in fatti un cana- le aereo rivestito di metallo in tutta la sua lunghezza che non è meno di mille piedi; sostenuto da pile ardite e leggiere all’ altezza di cento ventisette piedi sopra un tor- rente ; e percorso da pesanti batelli, tratti la cavalli che camminano con sicurezza sull’ orlo di un abisso, e desti- nati a condurre verso Ellesmére il carbone, la calce, e il ferro , che forniscono le miniere , le cave e le officine della valle di Llangallen. To entrai in questa, mi rammento , una sera d’antun- no dupo lungo e faticoso cammino, quasi all’ istante che tramontava il sole. Vedeva in mezzo ad una robusta e an- cor fresca vegetazione alzarsi turbini di fiamme e di fumo dalle fornaci perpetuamente accese, ed edifizii e villaggi dlisposti in anfiteatro , e in fondo il magnifico acquedotto , di cui pur dianzi si diceva, audacissima opera d’uno dei miei amici, l'ingegnere Tommaso Telford. Rapito dalla bellezza di questo spettacolo , cui la luce morente del giorno variava ad ogni istante a’ miei sguardi, io stetti contem» 7 plandolo finchè l’ultimo crepuscolo mi obbligò ad allonta- narmi per cercare un asilo ad alcune miglia di distanza. Magico spettacolo veramente! Oggi ancora, pensandovi, mi sento battere il cuore di piacere e di desiderio . Ai canali d’Ellesmére, di cui si favella, è d’uopo aggiu- gnere come loro annessi quelli di Ketley e di Shropshire, notabili nell’istoria dell’ arte , il secondo per l’uso che vi si fa delle macchine le quali inalzano i batelli l’uno a li- vello dell’ altro, e il primo per l’uso del piano inclinato su cui si fanno salire e scendere i battelli medesimi onde passare a diversi livelli, invece di adoperare a tal uopo il mezzo delle chiuse assai più lungo e più dispendioso . Volgendoci dal mezzogiorno all’ oriente di Liverpool noi troviamo quel canale, che appellasi gran tronco , poi- chè ne escono, come i rami da un tronco d’albero , mol- tissimi canali secondarj. Esso comunica con Liverpool per la Mersey ; con Hull per la Trent; con Manchester pel ca- nale del duca di Bridgewater; con Londra, Birmingham, e quasi tutte le città importanti del centro dell’ Inghilterra per altri canali preparati dalla natura o formati dall’ arte. Fra il settentrione e l’occidente di Liverpool medesimo è il bel canale , che trae il nome da esso e da Leed , città che dopo l'apertura di questa comunicazione idraulica va crescendo di popolazione, come di prosperità. Infatti nel 1811 essa contava poco più di sessanta due mila e cinquecento abi- tanti; e diec’anni appresso ne racchiudeva quasi ottanta- tre mila settecento cinquanta. Finalmente fra mezzogiorno e settentrione, molto presso al mare, è il canale di Lan- castre ; che passa per questa capitale della contea più in- dustriosa d’ Inghilterra, e si prolunga fino a quella di We- stmoreland . A Londra, punto di tutti il più opportuno, come quello che è insieme centrale e marittimo , mettono capo altre vie idrauliche : il Tamigi con tuttii suoi affluenti, il Lee, il Me- dway, il canale del principe reggente , prolungato da quelli del gran congiungimento e della grande unione, così detti dal congiungere e riunire che fanno i tanti altri, di cui Londra, Liverpool, Manchester, Hull e Birmingham sono 3 i centri. Ove il Tamigi cessa d’ essere navigabile comineia il canale di Tamigi e Saverna, che unisce questi due fiu- mi,e per conseguenza i due mari opposti che ricevono le loro acque. Dalla riva meridionale del Tamigi comincia- no i canali di Berk e Wilt, e di Kennet e Avon, onde Lon- dra comunica con Bath e Bristol , città ricche e popolose, poste ambidue sull’ ultimo de’ fiumi, che abbiamo nomina- ti. Volgendoci quindi viepiù verso mezzogiorno , troviamo i canali di Basingstoke, di Vey e Arun, d’Arundel e di- Portsmouth, che fanno comunicare la capitale dell’ impero col porto militare più importante per la sua situazione , la grandezza del suo arsenale , e la comodità della sua rada. Dopo di essi annovereremo per ultimi i due canali del gran Surrey e del Tamigi e Medway , che accrescono alla ca- pitale medesima le opportunità di commercio , di cui già tanto abbonda. i In Iscozia , anche avuto riguardo alla ristrettezza del suo territorio, non s'incontrano che poche vie idrauliche in confronto dell’ Inghilterra. Pure l’arte ha ivi pure saputo approfittare di ciò che offeriva la natura. Quindi si sono riuniti il Forth e il Clyde per mezzo di un canale, onde e battelli e vascelli possono passare dal mare occidentale all’orientale e viceversa. A questo canale se ne congiunse un. altro che scende fino ad Edimburgo , e serve di comu- nicazione fra la capitale dalla Scozia,e la città più indu- striosa, più commerciante e quindi più ricca di tutta la Gran Brettagna settentrionale. Un terzo canale va fino a Pasley, nnova città già rimarchevole per la sua popolazione e le sue fabbriche, e deve prolungarsi fino al porto d’An-' drossan , onde potranno schivarsi le tante sinuosità del Cly- de e i pericoli della sua foce, per comunicare direttamen= te dal mare con Glasgow. Un'altra linea di navigazione, di cui la natura segna- va la traccia , è quella che va dal mare Atlantico all’oceano Germanico. Essa consiste in una serie di laghi più lunghi che larghi, i quali si succedono in una direzione rettili- nea, ed uniti per mezzo di tagli artificìali formano il fa- moso canale Caledonio , che sorpassa in grandezza quanti f 9 ne vanta la Gran Brettagna. Il suo aspetto fatto per ecci- tare il poetico entusiasmo mi dettava de’ versi che l' illu- stre scrittore, a cui i luoghi più rimarchevoli della Scozia debbono la loro celebrità e dirò anzi la loro popolarità, sir Walter Scott, non isdegnò abbellire colla sua imitazione. Or dopo avere percorso il suolo della Gran Brettagna, e osservato per quante vie ( e in ciò nessun paese anche più esteso può venire al suo paragone ) essa mantenga le sue interne comunicazioni, vediamo come le unisca alle esterne, e cominciamo dal considerare la posizione marit= tima delle sue principali città. Londra, che il commercio ha resa la più popolosa e la più opulenta fra le capitali d’ Europa, racchiude nel suo circuito il più frequentato de’porti dell’ universo. Ivi si spie- gano all’aria sui mercantili vascelli le bandiere d’ogni na- zione ; se non che tutte insieme cedono in numero a quelle della Gran Brettagna, tanti prodotti essa manda all’ estero continuamente e ne riceve. Non molto dissimile spettacolo, che fa orgogliosi e lieti della lor sorte i suoi figli, am- mirasi nei porti dell’altre capitali del suo triplice regno e dalle più lontane provincie che a lei stanno soggette. Edim- burgo sulle rive del più bel golfo di Scozia; Dublino in faccia all’ Inghilterra, e nel luogo più proprio alle sue com- municazioni coll’Irlanda ; Quebec in riva al fiume San Lo- renzo; Madras e Bombay alle sponde del mare ; Calcutta in riva al Gange ; Halifax sulla costa iperborea dell’Ame- rica, e la città del Capo sulla costa equinoziale dell’Af- frica ; insomma tutti i luoghi più centrali delle diramazioni del suo vasto impero partecipano a quel grande commer- cio marittimo, che forma la sua ricchezza e la sua forza. E vi partecipano pure le città non centrali ma pur co- spicue de’ suoi tre regni, Bristol, Hull, Liverpool, Dun- dée, Aberdeen, Glasgow, Belfast, Cork e Waterford, o poste al mare o poste in riva a gran fiumi, che pei cana: li, di cui già si è parlato, servono di communicazione fra il mare, ed ogni parte più riposta dell’interno. La quale comunicazione se sia spedita, si argomenti da ciò, che ven- 10 tiquattr’ ore sono il più lungo tempo con cui possa essere misurata . L'avere il mare d’ogni lato o a pochi passi ha fatto | contrarre ai ricchi di tutta la nazione un gusto o un bi- sogno, che merita d’ essere notato. Perocchè mentre i no- stri lasciano in estate la città per ritirarsi in fondo alle loro campagne , quelli d’ Inghilterra , Scozia ed Irlanda non esco- no dalle lor dimore ordinarie che per andare ai lidi vicini, tutti abbelliti di graziosi borghi e case gentili, che sembra- no aspettarli. Ivi è dolce per loro il respirare un’ aria vi- va , il riconfortarsi co’ bagni, e poi che allora è tempo di calma, cui non interrompono se non rare tempeste , l’ab- bandonarsi a’ flutti. 1 più timidi non si arrischiano dap- prima che a brevissime -corse ; indi, a misura che l’idea del periglio si allontana , ardiscono intraprenderle più lun- ghe. A poco a poco par loro bello quell’ essere mollemente sostenuti sulle profondità dell’ abisso. Vedendosi intorno un interminabile orizzonte, e pensando come la via dell’onde è la via di tutti i continenti, la loro imaginazione s’ in- fiamma. L’ esempio de’ più risoluti li decide ad avventu- rarsi per questa via, onde riportare alla patria trofei o tesori o cognizioni novelle ; e il commercio della patria ap- profitta sempre della loro decisione. Ma torniamo al comune centro di tutte le relazioni commerciali della Gran Btettagna, alla capitale del suo impero, e vediamo ciò che ivi si è fatto a vantaggio di tali relazioni. È notabile che mentre i sobborghi di Lon- dra vanno prodigiosamente ampliandosi in grazia della sem- pre crescente popolazione , l’ antica città , ove pure è l’ani- ma del commercio britannico , vegga ogni giorno diminui- re i suoi abitanti, che già sono ridotti a due quinti di quel che erano a principio dello scorso secolo. Spiegazione insuf- ficiente sarebbe il dire che ciò nasce dall’ essersi in essa, coll’ allargarsi delle vie, assai diminuite le abitazioni . Più giusto sarebbe l’ asserire che queste parvero troppo meschine a uomini arricchiti dal commercio , i quali le abbandonaro- no ai loro commessi per abitarne altre più spaziose ed ele- II ganti nella città occidentale. Questa città è il solo sog- giorno che sembri decente alle famiglie , che noi diremmo di buon tono . Poichè la moda, lievissima divinità che gli inglesi amano figurarsi sotto forme francesi , come quella che in Francia è più graziosa che per tutto altrove, esercita sovr’ essi un rigoroso dispotismo. A Parigi una persona ben nata e ben educata, abiti essa il Marais o il sobborgo San Germano , l’isola di San Luigi o la Chaussée d’Antin, è sempre benissimo accolta nelle migliori società. A Londra, se non dimora sulla sinistra del fiume all’ occidente del pa- lazzo di Somerset, è da esse proscritta. E ciò fa che i più ricchi negozianti , lasciato il centro de’ loro affari, vadano a stabilirsi ad enormi distanze. Ma la moda non è stata la sola operatrice di cangiamenti nella vecchia città . Altri ne hanno operati i progressi del commercio, a cni bisognava no più ampie botteghe e più vasti magazzini; altri pure ne hanno operati i progressi dell’industria, a cui , grazie alla divisione de’ lavori e alla facilità con cui si eseguiscono per mezzo delle macchine, bisognarono più pochi cperai, sic- chè ne passò gran numero a popolare i nuovi stabilimenti di Southwarck , ossia della città marittima. Nella vecchia città sono, come ognuno sa , quasi con- tigue l’una all’altra la casa del comune, la borsa, la ban- ca , la posta, la casa della compagnia dell’Indie, e intor- no ad esse più altre, ond’ è formato quasi un centro, da cui parte con somma speditezza e facilità quell’ azione della forza commerciale , che si fa sentire a tutte le contrade del mondo . La popolazione industriosa di tale città si divide in quarantanove corporazioni, che tutte godono d’importanti privilegi mercantili, municipali e politici , e ciascuna delle quali ha una sala d’ unione dedicata egualmente agli affari e ai piacerti, a cui sembra darsi l’istessa importanza che agli affari. Tutte queste corporazioni si distinguono pel loro spirito di beneficenza e di generosità. I doni da esse fatti alla classe indigente sorpassano i 600,000 franchi ogni an- no. La prontezza con cui suole da esse contribmirsi a tutte Je imprese d’utile publico, a tutte le soscrizioni destinate ad offerire nazionali ricompense a chi le ha meritate è ve- 12 ramente degna d’esser citata in esempio . I più grandi per- sonaggi, gli stessi principi del sangue si pregiano d’esservi aggregati, almeno onde acquistarsi popolarità. Queste cor- porazioni , la cui unione forma il corpo civile di Londra, e ad alcuna delle quali è pur d’uopo appartenere; onde par- tecipare ai civili diritti , si raccolgono per trattare degli affari generali della città nell’ antica sala di Guildhall , il cui uso è indicato dal nome stesso, che suona appunto delle cor- porazioni . È dessa un grande edifizio di gotica e non ine- legante architettura, eretto nel 1411 lal patriottismo dei com- mercianti in onore de’ guerrieri illustri , de’ magistrati e dei grandi cittadini che ben meritarono della nazione. La banca, importantissima e forse principalissima fra le istituzioni del suo genere, occupa un edifizio , che fondato nel 1732 fu poi successivamente ampliato nel 1770, nel 1789 e nel 1804, a misura che il richiese l’ ingrandimento del com- mercio. Fa gradita sorpresa il trovare nel suo interno , come già nella città di Adriano, 1’ imitazione fedele di parecchi mo- numenti dell’antichità. La sala del tesoro, per esempio , rap- presenta il tempio romano del Sole e della Luna ; l’ ingresso alla corte di Loth-bury , tutta cinta da portici di greca inven= zione, rappresenta l’ arco di trionfo di Costantino . Sgrazia= tamente a queste parti bellissime se ne mescolano altre di gu- sto bizzarro, che formano con esse il più spiacevole contra- sto. Ma l’edifizio fu l’opera di tre o quattro generazioni ; e ciò basta a spiegare tanta discordanza d’ architettura . La borsa fabbricata dapprima nel 1654, distrutta da un incendio nel 1666, fu in seguito rialzata qual ora la vedia- mo. La sua forma è rettangolare ; la sua architettura in parte gotica in parte romana soddisfà poco al gusto , ma non è senza grandezza nè senza eleganza: quella torre ardita e leggiera che sovrasta al principale ingresso è di bellissimo effetto. Dispiace vedere que’ suoi portici esterni così ingombri di botteghe e di banchi contro il costume degli inglesi che amano d°’ isolare i loro pubblici monumenti . Sotto questi portici si trovano le statue de’ mercadanti Gresham e Bernard. Sotto gli interni di stile gotico , i quali circondano la corte , si trovano quelle dei sovrani d'Inghilterra. Ottimo pensiero di rendere in un me- 13 desimo recinto quasì il medesimo omaggio e a quelli che fan fiorire il commercio colla loro industria e col loro talento, e a quelli che lo proteggono facendo rispettare le leggi ! Alcune sale della borsa sono destinate per la celebre so- cietà delle assicurazioni marittime, volgarmente detta di Lloyd dal caffè di questo nome, ove si uniscono i soscrittori , che pagano venticinque lire sterline al momento della loro am- missione, ed indi quattro annualmente per le spese de’ gior- nali e le altre più ordinarie. Questa società mantiene agenti nelle principali parti del mondo e pubblica le notizie com- merciali e marittime che per loro mezzo riceve , e che sono accolte dal pubblico con piena fiducia, ben giustificata dal- l’esperienza di più d’ un secolo . I servigi da lei resi al com» mercio dell’impero britannico e degli altri stati sono assai riguardevoli . Altra società somigliante già proposta nel 1810, e allor rigettata per la maggiorità di un solo voto dalla camera dei comuni, è ora stata riproposta, e finalmente approvata. Essa ha per iscopo di assicurare, per mezzo di un fondo comune di cinque milioni sterlini divisi in un gran numero d'’ azio- ni, le navi e i loro carichi, siccome fecero sin qui con: altri fondi la società di Lloyd , e la compagnia assicuratrice di Londra. Già era da aspettarsi da queste una viva opposizione alla nuova, che si presentava come una rivale. Ma il mi- nistero e le due camere, malgrado i lor riclami, non hanno creduto di dovere più a lungo concedere ad esse un diritto esclusivo . Noi non potremmo, senza soverchia prolissità, dire di tutti gli edifici commerciali, che appartengono a compagnie, e di cui Londra si adorna. Ma non ci è lecito passare sotto silenzio quello della compagnia dell’ Indie , situato nella vìa che conduce direttamente alla borsa, con cui ha sì stretta re- lazione. Fu esso inalzato uel 1726, e decorato più tardo con marmorea facciata, il cui frontespizio sostenuto da sei colonne d’ ordine jonico ci presenta diverse figure allusive al commer- cio. Il suo interno corrisponde in tutto alla grandezza d’una compagnia che comanda ad ottanta milioni d’ uomini. Vi si conservano , fra l'altre cose, i trofei tolti dal generale Harris 14» a Seringapatnam, la biblioteca , l’armi e il trono del sulta- no Tippoo Saîb . i Fra gli edifici commerciali appartenenti al governo biso- gna nominar primo quello della posta delle lettere, alla qua- le se ne prepara un altro più bello presso la cattedrale di San Paolo. Ma non credo che le si possa preparare un più bel re- golamento dell’attuale, degno veramente d’esser proposto per modello a tutti i popoli, i quali intendono quanto giovi alle operazioni del commercio la prontezza e la sicurezza delle corrispondenze . Dopo l’ edifizio della posta ,'nomineremo quello della do- gana compito nel 1817 , e ragguardevole per la sua grandez- za, la regolarità della sua architettura , e i suoi esterni or- namenti, allusivi alle scienze, all’ industria ed al commer- «cio. L’antico edifizio fu consunto da un incendio nel 1814 con tutti i documenti non ancor presentati al tesoro o al par- lamento , onde rimane nella storia statistica della Gran Bret- tagna una dispiacevole quantunqne non grande lacuna. Sulla piazza, che circonda la Torre di Londra, sorge un edifizio non spazioso, ma elegante, che s'intitola dalla Trinità, e serve all’amministrazione navale del Tamigi e dei mari che bagnano al mezzogiorno la Gran Brettagna. Come a tutte le antiche amministrazioni, si potevano a questa pure rimproverare molti abusi e tributar lodi per molte cose ec- cellenti. Da alcuni anni in poi il parlamento si è dato pen- siero di migliorarla, e già il commercio ne ba provati otti- mi effetti. Gli stabilimenti marittimi, a eni appartiene l’edifizio che abbiamo pur ora nominato , cominciano dal ponte di Lon- dra. Al di quà del ponte veggonsi da ciascun lato del fiume schierati a cinque a sei a otto i vascelli che tengono d' ordi- nario una linea di più riglia. Lo spazio, che è nel mezzo, resta libero per quelli che partono e arrivano ad ogni istante. Sì vago spettacolo sorprende aggradevolmente il viaggiatore, che pur vi era preparato dalle pompose descrizioni che ne avea lette o udite più volte. Ma insieme lo sorprende spia- cevolmente il meschino e lurido aspetto de’ corsi lungo il fiume , cui sì imaginava forse assnî magnifici e belli e con- 15 venienti per ogni riguardo alla città più commerciante del mondo . Se non che ammira la destrezza con cui si caricano e si scaricano i vascelli fatti accostare ai magazzini del por- to, vero deposito di quasi tutti i prodotti della natura e dell’ arte umana, che passano da esso a soddisfare i desideri d’ogni gente. E ammira sopratutto le méderne opere, con | cui si è cercato di renderlo più comodo e più sicuro , voglio dire i bacini scavati a principio del secolo sulla sinistra del fiume, principalmente quello chiamato di Londra, e quelli che s' intitolano dalle Indie occidentali e dalle orientali. Tutti i bastimenti sia nazionali sia stranieri ( eccetto quelli che fanno il commercio delle due Indie) possono, pagando, entrare nel primo per deporvi i loro carichi e prenderne dei nuovi. À tal uopo sono disposte dai lati del bacino alcune tet= toie che li proteggono; e dietro le tettoie sorgono bei ma= gazzini a quattro piani con cave, ove i barili s’ introducono dal bacino stesso per un piano inclinato. Questi magazzini occupano insieme una superficie di venticinque acri. Le loro cave, deposito generale di vini e acquavite, sono visitate dai viaggiatori con un lume alla mano, come le catacombe di Napoli e di Roma, e da tutti lodate per saldissima e como- dissima costruzione. I bacini dell’Indie occidentali, più grandi e più regolari che quello di Londra, meritano una particolar menzione. Lun- go il Tamigi non vi hanno che alcuni brevi tratti, ove le navi po:sano deporre le loro merci, i quali si chiamano corsi legali, poichè la legge stessa li circoscrive. Come sono in generale proprietà di privati, questi si adoperarono in ogni tempo, onde non si moltiplicassero a scapito de’ proprii in- teressi - Ciò riusciva ben incomodo ad ogni specie di navi, ma principalmente a quelle , che tornavano in gran numero cariche de’ ricchi prodotti dell’ Indie occidentali e, non po- tendo accostarsi ai magazzini che lentàmente e successivamen= te , venivano in parte scaricate da lungi con incredibile de- predazione. Risulta infatti dai conti che il mio amico sig. Hibbert presentò nel 1819 all’ assemblea generale degli azio- nari, che questa depredazione era annualmente d’una cente sima parte per l’indigo, il cacao, i vini, i legni di tintura, 16 il zenzevero, d'una cinquantesima pel zucchero, e d’una qua- rantesima pel rhum. Nei soli anni 1799, 1600, 1801 essa ca- gionò la perdita d’un 1,214,500 sterlini, che è quanto dire di’ trenta e più milioni di franchi. Quindi, tutto computato ,' e i progressi del commercio , e il rincarimento de’ generi colo- niali ne’ primi sette anni dopo la formazione de’ bacini dell’In- die occidentali, il capitale in tal tempo salvato è di 2,702,542" sterlini, cioè quasi settanta milioni di franchi, venticinque de’ quali sarebbero stati perduti pel fisco se fosse continuata l'antica depredazione. Ma questo non è il solo bene che ab- biano prodotto ì bacini di cui si parla. Poichè per la mag- giore facilità di scaricare le navi e riporre ne” magazzini le merci si è diminuita del diciotto per cento la spesa di que- ste operazioni e accresciuta la vendita mirabilmente; per la tran- quillità dell’acque, ove le navi si stanno lungi dal flusso e dal riflusso, si è ottenuta una maggiore conservazione del loro sartiame e di tutti gli attrezzi; e finalmente per la cu- stodia delle navi medesime e la pronta distribuzione delle merci nei magazzini, secondo l'imposta a cui vanno soggette, si è potuto dal governo impedir meglio il contrabbando, e fare insieme un risparmio sugli impieghi di dogana. Nel tem- po stesso la compagnìa de’ bacini ha fatto de’ ragguardevoli guadagni, poichè avendo cominciato con un capitale di 500,000 sterlini, lo accrebbe fino ad un 1,200,000, ricavandone un in- teresse del dieci per cento, divisìbile fra gli azionisti. E seb- bene dal 1818 ( nel qual anno il suo capitale avea ricevuto l’aumento che si disse ) ell’abbia creduto di doverlo alcun poco diminuire, onde diminuire a vantaggio delle navi i suoi diritti d’ingresso, il reparto fra gli azionisti è sempre stato il medesimo. I bacini dell’Indie orientali sono riserbati alle navi che commerciano per conto della compagnia che domina 1’ Indostan, alla quale un atto del parlamento, non anteriore al luglio del 1803, permise di costruirli. Come le navi da essa impiegate si immer- gono poco nell’acqua , e per la lunghezza de’ loro viaggi e la preziosità de’ loro carichi sono sempre in picciol numero, non bisognavano loro bacini sì grandi fcome quelli preparati alle navi, che vengono dalle colonie e dagli stati americani. Bensì —_—— 1) bisognava loro una particolare custodia, ond’è che i bacini, che le racchiudono , sono tutti cintì d’alte muraglie, e non si aprono se non tardo la mattina mentre si chiudono la sera assai presto non solo ai curiosi ma anche agli impiegati. Nè le merci scaricate sono messe in deposito entro il loro recin- to, ma trasportate immediatamente al palazzo della compa- gnia entro lunghe casse chiuse a chiavi e chiavistelli, e ben assìcurate con caterie sopra svelte carrette entro casotti di le- gno sbarrati con ferro, sicchè par vedere quelle vetture dei nomadi , che traggono da luogo a luogo intere famiglie . Or presa un'idea degli stabilimenti commerciali del por- to di Londra, discendiamo il Tamigi e cominciamo a pren- derla delle coste della gran Brettagna, dividendole in certo numero di bacini, sotto il qual nome comprenderemo anche il territorio interno bagnato dall’ acque che in essi confluiscono. Il bacino del Tamigi è per ogni riguardo il più consi- derabile, come quello che occupa solo più dell’undecima parte dell’ Inghilterra e della Scozia, ova si trova accumulato il quinto di tutta la ‘popolazione britannica. Singolar cosa che anche nel bacino della Senna trovasi il quinto della popola- zione di tutta la Francia. Ma come questo bacino occupa assai più spazio che l’altro, può dirsi che per ciascun miglio quadrato la popolazione vi è due volte meno numerosa. Da Londra, seguendo la destra del Tamigi e volgendosi al settentrione, non s'incontra alcun porto importante pri- ma di giugnere a Yermouth, ove si raccoglie principalmente ciò che produce Norwich, che a lei deve come Hull a Leed, Manchester a Liverpool, ogni sua prosperità. Da Yermouth i prodotti di Norwich, non che di Norfolk e d’altri luoghi, sono inviati direttamente in Russia, in Svezia, in Danimarca in Olanda, anzi in tutte le parti del globo . Il quale commer- cio, aggiunto alla pesca delle aringhe e degli sgombri e a quale’ altro vantaggio, come uno stabilimento di bagni fre- quentatissimo, ha fatto crescere la popolazione della città fino a 18,040 abitanti. Dal bacino del Tamigi passiamo a quello del Wash, gol- fo che riceve l’acque di molti fiumi, che bagnano un terri- torio detto per la sua bassezza Fen-district, ed ove si conta= T: XVII. Febbraio A x 16 no sette contee. Questo bacino è in proporzione assai ;men- popolato che l’altro, e ciò si deve alle sue paludi frequenti e _ insalubri, malgrado ciò che si è fatto sino da’ tempi di mez= zo, onde sottrarlo alle inondazioni, è asciugare i suoi som» mersi terreni. I principali suoi porti. sono. due, quello di Lyun-Regis e quello di Boston. Si fa nel primo un ragguar devole commercio esterno ed interno , di cabottaggio princi= palmente, e vi si contano, giusta il censimento del 1821; più di 12,250 abitanti. Nel secondo non, se ne contano che 10,330 all'incirca, e vi si commerciano principalmente i pro= dotti della contea di Lincoln, al qual uopo sono impiegate 125 navi. Questo porto andò soggetto nel novembre del 1810 ad una fierissima inondazione. Si trova posto nel luogo, iche occupava l'antica Witham; communica, per mezzo di. un ca» nale, coì confluenti della Glen e della Wisbeach, onde. è dato ai battelli, che fanno il commercio interno , di evitare 1’ in- gresso e l’uscita della baja di Wash; ed è dominato da una lanterna ottagona, la qual torreggia sopra la principale ' sua chiesa, e serve di guida ai naviganti, che traversano i bassi fondi conosciuti sotto il nome di Bouton-Deeps e assai pericolosi. Il bacino d’Humber, il primo che incontriamo al setten= trione di quello di Wash, è assai più importante, e per la sua popolazione (il doppio forse di quella dell’ altro ) e per la fertilità del suo suolo, e pel gran numero delle sue indu- striose città, fra le quali Hull ottiene il primato. Essa è, dopo Londra, il miglior porto mercantile della costa orientale della Gran Brettagna, communica per mezzo de’ suoi nume- rosi canali coi più gran porti della costa occidentale, e con . tutto l’ interno dell’ Inghilterra, fa notabili traffici col setten- trione dell’ Europa e specialmente col Baltico , partecipa, per singolare privilegio, al commercio dell’Indie orientali, manda alla pesca nell’ isola d’Iceland e nel Groenland, racchiude fab- briche di sapone , raffinerie di zucchero e d’olio di pesce, fonderie e lamiere di ferro e di piombo, conta, secondo l’ultimo censimento, 31,722 abitanti, e ogni giorno si fa più dloviziosa . Al di là di Hull, continuando il nostro cammino sulla costa settentrionale, noi troviamo i porti di Sca:borough e di 19 Whitby; ed indi quello di Sunderland, Shields, e Newcaste, i principali delle contee di Durham e di Northumberland . La città di Sunderland sulla destra dell’ imboccatura del Wear.conta; insieme a quella di Weearmouth posta sulla si- nistra, ‘24,000 abitanti. Nulla di più bello che la vista di ambidue, e principalmente del ponte di ferro che le unisce, ed è di un solo arco, largo 240 piedi ed alto 100, sicchè vi passano sotto a..vele spiegate i vascelli, mentre il percorrono superiormente, carri e. cavalli, quasi. per. via aerea. Il Wear non è come l’Humber un gran fiume, ingrossato dall’ acque e .carico de’ prodotti di un vasto territorio. Esso mon riceve che il tributo di. pochi ruscelli, non è navigabile che fino a Du- rham,, capitale della contea ove Sunderland è situata, e quasi ,mon trasporta che carbone di terra. Ma questo è si abbon- dante presso le sue rive ( alle quali si reca su carrette di ferro per vie anch'esse di ferro ) che basta a dar movimento ad un.grande commercio e quindi ad una vivissima navigazione. A. poca distanza del Wear, che è ‘quanto dire poco oltre uno .. spazio la cui larghezza percorrerebbesi a piedi in tre o quat- tro, ore , .vedesi anche il Tyne metter foce nell’oceano Ger-. manico : In questo spazio, poco più lungo che largo, sorgo- no sei città fiorenti per la loro industria, la cui popolazione totale si fa ascendere a più d’ 85,900 abitanti. Le navi, cui ricevono annualmente i due fiumi, e poi rimandano cariche de’ prodotti delle lor rive, non sono meno di sedici mila . Presso al Tyne è Newcastle, capitale dèlla contea di Northumberland, in territorio abbondante anch’esso di car- bon fossile, di cui perciò fa grande commercio. Essa fu già ..al tempo de’ romani uno de’ luoghi principali per cui pas- . sava la igran muraglia destinata a difendere le provincie del «mezzogiorno dalle incursioni dei picti. Quando poi il paese di questi fu unito a quello degli scoti,, essa venne dai bri- tanoi munita di, fortificazioni, delle quali ancor si ammirano gli avanzi. Il suo nome, che significa castel nuovo, deriva da quel castello, di cuni la munì Guglielmo il conquistatore. Le . fabbriche di. vasellami e di vetri, le fonderie , le filature che i trovansi nel suo recinto e ne’ suoi contorni meritano speciale Ì attenzione. Merita pure d’ esser notato che in sua vicinanza Il 20 si cominciarono ad impiegare, pel trasporto del carbon fos- sile, carrette mosse da una macchina a vapore. deli Or eccoci alla città di Berwick sul Tweed, popolata d’ 8 760 e forse più abitanti, con un ‘porto marittinìo‘, che segna i confini fra l'Inghilterra e la Scozia. Dividesi questa in bassa ed alta; e la sua costa settentrionale può . ripartirsi in cinque bacini, tre appartenenti alla. prima, e due ‘alla se- conda. La loro popolazione, proporzionatamente allo spazio che occupano, è certo assai minore che quella de’ bacini della costa orientale dell’ Inghilterra. Questa differenza‘ (di 17 a 61 ) deve attribuirsi alla natura del clima e del suolo.‘L'în- dustria commerciale però ha saputo temperare! gli effetti del- l'uno e dell’altro , e la naturale conformazione del paese l'ha iu ciò potentemente aiutata. Perocchè le sue coste. formano bei golfi, e baie, e rade spaziose, a cui si schierano rimpet- to forse trecento isole, abitate da famiglie che vivono di cabottaggio e di pesca, il eui prodotto s'invia ai porti della Gran Brettagna. E come i mari all’intorno sono difficili , spe- cialmente presso le Orcadi, cui è d’uopo. oltrepassare , an- dando d’occidente verso oriente, le montagne aspre, e tutto pieno di durezza e di difficoltà, si formano in Iscozia uomiai intrepidi e specialmente marinai espertissimi di cui il com- mercio si giova mirabilmente . Il bacino di Tweed comprende le contee di Berwich , Rox- bursh; Selkirk e Peblees, ma è molto povero, nè ha. porti di riguardo. Non così i bacini del Forth e del Tay. Allor- chè all’ uscire dalle gole de’ monti di Lammermuir si entra nella contea di Haddington per andare ad Edimburgo, ecco d’improvviso nuova scena e nuovo paese. Perocchè si discen- de verso valli tutte ridenti per bella vegetazione ; si veggono a manca abbassarsi gradatamente le sterili alture che si sono traversate, e a destra ‘aprirsi l'immenso golfo del Forth, cir- condato di città e di villaggi, pieno di porti, e solcato da mille navi, che formano il più vago degli spettacoli . Leith, posta sulla riva meridionale del Forth, è il prin- cipale porto di questo golfo, e forma il sobborgo della capi - tale della Scozia. Già teatro d’inquiete ambizioni, questa ca- pitale illustre è divenuta la pacifica sede delle scienze e dell’arti, PO 2I e ciò che moltissimo importa una delle. prime .scuole d’ istru- zion popolare. Gli effetti di tale istruzione ( per cui quasi non trovasi nella bassa Scozia chi non sappia leggere, scrivere, calcolare, e non conosca i primi rudimenti delle scienze ) sono incredibili. Ad essa debbonsi, non ne dubitiamo, i Macpher- son, i Simpson, i Ferguson, i Black, gli Hume, i Robertson, i Blair, gli Smith, gli Stewart, i Burns, gli Scott, e la più parte di quegli uomini celebri, che, consecrando i loro talenti al pubblico insegnamento, hanno da tutti i punti dei tre re- gni ‘attirata la studiosa gioventù ad Edimburgo e contribuito potentemente alla sua prosperità . I progressi di Leith e della capitale pur or nominata nell’ industria e nel commercio sono ancora molto recenti. Prima dell’ atto d’unione, ratificato soltanto nel 1707, l’ In- ghilterra esercitava a tale riguardo il più fatale impero sopra la Scozia, rigettandone i prodotti, e vietandone o attraver- sandone vilmente le relazioni cogli stranieri; testimonio ciò che fece per eccitare 1’ Olanda e la Spagna a distruggere la colonia stabilita sull’istmo di Darien. Ma dall'epoca indicata, quando un solo corpo legislativo estese sull’uno e l’altro re- gno il suo potere e le sue sollecitudini , la Scozia si sentì sa- viamente incoraggita nella sua industria e nel suo commer- cio, tanto che nel 1727 potè fondare una banca reale, e in seguito aprir strade, formare aquedotti, scavar canali dalla capitale a Leith, dal mar Germanico a quello d'Irlanda, e procurarsi comodi bellissimi come l’ illuminazione a gas in tutti i quartieri della capitale medesima, e fare molt’altre cose, da cui le venne nuovo aspetto e nuova vita . Or passiamo al bacino di Tay, di cui Dundée è il porto principale, e Perth il centro commerciale. È impossibile nomina- re questa seconda città, senza ricordare che nella contea, a cui essa dà il nome, si trovano i luoghi cantati da Ossian e la tomba di questo bardo famoso; il monte Dunsinan col suo castello di Macbeth reso per sempre iliustre da Shakespeare; il lago Katri- ne, celebrato dal più poetico ingegno de’ tempi moderni, Walter Scott, nella sua Donna del Lago; i monumenti draidici, composti d’ enormi pietre circolarmente inalzate ; e ancora immobili do- po l’elevazione e la caduta di tanti imperi; più campi e più 22 vie militari de’ romani; varie torri costruite daî picti ; ì fon- damenti e le rnine de’ monasteri e de’ tempii cristiani deva stati dall’implacabile Knox; e tutto ciò fra ‘pianure e rupi aridissime, fra brughiere e torbiere nericcie , fra capanne abi- tate da montanari seminudi, a cui sorgono vicine casette di- lettevoli fra piantagioni e acque freschissime , come in mezzo alle oasi dei desertì africani. Quanto a Dundée altro non di- remo, sè non ch’essa colla sua popolazione d’oltre a 30,570 abitanti, co’ suoi nuovi edifici d'ogni specie, col suo porto ingrandito, co’ suoi settanta vascelli, capaci ciascuno di dicias- sette mila tonellate, ci è sembrata una delle prove più co spicue di que” progresi continui che va facendo l’ìndustria e il commercio. Del faro magnifico edificato dietro il piano del sig. Rannie sulla rupe di Bell-Rock, rimpetto alla foce del Forth e del Tay, ragiona a lungo in un’opera che lo riguarda il mio amico sig. Stevenson, a cui ne venne affidata l’ erezione. Ma eccoci presso le coste dell'alta Scozia, tutta piena d’aspre rupi, di montague infeconde, di torrenti devasta- tori, e quindi scarsissima di popolazione. Quella parte di essa che trovasi fra il mezzogiorno e l’ oriente { e che pure ha tre porti principali in cui sono registrate cinquecento novan- tanove navi mercantili, portanti fra tutte sessantaduemila secento quarantanove tonnellate ) non contava nel 1821 che trecento mila abitanti. Quarantasette mila settecento novanta sei appartenevano ad Aberdeen il più grande e il più com- merciante de’ porti nominati, ed ove l’ istruzione è assai dif- fusa in tutte le classi, e l'industria più umile animata dai principii delle scienze. Nella parte orientale distinguesi Inver- ness, colonia militare di Cromwell, a cui l’apertura del ce- lebre canale Caledonio (da me già descritto nel secondo vo- lume della Forza commerciale della Gran Brettagna ) pro- mette rifiorimento e prosperità . Notabili carigiamenti industriali e politici si sono ope- rati nell'alta Scozia dopo l’ insurrezione del 1741. Perocchè 1 signori, che presiedevano alle tribù , cessando di risedere fra i loro vassalli, hanno cominciato a misurare la propria grandezza, non più dal numero di questi, ma dalle somme che ritraevano dai loro possessi. Hanno veduto che i pascoli 23 fruttavano ‘assai più che le messi, e quindi hanno. tolto ai contadini i terreni che coltivavano, onde i miseri cacciati dal bisogno furono in gran parte costretti ad emigrare. Il gover- no venuto in loro soccorso cercò di impiegarli in opere pub- bliche, e principalmente di attirarli verso le coste, ove po- tevano vivere di pesca e di cabottaggio, ed ove a quest’ uo po furono loro aperti piccioli porti artificiali. Paragonata intanto al resto della Gran Brettagna, l’alta Scozia sarà sem= pre una povera contrada agricola; e come non possede nè foreste nè carbon fossile mai non potrà distinguersi molto per la sua industria. Il che dicasi pure di tutte l’ isole, che le stanno all’occidente, e si conoscono sotto il nome di Ebridi. Un solo avvenimento potrebbe farle fiorire , e sarebbe la sco- perta di ricche miniere, di cui nessuno finora sopetta in esse l’esistenza . Volgendoci ora verso le coste occidentali, noi approdia- mo alla foce del golfo di Clyde, il cui bacino comprende quattro contee e più di cinquecento mila abitanti . Questo ba- cino si unisce a quello di Forth per mezzo di un canale che porta il nome d’ambidue e segue presso a poco l’ antica mu- raglia inalzata dai romani contro i caledoni a’ tempi d’Anto- nino il Pio. Singolare contrasto! Ove nel terzo secolo sorgeva un limite fra la semiciviltà e la barbarie ora trovasi una via di communicazione fra luoghi, in cui l’istruzion popolare ha fatto maggiori progressi. Questa via (cioè il canale di Forth e Clyde ) è una fonte di lucro , da cui si possono mi- surare gli aumenii del commercio. Nel 1780 essa rendeva 5,400 sterlini, nel 1790 quasì il doppio, nel 1810 l’ottuplo, ed oggi sicuramente rende assai più. Vari altri canali, come quelli di Monkland e Paisley, contribuiscono incredibilmente alla prosperità di Glasgowia ; città industriosissima e commerciantissima , che nel 1707 non contava che quattordici mila abitanti; cent’ anni dopo ne con- tava cento mila di più ; ed ora forse ne conta cento. cinquanta mila. E quanto la sua popolazìone è copiosa altrettanto è istruita, annoverandosi annualmente nelle sue scuole più di se- dici mila allievi, non compresi gli artigiani, che apprendo- no in un particolare istitoto fondato dal dottor, Birbeck ( e 24 imitato poscia a Londra, a Liverpool; a Manchester, a Bic- migam, a Newcastle, a Leeds, a Edimburg, ad Aberdeen ) oltre il leggere, lo scrivere ,il conteggio e i principii delle scienze applicati alle arti. Quando simili istituti si propà» ghino (e ciò sarà prestissimo ) in tutta la Gran Brettagna, chi può dire quali ne saranno gli effetti per l’industria e il commercio ! i La navigazione del Clyde da Glasgowia al mare, e da questo a quella, che prima era sì disagevole , ora è divenuta facilissi» ma , grazie alle opere idrauliche, da mezzo secolo intraprese, e ai battelli a vapore, onde in vent'anni si è centuplicato il numero de’ passeggieri, Al mezzogiorno del fiume, di cui si parla, trovansi molti porti commerciali tutti recenti ( quelli d’Ardrossan e di Troon-Bay non sono ancora finiti ) d’ onde parte molto carbon fossile per l'Irlanda, che dà in cambio i prodotti della sua agricoltura. Port-Patrick è il più» vici» no a questo regno, e la costa occidentale della Scozia ne ri- trae molto vantaggio, massime dopo la regolarità delle co» municazioni, che fra l’uno e l’altro si è stabilita. Traversato il golfo di Solway noi ci troviamo sulla co- sta occidentale dell’ Inghilterra, ed indi a poco alla foce del- 1’ Eden, che si rimonta fino a Carlisle. Questa città. nell’ ulti» mo censimento contava più di quindici mila quattrocento set: tanta abitanti. Non è molto lodata pe’ suoi publici edifizii fra cui appena si nomina il suo vecchio castello colle. forti» ficazioni, la sua cattedrale e il suo palazzo di giustizia; ma è lodatissima per le sue fabbriche, specialmente di nankini, di tessuti di lino, di bambagia, di tela, e per le sue cor- derie; fabbriche per cui fa traffici assai ragguardevoli . Il muro eretto dai romani a’ tempi di Adriano per di= fendere i brettoni dai caledoni cominciava sulla sinistra del golfo di Solway, passava a Carlisle e terminava a Newcastle. La via militare stabilita dagli inglesi fra queste due città pas- sa quasi tutta lungo il muro di cui si parla. Fra poco vi passerà pure un canale, che andrà da Carlisle a Workington per le valli del Tym, dell'Eden e della Derwent, scorrendo ben cento miglia. Per ora non ne scorre che otto andando fi- uo a Solway. : 25 Da Carlisle ‘inoltrandoci. verso mezzogiorno, troviamo successivamente i porti dì Mary-Port, Workington, White- Haven ; Ravenglass, e Lancastre capitale della contea di questo nome, onde si passa al bacino della Mersey. Liverpool ne è il porto principale ; e per dare un'idea della sua importanza ( di cui già ho parlato nel secondo volume della mia Forza com- merciale ) basti dire che vi si percepisce un sesto delle ga- belle della Gran Brettagna. La sua popolazione, secondo l’ultimo censimento, oltrepassa i cento diciotto mila, novecen- to settanta abitanti ; il numero .delle sue navi si fa salire a mille e cento tredici, capaci. in tutto di cento settantatre mila, settecento. ottantadue tonnellate; e quello de’ suoi marinai a dieci mila trecento trentotto. La. ‘sua estensione è grandis- sima; la sua costruzione ( che da un secolo si va sempre mi- gliorando , sostituendosi gradatamente il ferro al legno e alla pietra ) è ammirabile ; le sue istituzioni scientifiche e filan- tropiche sono degne d’esser prese a modello. Dal 1810 in poi, cioè a dire dall'epoca in cui l'America. meridionale ha gri- data l’indipendenza , il suo, commercio divenuto più libero è divenuto e per esso e per l'America medesima assai più van- taggioso. i Lasciando Liverpool. e continuando a visitare le coste della Gran Brettagna, noi troviamo, primieramente la città di Chester in riva al Dee ove questo fiume cessa d’ essere navigabile ai bastimenti di mare. I canali che dalla Mersey conducono alla Severna, e di là nell’ interno del paese di Galles, sono pel commercio di Chester quanto mai possa dirsi oppor- tuni. Scendendo pel Dee si viene ad Holyhead, porto il più vicino alla capitale dell'Irlanda, antico rifugio delle navi a cuii venti niegano di passare lo stretto che separa questo re- gno da quello d’ Inghilterra, e tutto pieno di nuove opere che debbono renderlo più comodo e più sicuro. Continuando la nostra via lungo la costa del paese di Galles noi arriviamo all’ ingresso della.superba rada di Milford, in fondo a cui è il porto di Pembroke, ove sì costruiscono va- scelli da guerra. Indi la costa si volge all’ oriente e forma la destra del golfo della Saverna tutta piena di miniere di ferro e di carbon fossile, giovevoli le une alle altre, e i cui prodotti 26 si traducono per vie di'ferso ve per canali ‘principalmente al porto di Swansea. Le navi, che al dissopra di questo risal- gono la Severna, possono andare fino a Glocester città ricca e popolosa, d’ onde noi costeggiando la sinistra del fiume e volgendoci di nuovo ‘al mezzogiorno veniamo a Bristol. Que- sta è la terza città d’Inghilterra per l’importanza del. suo commercio marittimo , nutrito singolarmente dalle sue floride manifatture. A ‘meglio secondarlo si è pensato d’aprire un gran canale, navigabile fino alla baia di Seton anche a grossi bastimenti, che così eviterebbero la punta di Land’ sand fra il mezzogiorno e l'occidente della Gran Brettagna , periglio- sissima nell'inverno ; e în ogni tempo cagione di ritardi. À tal uopo già sono pronte le soserizioni de’ capitalisti , e non sembra che possa mancare l'approvazione del parlamento. Fra Bristol e la punta già detta noi troviamo i porti di Brid- gewater , Watcket, Minehead, Ylfracomb, Bideford, Padston e Sant-Ives , ciascuno de’ quali ben mostra di appartenere alla nazione più commerciante del mondo. L'ultima costa di cui abbiamo a parlare, importantissi- ma ‘pe’ suoi porti militari di Plymouth e di Portmouth, lo è assai meno pe’ suoi porti mercantili. Essa infatti non ce ne presenta alcuno, che per la popolazione e il numero delle sue navi possiamo paragonare con Londra; Hull, Dundée, Aberdeen sulla costa orientale, nè con Glasgow, Liverpool, Chester e Bristol sulla occidentale. Il cabottaggio però e l’ap- provvigionamento de’ due porti militari già nominati, non che della capitale dell'impero, danno alla sua navigazione un gran movimento . Or raccogliendo i calcoli, se non difficili certo assai pa- zienti, che nel corso di queste osservazioni si sono fatti intor= no alla popolazione e alle forze mercantili della Gran Bret- tagna, noi troviamo che sopra ogni milione di abitanti ( e le sue tre coste ne presentano 14,350,800 ) essa conta circa mille e quattrocento navi, capaci di cento sessanta mila tonnellate, e servite da dieci mila trecento settanta marinari. Questi dati statistici possono servirci a far paragone del suo commercio con quello dell’ altre nazioni. M. 27 Prospetto dei vari Musei Numismatici d’ Europa, e descri- zione d’ alcune Medaglie greche appartenenti ai Turini po- polo di Calabria (*). Beata tranquillitas si legge in alcune medaglie di’ Costan- tino il grande e di Crispo , ed eterna tranquillitas, cioè sonno eterno , ‘pare che sia scritto sui medaglieri di quasi tutti i mu- sei numismatici, e sui seggi di chi loro presiede. Il re di Prussia comperò, ad aumento di quanto già pos- sedeva , la collezione del fu generale Knobelsdorff , da me in parte descritta e pubblicata in Berliao . Il re di Baviera volle accrescere il suo museo con replicati acquisti di medaglie gre- che, da me tutte esaminate ed anche in parte illustrate . Il duca Augusto di Gotha, dilettantissimo degli studi numismati- ci, non contento del museo Schwarzbourg, già descritto dal Lie- be, vi aggiunse la raccolta delle medaglie di Schahmann, e quella ancor più preziosa fatta in Levante dal fu dott. Petricciuoli. L’ imperatore d’Austria, già ricco di tutte le collezioni numi- smatiche , sparse un tempo ne’ vari suoi stati, e poi riunite dai suoi antecessori, non esitò ad acquistarne altre, come quella delle bizantine in argento , spettanti agli ultimi imperatori costanti- nopolitani, quella sì numerosa di medaglie della Sicilia e della Magna Grecia; e infine la preziosissima, che portava il nome di museo Tiepolo. I monarchi francesi essi pure mai non la- sciarono di aumentare il loro cimelio numismatico ; e il ‘solo Luigi XVIII gli aggiunse quattro mila medaglie greche , le quali tutte gli mancavano . Ma fra tante dovizie che fanno i dotti, cui si appartiene di volgerle a pubblica utilità ? Non si direbbe che dormono quasi tutti, senza punto curarsi dei progressi della scienza numismatica ? Infatti che si fa in Berlino dal direttore Henry in mezzo a quel triplice museo , il Brandeburgense , il Pfauano acqui- stato dal gran Federigo, ed il Knobelsdorffiano, di cui già si disse ? Che si fa in Monaco, in Gotha, in Dresda, ove già si (*) 1 rispettosi riguardi dovuti al nestore de’ numismatici d'Europa ci ob- bligano ad ammettere nella nostra collezione uno scritto, che senza di essi mon avremmo accettato , come poco concorde con quel genere dì critica , cui solo ci crediamo permesso. Tutti i professori per altro della scienza delle me- daglie o conoscono personalmente il nostro celebre Sestini, o sono a luì legati x d' antica stima ed amicizia, e sanno benissimo che se l’ ironia è talvolta sulle A sue labbra , la malignità non è mai nel suo cuore, alle cui doti ,, come a quelle del suo spirito, non ha recato verun nocumento la molta sua età. 28 dormiva anche sotto di Wacker? In Vienna, dopo Khell , Froe- lich ed Eckhel, vero triumvirato numismatico; il quale tanto operò per la scienza , si riposò sotto Neumann, occupato piut- tosto a pubblicare la propria collezione, che ad illustrare i nuovi acquisti del museo imperiale. Speriamo che il suo successore voglia distinguersi (e ben ne avrebbe una bellissima occasione ) dando miglior ordine alle medaglie del museo Tiepolo, sepa- randone le vere dalle false , correggendone le non giuste attri- buzioni, insomma rettificandone la poco esatta descrizione. E forse non avvi museo che non aspetti da’ suoi direttori o sopraintendenti simili fatiche ; e quelli che se le assumessero meriterebbero il titolo di Apollini monetari. Ma che parlo io di Apollini, quando ne’ musei (e ciò dico per lunga esperien- za ) quasi non mi si affacciano che uomini, i quali si assomiglie- rebbero volentieri ai grifoni della greca mitologia, destinati ad allontare chiunque dalle miniere di cui stavano in guardia ? Se non che ti pajono ben peggio che grifoni , quando pensi come si ostinano a tener chiuso ciò che la munificenza de’ monarchi vorrebbe a tutti aperto. Si può egli aspettare che tali uomini, che ci impediscono il vedere, ci ajutino coll’ opera loro a bene intendere ? Bramerei poter fare molte eccezioni a queste mie parole, e duolmi che la verità me lo vieti. Nel museo di Milano ( fon- dato sotto un altro governo , e arricchito a principio della col- lezione del Sanclemente, dei medaglioni della casa d’ Este, e di tante rare medaglie ) voi trovate e sufficiente comodità di studio, poichè sta aperto dalle dieci della mattina alle tre po- meridiane, e cortesissima accoglienza ne’ sovrastanti. Ma in altri musei questi non compajono, che quando sono richiesti da qual- che forestiero obbligato a dar l’ obolo aureo al Cerbero ; in al- tri, appena il sole è al meridiano, vi chiudono le porte in fac- cia. Indarno, generalmente parlando, voi domandate a questi valentuomini i cataloghi manoscritti de’ rispettivi medaglieri , che già a chi suol dormire è impossibile di scrivere. Gli stam- pati ben sapete che non esistono, onde si conta per maravi- glia quello del museo cesareo di Vienna pubblicato dall’ Eckhel, il quale, per non contradire al suo maestro Froelich , notò in esso come vere molte medaglie che non lo sono. Il Sig. Mionnet da parecchi anni prese a descrivere il mu- seo numismatico del re di Francia; ma avendovi voluto me- scolare la descrìzione (e non troppo esatta ) d’ altri musei, ha in certa maniera confuso quello con questi. Quale pensiero è 49 mai stato il suo di mettere un prezzo ad ogni medaglia ( mo- tivo di quelle sue mescolate descrizioni ) e chi: gliene dava i mezzi e l’autorità? Egli certo non prevedeva che avrebbe con ciò risvegliato una turba di falsificatori di medaglie, che im- ‘punemente ingannerebbero i dilettanti, come i falsificatori di certe bevande ingannano impunemente i gustaj. Perniciosissimi gli uni e gli altri, poichè se i secondi recan danno alla bor- sa e alla salute, i primi lo recano alla borsa e alla scienza. In Monaco è un collegio di chimici, il capo de’ quali ha l’ob- bligo di fare giornalmente e inopinatamente la visita ai vinaj e ai liquoristi, per assicurarsi che ciò che vendono non sia adul- terato. Se non sì possono avere collegi numismatici, per assi- curarsi che le medaglie, che si vendono, non siano falsifica- te; alineno i professori schivino a lor potere di dar mano a’ contraffattori, Del museo dell'imperatore di tatte le Russie noi conoscia- ano per cura dell’attual direttore alcune parti, e in ispecie Je medaglie appartenti ai re della Battriana e del Bosforo. Que- sta seconda serie è stata da lui accresciuta delle medaglie di quattro nuovi re Leucone, Spartoco, Areanse, Rhadamse. Al- tre inedite egli ce ne promette, relative al Chersoneso Tauri- ico e al Bosforo Cimmerio. Quindi non possiamo dire ch’ egli dorma; sebbene ci sembri, tanto va lentamente, che il più del tempo sonnecchi. Ora dal sonnecchiare al dormire è breve il passaggio. Dopo il museo imperiale di Pietroburgo la fama ci parla di quello pur imperiale di Caffa (l’antica Teodosiopoli ). capi- tale della Crimea. Esso è troppo recente perchè possiamo pre- tendere che sia descritto. Dal sig. Koehler per altro (il quale ha già illustrate tante greche iscrizioni rinvenute a Fanagoria, e cì promette distinti ragguagli sullo stato geografico delle contrade bagnate dal mar Nero) o da qualch’altro dei dotti mandati dall’ imperadore delle Russie in cerca d’antichità , sem- bra che dobbiamo aspettarci presto una tale descrizione. Il regio museo di Napoli, ov’'è riunito quello del duca di Noia e il Farnese, accresciuto da quello celebre di Foucault, è certamente doviziosissimo, e poco gli manca ad essere anche. bene descritto. Ma tutto questo-a che prò ; se chi lo ha in cu- \ au non permette che uessuno si accosti tanto alle medaglie, »_prenderse un disegno, da farne una breve nota , da giovarsene insomma per lo studio della scienza? Che se si vigila moltissimo a tener lungi, quanto al rimanente ivi pure non si fa che dormire * 30 Così si dorme nel museo :numismatico di Torino . ;Ma ‘per compenso si sta vigilantissimi nel museo egiziano , recentemente formato dall’attuale monarca, mediante l'acquisto della gran collezione del cav. Drovetti, in cui si trova una serie di,064 me- daglie alessandrine, 283 delle quali ancora inedite furono sulla fine dell’anno scorso pubblicate con alcune altre dal cav, di S. Quintin, ora direttore del medesimo. Parma ha pure un suo museo di medaglie , fra le iftati al- cune si dicono rare. Modena anch'essa ne ha uno. Ma nè di questo nè di quello v'è chi scriva a vantaggio della scienza, , Del gran museo mediceo , il gie non è ultimo fra gli or- ‘namenti di questa nostra Firenze , tocca ai dotti forestieri, piut- ‘tosto che a noi, il recare paudlizio e il dire quanto sia ben. co- nosciuto . fa Un museo, che va distinto nel snai è quello di Danimarca. Ivi solo non pare che si dorma , poichè il sig. Ramus, .or sono pochi anni; ha pubblicata in due ugly in 4° la descrizione compita delle sue medaglie. E celebre il museo britannico di Londra; ma poco finora:ne conosciaino. Il sig. Taylor Combe si limitò a pubblicarne le me- daglie autonome e regie; fra le quali veramente poche meritano altro riguardo che quello che merita la toro bella incisione. Nè il dotto o l’amatore, che voglia visitare il museo, si aspetti che la sua visita gli sia di molto profitto. Mi rammento quello che me ne disse il sig. Henin, il quale vi si condusse pieno di desiderio di accrescere il suo sapere numismatico; e appena potè soddi- sfare gli occhi suoi d’ uno sguardo superficiale. Un altro museo assai celebre dell’ Inghilterra è l’ Hunteriano, ove poi ne furono riuniti molti altri. Anche di questo un altro Combe non pubblicò se non le medaglie autonome. Le imperiali greche e quelle delle diverse dinastie di tanti re chi e quando ce le farà conoscere? Che se tu fai un viaggio a Glasgow per vedere il museo, lo trovi rinchiuso in una stanza serrata a' tre chiavi, a trovar le quali vi vuole un mese, e trovate che siano, appena ti si concede una mezzora per goderti il frutto di tanta espettazione . Ho parlato finora di musei pubblici; or farò pure un cenno de’ privati che hanno maggior nome. In Londra sono pregiatis- simi quelli di lord Northwich, di Knigt Peine, (1) d’Elliot, di Bur- (1) La ricca e scelta serie delle medaglie greche del sig. Knigt , secondo la fresca notizia avuta dal sig V. Millingen, è stata riunita al museo Britannito. 31 gon, e il più recente di lord Strangfort. Ma chi li‘vede o chi Hi descrive? In Isvezia pure si contano vari musei privati, e fra essi distinguesi quello ;del sig. de Palin, che il formò nel ‘tempo della sua legazione a Costantinopoli. Neppur esso è ancora descritto ; ma, appartenendo ‘a persona dotta e amantissima della scienza numismatica, deve sperarsi che il sarà presto. In Ungheria è da annoverarsi tra i primi il museo Hedervariano, di cui abbiamo il catalogo in due tomi in 4°, per vero dire non troppo accu- rato. Il suo possessore, conte Witzai, impiega annualmente rag- .guardevoli somme ad accrescerlo di medaglie greche e romane, € fra queste di consolarì, L'intelligente che visiti il suo museo trova presso di lui graziosa ospitalità non che facile accoglienza. Un muovo museo da alcuni anni si va formando in Polonia per le cure di un intelligente amatore , il sig. Barone de Chaudoir; ed io, benchè lontano, non sono straniero alla sua direzione come nol sono a quella dell’Hedervariano. Di parecchie delle loro medaglie ho dato il tipo e la descrizione in istampa, e questo basterà, spero, a non far annoverare me pure tra i dormienti. Un altro ragguarde- vole museo finalmente è quello del sig. Carlo d’Ottavio Fontana in Trieste. Di esso pure ho pubblicate e descritte in un volu- me le medaglie più rare. L’ egregio possessore non cessa di ar- ricchirlo. di muove, cui si va. procurando dal Levante e dalla Barberia. Nulla dirò de’ musei che sento essersi formati negli Stati Uniti. Ma parmi di non dover passare sotto silenzio quello di Odessa, ov’ è conservata una copiosa serie di medaglie d’ Ol- bia, altra volta quasi ignote; ed oggi ( mercè il sig. consigliere di Blaremberg , il quale ne publicò una sua raccolta ) assai ben conosciute . Tante cure di principi e di privati, se i numismatici mon seguitano a dormire, debbono alfine produrre qualche notabile frutto per la scienza. E già mi par tempo che quelli che dor- mono si risveglino, e che l’iscrizione del sonno eterno si tolga via da’ musei. Io che sono vecchio, e non ho dormito, credo di avere qualche autorità per gridare ancora una volta: svegliatevi. Intanto eccomi qui che fo, al mio solito, qualche cosa, e m’in- gegno di aggiugnere alle parole l'esempio. Abbiamo da lungo tempo in Firenze un valente medico ‘ca- stigliano, il sig. dott. Damaso Puertas, ‘il quale, dopo aver ceduta all’ imperatrice del Brasile, amantissima della numismatica, una sua collezione di medaglie greche in argento, se n’è formata ne’ vari suoi viaggi una seconda e sceltissima d' ispane, celtibere, ‘etrusche, greche, sicule, egizie; insomma europee, asiatiche, africane, la 32 quale sarebbe ornamento bellissimo di qualanque più nobile ma- seo. Io penso di darne un saggio, pubblicandone nove medaglie (tutte in argento e di piccolissimo formato ) appartenenti ad un popolo della Magna Grecia ancor nuovo in numismatica, e di cui toccherò alcuna cosa; dopo aver descritte per ordine le me- daglie già dette» r. Caput Apollinis nudum. 8. TOY. Scriptum inter crura triquetrae. AR. 4 fg. 1. 2: TOY. Caput idem. 3. TOY. Scriptum inter crara triquetrae. AR. 4 fg. 2. 3. TOYTI. Caput idem. 8. TOY. Scriptum inter crura triquetrae. AR. 4 fg. 3. 4. Equus liber currens, sub quo mon. ]Io, ut in schemate. 3. TOY, Scriptum inter crura triquetrae. AR. 4 fg. 4. 5. Caput Apollinis nudum. x. Sine cpigraphe. Equus currens, sub quo'JIo, in mono- grammate, AR. 4 fg. 5. 6. TOY. Caput idem. g. Equus currens, sub quo idem monogramma. AR. 4 fg. 6. 7. Caput idem. &. Sine epigraphe. Equus saliens, sub quo idem monogram- ma, retro parvus corvus. AR. 4 fg. 7. 8. Caput idem, pone pileus astrifer. x. Sine epigraphe. Equus saliens, sub quo idem monogram- ma, retro parvus corvus. AR. 4 fg. 8. 9. Caput idem, pone pileus astrifer. %. TOY, retrograde. Tripus, juxta litera tm. AR. 4 fg. 9 In alcune delle sopradescritte medaglie si legge TOY, e in ‘una sola, oltre il TOY, si ha di più dalla parte della testa TOYTI, Altre sono senza leggenda, ma non ostante. appartengono pur 33 desse all’ istesso popolo , poichè ta voce tronca di TOY, e l’altra più significante di TOYTI , ci porta a credere che l’ intera dovesse essere L'OTTINQN, cioè dei Tutini popolo rammentato dal solo Plinio ( lib. III C. XI.) il quale lo colloca nella Galabria unita- mente ad altri, chiamandoli Mordanenses, Paltonenses, Sturni- ri, che altri vogliono Zurnini, TVTINI. Le medaglie vengono in appoggio dell’autorità della storia. Il popolo dei Tutini dovea abitare una città , detta dal loro nome TOYTINIA,0 TOYTINOP, e anco TOYTINON; edal- le medaglie sopra descritte si può sospettare che fosse situata fra i confini o d’Arpi, o di Salapia, le cui medaglie sono munite pur esse e della testa d’Apollo, e del Cavallo in corsa, Si osserva, che la divinità primaria di questo popolo era A pollo, che rappresentavasi accompagnato d’alcuni simboli come il tripode e il piccolo corvo. Il cavallo denotava o il corso rapido del sole, lo stesso ch’Apollo, o l’abilità de’ Tutini nell’ equita- zione, o l’eccellenza delle razze da loro allevate. Colla triquetra tipo siculo, ma adottato da più città come semplice simbolo, forse si volle significare in lato senso la Cala- bria divisa anticamente in tre provincie, cioè in Messapia, in /a- pigia e in Peucezia, o nei Salentini; in quella guisa appunto che nelle medaglie della Sicilia, con la Trinacria che vi si fa- ceva efligiare, si voleva alludere ai tre principali promontori di quell’ isola. Della medaglia in rame rappresentata nella figura to mi fu mandato il disegno dal sig. Onofrio Bonghi di Lucera della Pu- glia, dicendomi che ne erano state ritrovate altre col cavallo in corsa , e la testa d’Apollo, o di altra divinità, Questa e l’altra riportata al n.° 11 sono simili a quella che Combe ( Mus. Hunt. tab. 35 fg. 23) attribuì a Maronea della . Tracia. Ma io le credo tutte e tre appartenenti ai Tutini; ed eccone la prova convincente. Sopra l’ultima medaglia Combe ravvisò vicino al gambo della foglia di vite una nota, o simbo- lo a guisa d’una chiave antica, ed io vi scorgo due lettere, cioè OY. mancandovi il T, per fare TOY. Se queste lettere ci fanno attribuire ai Tutini le medaglie del sig. Puertas, debbono pur farci attribuir loro anche quella descrittaci dal Combe, e collo carla come le altre nella serie delle medaglie non di Tracia, ma della Calabria, S. T. XVII. Febbraio 3 34 Intorno alle scuole ed accademie delle helle arti, ed alla nuoca dipintura di Francesco Nencr nella cappella del poggio imperiale, fuori le mura di Firenze. Anronro BeNncr al professore ScHoRNn. Firenze a dì 31 di dicembre 1824. Compiono quattro anni, che ebbe principio questo giornale. Di pari data è il carteggio cominciato tra noi, mio stimabile amico. E nell’intervallo di non sì breve tempo, voi nel Kunstblatt (1), e l’amico nostro Vieusseux nell’Antologia, vi siete provati degni dell’amore e della gratitudine de’ buoni, giovando a’ liberali studi. Deht seguitate l'impresa, a cui vi conforta la: pubblica benevo- lenza ; e permettete , che io riassuma il nostro consueto ar- gomento intorno alle belle arti. Leggendo nel volume decimosesto dell’Antologia ‘(2), voi inanimatore degli artisti vi sarete congratulato , perchè i giovani fanno bene sperare anche in questa parte d° Ita- lia; mentre non diminuisce neppur qui la, fama acquistata a’ professori. Quindi vi sarà forse incresciuta la proposizione fatta dal critico (3) in quel discorso, allorchè biasima la licen- za conceduta agli artisti di poter tutti esporre le opere loro nel luogo e ne’ giorni assegnati alla pubblica dimostrazione delle belle arti, la quale si fa da’ fiorentini nelle stanze del- l'accademia. Egli teme che non sia commisto il bello col difforme senza onore della città, come pare accadesse in que- stanno, secondochè i più raccontano a me allora assente: e perciò vorrebbe deputare alcuni a far. giudizio delle opere, primachè sieno collocate nelle pubbliche stanze. Ma se. io (1) Giornale di belle arti compilato dal dottore Schorn in Stutgardia, co- me già dissi nella prima lettera scritta a lui medesimo, ed inserita mel volu- me primo dell’Antologia, pag. 193. (2) N. 48 pag. 55. Discorso sull’esposizione de’ così detti piccoli premii, fatta nell’accademia delle belle arti in Firenze nel mese d'ottobre 1824. (3) Non lo chiamo critico per dispregio, ma perchè non so che altro no- me dargli, essendo anonimo lo scritto. 35 non erro, è buona soltanto la sua intenzione; mossa dal desiderar la patria sempre più gloriosa. Del rima- nente non mi pare aver esso bilanciato i mali ed il bene- fizio. La lode delle accademie, come delle ‘città, come delle nazioni, è sempre misurata dalle virtù , o dalla vo= lontà di conseguirle : non trovandosi perfezione assoluta in alcuna cosa umana: e non ammettendosi più ormai l’ insu- perbire d’illusione. Nè la violenza, nè l’artificio non pos= sono nella suddetta misura, la quale si fonda al tutto ne’ paragoni, considerate le buone e le fallaci usanze, la realtà e l'apparenza. Onde importa a noi conoscere ogni anda- mento , ogni ordine, ogni disciplina , e conoscere anche gli errori che si commettono: il che sarebbe impossibile, se non gli lasciassimo facilmente palesare . Nè v'è pure altro mezzo più opportuno a correggerli, quanto l’avvertimenta de’ più, voglio dire del pubblico, al quale è naturalmente delegata ogni simile sentenza. Qualunque artista, ancorchè traviato da autorevole con- siglio ; non'seguiterà di fallir la via, se esponendosi libe- ramente al: pubblico, non ha pubblico plauso. E l’esempio suo non indurrà gli altri ad errare, avvertiti dalla libera critica. Il contrario potrebbe accadere quando, impedito P esporsi al pubblico, suppliscano le private opinioni: o quando vi sia la deputazione proposta dal critico. Perchè allora si favorisce: allora si parteggia: e più spesso per-la bontà che per la disonestà de’ giudici opere non buone ammettonsi in luogo già stimato onorevole ; il che basta a sedurre chi le ha fatte, e chi le contempla. Qualunque sentenza degli accademici , o espressa o tacita, prevenga le opinioni del pubblico; questi la seguita sovente senza nuovo esame, non tanto per reverenza, quanto per con- suetudine o pigrizia. E l’artista pure, quando si creda già partecipe degli onori, impigrisce anch'egli aspettando elogi. Non essendo la critica al tutto libera , o non è sin- cera, o non si cura. Inoltre i giudizi accademici, come i giudizi privati, sono odiosi a molti . L’uomo modesto ne diffida. L’ambizioso gli oppugna. Ed i valenti ascoltano volentieri il consiglio degli amici, ma quindi non si ri- 36 mettono che ‘alla pubblica opinione, e più de’ posteri che de’ contemporanei. Sicchè non esporrebbero forse le opere loro; quando avessero da ricever prima una particolare sen- tenza. E più volte ,.in tutte le accademie’, per consimili ragioni, veggonsi; poche ‘opere; esposte da’ buoni artisti. Noi abbiamo una prova di ciò anche nelle cose letterarie, per chè gli accademici della Crusca proponendosi di premiate ogni cinque anni la migliore opera del quinquennio inlin- gua italiana, e non guardando poi che alle ‘scrittilre. man- date dagli autori al concorso, nè ricevendole.da.tutti.i.va- lenti, non possono corrispondere all’ utilità dell’ istituzione: fatto così pure incerto l’ onore del premio... : ‘otaai Non mi par dunque ammissibile la proposizione «del critico, stantechè non potremmo allora conoscere nè il be- ne nè il male cioè il, vero stato delle belle arti nella» pa- tria nostra: e maggiore odio verrebbe negli accademici. Molti anzi opinano che l’ esposizione non. è abbastanza li+ bera: increscendo ad. alcuni artisti. anche il solo chiedere una licenza, massime perchè dopo averla ottenuta non pos- sono sempre collocare i quadri 0 le sculture tin quella parte della sala che lor si convenga, tanto per l’idonea lu- ce, quanto per non essere soverchiati da opere vicine di contrario effetto. E mentre vorrebbero acquistare più libertà a’ concorrenti estranei, desiderano collocato. in stanze. a parte, o in altra maniera distinto, tutto. ciò che pertiene a’ professori, agli alunni, ed a’ premii particolari dell" acca- demia. La quale divisione delle:scuole private ;alla. scuola pubblica tornerebbe bene a tutte, determinando .con ret- titudine i progressi. Ciò, che a noi propone il critico, è gia consuetudine in Francia, ed è quivi sì ordinata che sembra opportuna contro gli abusi, provvedendo di consiglio agli, artisti, ed assicurando buona l’ esposizione; perchè si richiede dappri- ma un esame ed una licenza, L’esame è fatto da un giurì d’artisti: e la licenza è data dal presidente dell’ accademia, il quale debbe spesso ricevere questa facoltà da uno o da più superiori. Ma nondimeno a siffatti ordini non rispon de l’effetto. Nè io voglio disputare di ‘ciò chel si conven» 37 sa a’ francesi. Noto solamente che ne’ loro giornali si ram- pogna spesso il giurì, perchè lascia esporre non buone di- pinture. Quanto più l'autorità s’ adopera , tanto meno è secondata dagli uomini. E nel caso presente non si tratta già di premii o d’onori, ma d'una piccola parte d’ una sala pubblica, ove per breve tempo l'artista collochi la sua fattura. Voi che compilate un giornale tutto proprio alle belle arti, potrete estendere più di me il: discorso, salvandole da qualunque arbitrato. Io seguito intanto a nuove con- siderazioni, cui m’ inducono altri giornali. In molti ar- ticoli, che da Parigi provengono intorno alle belle arti, si magnifica oltremodo la scuola francese. E questa ma- niera di lode può avere l’ utile scopo d’inanimare gli ar- tisti: nè interrompe in Francia i progressi dell’arte, perchè salvo l’onor nazionale, ogni opera nuova è quivi esamina- ta e criticata con libero e severo giudizio ; e gli artisti, non che sfuggano perciò il pubblico, reputandosi inviliti 0 adirandosi, aspettano impazienti l’anno dipoi a fine di mo- strare a’ medesimi censori che collo studio l’arte s’ impa- ra. Ma fuori di Francia, che effetto produce sì magnifico discorso? massime quando tragge al paragone delle scuole straniere, concludendo che sola la francese esiste, e che neppur messe insieme tutte le opere de’ pittori e degli scul- , tori d'Europa non basterebbero a comporre ( credo per nu- mero ) l'esposizione che si fa in Parigi! Noi, udendo ciò, leggiamo più volentieri l’altra parte del medesimo discorso, in cui si parla degli errori'della scuola francese: e ci con- gratuliamo, perchè sieno corretti (4). Una nazione, che ebbe le Sueur, Poussin, ed altri va= (4) Si dice infatti che l’ abuso del colorito grigio, turchino, e violetto sì è modificato. Quindi seguita così: ,, Lumière luisante: pinceau lourd, pàteux: éclat affecté des lumières : ces coups de soleil éblouissans portés sur le milieu des tableaux; tout celà s'est corrige. Cette manière lisse et uniforme de peindre une toile, a fait place è une exécution plus variée, plus hardie, et mieux appro- priée aux diyerses parties d’un sujet. Enfin, et c'est ici le grand motif des re- proches, on a songé à étre plus vrai, moins arrangé dans les compositions, moins académique dans le style. ,, Ho riferito queste parole tanto più volentieri, In quauto pessono giovare a tutte le scuole. 38 Jentissimi Mit può affermare che ha avuto una scuola di belle arti. Una nazione che ha molti abili e viventi artisti, e tra questi un David che rinnovò lo stile de’ fran- cesi: una tal nazione, può asserire che ha una scuola an- che al presente. Ma pretender, che l’abbia ella sola, è un esagerare infruttuoso: tutti sapendo che in Italia, in Ger- mania, e nel Belgio sono, come v’eran prima, altrettante scuole distinte totalmente dalla francese. E gli stessi cri- tici confessano, studiarsi molto le belle arti in Alemagna: e gratificano a voi tedeschi, dicendo farsi tale studio nella vostra patria con più effetto che altrove, eccettuata la Francia. 1 Verso noi italiani si dimostrano meno indulgenti , Con- cedono che l’Italia avesse più che le altre nazioni fama grande e sollecita: ma l’attribuiscono alle ritrovate memo- rie della Grecia, ed alla protezione della famiglia medicea. Quindi soggiungono: essersi spente appresso noi le arti, quando furon morti coloro che proteggevano ed onoravano gli artisti: essere stata poi reintegrata la scultura dal Ca- nova, e la pittura dall’Appiani, quando le cose italiane ri- salivano: e queste riscendendo, non aver più l’Italia se non pochissimi nazionali artisti. Or voi mi dite, chi aiutasse Giotto, chi Masaccio, ed il Ghirlandaio, ed il Ghiberti, ed il Brunelleschi, e Leo- nardo da Vinci, e tanti altri italiani onorati dagli stessi stranieri? Poche sculture greche, trasportate in Pisa, furo- no sufficenti a’ nostri artisti, perchè subito ritraessero l’ar- te a’ buoni principii. E Giotto, nato pastore nella valle del Mugello, quivi imparò a ritrarre il vero, contemplan- dp la natura: nè fu aiutato se non dal pittore Cimabue, che notò per caso il di lui vivace ingegno, e lo fece pas- sare dalla mandra alla sua bottega. Così Masaccio, promo- tore della buona prospettiva, e maestro per primo nel fa- re gli scorci e gl’ignudi, ebbe solo aiuto dalla natura e dagli altri pittori. Così fu quasi ognuno aiutato nella re- pubblica fiorentina: emulandosi e nimicandosi gli artisti, allora come al presente, quando erano già maestri; ma facili a un tempo verso i giovani, inanimandoli e traendoli all’arte. 59 Le botteghe de’ pittori nell’ antica Firenze èrano altrettante utilissime accademie. E gli ordini de’cittadini fondandosi nelle arti, qualunque uomo fosse osservante alle fatiche ed agli studii, quegli era stimato. Onde Firenze potè dare esempio contrario a quello delle più antiche repubbliche, in cui la prosperità delle belle arti era stata sempre indizio della servitù della patria. Appresso noi più la città fu libera, più ebbe ottimi artisti. Nè mancò a loro in che adoperarsi senza bisogno di liberalità private, perchè appunto allora si edificavano magnifici templi, e le ambizioni e le ricchez- ze de’ popolani dovevano concorrere all’utilità comune. Io non intendo scemar la fama di que?’ cittadini che furono di spontanea virtù benemeriti agli artisti. La storia non abbassa che la superbia degli uomini. Nè io voglio nemmeno invilire i Medici, che anzi parlando di essi in particolare e per rispetto al loro ingegno, non potrei non encomiare alcuni di. loro e massimamente Lorenzo il ma- gnifico, reputato con ragione uomo di grande stato a con- fronto degli antichi e de moderni. Ma quando gli consi- dero in correlazione colla città, poichè la storia gli dimo- stra successivamente popolani, protettori, e signori della repubblica fiorentina, mi manca l’animo a lodare una fa- miglia, contro cui non rimase altro espediente alla misera patria se non protestare le usurpate ragioni a’posteri. Per la qual cosa non potendo noi essere parziali a’ Medici, troppo ci duole che sia loro attribuito quello che è della nazione. E non è onesto, comecchè sembri utile, adulare ad essi per dar esempio generoso a’ signori presenti. Gli uomini sono tanto più meritevoli, in quanto le loro azioni provengono dall’amore sincero della virtù, e non dall’emu- lazione della gloria d’ altrui. Pertanto mi sia Jecito misu- rare la lode de’ Medici nella storia delle belle arti. La scultura, la pittura, e 1’ architettura erano già ri- sorte in molti luoghi d’ Italia, non che in Firenze, quando i Medici s’invanirono di dominare la repubblica. Onde non è ad essi la gloria d’aver dato principio. Che se dipoi quel Cosimo, che i partigiani chiamavano padre della patria, raccolse per primo in Firenze, come Silla in Roma, le 4o antichità della Grecia, fu a quest’ opera indotto dal con- siglio di Donatello ; il quale artista pure accomodò e @r- dinò colle mani sue la prima galleria medicea : tanto li- berale Donato verso gli amici suoi, quanto verso lui fu Cosimo. Lorenzo il magnifico ha invero titoli grandi alla riconoscenza degli artisti, perchè promosse il Buonarroti : ma se egli fu più che gli altri cittadini utile alle arti, aveva ancora mezzi maggiori; ordinato già un monopolio mediceo nella ricchezza del pubblico. In questo tempo i latini lasciarono la Grecia esposta alla barbarie de’turchi. In questo tempo fu ritrovata la stampa. Sicchè riparandosi i greci nell’Italia, dov’era già cominciato il secolo dell’erudi- zione antica, fu questa da loro e da’ nostri maggiormente promossa. Ed i Medici cooperando anch’essi alla lettera- tura o coll’ opera o col denaro, s’ acquistavano fama in favorevol punto, perchè si sarebbe tutta conservata nelle stampe, com'è accaduto. Nuovi poeti cantavano di Lorenzo, lui stesso poeta. Nuovi filosofi magnificavano l’ accademia di Lorenzo , lui stesso filosofo. Da tante lingue risuona il nome suo laudato, che senza i successivi danni della pa- tria non potremmo forse accusarlo d’ aver raffermata egli la medicea astuzia. Procedendo a’suoi disegni con maniere popolari, ingannava eziandio la moltitudine; allora formi- dabile, degli artigiani: onde pochi vedevano l’ uomo poli- tico; nè tutti s° accorgono anche al presente, che 1’ inci- tazione data da Lorenzo traeva gl’ impedimenti seco; non collegati insieme ad un retto fine i costumi, gli studii, e la civiltà del popolo; ma questa misurata sì che dovesse fermarsi e retrocedere. Io rimetto a voi il giudicare se la vera sapienza italiana si conseguiti del ‘tutto alle ritrovate memorie de’ più antichi popoli, ed alla protezione de’ Me- dici verso i letterati e gli artisti. Andrea del Sarto trascurò i favori d’un monarca, non che s’ inchinasse a’ Medici. Leonardo diventò sommo pit- tore nella bottega d° Andrea del Verrocchio, e fu amico a’ Medici ed a’ monarchi, quando la sua amicizia faceva ad essi onore. È scritto nella vita sua, che egli, benchè fosse valente nel dipingere, non ebbe buona accoglienza 41 da Lodovico Sforza in Milano, se non'per la fama sua di ben sonare la lira. No, non si può dire che gli avi nostri avessero bisogno d’ altro incitamento fuorchè l’ amor del- l’ arte e il proprio ingegno. E quando pur volessimo at- tribuire i loro progressi a quei che gli ricompensavano ed onoravano, bisognerebbe dare il titolo di protettore a tutti i cittadini, e negarlo a molti principi, e massime a coloro che in Italia erano stranieri, Venezia, Genova, Pisa, Siena, hanno avuto valentissimi artisti, mentre si reggevano a re- pubblica. Il Piemonte e le due Sicilie, dove l’era moderna è tutta monarchica, hanno molto minor numero di nazio- nali artisti. In Firenze declinarono le belle arti verso il 1540, allorchè appunto incominciava il ducato mediceo. E Cosimo I, esortato dal Vasari, istitu nel 1561 la prima accademia fiorentina: ma il dispotismo; già introdotto nella città, passò nell’accademia. Non avevano i giovani facilità di studio secondo il proprio ingegno : a tutti era dato un solo modello : tutti dovevano accomodarsi a’ maestri che erano michelangeleschi. Onde veniva la scuola cotanto in peggio, che dubitiamo ancora se utile sia 1’ istituzione di un’ accademia. Ed invero sì nelle arti, come nelle lettere e nelle scenze non basta aver mezzi allo studio, se questo si ordini contro natura. Sarebbe ridevole chi oppugnasse l’utilità delle accademie, in quanto esse offrono a’ giovani comodità di luogo, di consiglio, e d’esemplari, senza loro dispendio. Ma questi beni son fatti inutili, ed anche per- niciosi ; quando non sia nelle accademie la stessa libertà che nelle antiche botteghe ; quando i maestri non adem- piano l’ufficio o per negligenza o per sistema; quando essi cioè, ripeto, non sieno assidui alle lezioni , o propongano ad ognuno il proprio esempio o quello che piace ad essi imitare. La scuola di Firenze non sarebbe forse di nuovo risorta, se tre animosi giovani, il Cigoli , il Pagani ed il Passignani non si fossero tolti al dispotismo, viaggiando fuori di Toscana nel 1580 per conoscere le utili novità degli altri pittori italiani, ed assumere anch'essi nuovo e idoneo stile. Mentre ciò accadeva in Firenze, tre altri giovani d'una 42 medesima famiglia, Lodovico, Agostino, ed Annibale Carac- ci, non aiutati da alcuno, ed anzi avendo a nemici quegli stessi artisti che dominavano in Roma, apersero accademia in casa propria, ed istituirono la scuola bolognese; la quale ha migliori principii che tutte le nuove accademie, impe- ‘ rocchè si fonda maggiormente nell’imitar la natura secondo la ragione del soggetto, e nel moderare la gioventù secondo le qualità del proprio ingegno. I Caracci ebbero a disce- poli il Domenichino, l’Albani, Guido, ed altri valentissimi, fuori al certo del secolo mediceo. Notiamo un altro caso che servirà di conclusione. Quella stessa scuola, che per tre secoli di repubblica era venuta sempre in meglio, e che declinando sotto i primi granduchi aveva ripreso vigore per la virtù d’alcuni artisti, decadde di nuovo, nè più risorse poi durante il principato mediceo. Di che, pare, fosse cagione il favore mostrato da’ Medici a Pietro da Cortona: tutti volendo essere allora cortoneschi, come sotto Cosimo I michelangeleschi, E vera- mente anche i favori nuociono spesso ne’principati assoluti, non tanto per l’imprudenza, quanto per l’eccessiva autorità di chi protegge. Nèi Medici non avevano difetto d’accortezza, promovendo soli i lor partigiani o coloro che il pubblico re- putasse indegni: ma non favorivano egualmente tutti i buo- ni, e neppur sempre con animo sincero. Quando vediamo Cosimo I tutto intento a prosperare l’agricoltura e le mi- nori e le maggiori arti; senza effetto durevole in Toscana; mentre l'industria de’ fiorentini avvolgendosi per gli altrui paesi, quivi si fermava: dubiteremo noi, se egli intendesse al pubblico bene o all’ utile suo privato, essendogli così più facile imporre nuove gravezze, e guadagnare nella mer- catura esercitata da lui stesso in qualunque maniera? Quando lo vediamo riordinare alquanto gli studii, e com- mettere agli scrittori la passata storia, diremo noi perciò ch’ egli amava la verità e la filosofia, dappoichè sappiamo quanto odio avesse agli altri Medici, che lo storico do- veva rammentare e biasimare? Quando lo vediamo istituire nel suo palazzo quella letteraria accademia, donde si de- rivano tutte le presenti, concluderemo essere stato lui pro- 43 motore delle lettere italiane, mentre gli accademici enco- miatori di Cosimo fomentarono, se non principiarono le turpi invidie che per nudi vocaboli dividono sempre l’Ita- lia? tolta così (nè dubito non si facesse per di lui politica, quantunque erronea, e d’impedimento a sè medesimo fuori del suo municipio) quella sola unione che rimaneva alle provincie, fatte principati? Nelle stesse belle arti noi di- notiamo un secondo fine, perchè se Cosimo lasciava di- pingere nel palazzo vecchio la storia di Firenze, in iscam- bio delle Galatee e delle aurore splendienti ne’ palazzi di Roma, sapeva pur che il Vasari avrebbe ritratto nelle me- desime pareti il duca Cosimo guerreggiante Siena, E l’ar- chitettura non fu forse rivolta alla guerra, dando apparenza militare ad una provincia che non poteva più prendere le armi contro gli stranieri? I quali ordini, fatti da Cosimo, seguitarono pur sempre sotto i successori, digradando loro e la nazione. Ferdinando II può gloriarsi d’aver collocata nel palazzo Pitti l’ utilissima accademia del Cimento : e Cosimo III d’ aver istituita la seconda galleria medicea- Ma poco tempo durò quella stimabile accademia: e la galleria fu un bene resultante da tre mali, cioè dalla vanità e dalla malattia di Cosimo III, e dall’avere Cosimo I edificato quell’andito inutilissimo che va da Pitti al palazzo vecchio con somma bruttezza della città in sul fiume d’Arno. Il Redi consigliò Cosimo III che molto passeggiasse: e Paolo Fal- conieri usando bene l’occasione, persuase a quel Granduca di raccogliere nella terrazza degli Uffizi le sculture e le dipinture medicee sparse ne’palazzi e nelle ville, affinchè potesse per l’ andito alla terrazza aver magnifico passeggio. Così ebbe origine la galleria di Firenze: e comunque fosse il suo principio, benchè i Medici si fossero impadroniti del pubblico erario, noi saremmo ingrati se non ricono- scessimo da loro questo dono fatto alla nostra città. Ma la gratitudine si scambierebbe a vile adulazione , se noi pur ripetessimo, come gli stranieri dicono: aver gl’italiani adoperato per ispirazione medicea. Le belle arti sono state reintegrate per la terza volta anche in Toscana, ma non 44 sotto que’principi che nati dalla repubblica avevano umori opposti a’ lor concittadini. Dopo le dimostrazioni fatte da’ Caracci, noi non ab- biamo più, se non erro, quelle sì molte scuole che in ogni città diversamente fiorivano. Ma esiste pur sempre una scuola italiana, originale , vigorosa , e disciplinata in ben disegnare dall’antico e dal vero, in ben intendere la com- posizione, ed in ben regolare le due prospettive, lineare ed aerea. Gli stessi francesi, mentre lodano le nuove dipinture che il valente Gros ha ora compiute nella cupola di S. Geno- veffa in Parigi, encomiano altresì l’arte degl’italiani facile fe- conda e potente nel dipingere a fresco. Dunque abbiamo in questa parte almeno artisti nazionali: e gli abbiamo ancora, e forse noi per primi, nella pittura scenica. Quindi sarebbe strana cosa a pensare che non più in Italia s’attendesse al dipingere la storia! Vi si attende anche troppo per la solita. superbia comune a’ letterati; volendo ognuno essere poeta O pittore storico, senza considerare che non abbiamo tutti simile ingegno, e che la natura sforzata male fruttifica. Non giova alle belle arti un mediocre successo: e questo vero, che è notissimo a tutti i professori, perchè non serve loro ad opportunità di consiglio verso que’giovani, di cui sono maestri? Io in iscambio ho udito fare in questo ar- gomento una proposizione pari a quella sopra oppugnata. Vedendo alcuni che non risponde al numero degli studenti il numero de’ buoni artisti, concludono essere a danno delle arti la frequenza de’ giovani nelle accademie. E vo- lentieri perciò ristringerebbero la libertà delle ammissioni, come se le accademie mantenute dal pubblico non doves- sero giovare all’ universalità de’ cittadini, e come se pro- venisse la maggiore emulazione dal minore concorso. A me sembra che guardino essi al principio ed al fine senza con- siderare il mezzo. Dinotano quanti giovani vengano alla scuola, e quanti la lascino per guadagnare la vita colle belle arti. Deh! che non esaminano piuttosto il tempo e il metodo del loro ammaestramento? Lo studio del disegno è necessario anche agli scienziati, ed agli artigiani: esso è 45 importante in qualunque bnona educazione : è, più che non si stima, ‘originale ‘principio di molti ritrovamenti. e di molte industrie; perchè affrettano il cammino quei che sanno delinear la via; e può senza ciò rimanere dubbio il concetto., o mancare la rimembranza e l’ accordo di. tutti i pensieri. Onde chi proponesse. qualche altra restrizione all’ ammettere i giovani, fuori di quella !che,. richiede il luogo, opinerebbe contro la legittima causa dell? istituire accademie; e toglierebbe, ancora non solo l’arte agli artisti ma gli artisti all’arte, perchè le pubbliche scuole servono eziandio di prova: a discoprir gl’ingegni. Ammessa poi. li- beramente la gioventù nelle acccademie, allora è necessaria sì una restrizione ,non universale ma particolare, ordinando cioè gli studii secondo: le qualità. di ciascun discepolo. Io già ho parlato di quelle generalità, che fanno buoni i me- todi. Chi ristringe a fine di dominare, giova a sè solo. Quando i maestri abbiano cognizione dell’ arte, esperienza degl’ ingegni, e sincerità di consiglio, poichè saranno al- lora stimati, amati, e creduti da’ giovani, così non man- cherà lor mezzo..a, fare abbandonare l’arte a chi non vi riesce, ed a bene inviare quelli che natura aveva disposti. Nè v'è una sola via aperta agli artisti, da temere che es- sendo molti e tutti valenti, l’ uno all’ altro preoccupi il guadagno. Che se, come abbiamo sopra indicato, i più attendono al dipingere la storia, onde. poi non hanno il loro intento; è. causa di questo male la propria ostinazione, o la negligenza de’ maestri a ben consigliare, e non già la povertà o la ristrettezza delle belle arti. Ricordiamoci che Andrea Verrocchio, vedendo il suo discepolo superare lui nel dipingere, lasciò subito il pennello, e seguitò la fama sua operando da scultore. E la prima reputazione di molti artisti non ebbe principio dalle opere che essi come orafi facevano ? Quel fabbro fiorentino, che anteponeva le povere persone al magnifico Lorenzo, e che mai non si partiva dall’ officina per corteggiare i personaggi, stimando questi come più oziosi degli artefici, così più atti a far codazzo, non ebbe egli e non ha gran nome pel ferro la- vorato con maraviglioso magistero? Le gallerie abbondano pi: di cose preziose, la cui fattura è \ora negletta. E non ine tendiamo pure alle nuove invenzioni con tale industria, che superi quella degli stranieri. È egli destino dell’Italia perdere il proprio, e non acquistar l’altrui! Non mancano gli artisti : manca la varietà delle opere , E nella pittura stessa pochi seguitano l’ esempio ‘del Bassi , dipingendo il paese. In iscambio dunque di proporre che sia ristretta la libertà delle ammissioni e la libertà dell’ esposizioni , de sideriamo ‘sia allargata la libertà degli studii e dell’ indu- stria, solo espediente a reintegrare la patria in. qualche parte dell’onore avito. Nominerei qui gli scultori e i pit- tori che dopo il Canova e 1’ Appiani sostengono l’arte, se non temessi d’obliarne alcuno, essendone. molti e ‘non tutti a me noti in varie’ provincie d’Italia. I giornali vi mani> festeranno le opere loro . Ed ‘intanto io stesso vi dò rag» guaglio d’ una nuova dipintura condotta a NICOE e com- piuta in quest’ anno da Francesco Nenci. Nella villa, detta il Poggio Imperiale ; fuori le porte di Firenze, fu bene architettata una cappella nuova’ da Giuseppe Cacialli. E Ferdinando IM, che senza parziali* tà eleggeva e adoperava tutti i buoni artisti , volle che il Nenci dipingesse la volta, e che i migliori scultori pones- sero idonee statue in infetta cappella ; come già v’era no to in parte per mezzo della lettera scritta al valente Ci- cognara dal suo valente amico Pietro Giordani intorno alla carità modellata dal Bartolini, Udite ora, se non v” incre» sce, come sia la volta dipinta. Molti fanno questione , quale soggetto debba essere scel- to dagli artisti. Può essere infatti mitologico o storico, ov- vero ideale. E quando sia storico , può essere antico o mo- derno. Quest’ ultimo piacerebbe al pubblico , gli altri piac- ciono agli artisti. Noi vorremmo ritratte le cose nostre per conforto della vita'e per memoria a’ posteri : ed il pittore teme d’ impoverire l’ arte e la storia, se più non mostra la lascivia de’ numi ed il vigor degli atleti, Leda col ci- gno, Ercole, Amore, e Psiche ignudi. Ma comunque sia, il concetto dell’artista debbe essere purgato e chiaro, con- dotto con buona collocazione, e pieno di cose variate e 47 » differenti tra loro ma ‘tutte a proposito , soddisfacente in somma al giudizio della mente e degli occhi . Tale è la pit tura in questa parte come anche la poesia. Richiedono. amen- due le medesime cognizioni; e sì l’ una che l’altra non ha effetto , se non s’ingenera spontaneamente nell'animo: col- legato lo studio delle belle arti con quello delle belle let- tere più che non pensano alcuni artisti ; e dipendendo i loro successi al tutto dall’ impressione fatta in altrui. Nella dipintura del Nenci noi esamineremo se il concetto sia bene condotto, ma non possiamo già parlare della scelta del sog- getto, perchè egli doveva dipingere l’Assunzione . Gli storici non hanno ben significato: se Maria fosse tratta viva in celo; o se morta e sepolta in ‘terra, dalla tom- ba risorgesse all’empireo. Vi è però una tradizione , secondo cui gli apostoli ed anche Paolo ( presupponendo un inter- vallo di 22 anni dopo l’Ascensione ) intervennero alla mor- te di Maria: lavate il corpo di lei da tre vergini, e sep- pellito nella valle di Giosaffatte. Quindi il Nenci ha con senno e sagacia divisato il suo concetto , seguitando la tra- dizione e conservando la dubbiezza storica . Il primo piano della sua composizione è la terra , ove posa il sepolcro, ma non vi sono alberi, non edifizi, non rupi: campeggiando le figure, ivi dipinte , in un’aria se- rena ed azzurra. Il che mantiene l’ incertezza storica re- lativamente al luogo : fa sicuro e grato il prospetto della dipintura, che è di sotto in sù: e dà lode maggiore all’ar- tista, perchè ha egli fatto un quadro mirabile con sole fi- gure umane , ed arie chiare, e nubi, Il sepolero è semplice ed aperto. Dalla sua parete an- teriore pende il bianco lino, a cui era stata avvolta Ma- ria. E intorno alla tomba sono gli apostoli e le vergini così aggruppati. A sinistra (noto le parti per rispetto a chi guarda ) Bartolommeo alzando le mani verso il celo , ad- dita a Giovanni che Maria è risorta ; e Giovanni, che gli sta di profilo innanzi, guarda al sepolcro e si congratula pietoso. Cerca e spia dentro la tomba, sempre diffidente, Tommaso . E davanti a loro è Pietro , già in ginocchio, già adorante , colle chiavi a’ piedi, e col viso levato al ce- 48 lo , volonteroso d’ affermare il fatto. A destra liti veg- giamo Paolo in piede: egli ha il mantello ripiegato sugli omeri, e l’epistolario nella man sinistra : quindi volge ani- moso gli occhi sù dove additano,; e pare certificarsi che nulla vede. Gli sta da tergo un altro apostolo che aguzza pur le ciglia per guardare in celo, parandosi colla destra il troppo lume. E intorno al sepolero sono due vergini ed nn vec- chio; mentre la terza vergine, collocata sul davanti tra Pie- tro & Paolo; è genuflessa alla tomba. i Nel stesa piano , tra la terra e l’empireo, è ile gruppo degli angeli intorno a Maria. Ella va per l’aria senz’ali e da pena portata; sì possente il, suo desio la trae colle braccia aperte agli amplessi, del figlio. Due cari angioletti volano con lei, per sostenere il velo che dal sommo capo giù si discioglie. Ed altri angeli seguendo l’Assunzione ; spiegano sotto essa il manto , di che la vergine s'era spo- gliata : col quale artificio tutto nuovo il Nenci qualifica la dipinta storia, collocato il manto così che nola agli uomini il mistero, Un angelo festante a destra della Vergine spande fiori per l’aereo cammino. S’inalzano altri. adorando lei, tra’ quali è a sinistra. l’ angelo Gabriello. E quivi si scorge negli spazii del celo il convivio antico, Moisè legista, Abramo, David, e Israele con suo padre e co’ suoi figli, immensa schiera di devoti e d’ ubbidienti, fatti beati. Sopra essi è l’empireo, dove i santi cerchi mostrano gioia nel torneare, come si conviene al loro ardente amo- re. E Dio padre fermando sul globo la man sinistra , tie» ne coll’altra le stelle che debbono incoronar Maria . A de- stra di lui sede in luogo più basso il figlio : collocato nel- 1’ intervallo il seggio della madre sotto il santo Spirito, tra angeli che levan la voce a pronta orazione. Alcuni stan- no appresso l’ Eterno, suoi ministri. Altri appresso Cristo reggono la croce che porse pena e dà ora trionfo. Tutto il quadro è un progresso di gioia , (come è di luce; ed ogni figura ha convenevole attitudine con gran sentimento. Nel primo gruppo il giudizioso pittore mostra di faccia quelle dae teste appunto che più importavano. 49 I dolci affetti dell’amico di Cristo potevano palesarsi nel volto di Giovanni , ancorchè di profilo. I disegni di Pie- tro son chiari nell’atto genuflesso, mentr’ ei guarda al ce- lo. Il bellicoso animo di Paolo è ben significato nell’ ar- dita mossa e nel.sicuro sguardo. Ma non era possibile ma- nifestare la credulità di Bartolommeo e la diffidenza di Tom- maso se non per tutti i tratti del viso ; essendo pur que- ste due teste, e massime quella di Tommaso più che tutte le altre, belle ed espressive. Quindi facciamo plauso all’ar- tista, perchè la vergine inginocchiata al sepolero non mo- stra affatto il volto. Ella è di persona sì leggiadra, che noi da lei non volgeremmo gli occhi, se fossimo giocondi della faccia sua . Nel secondo gruppo si muovono le figure con alquanto disordine, perchè volano seguitando altrui. L’ angelico amo- re, che portò la palma a Maria, va sù innamorato e mo- desto guardando la sua regina. I due angiolettî , che reg- gono il velo, hanno bellezza ingenua e godono del loro ufficio. E tra’ giochi ed i canti e le orazioni , sorge la Don- na del celo, distinta di fulgore e d’arte: bella, giuli- va , ed eretta siccome vergine adulta nella fiamma d’amo- re ; umile , pietosa , e attenta , siccome figlia del figlio suo ; giovane perchè è immortale ; senza gioia mondana, perchè è madre di Dio; cogli/occhi dolci e rispettosi, fissa guar- dando il desiato aspetto . Ed il figlio pure dimostra eterno amore , volgendosi alla madre che d’ abbracciare aspetta. Il padre ha mae- stosa apparenza . È lo Spirito Santo il lume, che per tutto il celo si spazia, e di che la regina stessa, riflettendone i raggi, si fa prima corona. Il colorito non debbe essere una maniera d’ illusione : ha da imitare il vero. Qualunque inganno dispiace anche . a’ volgari. Nè il pittore o il poeta non può lasciarsi tra- sportare alla sua fantasia, neppur quando ritrae 1’ Empi- reo o l'Olimpo, perchè non avendone alcun esempio, lo riferiamo alla terra ed all’ atmosfera. Quindi voi medesi- mo , o leggendo la descrizione che sopra v’ ho fatta , o con- templando il solo disegno del Nenci, potreste qualificare T. XVIL Febbraio 50 il colorito suo. Essendo il soggetto pacifico , sacro , affet- tuoso, e lieto : e campeggiando tutta la composizione nel- l’aria, perchè non v'è altra terra se non dove posano gli apostoli, il che si riduce ne’ sotto in sù a pochissime li- nee : il dipinto richiede chiarezza e lucidezza di colore, trasparenza e vaghezza. Non debbono esservi quelle ri- cercate o troppo vibrate masse di chiari e di scuri, che fanno repentina e forte commozione, sovente senza dure- vole effetto , e che ispirerebbero tutt’altro che la tranquilla gioia dell'Assunzione. Non debbe esservi disunione, o di- sordine, o rottura di colori, e neppure eccessiva bellez= za, perchè non essendo ciò naturale induce ad errore, to- glie 1’ armonia, fa sembrare il dipinto come fatto a pezzi, e non: indica mai che una stessa ambiente luce illumina tutto il quadro. Vi debbe essere insomma vivacità, vigo- re e brio, ma con misurata ragione: e la chiarezza di luce qui necessaria non richiede colori sminuzzati, perchè quanto più il lume è chiaro, tanto più confonde gli oggetti, mo- strandogli nel totale piuttosto che nel particolare, siccome accade in natura quando le cose ci appariscono lontane. Queste condizioni mi sembrano adempite nel quadro del Nenci. Al primo sguardo, io non mi sentiva commos- so, non maravigliato, non stupefatto, ma godeva di rac- cogliere la mente in quel dipinto , secondati i pensieri miei da ciò che l’ occhio dinotava. Ed a poco a poco esami- nando, senza mai. trovare alcun inverisimile , oh! come cresceva il mio diletto, parendomi invero salire da’ sepol- cri.della terra al miro ed angelico templo Che solo amore e luce ha per confine. Il giudizioso artista ha chiaramente espresso il soggetto : ben ordinate le masse, bene scelti gli accessorii , chiara e netta la divisione de’piani. Niun effetto manca. Le mosse particolari corrispondono al generale movimento: e non la vo- lontà dell’artista, ma gli accidenti del fatto ordinano le attitu- dini ed il moto . Ciaschedun oggetto è disposto a ricevere i chiari e gli scuri con piacevole concordanza : puri e schietti n DI i colori, lucidi non luccicanti : ed accompagnato il pen- nello con una grazia di facilità, e sì largamente, che non solo mostra gli oggetti, ma gli disegna, e gli fa rotondi. Ben misurando le grandezze per rispetto alle distanze, ben collocando ed inclinando le linee figuranti gli oggetti ; e ben digradando il colore secondo la distanza in cui gli oggetti appariscono, ha il Nenci acquistato al suo dipinto una per- fettissima armonia. La quale, tutti sanno, quanto sia dif- ficile a conseguirsi nel dipingere a fresco, ancorquando la superficie è piana. E quivi il pittore non aveva nemmeno una parete poco incurvata e quasi verticale siccome nelle cu- pole ; dove gli oggetti son collocati in naturale direzione , e non possono esser guardati tutti insieme da un medesimo punto . La volta della cappella è una sezione circolare con massima curvatura , lunga intorno a quindici braccia (5), e sette di larghezza nella corda dell’arco. Eppure apparisce piana: ammirando i conoscitori il magistero del Nenci. Egli ha preso il punto di vista, con moderato sotto in sù, dal- l’ intercolunio che è all’ ingresso della cappella. Ed avver- tendo insieme al punto di vista ed alla curvatura, non solo ha tirato le opportune linee per tutto il quadro, sfug- gendo molti scorci, molti allungamenti , ed altri cercan- | done; che ha pure delineato quello spazio di terra, ove posano gli apostoli, come se fosse una sezione circolare con pari curvatura, ma in senso opposto a quello della volta : col quale artificio anche il terreno sembra essere in piano, raffermando la concordanza di tutte le parti. Aggiungete a questi pregi quello dello stile , che è tutto proprio del-Nenci. Non dichiaro originale tutta la composizione , perchè potrebbe aver in qualche parte un esempio nelle altrui dipinture , sì molte e varie son que- ste con simile argomento. Ma non dubito di dire che se mai v'è imitazione , essa è ignota al Nenci; perchè altri- menti l'avrebbe egli sfuggita, tanto grande e superbo è l'ingegno suo. E certamente sono originali le sue figure, È (5) Sono misure fiorentine, Un braccio è poco più di due piedi. Non so | come risponda al metro . 52 dando a conoscere che egli ritrae sempre dal naturale con sommo giudizio. Ciascuna delle teste ha qualità senza mo- notonia. I panni sono variati con maggiore o minore gros- sezza, secondochè vestono gli apostoli, le donne , o gli angeli: larghe le pieghe, senza esagerazione, senza pover- | tà, senza crudezza ; ricercato sotto l’ignudo con pulita leg- giadria di colori. Nè la vergine Maria non è vestita di rosso, come sogliono i pittori, ma bensì di bianco secondo l’uso delle donzelle ebree : ed ha il roseo cinto come conviene alla Rosa In che il verbo divino carne si fece. L’azzurro manto, che protrae il color dell’aria viva sotto Assunzione , fa più lievi sembrare gli angeli e Maria nel- l’inalzarsi al celo. E dopo le grandi masse di scuri intorno all’antico convivio; dopo lo scuro cerchio, in cui gli angeli splendienti girano ratti ; partecipando gli scuri e i chiari della medesima tinta ; ed ogni oggetto riflettendo sempre nelle sue estremità quell’aria in cui campeggia ; apparisce il mezzo del celo sì profondo e fulgido, che pare invero uno spazio di gloria pura senza termine fisso . De l’ influence des agens phisiques sur la vie par IV. F. Epwarps . Paris 1824. Ragionamento del D. E. Baseri . Lo stadio della vita fisica, mal regolato ed assurdo presso gli antichi, congetturale ed incompleto in tempi a noi più vicini, prende nuovo vigore, e segna ai nostri dì epoca nuova e bril- lante, perchè corredato di cognizioni positive ; e ricco di molti fatti. La polemica speculativa , e la dialettica di artificiali. di- stinzioni diffusa nell’ Europa dagli ultimi depositarii dello scibile umano , nocevole influenza esercitarono non solo nelle discipline morali, ma per anco in quelle risguardanti la fisica universale . AI risorgimento delle scienze e delle lettere , lo spirito uma- no si scosse finalmente dal suo letargo , e l’autorità dei clas- sici e dell’ opinione fu ridotta al giusto valore. Finchè si pre- tese far piegare la natura sotto il ragionamento. senza osservarla nei suoi fenomeni, senza interrogarla colle esperienze vigili, si 59 sognava con tutta ila forza dell’ animo. E quando si cominciò a ricorrere ai fatti, omettendo le regole del retto ragionare , si trassero conclusioni o troppo generali, o non troppo legittime. Ma oggi che la logica è ascesa all’ apice della sua perfezione , e che l’arte dell’ osservare, o dello sperimentare è nella pie- nezza del suo vigore, unitamente contribuiscono al vero pro- gresso dei lumi. Quindi le scoperte nello studio della vita si succedono , si completano, e s’ incatenano; e la contemplazio- ne dei fenomeni vitali diviene una vera scienza perchè si osser- va .e s’ interroga la natura, e ‘si osserva e s’interroga con metodo . E certamente i notevoli avanzamenti che in questi ul- timi tempi segnarono le scienze naturali, non emersero perchè nel lasso di pochi lustri si siano esaminati e studiati più fatti che nel corso di ‘molti secoli; ma perchè con miglior metodo, col vero me- todo si è interrogata ed osservata la natura . La'scienza: della vita , o la fisiologia formava parte acces- soria della medicina : tutti gli studi che concernevano all’ uomo fisico ; alla botanica , all’ anatomia ec. , non erano diretti che per la cura «elle malattie. Scopo lodevole, poichè le cognizioni de filosofi. sei non producono utilità si ridacono a sterili speculazio- ni‘. Ma poichè la scienza è quella sola che può partorire utili re- sultamenti, e dare impulso a vantaggiose applicazioni per lo stato fisico, morale , civile, e politico dell’uomo, tutte le scienze meri- tano‘ perciò indistintamente d’essere coltivate. Cos’ è mai la scien- za se non se la cognizione chiara , precisa e completa delle co- se e dei loro rapporti , ridotta a delle generalità ? Come mai lo spirito umano potrà mediante la sola forza intuitiva del genio prov- vedere alla salute, se non conosce precisamente e completamente la fabbrica del corpo, le azioni, e le funzioni del medesimo, ed il vario modo d’ operare degli agenti ? Come potranno essere ba- sati i suoi suggerimenti se non emergono dalla cognizione del ve- ro ? Se per la fisica necessità delle cose , la medicina, malgrado il corredo di tanta luce } con avanzamenti corrispondenti non il- lustra la pratica, male s’avvisano coloro che non iscorgendo l'immediato vantaggio dei diversi rami delle scienze mediche condannano lo zelo , e la sollecitudine colla quale si coltivano, querelandosi d’ un tempo infruttuosamente impiegato, e rampo- gnando! col. trito adagio: ma ciò a che serve ? è prolungato il corso della. vita’, è migliorato lo stato della salute? Ora che tanto si promuovono gli studi naturali, se la fisio- logia si condanna come inutile ausiliare della medicina (lo che non si accorda ) si commendi almeno come scienza particolare, il 54 cui alto ed interessante oggetto è la vita, e che si occupa perciò degli animali e delle piante . La semplicità, relativa dell’ organizzazione de’ vegatabili , € delle loro funzioni, guida i primi passi nei penetrali di questa scienza , e precede la contemplazione della vita. negli animali. Reputiamo indi essenziale che la loro fisiologia si studi ‘nelle di- verse specie, classi, ed ordini di cui si. compone questo re- gno , e che si distingua perciò in altrettante fisiologie speciali ; imperocchè le differenze dell’ organizzazione inducono corrispon- denti modificazioni nei fenomeni vitali; ed ecco il modo di formarsi una completa idea della fisiologia generale , e di col- locarla nel vero rango di scienza che lea compete . L’ utilità dell’ andamento , e delle successioni idi questi studi è ds manifesta . Infatti gli animali di più complicata orga- nizzazione, offerendo più numerosi i fenomeni, perciò riesce. diffi- cile osservarli nei medesimi in tutte le loro fasi, segregarli, e di- scerner gli uni dagli altri. Inoltre parecchi fatti, essendo. più .evi- denti in alcune specie , attirano più facilmente l’attenzione, ed amplificano il campo all’osservazione. Così si procede con nozio- ni maggiori, e si perviene a stabilire principii generali , ossia una concisa esposizione dei fatti più elementari e primitivi, che costituiscono i fenomeni , e che si osservano nel maggior nume- ro d’ individui. La fisiologia comprende tutte le diverse condizioni di, vita.y onde lo stato di salute e quello di malattia, non possono natu- ralmente formare due scienze distinte, per lo che fisiologia! ror- male in un caso , e patologica nell’ altro meriterebbe denomi- narsi. La contemplazione di questi due stati riesce inoltre di vi- cendevole aiuto allo scuoprimento , ed all’ investigazione dei fe- nomeni vitali; poichè gli animali variando di circostanze si pon- gono nella contingenza di presentare fatti che rimarrebbero latenti in condizioni opposte . Che se la patologia spargerà luce nella fisiologìa , si rifletta che, fondandosi ambedue sulla semplice osservazione dei fenome- ni che accadono normalmente e morhosamente , non possono for- nire completa cognizione degli Atti vitali. I fenomeni che si ef- fettuano nell’ interno dell’ uomo, non cadendo sotto i sensi, gran serie di fatti perciò e la più importante ci rimane occulta , In- fatti all’ acquisto di tali cognizioni poco giovano le interne sen- sazioni, imperocchè l’uomo non percipe tra i suoi interni feno- meni che quelli sensitivi , i quali oltre al realizzarsi di rado al di dentro della periferìa del corpo, a tante illusioni ed incertez. tan 55 ze vanno poi soggetti. Pertanto la nuda osservazione dei fatti che accadono nel periodo della vita dell’ uomo, riesce bene spes- so impossibile, e perciò dobbiamo sottoporveli ; onde acquistar- ne contezza . Di più quegl’ istessi fenomeni che si prestano al- l’ ovvia osservazione conviene ridurli in condizioni diverse , e cambiare stato à quelli che ci proponiamo studiare; in somma dobbiamo ricorrere al metodo sperimentale che rende manifesti dei fenomeni occulti, e che pone gli oggetti in caso di nuovi ef- fettuarne . Coll’esperienza si dà occasione alla manifestazione dei fatti ; e quindi per l’ osservazione si percipiscono , si conoscono , e si giudicano . Se di tanta importanza è l’esperienza nella fi- siologia , non minore aiuto le reca la fisiologia comparata , giac- chè parecchie funzioni nell’ uomo non appariscono cotanto evi- denti come in altre specie di animali, e perchè nella ricerca di molti fenomeni l’uomo non può, nè deve fornire soggetto di spe- rimento . Che l’esperienza avesse procurato i maggiori progressi alla fisiologia non era ignoto. Tutte le grandi scoperte per tal mezzo si fecero; la circolaziore, l’irritabilità Halleriana , la digestione ec. in virtù dell’ esperienza furono conosciute, ed illustrate. Le idee concernenti questo nuovo metodo di ricerche già dominavano , ma alcun segno non le aveva per anco fissate. O magico potere della parola! Appena alcuni sommi uomini ap- plicarono ad una porzione della fisiologia l’ epiteto di sperimen- tale , perchè coll’ esperienza si studia , e si chiarisce , che que- sto nome attirò l’ attenzione , svelò la strada che deve calcare il fisiologo , ed in pochissimi anni coll’ esperienza , e per effetto dei vari modi con i quali le esperienze si eseguiscono, la fisio- logìa con tante scoperte si fece adulta. Fora lungo lavoro il so- . lo accennarle , ed i nomi di quei che se ne resero benemeriti , basteranno per rammentarle; le Gallois, Magendie, Fleurens, Ser- res, Home, Prevost, Dumas, Brodie, Fodera, Rolando, Bellingeri, e l’ Edwards, della cui opera ci proponiamo far cenno , for- mano l’ eletta schiera di quei sommi uomini che più degli altri contribuirono , siccome tuttavia contribuiscono , a formare della fisiologia una vera scienza , ed a giovare con utili applicazioni l’ igiene , e la patojatria . Il nostro autore , che conseguì all’ istituto di Francia par- te del gran premio assegnato alla fisiologia sperimentale, consa- cra le sue indagini all’ esame dell’ azione che gli agenti fisici esercitano nell’ economia animale, e ricerca i rapporti che pas- sano tra questi, ed i fenomeni che ne emergono. A tal fine ab- 56 braccia il. gran campo della natura-animale. Studia i medesimi fatti nelle quattro serie degli animali vertebrati , e coll’ esperien- za procura istruirsene . Sono questi agenti: l’aria nelle sue condizioni di quantità e di qualità, di moto e di riposo, di densità e di rarefazio- ne : l’azione del calorico nell’ economia ; ossia la temperatura nelle sue modificazioni di grado e di durata: il modo dello svi- luppo del calore animale, e le norme cui è sottoposto : l’acqua li- quida e vaporosa , la luce , e l’ elettricità . Atteso la moltiplicità delle relazioni che passano fra nell agen- ti e l'economia, l’autore mira colle sue esperienze a determinare le sole azioni immediate. Per giungere poi ad una maggiore precisione nelle conseguenze, ove queste azioni sieno suscettibili di misura , ne valuta cogl’istrumenti della fisica l’intensità: ed insomma tut- tociò che è soggetto a misura ed a calcolo, ei ve lo sottopone . Questi agenti avendo immediati rapporti col sistema nervoso , cogli organi della respirazione, della circolazione, della traspira- zione , e dell’ assorbimento , ben si scorge che devono avere gui- dato l’autore all’ esame d’ un gran numero di. fatti che inte- ressano l’igiene e la medicina curativa, laonde anche coloro che hanno a schivo tanto dettaglio di ricerche negli studi fisiolo- gici, osservandone sì vantaggiosi resultamenti, riconosceranno l’ utilità d’ alcune pratiche applicazioni, e non dissentiranno dalla convenienza di coltivare tali discipline . Così tutto sarà con- ciliato , Dirette alla semplice contemplazione della natura , le espe- rienze dell’ Edwards non sono intraprese in appoggio di alcun sistema ; egli volle conoscere dei fatti, ed al suo metodo arrise (e lo doveva ) il successo. Lo studio dell’ influenza degli agenti fisici sulla vita non costituiva una parte delle meno coltivate nella fisiologia ; ma il nostro autore aumentò notabilmente la serie delle cognizioni che lo risguardano , altre ne rettificò, ed alcuni fatti supposti per induzione giunse coll’ esperienza a dimostrarli ; per lo che al- l’induzione ed all’analogia fece succedere l’evidenza. Fa meraviglia e stupore a considerare dopo aver letta l’ opera dell’ Edwards, quanto era facile il determinare ed il chiarire tante questioni e lo scuoprire tanti fatti; eppure ciò non era stato tentato . La semplicità dei varii modi delle sue esperienze è commende- vole, e la facilità della loro esecuzione desta ammirazione somma. Quest'opera, degna di passare alla posterità, non paventa l’ in- fluenza degli anni, nè il cambiamento delle opinioni : le rivo» 57 luzioni delle scienze non potranno che completarla, ma mai l’ invalideranno . Al contrario essa’ servirà d’ appoggio alle teo- rie, nè queste, perchè ‘astrazioni dello spirito, distruggeranno le esperienze dell’ autore nostro , che basate sui fatti, salde resi- stono all’ avvicendarsi delle ipotesi. :L’ estrema concisione del- l'opera, la moltiplicità dei fatti; le varie modificazioni delle esperienze , i resultati commensuradili che ne ottenne e descris- . se, rende impossibile: presentarne al lettore. in un rapido qua- dro il sunto, poichè malgrado il lodevole laconismo dell'autore, è di gran mole il volume di cui, c’ interteniamo . Nell’ impossi- bilità di ciò ‘eseguire; contentiamoci d’ indicare soltanto, alcuni fra!i più importanti, e fra i più nuovi resultati delle di lui esperienze ;' caldamente raccomandando ai cultori della fisiologia generale la lettura dell'originale . Non si dimentichi che. tutto quanto saremo per esporre intorno a questa materia ; l’Edwards l’ ha sempre desunto: da delicate e giudiziose esperienze. Nei rettili, l'aria indipendentemente dall’ azione che esercita ‘coll’ intermedio della circolazione e della respirazione, ne spiega un’altra per. contatto. Colle di lei. azioni sulla pelle dà per resul- tato, acido »carbonico ; e supplisce alla respirazione . Così si spie- ga perchè i rospi ed altri rettili. vivono lungamente nei vec- chi muri; nella sabbia, e nei blocchi di carbone, fatti che sen- za, questé cognizioni ‘sembrerebbero incredibili e prodigiosi . Il sangue, sebbene per la privazione dell’ aria sia passato allo stato venoso ; mon pertanto contribuisce alla vitalità del sistema ner- voso e muscolare, e serve per tal. modo a prolungare la vita. Nell’ acqua aereata i rettili vivono più lungo tempo , quanto! è più fredda. Immersi nell’ acqua, ne assorbono tanto più quanto meno. per precedente assorbimento o nutrizione sono saturati di liquido assorbito o di principii nutritizii . La metamorfosi dei girini posti all’ oscurità e, privi del- l’aria. atmosferica; se non, è impedita, è almeno ritardata. I pesci respirano nell’aria allorchè l’acqua diviene loro in- sufficiente mediante la sua deaereazione. Nell’ aria periscono, ( cioè fuori dell’ acqua ) per effetto delle: perdite che subisco- no, atteso l’ accresciuta traspirazione effettuata dalla periferia del loro corpo, e dalle loro branchie . Ne’ mammiferi e negli uccelli , contro l’ opinione. general mente ricevuta, il calore è minore nei giovani individui che ne- gli adalti; il volume del loro corpo ; il nutrimento , gli esterni inviluppi non influiscono sopra questo fatto che in un modo se- 38 condario . Pertanto i piccoli animali resistono meno al freddo dei grandi . Questa loro inferiore. temperatura diviene più o meno sollecitamente uniforme a quella degli adulti . Per rapporto a questa livellazione di temperatura gli ani- ‘mali meriterebbero distinguersi in animali che quasi nascono, animali a sangue freddo, come i cani, i gatti, i conigli, ed. in altri ad immediato sangue caldo, come i porcellini d’ indie ec. I primi passati circa 15. giorni offrono egual temperatura dei gran- di. Essi hanno per carattere organico di nascere cogli occhi chiusi, o di avere occlusa la pupilla ‘colla membrana pupilla» re. Pertanto il feto umano che nasce con completo sviluppo, ha un’ elevata temperatura; mentre quello che viene alla luce colla membrana pupillare ne segna una minore. Edwards col- l’esperienza ebbe occasione di slericnelba Nel sonno si genera minor calorico che nella veglia ; sie ma- lattie modificano le facoltà produttrici del calore animale, La temperatura della macchina umana ‘s’accresce progressivamente dal rigore dell' inverno al colmo dell’ estate per quindi decresce- re. Ed il nostro autore fa informato dal celebre Davy, che la temperatura degli abitanti dell'Isola del Ceylan, sieno stra- nieri od indigeni è superiore di uno o due gradi a quella degli europei; onde le latitudini, le stagioni, ed i varii stati della nostra economia influiscono sull’ intensità del calore animale . . H singolarissimo fenomeno che presentano alcuni brati ; de- nominato /bernazione attirò l’attenzione e diresse le indagini del Edwards. A quest’oggetto fece molte ricerche, e giunse a deter- minare le norme della di lai effettuazione , sia promaovendolo artificialmente, sia prolungandone la durata, sia impedendone la produzione. Dimostrò che gli animali, che al loro nascere svolgono mi- nor calore, rimargono. più lungo tempo sotto acqua ( senza pe- rire ) di quelli che manifestano una superiore temperatura. I giovani animali a parità di circostanze consumano meno gas-ossigeno degli adulti nella respirazione. Gli animali che sono capaci di subire senza nocumento della salute una maggiore diminuzione di temperatura , o che produeo- no meno calorico, vivono più lungo tempo nello stato d’asfissìa . Il calore applicato agli asfissi sollecita il loro passaggio alla morte anzichè richiamarli in vita ; il freddo'al contrario riesce più utile, poichè prolunga lo stato vitale negli asfissi . L’ autore nel ricercare quali sono i fenomeni chimici della respirazione negli animali a sangue caldo; arricchisce di nuovi fatti, cinici Sar 59 e di nuovi schiarimenti la fisiologia. L’ ossigeno che sparisce nella | respirazione , è ‘intieramente assorbito e portato nella circola- zione. Vi è ‘assorbimento d’azoto ; esalazione del medesimo ; e formazione di gas-acido-carbonico , il quale non è un diretto prodotto del gas-ossigeno respirato, e del carbonio del sangue , ma invece và risguardato come un’ esalazione di questo liqui- do. Infatti alcune specie di animali immersi nel gas-idrogeno espirano in un tempo dato tanto gas-acido carbonico , quanto ne generano respirando nell’ aria atmosferica : adunque questo gas deve venire somministrato da. altre sorgenti . E certamente probabile che questo gas sia fornito dal canale digestivo , im- perocchè quasi. ne occupa l’intiera ‘estensione , e che mediante l'assorbimento effettuato dai vasi superficiali delle di lui mem- brane', ‘penetri: nel torrente circolatorio. Tutti questi fenomeni, replicati ‘in varie specie di animali, furono sottoposti a calcolo ed a misura : e l’autore espone in altrettanti quadri la serie dei suoi resultati. Il prodotto ‘della traspirazione, tanto negli animali ‘a san- gue caldo, quanto" in quei di sangue freddo, si compone di una massima porzione di acqua, e di una piccola quantità di ma- teria animale. Questa funzione ora è puramente ‘fenomeno vi- tale (trasudazione ), ora fisico ( evaporazione ). L’aridità, il moto, e la diminuita pressione dell’ aria aumen- tano la traspirazione, La trasudazione; sebbene corrisponda per la quantità alla sesta parte del fluido traspirato, disperde una sì notabile proporzione di materia animale , che indebolisce assai più dell’evaporazione . Assegna ,l’ autore le norme colle quali si effettua la traspirazione, i tempi e le condizioni che l’ aumen- tano, o la diminuiscono. Nell’ istessa acqua fredda la traspira- zione ha luogo, ma riesce insignificante se l'individuo trovasi in certo stato di deplezione . L’ assorbimento allora predomina, e non solo compensa le perdite fatte per la cute , ma sibbene quelle del polmone, d'ondè il peso del corpo si accresce. Se la temperatura dell’ acqua è elevata, o progressivamente s’ innalza, la traspirazione prevale all’ assorbimento, quanto più l'individuo si trova saturato ‘di liquido assorbito . ‘ Nell'aria umida l’ assorbimento è pure notevole , e contro- bilancia le perdite fatte per trasudazione. La traspirazione promossa da calore accresciuto persevera per qualche tempo, quantunque questa causa cessi d’ agire. Nel processo della digestione o nel sonno si traspira me- no. Replica 'evrinnuova quindi l’autore le ricerche ' dél nostro 4 60 1 perseverantissimo Santorio: rettifica alcuni dei di lui aforismi, altri ne conferma, e per, questo, lato quasi completa la di lui Statica ; opera celebratissima, che è il frutto \dei. sudori e della pazienza. di quarant'anni. Termina l’autore le di lui esperienze, dimostrando che la luce favorisce lo sviluppo delle forme degli animali, e reputa quindi l’insolazione un efficace: mezzo curativo. Esamina final- mente gli effetti della luce, e quelli dell’ elettricità. Ci duole che la natura. d’un estratto, e .l’ indole di que- sto giornale ci obblighino a passare sotto silenzio tanti esperi- menti e tanti, fatti importanti dall’Edwards scoperti, ed ‘espo- sti. con somma precisione di termini, con esemplare modestia, e..con ;rigorosa, parsimonia, di parole. Nè vale a supplire, tante omissioni, il, tenere proposito, come imprendiamo, di alcune ap-! plicazioni igieniche. e patologiche che egli ha desunte dai suoi. principii, e dalle sue esperienze. L’angustia , egli scrive, e la difficoltà di respiro, che al. cuni provano nel bagno , nasce per effetto dell’ impedimento: che l’acqua pone al contatto dell’ aria. L’ ansietà ;..e 1’ oppressio- ne ..che, affetta, coloro che si elevano considerabilmente , dal. li- vello, del. mare , ripete in causa l’ abbondante ,evaporazione del polmone e della cute; tanto è ciò vero, che se. al. sopravvenire di.qualche. cambiamento atmosferico , l’aria divenga umida, con- dizione, che le diminuisce la capacità dissolvente, questi sconcerti cessano . Sebbene. il.;nostro autore si. mostri cotanto ligio, ai fatti, non si astiene però dal presentare talvolta qualche, congettura, come una deduzione delle .di lui esperienze, Attribuisce!, quindi i. pericoli della. pueumonitide . ai ca nuiti, rapporti dell’ individuo, coll’ aria, per, effetto della flogosi , e dell’ ingorgo. polmonale, nella quale condizione decrescono i mezzi di raffreddamento che sono essenzialissimi.al mantenimento della vita, La peripeumonia è meno funesta nei ,giovani. che negli adulti,( ciò che meriterebbe. verificarsi ) perchè i ..primi producendo minor. calorico, sensibile, hanno minor, bisogno. di raffreddare coll’ intermedio della traspirazione polimonale.. Il sa- lasso, egli dice,.giova in ‘queste malattie, perchè diminuendosi col medesimo gli elementi produttori del calore; si rendono meno necessari i mezzi di equilibrare col. raffreddamento la: tempe- ratura . L'momo per la struttura della sua cute è il più idoneo de- gli..animali semotermi (a sangue,.caldo ) a risentire |.l’ azione 61 dell’aria, onde ci dispensiamo dal dimostrare quanto sì renda utile esporlo a questa nei casi di asfissia. E qui torna in ac- concio avvertire che la temperatura elevata nuoce in questa con- dizione di vita latente, come in qualunque limitata respirazio- ne , onde il calorico non sì adopererà nell’asfissia che per poco tempo, leggermente, e di passaggio, e solo a fine di eccitare i moti respiratorii. La deplezione di sangue togliendo l'individuo dal grado di saturazione, deve facilitare l’ assorbimento. Perciò dopo i pro- fluvii cruenti, e dopo i salassi, colle bevande promuovesi un fa- cile assorbimento , e si compensano sollecitamente le perdite fatte. La dieta, e le bevande acquose rendendo il sangue meno animalizzato, e meno generatore di calorico ; pongono per così dire gli animali emotermi in condizioni analoghe a quelle de- gli animali a sangue freddo; d’ onde emerge che con tale regi- me di vita potranno i primi resistere ad una respirazione limi- tata, e ad una folla di altre cause deleterie. L) Eccoci al termine dell’articolo; ma pria di deporre la penna non possiamo astenerci dall’esprimere un sentimento del nostro cuore , e dal rendere un giusto tributo al merito di questo va- lente fisiologo . Se il genio inspira venerazione ; se il talento si rispetta e s'ammira, perchè l’ uno e l’altro sono qualità insite dello spi- rito; quanta mai lode debbesi a colui che senza prevenzione interroga la natura , che con pazienza persevera nelle sue os- servazioni, che instituisce moltiplicate esperienze, e che lunghe veglie vi consacra ? Gli arditi slanci del genio senza sforzi si fanno strada; a colui che è così felicemente dalla natura favori- to, e che si trova nelle circostanze di svilupparlo , facile cam- po si offre: Ma copiose e delicate esperienze, monotone e per la qualità e per l’oggetto richiedono da una persona di animo libero ed ardente, e di sublime talento energica volontà, e sa- crifizii non pochi. Gli sforzi del genio riescono alcune volte delirii dello spirito, o verità ideali, ma la perseveranza ‘nelle esperienze e nell’ osservazione , svelando fatti, arricchisce la scienza. BASEVI. 62 Lettera del conte Leopoldo Cicognara; in risposta a. quella del sig. P. Giordani sulle pitture in porcellana (*) . Mio carissimo e prezioso amico. Venezia 16 gennaio 1825, Oh la bella, succosa, saggia, e gentile letterina che hai prodotta nell’ottimo giornale! Io mi vi sono deliziato siccome in ogni cosa tua, e vi ho trovato tutto l’ accorgimento nel trat- tar la materia internandosi quanto bastava all’intelligenza di quelli cui sono ignoti i misteri dell’arte. Chiunque può go- derne, istruirsi, giudicarne. Molto vere sono le imperfezioni riconosciute nei metodi della pittura in uso, fuor che. negli smalti che sfidano l’onta di mille secoli, e ne abbiamo saggi non dubbi nelle cose Egizie trovate, che sono coperte di quegli intonachi di smalto com’erano ai tempi di Ramesses e di Sesostri. Sarebbe stato desiderabile che a’ tempi di Raffaello fosse stato più in uso che non era questo metodo. Vi sono però nel cinquecento smalti assai. belli e lavorati in Italia e in Fiandra , in ispecie quelli della conosciutissima manifattura di Limoges. Se non ne ‘avessi veduti di sorprendenti non farei questa annotazione; benchè il più mancanti del colorito; e rap- : presentanti preziosissime composizioni in chiaro scuro tolte da opere somme, e dai cartoni e dai disegni del Primaticcio, del Rosso, di Pierino del Vaga e anche di Raffaello, senza par- lare degli smalti più preziosi per antichità che datano dall’epo- ca dei famosi Nielli Ericordi come quel mostruoso ingegno del Cellini conosceva lo smalto, e ne usava colorando con meravi- glia piccoli oggetti d’ altissima preziosità. Ciò ho voluto notare per restituire alcun poco d’onore alle arti nostre negli antichi tempi, riparandole da quel poco credito che avevano le maio- liche di Pesaro in confronto delle piastre»d’ oro anche in al- lora coperte di finissimi e preziosissimi smalti. Io credo più che ognuno allo spavento che tutti ebbero di cimentarsi a un gran quadro per le immense difficoltà da te saggiamente av- vertite, e convengo che il sig. Constantin sia il più insigne (*) Quantunque meramente familiare, la lettera del conte Cicognara è sem- brata sì corrispondente a quella erudizione e a quel fino giudizio che tutti co_ noscono in lui, da farcì credere che ne sarebbe graditissima la pubblicazione nell’Antologia,, 63 trionfatore dei sommi ostacoli che si presentano in questa ope- razione: ma ho vedute altre cose mirabili nelle efficine di Vien- na, di Dresda, di Berlino; di Parigi; ove non solo i quadri degli Olandesi solertissimi imitatori de’ fiori cospersi di rugiada furono emulati, ma trovai ragionevolmente imitati anche quadri di autori classici, con un yalore da non esser coperto d’ obbli- vione. Ciò non attenua anzi accresce il merito del mio ama- tissimo sig. Constantin; che se io convengo esser egli in que- st’ arte salito più alto d’ogni altro, è molta maggior gloria per lui aver emulati e vinti de’ forti compositori, di quello che gli sarebbe onore l’ aver mietute palme non contrastate. Ho presenti anch'io molte delle opere del sig. Constantin, e sarei vago di possederne pur una, che non fo se non maledire la tenuità delle fortune sempre contraria a’ miei desiderii. Nondimeno amico caro non lasciarti persuadere che la far- tasia calda e veloce potesse mai operare con un tal meccani- smo in un gran quadro. Il distendere quei colori con piccoli pennelli e con sostanze essenziali non ammette certi tocchi, e sopradipinti, e passaggi rapidi, i quali si possono imitare con diligenza (veduto il loro effetto ) ma non si possono gittare sullo smalto in una gran composizione, £ il dipingere per se- zioni in più volte un gran quadro, nel quale si dovesse tro- vare un pieno accordo, diventerebbe impossibile, per troppe ragioni dipendenti dai miscugli delle tinte, dal vario effetto del fuoco, dalla gradazione diversa della fusione, nel lucente delle superficie; c sarebbe uno di quei sforzi pei quali un’ arte in- vadendo il regno dell’altra vedrebbe sacrificarsi il più bello de’ suoi risaltamenti, l’ insieme, l’ accordo, il getto d'un’ ope- ra grandiosa. Che quando un sommo artista ha con tutta la profondità delle cognizioni digerito il suo concetto, fatti studi, | contorni, prove, e infine anchecon diligenza fissato e dipinto un cartone, è allora interamente finito il lavoro della lentez- za, e il ridurre l’opera a fresco su d’una gran superficie di- venta allora l’ ufficio del genio : il pennello mette le ale; e non temendo d’aver a pentirsi vola sulla superficie per ampia che sia, e disprezza tutto il gelo dell’esecuzione. Michel Angelo , Rafaello, Tiziano, Coreggio, Domenichino, i Caracci dipinsero in ore quasi più che in giorni le grand’opere per cui i loro nomi sono immortali; e non avrebbero potuto fare altrimenti ; dopo che il paziente esercizio fu consumato nei preparativi, cioè nei cartoni. Conchiudo che chi fa il cartone non può che dipin- | gere poi rapidamente, e neppure all’olio, ma in un modo più 64 | pronto e più fluido, cioè coll’ acqua. Or danque ‘non si po- trebbe in gran dimensioni esercitare la forza d’un grande in- gegno assoggettato ai modi indispensabili e lenti dello smalto. Bisogna poter dipingere a//4 prima. Capisco che si possono però arrivare a fare quadri da Ga- binetto ; e che questo metodo è angelico per mandare ai po- steri. memorie. preziose in più piccolo modulo di opere divine. Santa cosa sarebbe il dilatare e perpetuare la pittura a smalto a questo oggetto: e vorrei che una compagnia d’artisti facesse il giro delle prineipali gallerie dell’ Europa. Siccome in questo particolare mi hai parlato con calore e verità di quell’Angelo «di Leonardo, così pure mi lusingo vorrà esser tratto in smalto dal Constantin, e multiplicata e serbata alla perpetuità quel.- l’opera singolare. Oh quante belle cose in quella tua lettera, e in particolare modo bellissimo quell’appello ai principi di do- nare utili cose, e non scatole d’oro e vasi murrini o gem- me per pascere il lusso soltanto. Se non che venendomi. in mente molti doni fatti d’assai buon garbo da principi, mi è stato grato, ed ha diminuito il mio rancore il memorare i doni del museo Fiorentino, del museo Clementino , dell’opera d’Erco- lano, dell’Iconografia in foglio di Visconti, e il grand'operone dell'Egitto, che alcuni principi di buon senno donarono a molti in questi ultimi tempi: (1) siccome nei più remoti gli amba- sciatori delle estere potenze venivano in Francia regalati della bellissima e oggi assai rara collezione di volumi illustranti il gabinetto di Francia, per cui gli Edelink, i Drevet, i Mas- son, i Nanteuil siedono ancora maestri dell’imitata ma non vinta loro abilità nell’intaglio. Non ti avrai a male di tutte queste mie, riflessioni, che non per pedanteria ma per amore dell’ingenuità ho qui scritte a te maestro. d’ogni bel dire, e d’ogni alto pensare. Scusane i diritti della santa amicizia: tiem- mi vivo nella memoria di Gino, di Niccolini, e d’ogni altro comune amico, e credimi sempre col cuor pienissimo il tuo L. C. (1) Il re Luigi XVIII. donò al Conte Cicognara un grande esemplare della Iconografia, e l’opera sull’ Egitto . 65 Sacra famiglia. Quadro in tela del Brioschi. Il sig. Brioschi, nativo di Firenze, dopo avere studiato l’arte del disegno in questa accademia di belle arti, si trasferì in Pietroburgo, dove tuttavia dimora , fatto ivi partecipe degli onori accademici. Quindi non cessando dallo studio , ha dipinto una sacra famiglia; della quale così ragionarono, quando fu esposta al pubblico, i compilatori del giornale russo il Corn- servatore imperiale a dì 30 di novembre 1823. »» Il sig. Brioschi accademico e pittore d’istoria, ha espo- sto all’Ermitage un quadro, che rappresenta la Sacra Fami- glia. Quantunque questo soggetto sia stato già dipinto da più famosi artisti, il sig. Brioschi l’ha trattato in modo nuovo ed interessante. La. vergine in ginocchio presso la culla del bam- bino solleva con la sinistra il velo che copriva il figlio, e con la dritta sostiene S. Giovanni che ha l'agnello a fianco e la croce innanzi con la bandiera, in cui sta scritto: ecce agnus Dei. La composizone è bella; il disegno è corretto e le figu- re sono bene aggruppate, se non che pare alquanto sforzata la collocazione di S. Giovanni .e del bambino, Il panneggia- mento della Vergine è fatto con molto artifizio: e la totale espressione è assai bene accomodata alla santità e nobiltà del soggetto , Questo quadro nell'insieme fa onore al sig. accade- mico Brioschi. La critica però ha notato, che i geroglifici rap- presentati nel fondo sono fuor di luogo; perciocchè , se l’ar- tista ha voluto rappresentar la scena in Egitto, non v'è testi- monianza evangelica nè istorica, la quale faccia menzione, che S. Giovanni accompagnò nella fuga in Egitto la sacra famiglia. Il sig. Brioschi non solo ha cercato di meritarsi i voti degli artisti, fra i quali ha l’onore di essere aggregato; ma esponendo questa produzione all’ Ermitage ha woluto ancora attestare par- ticolarmente la propria gratitudine al marchese Torrigiani di Firenze suo illustre protettore. ,, Noi abbiamo riferito le suddette parole per dimostrare l’imparzialità de’ nostri ragguagli. Il quadro è pervenuto in Firenze: ed il marchese Torrigiani lo ha collocato nella sala del suo palazzo , convitando a un tempo gli arlisti e gl’ intel- ligenti. Nè questi non hanno fatto giudizio diverso al sopra ri. ferito, inanimando così il marchese Torrigiani a seguitare l’aiuto suo a’ giovanetti. Egli non poteva ricevere più gentile prova dal suo creato, quanto in vedere l’arme della sua famiglia T. XVII. Febbraio 66 ritratta nella culla del santo bambino. Non sia questo cagione di. critica. L’egregio artista ha consacrato in tal modo la riconoscenza . x. UerTrTtrTTrrmTeo_mn1@@@————T——t———@—14<7|Àz@@@-@»@@-ì VARIETÀ” GEOGRAFICHE estratte dal Bullettino universale del Sig. De FerusSsAc . Descrizione di Boukhara e di Samarcanda. La Bouckharia è un possente regno dell’ Asia centrale . Con- fina al nord con una parte del deserto dei Kirghiz, Kasan , e Aderkand ; all’ est con Naimatchin, e Badachan; verso il sud con Anderab, Balkh , ed Ankoa ; all’ ovest con un’altra parte del deserto dei Kirghiz e Khiwà. La sua maggior lunghezza è di circa 360 leghe , la larghezza è di 320 leghe . Gli abitanti si valutano a circa 3,000,000. La città più importante è Samarcan- da, ma il sovrano risiede a Boukhara . Samarcanda è situata sul Kuan-Daria. Questo fiume esce dal lago Pandjikand ; attraversa il paese da un capo all’ altro, e si perde nel lago Karakoul: le di iui acque si spargono in canali infiniti , i quali passando per le città e i villaggi, irriga- no i terreni, e servono al trasporto del legname, non conoscendo quegli abitanti la navigazione . Samarcanda è ben fabbricata ,, ed ha molte case di pietra, sebbene quelle abitate dal basso popolo lo sieno di terra com- patta . Contiene circa 150,000 abitanti ; 250 moschée ; 4o scuo- le, dove s’ insegna l'arabo e l’ alcorano ; e 3 caravanserragli . Ha 3,000 uomini di guarnigione , ed è amministrata da un go- vernatore civile e militare detto Dewlet-begi. Boukbara, capitale del regno, è situata sul fiume stesso di Samarcanda. È mal fabbricata ; quasi tutte le case sono di ar- gilla. Il palazzo del Khan è immenso, ma informe. La popo- lazione è di 200,000 anime . Ha 400 moschee , 30 collegi, e 10 caravanserragli per i mercanti dell’ India , di Cabul , di Khokhan , della Persia, della Russia ec. Regna su questo paese un Khan indipendente , il di cui po- tere è ereditario . Quegli che ora è sal trono chiamasi Mir-Haider, ha 48 anni, e discende da Tamerlano : il suo figlio ed erede pre- suntivo ha circa 26 anni , è stato generale delle truppe , ed ora vive senza impiego presso il padre . I principali ministri sono : il Kissu-begì o Gran Visir , il Mizas-bek-begì o generalissimo , il Raasbek-da-achà o comandante in secondo , il Mu4uistan-di- 67 vanesarchar , 0 maresciallo generale , il Mirza-Saadick o secre- tario di stato, e il Mirza-gaatour-moushraf , o gran-tesoriere . Questi con 20 consiglieri formano il consiglio di stato , il qua- le presieduto dal Gran-Visir delibera sopra gli affari importanti . Il regno è diviso in 7 governi, detti /wans , ciascun dei quali è retto da un governatore civile . Immensa è la possanza del sacerdozio, Alla testa della sa- cerdotal gerarchia sta un capo , che ha il titolo di Kasou-ka/am. Questi è il giudice supremo ; ed ha facoltà di condannare a mor- te, salvo l'appello al Khan in persona, che spesso cassa la di lui sentenza, e può anche deporlo nel caso d’ ingiustizia ma- nifesta. Egli ha ancora l’ obbligo di render conto al sovrano giorno per giorno delle cause che ha giudicate . La seconda dignità del sacerdozio è quella del Gran-Mubtì , il quale aiuta il Xasou-Kalam nell’ esame delle cunse , citando le leggi dell’ alcorano applicabili alle circostanze , e notando la parte di cui gli sembra certo il diritto: ma il solo Kasou-kalam di la sentenza. Nel terz’ ordine de! rango sacerdotale sono i Kasouourdas, de' quali ve ne son due a Boukara, due a Samarcanda, ed uno iu ciascheduna delle altre grandi città ; essi stanno con gli altri sacerdoti inferiori nel medesimo rapporto, che il Kasou-kalam col gran Mubtì. L’ esercito ascende a 150,000 uomini di cavalleria regola- re, oltre l’artiglieria e la fanteria che è poco numerosa ; del- le quali forze ha la direzion generale il Kissu-begi senza mai commandarle in persona. Ha questi sotto di sè molti generali responsabili personalmente com la testa delle loro operazioni in tempo di guerra. Il Kkan regnante ha talvolta comandato in persona ; egli ha ancora le guardie del corpo incaricate della cu- stodia del palazzo , e di quella del sovrano in campagna. e in viaggio. I capi di questa guardia sono due Usaitschi Bachì. La classe più importante del popolo dopo i sacerdoti è quella dei mercanti. Il commercio è l’ occupazione dei cittadi- nì ; la filatura e tintura del cotone e della seta, le fabbriche di. abiti, sono i loro abituali lavori , particolarmente delle donne, . le quali condannate alla servitù e alla clausura , come in tutti i paesi maomettani , lavorano mentre gli uomini , che esercita- no fuori la loro attività, quando sono in casa, non fanno che cantare arie religiose » 0 giuocare , o bere liquori spiritosi . Que- sti divertimenti però proibiti dall’ alcorano , e dal governo pu- | miti, se li procurano in segreto per mezzo dèi giudei . 68 Gli Usbeki, i Tarcomanni, e gli Ebrei soltanto sono sog- getti alle imposizioni . La rendita principale del governo con- siste nel terzo dei fitti del demanio della corona: se il posses- sore trascura, o non sa trar profitto del suo terreno, questo gli vien tolto e dato ad un altro. I Turcomanni abitano quella contrada detta Boukharia , che sta fra Seraksa, Marva, e Djardja , presso il fiume Amou-Da- ria , sotto 90,000 Kibitki o tende, per cui si contano 900,000 anime . Questi popoli danno al Kkan circa 50,000 uomini di ca- valleria. Da quasi 20 anni hanno contratta 1’ abitudine di una vita sedentaria, molti hanno fabbricato delle case, ed attendo- no all'agricoltura , ma non fanno commercio : posseggono greg- ge numerose, e cavalli buonissimi; pagano per imposizione al governo un capo di bestia sopra ogni 4o : non sono soggetti al Khan che da 25 anni in poi, e prima vivevano indipendenti fra questo regno e la Persia , Gli Ebrei, che abitano Boukhara e Sort sono da 40,000. Sebbene molti di essi sien ricchi, sono tuttavia disprezzati. La temperatura è generalmente calda ; nulladimeno nei di- stretti del nord ovest è fresca, ed anche fredda. La primave- ra incomincia presto : l’ estate è calda ed asciutta ; onde gli abi- tanti sono costretti di ricorrere alle irrigazioni artificiali : l’ au- tunno è piovoso : l’ inverno meno freddo che in Inghilterra , dà poca neve, e dura non più di tre mesi. .Il terreno è generalmente un’ argilla sabbiosa: vi sono mol- ti giardini che producono assai. Il maiz vi è abbondante, è il cibo comune , e se ne esporta ancora in quantità . Il cotone, di cui si fa ancora grande esportazione, è il prodotto principale del paese. Le gregge son numerose , ed in ‘Turchia , in Russia , nel- la Cina l’agnello di Boukharia è molto stimato. Abbondano non meno i cavalli, fra’ quali passa per la migliore la razza tur- comanna detta argamath. Non vì sono boschi, che presso il lago Pandjikand. Non vi si trovano nè metalli , nè pietre pre- ziose . I Boukhari fanno commercio con la Russia, la Cina , {’ In- dia, con i regni di Caboul, di Kashemire , con la Persia , il Khoukan, Kiwà; e i kirgi kaissaksz, Il commercio con la Russia è stato finora di poco momen- to. I mercanti russi cristiani pagano il cinque per cento del va- lore del capitale ; i sudditi maomettani della Russia , che fanno con la Boukharia il commercio principale , non pagano che il due e mezzo. 6 Il prodotto totale delle imposizioni sul commercio si Di luta 47,000 ducati di Boukharia, il quale denaro assicurasi ; che dal Khan è impiegato al mantenimento dei poveri . Timour-chah re di Caboul non potè conquistare , 30 anni fa, la Boukharia. Si avanzava con numeroso esercito quasi cer- to della vittoria, ma Mir-Mansoum , il quale regnava allora in Boukharia , con una celerità ignota alla diplomazia asiatica , for- mata una lega con i popoli del Turkestan , del Khoukhan , coi Turcomanni , e gl’ Issaresi , sconfisse completamenle i suoi ne- mici, e gli Afghani furono disfatti presso la città di Khiwà sol fiume Amouh-Daria . Lo stato possente della Bonkharia non è separato dalla Rusa sia che per il deserto dei Khirgis, ed è importante per quel- l’impero, sia per il commercio , sia per i progetti che esso po- trebbe formare contro la Persia o contro l’ India . La Russia ha conchiuso col Khan per mezzo dell’ultima ambasciata (*) un trat- tato di commercio, per cui sono state stabilite corrispondenze più regolari fra i due stati, i quali hanno aceresciute fra loro da quel tempo in poi maggiori relazioni di traffico. Nulladime- no le tribù , che abitano i deserti e le vicinanze del Mar Caspio, indomite , feroci, e selvaggie , pongono coi lor ladronecci gran- di ostacoli a tal commercio , e a qualunque ambizioso proget - to da eseguirsi di là dal deserto . Corrispondenza fra V Inghilterra e l'India: difficoltà di sta- bilirla per il mar Rosso col mezzo dei battelli a vapore. Abbiamo già parlato di un progetto di communicazione più rapida dell’ attuale , fra la Gran Brettagna e i di lei possessi nell’ India, communicazione da farsi per l’antica via del Mediterraneo e del mar Rosso con pacbotti a vapore. Si troyano in un giornale inglese Orient. Herald) alcune osserva - zioni per provare, che l’ esecuzione di questo progetto non è da sperarsi. Il piano infatti suppone un viaggio per mare fino ad El-Arish salle frontiere del deserto posto fra la Siria e l'Egitto: vorrebbe poi, che si andasse a traverso l’istmo di Suez in caro- vana, quindi che si discendesse per il mar Rosso, toccando’ Moka e Socotora, e finalmente che attraversando 1’ Oceano Arabico, si dirigesse il camino a Cochin, Trinquemale, e Calcutta. L'autore di cui parliamo, oppone a questo piano, da El-Arish in poi, l’ a- (*) Vedi Antologia vol. II. pag. 159. e 354. 79 narchia di quel paese; il pericolo di essere svaligiati dagli Arabi beduini, dai Siri, e dagli Egiziani, che infestano il deserto ; le spese delia strada fino a Suez, fra le quali convien comprendere quelle necessarie per ottenere dai bascià di Siria e di Egitto la protezione contro le tribù arabe; la difficoltà grandissima di prov- vedere il carbone bisognevole per i pacbotti; la tema di vedersi togliere queste indispensabili provvisioni dalle autorità locali di Moka e di Socotora, le quali vorrebbero esigere denaro dalle na- vi; e la quarantina necessaria a farsi in Inghilterra e nell’ Indie in tempo di peste; e finalmente quanto sarebbe impossibile che la Gran Brettagna mantenesse da per tutto le forze necessarie a proteggere questa navigazione, senza che le spese ne superassero gli utili. Queste obbiezioni non sono tanto gravi se vengo no applicate ad un altro progetto, di cui sembra cite gl’ inglesi si occupino più seriamente. Il qual progetto consiste neì fare il viaggio da Londra a Bombay per Lisbona, Malta, Alessandria , il Cairo, Suez, Moka, e Socotora. Queste città sarebbero le stazioni dei pacbotti, e il tragitto potrebbe farsi in 35 giorni. Una compa- gnia ha già fatto per questa impresa un fondo di 300,000 lire sterline, e i negozianti di Calcutta hanno sottoscritto per 10,000 lire sterline. Nuiledimeno gl’impedimenti sopra esposti contro l’altro pro- getto restano in parte applicabili a questo, come la necessità delle quarantine, la difficoltà delle provviste di viveri, acqua, e car, bone per i bastimenti nei porti di Suez, Moka, e Socotora , e la rapacità dei possessori dei due ultimi luoghi. Ma quanto a que- st’ ultimo inconveniente, la potenza formidabile dell’ Inghilterra in mare potrebbe facilmente far rispettare il suo paviglione, ed assicurare i suoi naviganti dalle ingiurie e dalle vessazioni. Notizie d’un Viaggio fatto per il territorio di Arkansa nel 1819. Comparando una carta attuale dell’ America settentrionale con quelle di 20 anni indietro, fanno meraviglia i cambiamenti che vi si scorgono. Le geografie di Morse e di Guthrie danno nozioni contrarie affatto a ciò ch’ esiste. Il fiume Missourì era conside- rato come un braccio del Mississipì, e la di lui estensione era in- certa; ora è l’ oggetto della universale ammirazione. L’ Arkansa, e gli altri fiumi dell’occidente erano appena conosciuti di nome, e se ne aveva un’idea molto inferiore alla loro reale impor tanza. Altronde supponevasi che i fiumi occidentali, di tà dalle sorgenti 1 dei fiumi Mississipîì e di S. Lorenzo , sì perdessero all’ cuest in un fiume immenso, non veduto mài da nissun Europeo, e creduto sulle assersioni degli Indiani, che si gettasse nel mar pacifico ver- so il 43°. di latitudine. La spedizione di Lewis e di Clarke, il viaggio di Pike, e le relazioni di alcuni osservatori negozianti e militari, hanno dato un nuovo aspetto alla geografia di que’ vasti paesi. Si è ricono- sciuto, che il Missourì non è un fiume tributario, ma dominante, ed il più grande di tutto il mondo noto fin ad ora. La Plata, l’Arkansa, e gli altri influenti di quel prodigioso ricetto d’acque, sarebbero fiumi di prim’ ordine nel vecchio continente. Citando il Missourì come il maggior fiume del globo, vi comprendiamo ancora quella parte del Mississipì , che è sotto al confluente dei due fiumi; perciocchè non può negarsi, che quell’ immenso vo- lume d’ acqua sia piuttosto la continuazione del Missourì, il quale ne versa nel canale il quadruplo di quella del Mississipì. Di più il corso del Missourì, prima d’incontrarsi col Mississipì, è il dop- pio di quello del suo affluente ; così dalla sua sorgente, nelle ‘montagne di Retra fino all’ imboccatura nel golfo del Messico, percorre un’ estensione di 4 o 5 mila miglia. Il volume apparente delle sue acque non diminuisce punto risalendolo per 3 mila mi- glia, ed il sig. Brackenridge ci fa sapere, che verso il villaggio di Mueda è tanto largo, quanto verso la Nuova Orleans. Più sopra il Missourì riceve un tributo di correnti uguale al Da- nubio, nè verun altro fiume bagna terre di uguale estensione, o serve di legame fra climi sì diversi e lontani. Perciò l’ Amazone, già creduto il primo de’fiumi, ha appena un corso, che è tre quarti di quello del Missourì. Cotali progressi della geografia nell’ America settentrionale, sono frutti dell’ intrepidezza di viaggiatori istancabili, che han- no sopportato la fame, il caldo, e il freddo , tutte le privazioni ed i pericoli d’ogni genere con un coraggio da stoico. Fra i quali distinguesi certamente il sig. /Vutta/, già noto per altre sue opere, come per /z descrizione dei generi delle piante dell’ America settentrionale in due volumi, e per l’ Abbozzo geologico della Valle del Mississipî , opera che contiene tali notizie , quali egli solo era in caso di somministrare. Il suo zelo gli ha fatto scor- rere non solo le contrade incivilite e coltivate, ma ancora i de- serti, e i luoghi più reconditi del continente americano. Egli ha visitato le coste degli Stati Uniti, dalla nuova Inghilterra fino alla Georgia, e alla Nuova Orleans; ha costeggiato a piedi il lago Erié, ha navigato l’ Huron, e il Michigan, portandosi quinci per 2 i fiumi di Fox e di Quiscousin nel Mississipì, e discendendo poi fino al fiume S. Luigi. Fa uno dei componenti la spedizione, che ri- salì il Missourì fino al villaggio di Manda nel 1810, del qual viaggio pubblicò la relazione il sig. Brackenridge, e loda il sig. Nuttal come un viaggiatore di rara istruzione e capacità. Nel 1819, il sig. Nuttal medesimo ha fatto un altro viaggio da Filadelfia a Pittsburg, donde discendendo l’ Ohio e il Missis- sipì fino all’ imboccatura dell’ Arkansa, risalì questo fiume fino alla Gran Salina. Quindi fece una corsa sulle rive del fiume Rosso, per il Pottoe, e la Kiamesha , e discese l’ Arkansa e il Mississipì fino alla Nuova Orleans. Indicheremo rapidamente le principali circostanze, e i risultati principali di questo suo viaggio. Giunto a Pittsburg, continuò il suo cammino per barca fino a Louisville, e non avendo altri mezzi di trasporto, seguitò il corso dell’ Ohio e del Mississipì in un semplice battello, con due soli compagni di viaggio. In tre mesi (dai 15, Ottobre alla metà di Gennaio), senza aver corso pericolo , giunse all’ imboccatura dell’ Arkansa. Una corrente unisce il Fiume Bianco e l’Arkan sa; ma le acque di questo fiume sono rosse e limacciose per causa degli affluenti, che riceve dal lato di mezzo giorno, e per il fange pregao di sale che vi portano gli stagni o laghi. del paese vicino. Quivi l’ Arkansa fa una cascata assai bella", e larga all’incirca 600 piedi ; il suo letto è tortuoso come quello del Lfississipì. Alcune miglia più lontano, il fiume si precipita per una gran caduta cagionata dal riflusso del Mississipì. Questo luogo he un aspetto selvaggio, e non vi si trovan che alberi senza neppure un abitante, nè una rovina che indichi esservene stati mai. La natura vi apparisce quale uscì dalle mani del Creatore . Il vasto territorio è coperto di stagni o laghi fino quasi alle rive del Mississipì: da un lato dell’ Arkansa fino al Fiume Bianco il terreno è coperto da inondazioni per lo spazio. di 3o miglia, e per ridurlo a cultura vi farebbe d’uopo di un’ industria simile a quella che fece emergere dall’ Oceano |’ O- landa. Alcane miglia più sopra è posta la città, o la stazione di Arkansas, composta di sole trenta o quaranta case; quivi sì coltiva il cotone ed il riso. Da Arkansas a Quadrant, è una distanza per acqua di circa 300 miglia, nel quale spazio tro- vansi varie piccole piantagioni. Seguitando il corso del fiume, giunse il sig. Nuttall alla stazione di Braidstown, nel qual paese trovansi delle tribù indiane. Ducento miglia sopra Quadrant, 73 trovasi il forte Smith, posto il più avanzato degli Stati Uniti sul fiume Arkansa, nel luogo, in cui si unisce al Pottoe. Riposatosi per alcune settimane, il sig. Nuttall si unì ad un distaccamento americano, inviato dagli Stati Uniti per di- seacciare alcuni coloni stabilitisi sul territorio ceduto dagli Stati medesimi agl’indiani Osagi; ed ebbe così occasione di passare il paese deserto fra l’ Arkansa e il fiume Rosso. Questa con- trada ora piana, ora montuosa, è popolata di bianchi, i quali fuggono dalle ricerche della giustizia; ma la lor posizione fra gli Osagi, ed i Cherokis gli espone ad esser inquietati dagli uni e dagli altri. lì giorno 6. di Luglio, dopo alcuni cattivi incontri, il sig. Nuttal continuò il suo viaggio , risalendo l’Arkansa. Al di so- pra dell’imboccatura del fiume del Canadà, è la Gran Riviera o il fiume de’ sei Tori. Il fiume del Canadà è navigabile, ed una delle di lui sorgenti è vicina a quella del fiume Rosso: scorre verso il mezzogiorno, ed un ramo di esso, che è diretto verso occidente, va a perdersi nel Rio del Norte. Il sig. Nut- tall entrò quindi nel fiume detto Zert-2e-Gris, e risalì la Gran Riviera, per visitare le saline degli Osagi, le quali trovò quasi abbandonate dopo la morte del sig. Campbell stato assassinato dalle sue guide. Egli ebbe la fortuna di salvarsi da una simil di- sgrazia, che gli veniva minacciata da uno degli assassini, cui era stato sul punto di prendere parimente per scorta. Quando quelle saline erano in attività vi si ricavavano 120 dushels, o staia di sale ogni settimana. Il dì 11 agosto il sig. Nuttall, attaccato già dalla febbre, si diresse a piedi in compagnia di un cacciatore di castori, verso il paese dell’ alto Arkansa, incontro il fiume detto da Pike /a Gran Salina. Il racconto, ch'egli stesso fa nell'opera di questo suo viaggio, pubblicata a Filadelfia , de’ suoi patimenti in mezzo alle privazioni di ogni cosa, alle difficoltà della via in paese senza strade praticabili, dove è facile smarrirsi, alla continuaz ione del male, che non abbatteva il di lui coraggio, ma lo metteva spesso nel pericolo della morte, alle inquietudini nello scontro di po. polazioni indiane di disposizioni equivoche o incerte, eccita mol- to interesse. Giunse finalmente al domicilio di un negoziante, dove trovò asilo e riposo . Questo viaggio presenta molte nuove cognizioni agli amato- ri delle scienze per la botanica e la geologia, e una pittura delle mazioni indiane , che abitano ancora quelle immense foreste. Vi si trovano inoltre dettagli sulla popolazione aborigena delle rive de ! Mississipì e vicinanze, un’ istoria dei Natchez, delle osservazioni sopra i Chickasas, e i Chactas, ed i vocabolari comparati delle lingue delle tribù da lui visitate. Il sig. Nuttall è stato nominato nel 1822 conservatore e pro- fessore del giardino botanico di Cambridge nella Virginia; il qual posto, che gli assicura una quiete meritata con aver corso tanti pericoli, promette un’abbondante rac colta di varie e novelle istru- zioni ai di lui discepoli . Estratto di un viaggio fatto sulle coste del Chili, del Perù, e del Messico. Il capitano Hall, già noto per un viaggio fatto alle isole di Loo-Choo, o sia di Lioeu--Kioeu, commandava il vascello bri- tannico il Corway, con cui doveva nei 3 anni 1820, 1821, 1822 incrociare i paraggi della costa occidentale dell'America meri- dionale e del Messico, per invigilare su gl’ interessi del commer- cio inglese. Raddoppiato il capo Horn, egli arrivò a Valparaiso, d’onde fece una corsa a Santiago. Questa capitale del Chili è distante 1,365 miglia da Buenos Ayres, con cui ha aperta una regolare comunicazione ; ed i corrieri fanno questa strada in 12, e talvolta in 11 giorni, il che torna circa a 114 miglia per gior- no. Il sig. Hall parla nella sua relazione delle rivoluzioni del Chili e del Perù dirette dal general San-Martin, rammenta le imprese di Lord Cochrane, e descrive un ponte sospeso a delle corde o fasce di cuoio sul fiume Maypo. Nota poi fra gli altri aneddoti, come un eccclesiastico di Valparaiso era così mal pre- venuto contro la lingua francese, che considerandone lo studio come un delitto, lo proibiva ai suoi penitenti. Il capitano Hall avendo fatto una corsa alle miniere del Chili, fa la descrizione di quella di rame detta la Gloria, che trovasi a Guasco, e di quella d’argento detta la Santa Clara a Copiapo. Secondo un proverbio del paese, colui che scuopre nel Chili una miniera di rame, arricchisce; una di argento, può sperare di cavarsene bene; una d’oro, è rovina- to; e l’evento giustifica il detto. Delle miniere di rame ve ne sono più centinaia ; ogni cinquanta di rame ve n’è una d’oro, ogni quindici una d’argento. Il prodotto medio di una miniera di rame è stato in questi ultimi tempi più di 60 mila quintali all'anno peso di Spagna, di cui la maggior parte sì esporta a Calcutta, una quantità mediocre si spedisce alla Cina, e il rimanente agli Stati uniti ed in Europa. L’ esportazione i 75 annua dell’argento, che si estrae dalle miniere suddette, può valutarsi a 20,000 marchi a ragione di 8 dollari il marco, L’ esportazione annua dell’ oro è di minore importanza atteso il poco utile. Dice il sig. Hall, che i risultamenti dati dagli av- venimenti del Chili e delle colonie spagnole, saranno favorevoli alla libertà del commercio. Il mercato di esse colonie esten- dendosi per il mondo intero, poichè il commercio ne è aperto con tutte le parti del globo, è diventato molto più conside- rabile. La quantità delle domande ha fatto alzare il prezzo del rame ; il riba sso degli oggetti necessari allo. scavo delle mi- niere, ne ha diminuite le spese; e, da un prospetto compara- tivo de’ prezzi antichi con gli attuali, vedesi che quello delle derrate e mercanzie è scemato per la metà o per un terzo, mentre quello del metallo è cresciuto il doppio. Il nostro viaggiatore ha poscia visitato Payta distrutta da Lord Anson nel secolo decimottavo, e Guayaquil porto di Quito» celebre per la beltà delle sue donne. Questa città , che in mez- zo alle guerre tra il Perù e la Columbia si è costituita indi- pendente, conta 20,000 abitanti, e So mila nel suo territorio. Lasciando Guayaquil, il vascello fu alla vista delle isole di Gallopagos, vulcaniche, disabitate, e sparse sopra una linea pa- rallela all’Equatore 200 leghe distante dalla Terra ferma. Il ca- pitano Hall si fermò in una di queste isole posta al nord della linea 30 miglia, per farvi alcune sperienze col barometro inva- riabile del capitano Kater, dalle quali risultò, che la lunghezza del pendolo a secondi era di pollici ingiesi 39, 01717. Il dì 16 Gennaio 1823, il sig. Hall fece vela per Panamà, dove gettò l'ancora il dì 2 Febbraio a vista delle coste del Mes- sico. In quel momento gli abitanti di quella città si erano di- chiarati indipendenti, ma protetti dal generale di Columbia. Sotto il governo spagnuolo; Panamà era la città più libera di quelle colonie di là dall’ Atlantico; perciocchè il suo commer- cio perpetuo con le Indie Occidentali, e la sua situazione sull’istmo ne facevano l’ emporio dei prodotti d’ Europa per il Perù, e le coste meridionali del Messico; onde superava in ricchezze tutte le città di quei contorni. La rivoluzione fu fatta con la massima calma: nell’assenza delle truppe spagnuole venne inalberata la bandiera della Columbia, proclamata la libertà del commercio , e tutto il resto andò come prima, Ma Panamà ha perduto molto dell’antico splendore, dappoi che i legni stranieri raddoppiando il capo Horn, fanno le lor provviste altrove a miglior mercato. 76 Gli abitanti però si studiano di stabilire a traverso l’ istmo ‘una commupicazione fra i due mari; anzi alcuni di essi preferirebbe- ro all’apertura d'un canale, una buona strada di terra come men difficile e dispendiosa . Il sig. Hall parla con entusiasmo delle vedute pittoresche dei contorni di Panamà. La notte viene con gran celerità ; ma la luna levandosi , abbellisce il paesaggio; e siccome l’aria della matti- na è spesso assai fredda, ed il caldo del giorno non permette di uscir di casa; così non si gode la dolcezza deliziosa della tempe- ratura che dopo il tramontar del sole. Il Conway lasciando Panamà approdò alla piccola isola di Taboga per far provista d’acqua, e poi si diresse ad Acapulco. Una furiosa tempesta lo sorprese alla punta del golfo di 7e- eoantepes circa 300 miglia all’ occidente di Acapulco medesimo, la quale tempesta durò due giorni; e dopo quel tempo il vascello potè finalmente entrare in quel porto, celebre per i ricchi galeoni di Spagna, che di là partivano per le Filippine, come si sa dai viaggi di Anson e dai ragguagli dei flibustieri, Esso è di facile ac- cesso, largo, profondo abbastanza, ha un fondo eccelleate, e vi si sta tanto al sicuro come nel bacino centrale dell’arsenale di Portsmouth. Dall’interno il mar non sì vede; e perciò arrivandovi per terra si crederebbe essere tra montagne. Il Conway era il primo va- scello inglese, che fosse mai comparso ad Acapalco: il generale Iturbido, allora dominante nel Messico , fece invitare gl’ Inglesi a portarsi a quella capitale, e non potendo essi accettar quell’ in- vito contrario alla lor missione, non sperimentarono meno l’ospi- talità messicana. Trovò il capitano un giovine Spagnuolo da lui conosciuto a Canton alcuni anni prima, incontro , che gli fu mol- to grato, come suol esserlo a tutti i viaggiatori e naviganti, il ritrovare una persona , che non si sperava di più rivedere. Que- sto antico amico lo accolse a meraviglia + La città di Acapulco, a cui il porto appartiene, non ha oggidi più di 30 case, con un sobborgo composto di capanne. Il capitano si trovò ivi ad una scossa di terremoto, per quanto gli dissero gli abitanti, giacchè egli non se ne avvide, come già gli era accaduto quattro altre volte in America. Fece vela il dì 12 Marzo da Acapulco per S. Blas di California, che prende dalla vicinanza a questo paese il nome, per cui si distingue da altre simili città del Messico. Per i venti contrari impiegò in que- sto tragitto 16 giorni tuttochè non maggiore di 500 miglia, nè perdè di vista per 5 giorni il vulcano di Golima , pico il più alto 77 di quelle regioni. Il dì 28 marzo gittò l’ ancora a S. Blas dopo una navigazione di 4,600 miglia dall’ Isola 22 Moca sulla costa del Chili fino alla California. S. Blas è situata sopra una rupe alta 150 piedi, da tre lati tagliata a picco , dal quarto assai scoscesa , la quale s’ innalza sopra una pianura paludosa e ricoperta assolutamente dalle acque nella stagione piovosa. Il sig. Hall, per interessi del commercio britannico, passò da questa città a quella di Tepeaca , osser- vando, come effetto particolare della libertà del commercio nata dalla rivoluzione del Messico , l’unione che regnava fra gli Spa- gnuoli e gl’indigeni. Tepaeca, dov’ei giunse il dì 31 di marzo, è una città grande e bella situata in mezzo ad una ben coltivata pianura ; dopo Guadalaxara, capitale della nuova Galizia, è la più consi- derabile di quella provincia. Eppure di questa città così bella il sig. Hall poche settimane prima neppure sapeva il nome. Essa è posta nel centro di un bacino fatto da una catena di montagne vulcaniche; è regolarmente fabbricata, ornata di giar- dini e viali d’alberi: un fiume, che le serpeggia intorno, vi mantiene la freschezza e la verdura. Finalmente il Conway raddoppiando il capo Horn ritornò a Rio Gianeiro, dove gittò l'ancora nel dì 12 settembre 1822, dopo un viaggio di 8,000 miglia circa, e tre mesi di naviga- zione, senza avere veduto terra. Spedizione del Barone di YVrangel al polo del Nord. T nostri lettori hanno già veduto che questa spedizione in- teressante, sia per lo scopo, sia per gli ostacoli incontrati nell’e- seguirla, era felicemente terminata, con onore degli uffiziali che l'hanno diretta. Quei viaggiatori, dopo quattr’anni da lor passati nei paesi più inospitali ed orridi del nord ovest della Siberia , do- vevano essere di ritorno a Pietroburgo nell’ aprile dell’anno scorso. Essi partirono da quella capitale nel mese di marzo 1820 onde portarsi per terra ad Irkoutsk. Il barone di ‘Wrangel ne aveva il comando , e lo accompagnavano il tenente An- jou, il contro maestro Mittschman, Matezchkin, de Komin piloto, e il dottor Kiber medico. Secondo le istruzioni ricevute dovevan essi con osservazioni astronomiche da farsi sull’ oceano glaciale, determinare l'estensione della Siberia orientale, e la vera posizione geografica della punta settentrionale dell’ Asia fin qui ignota; dovevan decidere la questione ancor dubbiosa , se lo stret- 78 to di Behring sia realmente un canale che separa l’Asia dall’Ame- rica, o una profonda baia, come asserisce Burney; ed esami- nare con maggior precisione le isole situate al nord del Lena , del Kolima, e del paese dei Tchouktchi . Per dare un'idea della natura di questa impresa, basteran- no due parole sopra alcune delle lor gite sul ghiaccio, una delle quali fu fatta dal barone di Wrangel in persona nel marzo 1822. Egli partì il dì 12 da Nisi-Kolymsk con venti slitte cariche di provvisioni, di legna da fuoco, e cibo per i cani. Essendosi inoltrato nel ghiaccio per circa 150 werst, o 100 miglia inglesi, e trovandosi alla latitudine settentrionale di 71° 56”, seppellì nel ghiaccio la maggior parte delle sue provvisioni , e per diminuirne il consumo, rimandò le sue slitte eccetto cinque, sulle quali riunì le provviste più necessarie ; ed in compagnia di Matuzchkin e di Komin continuò il suo viaggio dirigendosi verso il nord est. Il dì 3 aprile trovandosi distanti 235 miglia dalla costa, arriva- rono ad un mare aperto. Tentarono invano da vari punti di spingersi più avanti verso il nord ; e perciò giunti alla latitudine di 72° 3” furono costretti a tornare indietro, ed avendo riprese le provviste depositate nel ghiaccio , si diressero verso l’est. Giunti al meridiano del capo Chalagskoi, nè avendo trovato verun in- dizio di terra, si rivolsero verso il vero occidente, ma avendo esaurite le provviste, tornarono indietro, ed il dì 27 aprile si ri- | trovarono al punto onde eran partiti, dopo aver passati quaranta sei giorni sulla superficie del mar Glaciale , presso al polo, senza ricovero alcuno. Nel qual tempo il termometro ( di Reaumur ) non fu mai più alto che 15 gradi sotto il ghiaccio, e si abbassò tal volta fino a 24. L’altra gita avea per scopo il riconoscere il mare situato all’est del capo Ghalagskoi. Gli Tchonktchi dicevano che vi esisteva una terra al nord est, al quale si poteva scuoprire a ciel sereno ; e ne valutavano la distanza dalla costa a 80 werst o 54 miglia . Il baron di Wrangel si pose in cammino, mandando Ma- tuzchkin allo stesso luogo per via diversa; ma allontanatosi appena dalla costa per 50 werst, o 33 miglia, una tempesta violenta di più giorni ruppe i ghiacci, onde non solo fu im- possibile di più avanzarsi, ma ancora fu dubbio il ritorno alla costa. Nulladimeno , passati più giorni sopra un banco di ghiaccio natante, fra ghiacci immensi ammontati all’ intorno, esposto a’ massimi pericoli, mancandoli le provviste , giunse con gran difficoltà a prender terra , il che accadde ancora a Matuz- chin dopo ch’ebbe corso i medesimi pericoli . 79 La rottura de’ ghiacci, e la perdita fatta in quell’occasione dal baron di Wrangel delle provvisioni da lui in più luoghi depositate, distrassero qualunque speranza di giungere alla terra indicata dai Tchouktchi, per quell’ anno, e forse per molti altri. Ma se il baron di Wrangel non ha potuto penetrar più avanti verso il uord, l'adempimento delle altre parti delle sue istruzioni non meno difficili, e più importanti, lo ha compensato abbastanza; percioc- chè egli ha visitata tutta la costa dei Tchoukchi dal capo Galagskoi fino presso lo stretto di Behring , cioè fino alla punta veduta da Billings situata 120 miglia al sud est del capo nord di Cook. E se non è giunto fino allo stretto di Behring, non è quello un punto molto essenziale sotto il rapporto geografico, essendo quelle coste già state riconosciute da Cook. Ma insieme co’ suoi com- pagni può darsi il vanto di aver risoluto il problema principale, avendo le loro indagini stabilite, senza poterne più dubitare, l’esistenza sì frequentemente controversa, di un passaggio fra l'Asia e l'America; finalmente di aver determinato per mezzo di osservazioni astronomiche la situazione della costa al nord est della Siberia, prima imperfettamente conosciuta. etti rfaerT——-—=—e_r—e©r]€Ò€©Ò(€e£_t+ ‘"‘ee#rPeeeee‘’‘’‘’‘«’‘’‘i’<<—-’-—’‘<’<<’ Antologia italiana del Cav. Francesco Brancia Parigi, dai torchi di Didot Maggiore, 1823. UrBAnyo LampPrEDI ad un suo amico Direttor dell'Istituto di. . Parigi 25, Dicembre 1824. Avendo io, durante questi miei piacevoli pellegrinaggi, potuto fare alcune osservazioni e confronti di metodi d’istruzione colle loro rispettive risultanze, e volendovi donare d’un libro, anche per parte del suo autore, compilato espressamente per uso vostro, e de’ vostri scolari, ho deliberato meco stesso d’accennarvi al- cune mie considerazioni sull’ordinario antico metodo delle pub- bliche scuole; e non vi maraviglierete se la lettera vi perviene in forma pubblica, perchè ella parlando a voi intende di par- lare a tutti quelli, che desiderano un miglioramento , che può sempre ottenersi nelle umane istituzioni, delle quali una delle più interessanti è senza dabbio la pubblica istruzione. Egli sembra a vero dire, che non fosse affatto destituito d’una cerl’aria di verità ciò che alcuni andavano malignamente . dicendo , cioè, che coloro i quali un siffatto metodo imagina- 80 rono, intendessero sì a un buono scopo morale e religioso, ma che l’istesso non poteva dirsi dello scopo politico. Poichè , soggiun- gevano , esige certamente la buona politica che gli uomini siano buoni, costumati , e religiosi; ma l’esperienza ha dimostrato e di- mostra che se questi uomini sono ignoranti, cioè, se la volontà non è assistita e diretta da libero e illuminato intelletto , poco e difficilmente ella resiste, ancorchè munita di questi sussidii, al- l’ impeto delle passioni scatenate da predominanti comanque fal- se opinioni . Io dico malignamente, perchè nè io voglio cre- dere , nè altri forse crederà che appunto fosse prescelto e ri- tenuto il metodo, di cui parlo, fino dai primi passi del pub- blico e del privato insegnamento per ritardarne i progressi re- lativamente al progresso dell’ età d’un giovanetto, e quindi alla fine di sei, o sette anni si ottenesse il minimo risultato possi- bile quanto al numero e alla sfera delle cognizioni acquistate. Io amo più tosto di figurarmi che il metodo due o tre secoli fa adottato fosse migliore del precedente; e questa supposizione pro- verà almeno, che dopo una sì lunga esperienza se ne potrà in- trodurre uno migliore. A E di fatto, se riandiamo col pensiero il metodo col quale io, voi mio stimabile amico , e mille altri siamo stati nell’ età prima istruiti , ci ricordiamo bene che cominciammo ad entrare nella città delle lettere per quella Zanua linguae latinae , che quasi simile a quella per cui l’Alighieri entrò nella città dolen- te ci mise dentro alle segrete cose , con quelle parole dî colore oscuro, di declinazioni , e di conjugazioni, tribolando la nostra memoria a ritenere vocaboli non intesi dall’intelletto, e strane desinenze; e poi ci parve durare in cterno veramente quando pas- sando da quella alla Grammatica del de Colonia, ossia nella città di Dite, ci comparvero nella forma gigantesca dei Flegias, e dei Nembrotti i precetti della grammatica latina , dei quali doveva- mo infarcir la memoria, e poi eravamo condannati a combat- tere con quei giganti, armeggiando per tre anni prima con in- significanti concordanze , e poi con insulsi /atinucci, o lati- nacci che debbano chiamarsi. Intanto il maestro spiegava dalla sua cattedra in Italiano , cioè , traduceva in una lingua , della quale conoscevamo pochissime voci, da una lingua che parevaci mille miglia distante dalla nostra, fatti, o sentenze che cì era- no incognite quanto i vocaboli che le significavano , e così cam- minando a tentone per una profonda oscurità d’ idee , e de’ loro se- 801, si cominciava a poco a poco ad esser colpiti da qualche bar- lume , il quale non diventava luce se non dopo sei, o sette di anni; e diventava luce per que’ pochi quos aeqguus amavit Iup- piter , cioè che avevano un ingegno più penetrante , od altri mezzi e ricorsi; ma nè questo pure basteva: bisognava ancora che in tante noje, tribolazioni e tormenti non si fossero ad- dormevtati in sì lungo e tenebroso viaggio. Or questa strada, o metodo analitico di giungere dall’ incognito al cognito , cioè dalla lingua latina all’ italiana , è molto acconcio per coloro che hanno dell’olio nella lucerna, cioè per coloro, che per mez- zo di certe idee , e delle loro relazioni ch’ essi posseggono, vo- gliono scuoprire qualche verità, o nuova relazione d’idee che non posseggono ; ma non per giovanetti, che non ancora sanno distinguere nella loro lingua gli avverbi dai verbi, le preposi- zioni dai nomi ec. ec. Non sarebb’ egli meglio incominciare da quel poco di cognito che hanno , cioè con la piccola face alla mano di quel poco di lingua che sanno, renderne con dilet- tevole istrumento a poco a poco il lume più vivace, e perciò più estesa la sfera, e quindi entrare nelle tenebre della latina, o d’altra lingua qualunque ? Io sono dunque di garere, che quel maestro che imprende ad istruir giovanetti di 9, o di 10 anni d’età, debba pareggiare in valore e perciò in dignità e merito un eccellente maestro di rettorica, quale voi siete certamente, e ch’ egli cominci dal far leggere un libretto ben fatto secondo la virgolazione e puntua- zione più che può ; e mentre fa loro imparare a mente le de- clinazioni de’ nomi , e le conjugazioni de’ verbi ITALIANI, fac- cia rilevare e distinguere su quel libro stesso le desinenze sì degli uni come degli altri, e i numeri, e i tempi, e le persone, e î modi ec. Dico un libretto den fatto, e con ciò intendo dire dilettevole per brevi racconti di fatti fanciulleschi virtuosi, one- sti, e mirabili; e per favolette , apologhi, sentenze morali, tratti di storia ec. proporzionati al loro comprendimento . Così dopo circa un mese i giovanetti distingueranno , e conosceranno que - ste due specie di parole, o parti del discorso , e sapranno la significazione , cioè , avranno l’idea chiara di molte voci tecni- che, perchè le veggono usate nel linguaggio materno, e ne fanno un uso continuo. Dopo ciò il maestro passerebbe alla denominazione , ed a far comprender l’uso delle altre parti del discorso, e farebbe sempre leggere , e sempre, come suol dirsi analizzare i periodi, cioè far conoscere ai ragazzi il significato e l’uso delle diverse voci. Nè qui vorrei che si fermasse l’ope- ra del maestro , e lo studio della propria lingua; perocchè in quattro o sei mesi al più devesi arrivare a questo termine, vor T. XVII. Febbraio 6 ; 82 rei che sul medesimo libro egli facesse a poco a poco distin- guere a’ suoi allievi tutte le proposizioni che formano un pe- riodo, composto di poche, poi di molte, e li mettesse a por- tata alla fine dell’ anno di saper rilevare la proposizione prin- cipale , distinguendola dalle accessorie , o incidenti. Con sì fatto esercizio i ragazzi si troverebbero alla fine d’ un anno scola- stico con due fiaccolette alla mano, una di Grammatica ; l’altra‘ di Logica , non contando che già sanno leggere con intelligenza un libretto contenente molti nomi di cose, di persone, d’ani- mali, molte sentenze morali, cognizioni storiche, geografiche ec. ec. Ecco lo studio , e il tempo che mi sembra necessario , perchè ne’ due anni seguenti un giovinetto si affronti arditamente con un’ altra lingua qualunque o latina , o araba , o greca , o ale- manna ec. ec. E dico due anni, perchè se non ne avesse die- ci, ma quindici o sedici, e che in questo tempo avesse fatto altri studj, o imparato il francese , lo spagnuolo ec., cioè avesse veduto l'applicazione delle regole della sua grammatica a un’ al- tra qualunque vivente, ed affine alla sua, basterebbe un anno solo. E questo asserisco, perchè tengo una prova di fatto alla inano per dimostrarlo . Io dovrei tacer questa prova , perchè il fatto risguarda me stesso, ma i diversi testimoni sono tutta- via viventi, onde il fatto potrebbe in molti modi facilmente ve- rificarsi, quando a taluno che non mi conoscesse , comparisse esagerato . Trovandomi in Francia verso il principio del corrente secolo; mi diedi di nuovo alla mia professione , cioè alla istruzione della gioventù in Parigi, e dopo un anno nella celebre scuola di Sorèze in Linguadoca , scuola numerosa di cinquecento e più alunni. Or nel miscuglio de’ molti beni, e de’ molti mali prodotti dalla ri- voluzione francese, non era il minore degli ultimi, quanto al- meno alla pubblica istruzione , il quasi totale ed universale ab- bandono dello studio della lingua latina , e della greca. Ma verso quel torno di tempo fu pubblicata ( parmi nel 1802 ) una ordi- nanza del primo console Napoleone, con la quale era prescritto a tutti i giovani che si sarebbero presentati l’anno seguente, o a Tolosa per addottorarsi in legge, o a Montpellier per la medi- cina, che dovessero sottoporsi ad un esame intorno alla lingua latina. Or trovandosi fra i maggiori alunni una quarantina, che dovevano uscire l’ anno seguente , e presentarsi alle dette uni- versità, sconcertati ne furono e dolenti, come quelli che non avevano mai applicato l’ animo alla lingua latina, e andavasi dicendo per tradizione , che ci bisognavano cinque, o sei anni 33 ad appararla . Io che conosceva perfettamente il metodo tenu- to nella loro primitiva istrazione, e gli studj sulla propria lingua , e quindi sopra qualche altra straniera, li confortai a star di buon animo, asserendo loro che, se avessero fortemente voluto , in quell’anno scolastico che incominciava, avrebbero potuto porsi in istato di sottomettersi con buon successo al richiesto esame. La proposizione fu discussa col direttor della scuola, M. Fer- lus, uomo di molta prudenza, e di non comune valore nelle lettere; ed alfine io stesso , lasciata per quell’anno la cattedra di Neuton e di Galileo, mi assisi sulla seggiola a bracciuoli del Donato e dello Scioppio. La scuola, secondo il sistema di quella specie d’università, non durava se non un’ ora per giorno, ed io spesi la prima a parlare delle principali differen- ze fra le due lingue latina, e francese, cl’ essi den conosce- vano, e ad analizare un distico d’Ovidio. Nella seconda ora del giorno seguente feci lo stesso sopra i due o tre distici seguen- ti, e così di mano in mano durante un mese quei giovani ave- vano già notate sul loro scartafaccio le parole di circa cento distici, ben determinate quanto alla specie ed alla significazio- ne . Così spiegai in due mesi, ristringendo a poco a poco l’ana- lisi , il trattato de Amicitia di Cicerone , e quindi fino all’ot- tavo mese il secondo dell’ Eneide . Negli ultimi due o tre mesi dell’anno scolastico io dettava in iscuola dei pezzi di Cicerone, d'Orazio , di Tito Livio, di Tacito ec. ch’ essi traducevano. Le ore di scuola, computate quelle aggiunte da molte vacanze , nelle quali io dava lezioni particolari, montarono a poco più di trecento. In sì fatta guisa quei giovani furono tutti in istato di sottoporsi all’ esame con ottima riuscita d’ alcuni, e buona degli altri ben molti, prima ad un lungo e severo esame nei pubblici consueti esercizi della scuola , e quindi la maggior parte è» d’ essi ad un altro ancor più severo , richiesto dal savissimo Napoleonico decreto. Pertanto se io giunsi a tanto risultato in trecent’ ore con giovani dai quindici ai diciott’ anni, qual sarà il wostro con giovanetti di soli sì dieci anni, ma che escono freschi da uno studio ben fatto della propria lingua, e delle sue regole gram- maticali, ed altro non debbono fare che vederne |’ applicazione alla lingua latina ? Minore, voi mi risponderete, ed io vel con- cederò . Ma senza entrare nelle particolarità del metodo che usai, perchè sapreste imaginarne uno anche migliore, voi ve- dete bene primamente a colpo d’occhio qual grande resultato otterreste con giovanetti istituiti con tanta solidità di fondamen= 34 ti, ce muniti di sì opportuni sussidj. Aggiungete che nelle vo- stre scuole voi non ispendete, come me, una sola ora tra giorno, ma quattro , onde se pensaste che non si debba quadruplicare, certo mi permetterete di duplicare l’ energia della vostra azio- ne. Pare voglio ancora concedervi i due anni, che ordinaria- mente comprendono il corso della rettorica, ma voi mi conce- derete ancora che avrete il tempo necessario per far comporre ai vostri giovanetti lettere, o altre piccole scritture in prosa IVALIANA , per far loro sentire gradatamente il suono de’ versi IrALIANI, farne loro capire le regole degli accenti ec. leggendo loro e dichiarando i più bei pezzi gradatumente di prosa, e di poesia ITALIANA, cominciando dai più facili, e procedendo ai più difficili. Voi vedrete che lo studio del latino vi diven- terà secondario ; ma non per questo i giovanetti di dodici anni sapranno meno il loro latino, come lo sapevano col metodo an- tico, anzi forse ne sapranno molto di più, ma sapranno com- porre ancora secondo la loro intelligenza ed immaginazione in prosa e in verso Italiano, e quando si fanno al fine del corso le così dette accademie, il maestro di rettorica , come ai nostri tem- pi avveniva, non sarà obbligato a fare TUTTE le composizioni da recitarsi . E quì francamente dirovvi essere stato, ed essere forse attual- mente assai barbaro quell’uso di costringere gli adolescenti a quella scuola detta la prima , cioè il terzo anno della grammatica /a- tina ad imparare a mente più di cento barbarissimi versi Zatini, che essi non intendono, e che contengono le regole delle brevi e delle lunghe sillabe latine ; e poscia per altri tre anni condannarli a rivoltare la così detta Regia Parnassi LATINI, prima per ordi- nare ed emendare secondo le regole versi £477N7 o storpiati, o mal disposti nelle loro parti; e finalmente a comporre esame- tri, pentametri , saffici , alcaici ec. ec. LATINI e sempre latini ? Così la grammatica, e la prosodìa latina, e gli esempi dei tropi, o figure del discorso per lo più tratte da LATINI autori sono per essi un. tenebroso laberinto , al quale s’ aggiungono triboli , spine , ed ogni sorte di noja e di tormento . Ondechè , non solo in generale non acquistano idee, ma se alcune ne acquistano per forza d’ ingegno, non giungono a comprender- ne le relazioni e il legame, nel che consiste il vero e solido sapere anche nei primordj dell’istrazione . Si avyezzano inoltre ad abusare, o piuttosto a misusare del senso delle parole, pren- dendo per sinonime tali che in certi casi sono eteronime , e per buoni e convenienti cpiteti, quelli che in certe circostan- Ioni Pit 85 ze sono lontanissimi dal qualificare , o dalla vera qualificazione dei sostantivi. I giovani Soresiani, dei quali poco sopra io par- lava , sapevano benissimo alla fine di quell’ anno anche la pro- sodia latina ; perchè dopo l’ analisi io scandiva loro i versi di Virgilio, o d’ altro poeta, ed essi riportavano il giorno seguente i versi scritti, e interpetrati con le sillabe segnate . Dalla spie- gazione stessa io deduceva le regole grammaticali latine , e così dopo un anno solo, non solo traducevano e scandivano , ma rendevano ancora ragione della sintassi , e del metro latino. Quan- te altre migliori, e più utili cognizioni potrebbero i giova ni acquistare, se non perdessero un tempo prezioso di tre o quat- tro anni mordendosi l’ unghie , e grattandosi la testa, voltando e rivoltando un de Colonia, una Regia Parnassi ec ? E quan- do ancora giungessero ad emulare nelle composizioni latine ai Flamminii, ai Fracastori ec. non dirò già quanto alle idee, perch’ essi non ne hanno, ma quanto alle prette voci e frasi latine , di quale utilità ciò sarà loro, quando dopo tutto que- sto penoso lavoro dovranno occuparsi ad imparare meglio la propria lingua, e vacare agli studi della legge, della medi- cina, e ad altre scienze? Io mi ricordo che trovandomi all’età di circa tredici anni in Rettorica nel 1775. sotto la direzione del P. A. Canovai , ec- cellente e zeloso professore , io non sapeva che esistesse una lingua non dirò Toscana, ma Italiana, che avesse delle rego- le , e che queste dovessero conoscersi per bene scrivere e par - lare anche da un Fiorentino . Non sapeva che gli esistesse un Dante , un Boccaccio, un Ariosto ec. dai quali si dovessero apprendere le schiette forme del bel dire ; ma credeva che tut- ta la scienza consistesse nel sapere interpretare Cicerone , Ora- zio, Virgilio ec. ; e questi io gl’ interpretava sì @//4 meglio ; ma senza quasi mai internarmi nel senso del discorso , e sempre con l’ assistenza del maestro. Vero è che questo sconcio può accadere ad un ragazzo che non abbia nella casa paterna un uomo instruito ‘in letteratura, mentre concorre a una pubbli- ca scuola, che procede col metodo indicato, ma che non ac- cade ne’ collegi dove sono persone che parlano di questi Pa- dri della lingua, e gli commendano ; ma nel tempo stesso ado- perano in modo, che le loro opere non entrino a formare la privata biblioteca dell’ alunno . Della quale cura e vigilanza non già di biasimo ma di lode sono degnissimi . Permettono quindi che i giovani si procaccino le fredde rime degli Arcadi, i ma- nierati e frondosi sciolti dei tre, così detti, eccellenti autori 86 Frugoni , Algorotti, e Bettinelli, ai quali sciolti è per lo più premessa un'impertinente e fanatica scrittura dell’ ultimo diret- ta a far dispregiare ai giovani stessi i nomi non che le opere immortali di Dante , e del Petrarca : permettono eziandio di leggere l’ impasto Cesarottiano dell’ Ossian composto di farina e semola, e ammanierato a forme non classiche Italiane, ma bizzarre scandinave. Ma ditemi in fede vostra, stimatissimo amico , siete voi veramente di parere , che col debole e im- puro latte di cotali nutrici debbano i giovani allevarsi , e pos- sano crescere in vigore e robustezza alla patria letteratura ? Non solamente voi nol pensate , perchè dotato d’ assai buon gusto e senso squisito del vero bello, ma provate co/ fatto il contra- rio, perchè non ispendete tutte le ore giornaliere della vostra scuola nello spiegare Cicerone e Virgilio, nel rivedere le com- posizioni latine ec. ma ne dedicate alcune a leggere , dichiara- re, e far trascrivere ai vostri giovani i più belli e scelti pezzi dei summentovati autori, e svolgendone le recondite bellezze, somministrate i precetti insieme e gli esempi del vero e casto scrivere italiano; uso rarissimo e quasi affatto ignoto ai vostri predecessori . In cotal guisa voi rimediate in qualche maniera al difetto della prima istituzione ; ma come rimediare alla per- dita irreparabile di tre o quattro anni del tempo il più pre- zioso della vita, durante il quale i giovani avrebbero potuto apprendere delle cose, e delle cose molto più utili , che le sil- labe lunghe e brevi del metro /atino ? Pertanto v' invio una raccolta di pezzi poetici italiani , che il compilatore ha denominato Antologia poetica Italiana, ac- ciò ch”essi vi sieno di qualche sollievo nel vostro lodevole di- visamento di farne sentire le bellezze ai vostri giovani, ed ac- ciocchè questi gli possano aver continuamente sott’ occhio niti- damente stampati , ed evitino la noja, e la perdita di tempo per trascriverli. Questi pezzi , come vedrete , sono tratti per la mas- sima parte da’ nostri classici scrittori , cominciando da Dante fino a tutto il secolo decimottavo ; e sono artatamente distribuiti secondo i var) generi di stile, a cui appartengono all’ înstar della raccolta fattane dai sigg. Noel e Delaplace pe’ giovani fran- cesì , ricevuta in Francia con tanto applauso, e sperimentata uti- lissima. Ho detto che i pezzi prescelti sono tratti per /a mas- sima parte da’ nostri classici scrittori , perchè ne troverete al- cuni pochi, tratti da scrittori antichi e moderni, che non entra- no in questo numero , e sono di lega più o meno inferiore , e fra gli ultimi particolarmente me stesso; ma voi bene intende- pi; te, che un sì fatto mescolamento sobriamente introdotto porta seco l'utilità del confronto . Io credo che il sig. Brancia, siasi ricor - dato di non aver potuto leggere nella sua adolescenza se non le mentovate rime arcadiche ec. ed abbia concluso, dalla pro- pria esperienza, che i giovani suoi pari hanno bisogno di miglior nutrimento per iniziarsi almeno nella cultura delle lettere. In- fitti dopo aver egli fatte alcune osservazioni sulla scarsezza di buone opere didascaliche elementari , soggiunge : 1) Dopo tutto questo le Accademie, e gli Archimandriti delle nostre scuole vanno arzigogolando per investigare qual sia la causa della decadenza del gusto , e perchè s’ introduca il neo- logismo straniero nelle scritture italiane . Io domanderei loro più tosto, perchè accad’ egli che sia in Italia chi sappia scri- vere italiamamente senza quei soccorsi che sono indispensabili , e che trovansi presso le altre culte nazioni ? Studiate ne’ tre- centisti, si soggiunge , per rimedio e panacea di tanto male . Tol- ga il cielo ch'io m’ opponga a sì fatta maniera di pensare. Di- co solo, e il dirò con tutta candidezza, che siffatto rimedio mi sembra pel maggior numero impraticabile .... Infatti, ei pro- segue , si pretenderà egli che un giovane quando è divenuto adat- to, quando cioè lo studio delle scienze esatte, e morali, e di quelle che alla civil società più si appartengono , attira la sua attenzione , ch’ egli allora si pasca di leggende, di cronache ; si occupi a rifrustar codici nelle biblioteche per uscirne sessa- genario in istato di dettare un testamento , ovvero d’ accinger- si a parlare co’morti ? ,, E da ciò derivano secondo il sig. Bran- cia due deplorabili conseguenze. La prima si è che alcuni po- chi dedicandosi esclusivamente allo studio della lingua e delle sue squisitezze , portano tant’ oltre il loro amore per l’ elegan- za , che giungono a formarsi uno stile talmente leccato e con- torto, che diviene un vero: gergo inteso da pochissimi . La se- conda si è quella disparità che osservasi non pure fra le scrit- ture de’ dotti, e de’ mezzanamente istruiti, ma dei dotti fra lo- ro. Infatti, soggiung’ egli , chi si occupa d’idee profonde , e di lunghe e ragionate materie, rare volte congiunge all’ impor- tanza de’ pensieri 1’ eleganza dell’ elocuzione , e viceversa. Ec- co perchè s° ammira il Gravina ‘e non s’ intende il Vico: si leggono con diletto ed istruzione i ragionamenti del segretario fiorentino , e si desidera una purità di stile pari alla sublimità de’ concetti nelle dotte e profonde carte del Montesquieu ita- liano ec. ec. Non ignora egli essere state pubblicate in varj tem- pi diverse raccolte per uso dei giovani, ma queste , dic’ egli , 88 sono ordinariamente composte di sonetti e canzoni per lo più di genere erotico, e perciò poco «adatte ai loro bisogni, e non so che alcuno abbia finora presentati esempj, che oltre il me- rito dell’ invenzione, e la vaghezza delle forme, facciano cono- scere ancora la differenza dello stile considerato nelle princi- pali sue parti, nel che consiste la magia dello scrittore , e il magistero dell'arte. Spera quindi il diligente e sagace racco- glitore, e credo a buon dritto, d’ aver fatto cosa grata non solo a voi, ed ai vostri colleghi, ma ancora a due classi di persone . Primieramente a quei giovani italiani che aspirano a seri- vere correttamente e con eleganza il patrio idioma, e poi a coloro fra gli stranieri, che vaghi d’ apprendere la dolcissima nostra favella , non han bisogno in grazia del suo lavoro di svol- gere molti volumi dei primarj nostri scrittori per avere un’ idea del particolare lor genere di poetare. Potrà dunque , conclude egli, questo suo libro considerarsi come una galleria di dipin- ti d’eccellenti artefici , nella quale i giovani nazionali e fo- restieri possano osservare i varj stili, e addomesticarsi colle di- verse maniere dei maestri dell’arte , e i provetti riandare quel- le bellezze che una volta ammirarono con diletto : Indocti discant et ament meminisse periti . Del resto voi ben sapete che la nostra letteratura è sì va- sta, e sì ricca, che molte di siffatte gallerie potrebbero for- marsi, e forse altri le formerà con miglior successo . Tanto me- glio. Il sig. Brancia avrà sempre la gloria d’ averne dato il primo esempio all’ Italia. La sua cura principale è stata quella di non ammettere pezzi comunque belli e sublimi che avesse- ro relazione alle idee politiche di qualsivoglia natura : perocchè egli porta opinione che al gusto nel fatto delle lettere nuoca ugualmente lo studio diparte , e la rabbia de’ pedanti ; il sen- tenziar degli scioli, e il cipiglio dell’ impostura . Nè minor pensiero egli si è dato per ciò che riguarda il costume ad evi- tare tutto ciò che poteva solleticare o accendere l’ immagina- zione, e perciò vuole che il suo libro serva all’ uso di quei giovani, ai quali viene interdetto nei collegj e nelle pubbli- che scuole la lettura di parecchie opere dei nostri classici (1). Egli finalmente promette d’ occuparsi nei suoi 0zj con egual dignità nella compilazione d’un volume di prose, disposto nel medesimo ordine, e con lo stesso intendimento. È da deside- rare ch’egli possa condurre a fine questo suo promesso lavo- ro , più necessario per avventura , e più faticoso dell’ annunziato , Spero d’ avere il contento di rivedervi nella ventara prima- Sp vera , ed allora parleremo più di proposito , e più particolar- mente di quanto più sopra vi ho accennato. Intanto state sa- no, e credetemi sempre pieno di stima e d’ amicizia . U. LAMPREDI (1) Tanto è stato lo scrupolo e il rigore del Sig. Brancia a questo riguar- do , che ha osato di fare due leggeri cangiamenti nelle narrazioni dell’Ario- sto, ed una nell’inimitabile, e delicatissima miniatura di Dante nel quinto Canto dell’ Inferno. Io .son di parere che avrebbe dovuto piuttosto omettere quest’ ultimo pezzo che ritoccarlo . Ma forse , e ciò è ben naturale, un gio- vane Italiano che sente tutta la bellezza dei tratti di quella passionata nar- razione , doveva credere minor sacrilegio )’ alterarne uno , che non presentar tutti gli altri a’ suoi giovani lettori. Io sono andato fra me pensando che in- vece di destra avrebbe potuto metter fronte, viso, ec. oppure che avrebbe potuto sostituire : Volse lo sguardo in me tutto tremante oppure Gli occhi affissò ne’ miei tutto tremante oppure . .. .. Ma che vado io fantasticando con questi oppure ? Il colorito sarà sempre più languido e sbiadato, e non sarà mai minore il sacrilegio . i_P_—___m_______rr————————1——————_———_—_——————————_—_———_— Compendio ristretto del viaggio di scoperta fatto per ordine del governo russo nel 1819, 1820, 1821, dal Capitano BEL- LINGHAUSEN nell” Oceano Pacifico , e ne’ mari australi . Il compilatore di questa relazione è il sig. professore Si- monoff , ed essa risulta da una serie di lettere da lui dirette al sig. Barone di Zach, il quale le ha inserite nella sua Cor- rispondenza Astronomica . Partendo da Rio Gianeiro, dove erano rimasti venti giorni , questi naviganti fecero vela verso il sud, e passarono il tropi- co di Capricorno. Trovandosi alla latitudine di 52. gradi eb- bero la prima neve il dì 14. dicembre 1819. (il qual giorno cor- risponde nei nostri climi al 14 giugno); e il dì 13 giugno se- guente furono presso l’ isola del Re Giorgio , la quale è ricoper- ta di ghiacci e nevi perpetue . 1, Noi passammo , dice la relazione, il dì 17. dicembre avan- ti gli scogli di CZerk, e il 22. scoprimmo un’ isola , cui il no- stro capitano nomò /’ isola del Marchese di Traverse ; questa ha un pico vulcanico, che manda continuamente colonne di fu- mo ; e noi ne abbiamo levata la carta.,, »» Il di 27 passammo 30 miglia distanti dalle isole di Rex- 90 contre senza potervisi avvicinare a motivo della calma. Il di 29. arrivammo vicino alle isole dette da Cook Terra di Sandwich . Questo gran navigante avea creduto , che i capi Saunden , Bri- stol e Montaigue appartenessero a un gran continente ; ma noi ne abbiamo levata la carta con premura, ed abbiamo trovato non esser tutto ciò , che un cumulo d’ isolette ristrette , più tri- ste e sterili ancora dell’ isola del Re Giorgio ; poichè su que- st’ ultima si vede quà e là della boraccina verde , ma sulle isole del Marchese di Traverse e.di Sandwich non si trova neppu- re questa meschina vegetazione. Il mare, che bagna quelle co- ste, è coperto di masse enormi di ghiacci, nè abitano que’ tri- sti luoghi se non cetacei , e var) uccelli marini . ,, Nel dì 2 gennaio 1820, abbandonarono le isole di Sandwich, e andarono verso il sud fino al grado 69°, 30, dove furono ri- tenuti da’ ghiacci, nè trovarono altra terra fino alla nuova Olan- da. ,, In questo tempo ( continua il relatore ) ci trovammo sempre in mezzo a nebbie , ed in un laberinto di ghiacci, che galleggia - vano , e sì ergevano fino a 300 piedi sulla superficie del mare, minacciando continuamente di schiacciarci. Il freddo, l’umido , la neve, le burrasche , i temporali non ci abbandonavano mai ; la sola luce australe, da noi con piacere ed ammirazione con- templata , ci faceva talvolta un grato diversivo . Questa luce ap- parisce subitanea sull’ orizonte australe in forma di colonna bian- ca mobile , o per dir così volante ; e ne’ suoi rapidi slanci fa mo- stra dei più bei colori dell’ iride , per ricomparire sotto mille al- tre forme, le quali continuano questo giuoco cromatico . Tutte le notti dal dì 2 al 7 marzo ci sollazzò tale spettacolo ; poscia essendosi il cielo coperto di nuvole , levossi un furioso vento, il quale rinforzando a poco a poco, degenerò in tempesta tanto furiosa , che i più vecchi dell’ equipaggio non rammentavano averne provata simile . Soffriva e piegavasi il vascello sotto gl’ ira- ti flatti in spaventevol guisa , e riceveva dal bordo molt’ acqua. Le vele eran tutte spezzate , e per colmo di mali avevam pres- so da due tese una montagna di ghiaccio , dalla quale saremmo stati fatti in pezzi, se per fortuna un’ onda assai grossa non fos- se venuta a respingerci , e salvarci da un’infallibil ruina . Ed era la nostra posizione perciò più critica, che soccorso umano non era sperabile in que’ solitarj e poco frequentati paraggi. Il Mirni nostro fedel compagno , che fin allora ci aveva seguitato , erasi da noi separato il dì 5 di marzo; perocchè il capitano Bel- linghausen l’ aveva mandato ad incrociare in una direzione pa- rallela alla nostra e in latitudine minore , nè ci doveva raggiun- YI gere che alla Nuova Olanda. Noi avevamo, felicemente oltrepas- sata per la maggior parte quella regione d’ innumerevoli ghiacci galleggianti , che ci avevano circondati dal 3 al 7 di marzo; che se gli uragani ci avessero sorpresi allora , la nostra perdita sareb- be stata inevitabile, o almeno avremmo provate avarie molto con- siderabili . ,, L'inverno, che frettolosamente si avvicinava, ci faceva intendere , che bisognava rinunziare all’inoltrarcì più verso il sud, e pensare per conseguenza alla ritirata . ,, Un vento favorevole li condusse finalmente alla Nuova Olan. da , e il 50 marzo entrarono nel porto Jackson dirimpetto alla città di Sidney , dove giunse il Mirri sette giorni dopo . »» La città di Sidney , capo luogo dello stabilimento desti- nato ai malfattori inglesi, fondata nel 1788 dal capitano Philips primo governatore del paese, che prese il nome di uova Gal- les Meridionale, può già andar del pari con le più belle città d’ Europa ; strade larghe e diritte , case ben costrutte , chiese , ospizj , teatri, magazzini, bei giardini, campi ben coltivati, an- nunziano l’ industria , la cultura , il commercio , la prosperità di questa nascente coloma; la quale ha infinitamente guadagna- to sotto l’ amministrazione dell’ ultimo governator Macquarie, che vi fece costruire ospitali, caserme , prigioni , case di lavoro , fab- briche, e scuole dove s’insegnauo non solo i principj di religio- ne e di morale, leggere , scrivere , calcolare , ma ancora più arti e mestieri . L’ agricoltura , il commercio vi fioriscono ; e i va- scelli carichi dei prodotti del paese vanno già a trasportarli al- la Cina e alle due Indie. Gli effetti ne son visibili per il ben essere ed anche per la commodità degli abitanti di molte classi ; perciocchè non sono tutti deportati; ma moltissimi son venuti a stabilirvisi volontariamente e per speculazione, i quali formano la classe degli onesti e rispettabili cittadini. I malfattori, che hanno subito le lor pene, vi s’incorporano a poco a poco, e spesso diventano membri onestissimi ed utilissimi’ alla società .,, Il governatore ha tentato tutto per addomesticare i naturali del paese; ma tutti i di lui sforzi son stati inutili. Nulladi- meno alcuni incominciando a comprendere i benefizj della ci- viltà, mandano i loro figli a Sidney alle scuole stabilite espres- samente per essi, e si compiacciono per vanità del loro pro- fitto; ma non saprebbero rinunziare alla vita errante ed oziosa, che menano ne’ hoschi, dove non hanno nè casa nè tetto, e vivono più da bruti che da uomini. Con tutto ciò que’ popoli son pacifici, nè fanno agli europei ostilità veruna. Nel mio sog- © giorno al porto Jackson, io stava sotto una tenda sulla costa 92 della baia opposta alla città ; io andava disarmato alle loro as- semblee ; nè ho mai provato il minimo insulto , o atto ostile per parte loro. Perciò gl’ Inglesi gli lasciano in pace, e fanno loro tutto il bene possibile . I nativi del paese portano alla città del pesce per barattarlo col vino, che amano con passione ; ma io non parlo se non di quelle popolazioni , che errano intorno al porto Jackson; perciocchè quelle del paese interno sono, per quanto si dice , antropofagi, ed assalgono spesso i coloni stabi- liti a piè delle montagne azzurre. I progressi rapidi di questa colonia farebbero credere, che la nuova Olanda, paese grande come l’ Europa , sia per diven- tare un grande stato, come a cagion d’ esempio , quello della federazione americana; ma la total mancanza di fiumi naviga- bili, e perciò la difficoltà delle communicazioni interne , saran- no sempre difficoltà insuperabili per colonizzare generalmente que- st’ immenso paese . Rimasero a porto Jackson 38 giorni, ricevendo dagl’ Inglesi infinite attenzioni , e tutti i mezzi opportuni per risarcire i va- scelli dalle sofferte avarie . Nel qual tempo si occuparono in osservazioni astronomiche , e fissarono col mezzo di queste la latitudine del porto Jackson a 33°, 51’, 33” australi. Lasciarono il porto Jackson il dì 8. Maggio ; e il vento con- trario li costrinse a rivolgersi verso la nuova Zelanda , dove giunsero il dì 29, ancorandosi nel golfo della regina Carlotta dietro le isole dette Lunghe dirimpetto a Matuara. Vennero to- sto i nativi a visitarli, e saliti a bordo barattarono le loro te- le, lame di legno, cisoie di pietra, con chiodi , coltelli ,: spec- chi , ed altre bagattelle d’ Europa. 3, Gli abitanti della nuova Zelanda sono di mezzana statura , e di struttura robusta. I loro volti son bruni, pieni di espres- sione, dipinti di molte figure di più colori. Hanno molta viva- cità, e ne’ loro occhi brilla un fuoco marziale. Sebbene si sie- no condotti tranquillamente con noi, perchè eravamo ì più for- ti; nulladimeno non avevamo in essi troppa fiducia , e stava- mo bene attenti per non esser sorpresi, perchè ci era nota la loro perfidia . Pertanto non scendemmo a terra, che con buo- na scorta, e visitammo le loro case: precauzione necessaria tanto più, perchè ci avevan narrato molti tratti recenti della lor ma- la fede, e ci ricordavamo delle crudeltà commesse contro l’in- felice capitano francese Marion , e contro i dieci uomini del- l’ equipaggio del capitano Fourneaux, che vi erano stati col capitano Cook ,,. 93 ,; La veduta della costa è infinitamente pittoresca; delle alte montagne coperte di folti e impenetrabili boschi hanno un me- raviglioso aspetto. Il tempo fu superbo per tutto il nostro sog- giorno , eccettuato il dì 2 Giugno ; in cui un temporale furioso sollevò il mare a tal segno, che fummo obbligati a gettare una seconda ancora ,,. 33 Non restammo che cinque giorni alla nuova Zelanda, oc- cupati in regolare i nostri cronometri, in levar l’ isola Ùittna ra, e parte del go/fo della regina Carlotta. Queste due isole nel tempo del flusso fanno un’isola sola; ma nel riflusso ne fanno due unite insieme da una lingua di terra o istmo, che rimane asciutto a mare scemo. Nell’ ingresso dello Stretto di Cook, un vento contrario ci obbligò a bordeggiare in quel canale per ben sei giorni. Il qual vento acquetandosi talvolta , e seguen- done calma, noi fummo in pericolo di esser gettati dall’onde sopra gli scogli di quella costa. Finalmente un venticello ci portò dietro il capo Paliper , e quindi in alto mare ,,. 3; Dopo 28 giorni di navigazione scoprimmo l’ isola solitaria Oparo ; le di cui montagne sono fatte in modo singolarissimo, strette alla base, assai aguzze alla sommità, e coperte tutte di alberi d’alto fusto. I nativi avvicinaronsi a noi nei loro canò, portandoci locusta , ed altre vettovaglie. Essi sono di mezzana statura, co- lor di rame, e di straordinaria vivacità. Uno di loro aveva presa risoluzion salda di venire con noi, ma quando vide al- lontanarsi i suoi compagni lasciandolo sul vascello, l’amor della patria prevalse, gittossi in mare, e raggiunse a nuoto i canò de’ suoi compatriotti ,, . Continuando il lor cammino, e veduta una costa tutta di corallo e disabitata , scoprirono presso le isole pericolese, un nuo- vo gruppo d’ isole non mai visitate dagli europei ; e il capi- tano Billinghausen le chiamò l’ arcipelago d’Alessandro I. Gli abitanti di queste isole sono ferocissimi e selvaggi . Passarono poscia all’ isola d’ Otahitî . ,, Quest’ isola dopo il 1815 è stata convertita al cristianesimo dai missionarj ingle- si, ma mon senza opposizioni, combattimenti, e pena, Poma- ré , capo naturale di quest’ isola, abbracciò primiero con alcuni suoi parenti e fidi la religion cristiana ; il che fu l’ occasione di sangainosa guerra . I neofiti furono battuti, discacciati dal- l’ isola , e costretti a ripararsi in quella di Eumeo. Ivi Poma- rè ragunò muove forze , attaccò Otahiti e soggiogò tutta l’isola. Richiamati i missionar, fabbricò una gran chiesa ; ed avendo an essa riunito il suo popolo , gli parlò in questi termini : ,, Se 94 ,, io fossi nella mia antica religione, dovrei uccidervi tutti, o 2, discacciare dall’ isola; ma la religion cristiana, che ho ab- 33 bracciata, m’ insegna di amare i miei nemici, e di perdo- », nare ai medesimi , perciò io vi amo, e vi perdono ,,. Que- sto discorso fece tanta impressione agli isolani, che tutti si con- vertirono; e dopo quel tempo regnano nell’ isola la pace, l’unio- ne, e la tranquillità ,,. »1 missionarj, sempre occupati nell’ incivilire ed istruire que- sto popolo , hanno inventato un alfabeto per la lingua otahi- tica ; hanno tradotti i vangeli di S. Matteo e di S. Luca; ed hanno insegnato ai fanciulli a leggere, a scrivere, a cantare inni e cantici in lode del Signore ,». Partirono poscia da Otahiti, e passarono presso l’ isola di Krusenstern scoperta dal sig. di Kotzebue , e tornarono a por- to Jackson . » Tutte queste ‘isole si rassomigliano : le loro basi sono ban- chi di corallo ricoperti d’ alberi fruttiferi di bellissima apparen- za, fra’ quali s’ erge maestosa ‘con l’altero capo la palma. Tatti gli abitanti di queste isole pittoresche appartengono alla razza malaia ; la loro carnagione è color di rame, il linguaggio è dol- ce, pieno di vocali, ma lo pronunziano aspramente. Le loro abitazioni sono capanne circondate da palizzate, e ricoperte con erbe , e con foglie d’ alberi. Potrebbero vivere felicemente se non si facessero sempre la guerra . Fra le varie razze di questo popolo regnano eterne inimicizie, ed i più forti danno la legge ai più deboli con orribili crudeltà e con furore. Noi potemmo fortunatamente salvar la vita a quattro giovani fuggiti dalle ma- ni dei loro persecutori; gli accogliemmo a bordo del nostro va- scello, e gli trasportammo ad Otahiti, dove furono amichevol- mente ricevuti ,,: »» Eccetto l’ isola di Otahiti, non ne abbiamo trovata che una incognita, i cui abitanti si distinguano dai lor vicini per una notabile dolcezza ; essa è presso quella degli Amzci, e si chiama Ono. Vi ci fermammo due giorni, in cui molti de’lo- ro capi passarono la notte a bordo de’ nostri vascelli con fidu- cia e ingenuità rimarchevole, il che non ci era mai prima ac- caduto. La pesca è la principale occupazione di questi isola- ni; quelli ancora, che fanno commercio con gli europei, pe- scano perle in piccola quantità, I lavori loro manuali consistono in fare stuoie , ed una specie di stoffa tessuta di scorza d’al- bero; le quali tele ordinariamente son bianche , ma talvolta colorite di giallo tratto da una pianta del genere dei polipodi ;- \ 9ò » Gli abitanti di Otahiti fanno aneora del burro con olio di noci di cocco ; coltivano legami, radici, alberi da frutta, aranci, cedrati , ananas, alberi da pane ec. ,,. 33 I piaceri della navigazione in un clima dolce, e abbon- dante di ogni cosa, è un poco disturbata dal grande ardore del sole, dal caldo affannoso, e dalla gran quantità di scogli la- tenti di corallo, che circondano quasi tutte queste isole . Es- sendo vicini all’ isola d’ Ono, udimmo una sera rumoreggiar il mare in modo, che ci annunziò le onde che si frangevano in uno scoglio sott’ acqua , e fortunatamente avvertiti a tempo, ci salvammo da una distruzione infallibile girando destramente il vascello ,,. Fra le osservazioni fisiche fatte dai nostri naviganti, una si è che il barometro ogni giorno due volte in 24 ore saliva gradatamente al suo più alto punto ,. e poi discendeva pur len- tamente al più basso ; l’ ascensione massima del mercurio acca- deva alle tre pomeridiane , la maggior depressione dopo la mezza notte. Questo fenomeno apparisce m que’ mari sotto i tropici , dove l’aria è più libera , i venti più costanti, il calore più uguale. Il dì 31. ottobre partirono da porto Jackson, e giunsero all’ isola Macquaria il 17. novembre, dove provarono in mare una forte scossa di terremoto , il che accade , per quanto fu lor detto, ogni tre mesi. Continuarono poscia il lor cammino verso il sud-est; ma per le masse enormi di ghiacci, che l’im- pedirono , poterono appena arrivare al grado 70.° di latitudine australe, correndo molti pericoli; e intanto scoprirono il dì 11 gennaio 1821 un’ isola a 69° gradi 30°, cui dettero il nome di Pietro I; e il 17 dello stesso mese ne scoprirono un’ altra sat- to la stessa latitudine, che nominarono Alessandro I. Si dires- sero quindi verso il nuovo Shetland scoperto dal capitano Smith nel 1819; e fecero vela per la nuova Georgia . 33 Noi terminammo, conchiude il relatore , la nostra navi- gazione nel mar glaciale del sud a quella medesima isola, d’on- de avevamo incominciate le nostre indagini, andando sempre ver- so il sud-est, avendo passato spesso il circolo polare, e dimo- ratovi più di quindici giorni, il che non aveva eseguito verun altro navigante prima di noi. Abbiamo fatto tutto il giro del circolo pola- re, e siamo tornati alla nuova Georgia dalla parte dell’ovest. Il cele- bre Cook ba detto ne’ suoi viaggi : ,,Io ho navigato nell’emisfero ,) australe sotto diverse latitudini per dimostrare , che non vi ») è un gran continente, eccettuate forse le regioni polari, nelle 96 3» quali non si può penetrare ,,. Noi vi siamo arrivati in più luoghi , abbiamo passato il circelo polare australe, abbiamo na- vigato nei mari oltre questo circolo, il che niuno prima ave- va fatto; se dunque la costa d’Alessandro I, non è la punta di un continente, noi dobbiamo confermare le parole di Cook, e dire, che non abbiamo trovato traccia veruna di questo pre- teso continente polare , se pure non sia oltre quei limiti, do- ve siam giunti, dove ci ha portati la nostra vista, e dove i ghiacci eterni non permelteranno di penetrar giammai ,,. », Con la scoperta di più di 50 isole abbiamo arricchito la sfera delle nostre cognizioni geografiche ; ed oltre le osserva- zioni utili ed importanti in più rami delle scienze, abbiamo arricchito i nostri musei di nuovi prodotti rarissimi dei tre re- gni della natura ,,. ;) Dalla nuova Georgia c’ incamminammo verso il Brasile per farvi risarcire i nostri vascelli, che ne avevan bisogno, e prepararci a ritornare in Europa. Soggiornammo questa volta a Rio Gianerio un mese e mezzo. Il nostro capitano avendo sapu- to che il sig. Barone Teil van Seraskerken, inviato della no- stra corte presso il re di Portogallo ( ed a cui eravamo te- nuti delle prime notizie dello scoprimento del muovo Shetland, ch’ egli ci aveva fatte pervenire al porto Jackson, ) voleva ri- tornare in Europa insieme con la corte del re di Portogallo; gli offerì il passaggio sul suo vascello. Perciò veleggiammo per Lisbona, dove giugnemmo il dì 17. giugno 1821; e quindi con- tinnammo il nostro cammino sempre con buon vento fino a Cronstadt, dove gittammo le ancore il 24 luglio ,,. 3» Questo è il ristretto della nostra spedizione, durata due anni, e giorni ventuno. In tutto questo tempo, abbiamo avuta una rara felicità : le malattie, grazie alla cura e previdenza dei nostri commandanti, sono state pochissime . Essendo infatti stati per due volte più di 120 giorni in passaggi assai malsani, non perdemmo fra due cento persone che tre marinai; uno de’quali cadde dalla sommità di un albero, e morì nel momento me- desimo ; l’altro in una notte oscura e tempestosa cadde in mare e fa inghiottito dalle onde; il terzo mori'di una malattia in- curabile così in terra come in mare,,. »» Il Miri, nostro compagno, non ci aveva mai abbando- nato , eccetto quando fu mandato per ordine del nostro capita- no ad incrociare sotto un altro parallelo, e ci raggiunse poi a porto Jackson ,,. F. G. 97 L’ Italie avant la domination des Romains par M. J. Mr caLI, rad. sur la 2. édition etc. avec notes et éclaircis- sements par M. Raour RocnertE . Paris, Treuttel et Wiiriz 1824, t. 4. in 8.° avec atlas. Molti libri noi traduciamo giornalmente dalla lingua de’ francesi nella nostra, e non tutti, io credo, per bisogno o speranza di utilità. Di rado i francesi traducono i libri nostri anche buoni, e quando lo fanno possiamo esser certi che li move o una rara bellezza o una grande importanza ce’ libri medesimi. L’ Italia innanzi il dominio de’ Romani è sicuramente sembrata loro quello che sembra a chiun- que fra noi voglia bene esaminarla, un’ opera piena di filosofia e di profonde ricerche, la quale dilata i confini dell’ istoria , e discopre quanto forse potea scoprirsi della più antica civiltà del nostro paese. Alla traduzione di una tal opera era ben giuste che si dessero quelle cure, che noi siamo scusati di non dare alla traduzione di opere leggieri; e il nome, così de’letterati che l’eseguirono sulla prima, come di quelli che poi la corressero sulla seconda edizione originale, ci pareva un pegno della sua perfezione. Quindi abbiamo facilmente creduto e al sig. Raoul-Rochette che mel proemio ci parla della sua esattezza e del suo buon garbo, e al sig. Daunou, che nel dicembre del gior- nale des savans ci assicura che unisce la correzione e l’e- lesanza alla più scrupolosa fedeltà. Se non che per ciò che riguarda l’ esattezza e la fe- deltà (dell’eleganza e .del buon garbo sarebbe in noi pre- sunzione il voler giudicare) ci son nati alla lettura non piccioli dubbi; e accennandone i motivi faremo forse stu- pire i francesi medesimi. Il sig. Raoul-Rochette in una nota al capo decimo della prima parte , accusando il sig, Micali (vedremo poi a suo luogo con quanta giustizia) di avere estesa una sentenza di Erodoto oltre il suo naturale significato: voilà, dice, par quelle adresse notre auteur cher- che fréquemment à donner le change à ses lecteurs; et c'est un petit artifice en critique, contre lequel il est bon de les rémunir. Imitando il suo esempio, noi recheremo alcuni | T. XVII. Febbraio 7 98 saggi della traduzione, di cui egli è ad un tempo revisere TA ed editore, e diremo a'chi voglia intenderci: ecco con che esattezza e scrupolosa fedeltà essa è fatta: le parole di esattezza e di fedeltà sono di quelle che i critici e gli editori sogliono pronunciare con molta fiducia, ma contro le telai , nel caso nostro particolarmente , è bene che il lettore stia avvertito. Noi leggiamo , a cagion d’ esempio , nel capo quarto della prima parte dell’originale, in proposito di quell’aria favolosa che hanno tutte le antiche storie de’ greci, che lo stesso Ecateo non ‘ potè tacere della vanità e strava- ganza delle tradizioni già accreditate tra’ suoi nazionali dalla sola vecchiezza ,, o in altri termini per la loro sola ve- tustà. La traduzione (tom. 1. pag. 78.) ci racconta che quello storico ne put se dissimuler la futilité et D extra- vagance des traditions qui circuloient de son temps parmi ses compatriotes, et n’avoient de crédit que parmi les viel- liards. Del quale equivoco della traduzione, veramente per noi lepidissimo, non crediamo che vorrà accusarsi l’ambi- guità della frase italiana , che vi ha data occasione . Che se si facesse, noi tosto domanderemmo quale ambiguità fosse in questo passo finale del capo quinto, pur della prima parte, ove parlandosi dell’antica circoscrizione d’Italia, che avea per confini dalla parte settentrionale la Magra e il Rubicone, al di là di cui si estendeva la Gallia Cisalpina, ci si dice: ‘ ma, essendo abolita ogni differenza al tempo d’Aususto, venne anche questa parte compresa nell’intiero corpo d’Italia, con quel medesimo vero significato, che ha di poi ritenuto sino a’ nostri giorni ,,? Pur veggasi come la traduzione (t. 1. p. 71.) renda un tal passo. Au temps d’ Auguste, ce pays (la Cisalpina) fut incorporé a l Ita- lie, et, tout en cessant d’ étre distingué politiquement, il retint néammoins son nom particulier de Gaule Cisalpine , qu'il a conservé jusqu’à nos jours. Poteva mai l’autore aver detta una simile cosa? E se la sua frase, non per noi ve- ramente ma forse per gli stranieri, mancava alcun poco di precisione, vi voleva grande scienza geografica per in- terpretarla a dovere? Quest’ applicare alla Cisalpina ciò Ù 99 che dicesi dell’Italia intera non è certo meno singolare di quello che si fa poco sopra (p. 67.) ad un’ estremità del- l’ Italia stessa, ciò che dicesi del solo suo nome “ sco- nosciuto ai tempi d’ Omero ,,. Ecco la bizzarria della traduzione, a cui vogliamo alludere : cette petite por- tion de V extrémité de la péninsule comprise entre les golfes lamétien et scylacien, aujourd’ hui les golfes de Squillace e de Sainte-Euphémie , inconnue au temps d'Ho- mere. Simili prove di esattezza e di fedeltà quasi ci dispensano dal toccarne altre, come quella che incon- triamo nel capo decimoterzo della parte già citata, ove l’ oscurità de’ “ secoli isolati nella storia ,, chiamasi, non importa con quale coerenza al resto del discorso ,, o4- scurité (p. 12) des siècles étrangers è Phistoire; o quella che abbiamo nel capo seguente, ove ‘ la virtù magica, che sì attribuivano i sacerdcti (de’ marsi ) di scongiurare e am- mansare i serpi velenosi ,, diviene la vertu magique (p. 234.) que leurs prétres s’ attribuoient pour conjurer et ap- privoiser les esprits. Ma non possiamo lasciare il primo vo- lume, che abbiamo fra le mani, senza accennare un’ altra esattissima e fedelissima interpretazione, che va unita alle altre due della Gallia Cisalpina così chiamata fino a noi, malgrado la sua aggregazione al resto dell’ Italia; e della parte estrema di questa che a’ giorni d’ Omero (il quale probabilmente l’avea visitata) ancor non si conosce- va. Nel capo decimoterzo, pocanzi citato, il nostro autore chiama il territorio, ove poi fu edificata Roma agreste regione sede un tempo di vulcani, ed ingombra allora (quando i siculi 1’ abbandonarono agli aborigeni) di pa- ludi e boscaglie. ,, Chi traduce chiama (non certo dietro notizie ricevute da Brocchi o da Breislak ) quel medesimo territorio régions agrestes (p. 193), cowvertes autrefois de vol- cans, maintenant encombréees de marais et de bois. Dopo tale disattenzione, che fa cangiare in ora 1’ a/- lora, più non reca sorpresa il vedere nel secondo volume, che compie la prima parte dell’ opera, le bolle d’oro, ar- mille e altri ornamenti, di che sono fregiati i simulacri de- gli dei etruschi, divenute (p. 53.) tant de dieua figurés sur 100 des bulles d’or, des bracelets, des colliers richement ornés; la nobiltà primitiva dell’arte pastorale mutata (p. 128.) in gloire primitive des pasteurs des hommes; le pitture d'antico disegno stese sulle pareti degl’ ipogei di Tarquinia ridotte a sem- plici dessins (p. 211.) de peintures anciennes qui couvrent les murs. Più non reca sorpresa il trovare nel terzo volume, onde comincia la seconda parte, la feroce piacevolezza con .cui i deputati di Priverno, secondo il racconto di Valerio Massimo, rispondono al senato romano, chiamata (p. 161.) une courageuse satisfaction; le sfasciate mura di Sibari dette non falsamente, ma non opportunamente (p. 227.) murs deskonorées; il vecchio Dionisio fermo sprezzatore di venerati inganni trasmutato in un uomo che affetta (p. 164.) un profond mépris pour les objets vénérés; i romani, tanto pieni d’ accorgimento da indurre i soggiogati napolitani a trarre vanità dalla propria obbedienza, rappresentati quai frivoli' (p. 313.) qui en tiroient une grande vanitéj} e ciò malgrado la sottoposta sentenza di Patercolo , che aiutava ad intendere il testo per sè medesimo abbastanza chiaro. Così nel volume quarto (e il far citazioni d’ ogni volume non è per noi diletto ma spiacevole necessità) già non reca sorpresa che il basso volgo de’tarentini esclusivamente oc- cupato della pesca si cangi in kommes de bonne condition (p. 75.) exclusivement occupés de la péche; che la legge , per cui i liberti di Volsinia stabilirono che fosse loro le- cito usar con le vedove e le maritate , e nessuna vergine d’ ingenui natali potesse andare a nozze, se prima da al- ‘cun di loro non era manomessa; cioè oltraggiata nell’onor suo, come spiega il vocabolario, appoggiandosi , fra l’ al- tre autorità, a quella del Davanzati, si trasformi con manifesta contradizione di parole in una legge per cui (p. 181.) ils s’attribuèrent la propriété de toutes les femmes veuves ou mariées indistinctement, et défendirent aux vierges de condition libre de se marier, avant d’ avoir été affran- chie par quelquun d’eux; che la cagione delle scambievoli ostilità, che ancor duravano fra i cartaginesi e i toscani intorno alla metà del quinto secolo di Roma, si rappresenti (p. 160.) come Z’origine des hostilités réciproques auxquelles IOî il se livrèrent vers le milieu du cinquième siècle de Rome; quasi fino a quel punto, malgrado l’odio che si portavano , fossero vissuti in pace; che la Gallia Cisalpina di nuovo e più duramente assoggettata dai romani a’ tempi di Ser- torio si dica (p. 322.) in modo che esprimerebbe mitissi- mo impero e volonterosa devozione rowvellement soumise et plus religieuse. Simili prove di esattezza e di scrupolosa fedeltà, che fanno pur troppo ghiacciare il sangue d’un povero autore, si raccoglierebbero dai quattro volumi in sì gran numero, da formarne per avventura un nuovo volume. Perchè biso- gnerebbe pure tener conto (e in un’ opera della natura dell’ Italia innanzi al dominio de’ Romani non sarebbe mi- nutezza ) di tutti i nomi o sbagliati o alterati, come /a Grèce italique per la Grecia orientale; Za déesse Morizia per la dea Norzia; /a colonne d’ Apollon en bronze pel co- losso d’ Apollo in breazo ; l'école de Sienne per la scuola d’ Ardea; l’Arezzo qui se distingua dans les figurines per l’Arezzo che tanto si segnalò nelle figuline; Za Micée er Sardaigne per la Nicea che i toscani edificarono in Corsica; les affaires de la cité per le faccende della villa; Ze vent d’ouest pel vento impetuoso di tramontana. Bisognerebbe, tener conto di tutti i nomi ommessi, onde sono più d’una volta sbagliate le dipendenze d’ altri che seguonoy come Crotone par Hercule , héros de la contrée, ove il testo dice Crotone da Ercole o da Croto eroe dal paesé; dei sostan- tivi trasformati in aggettivi, onde nascozio qualifiche ina- spettate, come /es esclaves étrangers et barbares ove si parla di schiavi, di stranieri e di barbari; dei generici moltiplicati ove andavano divisi tome i mille esclaves et autant de pécheurs, d’oiseleurs, et de cuisiniers ove si parla di mille schiavi fra pescatori, uccellatori e cuochi; infine di tutte quelle particolarità, onde risulta alcuna volta un senso affatto opposto a quello dell’ autore, come può ve- dersi da chi voglia confrontare coll’originale tutto il capo decimoterzo della seconda parte intorno alle cause della grandezza de’ romani, o quella porzione del capo decimu- quinto che riguarda le delizie di Capua. 102 Certo le cose, che abbiamo notato, sono assai strane in una traduzione fatta da nomini abilissimi, e a cui l’amore della propria riputazione e del soggetto trattato nell’opera che traducevano, sembra che dovesse ispirare una particolar dili- genza. Ma già non è nuovo che, malgrado l’abilità e le cagio- ni di particolar diligenza, le traduzioni riescano molto ine- satte. Quella, pur fatta da vari francesi , della storia del decadimento del romano impero fu per Gibbon di ramma- rico anzichè di piacere. E se Hume si mostrò pago di quella muliebre e anch’essa francese della sua storia d’ Inghilterra, diremo che o volle esser galante verso la traduttrice , o si fidò della buona intenzione senza esaminare come vi corrispondes- se l’esecuzione. Perchè nessuno ignora che la correzione dell’una è costata recentemente non minori cure che la cor- rezione dell’altra ; e chi sa dire se con esse siasi ancor bene rimediato ai difetti? Così potrebbero nominarsi altre e non poche traduzioni d’ opere importanti, che a renderci vera imagine delle opere medesime avrebbero d’uopo d'esser ri- fatte; tanto ogni cosa vi è lontana dalla mente degli autori. Quello però che non si troverebbe facilmente e che tro- vato deve sembrarci singolarissimo si è che chi traduce, o si fa mallevadore della traduzione altrui, ascriva ad un au- tore i falli di questa, e faccia a lui i rimproveri che do- vrebbe fare a sè medesimo. Ora di tal modo si com- porta il sig. Raoul Rochette verso il nostro Micali. Que- sti, a cagion d’esempio, avea detto nel secondo capitolo della prima parte che, giusta le memorie più avverate, la più antica sede «dell’umana civiltà fu nelle isole e nelle spiagge bagnate dal Mediterraneo; onde traea la conseguenza che la nostra penisola, collocata quasi nel centro di questo mare, dovesse essere ne’ più lontani tem- pi per lo meno così civile come l’Asia minore, la Fenicia e l'Egitto. La traduzione approvata dall’ erudito francese, solita a scambiare le memorie in tradizioni, ci dice franca- mente: oz cvoit (t. 1 p. 24) par les traditions les plus averées, que les peuples qui les premiers jouirent des avan- tages de la civilisation, purent se dire comme placés dans l’enceinte de la Meéditerranée. Ma l’autore avea nel capo 103 antecedente mostrato di tener poco conto delle tradizioni propriamente dette, come quelle che gli sembravano quasi tutte o favolose od incerte . Quindi l’ illustratore, sicuris- simo di averlo trovato incoerente, domanda quasi in aria di trionfo: Il existoit donc, méme pour ces temps si reculés, des traditions avérées? C’ est un aveu qu'il est bon de re- cueillir de la bouche méme de l’auteur. Se non che questi potrebbe replicargli: le meemorie nella mia lingua significano altro che semplici tradizioni; ed io vi aveva spiegato assai bene ciò che intendeva per esse in quelle parole vicine al periodo comentato, che nella traduzione ricompaiono così: de tous les pays situés sur les rivages de la Méditerrange , l’Esgypte, la Phénicie et les cOtes de lAsie mineure sont, sans contredit, les principaux dont l’ histoire puisse vanter avec assurance les progrès dans la vie sociale. Prima dun- que di accusarmi d’ incoerenza bisognava esaminare quanto la frase della traduzione, su cui si fonda l’accusa, corri- spondesse al testo. Le memorie, di cui io parlo, sono un sinonimo di documenti istorici, e appartengono a quegli appoggi, da cui sul principio del capo seguente prometto di mai non dipartirmi nelle mie ricerche, dichiarando d’essermi imposto il dovere ‘° di non affermare nulla, senza l’ analogia della natura umana, l’autorità degli scrittori, e il sussidio de’ monumenti. ,, Se non che queste stesse parole , tradotte d’ una maniera se non erronea almeno am- fibologica, danno luogo ad altro rimprovero d’ incoerenza, che l’illustratore dovea pur fare a tutt’altri che al nostro autore. Le devoir in fatti que nous nous sommes imposé (p. 24 ) de ne rien.affirmer qui ne fut dans l’analogie de la nature humaine , et sans nous appuyer de l’ autorité des écrivains et du secours des monuments, è cosa che può esse- re intesa in due significati, sebben nel testo ne abbia uno solo. Conforme a quest’ unico significato è ciò che dice poco appresso l’autore, di volersi tenere costantemente cc fra i limiti della storica certezza. » Ma l’illustratore , appigliandosi al significato meno giusto, comment, domanda, lauteur peut-il dire qu'il se renferme dans le bornes de la certitude historique , après avoir déclaré plus. haut, qu'il 104 ne s'appuyoit point de l’autoritéè des écrivains et du secours des monuments? Ma quando l’ho io mai detto? può rispon- dere l’autore. Non ho io anzi detto tutto il contrario ? Che se l’illustratore, senza curarsi del testo, mette più d’una volta a carico dell'autore gli errori d'una tradu- zione approvata senza esame, spesso mette pure a suo cari- co il difetto della propria memoria. Così quand’egli negli schiarimenti del primo volume ( p. 342 ) in proposito dei siculi, cui vorrebbe d'origine straniera, gli rimprovera d’aver taciuta l'opinione di Filisto di Siracusa, che fa d’essi un popolo ligure, e dissimulata con gran cura la testimonianza d’Antioco, anch'esso di Siracusa, che ne fa un popolo eno- trio, l’autore può rimandarlo ad una nota del capo otta- vo della prima parte ( p. go del testo ) ove cita 1’ opinio= ne di Filisto, ad una del capo sesto (p.64) e ad un'altra del capo decimo settimo (p, 228) ove cita la testimonianza di Antioco, Così quando gli rimprovera di tenere in piccolo conto quest’ultimo storico, e gli oppone il concetto in cui l’aveano Strabone e Dionisio alicarnasseo , 1’ autore può rimandarlo al capo quarto (p. 38 ) e ad altri luoghi, ove lo chiama scrittor diligente e di grande autorità. Così quando in proposito de’ pelasghi gli rimprovera di non aver dato a Dionisio l’ appoggio di Pausania; l’autore può ri- mandarlo ad una nota del capo decimonono ( p. 242 ), ove dopo lo storico delle antichità romane è citato lo scrittore del viaggio nella Grecia. Così ( per finirla anche su questo particolare ) quando a fargli sentire il torto che ha di non considerare d'origine greca, e forse eolica, la gente latina, gli cita come cosa per lui nuova il gramatico Tirannione, che al riferir di Suida compose un trattato per dimostrare che il latino idioma altro non era che un dialetto greco; l’autore può rimandarlo al capo vigesimo nono ( t. 2 p. 284 ) ove mostra di conoscer benissimo questo Tirannione , e lo annovera fra coloro che giudicavano del primitivo idioma latino dal suo stato di perfezione , opponendogli il famoso liberto di Tullio, secondo il quale i romani progredirono lentissimamente nell’intelligenza del greco. L’ illustratore è molto acceso in questo pensiero ch 105 tutta l’antica civiltà degl’italiani debba derivarsi dalla Grecia ( pensiero dominante nella sua kistoire critique de l’établissement des colonies grecques ) e pare che si adiri d’ogni dubbio a tale riguardo. L’essere citato dal nostro autore senz’ essere approvato gli sembra un'offesa, e ben- chè dica di non volersene pur difendere , acuisce le proprie armi, prende in aiuto le altrui, e non isdegna i piccoli stratagemmi onde vendicarla. M. Micali, egli scri- ve ( pref. p. 11 ) a quelquefois cité nos recherches d'une ma- nière qui et pu autoriser de notre part des remarques plus sévères. IL n’elt tenu qu'à nous, en effet, de repousser, sur notre propre terrain, les attaques plus ou moins directes que M. Micali nous a livrées sur le sien. Nous nous sommes abstenus de ces représailles, qui auroient fait dégénérer des questions d’un ordre historique en des querelles d’intérét privé. Nous avons laissé passer la mention de notre nom et de nos travaux, sans y.joindre aucune explication, aucune apologie. La quale moderazione, com’ egli si esprime , sa- rebbe tale veramente da dovergliene il publico sapere buon grado, ove fosse contrapposta a reali e non provocate of- fese , e apparisse costante. L'illustratore dovrebbe pur ram- mentarsi d’essere stato il primo assalitore quando nella sua storia si fece beffe del nostro autore , che a sostenere l’ antica esistenza de’ veneti avesse citato il discorso iliaco di Dione Grisostomo; citazione per cui poi nelle note alla traduzione del capo nono della prima parte ( p. 128 ) quasi mostra di compassionarlo . Il nostro autore usò anch’ egli a rincontro l’arme dell’ironia, opponendo al eritico di avere egli stesso, per sostenere lo stabilimento de’ pelasghi in Italia, citato fino il Pecorone, e il chiama a questo propo- sito scrittore indulgentissimo. Altre volte non ci ricordiamo ch’ egli abbia mai adoperato alcuna frase, che menoma- mente dissentisse dal suo rispetto per un erudito così stimabile com’ è il suo oppositore. Bensì questi non ces- sa nelle varie parti del suo commento di beffarsi o di- rettamente o indirettamente del suo spirito filosofico o scet= ticismo istorico , siccome talvolta gli piace chiamarlo, qua= si lo spirito filosofico non fosse necessario in ogni gene- 106 re di ricerche, quasi lo scetticismo fosse altro che un dubbio prudente ove i veri documenti storici sono pochissimi e le favole infinite, siccome nell’argomento delle origini itali- che. Chi mostra di conoscer meglio lo scopo e la dignità dell’ istoria, quegli che prendendo ad esaminare molte co- se narrate congettura e non afferma, o quegli che rifiuta ogni esame, e tiene per vero tutto ciò che fu scritto? L’arme dell’ironia, per altro, di cui fa uso l’ oppo- sitore, sembra indicare talvolta maggiore incertezza ch'egli non voglia confessare, come sembra indicarla il ricorrere che fa allarmi altrui. Perocchè , oltre all’inserire negli schiarimenti quanto il cav. Inghirami publicò già ne’ suoi opuscoli (1810) sulla prima edizione dell’opera del Micali, e a cui il sig. Champollion-Figeac diede nel monitore (29 maggio 1812 ) una risposta da non dimenticarsi, ci fa sapere nella prefazione ( p..13 ) d’aver ricevute dal critico italiano altre osservazioni manoscritte , dont nous n’avons pas profité autant que nous l’aurions desiré dans la crainte.... de fatiguer nos lecteurs en cherchant trop à les prémunir,ma di cui fa però qualche uso, e sembra verosimile ch’ egli abbia fatta ri- cerca. Maggior segno d’incertezza ci viene dall’usare ch’egli fa certi piccoli stratagemmi, come quello di mostrar di temere ( vedi la prefazione e più altri luoghi ) che l’ autore , cercando colla cura, più minuziosa le più piccole tracce delle invenzioni dovute al genio degli antichi italiani, ab- bia dissimulato le prove assai più evidenti della parte che ebbero i greci nell’ incivilimento de’ latini, degli etruschi, de’ sanniti e d’altri popoli dell’Italia inferiore; o quello di esagerare le congetture dell’ autore, e trarne conseguenze lontane dal suo pensiero, ond’ egli perda fede presso gli uomini ragionevoli. Il qual secondo artifizio deve credersi molto insidioso se ha potuto trarre in inganno un critico. tanto sagace e tanto imparziale, qual si mostra il sig. Dau- nou più sopra da noi citato. Infatti questo degno uomo, dopo avere tenuto un’esatta bilancia fra il sig. Micali e il suo oppositore, dopo avere osservato non essere punto singo- lare l’opinione del primo, il qual dice che l’arrivo e lo stabi- limento di Enotro in Italia non è provato, che il regno di siccità a è LI 107 Giano e di Saturno, la venuta d’ Ercole, i racconti che ri- guardano Tirreno, Evandro, Antenore, Enea sono tante favo- le, prosegue: ce que dit M. Micali d’un monde prodigieu- sement ancien, et d’une longue série de siècles , durant les quels les cités italiques ont duré ou prospéré, nous parott, com- me à M. Raoul-Rochette, aussi peu satisfaisant pour la raison que peu conciliable avec l’histoire. Ma il sig. Micali pro- priamente avea detto : ‘ le chiare vestigie di fisiche rìvo- luzioni ( capo 1 pag. 3), che si veggono sul suolo itali- co, ci scoprono un mondo grandemente antico ed una lun- ga successione di ‘secoli, la quale ci toglie ogni speranza di raggiugnere i primi tempi istorici. ,, Come queste pa- role, piene di modesta ritenutezza, contengano le asserzio» ni che il sig. Daunou gli rimprovera sulla fede dell’ oppo- sitore, ciascuno sel vede. E noi non sappiamo se possa accader nulla di più strano ad un povero autore che il sentirsi dire, come il sig. Micali, dall’ oppositore medesi- mo (p.4): toutes ces assertions exagérées ne seroent qu'à effrayer l’imagination, quand’ egli nulla esagera, e dichia- ra espressamente di non poter nulla asserire . Dopo ciò che diremo di quell’ accusa di scaltrezza o d’ artifizio, che l’oppositore dà al nostro autore in propo- sito di una sentenza di Erodoto , e che noi abbiamo pro- messo di esaminare quanto sia giusta? Ma già il sig. Dau- nou ci ha prevenuti; e a noi non resta da aggiugnere se non ch’ essa è un nuovo artifizio dell’ oppositore mede- simo. Quello storico ( dice il sig. Micali sul principio del capo 10 della prima parte della sua opera ) solito racco- gliere tutte le voci popolari, senza però dar loro indistin- tamente piena credenza, narra che gli etruschi erano ve- muti di Lidia in Italia sotto la condotta di Tirreno. Ne sembleroit-il pas , nota l’ illustratore ( t. 1 p. 135.) d’après cette citation, que la phrase d’Hérodote applique à lhi- ‘stoire des tyrrhéniens, et que lhistorien ne l’auroit ainsi placée au devant de son récit que pour détruire lui-méme toute confiance en ce récit? Cependant la phrase d’Héro- dote se rapporte à un passage de son histoire, tout different de celui là. È vero: Erodoto (lib, 7, n. 152) parla in 108 quel luogo di alcune negoziaziorii vere © supposte fra gli argivi e i persiani, onde si sarebbero in qualche modo potuti accagionare i primi dell’oppressione che i secondi fecero soffrire a tutta la Grecia. Ma la sua dichiarazione d’essere semplice narratore e non mallevadore di quanto narra non si restringe ‘a quel passo unicamente come l’illustratore ci vorrebbe far credere. Le parole dello sto- rico sono pur queste: ,, credo mio dovere di non tacer nulla di quanto si dice, ma non di prestare a tutto eguale cre- denza; e ciò si applichi alla mia opera intera ,,. Il sig. Mi- cali adunque ha usato del diritto che gli dava lo storico medesimo, applicando la sua sentenza al racconto della venuta di Tirreno, e ne ha usato giudiziosissimamente , poichè lo vedeva, secondo le sue proprie espressioni, ac- compagnato da circostanze assai poco credibili per non dir favolose. Lo vedeva d'altronde contradetto da Dionisio alicarnasseo, a ciò autorizzato e dal silenzio di Xanto li- dio e dalla nessuna affinità che trovava fra le leggi, i riti e l’idioma della Lidia e della Toscana, onde sebbene in- clinatissimo a sostenere tutte le pretensioni de’ greci, confessa che gli etruschi sono un popolo originario d° Ita- lia. I greci, secondo il sig. Micali, non giunsero nel no- tro paese che due secoli, circa, dopo la guerra di Troia , e trai primi a passarvi furono quelli d’ Eubea, che fondaro- no Cuma, riputata daStrabone la più antica delle greche città nelle parte meridionale del paese medesimo. Il Lazio gli sem- bra che fosse antichissimamente abitato dai siculi popolo indigeno; il Sannio da una colonia di sabini, che secon- do Strabone erano pur essi originari d’Italia ; la Campania con grande spazio all’intorno dagli osci o ausoni non so- lo di stirpe indigena, ma ceppo d’una gran parte de’ po- poli italiani; e l’Etruria forse da’ raseni o traseni, di cui si può esser fatto col tempo tirseni o tirreni, onde nacque l'opinione, che venissero di Lidia sotto la condotta di Tirreno. Il sig. Raonl Rochette insiste perchè il racconto di Erodoto sia assolutamente creduto; e come in appoggio della derivazione del linguaggio etrusco dal greco cita il 109 Lanzi e quelli che hanno con lui opinato, così in appoggio della derivazione del popolo etrusco dal lidio cita lo Zan- moni e tutti gli scrittori già citati da questo dotto in una sua notissima dissertazione. Se non che il sig. Micali an- ch’ egli si presenta con nomi assai ragguardevoli: Meiners, Dacier $ Gibbon , Freret, Heyne, a cui può aggiungersi quello del vivente Hormayr che nella sua storia del Ti- rolo ( tom. 1., lib. 1.) chiama i sostenitori del racconto erodoteo con sì lepido appellativo , che il rispetto non ci permette di tradurlo. Così in tutte 1’ altre questioni rela- tive alle origini de’ diversi popoli italiani se il sig. ‘Raoul Rochette ha per sè scrittori di molto sapere e di pari a- cume, il sig. Micali ne ha pur altri in favor suo di sapere ed acume non minore. Nel quale conflitto, osserva saggia= mente il sig. Daunou, è ‘almen lecito dubitare se le qui- stioni proposte siano capaci d’una decisa soluzione ; e quindi, aggiungiamo noi, sembra illecito ad un buono ingegno l’adirarsi contro chi si discosta dalla sua opinione, e come il nostro Micali non dà la propria che qual pro- babile congettura. Mancando in quelle questioni, che abbracciano ‘quasi l’ antichità tutta intera, le relazioni originali e in gran parte i monumenti, sulla cui epoca è il'cui significato si è pochissimo d’ accordo, non rimangono che tradizioni o rimembranze , della cui fedeltà chi. ci assicura. nel lungo intervallo passato fra i tempi a cui si riferiscono e quello in cuì furono registrate ne’libri storici, clie ci rimangono? Il nostro Micali , osserva il ‘sig. Daunou,' mostra in più luoghi dell’ opera sua, e specialmente inel'capo quarto e decimo, per quali motivi ‘e in quali occasioni i più assurdi racconti poterono essere inventati o accreditati , onde non è ragionevole averli in luogo di sincere tradi zioni. Anche il sig. Raoul-Rochette confessa che in quei racconti si è più volte mescolata la finzione alla verità; ma pare che nel suo concetto se le loro circostanze so0- no spesso incredibili , il loro fondo sia sempre degno di fede. Checchè ne sia, aggiugne il sig. Daunou, è giusto il restringere in certo modo il lungo intervallo, di cui pocanzi 110 si diceva, fra i tempia cuisi riferiscono le tradizioni e quelli in cui furono registrare ne’ libri che ci rimangono, sostituendo ai libri medesimi gli scritti più antichi in essi citati. “ Locke, per vero dire, esaminando i fondamenti delle cognizioni storiche, attribuisce ben poco valore alle citazioni, ed an- cor meno alle citazioni di citazioni. Chiunque, egli scrive. (lib. 4. cap. 16. del suo saggio) si è data qualche cura di verificare le citazioni fatte da’ moderni scrittori sa abba- stanza quanto si debba diffidare di quelle, il cui riscontro è impossibile per la perdita degli originali. Se, come so- spettano i signori Lanzi e Zannoni, Dionisio alicarnasseo s’ è ingannato, dicendo che Xanto di Lidia non avea par- lato di Tirreno, non può egli aver commesso errori di un genere apposto, attribuendo ad altri istorici parole che non aveano scritte? Malgrado queste e simili riflessioni, che si potrebbero aggiugnere, acconsentiamo pure a tenere per certo che autori o egualmente o più antichi di Erodoto abbiano detto sulle origini italiche ciò che leggiamo nei libri che sono fra le nostre mani. Vi saranno però sempre da Enotro fino al sesto o settimo secolo innanzi all’era no- stra mille anni di distanza, e da Tirreno fino all’epoca mede- sima almeno secento. Quegli autori ci saranno dunque testi- moni, non già de’ fatti, ma delle tradizioni ai loro tempi ricevute. Certo se non si trattasse che di enumerare gli scrittori o rimastici o citati, che riferirono quanto si diceva delle origini italiche, .il. sistema del sig. Raoul-Rochette do- vrebbe sembrarci il meglio: fondato. Ma in tale materia i testi non sono ragioni; e non si dà loro che impropria- mente, il nome di testimonianze, mentre non meritano che quello idi autorità. Ciascuno ha diritto di cercare nell’esame intrinseco delle narrazioni i motivi di accettarle per vere o di rigettarle come inverosimili ; e di questo diritto ha fatto uso nella sua opera il sig. Micali ,,. M. III Lettera di un Cieco al Direttore dell’ Antologia. Dalla Falterona 1. Ottobre 1824. Resterete maravigliato sicuramente di vedervi intitolare una lettera da questo deserto dove non è questione nè di scienze nè di scienziati , e sarete nell’ ammirazione anche maggiormente quando vi dirò che questa lettera ve la man- da e l’ha dettata un povero cieco. Ma che volete fare? Gli uomini, a quel che mi dice il mio curato, son fatti per aiutarsi, e non mi darete del fastidioso se pensate alla disgrazia grande in che io mi trovo. In un secolo di luce, come questo , restare ad un tratto al bujo è veramente una trista cosa, e il peggio è poi che non sono solamente al bujo, ma sono anche affatto affatto al verde. Un buon pastore di questi contorni m'ha raccolto dopo la mia cecità, ma è adesso per lui il tempo di andare in maremma colle sue pecore, e mi pare che anche per me, dopo sei mesi , sia ora di levargli la noja. Pensate in che imbarazzo io mi sia. Mi sento forte e robusto, conosco bene che sarei capace a lavorare in più di un modo, e guadagnarmi anche in questa misera condizione onoratamente il pane; ma non so da che par= te voltarmi. La religione mi regge e mi fa animo, ma cre- derete bene che ho dei giorni neri, e ora poi sono, come si dice , alla porta co’sassi. Siccome io son fiorentino , e non ho parenti, e voi siete costà in mezzo a tutte le buone per- sone del mio paese, non vi rincresca che io venga a voi per consiglio. Ne ho chiesto a molti in questi mesi d’esta- te, scendendo giù ora quà ora là, secondo che mi sugge- rivano i miei conoscenti, ma non ho fatto nulla di buo- no. Cominciai dal ricorrere ai medici. Mi dicevano che uno di loro a Napoli aveva aperto una casa per raccorvi i cie- chi e mantenergli colà sinchè avessero imparato un'arte, e mi pareva che i medici dovessero meglio sentire le nostre miserie avendole sotto degli occhi, e meglio pensare a prov- vederci. Il caso che i mali degli occhi resistano a tutti i rimedj da molti anni in quà è diventato frequente, e, cre- 112 scendo il numero dei ciechi, mi pareva da sperare che fos- sero cresciuti i modi di .soccorrergli. Ma i medici comin- ciarono a consultare sulle cagioni del male, stando tutti d’accordo che non v'era rimedio, e cercavano se fosse ve- nuto d’ Egitto, o d’ altrove, e vi si scaldavano forte con diversità d’ opinioni; e poichè io chiedeva il modo di prov- vedere al mio bisogno presente, anzichè di decidere sulle cause della mia disgrazia passata , mi dissero tutti: ciò non tocca a noi; sicchè io me ne andai più confuso di prima. Qualcuno di loro mi disse che queste erano cose da con- sultarsi nelle accademie dei letterati: ed io, dopo avervi pensato , scesi un’ altra volta di quassù, e ne trovai una che mi fu data per eccellente, ed anche mi dissero che era bene da sperarvi, perchè in oggi le società si voltavano alla filantropia , che il mio curato mi spiegò poi , volere. dire lo stesso che la carità. E io mi sentii tutto rincorare, perchè per quanto ne ho letto quando io ci vedeva, e per quanto ne udii dipoi, la carità abbraccia tutti e fa a tutti del bene. E mi pareva ogni ora mille di essere davanti a quell’ adunanza di filantropi. Sentirono le mie proposte e tutti veramente dissero la sua. Disgrazie della popola- zione, diceva l’uno; più sono di numero gli uomini, più crescono le calamità. Miserie del pubblico! seguiva un al- tro. Ecco un nuovo consumatore a peso della società! — Che dite mai? ripeteva il terzo, se il furore delle mac- chine non avesse rovinato il commercio e gli operaj, que- st’ uomo potrebbe girare una ruota, o fare qualche cosa di simile. Ma tutte queste invenzioni vogliono finire col distruggere ogni cosa. E contrastavano così fra loro , e ci- tavano il nome ora d’ uno ora d’un altro, sicchè io non capiva affatto che avesse a fare tutto questo con me. Un quarto alla fine troncò questo loro contrasto e gli ricon- dusse sulla buona via. La questione, diceva, che questo povero cieco ci propone non va tanto Ten) e si tratta di sapere: ,, Che possa fare un cieco per ;scampare la vi- ta, e guadagnare il suo bisognevyole ,,. Der ricerca me- rita certo la nostra attenzione, perchè è fuor di dubbio che se egli è inoperoso consuma a danno dello stato , e vi- rid ve di limosine una vita misera e dà agio a molti d’ anda- re sbirbando il pane, col fingere la sua stessa calamità . È anche certissimo che senza il lume degli occhi si pos- sono farè molte cose colle mani, co’ piedi e coll’ impiego delle forze dell’ animo. E voi mi concederete che la forza dell’animo è atta a vincere le maggiori resistenze, ed a sup- plire ai maggiori difetti del corpo. E tutta la storia vi di- ce che la volontà determinata e gli sforzi dell'animo hanno sempre fatto prodigi. E vi dice la filosofia che il tatto è il preziosissimo dei sensi, e che l’udito gli serve d’ indizio per dirigerlo in molte cose dove manca la vista. I fatti parla- no in questa cosa meglio assai che le parole. Conoscete tutti il nome e le opere mattematiche del cieco Saunder- son, e la lunga lista degli uomini che nella cecità si fecero celebri in una. o in un’ altra delle scienze o delle arti, ri- ferita da molti, e ultimamente riprodotta e resa comple- ta' dal D. Giullié. Nè &icun crederà che ‘avessero questi un sesto senso, come alcun lo suppose ne’ pipistrelli, o che portassero per privilegio dal seno della madre un pa- trimonio d’ idee innate e di tali insegnamenti, che gli fa- cessero dotti senza bisogno dei sensi e della esperienza. Per- chè a chi pensasse così basterebbe il mostrare le case dei ciechi aperte ormai in ogni parte del mondo. In queste si vede che i ciechi sono tutti capaci di essere istruiti util- mente, e che sono adattati a ben altre opere che a girare la macina di Sansone. E questa non è tutta scoperta mo- derna, ma in parte è vecchia assai, e per tacere dell’an- tichità, i francesi ne conoscono in pratica qualche cosa in- sino dal tempo di S. Luigi. Rimonta a quella epoca il collegio dei ciechi, che chiamano a Parigi dei Quinze vingt, dal numero de’ suoi alunni, che fu prima riccamente do- tato, che perdè poi le sue rendite nella rivoluzione, e che è mantenuto ora largamente, ma non onoratamente dal pub- blico col prodotto dei giuochi : e così quelli che accecano nell’ animo sino a gettare le loro fortune, mantengono quei meschini, che senza colpa sono accecati del corpo. In que- sta casa celebre non si è veramente fatto uno studio par- ticolare d’insegnare a coloro che erano privi della vista, T. XVII. Febbraio ve 11/ essendosi colà raccolti per vivere, ma vi sorsero di tempo in tempo ‘varie maniere d’ istruzione; e molte prove che dettero buona riescita. E quasi ad imitazione di queste nacque poi nel 1784, per opera dell’illustre Hauy, la scuo- la dei ciechi giovanetti, destinata essenzialmente a edu- care i giovani al lavoro , anzichè a mantenere i vecchi im- potenti. E già conoscete dalle relazioni fattene in quel tempo all’accademia di Francia, che Hauy aveva industre- mente profittato di quello che avevano trovato innanzi a lui il cieco Puysuax, la sig. di Salignac, Weislembourg di Manheim, Lamouroux , aggiungendovi molte invenzio- ni del proprio. E non ignorate che perfezionando Guillié dopo di lui questa arte preziosa , l’ ha condotta al grado in cui presentemente si trova. Un’ attenzione perfetta, poichè le sensazioni della vista non la disperdono ; una tendenza mirabile a scomporre le proprie idee, e ad analizzare coi quattro sensi che gli restano e con tutte le facolta ciò che esamina ; una felice usanza d’agire sempre con successio= ne e con ordine; una memoria ordinariamente felice e du- revole, che dee forse a quest’ ordine esatto la sua esisten- za ; un giudizio sicuro, che secondo i principj di un gran- de ideologo dee sempre accompagnare una memoria felice, se gli errori del giudizio sono ordinariamente errori di ri- cordanza , ecco i materiali preziosi che il cieco , e parti- colarmente quello che fu tale sino dalla nascita, porta alla istruzione. Usa il maestro di queste felici preparazioni e cerca di supplire col tatto il difetto della vista. Rende egli tattile tatto quello che era visibile. ,, Il tatto solo con- venientemente esercitato, dicea Guillié, è inteso per tutto senza convenzioni e senza commenti, ed è la lingua na- turale dei ciechi, poichè la parola non può imitare la for- ma degli oggetti, ed i snoni e i colori nulla hanno a co- mune tra loro ,,. Stabilita così la forma di comunicazio- ne, i giovani ciechi pel tatto hanno potuto ricevere , come i giovani sordi e muti per la vista , ogni sorta di educazione. E così imparano ‘a leggere, a scrivere, e sanno la musica , e le matematiche, ‘e molte altre cose sono da essi o im- parate o ritenrite coll’ ajuto di segni tattili. E così sî eser- 115 citano colà in una professione ciascuno , e queste profes- sioni sono molte e facili e produttive , come è da vedersi dal saggio che stampò a Parigi pochi anni indietro il Dott. Guillié , e dalla relazione che ne faceva in questo anno alla società d’ incoraggiamento delle arti a Parigi il con- sigliere Degerando . Nè il modo d'’ istruire i ciechi è arte recondita e pellegrina , che non si conosca , o difficile per modo che non sia da praticarsi. Ogni giorno ha aggiun- to qualche cosa a quest’ arte, ed è oggimai ridotta facile e piana. Diversi strumenti sono stati inventati da Barbier per istruire i ciechi nella lettura, e possono farlo il pa- dre e la madre, ancorchè non sappiano essi leggere . Al- tri se ne trovarono per la istruzione nella musica , edin queste arti i ciechi sono espertissimi . Ma la fondazione della scuola dei giovani ciechi, e la deliberazione presa quest’ anno dalla camera dei deputati sulla proposta del sig. de Noailles, mostra la somma facilità di questo modo d’ insegnamento. La camera ha accresciuto di alcune mi- gliaja di franchi la rendita di questa scuola, e le ha così dato il modo di crescere il numero degli alunni e di fargli maestri , sicchè si spandano poi nelle provincie mia e insegnino ai loro compagni nella disgrazia . Per questo modo, non solamente si vede con somma consolazione che I’ ammaestramento de’ ciechi, si diffonde , e che il nume- ro dei miseri scema, ma si conosce chiaro che questa istru- zione è arrivata ad un sommo grado di facilità . Questa facilità , aggiugneva un altro, si vede anche dal numero delle scuole e dal sollecito profitto degli sco- lari : a Liverpool bastano quattro anni d’ istruzione e tal- volta anche tre, secondo che referisce con altri Simond, per ridurre un cieco in istato di guadagnarsi da vivere pia mezzo d’ un’ arte . Crederà alcuno , che sia questo un sa- crifizio troppo grande, avere quattro anni un uomo sulle spalle , che secondo la tassa fissata a Parigi, non eccedo- no i 300 franchi per anno, pet non averlo a carico per tut- ta la vita? Giudicherà alcun altro che non siavi sodisfa- zione nel considerare di avere alleggerita sommamente la disgrazia di un uomo cavandolo fuori dall’indigenza di tut- 1:6 to, e rendendolo capace di bastare a se stesso? Gli uomini sono di molte sorte : ma io mi do a credere , per onore dell’ umanità , che di tali non sia oggi neppure il seme . Del resto, se leggete le relazioni di Simond nel 1817 , quel- le del D. Spilner nel 1820, e se l’amico nostro che la visitò nel 1821 vuol parlare, saprete volentieri di quali cose sieno abili i ciechi della scuola di Liverpool, e non vi par- ranno poche . Così è veramente, rispose una voce giova- nile, che aveva tutto il tuono della gentilezza e della mo- derazione. Il vantaggio di questo stabilimento, allorchè io lo visitai, era riconosciuto da tutti, e la liberalità dei pri- vati continuava a sovvenirlo annnalmente con generose so- scrizioni . Cento all’ incirca erano. gl’ infelici raccolti fra le sue mura , tutti industri e operosi, chi in una, chi in altra cosa. Nel magazzino dello stabilimento si vendeva corde e spago di ogni grossezza , cesti , panieri coperti di lana ordinaria, stoini , tele grosse ec. , tutti lavori dei ciechi. La musica era studiata con successo. Udimmo un ‘concerto di ciechi , diretto da un cieco maestro di tutti gli altri, che suonava maravigliosamente 1’ organo . In quel giorno essendosi riuniti molti forestieri a visitare lo stabi- limento , fu cantato , dopo alcuni salmi , un inno inglese composto ad hoc per l’asilo dal Rev. D. Smith , musica del Webbe. Le parole sono così appropriate e patetiche, che non ci sembra fuor di luogo recarne la traduzione che ne abbiamo avventurata in versi italiani. ( I due primi versi , e l’ottavo cantati da una sola donna volgen- dosi alla compagna . Gli altri versi a più voci alternativamente ) Senti, amica, quel caldo sospira Figlio d’ alma pietosa .... lo senti? Chi mai giunse nel nostro ritiro ? Chi siei tù che per noi ti lamenti ? Altri forse ebbe sorte migliore, Ma garrir con la sorte che giova ? Quì nè 1’ ozio , nè alberga l’ errore . Senti, senti , il sospir si rinnova! 117 Teco il Cielo sia tutto pietade , O stranier , che piesoso siei, tanto . Ah! se pianto dal ciglio ti cade Noi veder non potremo quel pianto! Ma i sospiri, e le lagrime , e il dono, Che con man generosa porgesti , A caratteri d’ oro già sono Registrati nei libri Celesti. Bravo il nostro amico! riprese allora quella voce autorevole, che aveva cominciato sul serio a trattare la. mia causa. Bravo! Io conosco questa poesia nel suo originale , e voi l'avete graziosamente tradotta. Così, proseguiva, da tutte queste cose è chiarissimo che i ciechi imparano, ove si vogliano istruire , e che sono utili, ove non si vogliano inoperosi. A Liverpool guadagnano i due quinti della spe- sa generale della casa, e sono allora nel primo stadio dell'istruzione. È inutile parlare di quelchè si fa a Lon- pra, a Zurigo, a Pietroburgo, a Brusselles da May, e per fino da Scagliotti a Turino. Non è neppure da pensare che i lavori dei ciechi, se son facili, sieno altrettanto imper- fetti. La società che si occupa a Parigi nell’incoraggia- mento delle arti ha dato a molti di questi lavori i premi destinati alla perfezione. Lavorano dunque utilmente , prontamente, perfettamente ; sarebbon essi come quell’ uo- mo del Vangelo a cui mancava per risanare solamente la mano benefica che lo ponesse nel bagno della salute? Ma al soccorso di questa mano vi hanno eglino diritto? Ed ove lo abbiano, qual è il modo, qual è la persona per cui l'esercizio di questo dritto possa essere implorato? Ecco le due questioni che in ultimo luogo ci bisogna trattare. La prima di esse non ha uopo di discussione. La limosina del privato o del pubblico non è un regalo: è un debito ri- goroso che bisogna pagare; lo impone la legge della cari- tà che ci comanda la beneficenza, lo riconosce la legge della giustizia che fa alla società un dovere del mantenere i ‘cittadini , e che ne forma una condizione della riunione primitiva. Ma la questione sul modo dell’ottenere, e sulle 118 persone da impiegarvi è grave assai più che la prima. Chiedere, ma non esigere, dicono gli scrittori di cose pub- bliche, è la facoltà del bisognoso, eccettuandone frattanto il caso dell’estrema necessità, in cui gli danno il diritto di prendere, anziche imporgli il dovere di morire di sten- to. Sia però che si vuole di questa massima, noi non pos- siamo oggi dire a questo buon nomo la nostra opinione - Potremmo noi desiderare che l’Italia imitasse la disgrazia dell’ Inghilterra , ed aprendo per ogni comune le case dei bisognosi, imponesse una tassa di poveri? Dio buono! La tassa dei poveri è ascesa quest'anno a sei milioni e quasi quattrocento mila lire sterline. O non piuttosto dovremmo desiderare che una società di persone dabbene prendesse in cura questa sorta di calamità? Così veramente fino dal secolo XVII° furono soccorsi in Francia tutti i poveri di ina gran città, al riferire del buon Magalotti nella sua mendicità abolita : così nel secolo XVIH° si provvide in Boemia ai bisognosi colla società dell'amore del prossimo fondata dal conte di Buquoy, protetta dall’ Imperatore Giuseppe secondo, e diffusa di suo consenso per l’Alema- gna: così a Parigi ed a Londra, così da alcuni ami a Trieste si sovviene alla privata miseria cogli sforzi della privata misericordia, e fiorisce a Trieste, e si fa ricca quella casa di beneficenza. Ma qual dritto abbiamo noi di mescolarei in siffatte cose? Questa è materia che mi pare da rimettere ad altra adunanza. Così dico anch'io, soggiunse un altro, nella mia qualità di censore; ciò non può farsi che altra volta, e dopochè ci sia per- messo di pensarvi, e di parlarne liberamente. Per ora .... Per ora, riprese gravemente un tale che pareva mezzo af- fogato dalla pinguedine, per ora sarebbe da dire a qua- lunque volesse ragionarne , come già Flacco .... ,, Perico» losae plenum opus aleae tractas et incedis per ignes suppo- sitos cineri doloso. È poi diceva un altro, costui che e’ in- terroga è forestiero. Voi conoscete le massime antiche : forestiero e nemico era una medesima cosa. Più cose an- davano a dire coloro, che a me parevano fuor di proposi- to, quando il mio protettore riprese amorevolmente. Noi 19 non possiamo ora dirvi tutto quel che pensiamo, ma noi vel faremo sapere in seguito. Voi siete frattanto di uno stato, siete d’una città che per le opere di misericordia ba avuto sin da molti secoli il primo vanto. Il principio che i difettosi sien ricondotti a salute a spese del loro co- mune, è riconesciuto colà: vi esiste un refugio di poveri: i ciechi e la loro istruzione debbono per natura delle cose esigere le prime parti. Si levò allora l’adunanza: e come la mia guida m’aveva detto all’ orecchio che il segretario con certe cifre che chiamano stenografiche aveva scritto tutte le parole della seduta, lo pregai caldamente a dar mene copia, e l’ottenni, sicchè io ne ho ricavata questa storia minuta. Lasciai così l'accademia con mille idee per la mente, e poichè era ormai caduto il sole, mi condussi all’ albergo. Essendo io col buon montanaro che m’avea condotto laggiù, sopravvenne l’oste e mi disse che qual- cuno voleva parlarmi. Io lo seguitai, e mi lasciò in un tal luogo, ove molti parlavano insieme dicendo: sii il ben- «venuto. Ed uno soggiunse : ci pare che tu sia cieco e po- vero come noi. Ed io a loro: così nol fossi! E che vita fai? e che intenzione hai, mi diceva un altro di essi. Ed io gli spiegai brevemente il mio desiderio d’aver da lavorare e da vivere. Ma nonappena il mio discorso era finito, che udii levarsi da ogni parte le risa, sicchè restai tutto stu- pito. E dici tu davvero mi soggiunse colni, o vuoi bur- larti di noi? Quando è che un cieco abbia cercato di la- vorare, mentre molti di noi per non lavorare siamo .in faccia al mondo volontariamente acciecati? E siei. ancora così indietro che non sappi come vivere, o recitando il Dies irae, o cantando una laude o una storia sul violino, o battendo il bussolo sur una porta di chiesa? Noi ab- biamo pur altre abilità, e assai conoscenze, perchè nel mon- do v'è bisogno di chi oda, quanto di chi vegga; pure l’igno-. ranza di queste cose tè perdonata ; ma non saper fare quel che tutti fanno, questa è propriamente vergogna. É non puoi tu chiedendo limosina aitare te, e un altro cri- stiano che ti meni, e vivere con esso in pace alle spalle delle buone persone ? Per il primo tempo farai gli affari 120 tuoi bene assai assai: t' insegneremo poi alcune cose migliori, e ti farai ricco. Sappi che noi non abbiamo invidia ad al- cuno: viviamo liberi, giriamo attorno di giorno, e venghia- mo poi ogni sera quà a godere il frutto delle nostre fati- che e della pietà dei fedeli. Tu sarai uno dei nostri, a patto che non ti scandalizzi di ciò che udirai, perchè de’ santi parliamo il giorno; e il resto del tempo lo conce- diamo all’umana fragilità. Tra questi discorsi, che mi stordi- rono affatto e m°’empierono di confusione, venne a pren- dermi la mia guida, perchè la nostra povera cena era pronta, e mi tolse dal grande imbarazzo di rispondere a quel furfan- te. Dopo avere udito tutte queste cose non chiusi occhio la notte, e m°affrettai la mattina a ricoverarmi quassù. Corsi al mio buon curato, e gli raccontai tutti i fatti della vi- gilia. Scherzò un poco quel buon sacerdote, ma dopo essersi posto sul serio, mi fece un lungo sermone sulla ver- gogna dell’andare accattando. E rammentava che l’uomo. dee cibarsi del frutto de’ suoi sudori, e diceva che l’ozioso ruba il suo lavoro a sè ed'allo stato, e disobbedisce a Dio; e finiva per assicurarmi che questo peccato non poteva essere tollerato nè dai ministri di Dio nè da quelli del mondo. E poichè aveva sentito ciò che era stato detto della mia patria, e ne aveva egli pure buona opinione, mi dis- se queste parole: figlinol mio, io conosco colà una buona persona (e qui vi chiamò per nome ) : il giornale suo è occupato molto delle cose belle, ma le cose buone non vi son trascurate. Egli ha per amici colà i dotti ed i buoni; e le congregazioni dei dotti e dei buoni, siccome udisti , hanno fatto miracoli per gl’ infelici. A Londra, a Liver- pool, a Parigi le case dei ciechi sono state aperte dalle persone benefiche. Se è possibile aver soccorsi dal pub- blico, se v'è un asilo pei pari tuoi, non può ignorarsi da ì lui. Così m’incoraggì a chiedervi consiglio in questa mia tribolazione , ed io lo fo senza timore, e mi raccomando di cuore a voi. Siamo molti in questa disgrazia: un uomo | dotto mi disse che i ciechi si contano a mille trecento per ogni millione di uomini. Non è egli peccato che la mag- gior parte di noi si restin così colle mani a cintola accat- 12I tando e consumando di buona fede, e per sè e per gli oziosi che gli conducono, e si perdan così due uomini che po- trebbero produrre, e se ne soffrano due a puro aggravio? A conto buono, per ogni cieco che va mendicando e si fa condurre non avete una perdita di quattro uomini? E se questa perdita la vediamo noi che siamo ciechi, a voi che ci vedete lume come mai un sì gran danno non dà negli occhi? E come non v’accorgete poi che per quattro , o sei che son ciechi veramente avete sempre uno almeno che fa del cieco e si fa mantenere agli sciocchi? Oh! se sapeste a che s’ impiegano la notte quelli che cantano salmi e son cie- chi il giorno! Crediate che a raccoglierci, a istrurci e toglierci la vita vagante ci è il vostro interesse, e forse maggiore del nostro. Così per amor nostro e pel vostro pensate un momento a noi, e fate in modo che questa comune ver- gogna finisca. Ricordate che noi costiamo cinquecento lire per tre o quattro anni, e forse anche meno, se in vece di un cieco si mette a regolare la casa un che ci veda. Cre- diatelo pure: non è solamente la giustizia che abbia le braccia lunghe: come si tratta di case de’ poveri, de’ mu- toli, de’ ciechi, d’ ammalati, ne son tutti devoti, e tutti vi prendono la benedizione. Se su questo vorrete qualche notizia, potrò darvi del lume benchè io sia cieco. Degnate di non scordarvi la mia domanda: io non vi dico per ora il mio casato: ma le vostre lettere per la posta mi giugne- ranno senz’ altro. Vostro Servitore IL Circo ParRIZIO. 122 Sulla utilità dei moltiplicati prodotti, della generale indu- stria, e sul danno dell’opporvisi, anche nel caso che i sistemi proibitivi sussistano negli altri paesi. Memoria letta all’Ac- cademia dei Georgofili il 2 gennaio 1825, dal COMMENDATORE LAPO DE’ Ricci. In mezzo alle tante aberrazioni in cui traviarono gli uomini nel nostro secolo, non riuscì la meno singolare e la meno stra- na quella di ricercare un rimedio ai danni cagionati dall’ aumen- to delle produzioni; e tanto poterono lo spirito di sistema ed i suggerimenti d’invecchiato costume, che si fece di ciò un sogget- to di esame e di disputa. Uomini sommi, economisti rispettabili scesero a trattare siffatta questione; e non potendo risolverla con chiari argomenti ( giacchè e’ ne mancavano ), la ravvolsero in giri tortuosi di parole ed in astrazioni metafisiche, fatti inintelligi- bili seguaci del sottilissimo Scoto . Se la persuasione dell’ evidenza del mio assunto, e l’indul- genza vostra, dotti accademici, non m’ispirassero Galucil e co- raggio, male augurata alzerei la voce fra tanti e sì valenti disputatori. Ma quantunque debole sia questa voce, sarà pure tramandata con la maggior lena che per me si possa; come quella che in questo augusto recinto, sacro, alla libertà commer- ciale ed alle liberali discipline, s’adoprerà a respingere i dubbi mossi intorno a ciò che per gli altri popoli fu verità conosciuta per mezzo di scritture, e per la famiglia toscana è problema ri- soluto con la decisiva e lunga esperienza dei fatti, E vaglia il vero, lode per noi sia data a quei valorosi che i primi, in tristi momenti di carestia, quando di scienza econo- mica non si parlava ancora, si lanciarono arditi nell’ aringo per sostenere quelle grandi massime di libertà generale ed estesa dell’ industria, unica sorgente delle ricchezze toscane; e che ap- poggiati a quest’ancora tutelare, indicarono i mezzi con cui si difendessero dalle carestie, ed evitassero le cause di più gravi sociali inquietudini, e così salvassero questo felice paese dal torrente delle politiche sommosse, o almeno innocui ne ren- dessero i mali; e non restiamo giammai silenziosi, e senza sostenere viepiù quelle verità che allora, ripetiamolo pure » erano opinioni dei sapienti, ed ora riescono verità comuni, e direi quasi volgari. Si pongano dunque in oblio gli eccitamenti del privato in- teresse, che ben altre teorie c’ indurrebbero a sostenere, e solo il giusto, il bene generale ci siano di norma. E sebbene nulla 123 di nuovo si possa addurre nella soggetta materia , nonostante per- chè il vero è sempre bello, ed il vero solo è bello al dire di un elegante scrittore, io non temerò di avventurarmi a ripe- tervi delle verità che sono profondamente impresse nell’ animo vostro, virtuosi accademici, e nelle quali i dubbi delle donnic- ciuole non possono farvi oscitare. Onde permettetemi che io torni a dimostrarvi : I. Che è un bene reale l’abbondanza dei prodotti, e che è una prova di felicità pubblica . II. Che è pensiero ingiusto, antifilantropico, immorale > l’opporvisi sotto qualunque aspetto. III. E che infine non è giusto , nè utile l’opporsi agli effetti dell'abbondanza dei prodotti, anche quando provenendo questi da paese estero, vengono a rigurgitare sopra i nostri mercati; e ‘quindi che il sistema d’ illimitata libertà commerciale è prefe- feribile a quello regolamentario, anche nel caso che il primo non sia adottato dagli altri paesi. Non starò qui a ripetervi che parlando di prodotti , io inten- do comprendere non solo quelli dell’ industria agricola, che gli oppositori, per rendere la questione più intralciata , distinguono ‘ dagli altri, ma quelli insieme che l’ingegno e la mano dell’uo- mo seppe modificare, e rendere utili; essendo che, poco o nes- suno vantaggio si ritrae dai prodotti puri e spontanei della terra. Se giungerò a dimostrarvi come le verità, che io sono per ripetere, derivano dagl’ istinti invariabil i dell’ umana natura, io avrò ottenuto la massima parte dell'intento che mi sono propo- sto; poichè nessuno appoggio al ragionamento può darsi più so- lido di questo, nè meglio stabilita base. Primiero istinto dell’uomo è dunque quello di soddisfare ai propri desideri nel modo più sicuro e più facile; questo istinto, comune ai popoli selvaggi ed a quelli civilizzati, ebbe un freno nei secondi i quali, distinguendo il diritto di proprietà, e po- mendolo per fondamento di ogni civile unione, determinarono i limiti a tale soddisfacimento, e prescrissero che ei non nuocesse alla proprietà, nè ai diritti altrui. Osservata che sia questa pri- ma legge, verun’ altro ostacolo nè giusto nè utile io ravviso che debba o possa impedire quel naturale istinto , e però fin qui fu chiamato felice quell’individuo che potè più facilmente a mag- gior numero di desideri soddisfare, Così essendo, e tendendo tutti gli sforzi umani a procurare il. godimento della maggior quantità di comodi e di piaceri 124 ancora , parmi che quanto più abbondante e più raffinati saranno i prodotti dell’ industria, tanto maggiori soddisfazioni si otter- ranno da ogni individuo; e quanto più esteso sarà il nwmero di quelli i quali potranno goderne, tanto più la felicità e la con- tentezza pubblica saranno dilatate . Nè crediate già che io vada fantasticando per formare un popolo di epicurei. No che non sono epicurei quegli uo- mini, i quali riuniti in società, e rispettando ognuno la pro- prietà dell’altro, agiscono , e si muovono per mille vie, onde procurarsi maggiori comodità ; anzi è allora che un tal popolo (sempre nell’ipotesi che se gli lasci libero il campo all’indostria dall’autorità governativa ) diviene operoso; ed aguzzando l’ inge- gno, e mettendo in moto le forze dell’animo, e quelle del cor- po, va salendo al più alto grado di felicità . Egli è allora che stimolato e commosso dal desiderio del guadagno , va immagi- nando nuovi mezzi per ottenere più pronti effetti dell’opera propria. Osservando un popolo in questo atteggiamento, parmi vederlo nello stato più morale e felice che possa immaginarsi, e quindi non reca maraviglia se un tal popolo battendo questa ‘ strada aumenta strabocchevolmente i prodotti. Ma siccom e le forze morali a similitudine delle fisiche incontrano generalm ente una reazione proporzionale all’azione , così nel caso nostro, au- mentandosi il prodotto, si vedrà aumentare la consumazione ; degli abbondanti prodotti riuscirà più facile l’ acquisto ed il cam- bio. Da ciò avviene ugualmente che mentre noi vediamo ab- bondare i prodotti del nostro suolo, siamo altresi inondati da quelli delle fabbriche e manifatture straniere. E qui fa d’uopo avvertire che non è paragonabile l’ abbondanza fittizia prodotta dal sistema regolamentario con quella cagionata dalla generale e non vincolata concorrenza , e dagli sforzi liberi e simultanei di molti, poichè la prima cagiona la distrazione della merce, e la seconda non fa che ampliarne ed estenderne il godimento. Ed infatti sentiamo oggi che il lamento dell’agricoltura fa eco a quello dell’operaio manifatturiere; il proprietario de; terreni aggiugne i suoi lamenti a quelli del fabbricante, e del commerciante; ed in mezzo a questi lamenti, a queste strida, l’agricoltore si veste di tele e di panni dei più remoti paesi; l’operaio si ciba di grano, e non più d’orzo nè di vecce; il proprietario cambia annualmente i mobili della propria casa, e rende questa più comoda ed elegante ; il fabbricante di Brozzi, e di Peretola baratta le sue merci. nei porti dell’ Inghilterra e dell'America. La proprietà dei terreni, primo retaggio di po- 125 chi privilegiati, si trova estesa fia molti; e così la legge agra- ria, non promossa da insolente tribuno per invidia dell’ altrui possesso, ma ottenuta col fatto dell'abbondanza cagionata da leggi liberali, presiede alla distribuzione delle ricchezze territo- riali toscane. Ed in fine le manifatture ed il commercio non sono più la privativa di alcuni pochi che potevano far cono- scere la somma dei loro guadagni, ma sono divenute la sorte di una classe numerosissima di persone, le quali dividendo estesamente i lucri delle loro speculazioni, impediscono a pochi monopolisti il farsene assoluti padroni, e rendono impossibile il sommarne le risultanze. Io convengo che in questa situazione economica avvi bisogno per gl’individui di maggiore avvedutez- za, di più assidua fatica; ma gli effetti di queste forze saranno sempre grandiosi, nè mancheranno giammai, ed in ultimo non vedo danno alcuno che gli uomini sieno più attenti ed operosi. Fatica ed ingegno formano ricchezza, e la ricchezza eccita a procurarsi i comodi della vita; questo è l'andamento ordi- nario delle cose, che quando da importuna mano governativa non è impedito nè distratto, se ne scorre placidamente, e livellan- dosi come le acque di un gran fiume in prossimità del mare. È poi veramente timore mal fondato quello di credere che aumentandosi strabocchevolmente i prodotti, non se ne farà lo spaccio; perchè questi aumenteranno fino a quel grado nel quale possono dare utilità; essendochè verano continova ad eserci- tare una manifattura, o promovere una produzione che possa riuscire infruttuosa ed inutile. Le ubertose provincie della Pollonia, quelle più feconde ancora irrigate dal Nilo, cesseranno di mandarci grani quando non troveranno di loro convenienza lo smercio presso di noi; e la produzione di quel genere cesserà in quei lontani paesi, che si volgeranno alla cultura delle canape, dei tabacchi, dei cotoni ec. Ed in ogni ipotesi l’ agricoltore toscano avrà in confronto con gli esteri il vantaggio di non soggiacere alle spese del tra- sporto, ed a quelle infinite degl’ intermediari fra i lontani pos- sessori e i consumatori toscani. Lungi dunque da noi questo timore; perchè quando la merce soprabbonderà al bisogno, si cesserà di produrla, e questo calcolo riescirà facile‘ ed intel- ligibile a ‘tutta la massa della popolazione, che libera ed in- dustriosa saprà voltare a mille altri oggetti l'ingegno e l’arte; ed in questa situazione non fittizia per impulse governative, nè per privilegio, o per vincolo, ma consentanea al naturale 126 ì instinto dell’uomo, giungerà al più alto grado di felicità che possa immaginarsi. Se non che La bella età dell’oro unqua non venne ; Nacque di nostre menti Entro il vago pensiero E nel nostro desio chiara divenne. Lo so io pure che tanto bene non è concesso all’ uomo, perchè fra le infinite estrinseche contrarietà; anche in noi stes- si noi racchiudiamo i germi e le cause che s’ oppongono al proprio vantaggio. Ma so ancora che il contrariare questa pri- ma ed utile tendenza al ben essere, è ingiusto ed immorale, essendo una opposizione all’ andamento ed agli sforzi che fanno gli uomini per aumentare i loro vantaggi . Egli è poi curioso l’ osservare che finquì i sistemi governativi, anche quelli appoggiati alle massime regolamentarie , per quanto seguissero fallaci e cattivi metodi, pur nonostante s’ immaginavano di facilitare l’ aumento della produzione , e di procacciare che i prodotti dell’ industria si ottenessero con i minori mezzi possibili; e quindi privative, privilegi, vincoli, e perfino leggi suntuarie per far.sì che il numero dei venditori superasse di gran langa quello dei compratori. Fole tutte ed errori dell’antica barbarie, ma pure sempre diretti a quell'oggetto. E come mai si può ades- so, e con quale giustizia contrastare all’ aumento della produ- zione? La megliore e più accurata cultura delle campagne au- mentò i prodotti del suolo ; nuovi sistemi d’ industria applicati alle manifatture resero comuni al popolo quegli oggetti che pri- ma erano soltanto nell’ uso dei ricchi; e con qual giustizia oggi si pretenderebbe che coloro i quali possono portare camicie di cotone, siano obbligati a indossarle di canapa? Non sarebbe egli questo un innuovamento idi leggi suntuarie ? Ma (sia detto ad onore dei fautori dei vincoli ) finquì non ho cognizione che alcuno abbia proposto rimedi all’ aumento della produzione; e solo hanno esposto dei dubbi; hanno moti- vato dei timori, senza però ardire di proporre un provvedi- mento, nè il potevano fare , perchè troppo palese si scuopriva l'errore quando l’ avessero immaginato e proposto. Ma pure supponghiamo che il provvedimento vi fosse ,-0 che si potesse praticarlo. Con quale giustizia; io domanderei, si potrebbe comandare all’ agricoltore che lavorasse con minor cura il suo campo per ottenere minore prodoito, e quale attentato non sa- rebbe alla proprietà ed all’ uso che ogni uomo dee fare delle proprie forze, il proibirgli di megliorare le manifatture, o di 127 renderne meno costosa la fabbricazione? Ma qui sento fremere molti fra voi o signori, e dirmi che niuno giammai ebbe l’a£- tiflantropico ed immorale disegno di opporsi al giusto per ren- dere la popolazione più povera e più infelice. Ed io mi tac- cio, perchè queste per certo non furono le mire di alcuno, e solo comparvero contrarianti la felicità generale alcune opinioni nate da timore di male futuro , o da zelo e speranza di migliori resultamenti. Si taccia dunque, io lo ripeto, sopra di ciò che farebbe vergogna; ed esaminiamo rapidamente se nella circo- stanza dell’ aumento dei prodotti, sarebbe utile che la potestà governativa si mescolasse di prendere provvedimenti sulle merci straniere, e di portare il sistema economico toscano all’ istesso tenore di quello di altri paesi. Diceva un distinto americano al dotto e rispettabile nostro collega sig. Sismondi ,, quando io vedo un governo dell'Europa 3, annunziare con un proclama che egli vuol proteggere il com- sì mercio , risvegliare |’ industria ed animare le manifatture, io 3, tremo per i sudditi di quel governo ,,. Ma ben conosceva gli effetti di siffatto timore salutare il gran principe, del quale vi- ve immortale la ricordanza , quando piuttotto che produrre con quei titoli pomposi , con i quali si annunzia un provvedimento , una privativa, che si risolve sovente in una collisione colla giu- stizia, proclamò in Toscana la libertà dell’industria, e così ope- rò il bene generale, e formò la pietra angolare del nostro edi- fizio economico . Se da questo abbiamo conseguito vantaggio è inutile il ripeterlo. To credo dunque che nel modo che egli è stato fin qui utile il seguitare in questo andamento, sia in- dispensabile non abbandonarlo in appresso. Nè ci faccia mara- viglia se alcune istituzioni governative di altri paesi sono in op- posizione col nostro sistema, nè vogliamo da questo prendere timore per noi. Provato una volta, come io suppongo che non se ne dubiti, che errore e danno proviene dal sistema regola- mentario , e dagl’ impedimenti alla libera comunicazione delle merci, parmi evidente che questo danno percuota in primo luo- go quel paese , quello stato dove l’ impedimento esiste. Nè vi ha dubbio ancora che l’impedire che gli altrui prodotti vengano a spacciarsi nei nostri mercati produca il ristagno dei propri; e la ragione è semplicissima, perchè essendo il commercio un me- ro baratto di merci, non potrebbe riuscire di dare i propri generi agli altri senza ricevere i loro; ed e quindi una illu- sivne quella di credere che massima utilità porterebbe il cam- biare le merci nostre contro il solo oro ed argento; perchè 128 bisognerebbe rendere altrettanto di quegli stessi metalli in cam- ‘ bio, affine di ottenere gli oggetti che servono a noi per i co- modi della vita. E d’ altronde non. farebbe che rinnuovare, o per dir meglio ridurre al vero la nota favola di Mida, quella nazione che il pretendesse, giacchè niuna progressiva felicità , nè tampoco miglioramento di prodotti da lei si otterrebbe. Ma qui gli amici del sistema regolamentario citano nazioni, e gran- di provincie, che proibiscono i generi altrui per consumare in preferenza i propri. Facendo una leggiera osservazione alla va- stità di alcuni di questi paesi, la vedremo esser tale che non concede il confronto col nostro piccolo stato. Perciocchè quei paesi possedendo nel loro seno i prodotti del settentrione e quelli del mezzogiorno , i baratti ne sono tali e così rapidi, che rendono meno sensibile il danno del vincolo e del regola- mento. E nonostante si osserva che il valore per esempio del grano è presso loro minore che in Toscana. Voi stessi avete ascoltato o signori, nella passata adunanza, alla quale più mi duole non avere assistito, da eloquente ed ingegnoso dicitore descriversi la trista influenza dei vincoli sul prezzo dei prodotti nei paesi ai vincoli sottoposti; ed avete udi- to come egli straniero a questo suolo ( se pure gl’ Italiani sono stranieri in Italia ) ha posto con nobile franchezza in chiaro lame il vantaggio che il nostro paese per questo rapporto sopra gli altri si gode. Non voglio però negarvi che una delle più floride e gran- di potenze europee si è arricchita col monopolio; il quale certa- mente è di gran profitto a colui che lo esercita, allorquando egli ha per sostenerlo i mezzi e la forza ; ma io credo questa forza precaria in qualunque possente stato; e se fosse permesso di vaticinare io direi che il sistema di monopolio dovesse esser di- strutto in breve corso di anni in tutta l'Europa, pel solo anda- mento attuale delle cose. L’ impulso vigoroso dato alla umana industria da uno dei più grandi avvenimenti politici che siano mai stati sulla terra, ha posto in tal movimento le forze intellet- tuali degli uomini, che essi conducono a grande perfezione le arti tutte, e moltiplicano immensamente i bisogni ed i comodi del viver sociale; onde mi sembra quasi impossibile che si pos- sano ancora sostenere nel commercio certi sistemi di proibizio- ne e di vincolo; e se si sostengono ancora, ciò avviene per- chè |’ interesse di alcuni che trovano il mezzo di far valere la propria influenza a danno del hene generale, è impegnato per sostenerlo, 129 La lunga ed utile esperienza che abbiamo fatta noi tosca- ni del sistema di piena libertà, dovrebbe convincerci essere que- sto il più consentaneo agl’ interessi del nostro paese, nè do- vrebbe metterci in apprensione la meno felice situazione attuale di alcuni proprietari di terreni. Ma gli amici del vincolo e del sistema regolamentario vor- rebbero provvedervi subito con tasse e con sistemi doganali . Non hanno fatto essi considerazione alle agitazioni politiche, che avendo scosso per tanti anni l’Europa, hanno dovuto alterare l’ equilibrio all’ andamento ordinario, e ciò che ora danneggia alcuni proprietari, ha danneggiato per lungo tempo molte altre classi di persone; ed in ultimo hanno obbliato di osservare che il bisogno reciproco, e l’utile generale in tempo di calma, porrà in equilibrio l’ abbondanza dei prodotti. Nonostante siami permesso un breve cenno su questo arti- colo , appoggiato all’opinione del citato Sismondi ,,. 1 legislatori >» della repubblica francese, egli dice , sedotti da una falsa teo- »» ria si proposero due cose incompatibili nello stabilimento delle so dogane ; la prima di proteggere il commercio, e l’altra , e » più vera, di prendere una contribuzione sopra i consumatori »» per sovvenire ai bisogni dello stato ,,. Se il sistema doganale si guardasse sotto questo secondo aspetto, senza farsi illusioni ci occuperebbamo tutti del modo onde sostituirvi altra tassa, e sarebbe sperabile che vi fosse alcuno un giorno che, invece di porre a tortura l’ingegno per trovare il mezzo onde distrug- gere in pochi minuti più migliaia di uomini con i cannoni a vapore, inventasse quello di supplire a questa tassa con altri me- todi più semplici, più facili, e meno vessatorii. Eppure .......... tanto è possente Invecchiato costume in petto umano . ...... Che per quanto la lunga esperienza ci abbia fatto conoscere l’utile della libertà economica, nonostante oggi sotto l’ aspetto dello sbilan- cio.verso gli altri stati vincolati, si ritorna larvatamente a met- tere in campo l’istessa questione , e quando altri governi co- minciano a far cenno di esser convinti della fallacia del siste- ma regolamentario . Ed a che varrebbe nel nostro piccolo paese 1’ impedimento all’ ingresso dei prodotti dell’ industria straniera? Quali, sono le merci nostre che per la gravezza dei dazi che loro s’ impon- gono negli altri paesi regurgitino nei nostri mercati ? La nostra situazione è tale, che non potreimmo impedire l’in- gresso alle merci straniere anco volendo; e pure nell’ ipotesi T. XVII. Febbraio 9 130 che ciò si potesse, non faremmo che toglierci una quantità infi- nita di soddisfazioni, senza estendere di una linea la nazionale ricchezza. Ed infatti, quale utile sarebbe alla tessitrice di seta, a quella che intreccia la paglia per i cappelli , l’occuparsi piut- tosto in filare canapa e stoppa affine di procacciare una ruvida camicia al marito, mentre col prodotto dell’ opera propria può procurargliene quattro di cotone ? L’ abolizione dunque delle tasse, dei privilegi, delle priva- tive, come io vi diceva altra volta , fa 1’ incremento della ric- chezza nazionale. Quante piantazioni di tabacco furono eseguite in quei pochi anni che restò libera e senza appalto la cultu- ra di quel prodotto! ebbene tutte cessarono al comparire del- la regalia. E però, quanto più i paesi sono vincolati , tanto più si di- minuisce l’ industria e la prosperità pubblica. Ripetiamolo dun- que , e ripetiamolo concordemente persuasi del danno dei vinco- li e dei regolamenti, che troppo cattivi effetti fanno sentire a quelli stati nei quali sono essi in onore . Quando noi ci facciamo a considerare che un mezzo secolo indietro si volevano in Toscana magazzini di grano , regolamen- ti, magistrati d’ arte, privative, appalti, vincoli, e direzioni per ogni dove, e che era colpito di anatema chiunque ardiva dubitare dell’ utilità di provvedimenti sì fatti, e quindi parago- niamo quella antica ‘Toscana con la presente; non possiamo a meno di lodarci del progresso dei lumi nella scienza economica , e di essere stati noi toscani i primi a profittarne. Resta che non ci lasciamo giammai sorprendere dal dannoso desiderio di cam- biar massima o direzione; le nostre massime , i nostri sistemi, abbastanza e laminosamente provveggono al bene pubblico in- dipendenti dalla carestia e dall’ abbondanza . E quindi rinnuoviamo la lode a quel gran Principe, l’ avo del nostro augusto Sovrano , che il primo ridusse in atto le bel- le massime conosciute per l’ avanti non più che nelle carte e nelle bocche dei sapienti; ripetiamo la lode all’ augusto figlio del quale piangiamo recente la perdita , perchè le sostenne in mezzo all’ Italia aggravata in ogni sua parte di commerciali ca- tene ; plausi innalziamo al giovine regnante che governa le no- stre sorti, il quale ha gettato a terra con un tratto di penna un assurdo vincolo delle contrattazioni rimasto tuttavia in vita fra noi. Non è servile adulazione, o signori, se io rammento con lieta compiacenza , e come auspizio di liberale e fortunato re- gno , che il suceessore di Leopoldo e di Ferdinando ha aboli- 13I to la tassa dei macelli, e che è stata questa la prima legge segnata dalla reale sua mano. Popoli uscite in folla, accendete faochi, cantate inni festosi a quel re che vi diminuì le tasse, diceva |’ energico scrittore dell’ Istoria delle due Indie . Ma non ho io penna bastante per tessere panegirico al nostro augusto Signore, nè la modestia di lui il permetterebbe; sia' però per- messo ad un cuore caldo per la libertà economica il rendergli umile tributo di grazie; perchè volendo egli diminuire una tas- sa ai suoi popoli, ha con saggio accorgimento tolta via quella che manteneva un vincolo, una privativa , ed arrecava danno all’ agricola industria. Vidde egli che mentre l’ erario regio ri- traeva da quella sessantamila scudi , aggravava il suo popolo un altro carico , il guadagno cioè di circa dugento monopolisti ap- paltatori di siffatta tassa. Nè senza timore di rimprovero po- teva io restare in silenzio su questa materia: io che già sono anni in questa istessa sala diceva a voi che la tassa dei macelli influiva potentemente i danni dell’ agricoltura . Nè tacere pote- vamo tutti noi, accademici colleghi, poscia che l’ illuminato Prin- cipe aveva pronunziate quelle auree parole, il tenore delle quali fa sempre la divisa della nostra accademia: Che la pubblica pro- sperità era prodotta dalla somma di tutte le industrie indivi- duali eccitate da una libera e leale concorrenza, e che grave danno arrecano privilegi e privative , che abbagliando con molto lume in alcuni, spargono oblio sopra tutti gli altri lasciati nel- l’ oscurità. Di maniera che si può vaticinare con sicurezza che la posterità rammentando il favore da tanto Principe conceduto al libero esercizio delle individuali industrie, ripeterà di lui ciò che Tacito disse di Nerva: ,, Cum Res Olim dissociabiles miscuerit libertatem, et Imperium. CT —m———ttmmm@ùdb&6c cli ing iste ps i ._| Lettera d’un socio ordinario dell’ accademia archeologica di o Roma ad altro socio della medesima in Firenze. LETTERA I. Roma 3r. Gennaio 1825. Tu sei partito da noi; ma la dolce memoria della soavità de’ tuoi modi, e il desiderio del tuo erudito conversare vivo- no e vivranno mai sempre ne’ nostri cuori . Io sopra tutti vado sovente ricordando a cotesti letterati la perdita ch’ essi in te han- 132 no fatta. E siccome le inchieste dell’ amicizia debbonsi risguar- dare quai cari comandi, così essendomi più che mai presenti quelle tue parole , onde accomiatandoti mi eccitavi a scriverti spesso di questa nostra Roma, de’ lavori letterarj de’ tuoi ami- ci, delle nuove scoperte di antichità delle quali cotanto abbon- da questa classica terra, e di tutt’ altro che alle scienze, alle lettere ed arti belle appartenga , mi sono proposto di soddisfarti in qualche parte , purchè in cambio delle mie novelle tu vogli rimandarmi le tue saggie opinioni. Questa mia prima epistola ti sembrerà per avventura alquanto scarsa di cose + Ma nel bre- ve tempo da che hai lasciati i nostri antichi colli , onde recarti a far soggiorno sulle amene sponde dell’ Arno , poco è avvenuto, che meriti la tua osservazione. Lo scriverti anche di questo po- co può esserti argomento della mia premura di compiacerti. Tu ricordi lo scavo che il duca Torlonia ha fatto intra- prendere da non molto al così detto circo di Caracalla conti- guo alle due antiche vie appia e latina . In questo’ scavo, che fa tanto onore al nobile possessore di quel monumento, si è ricono- sciuto l'andamento della spina, e si è osservato ch’ essa era mol- to più larga di quello che dicasi nella bell’opera del consigliere Bianconi , pubblicata dall’ avv. Fea. Sonosi anche rinvenuti vari frammenti di statue, che decoravano la detta spina, molto mal- conci dalla corrosione della terra sotto la quale per tanti anni si giacquero, ed alcuni pezzi dell’ obelisco di granito rosso; che ora mirasi alzato sul circo agonale. È osservabile fra quei fram- menti uno di figura muliebre sedente sopra un lione, in cui gli archeologi non hanno esitato a riconoscere un avanzo della statua di Cibele , ch’esser doveva sulla spina del circo. Proseguendo lo scavo verso la porta trionfale, sonosi offerti allo sguardo otto gradi che dovevano salirsi per chi dall’ arena usciva sulla pros- sima via latina. Ma la più curiosa ed interessante discoperta è quella d’un resto d’antica inscrizione frammentata, che farà a mio credere cambiar nome a quel circo. Non ti è ignoto che archeo- logi ed architetti mal volentieri il denominavano di Caracalla, guardando alla sua pessima costruzione laterizia, la quale, para- gonata con la bella e soda costruzione delle terme da quell’ im- peratore edificate sull’ Aventino , lasciava non picciol dubbio sul- I’ epoca della fabbrica, Non ostante che molti si opponessero , ed altri pei segni che porta impressi dalla decadenza dell’ arte altribuissero il circo a Gallieno, pur esso ritenne sempre il no- me di Caracalla, non per altro motivo, forse, che per una statua di quest’ imperatore trovata fra le sue rovive, e perchè in una f 133 medaglia dell’imperatore medesimo un circo vedesi effigiato. Ora l’inserizione trovata porta in lettere cubitali i nomi degl’ im- peratori Massenzio e Romolo suo figlio, al secondo de’ quali và unito l’aggiunto dell’ apoteosi. Quindi il circo può a ragione reputarsi inalzato da Massenzio, ad onore del figlio Romolo, già suo collega nell'impero , e che dalle medaglie apprendiamo aver ottenuti onori divini. Allorchè l’ iscrizione sarà rinvenuta inte- ramente, non mancherò di mandartene copia. Si spera che vo- gliansi dal duca continuare le escavazioni, e vedremo. allora ster- rato interamente un monumento, che, avendo sofferto meno de- gli altri i danni e le ingiurie de’ tempi, è da reputarsi nel suo genere il più intero che esista . Il conte di Velo gentiluomo vicentino, che alla nobiltà della nascita unisce un amor grande per questi nostri studi, ha di nuo- vo intrapresi i suoi scavi alle terme di Caracalla, dal cui nome sono volgarmente chiamate le Antoniane . Furono quegli scavi co- minciati l’anno scorso con ottimo metodo , e fruttarono, oltre il ritrovamento di molti marmi nobili, ed un bel torso di Fauno, la discoperta de’ due musaici figurati che rivestivano il pavimen- to dei due amicicli a forma di sale, uve trattenevansi coloro che frequentavano le terme , e da dove a mio credere potevano go- . dersi i giuochi che facevansi negli spazii avanti ai portici. Le figure grandi al naturale rappresentate nell’ uno sono di atleti e pugillatori; quelle dell’ altro sono di atleti e ginnosofisti ; ciò che dimostra a sufficienza la destinazione della fabbrica . Avre- mo presto una illustrazione completa di questi lavori antichi dalla penna del comune nostro amico cav. Pietro Visconti. Quest’ an- no , riaperti gli scavi, sonosi ritrovati li musaici del portico, ad uno de’ detti amicicli. Uguali di meteria, poichè tutti di mar- mo duro a squame di varii colori, variano però nella figura de’ compartimenti . Gran vantaggio può trarsi dagli scavi, di cui ti parlo , per la pianta topografica delle terme, potendosi così correggere molti errori commessi dal Serlio, dal Palladio, Pira- nesi ed altri. Ciò si è proposto il nostro socio accademico An- tonio de’ Romanis, e grazie alle cure di sì erudito architetto avre- mo, spero; una pianta esattissima di quel magnifico edificio chia- mato da Eutropio opus egregium . Due volte in questo mese s’ è adunata la nostra accademia archeologica. Giovedì 13 fu ascoltata una bella dissertazione del socio corrispondente sig. Clemente Cardinali , nella quale ei corresse li sei primi consolati dell’ era volgare. Tu conosci gli scritti ( che molti pur sono ) di quel dotto, e non hai d’uopo che ti parli del 134 \ loro merito. Solo ti posso dire che egli al par del Borghesi rie- sce eccellente nella genealogia delle antiche famiglie, avendoci fat- te vedere con somma diligenza e verità protratto per molte gene- razioni l'albero di quella degli Emili Lepidi. Nella tornata dei 27 sì lessero due altre dissertazioni molto interessanti. La prima del dottor Alessandro Visconti sopra una gemma del Museo del duca di Blacas, rappresentante Euripilo ferito, che si ritrae dalla pu- gna sostenuto da due scudieri, trovata fra gli antichi Marsi alle sponde del Fucino , e visibilmente di greco lavoro . Questa dis- sertazione fu bella e dotta, e qual poteva attendersi dal fratello di Ennio Quirino. La seconda, che ascoltammo dal nostro bene- | merito avv, Fea, fu interrotta da pause e da lacrime frequenti . Il zelantissimo commissario delle romane antichità prese sotto il modesto titolo di Aneddoti sulla Basilica Ostiense di S. Paolo a far l’ orazione necrologica di quel famoso tempio , che co- minciato da Costantino, aumentato dallo zelo degli imperatori Valentiniano , ‘Teodosio ed Arcadio , in seguito da tanti papi abbellito e restaurato, formava la meraviglia degli esteri "che portavansi a visitarlo, e la gloria di Roma che possedevalo . Esso arse miseramente, ed io medesimo ti ho veduto piangere su que’ nobilissimi marmi avanzi dal fuoco divoratore. In mezzo a tanto dolore una sola speranza ne confortava, di rivederlo cioè un giorno restaurato conservandone l’antica forma, e riparando come meglio potevasi la perdita de’ marmi. Ma ecco che il Fea ne viene nunzio di non più pensata ruina. Il tempio si de- molisce in gran parte, e di quel che avanza si forma una basilica di nuovo genere, tutta variando la maestosa sua figu- ra. Questo si è il motivo per cui quel dotto vecchio , zelantis- simo conservatore delle prische memorie, piange e declama, e seco lui tutti declamano quelli che sentono una sola scintilla d’ amor patrio , ed intendono cosa siano antichità ed arti. Io non ti ripeto le sue parole, ma ti spedisco un esemplare della sua dissertazione , della quale non hai a guardare lo stile, ma la materia e il sentimento. Sono certo che ti sentirai mosso ad indignazione, sentendo quali scandali succedano nella sede delle antichità e delle arti. Vorrei poterti annunziare in un’altra let- tera qualche cosa meno triste in quest’argomento, e mi consola il riflettere che facilmente variansi gli umani consigli . G. M. 135 BULLETTINO SCIENTIFICO N. XVII. Febbraio 1825. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. La mattina del dì 2 gennaio 1825. alle ore 5 circa dal sig. Antonio Brucalassi, che viaggiava alla volta d’Arezzo in compa- gnia d’ altra persona , fu osservato fra S. Giovanni e Monte- varchi in Valdarno, e quasi un miglio presso quest' ultima terra, un fenomeno meteorologico , che può interessar gli studiosi. Alla distanza di circa cento passi dai due viaggiatori , ed all’ altezza , presso a poco, di dieci braccia da terra , sulla stra- da regia aretina, apparve una meteora luminosa della figura d’un cono coll’ apice troncato. Sembrava formata da un glo- bo di fuoco situato nella di lei parte anteriore più stretta, e che per il suo rapido corso lasciasse dietro a sè quella trac- cia di luce, che dava l’aspetto di cono o quasi di nappa a que- sta meteora. La luce era gradatamente meno intensa verso la base, e sembrava formata da strie che si partissero dal- l’ estremità opposta. Tutta la superficie del cono brillava , € sembrava lanciare delle stellette. di luce più viva, e simili per la loro chiarezza alle scintille elettriche , ma sfolgoreggianti nel modo che fa la limatura di ferro gettata sopra la fiam- ma d’una candela. Tutta la lunghezza della meteora sembra- va di circa due braccia; il diametro della base di circa un braccio. Nel centro di questa base vedevasi una manifesta man- canza di luce , che formava una specie di macchia oscura, dal che appariva che il cono luminoso, almeno verso la sua base, era formato da una specie di zona o fascia circolare di fuoco, di cui era assolutamente privo l'interno del cono. La direzio- ne di questa meteora era da ponente a levante, e quasi oriz- zontale, inclinando alcun poco verso la terra. Il suo corso fu rapidissimo , mentre in cinque minuti secondi , al più , trascorse uno spazio non minore di 350 passi. La luce che diffuse in questo tragitto fu grandissima , sicchè un buon tratto di quella campagna restò illuminato come di giorno, ed il cavallo che tirava il calesse dei viaggiatori si fermò istantaneamente , sor- preso da un chiarore sì vivo e sì repentino. L’apparizione egual. 136 mente che la scomparsa di questo corpo luminoso accaddero in aria, senza che quella massa di fuoco andasse ad estinguersi nella terra, e parve che nello spegnersi subitaneamente aves- > se un moto serpeggiante, e lambisse la cima d°’ alcuni pioppi. Questa meteora non lasciò verano odore; non produsse nè de- tonazione nè strepito ,, e nel traversar l’aria non cagionò nem- meno quella specie di sibilo che fanno sentire i fuochi d’ arti- fizio. La notte in cui ebbe luogo questo fenomeno era tran- quilla, ma freddissima ; il cielo era sereno, e tanto avanti che dopo la comparsa della meteora vi si videro vagare molte delle così dette stelle cadenti , come nelle calde sere d’ estate. Nella sera del dì 17 del corrente febbraio alle ore 8 e un quarto, essendo il cielo coperto di nubi; e cadendo una piog- gia minutissima , fu sentito nella città di Siena e nei contor- ni un forte fragore, che sembrava venire dalla parte di po- nente, ed a cui successe una scossa di terremoto oscillatorio , che durò 4 minuti secondi. Essa fa tale, che nei piani supe- riori d’alcune case suonarono i campanelli ; fortunatamente non ne derivò alcuna funesta conseguenza . Dopo 3 minuti primi, fu sentita una seconda scossa più leggiera, ed una terza leg- gerissima ad un’ ora circa della mattina del dì 18. Il barome- tro era molto alto, e la sera del ry. verso le ore 10 il cielo si fece sereno. - Fisica e Chimica . Lettera del cav. Leopoldo Nobili al prof. Gazzeri . Sig. Professore Un ago magnetico oscilla più lungamente dentro a un cer- chio di ferro , che dentro a un cerchio di rame, Non così tosto ho veduta nell’ ultimo suo Bu//ettino Scientifico riferita questa bella osservazione di Arago, che mi si è presentata allo spi- rito la spiegazione seguente. Io m'’affretto a comunicargliela , perchè presamo che sia la vera, e per questo non indegna forse di comparire in uno dei suoi Bollettini. Sia ns l'ago d’ una bussola, ed a2cd il cerchio di ferro, dentro cui l’ago oscilla per più lungo tempo che circondato da un metallo non magnetico. Se l’ago ns; invece d'essere ciuto tutt’ all’intorno da un cerchio di ferro, avesse solamente qual- 137 che pezzo di questo metallo in x, y sulla linea del suo equi- librio stabile, l'ago ns tenderebbe in tal caso a mantenersi nella propria direzione sud-nord, non solo per l’ influenza del magnetismo terrestre; ma per quella eziandio delle masse x, y le quali attraggono a sè i poli n, s. Spostato quindi dalla sua direzione l’ago, vi tornerebbe con una velocità maggiore di quella che concepirebbe fuori della presenza delle masse x, Y; e per conseguenza una tale velocità esigerebbe, per essere estinta dalle resistenze, un tempo più lungo di quello che si richiede all’ estin- zione della velocità dovuta alla sola azione del magnetismo terrestre. Il caso del cerchio di ferro adcd non è precisamente lo stesso che il caso delle due masse x, y or ora supposte; ma vi si ri- duce facilmente rifletteodo al noto principio che il ferro non attrae le calamite se non in quanto si calamita egli stesso in . presenza di quelle. Sul cerchio abcd il magnetismo comincia nei punti x,y dirimpetto ai poli n, 5, e si estende almeno fin do- ve giungono le oscillazioni dell'ago. Supponiamo che il polo n oscilli dinanzi all'arco @5. I punti di quest’ arco saranno certamente di quelli che si calamiteranno dinanzi al polo Rn: i punti situati al di lì di @, 5 o non si calamiteranno di sorta, o più debolmente che i punti compresi fra que’ due limiti. In qualunque modo, siffatto magnetismo riuscirà simme- tricamente distribuito d’intorno ai punti centrali x,y ; sicchè agirà come se fosse tutto raccolto in que’ due punti, vale a dire come se esistesse in ciascuno de’ due luoghi x, y una par- ticella di ferro dotata di tutta |’ attrazione ch’ esiste sparsa so- pra gli archi 40, cd. Per annullare l'efficacia di questi archi non vi sarebbe , io credo, che un solo mezzo : bisognerebbe che 138 il cerchio di ferro adcd girasse d’intorno al proprio centro così rapidamente , che le parti ond’è composto, non avessero tem- po di calamitarsi dinanzi ai poli r, s, A meno di non combinare quest’ accidente, o qualche altro analogo, le parti del cerchio di ferro rispondenti agli archi d’ oscillazione serviranno sempre a rendere i movimenti oscillatori dell’ago più veloci, e capaci per questo di lottare più lungamente contro le resistenze che tendono a distruggerli . Sono pieno di stima e considerazione. Reggio li 20 febbraio 1825. Devmo Servitore LEOPOLDO NOBILI. Risposta del prof. Gazzeri alla precedente. Pregmo sig. Cavaliere Ho ricevuto la pregiata sua lettera, e l’ho tosto trasmessa allo stampatore, per essere inserita, come ella mi domandava , nel Bullettino del cadente febbraio, che era appunto per por- si in torchio, e penso unirvi questa mia, nella quale, con quella franchezza che a lei non dispiace, dirò ciò che io pensi dell’ingegnosa spiegazione che ella dà del fenomeno os- servato dal sig. Arago, e prima esporrò quella che io ne ho dato a me stesso. \ Ella sa che io riguardo il ferro come coibente l’azione ma- gnetica, giacchè interposto, anche in lamina sottilissima; fra una potente calamita ed altro ferro, impedisce ogni azione di quella sopra di questo. Un cerchio che circondi o una scatola che includa un ago magnetico agilmente sospeso, nel mio mo- do di vedere, lo sottraggono più o meno all’influenza di ciò che sì chiama magnetismo terrestre ; quindi essendo chiamato meno fortemente alla direzione nord-est, e meno tenace di questa direzione , quando ne sia spostato vi ritorna più languidamente , prolungando l’oscillazione, sintoma in qualche modo d’ indiffe- renza. Però io sono di parere che, mettendo, com’ ella propo- ne, nei punti x, y della sua figura, corrispondenti ai punti sud, nord , due masse di ferro, l’ago spostato dalla sua natural di- rezione, essendo chiamato verso quelli da maggior forza che non da quella del solo magnetismo terrestre, vi tornerebbe più pre- sto oscillando meno ; e non più tardi ed oscillando più, com’ ella sembra opinare. È naturale che in questo caso l’ago spostato , al momento in cui si lascia in libertà , si parta, com’ ella dice, 139 eon maggior velocità ; ma la forza che in ciò lo solleeita lo chia- ma a fissarsi in faccia ai punti x, y, non ad oscillare, Io che è in qualche modo sottrarsi al fine di quella forza . Ma intorno a ciò e ad altre cose relative mi nasce l’idea d’ alcune sperienze, che conto di fare, e delle quali le comu- nicherò i risultati, come mi sarà grato intendere da lei le sue ulteriori osservazioni ed idee. Sono con sincera distinta stima Devmo Servitore Firenze 26 Febbraio 1825. GIUSEPPE GAZZERI. Era già opinione d’ alcuni naturalisti che il ferro nativo di Siberia fosse d’origine meteorica. La cosa sembra posta fuori di dubbio per l’analisi che il sig. Zaugier ha fatto del ferro me- teorico trovato a Brahin nel 1809, e nella composizione del quale ha trovato la più grande conformità col ferro nativo di Siberia . Le scaglie che si staccano dal ferro fortemente scaldato e battuto erano state fin quì riputate un ossido identico all’ ossido magnetico della natura ed a quello che si ottiene facendo pas- sare del vapor d’acqua sul ferro dolce infuocato. Il sig. Berthier si è ora assicurato che esse contengono meno ossigene. Quindi ammette quattro ossidi di ferro, nei quali le quantità d’ossigene combinato ad una stessa quantità di metallo sono fra loro co- me 6, 7,8, 9. Era stato osservato svilupparsi della luce nella. cristallizza- zione d’alcuni sali. Il sig. Giodert. chimico di Turino aveva già osservato questo fenomeno nel solfato di potassa. Moderna- mente il sig. Buchner lo ha avvertito nella cristallizzazione dell’aci- do benzoico . Il sig. Doeberciner crede che questa proprietà ap- partenga in special modo a quei sali, o a quelle sostanze, che non ritengono acqua di cristallizzazione. Il sig. prof. Macneven di Nuova Iork; sottoponendo del car- bone all’ azione calorifica sommamente energica del deflagratore di Hure, ottenne due globuli fusi di colore diverso riuniti da un filo della stessa materia , che era nera, non lucida, e perfetta- mente opaca. Egli credette avere così operato la fusione del carbone, ma l’ analisi dimostrò essere questa materia un compo- sto di silice e di ferro, che il sig. Lardner, cui si deve questa notizia, riguarda come proveniente dalle impurità che il carbone contiene costantemente, e che si ritrovano nella sua cenere. 140 Il sig. Doeberciner suggerisce un facil mezzo per privare il gas idrogene di qualunque piccola porzione d’ ossigene , o con tenerlo in vasi esternamente vestiti di platino, o immergendo nel vaso che lo contiene una palla porosa formata d'argilla e di platino spongioso recentemente infuocato. In ambi i casi il platino determina la combinazione dell’ossigene alla corrispon- dente proporzione d’idrogene per formare acqua, cosicchè il residuo è puro gas idrogene. Ecco un ingegnoso apparato imaginato dallo stesso sig. Doe- bereiner per determinare facilmente la combinazione dei due gas ossigene ed idrogene e la formazione dell’acqua coll’ intermezzo del platino . Dal collo d’un piccolo matraccio della capacità di quattro o cinque pollici cubici parte un tubo che; dopo aver seguito per breve tratto la direzione orizzontale, si piega, e discende verticalmente. Alla sua estremità è adattata una chiavetta o robinet. La bocca del matraccio è esattamente chiusa con un matraccio traversato da un filo di platino, alla di cui estre- mità è una palla porosa d’argilla e di platino spugnoso. Il pezzo d’ottone termina in una vite, mediante la quale si adat- ta prima alla macchina, pneumatica per farvi il vuoto, quin- di (chiudendo opportunamente la chiavetta) ad un’altra chia - vetta adattata alla ghiera o collocare d’una campana superior- mente aperta e graduata, contenente la mescolanza dei due gas- Aprendo allora le chiavette, la mescolanza aeriforme si slancia nel vuoto matraccio, ove entra in combustione a contatto del platino che s’infuoca, generandosi l’acqua, che si vede scor- rere sulle pareti del matraccio. La chiavetta non deve tenersi aperta che per un momento, quanto basti a far entrar nel matraccio il mescuglio aeriforme. kaffreddata la palla, s’ intro- duce una nuova quantità dei due gas; aprendo per un istante la chiavetta. Ad evitare la possibile comunicazione della combu- stione all’intera massa aeriforme contenuta nella campana, si può interporre fra questa ed il matraccio una palla o piccolo recipiente di capacità eguale al matraccio. Il dot. Henry ha imaginato un nuovo mezzo per analiz- zare il gas protossido d’ azoto, ricavato dalla scomposizione del nitrato d’ammoniaca, Egli mescola in proporzioni convenienti questo gas al gas ossido di carbonio ottenuto dalla scomposizione del carbonato di calce per mezzo della limatura di ferro infuocata con lui, ‘e li fa detonare per mezzo della scintilla elettrica. Così I4I operando, ha trovato che un volume di protossido d’ azoto è scomposto da un volume d’ ossido di carbonio , risultandone un vo- lume d’acido carbonico ed uno d’azoto, sicchè a convertire un volume d’ossido di carbonio in un egual volume d’ acido carbonico vi vuole mezzo volume d’ ossigene. In conseguenza un volume di gas protossido d’azoto deve esser composto d’ un volume d’azoto e di mezzo volume d’ossigene, e non d’un intero volume, come era stato creduto. Il sig. Vuaflart , farmacista francese , volendo comporre un liquido d’un bel color verde durevole, come non lo sono quelli ricavati da sostanze vegetabili, mescolò una soluzione di cromato di potassa, che è d’ un bel giallo, ed una di solfato di rame, cui aveva aggiunto un poco d’ammoniaca per renderla turchina, sperando che la mescolanza del turchino e del giallo produrrebbe un bel verde. Di fatti ottenne un verde bellissi- mo, di cui si poteva a piacere rendere meno intenso il luono con aggiunta d’acqua, che non ne alterava la bellezza, e non ne turbava la trasparenza. Volendo riconoscere se il color verde era prodotto dalla sem- plice mescolanza del turchino e del giallo , o se era effetto di nuove combinazioni, mescolò la soluzione del cromato di potassa con quella del solfato di rame, senza aggiunta d’ ammoniaca. Vi fu scomposizione reciproca, formazione di solfato di potassa, che restò disciolto, e di cromato di rame insolubile, che si precipitò sotto la forma d’ una polvere rosso-bruna . Questa, trattata con ammoniaca allungata da molt’ acqua stillata, vi si sciolse pron- tamente, riproducendo un liquido d’ un bel color verde. Evapo- rando questo, a misura che l’ammoniaca si evaporava, il cromato ‘di rame si separava sotto il solito aspetto . Il liquido verde non era dunque se non cromato di rame disciolto nell’ ammoniaca allungata. Il sig. ZZenry capo della farmacia centrale degli spedali ci- vili di Parigi, invitato dall’ amministrazione generale degli spe- dali ad indicare i mezzi di disinfettare il mercato del pesce e le ceite che vi s’ impiegano , onde sì versavano in gran copia nel- l’ aimosfera emanazioni incomode e pericolose, è giunto a distrug- gere ogni infezione ed ogni cattivo odore con immergere questi oggetti, prima nell'acqua per tre o quattro ore, poi per un quar- 142 to d’ora in una soluzione di cloruro di soda o di calce, fregan- doli quindi con una forte spazzola, e lavandoli in acqua. Il sig. dot. Kerner medico a Stutgard ha riconosciuto che per una particolare alterazione spontanea si forma in certe carni salate ed affamicate una nuova specie di veleno. Più d’ogni al- tra materia sono soggette a quest’alterazione certe salciccie fatte col fegato, ed affumicate. Di 72 persone che ne avevano man- giato nella contea di Wurtemberg, 37 morirono poco dopo , le altre furono malate per più o meno tempo. Geologia. I calcari magnesiaci, o dolomie sono stati osservati in varii terreni secondari dal sig. Buch, che vi presentano alcuni caratteri distintivi dagli altri calcari, cioè una maggior durezza di parti, la rottura sempre o granulosa o finamente lamellare, colle la- melle non una accosto all’ altra, ma che si toccano in pochi punti da lasciare degl’ intervalli visibili, che quando sono più vasti si trovano vestiti di cristalli romboedri: un facile disgre- gamento , nn colore giallastro' o brunastro, un difetto assoluto di corpi organizzati e di stratificazione, mentre le masse sì pre- sentano, come eterogenee al terreno, e scoscese e dirupate, tra- versate da numerose fessure verticali incrostate di cristalli, o che si aprono in caverne più o meno vaste. È questa roccia, co- me estranea al terreno a cui sopraggiace nel Turingenwalde , ove riposa sugli strati di argilla rossa e di gesso, e che sem- brano appartenere al terreno di gres varicolore; nelle montagne giurassiche della Franconia, ove forma le celebri caverne di Gay- lenreuth e di Muggendorf; come pure verso Aichstadt, dove ri- cuopre il calcario giurassico, ed è poi ricoperta dalle marne schi- stoidi di Pappenheim, sì conosciute per le impronte di pesci, di crustacei e di insetti, che esse racchiudono. La sola dolomia se- para questi schisti marnosi dai calcari ammonitiferi del Giurà, e nonostante l’ estrema differenza che si scorge in questi resti or- ganici dei due calcari, la regolarità di posizione nei tre terri e’ induce a considerarli come dovati ad una sola formazime. Nella Val di Fassa le masse grandissime e scoscese di dolomia , che vi si veggono, sono da per tutto soprapposte al porfido pi- rossenico, al quale M. de Buch attribuisce la trasformazione ope- rata in esse di calcario in dolomia; con altre assai notabili, delle 4 43 quali trasformazioni, o modificazioni, che dir si vogliano, crede di avere avuto una prova evidente alla montagna di S. Agata, presso Trento, ove, dic’ egli, la trasformazione ha luogo sotto gli occhi dell’ osservatore nelle moltissime fessure che traversano la sommità calcaria. In questa sorta di terreno sono situate le mi- niere di piombo e di calamina a Bleyberg nella Carintia, a Schwartz nel Tirolo. Così il sig. Buch crede che tutte le caverne dei cal- cari secondarii non sieno nel calcario propriamente detto, ma nella dolomia, e che la loro esistenza sia connessa spesso colla vicinanza del porfido pirossenico. Lo stesso geologo attribuisce, come Moro, lo stato e situazione attuale delle roccie, per tutta la lunghezza della catena delle Alpi, all’ essersi sollevato il porfido pirossenico , e all'aver portato seco i terreni secondari a quelle considerabili altez- ze, alle quali vediamo esistere gli avanzi di corpi marini, senza che possiamo ragionevolmente supporre che il mare siasi elevato fino a quella altura. Che anzi egli generalizza questa ipotesi a tutte le montagne del globo, le ineguaglianze delle quali sareb- bero state formate dal rigonfiarsi, per così dire, le materie sot- toposte al porfido suddetto , sicchè questo abbia elevato tutte le enormi masse, ed insieme namerosissime, che dominano sulla su- perficie della terra. Il distretto di Lizard nella contea di Cornouailles è stato decritto dal sig. Segdwick ove le roccie serpentine, insieme colle eufotidi sembrano predominare. L’ eufotide vi si incontra nel serpentino in vene ed in filoni, e forse anche in masse, e da queste eufotidi probabilmente a Menucchan proviene il ti- tano. Facendo un taglio da Costantina all’imboccatura di Hel- ford, e di quì alla punta del vecchio capo Lizard il sig. Se- gdwick suppone che le roccie si succederebbero come appres- so: granito molto micaceo in contatto con gli schisti: schisti argillosi, schisti collo psammite ( grawwake ), pudinghe, grès, serpentini sormontati dalla eufotide: una formazione porfirica di eufotide anfibolico, serpentino colle stesse roccie porfiriche, e col feldspato granoso e col diabaso schistoso, diabaso schisto- so , schisti cloritici e talcosi intersecati apparentemente col dia- baso schistoso e col serpentino. Egli riferisce tutti questi de- positi alla formazione intermediaria . Nei contorni di Séta, a pochissima distanza dal mediter- raneo , il sig. Marcel de Serres ha trovato alcuni terreni cal- carii di acqua dolce, che hanno ancora varj loro strati inferiori all’ attuale livello del mare. Si distinguono inoltre questi terre- mi perchè nel calcario si' trovano dei fossili sì terrestri, sì la- 144 custri di specie differenti dalle descritte fin quì dai geologi, e che più si assomigliano a quelle specie che s'incontrano nella Francia meridionale. Inoltre le formazioni, nelle quali esisto- no le testacelle, che quì per la prima volta si sono trovate allo stato fossile, contengono in maggior numero spoglie fossili di animali terrestri che di animali aquatici, lochè è contra- rio a ciò che d’ordinario si osserva nei terreni di acqua dol- ce. Ed in ciascuna formazione di questi particolari terreni, co- me pure talvolta in un certo numero degli strati di una stessa formazione, si trovano dei fossili, i quali predominando sugli altri pel numero e per l’importanza degl’ individui, debbono considerarsi come caratteristici di quelle tali formazioni, o di quei tali strati, lochè, osserva il sig. de Serres, non detrae nien- te alla importanza dei caratteri zoologiei , sì riguardo ai ter- reni secondarj, che ai terziari, nei quali hanno anco un mag- gior valore, poichè questa osservazione tende unicamente ad indi- care che sovente gli strati di una medesima formazione non so- no stati istantaneamente, ma successivamente depositati. Bensì quando si potesse non disconvenire, che le cause, le quali han- no riunito in una qualche formazione o in un qualche sistema di strati certi esseri organizzati fossero della stessa natura di quelle che attualmente agiscono, potrebbe osservarsi che anco sulle rive de’ nostri mari, diverse conchiglie approdano e re- stano sull’ arena, secondo le diverse stagioni dell’ anno, sic- chè la differenza delle spoglie degli animali aquatici non sa- rebbe poi sicura prova di una differenza notabile di epoca nella formazione delle roccie che le contengono. Le chiocciole ter- restri seguono esse pure, fino ad un certo punto |’ andamento delle stagioni nel mostrarsi in certi tali luoghi, piuttostochè in altri. La torba di Klostersée , composta di canne , di tronchi di querce, e più vicino al mare di erbe marine putrefatte , è sta- ta esaminata e descritta dal sig. Binge , il quale osservando che nei luoghi ov’ essa trovasi non crescon’ ora altro che salci; do- veva all’epoca della formazione di questo combustibile, o il mare essere più depresso di livello 5 o 6 piedi, o la torba essere altrettanto più alta , o il paese ov’ essa si formò essere allora più lungi dal mare. Ma esaminando l’A. la probabilità di queste diverse. supposizioni , trova le prime due improbabili, stante il lentissimo abbassamento delle acque del mare , se pure esso accade. Perciò egli crede più probabile che la torbiera sia discesa , come sdrucciolando fino alla attuale situazione , 145 il qual mbvimento può essere stato aiutato da qualche piccola inondazione . Il sig. Scrope ha letto alla società geologica di Londra una memoria sulle isole Ponze, vale a dire Ponza, Palmaruola e le isolette attorno, Ventotene, e S. Stefano. Ponza, la quale sembra essere stata più larga di quel che lo sia ora, è for- mata principalmente di trachite , che vi si trova di Var]j co- lori, ed alternante con una varietà semivetrosa, formata di una ' materia pulverulenta , nella quale sono immersi dei piccoli fram- menti di trachite. La trachite prismatica sembra come iniettata a traverso della materia pulverulenta , e dovunque essa la tro- va, la sua base terrosa è convertita in trachite vetrosa, e tal- yolta in ismalto trachitico, che contiene una vera ossidiana. Ad Jammone la trachite riposa sul ealcario riguardato come di tran- sizione dal sig. Brocchi, che al contatto della trachite diviene dolomia . Il Sig. Maraschini ha pubblicato la classazione geologica dei terreni dell’ illustre mineralogista e geologo sig. Cordier. La prima classe comprende il suolo primordiale diviso in 9 gene- ri di formazione, vale a dire granito, gnesio , sienite, protogi- na, talco schistoide , serpentino , calcari primitivo , mica schi- stoide , schisto primitivo: tutti indipendenti. La seconda classe riguarda i terreni di sedimento, che egli divide in 4 ordini, cioè suolo intermediario , suolo secondario, suolo terziario, e suolo mo- derno. Nella prima formazione di quest'ordine la roccia principale è l’ofite, e nel secondo essa è il porfido petroselcioso , e quindi la psammite , lo schisto intermediario, il calcario intermediario, la formazione vulcanica superiore: tutti e quattro indipendenti. Nel secondo ordine è compresa la formazione dell’ antico gres ros- so, del primo calcario grigio , del carbon fossile, del vulca- nico secondario inferiore , del secondo gres rosso, del secondo calcario grigio, del calcario oolitico, del vulcanico superiore secondario, tutti indipendenti . Il terreno terziario contiene la formazione della rena argillo-ferruginosa, della creta, ( craie ) la formazione sopraccomposta , o sabbionosa , quella del gres quarzoso, del gesso, dell’ argilla calcarifera , delle arene , della selce macigna. Il suolo moderno contiene la formazione del grande interramento diluviano , il postdiluviano , i vulcani estin- ti ed ardenti. , È stata nuovamente prodotta l’ opinione, che per l’effetto di comete e della luna medesima la terra in origine abbia riee- vuto una tale percossa o forse. solo una scossa da averne mes- T. XVII. Febbraio 10 146 | so sossopra la superficie ed aver formato i monti ed estinto un numero grande di specie, le quali oggi si trovano allo stato fossile. In proposito di questa opinione il sig. Ferrassac osser- va che vi è una specie di assurdità nell’ ammettere dei disor- dini in un sistema, qual’ è quello della natura , ove tutto è ordine, e che ‘per ispiegare lo stato attuale del nostro globo; ed assegnare le cause dei cangiamenti che sono accaduti alla sua superficie, non v'è poi bisogno di ricorrere ad agenti così stra- ordinari e sì poco coneepibili . Mineralogia, I progressi che la mineralogia fa negli Stati uniti di Ame- rica sono sorprendenti. Nuovi minerali si scuoprono, nuove for- me si osservano, nuove località s’ indagano d’ onde trarne mi- nerali rari; questa scienza insomma vi partecipa di quel felice movimento che ogni buona disciplina ha preso verso ]a sua per- fezione in quel paese , che uscito poco fa dalla barbarie, gu- sta tutto intero il piacere della civiltà. Una sostanza che ha l’ apparenza di un minerale di manganese, è stata esaminata dal sig. Torrey, che ne ha pubblicati i caratteri, dandole il nome di Colombite; nuove notizie ci sono date dal sig. Dewey sul nuovo minerale nominato argentina, nel quale egli ha tro- vato la stessa quantità di silice presso a poco che nel quar- zo, con 0,03 di acqua; il sig. Troost ha osservato una nuova forma cristallina nel crisoberillo trovato di recente nella N. Jorck in una pegmatite subordinata allo gnesio, con turmaline , acque- marine, granati, e colla miemmite lamellare; e varie località e posizioni geologiche di minerali sono state determinate daî mineralogisti di quelle regioni, come del moliddeno, della silli- manite, del cobalto arsenicale ottaedro, dell’amatisto , del man- ganese fosfato, dell’antimonio sulfurato; del ferro carbonato, del- la calce fluata, di una varietà di talco , cui il sig. Webb: dà il nome di vermicolite, del moliddeno sulfurato, della gramma- tite , dell’ epidoto , della coccolite , del diallaggio, del serpen- tino; del rutilo, dell’ andalusite, del trifano, e della cleave- landite ; e sono state meglio riconosciute le posizioni geologiche e geografiche del ferro calcario silicifero ( ienite ), del diste- no, del feldspato verde, della scapolite , della pegmatite, del- l’attinoto, della sienite collo sfeno , della staurotide , del piros- seno amorfo. Il sig. Delafield ha attentamente qsaminato i promoatorj pio della costa setteatrionale del lago superiore , e della catena delle montagne che se gli amnettono, ed ha trovato che esse consi- stono in granito sienitico, gnesio e diabaso alternanti fra loro. Il diabaso è spesso amigdaloide, racchiude qualche éèristallo di epidoto aciculare, qualche vena di epidoto compatto , il calca- rio spatico bruno, e bianco, lo spato rasato , l’ amfibolo fi- broso , la clorite terrosa, il mesotipo e la piuite. Il sig. Noggeratk ha dato ragguaglio di alcune nuove loca- lità di varj minerali rimarchevoli de’contorni del Reno: tali sono i giacinti che si trovano nel basalto decomposto , ed il basalto a frammenti di sehisto alterato di Vintermublendorf ; il peridoto che s'incontra a Dreiserweikers , l’ antofillite che si trova nella olivina del basalto di Vahel. Parimente ‘ha riscontrato il meso- tipo e l’armotomo r2dro. a. Mendebroy: la cordierite primitiva insieme col feldspato e colla mica o col granato sul lago di Laach ov’ è pure coll’apatite, e l’Hauino sparso in cogoli di feldspato e di mica a Rockeskyll nell’ Eifel. Il legno opaliz- zato asbestiforme lo ha trovato in uno strato di lignite di Lei- mersdorf, non non lungi da Abhriverler sull’Ahr. Il sig. Anker ha riscontrato la località della lazulite , la quale , dietro alle sue osservazioni, unicamente si trova nel li- mite della montagna alpina di Fischbach a Giessibler Holzschlag, nel quarzo subordinato allo schisto micaceo , talvolta in prismi ‘obliqui quadrilateri terminati di qua e di là da una piramide a quattro facce, le quali muovono dagli spigoli del prisma. I bagni de’ contorni di Muskau nella Lusazia superiore sono ‘stati esaminati e descritti dal sig. Kleeman, che ha trovato col- l’analisi, che l’ acqua loro alla sorgente contiene in 100 parti 22 di carbonato di ferro , 23 di solfato di maguesia, 4 di sol- fato di calce, 3 di silice, ed una quantità non determinata di acido carhonico . Botanica e Agricoliura. Florae lybicae specimen, sive plantarum enumeratio Cy- renaicam, Pentapolùîm, magnac sirteos desertum, etc. incolentium; del sig. prof. VIVIANI. Genova 1824, in foglio, con 27 tavole. Si è letta nelle distribuzioni 38, 39, 40 di quest’ opera la rela- zione d’un viaggio da Tripoli alle frontiere dell’ Egitto, fatto dal dot. Della Cella, relazione interessantissima per le nozioni che essa dà intorno ad un paese, quanto poco conosciuto ora, al- trettanto celebre nell'antichità, e per i materiali che essa ha 148 somministrati al sig. Lapie per formare un’ ecoellente carta della parte meno frequentata delle rive mediterranee. Il sig: Della Getla. nén ha trascurato cosa alcuna per dare un'idea esatta dell'aritica Cirenaica. Egli ci ha mostrato gli avanzi del suo splendore nelle montagne tagliate per formarvi le abitazio- ni e le tombe dei suoi abitanti. Egli ha fatto conoscere la natura delle roccie, descritto l’ aspetto» del. paese, segnato le distanze, dipinto i costumi delle orde che errano coi loro armenti' sulla superficie d’un suolo esausto , la coltura del quale provvedeva già alla sussistenza di tante migliaia di cittadini; finalmente per completare il quadro, egli ha diligentemente raccolto le produ- zioni vegetabili del deserto, e dell’ inospita riva libica. Queste ricchezze botaniche sono quelle che il sig. prof. Viviani intra- prende a far conoscere nell'opera di cui parliamo. Dugento settantadue piante affricane vi sono rammentate o descritte più o meno estesamente, secondo che esse erano state fin qui più o meno bene osservate; 65 erano sfuggite alla conoscenza dei dotti; vi sono stabiliti quattro muovi generi Pituranthos, Parentucellia, Diplopri. e Lacellia; questi ge- neri e queste specie nuove sono inoltre figurate in numero di 87 in 27 tavole litografiche. Il sig. Viviani ha seguitato l’or» dine linneano nella sua enumerazione arricchita di quella di 21 specie nuove da aggiungersi alla Flora italiana. Ci sembra che, adottando un tal piano, questo dotto abbia seguitato la mi- gliore strada. La scienza dei vegetabili non è ancora bastan- temente avanzata per potere ordinare simili cataloghi secondo un metodo naturale che è ancora da trovarsi, e di cui molti dotti abusano in oggi, per stabilire dei gruppi, che ricadono sempre nei generi di Linneo, riprodotti con una desinenza ,di convenzione sotto il titolo pomposo di famiglie. La geografia botanica specialmente deve guadagnare per l’ec- cellente pubblicazione del professor genovese, a motivo del con- fronto che ella dà i mezzi di fare fra la Flora Iybica , che ci era presso a poco incognita, e quella del resto delle coste mediterranee, che era stata meglio osservata. Risulta da que- sto confronto che la maggior parte delle piante littorali vi sono le stesse, meno poche eccezioni, che in Palestina, in Egitto, in Barbaria, sulle piaggie orientali della Spagna, sulle coste di Francia, d’ Italia, di Grecia, o dell’Asia minore. Noi aveva- mo già questa identità fra la Flora Atlantica del dotto prof. Desfontaines, e la Flora della parte orientale delle Andalusie, ove la pendenza meridionale della Sierra Nevada specialmen, 149 te offre alle nostre ricerche quasi tutto ciò che presentano Je pendici settentrionali dell'Atlante . Quest’identità della flo- ra mediterranea è tanto più degna d'osservazione, quanto che la fisionomia della vegetazione che si scorge in essa, cangia in Affrica ed in Spagna, se si passa dall'esposizione orientale a quella dell’ ovest, vale a dire sulle coste oceaniche, che si terminano allo stretto di Gibilterra , sulla costa occidentale delle Andalusie, sulle rive dell’impero di Marocco, e di quella parte dell’Affrica che è opposta alle Canarie, cioè dal capo finisterre al capo verde. Si trovano per verità molte piante delle latitu- dini fra le quali si stende il mediterraneo; ma se ne osserva un gran numero che non vi si ritrovano, che sono proprie alle regioni occidentali, che s'incontrano soltanto nelle isole dell’At- lantico, e che compongono una flora, la quale regna princi- palmente nella direzione dal nord al sud, l'aspetto della quale è assai particolare, mentre quella del mediterraneo si stende principalmente dall’est all’ovest (1). Bory DE SAINT-VINCENT. Un proprietario francese , il sig. Marion d’Any, per distrug- gere i topi e le talpe che danneggiano i campi, impiega il se- guente artifizio. Un cilindro di lamiera di ferro terminato in- feriormente in una specie di cono, al cui apice è un tubo, contiene presso il fondo una graticola, ed ha superiormente un coperchio con un foro per cui passi il tubo d’un soffietto. Si pone sulla graticola un poco di fieno , o altra materia che si Jasci facilmente traversare. dall'aria e dai vapori; vi si getta sopra dello golfo in polvere, ed alcuni carboni accesi per iu - fiammarlo. Si pone il coperchio, e nel di Ini foro s'inserisce il cannello d’ un soffietto. Allora, insinuato il tubo inferiore del cilindro nelle fessure che conducono alle abitazioni di quegli animali, si mette in azione il soffietto per animare la combu- (1) Questa notizia, come molte altre di questo bullettino, è ricavata da giornali stranieri. Ma dovremmo noi per opere pubblicate in Italia trovarci mella necessità di ricorrere a raccolte pnbblicate di la dalle alpi? Una no- tizia come questa, ed anche più estesa, non avrebbe ella dovuto comparir prima in un giornale italiano, scritto -e pubblicato nel centro dell’ Italia? Non scriviamo questi versi senza provare un sentimento penoso , e soltoponiame le nostre riflessioni non solo agli autori ed editori d’ opere che possono fare onore all’ Italia, ma aoche ai dotti ed ai letterati della penisola, dei quali non cessiamo d’ invocare l'assistenza, e fa cooperazione, desiderando riceverne regolarmente le notizie e gli avvisi bfteressant', Nota del Direttore dell’Antologia: 150 stione dello zolfo, e spingere in quelle cavità il vapore solfo- roso, che fa cadere in asfissia ed uccide non solo i topi e le talpe, ma anche tutti gl’ insetti malefici. Due manichi adattati al corpo del cilindro danno il mezzo di maneggiarlo e di dar- gli l'inclinazione e la direzione opportuna. Un giornale americano fa menzione d’un Sicomoro; che sor- passa in grandezza e grossezza tutti gli alberi degli Stati Uniti. La sua circonferenza è di 72 piedi; il di lai tronco è vuoto, e la sua cavità interna, che ha un diametro di 18 piedi, ha potuto contenere 7 uomini a cavallo. Quest’ enorme pianta si trova. vi- cino al lago d’ Howell nella Carolina del sud, sulle rive del Broad-River, dal lato di Iork. Vi è la tradizione ehe quest’ al- bero offrisse asilo a più famiglie nella rivoluzione americana. L’ osservazione costante che non risentono danno dai rigori dell’ inverno quelle piante che si spogliano presto delle foglie, ha indotto alcuni coltivatori d’Inghilterra e di Germania a spogliarne a bella posta altre piante , e l’ effetto ha corrisposto alla loro aspettazione. Avvertono per altro che non bisogna togliere tutte le foglie ad un tratto, ma in due o tre volte a discreti inter- valli, senza che le piante potrebbero perire per l’ arresto repen- tino del succhio. L’uso che si può fare delle foglie di molte piante per nutrimento dei bestiami compensa l’ opera della sfo- ‘ gliatura. Il sig. Percy propone un mezzo assai facile per mantenere senza fuoco jn tutto il corso dell’ inverno, comunque rigido; una temperatura costante di cinque o sei gradi sopra zero del ter- mometro di Réaumur in un tepidario destinato alla conservazione di certe piante. Questo mezzo consiste nel costruire il tepidario appresso il lato sud d’una stalla, ove alberghino 6 vacche,'o 6 bovi, e dalla quale non sia separato che per un tramezzo molto sottile, e guarnito di vetri di grande dimensione. Egli assicura che l’ esperienza di 16 anni gli ha dimostrato l’ utilità grande di questo sistema. Accade spesso che spiantando un albero per traspiantarlo altrove si strappi la più gran parte delle sue radici capillari, con grave danno della sua vegetazione, ed anche con rischio di morte. Si assicura che circondando. di. cenci lani le radici principali private delle ‘capillari, e traspiantando così l’ albero, 151 quelli stracci mantengono e comunicano all’ albero un’ umidità temperata, per cui in poco tempo si riproducono le radici capil- lari e la pianta torna a vegetare con vigore. Il sig. Knight ha osservato che le piante di cocomero colti- vate in una stufa, la cui temperatura era di 35 gradi Réaumaur, non hanno che fiori maschi, e che quelle coltivate a tempe- ratura assai più bassa non somministrano che fiori femmine, Il sig. Gazan d’ Antibo usa del seguente processo per ov- viare ai danni che cagiona agli ulivi quell’ insetto, che è vol- garmente chiamato pidocchio nero dell’ ulivo , Egli raschia le piante degli ulivi, levandone tutte le scorze morte, che rac- colte prima in pannolini, getta poi sul fuoco, uccidendo così molti di quegl’ insetti perfettamente sviluppati, molti altri nello stato di larva, ed un grandissimo numero nati appena. Spar- gendo quindi della calce viva sulle screpolature del tronco e dei rami, distrugge le uova sfuggite alla prima operazione. Si assicura essere un mezzo atto a preservare l’ ortaggio ed ogni sorta di piante delicate dai guasti che arrecano loro i bruci , il circondare le areole, ove tali piante si coltivano, di piante di canapa nate dal seme sparso sul luogo stesso. Sì af- ferma che i bruci hanno aversione per le emanazioni della ca- napa vivente . Per quanto quest’ asserzione non ispiri grande fiducia, la facciamo nota, onde alcuno la sottoponga al cimen- to dell’ esperienza. ; Anatomia, Fisiologia e Zoologia In due distinti articoli di questo Ballettino, N.° 4r muîg- gio 1824 pag. 145, e N.° 47 novembre dello stesso anno pag. 180, fu da noi annunziato avere il dot. Regolo Lippi scoperto molti tronconi di vasi linfatici che hanno ingresso nel sistema venoso in varie parti del corpo, il che ci sembrava sufficiente a spiegare il passaggio nelle vene d’alcuni liquidi iniettati nella cavità abdorainale ed in altre, passaggio che osservato già da alcuni sperimentatori, e più recentemente dal sig. dot. Fran- chini, gli aveva indotti a riprodur quell’ opinione fisiologica che attribuisce anche alle vene la proprietà d’ asso»bire, riguarda- ta fin qui dai più come esclusivamente propria ai linfatici. Contro i quali nostri articoli è ora insorto lo stesso sig. 1502 Franchini in una lettera inserìtà nel quaderno VI. dei nuovi opuscoli scientifici di Bologna, indirizzata al Direttore dell'An- tologia, negando alle osservazioni del sig. Lippi non solo il va= lore di contrastare alle vene la facoltà assorbente, che si vuole loro concedere, ma anche ogni pregio di nuovità, dichiarando non potersi che 4 vergogna nostra riguardar come cosa nuo- va , e spacciarla agli stranieri in conto di scoperta di questi dì. - + La quale accusa investendo più diretta mente noi , estensori di quegli articoli, che non |’ autore delle osservazioni , ci cre- diamo in debito di purgarcene . E primieramente dichiariamo che avendo assunto l’ incarico di render note in questo bullettino le più importanti novità scientifiche in genere, sebbene quasi di- giuni di varie scienze , ed avendo appena una tintura d’ alcune, abbiamo però preso a guida la prudenza in modo, da non far trovare di leggieri nei nostri annunzii, come non di rado in al- tri pubblici fogli , cose inesatte non solo, ma erronee, assurde; e fino inintelligibili , lo che abbiamo fiducia non esserci molte volte accaduto . E quanto al caso di cui si tratta , sembrandoci le osserva- zioni del sig. Lippi assai importanti , ci piacque annunziarle , e non conoscendo molto l’istoria dell’ anatomia , consultammo, in- torno alla loro novità l’ autore stesso , cui ci lega singolare sti- ma ed amicizia , e di cui ci è noto il candore e la Jealtà. Da esso ci fu dichiarato che , mentre fin quì erano state riconosciu- te ed indicate dagli anatomici poche e scarse comunicazioni dei linfatici colle vene , che. potevano sembrare insufficienti e spro- porzionate alla spiegazione di molti fenomeni d’assorzione, spe- cialmente patologici , egli dopo il 24 aprile 1824 ne aveva ritro- vate e ne andava ogni giorno ritrovando molte ed insigni , sicu- ramevte, non descritte dagli anatomici , e che offrivano facile spie- gazione d’ ogni fenomeno. Quindi non esitammo ad impiegare la voce scoperta , sempre usatasi ad indicare il ritrovamento o l’ osservazione di qualunque fatto o fenomeno non trovato e non osservato da altri, comunque altri fatti o fenomeni analoghi fos- sero conosciuti precedentemente . L’ aversi cognizione dell’ intero sistema osseo, dell’ intero sistema muscolare ; l’ esserne nomina- ta ogni parte, riconosciuta la destinazione e l’ uso, non ha im- pedito che la nuova osservazione o la distinzione d’un piccolo osso , d’un piccolo muscolo , sfuggiti prima alle indagini degli anatomici, o confusi con altri, fosse riguardata come una scoper- ta, e dato a quell’ osso , a quel muscolo , il nome del suo di- scuopritore. E dovremmo noi vergognarci d’ aver qualificato 153 còme scoperta la cognizione nuovamente acquistata e l’indica- zione precisa d’ un gran numero d’ ampie comunicazioni fra i vasi linfatici e le vene, perchè alcune poche simili comunica- zioni fossero state osservate da. qualche anatomico , restando ai più ; non solo mal note, ma quasi soltanto congetturate e sup- poste ? In fatti lo stesso nostro oppositore , anatomico e fisiologo distinto, sebbene predichi ora nella lettera citata la comunica- zione dei linfatici colle vene come un fatto certo e notorio , ed indichi più autori che lo hanno annunziato , e fino rappre- sentato con figure , pure pochi mesi prima l’ aveva in conto di congettura , d’ opinione probabile ma non dimostrata, e sembra- va persuaso non potersi indicare una via manifesta di comu- nicazione . i Non lasciano dubitarne , fra le altre , le seguenti espressioni della seconda parte delle sue Ricerche fisiologiche intorno all’ as- sorbimento ( Opuscoli scientifici di Bologna, quaderno II. pagi- ne 82, 83, 84). » I vasi sanguigni ed i linfatici formano eglino separati e 3» distinti sistemi, o vw’ hanno ragioni per credere che passino »» fra essi occulti rapporti , cosicchè dagli uni agli altri pos sano » trascorrere i varii fluidi? ... Vi sono non pochi argomenti ‘3, a favore d’ alcune anastomosi di vasi sanguigni e linfatici . . . . 33 Non è improbabile che comunicazione sì fatta esista nei vasi 3; meseraici così bene che altrove .... Ma conceduto pure questo », rapporto .. .. Se fra i vasi linfatici ed i sanguigni vi ha mu- tuo ed occulto rapporto , non è men vero che sia assai li- », mitato.... E ogni qual volta si voglia ammettere la comu- 33 nicazione dei vasi sanguigni e dei vasi linfatici..., benchè 3» fra le vene capillari ed i capillari linfatici siano occulti rap- porti. .., Delle quali espressioni dubitative, e che, tutto al più, am- mettono fra i linfatici e le vene un rapporto occulto ed assai limitato , se non vogliamo che venga vergogna a chi le pro- ferì , molto meno deve egli versarne sopra chi mostri fra. quei due sistemi nuove , manifeste , ed estesissime comunicazioni . Ci prenderemo la libertà d’ indicare al sig. Franchini il so- lo tempo ed il solo modo in cui egli potrebbe togliere il pre- gio della nuovità e della scoperta alle osservazioni del Dott. Lip- pi . Il tempo sarà quello, ormai imminente, in cui l’ intiero la- voro di questo vedrà la luce; il modo dovrà consistere nell’ indi- care altre precedenti opere anatomiche in cui siano descritte , 154 altre tavole in cui siano delineate le molte ed insigni comuni- cazioni fra i linfatici e le vene, che il Dott Lippi pensa avere osservato il primo. Ma l’ indicare molte ed estese comunicazioni fra i due si- stemi basta egli a provare che la facoltà assorbente appartiene esclusivamente ai linfatici, non alle vene ? Poichè ci piace esser franchi ed ingenui, confesseremo , per quello che ci riguarda personalmente, d’ averlo presunto forse troppo leggermente nei due articoli citati, e che bisognerà è infirmare con, altre opposte esperienze le molte del sig. Fran- chini, o con validi argomenti fisiologici riconciliarle ad una dot- trina cui sembrano opposte. Di che mostrando il signor Lippi aver fiducia , al comparire del di lui lavoro ne giudicheranno gli anatomici ed i fisiologi . Esiste un’ uomo dell’ età di anni 36, che sebbene non abbia mai sofferto alcuna malattia del capo, e specialmente dell’ or- gano della vista, e sebbene goda ad un grado eminente della facoltà visiva, pure non distingue molto bene i corpi per il loro colore. La sensazione varia che ne prova, o la differenza che vi rileva è piuttosto quella d’ una maggiore o minore illu- minazione. Questa differenza è per lui sensibilissima rispetto ai corpi colorati di giallo chiaro, di scarlatto e di azzurro, ed è insensibile per quelli di color verde, rosso chiaro, giallo cupo, e bruno. Uno stesso colore, purchè isolato dagli altri, gli fa sem- pre la stessa sensazione, ma non è così se sia mescolato con altri. Vi sono alcune storie mediche di fatti analoghi, nei quali bensì intorno alla pupilla degl’individui affetti era osservabile una tinta gialla. All’opposto gli occhi dell’ individuo di cui ab- biamo parlato non presentano questa o verun altra particolarità . Il capitano Franklin nel suo viaggio intorno al mondo, nel rigido inverno che egli passò presso il fiume della miniera di rame; osservò che il pesce appena estratto dall’ acqua si ge- lava, diventando duro ed inflessibile come un pezzo di ghiaccio. Per altro da questo stato di completa congelazione poteva rav- vivarsi, digelandolo al fuoco. Un carpo che era gelato da 24 ore si rianimò per questo mezzo in modo da saltare collo stesso vigore di prima . Ciò prova fino a qual punto possono negli animali a sangue freddo sospendersi i movimenti vitali senza che la vita si estingua. 155 Il sig. Zerrary di :S. Brieux, ha informato 1’ Accademia Reale di medicita di Parigi, che da tempo immemorabile si pratica an, Brettagna contro la rabbia dei maiali un’ operazione molto. analoga a quella che il dot. Marocchetti. ha raccoman- data, e che gli era stata insegnata da un paesano dell’Ukrania, Nell’ Ukrania si raccoglie verso la. fine di luglio una pianta chiamata polygonum minus. Si svelle dal terreno colle sue ra- dici, che, si trovano. ricoperte d’una specie di vermi di figura ovale, che appena sono esposti all’aria :s' induriscono . Hanno chiamato questa specie di verme. Coccus polonicus, Gli Armeni e gli Ebrei pollacchi ne vendono ai Turchi, che se ne ser- vono per tingere i marrocchini, la seta, ed altri oggetti. La materia colorante di questi vermi è paragonata a quella della cocciniglia. Una libbra di quelli, che costa un rublo, dà tanto colore quanto mezza libbra di questa. Il Tenente Zedersbreit di Monaco ha trovato il modo di far lavorare in società una specie. particolare di bruci; i quali producono così un tessuto bianchissimo e leggiero come una ovatta. Il lavoro di 300 di questi bruci ha prodotto in tre settimane una tela di braccia 3 1f2 quadrate. Pare che questi bruci siano quelli della Phalena Tineg Padella Lin. e della Phalena Tinea Evanimella Lin:, che sogliono filare sul susino e sul melo. Questa industria singolare rammenta i tentativi fatti altra volta per costringere a simil travaglio i bruci della Pas vonia major, e, che furono abbandonati a motivo dell’ insoffe- renza di quest’ insetti per la schiavitù. Speriamo che questi nuovi manifattori siano più docili e meno ritrosi, SOCIETA' SCIENTIFICHE I.e R. Accademia dei Georgofili, Adunanza del dì 6. Febbra- to 1825. Dopo il consueto ra pporto del Segretario degli atti quello delle corrispondenze. comunicò per intero una lettera dell’ ac- cademico sig. professor Taddei, colla quale facea conoscere che egli avea prevenuto nella scoperta il sig. Wilson Inglese, il quale mena oggi tanto rumore per l’ estrazione del gas illuminante dai semi oleaginosi, come di canapa di lino ec. rammentando che egli avea letto e quindi deposto nell’ archivio accademico una sua memoria su questo soggetto fino dal 9 giugno 1822. dimostrando inessa’ il vantaggio di questo procèsso sopra tutti 156 | gli altri suggeriti fin qui. Dopo di ciò ebbero luogo quattro letture, che di turno le prime tre, e spontanea la quarta. Il sig. Giov. Bettoni ragionò dei danni che posson derivare dal ta- glio effrenato dei boschi, ed a distoglierne i proprietarii, enu- merò i vantaggi che dal bosco hen tenuto si ricavano in Toscana; e notò quali avvertenze potrebbero usarsi dai proprietarii per ac- crescerne la vegetazione e quindi il prodotto. Il sig. Marchese Ridolfi fece conoscere a quanto ammontasse l’importazione det grano forestiero in Toscana nel caduto anno, ed in qual rap- porto stessero i prezzi dei grani nostrali con quelli correnti sui mercati europei, e dimostrò che la caduta del valore di que- sta derrata non dipende in modo alcuno da difetto nella no- stra legge frumentaria . Il Sig. Dott. Cosimo Vanni ragionò quindi sull’ istesso argomento e fece conoscere che alle perdite sofferte dall’ agricoltura toscana per il rinvilio dei grani non vi è legge che possa riparare , e quindi che i proprietarii debbon chiedere alla loro industria e non al governo un compenso ai mali dei quali si dolgono. Finalmente il sig. Dottor Del Greco manife- stando una nuova adulterazione fatta con acido borico di una gran quantità di solfato di chinina che si va spaceiando fra noi, ne prese motivo per discorrere dell'utilità di una superiore ispe- zione del commercio in grande delle droghe e preparati medici- nali , articoli che l’avidità di un guadagno illecito e 1’ impu- nità del delitto induce spesso a sofisticare con grave danno del- l’ umanità. I. R. Instituto di scienze, lettere cd arti di Milano, Adunanza del dì 8. Maggio 1824. (1). Dopo diverse lettere governative , (1) I nostri lettori saranno sorpresì vedendoci differire a questo tempo; il render conto d'una seduta che }’ Instituto di Milano tenne nel mese di Maggio 1824. Essi lo saranno di più sapendo che quest’ articolo ricavato dalla gazzetta di Milano non vi si trova riportato che nel N. 47; sotto dì 16, febbraio corrente. Essi prenderanno parte al cispiacere che noi proviamo ve- dendo una fra le meglio composte società scientifiche dell’ Europa, e capace di far tanto per la scienza , languire nell’ nazione. Il mondo dotto aspetta- . va con impazienza di conoscere i nomi degl’individni destinati a riparare le perdite dolorose che ella ha sofferte da due anni. La morte nel seno d’ un’ accademia ‘dovrebbe essere in qualche modo un nuovo principio di vita, facilitandovi l'ingresso a dei dotti più giovani, più vigorosi, e più ambi- ziosi. Noi facciamo dei voti ardenti per la prima società scientifica dell’Ita- lia, e speriamo dalla cortesia dei dotti che la compongono che si ricorde- ranno essere il nostro giornale, e specialmente il nostro bullettino scientifico aperto alle notizie sd agli avvisi che si compiaceranno di trasmetterci, 157 concernenti ad oggetti di amministrazione dell’ Instituto , il diret- tore della classe letteraria ( il fa conte Stratico ) fece cominciare la lettura d'un suo manoscritto Sul giudizio d’ arte e sul giu- dizio del gusto nelle opere d’ architettura civile . Qualunque carattere abbia avuto ne’ varii tempi ed abbia nei warii paesi l’ architettura, essa ha sempre dovuto conservare i tre oggetti che la costituiscono, e sono la fermezza, l’uso, e la venustà . La fermezza ha le sue leggi costanti derivate dalla statica e dalla meccanica , alle quali non si può rinunciare nè col fatto , nè coll’ apparenza. Non col fatto , perchè si rinuncierebbe alla sussistenza della fabbrica ; non coll’ apparenza, perche si offende il sentimento dello spettatore , se il capriccio induce l’ architet- to a dare ad un lavoro, altronde stabile , l’ aspetto di caducità . L’ autore è di parere che le torri inclinate di Pisa e di Bo- logna non sieno state così immaginate dagli architetti che ne han- no diretta la fabbrica, ma che a motivo delle basi non bene pa- lificate si avvallassero dalla parte più debole. Egli viene poi an- noverando diverse opere architettoniche fatte contro le regole del- . la stabilità apparente , quali sono le colonne del P. Pozzi scher- zate ed inflesse fuori del perpendicolo , gli archi che mostrano d’ esser appoggiati a capitelli non sostenuti da sottoposta colon- na, ed altre simili stravaganze immaginate dal capriccio degli architetti. Anzi portando ad un certo scrupolo la suddetta mas- sima, vorrebbe esclusi gli archi di muro piantati sopra colon- me rotonde , perchè necessariamente gli spigoli dell’ imposta qua- drata dell’ arco posano sul falso . Osserva poi che se è vizio quello di trascurare la fermez-' za apparente , è vizio ancora quello di presentare una ecceden- te robustezza , come se un grosso pilastro sostenga una fabbrica di forme gentili e leggere , o se una cariatide che rappresenta un gigante porti un paniere di fiori. La fermezza reale dipende dai fondamenti delle fabbriche , dalle ossature , dai contrasti bene distribuiti , dai pesi equilibra- ti, dalla spinta bene diretta dei tetti, delle impalcature e delle Diciamo la stessa cosa aî sigg, componenti l'accademia delle scienze di Napoli, a diversi dei quali abbiawo in più d’ un’ occasione esternato lo stes- so desiderio. Alla gazzetta di Napoli noi dobbiamo egualmente ricorrere per . sapere ciò che accade in quella bella contrada, per la quale la matura ha fatto tanto, e perla quale il genio felice dei Napoletani potrebbe tanto fare mell’ interesse delle scienze e della filosofia. Nota del direttore dell''Antologia. 158 volte . Il conte Stratico , dopo aver esposti e comentati i preeet- ti lasciatici da Vitruvio su ciascuno di questi argomenti , si esten- de a ragionare dell’ uso delle palafitte e dei criteri sui quali si può giudicare della loro attitudine a sostenere il peso della fab- brica . Egli riferisce a questo proposito la serie di nuove spe- rienze instituite dall’ architetto di ponti e strade Cessart , di Fran- cia, che guidano a calcolare prossimamente la resistenza d’ un fondo per sostenere un edifizio, mettendo in paragone l’ effetto de’ colpi co ” quali si figgono i pali con quello d' un peso premen- te sui pali medesimi ; a spiegare poi l’ apparente paradosso del- l’ equivalenza d’ una forza viva ad una semplice pressione, egli mostra come servano le osservazioni sull’ azione del ceppo pub- blicate dal’ celebre architetto idraulico , il sig. Viebeking . hr accademia delle scienze di Napoli, tornata de’ 14 dicem- bre 1824. Il cavalier Poli in questa tornata ha letto una memoria scritta in latino sul Nautilio , o sia Argonauta Argo di Linneo . Questo mollusco del tutto singolare per la sua natura, e per le ammirabili sue qualità , non ostante che ne abbiano parlato, co- minciando da Aristotile, tutt’ i naturalisti sì antichi come mo- derni, non è che imperfettamente conosciuto, anzi si sono spac- ciate e spacciansi tuttavia delle cose affatto erronee intorno ad esso . Il sig. Poli adunque si è seriamente occupato ad illustrar- lo in tutta la sua estensione , e a discutere e dileguare tutte le dubbiézze per modo che nulla rimane a desiderarsi su questo ar- gomento . Comincia egli, dopo una breve introduzione, dal de-. scrivere circostanziatamente la bellissima conchiglia in cùi abità cotesto animale’, e ne accenna le varietà . Passa poi a tesserne la storia indicando i mari dove ordinariamente soggiorna , la sua maniera di vivere , e l‘ artificio ammirabile onde ne’ tempi di gran calma sollevasi nella superficie del mare, e facendo uso delle sue membrane velate , e de’ suoi cirri per remi, veleggia maestosamente . Cotesto mollusco pescato tempo fa presso alle rive di Po- silipo, dalla M. del Re Ferdinando I. fu trasmesso del tutto vi- vo all'autore , e l’ istessa M. S. gli diede un largo campo non solo di esaminarlo accuratamente in tutte le sue parti , ma ( aven- dolo conservato per qualche tempo nella real peschiera di Por- tici ), di osservare le particolarità a tutti ignote, riguardanti la sua generazione . Vide egli il meccanismo onde le uova, cac- ciate dall’ utero dell’ animale attaccavansi mano mano al suo. gu- scio , e lo sviluppo giornaliero dell’ embrione di ciascun uovo , 159 in cui ebbe anche la sorte di scorgere chiaramente; per mezzo del microscopio , abbozzata la sua navicella , ond’ è che resta dimostrato ad evidenza , che la conchiglia si genera nell’ novo insieme coll’ animale. Quindi rendesi chiaro 1’ errore di coloro i quali pretendono che siffatta conchiglia non appartenga al mol- lasco dell’ argonauta , ma che sia da esso usurpata, non altri- menti che il Cancer Bernardus s’ impadronisce , e vive nelle con- chiglie di altri molluschi. Quistione che vienrisoluta dall’ auto= re anche con altri argomenti . L’ altra gran quistione , che si agita grandemente fra i na- turalisti, è quella , se cotesto animale sia o no naturalmente at- taccato alla sua conchiglia. Il sig. Poli assicura col fatto che non ha veruna sorta di legame : e poichè in questa posizione non potrebbesi affatto produrre il successivo accrescimento della con- chiglia, dimostra egli con validi argomenti come ciò possa ad- divenire . In forza delle sue accurate e reiterate osservazioni smentisce egli alcuni errori , che sonosi spacciati sul detto altrui intorno ad alcune parti, che erroneamente sono state attribuite a cotesto animale, e sono in disamina altre particolarità di simigliante na- tura: ond’ è che per tal modo la storia dell’ Argonauta Argo non avrà bisogno di ulteriore schiarimento . Una seconda memoria risguarderà la descrizione estesa ed i caratteri dello stesso animale , e quindi la notomia , ossia lo sviluppo circosianziato e completo di tutte le sue parti . Si l’una ehe l’altra memoria sono corredate di superbi rami già incisi da ottimi artisti. E le dette memorie sono scritte con la concisione delle de- scrizioni Linneane , e con tutta 1’ eleganza della lingua del Lazio. Reale società agraria di Torino. Nella adunanza , che la società ha tenuto il 23 dicembre p. p. alcune cose sono state presentate, e alcune dissertazioni lette, che possono meritare l'attenzione del pubblico. Dal Sig. Direttore varii saggi di corda formata con legno della Tilia Europea, con la descrizione del modo di fabbricarla , del loro uso e pregii; per parte del Sig. Cav. Morelli il modello e la descrizione di un magazzino cu- rioso da grano, per cui il seme si rivolge per sè, sempre che se ne estrae porzione ; ed inoltre una dissertazione sulla sarchiatura del riso; a nome di una giunta è stato reso conto di una in- teressante memoria del sig. Pollini sulla fabbricazione dei :for- maggi alla maniera del Lodigiano; per parte del sig: Marchese 160 di Breme, fu letto un esame comparativo dei pregi dei poderi sperimentali, e dei così detti poderi di modello; per parte del sig. Cantù sostituto professore alla scuola di chimica generale fu letta una notizia sull’oppio indigeno comparato a quello del com- mercio nella sua natura, e nelle mediche qualità. Il sig. cav. Pro- vana di Colegno ha letto una memoria sulla importanza di esten- dere in Piemonte la coltivazione del lino , e di introdurre se- menze delle migliori varietà. Il sig. Conte Civrone ha presen- tato una bella raccolta di frutti, e ha letto una dissertazione in- torno alla migliore coltivazione degli agrumi. VARIETA' Nel N. XXII di questo giornale , ottobre 1822. pag. 96, si trovano alcune ri/lessioni del sig. Gimbernat , consigliere di le- gazione del re di Baviera intorno ai vantaggi che risulterebbero dal cuoprire le sorgenti termali di Monte Catini. Allo zelo di quest’ uomo dotto e filantropo, ed alle cure illuminate dei ma- gistrati di Baden si deve lo stabilimento formato in detta città di stufe, nelle quali il gas che si sprigiona dalle acque ter- mali è raccolto, e procura ai malati bagni d’ una grandissima efficacia . Il sig. Gimbernat ha fatto conoscere le proprietà fisi- che ‘e medicinali di questo fluido aeriforme, che egli osservò la prima volta ai: bagni di Aix in Savoia, e di cui ha fatto ora a Baden la più felice applicazione. Egli non ha ancora determinato la natura chimica di questo gas, che egli riguarda come singolare, e che provvisoriamente egli chiama zoogene, per la proprietà che egli ha riconosciuto in esso di depositare una materia organica gelatinosa. Si può respirarlo per un tempo as- sai lungo senza inconveniente , anzi con un sentimento indefini- bile di ben essere, proprietà, che lo ravvicina al gas ilzrante, o protossido d’ azoto. Il sig. Gimbernat ne ha fatto la prima prova, rinchiudendosi in una stufa per mezz'ora senza alcuna comunicazione coll’ aria esterna. Nel mese d’agosto ultimo più di trecento malati avevano fatto uso dei bagni gazosi, ed atte- stavano unanimemente che questi bagni avevano procurato loro più sollievo che non ne avrebbero provato prendendo i bagni per immersione, e che avevano risentito molto più presto que- sti effetti salutari. Il sig. Gimbernat ha intenzione di procurare agli stabilimenti termali dei Pirenei gli stessi vantaggi, che per le sue cure hanno acquistato quelli di Baden. , 16 Quando fu anvunziato che a Londra il sig. Brune/, inge- guere francese, avrebbe intrapreso l’ apertura d’ una strada che passasse sotto le acque del Tamigi per metterne in comunicazio- ne le due rive nel modo stesso che farebbe un poute, fu messa in dubbio la possibilità dell’ esecuzione d’ un tal progetto. Non si è cominciato a credervi se non quando si è veduto la soscri- zione per quest’ intrapresa compita appena proposta, e ciò in un paese ove si conosce molto bene |’ uso dei danaro. Ma ecco che formando un calcolo comparativo della spesa di questo la- voro , si arriva ad un risultato inaspettato, che certamente è per gl’ increduli una prova assai più forte. La doppia strada che deve passare sotto il fiume, dall’ estremità dei cantieri di Lon- dra a Botherhithe, sarà quasi interamente costruita di mattoni uniti con cemento romano. Una pertica inglese di questo lavoro, equivalente a piedi 15 e mezzo, non eccede la spesa di 360 fran- chi, senza contare la mano d’ opera . È stato calcolato che a com- pire questa strada sotterranea bisognano circa 1280 pertiche di murainento , il prezzo del quale ammonta soltanto a 460,000 franchi, somma che basterebbe appena alla costruzione d’ un solo arco del ponte che si volesse fare in questo luogo . Così non solamente per i riguardi della navigazione, ma anche per quelli dell’ economìa , sembra molto meno vantaggioso traver- sare i fiumi gettandovi sopra dei ponti, che passando per stra- de scavate sotto il loro corso, Benchè quest’ ultima idea non sia venuta in testa agli uomini che dopo 25 o 30 secoli , potrebbe non esser peggiore di quelle di far servire il gas idrogeno ad illu- minare le nostre città, ed il vapore ai lavori delle mostre ma- nifatture . I vantaggi riconosciuti dei ponti sospesi, e 1° economia della loro costruzione ne fanno ogni giorno più adottare l’uso. Di- versi devono esserne costruiti a Pietroburgo sopra i canali che traversano quella capitale. Già uno n'è stato stabilito sulla Fon- tanka , vicino al nuovo palazzo del Granduca Michele; il Go- verno vi ha speso 80,000 rubli. Questo ponte è sospeso a 10 catene di ferro, ha una tal larghezza che due vetture vi pas- sano comodamente di fronte , e le barche vi passano sotto senza il minimo impedimento. Saranno costruiti altri ponti sospesi ad uso dei soli pedoni su tutti i principali canali, per togliere la necessità di tragittarli in battelli. Uno di questi è già forma- to sulla Moika . T. XVII Febbraio — site ate 162 I sigg. Northrup e Billon di Nuova Iersey in Ameriea hanno proposto un nuovo mezzo di gualcire i panni senza sapone , o altre materie alcaline, impiegandovi un tempo più breve . Spogliato il panno dell’ olio ed asciugatolo al solito , prepara- no una specie di colla poco densa , facendo bollire in conve- niente quantità d’acqua della farina di segale, d’orzo , o d'ave- na, e trattano alla gualchiera con questo liquido i panni, che restano feltrati più prontamente del solito . È inutile il dire che si lavano poi convenientemente . Il sig. Bourdicu inglese ha sostituito con vantaggio una nuova mucilaggine alla gomma per la preparazione dei colori destinati alla stampa delle tele. Egli prepara questa mucilaggine col se- me del carrubo. Seccato il baccello per farne uscire il seme, si tiene immerso per 6 ore in acido solforico allungato , quindi si sbuccia per fregameato , poi si pesta e si riduce in farina. Una libbra di questa ridotta in mucilaggine , nel modo’ stesso dell’ amido , fa l’effetto di 8 libbre di gomma di Senegal. Dà molta densità ai colori e non altera i mordenti, nè è alterata da essi. Alcuni orologi indicano, fra le altre cose, il giorno del me- se. Siccome vi sono dei mesi che hanno 30 giorni, altri che ne hanno 31, ed uno che ne ha ora 28 ora 29, ne segue che essendo divisa la mostra in 31 parti egaali, bisogni a certe epoche far saltare dall’ ago o lancetta una, due, o tre di que- ste divisioni. Il sig. Castille ha imaginato un meccanismo molto ingegno- so, che opera da sè ed opportunamente quest’ effetto . Tutti sanno quanto sia lunga e penosa la preparazione del burro col processo comune. L’ aggiunta d’ una piccola quantità d’acquavite alla massa, quando la panna comincia ad addensarsi, diminuisce moltissimo la durata dell’ agitazione, senza punto nuocere alla bontà del burro, ed ai suoi caratteri esterni. Per le premure d’un degno ecclesiastico si stabilisce nel ‘Tockembourg una Biblioteca per l'industria e per il commer- cio. Destinata ai bisogni dei negozianti, dei fabbricanti , degli artisti, sarà composta di giornali e di libri destinati a spargere fra queste diverse classi di cittadini delle idee utili, e la co- guizione di tutte le scoperte nuove. 163 Si può citare nello stesso genere uno stabilimento che esi-- ste da pochi anni in un villaggio del Cantone di S. Gallo. Con- siste questo in una Società di lettura, che ha per oggetto il far circolare fra i membri di quella comunità dei Jibri desti- nati a propagare lo spirito pubblico, 1’ amor della patria, e le virtù civiche. Queste letture vi hanno già fatto diminuire il numero dei cattivi libri offerti all’avidità dei popoli; esse neu- tralizzano i veleni sparsi dai venditori d’ almanacchi inetti, di canzoni indecenti, e dì altri libri pienì d’assurdità. I doni offerti in quest'anno al Maseo di Ginevra, non sono nè m eno abbondanti nè meno ricchi che gli anni precedenti; essi non sono soltanto il prodotto della generosità dei Ginevrini; diversi forestieri di distinzione hanno voluto dare a questo sta- bilimento delle dimostrazioni del loro interesse. Le sale di mi- neralogia e d’ ornitologia sono state particolarmente arricchite da questi nuovi doni. Il museo ha acquistato un nuovo genere d’ importaza e d’ utilità ; le sue sale, i suoi laboratorii, ed ì suol strumenti hanno servito nei due ultimi inverni ai corsi gratuiti di fisica e di chimica applicate alle arti, e di matematiche ele- mentari, che il comitato d’industria ba aperto per gli artisti. Que- sti corsi dati da professori abili sono stati seguitati con interes- se. Il consiglio municipale di Ginevra ha dato una nuova prova del suo desiderio d’incoraggire e favorire la coltura delle scienze, destinando una somma di 40,000 fiorini (circa 18,500 franchi) per l’ acquisto della collezione di strumenti di fisica del sig. pro- fessor Pictet, antico ispettor generale della pubblica istruzione. Non è stato giammai stampato tanto in Londra quanto nel- l’ inverno precedente. Si era concepito il timore che l’ applica- zione delle macchine a vapore alla stamperia e la moltiplicazione dei prodotti che esse davano non fossero una causa di rovina per molti operai, che potevano così trovarsi senza impiego. È acca- duto precisamente .l’ opposto. I libri vendendosi ad un prezzo più moderato , il numero dei compratori e dei lettori è cresciuto. in una proporzione così grande, che per molto tempo gli stampatori non poterono adempire i loro impegni per mancanza d’ operai. Le piccole opere periodiche di quattro o sei soldi, che sì pub- blicanò di settimana in settimana, si sono moltiplicate immensa- mente. Le incisioni in legno, di cui sono adornate, hanno anch’ esse occupato una folla d’ incisori. Il fatto è che le scuole alla Lancaster e quelle della domenica hanno creato , per così dire 164 uva popolazione intera avida d’ istruzione, e la di cui moralità è in generale degna d’elogi. Queste scuole contribuiscono essen- zialmente ad operare una grande riforma morale ed intellettuale, i di coi effetti si fanno già sentire, ma che sarà specialmente im- portante per la generazione prossima. L’ Araldo della pace, n.° 3 e 4 per i sei ultimi mesi del 1823, e n.° 1 e 2 peri primi 6 del 1824. Londra 1824, presso Hatchard.—-Dacchè si pubblica in Inghilterra questo giornale , vale a dire da due anni, la Spagna, la Grecia, l’ America sono sempre state il teatro di guerre e di dissenzioni più o meno atroci. A malgradodi ciò, egli è da desiderare che le società della pace proseguano la loro onorevole carriera, che si moltiplichino ovun- que, e che oppongano la loro unione concorde alla forte lega dei partigiani della guerra. I quattro quaderni che abbiamo sotto gli occhi dimostrano che queste società non si limitano alla propa- gazione delle massime di pace, ma che si occupano ancora di tutto ciò che merita l’attenzione dei filantropi, di tutto il bene che si può fare agli nomini, di tutti i mali che si può evitare o ripa- rare. Che elleno danque abbiano principalmente in cura l'istru- zione, come condizione preliminare e necessaria ad ogni perfe- zionamento morale. Siccome elleno riprovano con una giusta in- diguazione la tratta dei negri, e l’ influenza disastrosa che essa esercita in Affrica, non disapproveranno senza dubbio l’ impiego della forza contro questo traffico criminoso, quando anche ne ri. sultasse una sorte di guerra. Il secondo quaderno del 1824 con- tiene la confessione di Guglielmo-il Conquistatore fatta sul letto di morte, estratta dagli Annali o Croniche generali dell'Inghilterra, cominciate da Thon Stow, e continuate fino al 1631. da Edmondo Hows. Se il racconto dell’istorico è fedele, l'esempio di questo favo- rito della vittoria non è atto ad ispirar coraggio a quelli che fos- sero tentati d'imitarlo, e la vita intera d’un conquistatore non sarebbe sempre un compenso delle angoscie della sua fine. ( Ri- vista Enciclopedica.) Il sig Andrea MNeuville ha inventato un nuovo genere di battelli che egli chiama filantropici, e che sono fatti muovere da un meccanismo posto ìn azione dalle braccia degli uomini. IL’ intenzione che lo diresse nel concepire la sua macchina le ha fatto dare quella denominazione. I marinari si lamentavano che le macchine a vapore li priverebbero del loro travaglio; il 165 sig. Neuville volle farne una che dileguasse i loro timori. Qua- luoque opinione si abbia intorno all’ impiego delle- macchine , l’intenzione che lo ha animato era lodevole. Bisognava dare un nome ai suoi battelli; egli ha consacrato loro quello, come in memoria d’un progetto concepito nell’ interesse d’ una delle classi più utili della società. Il battello destinato a ricevere questo meccanismo ha 5o piedi di chiglia, e si può, in caso di bisogno, aggiungervi una vela. Il sig. Neuville , senza con- trastare allo macchine a vapore la loro forza quasi illimitata , pensa che, per la navigazione sopra un fiume, un lago, o un canale, la sua macchina avrà sopra quelle a vapore dei vantaggi reali, primo per la sua grande semplicità, quindi per esserne pochissimo costoso il mantenimento. Il capitale della società che si è formata in accomandita per mettere in attività questa mac- china è fissato alla somma di 45,000 franchi, che sarà divisa in 45 azioni, eiaseuna di 1000 franchi, divisibili in mezze azio- ni. Queste particolarità sono estratte da una memoria sopra questi battelli, seguitata da un prospetto dell'atto di società in accomandita per la navigazione da Bordeanx a Langon per mezzo di questi battelli. Si è lanciata nel Tamigi una barca a vapore denorrina- ta l’ Intrapresa, che deve servire di pachotto tra l’ Inghilter- ra e le Indie orientali. Essa toccherà a Madera s a S. Elena, a Bombay, a Madras, e giungerà a Calcutta in 45 giorni di viaggio, ma aggiungendovi 22 giorni di stallie per rinnovare le provvigioni e prendere del carbone, formerà un totale di 67 giorni da Londra a Calcutta. Il più pronto viaggio dell’ In- dia è stato quello della Medusa nel 1805 » che v' impiegò 86 giorni . ( vedi qui sopra pag. 69, ) Necrologia, Il principio di quest'anno è stato fanesto alle scienze ed alla virtà, mietendo in pochi giorni degli uomini d’un merito di- stinto. Carlo Pictet di Rochemont uno dei fondatori e direttori della Biblioteca britannica, ora universale, e che si occupava. princi- palmente di quella parte di essa che è intitolata Agricoltura , è morto nei primi giorni di gennaio, in seguito d’una malattia nelle vie orinarie, che rese necessaria un'operazione dolorosissi- ma. Questa era riuscita così felicemente » ed egli stava così he- 166 ne, che era creduto faori di pericolo, quando la mattina seguente alle ore 6 disse ad un tratto: si è fatta in me una rivoluzione che io non comprendo, ma che è fatale. Chiamati i medici, di- chiararono fino dalle ore 9 che non vi era più speranza di sal- varlo; ben presto la parte inferiore del corpo fu morta, ed il polso cessò di farsi sentire. Per altro egli visse fino a mezza notte, conservando non solo le facoltà dello spirito, ma dispiegandole in un modo che aveva qualche cosa di prodigioso. Egli raccolse intorno a sè tutta la sua famiglia, e siccome vi era stato fra i suoi figli ed alcuni congiunti qualche dissapore che egli voleva iinire di dissipare, parlò prima a tutti, poi a ciascuno in particolare, moglie, figli, parenti, domestici, chirurghi; sì rallegrava d’ avere avuto una vita assai felice, e di trovar la morte stessa, benchè accompagnata da molti patimenti , facile a sopportarsi; esortava , ponsolaga, ringraziava ciascuno, dando a ciascuno i più chiari ed i più saggi consigli sopra tutta la condotta futura, conservando la stessa voce, la stessa esatta pronunzia , la stessa eleganza d’ espressione , che quando parlava al consiglio, sembrando finalmente un essere «he, entrato già in un’ altra vita, conserva un’ ultima comunicazione con quelli che restano in questa. Dopo aver parlato così per quattro ore, spi- rò . La Svizzera deve a Jui più che a chiunque altro la sua indipendenza . Prima che le armate straniere passassero le fron- tiere della Francia, egli era stato a raccomandar Ginevra alle Potenze, ed aveva ottenuto la loro promessa. Egli era stato de- putato della confederazione svizzera a Parigi, al congresso di Vienna e di Turino , e per la considerazione che ispiravano il suo carattere ed i suoi talenti, per la riputazione di cui godeva, e per l'ascendente delle sue maniere , egli era ricevuto dove niun’altro avrebbe potuto penetrare. Così ottenne prima l’ indipendenza, poi la circoscrizione e la neutralità della Svizzera, poi il trattato di Turino, in un tempo in cui l’indipendenza della Svizzera aveva molti nemici . Nel dì primo di gennaio mancò di vita in Novara sua patria i] dottor medico Giovanni Biroli, professore emerito della R. università di Turino, altrettanto commendabile per le sue domestiche e so- ciali virtù, quanto benemerito delle scienze per molti suoi pre- giati lavori, specialmente di botanica , scienza che fra le altre au- IE della medicina, egli coltivò con particolare affetto e sue- cesso . Si hanno di lui i Flora economica dell’ Agogna, la Flora Aconiensis, molto applaudita dai botanici, ed il trattato della coltivazione del riso, encomiato del celebre prof. Decandolle . ne) 167 Formatasi in Novara una società agraria, egli fa intaricato della direzione d’un orto di agricoltura, ove coltivandosi, infra le altre piante, il cotone, l’arachis hypogea , il cipero esculento, ed i sedani novaresi, egli ne colse occasione per pubblicare in- torno a queste piante quattro lettere, le quali dedicò a quella società, non meno che la Georgica d'Agogna. Nominato profes- sor di botanica e d’agricoltura in Novara, vi creò un orto bo- tanico, che in tre anni divenne il più ricco del cessato regno d’Italia. Passò in seguito a cuoprire la cattedra d’ agricoltura nell'università di Pavia, finchè tornato il re Vittorio Emanuele sul suo trono, fu il Biroli richiamato a ‘Turino a professar bo- tanica e materia medica, col titolo e grado di primo profes- sore della facoltà medica, e di membro straordinario del pro- tomedicato. Un colpo d’apoplessia, da cui fu sorpreso circa otto anni fa, gli aveva fatto ottenere un onorevole giubbilazione . Nel di 3 dello stesso mese, carico d’anni e di meriti, cessò di vivere il sacerdote cavaliere Ermenegildo Pino, più conosciuto dai dotti sotto il nome di Padre Pini, per esser sa- lito in fama d’insigne naturalista mentre era ascritto all’ ordine dei Chierici regolari di s. Paolo. Concepito un vivo amore per lo studio della storia naturale, non solo vi fece grandi pro- gressi, ma ne propagò efficacemente il gusto in Italia, ove questa scienza era ben poco coltivata. Incaricato dal Governo di fare un viaggio scientifico in Italia, in Francia, in Germa- nia, ed in Svizzera, ne tornò sempre più adorno d’ utili co- gnizioni, e provvisto di molti e scelti prodotti maturali, dei quali è ricco il museo di S. Alessandro, che gli deve la pro- pria origine. Cuoprì in varii tempi, e sempre con lode, va- rie cariche onorevoli ed importanti, come d’ispettore della pub- blica istruzione , di professore di storia naturale, di membro del consiglio delle miniere, e dell’ Istituto italiano. Fra le opere da lui pubblicate si distinguono il suo trattato de venarum metallicaruna coctione, un saggio d’una nuova teorica sulla terra, un trattato sulle rivoluzioni del globo terrestre operate per l’azio- ne delle acque, gli elementi di storia naturale del Lasche da lui volgarizzati ed arricchiti d’annotazioni importanti. Si hanno anche di lui opere di genere affatto diverso, come i dialoghi sull’ar- chitettura civile e militare, un dialogo sulla felicità , ed altre . Sul principio dello stesso mese di gennaio morì in Turino l’abate Botta, rinomato teologo, addetto a quella famiglia re- 168 gnante, che seguitò sempre nelle critiche passate vicende, e dalla quale ricevette onorevoli contrassegni di stima e d’ affezione. Molti dei quali consistendo nel preporlo ad istituti di pietà e di beneficenza, furono per lui nuovi stimoli e nuove occasioni di ben fare . G. GAZZERI. —_r————_———__—____—_—___————————————m———m————_ rt css BULLETTINO BIBLIOGRAFICO i Annesso all’ Antologia (*). N. XV. Febbraio 1825. 'N.° 13 Scelta di Prosatori Italiani fattà da Premro Gror- DANI. ‘ Le intenzioni e le ragioni di questa Scelta di Pro- satori Italiani sono copiosamente ragionate nella lunga let- ‘ tera al nobilissimo e virtuosissimo Sig. Marcaese Gino Caproni; la quale è portata nel N°. 49 dell’Antologia. La Raccolta sarà distinta in 5 parti; la prima conterrà i con- temporanei di Dante, l’ultima scrittori del secolo deci mottavo. Queste due parti avranno minor numero di volu- mi che le tre altre, nelle quali si comprenderanno autori del trecento , del cinquecento , del seicento . Il numero dei volumi sarà intorno a trenta : perchè si vuole che circa un anno di tempo, e circa ventiquattro scudi di spesa possano bastare all’acquisto e alla lettura di questa raccolta; la quale debba essere sufficiente a far bene conoscere la maniera di pensare e di scrivere degl’Italiani in cinque secoli. Non si daranno le opere che tutti conoscono , e tutti possono facil- mente provvedersi: ma quelle che meno son conosciute , o meno facili a trovarsi; benchè siano lodevolissime. Si avrà cura che alla politezza della lingua e dello stile si trovi congiunta l’importanza e l'utilità della materia ; e però si prenderanno per lo più opere di storia, di filosofia, di (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel pre- sente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’Antologia. Essi vengono somministrati dai sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna con- fonlerlì con gli articoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima, siano come estratti o analisi, siano come annungi di opere. 169 scienze, di erudizione. A parecchi volumi di ciascuna parte il Raccoglitore premetterà un discorso; nel quale esporra le ragioni di aver preferito tali scrittori e tali ope- re; dirà per quali circostanze e private e pubbliche cia- scuno scrittore abbia trattato di tali materie, e le abbia trattate in tal modo: dirà degli scrittori contemporanei non abbracciati dalla raccolta, quali e per quali pregi meritino di esser letti. Così nel complesso di questi discorsi potrà vedersi compendiata una storia filosofica del sapere e del parlare italiano: e potranno gl’ italiani e i forestieri in breve spazio conoscere quanto si è fatto sinora in Italia, e quanto resta da fare per compiere il corso della civiltà ,,, Queste brevi parole , a cui l’autore della scelta, da noi pregato , riduce per così dire la somma dello scritto elo- quente che le serve di prodromo, basteranno, speriamo , a dare idea della scelta medesima e a procurarle gran numero di soscrittori. Ov’ essa non portasse in fronte il nome del Sig. Giorpani, sarebbe forse necessario indicare di quali ope- re verrà composta. Vedendole quel nome in fronte, cia- scuno dice a sè stesso: verrà composta delle migliori fra le ottime, poichè tali debbono essere quelle che si prese e quindi ci propone a modello il più perfetto prosatore, che da due secoli vantino le lettere italiane, Il Sig. GiorpanI soddisferà sicuramente colla sua scelta e in specie co’ suoi discorsi proemiali al bisogno della nostra e in parte anche dell’altre nazioni, al genio del secolo e all’obbligo che gl’ impone la propria fama. Noi, per quanto ci appartiene, cercheremo di soddisfare alla pubblica aspet- tazione, prestandogli sempre, con quella maggior prontezza che vorrà egli medesimo , l’opera nostra, e secondando la direzione, ch’egli promette alla stampa, con tutte le cure che può ispirarci la nostra stima per lui, e il nostro de- siderio dell’ utile universale . Firenze 1. Gennajo 1825. P L’ Editore G. P. VirusseUX Direttore dell’Antologia , e del Gabinetto Scientifico e Letterario» 170 CONDIZIONI DELL’ASSOCIAZIONE T.° Il sesto de’ volumi della Scelta di Prosatori sarà in 8.° IT.° Il carattere sarà di filosofia nuovo: della Fonderia Bo- doni di Parma . III.° Due saranno le edizioni: una in carta reale sottile; 1’ al- tra in carta de’ classici prima qualità. IV.° Per gli associati che si sottoscriveranno prima della pub- blicazione del primo volume, l’elenco dei quali verrà pubblicato col medesimo, il prezzo dell’ edizione in carta ordinaria sarà di soldi 4 toscani ( centesimi 17 ) il foglio ; quella in carta dei clas- sici soldi 5 toscani ( centesimi 21 ) il foglio; la legatura e coperta saranno date gratis. V-° Pubblicato, che sarà il primo volume il prezzo resterà inva- riabilmente fissata soldi 5 ( cent. a1) per l’edizione in carta ordi- naria, e soldi 6. ( cent. 25 ) per quella in carta de” classici. VI.° Un volume non sarà minore di fogli 20, nè oltrepas- serà i 25. VII. Tatta la collezione si comporrà di circa 25 volumi. VIII.° Ne saranno pubblicati non meno di 4 volumi all’ anno. IX.° Gli associati non pagheranno che all’atto di ricevere ciascun volume. X.° Le associazioni si riceveranno In FIRENZE al mio Gabinetto a Santa Trinita. 39 e pressoi Sigg. Guglielmo Piatti. » » — Giuseppe Molini. ” », — Gaspero Ricci. Livorno » — Glauco Masi. PISA » — Sebastiano Nistri. SIENA sì — Onorato Porri. AREZZO n — G. Becherini. PISTOJA » — G. Manfredini. PRATO » — F.Giachetti. AMSTERDAM sw —= DafoureC. AUGUSTA 3» — Jenische Stage. BASILEA ,» = Tourneisen. BERLINO sg —= Schleisinger. BERNA » “— Clias,alGab. Letterario, ‘BOLOGNA 2 — A.Nobili.e C. —- — —_— _ __———_—_—_—_—_—_m—__—rmr——dizclitte}1#-eU[n8s<““s«—n——————E*beamrrroca->conacceco-e‘[r eee rs — eee Boston ( America ) ,, BRUSSELLE CoRPU' FORLI FRANCOFORTE GENOVA ” GINEVRA LOSANNA LIONE LIPSIA LONDRA 2) Lucca LuGaANO MANHEIM MANTOVA MASSA DI CARBARA MESSINA MILANO 2») MODENA NAPOLI PALERMO PARIGI PARMA PESARO PIETROBURGO PIACENZA RAVENNA REGGIO ROMA STRASBURGO STUTTGARDIA ToRrINO UDINE VENEZIA VERONA VIENNA Zunizo Pe Ca i ee » 2) 2) F41 411.3 3 4173 VI 1 +44 INSOLITE #7 ES i Camming Hilliarde et C, Le Charlier. Ciampolini . Casali. Schaeffer . I. Gravier. Ferd. Ricci. ‘ Paschoud. Fischer. Cormon et Blane. Grieshammer. Treuttel et Wurtz. - Molini. F. Bertini. Vannelli e C. Artaria e Fontaine. L. Caranenti. G. Testoni Dir. della pos. G. Pappalardo di Pietro, Fusi Stella e C. G. Silvestri. Geminiano Vineenzi et C, Marotta e Vanspandoch. Boeuf . Gruis, presso Lenzitti e C, A. et W. Gallignani. Barrois l’ainéR. de S.n.°10 G. Blanchon. A. Nobili. Florent e Haver. Mauro del Maino . Collina. Geminiano Vineenzi e C. Eredi Raggi. Levrault. Cotta. G. Pomba, Fratelli Mattiuzzi. G. B. Missiaglia. Eredi Morona. C. Schalbacher. Gessner . 171 172 N.° 14. M. VITRUVII POLLIONIS Architectura tewtu ex re- censione codicum emendato cum exercitationibus notisqgue no- vissimis Joannis Poleni, et commentariis variorum additis nunc primum studiis Simonis Stratico , UTINI apud FRATRES MATTIUZZI anno 1825. in officina Peciliana. Estratto del PRO- SPETTO. Da lungo tempo s’ aspetta dalla colta Europa la edi- zione dell’ Architettura di Vitruvio, intorno la quale il mar- chese Giovanni Poleni lavorò coi sussidi munificentissimi della , repubblica di Venezia pel corso d'anni 35, e per quasi altret- tanti il conte Simone Stratico. Tale universal desiderio si ap- poggia all’opinione, che questi dotti abbiano fatto uso di tut. tociò che dalle lettere, dagli antichi monumenti, e dall’indole delle arti potea ritrarre la erudizione e la perspicacia de’ loro intelletti per illustrare un autore, che stanti i termini propri unicamente dell’arte da lui trattata, i falli commessi da igno- ranti copiatori, e la perdita delle figure da lui mentovate, non riuscì finora proficuo come doveva alla scienza degli architetti. Molti scrittori periti nell’architettura e nostri e stranieri suda- rono con grande benemerenza sopra Vitruvio; ma pure all’Italia madre di tanto architetto e d’ ogni bella ed ottima cosa gene- ratrice, mancava ancora un’edizione, che per la copia delle dot- trine e per la filosofia dell’ arte potesse sostenere la gloria della patria a petto dei dotti delle altre nazioni, che tanto si avan- zarono nello studio de’ classici antichi. Se i civili incarichi, a cui fu chiamato il co. Simone Stratico, impedirono ch’ egli at- tendesse alla pubblicazione dei lunghi e meditati lavori desti- nati a riempire il vuoto rimasto finora alla classica letteratura, egli però seppe provedere alla fama del Poleni e alla propria affidandoli alle cure de’ suoi eredi. Ora danque il suo dilettis- simo nipote cav. Gio. Battista Stratico, per affetto alla memoria dell’ illustre suo zio - paterno, e per onore delle lettere e delle scienze ne intraprende la stampa, incoraggiando a sì lodevole fine la tipografia diretta dai Fratelli Mattiuzzi in Udine, ove il predetto cav. tiene l’ uffizio di primario magistrato politico. A lume degli amici dell’ arti belle gioverà il porre sott’oc- chio il prospetto della presente edizione. L’opera quindi si pubblicherà in 4. tomi in quarto grande, ognuno de’ quali sarà diviso in più parti. Le materie saranno le seguenti : L’ Esercitazioni del Poleni sono amplificate dall’ editore at- tuale secondo il desiderio dello Stratico; dimodochè alla prima Esercitazione, che versa sulle antecedenti stampe di Vitruvio, 173 succede un’ appendice bibliografico-critica dall’ anno in cui ter- minò il Poleni fino al presente. Affiochè poi nulla mancasse alla migliore lezione del testo fa esso recentemente collazionato colle due edizioni del Rode e dello Schneider, pubblicate pochi anni sono i Germania, e con due codici manoscritti non prima esaminati. La stampa sarà splendida, nella forma carta e caratteri (quanto al testo) similissimi al presente saggio. Tutta l’ opera sarà ornata di circa cento e venti tavole in ra- me, e di quasi duecento figure in legno. Il prezzo delle figure in legno sarà compreso ne’ fogli di stampa, dimodochè il va- lore di questi e di quelle sarà di centesimi 5o italiani per ogni foglio. Le tavole in rame saranno pagate separatamente al prezzo di una lira italiana per cadauna. Gli esemplari in carta velina avranno un prezzo doppio dei comuni. L’ opera sarà distribuita regolarmente , osservando sempre il dovuto riguardo al maggior comodo de’ signori associati. La sottoscrizione è aperta in Firenze presso il sig. Giusep- pe Molini. 15 Storia dell’ arte dimostrata coi monumenti dalla sua de- cadenza nel Ir. secolo fino al suo risorgimento nel xr1. di G. B. L.G. Seroux d’ Agincourt, tradotta ed illustrata da Ste- fano Ticozzi \socio onorario dell’ Accademia di belle arti di Carrara, dell’ Atenco di Venezia ec. vol, 6. in 8.° di testo, e 3 vol. in foglio di tavole in rame. Prato per i fratelli Giachetti 1825. Con questa eraditissima opera lungamente dall’ Europa de- siderata l’ illustre srittore colmò un immenso vuoto di otto se- coli che separava l’ antica dalla moderna istoria delle belle ar- ti; e le utili fatiche di trenta generazioni di artefici dottamen- te illustrò . Il sig. D. Agincourt prende l’arte all’ epoca ove fu laseia- ta da Winckelmann nel iv. secolo, e con una non interrotta se- rie di preziosi monumenti, si fa a vittoriosamente dimostrare, che il sacro fuoco delle arti non fa mai in Italia affatto spen- to; e che favoreggiate dalla religione , alimentate dalla ricchez- za, stimolate dalla gloria, dopo varj secoli di traviamenti , si ridussero in su la buona via in principio del xuHI. per opera principalmente di alcuni illustri toscani. Quindi progressivamen- te avanzando fino a Leone x. offrirono all’ Italia il maraviglio- So spettacolo ch’ ebbero già Atene e Roma nell’ età di Pericle, 174 di Alessandro, di Augusto , contrapponendo agli Zeusi agli A pel- li ai Fidia ai Pergoteli ai Prassiteli ai Dioscoridi ai Vitrurj, i Vin- ci i Raffaelli i Ghiberti i Valerj i Bonarroti i Grechetti i Palladi. Presto al limitare di questa gloriosa epoca conduce il sig. D. Agincourt la sua storia , offrendo in 325 tavole cronologica- mente ordinati i più importanti monumenti che 1’ architettura , la scultura , la pittura produssero dal iv al XVI secolo in Italia , in Francia, in Germania , ed altrove : lungo e difficile lavoro, con sagace critica, con infinita erudizione , con isquisito gusto condotto per una via ancora intatta o soltanto segnata a grandi distanze da leggerissime orme di pochi scrittori . A così ricca serie di monumenti. premette uno storico pro- spetto dello stato civile e politico della Grecia e dell’ Italia da Costantino fino alla distruzione dell’ impero orientale ; indi pren- de a trattare separatamente la storia dell’ arte nelle sue' princi- pali divisioni, architettura, pittura e scultura , sempre appog- giando ai monumenti ogni sua asserzione , e nuovi utilissimi con- fronti instituendo tra le opere che nel medio evo si eseguiro- no dagli artisti bizantini ed italiani ; dai quali confronti viene ad evidenza dimostrato, che il rinnovamento delle arti si operò dagli italiani per la forza del proprio ingegno ed aiutati dai po- chi greci e latini monumenti che sempre conservaronsi visibili in varie parti d’ Italia , piuttosto che per gl’ insegnamenti e gli esempj dei bizantini . Alla narrazione istorica aggiunse un ragionato indice di cir- ca 1400 monumenti raccolti nelle 325 tavole , che tutti va di- chiarando con tale copia di erudizione sacra e profana da meri- targli un eminente grado tra gli archeologi del nostro secolo . Tale è l'importante storia, che non doveva più oltre lasciar- si:desiderare alla mostra Italia , e che dietro autorevoli eccita- menti ci siamo proposti di pubblicare fedelmente tradotta nel no- stro bello idioma , che può riguardarsi come il naturale moder- no linguaggio delle arti, perciò che con loro si formò e creb- be e sempre poi le accompagnò dai tempi di Bonanno , di Nic- cola da Pisa fino al secolo di Quarenghi, di Canova, di Ap- piani. i E perchè in così vasto lavoro furono. da severi critici no- tate alcune leggere mende, a schiarimento de’ passi censurati, o a difesa dell’ illustre autore, che, sceso nella tomba avanti che si pubblicasse la sua opera, non potè render ragione delle sue ‘Opinioni, si apporranno , ove il bisogno lo richiede , brevi note ed illastrazioni . 175 E siccome quest’ opera viene a formare un solo corpo di storia con quella della scultura del conte Cicognara dal Iv secolo fino alla età presente, abbiamo voluto soddisfare ad un sentimen- to di doverosa gratitudine verso i numerosi possessori della no- stra edizione della storia della scultura , offrendo loro quella del d’ Agincourt nello stesso formato ed in carta e caratteri affatto simili. Le 325 tavole de' monumenti saranno fedelmente riprodotte in tutta la loro integrità da nitidi bulini, senza dar luogo alla più leggera variazione , sia rispetto al numero che alla qualità e dimensione , riservandoci soltanto l’ arbitrio d’ una migliore ese- cuzione . Due edizioni si eseguiranno contemporaneamente ; una in 8.° grande di carta velina grave ed in caratteri simili a quelli della storia della scultura ; l’ altra in foglio di carta papale velina , con caratteri più grandi, siccome richiede la qualità del formato . L’ edizione in 8.° sarà composta di sei volumi di testo e di un atlante in foglio diviso in tre volumi contenenti 325 stampe. L’ edizione in foglio sarà, come la parigina, di tre volumi di testo e di altrettanti di stampe . Il prezzo degli esemplari in 8.* è di franchi 300 ossieno lire fiorentine 360; prezzo molto al di sotto della metà di quello dell’ edizione di Parigi ammontante a franchi 720. Gli esemplari in foglio con le stampe in carta velina ‘distin- ta si pagheranno il doppio di quelli in 8.° Ogni quattro mesi si pubblicherà un volume dell'edizione in 8* ed uno ogni otto mesi di quella in foglio . La dispensa delle tavole si farà ogni mese in fascicoli non maggiori di 10. L'importo d’ ogni volume in 8.° è di 8 lire fiorentine ossieno franchi 6. 66, e quello delle tavole a ragione di soldi 19 fiorentini o centesimi 80 per ciascheduna , da corrispondersi di volta in vol- ta all’ atto della consegna . Ognuno dei tre volumi in foglio, del testo , si pagherà li- re 32 fiorentine ossieno franchi 26. 66, ed ogni tavola in carta ve- lina distinta spettante all’ atlante dell’ edizione in foglio fioren- tine lire 1. 18 o franchi 1. 60, La legatura e le coperte dei volumi e delle tavole, simili a quelle adoperate per la storia della scultura, si rilasciano gratui- tamente . ‘16 Giornale di Farmacia-Chimica e scienze accessorie, o sia raccolta delle scoperte, ritrovati e miglioramenti fatti in far- 196 macia ed in chimica, compilato da ANTONIO CATTANEO. L’Ac- COGLIMENTO più che cortese col quale questo giornale fu ri- cevuto al suo nascere, il numero di circa 500 associati che si sono degnati di favorire questa impresa, assicurano al compila- tore ed all'editore un felice successo per la continuazione. Incoraggiato da tali considerazioni l’ editore presenta con questo nuovo manifesto aperta la soscrizione per l’ anno cor- rente 1825. Lo scopo di questo giornale è quello di mettere in istato, e particolarmente i farmacisti, di conoscere tutte le scoperte, ritrovati o miglioramenti fatti nell'arte e nelle scienze loro dai sapienti di tutte le nazioni, onde non sieno obbligati allo stu- dio di molte lingue, alla compera di opere dispendiosissime, ed essere anco nella critica situazione , non avendo relazioni, di poterle avere; ed in questo modo è bene provveduto alla man- canza. Alla compilazione di questo giornale concorrono tutti i dotti in questa materia, già conosciuti o con le loro opere, per mezzo di giornali, fogli periodici, con articoli o memorie espressamente detiati. Le opere ed i giornali Italiani, Tedeschi, Francesi ed Inglesi servono all’ intento. Quando il senso dell'occhio abbisogni, per meglio compren- dere una data spiegazione di macchine o di operazioni, vi sarà una tavola incisa in rame. Non, si ammettono in questo giornale gli articoli, o memorie che contengono controversie e personalità, essendo questo gior- nale unicamente destinato a far progredire le arti e le scienze Farmaceutico-Cliimiche, Il prezzo di questo giornale da pagarsi per anticipazione è di lir. 16. Austriache, per un anno, e lir. 8 per sei mesi, franco in tutto il Regno Lombarbo-Veneto, e per l’estero al medesimo prezzo, franco alla frontiera, Le associazioni si ricevono in Milano dal libraio GIo. PiE- TRO GIEGLER, Editore e proprietario di questo giornale, dalla Spedizione Centrale delle Gazzette presso l’I. R. Direzione delle Poste della Lombardia, e presso i principali librai d’ Italia. N.B. Rimangono poche copie dell’anno 1824 a comodo dei nuovi associati, al medesimo prezzo di lir. 16 Austriache. Gio, Pietro Giegler, Libraio, Corsia de’Servi, n.° 603. Dalla tipografia di Felice. Rusconi, contrada di S. Paolo, n.° 1177. 17 Storia della Grecia di GuGLieLMo MITFORD traduzione dall'inglese di A. F- FALGONETTI. Venezia dalla Tipografia di + Alvisopoli, 1824. Condizioni dell’ Associazione. Saranno dodici 177 volumi di.24 a 26 fogli di stampa per ciascheduno, nella for- ma di 8.vo; carta soprafina levigata; caratteri nuovi moderni distribuiti elegantemente ; correzione scrupolosa . oi Il primo tomo uscirà nel prossimo marzo 1825. Gli altri lo seguiranno regolarmente con l'intervallo di 4o giorni 1’ uno ‘dall’ altro . Il prezzo da pagarsi alla consegna di ogni volume, resta fissato pegli associati a centes. 20 italiani al foglio, oltre a centes. 30. per la legatura, coperta e cilindratura. Le spese di porto sono a carico dell'associato. L’associazione resta aperta a tutto gennaio prossimo. Quelli che si associano dopo, ed i non associati pagheranno per ogni foglio cent. 25. Le associazioni si ricevono in Venezia al negozio di libri all’Apollo, e nelle altre città d’Italia e fuori dai principali librai distributori del presente manifesto. I signori assosiati onoreranno della loro firma l’ inserta ob- Missione. Venezia 14 Dicembre 1824. 18 Storia della Scultura, dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, del Conte Leopoldo Cicognara, per servire di continuazione all’opera di Winckelmam e di d° Agincourt. Edizione seconda, riveduta ed ampliata dall’ autore. Prato. 1324 per i fratelli Giachetti. Volume sesto di fogli 27 1f2, e 24 tavole in rame. Prezzo per gli associati lire 18. 2. 19. Storia del risorgimento della Grecia, che contiene la narrazione degli avvenimenti dal 1740 fino al 1824. DI F-C-H-L. PougQueviILLE. Elegante edizione con rami e ritratti. Divisa in 10 tomi in ottavo grande a paoli 5 il tomc, Potrà aversì o a to- mi o tutta intera. ‘talia 1825. Vendesi presso il sig. Manfre- dini di Pistoia. 20- Storia della Rigenerazione della Grecia dal 1740 al 1824, di F. C. H. L. PouQuEVvILLE, tradotta .éd illustrata da STE- FANO Ticozzi. Con un Appendice istorica sullo stato della Gre- cia fino al 1525. ed una carta geografica della Grecia e delle adiacenti isole. Volumi X in 18° per paoli 30. Italia 1825. Ven- desi dai Fratelli Giachetti di Prato. 21. Geografia moderna universale , ovvero descrizione fisica , statistica, topografica di tutti i paesi conosciuti della terra, per G. R. Pacnuzzi. Firenze 1824, per Vincenzio Batelli, e C. Vol. IX distribuzione XV. (Prussia ). 22. Opere di Maria Edgeworth. Traduzione dall'inglese di A. F. FALCONETTI. Venezia presso Giuseppe Picotti. Prima di- T. XVII. Febbraio 12 178 stribazione, Harrington e Ormond. Raeconti due in 5;-volumi- Vol, I e II. prezzo lire 5. 25. . k 23. Biografia universale antica e moderna ec. Opera affat- to nuova compilata :nm Francia da una società di dotti, ed ora per la prima volta recata in Italiano con aggiunte e correzioni. Venezia presso G. B. Missiaglia, 1824. Vol. XIX. ( ES.FA ) 8. di pag. 480. In Firenze presso G. Molini. 2/4. Elogio storico: del conte Luigi Corvetto, già ministro delle Finanze a ‘Parigi, morto in Genova il a7 maggio 1821: Scritto dal Senator Cotardo Solari, deputato agli studi. Genova. Stamperia Pagano. 1824. 8.° di pag. 1r3a. 25. Collezione di tutti i drammi e opere diverse di Carlo Goldoni. Prato per i Fratelli Giachetti. 1824. 8.° Vol. 4° 26. La pianta dei sospiri. Romanzo di Defendente Sacchi. Lodi 1824 presso G. B. Orcesi. Un vol. di pag. 304. prezzo lire 3. Aus OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO i DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. GENNAJO 1825. | | 39 | Termometro | = "i 255 I o co dig A IE O 3 Ora È s BI E E ol 3È Stato del cielo. ll E; 5 Bolodik FI a | cen at Pi leer Ansa: l Cda “1| mezzog. |28. 6,2 5,844 4,5 9 Scir. |Ragn. Calma it sera |28. 6,5 5,540 3,8 94 |Scir. |Sereno Vento [ll 7 mat. |28. 6,2 4,6|3t 2,5] 95 ‘Scir. |Nuvolo Ventic .]0 2| mezzog. |28. 5,7 19153 5,0| 96 Scir. |Nuy.neb. Calma | 11 sera |28. 3,6 | = 5,1/51 5,0/100 Scir. |Nuv.rotti Calma ee ai AI | e a 3| mezzog. |2g. 3,0 5,6|71 7,1) 97 Scir. {Nuv. neb. Calma ri sera |28. 3,9 5,8 4,5|100 Scir, |Sereno Calma {ll 7 mat. bee 3,6 5,1'09 1,0|100 Scir. |Neb. foltis. Calma | 4| mezzog. 128. 2,8 4,6 44 4,3| 95 Sc,Lev.|Be.connez1l ba- Wen 11 sera |28. 0,5 5,344 4.0|100 (Os. Sci. Nebbia: Ventic.ifl 7 mat. |27. 9,3 5,842 4,0! gg | |Os.Sci.|Nuv. neb. Calma | 5| mezzog. |27. 9,0 5,8/67 7:°| Di \Po.Ma.;Se.conne.inba. Ven.] tr sera |28. 0,0 | 5,3]42 3,7| 45 | Tram, |Sereno Vento forte] {7 mat. |28.. 0,5 3,611 3,1] 27 Gr. Tr.[Nuv. neb. Ve.tem.il) 6' mezzog. 128. 14 3,127 24| 29 Tram. |Nuvolo Ven. imp.| rrisera |28. 1,9 3,1 (31 ,7| 22 Gr. Tr. Ser.nuv. Ven. imp.| 7 mat. |28. 0,2 44 34 3,8 24 | |Gr. Tr.!Sereno Ven. forte] _7| mezzog. |28.. 2,2 4,0 49 5,0] 19 Gr. Le.|Sereno Vento]| rr sera |28.. 2,5 4,0 29 3,0) 40 Tram. !Sereno Ventic.|| | | | | I{ il (RN [e] tend lac] > [2 PI 3 S|_2|L8 Si Ora 3 S {353 "3.8 Stato del cielo LA ui pa 5 Da È 5| ?| 8 I 7 mat. Ing. 1,3 3,1|18 A 61 Scir. |Nuv. neb. Calma 8 | mezzog. 28. 0,9 3,1]27 2,5 59 Scir. |Nuv. neb Calma tt sera 28. 0,9 2,9|18 1,3 99 013 Tram. Nuvolo Calma 7 mat. 28. 1,0 3,1]27 3, 3 46 (Gr, Tr. -| Sereno 9 | mezzog. 28. 1,3 4 23 56 7,0: 20 Tr. ».Gr, Sereno ri sera 28. 2,8 | 49 49 5,0' 35 Lev. Sereno si 7 mat. !28. 3,0 44 27 -50 | Tram. |Sereno o. mezzog. 128, 2,7 4,9 49 5,0 50 Sc. Lev|Sereno __|_xt sera ia 3,1 34 27 2,9 66° Scir. |Sereno 7 mat. 28. 3,1 4,0 09 0,0 82 | iScir. Sereno 11, mezzog. 28. 3,5 | 4,0 33 3,5 6n IScir. 'Se.ra. ca.in bas, Cal 11 sera 28. 3,61 4,0 27 1,8 75 ‘Scir; |Sereno 7 mat. |28. 3,6 3,1[09 0,2| 85 Scir. |Sereno 12| mezzog. |28. 3,0 3,6133 3;0| 74 Scir. |Se.ca. in bas. Calma 11 sera |28. 3,0 4,027 2,0: 94 Scir. |Sereno Ventic 7 mat. |28. 3,1 3,6 13 0,7! g6| Scir. |Ser. neb. Ventic 13 mezzog. |28. . 2,9 3,5 &o 4,0 85 Scir. |Ra.ca.inbas. Calma | 11 sera |28. 3,0 3,6 22 1,8, 96 Scir. |Sereno Vontie. | 7 mat. 128. 3,1 3,1|-04- 20,5) 96 | Scir. |Sereno Ventic, 1/ mezzog. ‘28. 3,0 3,127 3,0! 90 Scir. Se.ca.in bas. Calma | risera 28. 3,3 3,5; 27 24. CL Scir. [Sereno Ventic. DI gimat.:028. (3;r| 3, rl 13 1,0! 94 Do [Scir. ‘Sereno. Calma 15 mezzog. 28. 3,0 4,0! b2 7,01 59 iGr. Tr. Se.nu al onie Calma | gi sera 28. 3,2] 4,631 5,7. 63 1006 — |Tram..| Nuv. neb. Ventic 7 mat. |28. 3,1 44 44 45| 59] Gr. Tr.|[Nuv. neb. Vento 16| mezzog. :283. 2,9 49 62 6,5) 55 Tram. |Nuvoloso: Ventic __|_13 sera 128. 2,9 5,9 44 (Sol. 69- Gr. Tr. Nuvolo Vento 7 mat. 28 2,6) 4944 4,9) 77 Gr. Tr. Ser. neb. Calma 17| mezzog. 28. 2,4 5,3 67 6,7, 59 Tr. Gr. Ser. ra. Ventic. rx sera 28. 3,5 5,3 44 4,2 pt Gr. Le. Sereno Ventic 7 mat. |28. 3,4 4,0 22 139 89 Lev. {Sereno Calma 18| mezzog. |28. 3,0 4,9 53 5.5 79 Tram. S con cali, Calma __| [1 sera (28. 2,3 __39 49 45 82 Scir. |Ser. nuv. Vento 7 mat. 28. 0,9 "io 4o 3,9 95. 'Scir. ‘.Nuvolo Calma IQ| mezzog. 27. 11,2 5,5 67 8,0 75 (0,01 'Scir. «Nuv. neb. Ventic tI sera 27. 9,3 5, 3858 5,6 gg |i,10 IScir. Pioggia Calma gti meritava sizione I cain Stato del cielo 01}9w01eg 0139018] 017 -2W01A0]q ord -09s0W1dUY Puri | 7 mat. |27. 8,5 5,3 49 A 94 |0,08 |Os. Li» Piog. di. Calma 20) mezzog. |27. 8,5 5,3 49 4,0 98 |0,29 {Sc.Lev Pioggia Ventic, di 11 sera |27. 8,4 ho 44 3,7 96 0,10 |Lev. | Nuv. rotti Calma 7 mat. |27. ein 27 3,1| 92 Lev. |Nuvolo Ventic. 2I| mezzog. |27. 4,2 56 6,0 sa Tr Gr.' Nuvolo Vento tai sera |27. 6 44 40 3,7 0,09, Gr. Tr. Nuvolo Vento 4,0 35 3, 9 ai Grec. |Ser, con nuv. Ventic. 4,2 53 5 o 96 Gr. Le.| Nu.ne. in bas. Calma __44 4 49 5,0 76_ Gr. 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(25. 3, Tram. | Ser. con nuv. ven. for. rtsera |28. "i : Gr. Tr.| Sereno Vento Fade dadi fe i LEONI) arie rt, © NDS piro, 7 mat. . —— {Scir. |Sereno Vento mezzog. 20. Scir. |Ser. con cali. Calma pe sera.ja0.; ;t > 2,3 Scir.Le] Sereno Ventic. FENOMENI DI VARIO GENERE. 20. Nevata generale agli alti monti. E’nevicato anche sulla vana, M. Morello, M. Senario , Incontro ec. 17. Leggiera scossa di terremoto a ore 6. 3/4 di mattina. ANTOLOGIA N. LI. Marzo, 1825. Delle adunanze filantropiche nella Gran Brettagna, e în ispecie di quella tenuta pel monumento di WATT , relazio- ne del cav. Dupin tratta dalla Rivista Europea, Voiendo conoscere un po’ al di lè della superficie il vero carattere di un popolo, non bisogna certamente limitarsi ad os- servare quello d’alcuni individui. Troppe differenze pongono fra loro l'educazione, la condizione , le facoltà ‘ del corpo e dello spirito, perchè, anche dopo lungo studio, possiamo for- marci una sicura e compita idea del popolo a cui appartengo- no. Ove però si tratti di adunanze pubbliche e numerose la cosa va bene altrimenti. Perocchè in esse di tutti i caratteri individuali si forma, se così possiamo esprimerci , un carattere generale, che non dipende tanto dagli individui che le com- pongono, come dal popolo, di cui SERA sono parte, e che da loro si rappresenta. La frequenza e la varietà di simili adunanze in Inghilterra è a tale riguardo un fatto degnissimo dell’atten- zione del moralista e dell’uomo di stato. Nella vita selvaggia l’uomo è ignorante, debole, isolato e per ciò stesso ‘infelice. Quindi, prima che ad altro scopo , egli usa della ragion sua ad unire le sue forze a quelle de'suoi si- mili ; al che lo porta non solo una speranza di felicità, ma an- che un sentimento di simpatia, che gli fa soffrire delle altrui pene e godere degli altrui piaceri. Così vien formata la società, la quale più si estende, e più prospera ; più si fa forte, e più corrisponde all'oggetto della sua istituzione . Se non che le distanze di luogo, le diversità di profes- sione e d’interesse ben presto fan nascere in essa grandissime divisioni, Ma queste sono pur moderate da nuovi motivi di riavvicinamento, che derivano dalla sua stessa ampliazione. In ogni tempo si sono vedute due gran forze morali contrastarsi l' im- N. XVII. Marzo I 2 pero della società: l’una tendente a separare, l’altra ad av- vicinare gli individui. Per quanto però queste due forze siano contrarie l'una a l’altra, cospirano mirabilmente al progresso della società medesima. Alla forza di separazione infatti deb- bono gli uomini la felice divisione dell’ arti, la distribuzione delle fatiche, e quindi la moltiplicazione e il perfezionamento di tanti generi di studi e d’industria. Alla forza di avvicina- mento o d’associazione debbono l’eseguimento di tante intra- prese, che la ricchezza; la longevità, o l’ esperienza d’ un solo individuo non basterebbero a condurre a termine. Le nazioni, di cui l’ istoria ci serba la ricordanza , come quelle di cui noi possiamo tramandarla ai posteri, si sono ele- vate a maggiore o minor. grado, di prosperità, secondo che. han- no più o meno secondato il pieno e libero esercizio delle due forze che si accennavano. Poche a dir vero hanno ben com- preso l'immenso vantaggio che deriva dalla loro felice com- binazione ; e fra queste poche nessuna forse lo ha compreso :;me- glio della Gran. Brettagna . _ Auch’essa , come l’altre nazioni europee, fu lungo tempo soggetta alle barbare istituzioni del feudalismo ; anch'essa adottò da principio gli errori dell’ignoranza, i pregiudizii dell’ egoi- smo, che minacciano al loro mascere ogni industria ed ogni commercio. Ma posta alfine da avventurose circostanze sotto la tutela di saggia libertà, stabilito un fortunato equilibrio fra il suo governo e. i diritti de’ suoi cittadini, quale sviluppo non ha essa dato a tutte le sue forze così morali che fisiche ; quale invidiabile. esempio all’ altre nazioni! Gli, inglesi primieramente hanno ridotto. a teoria fondata sull’ esperienza la divisione del lavoro in ogni parte dell’ indu- stria; ed hanno fatto di simile teoria il miglior. uso che mai potesse farsi. Hanno in seguito alimentato lo spirito di associa» zione; spirito potentissimo, che ha, data al loro commercio una forza che sembra miracolosa. Molti ostacoli, per vero dire; si opponevano a questa forza. Ma, gli ingegni più penetranti si posero.a studiarli affine di abbatterli ; ed oggi, grazie al mi- rabile accordo de’ lumi individuali e della pubblica autorità, più quasi non ne rimane, vestigio. i Onde operare i vari miglioramenti del viver socievole, è ben chiaro che i cittadini hanno bisogno di communicarsi le loro idee e di riunire insieme le loro facoltà pecuniarie. Ma sopra- tutto hanno bisogno di eccitarsi a vicenda, di manifestarsi, gli uni in presenza degli altri que’ sentimenti generosi, che pas- 3 sano rapidamente colla parola d’ un uomo a scaldar il cuore di mille, e li trasportano a cose grandi. Tale è il vantaggio di quelle adunanze sì frequenti e sì numerose, in mezzo alle quali specialmente si può studiare il carattere della nazione britannica (*). Alcune di esse hanno per oggetto l’ educazione de?’ fanciulli sì male intesa in tante parti del mondo , e sì bisognosa de’ pensieri e delle liberali sollecitudini di tutta la società. Ivi un’attiva beneficenza apporta il tributo delle sue ricchezze e de’ suoi lumi ; ivi si cercano i mezzi di diffondere fra le infime classi della nazione, come fra le più elevate , le cognizioni vere, utili alla vita, favorevoli al progresso delle varie professioni, atte insieme a migliorare il cuor dell’uomo e ad allargare i con- fini della sua intelligenza ; e alle amorevoli ricerche si uniscono sempre i più efficaci provvedimenti . Altre si propongono il risanamento di due gran piaghe dell’ u- mana famiglia , l’ abolizione cioè della tratta e della schiavitù de’ negri, invocata dalla ragione , dalla pietà , dalla religione , e non sostenuta che da feroci pregiudizi e da turpi interessi . Con quanti ostacoli queste generose adunanze non hanno in trent’ anni, da che sogliono convocarsi, dovuto combattere ? Ma quante vittorie non hanno a quest'ora riportate ? Già la tratta è dichiarata pirateria da que’ governi istessi, che pocanzi se ne dichiaravano promotori o difensori. Già 1’ emancipazione degli schiavi si opera con rapidità sul continente americano, e finirà coll’ operarsi anche nell’ Antille . Così il ben essere d’ una porzione della specie umana , restituita ai suoi primitivi e ina- lienabili diritti, attesterà la forza dello spirito di associazione ; e accrescerà la gloria del popolo britannico fra cui si alimenta . Certo una rigida o invidiosa censura può scoprire facil- mente nelle grandi adunanze, di cui si parla, difetti e vizi pur troppo inevitabili nelle migliori fra le cose umane. Qual meraviglia che in simili adunanze i calcoli odiosi dell’ egoismo si coprano talvolta sotto il pretesto del ben generale; che gli inganni dell’ ipocrisia si ordiscano sotto la maschera della vir- tu! Ma quando il principale scopo d’ un’ associazione è utile (*) I nostri lettori non avranno dimenticato ciò che fu detto di tali adu- manze in un articolo del tomo undecimo di questo giornalé, ove è reso conto dell’ opera del sig. Laborde intorno ai benefici effetti dello spirito d’ asso- ciazione . * . 4 all'umanità, ciò stesso che potrebbe contrariarlo si converte a suo vantaggio, ciò che potrebbe deturparlo si volge a suo ono- re. Esso fa nascere pensieri, che si crederebbero d’ uomini filantropi, in uomini calcolatori, che, nascondendo la deprava- zione de’ loro principii, rendono alla virtù un omaggio esteriore e affettano zelo del pubblico bene, per raccoglierne con usura la pubblica riconoscenza. Se costoro non operano intenzionalmente che per sè stessi, pur cooperano effettivamente al vantaggio di tatti; e a ciò li sforza lo scopo dell’ associazione di cui formano parte . Del resto gli uomini di simil tempra , nelle adunanze, che tale scopo rende necessarie , sono assai rari. I più vi si recano animati da onesti e generosi sentimenti, nè ciò potreb- be negarsi senza calunnia o senza stoltezza, vedendo quanto gran bene a quest’ ora ne è provenuto. Ma seguitiamo a dire de’ principali oggetti, per cui si radunano insieme pubblicamente i cittadini della Gran Bret- tagna . Non di rado ( e ciò scriviamo con dolce commozione ) essi lo fanno onde pagare un tributo di riconoscenza nazionale a chi ben meritò dell'intera nazione ; agli eroi, ai magistrati famosi, agli uomini di stato, agli uomini pensatori od industri , che colla spada, colla giustizia, col senno, colle dottrine, cogli utili ritrovati ne accrebbero la forza, l’opulenza, l’agiatezza e lo. splendore. La loro memoria è da essi raccomandata alle voci di una maschia eloquenza, fatta per risuonare in tutto il mondo civile, o alla virtù d’un’ arte per cui sorgono ne’ tempii dell’auto- re d’ogni gloria darevoli monumenti, che attesteranno alle ge- nerazioni future qual fosse la gloria della presente. Gli uomini, come ne prova la storia del loro progressivo incivilimento ; cominciano dal coltivare i doni dell’ immaginazio- ne; e finiscono col dare ogni lor cura a quello, che è fonte d’ogni bene, e da cui tanto dobbiamo sperare , il dono della ra- gione. Quest’ ordine naturale de’ loro studi è pur quello ne- cessariamente delle loro preferenze e de’ loro giudizii riguardo all’opere de’ contemporanei. A principio è d’uopo brillare più che ben fare, onde ottenere la loro stima; è d’ uopo cagionar lorv forti impressioni, anzi che esser utili, onde ottenere il loro amore. Queste impressioni, pur troppo, sono assai spesso do- lorose e mortali; ma non importa. Lo spettacolo della politica e delle guerre è terribile e tutto pieno di umani sagrifici. Ma il delirio è tanto { nè questo delirio può cessare per tutto finchè 5 per tutto non sia matura la società ) che le vittime stesse , in atto di soccombere, depongono corone ai piedi insanguinati de” loro sacrificatori. Viene alfine la tarda epoca, in cui l’affezione e la stima sono il frutto de’ pubblici benefici ; in cui l’uomo, che giova alla comune prosperità, più non si pospone a chi è strumento di pompose calamità , riguardate troppo lungo tempo come titoli di gloria. Felici le nazioni, per cui quest’ epoca di saggezza e d'omanità , se non è giunta, non è lontana! Pocanzi, il confesso, io non l’avrei creduta vicina nem- meno per la Gran Brettagna . Ammirava i monumenti inalzati da questa nazione a’ suoi guerrieri più famosi, a’ suoi scrittori più illustri, a’ suoi uomini di stato più eccellenti; e mi doleva nel tempo medesimo di non vedere alcun segno d’onore eonse- crato alla memoria di chi consecrò il suo ingegno a pro dell’ in- dustria , e della classe laboriosa che in essa sì esercita. Quindi parlando di un uomo, che Pur si era acquistata a questo ti- tolo grandissima rinomanza, io mi esprimeva così: “ Un abi- tante di Glasgowia ha fatto fare all’industria il passo più gi- gantesco, di cui ia storia serbi ricordo. Grazie ai perfezionamenti imaginati dal celebre Watt, la macchina a vapore è diventata uno strumento universale per le arti, a cui, adoperandolo , si rende facilissimo ogni genere di produzioni (1). Qual altro stra- mento, con sì poca spesa e in sì picciolo spazio, fu mai d’egual re- golarità nel suo uso , d’ egual prontezza ne’ suoi effetti ? Watt, a cui l’ Inghilterra ne va debitrice, è certamente da annoverarsi fra i grandi benefattori di sì avventurata nazione (2). Qual testimo- nianza d'onore, io chiesi anziosamente, ha egli ricevuto dalla pubblica riconoscenza? Chiesi e non ottenni per risposta altro che il silenzio. Parea che nè il re, nè i ministri, nè il par- lamento avessero creduto di dover nulla alla vita e alla me- moria d’un uomo, a cui gli antichi avrebbero eretti simula- cri ed altari come a Trittolemo, il primo a quanto sembra che applicasse la meccanica all'agricoltura. Le ceneri dell’at- tore Garrick riposano dignitosamente sotto le volte sacre di (1) La città di Glasgowia possiede circa ottanta macchine a vapore, di cui s'impiega la forza motrice in altrettanti opificii o manifatture che vo- gliamo dire. (2) Un tributo più particolare al merito inventivo dell’ illustre inglese era Già stato reso dal nostro autore nelle sue Considerazioni sui vantaggi dell’ in- dustria e delle macchine in Francia e in Inghilterra, Il passo da lui citato leggesi nell’ultimo volume de’ suoi Viaggi nella Gran Brettagua. 6 Westminster, e quelle di Watt giacciono in un angolo oscuro di qualche cimitero da tutti ignorato! ,, Oh, se le mie parole, de- stando in cuori generosi un sentimento che già non poteva a lun- go rimanere sopito , affrettarono benchè di poco l'istante, in cui i cittadini d’Albione resero con tanta nobiltà a quell'uomo bhe- nemerito l’omaggio che gli conveniva , quanto avrei ragione d'an- darne superbo (3)! Certo io conterò fra le mie rimembranze più care quella d’aver assistito nel mio ultimo viaggio in Inghilterra alla pri- ma delle grandi adunanze, in cui i suoi cittadini si siano rac- colti per offrire una solenne testimonianza di gratitudine alla Memoria d’uomini privati, che colle loro invenzioni e le loro fatiche accrebbero il ben essere della propria anzi di tutte le nazioni. Ecco adunanze veramente degne d’esser proposte in esempio, come quelle che aggiungono nuovo pregio ai benefici dell’industria e dell’ ingegno, ed eccitano la gioventù ai più no- bili sforzi, onde produrre anch'essi opere utili alla patria e de- gne di perpetua ricordanza . Così ne’ climi più diletti alla natu- ra que’ raggi medesimi che indorano- le frutta mature fanno shoc- ciare ad un tempo vaghissimi fiori, pegno di nuova raccolta, e speranza della stagione vicina, Tentiamo intanto, se ben ci riesce, di presentare nella sua maestosa semplicità l'adunanza che da noi si accennava , e in cui si vedevano i primi magistrati, gli oratori più eloquenti , gli stranieri più illustri, gli artisti più abili d’un popolo celebre per le sue leggi , i suoi studi , la sua varia e incredibile abilità. Il venerdì, 13 giugno 1824, si raccolsero questi eletti di sì eletto popolo in una sala consecrata alle adunanze filan- (3) Un giornale dedicato specialmente alle scienze e all’ arti meccaniche ( the Mechanic, s Magazine ) sì fa un pregio di riconoscere l’ ottimo ef- fetto delle citate parole sugli animi di tutti gli inglesi. Quasi subito do- po averle pubblicate, il cav. Carlo Dupin ebbe la sodisfazione di assistere all’ adunanza; che dovea decretare un monumento alla memoria di Iacopo Watt, e di vederla presieduta dal primo ministro, incaricato dal re medesimo di rappresen- tarlo, e accompagnato da vari de’ suoi colleghi più illuminati e da molti de’ sena- tori più illustri. Egli mirò (spettacolo sventuratamente troppo raro ) se dere con loro gran numero di membri dell’ opposizione, onde concorrere con mi- rabile accordo ad un grande atto di giustizia nazionale verso l’uomo che avea procurata alla nazione sì gran ricchezza e sì gran potenza. Egli udì final- mente il capo della più dotta società d’Inghilterra (capo tanto più rispet- tabile ch’ei non deve il suo grado che al suo sommo sapere ) aggiugnere per così dire l'autorità della scienza alla forza della popolare opinione, che procla- ma Iacopo Watt uno de’ principali benefattori della patria e dell’aniverso.,, tropiche, di cui già a principio del nostro ragionamento po è fatto cenno . Il primo ministro lord Liverpool, venerabile pe’ suoi bianchi capelli, ancor più distinto per la sua semplicità e la sua modestia che per l’alto suo grado, è chiamato da ripetute acclamazioni ad occupare il seggio del presidente e cede al de- siderio generale. A manca gli siedono il cancellier dello scacchiere e il ministro del commercio , ambidue amici, ambidue sostenitori acerrimi di tutte le libertà, onde hanno vita il commercio e l'industria. A destra gli sta il ministro dell’ interno, il pre- sidente della società reale, e vari lordi del tesoro. Dopo que- sti dignitari del governo e della scienza ravviso, mon senza dolce commozione, i Manckintosh, i Brougham, i Wilberforce , padri della vera eloquenza parlamentaria, difensori instancabili di quanto è utile e giusto, e instancabili censori di quanto s° oppone alla giustizia e al ben publico. Le prime parole pronunziate dal primo ministro , a cui stan- no in cospetto i cittadini per ogni riguardo più distinti, annun- ciano «che l’ adunanza è destinata a pagare un tributo publico di gratitudine e di rispetto al migliore e al più straordinario di quanti uomini produsse la Gran Brettagna; elogio che a vero dire mi parve esagerato nella contrada che produsse il gran Newton. Ma già è il solito dello stile oratorio il trascorrere nell’iper- bole anzichè serbare quella giusta misura, che rende tanto più efficace la lode quanto è più proporzionata al merito di chi è lodato. Notiamo intanto, come cosa di grandissimo momento , quella frase con cui il rappresentante del potere dichiara degno della pubblica gratitudine e del publico rispetto il privato cit- tadino, che consecrò la sua industria al comune vantaggio. Quell’industria, che fra i popoli dell’ antichità pareva indegna dello studio del filosofo, oggi è fatta oggetto delle teorie più sublimi; quella meccanica laboriosa, di cui Archimede e gli al- tri grandi geometri, che più contribuivano ai suoi progressi, avrebbero un tempo arrossito, nel secolo decimonono è diventata titolo d’ onore in mezzo alla più doviziosa delle nazioni, e ottie- ne, l'omaggio di chi sta al timone del suo potente impero. Lord Liverpool non si è già trattenuto (il che non era da aspettarsi ) a ragionare tecnicamente dell’ opere di Iacopo Watt, ma si è ristretto a considerare l’accrescimento che da esse ha ri- cevuto la forza pubblica., il che conveniva meglio ad un uomo di stato. “ Oggi, disse , le nostre communicazioni coll’ altre con- trade più non possono soffrir ritardo; e sian pure i venti poco fa_ vorevoli o contrari, il viaggio delle nostre corriere è sempre egual- 8 mente sicuro , egualmente regolare. Ci lodiamo di tanto comodo durante la pace; quanto più dovremmo lodarcene, ove tornasse a funestarci la guerra! Ho veduto già spesso la sorte delle no- stre armate in balia delle commozioni dell’aria, che impedivano ì pronti soccorsi, o i pronti avvisi. Ora più nulla ci resta a te- mere per questo riguardo, ove si applichi alla navigazione la for” za del vapore. ,, Il combustibile, onde questo vapore si ottiene ( egli osservò in seguito ) nella nostra Inghilterra è abbontantis- simo: può bastare alle macchine de’ nostri opificii; può bastare . ai vascelli della nostra marina : il rifar questi , onde metterli-in più sicuro arbitrio che quello delle vele, non è gran cosa per noi, il vantaggio, che può provenircene , è incalcolabile . E terminan- do il discorso , ei volle ripetere quella sua frase di gratitudine e rispetto, di cui veniva (soggiunse ) a pagare un tributo anche a nome del re, anziosissimo di mettersi a capo de’ soscrittori pel monumento di Watt da lui tanto ammirato; al qual uopo consecra- va cinquecento sterlini. Nobile atto, che illustra mirabilmente agli occhi de’ popoli uno scettro che si stende sopra cento e più milioni di soggetti. Quai miracoli non sono da aspettarsi ove il . monarca lo inchina alle ceneri dell’ umile figlio dell’ industria» quasi chiedendo loro perdono di una lunga dimenticanza! Terminato ch’ ebbe il primo ministro le sue parole, sorse il presidente della società reale di Londra , sir Humphry Davy, per rendere particolare omaggio in nome di essa a chi, come Newton, Smeaton, Franeklin, ne fa singolare ornamento; a chi applicando con sagacia tutta propria la chimica alla meccanica ( nelle quali due scienze era egualmente profondo ) seppe dare al vapore una forza insieme potentissima e innocentissima , e far- ne il più economico non meno che il più costante ausiliario dell’arti. E dopo essersi trattenuto non brevemente sui partico- lari, che si contengono in questa lode: Volete voi, disse. con- templare gli effetti vari e mirabili del genio di Iacopo Watt? Percorrete la nostra capitale, le nostre città, i nostri villaggi: visitate i nostri arsenali, le nostre officine , quelle che sorgono sul nostro suolo e quelle che si ascondono nelle sue cavità; ag- giratevi lungo i nostri canali, i nostri fiumi, i mari che bagna- no le nostre rive. Dappertutto voi troverete insigni testimonianze di ciò che la patria deve a quell’uomo illustre. I più penosi lavori, che prima richiedevano sforzi combinati e incredibili, sol- levar acque, asciugar miniere, metterne in ‘opera i più pesanti materiali, gettar profonde basi di ponti o d’altri edifizi, sega- re grandi alberi o grandi pietre, tutti questi lavori, dico, ora 9 sì fanno, grazie al buon Watt, per mezzo di un’ istessa forza meccanica e colla massima facilità. Infatti basti ricordare che una forza equivalente a quella di cinquecento uomini oggi si regola dalle deboli mani d’un fanciullo, a cui una grave opera non costa niente più che una assai lieve. Il vapore, a lui ob- bediente, foggia, si può dire ad un suo cenno, l'ancora enor- me e la marca sottile; condensa un gran corpo di metallo, o intaglia un grazioso trastullo; torce il canape, onde il guerriero vascello si assicura alle sponde contro i venti ed i flutti, e tira il filo d’oro o d’argento, onde si adorna la beltà delicata. ,, Il saggio Davy, tornando in seguito sopra alcune idee già accennate da lord Liverpool intorno ai vantaggi del vapore appli- cato alla navigazione : L’Archimede siciliano, proseguì, co’ suoi trovati meccanici potè arrestare alcun tempo il corso delle roma- ne vittorie, e ritardare la caduta della sua patria, Il nostro Archimede britannico fece ben altro, poichè accrebbe in dure- vol maniera la ricchezza e la potenza di questo grande impe- ro. Nell'ultima guerra infatti, che fu sì lunga e sì vasta, a che dovette l’ Inghilterra se non particolarmente alle sue inven- zioni l’aver trovate in sè quelle forze, ch'era sì lungi dal som- ministrarle il numero de’ suoi abitanti? L’ antico Archimede pregiava soprattutto i principii astratti della scienza; fu vanto singolare del moderno il saperli ridurre all’utilità della pratica. I trovati del primo perirono con lui; le invenzioni del secon- do vanno ogni giorno acquistando maggiore importanza, e ri- marranno perpetuo testimonio di ciò che valga l’ ingegno o la forza morale sopra la forza puramente animale. Quindi la me- moria di Iacopo Watt durerà tra gli uomini quanto durerà fra loro la civiltà. Ma a noi ammiratori vicini de’ suoi ta- lenti e delle sue virtù, a noi così particolarmente da lui be- neficati, si appartiene il rendergli tale omaggio, che, se nulla può aggiungere- alla sua gloria, attesti almeno alle generazio- ni fature la nostra riconoscenza. ,, Indi propose che come. espressione del comune sentimento e base delle successive deliberazioni, fosse dall’ adunanza adottato quest’encomio : ‘ Iacopo Watt, insigne pel suo profondo sapere e il suo genio inventivo, ha più che altri de’ suoi contempora- nei dimostrata l’utilità pratica delle scienze, ampliato il po- tere dell’uomo sul mondo esteriore, e accresciuto il ben esse re della nostra vita, ,, Operava con lui, onde tale encomio fosse trovato giustis- simo, il sig Boulton, figlio del degno compagno di Watt, che 10 ben meritava dagli oratori, i quali celebrarono quest’illustre mec- canico, un onorevole menzione. Perocchè forse senza il suo coraggio, effetto di una saggia previdenza, Watt o mai non avrebbe eseguito o avrebbe eseguito assai tardo ciò che aveva in pensiero. Infatti, costruita la prima sua macchina a vapore in quello stabilimento di Soho presso Birmingham cui fondò insieme a Boulton, e chiestone il giudizio di Smeaton, il più riputato ingegner civile dell’ Inghilterra, questi dopo le neces- sarie esperienze la dichiarò superiore a quella di Newcomen, ma incapace anch’ essa d’ una rigorosa esattezza e quindi d’ una generale applicazione alle opere dell’industria. Altri ingegni assai destri concorsero in questa sentenza; e certo bisognava a Boulton una mente ben perspicace, poi ch’egli non era mec- canico, e una grande fiducia nell’ingegno di Watt, per met- tere a sua disposizione quanto possedeva, onde mandasse ad effetto ciò che della sua macchina perseverava a promettersi - Intanto, onde lasciargli pienissimo agio di meditare e di speri- mentare , si prese per sè ogni cura d’amministrazione e di commercio , nel qual era assai abile, anzi volle combattere per lui tutte le difficoltà che il pregiudizio e gli opposti interessi gli andavano moltiplicando, e da cui avrebbe potuto essere non poco ritardato. Beneficio di cui certo i cultori delle scienze applicate alle arti debbono sentire il pregio, e per cui mi è grato di avere qui reso a Boulton quella testimonianza che gli è dovuta, e che Watt medesimo gli renderebbe se fosse vi- vo. Nè tacerò di un venerabile vecchio, che distinguevasi nell’adu- nanza , il sig. Murdoch, verso cui nessun segno di onore sa- rebbe stato soverchio. Incaricato dai due soci di rasciugare per mezzo delle macchine a vapore le profonde miniere di Cornovaglia , inondate da spaventevole abbondanza di acque , non è a dire di quanta destrezza e di quanta perseveranza quest’abil uomo ebbe d’uopo onde ottenere sì difficile intento. Ma non appena l’ebbe ottenuto, che i proprietari delle miniere cerca- rono di usurpare a Watt e Boulton que’ profitti che per patto erano loro dovuti, e di render complice di quest’ingiustizia l'ottimo Murdoch. E come non poterono sedurlo colle offerte, si argomentarono di vincerlo colle minacce, mostrandogli fra quelle miniere i ciechi abissi ove lo avrebbero precipitato. Ma se i ribaldi l’aveano trovato incorruttibile , il trovarono anche imperterrito; e la rara virtù di quest’ uomo, come le doti di Boulton, sono un nuovo elogio di Watt, che seppe conoscere ambidue , e legarseli di ferma e lealissima amicizia . II Le cose da noi qui accennate furono ampiamente esposte dal sig. Boulton figlio in una notizia, ch’ei lesse nell’ adunan- za, scusandosi di farsi narratore, poichè i suoi stadi non gli davano d’essere oratore. In quella notizia ei venne a lungo discorrendo le difficoltà che Watt ebbe a sormontare nell’ ardi- mentoso suo assunto, e cel dipinse in atto di variare, adat- tare , proporzionare con mille ingegnose combinazioni la mac- china ideata ai luoghi e all’ opere diverse che si proponeva di esegaire, e per cui gli mancavano gli operai; che oggi, mer- cè l'educazione da lui data, ci abbondano. Della quale sua at- tività e costanza chi volesse enumerare gli effetti certamente sorprenderebbe ogni imaginazione. Perocchè, nel solo stabili- mento da lui fondato con Boulton, le macchine a vapore, che vi si trovano, fanno ciò che appena potrebbero cento mila cavalli. Quindi, non contando che trecento giorni di lavoro per anno, il prodotto che da esse ricavasi è del valore di due milioni e cinquecento mila sterlini. Per mezzo di tali macchine or si fanno in Inghilterra manifatture d’ ogni genere , e specialmente tessuti di cotone in sì gran quantita, che ben piccola deve sembrare al confronto l' industria di tutte l’ altre nazioni. Pocanzi, non ba- stando all’interno consumo il ferro che si traea dalle miniere dell’In- ghilterra medesima, era d’uopo recargliéne molto dall’estero ; or essa invece, grazie alle macchine di cui si favella, ne manda all’ estero quanto gliene viene richiesto, sia naturale sia lavorato . Dei quali vantaggi, che da mezzo secolo si vanno ogni giorno au- mentando , dopo avere il sig. Boulton data a Watt quella parte principalissima di merito che gli è dovata, conchiuse appoggian- do la proposta del presidente della reale società, che, messo i partito, fu unanimemente adottata . Quindi il sig. Huskisson, ministro di stato e presidente del consiglio di commercio, si fece più distintamente ad esporre j servigi resi, per ciò che riguarda i traffici, e alla gran Bretta- gna e all’altre nazioni dalle fatiche dell’ insigne maccanico . ‘ Ei fa benefico, disse, alla patria nostra, e il fu egualmente a tutto il mondo incivilito, che riguardar lo dee quasi suo genio tute- lare. Grande è la nostra soddisfazione che un tal uomo sia nato in questo suolo, più grande ch’ ei sia vissuto nell’ epoca no- stra, e ci abbia fatti ministri dei doni, che la provvidenza volea per suo mezzo compartire alla specie umana. Certo nessuno può dubitare del posto che gli convenga fra quegli ingegni emi- nenti, le di cui speculazioni sono tutte rivolte ad oggetti di pra- tica utilità, ove pensi a qual segno i suoi meccanici ritrovati gio- 12 varono alla condizione del viver civile. Non avvi infatti parte del globo, a cui il nostro commercio sia riuscito ad estendersi ì che non tragga da essi qualche vantaggio. Per essi va in ogni luogo diminuendosi la necessità della fatica , mentre si accresce la regolarità , la rapidità, la perfezione de’ lavori, ond’ è prov- veduto al comodo o al piacere di tutte le classi. Per essi già nascono nuovi bisogni e quindi nuove idee negli spiriti più rozzi e selvaggi, che presto forse si volgeranno all’ esercizio dell’ indu- stria, e di quanto può migliorare la loro esistenza . Vedete quelle rimote contrade sparse in mezzo all’ Oceano Pacifico ; quelle isole ove il magnanimo Cook fu trucidato da barbare orde? Ivi pure è spuntata l'aurora del viver civile; ivi pure i brutali abitanti hanno cominciato a spogliare l'antica ferità , e già da una ge- nerazione sembrano aver fatto più che ancora non abbian d’uo- po di fare, per aver nome di popoli umani, ed esser degni di vivere indipendenti. Se già cangiarono la loro nudità o le ispi- de pelli fra cui si avvolgevano coi lini e i panni dell’ Inghilterra, se cangiarono i loro mobili e i loro utensili con quelli che recà loro il nostro commercio, a che si deve , se non alle macchine a vapore, per cui potemmo fabbricare a piccolo costo sì desiderabilî oggetti di cambio? Però queste macchine, la cui azione sì estende sì lungi, potrebbero non impropriamente chiamarsi una gran leva morale, che dalla barbarie e dall’ abbrutimento in- nalza i popoli a quei sentimenti, che racchiudono il germe della civiltà e dell’indipendenza. Che se i trovati di Watt ( felice risultato dei moderni progressi della chimica e della meccanica farono sì benefici ai lontani, quanto più non furono a noi, aprendoci nuove fonti di ricchezza, nuove vie di prosperità ? ,, E qui (dopo essersi alquanto arrestato in grazia de’ lunghi ap- plausi dell’ adunanza ) l’ oratore conchiuse il suo discorso, mo- strando che que’ trovati non solo furono utili all’arti della pace, ma utilissimi a quelle della guerra, sicchè a loro in gran parte si deve se gli inglesi alfine trionfarono in una lotta ostinata , che da trent'anni sostenevano contro gli avversari più temi- bili, e da cui tutti i popoli erano vinti. Ciò detto pro- pose che l’ adunanza riconoscesse : “ doversi a Iacopo Watt, hbe- nefattore del mondo civile e della sua patria specialmente, da lui oltre modo onorata, un tributo nazionale di»gratitudine e di reverenza ,,. Per la quale proposta il sig. Mackintosh fattosi a ragiona- re così cominciò :,, Nelle fatiche di Iacopo Watt noi troviamo felicemente combinata la scienza e l’arte; la mente che crea 13 e la pratica che eseguisce, onde riuscirono di tanto vantag- gio a tutta la società. Perocchè a noi, come già osservarono gli oratori che mi hanno preceduto, accrebbero industria e com- mercio , diedero nuova potenza , e forse nell’incertezza delle sorti recarono salvezza ; ad altri accrebbero comodi e godimenti , die- dero abito d’ umanità , e forse recarono con anticipata ventura il sentimento del viver civile. Francesco Bacone { il cui nome è per noi piuttosto quello dell’ istessa sapienza che d’uno dei più grandi sapienti ) narrandoci nella nuova sua Atlantide un ingegnoso suo viaggio a regioni imaginarie , ci descrive un pa- lagio ove si vede una galleria magnifica sacra agli illustri cul- tori delle scienze e dell’ arti, e adorna in parte delle statue di quelli ch’ ebbero vanto di inventori. Fra essi ( e |’ intenzione del filosofo è assai manifesta ) sorgono primi chi seppe con fu- sione ancor non tentata volgere l’ opaca selce in diafano vetro; chi insegnò a svolgere dal picciol bozzolo ove si rinchiude un verme industre tante fila preziose , onde s’intessono le vesti delle persone più delicate ; chi insomma introdusse fra gli uomini quel- le arti che tornano maggiormente a loro comodo e a loro uti- lità. Ora qual posto avrebb’ egli assegnato a Watt se fosse stato suo contemporaneo ? Il principale, non ne dubitiamo, fra quanti inventori fanno lieta la storia di tutti i secoli. Della dignità del qual posto egli ci dice abbastanza ove riflette che dagli an- tichi i legislatori, gli estirpatori della tirannide, i padri della patria furono venerati quali semidei; gli inventori dell’ arti più importanti alla vita ebbero nome ed onore di vere divinità ,,. Indi, fatte alcane osservazioni sulla differenza che passa fra le scoperte fortuite e le scientifiche, siccome quella del nostro grande meccanico , fratto maturo d’ una lunga serie di tenta- tivi e d’esperimenti, il sig. Mackintosh proseguì: ,, In meno di mez- zo secolo , dalle rive del Missisipi a quelle del Gange il nome di Watt corse per tutte le bocche , la sua invenzione fu da tutti trovata benefica. Di già tutti i gran fiumi del mezzogiorno del- l’America sono percorsi da battelli a vapore, e il selvaggio abi- tante delle rive della Guiana fu più volte atterrito vedendo pro- cedere per l’ acque senza sforzo e senza motore che appaja sì vasti corpi , da lui presi certamente per nuovi mostri . Se tali furono in sì picciol numero d’ anni i risultati dell’ invenzione di Watt, che non dobbiamo noi sperarne per 1’ avvenire? Certo a me pare che gran cose sieno riserbate alla posterità ne’ libri secreti del destino. L’unione dell'arti utili e dell’ arti belle, delle pratiche dell’ industria e de’ principj della scienza; ha già recato 14 in mille spiriti per lor natura vivaci una luce, un'attività, un bisogno di perfezione e perciò ‘d’ istruzione mai prima non ico- nosciuto. Non è gran tempo ch'io visitai col saggio e rispet- tabile amico; che qui mi siede vicino, una’ scuola di questa metropoli, ove si danno lezioni scientifiche agli artigiani. Era- no ‘questi in numero di ottocento , e confesso che mai nessu- na popolare adunanza per la pulitezza degli abiti, per la de- cenza: del contegno, per l’ ordine in essa osservato, pel senti- mento ‘morale che traspariva da ogni volto mi parve più degnà di. considerazione . Trattavasi innanzi ad'essa d’ un oggetto în apparenza ( ma soltanto in apparenza ) molto superiore ‘al ‘suo intendimento ; voglio dire della legge dell’attrazione rivelata’ al- l'universo dall’ illustre Newton. Il professore spiegava con sem- plici e accomodate parole come la forza di una tal legge dimi- nuisca ‘in ragione del quadrato delle distanze; e-il suo ‘uditorio gli prestava tanta attenzione che quasi non osava respirare. Ap- pena la spiegazione fu finita, ecco quest’ uditorio prorompere in unanime applauso , come gli'uomini che il componevano si ral- legrassero che una nuova e sublime verità era stata manife- stata alle loro menti. Mai forse applauso‘ più onorevole: per quelli da cui fa fatto ci avvenne in vita nostra di ascoltare in alcuna assemblea ,,. Questa nobile pittura d’una scena sì interessante per chiun- que ama i progressi della specie umana riscosse anch’ essa yi- vissimo applauso da un uditorio, composto d’ uomini eccellenti nelle lettere e nelle arti. Dopo di che il sig. Mackintosh , aven- do conchiuso il suo discorso , rinnovò caldamente la proposta già fatta dal sig. Huskisson; e questa pure, domandati i voti, si trovò adottata con piena unanimità . Allora il sig. Brougham diè segno di dover parlare, e d’un tono semplice , ,grave, insinuante si espresse com’io riferirò : « Sento qual grande onore sia per me l’ esser chiamato a pren- der parte alle deliberazioni di questa adunanza . Tale onore io non lo debbo che a quella premura , che in compagnia d’ un mio onorevole amico io mostrai altra volta, perchè gli uomi- ni delle classi più umili e laboriose potessero godere essi pure del beneficio della scienza, ed, ove fossero dotati di particolari talenti, percorrere quella via in cui tanto si distinse il nostro Watt, già oscuro com’essi ed ora da tutti celebrato. Ottimo Watt, di cui non posso ricordarmi senza tenerezza , tanta era in lui la bontà, la rettitudine, la modestia, onde si abbelliva il suo profondo sapere, e la sua meccanica abilità a tutti am- 15 mirabile! Fu detto ingegnosamente che la macchina da lui in- ventata potea, come la tromba dell’ elefante , alzare con forza i pesi più gravi e muovere con delicatezza i più lievi e più fragili. Bella imagine di lui medesimo, a cui il grande era egualmente facile che il grazioso ; a cui i scientifici ritrovati era- no sì familiari come i fiori della classica letteratura! ,, .E qui, dopo aver discorso, della pieghevolezza e univer- salità dell’ ingegno di un tanto uomo, l’ oratore fece ritorno alle sue morali qualità . ,, Chi di lui, disse, fu meno geloso del merito e della riputazione altrui? Chi fu più spoglio d’amor proprio, per non dire d’ egoismo ch’ ei non conobbe? Chi te- mè più di lui d’ appropriarsi ciò che ad altri fosse dovuto? Sempre egli ricusò il titolo d’inventore, che ciascuno'gli dava, della macchina da lui donataci, contentandosi di quello di miglio- ratore. Newton non avrebbe così modestamente apprezzato sè me- desimo benchè preceduto da Cartesio e da Galileo. Il merito delle scoperte scientifiche era a’ suoi occhi una proprietà invio- labile, ma egli non pensava punto ‘di averlo. E come temeva a, questo riguardo l’ ingiustizia verso gli altri; così adiravasi, benchè d’ indole dolcissima , ‘d’ogni lode che gli si tributasse , e che gli pareva adulazione. Quanto era lungi dal pensare che po- tesse. trattarsi un giorno di erigergli un monumento! Quindi tanto più noi dobbiamo esserne solleciti, non come di. cosa ne- cessaria a consecrare la sua memoria, ma come di cosa op- portuna a consecrare il suo esempio. E il monumento d’ un momo sì buono e sì utile all’umana specie par che richiegga un luogo santificato dalla religione , che insegna la bontà \e |’ im- piego delle forze e de’ talenti a comune utilità. I tempii de’ pagani. si adornavano delle. statue de’ guerrieri che ;desolarono la terra; i nostri si adornino di quelle de’ scienziati che la con- solarono , fra i. quali io non so chi più meriti posto cospicuo del modesto e benefico Watt. Quindi propongo che il suo mo- numento sia posto o nella cattedrale di S. Paolo , o nella col- legiale di S. Pietro a Westminster, e che si raccolga imme diatamente per. soscrizione ciò che a quest’ uopo è necessario ;)- Il Sig Littleton, membro del parlamento, secondando que- sta proposta, e volendo mettere in maggior luce il merito di Watt; ricordò alcuni calcoli del cav. Dupin intorno ‘al nu- mero e alla forza delle macchine a vapore attualmente esistenti nella Gran Brettagna, onde risulta che, confrontate alle antiche macchine, fan risparmiare ogn’ anno, piuttosto con accrescimento che con diminuzione del prodotto, venti milioni di sterlini di 16 spesa. Ma questo vantaggio pecuniario , egli aggiunse , appena merita d’ essere considerato in paragone del vantaggio morale, poichè dopo l’invenzione di Watt la nostra industria, la nostra popolazione , la nostra prosperità si è di tanto accresciuta. E qui il giovane sig. Peel, segretario di stato nel dipar- timento dell’interno , alzandosi anch’ egli per sostenere la pro- posta , di cui si parla, con voce commossa e con modesto con- tegno , reso ancora più grato dal suo ‘amabile aspetto , prese a dire così: ,, Dopo gli encomj eloquenti tributati in questa adu- nanza alla memoria di Iacopo Watt, ben sento che per non sem- brarvi presontuoso io dovrei rimanermi silenzioso. Ma posso io tacere senza ingratitadine , riconoscendo la mia fortuna dalle invenzioni dell’ uomo egregio , cui ci siamo raccolti ad onora- re, e senza di cui l’onesta industria esercitata in pu casa non piniblio stata che picciola o pochissimo fruttuosa (4)? ,, Qui î ge- nerali Appia lo interruppero per un istante ; e ì volti di tutti, più che gli applausi, esprimevano quanto ogni cuore sentisse il pregio della sua nobile confessione ,, . Troppo abbiet- to, proseguì , debb’ essere lo spirito di colui, che in simile oc“ casione recusi di dichiarare il suo debito , e, per quanto è in suo potere , di soddisfarvi. ,, Applausi ancor più vivi, e ac- compagnati da lunghe scdiamazioni 3»: L'industria , di cui in- tendo parlarvi, è la filatura de’ cotoni ; filatura che dal genio di Watt ha ricevuta per così dire una seconda vita, e una nuova attività. Prima del 1790 ( nel qual anno, ben vi ricor- da, fu eretta a Manchester la prima macchina a vapore ) gli opificj dispersi in luoghi inaccessibili e lontani gli uni dagli altri dipendevano quasi unicamente dalla forza. motrice degli : animali. Watt il primo li ridusse in luoghi abitati, gli unì fra loro, secondo la lor natura comportava, sotto un medesimo tetto, diede loro una forza motrice più pronta, più ‘poten- te, più regolare, sicchè oggi è mirabile il vedere con quanta rapidità le materie che la natura ci somministra diventino fra le nostre mani prodotti perfettissimi dell’ arte. ,, Applausi. « Quando io penso a ciò che si è operato da trent’ anni in poi ; alle fortune in questo tempo aceresciute , alle città fondate o in- grandite , ai milioni d’ abitatori in esse aumentati , posso io conte- nere la mia ammirazione pel genio di Watt, che creando una nuova industria, creò siffatti prodigi? ,, Muovi applausi. ‘Sì io (4) Il padre del sig. Peel è uno de’ più grandi filatori di Cotone’ nella provincia di Lancastre. 17 | sento che la classe sociale, a cui io appartengo, fu dal suo ge- nio nobilitata ,,. Applausi ancor più grandi. Non per ciò solo per altro, ma molto più per l’onore che n’ è derivato a «tutta la nazione , io mi fo interprete del generale desiderio di ve- dere eretta la sua statua fra quelle de' nostri uomini illustri . Bacone, secondo le idee de’ suoi tempi, le avrebbe forse asse- gnato un posto direi quasi accademico in una sala magnifica simile a quella da lui imaginata . Quest’ adunanza, non ne du- bito, vorrà assegnarle un posto sacro sotto quelle volte mede- sime , che proteggono le ceneri del poeta, del guerriero, del- l’uomo di stato, ch’io considero come uniti in un medesimo pensiero d’ illustrare e beneficare la loro patria, e fatti per ri- flettere gli uni sopra gli altri la loro gloria personale ,,. L’ effetto che tale discorso produsse nell’adunanza che lo ascoltava fu tale, che mai non potrà in me cancellarsene la rimembranza. Da esso, quando pure ne avessi avuto bisogno, poteva apprendere qual sia oggi lo spirito del popolo britannico, e fino a qual segno sia inoltrata la sua civiltà . E inutile ch'io qui aggiunga come la proposta del sig. Peel fu secondata dal suffragio universale . In seguito il conte d’ Aberdeen avvisò che si nominasse ana commissione per raccogliere le somme necessarie al monumen- to, e presiederne all’ erezione; e il sig. Frankland Lewis mo- strò con appropriate parole di opinare con lui. Lord Liver- pool, prima di mettere al partito la nuova risolazione che ve- niva proposta, lesse ciò che in quel punto gli veniva scritto dal sig. Canning segretario di stato per le relazioni esteriori , il quale si doleva di non potere, in grazia degli urgenti affari del suo ministero , assistere all’ adunanza, e pagare al genio di \Watt il tributo della propria ammirazione . E ben fu a tutti spiacevolissimo che la sua voce eloquen- te non si aggiugnesse in tale occasione alla voce de’ suoi degni competitori, L’ eloquenza degli antichi, sì spesso consecrata al- l’ encomio de’ guerrieri morti per la patria, o de’ grandi magi- strati, o de’ sommi rionarchi , mai nol fa all’ encomio d’ uo- mini industri, e solo distinti per fatiche utili all'umanità. Que- sto genere di encomio, onde ci si fan chiari i progressi del mo- derno incivilimento, è ancor nuovo pei publici oratori. E fra tutti quelli, di cui si onora il senato britannico, il sig. Can- ning forse, per la grazia , l’acume , la facilità , lo splendore, sì natarale alle sue parole, vi è singolarmente adattato . Avendo il sig. Wedgewood proposto da ultimo che sì ren- T. XVII. Marzo pic 18 dessero al presidente dell’adunanza solenni ringraziamenti; quan- do più non si credeva di ascoltare ( poichè tutto era ormai con- chiuso ) alcun grande oratore, ecco sorgere il sig. Wilberforce per secondare così giusta proposta. L'aspetto del venerabile set- tuagenario , illustre per quarant'anni di nobili sforzi in favore d’una parte sventurata del genere umano, empiva gli animi di tutta l'adunanza della più dolce commozione . L’aspetto di que- sta adananza a vicenda pareva risvegliare in lui quel fuoco sa- cro , che diede a lungo fiamme sì brillanti e sì pure, ma che sopito dall’ età non lasciava più sperare che deboli scintille . Malgrado la voce infievolita e la stanchezza di tutta la persona, egli animò ad un tratto i suoi accenti, e ci apparve ancora una volta nel vigore del suo fervido patriottismo , quasi sentendosi ringiovanito dalla concordia di tanti uomini, che obbliate le loro dissensioni politiche si univano per offerire ai meriti d’. un il- lustre e benefico cittadino il tributo d’una riconoscenza una- nime e nazionale . Dati i voti, e decretati con pieno consenso i proposti rin- graziamenti , il nobile presidente volle a vicenda ringraziare quelli che in tal modo lo onoravano , e finì' col chiedere che gli fosse permesso di aggiugnere ai 500 sterlini donati dalla mupnifi- cenza del monarca altri 100, ch’egli pure bramava consecrare al monumento di Jacopo Watt. Così ebbe termine una delle più memorabili adunanze, che siano ancor state convocate nel felice suolo britannico, e di cui io mi sono studiato di delineare le più notabili particolarità, che hanno lasciato nel mio cuore sì profonda impressione . Pe- rocchè quando mai si vide tanto sapere, tanta eloquenza, tanto patriottismo insieme raccolto per rendere omaggio al genio , alle utili fatiche, alla virtù? Possa l’ ammirazione, che merita un sì bell’ esempio, non essere sterile fra i popoli, che danno alcun pregio ai benefici della civiltà . L’ onore che si tributa alla me- moria degli uomini più benemeriti è germe fecondo d’ onorate azioni, è stimolo potentissimo negli animi giovanili a ben meri- tare della patria. Oh mia Francia, di che prosperità, di che gloria ta’ potrai esser certa, quando i tuoi figli nel seno di li- bere adananze, o molto meglio in mezzo alle nazionali festività, verranno anch’ essi a prender parte alla pubblica riconoscenza verso coloro che se ne resero degni, e si empiranno di quell’en- tusiasmo, che inalza V uomo sopra sè stesso, e gli dà il potere delle cose grandi! Ma io non finirò queste mie parole , senza esprimere un e; voto per l’ istessa Ingbilterra , che mi insegna a formarlo . Per quanto insigni siano i servigi a lei resi da Watt, non ne sa- rebbero certamente venuti sì mirabili effetti , senza i servigi contemporanei d’ altri due uomini d’ un talento straordinario , voglio dire Arkwright e Brinkley. Fu questi l’ autore di quel- l'ordine tanto vantato di canali , per cui trasportandosi agevol- mente da ogni parte del regno le materie prime e il combusti- bile necessario alle manifatture ; queste hanno potuto da per tutto moltiplicarsi, e le macchine a vapore così felicemente animarle. Fu detto a ragione che i servigi di Watt si estendevano a tutti i popoli della terra , a cui aveva potuto estendersi il commercio britannico . Ma che sarebbe stato questo commercio esterno , sen- za le facili comunicazioni aperte all’ interno ? Però i servigi di Watt debbono quasi chiamarsi un’ avventurata conseguenza di quelli resi da Brinkley. Ma d'Arkwright che posso io dire , che non sia minore della mia ammirazione? Un semplice barbiere di campagna , che colla forza del suo ingegno concepisce uno strumento meccanico capace di eseguire, ciò che appena può sperarsi dalla intelligenza e dalla agilità delle dita della più abile filatrice, e sa renderlo di tal uso e perfezione , che oggi per esso veggonsi nella Gran Brettagna occupate ne’ lavori di una medesima filatura secento mila e più persone , ciascuna delle quali ( non importa di qual sesso od età ) opera quanto pocanzi potevano appena cento altre; un tal uomo, io dico, è piuttosto miracoloso che straordinario. Che se agli effetti im- mediati della sua invenzione se ne aggiungano altri non egualmente immediati ma egualmente necessarj, l’impiego cioè delle materie filate in tante opere o d’ uso ordinario o di lusso; la produ- zione e l'importazione delle materie prime smisuratamente ac- cresciute ; i muovi traffici interni ed esterni che ne sono la conseguenza ; la ‘continua costruzione d’opificj, di macchine , di magazzini, di navi, di vetture , e l’ infinito numero di braccia adoperate all’uopo di tanta .ndustria , noi diremo che Arkwri- ght (tanto più sorpendente che in lui la scienza era nulla ) meritò più che Watt medesimo il titolo di genio creatore. Certo in faccia al commercio della Gran Brettagna, il com- mercio di tutte l'altre e antiche e moderne nazioni apparisce quasi un’ ombra in faccia ad un colosso animato d’immensa forza e d’ immensa grandezza . Qual gente ormai non gli dà aperte le vie e non riceve volentieri dalla sua mano de’ pro- dotti » che per la perfezione mai non sono abbastanza ammnira- ti, e pel piccolo costo quasi sembrano donati? Infatti ( per 20 toccar pure una fra moltè particolarità che potrebbero accen- narsi ) noi sappiamo che, malgrado la carezza de’ viveri e l’enorme peso delle tasse che pur fanno dispendiosa la produ- zione nella Gran Brettagna , i ‘cotoni, che da lei si compera- no greggi nell’ altro emisfero, e si trasportano per via nen mi- nore di 4ooo leghe alle sue rive, ritornano lavorati per altret- tanta via nella Cina ed all’ Indie a trionfare così per bellezza e leggerezza , come per tenuità di prezzo di que’ celebri tessuti che ivi si fanno da forse cinque mila anni, e a cui nulla gio- vano ì raffinamenti di un’ arte antichissima, e le tradizioni di un’ esperienza ereditaria. Ma di metà almeno dei frutti di sì prodigioso commercio, alimentato perennemente dalla più facile e più compita industria, a chi crediamo noi che l’ Inghilterra sia principalmente debitrice, se non all’invenzione d’Arkwright? Renda adunque alla memoria d’uomo sì benemerito , renda a quella di Brinkley gli stessi onori, che rese pur dianzi alla memoria di Watt, e provi che la sua riconoscenza non è par- ziale nè fortuita, ma corrispondente ai ricevuti benefici, e degna della sua potenza e della sua gloria. M. rr TTE'RRRRRRRRRRR'ZZRDOARE = RG, Commentaire sur l’ ouvrage de FILANGIERI ec. Commentario all’opera di FILANGIERI composto dal signor BENIAMINO CON- STANT. Parigi vol. a 8.° 1822 — 1824. Si pubblicò nell’ anno 1822 in Parigi una nuova traduzione francese dell’opera principale di Gaetano Filangieri, Della scienza cioè della legislazione , alla quale si pose innanzi un molto pregiato elogio dello stesso Filangieri scritto in francese dall’ eru- ditissimo suo concittadino signor Salfi, ed alla quale si aggiunse allora la prima parte, si aggunsero nel passato anno le altre tre parti del commentario, che si vuol ora annunziare. A vanto grande torna certamente d’Italia nostra, che dotti rinomatissimi stranieri le opere degl’ italiani scrittori non solo nelle lingue loro trasportino, ma le dichiarino ancora, e le illu- strino, e soggetto ne facciano alle profonde loro meditazioni. E di vero a noi gode l’animo in vedere, che mentre in Italia gli abbagli si notano di Filangieri, il che non pur ragionevole , ma debito è anzi a far progredire la scienza; mentre taluni vi hanno italiani uomini, che l’opera sua grandemente dispregiano , ciò che a noi sembra al tutto vituperevole: un celeberrimo pub- 21 blicista franeese siasi orà levato a commentarla per avere il pia- ‘cere, siccome egli ne avverte, di rendere omaggio alla me- , È} moria di uno scrittore benemerito del suo paese e del suo se- colo. E noi pure vogliamo adesso intrattenerci a considerare il suo commentario, non solo per il rispetto che a lui professiamo grandissimo, ma mossi a ciò ancora da carità di patria , e da gratitudine verso quell’anima immensamente filantropica del fi- losofo napoletano. Fu esso (nol ricordiamo mai senza molte la- grime ) fu esso il buon Filangieri, che nell'adolescenza nostra, dopo gl’insegnamenti della religione, ne infiammò il primo il cuore ad amar fermamente il vero il giusto, ad amar caramente gli uomini e ogni loro bene e la vera loro felicità. Fu per esso se a noi dagli affanni oppressati e dalle angoscie non mai l’ animo venne meno, e se dalla rettitudine delle intenzioni nostre fran- cheggiati tanto >-buon confortamento ci soccorse, che, se non lieta, trapassammo quieta la vita nella solitudine oscura del povero nostro abituro . Ma veniamo tosto al commentario sopra a cui si vuol ra- gionare. Esso è diviso in quattro parti: comprende la prima le osservazioni alla introduzione , al piano ragionato e al libro primo della Scienza della legislazione; la seconda contiene quelle al libro secondo, la terza quelle al terzo; e di quelle ai libri quarto e quinto si compone la quarta: il che viene a significare, che nella prima parte si tratta della politica , nella seconda della pubblica economia ; e della legislazione criminale nella terza, e nella quarta della educazione e della religione. Ciascuna parte è poi suddivisa in tanti capi quanti sono i luoghi commentati, avendo il commentatore seguito non la serie delle proprie idee, siccome è stato fatto dal commentatore dello spirito delle leggi, ma subordinato il suo commentario all’ opera commentata. I. Costretti dall’ indole del nostro lavoro a parlare di quella parte, che alla politica riguarda , tutta la difficoltà compren- diamo grandissima dell’argomento; e se il signor Constant dopo averlo trattato esclama, che abbandona il campo della politica con un sentimento misto di contentezza e di rammarico, noi dichiariamo che con un sentimento affatto spiacevole ed anzi do- loroso veniamo trascinati a farvi sopra brevissimi cenni. Ne sia - però conceduto prima l’osservare non doversi attribuire al corto vedere di Filangieri se tali riforme non proclamava; che fin 22 da radice avrebbon tolti, a giudizio del commentatore, quei mali a distruggere i quali più moderati rimedi ei proponeva : ne sia conceduto ancora il riflettere che se al Montesquieu il suo genio, siccome si esprime il commentatore , dettava pa- role le quali fulminavano quei medesimi abusi per i quali le sue abitudini, e il suo stato sociale gl’ispiravano parzialità e indulgenza, da Filangieri non erano certo questi abusi ca- rezzati: ne sia in fine conceduto l’ affermare sembrarci non vero ciò che per vero tiene il commentatore, che cioè Filangieri dopo aver presa la penna contro gli abusi con mire più ostili che non fece il Montesquieu, gli abbia poi in realtà combat- tuti molto più debolmente. La scienza del governo e delle leggi per le umane società progredisce come ogni altra scienza incessantemente, ma come ogni altra scienza morale assai più delle scienze fisiche lenta- mente. La macchina sociale adunque non può così in un punto essere ottimamente sistemata, e compiutamente , ma a propor- zione appunto che la scienza sociale umana a grado a grado si avanza verso il suo perfezionamento , deve a grado a grado dalla sapienza dei reggitori dei popoli il sistema perfezionarsi della so- cietà. L’affrettare oltre ciò che permette l'ordine inalterabile di natura questo perfezionamento con modi non penosi sarebbe perdonabile ignoranza, sarebbe crudele stoltezza se mezzi si ado- perassero coercitivi e violenti, come sarebbe un contrastare em- piamente insieme e vanamente all’ autore sovrano dell’ ordine stesso di natura il volerlo ritardare. Se adunque il tempo grande in- novatore delle umane cose , se uno sviluppamento maggiore dello spirito umano, se con terribili ammonimenti scritti a caratteri di sangue una orribile catastrofe hanno posto il signor Constant in stato di mirare più sicuramente e intensamente e più adden- tro nei complicati avvolgimenti delle politiche discipline, non è per questo, che ad ora ad ora non vi penetrasse col guar- do anche Filangieri e abbaglianti verità mon vi scorgesse, e perchè appunto abbaglianti non le potesse a lungo e in ogni loro parte contemplare, e in quel modo le rappresentasse lampeg- gianti, con che gli erano innanzi alla vista della mente balenate. A. prova del detto nostro basti il riflettere fin dove Filangieri estenda l’uffizio del censore delle leggi da esso proposto nel capo ottavo del primo libro della sua opera; basti il pregare a ri- leggere, tra i tanti luoghi che potrebbero citarsi, quello no- tevolissimo che si trova dopo la metà del capo decimo del libro primo, e inoltre il capo quarto, e le prime parole del capo | | I 25 undecimo , e le ultime massimamente del capo trentesimoterzo ° del libro secondo, nel qual capo si può anche vedere la cagione per cui Filangieri non tanto alto ascese quanto pare che il signor Constant avrebbe voluto. Concederemo che il Montesquieu qual sole, che strugge quelle montagne di ghiaccio che poco prima faceva splendenti, fulmina (e nelle Lettere Persiane più molto pare a noi che nello spirito delle leggi) quegli abusi da esso medesimo ido- leggiati; concederemo che nello spirito delle leggi a visiera ca- lata così destramenté armeggiando ferisce, e talora non da tergo, quei mostri stessi a difesa dei quali, dopo averli ador- nati perchè meno comparisser deformi, era disceso in campo a battaglia. Ma Filangieri nostro non veste usbergo, non lo di- fende scudo, cimiero nol cuopre: curante non di se ma d’al- trui non di soppiatto assale ma palesemente e a sommo il petto ferisce e alto grida, e nemico si appella dei nemici anche po- tentissimi degli uomini: sì che diresti, che ad ogni momento quel giuro rinnovella santissimo, che nella prima giovanile produ- zione del suo ingegno solennemente pronunziava , esclamando : riceva la patria, questa benefica madre, il giuramento, che ora le fo di non vivere che per lei. Dopo di che non ve- diamo come possa con sicurtà asserirsi che Filangieri più de- bolmente che non fece il Montesquieu ha combattuti gli abusi Il Montesquieu talune perniciose istituzioni, colorandole a giu- stizia, sempre più fondamentava: volle Filangieri, che i re- gnatori con giuste leggi le spiantassero; e ciò vuole pur an- che, abbenchè con mezzi diversi, il signor Constant. Che se il Montesquieu laseia talora travedere a pochissimi perspicaci in- gegni qualchè gran vero, Filangieri il disvela ai leggitori tutti anche di comunale iutendimento; e degli errori, e dei mali che ne derivano cotanto sono le sue dipinture espressive , che , . se la storia delle umane sciagure lo consentisse , non dal retto ragionare delineate, ma dal caldo immaginare le diresti crea- te. Diresti anche, e bene diresti , che ridondanti, che troppo sono lussureggianti le declamazioni di Filangieri, se ad anima del bene degli uomini innamorata non si dovesse far scusa del commoversi forte all’aspetto di quei mostri orrendi per i quali e lungamente si sospira e lacrime si versano e sangue si spande tra gli uomini. Ma negare non si vuole già per questo, che imperfezioni molte non «esistano nella scienza della legislazio- ne, e che abbagli non siano gli additati dal commentatore , e che anzi altri ancora non ve ne occorrano , che il commentatore 24 non ha voluto netare, contento solo a quelli, che occasione gli erano a svolgere alcune più importanti, e ad esso più care dot- trine. Diremo però che Filangieri quasi presagisse vicina la morte, che immaturamente lo colse , affrettandosi troppo nel suo lavoro non lo ebbe abbastanza considerato e meditato, onde non pro- fondatosi nel soggetto quanto sarebbe stato necessario a convin- cere la ragione, alla maniera lo trattava che a scuotere bastasse la immaginazione , e il cuore commovere dei leggitori. Diremo che per una parte lo stato delle dottrine, le quali in vero Fi- langieri non ritrovò ma a farne scienza ordinatamente raccolse; che per l’altra la brama in esso ardentissima di veder fatti fe- lici i popoli e gloriosi insieme dei popoli i dominatori; e che il linguaggio da esso adoperato non sempre proprio, non rigoro- samente esatto, e spesso (forse non senza motivo ) fnetaforico le cagioni ci sembrano principalissime per cui e il commentatore ha potuto trovar modo a giusta censura e altri potrebbe trovarlo a ra- gionevol difesa. E tanto il detto nostro è col vero concordante, che il commentatore medesimo a luogo a luogo è costretto a non dissimularlo , e con le espressioni con le quali pone fine al capo XI della parte seconda pare a noi che apertamente lo dichiari. Ma ecco che le particolari considerazioni incominciano sulla parte politica . Si avverte da prima (cap. II. ) la fallacia dell’epi- gramma (e qui ci sia permesso il dire che gli epigrammi nello spirito delle leggi ancora non sono rari ) sull'arte della guer- ra, col quale Filangieri dà principio alla sua introduzione . Gran ventura sarebbe stata per gli uomini che non mai tra gli uomini fatta si fosse la guerra: ma poichè un tempo fu ine- vitabile che si facesse, poichè ora è volontà che si faccia , egli è certo male minore che modi si rinvengano da renderla più micidiale, onde meno sia durevole e quindi meno per le na- zioni sterminatrice. Ove al corso si miri della civiltà europea esser dovremo persuasi che i tempi nostri il periodo formano del commercio, il quale al necessario antecedente periodo della guerra ha dovuto necessariamente succedere, e che quindi si avvera ogni dì più ciò che Filangieri (cui concorda Capp. IV. V il commentatore ) aveva predetto, che alle arti di pace si vol- geva Europa, e che per mezzo a salutare movimento verso sempre maggiore pubblica felicità si sospingeva. E la storia moderna prova non fallite queste speranze, solo che non gli avvenimenti ma degli avvenimenti si meditino le cagioni. La più generale però e più volte ripetuta censura, che dal commentatore sia fatta a Filangieri quella è di aver egli gran- 25 dissima influenza attribuito sul bene degli uomini alla sola legi- slazione . Riprovato ( cap. III. ) ed anzi deriso ciò che Filangieri propone nella Ineroduzione a far rispettabile 1’ agricoltura , dopo avere additato ( cap. IV. ) come si sarebbe dovuto da esso riunire la trattazione del sistema politico e della legislazione , imprende (cap. VII ) a rilevare più estesamente l’errore di credere onnipos- sente la legislazione ; errore che Filangieri ha comune , siccome egli dice , con molti filosofi di rette intenzioni. A difesa di Fi- langieri non vorremo ( seguendo il signor Salfi ) farci scudo della opinione che il Dumont attribuisce al Bentham, essendo omai evidente per opere recentissime di questo immortale pubblicista inglese, che ben altramente da ciò che afferma il Dumont egli la pensava . Nè vorremo pure ricordare che Filangieri nella ir- troduzione alla opera sua dichiarò che scrivendo la scienza della legislazione il suo fine altro non era che di facilitare ai so- vrani del suo secolo l’ impresa di una nuova legislazione ; come non faremo riflettere , che in molti luoghi della stessa opera sua propone ai sovrani anzi che creare novelle leggi, annullare le an- tiche. Piuttosto, rispettando i profondi ragionari del commentatore, osserveremo che coll’ opera delle leggi {ove siano consentanee all’ordine di ragione sociale ) più efficacemente perchè più autore- volmente; più sollecitamente perchè affatto imperiosamente si spian- tano nelle umane società gli abusi le irragionevolezze gli errori; e che solo le giuste leggi in loro ragione fortissime possono, coll’ af- frenare la tracotante energia dei privati interessi , far sorgere tra gli uomini la pubblica felicità e stabilirla ; possono anche al perfe- zionamento concorrere del sistema politico. Sono le vere leggi {ove massime la pubblica istruzione non sia molto diffusa e libera ) che a grado a grado danno vita alla pubblica opinione , la qua- le diviene poi la vera opposizione , tanto più rispettata quanto meno irritante , tanto più secondata quanto meno imperiosa , e fatta insomma tale che i governi non per loro avversaria , ma deb- bono anzi averla ( perchè loro creazione ) per loro amica . E quì vogliamo un pensamento nostro appalesare . Filangieri nella prima sua giovinezza aveva concepita l’ idea di un’ opera che intitola- va la Morale dei principi fondata sulla morale e sull’ ordine sociale , opera che rivolta la mente. al più vasto lavoro della soienza della legislazione non potè non che compiere neppure abbozzare. Da questo suo primo concepimento pare a noi poter ragionevolmente argomentare , che egli non era tra quei filosofi ai quali , come dice il commentatore , sembra che i verbi im- personali abbiano persuaso che i governanti ben altro siano che 26 uomini ; che egli non teneva i governanti quali esseri miraco- losamente dotati di soprannaturale sagacità , ma che per uomi- ni quali essi veramente sono gli aveva, e ai quali perciò senza mancare alla fedeltà alla venerazione i sacri loro doveri poteva- no essere rispettosamente ricordati, onde e conoscessero piena- mente , e volessero costantemente il maggior bene possibile dei popoli alla loro cura affidati. Si rilegga a maggiore schiarimen- to il principio del capo terzo del libro primo della scienza della legislazione fino alle parole : niuna cosa è più facile che urta- re in un errore di legislazione, ma niente è più difficile a curarsi, niente è più pernicioso alle nazioni , sulle quali pa- role appunto ha il commentatore composto il Capo IX. intorno agli errori della legislazione , che a noi sembra pregievolissi- . mo se non altro per questo, che vi si riproduce quella di- stinzione opportunissima fatta già dall’ autore dell’ Amico degli uomini tra le leggi positive, e le leggi speculative ; e avverten- ze se ne deducono non prima fatte e alla scienza della legisla- zione profittevolissime , onde conchiudere doversi al tutto pro- mulgare le leggi positive perchè senza esse le umane società non potrebbono sussistere , e in esse assai rari possono avvenire gli errori ; doversi raramente od anzi meglio non mai promulgare le leggi speculative siccome quelle le quali nè sono all’amana con - vivenza indispensabili e sorgenti possano essere di molti e fune- stissimi errori tanto maggiormente da temersi quanto più può perpetuarli una qualche vantata utilità che da esse insieme con danni moltissimi meno apparenti ma non per questo meno gravi potrà derivare. E del pari sono da aversi in pregio gli ultimi tre capi ( X. XI. XII.) che a questo succedono, e nei quali il commentatore sostiene il decadimento da Filangieri annunziato della Spagna della Francia e della Gran-Brettagna a più remo- ta e generale cagione doversi attribuire che a quelle prossime e particolari esposte nel capo terzo del libro primo della scien- za della legislazione. Vorremmo anche poter commendare egual- mente il cap. VIII. sullo stato naturale e sull’ origine e seopo delle umane società se una svista non vi dovessimo anzi nota- re del commentatore. Loda egli Filangieri perchè diversamen- te da quello che fecero gli altri filosofi dei tempi suoi non spe- se parole nell’ investigare lo stato primitivo dell’ uomo, inve- stigazione vana a un tempo e da non cavarne, resultamento e perchè del modo di esistere di ciascuna specie di esseri dovrà pensarsi sempre ciò che si pensa della loro esistenza , e perchè dopo più o meno lunghi avvolgimenti d’ immaginazioni si potrà 37 solo conchiudere che l’ uomo è animale socievole perchè è uomo ; siccome il lupo è animale insocievole perchè è lupo . Loda del pari meritamente Filangieri perchè prese per fondamento dei suoi ragionari la esistenza delle società e da questo primo fatto ei mosse per esaminare in qual modo debbono le società essere ar- ricchite e quale è il loro scopo quali i mezzi per conseguirlo . Ma egli non osservò poi che Filangieri nelle prime linee del- l’ opera sua afferma ( ciò che prima aveva affermato Platone ) che una fù la causa che produsse le società, uno il principio che le fece nascere, l’ amore della conservazione e della sicurezza : il che a ben riflettere verrebbe a significare che le società so- no nate perchè esistevano. Infatti gli uomini non potevano com- prendere che la società era mezzo all’ amata loro conservazio- ne e sicurezza , se sviluppata non fosse in essi e non poco la ra- gionevolezza ; ma la ragionevolezza in essi non potè svilupparsi che nella società e col mezzo di essa, la società quindi dovè pree- sistere allo sviluppo della ragionevolezza , che è quanto dire al mezzo unico per cui gli uomini son fatti capaci ad intendere la loro conservazione non poter essere assicurata che nello stato "di società. E questo pare a noi consuona con quelle parole del commentatore : / uomo non vive în società per aver calcolati i vantaggi che dalla società gli verranno , giacchè per calco- lare questi vantaggi sarebbe stato necessario aver prima cono- sciuta la società ; parole le quali mentre distruggono il falso principio adottato da Filangieri, fanno prova che il commen- tatore , non lo avendo avvertito , non lo vide. II. Uscito il commentatore fuori del pelago della politica con animo nè lieto (cap. I.) nè mesto; noi quasi scampati da nau- fragio afferriamo contenti la riva e tranquilli ci volgeremmo in- dietro a rimirare le perigliose acque, se nella parte ancora che si aggira intorno alla pubblica economia oggetti non ci si offris- sero innanzi da lacerare non che attristare il cuore abbattuto . E sì che subito da prima (cap. II.) un orribile spettro ci si appresenta , la Trasta dei Neri, la quale essendosi considera- ta (si raccapriccia solo a pensarlo) come oggetto commercia- le nella parte della economia è stata collocata piuttosto che in quella della politica. Dal noto passo che si legge nel cap. IV. del lib. 1. della Scienza della Legislazione prende occasione il sig. Constant di dichiarare che avrà compimento la predizio- 28 ne di Filangieri , e che la Tratta dei Neri abolita già del tat: to in teoria lo sarà del pari in fatto dalla forza sempre trion. fatrice del vero. Altro a ciò non abbisogna che «ar opera in- cessante a dimostrare quanti mai delitti sono in essa e per es- sa accumulati , onde nasca nelle nazioni tutte quel morale con- vincimento da cui solo può sperarsi certa vittoria contro gli al- lettamenti insidiosi del lucro , e senza di cui l'abolizione della Tratta rende la Tratta più atroce siccome da tanti abominan- di avvenimenti è provata. Ma già (noi possiamo ora aggiunge- re) già matura le cui sante leggi non puoi violare impunemen- te, già essa stessa ai ribellanti suoi fa giusta sterminatrice guer- ra; e un suo prediletto cultore il valentissimo medico signor Audouard ne ha avvisato il mondo dimostrando , che la febbre gialla è malattia la quale deriva da una speciale infezione esi- stente nei bastimenti che han servito alla tratta dei neri , e la quale perciò non più febbre gialla , ma vuole che sia chiama- ta tifo nautico , e noi vorremmo anzi, che #;fo fosse chiama- ta i_numano . Ù Più a lungo è discorso dal commentatore l’ argomento del- la popolazione. Osserva (cap. III. ) che intorno ad esso le idee di Filangieri non solo anticate e volgari, ma sono anche ta- lune false talune problematiche : falso egli reputa il credersi da Filangieri che l’ esempio delle antiche nazioni nelle loro leggi sulla popolazione possa esser giovevole ai moderni ; reputa pro- blematico l’ aver sempre per un bene l’ accrescimento della po- polazione. Ma Filangieri niente altro fa sul cominciare del se- condo libro , che esporre colla maggior brevità ciò che si è pen- sato dagli antichi legislatori e particolarmente dai greci e dai romani per incoraggiare la popolazione. Egli narra le disposi- zioni legislative degli antichi per mostrare che essi avevano per gran bene la molta popolazione , e quindi ad ottenerla modi usa- vano, i quali se realmente non erano , si credevano almeno da essi, efficaci. Filangieri non biasima , ma neppure /oda con effu- stone di cuore , siccome afferma il commentatore , quelle dispo- zioni , e quindi non deve parere strana la di lui conseguenza, che cioè qualunque volta le circostanze i vizi dei governi la corruzione dei costumi privati, gli ostacoli insomma di ogni specie si oppongono alla popolazione, le istituzioni le leggi i premii le pene è tutto inutile, Filangieri non ha certo preteso che le nazioni moderne debbano imitare quelle istituzioni quelle leggi, e noi non possiamo non maravigliarci grandemente che il commentatore gli dia biasimo di non aver dalla sua esposi- 29 zione dedotto, che remossi gli ostacoli l’uffizio delle leggi è superfluo e che l’uomo deve abbandonarsi a se stesso în ciò al- meno che dipende da una naturale inclinazione che è difficile di coartare come sarebbe impossibile di comandare. Si tolgano le vessazioni, continua il commentatore, sì dividano più equa- bilmente le proprietà e così si accrescano i mezzi di sussistenza; ecco î veri incoraggimenti alla popolazione. Ma e non conchiu- de appunto a ciò Filangieri sul finire del capo secondo del secondo libro? Togliete gli ostacoli, ei dice, e non vi curate degli urti de’ premii. La natura ha dato un sufficiente pre- mio al matrimonio per aver bisogno d’° altri soccorsi. In vece di pensare ai premii alle ricompense agli urti, la scienza della legislazione deve rivolgersi agli ostacoli. Essa deve esaminare quali sono gl’impedimenti, che si oppongono ai progressi della popolazione , e quali sono i mezzi, che si debbono impiegare per toglierli o per superarli. A questi due oggetti si deve: ri- durre tutta quella parte di questa scienza che riguarda la moltiplicazione della specie. E il commentatore stesso .non ac- cenna (cap. IV) a questa conchiusione? Solo la China è lodata da Filangieri, ed è lodata a mostrare che la popolazione è nu- merosa ove molto estesa è l'agricoltura : e così farsi via a pro- vare che éutto quello che tende a render difficile la sussisten- za tende a diminuire la popolazione , e che quindi il togliere gli ostacoli ai mezzi di sussistenza è il vero mezzo ad accre- scere la popolazione. E qui l'accrescimento appunto della po- polazione è occasione al commentatore a ragionare (cap. V.) intorno al sistema del celebre Malthus, e a riprovare (cap..VI) le esagerazioni dei suoi seguaci , Abbenchè con animo ripugnante al sistema dell’ economista inglese non può tuttavia il pubblicista francese mon riconoscer per vero il principio da esso evidentemente dimostrato che cioè l’ accrescimento dei mezzi di sussistenza non conseguita con passo eguale l’ accrescimento della popolazione , e che quindi, la sus- sistenza più lentamente accresciuta potrebbe mancare alla più sol- lecitamente accresciuta popolazione. Biasima, perchè non fatte con buona fede e più per muovere il riso che convincere la ragio-, ne , le confutazioni contro il sistema promosse del Malthus ; ma si mostra ben lontano dall’ adottarne le conseguenze perchè a suo giudizio talune sono non vere , inefficaci altre , e proprie aleune ad attenuare i sentimenti di pietà di umanità ; e più poi perchè di tale indole le crede che facilmente ne possa esser fatto abuso , siccome da taluni in realtà se nè è fatto , e dallo stes- 30 so (chi l'avrebbe pensato ? ) sig. Sismondi, il quale nel vol. 2. dei suoi /uovi Principii di Economia Politica ( p, 308.) ha voluto invocare l’ autorità delle leggi contra i matrimoni degli indigen- ti, facendo fondamento sopra principii che nel primo volume della stessa sua opera ( p. 97. ) sembra' non avere avuti a mente . Il perchè infine vorrebbe il commentatore (assai giustamente a noi pare } che niuno incoraggimento fosse dato al matrimonio , da niun costringimento fosse il matrimonio impedito . Von si faccia, egli dice saviamente, del matrimonio un dovere ma neppure se ne faccia un delitto: e poichè per confessione ancora dei partigiani del sistema del Malthus debbono passare molti se- coli prima che alla umana specie possa mancare nella terra da lei abitata (ove sia tutta accuratamente coltivata ) la sussisten- za, lasciamo per ora andar liberamente le cose a seconda delle tendenze di natura e dei calcoli del personale interesse, non senza confidare nella beneficenza degli uomini, se pure anche della beneficenza non voglia farsi un delito. Si lasci noi ag- giungeremo , anche riguardo alla moltiplicazione della specie umana operare la natura. Levino via le leggi ciò che altre leggi erroneamente già posero : si tolga nelli stati ciò che si oppone all’accrescimento dei mezzi di sussistenza, e gli uo- mini naturalmente vi si moltiplicheranno; sì tolga nelli stati ciò che si oppone al felice viver sociale, e gli uomini non lasceranno il paese loro nativo per andare altrove a cercare una patria, e a mettere argine alle frequenti emigrazioni, non saranno necessarie le leggi che Filangieri proponeva all’ Inghil- terra, e che il signor Constant (Cap. VII.) a ragione non vuole siano fatte perchè inutili se moderate , perchè perniciose se se- vere. Che se un mezzo si voglia usato efficacissimo ad accre- scere la popolazione, gli ostacoli siano tolti, che all’ accresci- mento si oppongono del numero dei proprietari. La divisione moltiplice delle proprietà esser fonte di assai beni politici eco- nomici e morali dichiarò dopo altri il Filangieri, e più este- samente lo dimostrò il signor De-Gasparin, e di nuovo lo pro- va adesso (cap. VIII) brevemente insieme ed evidentemente il signor Constant, il quale se loda Filangieri per la forza della dialettica con cui ha declamato a raccomandare la divisione delle proprietà , gli dà poi taccia di sconsiderato per i mezzi che egli dice voler adoperati ad ottenerla. Filangieri per mo- strare che anche gli antichi popoli conobbero la utilità della divisione delle properità ricorda alcune loro leggi dirette a con- seguirla, ma non st abbandona ad una sconsideratissima am- | dI mirazione per esse: è vero. che le chiama rimedi utili a pre- venire il male, ma soggiunge che essendo ora diverse le cir- costanze diversi debbono essere î rimedi. Ricorda le leggi agra- rie, quelle cioè che egli chiama le prime leggi dei popoli na- scenti perchè egli dice /e società hanno cominciato dalla di- stribuzione delle terre, e quelle che per moltiplicare il numero dei proprietari furono fatte dai romani, e che regolavano la distribuzione delle terre de’ vinti, delle quali una metà era venduta in benefizio della repubblica e l’altra metà la legge voleva che ‘si distribuisse ai più poveri cittadini; non quelle ( come pare che intenda il signor Constant ) violatrici della pro- prietà dei cittadini medesimi , alle quali anzi facendo allusio- ne Filangieri esclama : @ Dio non piaccia che io voglia qui pro- porre un rimedio peggiore del male. Si può rimediare a que- sto male senza ledere i diritti d’ alcuno , vi si può anzi rime- diare moltiplicandoli e rendendoli più giusti e più sacri. E qui il commentatore ; se la predilezione sua per il Montesquieu glie lo avesse consentito, avrebbe potuto accennare le riflessioni, per le quali Filangieri dimostra non esser che apparente la con- tradizione tanto magnificata dal Montesquieu medesimo tra le leggi con le quali i romani volevano mantenere la divisione delle proprietà e la disposizione delle XII Tavole tanto favorevole alla libertà di testare ; libertà che il commentatore difende con profondi ragionamenti onde provare quanto dannosa sarebbe mai sempre /’ abolizione del diritto di testare, e quanto anche lo fu nelle circostanze in cui ottenne la sanzione di un’ Assemblea generalmente rispettata , e di uno dei più grandi oratori dei tempi moderni. Ed ecco che ad un argomento siam giunti per, il quale ( perchè al viver degli uomini importantissimo perchè in mol- tiplici errori ravvolto ) tante sciagure ebbero a soffrire i po- poli tanto ebbero a delirare i governi: eccoci giunti ( cap. IX. ) a ragionare del commercio dei grani. Presane occasione da quel passo della scienza della legislazione , che si legge nel cap. XI del libro secondo : un errore derivato da una falsa supposi- zione ha fatto credere ai governi che potesse uscire da uno sta- to col moto naturale del commercio anche parte del necessa- sario alla sua interna consumazione , ritorna il commentatore a dimostrare dopo tanti altri valenti economisti non doversi impe- dire l’ uscita dalli stati ai grani se si vuole che di grani sia nelli stati abbondanza . Ci ‘asteniamo dal notare î suoi profon- di evidentissimi ragionamenti perehè a ‘nostra gran ventura una 32 non dubbia esperienza ha omai convinto anche i più idioti che l’abbondanza ebbe ferma sede in Toscana quando quel Grande i magazzini ebbe in Toscana distrutti dell'abbondanza . Piuttosto seguendo il commentatore , che ne fa breve cenno, ci sia permesso il parlare dell’ errore contrario per cui si me- na ora tanto romore in Toscana , come altrove. In altri tem- pi era per i popoli spaventevole la carestia , oggi ella è l’ab- bondanza che quasi flagello del cielo sveglia nei popoli il ter- rore. Mentre si vogliono posti limiti alla popolazione per man- canza di sussistenze, sì grida d’altra parte che troppo sono abbondanti le sussistenze , che è quanto dire che pochi sono delle sussistenze i consumatori. Contradizione manifestissima in- sieme e stranissima! Ma donde mai tanta apprensione , tanto concitamento , tanto levar alto d’ ogni parte le voci? Spingen- do, dice il commentatore , tutte Ze conseguenze all'estremo quali calamità possiamo noi temere dalla soprabbondanza? Un di- sastro momentaneo , ed angustie per i proprietari non agri- coltori. Questi proprietari venderanno il superfluo delle loro terre, e questo cangiamento di possessori tornerà a profitto dell’ agricoltura. Le proprietà più divise passeranno nelle ma- ni laboriose degli agricoltori , i quali allora lavorando per la loro particolare proprietà si affaticheranno necessariamente al miglioramento dei loro beni, e le terre saranno meglio colti- vate. Così, noi aggiungiamo , si accresceranno le sussistenze, e delle sussistenze i produttori insieme e gli utili consumatori; così l’ozio totale dei gran proprietari sarà diviso nel modera- to riposo dei proprietari piccoli, e la pubblica prosperità si andrà così col ben essere dei particolari sempre più avanzan- do. Oltre di che ci permetteremo di domandare ; se i gover- ni riconoscono ingiusto l’ imporre con mezzi diretti o indiretti il prezzo ai grani per non offendere il diritto di proprietà nei possessori dei grani, come potranno poi avere per giusto l’im- porre con mezzi diretti o indiretti ( e la tassa alla introduzio- ne dei grani esteri sarebbe mezzo indiretto ) il prezzo ai grani con offesa al diritto di proprietà in coloro che dei grani non son possessori ? E non è proprietà il denaro? E non è pro- prietà , e di tutte le proprietà anzi la più ristettabile l’opera della persona ? No: le offese al diritto di proprietà dei parti- colari non mai potranno essere mezzo di salute pubblica. Era questo il saldo principio sul quale si fondavano i nostri ragio- namenti nel maggio dell’anno 1812. quando ci eran larghi di plauso , e con sommessa voce a noi, che altamente parlan- 33 do non ne abbisognavamo, davano animo quei medesimi che ne daranno ora forse le male parole. Sì certo, che nemici al pub- blico bene vorranno chiamarci quei pur troppi i quali utile di- cono a tutti ciò che solo è ad essi profittevole, e sciagura pro- clamano generale di uno stato ciò che solamente è danno dei proprietari non agricoltori, dei ‘proprietari non piccoli , e più dei più grandi. Ma prima di farsi contro a noì cotanto adi- rosi riflettano essi che noi nomini tutti e poveri e ricchi, e proprietari e non proprietari alle necessità dobbiamo servire delle inalterabili leggi di natura, e dei beni ora godere, ora pur troppo i travagli sopportare ed i mali: riflettano che il voler contrastare all’ andamento per natura invariabile delle co- se con mezzi artificiali è un anteporre ai veri beni e durevo- li, beni solo apparenti fugaci, che mali sono reali, e tanto mag- giori quanto più coll’ apparenza appunto del bene ne fanno in- ganno e seducente inganno e ostinato: riflettano che lasciando operare liberamente la natura alle attuali inevitabili oscillazio- ni succederà indubitatamente quell’ equabile movimento cui la natura tende pur sempre : riflettano infine che l’ abbondanza se non favoreggia lo smodato lusso dei pochi, distragge certo la desolante miseria dei molti. Considerino poi ancora che noi non diciamo i disastri dei proprietari non potersi in qualche parte minorare , ma solo affermiamo non poter esser mezzo di vera generale utilità la tassa alla introduzione dei grani esteri, la quale si addita da molti perchè molti senza vederne i lontani ed universali , chiari ne vedono i particolari effetti e i vicini. Dopo che col libero commercio dei grani il fondatore della nostra felicità fece sicura in Toscana l’ abbondanza vorremo noi, incatenando il padre suo , affannarla angariarla e qual morbo pestilenziale dai nostri lidi respingerla o costringerla al- meno a pagarci il benefizio di versare tra noi copìosamente i suoi doni? E crederemo che con noi adirata non vorrà da noi ingratissimi dipartirsi traendo seco le figliuole sue la prosperità la pubblica felicità ? Ah! persuadiamoci una volta, che dai vincoli di qualunque specie essi siano, dai regolamenti, dalle leggi proibitive, dagli impedimenti d’ogni maniera, dalle vessazioni insomma con che il commercio sia tormentato non mai sorgerà vigoroso, gran- de , e durevole il pubblico verace bene di uno stato . Già una nazione in cui a malgrado delle tante sue leggi speculative l’in- dustria per altre prepotenti cagioni ha tanto e tanto progredito riconosce alla fine che ad impedirne il decadimento è necessario T. XVII. Marzo 3 34 coll’abolizione di quelle leggi rinvigorirla e quasi nuova vita ri- donarle, liberandola da quei lacci che lentamente ma certamente l’ avrebbono manomessa e quasi che annientata. E ciò aveva detto Filangieri e ridetto. /ddio liberi , egli esclama, la mia patria dovrebbe dire ogni cittadino di buon senso; la liberi da due estremi egualmente perniciosi: dalla soverchia negli- genza del governo e dalla sua soverchia vigilanza . E in altro luogo ammonisce, che l’ amministrazione non dovrebbe in al- tro mostrare la sua influenza, che nello spianare la strada per la quale gli uomini dovrebbero correre verso la loro fe- licità; che l’amministrazione dovrebbe adottare per regola ge- nerale della sua condotta quel gran principio : ingerirsi quan- to meno si può, lasciar fare quanto più si può . E altrove osser- vando che con tanti regolamenti minuti e particolari i legislatori han voluto far le veci del negoziante soggiunge , essi è vero han cèrcato di favorire il commercio ; ma si può mai favorire il commercio diminuendone la libertà ? A queste dottrine non rimase , dobbiam confessarlo , sempre costante il Filangieri, e le contradizioni sue sono avvertite dal commentatore ( capp. X. XI. XIII. XIV. ) ragionando dell’ agricoltura , delle manifatture, dei collegi di arti, e delle compagnie di commercio . Quan- tunque il più spesso egli invochi l’aiuto di nuove leggi a di- struggere gli errori delle antiche , alcune talora ne vuol pro- mulgate ad incoraggiare l’ agricoltura ; e quantunque dichiari che la protezione per le arti deve incominciar sempre dal togliere gli ostacoli, soggiunge poi che /e arti e le manifatture han bi- sogno della tacita direzione delle leggi, e che tolti tutti gli ostacoli bisogna venire agl’ incoraggimenti. E quasi non fossero abbastanza tra loro contrastanti queste proposizioni il buon Fi- langieri dimentico di se stesso conchiude , che l'autorità può tutto quando vuole , e che fa nascere è genit e crea i filosofi ; il che ( sia con pace di lui e di chi a lui vorrà assentire ) pare a noi dalla ragione non poter esser provato vero e dall'isto- ria venir anzi dimostrato falso. Non sia però che la taccia dob- biam meritarci d’ indiscreti. Come dar biasimo a Filangieri se dopo aver dimostrato che nell’edifizio legislativo dei tempi suoi tanta era la parte da distruggersi, alcuna minima ne propo- meva poi a riedificare per cui se non più verace più splen- dente almeno ne venisse la gloria ai governi dai quali solo e , coll’ allettamento solo della gloria ogni utile riforma ogni be- ne dei popoli doveva sperarsi? Come darli biasimo di ricor- dar troppo spesso gli esempi degli antichi quando ei non po- HO teva ignorare che gli esempi degli antichi ben più efficacemente dei profondi ragionamenti persuadono i moderni; quando do- veva sapere che più agevole impresa ella è il muovere gli uo- mini ad imitare il già fatto, che sospingerli a far nuova- mente ? Oltre che se degli antichi lodevoli esempi si valse Fi- langieri a prometter lode ai coetanei, i biasimevoli usò anco- ra a biasimarli riflettendo saviamente che è sempre meno pe- ricoloso il piangere sulla miseria dei nostri padri, che sulla nostra . . . Ma già troppo a lungo ci siamo intrattenuti sopra questa seconda parte del commentario : sia raccomandata la let» tura attenta del Cap. XV. nel quale sono egregiamente dichia- rate le dottrine economiche intorno alle imposizioni, e passia- mo alla parte terza . III. Le leggi politiche quali Filangieri le intende han per og- getto di stabilire il miglior possibile sistema sociale di una na- zione ; quelle economiche di fondarne ed accrescerne sempre più la prosperità. Ma il sociale sistema non esisterebbe fermo abbastanza , si spererebbe invano la pubblica prosperità , ove altre leggi non provvedessero alla pubblica e privata sicurez- za, e tra queste, quando le non coercitive siano inefficaci, le criminali. La legislazione criminale è perciò argomento alle due parti delle quali il terzo libro si compone della scienza della legislazione , è argomento alla terza parte del commentario . In questa le dottrine di Filangeri piuttosto che a critico esa- me, sono occasione al commentatore a manifestare i suoi pen- samenti e svoigerli, e ad illustrazione dell’ opera commentata, più estesamente dichiararli. I capi I. III. IV. V. VI. si ag- girano sull’ accusa e sulla denunzia dei delitti. Osserva savia- mente il commentatore che nei tempi nostri con i mostri co- stumi e con i sistemi nostri sociali } accusa che si lasciasse ai privati cittadini , siccome propone Filangieri, non sortireb- be al tutto il suo effetto ; il perchè si rende indispensabile che una persona pubblica sia dai governi destinata a perseguire ‘i delinquenti, ed esigerne la punizione. Ben si dovrà ad evita- re l'abuso che della sua autorità potrebbe fare questo magi- strato accusatore, tenerlo obbligato se non della verità certa- mente della legittimità dell’ accusa; e l’ accusa in oltre non do- vrà essere ammessa che per sentenza di giudici emanata anche dopo udite le discolpe dell’ imputato, perciocchè l’ essere accu- 36 sato è già pur troppo essere assoggettato ad una pena. Riflet- te ancora che inopportunamente Filangieri fa fondamento sopra il noto passo del segretario fiorentino quando dice che : pri- mo oggetto della riforma della criminale procedura dovrebbe essere di restituire il diritto di accusare ai cittadini perchè da via onde sfogare a quelli umori , che crescono nelle citta in qualunque modo e contro qualunque cittadino. Cosa ella è evidentissima, che a quel luogo il gran politico intende parlare delle accuse non di tutti i delitti ma dei soli politici per i quali Filangieri non solo vuole che il diritto di accusa sia accordato ad ogni cittadino ma a quelli ancora che vuol esclusi dal numero dei legittimi accusatori per i delitti contro i privati. / nostri mer- cenarii servitori, egli dice, è quali non altrimenti che i servi de’ Romani de’ Greci e de’ Barbari dovrebbono esser eselusi dal diritto di accusare fuorchè le proprie offese o î delitti che si commettono contro il corpo intero della società. Quante illusio- ni! Si vuole accordare il diritto di accusare ai privati citta- dini onde sfogare quegli umori che crescono nelle città contro qualunque cittadino, ed ora ( perchè questi umori possono ora nascere solo altrove che nel popolo ) questo diritto di accusare piuttosto che rimedio ad un male, fonte sarebbe anzi di mol- ti mali per i quali gli accusatori se avessero talora a temere qualche modica punizione avrebbono più spesso a sperare ge- nerose ricompense. Si vuole che siano esclusi i mercenarii ser- vitori dal diritto di accusare per i delitti contro i privati e si ammettono poi ad accusare per i delitti politici; che è quanto dire che ai mercenarii servitori si vuol vietato 1’ accusare per delitti i quali non così facilmente possono essere apposti, e per i quali non tanto severe sono le pene, e sì vuole poi che siano privilegiati per 1’ accusa di quer delitti i quali sono di troppo facile imputazione e severamente sono puniti . Quello che è detto a provare la necessità di un pubblico accusatore si può dire del pari a dimostrare non potersi oggi proibire , siccome vor- rebbe Filangieri, le delazioni, nè dar loro forma legale. Non incoraggiarle con premi, non comandarle con minaccie ; ciò solo può farsi ad impedire i danni, che derivar potrebbono dalle delazioni , le quali, ove siano ritenute nei naturali loro limiti, niente provano a niente danno esistenza , ma fanno solamente avvertire che qualche cosa si dice esistere la quale per difesa della pubblica e privata sicurezza merita di essere esaminata . Approva il commentatore (cap. Il.) ciò che contro la segreta procedura è ragionato da Filangieri nel terzo libro al capo terzo 97 il quale egli chiama tutto eccellente, e ripete che nella segreta procedura spesso è migliore la condizione del vero reo che quella dell’ imputato innocente. Loda (cap. VII.) le declamazioni di Filangieri sulle miserie delle carceri, e quantunque confessi che dopo la pubblicazione della sua opera sono minorate, racco- manda pur sempre che la durezza sia affrenata e l'avidità e talora la ferocità dei carcerieri. Consente ( cap. VIII. ) che irragionevoli sono ed ingiuste le prove privilegiate, quelle pro- ve cioè coll’ uso delle quali si viene in sostanza a dichiarare che quanto più i delitti sono inverisimili improbabili tanto più debbono esser tenuti per verisimili e probabili . Le forme in- fatti nella criminale procedura non sono, o almeno non do- vrebbono essere, che i mezzi riconosciuti meno fallaci a di- scuoprire la verità dei fatti criminosi. Come dunque si potran- no abbreviare o variare queste forme secondo le varie specie di delitti secondo i diversi sistemi di governo senza esporsi al pericolo di render più facili più frequenti gli errori ( quanto funesti! ) nei giudizi criminali? Chiama ( cap. IX. X. ) perfet- tamente conformi alle leggi della umanità e della giustizia le regole prescritte da Filangieri per i testimoni a difesa, e quelle prescritte per il giudizio dei giurati. Nota la irragionevolezza di separare la causa di un testimone a difesa fatto sospetto di falsa deposizione dalla causa dell’imputato principale, e vor- rebbe che prima di devenire alla sentenza per questo fosse de- ciso della imputazione di quello; senza di che sarà sempre a temere che la sentenza principale sia ingiusta. Nel giudizio per giurati vorrebbe ( siccome ad imitazione di ciò che si faceva nell’ antica Roma è proposto da Filangieri) che la loro elezio- ne dipendesse dalla sorte, e non dalla scelta dei magistrati. Risponde brevissimamente ad alcune obiezioni che sogliono fare gli avversi a questo sistema, e più a lungo a quella che, ove una legge sia troppo severa , i giurati dichiareranno contro la loro coscienza non esser provato il delitto ed assolveranno il reo . Sia pur vero ciò, ma ‘ e chi nol vede?) il non volere per questa cagione che i giudizi criminali siano per giurati è non volere un sistema giudiziario solo perchè oltre ad essere ostacolo alle ingiustizie degli uomini è anche ostagblo alla in- giustizia delle leggi. Quando infatti a malgrado del rispetto che gli uomini hanno naturalmente per le leggi fanno forza alla loro coscienza per opporsi alla enormità di una legge ciò non prova certo che essi siano malvagj, ma sì che la legge non è buona non è giusta ; che la pena da essa minacciata per es- 38 ser troppo grave non è propoporzionata, non è , come direh- be Bentham , popolare , e che quindi è un male da cui non può derivare alcun bene, ma molti anzi mali tra i quali l’rav- verarsi che la soverchia gravità delle pene è cagione d’ impunità. Delle pene solamente quelle di morte, dei lavori publici, e della deportazione sono dal commentatore messe ad esame, È sua opinione. ( cap. XI. ) che alla società indipendentemente dai ragionamenti metafisici di Filangeri per molte considerazioni pratiche non possa esser negato il diritto d’ infliggere la pena di morte tanto per i delitti contro i privati che per i politigi eseguiti però con premeditato omicidio. Nulla ei dice sul fon- damento del diritto di punire, niun fondamento adduce che sia base al diritto di punir con la morte, e solo dimostra o a dir meglio palesa, la ingiustizia di quelle leggi che hanno punito e puniscono con la morte i delitti solamente attentati di qualunque specie, i delitti consumati contro la proprietà . Ed è quì ove il commentatore più evidentemente che altrove seguace si mostra parzialissimo del Montesquieu del Mably e del Mirabeau e di altri in ciò che d’ una maniera ragionando o d’ altra hanno tutti conchiuso la proprietà stabile come la libertà non esistere per legge di natura ma per benefizio della società. L’indole del nostro lavoro non ci permette di tratte- nerci su questo articolo fondamentale della ragion publica eco- nomica , il quale d’ altronde è stato egregiamente trattato dal Romagnosi in quella sua opera, che tanti semi fecondissimi ac- chiude di sapienza civile, nella introduzione allo studio del diritto pubblico universale . La società pare a: noi con le giu- ste sue leggi accresce agli uomini i modi di esercitare senza ostacoli la loro libertà ; la società con le giuste sue leggi di- fende più efficacemente agli uomini la proprietà: ma nè la li- bertà nè la proprietà creazione sono o dono delle leggi sociali, le quali nulla han da creare per gli uomini, nulla han da donare agli uomini di ciò che alla natura degli uomini è indispensabi- le. L’ arte non può avere cosa alcuna il cui principio radicale non sia nella natura ; nulla vi può essere di artificiale di con- venzionale se prima non vi sia l’elemento del naturale; e l’ uo- mo è creatore, ma creatore come può esserlo una creatura, crea- tore cioè artificiale non arbitrario. E questo tanto antico tanto generale errore sul diritto di proprietà ha forse congiuntamente alle altre note cause contribuito a dar vita alla pena della con- fiscazione dei beni, che il codice criminale Leopoldino di To- scana chiama vera violenza e appropriazione illegittima che fa 39 il governo delle sostanze altrui . Noi ci saremmo astenuti dal ricordar questa pena e perchè non ne fa parola il signor Con- stant e perchè è riguardata omai dai pubblicisti non solo, ma da tutti quasi i governi per abominanda , se non fosse che vo- gliamo qui notare come Filangieri quando la propose in ag- giunta alla pena di morte per i delitti di lesa maestà in primo capo non solo la difese con ragioni al tutto insussistenti ciò che da altri fa osservato, ma in contradizione si pose manifestissima con se medesimo, ciò che ignoriamo se da altri sia stato avvertito . Propone egli ( III. 46. ) come giasta la pena della confiscazione dopo che (II. 27.) aveva detto esser pena che punisce l’innocente insieme col reo che punisce in tutta la sua posterità i delitti di un solo uomo; esser pena contraria alla natura ed alla giu- stizia. La crede poi giusta perchè la legge privando il padre del diritto di disporre non esiste più alla morte di lui il di- ritto di succedere nei figli giacchè questo dipende da quello ; quando in contrario ( II. 5. ) aveva detto che alla morte del padre i figli hanno già acquistato sopra i beni paterni un dirit- to. Misera condizione delle umane menti! L’ amore alla libertà se non fors’ anche l’aspetto di talune cradeltà pare a noi che faccian velo all’intelletto del dotto com- mentatore quando la pena discorre ( cap. XII. ) dei publici la- vori. Pone per fondamentale principio che la società offesa dai delinquenti non ha sopra essi altro diritto che quello di met- terli nella impossibilità di nuocere, e di metterveli anche con la morte: soggiunge che dal potersi per difesa della società uc- cidere i delinquenti non ne deriva che si abbia diritto di obbli- garli al lavoro , di ridurli alla condizione di schiavi, perciocchè l’ uomo non può alienare la sua persona le sue facoltà che per un tempo limitato e per un atto della sua propria volontà ; e conchiude da ciò che quando l’uomo usi della sua persona delle sue facoltà ai danni della società, essa abbia diritto di toglierli questo uso, e quando il male da esso cagionato richieda. che gli sia tolto per sempre abbia diritto di ucciderlo ma non di vol- gere a suo profitto le di lui facoltà , e valersene come di una bestia da soma. Riguardo poi ai lavori cui debbano condannarsi i delinquenti osserva che se saranno più duri di quelli ai quali la necessità obbliga gl’ innocenti poveri lavoratori, questa pena si ridurrà a quella di morte più lenta e più dolorosa; se poi saranno a quelli eguali , il convertire in gastigo il moderato la- voro sarà un pernicioso esempio. © noi c’ inganniamo a parti- tito, o la ragione penale è da queste dottrine sovvertita del 40 tutto. Voi volete che i delinquenti siano messi fuori di stato di nuocere , è adunque indispensabile che o alla morte gli con- danniate il che facilmente concedete, o alla perpetua deten- zione il che fermamente negate, perchè dite 7 uomo non può alienare la sua persona le sue facoltà che per un tempo li- mitato e per un atto della sua propria volontà. Pretendete adunque che con le pene non si possano colpire che quei soli diritti dei quali l’uomo può spontaneamente disporre, il che viene a significare doversi escludere dal numero delle pene e quella di morte per cui non avete ribrezzo, e le afflittive tut- te, e solo esser giuste le pecuniarie come quelle che solo col- piscono il diritto alienabile della proprietà. Ma considerate che la società ha il diritto inalienabile , o a parlar più propria- mente , ha la vera obbligazione di difender se e i membri suoi anche ( quando gli altri mezzi siano inefficaci ) coll’ uso delle pene, le quali saranno giuste quando nella loro qualità e quan. tità siano realmente non artificialmente necessarie : considerate che le pene potranno quindi colpire i diritti tanto alienabili che inalienabili del delinquente perchè le pene non sono un obbligo nel delinquente di subirle, ma un obbligo nella società di farle al delinquente subire. E con ciò dir non vogliamo che i delinquenti debbano esser condannati a lavori durissimi, a lavori per i quali la sola forza viva delle bestie essendo confaciente ben puoi chiamarli bestiali; ma ai lavori gli vogliamo solo costretti ai quali gli uomini lavoratori sono ordinariamente usati, senza che ci distolga da ciò l’ osser- varsi dal commentatore che in tal guisa la condizione dei con- dannati sarebbe meno infelice di quella degli innocenti lavora- tori. Perciocchè non considerando ancora che la infamia, la quale circonda e aduggia e ottenebra i luoghi di pena non può non angosciare più o meno i condannati in pena al lavoro men- tre con la bella compagnia della pura coscienza la estimazio- ne di se riconforta se non sempre allegra nelli squallidi loro tugurii l’innocenti, noi non sappiamo intendere come la perdita della libertà dal commentatore più che la vita pregiata non lo abbia fatto accorto che lo stato di un condannato per delitto al lavoro non può non essere, moralmente almeno, inferiore a quello di qualunque siasi sciagurato . Ove ciò non fosse non troppa l’agiatezza dei malvagi ma troppa sarebbe a dirsi de- gl’ innocenti la miseria; ciò che a biasimo tornerebbe delle umane istituzioni, delle umane leggi, le quali tale iniquità ca- gionerebbono perchè dall’ordine sarebbono discordanti della na- 4I tura. Oltre che pare a noi doversi riflettere l’ oggetto delle pe- ne non esser solo il togliere ai delinquenti il poter fisico di nuocere, ma sì bene lo spaventare ancora coll’ esempio i mal- vagi i quali senza la minaccia delle pene violatori potrebbono farsi delle leggi, ed insieme il togliere ai delinquenti, con la morale riforma, la volontà di nuovamente delinquere. Noi non ci stancheremo giammai dal dire e ridire che i delinquenti sono malati morali, e che quindi i luoghi di pena debbono essere ospedali morali, e morali medicine le pene, all’ ammi- nistrazione delle quali medici debbono essere adoperati morali . Se ospedali si. hanno per medicarvi il corpo per curarvi la men- te, perchè non si dovranno anche avere ospedali per risanarvi il cuore? Le case di detenzione, di lavoro forzato , o di pe- nitenza che vogliano dirsi debbono essere a sì grand’ uopo de- stinate . Siano esse nell'interno costruite in modo che la morale salute dei malati possa più probabilmente sperarsi; siano all’ester- no in modo architettate da svegliare salutare terrore nei ri- guardanti sì, che dalle morali malattie rifuggano . Siano pre- scelti ad uso di pena quei diversi lavori, che rimedi vengano reputati più efficaci alle qualità diverse delle malattie: e uo- mini si eleggano istruiti, uomini virtuosi i quali col mezzo ap- punto della istruzione aiutata dalla religione soccorrano alla igno- ranza dei malati, e rispettosi gli rendano cordiali operosi , e alla virtù gli riconfortino, alla virtù che sola è mezzo a ricu- perare la da essi perduta salute per cui meritar possono al- l’ umano consorzio e alle utilità alle dolcezze essere ricondotti della convivenza sociale. Non il potere ma il voler nuocere altrui conviene che sia distratto nei malfattori se sicura la so- cietà se sicuri si vogliono fatti certamente i suoi membri, Che se alcun malvagio a tanto fosse giunto di empiezza con i de- litti suoi che di sua morale guarigione si dovesse ragionevol- mente disperare, non si tolga nò dai viventi, ma finchè gli basti la vita racchiuso sia custodito tra gl’ infermi riconosciuti insana- bili, non senza opportuni mezzi adoperare per la sua salute, affinchè se non può meritare i benefizi tutti della società da es- so tanto ingratamente e crudelmente offesa , sia almeno fatto de- gno di volare , peregrinata la vita terrena, a ricovrarsi sotto il gran manto del perdono di Dio. E maraviglia grande dovrà cagionare , che il commenta- tore ciò tutto non vedesse, mentre seguitando Filangieri vide pure e narrò ( cap. XII. ) che la pena della deportazione può esser giovevolissima per questo appunto che , rettamente adope- 42 rata, può essere efficacissima a far rinascere a nuova vita mo- rale i delinquenti. Trasportati essi sotto altro cielo non son co- tanto disanimati per infamia dal ritornare nel sentiero della vir- tù , e poichè vedono per l'altrui fidanza la loro malattia non essere incurabile, non disperando di salute curan se stessi real- mente e risanano, e tranquilla vivono perchè intemerata la vita. IV. Quella indipendenza individuale che il commentatore di- mostra necessaria agli uomini nell’esercitare la loro industria e il commercio, necessaria la crede ( cap. I.) non meno alla loro educazione, Esser dovere , egli afferma , nei governi il provve- dere, come a mezzo di educazione e di sempre crescente per- fezionamento umano, alla conservazione delle utili cognizioni e ‘il dar opera perchè ne sia fatto ognor più abbondante e prezioso il tesoro; ma la educazione che è mezzo a dirigere la pubblica opinione, a modificarla, a formarla , questa educazione egli vor- rebbe che dalle cure andasse libera dei governi. E assai acuta- mente egli discorre l’argomento , e giovandosi delle memorie sulla pubblica educazione compilate dal Condorcet con assai forza di ragionamenti difende il suo assunto , non senza improverare qui ancora Filangieri per le tante lodi alle leggi prodigate degli antichi sulla educazione. Contenti noi all’aver manifestata l’opi- nione del comentatore crediamo il meglio astenerci dall’ esporre i divisamenti nostri sopra una quistione che a volerla perfetta- mente discutere non che sia bastevole lo sdegno dei potenti , e l’ira affrontar magistrale di taluni dottori, il burbanzoso sog- ghigno si dovrebbe anche sopportare e il furor minacciante dei risibilmente accigliati pedanti. E astenerci vogliamo pur anche del tutto dal considerare le osservazioni ( capp. II. IMI. IV. V ) del commentatore a quella parte della scienza della legislazione la quale , per esserli mancata la vita, Filangieri dovè lasciare imperfetta e che alla religione riguarda , perciocchè di tornarvi sopra con la mente ci proponiamo quando daremo ragguaglio dell’opera dello stesso signor Constant intorno alla religione to- sto che ne sia compiuta la già incominciata pubblicazione . Prima però di metter fine alle parole nostre la conchiusione vogliamo far nota che il commentatore ( cap. VI. ) dal suo la- voro ha dedotta, la quale è questa : che gli uffizi del governo sono negativi; reprimere il male, e lasciare che si operi di per se il bene. Verità grande fecondissima utilissima ; verità che Fi- i 43 langieri se non la pose a fondamento unico del suo legislativo edifizio , la ebbe però nell’opera sua le tante volte accennata e lodata, non senza aiutarne talora la scienza sociale. Che dovere non sia principalissimo dei governi in tutti i tempi in tutti i luoghi i reprimere il male e quindi promulgar leggi positive nè noi potremmo certo negarlo nè altri: ma ben parea noi che non così assolutamente possa affermarsi esser loro dovere in tutti i tempi in tutti i luoghi il lasciare che si operi di perse il bene, e quindi non promulgar mai leggi speculative. Comprendiamo di leggieri che gli uomini sono sospinti naturalmente verso il loro meglio , e che quindi non è mestieri al loro meglio invitarli non che sti- molarli coll’arte: ma ove in una nazione la generalità degli uo- mini non conosca abbastanza, per non ancor abbastanza effet- tuato sviluppamento dello spirito umano , il suo meglio , qual altro avvi mezzo (dopo la religione) che quello autorevole delle leggi ad avviarvela? Se le leggi non sempre necessarie , son, certo talora opportune ad operare il bene ; e pensiamo potersi affermare che quanto più son necessarie ad impedire il male tanto più sono richieste ad operare il bene; perciocchè l’igno- ranza che è impedimento ad operare il bene è insieme cagio- ne principalissima e comunissima di fare il male, che che vada- no acclamando in contrario coloro i quali a propria utilità a pro- pria consolazione adoratori procacciano , quasi a benefica 1d- dea, alla prediletta ignoranza. Vorremmo ancor noi che oggi in alcune nazioni non pretendessero le leggi operare il bene , contente solo ad impedire il male; ma in altri tempi da quell’uffizio non le avremmo volute, non le vorremmo adesso in altre nazioni, liberate. Noi andiamo forse molto errati : ma ne sembra che come a Fi- langieri fecero inganno alcune antiche nazioni, così lo faccian del pari al signor Constant alcune moderne. Egli dice, e ben dice , che non ciò tutto che era giovevole agli antichi può es- serlo egualmente ai moderni: ma non sarà detto anche vero che non ciò tutto che ad alcune moderne nazioni non è neces- sario e sarebbe anzi dannoso , necesario era e vantaggioso alle antiche? Dal doversi oggi nelle nazioni a molta civiltà pervenute lasciar fare non ne conseguita già che in altri tempi non sia stato necessario l’/nvitare, non sia stato anche necessario prima il forzare . Dalla forza certo ebbe cominciamento 1’ umana ci- viltà, e fù col forzare che divenne bastevole l’ invitare, come dall’ invitare derivò poi che bastasse il beato /asciar fare. Era la forza che lattava la libertà ; non dovrà dunque la forza sof- fogarla , ma nutrice amorosa dovrà ammonirla inesperta , difen- 44 derla adulta. Alle leggi positive per reprimere il male si ag- giungano adunque, quando necessarie, le speculative per ope- rare il bene; e si aggiungano a scopo appunto di renderle col volger del tempo sempre meno necessarie e infine non necessa- rie del tutto, che è quanto dire ingiuste, e però da abolirsi. — Felice quella nazione nella quale oltre le leggi positive , po- che ve ne abbiano necessarie speculative: più felice quella ove siano pochissime; quella felicissima ove niuna affatto ve ne esista ! A _eteel——e**e==—=*-r-rrr:-;r.-.r.r-;-;-,.,rFr-.,bh}l[.. Alcune considerazioni sulla presente lingua de’ Greci. La lingua greca vive ne’suoi scrittori, più o men so- lenni, da Omero insino a’ giorni nostri , in guisa che cor- rendo fra le estreme sue epoche l’intervallo di circa ven- tisette secoli, noi non troviamo per avventura nessun'altra lingua che al par della greca sia da’ propri primordi così di- stante. E ben meritava ella sì lunga vita, se fu nutrita dalla libertà e dalla gloria, e coltivata da non interrotte e succes- sive generazioni di poeti, storici, oratori e filosofi, e se mae- stra si fece di gentilezza e sapienza a tante e diverse genti. Ma presso a questa lingua sembra sorgere, quasi germoglio d’ albero annoso ed eminente un’altra, la quale sogliono i più chiamare greca-moderna. E noi ora, colla guida d’ ar- gomenti, se non del tutto veri almeno probabili, c'ingegne- remo ragionare alcun poco intorno ad essa. La lingua greca, come ogni altra, soggiacque a certe particolari modificazioni, secondo la divisione fisica e po- litica de’territori nei quali ella si favellava. Queste modifica- zioni, ridotte a termini più generali, costituirono i due dia- letti eolico e ionico, o se si vuole anche il dorico e l’attico; e ciascuno in sè comprendeva altre minori suddivisioni. Così il dorico dei Lacedemoni e quello dei Sicionj, degli Argivi, degli Eretriensi, dei Corciresi, dei Tarentini, dei Rodiani ete. differivano fra loro, ed Erodoto annovera nelle dodici città dell’Ionia non meno di quattro flessioni o de- 45 sinenze (1). Tuttavia 1’ unità dell’ origine, de’ certami , le assemblee, i passaggi a nuove sedi, le imprese, le alleanze, le colonie, i traffici, la parità delle istituzioni civili e reli- giose, renderono meno spiccate queste differenze. Inoltre ogni dialetto ( che in greco significa lingua e non già deviamento o corruzione vernacola ) era circonscritto in regioni d’ angusto confine, dai fasti e scrittori suoi nobi- litavasi, nè ripetea le sue forme speciali da straniere ca- gioni, ma da cagioni intrinseche e greche; e quindi rife- rivasi all’ anterior lingua universale dalla quale era deri- vato, lingua che senz’ ambiziose gare ebbe dalla nazione il comune nome di ellenica, e fu riguardata come vinco- lo che stringeva in sacra unione i Greci contr’ a’ barbari. Di che imitabile esempio porsero in fra gli altri gli Ateniesi, quando eccitati con larghe e seducenti promesse dal Persiano a far seco alleanza, risposero essere il corpo ellenico d’un medesimo sangue, avere i medesimi iddii, tempi, sacrifici, usi e costumi, e parlare la lingua medesima, onde cosa ver- gognosa sarebbe per gli Ateniesi il divenir traditori (2). Che se pur quelle varietà locali furono dalla maestà deile leggi, dalla maggior civiltà o potenza di qualche popolo mantenn- te in vita, elleno facilmente si confusero posciachè le genti greche militarono unite sotto il vittorioso vessillo d’Ales- ‘ sandro. Allora i Greci, che sino dal tempo d’Amasis abitavan l'Egitto, si aggiunsero ai fratelli conquistatori, e città greche destaronsi nell’ Egitto stesso, nella Siria, nella Babilonia. Il dialetto macedonico, dal quale aveva prese le sue prime mosse la greca lingua, si dilatò e disseminò per ogni do- ve, e cogli altri s° immedesimò , e venne così a comporsi una lingua comune, ma diversa dall'antica, perchè quella voci usava e frasi solo proprie a tutti o al più dei dialetti, e le peculiari ad essi rifiutava. All’impero macedonico suc= cedette il romano, e il servaggio confuse anche maggior- mente i popoli e i dialetti greci. Non pertanto Costantino porfirogenito scrive che a’suoi tempi da Mileto insino ad Efe- (1) Lid. 1 (2) Erod. L. n. 46 so, comprese Smirna e Colofone, vigesse il dialetto ionico, da Colofone insino a Clazomene, e nelle opposte Chio e Mitilene e in Pergamo, l’eolico, e che al di là da Sesto ad Abido, e la stessa Propontide, e sino a Cizico ed il fiume Granico i Greci si valessero della lingua comune di cui tutti ci vagliamo (3). Il che non vuol significare per avventura se non che nelle accennate regioni duravano più i vestigi di quei dialetti. Così nel XVI. secolo, immagi- nandosi per ogni paese un dialetto, Simeone Cabassila scriveva a Teodoro Zigomala che de’ nostri idioti, gli uni doricamente, gli altri atticamente, questi eolicamente, que- gli ionicamente, altri il comune, ma non meno che settanta dialetti parlavano. Le quali sono minime arbitrarie, infinite distinzioni (4). Da ciò dunque deduciamo che una delle qualità es- senziali della presente lingua de’ Greci si è l’aver ella io- nismi pretti, atticismi, dorismi, eolismi etc. P. e. 7Astpeoy dic’ella alla ionica, e forma i comparativi in sotepos, edi su- perlativi in E0TAT06; cogli attici ha aumento sopra aumento di tempo in certi verbi, yTIAY per é710v; doricamente dice xa e il genitivo singolare della prima declinazione termina in 2; o/ospos usa alla eolica e in gra finisce il no- minativo plurale degli imparissillabi. Alcune di queste particolari modificazioni si riferiscono all’ origine relativa di ciascuna delle genti che le usano , o alla costante in- fluenza del clima; ma non basta per ciò seguire le località. Perchè molte popolazioni mutarono soggiorno nell’ interno» di Grecia, sia ch’esse vi fuggissero volontariamente per sot- trarsi dalla crudeltà dell’invasore, sia che questi per meglio e più sicuramente radicare la sua tirannica potestà le strappasse dalla patria terra, quasi figli dal materno grembo, ed altrove le trasportasse. Infra gli altri non pertanto pre- dominano gli eolismi, perciocchè gli Eolj furono nazione gagliarda e sparsa ampiamente, e il loro dialetto è quasi (3) Dei Temi dell’ Imp. di Cost. L. 1. (4) Sulle varie vicende della lingua greca vedi l’ opera del chiaris. P® najotti Kodrika, Studi etc. stampata a Parigi nel 1815. se io non erro. 47 medesimo a quello dei Dorj e primo di tutti si conformò. Nel Peloponneso il linguaggio, scrive Strabone (5), è mistu- rato del dorico e dell’eolico, e qual più qual meno è eo- lico, ed anche oggidì parlasi per le città diversamente, quantunque la lingua porti il nome di dorica per l’ altez- za del potere in che sono venuti i Dorj. Nè credo che per questa comunanza di dialetti che Quintiliano appella xos- vucpòs dar si voglia biasimo al parlar nostro. Essa è re- putata da Plutarco e da Ermogene come cagione di dol- cissimo stile in Omero, sia che una tal mescolanza abbia quel poeta espressamente voluta, acciocchè tutti i Greci partecipassero a’ suoi poemi, come partecipato avevano al- l’ impresa ch’ ei celebrava; o sia piuttosto che all’età sua non per anco i vari dialetti si fossero ben separati e per- fezionati. Ogni lingua suole distinguersi in iscritta e parlata, in illustre e plebéa , e ragion vuole che si ammetta que- sta distinzione anche nella greca . Il perchè osservano gli antichi che quando Omero, come alunno delle Muse ed intendente delle divine cose e della favella dei numi, dice che il gigante centimano era chiamato Briaréo dagli dei, ed Egeone dagli uomini, ed il fiume presso gli uomini Scamandro, era lo Xanto degli dei, e che l’uccello da questi nomato Calcide, da quelli nomavasi Cimmindi, non altro denota se non ch’ egli alla favella dei numi attribuisce sempre la migliore, la più nobile, la più augusta e grave e sonora appellazione, e insieme la più antica, non essendo quelli soggetti a mutamento, (6). Aristofane, che certo do- veva aver bene studiato il carattere d’ogni specie di favel- lare, ne distingue tre, cioè l’urbano e proprio delle donne, il servile e rustico, e quello ch’ era medio fra gli altri due. E Sesto l’ empirico, citando le parole del comico, di- chiara l’uso essere norma ad ogni lingua, e differire nelle scienze e nella ragion della vita. Ora per la filosofia e per le altre discipline ci vagliamo , dic’ egli, de’ vocaboli che (5) Geog. L. vr. (6) Plat. nel Crat.-Eust. nell’Il 48 abbiamo ricevuti, e nelle necessità della vita adoperiamo vocaboli più semplici, più usati, meno superflui, e propri alla regione in cui favelliamo. Laonde quando un’ente ha doppio nome, accomodandoci noi all’intelligenza delle perso- ne che ne son presenti, tenteremo profferire quello che non sia ridicolo, ma secondo natura. Così p. e. dicesi medesima- mente &proPiesoy e Tavkesov (paniere) otajviov e &ytdvoy, (idria), tySus e Susie (mortajo) ma riguardando di par- lar bene, e di non farsi deridere dagl’idioti e da’garzoni che ne servono, diciamo 7ey4proy, anche se barbaro, orajvior, Suelzy, e non &pro@opiov, &pidioy, #7dvs. E nuovamente aven- do riguardo ai presenti, abbandoniamo le parole idiotiche, e seguiamo le più urbane ed erudite. Per tal modo destra- mente in ogni circostanza tribuendo ciò che si debbe, favel- liamo senza riprensione (7). Ciò posto noi vedremo molte di quelle voci che ap- partenevano alla plebea lingua degli antichi, serbarsi tutta- via nella presente. Il bifolco ed il marinaio oggidì direbbe ancora in Grecia, ò &vemos Znoriace (il vento si straccò), valendosi della medesima frase d’Erodoto (8) che da Lon- gino è riprovata come inelegante e volgare (9). Le voci te- stè citate da Sesto, sono pure in vigore presso il popolo, ad eccezione di Sùeig , perchè questi usa invece 1’ altra 1ydx, che il filosofo ne reca come più nobile. Clemente alessandrino, nel secolo ÎI, per meglio indicare la falsa chiave, soggiunge: quella che l’uso (} cum'Is@) chiama d&vrixAsis contracchiave (10). Olimpiodoro, nel IV secolo, narrando di sè che ito era in Atene per rivestirsi del pallio de’ sofisti, e descrivendo i giochi soliti in tali occasioni, soggiunge che certi giovani contendendo l’entrata al bagno gridavano o1à c14où Moie: (stasta, non lava) (11). Nelle esclamazioni dei fa- ziosi del Circo di Costantinopoli (anno 531), fra le gltre (7) Disc. Contra i Gram. C. ur. (8) L. vir. (9) Del Sublime Sez. 13. (10) Strom. L. vr. (11) Presso Fozio Bibl. p. 190. , 49 son da nofarsi quella Srsopusts yadepe: (spergiuri o asino) lanciata a Giustiniano ‘che giurava sull’ evangelo di per- donar loro; ve l’altra. è rAsovexTav pe sis tà rQayyapia sùpionerai, (colui che ne fa violenza trovasi nelle botteghe dei calzaiuoli) , alludendo ad un dignitario il quale KzAor6dsoy (forma da calzari) avea nome (12), nome che ancor. vive nelle bocche dell’ infima plebe dai tempi di Platone. Ed il popolo, nel concilio Costantiniano, urgendo il patriarca Menna gridava: Eufde Tolycov, avadsuaIycov Zebijpor (13) (entra fa anatematizza Severo). E per iscendere due. secoli più tardi, Costantino porfirogenito, e il continuatore di Teofilo, e Simeone il maestro, narrano (14) che un nano e aio il I quale serviva di trastullo a Teofilo imperatore, appellava puavva (namma) l’augusta Teodora, e che una fiata entrato nelle stanze, di lei, e a baciare le i immagini, ed accostarsele , agli occhi, i domandò che ciò fosse, e la pia donna per timore dell’iconoclasta marito MFDase: pressochè in rustica favella: rà xeA& mov uvia, uo dyatò ragle ToMk. ” (I miei belli fantocci, e questi io amo molto). Zo- nara scrive; che Basilio il macedone , tornato di Bulga- ria, si coprì della tiara ritta, che la plebe appella Tépa. Un patriarca audace anzi che volgere preghiere all’ im- peratore Isaccio Comneno , rammentandogli 1 servigi pre- stati:a lui, il minacciava col proverbio. volgare: èyù o'enIysa @epve &yò iva (o piuttosto meglio pel metro yè) ce Yarkcw ( io t ho costrutto o forno, io fia che tì xo- vini) (15). Quella canzone finalmente che il popolo eanta ad Alessio Comneno è in lingua idiotica: 7ò o&bberov Ti Tvesviis xapsts A°AéSre EvogoeTo-Kak Tav Seurépav Tò Tewì sima vadis yee4us; onde l’elegante figlinola la rende con nobile favella nella sua storia (16). Evagrio nominando 1’ cl Aovpov (gatto) spiega essere l’animale pn l’ uso chiama w4r7a : (12) Chron. Pasch. p. 264. Teof. p. 123. (13) Azione sr. (14) L. m. b. (15) Giov. Schilitzi Chr. p. 632. (16) In Alex. p. 45. N. XVII. Marzo 4 > e n&rros (17). A questi aggiungerei assai altri esempi de- rivati da Giulio Polluce che viveva ai tempi di Commodo, da Esichio, da Suida, e da vari lessicografi, grammatici, è scoliasti, e specialmente da Eustazio che ’ gran. commento féo. In essi troveremo notate come parole del volgo poye (acino) benchè pure il poeta Dioscoride leggiadramente dica bérpuy Tunvope@ya (grappolo di densi acini), e figura- tamente pel capezzolo della mamella, e yya@irta (quasi spo- sina) donnola, e rovrinds (topo,) è xovnros (cuculo) e okprov (pesce) e u&bovpas (granchio) è uap&rov ( nave) e m&VIO (tela) e xopuòs (tronco d’ albero e d’ uomo) ed altri infiniti. Sennonchè io non scrivo ora un trattato, ma alcune brevi e rapide considerazioni, e gli esempi recati son già sover- chi per chi sa e non sa di greco. Nella lingua scritta era prevalso il dialetto attico per la maggiore sapienza e potenza di quel popolo. Ma dopo il felice secolo di Pericle le lettere giunte al lor apice poco a poco cessarono in Atene d’esser proprie degli stessi Ate- niesi, e solo ne rimaneva colà il domicilio, onde, in vece che i cittadini, fruivano degli studi i forestieri, ivi tratti dal nome e dall’autorità’ della città (18); anzi perchè la forza delle armi è maggiore che quella dell'ingegno , già gli at- tici pel fiammischiamento e ‘pel dominio macedoneggiava= no (19). Per la qual cosa, quantunque gli scrittori si ‘stu- diassero d’ emulare gli attici, eglino poterono piuttosto ritenerné in gran parte, che tutte comprendere nei loro vo- lumi le forme e l’eleganze attiche, e taluni si risentono del carattere della parziale lor patria, e portano qua e là l’im- pronte della lingua comune, di maniera che notati furono di falso-atticismo. Ed a misura che la fortuna de’greci si volse in basso stato, molte e molte voci e frasi popolari s’intrusero nei volumi. Tutti i pensieri e sentimenti nostri hanno corrispon- denti espressioni, derivate dal comun fonte della natura, e (17) 6. 24. (18) Cic. dell’ Orat. L. mr (19) Doroteo Ascal. presso Aten. p. 122.-Giulio Poll. voce paddy. i i Si erò anche gli scrittori sono costretti a preferirle alle più nobili ed elevate, e cercano solo col comporle, commet- terle ed adattarle, a procacciar loro maestà ed ampiezza. E ne è anche in ciò maestro Omero (20). Oltredichè le parole conosciute fanno impressione maggiore, e scrittori cele- brati come p. e. ;Polibio , Plutarco, Luciano hanno dovuto soggiacere alla forza dell’uso. Più tardi Eliodoro, Senofonte efesio, Caritone, come quelli che hanno per precipuo in- tendimento di dilettare ai più, usano voci e frasi popolari. Nè a ciò, poco contribuì eziandio la religione cristiana. I Greci che in Egitto appresero la lingua ebrea, o gli ebrei che in Egitto appresero la greca, interpretarono il vecchio testa- mento e temperarono con voci umili le celesti dottrine. Il nuovo o per la semplicità de’suoi autori, o perchè que- sti vollero ridurne l’intelligenza alla portata d’ogni ordine di, persone, f u dettato in una lingua senza liscio e orridetta. La lettura di questi testi’quotidiana e comune rendette sacre ed ampliò molte voci e forme volgari, mentre o si obbliavano o. sì distruggevano i monumenti dell’ antico sapere come propri a fare amare il culto che si volea spegnere. San Pao- lo professava di scrivere idiotamente ; e nell’ evangelo leg- giamo i nomi yUpos; oovesoy, xp&bartos ed i verbi &roxspa- Méswedsdyaporeiv,edaltri simili, che i grammatici condan- nano come non attici. Ma l’eloquente Basilio si maravigliava di chi noh pensando che la voce è forzata dall’interpretazione, ricercasse nelle sacre scritture diligenza grammaticale; e del non atticizzare egli adduceva per bella ragione il suo con- tinuo favellare con Mosè ed Elia ed altri beati uomini , ‘che a lui ed a’snoi pari ragionavano con mente vera, ma con inculta parola. Ese amava e confessava d’essere in fatto di lingua discepolo de’ pescatori (21), bene più lo furono quei semplici monaci che raccolti nei conventi non solo da ogni parte di Grecia, ma di Siria , Libia, Misia, Tra- cia, ed altre lontane regioni, per conforto d’ uomini de- voti scrivevano senza varietà di figure e senza ornamenti (20) Dion. Alie. Della Costruz. delle par.-Long. Sez. 31. 121) Epist. 146. 163. a Lib. Epist. 188. ad Amf. 5a e in istile triviale e piano le lor leggende e omelie. Ma lasciando costoro ai quali ben si può appropriare quel che Fozio già disse di sant’ Epifanio , cioè che la sua fra- se è umile qual esser debbe quella di chi non parteci- pò d’ attica disciplina, noi potremmo convalidare un gran numero de’nostri vocaboli coll’autorità di scrittori profani, e non solo de’meno puri, come Teofane, gli Anonimi, e i tre Leoni, ma eziandio con quella dei due Nicefori, Teo- filatto , Simocatta, Costantino porfirogenito, Briennio, Cin- namo, Anna Comnena , e Niceta , etc. Potremmo poi per- correre gli atti de’ concili , e i tipici , e i pri liturgici , e i geoponici e i basilici; e più specialmente i diplomi, e le bolle d’ oro imperiali, e gli istromenti ed altre carte precedenti al XII. secolo (22). E però in quei periodi di tempo Eudocia imperatrice che pizzicava di letterata, veniva esortando il marito suo Diogene romano a rinno- vare la spenta eleganza della greca favella (23); e Giuseppe ciprio, che fu poscia patriarca col nome di Gregorio, riportò lode d’ aver ornate le sue scritture del nobil numero del- l’antica lingua, sommersa per lunga età nei gorghi dell’ob- blio, e di averla egli colla desterità dell’ingegno e col- l’amore allo studio, ricondotta in luce, e rianimata di nuo- va vita (24). Ma se attiche non sono quelle parole, cessano però d’ esser greche? E che importa che negli aurei scrittori non si leggano? Un buon numero del tutto nuove non ne porgono forse anche le epigrafi? Pochi volumi che sostennero fra tan- te migliaia le ingiurie del tempo, comprendere non possono 1 universale ricchezza di sì copiosa lingua e multiforme quale pur ella era la greca. E quindi udiamo ancora 0g- gidì il nostro popolo profferire vocaboli propri e traslati, semplici e composti, nomi verbali, addiettivi formati dalle sostanze, e sostantivi dall’ addiettivo astratto, temi disu» (29) Ughelli Italiae sacrae L. 1.-Montf Paleogr.-Cataloghi dei Miss, della Laurenz., della Bibl. Ces. di Vienna, della R. di Torino. (23) Proemio al Violario. (24) Nicef. Greg. Ist. L. ri, n. 82, 53 sati di verbi clre paiono anomali, locuzioni leggiadre ed efficaci, che sono incontrastabilmente derivate da remoto e purissimo fonte. In questa lingua viva noi troviamo talvol- ta i positivi che mancano all’antica lingua, o gli accre- scitivi o i diminutivi. Di più perchè molti termini sono ri» masti inerenti all’oggetto, occorre ai Greci ricercarne il vero significato. Tuttociò potrei io per avventura provare con e.. sempi opportuni. Chi non accetterà per buono il vocabolo piva (mamma), se Luciano nelle cortigiane ha puayvipiov (mammuccia), 0 l’altro Beicw (scaturigine), se Bedw (scatu= rire) è antichissimo verbo? Il BeorAoxos d° Aristotele, dai vocabolaristi, e dai naturalisti stimasi il reattizo e gl’ingan- nò la somiglianza del nome, nè badarono che reattino chia- masi quest’ uccello per certa sua cresta o corona, non usata dagli antichi principi, mentre il ffuosAfoxos, ch'io credo invece il martin pescatore, trae il nome dalla varietà dei colori i quali raffigurano un manto reale . Più potrei aggiungere se non temessi dilungarmi dall’ argomento. E con filesofo acume osserva un illustre scrittore, che ,, in tut- te le lingue l’uso per un consenso tacito appropria ad al- cuni vocaboli alcune idee, e limita di tal maniera il si- gnificato di esse, Il popolo più tenace degli usi e che non mescola quasi mai nessun’idea individuale alla massa delle idee ch'egli ha ricevute per tradizione, è ottimo custode della proprietà delle voci, la quale consistendo nella si- gnificazione intera della parola, comprende tutte le altre idee accessorie che l’uso vi ha unite. Quindi nei nomi non | va riguardato soltanto la principal parte d’una nozione ad essi unita, ma conviene ricordarsi che la finezza del ra- ziocinio e del gusto dipende in particolar modo da queste idee accessorie che modificano la principale (25),,.. Ove sì desse qualcuno con diligenza e giudizio ad indagare per le officine e per le capanne questi vocaboli, esso potreb- be certamente arricchire il dizionario della lingua ellenica, (25) Niccolini Disc. in cui si ricerca qual parte aver possa il popolo nella formazione d' una lingua p 45. 54 e rischiarare molti dubbi che hanno'fatto e fanno finora il tormento degli antiquari e degl’ eruditi. Ora le isole, or le montagne ne gli han conservati, separando le genti dalla comunicazione cogli stranieri, e colle città che prime sono a corrompersi, e spesse fiate giovò la condizione stessa delle persone. Platone osserva che fra gli Ateniesi 1’ an- tica purità era stata. serbata incorrotta dalle donne (26) ; ed altrettanto oggidì accade in Grecia, perchè questo sesso unicamente colà intento alle cure casalinghe , mena vita appartata, e in esso, si avvera ciò che già disse Cicerone delle romane (27), cioè che scevre essendo dall’udire molti parlari ritengono sempre quei modi che prima appresero. E però Omero distinse sagacemente questa proprietà del- l’idioma muliebre col dire che ‘al bambino d’ Ettore gre= camente appellato Astianatte dagli uomini, le trojane ser- bavano il patrio nome di Scamandrio (28). Questa iden- tità dei vocaboli antichi e moderni è tale, che la. stessa forza augusta della religione non valse a cancellarne. pa- recchi i quali si riferiscono a deità e cerimonie pagane» E il popolo suol dire ancora che Caronte rapisce i morti, e crede che le Mereidi vagano pei campi, e che le Par- che (Moîpw) presiedano alle sorti umane, e mirando! certj rettili grida colle vecchierelle sabato sabàto, cioè, Sabadio o Bacco, come quel superstizioso di Teofrasto. I prover- bj che nascono da casi ‘ed usi singolari, e che fioriscono dj arguzie, metafore e saviezza presso un popolo ingegnosis- simo e fatto esperto da gravi, crudeli e diuturne calamità, sono più o meno sparsi di vocaboli e modi che meritano l’investigazione de’grammatici e degli scrittori, nè meno la meritano quelle canzoni che inspirate dalle affezioni do- mestiche , dall’ amore , dall’ammirazione , dall’ entusiasmo guerriero in sè chiudono il germe d’una vergine facoltà poe- tica, e le impressioni della natura, del clima dei Greci, e l’e- spressione della fisica e morale lor condizione, senza ozio- (26) Ivel Cratilo. (27) VIVA (28) Iliade L. rl. 55 si e fucati ornamenti; E grazie sieno rese. all’ illustre sig. Claudio Fauriel, uomo d’ animo dilicato, di acuto ingegno, e peregrina e moltiplice erudizione fornito, che non ha guari le ha date in luce, conservandole prima che una matura civiltà venga d’altronde ad adulterarle. e cor- romperle. Nè altrimenti che un fiume nel ritirarsi, sco- pre la lingua greca tesori dapprima ignoti. Che se ta- lora sembra denotare ella la cosa stessa con nome diverso ciò non importa. E gl’'ioni e i dorici p. e. e gli eoli, dice Sesto, appellano la pecora Tpofpatov € gli attici noman: la 0%g; e gli attici e quei di Coo chiamano XEMwVÙ ciò che gli altri Urorédiov (sgabello) e non pertanto tutti greca- mente, parliamo. Imperciocchè v’ha due specie d’ellenismo, l’ uno separato dall’uso comune, e che si conforma secondo la grammatica, e l’altro consistente nella consuetudine e nel conversare. I timidi e sottili grammatici si ristringono solo agli esempi degli attici; ma la lingua non è attica, è greca. Frinico ne dice che 20967ys equivale a suicida non già a si- gnore, significato che sin d’allora davangli i retori nei tri- bunali, e che bpéygy egli aveva letto in certa commedia "in luogo d’ Uewy (piovere), e la voce yévmpala da lui non trovata negli antichi ed approvati udiva in molti luo- ghi imposta a xeprès (biade), e che non convien scrivere evyapioTeiv, ma y dpi eidévo (ringraziare) non eùncspeîv, ma cyodis Eye, (vacare), non xpiberz e upobeotoa: ma upòr- redtos e pirTeles (nascondersi) e condanna fA@iw: noA phi des per &Ausdes: (olive in salamoia), e NATOPIWaTA Per AvipayaShuara (prodezze), payspsiov per èrtavetcv: (cucina) e vuole che antichi e puri sieno 4 yuUAA@ (Za pulce),en&aTole e dieravrds (sempre) e rpoparov USwp (acqua appena attin- ta) non 6 WuAXAos, TAvIoTe, e vupòv Uiwp. Or questi seru- poli di Frinico ne rammentano quelli degl’italiani gramma- tici che dannano ? armi pietose del maggior loro epico, quantunque Gio. Villani, e il Machiavello adoperino l’ ad- diettivo pietoso in vece di pio. Perchè taluni di questi vo- caboli.che Frinico riprova si leggono in Euripide, in Seno- 56 fonte, e inPindaro, e se non sono tutti di quell’età monda e felice, noi trovandoli in Polibio, Plutarco ed Arriano, e pen- sando all’epoca stessa in cui Frinico ‘scriveva, cioè durante l’impero di Marco-Aurelio del qual fu maestro, andiamo lieti nel vedere quanto antichi pur sieno certi vocaboli che il nostro popolo usa familiarmente, E come egli avviene che in una repubblica alcune famiglie più illustri cadano in povera fortuna ed altre salgano a più onorata condizione, senza che perciò la repubblica venga a mutarsi, così que- sti vocaboli sostituiti a quegli altri, furono nobilitati dagli scrittori di più tarda età. E alquanti sono essi per avven= tura di più remota ed ingenua origine, sebbene non con- formi all’ attica ortopeia. Le antiche parole , così Socrate per la bocca di Platone , furono alterate e. confuse dagli studiosi delle eleganze tragiche, i quali aggiungendo e togliendo lettere, hanno assai spesso pervertito il senso in guisa che non se ne riconosce più la derivazione (29). E ne sia lecito il dire che gli scrittori non sono l’unico tipo d’ una lingua; ma ch’ella sta fra questi ed il popolo, nè contra l'uso comune vale l’arbitrio d’un solo o di pochi. Impercioechè per dar grandezza alla locuzione eglino nei lor giri si valgono or d’ arcaismi , or di parole men con- suete, donde poi derivano le opposte ed incerte esposizioni de’ grammatici, e spesso ne creano di nuove. Ma egli è forza , 0 demonio, ai gran pensieri Agli alti sensi, pareggiare il conio Delle parole. Aggiungi, che agli eroi Tal di voci ade meglio si adatta, Siccome anco di vesti oltr’ il nostr’ uso Brillar veggiamli . | Così Eschilo ad Euripide (30). Nondimanco uopo è ‘confessare che anche la lingua parlata o plebea si con- forma dallo stato più o men fortunato dell’intera nazione. E veramente nei paesi che si reggono a popolo è maggiore il numero de’cittadini che attendono agli studi, ed egli è a credere inoltre che il Greco partecipe delle assemblee (29) IVel Cratilo. (30) Aristof. nelle Rane traduz, dell’ Alfieri. " 97 e del governo di piccola repubblica parlasse più polita- mente che il Greco di cui non solo la patria, ma lin- tera nazione formava una delle molte provincie d’ un va- stissimo impero . Oltreacciò ogni città vantava i suoi filo- sofi, i suoi oratori, i suoi poeti, i quali non esercitavano ar- cane dottrine, ma cantavano e discutevano nel foro, per le vie, alle mense, nelle palestre. Eglino dicitori di pa- role ed insieme operatori di fatti, e cittadini essendo, la sapienza, che per usare l’espressione di Cicerone è facoltà di pensare e spiegarsi e forza di dire, rendevano parte integrante della repubblica. E di ciò ne porgono testimo- nianza non solo i culti Ateniesi, che fatti prigioni in Sicilia, e dispersi per varie città dopo la rotta di Nicia, s'acquista- rono il vivere, e ricevettero la libertà da’padroni, cantando i versi d’Euripide; ma quei Cauni eziandio che cacciati da’ corsali, e fuggendo nei porti della Sicilia medesima, non furono da prima raccolti; ma poi domandati se sapessero i carmi d’Euripide, e avendo riposto che sì, fu loro conce- duto entrare in porto colla nave (31). Ognun vede adunque che per queste cause la lingua del popolo esser doveva più eletta, e partecipare della generale cultnra e prosperità. Ma quando surse l'impero macedone, la munificenza o l’accorgi» mento dei Tolomei e dei Seleucidi accolse i più nobili in- telletti dell'Europa, dell’Asia, e dell’Africa dove le genti e la favella greca s’eran diffuse, e questi fiorirono principalmente nella scuola alessandrina in quel periodo di tempo al qua- le si può imporre l’epiteto dato ad uno dei Tolomei, cioè di filologo. La fortuna latina assoggettò indi la Grecia: il commercio, e le arti sue s’intorpidirono, e in Roma ebbe- ro e uomini, e opinioni, e civili negozi un centro comu- ne. La libertà, le ricchezze, e i monumenti divennero preda de’nuovi signori, e le provincie per forza d’armi già impoverite del loro primo splendore, si videro abbandonate dagl’ingegni più chiari, e da’ più ricchi cittadini i quali per cupidigia di onori e di lucro confluivano alla capita- le. La lingua del popolo cominciò allora a separarsi vie- (31) Plut. vita di Nicia. 58 più dalla lingua scritta. E quando la religione cristiana sj propagò, furono colle feste e le costumanze pagane pur abo- lite molte voci che proprie erano a quelle. Laonde una differenza fra l’ antica e la moderna lingua sta pure nel- l’aver questa smarrito la cognizione di molti vocaboli di quella, nel conservare primitivi senza derivati, derivati senza primitivi,e qualche volta nell’adoperare per termini individua» li 1 generici.Ma già non mai avviene che molte parole degli scrittori non superino l’intelligenza del popolo, o che il popolo non pecchi contra le regole. Certo Ateniese, presso un antico comico, duolsi con chi gli favellava usando dizioni omeri- che, che il costringesse affine d’intenderlo di scartabel- lare ad ogni tratto il lessico (32) ; e mal si cita il fatto dell’ erbaiuola che riconobbe l’ elegantissimo e dolcissimo Teofrasto per forestiere , onde provare. che in Atene anco la plebe favellasse politamente e correttamente , percioc= chè questa non meritossi tal lode, e solo si distingueva pel suono non aspro nè spanto, ma equabile e pieno: erw- ditissimos homines Astaticos quivis Atheniensis indoctus non verbis, sed sono «vocis, nec tam bene, quam suaviter lo- quendo facile superabit. Così Cicerone (33). Le navi che d’ogni parte approdavano in Atene, e gli schiavi barbari ai quali si commetteva da negligenti ed avari genitori l’ ufficio di pedagogo , avevano guasto ivi il bel parlare, in guisa che di esso non la dottissima delle città, ma l’ Attica medi- terranea era scuola migliore (34). L’ impazienza di espri- mere i propri concetti, che ha sempre il popolo, genera nel suo favellare non solo le frasi, ma dirò così le voci ellittiche, alle quali egli supplisce cogli occhi, e coi gesti, e cercando la via più pronta, e più facile, spesso nel modo di accoppiarle non concorda cogli scrittori, special= mente trattandosi di lingua dilicata, gentile ed artifi- ziosa. Una evidente testimonianza di ciò ne adduce il so- lecista di Luciano. Adunque non è maraviglia se ezian- (32) Presso Ateneo. (33) De Orat. L. un, (34) Erod, Attico Vite de Sof. L. rr. Vita d' Erode At. 59 dio nella presente lingua, le parole talora patiscano cer- te aggiunte o troncamenti di sillabe, nel principio, nel mezzo, nella fine, o certe commutazioni di lettere , sil- labe ed accenti, o contrazioni etc. Nè qui recherò gli e- sempi per non infastidire soverchiamente il lettore. Ma que- ste non son già tutte scorrezioni, e chiunque è un po’ pra- tico della grammatica sa che la metatesi, protesi, epentesi, sincope, enallage , paragoge, sinalefe ed altre specie di fi- gure consimili, sono infinite e diverse nei dialetti, e costi- tuiscono una delle principali loro proprietà (35). E rammen- tiamoci dell’accusa di violenza e di rapina data dal Sigma al Tau presso Luciano , e le doglianze sue contra l’auda- cia delle altre lettere che non si rimasero nell’ordine dap- prima sortito. Ciò che per avventura più importa sapere si è che la presente lingua conserva il digamma eolico che così spesso s'incontra nelle voci latine derivate dal greco, ond’ ella profferisce puîya per pu?a, (mosca) yuviov per Uviov ( vomere) etc. Proprietà ella è eziandio dei dialetti mutare il genere del nome, la classe delle declinazioni, le desinenze dei casi, e in ciò ora l’ uno ora l’altro a- ma la presente lingua seguire. Del resto non ci atten- tiamo ora ad esporre le parti del discorso e la con- veniente disposizione che hanno fra loro. Intorno a ciò, ma forse troppo ingegnosamente, scrisse Atanasio Cristo- pulo nella sua Grammatica eolico-dorica, e con assai squi- sita diligenza e criterio Giulio Davide nel suo Parallelo sinoptico delle due lingue. La maggior differenza sembra principalmente consistere in certi modi e tempi dei verbi, e per tacer d’ altro , la moderna lingua si vale degli au- siliari avere o volere, eixa yp&pes (i0 aveva scritto), FÉ4w yp&wei (io scriverò), Nicda ypipsr. (io avrei scritto). Vero è altresì che variamente ella aggiunge al condizionale la terza persona singolare dell’ imperfetto del verbo Fw, come al futuro la terza del singolare presente, ovvero 9è perapocope, e la particella yà che confuse insieme poi forma- (35) Veei Georgio Corintio e Maittaire sui dialetti greci. 60 i no la particella 9%: Sie yphyu, Sè v2 yotipu, Tè ypayuo, (scriverò) e HYeA ve&gu.L'infinito si forma col soggiuntivo che vien contrassegnato dalla congiunzione Ye, e per aferesi yà. Or questa, come dicemmo, è forse la maggiore e la più nota- | bile varietà. Dello sciogliere l’infinito ne esibiscono esempi gli evangelisti i quali scrivono in istile popolare: e/7é «07 iva por cuvaytià&yTe, in San Luca. Zuyupépss Upiv ivatyà artASw, in San Giovanni (36). Ma i verbi ausiliari non sapremmo riferirli ad altra cagione se non se alla somma difficoltà ed allo studio che richiedono le molte variazioni e passioni de’verbi greci, e che mal convengono coll’ istanta- neo bisogno che ha il popolo di esprimersi. E però esso imitando i dorj e gli eolj fuggì anco l’ambage delle de- sinenze irregolari dei nomi imparissillabi, trasportandole alle declinazioni parissillabe. Nè altrimenti accadde alle moderne lingue: anzi il Maffei trova degli ausiliarj aperta traccia nei latini, e cita il satis dictum habeo di Plauto, e l’auditum habeo, e l’habere cognitum di Tullio (37). Sennonchè egli sentenzia non rettamente che la presente lingua de’ Greci s'è renduto più che l’italiana necessario e frequente l’uso de’verbi ausiliarj, e inoltre due avendone, cioè avere e volere, e conservando l’aumento sillabico e di quantità, con certa maggior varietà supplisce al difetto dei tempi univoci. In- fine prima di abbandonare questa parte più minuta ed ingrata del mio discorso, accennerò che la nostra lingua provvedendo principalmente alla chiarezza, ha nella prima persona singolare dell’ imperfetto dell’ indicativo ey pada > e nella terza plurale &ypa9zv onde viene così ad evitare la taccia d’imperfezione che dà il Cesarotti all'antica lin- gua, quando essa con una sola voce Ev paPoy denota due per- sone e due numeri diversi (38). Che ove a taluno sembras- se nojoso quell’accompagnamento del verbo FéAw agli al- tri verbi, noi l’ inviteremo a sedere fra i mirti e le rose» (36) Esempi citati dal sig. Davide nel Paral. p. 11. (37) Squarcio della Peron. illustr. unito alla dotta Diss. del chiar Cav. Ciampi sulla orig. della lingua ital. (38) Suggio sulle lingue Parte 11. 61 ed udir Anacreontfe che così comincia a celebrare l’ onni- potenza d’ Amore. ©tAw Afyew A’rpidas ©ét1w Sè K&Suov &dew I romani eserciti stazionarj in Grecia, le leggi latine, l’ ambiziosa imitazione de’riti, costumi, ufficj , dignità ro- mane nella nuova capitale, la mescolanza ed il consorzio co’ popoli barbari soggetti alla monarchia bizantina, no- cquero certamente alla purità della greca favella . Quindi veggiamo intrudersi in essa, segnatamente per ciò che riguar- da la giurisprudenza, l’ amministrazione, la tattica milita- re, la corte, vocaboli nuovi e stranieri. Giustiniano chia- ma patria lingua la latina, e riserbata alla forma della repubblica, e però dichiara avere in quella dettate le leg- gi, mentre riconobbe propria della: moltitudine la greca, on- de volle promulgate in questa le Novelle, acciocchè fos- sero facilmente intese ed interpetrate . Leone imperatore si protesta di scrivere senza ornamento ed eleganza , e sem- plicemente per la comune intelligenza , e fa romane le vo- ci degli antichi autori greci di cose belliche con intendi- mento di renderle chiare ai soldati. Ma per avventura più schietta serbavasi la favella nell’interno delle greche provin- cie , e possiamo quasi concludere che nel conflitto fra la greca sapienza e l’ impero latino, quella su questo preval- se, poichè non più che certe formole e alquante voci s’ in= trusero. Ma quando le provincie occidentali furono conqui- state da’ barbari, l’ impero si ristrinse nelle provincie del- le quali era naturale favella la greca, e già nel nono se- colo Michele Rangabo spregiava la lingua latina a segno di chiamarla insolentemente scitica e barbara . Contuttociò quei cesari, per le guerre esterne e per le intestine discor- die mal fermi, e di stirpe ignobile e barbara, o rozzi soldati © superstiziosi, non curarono gli studj gentili. La lingua si risentì di siffatto dispregio. Nè è da tacersi che la sua bellezza fu anche macchiata dalle soldatesche occidentali mal parlanti, e in ira, come dice Niceta , alle muse ed alle grazie, quando avidamente corsero, predarono, signo- 62 reggiarono le provincie dell'impero, posciachè ne occuparono la capitale, più tradita sotto colore di alleanza, che vinta ge- nerosamente. Alcuni di quei vocaboli e di quei modi stranieri rimasero da più secoli nella bocca del popolo, p. e. dipprate (armi) fiyAz (vedetta), ma i più sparirono perchè apparte- nevano ad una lingua parziale e temporaria. Se si apre il glossario del dotto ed infaticabil Ducange quanti e quan- ti e quanti non se ne trovano , i quali suonano così igno- ti e barbari alle orecchie de’ presenti greci, come sarieno suonati a quelle degli uditori di Demostene . Nè tutte quel- le che noi reputiamo latine il sono veramente. Ve ne ha di molte, ancorchè antiche e disusate, che dagli eolj aì latini passarono. Nè in nome di tutte le muse vogliamo noi rico- noscere ‘per accettate mai dai greci quelle voci ipèu o&A- ParstiAPIpE (rem pupilli salvam fore) ed altre consimili che piovvero giù dalla penna dei giuristi, ovvero quelle che l’ erudito francese ne schiera nel suo glossario come nanu, nanitza , nanuche , etc. perchè Faspalirenta citate ed inter- pretate da qualche tapino scrittore che le ha dedotte dai libri di medicina, d’alchimia e botanica de’maestri arabi. La pro- miscuità e il commercio cogli stranieri, e l’ esser ad essi soggetti, e la novità delle cose e delle usanze ha spento in certe regioni di Grecia i vocaboli indigeni , ed introdotti altri spùrj, qua italiani, là albanesi, o illirici o turchi. Ma questi devono reputarsi come vocaboli alieni, se la massa della nazione non gli ha accettati, e ‘a lei deg- gionsi attribuire gli equivalenti, ed altrì più schietti, e legittimi, sebbene vivi non sieno che sparsamente e pres- so piccole parti della nazione medesima . Non danneremo noi tuttavia le parole proprie a denotare le cose peregri. ne, e che con queste ne sono giunte. Veruno non ardireb- be dar biasimo ad Erodoto ed a Senofonte perchè ammi sero i nomi persiani : satrapa , angario , parasanga , para- diso : nè a Polibio o a Dionigi perchè chiamarono pel loro nome certe dignità romane . La vecchia lingua degli Atenie- si , scrive Platone, ha ricevuto nomi barbari che per vec- chiezza di tempo non si discernono. E tali voci ricevono 63 lume dal contesto ; e per le vicine ‘e palesi si grecheg- giano . La lingua conservando il proprio giro di fraseggiare cangia in suo quel poco di peregrino che le si aggiunge. Nè parliamo tampoco della pronunzia. Il semplice razio- cinio dimostra come i Greci deggiano aver ricevuto col vo- cabolo di generazione in generazione anche il retto modo di pronunziarlo ; e questo modo uniforme, e generale , e negli uffici divini conservato , fu trasmesso agli occidentali. Che se per l’arbitrio d'uno o pochi eruditi , in epoca de- terminata e vicina, fu mutato, parmi pur che meriti prefe- renza la prenunzia sancita da più ‘secoli, e dalla sua na- zione, presso la quale ‘ mai non venne meno la lingua. Ogni giorno questa verità si riconosce meglio da’più dotti ed imparziali, nè cade ora in acconcio il provarla vitto- riosamente con una serie di citazioni. Tanto diciamo che la varietà del suono, oltrecchè alterare la melodia del- l’intero discorso altera ariche i vocaboli. E perchè questi non deggiono essere scritti o letti solamente, ma profferiti ed uditi, da ciò procede certa dissomiglianza che alcuni stra- nieri s'immaginano di rinvenire fra l’antica e la moderna lingua. La scimitarra di Maometto franse lo scettro greco , Il terrore e la morte si sparsero perogni dove; ma un drappel- lo di uomini eruditi e filosofi , custodi del fuoco sacro del- la sapienza , il recò in Italia prima che spento fosse nel sangue, e di quà esso si diffuse pel mondo intero . Que- sti profughi col pubblicare ed illustrare i classici, coll’or- dinare i precetti grammaticali, ed i metodi d’ ogni inse- ignamento, serbarono a’ loro discendenti , rimasti in servi- tù, gli esemplari dell’ antica lingua , e i mezzi di risalire alla cognizione di essa. Per l’ altra parte il despotismo ot- tomarno , e la pietà de’Greci verso il patrio culto, segna= rono la linea di separazione fra il barbaro e il soggioga- to. La religione mantenne a questo la lingua , e colla lin- gua la memoria ed il sentimento della nobiltà della pro- pria stirpe . Le floride colonie della magna Grecia e del- la Sicilia, solo coll’ abbracciare i riti della chiesa romana, smarrirono ‘e la lingna e la origine greca, e si reputa- 64 no ora di sangue italico , come di sangue barbaro si re- putano quelle colonie che già fondate furono nella Libia e nell'interno dell’Asia, E dall’Asia forse tuttii turchi in Gre- | cia varcarono? Non già; ma il mutamento di religione mot ti Greci mutò in turchi, ed in nemici acerrimi del loro sangue , quando la lingua appresa dagli oppressori, non bastò da sè. sola a stringerli con politico vincolo agli oppressi. Questa religione ha riunito a’ loro gloriosi ante- nati i Greci conservando quella lingua, che ha celebrato eroici fatti , e la lotta e le vittorie d’ una nazione infiam- matadalla libertà contro il despota, e le greggi asiatiche. Per lei ai Greci Eschilo ancora esclama : Ite o figli di Grecia , itene, salva Sia la patria per voi, libere sieno Le mogli, e i figli, ei sacri templi, ei sacri Paterni avelli: or quì per lor si pugna. Ella è pure che alzando il labaro di Costantino chiama il popolo ad invocare il Signore nel suo santuario acciocchè benedica la sua eredità, e le conceda vittoria contra ai barbari. Per l’ ospitalità che le greche muse ottennero in oc- cidente, e per l’ardore con cui furono onorate , serbossi nei volumi ai posteri la memoria dell’ antica lingua ; ma viva la mantenne nel suo paese nativo la religione, mercè dei sacri testi. I Padri, per la divinità del soggetto, già V’ave- vano innalzata ad un estremo grado di eminenza intel- lettuale , e la ornarono di magna eloquenza e di pom= pa. Certamente io non dirò che tutti gli ecclesiastici nel- la cattività abbiano meditato questi volumi, o che tutti fossero idonei a valutarli , o giovarsene, ma questi Padri medesimi sono gli autori delle liturgie, degl’inni, delle preci che giornalmente si recitano dai sacerdoti e dai fedeli. Co- sì la religione diffuse anche sulla lingua greca un raggio celeste , mentre che i canoni dei concilj , i libri basilici , le formole della curia ecclesiastica , le conservavano certa ombra di maestà e di signorìia. Non pertanto perchè i se- gni cessano colle azioni e colle idee che rappresentano , questa lingua andò mano a mano restringendosi, perchè 65 scritta fra i claustri e le pareti d’ una chiesa perseguitata , @ perchè parlata da uomini in dura servitù ridotti , ed in abbietta uguaglianza , e privi di quei comodi, di quei con- forti, di quei riposi che nel seno della famigliuola e sotto il paterno tetto pur negati non sono altrove a colui che ha cessato d’essere cittadino. Allora d’ ogni città greca dir sì poteva ciò che il fiorito Sinesio aveva detto alcuni se- coli prima di Cirene sua patria , cioè che quella già di prisco e venerando nome e in mille carmi degli antichi sa- pienti celebrata, era povera, vituperata, e non più che una grande ruina. La lingua dunque impoverì, ma non sparì, e se i Greci obbliarono molte parole della lor lingua, in que- sto obblio furono anche felicemente avvolte non poche in- trusevi dagli stranieri dominatori. Quella specie di civil tolleranza della quale godevano i paesi sottoposti alla veneziana repubblica, le dignità di gran dragomano e di principi di Valacchia e di Moldavia, le colo- nie sta@bilitesi in Italia , in Russia, in Austria , le scuo- le fondate per la Grecia, la generosa emulazione con cui i più ricchi protessero ed animarono i buoni insegnamen- ti, destarono quella luce la quale dalla metà dello scorso secolo crebbe a poco a poco, ed ora si spande finalmente vivissima. A misura che i bisogni sociali, morali, intellettuali si ampliano, più la lingua si arricchisce . La sapienza de- pose la ruvida tonaca monacale sotto cui erasi ricovrata per tanto” tempo , si addattò un pallio più largo e pom- poso, ed indagò e meditò le scienze fisiche , le morali, le politiche, e matematiche , insomma tutto corse il giro del- le umane discipline. Sovrani maestri gli antichi Greci in queste discipline , avevano colle cognizioni trasmesso ai forestieri anche i vocaboli che le rappresentano : a più buon diritto i loro discendenti se ne valsero, e più felici in ciò furono dei latini e degl’ italiani, perchè non altre lingue, ma la propria,come unicamente degna ed onorata riguar- darono , ed éssa venne al pronto soccorso del loro ingegno, . come le ricchezze che quando ferve guerra o tumulto, il pa- dre provvido affida alle viscere della terra per conservarle ai venturi bisogni ed al vantaggio de’suoi amati figliuoli in N. XVII. Marzo. 5 66 tempo di pace. Lo studio degli antichi esemplari, e i felici tentativi coi quali molti anche si adoperarono per iscrivere nell’antica lingua rifletterono sulla moderna non iscarso splen- dore . La lingua che nunzia della mente con questa s’ in- nalza e decresce riacquistò grazie e decoro, e conformò il suo stile con maggiore o minore giro ed artifizio alla qua- lità del soggetto. Così essa come l’omerico Ulisse percossa dallo scettro di Minerva spianò le sue rughe, gittò il vestito la- cero, e più adorna rifiorà di regali bellezze , o come il figliuol prodigo lasciate le mandre e le sozze spoglie ritor na alla casa del padre , e siede coi primi amici al festino . Tutte queste e varie cause, se non erro, contribuirono alla formazione della presente lingua. E come abbiam già detto, parte della massa de’vocaboli che la costituiscono si trova sparsamente ne’ più antichi volumi, parte in quelli d’un’età inferiore, parte poi nella bocca del popolo si con- servò. Nell’undecimo secolo cominciossi a dettare in essa opere intere, come la cronica di Simeone Sethos, ed i versi del monaco Teodoro Ptocoprodromo il quale , secondochè denota eziandio il suo nome, si professa di essere uomo cen= cioso , povero, che nulla possede, e quindi di non iscri- vere punto da uomo elevato. Gl amori di Libistri e Roda- mne, e quelli di Beltrando e Crisantza, offrirono, proba= bilmente verso il XII. secolo, argomento a due poemi, e ad un altro l’ offrirono Ze guerre dei Franchi in Morea. Così noi scendiamo fino al XIII. secolo, ed importerebbe per la storia della greca lingua, e Omero mel perdoni, che que- sti componimenti, dei quali solo leggiamo alcuni passi nei glossarj del Meursio e del Ducange, e nella Turco-Grecia del Crusio, fossero per intero recati a luce. In questo giro d’anni noi veggiamo essere la nostra lingua pur divenuta cor tigiana; di che ne fa testimonianza la lettera scritta dal sol- dano d’Egitto a Giovanni Cantacuzeno (39), il giuramento profferito dal patriarca all’ imperatore: yè Up S8A0s Tod Xpior8: và tyw Td tAsos 78 Fed: và &moddvo Ev peravoia: (che io sia servo di Cristo: che io abbia la misericordia di (39) Cantac, Ist. L. xir. c. 14. 19 67 Dio: che io muoja in penitenza (40).). Bel documento ne fornirebbero al proposito nostro parimente le vite di Plu- tarco translatate in Rodi di grammatica greca in volgar greco, da un filosofo greco chiamato Demetrio Taloquidi, ma elleno andarono smarrite, e solo sappiamo che fu- rono recate in arragonese da un frate predicatore, e di arragonese in italiano, come si legge nel codice che fa te- sto di lingua, e che copiato da Filippo Villani, si conserva nella Laurenziana. Fra le scritture stampate in tal lingua, prime che io conosca son due epistole guaste e imperfette al Re di Francia nel 1306, l’una di Giovanni Monomaco, 1’ altra da Costantino Duca (41). Singolar esempio, che non credo avvertito da altri, ci esibisce eziandio nello stesso secolo , Fazio degli Uberti, in certi suoi versi, nei quali sembra volerci dare un saggio del suo greco sapere. Incontrasi egli dunque con Antidamas , e questi gli dice: 3 Giunti a lui de la bocca mi uscio »» Yasste , che fu greco lo saluto, 3) Perchè l’ abito suo greco scoprio Ed egli come accorto e provveduto 3, Calosirthes, allora mi rispose, »» Allegro più ch’ io non l’avea vedato. 3» Così parlammo insieme molte cose: » Ipemu sévris frangica, ed esso » Ime romeos sévro, e più chiose. Ed io: paracalòse filemu appresso Milisse frangica, ancora gli dissi: Meta charàs fa sua risposta adesso. Al secolo susseguente appartiene una lettera di Gioseffo Brien- nio,pubblicata colle altre opere di lui dall’immortale mio con- cittadino Eugenio Bulgari,e la storia diGiovanni Canano il qua” le descrivendo l’assalto dato nel 1422 da Amurat a Costanti- mopoli, si scusa verso coloro che allo studio attendono delle lettere , se la sua frase è c'oAomofB4pPapor, cioè sparsa di solecismi e di barbarismi, non a’dotti ma agl’ idioti egli idiota scrivendo. Rammenteremo parimente la sforia vera (40) Pachim. Ist. L. rr. (41) Nel Tesoro delle carte del Re-Du Fresne Hist. de Const. 68 dell’ unione non vera del concilio fiorentino seritta dallo Sguropulo , e la cronaca del Franza, dove sono da notarsi specialmente i discorsi dell’imperatore Giovanni, e la vile epistola di Bessarione al pedagogo dei nipoti dell’ ultimo Augusto ed eroico difensore di Bisanzio (42). In tutte queste scritture, abbenchè gli autori tentino adornarle di certi el- lenismi, noi abbiamo gli esempi della presente favella. Ed appunto tal favella udivasi da Francesco Filelfo in Co- stantinopoli, trent’ anni prima dell’ eccidio di questa città Ita loquunt, vulgo(ben s’ intende i più culti uomini) hac etiam tempestate ut Aristophanes comicus, ut Euripides tra- gicus, ut oratores omnes , ut historiographi, ut philosophi, etiam ipsi et Plato et Aristoteles. E proseguendo, dopo aver distinto il parlare della plebaglia da quello degli uomi- ni aulici, dichiara che questi ritenevano la dignità e l’elegan= za del prisco sermone, e loda principalmente le nobili ma- tronezle quali serbavano intatto il mero e puro parlare de- gli antichi , perchè non avevano nessun commercio cogli stranieri. Anzi che dico io cogli stranieri? Nemmeno coi cittadini; vivendo esse ritiratissime, nè useendo di casa che la notte, e raramente , o per recarsi alla chiesa, o dalle più strette congiunte, e sempre velate, a cavallo, ed accom= pagnate dai parenti o dai più fidati domestici (43). A coloro durique tra gli stranieri che ne domandano dove cercar si deggiano gli esempj sinceri dell’odierna favella de’Greci noi risponderemo , ne’ suoi scrittori. Ma così ri= spondendo eccettuare vogliamo gli scrittori ignoranti e roz- zi, i quali usarono unicamente il lor gergo rustico e mu- nicipale. Un vocabolo col divenire visibile non muta perciò essenza, laonde costoro rimangono confinati coll’infi- ma plebe. Altra specie è quella degli scrittori che riguar. dano il loro dialetto come norma a cui riferire la univer- sale favella , e il vocabolo plebeo violentano per dargli forma antica, o l'antico abbassano alla forma plebea, e senza prudenza mescolano vocie frasi di tutti i tempi e luo» (42) Dittam. L. n. C. 23. (43) Phil., Sphortige secundo Epist. ad anno 1451. 69 ghi ed autori, e ammettono le straniere, specialmente nelle traduzioni, e nuove forme introducono contorte ed assur- de, costringendo ad obbedire al capriccio loro una lingua ch’è docilissima per la sua varietà e pieghevolezza. Le ferite portate da costoro alla materna lingua sono anche più no- centi di quelle che portarono alla lingua parlata gli stra- nieri, essendochè insidiosamente serpeggiano e rimangono vive nei volumi , e ingannano gl’ inesperti , e forse diver- rebbero letali se cotesti scrittori, come dalla retta legge si allontanano, una propria ne avessero e salda, nè per essi avvenisse come nell’ anarchia , in cui quanti son dissimili dall’ ottima regola, sono pur dissimili fra loro . Diversi e migliori son quegli scrittori che intatta mantengono e schiet- ta l'indole della comune lingua. E però eglino ponendosi fra l'antico parlare e l’uso vegliante, scelgono quante voci e frasi sono in vigore e di facile universale intelligenza, ma insieme d’ingenua origine, ed altre, ove il bisogno l’esige, ne ripetono risalendo ai primitivi fonti. Così eglino scaltriscono ed arricchiscono la lingua, la spogliano delle voci stranie- re, l’emendano delle irregolarità , 1’ assoggettano ad una stabile legge grammaticale , e da incerta, torbida , muta- bile lingua unane eccitano ordinata e costante. La lingua popolare è per essi una miniera da cui traggono 1’ oro con altre sostanze eterogonee immedesimato. Eglino lo purifica- no nell’ officina , lo domano , e lo rendono splendido ed utile agli usi dell’ umana vita. Questi scrittori si somi- gliano per occulta ed intrinseca virtù di criterio e di gusto, e stabiliscono tacitamente una legge quasi positiva, alla quale spontaneamente tutti gli altri obbediscono. E perchè la lin- gua segue sempre e per ogni dove i progressi della civiltà sia in chi scrive sia in chi favella , di qua è che pur nella mo- derna greca torna la distinzione di parlar nobile e di par- lare plebeo . E quello si frappone a questo ed alla lingua scritta, e come da essa voci e frasi riceve più terse e po- lite, così parimente coopera al miglioramento della lingua plebea . Tali furono le vicissitudini presso a poco alle quali soggiacque la greca favella. Ed esse meglio si renderanno 70 palesi, quando più dotti e filologi di varie contrade di Gre- cia perchè Certamente dei più l’opra è migliore, si faranno a compilare un dizionario nel quale le paro- le e le frasi che appartengono a diverse provincie, scrit- ture ed epoche, saranno registrate, dichiarate , distin- te. Allora eglino, accordando l’esempio colla definizione , la grammatica colla logica , l’erudizione colla filosofia, separando l’antico dal nuovo, l’indigeno dal peregrino , offriranno le norme d’una lingua migliore, e dirò così ecletica. Per questo dizionario scopriransi gli anelli che uniscono le diverse età della greca favella, e per acco- munare la parlata all’ antica, basterà il più delle volte, ch’ ella sia emendata, poichè sino dai tempi di Leone il filosofo, per grammatica altro non s’intendeva che ri- durre le parole correnti all’ ellenica correzione (44). E di tale genere di lavori ne ha già segnate le traccie la musa dell’interpretazione, che come già da altri Eustazio, così da noi chiamerassi quel Coray tanto illustre, e tanto be- nemerito della rinascente Grecia. Che se molti vocaboli del secolo d’oro rimarransi muti, quali sempre, e quali per certo tempo, nuove ricchezze si aduneranno dai parlari del popolo, dagli scrittori dell’ età inferiore, dai dommi, dal culto e dalle cerimonie religiose, e dalle arti e scienze felicemente ristorate e cresciute per gli studi degli stra- nieri. Sennonchè sarà forza che questi stranieri emendino spesso le loro nomenclature. Perchè se le greche parole composte servono mirabilmente alla brevità ed alla proprietà della definizione, e se per esse si viene a stabilire in par- te quella lingua universale alla quale aspirano i filosofi, non potrebbero nondimanco tutte accettare i Greci cote- ste parole, foggiate essendo non poche arbitrariamente e capricciosamente, e in modo troppo contrario alla natura ed alle leggi della lor lingua. Come la moneta non ripete unicamente il valor suo dal metallo, ma dal conio anche e dal secolo, e dal luogo (44) Teof. L. IV. FSE dove corre, così ogni lingua col sorgere delle nuove occa- sioni, e colla diversità dei tempi soggiace a certe muta- zioni. Quindi ben quel sapiente Demonace presso Lucia- no a colui che gli favellava atticissimamente disse : o So- zio io ora t'interrogo e tu mi rispondi dal tempo d’Aga- mennone. Ma tali mutazioni non altrimenti sono che le varie età in un uomo medesimo , e di una lingua non ne costituiscono due diverse. E meno sensibili riescono nella greca lingua, se si riguarda all’intervallo dei molti secoli per cui esse corrono. A ciò forse contribuì il torpore e l’anne- ghittimento ai quali essa soggiacque, e quel destino che volle soggetti sempre i Greci a’ popoli meno culti e gen- tili; perciocchè se stata fosse imperante ed attiva, o se i dominatori di Grecia come colla forza così coll’ingegno e colla sapienza l’avessero sovrastata, la nostra lingua per più guise si sarebbe alterata. Fozio, giudicando Agapio, la distingue in artica ed in popolare, onde antica qui non significa se non se scritta. Ma l’uso, i continui bisogni, additarono a’ più assennati intelletti ch'era d’uopo prefe- rire ad un linguaggio fittizio e d’imitazione un'altro spi- rante vita, e che le idee balzar deggiono dalla mente ve- stite di parole, e le parole esser deggiono quasi corpo animato dalle idee. Alla distinzione di lingua antica e popolare si sostituì quella più conveniente e consueta di illustre e plebea, di parlata e di scritta, e quindi la lin- gua, che dall'antica libera Grecia di padre in figlio alla Grecia d’oggidì pervenne, è una ed inseparabile . Questa lingua , se differisce in certi luoghi più o meno per parziali idiotismi, o per posizioni di accenti, o per passioni di voci, è parlata in Asia ed in Europa con uni- formità ignota alle altre lingue , in guisa che le più rozze e rustiche persone di estremi e opposti confini s'intendono prontamente e generalmente . Il vulgo la chiama fwpea}. Altre lingue furono pur chiamate romanze, e rettamente, perchè figlie della romana. Ma la nostra nol fu, se non perchè i Greci formavano porzione del romano impero traslocato in Bisanzio. L’ improprietà di tale servile denominazione apparisce viemaggiormente dopo la cadu- 72 ta di quell’impero. Altri la dissero volgare, popolare; triviale ec., ma queste appellazioni mal si convengono ad una lingua già fatta illustre da più scrittori. Vi fu chi la nomò ecclesiastica, perchè da uomini di chiesa fu con- servata ed adoperata, ma non tornerebbe più in acconcio il nomar ora così una lingua che s’ è fatta interprete delle scienze, e canta le dolcezze d’ amore e i travagli di Mar- te. Chi la disse può fepBepoy ( semi-barbara ,) ostinandosi di richiamarla alle regole , alle forme, alle dizioni antiche ; e chi le diede il nome di greca per distinguerla dall’ e//e- nica; ma il nome di greco non fu proprio che ad una piccola gente della Tessaglia , e se gli stranieri lo imposero ab antico all’intera nazione , ella si tenne per sè sempre quello di elle- nica. Vi fu chi ideò di chiamarla eolo-dorica, perchè i dialetti eolico e dorico prevalgono in essa, ma gli altri non sono esclusi. Altri finalmente mirando alla comune origine ed al comun uso l’appellò comure, ma questo aggettivo richie= de un sostantivo a cui appoggiarsi e che determinare possa la lingua. Tutte queste appellazioni si distruggono mu- tuamente perchè suggerite da circostanze e volontà partico» lari, e tante incertezze non si possono risolvere che col darle il vero nome che le si compete di lingua ellenica, o di nuov ellenica. Le sue qualità caratteristiche la scopriran- no in ciò ch’è diversa dall’antica, mentre l’ universalità sua nella contrada ov’ ella si parla le danno il diritto di conservare questo glorioso nome , comune a quello del po- polo che ora riunisce in un sol corpo le già sparse e tra- vagliate sue membra. Nè solo perciò n° è degna, ma per quei pregj ancora dell’ antica ellenica dei quali ella par- tecipa, e che l’ innalzano sopra tutte le moderne e più nobili. Essa corrisponde alla penetrazione, alla sensibilità, ed al criterio delle genti, alla bontà e soavità del clima, alla feracità e pittoresche gradazioni del suolo di Grecia, e per la moltitudine delle parole è ricchissima, per la so- miglianza colle cose significate espressiva, per l’accoppia- mento e compenetrazione delle parole breve ed efficace, pel mescolamento delle vocali e delle consonanti grata, e per esso e per la varietà degli accenti melodiosa, per 73 le derivazioni da poche centinaja di radicali, chiara e filo- sofica, per le figure e per le inversioni e giro delle frasi varia , ondeggiante, volubile, agile e maestosa. AnpreA MusroxIDI TTTTEI|*ie/;ADAMI hi àÈ»APRPdAeEe tti {-«««kk:::«“««<<< <<“ Sulla libertà del commercio frumentario . Memoria II. letta dal Marchese Cosimo RipoLFi a//’ I. e R. Accademia dei Gcorgofili il dì 6. Febbrajo 1825. Si les rangs moyens et supérieurs de la société s’entendaient à leurs propres intéréts, ila s’opposerarent constamment à tout impòt qu'on voudroit asseoir sur les objets de nécessité, ainsi qu'à tout impòt sur le salaire du travail; c'est sur eux mémes , et toujours avec une surcharge considérable , que tombe le paye- ment final de ces deux sortes d’ impòts. Smith - Recherches etc. Art. Taxes sur les objets de consommation. SIGNORI A. vecchie dubbiezze ed a risorti timori noi vediamo per tutta Europa (1) assoggettarsi la ragione di molti in fatto di pub- blica economia ora che dal rapido mutamento politico tutto il mondo ha ricevuto una tal commozione che le industrie dei po- poli fragorosamente si muovono , ed in questo rumoroso muovi- mento i più ravvisano disordine e perdite , laddove non vi ha forse che armonia perfetta e guadagno. Ma noi Georgofili, edu- cati un giorno a mirar da presso consimili sognati perigli e fa- volose chimere, ora che esse ripullulano non ci sgomenteremo; ma forti della nostra esperienza , caldi del nostro dovere, sol- leciti della nostra fama e più del bene del nostro paese , fa- remo ognora suonar queste mura dei nostri accenti sacri alla LI- BERTA' DELL’ INDUSDRIA . E ben conforta colui che a difenderne la parte più viva, (1) I giornali e le Accademie si occupano da per tutto della questione che forma il soggetto di questa memoria , ed anzi ella è giudicata tanto ime portante che sono stati pubblicati diversi programmi i quali la fanno sog- getto di concorso. La società reale d' agricoltura di Copenaghen ha fra le altre offerto un premio a chi meglio spiegherà la causa dell’ attuale vinvilio dei grani in Danimarca ed insegnerà a rimediarvi efficacemente. Ecco un campo che può esser ferace a chi ama proporre infallibili panacee per questo malore. Madama di Stael ripeterebbe adesso a proposito - les siècles avan cent, mais les hommes reculent, 74 il commercio dei grani, oggi si accinge contro le rinnovate que- rele la pubblicazione del vostro programma, o Illustri Accade- mici, nel quale chiedete con quali industrie potrebbero ì Ma- remmani nell’ attuale stato economico agrario del loro paese avvantaggiarne la cultura ed aumentarne i profitti. Tmperoc- chè questo interessante programma toglie ad ogni concorrente l’arbitrio d’accennare , non che proporre , all’ uopo restrizio- ni e regolamenti annonarj, privilegj e premj governativi all’in- dustria , e solo gli lascia un libero campo per indicare quei raffinamenti che l’ agricoltura può trovare in se stessa onde util- mente sostenere le sue pratiche , senza nuocere al generale in- teresse del consumatore dei suoi prodotti, e fa pubblica te- stimonianza della saviezza dei vostri principj. Questo difficil problema sarebbe sciolto completamente da quello che insegnasse a ridurre la Maremma tutta soggetta al sistema di colonia (2); nè vorrei credere che ove si dimostrasse possibile e salutare questo cambiamento di sua cultura , si avesse a dichiarare che il concorrente fosse in opposizione coi principj dell’Accademia, la quale non può colle parole - stato attuale economico agrario della Maremma - aver voluto impedire che si propongano quelle modificazioni le quali più opportune fossero a migliorarlo, to- sto che da questo miglioramento fosse l’ aumento dei profitti per derivare . Nè qui si creda che io riguardi come facile e piano lo scio- glimento del quesito dietro l'enunciata semplicissima idea. Sento benissimo la difficoltà e la complicanza dei di lei sviluppi; la lentezza della sua applicazione alla pratica, l’impossibilità forse (2) L'esperienza e la ragione hanno dimostrato più volte come il buo- nificamento di una provincia di mal-aria non può operarsi che successiva- mente e quindi con una certa lentezza 3 ogni altro metodo non corrispose giammai , e molte vittime furono inutilmente sacrificate all’ idolo di un fret- toloso interesse. Ma una vasta operazione diretta sulle basi indicate abbi- sogna di due specie d’industria ; una che diriga i lavori dai quali essa di- pende, e l’altra che’ mantenga il prodotto di tali lavori. Ora questa secon- da industria non può esser meglio affidata che a piccoli proprietarj, i qua- li vivano sulla faccia del luogo , o a mezzajoli che nel procacciare il loro vantaggio quello producono del gran proprietario al quale sono subordinati, e che per essi diviene un Argo un Gige, laddove senz’ essi egli è quasi senz’occhj e senza braccia. Nel primo caso può dal solo Governo sperar la Maremma la sua salute ; può nel secondo sperarla anche da intelligenti e ricchi particolari, ai quali pare che l’ istruzione propria del loro ceto, l’in- teresse compagno dei loro capitali, el’amor di patria debito di loro sorte , specialmente raccomandino una sì mobile e gloriosa intrapresa + 75 d’applicarla senza provar qualche danno dall’innovazione del me- todo. Ma son però d’ altronde convinto esser quello il piano più semplice e più certo nel fine, e quello a cui dovrebbero ten- dere gli sforzi d’una associazione che a vantaggio della infeli- ce Maremma si organizzasse . A distogliere dalla quale intra- presa non hanno forza gli esemp) dei luminosi fallimenti delle nostre antiche mercantili compagnie , condotte da cause politi- che alla rovina, nè l’ infelice riuscita del, troppo diverso dal nostro caso, gigantesco progetto di Law. Contro là formazio- ne di una fortunata associazione di capitalisti e di proprietarj per il miglioramento della Maremma, s’inalza solo là nostra na- tural timidezza per tutto quello che esige di spinger l’occhio al di la della consueta periferia ; dessa è che riveste il difficile e il grande colla forma dell’ impossibile, soffocando così nel suo sviluppo ogni germe più fecondo, ed opponendo ostacoli al suo germogliamento , laddove la nostra gloria ed il nostro interesse vorrebbero che tutti intendessimo a favorirlo, mal sofferendo che egli abortisse anche per imprevisibil destino, non che per me- ditato disegno. Qual responsabilità dirimpetto al genere umano non assumerebbero quelli che ad una grandiosa operazione, ed allo zelo d’illuminati speculatori facessero subentrare lo scoraggia- mento e l’ abbandono, solo perchè essi credettero impossbile ciò che per quegli era perfettamente eseguibile? E quali mai sono que- sti invincibili ostacoli, che al suo buonificamento oppone la con- dizione della Maremma? Essa non è già, o Signori, la selva in- cantata d’ Ismeno in materia di spettri e fantasmi economici , dei quali la riempiono solo i timori di alcuni partigiani dei vin- coli annonarj. Non vi è finalmente che l’ultima Maremma Sane- se, la quale si trovi in angustie dopo la caduta considerabile dei prezzi del grano. Non così però nella Maremma Volterra- na ; in essa la sementa del grano vedesi tuttora seguita con ar- dore, e delle notizie sicure mi serviranno a provare col calcolo i di iei felici resultamenti nell’anno caduto. Nel territorio Volterrano, presa una media, il grano pro- dusse delle g. e così sacca g00., di raccolta per 100. di seme. Questo grano importò sc. 1,157. 1. —. —. perchè venduto a lire 9. il sacco. La sua cultura dalla sementa a tutta la rac- colta costò sc. 752. — ai quali aggiunto il valore del grano impiegato per seme in sc. 128. 4. —. —. si ha una spesa di sc. 880. 4. —. —. quale detratta dal prodotto indicato lascia un utile netto di sc. 276. 4. —. —. Nel territorio di Piombino 100. sacca di grano vollero per esser sementate, e per raccoglierne 76 il prodotto, la spesa di se. 595. 1. 13. 4. dettero di raccolta ; 7oo. sacca e queste valutate a lire 8. 10. —. ( prezzo medio locale dell’anno ) importarono sc. 850. Aggiunto alla spesa di pro- dazione il valore del seme in sc. 121. 3. —. —, e poi sottratto il tatto dal valor del prodotto resta un benefizio di sc. 133. 2. 6. 8. Nel territorio di Campiglia la sementa di roo. sacca di gra- no e poi la raccolta corrispondente costò sc. 616. 4. 13. 4. alla qual somma aggiunto il valore del seme si ebbe un uscita di sc. 730. 6. 13. 4. Ivi la raccolta produsse dalle 8; e le 800 sac- ca ottenute si venderono sc. 914. 2. —. —. Ebbero dunque i proprietarj un benefizio di sc. 183. per ogni 100. sacca di grano affidato al terreno (3). Finalmente la popolazione di questi tre territorj crebbe in otto anni di 5156, individui, ad onta dei danni infiniti cagionati dal tifo nel 1817, Nella Maremma Pisana poi se l'industria privata d’ alcuno trovò vantaggioso di restringere la sementa dei grani, non con- sigliò per questo l’ abbandono del suolo, ed al contrario sicuri ragguagli dimostrano che la popolazione vi si accresce, che la cultura della vite e dell’ olivo vi si estende ogni giorno, e che il calcolo del privato interesse invita i proprietarj a propaga- re il sistema di colonia , diminuendo quello di gran cultura, Egli è di fatto troppo costoso , ed in esso hanno molto vantaggio so- pra di noi gli stranieri, mentre nel sistema colonico noi abbia- mo una superiorità assoluta sopra di loro, lo che riduce l’agri- coltura mista del nostro paese, come altra volta provai, ido- nea a sostenere il concorso di quella semplice e grossolana del- l’ Affrica, dell’Asia e della nordica Europa (4). (3) Un fondo capace di ricevere 100. sacca di grano a sementa può va- lutarsi nel Volterrano circa scudi tremila. Così da un capitale di scu- di 3880, 4. —. —. avremo ottenuta la rendita di scudi 276. 4. —. —. e per conseguenza un frutto del 7. per cento. Il territorio Piombinese fruttò più del 5. per cento, e quel di Campiglia ragguagliò quasi al 6. per cento. (4) Il cresciuto prezzo del vino e dell’ olio, rende già meno dannoso al proprietario quello del grano che sembra giunto al punto più basso possi- bile. Ciò è conforme a quanto avevo congetturato ed esposto in altra mia memoria fino dal maggio dell’ anno scorso . Fra le risurse dei possidenti in certe località io trascurai però d’ indicarne una vistosissima e supplisco adesso a questa mancanza . Durante la sementa dei grani del 1824. i proprietarj di suolo hanno fatta con grandi speranze una vistosa sementa di grano marzuolo per ricavarne paglia da far cappelli. Onde poter calcolare l’importanza di que- sta speculazione gioverà sapere che tutti quelli i quali hanno voluto cedere il loro suolo ad altri per farvi la detta sementa, ne hanno ricavato dalle 56. lire alle 108, la saccata comune a seconda della qualità del terreno ceduto, ma sem- 77 Nè il sistema colonico trapiantato nella Maremma Sanese sarebbe in opposizione colle vedute del gran Leopoldo, il quale mentre coraggiosamente tolse ogni dazio all’ estrazione del gra- no quando appunto egli costava fra noi lire 37, il sacco, e tolse ogni vincolo alla sua importazione allora che non valeva il fru- mento che lire 13. e mezzo, non volle la Maremma, come il re- sto del Gran-Ducato, divisa nel maggior numero possibile di possidenti, ed anzi permesse che in essa possedessero perfino le mani morte o religiose corporazioni, imperocchè ben cono- sceva quel Principe il grave dispendio della maremmana colti- vazione, e la necessità d’anticipar somme vistose per renderla produttiva. Alla qual sorta di speculazione tanto arrisero le circostanze che la cultura si distese straordinariamente nella in- salubre Maremma sopracchiamando e però soprappagando un maggior numero dell’ ordinario di braccia straniere , e cedendo al cupido interesse del momento vi si sostituirono le etimere biade alle perenni e venerande foreste , queste abbruciando solo per far commercio delle loro ceneri, e quelle con immensa spesa di mano d’opra strappando al violato terreno vedovo d’alberi annosi e infecondo d’abitatori (5). Ma quel caro prezzo dei grani, malaugurato consigliatore di sì fallace intrapresa, nacque in gran parte dalle meschine rac- colte che ci erano concesse dall’inclemenza delle stagioni, e si mantenne per le guerre crudeli ed interminabili non meno che per altre cause politiche , le quali non cedettero alla contempla- zione della nostra miseria, Tutto era squallore fra noi, e ad onta di quei prezzi eccessivi dei prodotti del suolo, nessuno fra i possidenti avrebbe cuore d’ invocare il ritorno di quella situazio- ne economica. L’ uomo frattanto credendosi troppo spesso spe- culatore isolato nel mondo, diresse la propria industria alla cultura del grano che parea fatto la pianta degli orti Esperi- di. Ma questo calcolo, appunto perchè vantaggiosissimo allora, divenre generale e lo speculatore ben lungi dall’ esser solo nel suo progetto, v’ ebbe compagni tutti quelli che ne trovarono il modo; talchè vide poi tanto aumentato il prodotto della industria comune sotto il favore di un cielo benigno, che dovunque il frumento bastò al consumo, ed in molti luoghi lo vinse d’assai; pre situato in poggio, risparmiando a vantaggio di fondi migliori e la mano d'opra e i letami, ed esimendosi da ogui rischio di siccità di grandine ec. (5) È forza però di confessare che la fabbricazione della potassa non recò alle macchie della Maremma Senese tutto quel danno che essa produsse ad altre foreste delle Toscana. 78 quindi la caduta del di lui prezzo divenne inevitabile e generale, come inevitabili e generali furono le cause che la prepararono. Non fu allora Governo che impedir la potesse o con dazj o con proibizioni d’ importazione; queste misure benchè tentate e con severità custodite, mancarono dell’ energia necessaria per riuscire all'impresa, che richiedeva la distruzione completa di quanto almeno esistea di superfluo allo stretto consumo degli uomini per riuscire concludente. E qui permettete che io vi racconti dei fatti analoghi ai nostri accaduti presso altri popoli, e che di loro mi serva a provare che a tal rovescio di for- tana fanno vano schermo le provvidenze annonarie. Gli Agri- coltori Inglesi dolendosi del basso prezzo dei grani, il quale non ricompensava la spesa di loro cultura nei terreni poco fer- tili, o sui quali fosse la mano d’opera per cause diverse assai cara, ottennero stancando il Governo coi loro clamori l’ assoluta proibizione dell’importazione dall’ estero, che era permessa ma gravata dal dazio. (6) Nulla concesse di sostanziale il Governo in questa misura, perchè i prezzi Inglesi caduti allora a livello ed anche al di sotto di quelli dei popoli continentali non invi- tavano gli stranieri a portar del grano nel regno unito. Una tal decadenza di prezzi nasceva dunque unicamente dalla troppa estensione della cultura interna dell’ Isola, ed essa sola sconsi- gliava la cultura dei luoghi ove era troppo costosa, ed ove sen- za il sistema regolamentario, o senza l'intervento. casuale di prezzi altissimi ( come è avvennto fra noi) non si sarebbe di- stesa giammai. Nulla concluse la proibizione dell’ importazione dei grani stranieri, ed i prezzi si mantennero bassi finchè si raccolse di troppo; ma la progressiva diminuzione delle semente divenne (6) L'Inghilterra allorché pensò a migliorare la sua cultura falsamente cre- dè vantaggioso al proprio interesse l’ accordare dei premj all’ estrazione del frn- mento prodotto in tanta copia nel regno da avanzare al consumo, Ma questa legge necessitò l’altra di daziare i grani che dall’ estero si volessero impor- tare nella Gran Brettagna senza di che i grani vi correrebbcro solo per guada- guare il premio d’ esportazione e ne uscirebbero per vendersi in altri mercati, Nè giova fidare nella situazione geografica del paese, e nella vigilanza dell’ ammini- strazione, o nella forza «del Governo. Ove son vincoli son contrabbandi; e l’Inghilter- ra ad onta di tutti i suoi vantaggi per sostenere il sistema proibitivo si è veduta spesso delusa, ed è nota l’istoria di un carico di grano che riportò molte volte il premio d’esportazione essendo stato sempre reimportato di frodo. E chi non sa quanti e quali fossero i contrabbandi durante il famoso sistema continentale, opera immensa, ardita. e sostenuta con tante forze quante dipendevano dal genio allora felice di Napoleone? 79 sensibile nelle raccolte, ed i prezzi cominciarono a crescere; lo scoraggimento darò oltre il dovere, e l’ industria non si riaccese che allorquando fu assicurata di vistosi guadagni dall’ eccessivo aumento dei prezzi, Tornò allora a dilatarsi di nuovo la cultura del grano, e tutto che restassero chiusi i porti ai cereali stra- nieri, tanto si fecero abbondanti i mercati, che i grani ricad- dero presto più bassi di prima. Or mi si dica quali vantaggi risentì V Inghilterra dai suoi provvedimenti annonarj , o piuttosto se i di lei coltivatori non perdessero poco dopo i molti milioni impiegati ad apportare questa per essi funesta abbondanza ? Tornate adesso meco, o Sigg. a considerare se la Maremma Sa- nese si trovi nel caso stesso. I prezzi fortissimi degli anni ca- duti furono procurati da cause invincibili. Convenne allora di estendervi la cultura del grano; oggi caddero i prezzi, ed i ca- pitali così impiegati in alcune parti di lei sono in gran parte perduti. Nè ii caso è nuovo. Scriveva il mirabile economista Bandini nel 1737. che i prezzi correnti non indennizzavano più la cultura del grano nella Sanese Maremma ove essa costava scudi 60. il moggio, e che anzi dai possidenti facendosi uno scapito in questa speculazione diminuivano la sementa e lasciavano inselva- tichire i loro campi. Ma il Bandini vedea nella estrazione del grano Maremmano il solo rimedio, sperando unicamente nella possibilità di un felice commercio all’ estero , non potendo quella derrata trovare util mercato nell’ interno del Gran Ducato senza il concorso de’ prezzi altissimi; il Bandini finalmente chiedeva al Governo abolizioni di tasse, diminuzioni di leggi annonarie , in una parola volea sanar la Maremma facendole scendere in seno un respiro di libertà . Ai mali dell’Inghilterra or ora accennati favvi taluno il quale propose come riparo un gravosissimo dazio, non tanto sul grano estero quanto sopra ogni altro genere importabile de- stinato al vitto animale. Ma ben presto i fautori d’ un errore così grossolano sì vergognarono del loro stesso progetto, e pensa- rono di mitigarlo e di renderlo idoneo a soccorrer l’ agricoltura in urgenze particolari, facendo dipendere dal consiglio privato dei ministri la facoltà d’aggravare, scemare, ed anche togliere il dazio tempo per tempo, ed a seconda dei prezzi correnti, e dell'aspetto delle diverse racolte omai condotte vicine al punto di loro maturità. Ma per fortuna della Gran Brettagna non fuvvi uomo savio che giudicasse i ministri talmente versati nella Ma- gia, dice un economista Inglese, da saper sciogliere felicemente un problema, del quale posson trovare le incognite è solz stre- So goni. Eppure dei simili compensi propongonsi tuttogiorno: ed anche in Toscana, felice paese a cui non manca che di me- glio conoscere l’origne vera della sua prosperità, si sentono mo- destamente progettare dazj d’entrata sul grano, e credendo dir cosa nuova, proporli temporarj e mutabili secondo il giudizio del nostro Governo. Eppure in Toscana, e per la Toscana scri- veva il Bandini ,, io non niego che non si siano alle volte date delle carestie vere e reali, ma dico bene che la maggior parte di esse son fatte a mano, per isbaglio , per industria, e per zelo eziandio di chi governa, poichè gli è impossibile che chi go- verna arrivi a sapere anche a molte migliaja di moggia il bi- sogno di una provincia pari alla nostra Toscana ,, +. E sia difatti con pace di tai progettisti allorchè il Governo dichiarasse che occorre togliere o diminuire il dazio d’impor- tazione perchè la raccolta si mostra meschina o perchè i prezzi salgon di troppo, chi assicurerebbe i mercanti che la quantità di grano che fossero per importare non giungesse a tanto da far cadere il prezzo al disotto del giusto preteso, e quindi tro- varsi con dei carichi già pronti ad entrar nel porto quando il dazio torna appunto a vietargliene l’ ingresso? E ciò sarebbe un nulla, perchè supporrebbe buona fede negli speculatori i quali non soglion riporla giammai ove la libertà del loro commercio è eventuale. Ma, lo soffrano ancora i contrarj opinanti, una tal dichiarazione ministeriale non aggraverebbe ella î mali della fame col prevederli? Se il Governo avvertisse il pubblico colla diminuzione dei dazj che teme la carestia per il suo popolo ditemi, o Sigg. qual diverrebbe il commercio interno del gra- no? Qual sicurezza di proprietà resterebb' egli al possessore per non vedersi spogliato dal povero, che senza mezzi legittimi vuol fare le sue provvisioni contro l'imminente pericolo, il quale se poi svanisse e fosse stato solamente temuto dai ministri, chi ristorerebbe il paese dei mali sofferti per la loro paterna sot- lecitudine? Questo sistema darebbe per resultato il cumulo di tutti gli errori dei ministri coi timori dei visionari, coi falsi calcoli dei mal accorti e colle stravaganze del pubblico che in fatto di pane non resta mai indifferente, e verifica ognora |’ as- serzione di Bacone, il quale diceva esser le rivoluzioni del ven- tre le peggiori di tutte. Quelli che si propongono di far felice un paese con il mezze specioso di render artificiosamente elevato il prezzo di an ge- nere che egli produce, bisogna che non abbiano mai riflettuto , che se fosse anche possibile di creare questo prezzo fattizio, non 81 potrebbe giammai risaltarne vera ricchezza , giacchè se il valore del genere divenisse così superiore a quello degli altri popoli non potrebbe farsene oggetto d’esportazione, ed il suo prezzo pagato dai soli consumatori interni ai primi produttori non sa- rebbe che un inutile oltrechè ingiusto trasporto del danaro di quelli nelle tasche di questi, mentre in gran parte presso i primi ritornerebbe di nuovo per l’inalzamento delle mercedì, che dal prezzo fattizio risulterebbe se fosse per durar qualche tempo. Bisogna di più che non abbiano mai pensato che se questo prezzo fattizio nascesse dall’ imposta sul grano stra- niero, il quale fosse però giuoco forza di comperare a mal- grado dell’ alto suo prezzo , emergerebbe senza dubbio la conseguenza di una proporzionale depreziazione dei generi che noi cediamo in conguaglio, perchè il valor della tassa non essendo a benefizio dello straniero venditore di grano ei non la calcola e non la può spendere sul nostro mercato; così se una statuetta d’alabastro paga adesso un sacco di grano Ales- sandrino , allora pagherà egualmente quel grano, ma resterà la gabella da sodisfare con una medaglia, non già d’ alabastro ma d’oro (7). E ben di non lieve fallo m’imputereste, o Sigg. se io limitassi i danni d’un prezzo fattizio ai soli esposti brevemente fin qui, e con ragione soggiungereste; ma questo capitale posto così in muovimento , e del quale la maggior parte va perduta nel gra- no consumato per vitto dai produttori e nelle biade divorate dagli animali domestici ec, non sarebb’ egli frutto d’ una crude- le imposizione che s'invoca sul popolo, mentre il popolo do- manda diminuzione d’imposte? Ed io ripiglio; so bene che non è chiaro ancora se sia veramente giusto d’imporre sui ricchi per far vivere i poveri, e quindi asserisco esser ingiustissima cosa imporre i poveri per far più lautamente vivere i ricchi, e mi compiaccio avvertire che gli economisti Inglesi sostenitori della libertà frumentaria dimostrano oggi che di cirea 22. milioni sterlini che le restrizioni di tal commercio tolgono ai consu- matori di grano dell’ Inghilterra, neppure uno solo giunge in mano del produttore, e tutti vanno perduti nei titoli indicati di so- pra, ed in altri molti che inutil sarebbe di porre innanzi al vostro fino discernimento, il quale non dubita che l’effetto delle tasse, o si tratti di quelle dell’agricoltore o del manifatturiere (7) Smith ha detto con molta eloquenza e con gran verità che l'ingiu- stizia e l’avarizia hanno sempre la vista corta, T. XVII. Marzo 6 82 è sempre nocivo all’industria ed alla ricchezza del popolo in generale, e riconosce in quelle che esistono fra di noi o una misura della finanza, come dissi altra volta, o un’ imperfezione del sistema generale, e non già un principio economico diretto di fatto a sostenere e migliorare le arti fra noi (8). Ma prima di lasciar la questione aggiungerò ancora due fatti a consolidar i prin- cipj da me sostenuti. 1.° E dimostrato che allorquando una tassa ha cercato di far crescere il prezzo di un prodotto, non escludendo già, ma promettendo d’ escludere la concorrenza, non ha fatto realmente che invitare nuovi capitali a versarsi in questa specula- zione allucinando l’ingordigia dello speculatore, dal che sempre è nato poi il ribasso del genere al di sotto del prezzo iniziale, ed ha condotto necessariamente ad immaginare il mostruoso sistema d’ esenzioni e di privative, che molti vorrebbero veder distrutto per il bene dell’ uman genere, e che nessuno certo proporrebbe d’ applicare alla produzione dei generi di prima necessità, 2.°Ciò che si è fatto, e non si è ben fatto, in qualche luogo per le manifatture, non può in nessun tempo addarsi in esempio per ciò che si propone di fare in vista di giovare all'agricoltura ; non solo perchè i principj generali della scienza vi si oppongono , ma perchè ancora l’ intrinseca natura dell’ industria agraria ne ma- nifesta il danno. L’ industria agraria tende sempre a somministrare i suoi prodotti a più caro prezzo al crescere del consumo in quanto che bisogna ricavarli ove più costa ottenerli , essendo forza aver minor profitto da più abbondante sudore, tosto che l’agricoltu- ra si estende dai migliori terreni nei meno fertili, che son sempre gli ultimi a porsi a contribuzione. L'industria mani- (8) Io sosterrei volentieri che la proibita estrazione dei cenci non gio- va in modo alcuno alle nostre cartiere, tutto che si vanti il contrario per cavarne poi, come da altri simili esempj, conseguenze falsissime. Il fatto mostra che i cenci Romani e Bolognesi vengono in Toscana e vi si naturalizzano; quindi come Toscani o sono dai nostri fabbricanti di carta adoperati, o tor- nano ad estarsi in contrabbando dal nostro paése, e con questo nuovo pregio si rendono ai popoli che gli spogliarono. Insieme coi cenci importati, e che si riesportano, frodano la vigilanza fiscale i cenci veri Toscani quando l’ in- teresse il consiglia. I cenci dunque come ogni altra cosa si vendono al mag- giore e migliore offerente, nè la legge determina mai nessuno a fare un sa- crifizio sul valore della sua proprietà. Comprare e vendere é sempre un ef- fetto libero che non può riconoscere nè principio nè mezzo servile, tranne la tirannia del bisogno. Cenci, grano, perle, diamanti, denaro e credito si cam- biano sempre fra loro in diverse proporzioni di peso e volume, ma sempre colla misura dell'interesse, che non ammette altra legge fuori della reciproca utilità, reciprocità che dispensa ogni superiore intervento di forza. 83 fatturiera al contrario coi perfezionamenti dei suoi processi e coll’ economia indotta dalle macchine ‘migliorate (9) offre ognora a miglior mercato i suoi prodotti in ragione che se ne accresce il consumo, Ecco mi pare due sostanziali differenze che impe- discono, e sempre impediranno all’ economista filosofo di sotto- porre ogni sorta d’industria ad altra legge comune che a quella sola che tutto favorisce nel mondo /a libertà. E qui mi consola il riflettere che se si eccettuano pochi uomini, i quali pensano di poter sanare tutti i mali economici della società colla sola scorta della loro bilancia diretta ognora a cercar l'equilibrio, tutti gli altri convengono che è impos- sibile di sostenere in un paese il prezzo di un genere ad un titolo più elevato che nei luoghi circonvicini . Ciò ammesso, se noi porremo uno dei loro contrappesi , cioè un dazio, a Livorno sul grano per esempio d’Egitto, e se ( am- mettiamolo pure ) il prezzo dei nostri frumenti crescesse per questo sensibilmente fra noi, il grano d’ Egitto verrebbe in- trodotto come grano Genovese, Bolognese, Romano ec. ma il prezzo tornerebbe al suo vero livello ; e se tutti i grani non Toscani fossero daziati, essi sarebbero non ostante introdotti, ed il consumatore pagherebbe quella gabella che quasi sempre sarebbe stata frodata dal venditore, e lo stato aggravando i sudditi e dandosi un carico immenso dovrebbe, e sempre senza effetto, raddoppiando le dogane e i doganieri perdere in faccia agli amministrati quel carattere dolce e leale che tanto lo rende: adorabile. E di grazia lasciatemi citare anche una volta il Ban- dini, il quale ebbe il coraggio di scrivere che una nuova gabella oltre a raolti danni calcolabili uno ne produce sempre ,, tanto maggiore quanto meno considerato, di rovinare molti fedeli vas- salli per arricchire non si sa chi, cioè qualche delatore segreto, o qualche birro nato non si sa dove, che faccian luogo ai pro- cessi e promuovano le inquisizioni ,,. (9) L'Algarotti non dubitava dell'utilità delle macchine come adesso av- Viene quando scrisse. Aprir canali e fabbricare ingegni Util cosa fu sempre, onde si compia Con poche mani opera molta ..... e più sotto Nè già ti smuova dalla bella impresa Bisbigliar delle genti, obliquo riso, Vano pianto o lamento, all'opre degne Usato premio e solita mercede. Epistola sopra il Commercio. 84 E tutto questo perchè ? Nel sistema attuale e mentre i paesi limitrofi hanno in vigore; e non se ne lodano, il sistema vinco= lante il commercio dei grani, possiamo noi dolerci di prezzi in- feriori a quelli in essi correnti? No certamente; per tutta Italia ebbero i grani nel caduto anno un prezzo più basso che fra di noi; e per istituire un confronto il meno disparato possibile ascol- tate o signori il parallelo seguente . Costarono in Livorno i grani forestieri presa una media delle qualità e dei prezzi lire g. 15. 6 il sacco; costarono in Genova lire 13. 14. —, ma ivi la vendita esige gabella, e il valore di questa gabella sottratto avrebbero i Genovesi comprato quel grano a sole lire 9. 19. — prezzo che realmente ne ricavavano i venditori, e sempre superiore a quello che ne ottenevano al nostro porto. E mentre a Genova il grano Piemontese, non già il Lombardo perchè daziato , si è venduto a lire 13. 16. 4 il sacco preso al solito modo una media , il nostro To- scano presa quella delle mercuriali di Firenze, Prato , Empoli, S. Casciano e Ponte a Sieve tornò venduto a lire 13. 17. 8 (ro). Nè la gabella rese l’ importazione minore di quello che senza di lei sarebbe stata in Genova, né rese ai possidenti di terra ferma più abbondante In spaccio delle loro derrate. Portiamo adesso il nostro sguardo sulla Francia e vedremo che ivi pure il fatto smentisce le teorie che si vorrebbero propagar fra di noi, e prova che il livello quasi Europeo dei prezzi del grano nel 1823. non fa casuale, come alcuni prete- sero, ma dipendente dall’impotenza dei vincoli nel creare dei prezzi artificiali alle cose. Nel 1824 aveva il Governo fissato i soliti estremi dei prezzi ai grani nazionali, e le loro medie dettero lire 20. —. 6 e lire 20. 17. — il sacco; ma la media dei prezzi veri correnti dette solamente lire 13. 1. 4. Nè altrimenti accadeva fra noi allo spirare del regno Mediceo. L’avvilimento dei grani non limitavasi alla sola Toscana, ma distendevasi per tutta Europa, tal- chè era forza di riguardarlo non come dipendente da cause locali, ma bensì da cause generali le quali diversamente quà o là pesa- vano a seconda delle circostanze locali. Tutto ciò dimostra dun- que appunto il contrario di ciò che vantano gli economisti vin- colatori . (10) Taluno dirà che se si stabilisse una media sui prezzi del Senese, dell’Aretino, del Mugello ec. si avrebbero resultati diversi; ed io rispondo, che lo stesso accaderebbe se in vece dei prezzi di Genova si prendessero quelli dell'interno del Piemonte, della Lombardia, del Romano; nè citerò la Sicilia contentandomi d’indicare 21 mio lettore ove sodisfare la sua curiosità. Veda a quest'effetto la memoria del ch. P. Scuderi sulla rendita rurale inserita nel N.* XIIE del Giornale Letterario di Palermo, 85 Eppure, lo credereste ? essi traggono dalla loro sconfitta un arme d’attacco , la quale però non regge meglio delle altre alla pugna , e si spezza sullo scudo della verità. Se i vincolì ; essi di- cono, a nulla servono, se mentre i Governi prescrivono i limiti dell’ importazione e dell’esportazione, il grano segue nel suo prezzo la legge della natura e l’ universale equilibrio delle cose, a che dunque declamar tanto contro di loro? perchè sì a lungo garrire sulla di loro qualunque siasi importanza? La risposta è ben facile; perchè i vincoli posson fare tutto il male, e non posson produrre il bene giammai; perchè se non debbonsi far leggi inutili, molto meno debbon farsene delle facilmente dannose. Quando la provvidenza versa da per tatto profusamente 1’ abbon- danza e la pace, gli uomini si ridono delle prammatiche fru- mentarie e non hanno di che temere; ma allorchè sia il gastigo del cielo, sia il capriccio della fortuna , sia l’instabilità di tutte le cose umane quella o questa nazione prova penuria di ali- menti, allora appunto le piombano addosso oltre i mali natu- rali quelli fattizj, ed i lacci che il popolo portò ridendo nei tempi felici, pesano duramente ai suoi piedi nei giorni dell’ in- fortunio. Dobbiam noi dunque dar vinte le mani per stoltezza , debb’egli un Governo compromettere quasi per giuoco la felicità del suo popolo? Allorchè al contrario un Principe lascia godere ai suoi sud- diti di una illimitata libertà framentaria, egli accorda agli agri- coltori la sola, vera e grandissima protezione che possa loro com- partirsi senza offendere la giustizia. Infatti non può egli il To- scano portare il suo frumento ove questo genere costasse per una ragione qualanque più che nel suo paese e guadagnare per con- seguenza il più possibile sul mercato del suo prodotto ? ma |’ espor- tazione di una parte del grano Toscano farebbe in quel caso crescere i prezzi interni, ed allora gli agricoltori dei paesi li- mitrofi, più dei Toscani lontani dal primo sbocco, porteranno, e guadagneranno portandolo , il loro grano in Toscana e vi man- terranno |’ abbondanza. I regolamenti che pretendono di dirigere l'importazione e l’esportazione per creare un prezzo fattizio, ove potessero essere efficaci, toglierebbero all’ industria questo av- vantaggio. Ed in fatti dove potrebbe portare il Toscano, il suo fru- mento se oltre al consumo se ne accrescesse il prodotto in forza di un sognato prezzo fattizio , tosto che questo fosse superiore a quello degli altri popoli? Allora e non adesso avrebbe a temere l'importazione; allora e non adesso sarebbe vicino a veder lan- guire la cultura del suo terreno. Un paese poi che avesse una 86 gabella d’entrata sul grano e nessun freno all’ uscita, quale som- messamente si ode proporre, rischierebbe d’essere il più infelice di tutti, perchè dovrebbe permettere che il suo grano soccorresse altrui nel bisogno, e non potrebbe ricever soccorso senza pagare i diritti che ben lungi dal posare sugli esteri produttori, posano sempre di fatto sui miseri consumatori, i quali debbono per So- vrana beneficenza 0 imporsi tante privazioni diverse, o man- giar tanto pane di meno quanto è il valor della tassa. Egli è stato al contrario ripetuto fino alla nausea, e pur mi giova .tornare a ripeterlo, che non può esservi circostanza la qaale sia per render gravosa la libertà del commercio una volta stabilita. Quando una nazione ha per una gerie d’ anni importato del grano da un’altra, dee avere in compenso espor- tato qualche altro prodotto . Così se gli esteri produttori di grano contano i Toscani fra i consumatori ordinarj del loro pro- dotto e lo preparano per spedircelo, noi dal canto nostro an- noveriamo costoro fra i consumatori di ciò che produce la no- stra industria, e mentre essi ci spediscono un genere greggio noi mandiamo loro molti generi manufatti, e dalla natura di questo baratto risentiamo un vistoso guadagno il quale sarebbe spento se ci ostinassimo a non volere il baratto (11). I nostri cappelli di paglia son divenuti oggi un articolo di ricchissi- mo commercio attivo, e con una piccolissima parte di esso noi compensiamo il valore del grano comprato dagli esteri, mentre la nostra agricoltura non risente aleun danno da questa cotanto estesa manifattura come taluno soppose, ma per lo contrario ne trae vantaggio e conforto . Infatti ove è più florida ed at- tiva Ia fabbricazione dei cappelli è pure industriosissima e raf- finata la cultura del suolo. La sementa dei cereali non vi sce- mò non solo ma crebbe; ed il comodo e l’agiatezza diven- ne un più comune retaggio di quei coloni. Non già manca- no le necessarie braccia alla vanga, come io stesso basando- mi sopra incerti calcoli dubitai, ma non le avanzano braccia (11) Ho udito provare ad alcuni negozianti distinti ed illuminati, non me- no che pienamente al fatto della materia, che i nostri cappelli di paglia ne- goziati nel caduto anno 1824. ammontavano a due milioni e cento mila scudi, Considerando adesso il rapido movimento del danaro impiegato nella manifattara, il reparto moltiplicatissimo dei guadagni, la meschinità dei ca- pitali impiegati dai subalterni mercanti di cappelli nella loro industria, la nessuna spesa in macchine e strumenti per parte dei produttori di treccia e di cappelli greggi asserisco , al certo senza sbagliare, che non vi è al mondo manifattura più di questa luerosa . 37 come altra volta. Vi è gran differenza fra queste due situazio- ni, e vi è gran vantaggio se restano alla vanga tutti quelli in- dividui che essa rigorosamente richiede , e se ogni avanzo tro- va nel facile esercizio d’ intrecciar la paglia una sorgente di pronto e vistoso guadagno. Frattanto il suolo non si abban- dona perchè il colono ha interesse a produrre del grano o sia basso o carissimo il prezzo del suo prodotto , ed assicura così il popolo che non sarà mai per mancarli la sussistenza. La sua famiglia si accresce nel largo vivere; nuove braccia avanzano al campo e servono ad altra industria utilmente; e queste brac- cia medesime crescono in seno alla libertà finché l’ industria util- mente le adopera; e se per caso il numero loro eccedesse i bisogni di questa , ad arti novelle tosto si andrebbon volgen- do, o alla più solida e più generale darebbon di piglio la col- tivazione del suolo non ancora dissodato. E lasciando di considerar la cosa astrattamente e con gli occhi della scienza, venghiamo adesso a trattarne in un modo parlante pei fatti. Se 1000. scudi impiegati nel fabbricar cap- pelli di paglia ci dessero il modo di comprar 10,000 sacca di grano in America, mentre quei 1000. scudi spesi nel seminar grano fra Gambassi e Volterra o fra Montespertoli e Castelfio- rentino (luoghi adesso incolti in gran parte) ce ne procurassero solo 5000. sacca , non sarebb’ ella una follia l’ostinarsi a produr- re del grano con tanto svantaggio piuttosto che cappelli per cam- biarli così utilmente sull’opposto emisfero? Quando si trattò in Inghilterra di sostituire le macchine a vapore a quelle antiche tanto più lente in produrre, non vi fu un solo che sconsigliasse l’impresa in vista del capitale in quelle impiegato e che an- dava a distruggersi. Non sarebbe egli stato questo riflesso ri- dicolo perfettamente eguale a quello che ogni dì si ripete dai faatori dei vincoli i quali voglion proteggere i coltivatori delle terre sterili contrariando la produzione delle più fertili, o fa- cendo in modo che i prodotti costosi di quelle non siano de- prezziati dai meno sudati di queste ? Ma ad onta di tutto ciò vi è taluno per cui è manifesta- mente utile che si coltivi il grano fra noi laddove ancora non cuo- prirebbe le spese di sua produzione se non potesse vendersi alme- no lire 20. il sacco, piuttosto che comprarlo a metà di‘quel prezzo dalla Crimea , e ricavare dal risparmiato valore diversamente im- piegato un frutto maggiore; per essi tutta la felicità d’ un po- polo consiste nel produrre del grano, e nel consumarlo a caro prezzo. Eppure l’istoria dell’ Olanda al tempo della sua mag- 88 gior floridezza offre 1’ esempio di un paese che mentre si mu- triva per la maggior parte di grano straniero, prosperava go- dendo di un prezzo moderato e poco ondeggiante , vantaggi dei quali risentì lungamente anche in tempo delle sofferte vicende politiche. Il Conte Verri osserva giudiziosamente a proposito che egli è un deplorabile errore il supporre che i popoli debbano giocare a sorte fra loro qual abbia o no da soffrire la fame. Vi è sempre sulla terra un superfluo d’ alimenti, e per vedere utilizzata questa dovizia nulla di più vi è da fare che lasciare libero il commercio frumentario cessando di contrariare colle nostre misure vincolatrici le benefiche disposizioni del cielo. Per esse la natura conguaglia le stravaganze delle stagioni e l’ on- deggiare del caso, e senza i vani timori degli uomini che gli riducono talvolta a considerare come nemici quelli *ncora che a buon mercato loro apportan del pane , la carestia non si sa- rebbe provata giammai. Non basta ancora. Crediamo noi sul serio che il vantaggio risentito naturalmente dall’ agricoltura To- scana sull’ estera del 12. o 15. per 100. nonitanto per la supe- riorità del solo suo grano, quanto per le spese di trasporto che questa soffre e quella risparmia, non debba impedire, se i prezzi scendono ancor d’ una linea, e forse ancora col mantenersi al li- vello attuale , agli Egizj ed ai popoli Nordici, non meno che ad ogni altro lontano produttore di biade, di inondare i nostri porti colle loro derrate ? Se vi fosse alcuno che non opinasse così, sappia. che fino dal 1821. va l’ importazione diminuendo di fatto rapidamen- te (12). In quell’ anno l’ importazione del grano a Livorno ascese a sacca 498,708. nel 1822. a sacca 477,711. nel 1823. a sacca 339,969. e nel 1824. a sacca 180,958. E di questo grano analizzando ora la provenienza, trovo che ne inviò sole 7,389. sacca la Barbe- ria; 77,445. il mar nero; 14,488 l' Egitto ; 3,988 la Sicilia ; 46,234. la Romagna; 27,011. il resto d’Italia; finalmente 4,403. 1° isola di Malta (13). Di tutto questo grano 40,113. sacca volsero di nuo- (12) Mentre ì’ importazione del grano è diminuita, il commercio è stato più attivo nel 1824. che nel precedente anno, poichè sebbene siano giunti 149. carichi di granaglie di meno, pure sono entrati in Livorno 143. carichi di mer- canzie diverse di più , gli sta/laggi hanno dato un prodotto superiore di li- re 28,368. ed abbiamo avuta la considerabilissima estrazione di circa 1900, balle di seta. (13) A questa quantità di grano potrebbesi aggiungere quella venuta per terra dalli stati vicini, ma noì ci risparmieremo la fatica ed il tedio di rac- coglier queste notizie, persuasi che il grano da essì proveniente non potrà mai DI $9 vo ad altri lidi, e 140,843. furono smerciate fra noi. Livor- no avea nel 1823. un deposito di 243,320. sacca di grano, oggi non. ve ne esistono che sole 116,386. (14). Ecco la mole che minaccia d’ infrangere la nostra industria, ecco la fiamma di- voratrice dei. nostri campi! Oh! quanti mostri mirati d’ ap- presso cessano di sr paura; oh! quante paure son generate dal bujo! Or via, l’importazione del grano straniero ammontò a soli 196,560 scudi; e questa pica somma dovrà vantarsi come capace di sovvertire e rovinare ogni nostro privato inte-. resse, mentre forse non fu in modo alcuno gravosa per noi se quel grano ci venne ceduto in prezzo d’altre nostre derrate o semplici o manufatte sulla cui vendita si fece un guadagno (15). Dovrà dunque il governo promettere che non verrà quel gra- no ponendo un dazio che agguagli la differenza fra il presunto giusto prezzo del nostro frumento da stabilirsi ed il minor va- lore al quale può il grano rilasciarsi sul nostro mercato dagli stranieri, e così facendo inutil guerra alle loro 140,843. sacca di grano , ingannare il nostro coltivatore da un lato, opprime- re il consumatore dall’ altro, e distruggere una relazione mer- cantile fra popoli lontanissimi, i quali guadagnano sopra un com- mercio di permuta, guadagno che non potrebbe sostenersi altri- menti perchè il conio di quei popoli è la terra, e le monete loro sono il grano e le biade? sottoporsi ad alcun vincolo perchè la gabella sarebbe ognora frodata quando ce ne fosse interesse, perchè così accade da per tutto, e perchè la natura del nostro confine con li stati vicini si presta maravigliosamente a facilitare Îl contrabbando. Avvertiremo però che dalle nostre Maremme son venute a Livorno sacca 18,565. di grano , che si venderono circa a lire 10. 6. 8. il sacco , (14) Se si considerano separatamente tutti questi diversi invii di grano, non si potrà a meno di non riguardarli come infinitamente piccoli per poter comparire quali speculazioni di quei popoli che ce li diressero. Essi 0 sono languidi tentativi d’ un commercio perdente che va a cessare, o sono come io penso prezzo, conguaglio, valore d’ altri oggetti comprati fra noi. Nel primo caso potranno rassicurarsi coloro che temono \d’ affogare nel grano straniero, nel secondo potremo tutti desiderare la continuazione di tal commercio. (15) A diminuire la paura di molti per l’importazione del grano stra- niero, gioverebbe notare l’ estrazione del nostro accaduta nel 1824. Essa non è certo di sì piccola entità da non meritare d’esser da noi posta a calcolo, e certo non l’avrebbamo trascurata se fosse stato possibile. di raccoglierne i dati opportuni, Ma questi ci sono mancati poichè le nostre Dogane non pren- ‘dono ricordo del grano che esce di stato e sul quale non percepiscono nes- sun diritto; è certo però che non di meno la superiorità dei prezzì sì compra il nostro frumento dagli stranieri per seme e per altri usì - 90 Torniamo al fatto ancora una volta . Escludete la Maremma Senese e quindi percorrete meco o Sigg. le nostre campagne e di- temi ove si trovi rilegato il bisogno e la povertà , ove si vedano brac- cia disoccupate, ove si compianga un palmo di suolo poco fa ridotto fertile ed oggi abbandonato dal suo cultore. Scorrete meco le città edi castelli e ditemi poi dove sia stagnante il com- mercio , raffreddata l’industria, sgomento l’ abitatore, non cara la pigione delle case, e bassa la mano d’opra. Io vedo per tutto movimento , vita, letizia, agiatezza e spesso ricchezza (16), e se questi sono i precursori dei mali ora tanto temuti dalla libertà framentaria io mi compiaccio di loro. In benedico quella legge previdentissima , nè so conoscere in lei nessuna parte diretta o indiretta che sia nocevole alla mia patria alla quale nel caduto anno crebbero circa 19,000 figli oltre l’asato (17); e vedendo per quella legge cresciuta e fatta sicura la ricchezza pubblica scor- do per sempre quei sacrifizj che io vo facendo nel mio pri- vato per il diminuito prezzo del grano; ma non però scordo l'obbligo di cercarvi riparo da buon Georgofilo ; nè tradirò il mio dovere il prometto. Ma solo all’ industria, allo studio, alla fatica e nonalla gelida legge andrò chiedendo un compenso . E qui ponendo fine al mio non breve discorso, mentre a rallegrarvi meco io vi invito, o Signori, per la floridezza del no- stro paese , floridezza in generale permanente non solo ma sen- sibilmente crescente ; floridezza infine che mantenersi ne assicu- ra la devozione del nostro Sovrano per l’Avito sistema , ed ac- crescersi ne promette il primo passo di sua brillante carriera, vi piaccia d’ accogliere favorevolmente un voto caldissimo del mio cuore diretto a spingere la discussione Accademica intorno alla subietta materia più rapidamente al suo termine ._I molti che fra noi sostengono la libertà dell’ industsia , e quella specialmente del commercio dei grani, dissero omai ne sembra tutto o gran (16) Soffrano ìi possidenti di beni di suolo che io possidente come essi, e che ben so per prova quanto la nostra classe abbia perduto per il rinvilio dei grani, esponga questa pittura della situazione economica del nostro paese. A fronte del nostro impoverimento la nazione è più ricca : allorchè il grano costando lire 4o. il sacco ci persuadeva di straordinaria ricchezza , la nazio- ne era più povera. Allora molti soccorsi prodigò il Governo per gl’ indigen- ti; forse adesso alcune beneficenze vorrà e saprà versare sopra di noi, nè ci fa torto sperarle, invocarle ; ma desse non posson giammai consistere nel vincolare, ma bensì nell’ estendere la libertà del commercio . (17) 11 numero dei nati è stato molto maggiore, ma la mortalità dei fanciulli, eccessiva in alcune provincie , l’ ha residuato all’ indicato di sopra. 9I parte di ciò che dir si poteva a di lei sostegno ; i pochi che in- sorgono di contraria opinione poco in molto dissero della que- stione, e soprattutto diffusamente ragionando dei mali ed in mille guise pingendoli quasi mai ci trattennero intorno agli opportu- ni rimedj . Piangere sul male e proporre il bene è nostro istituto; ma se ne allontana diametralmente chi fa del male puro soggetto di letterarie dissertazioni. Yeda, o Signori, io vi diceva a pro- posito nel mio rapporto generale dell’anno scorso, veda l’anno novello il libero corso delle nostre opinioni, e saluti la vinci- trice onde giovarsi di lei. AI pubblico bene, a questo unico scopo tendano dunque direttamente i nostri sforzi, e non si vada obli- quamente a quel fine ove una via più breve ne è data. Noi di- fendemmo liberamente, ed io mi vanto di buon volere, le mas- sime d’assoluta libertà frumentaria ; altri proponga a suo talen- to vincoli e gabelle sul grano , ima di quelle parli, quelle dimo- stri oneste e salutari se il può, ed aspetti il suo suffragio dal pub- blico voto. =_ reo ] .t(---.-.{ / —7P---- zi»; L::©zpcG:g}© RIVISTA LETTERARIA Saggi di U6o Foscoro sopra il PETRARCA, trad. dall’ inglese. Lugano , Vanelli e C. 1824. in 8. Il primo sentimento che provasi leggendo questo titolo è un sentimento di sorpresa ; il secondo è un sentimento di pia- cere. Saggi di Foscolo, si dice , tradotti dall’ inglese? Non fu- rono dunque scritti originalmente in italiano ? E se furono, per- chè non cercare la pubblicazione del loro testo primitivo , anzi- chè darne una traduzione di traduzione? — Ma qui una pro- babilità è controbilanciata da un’altra. Perocchè i saggi di cui parliamo possono benissimo essere stati scritti originalmente in inglese, come fu quello del Baretti sugli italiani, che poi ci venne tradotto mezzo secolo dopo , forse per darci idea della differen- za che passa tra noi e i nostri padri. Possono anche essere stati fatti inglesi sovra bozze italiane , destinate a rimanere nel portafoglio dell’ autore , o a quest’ ora da lui distrutte . S° ei li avesse veramente distesi nella nostra lingua, non è credibile che gli fosse bastato l'animo di negarli sin qui al nostro desi- derio. Ben mi spiace che assolvendolo d’una colpa bisogna dar- gliene un’ altra, d’avere cioè , scrivendo per gli inglesi, obliato gli italiani. Ei dirà per sua scusa essere l’ argomento de’ suoi saggi così trito per noi, che più mon sembra aver d’uopo del- 92 l’officio degli scrittori. Ma noi risponderemo che l’ officio degli scrittori del suo ingegno non è mai soverchio in nessun argo- mento; e meno poi in uno tanto a noi caro come quello del Petrarca. Quindi ci rallegriamo che i suoi saggi ci siano in certo modo rivendicati, o, come leggesi nel proemio della tra- duzione, restituiti al genio della primogenita fra le moderne let- terature ,.a cui egli parea negarli. Questi saggi sono quattro: sopra l’amore , sopra la poesia, e sopra il carattere del Petrarca, a cui succede un parallelo fra il Petrarca medesimo e l’Alighieri . L’ epigrafe posta a cia- scuno di essi ce ne fa sentire lo spirito. In fronte al primo leggiamo : Fu forse un tempo dolce cosa amore - Non per ch'io sappia il quando; e dal suo contenuto siamo condotti a trovar verissima questa conchiusione : ‘* Sopportò ( il Petrarca ) per anni ventuno la miseria di adorare ad un tempo e avere in sospetto l’umana creatura , ch'egli stimava sola valevole a ren- derlo felice, perplessità che riduce alle angosce di morte, ed umilia a’ propri occhi ogni uomo il quale sia is of @ constant, loving, noblée nature ,,. L'autore cercando più alto nell’ indole del poeta le cagioni di tanta sofferenza, ci dice : ‘ Sembra che Petrarca si compiacesse nel fare sforzi di coraggio, nel so- stenere lunga guerra colle proprie speranze e co’ propri timo- ri, e che mai non gustasse il piacere d’una mente, che, sprez- zando gli adescamenti della speranza , e sdegnando la commi- serazione degli uomini, misura tutta l’ ampiezza del suo do- lore e lo sostiene, non si lasciando svolgere dalla fluttuazione de’ dubbi e delle illusioni. Petrarca per lo contrario sentì sem- pre una specie di necessità di conciliarsi d’ ogni maniera la sim- patia dell’ universo; e il meschino, che trova conforto in sì fatta vanità, non ha sufficienza di consolare sè stesso. Una men- te raffinata, commossa da naturale vivacità di sensazioni non use a freno, lo recò a temere ed a bramare a vicenda il pos- sedimento di Laura. La sua passione fu prolungata da quella feminile irresolutezza , vera fonte della infelicità e delle quere- le di lui, che porse a Laura opportuno spediente di serbarsi ad un tempo e l’amante e la virtù sua.,, Ne’ costumi e nelle opinioni de' tempi sono cercate altre cagioni modificatrici della passione medesima . Quelle per cui durò sì a lungo dopo la morte di Laura, vale a dire per quasi ventisei anni, dieci dei quali furono spesi dal poeta a piangere l'amata donna in do- gliosissime rime , si lascia ai cuori di tempera più squisita il congettrurale , 93 In fronte al secondo saggio troviamo scritto: Vor Ro se non quest una — Via da celare il mio angoscioso pianto; epi- grafe che a prima giunta sembra contraria all’intendimento con cui si suppone che il Petrarca poetasse; ma che spiegasi dal- l’ultime parole di questo passo che rechiamo in risposta a ciò che dicevasi, vivente il Petrarca medesimo, che i suoi versi fossero piuttosto lavoro di poeta che di amante ,,. L'armonia, l’ eleganza e la perfezione della sua poesia sono frutto di una lunga fatica; ma i primitivi concetti, ma l’ affetto scaturì sem- pre dalla subita ispirazione di profonda e potente passione . Col- ì’ attento esame di tutti gli scritti del Petrarca può quasi ri- dursi a certezza : che coll’immorare di continuo nelle stesse idee, e col lasciare la mente pascersi senza posa di sè stessa, l’in- tero corso de' suoi sentimenti e de’ suoi pensieri ne contraesse un forte carattere; e che, se riusciva mai a rintuzzarli per al- cun tempo, più ostinati si ritornassero con accresciuta violen- za: che, per sedare lo stato irrequieto della mente , egli nel primo caso communicasse in libero e sciolto modo tutto ciò che pensava e sentiva nella corrispondenza co’ suoi intrinseci : che quindi ei riducesse queste narrative, con ordine e descri- zione migliore, in versi latini; e che nella fine le perfezionasse con maggior copia d’immagini e con più arte nella sua poesia italiana , la cui composizione da prima serviva unicamente, co- m’ egli dice in più luoghi, a divertire e a mitigare tutte le sue afflizioni . ,, Molte e ingegnosissime cose aggiugne l’autore sul- l'originalità e gli altri pregi di questa poesia , impareggiabile specialmente nell’ espressione del dolore, che per sè stessa è sugli animi tanto potente, E ci dipinge il Petrarca (a cui Fi- lippo Villani che ne scrisse la vita attribuisce voce sì dolce e flessibile ) in atto di accompagnarsi, cantando, col suo liuto, che gli fu compagno fino all’ultimo sospiro, e ch’egli alfine la- sciò per testamento ad un amico . Oh chi potesse rinvenire quel liuto , che forse il tempo rispettò, e ritirarsi con esso in qualche erma solitudine a ripetere i canti dell’appassionato poeta ! Ch’egli ‘non fu solo il poeta del suo amoroso dolore , ma il fu d’ altri dolori ben gravi, a cui sembrano destinati quaggiù tutti i cuori più nobili, che mai non possono aver pace con sè stessi nè col mondo che li circonda. E le cose presenti e le passate — Mi danno guerra è po- sto per epigrafe al terzo saggio, ove si ragiona compitamente delle diverse cause che resero sempre afllittissima la vita di un uomo sì grande, e, per quanto apparisce, sì accarezzato 94 dalla fortuna . Ma quando pure i favori di questa fossero stati maggiori, egli aveva animo e desideri ancora più alti, che a lei non apparteneva di accontentare. E fors’egli si vergognava talvolta di tali favori, mirando allo strazio e alla depressione della sua patria diletta, e si dava a fuggirli con più ardore che non gli avesse ricercati, onde potè venirgli nota d’ incostan- za. Ma l'animo suo non seppe reggersi fermo in sè stes- so, e sospinto per subitani impulsi da uno ad altro estre- ma strappavasi , come da abissi di vitupero e di pericoli, da quegli stessi palagi ove pocanzi era entrato per ricondurvi giu- stizia . omRTgRe gli si parasse innanzi la menoma occasione o il più leggier Fiati. di restituire a Roma il seggio dell’im- pero d’ occidente , tosto gli interessi di tutti i principi cede- vano nel cuor suo a questo illusorio disegno, che accarezzò fino all'ultimo respiro ,,. Dopo le quali parole, con cui l’auto- re intende rispondere ai giudizi che reca intorno al carattere del Petrarca un moderno istorico, la cui devozione alla libertà fa velo talvolta alla sua riverenza pel vero, leggiamo quest’altre , che racchiudono meno equivoca apologia : ‘ Quando serive agli amici suoi , a’ papi, a’ cardinali, agli imperadori e alle genti d’ Italia sopra questo particolare (la restituzione cioè dell’ antica sede del- l’impero ) allora sì che l’anima generosa del Petrarca dilatasi in magnanimi sensi, e dispiega i più bei tratti di un genio, che sebbene piegato da amore verso la poesia, pare che fosse più specialmente creato dalla natura alla grandiloquenza di som- mo oratore . ,, Ma il suo patriotismo ( nè l’autore il dimenti- ca ) gli diede pure talvolta la grandiloquenza di sommo poe- ta. Qual animo oggi pure non s’ ingagliardisce e non s’ inal- za colla canzone, che dovea visitare in Campidoglio quel tri- buno della libertà , per accostarsi a cui il Petrarca lasciava, il porto stesso della sua pace, com’ei chiama la solitudine di Valchiusa in una delle due lettere a Jacopo Colonna ( sole prose italiane che di lui si conoscano e il cui autografo è posseduto da lord Holland ) riportate in questo saggio? Nè il bene solo d’Italia egli avrebbe voluto, ma il bene dell’uman genere; e il vedere come questo riusciva impossibile gli diede una tinta di misantropia, dice l’autore, affatto contraria all’ indole sua. « Tutti coloro, che lo conoscevano più dappresso , scorgevano com’ egli avesse più timore e pietà dell’uomo che odio e di spetto . Poichè la propensione di recar vantaggio ad altri, ben- chè troppo altamente professata, nacque e crebbe con lui fino all’ultima vecchiezza , e solo cessò colla vita ,,. Ma intanto i 95 suoi magnanimi sentimenti e l’impotenza di secondarli il ren- devano infelice. E a ciò contribuiva pure un desiderio di per- fezione, che sentiva contrastato in sè medesimo dalla debolez- za della natura. Quindi scriveva : ‘ Sono stracco della vita, e quale strada ch'io prenda la trovo sparsa di vepri e di spi- ne. Davvero che il porto , dove cerco di riposarmi, sulla terra non .si dà. Oh già fosse giunto il momento ch’ io partirò in traccia d’ un mondo ben da questo diverso, dove mi sento così infelice; infelice forse per mia propria colpa; forse per colpa de- gli uomini; o forsanche colpa solo del secolo nel quale fui sor- tito a vivere; o potrebbe pur darsi che non fosse colpa d’alcu- no... Comunque sia io sono infelice ,, . Nel quarto saggio egli è posto a confronto dell’ Alighieri con questo verso , che d’ un solo tratto li dipinge ambidue : L’un disposto a patire e l’ altro a fare. “ Questi due fon- datori dell’ italiana letteratura farono largiti di genio dispara- tissimo ; proseguirono differenti disegni, stabilirono due diverse lingue e scuole di poesia , ed esercitarono fino a’ tempi nostri differentissima influenza .... Si direbbe che Petrarca prevalga nello svegliare in cuore un sentimento profondo di vita; e Dan- te nel guidare l’imaginazione ad accrescere le magnificenze e le novità di natura .... Il Petrarca ne mostra ogni cosa en- tro il velo d’ una passione predominante; ci avvezza a lenta- re il freno a quelle inclinazioni, le quali, col tenere il cuore in agitazione perpetua, tarpano gli sforzi dell’ intelletto; ci ade- sca ad una molle condescendenza verso le affezioni del nostro cuore , e ci ruba alla vita operosa. Dante, come tutti i poeti primitivi, è lo storico de’ costumi dell’ età sua, il profeta del- la patria , il pittore dell’ uman genere; e pone in atto tutte le facoltà dell’ anima a meditare sopra tutte le vicissitudini dell’ universo . . . .... L’intelletto in entrambi tenne virtù da’ naturali e inalterabili movimenti del loro cuore. Il foco di Dante fu più profondo e concentrato; più d’una passione non ardeva in quello ad un tempo; e, se Boccaccio non caricò la pittura, Dante per più e più mesi dopo morta Beatrice eb- be sentimento ed aspetto di selvaggio. Petrarca fu agitato in- siememente da differenti passioni : si risvegliavano queste ma si attutavàano pure luna coll’altra; e il suo faoco , più che bruciare , risplendeva , e riboccava da un’anima inetta a tut- to sopportarne il calore, e pure ansiosa di attirarsi per mez- zo di quello gli sguardi altrui. La vanità fece Petrarca solle- cito sempre e apprensivo pur dell’ opinione; di coloro, a’ quali 96 ben sentiva di soprastare. Nel carattere dell’ Alighieri primeg- giava l’ orgoglio; si compiaceva ne’ patimenti, siccome prova a dimostrar sua fortezza; ne’ propri difetti, quali inevitabili seguaci a virtù tutte lontane dalle battute vie; e nella coscien- za di quel che dentro valeva, perchè lo francheggiava a di- spettare uomini ed opinioni . . . . . Conformato ad amare Pe- trarca di leggieri si traeva a fare il piacere altrui, ed agognava maggiore l’arnicizia , che non suole consentirla l’ amor. proprio dell’uomo , e così scadde negli occhi e fors’ anche nel cuore delle persone, che più erano a lui devote. I disinganni, che per siffatta cagione incontrò nella vita, spesso gli amareggia- rono l’ animo; e gli trassero dalla penna quella confessione ‘ che temeva coloro che amava ..... Dante fu uno di que- gli spiriti sublimi, a’ quali non giungono i dardi del ridico- lo; e gli stessi colpi della malignità altro non fecero che vie più sollevare la nativa sua dignità. Agli amici ispirava , meglio che commiserazione, rispetto; e a’ nemici timore ed odio, di- sprezzo non mai,,. Ai quali tratti ben si sente l’indole dantesca dello scritto- re, e nasce desiderio di recarne altri a proseguimento di sì vivo confronto. Ma già ci siamo abbandonati al piacere delle citazioni oltre i limiti concessi da una rivista, e forse oltre ogni bisogno, potendo noi rimandare chi legge al nono volu- me dell’Antologia, ove buona parte de’ quattro saggi { che con- parve la prima volta sotto forma di articoli nella Quarterly Review ) fu data tradotta in proposito del romanzo di Petrarca e di Laura di mad. Genlis. Il nuovo traduttore, osservando che assai cose erano in es- si, che abbisognavano agli inglesi per cui furono scritti , non bisognavano agli italiani, le ba omesse. Invece ha aggiunte più note critiche e illustrative, alcune delle quali ( come quella per esempio che riguarda la bravura e lucidezza stupenda , con cui Metastasio mise in versi ed in rima un numero innu- merabile di sentimenti e di affetti, che Locke e Adisson po- tettero appena esprimere in prosa ,, ) debbono riuscire molto gradite. In un passo del dialogo proemiale col genio dell’ ita- liana letteratura ( dialogo ingegnoso, ma che piacerebbe mag- giormente se fosse introdotto con più verosimiglianza , e scritto con più semplicità ) egli fa intendere di avere avute in que- sta sua fatica frequenti ambascie per la vicendevole ritrosia delle due lingue da cui e in cui traduceva. Noi lo ringraziamo d’a- verle sostenute di buon animo , per far piacere a moltissimi dei 97 suoi concittadini, che senza di lui non saprebbero darsi pace che un libro d’argomento il più italiano che possa imaginar- si, e dettato da uno de’ più brillanti ingegni che illustrino la letteratura d’ Italia, adornasse esclusivamente una straniera let- teratura. Quanto al timore che nella sua versione si trovi qual- che segno di servitù, non potendogli noi dire che sia affatto ingiusto , gli diremo che a liberarsene gli sariano bastate ben picciole cure , consigliategli certamente dal suo delicato senti- re, ma non permessegli forse dalle sue teorie intorno alla no- stra lingua. La voce pubblica fa di lui una sola persona col- l’autore della storia letteraria d’Italia nella seconda metà del secolo decimottavo, a cui l’Antologia, nel suo decimo volume, ha reso un tributo di stima che può insieme chiamarsi un tri- buto di affetto. Quindi pensiamo che il ade liber verbisque meis loca grata saluta, con cui egli dal; confine elvetico in- via nelle terre italiche il suo volgarizzamento, esprima qual- che predilezione per questa Toscana, ove si riguarda come un amico chiunque scrive con desiderio sincero del pubblico bene - Anche il voigarizzamento racchiude cose che ci manifestano que- sto desiderio ; e l’autor suo intende ottimamente gli animi nostri, aggiugnendogli con sì commovente fiducia: Znvenies aliquem qui me suspiret ademptum . Poesie varie di LODOVICO ARIOSTO con annotazioni . Firenze, Molini 1824. în 12: Quanti versi italiani ha fatti l’ Ariosto oltre il Furioso ( di- co italiani perchè sapete o lettore che ne ‘ha pur fatti di la- tini, pieni anch'essi di leggiadria se non di novità ) possiamo credere che siano racchiusi in questo volumetto, che va unito ai due del poema pubblicati l’ anno scorso nella. forma medesi- ma sì gradita agli inglesi e a tatti quelli che viaggiano. ll no- stro Molini si è date tante cure per raccoglierli , che sarebbe meraviglia se alcuni gliene fossero sfuggiti. Ma non pensate già ch’egli non abbia atteso che ad ingrossare il volumetto, accet- tando senza scelta quanto di rimato o non rimato nelle stampe o ne’ manoscritti porta il nome dell’Ariosto . Lungi dal dar luo- go a nuovi componimenti di dubbia origine egli ba avuto il coraggio di escluderne quattro ( una canzone e tre capitoli ) già accolti nell’ edizione in 8.° delle poesie medesime 3 che ci diede nel 1822; e ce ne avvisa qui nella sua prefazione. In essa ci avvisa pure de’ pazienti confronti che ha fatti , onde ridurre il F. XVII Marzo ” 98 tutto alla miglior possibile lezione; e tanta diligenza ben gli meritava la fortuna che ha avuto, e per cui questa sua ristam- pa si distingue da tutte l’altre, e riesce non solo preziosa ma necessaria a chiunque si diletta della nostra poesia . Che fortu- na? voi domandate . Di trovar forse qualche nuova egloga pa- ragonabile a quella di un codice magliabechiano, pubblicata dal Lampredi nel Poligrafo , e poi dall’ Inghirami, che non sapea forse del primo, nella sua collezione di opuscoli? oppure qual- che canzone che vaglia quella a Filiberta di Savoja per la morte di Giuliano de’ Medici suo sposo ? Io so bene, lettor mio, che fra le cose minori dell’Ariosto ve ne sono alcune che vi dilettano assai più delle sue più belle liriche e delle sue più belle pastorali. Queste cose, di cui par- lo, hanno già avute tante edizioni ( alcuna delle quali splendi- dissima ) quante forse ne ha avute il Furioso, e meritamente , poichè l’Italia non possiede nel loro genere nulla che ad esse eqaivalga . Parlo delle satire, già voi l’intendete; e ricordan- dovi di quella loro grazia indicibile, e di quella loro festività che vi ha fatto tante volte sorridere sì piacevolmente, vi ricor- date anche di qualche incoerenza e oscurità, che ha talvolta scemato il vostro piacere. Sarebbe pure una bella sorte , avrete detto , il poterle confrontare col manoscritto originale se esiste, perchè se ne caverebbero sicuramente nuove lezioni da renderle in tutto degne della fama di chi le compose. Il nostro Molini, pieno anch’ egli di questa idea , si recò nel marzo del 1823 a Ferrara, ed entrato nella pubblica biblioteca trovò appunto il inanoscritto che desiderava con le ultime correzioni fattevi dal- l’autore; di che ebbe quella consolazione che potete imaginar- vi. Si avvide egli ben tosto che tutte le vecchie edizioni, le quali ne’ loro frontespizii si dicono tratte dall’ autografo , non sono tratte che da copie anteriori a tali correzioni, o forse da quella stampa del 1534 senza data di luogo , che al parer suo è sicuramente la prima, onde le moderne (non esclusa la seconda del Rolli) che le presero a norma non potevano essere che di- fettose. Difettosa per conseguenza , malgrado tutte le cure usa- tevi, doveva essere anche la sua del 1822, che forma parte dell’ edizione in 8.° di tutte le poesie dell’Ariosto già accennata. E non avendo egli tempo di riscontrarla così diligentemente come bisognava col prezioso originale, pregò il dottor Azzi, uno dei sopraintendenti alla biblioteca, di prendersi tale officio; nè altri certamente l'avrebbe adempito con più amore di quello che il valente giovane ha fatto. do Chi brami conoscere il pregio della sua fatica può vedere la copia da lui postillata al riscontro dell’ autografo , che, finita la nuova edizione, il nostro Molini ha deposta nella Magliabe- chiana. Ma anche senza di ciò potrà accorgersene , rileggendo le satire nell’ edizione che si annunzia, e per cui fu ordinata quella fatica. Diamone qui intanto, poi ch’ è naturale che si desideri, qualche piccolo saggio. Vi ricorderete o lettore della satira seconda, in cui il poeta si scusa sì lepidamente a que’suoi Alessandro fratel, compar mio Bagno di non aver seguito con loro il cardinale Ippolito d'Este in Ungheria. Fra l’altre sue buo- ne ragioni è questa che non avrebbe saputo adattarsi alla tavola nel padrone, ove Tutti li cibi son con pepe e canna D’amomo e d'altri aromati, che tutti Come nocivi il medico mi danna ; e che l’aver tavola a parte non gli sembrava possibile . S’ io dirò : spenditor questo mi piglia Che 1’ umido crudel poco nodrisce , Questo no che ’l cattar troppo assottiglia; Per una volta o due che mi ubbidisce , Quattro o sei mi si scorda, o perchè teme Che non gli sia accettato , non ardisce, Chi intende quel che sia un umido crudele che poco noadrisce ? Pare l’Ariosto è solito parlar chiaro, non è come tanti de’ no- stri poetini moderni , che si dilettano di indovinelli. L’ umido crudele , però, è un vero indovinello per noi, e come si spie- ga? Eccovi la lezione del manoscritto seguita dalla nuova edizio- ne, la quale ci dice, Che l’ umido cervel poco nodrisce , e ci fa comprendere senza difficoltà che ove il povero poeta avesse desiderato un po’ di lombo @ di spicchio di petto non era sicuro di poterlo ottenere , pcichè forse costava più o non pia- ceva a sua eminenza come l’ altro piatto. Vi ricorderete pure o lettore d’avere nella quarta satira, scritta dal poeta quando passò dal servizio del cardinale a quello un po’ meno incomodo del duca Alfonso, trovate queste terzine : Ma pui che figliolo unico non fui, Nè mai fu troppo a’ miei Mercurio amico, E viver son sforzato a spese altrui; Meglio è s’ appresso al duca mì nutrico , Che andare a questo e a quel dell’ umil volgo - Accattandomi il pan come mendico . So ben che dal parer dei più mi tolgo, Che ’1 stare in corte stimano grandezza 5 Cl'io per contrario a servitù rivolgo. 100 Stiavi volentier dunque chi' l’ apprezza: Fuor n° uscirò ben io se un dì ’l figliuolo Di Maria vorrà usarmi gentilezza. Il figliuolo di Maria vorrà usarmi gentilezza? C’est dien gail- lard avrete detto con sorpresa, e domandato a voi medesimo se non ci sia qui un equivoco. Un po’ di riflessione veramente, massime guardando al secondo verso della prima delle terzine da noi riportate, potea chiarircene ,€ suggerirci la lezione più sicura. Ma le stampe più belle e più accurate prolungavano la nostra perplessità, che ancor durerebbe, se questa fatta” sulla fede dell’ autografo non ci assicurasse a leggere: Fuor n’ uscirò ben io se un dì il figliuolo Di Maja vorrà usarmi gentilezza. Alle satire succedono le commedie, quelle che l’Ariosto fece in versi, già s'intende, ma dove oltre i versi di genere comico possiamo imparare gentilissima prosa . Vi si trovano è vero quà e là de’ lom- bardismi, sebbene in picciol numero; ma a compenso quanti vez- zi, quanti lepori, che beati noi se oggi volesse riabbellirsene la lingua d’Italia! Se l’Ariosto è per le satire il nostro Ora- zio, per le commedie mi pare qualche cosa di più che il no- stro Terenzio. E dicendo così voglio dire, che chi dipinge pel teatro le umane ridicolezze potrebbe giovarsi del suo esem- pio quanto nessuno s’imagina. Noi crediamo d°’ essere molto in- nanzi nella civiltà perchè non soffriremmo sulle scene la per- sona e il linguaggio di quel suo Pamfilo o di quel suo Ca- prino, di quella sua Lena o di quella sua Psiteria. Ma i sali, ma la fina malizia, ond’è condito sì spesso il dialogo de’ suoi personaggi, come crediamo che oggi si gusterebbero general- rnente? Però dubito assai che il popolo d’Italia sia oggi più urbano, che a’ tempi del poeta; ma penso bene che il diven- terebbe se nelle commedie che ascolta si accoppiasse alla mo- derna decenza e alla maggior cognizione che abbiamo della natura morale dell’ uomo, quella vecchia arte, di cui l’Ario- sto era maestro. Nè una tal arte consisteva solo nella ameni- tà delle pitture e nella gentilezza dello stile. Essa mostravasi pure nell’ invenzione e nell’ intreccio di tutta la favola; ed io non ne voglio altro testimonio che il Negromante, la cui rap- preseotazione ( arditissima pe’tempi in cui fu fatta ) se nov guariva gli spettatori de’ loro pregiudizi intorno alla negromanzia , dirò che nessun | pregiudicato è guaribile a questo mando. Quanto ingegno e quanto studio per andare nella via dell’Ariosto e degli antichi sia necessario, non è d’uopo ch'io lo accenni. Ma im» 1IOI porta forse ch'io aggiunga o come avviso 0 come scasa de’ mo- dernì poeti, che vi è pur necessaria gran libertà di spirito . L’ingegno si annienta, lo studio si volge a minutezze sotto l’impero delle formalità . Anche le commedie sono stampate dal Molini con cura diligente, che mostra il suo buon criterio, e onora l’arte ch’ egli professa. Rechiamone per soddisfazione di chi legge almeno una prova. Nella scena settima del quinto atto dei Sup- positi ei leggeva, secondo l’edizione del Pitteri e tutte le an- teriori, questi versi posti in bocca di Damonio, che ascolta non pensata vergogna della figliuola : O bella, o ricca dote ed onorevole, Che se l’è apparecchiata! Quando misero Misero più che la stessa miseria ? e qui vedeva il senso troncato, onde parevagli di dover far altro che seguire quelle edizioni. Ricòrreva intanto alla com- media che l’autore fece prima in prosa, e trovava: »» O che dote se le apparecchia! Quando la mariterò io più? Misero me più che la miseria istessa veramente! ,, Eccogli dunque fatto visibile il luogo della mancanza in que’ versi, e quasi quasi il verso mancante. Possibile, disse, che nessuno vi abbia pensato prima di me, e tanto cercato da potervi supplire! Al- lora gli venne alle mani l'edizione del Pezzana , e rinvenutovi ciò che gli pareva il supplemento desiderato, non esitò ad adot- tarlo, dandoci il passo di questa maniera: O bella, o ricca dote ed onorevole, Che se l’è apparecchiata ! Quando misero Quando sperar potrò di maritarnela ? Misero più che la stessa miseria! Tutte le note che accompagnano il volumetto sono da lui trascelte con molto giudizio fra quelle degli antecedenti com- mentatori , eccetto aleune poche aggiunte da un uomo di let- tere suo amico, alla cui revisione volle sottoporre la propria scelta. Parmi ch'egli proceda con tal rispetto verso i nostri grandi scrittori, che meriti d’ esser citato in esempio . Il Rogo di Corinna di TORQUATO TASSO , restituito alla vera lezione dal dottor DE PovEDA. Firenze » Ciardetiti 1824 in 8° Dopo il nome dell’Ariosto nessun altro deve parere di miglior suono che quello del Tasso. Veramente il suo Rogo di Corinna è piccola cosa, ma tanto leggiadra e d’ un sapore in gran parte così virgiliano, che il vederlo restituito alla sua vera lezione, 3102 come dice il frontispizio della nuova ristampa, o almeno a le zione migliore delle passate, ci cagiona una vera contentezza. Esso, come prova assai bene il nuovo editore, fu scritto dal Tasso per recare conforto a Fabio Orsino, sconsolato per la morte di bella donna a lui cara, e non già in memoria di un pietoso caso avvenuto al suo amico Bafio, come sulla fede di Gian Nicio Eritreo ( Pietro Rossi) opinò il Serassi ed ultima- mente il nostro Rosini. Le frasi dell’autore, il quale dedican- do all’ Orsino il poemetto, gli dice che sua n'è 2’ invenzione, suo quasi l’ ordine , suo lo spirito medesimo, e che gliel manda per consolazione del suo dolore, contradicono apertamente a tale opinione. Il manoscritto, con cui il dott. De Poveda corresse que- sto poemetto, pur troppo assai sformato nelle edizioni ante- riori alla sua, non è autografo ma di grande autorità, e; per ciò ch’ei suppone, corretto di mano dell’ Orsino medesimo. Esso apparteneva alla famiglia di questo dotto signore, la qua- le tenne lungo dominio in Orbetello ove il De Povèda 1° eb- be in dono (saranno oggi tre anni) dal priore Mattioli. Di- ce il nostro colto editore di averlo collazionato con altri ma- noscritti contemporanei , che sono qui nella libreria privata del granduca, e sembra che ne abbia trovata la lezione confor- ine. Avverte però che a stabilire una lezione ragionevole, meglio d’ogni riscontro, giova la buona critica; o in altri ter- mini che senza di essa nessun riscontro è giovevole; ciò che nessuno vorrà negargli . Ma egli aggiunge: ‘ Ecco perchè le stampe dei classici greci e latini fatte oltremonte salirono a tanto credito; mentre fra noi si replicano edizioni rifase sulle antiche, nè si esamina se in qualche modo migliorar si po- tevano. ,, Il che non so come gli sia uscito dalla penna in faccia a quelle de’ latini che si vanno pubblicando in Torino per cura d’ uomini dottissimi, e d’ altre assai ragguardevoli dei nostri principali classici uscite da alcuni anni e in Firenze e in altre città d’Italia, per non dir nulla dell’ Esiodo di Lan- zi, dell’Omero di Lamberti, del Cicerone di Garattoni, di cui è ancor fresca la memoria, o delle incomparabili fatiche di Mai, di cui è pressochè quotidiana la meraviglia. Così aves- simo l’abilità o la fortuna di far opere degne degli antichi, siccome abbiamo la cura di riprodurre più che mai sincere ed intere quelle ch’ essi ci hanno lasciate! Il rimprovero del dottor De Povéda, che in parte confessiamo esser giusto (quan- to cioè lo sarebbe fuor d’Italia uno simile in bocca di un 103 ‘oltramontano ) richiedeva per esserlo pienamente qualche distin- zione onorevole, come le illustrazioni del poemetto, per es- ser pienamente lodevoli, richiedevano qualche maggior vaghez- za e castigatezza di stile, il quale dovrebbe sempre mostrarsi accuratissimo, quando si parla de’ nostri grandi scrittori. Saggio d’ una statistica di Verona del conte BEVILACQUA LA- | ZISE. Venezia, Picotti 1823 in 8.° Tardi rendiamo conto di quest’ottimo libretto , poichè tar- di è venuto alle nostre mani. Dopo la statistica del Lario, publicata nel fiore del regno italico da Melchior Gioja, non ci ricordiamo di avere mai più veduto in simil genere nulla di così ben fatto, come il presente saggio di statistica vero- nese. Caduto quel regno, e durante ancora il governo prov- visorio che precedette il lombardoveneto, Gioja ci fe’ sapere in un suo opuscolo di avere presentato all’ antecedente una stati- stica completa del regno medesimo, sulla quale serbava tuttavia il diritto di proprietà. Ci duole invero ch’ essa mai non sia uscita alla luce, benchè non possiamo credere che sia rimasta sepolta per tutti, e inutile al nuovo regno. Intanto ci consola il vedere «imitato l’esempio ch'egli già diede d’una statistica particola- re, e imitato in modo che l’imitazione può servire d’esempio essa medesima . Comincia il saggio di cui parliamo con un breve sunto dei principali avvenimenti della storia di Verona dai tempi ante- rioi ai romani fino all'anno 1823; opportunissima introduzio- ne, poichè lo stato presente di un luogo qualunque non può nè spiegarsi nè intendersi bene senza la cognizione del passa- to. Indi viene per prima cosa alla topografia della città e al- l’idrografia del suo fiume, che è per lei di tanta importan- za; poi alla sua popolazione, a’suoi consumi, a’suoi istituti d’ educazione e di beneficenza , alla sua industria e al suo com- merco . Noi non potremmo dare idea del modo con cui sono tratteti tutti questi argomenti, senza trascrivere molta parte del libretto, che li contiene. Accontentiamoci d’alcuni risul- tati, che possono essere soggetto di particolar riflessione agli uomini filantropi. Setondo un’ esattissima anagrafe, compita nel giugno del 1822, h popolazione di Verona. saliva in quel tempo a 52443 individui, 47627 de’ quali trovavansi fra il recinto della città, e 4316 ne’ suoi sobborghi. Nell’ aprile del 1823 fra il recinto 104 della città se ne contavano 47868, e ne’sobborghi 4479; vale a dire nel primo 241 di più, e negli altri 337 di meno. Il conte Lazise non ci dice nulla della probabile causa di simile differenza, che sembra doversi attribuire ad accidentali traslo- cazioni. Perchè e nella città e ne’sobborghi, com’egli ci as- sicura , avvi ogn’ anno accrescimento nel numero delle nascite, onde sì fa sempre maggiore la popolazione. Dal primo novem- bre 1821 al trenta ottobre 1822 quest’accrescimento era stato calcolato di 134 individui per la città, e di 64 per la cam- pagna all’intorno, o pei sobborghi che vogliamo dire. Le osservazioni di più anni mostrano che di 1000 abi- tanti di Verona (parlasi della sola città poichè il. circondario è appena osservabile al paragone) 35r sono minori d’anni quat- tordici; 551 sono d’ età fra i quattordici e i sessanta; e 9$ oltrepassano questo maggior numero d’anni che si è deito. I matrimonj par ch’ivi ascendano annualmente a 310, e le na- scite a 18590. Però le seconde stanno a’ primi nella propor-. zione d'uno a 6/3, mentre stanno alla popolazione in quella d’ uno a 29 1f». Fra cento nascite se ne contano 50 1/5 ma- schili e 49 4/5 feminili. Le morti (più frequenti come le nascite in gennajo e in decembre ) sembra che mietano annual- mente 1774 individui, fra cui i maschi stanno alle femine nella proporzione di 50 2/23 a 49 21/23. Di cento fanciulli ordi- nariamente 25 non giungono a compire il decimo anno di vi- ta; 34 non compiono il primo; e 25 non veggono il trente- simo giorno. Fra le tante cause abbreviatrici della vita e dei fanciulli e degli adulti, dice l’autore , era in passato anche il va- juolo , che nel solo anno 1801 rapì a Verona 426 individui. Or esso può dirsi quasi scomparso mercè di quella vaccinazio- ne, che trova ancora in diverse parti d’Italia sì sventurato contrasto. Deh possano trovarlo un po’ minore que’ rimedj; che col tempo fossero per proporci gli amici dell’ umanità ©ntro altri mali, che o fanno strage di noi, o fanno continuo strazio! Ciò che dicesi nel libretto del conte Lazise intorno agli istituti di pubblica beneficenza, che sotto varj nomi ororano la sua patria, ci riesce commoventissimo. Perocchè nell’ anno 1821, indipendentemente dalle private largizioni, vediamo ero- gate da quegli istituti 490000 lire italiane a sollievo di 5800 indigenti di tutte le età. Le spese della pubblica israzione nell’anno medesimo erano di 200566, 319, a cui bisgna ag- giugnerne altre 150000 per la conservazione e il migloramento de’ luoghi ad essa consecrati. Aggiugnendovi anche le spese 105 dell'istruzione privata si può forse calcolare la somma di 500000 lire, le quali giovano a 2924 fanciulli affidati a 153 precet- tori, e a 2316 fanciulle affidate a 185 fra precettori e pre- cettrici. Quindi fra 47621 abitanti (popolazione di Verona nel 1822 come già si notò ) ne vediamo 338 impiegati nell’ inse- gnare, e 5240, parte nelle scuole, parte nelle proprie case, parte in quelle di ricovero, intesi ad apprendere. Spettacolo consolantissimo, e di cui vorremmo che tutte le città d’Ita- lia ci potessero, proporzionatamente alla popolazione di cia- scuna , offerire il somigliante, benchè molto lontano da quello che ci offrono a’nostri giorni le principali città dell’ Inghil- terra e della Scozia specialmente! Ma verrà pur tempo lo speria- mo in cui propagato universalmente il reciproco insegnamento ( prezioso dono delta Providenza, che sembra voler trarre con esso ‘da un lungo avvilimento gran parte dell’ umana specie ) e divenu- to sommo piacere de’ grandi e de’ facoltosi l’ unirsi per far del bene, vedremo fra noi pure diffusa l’istruzione a tutte le classi della società, onde ne avremo popolazioni probe, industri, la- boriose, con incredibile accrescimento della comune prosperità. Qual compiacenza per noi il confrontare allora le nostre statistiche alle passate! I cittadini degli stati uniti dell’ America settentrionale (io leggeva a questi giorni in quel prezioso trat- tatello d’ economia politica, di cui l’anno scorso ci ha fatto forse un ultimo dono il benemerito Tracy ) veggono ogni ven- ticingu’ anni raddoppiarsi la loro cultura, la loro industria, il loro commercio, la lor ricchezza, e la loro popolazione. Noi mon siamo una gente nuova, nè abbiamo ancora tanto di nuovo da fare, che possiamo vedere fra noi simile cosa. Siamo però una gente che ha bisogno di riunovarsi, e a cui rimane tanto da fare o da migliorare. che, se il cielo ne aiuti, e il buon vo- lere non ci manchi, potremmo noi pure ogni venticinqu’ anni vederci assai progrediti nella carriera della civiltà. Le statisti- che delle diverse città e de’ diversi stati, di cui si compone il bel paese d’Italia, rinnovate di tempo in tempo servirebbero mirabilmente a farci conoscere i nostri rispettivi bisogni, e ad ispirarci al confronto gli uni degli altri un'utile emulazione. Bramiamo dunque che il saggio del conte Lazise sia seguito da lavori somiglianti, tanto che l’Italia vi si vegga tutta intera come in uno specchio. Non tema, per quanto ama sè medesima, di trovarsi forse in molte parti meno adorna 0 meno decente di quel che vorrebbe. Preghi anzi che nessuno la lusinghi, poichè il lusingarla sarebbe gran danno, e il suo bene richiede 106 ch’ella conosca, benchè debba costarle qualche momentaneo do- lore, la nuda verità. Difesa della Filosofia, scritta da AmBroGIO BALBI. Lugano, Vanelli e C 1824 in 8. I cavalieri delle spegritojo o i campioni dell’ oscurantis- mo, come altri ama chiamarli , pare che oggi si diano dapper- tutto una gran faccenda. E se la sciagura vuole ch’essi ab- biano qualche ingerenza nelle cose dell’istruzione, possiamo bene aspettarci che vadano dritti dritti al loro scopo, di far cioè che gli uomini, se è possibile, mon veggano più lume - La filosofia è il gran mostro', contro cui principalmente si affannano a combattere, perchè è quella che più si oppone alla loro sublime impresa. Quindi trovandola nelle scuole, ove da qualche tempo si va cercando stabil sede sotto il nome d’ ideologia, le fanno contro un tremendo rumore, la chiamano empia v per lo me- no sospetta, e non avendo facoltà di scacciarla si provano a sgo- mentarla. Un caso forse recente di questa specie ha messa in mano la penna al sig. Balbi, a cui duole di veder persegui- tata o di sentir calunniata una innocente, che non è nel mondo se non per far del bene. Perch’essa , dice, non arriva col suo acume al di là di un ordine di verìtà puramente naturali, che ragione c'è di gridarla contraria alle soprannaturali? Perch’ essa non presume di sè medesima e si tiene fra i confini, che le sue forze le assegnano, che ragione c° è di dipingerla come un? oc- culta nemica della religione ? Gli antichi maestri, a cui la re- ligione dà il nome di padri, pensarono a questo riguardo ben diversamente da alcuni moderni zelatori. E certo la filosofia di Talete o di Pitagora, di Zenone o di Timeo non era più religiosa della filosofia di Bacone o di Condillac, di quel- la filosofia. che descrivendo con tanta esattezza la genera- zione delle nostre idee, e da questa deducendo un metodo sì rigoroso di ragionamento, ci mette sulla via d’ogni verità, ci fa sperare le più importanti scoperte nella natura fisica e morale dell’uomo, e ci conduce ad un’ ammirazione sì pro- fonda e sì viva della sapienza del suo autore. Il Nazianzeno , aggiugne il sig. Balbi, difendendo gli studi letterari e filosofici del gentilesimo contro alcuni fra cristiani de’ suoi giorni, che li biasimavano come pericolosi, scrivea giusta la versione del Salvini “ non doversi già disonorare quegli studi, ma ben tenere per istolti e per male emmaestrati coloro, che vorrebbero tutti 107 conformi a loro, acciocchè nella comune ignoranza la propria loro venisse a nascondersi, e fuggissero il rimprovero del loro poco sapere ,,. Altre mire hanno probabilmente i moderni de- trattori, e specielmente i moderni persecutori della filosofia, j quali mentre le fanno guerra vorrebbero pur mostrare di favo- rir l’istruzione. Ma se eglino, soggiugne il sig. Balbi, sono quegli uomini religiosi, che bramano esser creduti, veggano bene che la guerra da loro mossa non sia la più barbara guerra che possa farsi al bene della società, la quale tanto è più prospera quanto è più civile, tanto è più civile quanto è più illuminata, e tanto è più illuminata quanto è più certa la base delle sue cognizioni, riposta per volere di Dio medesimo nella filosofia dell’esperienza, in quella filosofia appunto ch’essi abborriscono, ma che tutti i savi oggi insegnano. CARACALLA, tragedia di G. B. MARSUZI. Roma, Poggioli 1824 in 8.° Caracalla, scrive Dione, fu denominato dagli oracoli Za belva feroce d° Ausonia ; ed egli se ne compiaceva. Qual talento poe- tico può fare di un mostro sì odioso il tolerabile protagonista d’ una tragedia? L’autore di quella che annunciamo bha cre- duto di vedere ne’ due figli di Severo i due figli di Edipo; e si è forse proposto di gareggiare coll’Alfieri, mettendoli in isce- na, Caracalla è il suo Eteocle, Geta è il suo Polinice, come Giu- lia è la sua Giocasta, e a qualche riguardo Faustina è la sua Antigone, e Leto il suo Creonte. Ma Alfieri sentì bene che lo spergiuro Eteocle ispirava troppa malevolenza al confronto del tradito Polinice, e diede a questo le parti, che il nostro af- fetto necessariamente gli assegna. Caracalla, su cui pesa gra- vissimo il sospetto di parricidio per ambizione d’ impero , è tale da farci piuttosto meravigliare che ancora non abbia commesso un fratricidio di quello che lasciarci dubitare che, potendo, non sia per commetterlo . Geta ben mostra di conoscerlo ove nell’ atto terzo, ragionando innanzi al senato, dice: Se Roma, Se non libero stato almen tranquillo Ricovrar ne potesse, io deporrei Il manto imperial. So che una cosa A me fora il deporlo ed esser spento.... Per cui non dico... il deporrei; chè meglio Fra le tombe de’ Scipì un’umil urna Chi muor tradito per la patria onora, 108 Che le moli di Caria o dell’ Egitto Un fortunato usurpator. Ma a tutto L’italo suolo un secolo di ferro Gravido d’ombre e di ruine è sopra. Il petto opporre e non gli dar le spalle Deggio; ciò vuol la patria ; a sì grand’ uopo Di cor, di possa, e di ragione armato Destinaronmi i Dei; non cedo il loco, E al gran riparo io fermo sto. Come mai l’autore, che gli fa pronunziare questi versi ( non belli ma de’ migliori della tragedia ) e lo dichiara con essi il principale de’ suoi personaggi ha potuto contradire a sè stesso, mettendogli innanzi Caracalla? Quest’ errore, parmi, è stato cagione di più altri. Per iscemare a Caracalla il nostro abbor- rimento, bisognò togliergli ciò che avea di più drammatico, l’indomita risolutezza del carattere, e quella fede nel potere della spada , ch'egli opponeva, come sappiamo dalla storia, a tatti i consigli della prudenza. Onde non comparisse un de- spota furente si è fatto di lui un despota ora irresoluto, or vile, or capriccioso. E di Geta, perchè gli nuocesse meno al confronto, si è fatto un essere minore di sè medesimo, quasi dimentico delle rare sue doti, e incapace di sostenersi dopo aver preso un magnanimo partito. Pure egli era l’ idolo dell’ eser- cito, che si ricordava de’ suoi brillanti successi nella gdlerra dei caledoni, e la speranza della nazione che conosceva il suo amore per la giustizia, e i suoi sentimenti d’ ùamanità . Qual felice con- trapposto , se il poeta sapeva usarne, fra colui che minacciava a Roma i giorni di Nerone e di Caligola, e quello che le promet- teva i giorni di Trajano e di Marco Aurelio! E da tale contrap- posto quale facilità non veniva al poeta medesimo di sospendere la sorte di Geta, e di nobilitarne la difesa contro l’odio del fratello ! Veggo invece introdotta nella tragedia , come causa di nuovo odio, e mezzo insieme di sospensione e di catastrofre, una Fau- stina terza figlia di Marco Aurelio, la cui mano è destinata a Caracalla che la disprezza, e il cui cuore è posseduto da Geta che la adora. Di questa Faustina veramente ci dice la storia che per salire sul trono ebbe il cuore di sposarsi Eliogabolo , l’ as- sassino del primo suo sposo Pomponio Basso. Questa certo non era degna di amar Geta, e di voler piuttosto morire con lui che regnare con Caracalla. Ma forse il nome di Faustina è stato dato dal poeta come più noto o come più tragico di quello di Fla- dilla, o di Cornificia alla più giovane delle figlie di Marco Au- 10Q relio, che spento Geta fu trucidata come sua amica quasi sugli occhi di Giulia, presso cui vivea. Dolcissimo essere a cui po- teva attribuirsi nella tragedia una parte così commovente! Ma il far dipendere da lei la sorte di Geta mi sembra gran fallo, poi- chè se Caracalla, giusta la supposizione del poeta, la stimava opportuno strumento d’impero, non la stimava strumento neces- sario. Ed ‘anche dimenticando la scena finale dell’atto quarto ( in cui questo vile ne minaccia la vita, se Geta accorso appunto per salvarla, non si allontana, anzi non promette di tornar di- sarmato, cioè, come ciascuno intende, a farsi da lui ammaz- zare ) ogni lettore troverà che la parte assegnata nella trage- dia alla regia donzella è tutta a danno della condotta e del carattere della tragedia medesima. Nè io so spiegare come Giulia, che la crede sì valevole a far nascere in Caracalla desiderj di pace, prima di avventurarla a tale atto che li renda per sempre impossibili, non cerchi di vincerne le ri- pugnanze e.di indurre Geta, del cui amore già poteva essersi accorta, ad un sagrifizio generoso. Ciò le stava assai meglio che il nascondersi nel larario e il perdersi in vani lamenti, non degni di donna d’alto spirito come la storia ce la dipinge, e istruita dalle molte vicende della sua vita, e dalla continua conversazione dei dotti, cui sapea preferire alle adulazioni de’ cortigiani. Io mi aspettava ( e dopo questa osservazione metterò pur fine alle mie parole sebbene la tragedia ne vorrebbe assai altre ) di vederle a’ fian- chi Papiniano, il più gran giureconsulto de’ suoi tempi, il più degno confidente del morto imperatore, e ancor molto accredi- tato in corte, se Caracalla, dopo l’ uccisione di Geta, bramò da lui pu apologia, che gli fu risolutamente negata con quelle franche parole: è più facile commettere che scusare un fratricidio , Bel contrapposto avrebbero prodotto nella tragedia l’antico prefetto del pretorio, e colui che ambiva di diventarlo; Papiniano venerato per dottrina, per probità, per nobile uso già fatto del potere, e Leto , la cui abbietta natura è appena accennata, ma di cui era facile comporre l’ideale della corruzione cortigiana nel palazzo de’ cesari. I dialoghi soprattutto dell’illustre uomo colla ve- dova di Severo e il migliore, come il più sventurato, de’ suoi figli intorno al modo di rimediare ai pubblici mali , di ridonare dignità a’ tanti esseri avviliti dai vizii e dalla servitù, di ripri- stinare l’impero delle leggi tutrici della civile libertà, avreb- bero potuto riuscire di un effetto meraviglioso. Felice il poeta che sa valersi di tutti i mezzi, onde inalzar la tragedia fino I10 ad essere !a maestra de’ potenti e l’ oratrice , se così posso espri- mermi, del genere umano! Dissertazione di AMBROGIO BALBI sopra il culto di VENERE ERICINA. Torino, Pomba e figli 1824 în 8° Nella prima di queste dissertazioni, la quale è divisa in due parti, l’autore si è proposto di mostrare che il culto, di cui ragiona, fu istituito da Erice re di Sicilia, cinquantacinqu’ anni circa innanzi alla distruzione di Troia, e che gli scrittori, che ne attribuirono l'istituzione ad Enea nella supposta sua venuta in Italia, furono tratti in errore dall’autorità di Virgilio , il quale potea, come in altri casi, non seguire l’istorica verità senza mancare all’officio di poeta. Nella seconda, che fu già stam- pata in Vigevano del 1805, ma in picciolissimo numero d’ esem- plari , sotto il titolo di dissertazione sopra una lapide romana ritrovata l’anno 1733 nell’antica via Appfa, ei cerca di provare che questa lapide, con cui Silla dedica a Venere Ericina le spo- glie tolte a’ vinti nemici, serviva di base ad uno de’ trofei da lui eretti sul campo di Cheronea dopo la disfatta di Mitridate . Chi ama aggirarsi pei sentieri di una florida erudizione , o cercandovi pascolo al suo genio più curante delle cose passate che delle pre- senti, o cercandovi distrazione dalle presenti e nojose nelle pas- sate e speciose, seguirà volentieri l’ autore nelle sue ricerche, le quali ci sembrano fatte con molta sagacia. Da varie note delle due dissertazioni, come del discorso in difesa della filosofia più sopra annunciato apparisce che molto gli preme di giustifi- care con esempi autorevoli i vocaboli in esse adoperati; il che indica in lui un gran desiderio di proprietà e di precisione. Questo desiderio per sè medesimo assai commendevole ci è di buon augurio per le prose future ch’egli ci promette, e nelle quali saremo lieti di poter notare i suoi progressi così nell'arte del ben pensare, come in quella del bene scrivere. Delle orazioni funerali, ragionamento di FRANCESCO BONCIANI. Firenze, Magheri 1824 in 8.° Francesco/ Bonciani ( già arcidiacono della metropolitana. di Firenze, poi arcivescovo di Pisa) fu uomo letteratissimo; e abbiamo di lui vari scritti eleganti in quella raccolta, che chia- masi delle prose fiorentine. Questo, che si annuncia (e non è il 111 solo de’ suoi scritti inediti ) lo dobbiamo alle cure dell’ erudito Moreni, il quale ne ha da pochi mesi acquistato l’autografo , e si è affrettato a darlo in luce colla stampa, mentre ancora suonavano le voci degli oratori per la morte del nostro buon Ferdinando . Fu letto! dall’illustre autore in una delle nostre ‘antiche academie, quella degli Alterati, ove concorrevano tutti i nobili del suo tempo, non d’altro maggiormente occupati, dice l'editore, che del vivissimo desiderio di apprendere. La mate- ria da cui s'intitola, e di cui appena aveano fatta parola i re- tori antecedenti , vi è trattata dottissimamente e compitissima- mente , quanto almeno comportavano gli studi degli italiani sulla fine del secolo decimosesto. Lo stile ci sembra degno d’ esser proposto a modello; e vogliamo che i lettori ne abbiàmo qui alcuni saggi. « Nullo è così semplice ed idiota, che nella morte de’ suoi congiunti non vada , per isfogare la doglia, rammemorando i lor costumi e le loro operazioni. Ma siccome ne” principii le cose sono picciole e basse, così di questa avvenne: perciocchè, per quanto è lecito comprendere, avendo la natura insegnata la maniera del rammaricarsi, si cominciarono que’ pianti funerali monodie ap- pellati , de’ quali in Omero qualche vestigio si ritrova, e come si vede era una lamentazione meschiata con le laudi del defunto, la quale, siccome il nome suona, s’usava per lo più in versi. A questa era somigliante quel canto mesto chiamato E7sydgoy. E un grammatico latino dice , che l'epicedio era il verso fune- rale, che si cantava non essendo ancor sepolto il cadavere, lad- dove l’epitafio si scriveva nel sepolcro, avvegnachè i latini si servissero di questa voce epitafio per significare cosa molto diversa dall’epitafio de’ greci. E comecchè questo fusse il principio delle orazioni funerali, il primo nondimeno, che le messe in uso, fu Valerio Publicola , il quale nel mortorio di Iunio Bruto primo consolo e liberatore della patria , morto nella battaglia contra ’l tiranno d’un riscontro, che uccise ancora Nt figliuolo di Tarquinio superbo, lo lodò pubblicamente con una TOT orazione, la quale tanto piacque al popolo romano, che sempre poi si costumò per gli uomini illustri di laudare coloro, che com- battendo per la patria erano ammazzati in battaglia.... « Anassimene oratore non attribuisce l’ invenzione di queste orazioni a’ romani, affermando che Solone , il quale diede leggi agli ateniesi, ne fu autore egli. Ma, come la cosa si stia , questo par manifesto , che gli uni e gli altri spinti dalla natura e non dall’ esempio, le funebri laudazioni riceverono, avvegnachè Ro- rIa ma nella cacciata de’ re non era così grande che la Grecia ne avesse molta notizia; e per lo medesimo rispetto Roma non po- teva sapere l’usanze greche. Ora gli ateniesi, padri di tutte le buone arti, conoscendo quanto valesse così fatta maniera d’orazioni a celebrare il nome de’ valenti uomini, decretarono che ogni anno se ne celebrasse una in laude di coloro , che erano morti combattendo per la patria, quasi che non paresse loro onore bastevole dargli la sepoltura del publico, ma volessono ancora magnificare i lor fatti, per infiammare gli altri a portarsi altresì valorosamente , come essi avevan fatto. Onde Pericle, quegli che tanti anni resse con sì gran giudizio la republica d’ Atene, e no- ve volte di sue vittorie rizzò trofei, non solo ordinò un super- bissimo mortorio a coloro, che avevano spesa la vita per aiu- tarlo a prender Samo, ma egli stesso ancora volle onorarli con una bellissima orazione funerale. ,, Il buon giudizio dell’autore nel dar precetti intorno ad un genere di eloquenza, che certo è de' più difficili, pel con- tinuo pericolo che degeneri in declamazione, si può argomen- tare da un altro passo che riferiremo. L'exageration s'est ré- fugiéee dans les oraisons funèbres, dice Voltaire; on s’attend toujours è l’y trouver; e loda Bossuet d’ aver saputo intene- rire e commovere in quelle occasioni, in cui gli altri quasi non avrebbero saputo che annojare. Il nostro Bonciani anch’e- gli si mostra nemico dell’iperbole, e citando alcuni periodi d’un’orazione del Salviati in morte del Varchi, soggiugne: ,, Nei quali luoghi, ed in molti altri ancora della medesima ora- zione si vede, che sforzandosi egli troppo di lodarlo , lo fa in un certo modo ridicolo, mettendogli indosso una veste da giganti. Onde per mio avviso doveva l'oratore più presto sfug- gire l’iperbole, che usarla molto spesso, e spezialmente per- chè ella aggrandisce senza pruova, non solo vera ma appa- rente. E chi non sa che in questo modo sarebbe facile com- mendare ogni cosa? E quantunque Cicerone nel libro intito- lato Bruto, dicendo che l’istorie de’ suoi tempi erano simili alle laudazioni de’ morti, ci dimostri che quelle orazioni lau- davano gli uomini da molte cose che in loro non si ritrova- vano; ed Isocrate nel Busiride ci dica, che a voler commen- dare uno è necessario fargli apparire più beni, che in verità non ebbe; nondimeno tutto questo si debbe intendere con mo - derazione , non volendo però dire che un semplice capitano si anteponga a Cesare, e un basso oratore a Demostene; se già questo non sì provasse così gentilmente, che niuno si avve- 113 desse di quella gran diseguaglianza; e allora non sarebbe iper- bole ma diventerebbe encomio fuor dell’opinione. ,; L’ editore, colla pubblicazione di questo ragionamento, si è accresciuta la gratitudine, che gli apprezzatori delle cose utili già gli professavano pel saggio datoci un anno. innanzi dei dia- loghi filosofici di Orazio Rucellai, altro libro che raccoman- diamo grandemente allo studio degli italiani. Del bello poetico, dialogo d’ANTONIO CESARI. Verona, Li- banti 1824 in 8.° L’autore lo ha separato dagli altri suoi dialoghi sopra /e bellezze del poema di Dante, onde i giovani, che non pos- sono acquistarli uniti, partecipassero per esso alla loro uti- lità. L’Antologia avrebbe già da qualche tempo reso conto di questi dialoghi, se non si fosse proposta di ragionare itisieme del libro dello Scolari sulla perfetta intelligenza del poema; delle due famigerate edizioni del poema medesimo, quella di Padova colle note di vari, e quella d’ Udinej secondo il codi- ce bartoliniano (a cui ora si aggiunge quella dell’ Inferno fatta a Londra colla traduzione e le note del Tarver); e infine del- la vita del poeta scritta dal Pelli, e ripubblicata, non è mol- to, con aggiunte ; il che non ha ancora potuto, ma pur farà in breve certissimamente . Intanto, per dir pure una parola del dialogo, che qui si annunzia , e che ciascuno già suppone scritto con gran vaghez. , za di lingua, non scevra, al solito dell’altre cose dell’ autore, di qualche plebeismo e di qualche ricercatezza , dicbiareremo ch’ esso ci ha cagionato, alla lettura, mon mediocre diletto . Quanto ci si fa osservare intorno alla verità alla singolarità e all’ornamento della poesia di Dante, se non è novissimo, è per lo più giustissimo, e viene da un sentimento, che deve re- care ad un tempo negli animi giovanili e la cognizione e l’amore di quella poesia. Chi bramasse intorno ad essa qualche cosa di più profondo, non resterebbe deluso, ricorrendo al quarto de’ saggi di Ugo Foscolo più sopra lodati. Gli interlocutori del dialogo sono tre illastri veronesi, Giu- seppe Torelli, Agostino Zeviani e Filippo Rosa Morando ( obliato come Matteo Bosso e Girolamo Pompei fra gli altri che il conte La- zise si compiace di annoverare nella sua statistica, ma degnissimo di onorata ricordanza ) ; e il linguaggio che loro si presta ci sem- bra assai conforme a ciò che conosciamo del loro ingegno. N. XVII. Marzo 114 Esercizio logico sugli errori d' ideologia e zoologia, compo» sto da MeLcHIOn GiosA. Milano, Pirotta 1824 in 8° È uno de' soliti libri del nostro eclettico per eccellenza , tutti pieni di tavole comparative, ove il lettore non trova per dir vero molta amenità, ma trova sempre molta istruzione . La sua epigrafe, tratta dal quarto volume dell’ Organologia di Gall, ne indica-lo spirito e quasi la forma: Rien ne sert mieux la verité que de la placer à coté de l’erreur; car celle-ci se montre alors avec un tel caractère d’absurdité, qu'elle ne peut plus faire prendre le change è personne. L° autore divide il suo libro (o dissertazione come gli piace chiamarlo ) in quattro parti. Nella prima discorre delle idee false , nella seguente delle inesatte, nella terza delle mancanti, e nell’ul- tima delle contradittorie, che possono notarsi negli scritti an- che più accreditati, e porge esempi in gran numero del mo- do di confutarle o correggerle o supplirle o avvicinarle. Tutto ciò ch’ei dice di proeminale e teoretico è di un rigore logi- co veramente ammirabile; tutto ciò che dice di esemplificati- vo e positivo mostra un'immensa lettura e una grandissima riflessione, ma non si oserebbe asserire che fosse intangibile alle critiche degli ideologi e de’ zoologi, a cui si appartiene il giu- dicarne, Chi ami vedere un prospetto breve e ben fatto del libro, di cui parliamo, lo troverà in uno degli ultimi numeri della Biblioteca Italiana, a cui, non credendo potere nulla di meglio, lo rimandiamo. Per dare però alcun saggio dell’im- portanza di questo libro, accenneremo alcune cose, di cui l’autore quasi al medesimo fine. ci avverte nella sua introdu- zione . Quanto alle idee false l’ esercizio del confutarle, egli di- ce, ne abitua ad esaminarle da tutti i lati, a renderci esatto conto di quelle che loro opponiamo, ad andar riservati ne’ no- stri giudizi vedendo a che strascini ogni inconsideratezza, a valutare la forza o la debolezza intellettuale degli scrittori, a non lasciarci vincere da nulla di estrinseco alle idee medesi- me, anzi a diffidarne tanto più, quanto sono più vecchie e accreditate . ‘‘ L’epoca in cui comparve nun errore; la rapidità con cui si diffuse; le vicende cui soggiacque nel corso de’ secoli ; la lotta che sostenne coll’opposta verità; gli uomini celebri che colla loro sanzione l’accreditarono; e quelli, ancora più rispet- tabili, che tentando d’abbatterlo ottennero il solito premio, imstitittttntì 115 persecuzioni e guai, presentano oggetti e scene forse più in- teressanti che i movimenti d’un esercito di 200 uomini, la presa d’una bicocca , la ritirata del nemico su d’una monta- gna, il passaggio d'un fiumicello di notte, i morti, i feriti, i prigionieri, e cose simili che in quasi tutte le pagine della storia compariscono . « L'esame della durata ed estensione delle opinioni da- rà al giovane i seguenti risultati. 1.* anno massima durata quelle opinioni, che adescano le più costanti affezioni del cuo- re umano , il desiderio della vita, l’amor del danaro, la bra- ma di dominare sugli uomini e sulle cose: ne somministrano una prova la magia e l’astrologia, che salgono alle ‘prime età del mondo, e non sono ancora estinte. 2.° Durano moltissimo quelle opinioni, che spiegano in modo volgarmente plausibile, cioè apparente e superficiale, i fenomeni della natura: ne è prova il manicheismo, ossia la dottrina dei dae principj buo- no e cattivo, che si riprodusse tante volte in onta deile sco- muniche de’ pontefici, de’ canoni de’ concilii, delle leggi degli imperatori. 3° Un’opinione dura tanto più, quanto è più va- ga o indeterminata, suscettibile di sensi diversi , capace di piegarsi a tutti i bisogni dell’ imaginazione: ne sono prova le false nozioni del punto d’ onore, che dal nono secolo in poi per tutta l’Europa si diffusero, e sotto varie forme si rìipro- ducono tuttora. ,, Quanto alle idee inesatte, queste, egli dice, possono es- serlo o per eccesso, o per difetto, o per confusione. Perocchè ora si danno per assolutamente vere alcune idee che sotto certo aspetto son false; ora si danno: per assolutamente utili idee che al di là di certo segno sono nocive; ora se ne frammi- schiano insieme d’assai disparate; ora si fanno indebite ecce- zioni ad idee fondamentali; ora si trasformano gli effetti in cause; ora de’casi particolari si fanno leggi generali. La ricerca delle eccezioni alle pretese leggi generali costringe a confrontarle con tutti i casi particolari, e segnare i confini, in cui cessano d’ essere vere. Questo esercizio è tanto più utile alla gioventù, quanto più le è naturale la presunzione ne’ giu- dizi. L’abitudine di separare, distinguere, analizzare le idee; l'abitudine di attribuire a ciascuna causa il suo effcito, a cia- scuna forza il suo prodotto, a ciascun agente la sua parte, preserva dall’ entusiasmo, dalle prevenzioni, dallo spirito di partito, insomma tende ad escludere l’ influsso de’ sentimenti , pa 116 estranei alle idee che si debbono diseutere, e a conservare in- tatti i lor rapporti. ;, Quanto alle idee mancanti, cioè alle idee che avrebbero dovuto ritrovarsi in un libro, secondo lo scopo a cui esso ten- de, e che non vi si trovano, l’esercizio di specificarle, dice il nostro autore, esser uno de’ più utili che possano farsi, pur- chè si osservi il metodo ch’ ei propone di mettere a confron- to dall’una parte le idee o volgarmente note, o teoricamente inconcludenti, o praticamente inutili, e dall’ altra le idee volgarmente ignote, o teoricamente concludenti', o praticamente più utili. ‘ Colla prima operazione, egli aggiunge, è dato il suo valore a ciascuna idea, vedesi quale posto occupi nel- l’edifizio scientifico , quale serie di fenomeni spieghi, a quali pratiche serva di base, sotto quali aspetti possa interessare, e sotto quali sia indifferente. Eseguendo la seconda operazione , il vostro spirito scorre sopra tutto il campo della scienza, ne visita tutte le parti, ne vede i punti più luminosi, ricorda i principj fondamentali, esamina le idee più utili, eseguisce mille confronti, paragona i princip) coi fatti, confronta la pratica colla teoria, e si abitua così a tutte le combinazioni ideali. ,, Quanto finalmente alle idee contradittorie che vanno sparse in un libro, cercando di avvicinarle, ci obblighiamo, dice l’au- tore, ad un estratto più rigoroso del libro medesimo, cioè a ridurlo esattamente ad una serie di proposizioni fondamentali e primarie ; seguiamo con maggiore attenzione lo sviluppo pro- gressivo delle secondarie; confrontiamo i luoghi, in cui viene riprodotta la stessa idea per vedere se lo è sotto forme diffe- renti; notiamo ove l’autore comincia a dilungarsi dalla meta a cui tende, lo seguiamo nelle sue aberrazioni, e intendiamo come riesca a meta del tutto opposta. “ L’ esame di queste variazioni è utilissima e dilettevole, giacchè ci mostra: 1.° co- me Ze affezioni dell'animo alterano i rapporti delle cose, e gli fanno comparire or vera ed or falsa la stessa idea; 2.° come principj falsi ma seducenti ci inducono a negare in un luogo de’ fatti, che l’osservazione ci costringe ad ammettere in un altro. Ingannato lo spirito dalla bella apparenza d’un princi- pio nega tutto ciò che non può comporre con esso. Vinto dalla verità de’ fatti ammette ciò che aveva negato . Nel pri- mo caso egli è un uomo che dorme e sogna; nel secondo egh è svegliato e dimentico di quanto sognò. Le contradizioni so- gliono essere frequenti in quegli scrittori che invece di deter- I I) minare i fatti colle regole dell’ osservazione , si lasciano ade- scare dal piacere d’indovinarli e dedurli dai fini ch’essi pre- scrivono alla natura, e che spesso ella smentisce. ,; Traendo gli esempi d’idee false, o inesatte, o mancanti, o contradittorie dalla ideologia e dalla zoologia, ehe è quanto dire enumerando molti errori di queste due scienze, dice l’au- tore di aver prescelti i più comuni, i più dominanti e ì più accreditati; e correggendoli coi fatti, che somministra l’osser- vazione, d’aver trovato che alle scienze non mancano i ca- pitali, ma piuttosto |’ arte d’impiegarli. Le cause dell’im per- fezione di quest'arte gli sembra che possano ridursi ad otto o nove , parte inerenti alla natura dell’ umano intelletto , e parte accidentali : inclinazione a generalizzare, fonte di verità e di errori, — tendenza a rassomigliare i fenomeni morali ai fe- nomeni fisici e a foggiarli secondo il nostro modo di conce- pire, — abitudine di applicare alle cose ignote le qualità che vediamo nelle più comuni, — inclinazione a rappresentare le nozioni astratte con oggetti materiali che servono a misurar- le, — bisogno di sensazioni, che vi fa ammettere que’ racconti e que’ fatti che trasportano l’ animo in situazioni straordina- rie, — abitudine contratta fino dall’ infanzia d' appagarci di parole invece d’ idee, — studio non sempre ben inteso di vol- gere le scienze naturali in catechismi di morale, — ignoran- za presuntuosa . Non rechiamo verano degli esempi, a cui l’autore applica queste diverse cause, e perchè il breve spazio concessoci da una rivista ci obbliga ad essere molto brevi, e perchè non vorrem- mo assicurare che quegli esempi fossero tutti senza eccezione. Pel corso dell'intero libro, ne avvisiamo il lettore , bisognerà spesso badar meno alla lettera che allo spirito delle cose che vi sì incontrano. Forse molti fatti mon ancor bene osservati nella storia delle nostre idee , o in quella delle facoltà e de’ costumi degli animali, possono sembrar sicuri all’ autore e non essere, ovvero possono sembrare erronei ed essere sicuri. Ma il suo metodo d’ esaminarli è eccellente, e abitua il pensiero a pro- cedere con rigore in qualunque genere d’ indagini , onde lo cre- diamo opportuno per ogni classe di persone . L'esercizio logico è un compimento delle lezioni di filosofia , che altra volta in questo giornale farono chiamate il miglior trattato di logica, finora comparso in Italia, e tanto migliore quanto e più popo- lare. I dotti e gli scienziati non sono già quelli che manchino alla nostra nazione. Mancano piuttosto ( e simile mancanza è 118 sentita più o meno anche fra l’ altre nazioni ) gli nomini di buon senso , e bene istruiti. Fomdamento della vera istruzione è la buona logica; ma nessuno, anche dopo averla liberata dal- l’ incertezze della metafisica e dall’ingombro della dialettica, l’avea saputa rendere sì chiara, sì semplice, sì trattabile , fatta quasi per passare delle scuole alle officine, come il nostro Gioja . Questo carattere di popolarità è il carattere della maggior parte de’ suoi libri, ove non deve dispiacere che sia spesso impiegata nella critica degli errori una logica severa, poichè senza di ciò non sarebbe possibile far la via alla verità. La storia della fi- losofia ci dice, che quando si sono accumulati molti ‘errori , se gli spiriti più torpidi vi si assoggettano , i più svegliati, non po- tendo assoggettarvisi egualmente, e non essendo abbbastanza illuminati, per distinguerli dalla verità, a cui si frammischiano , corrono rischio di rigettare e l’una e gli altri, e di abban- donarsi al dubio assoluto , o allo scetticismo universale . Contro di questo non v'è altro rimedio che il dubio filosofico, di cui è figlia la critica, la quale riconduce alla certezza , ed è la migliore amica della verità . Scelta di racconti storici e favolosi, tratti da ottimi testi di lingua per cura di TERENZIO MAzzoLi. Pesaro, Nobili 1824 in Svo. Siamo nel gran fervore delle scelte : se ne annunciano di tutte le specie e da tutte le parti. Dobbiamo noi consolarce- ne come di un pegno di ricchezza, o rammaricarcene in parte come di una prova di povertà? Se fossero tutte vere scelte dell’ ottimo fra il migliore, o del migliore fra il buono, que- sto dubbio sarebbe irragionevole. Ma se parecchie fossero non scelte ma raccolte, fatte per supplire a mancanze dispiace- voli e ognor più sentite, il nostro dubio potrebbe sembrare ben naturale. Importa moltissimo ( per restringerci alla mate- ria della scelta qui annunciata ) che i fanciulli abbiano sotto gli occhi buone lezioni di morale , che siano insieme buone le- zioni di lingua, o buone lezioni di lingua che siano insieme buone lezioni di morale. Ma queste per sè medesime sogliono riuscir loro 0 poco intelligibili o poco dilettevoli : poste in racconto formano ad un tempo, senza quasi che se ne avveggano, il loro gusto e il loro giudizio, li preparano a bene scrivere e a he- ne operare, due cose non egualmente importanti ma degne di vedersi riunite, e l una all’altra assai vantaggiosa» Questo di- 119 scorso si fa comunemente dagli uomini assennati, come si è fatto dall'autore della nuova scelta , che così noi pure deno- mineremo , poichè sappiamo bene che si sceglie fra le cose dissomiglianti come fra le somiglianti. Ove non si scegliesse che fra le seconde, ci parrebbe convenirle piuttosto il nome di rac- colta, non perchè l’autor suo non abbia fatto quanto era in lui onde riuscisse una buona scelta, ma perchè pur trop- po volendo scegliere era necessitato a far altro . Si propones- se egli infatti per primo scopo la lingua o la morale, ì nostri vecchi scrittori ( valentissimi e mirabilissimi, già non vuol di- sputarsene ) potevano dargli ben poco pel bisogno de?’ fanciulli, e questo poco si dovea cercarlo, non tanto per farne scelta, come per farne raccolta. Se così non fosse, noi avremmo ra- gione di domandargli più volte come, con quell’ intelligenza e quelle rette intenzioni che mostra, egli non abbia scelto di- versamante ? di Noi crediamo come lui che la lingua di que’ vecchi scrit- tori sia una miniera d’oro purissimo, e che il trascurarla porti seco per gli italiani la pena di cadere nella miseria e nella barbarie. Ma siamo sinceri. Il tempo di accostarvisi è forse la fanciullezza ? Sì preziosa miniera non richiede essa per le tante parti eterogenee frammiste al suo oro (arcaismi, negligenze, intrichi di sintasse ) un industria che superan le forze della prima età? L’istesso oro ben separato da quelle parti non è sovente troppo fine perchè l’ età inesperta possa comprenderne il valore ? Ora sommiamo il troppo fine, som- miamo il troppo lordo ; e vediamo quel che rimane per una età , a cui nvn bisogna presentar nulla , se è possibile, che non sia per lei di pronto , di sicuro e di piacevole uso. Ciò che diciamo della lingua si applichi alla morale. Dai racconti de’ nostri vecchi scrittori , che l’ autore della scelta ha uniti in- sieme , non dubito che noi possiamo cavare alcuni buoni am- maestramenti per la vita. Ma pei fanciulli il caso è diverso. Essi non intendono che cose proporzionate alle loro idee, han- no bisogno di esempi che si riferiscano a quei casi in cui si trovano, o possono trovarsi essi medesimi. A tutti gli altri, ben lungi dal poterne trarre alcuna buona lezione , dubito assai che possano prestare vera attenzione . — Ma essi la pre- stano grandissima , dice l’autore , agli avvenimenti giornalieri che si narrano e alle storielle delle nostre vecchie più idiote. — Così è, e così debb’essere , poichè quegli avvenimenti commovono il loro cuore, e quelle storielle captivano la loro fantasia . Se la 120 beffa che Biondello fa a Ciacco, o il bel convito di galline che la marchesana di Movferrato fa al re di Francia possano produrre il medesimo effetto lascio a lui il giudicarlo. E qui tornerebbe opportuna qualche riflessioncella sull’impressione mo- vale di simili racconti, impossibili ad intendersi senza qualche uso ‘di mondo e qualche malizia; ma poichè ciascuno per sè me- desimo sa farla, la omettiamo volentieri come soverchia , L’autore della scelta si mostra , nel suo proemio , dell’opi- nione di Rousseau , il quale riguarda le favolette o inutili o pericolose pel giudizio de’ semplici fanciulli. Pur egli ha uniti insieme racconti non solo storici ma anche favolosi. E favo- losi, buon Dio, di che specie ! il Fattore e il demonio; la visione del Conte d’ Anversa, e che so io. Nè temei che per questa mes colanza , egli dice, i fanciulli fossero per avvezzarsi a confondere il vero col falso. Il buon maestro facilmente sa- prà loro far distinguere quello ch’ è vero o prossimo al vero e quello ch'è falso, — Ma il maestro ignorante? — Oh padri ! Quale utilità sperate voi pei vostri figli, scegliendo a loro pre- cettore un tal uomo? Ognuno ci nasce al mondo ignorante , nè abbisognano cattedre d’ignoranza. ,, Santissima /[quest' ulti- ma sentenza, per amor della quale abbiamo riferito il passo, di cui essa è la conchiusione. Quanto però alla sostanza del passo medesimo noi domandiamo se sia di maggior pericolo pei fanciulli il far loro narrazioni , in cui le piante o le belve par- lino la verità , o in cui gli uomini parlino la menzogna ; il pro- por loro chiare allegorie dirette ad imprimere ne’ loro animi qualche massima semplicissima di morale, o il proporre fatti , che presi alla lettera guastano le loro idee, e spiegati il più delle volte le conturbano ? De' racconti storici raccolti nella scelta di cui si parla moi saremmo un poco più contenti, se non li trovassimo or mescolati di favole, or mal confacenti al fine della scelta medesima. Catilina e Belisea, Marzia degli Or- delaffi, l’ origine de’ Guelfi e de’ Ghibellini, le magnificenze del cardinale Ubaldini sono cose molto gradite a leggersi per noi barbuti studiosi: quale diletto e quale istrazione possano dare ai fanciulli non è facile imaginarlo . Che vuolsi intanto conchiadere da queste nostre parole ? Nient’ altro se non che fra tanti racconti, che possiede l’ Italia, i racconti pe’ fanciulli ( chiari, semplici, puri così per la fa- vella come per la morale ) sono ancora da farsi. Fra i rac- conti de’ vecchi scrittori è abbastanza poterne raccugliere un certo numero d’ intelligibili e onesti. Fra quelli de’ moderni se 12I ne troverebbe un certo numero di dilettevoli e d’ istruttivi, ma la favella in cui sono scritti o pecoa di scorrezione, o pecca d’af- fettazione , 0 manea di vaghezza. Quando ne avremo noi di tali, che servano veramente a cominciare fra noi 1’ educazio- ne morale e la letteraria ? Se di tanti buoni ingegni che si perdono tuttavia a far dispute sopra lingua, o a prescriverne regole che non ci abbisognano ,, o a scrivere versi, che ci bi- sognano ancor meno, i più colti e più desiderosi del bene vo- lessero applicarsi a composizioni , di cui abbiamo sì gran bi- sogno, non si renderebbero essi veramente benemeriti? Si gri- da tuttogiorno contro le cattive traduzioni di libri esteri, con cui s’ insegna a' fanciulli un linguaggio barbaro, senza che loro si giovi molto per altro riguardo, poichè il linguaggio barbaro non lascia idee nette nè scalda di verun amore per la virtù. Ma quelle traduzioni moltiplicate e ricercate provano il biso- gno , di cui si diceva; e chi più grida contro le une più ac- ousa la nostra indolenza nel provvedere all’altro. All’autore della scelta qui annunziata, frattanto, deve te- nersi conto della buona intenzione ; e darsi lode d’una fatica , la quale non è certo senza utilità. Perocchè se la sua scelta non ci sembra opportuna pe’ fanciulli, ci sembra opportunis- sima pe’ giovani, che già sono un poco avanzati nello studio della nostra letteratura, e quindi abbastanza maturi per pren- derne diletto e trarne profitto. Essa racchiude , per. così di- re, la storia della nostra lingua dai giorni del primo Villani a quelli del Sacchetti, periodo veramente felice per la lingua medesima , che d’indi in poi andò perdendo della sua primiti- va purezza; ed è corredata di note, parte delle quali non solo riescono comode, ma anche necessarie , poichè non vi suppli- rebbero i vocabolarj. Noi non diremo che l’ autore mai non siasi ingannato nella interpretazione di antichi modi o di an- tiche voci; ma ben diremo che, malgrado qualche abbaglio, egli ha mostrato uno studio ed una intelligenza della lingua , che oltrepassa lo studio e l’ intelligenza comune. Lasciando però le sue note puramente grammaticali, rechiamo un saggio delle sue note illustrative, che, riferendosi ad un passo tuttavia contro- verso della Divina Commedia , si troverà qui assai volentieri. La prima delle novelle antiche da lui poste nella sua scel- ta comincia con queste parole : “ Leggesi della bontà del re giovane guerreggiando col padre per lo consiglio di Beltramo del Bornio, lo quale Beltramo si vantò ch’ egli avea più senno che niuno altro ,,. Da quando, riflette l’ illustratore , il cele- 122 " bre Ginguenè alla pag. 570 del vol. 2. della' sua istoria lette» raria d’ Italia dimostrò che nel 28 canto dell’ Inferno l’Alighieri doveva avere scritto il re giovane in vece del re Giovanni, molti valenti scrittori italiani si sono opposti al francese ed al- tri lo hanno difeso, infino a che il ch. sig! Quirico Viviani, facendo di pubblica ragione il codice dartoliniano ha decisa la questione a favore del Ginguenè , leggendo quell’ ottimo te- sto Che al re giovane diedi i ma’ conforti , lezione confermata dal codice /lorio e per quanto ci viene riferito anche da uno estense , lezione che noi speriamo di veder accolta in tutte l’edizioni del divino poema, che si faranno per l’avvenire. E perchè nella contesa, che in questi anni si è trattata, spes- se volte è stata recata.\in mezzo l’ autorità di queste novel- le, quella della 35 pur delle novelle antiche, e quella del ca- po 4 del libro 5 delle storie di Giovanni Villani, noi diremo che secondo le storie d’ Inghilterra di Polidoro Virgilio e. del celebre Hume, il re giovane fa Enrico ( figlio primogenito di Enrico Il re d'Inghilterra ) per ben due volte coronato re vi- vente il padre, ad istigazione del re di Francia, ajutato dai ba- roni francesi sudditi del padre e confortato dalla regina Leonora sua madre , gelosa dell'amore che il marito nutriva per la bel- la e famosa Rosmunda di Cliffort, e per le arti materne ebbe al suo partito i due fratelli Riccardo, sì noti dipoi nelle storie delle crociate col nome di Cuor di leone, e Giuffredi . Questo Riccardo regnò dopo il padre; e Giovanni, altro figlio di Enri- co II, successe a questo fratello . A niuno di questi due potè convenire il titolo di re giovane, perchè non mai coronati vi- vendo il padre . Il valore e 1’ intrepidezza erano doti comuni ad Enrico e a Riccardo; ma la liberalità o, per dir meglio, la prodigalità conveniva solo ad Enrico, poichè Riccardo non fa esente dalla taccia di avarizia. Nessuna poi di quelle doti con- venne mai a Giovanni il quale fa misero, vile, codardo. Fi- nalmente il distintivo di re giovane era necessario nel principe Enrico re coronato, e portante lo stesso nome del padre. Il re giovane morì di malattia in castel Martello presso la Ture- na o nel 1179 o nel 1183, essendo in ciò discordi i due lodati scrittori; ed il padre Enrico II morì nel 1184. Colla scorta dun- que di questi celebri storici dovremo tenere per falsa nel rac- conto , che dà origine a questa nota, la maniera di morte del giovane re ; poichè di saetta nel 1196 morì il re Riccardo, il terrore de’ monsulmani , non però combattendo contro il padre che più non era, ma assediando il visconte di Limoges . Così 123 teniamo per fermo che nella 35 delle novelle antiche debba so- stituirsi il re giovane al re Giovanni. E forse è semplice errore di penna o di stampa, poichè in quella novella ripetesi tre volte il giovane re, e solo una volta trovasi il re Giovanni, ovvero fu intruso , come in Dante , dagli ignoranti copisti in que’ tem- pi; ne’ quali le isole britanniche si riguardavano come una ter- ra divisa dal resto del mondo. Ed alle incerte informazioni, che per mezzo di pochi mercanti di là ne giungevano, dobbia- mo lo stesso errore del Villani al luogo citato, nel quale sempre giovane deve riporsi in luogo di Giovanni , perchè il re Giovanni successe al fratello Riccardo e non Riccardo a Giovanni. Per mostrare finalmente quanto su questo punto fosse male informato il Vil- lani, noteremo un altro suo gravissimo sbaglio nel capitolo me- desimo, ove fa che Enrico III fosse figliuolo di Riccardo, quan- do il fu di Giovanni , al quale successe nel regno, ed è quegli che detto è per Dante il re della semplice vita , e dal Villani semplice uomo e di buona fe, ma di poco valore . Le quali pa- role ci sembra che lo storico togliesse in Dante, e possano far credere che fino dal momento in cui -venne in luce la Divina Commedia ne fosse depravata la lezione in quel luogo, onde tanto più prezioso diventa il codice bartoliniano ,,. Il finale giudizio di MICHELANGELO , cantica d’ANTONIO MEZZANOTTE . Perugia , Baduel 1824. in 8. Ut pictura poesis ci disse Orazio , ricordandosi forse del greco Simonide, il quale chiamò la pittura una poesia muta e la poesia una parlante pittura; e noi abbiamo preso alla lettera il suo paragone. Le speciose teorie fondate sovr' esso ne’ tempi moderni furono soggetto d'acuto esame ad un critico famoso, Lessing, il cui libro sovra i limiti rispettivi delle due arti è ab- bastanza conoscito. Malgrado il suo libro, però, l’autore di que- sta cantica sembra essere tuttavia persuaso che l’arte del pitto- re e quella del poeta si frassomigliano siffattamente, che l’ uno possa servire di traduttore all’altro, o almeno che se d’ogni poe- sia non può farsi bella pittura , d’ogni pittura possa farsi bella poesia. Quindi abbiamo di lui la Deposizione dalla croce del Ba- rocci, il Cenacolo di Leonardo, i Freschi del Perugino, ed ora il Giudizio di Michelangelo, in cui, giusta le sue frasi, egli si propose di darci il poema pittorico della nazione . Istrutto dall’esperienza sentì ; per vero dire , che altro è il presentare gli oggetti simultaneamente come si fa colla pittura , x 124 altro il presentarli progressivamente come si fa colla poesia. Ma gli sembrò che la progressione poetica , ove sia condotta con certo ordine, debba pur riuscire a quella stessa unità, che un’ opera pittorica ben concepita. Quindi cominciò dagli an- geli, che danno fiato alle trombe, e venne via via per otto canti ( certamente ben ripartiti ) fino alla sentenza del giudice supremo e alla sua esecuzione. E fu in ciò abbastanza avven- turato, che, come Michelangelo colla moltiplicità delle scene entrò alquanto ne’ confini della poesia, egli si trovò meno ri- stretto fra quelli della pittura . Voglio dire che come 1’ uno rappresentò a’ nostri occhi il suo soggetto con certa progres- sione, e fa a questo riguardo più poeta che pittore , l’ altro potè ritrarre quella rappresentazione alle nostre menti con mi- nore contrasto fra l’ arte del pittore e l’ arte del poeta. Ma tale vantaggio fu per lui di poco momento', ‘ Era cosa im- possibile , egli confessa , il render conto di ogni figura, trat- tandosi di un’opera che ne contiene innumerabili; ed era egual- mente impossibile cosa l’interpretare in ciascuna di esse figu- re l’intenzione del pittore, perchè tu sai che una pittura è per lo più in alcuni luoghi un testo assai difficile per chi vuol commentarlo ,,. Eccolo quindi obbligato a molte ommissioni, ch’ egli cerca di giustificare, dicendo che per esse venne a ri- trarre in grande l’ opera di Michelangelo, cioè a ritrarcela so- lamente nelle parti principali . Ora se il mirabile di tale opera consta altresì delle accessorie (ed egli non vuol negarcelo) qual pensiero fu il suo di darcene una traduzione , che ben sentiva non poter riuscire compita ? Se non che le parti stesse, ch’ egli conserva, di che modo gli è concesso di conservarcele? La pittura e la poesia, osser- vò Plutarco, differiscono egualmente e pel modo e per la ma- teria dell’ imitazione ; e questa doppia differenza ne cagiona un’ altra essenzialissima che è quella del soggetto. Come il di- segno e i colori non possono dire allo spirito tutto quello che possono dire i versi ; così i versi non possono dire all’ imagi- ‘nazione tutto quello che il disegno e i colori dicono agli oc- chi. Quindi poema veramente pittorico non credo che possa darsi, benchè possano darsi descrizioni poetiche di qualche og- getto pittorico. E così certo la sentivano gli antichi, i quali avevano in tutte le arti un gusto molto preciso. Ma noial- tri moderni, dice Lessing, abbiamo spesso creduto di sorpas- sarli cangiando in strade maestre gli angusti sentieri, per cui essi faceano talvolta qualche breve corsa ,,, Perchè infatti qual 125 ehe pittura o altra opera dell’ arte del disegno fu da loro ben descritta in un poema, ora pensiamo di aver vanto sopra di loro, facendo un poema d’una pittura. Che se si opponga che il giudizio finale è per sè mede- simo soggetto appropriatissimo all’arte del poeta più ancora che a quella del dipintore , noi domanderemo : perchè dunque non trattarlo addirittura con quell’ arte che gli è più convenevole, anzichè tradurlo dall’ opera di un’ arte che non gli è conve- nevole ugualmente? Pieno di grandi e varie passioni ( malgrado quella , che deve dominarvi, il terrore ) par ch’ esso richieg- ga una vita e un movimento di cui la pittura non può fare che un cenno; e la poesia, restringendosi a ciò che questa rappresenta , sacrifica le proprie forze senza acquistare le al- trui. Forse una gran cagione d’ inganno per l'autore della can- tica fu il pensiero, che Michelangelo componendo il miracolo della Sistina prese molto dei concetti e della maniera di Dan te, onde gli parve che quel miracolo si rivendicherebbe facil- mente all’ arte di Dante medesimo . Io non so quello che il potentissimo de’ poeti ( e l’ autor della cantiea n° è a troppo smisurata distanza ) avrebbe potuto fare prendendo a tradur- re l’opera di colui, che per certa somiglianza d’indole fu chia- mato il Dante della pittura. Oserei asserire peraltro che mai nel suo capo non sarebbe entrata l’idea di siffatta traduzione. AI più egli avrebbe fatto ciò che Michelangelo fece riguardo a lui medesimo, avrebbe cioè scelto dalla sua opera ciò che po- tea più specialmente convenire alla propria, dandogli nuovo at- teggiamento e nuovi colori. Se non che ove il pittore o il poe- ta vivessero in questa nostra età, prenderebbero l’ uno dall’ al- tro assai meno di quello che l’ uno prese realmente, e l’altro avrebbe potuto prendere in tempi ormai lontani da noi. Pe- rocchè e il pittore penserebhe che, sebbene ogni perfetta imita- zione sia bella, non per questo è sempre rappresentatrice del bello ; e il poeta conosceandosi atto a produrre un sublime ter- rore , sdegnerebbe d'impiegar le sue forze a cagionare l’ or- rore. Il quale se ripugna a quell’ altezza e gentilezza d’animo, che crediamo necessaria ai cultori d’ ogni bell’ arte, non ripu- gna meno alla ragione , che trova indegne dell’aito più solen- ne della giustizia di un Dio le barbare stravaganze dell’ infero- cita fantasia degli uomini. 126 La Storia Romana di Tito Livio, recata in italiano da Jacopo NARDI, coi supplimenti del FrEINSEMIO tradotti da Francesco AmgrosoLi. Vol. 1. Milano, Bettoni, 1324. in 8.° Se non occorre dire dello storico, non occorre neppur dire del volgarizzatore. Tutti sanno che s’ egli non riprodusse la magnificenza liviana, ne riprodusse la copia, e per l’oro della favella del Lazio ci diede l’ oro più puro della favella tosca- na. ‘ Se non che, ci dice il traduttore dei supplimenti , il se- colo nel quale il Nardi viveva ( studiosissimo al certo; e tut- to per così dire sfolgorante di letteraria luce ) non era anco- ra proceduto tropp’ oltre in quella critica che liberò poi le opere dei latini e dei greci da quegli errori che l’ ignoranza de’ copisti a sì larga mano vi sparse. Nè l’arte della stam- pa, ancora quasi bambina , aveva potuto rimediarvi gran fat- to. Però il Nardi lottando colla forza del solo suo ingegno contro le difficoltà di un testo non di rado guasto e storpia- to, qualche volta stette contento a un cotal modo. d' interpre- tare, a cui oggidì (dopo il ritrovamento di nuovi codici, do- po i progressi della critica, e dopo le cure dei Gronovii , dei Crevier , dei Drakenborch e degli attuali editori parigini ) nessu- no più vorrebbe quietarsi . In questi luoghi adunque era da soccorrere non agli errori del Nurdì, ma sibbene all’ infelicità de’ suoi tempi; e colla scorta delle migliori edizioni latine emen- dare nella versione que’ passi che ne avevano d’uopo. Nel che non è da tacersi che quasi tutti i nomi propri de’ consoli , dei tribuni e de’ capitani, e molti eziandio di paesi .trovansi gua- sti nel Nardi; ma'noi li emendammo secondo la lezione del Drakenborch e del Lemaire di Parigi. Così parimenti non ci siamo astenuti dal sostituire una nuova traduzione dove quella del Nardi (o sia colpa dell'autore o sia colpa delle perverse edizioni ) contraddicesse manifestamente al testo, o non presen- tasse un concetto chiaro e sicuro. Ma in tutti questi casi poi riferimmo a piè di pagina le parole del Nardi colle ragioni per le quali ce ne siamo scostati, acciocchè ogni lettore ne faccia giudizio da sè ,,. Alcani avrebbero voluto ch’ ei tenesse metodo opposto, cioè lasciasse il testo del Nardi qual lo trovava, e ponesse a piè di pagina le correzioni che stimava necessarie. Ma parmi che il loro volere senta piuttosto di superstizione che di ragione, poichè prima è il bisogno del vero poi quello del piacevole ; se pure è tanto diletto in poche e sparse parole d’un toscano cinquecentista , che 127 non. possa trovarsene altrettanto in quelle di un giovane lombar- do, che va ad essere sicuramente uno de’ più franchi e castigati scrittori della nostra lingua. Bastevole riguardo è usato alla pu- rezza e alla vaghezza delle parole del Nardi, se in grazia di esse pur tiensi qualche conto dell’ errore , che si potrebbe affatto ri- gettare. Se avvi qualche riverenza necessaria è piuttosto quella che devesi all’ autore che quella che devesi al traduttore, ben- chè autorevole per la lingua da lui usata. E poichè la diblioteca storica , di cui la nuova edizione del volgarizzamento del Nardi forma parte , (*) non si propone di dare testi di lingua ,' ma storie esatte , cioè secondo la mente di chi le scrisse , ogni ragione vo- leva che le erronee interpretazioni del Nardi cedessero in essa il posto ai veri concetti di T. Livio. « Abbiamo inoltre, prosegue il traduttore de’ supplimenti , divisi i libri in alcuni capitoli, stimando che ciò giovi principal- mente ad aiutar la memoria di chi legge; ma in ciò, dilungan- doci non meno dal costume tenuto dal Nardi, a cui forse non piacquero nè distinzioni nè capoversi , che dalla troppo minuta divisione di alcune edizioni latine, introducemmo una nostra di- visione che parte la storia a seconda de’principali avvenimenti. ,; Prudentissimo consiglio, a noi pare, e anch’esso consentaneo all’ oggetto per cui si riproduce un’ istoria. Rimaneva an dubbio intorno al riempire le lacune, che per oltraggio del tempo incontran- si nella storia liviana, dacchè altri brama i supplimenti, altri li ab- borre. Il giovane traduttore li distingue saviamente dalle continua- zioni, e dice che se queste possono tralasciarsi come affatto straniere agli antichi, quelli possono riuscire utilissimi mettendoci in gra- do d’approfittar meglio de’ resti degli scrittori medesimi. Quindi © È degna d’ osservazione la straordinaria accoglienza che gli italiani hanno fatta a questa Biblioteca. L’ ultimo elenco de’ suoi associati, se ben ci ricordiamo , ce ne presentava all’incirca mille ed ottocento. Ciò. prova che gli ingegni, abbandonando le vecchie futilità, si volgono anche fra noi alle scienze morali e sociali, che come tutte 1’ altre non hanno fondamento ch e nella scienza de’ fatti. Ze monde marche ha' detto recentemente uno dei mostri più celebri scrittori; il ya plus de vertus et de lumitres en Italie en 1825 qu'il n'y en avoit er 1800. (Revue Encyclop. Gennajo 1825. p. 29 ) L’ EDITORE. 128 pensò “ di aggiungere al Nardi una nuova traduzione dei stip< plimenti del Freinsemio alla seconda deca ed alle altre lacune de’ Be di is ivo a noi rimasti, senza moltiplicare soverchia - mente i volumi colla continuazione sino ai tempi d’ Però la storia liviana ora da lui riprodotta n perni re venuta d’Enea in Italia, e; senza interrompimento di sorta, con- duce il lettore fino all’ anno 586 di Roma, quando ( per usar le parole del Freinsemio ) la ruina del regno macedone, e molte altre nobili province aggiunte all’ imperio già l’ avevano resa ter- ribile a tutto il mondo. ,; Parlando della sua traduzione de’ supplimenti questo solo ci assicura, di non aver risparmiata fatica perchè quanto al senso riuscisse esattissima. “ Ma per quello che spetta allo stile, ag- giunge, ben sappiamo che il nostro volgarizzamento , frammi- schiato a quello del Nardi, non può aspettarsi miglior fortuna che il latino di Freinsemio paragohato a quello di Tito Livio. ;, Questa modestia ci piace in un giovane del suo valore, e an- ch’essa ci promette bene della sua fatica. Abbiamo a questi gior- ni udito parlare con molta lode d’un suo brevissimo commenta- rio al Dante ( sull’ esempio di quelli di Blond e di Farnabio ad alcuni poeti latini) e ci dispiace di non averlo sottocchio per dirne quel ch’ esso merita. Ma sapendo; per molte prove, come il sig. Ambrosoli faccia tutto con giudizio e maturità singolare, ci sembra: di ‘potere senz’ altro raccomondare al pubblico anche il sno commentario. brevissimo , che dopo i tanti lunghissimi sarà oggì il più ricercato . Introduzione alla filosofia naturale del pensiero , opera del sig, LALLEBASQUE. Lugano, Wanelli e C. 1824 in 8.° Tutte le scienze, dice l’autore , risultano da distribuzioni sistematiche del: pensiero, tutte le nostre facoltà intellettuali e morali si riducono al pensiero. Se avvi dunque filosofia prima » filosofia per eccellenza non può essere che quella del pensiero con- siderato nella sua più grande generalità. Questa è stato l’ oggetto principale de’suoi stadi dall’età più giovanile ; questa ne è divenuta l’ oggetto esclusivo nella matura . Egli potrebbe con piccola fatica farseli servire a conforto dell’ avversa fortuna; ma 131 gli parrebbe di mancare al debito d’ uomo e di cittadino, se non li volgesse insieme a publica utilità. Vicino adunque a communicarcene il frutto , a pubblicare cioè i vari trattati da lui composti sulla filosofia del pensiero , i quali uniti debbono for- marne uno generale e compito, ei fa loro precedere una. intro- duzione , che ci avvisi della meta a cui tende, e della via da lui scelta per giugnervi. Il lettore, egli imagina, deve presso a poco farmi quella domanda, ch'io farei a lui stesso , ove fosse nel mio caso. “ Ove mai, gli direi, vi proponete di condurmi? Mi mostrerete o no cose nuove? Mi farete osservare le vecchie sotto nuovi punti di vista? Mi guiderete almeno a queste nlti- me per vie più acconce, più brevi, e se vi piace più grate? Giugnerete ove gli altri son giunti, o vi spignerete più adden- tro? Per dir tutto in pochi termini: che si è fatto innanzi di voi, che avete fatto voi stesso, e che rimane a far oltre?,, La sua introduzione risponde a così giusti quesiti . Essa à divisa in tre parti. Nella prima l’autore parla de’ me- todi finora tenuti nel trattare la filosofia del pensiero, e si de- termina per quello che gli sembra preferibile. Poco si estende sovra i metodi d'Aristotile, di Cartesio , di Leibnitz, di Wolff, di Locke, di Condillac, di Bonnet, di Tracy, che suppone abbastanza conosciuti. Più a lungo si trattiene su quelli di Kant, di Stewart, di Darwin e di Cabanis, coi quali due ultimi ac- cenna d’essersi incontrato più volte col metodo proprio. S’ egli qui non desse conto de’ soli metodi ma anche delle dottrine de’ filosofi di cui ragiona più particolarmente; potremmo forse dolerci che molto ci lasci a desìderare. Vedete, si direbbe, co- me Fréret sa introdurci ne’ secreti de’ filoso& più misteriosi o più mal giudicati, Pitagora per esempio e Protagora; come Buhll sa renderci chiari i sistemi più oscori, quelli per esempio di Spinoza e di Giordano Bruno ; come Cousin ha saputo vestire di noevissima luce quello di Cartesio; come Degerando sa toc- care i punti, in cui le particolari dottrine si mniscono alle generali di una scuola o di una età. Ma un gran numero di spiegazioni l’autore lo riserba pei luoghi più opportuni vel lungo corso della sua opera , e noi non abbiamo diritto di domandarglielo anticipatamente. Quanto al metodo ch’ ei preferisce, ove già nol congetturassimo dal suo spirito di analisi, lo indovineremmo dalle lodi tributate a Tracy, il quale al dir suo cercando ridurre i giudizii ad una forma generale, e stabilire sovr’essa il prin- cipio di evidenza, dà al metodo di Locke e di Condillac (al me- 132 todo d’Ippocrate, di Bacone , di Galileo , di Newton ) la maggior possibile estensione. Nella seconda parte egli passa a cercare se di questo me- todo, che pure è l’ unico buono, si sia approfittato quanto ba- sta, per avere una scienza compita . E trovando ancora molte confusioni nel linguaggio ideologico , molte incertezze nelle classi- ficazioni del pensiero, molta superficialità nell'esame delle forze che lo generano, molte ipotesi oziose , è costretto asserire che no. Una delle principali cause dell’ imperfezione della scienza gli sembra quella, su cui tanto insisteva Bacone, il tenerla - cioè ancor troppo separata dalla fisica. Egli ci ricorda come quel filosofo intitolò la terza parte del suo nuovo organo fe- nomeni dell'universo ossia storia naturale e sperimentale per costruire la filosofia . ‘* Chi si prefigge , egli scriveva, non di conghietturare ed indovinare, ma sì bene di scoprire e di sape- re ; non di crear sistemi di mondi favolosi e fantastici, ma di penetrare nelle midolle di questo esistente e reale per farne in certo modo la notomia, non deve dalle cose reali dipartirsi . Nulla varrebbe infatti a compensarne lo studio; non ingegno ( fosse pur quello di tutti gli uomini insieme riunito ), non meditazione, non argomentazione. Quindi, trascurandolo , può lasciarsi l’ impresa per sempre ,,. E tra le parti di quella sua storia naturale e sperimentale ei poneva le operazioni intellet- tive come i moti corporei, e credeva che le une e gli altri dovessero studiarsi insieme, perchè /e scienze logiche e mora- li non ttrascorressero sulla superficie delle cose, ma avessero qualche profondità. Nulla di più strettamente legato , secondo il suo e l’ aniversale concetto, che quelle operazioni e quei moti; nulla dunque, secondo lui, di più assurdo che il farne studio separato, « L'uomo ministro ed interprete della natu- ra tanto opera ed intende quanto con la sperienza e con la mente ha osservato nell'ordine della natura medesima. Più oltre nè sa nè può. Non vi è forza che vaglia a spezzar la catena delle cause; convien che secondi la natura chi vuol signoreg- giarla ,,. Questi insegnamenti profondi , riflette il nostro auto- re, non mostrano per anco di che modo la filosofia del pen- siero possa convenientemente congiungersi alla filosofia natura- le. Ma è troppo chiaro non esservene altro che quello di unir- lo alla fisiologia; poichè nulla è sì prossimo all’ uomo intellet- tuale, come l’uomo, a cui diamo |’ appellativo di fisico . Car- fesio stesso , egli dice ( nè alcuno potrà sospettare Cartesio di 7133. * materialismo ), era persuaso che tutto il segreto del pensiero fosse nascosto in quello del sistema nervoso , e giunse persino ad affermare ‘ che se la specie umana può ricevere perfezio- namento deve cercarne i mezzi nella medicina ,,. Locke, egli soggiunge , gran notomista dell’ anima , era distinto \fra i me- dici. Pur sebbene abbia accennato la relazione che esiste fra il morale ed il fisico dell’ uomo, non ha fatto nulla per di- mostrarla, e così unire la scienza ideologica alla fisiologica. È a deplorarsi , egli prosegne, che varj insigni filosofi della sua scuola, fra i quali Condillac, non avessero gran presidio di studi naturali. Bonnet , che n’ era meglio provvisto, avrebbe potuto fare più che non fece, accontentandosi di analisi molto incomplete. Darwin e Cabanis, anch’ essi si arrestarono a mez- za via (e l’autore lo dimostra) lasciandosi sviare da inconsi- derate opinioni. Egli reca le parole dell’ ultimo , .il quale do- po aver detto che l'ideologia di Tracy è l’opera più perfetta del suo genere, che ancora sia comparsa nel mondo, confessa che rimane pur altro da desiderare a chi intende ciò che l’ i- deologia dovrebbe essere . Le relazioni conosciute fra il morale e il fisico dell'uomo aprono ; secondo lui, sentieri affatto nuo- vi per lo studio dell’uomo medesimo. Esse formano riupite il programma e quasi il riassunto di un nuovo trattato delle sen- sazioni, che se fosse eseguito a dovere non sarebbe oggi me- no utile ai progressi dell’ ideologia , che quello di Condillac lo fosse al suo tempo ,,. Nella terza parte della sua introduzione l’autore ci narra quali cure egli siasi date affine di promovere questi progressi. Le analisi da lui fatte, per rendersi conto de’ principali feno- meni ideologici, lo hanno portato , egli dice, ad applicare alla formazione del pensiero le dottrine browniane intorno alla vi- ta, a riconoscere cioè che il pensiero, come la vita, dipende da una forza insita e da nno stimolo a cui essa corrispon- de . Prendendo a regole del filosofare quelle seguite da Ne- wton : di non ammettere per ciascun effetto più cause di quel- le che bastino a spiegarlo ; di non attribuire per quanto sì può gli effetti del medesimo genere ( quelli cioè che si produco- no e cessano, crescono e scemano insieme ) se non alle cau- se medesime; di considerare come generali quelle qualità , che si trovano in tutti gli oggetti particolari della nostra esperienza; di tener per vere o prossimamente vere le proposizioni dedotte dai fenomeni osservati finchè nuovi fenomeni le confermino o le distruggano ; ha creduto non solo di poter dare alle leggi del 134 pensiero quella semplicità che Newton diede alle leggi del mo- to, ma di mostrarne l'identità con quelle della vita ed unire così di più saldo nodo l’ ideologia e la fisiologia. Se alcuno vo- lesse rimproverargli , dice l’‘autore , di assegnare. al pensiero leggi, di cui è più facile accertare l’esistenza che spiegare l’ essenza , egli non si vergognerà di confessare come Newton riguardo all’ attrazione , alla ripulsione e all’ altre forze della natura, che le stima inesplicabili , ossia le stima del numero di quei fatti primi, il cui secreto appartiene al grande ordinato- tore che li stabilì. Del resto egli fa avvertire con Bacone “ es- sere filosofia egualmente imperita che stolta il cercare la cau- sa delle cose universali, come il non desiderarla delle seconda- rie e subordinate ,,. Mentre però in forza delle sue ricerche gli sembra di poter ridurre all'unità che si disse le leggi del pensiero e della vita , confida di non dir nalla che abbia l’aria della stranezza o della improbabilità. Guai al sistema ideologi- co , egli esclama, che parrà del tutto nuovo al lettore o farà contrasto colla sua coscienza! Egli ha voluto, dice, in quella di tutti gli uomini una confermatrice d’ ogni sua induzione, pensando che sia fatta per accorgersi naturalmente del vero, anzi che il possegga in confuso, onde vediamo radicate nell’ etimolo- gie delle lingue idee giustissime , conosciute da uomini sempli- ci e rozzi assai prima che la filosotia vi giugnesse co’suoi ra- ziocinj. j Di ciò egli ne avvisa che si avranno molti esempi in quel suo trattato che porta il titolo di concordanze della lingua greca colla teoria del pensiero, e può considerarsi come una parte illustrativa dalla teoria medesima da lui esposta. Uno però egli ce ne porge anticipatamente per saggio ; e crediamo di qui viferirlo anche per dare un’ idea del suo modo di considerare le cose, che quasi più non sembrano aver bisogno di nuove me- ditazioni . Analizzando, egli narra, quell’ atto della nostra mente che chiamasi giudizio , trovai ch’ esso ad altro non è diretto che a decidere della conformità d’ un’ idea con un’altra, ov- vero della sua disformità, e che infine si riduce a decidere della differenza di due idee; poichè le idee similissime non possono distinguersi, e non risultano conformi che quando la differenza è infinitesima. “ Mi persuasi allora senz’ altro che giudicare è discernere. Ora questa verità è già scolpita nel di- zionario comune , poichè nella intelligenza del popolo un womo di discernimento è un uomo di giudizio. In qualche lingua anzi si avverte che un’espressione medesima così bene addita il giu- 139 dizio, come la segregazione. Tutta la forza dell’ analisi mi ri- condusse dunque a quel punto dal quale il senso comune avea già prese le mosse. ,, A questo senso per sè medesimo così retto egli amò par- ticolarmente attenersi, trattando alcune questioni morali sul- la natura dell’ anima. La filosofia, egli osserva con Bacone, trovò in ogni tempo un avversario duro e difficile in uno zelo smoderato di religione . Poichè altri temè per esso che ogni indagine della prima fosse a pregiudizio della seconda; al- tri volle che servisse per tutti i modi a confermarne le sen- tenze non bisognose di quest’ appoggio. Che avvenne intan- to? La filosofia fu tratta oltre i suoi confini; e la religione ebbe piuttosto a dolersene che ad applaudirsene. Gli argomenti, a cagion d’esempio , che si dedussero dalla natura del pensie- ro onde provare la semplicità e l’ immortalità dell'anima uma- na, trovarono de’ gravi oppositori tra gli stessi filosofi più re- ligiosi. Quelli recati dal Cartesio non persuasero il Locke ; quelli aggiunti da altri acuti pensatori non parvero al Kant che so- fismi. Ma vi sono argomenti, prosegue l’autore, che il Kant ed il Locke rispettarono, che non sembrarono falsi al Cartesio, che furono cari a Platone , che occuparono e addolcirono gli ultimi istanti di Socrate, che possono trovarsi nei codici di qua- si tutte le religioni. Sono gli argomenti che si offrono così alla mente di un Newton, il quale con essa abbraccia |’ universo, come a quella di un rustico , il quale; pianta una quercia, e sorride mesto al pensiero , che ne verrà benedetto da un po- stero . Chi crederà che non al comun senso, cioè alla coscienza generale degli uomini, ma ad alcune arguzie dialettiche la prov- videnza abbia affidato un domma il più popolare? Qaalunque teoria si adotti sulla natura del pensiero, que- sto domma , egli dice (e si propone di mostrarlo ) rimane sem- pre intatto perch’ è da essa affatto indipendente. Noi abbiamo veduta a questi ultimi giorni una lettera postuma di Cabanis, sospetto presso alcuni di materialismo , ov’ è dichiarata ne’ più precisi termini la sua credenza a tale domma; ciò che deve far cauti coloro, che giudicano de’ filosofi anche dal loro silenzio, e i loro sistemi da quello che non contengono. Parlare infatti di corrispondenza tra il fisico e il morale dell’uomo non è parlare di identità. E piuttosto un riconoscere implicitamen- te la loro differenza, quantunque non si cerchi in che con- sista. Il filosofo avrà torto di pensare che una verità addi- tata dal senso comune non possa essere dimostrata dalla scien. 136 za; ma questa sua opinione non offende per nulla siffatta ve- rità. Locke, Condillac, Bonnet, Tracy si sono astenuti da ogni questione ideologica sulla immaterialità e quindi sull’ im- mortalità dell’ anima; ma non per questo l’ hanno negata , nè la loro maniera di spiegare la formazione del pensiero conduce a negarla. Nè io veggo come possa condurvi quella di Caba- nis, il quale distingue sì spesso nell’opera sua /e facoltà dello spirito dalle disposizioni degli organi. Quindi ci pare coeren- tissimo a sè medesimo , allorchè nella lettera accennata scrive che il principio morale o intellettuale non è già il risultato dell’ azio- me degli organi o una proprietà particolare della loro combi- nazione, ma un ente reale, che mantiene fra essi questa com- binazione , dà loro il movimento e non cessa di esistere quan- do gli abbandona. Il nostro autore , schivando egli pure di assoggettare questa persuasione ad argomenti da cui non cre- de che dipenda, o togliendo se vuolsi all’ ideologia il diritto di confermarla, ne fà però soggetto di un particolare trattato, ove si propone di esaminarla nelle sue relazioni colla politica, la morale e le belle arti; e questo trattato coll’ altro delle con- cordanze già detto comparirà come appendice di tutta l’opera sulla filosofia del pensiero, cui divide in- altri sette. Perocchè egli ricerca innanzi tutto di quanti modi si pro- duca e si moltiplichi in noi il pensiero , quali forze interne, qua- li cause esterne concorrano a questa produzione e a questa modificazione; e intitola il primo trattato genealogia del pen- siero. Ma poco sapremmo di esso, egli dice, ove dopo averne ricercato |’ origine, non ne seguissimo i progressi, per conosce- re come giunga a formarsi quelle idee che sono considerate fondamentali o più generali; e il secondo trattato , che ri- guarda tale materia, intitola storia del pensiero. Nel rin- tracciarne | origine e delinearne la storia egli si avvide che era possibile indicare le relazioni che passano fra le varie sue specie e le rispettive forze produttrici; e la parte che riguarda queste relazioni intitolò ennimonia , ossia delle leggi del pensiero. Ma il pensiero è pur sempre accompagnato da ripugnanze 0 da propensioni, poichè all’ intendere in noi si associa il vole- re; e però all’enimmonia egli fa succedere la {axipatia , ‘che vuol dire elassificazione degli affetti. Se non che il pensiero non si presenta sempre nel medesimo stato, ma ora in uno stato che può chiamarsi di sanità, ora in un altro che può chiamarsi d’ infermità. La teoria del pensiero sano, che ri- guarda così il vero come l'onesto, è da lui intitolata ennis 137 giene. Quella del pensiero infermo, che riguarda cosi l’ er- rore come il vizio, è da lui intitolata /asennia , poichè pro- pone insieme i mezzi opportuni a guarirlo. Inoltratosi col- l’opera sua a questo punto osserva come alla filosofia del pen- siero si leghino naturalmente tutti gli studi in cui il pensiero si esercita; quelli che chiamansi naturali e quelli che chiamansi esatti; quelli che riguardano il costume, e quelli che riguarda- no le arti. Non dubita adunque di poterne dedurre norme ge- nerali così speculative come pratiche, le quali abbraccino ogni studio fatto e da farsi, e queste norme, che coronano il suo lavoro, intitola scienza delle scienze o principii di scienza uni- versale . Tante nuove analisi da lui eseguite , tante rettificazioni d’ an- tiche idee da lui cercate, gli hanno fatto sentire il bisogno di alcune innovazioni nel linguaggio filosofico. Ma lontano da ogni vanità e pieno di rispetto pel linguaggio degli ideologi suoi prede- cessori, egli non ha sostituito che di rado le proprie alle loro denominazioni, e si è dato cura di additare a quali di esse cor- rispondano, come nella chimica e nella botanica si addita la cor- rispondenza delle scientifiche e delle usuali, oppure di quelle de’ diversi maestri più famosi. Del rimanente, egli dice, non ho mai voluto sacrificare l'esattezza all’ eleganza; e questo cer- tamente è saggio consiglio ogni volta che l’una si separa dall’ altra. Ma se, come spesso abbiamo avuto occasione di accorgerci nella introduzione di cui rendiamo conto, l’ineleganza è inesattezza, ci duole che, faticando per presentarci un’opera di fitosofia tanto _bene ideata come ci sembra la sua, non siasi curato egualmente di presentarci un buon modello di stile filosofico , tanto importante pei progressi della filosofia medesima. Noi aspettiamo ad ogni mo- do con. grande ansietà le diverse parti che ci promette dell’ opera annunciata, la quale , ove riesca sì completa com’ egli si propone , potrebbe destare negli italiani ( a cui egli mostra di appartenere ) l’amore di una scienza, poco sin qui da loro coltivata , e rial- zare per esso le loro mentali facoltà. Quindi non leggiamo senza turbamento le parole piene di mestizia , ch'egli aggiunge alle sue promesse. “ Quando il corso di una vita, la cui parte più gaia fu la toleranza de’ mali, è bene al di là del suo mezzo; quan- do volgiamo le braccia senza mai incontrare l’ amico de’ nostri anni infantili, o la sorella, o la madre; quando i nostri occhi trascorrono una lunga estensione di terreno, senza vedervi le tom- be in cui i nostri padri riposano ;. quando la distrazione del frutto de’ nostri antichi sudori o non è più riparabile o mon è attual- 138 mente riparata da nuovi; quando infine il nostro essere è collo- eato per modo, che debba temere il soceorso più che non tema il bisogno, ci è sempre allora all’orecchio e ci rimbomba nel cuore quella sì grave sentenza: il tempo è Breve e nostra voglia è lunga. ,, Possa l’uno corrispondere all’ altra , ed essergli ap- portatore di quella calma, di cui la scienza ha bisogno! Delle opere di scultura ultimamente scoperte in Selinunte, memoria di PieTRO Pisani. Palermo, Abbate, 1824 în 8* Due giovani architetti inglesi, i signori Harris e Angell, venuti in Sicilia per istudiarne le famose antichità, dopo essersi a lungo occupati di quelle di Gergenti, di Siracusa e di Catania , si volsero nell’inverno del 1823 a quelle di Selinunte. Ivi, sca- vando fra le rovine di due gran tempi , scoprirono sui gradini delle loro facciate più metope rotte in mille pezzi , ove scorgevansi parti di figure d’alto rilievo, che facevano vivamente desiderare le mancanti. Si diedero quindi a far muove ricerche, e rac- colti con ostinata fatica molt’ altri pezzi, li mandarono coi primi a Palermo, ove si proponevano di riunirli , e rivendicare , se pos- sibil fosse, alle arti opere di un pregio inestimabile . Se non che il povero Harris, colpito dalle metifiche esalazioni di Jalico ( l’antica palude Gonusa, contro la quale, ci dice Laerzio, som- battè con felice ma troppo breve successo a pro de’ selinunzi il genio di Empedocle ) perì compianto da chiunque ne cono-7 sceva i talenti e le virtù, Il pensiero della riunione de’ pezzi rimase dunque al suo dolente compagno, che si condusse per essa nella capitale della Sicilia, ove trovò l’autore della presente memoria destinato dal governo a secondarlo. Il dotto uomo, prima di render conto di ciò che fece con quell’ingegnoso giovane, e di esporre la propria opinione sulle opere che riuscì loro di reintegrare, crede dover premettere qualche parola sull’ origine e le vicende della città a cui esse appartenevano ; potendo questa sua premessa giovare all’intel- ligenza del rimanente. Contro l'opinione di quelli che suppon- gono Selinunte fondata dai fenici, egli inclina a supporla fon- data dai sicani, appoggiandosi a ciò che dice Diodoro che De- dalo, venuto di Creta in Sicilia (assai prima dei fenici come ognun sa ) fabbricò in quella città una terma, ove raccoglievasi il caldo vapore, che usciva di sotterra, e induceva ne’ corpi una soave voluttà. Ivi fra gli altri edifizii antichissimi era fa- moso un tempio di Giove Agoreo, alla cui ara, secondo Ero- 139 doto, fa ueciso Eurileonte, che volle sgraziatamente farsi ti- ranno dopo avere meritato il divino titolo di liberatore. Ma di questo tempio si era da molti secoli perduto ogni vestigio; e pareva forse opera perduta il ricercarlo, ‘Tre tempii molto antichi e di mediocre grandezza si erano scoperti nel luogo già occupato dalla cittadella; e tre altri meno antichi, ma di grandezza maggiore in quel luogo che chiamasi Pilieri de’ Gi- ganti ad un miglio circa dalla cittadella medesima. Fra i se- condi già non poteva essere il tempio di Giove Agoreo; fra i primi nessuno lo avrebbe sospettato . Sono i sei tempii tutti di carbonato di calce conchiglifero di terza formazione , come quelli di Siracusa, di Gergenti e di Segesta, ed hanno gli ornati di carbonato di calce granilammeloso di se- conda formazione. I pezzi delle metope, composte di questa seconda materia, formavano quasi tutti parte del fregio scol- pito nel tempio di mezzo de’ primi tre, e pochi altri di quello di mezzo de’ Pilieri. L’ essersi trovati in buon numero fra i loro triglifi rispettivi facilitò il conoscere la progressiva dispo- sizione della metope, e quindi ( mercè i disegni che ne trassero sul luogo i due inglesi) la lor ricomposizione. Sì cominciò dal riunire i pezzi delle metope del tempio della cittadella. Di dieci, che dovevano essere, si giunse con gran fatica a formarne tre e non intere, cioè la sesta, la settima e l'ottava, alte ciascuna quattro piedi inglesi e nove pollici e mezzo ; e larghe tre piedi e sei pollici e mezzo, In ciascana veggonsi tre figure rappresentanti fatti mitologici ; cosa notabilissima, dice l’autore della memoria, poichè mai non si trovarono più di due figure in tutte le metope de- gli altri tempii finora conosciuti. Nella sesta (ch’ egli ci de- scrive colle compagne ) gli è sembrato di ravvisare espressa l'educazione del Bacco siculo, figlinolo di Giove e di Ce- rere, più antico del tebano, figliuolo di Giove e di Semele; e lo deduce eruditamente da più circostanze, e in ispecie dalla relazione di questa scultura con altra di Policleto, che, secondo Pausania, vedevasi nel tempio di Cerere in Ate- ne* Nell’ una come nell’ altra il Bacco giovinetto è posto in compagnia di due donne divine, la madre cioè e la sorella Proserpina. Questo solo vi è di singolare nella no- stra che ajutato dalla madre sta in atto di domare quattro ca- valli attaccati ad un carro agreste , simbolo chiarissimo delle opere dell’agricoltura. La settima delle metope sembra all’ au- t40 tore d’ assai più facile spiegazione. Egli non esita a trovare in essa espresso il momento, in cui Perseo, sostenato da Minerva in forma umana, recide la testa di Medusa (colpevole di ave- re per seduzion di Nettuno profanato il tempio della Dea); e dal sangue della ferita nasce il Pegaso, che la morente si stringe al seno qual parte di sè - E come può obbiettarglisi che qui la Gorgone non è riconoscibile, mancandole il distintivo de’ca- pegli serpentini, ci risponde che il primo ad attribuirglieli fu Eschilo posteriore di parecchi secoli alla scultura di cui si par- la, onde quel distintivo può chiamarsi. moderno ed arbitrario. Infatti egli ricorda come la bella e infelicissima giovane è rap- presentata con lunga e naturale capigliatura anche in un anti- co monumento etrusco , fattoci conoscere dal nostro Micali nella sua storia; non che in una pregiata moneta , che l’Eckel ascris- se a Populonia , il Castello a Camerina, ed egli crede di Se- linante. Nella ottava delle metope, la meglio conservata dopo l’antecedente, egli vede seolpito l’ Ercole Melampige ; ossia dalle natiche nere , che porta in ispalla, appesi alle due estremità d’una lancia, i due fratelli Passalo e Alemone, i quali si erano diver- titi ad allacciarlo mentre dormiva. Ciò concorda con quello che dice la mitologia della statua da loro inalzatagli presso le Termo- pile in memoria della vita ottenutane dopo la più grande paura d’essere uccisi; e colle pitture di due vasi grecosiculi assai an- tichi, veduti dall’ autore , 1’ uno in Palermo e l’altro in Ger- genti. L’ osservare in tre metope consecutive scolpite le azioni di tre figliuoli di Giove; e il sapersi che l’antica Selino, ov’era il tempio di Giove Agoreo , occupava il posto della cittadella di Selinunte, gli fa pensare che quelle metope appartenessero a questo tempio. Gosì, egli dice , nella facciata del tempio di Giove Olimpico in Agrigento vedeasi scolpita la guerra de’Gi- ganti; così in uno de’ timpani del Partenone di Atene vedeasi scolpita la nascita di Minerva, e nell’ altro la sua disputa con Nettuno; così nella fronte de’ più celebri tempj trovavansi rap- presentati i fatti relativi alle divinità in essi adorate. Quanto al tempio di mezzo dei Pi/erî ( a cui nessun altro è paragonabile per grandezza fuor che quello del Giove Agri- gentino ), non essendosi potuto ricomporre alcuna delle sue me- tope, riesce assai mal'agevole il congettarare ciò che in esse fosse rappresentato . Ciascuna conteneva non più di due figure, e queste, per quanto appare, muliebri insieme e guerriere. Quin- di l’autore, dopo l’ esame di una moltitudine di frammenti, è 141 venuto in pensiero che fossero figure di Amazoni, ed ha doman- dato a sè medesimo se per avventura non esprimessero l’ in- vasione di queste eroine nell’Attica ? Le metope del tempio della cittadella mostrano , al rosso del loro fondo e delle parti più rilevate delle loro figure , non che alla rozzezza delle figure medesime, una grande antichità . Il solo Ercole Melampige è alquanto meno informe, e può dir- si che racchiuda i germi de’ successivi progressi, che poi fece la scultura. Bensì i cavalli ( meraviglia che ciascuno spiegherà a suo modo) sono bellissimi, non solo relativamente alle uma- ne figure, ma assolutamente, e vedendoli soli si attribuirebbero all’ arte già perfetta. Pensando all’ antichissima origine di Se- linunte, e alla somiglianza delle indicate sculture con quelle del primo stile etrusco , si potrebbe , dice l’autore , crederle an- ch’ esse d’estrusco scalpello. La quale opinione , egli aggiunge, parrà ancor meno improbabile ove sì rifletta che i siculi ven- nero a stabilirsi nell’ isola, a cui diedero il nome, quasi tre- cent’ anni prima de’ greci , e dovettero portarvi le arti che in Etraria fiorivano. Ma non per questo sarebbe strano l’ attri- buire quelle sculture a’ greci, se è vero , come. insigni eruditi hanno sostenuto, che gli etruschi apprendessero le arti dai pe- lasghi o tirreni; ond’ è che Winkelmann raccomandava i monu- menti d’ antico stile etrusco, siccome gli unici che potessero darci idea delle prime opere della greca scultura. Dei fenici l’autore non crede di dover fare parola, come di quelli, che mai non edificarono in Sicilia veruna città; che mai non vi si trattennero che pochissimo tempo ; che non ebbero coi siculi altre relazioni fuorchè di commercio ; che quando vennero ac- colti dai segestani come confederati, già Selinunte contava più secoli d’ esistenza ; che mai forse non coltivarono le belle arti , e di cui non si conoscono che alcune rozze monete . | Intorno alle sculture del tempio de’ Pileri, prosegue l’ au- tore, non cade verun dubbio , che siano di greco scalpello, Dal loro stile, affatto simile a quello dei marmi di Egina, lavora- ti sessant’anni circa innanzi a Pericle, non solo si scorge ( com- | parativamente alle antecedenti sculture ) un gran progresso nel l’arte, ma una grande perfezione. Il disegno delle figure è corretto ed elegante, le teste vezzose e seducenti, le forme ton- deggianti, le mosse semplici e naturali, i panni disposti a pie- ghe compresse e parallele con molte grazia; le ombre , non che i lumi, distribuite con dolce gradazione . Un’ altro pregio ca- ratteristieo dì tali figure, osserva l’autore , è.l’essere di sì alto 142 rilievo , che la più parte non toccano al fondo che in alcuni punti isolati. Di qui si vede, egli dice, che quando furono scolpite già sì era per lunga esperienza appreso che ne’ rilievi da esporsi in campo aperto il distacco delle figure molto cuntri- buisce alla fermezza delle masse e all’ armonia dell’ effetto ge- nerale . La loro esecuzione, egli aggiunge , è degna a tatti i riguardi della scuola che precedette quella di Fidia . Abbiamo sotto gli occhi una lettera del sig. Hittorff, scritta di Selinunte il 30 decembre 1823 all’ editore del Giornale d’Arti in Stattgardia, la quale sembra confermare siffatti giudizii. Ci duo- le che i teatri di Taormina e di Catania e i tempii agrigentini non abbiano lasicato agio all’ artista alemanno di trattenersi in Palermo, e prendere fra lo scopritore e l’ illastratore delle me- tope selinuntine il posto dell’ infelice Harris, a cui dona egli pure una lagrima , che ci facciamo pregio di raccogliere. Notice sur une médaille inédite de CAvARUS, roi de Thrace par JEAN CarabeD. Constantinople, imp. du palais de Fran- ce, 1824. in 4° I Galli , dice l’ autore di questa memoria ( già dragomanno di Francia in Eraclea di Ponto) fecero in remotissimi tempi varie ir- ruzioni nelle parti meridionali dell’ Europa e dell’Asia. Ivi il loro ardore bellicoso , che fu per estinguere in eulla la grandezza di Roma e minacciò l'impero d’Alessandro, sparse a lungo la deso- lazione e il terrore ; e la loro selvaggia barbarie mise in forse la più antica civiltà che si conoscesse nel mondo. Belgio, uno de’lo- ro capi , come sappiamo da Pausania, da Diodoro, da Giusti- no , da Livio, invase la Macedonia e la 'Tracia sotto il regno di Tolomeo Carauno verso l’anno 280 innanzi all'era volgare. Degli altri capi, che vennero dopo di lui, e che secondo Po- libio si mantennero costanti nei presi possessi contro i conti- nui sforzi degli indigeni che gli abborrivano, ci mancano segui - te notizie. Comontorio , il quale ebbe sede ‘a Tule non lungi dal monte Emo, fu probabilmente il primo di loro che prese il titolo di re. Cavaro, fattoci conoscese da Polibio e da &4teneo, occupava il dominio verso l’anno 219; e fu l'ultimo della raz- za de’ galli, che gli succedesse. Egli si era meritata la gratitu- dine pubblica, facendo cessare la guerra di Prusia re di Biti- nia coi bizantini e i rodiani , assicurando così la navigazione del Ponto, e giovando al commercio del paese a cui sovrasta- va; ma pure la sua fine fu infelice. I traci, clic sopporta- 143 vano impazientemente il giogo straniero, lo roveseiarono dal trono per mettervi in sua vece Seute IV , discendente da’ loro principi antichi. Cary nell’istoria dei re di Tracia, citata con giusta lode dall’Eckel , osserva che Cavaro è quello stesso che un commentatore di Demostene chiama Clieo, e che nelle vec- chie edizioni di Polibio leggevasi Cliaro ; e la medaglia pub- blicata dal sig. Carabed giustifica la eorrezione che poi vi si , @' fatta . "® Nessun’ opera di numismatica , egli dice, avea fino a’ nostri giorni fatte conoscere medaglie di Cavaro . Quella che pubbli- cò poc’ anzi il nostro Sestini, attribuendone il discoprimento ad un medico di Costantinopoli, è una delle trenta scoperte dall’ autore della memoria. Ei le trovò ad Ilismye (ove forse fa la Cabyle menzionata da Demostene, da Strabone e da To- lomeo , e luogo di ergastolo sotto Filippo figlio di Aminta ) quasi ad ugual distanza da Adrianopoli e da Choumla sul ro- vescio meridionale dell’ Emo, ove esistono alcune vestigie d’an- tichità. Di tutte queste medaglie sei solamente sono di picciolo modulo; ed una delle sei è la pubblicata colla memoria di cui si ragiona. Quelle di più gran modulo ( tra le quali la sesti- niana ) presentano la testa laureata di Cavaro; quelle del più pic- colo presentano la testa laureata d’un vecchio, che potrebb’es- sere Giove olimpico . La Tracia, come ognun sa, era conse- icrata a Marte; pure, osserva l’autore della memoria, né le medaglie de’ suoi re, nè quelle della sue città portano impres- sa la testa di questo Dio. La più antica medaglia dei re di Tracia , che si conosca, è quella di Seate III, ed ha nel rovescio un cavallo, preso indubitatamente, secondo l’autore, dalle medaglie macedoniche. Anche le medaglie di Lisimaco e di Tolomeo Carauno presenta- no, egli dice, attributi macedonici, quando non presentano at- tributi particolari. Le medaglie più grandi di Cavaro portano 5 nel rovescio una Vittoria alata coll’ elmo in testa, che non è è certo il pileo macedonico, o la tiara diritta de’ traci, nè si sa che mai appartenesse alla loro armatura, eppure si trova sulle medaglie tracie di Eno e di Mesembria. La medesima Vittoria alata si vede sulle medaglie di Goti V e di Rascupori, non che su alcune delle imperiali di Bisanzio. Sulle picciole medaglie di Cavaro è un cornucopia, il quale indica probabil- mete la ricchezza, di cui questo re fu cagione al paese da lui dominito, per quelle cure di cui già si fe cenno, e fors’ an- che per quella ch'egli diede all’agricoltura . 144 3 E le più grandi e le più piccole medaglie, dice l’ autore; posseno fornirci un nuovo docuinento della facilità , con cui le orde guerriere del settentrione adottarono sempre gli usi e i costumi de’ popoli del mezzogiorno , di cui fecero la conquista. Se questi erano soggiogati dalla forza, quelle a vicenda erano vinte dall’irresistibile potere della civiltà. Appena i barbari pe- netrarono in Italia, il cristianesimo fu ricevuto nelle foreste della Germania; appena i tartari si furono stabiliti nella Cina, il lamismo si andò estinguendo fra loro per dar luogo alla filo- sofia di Confucio, ed or vediamo, sessant’ anni dopo l’ irruzione di Belgio , la iosa de’ vinti già sostituita a quella de’ vinci- tori, i brillanti attributi della greca mitologia già trionfanti di quelli del feroce culto di Teutate. ,, Ciò, egli dice, alludendo alle greche iscrizioni delle medaglie , all’ alata Vittoria di cui già si è parlato, e alla testa ch’ei crede di Giove Olimpico , siccome pure si accennò. À giustificare la quale opinione, ei riflette, quanto sia naturale l’imaginarsi che adottando le divinità straniere alla loro patria, i re traci di razza gallica rendessero i primi loro omaggi al più possente di tutti gli Dei, quasi per legitirmare, sotto la sua protezione, il. potere che do- veano solo alla forza dell’armi. ,, Se i traci, che sotto il se- condo Maometto s’impadronirono di Bizanzio, fossero stali così evveduti o così toleranti' come quegli stranieri che s’ impadro- nirono un tempo del loro paese originario, quanti mali si sa- rebbero forse risparmiati all’ umanità, quanto forse la civiltà avrebbe a quest'ora progredito! Possiamo noi prendere da que- sto fatto singolare di una memoria erudita impressa a Costan- tinopoli un felice augurio, che l’umanità non abbia ormai più a gemere guardando a quell’ antica sede del greco impero, e che la civiltà, di cui la stampa è si grande stromento, non debba più a iuice andarne sbandita ? Per l'avvenimento al trono di LeoPoLpo II granduca di To- scana, stanze di AveRARDO/GENOVESI. Pisa, Capurro- 1824, in 8° Un felice avvenimento ha ispirato al poeta un felice con- cetto. Cli sforzi dell’imaginazione non sono mecessari che per supplire al vuoto del cuore. Se questo è pieno di gioia e di giuste speranze , l’imaginazione si trova naturalmente commossa ; e ciò che da lei proviene ha un’aria di semplicità e di verità. Il nostro poeta (che eosì chiamiamo senza attribuirgli tutta 145 l’arte che un tal nome sembrerebbe indicare ) ce ne fornisce una bella prova. Egli si presenta al nuovo principe colla Mu- sa della sua patria ( Samminiato ), poichè avventuratamente il prin- cipe e la patria si trovano bene uniti nel suo pensiero, e fa che l’ una serva all’altra d’interprete fedele . Siguor ti dice (e china riverente Dì lacrima furtiva umido il ciglio ) Anch'io fui grande un tempo e fui possente E di popolo e d’arte e di consiglio: Emula rispettommi e più sovente M°’ accolse amica la città del Giglio: Quest’ alta torre in fra i rottami e l’erba Di mia prisca grandezza orme ancor serba. Ma poi che il fior d’ogni costume spento Discordia il socîal nodo recise, E il rio vessillo dispiegando al vento L’italica famiglia in due divise, Che povera di senno e d’ardimento A stranie genti il ricco fren commise, Diserto dell’imperio il bel giardino Soggiacqui all’onte del comun destino. E viene via via narrando, come a/giorni di Cosimo padre della patria anch'ella sorse coll’altre città etrusche a nuove speran- ze, anch'ella accorse della latina — grandezza a riparar l’ alta ruina. E qui addita al giovine principe, quasi testimomo delle proprie parole; l’ameno boschetto, ove il Ficino con altri sa- pienti della sua età teneva le sue dotte adunanze, e che ancor verdeggia sopra una collinetta a lei vicina. Come van liete quelle piante annose D' esser vivo a" nipoti monumento Di memorie sì care e gloriose! Le sfugge il-nembo, le rispetta il vento; E sol di placid’ aure armoniose Tu v'odi un soavissimo concento, Che dolce scende a’ cor gentili, e pare Che a’ bei studi ne chiami e all’opre chiare. Indi, passando ai giorni del magnifico Lorenzo, ricorda come prima di partire per Napoli, avventurando per la patria la vita ( giacchè tania guerra che allora ardeva, come scrive Machiavello , era nata solo per opprimerlo) si ritirò un istan- te nella quiete samminiatese, d’ onde scrisse alla signoria di Firenze quella famosa lettera, che basterebbe a pareggiarlo ai più grand’ uomini dell’ antichità ,, E accompagnandolo col volo del pensiero nella sua navigazione fa che sorga Nereo ( scolasti- co personaggio che ciascuno cangerebbe volentieri col Genio di N, XVII. Marzo 10 146 Lorenzo o con quello dell’ Etruria ) a vaticinargli i suoi futuri destini : Salve, l’augure a luì veglio divino, Salve o prode cantava, o generoso Emul del senno e del valor latino . Va, parla, vinci, e Flora abbia riposo, Chè il destin della patria è il tuo destino. Senti il tuo nome già suonar famoso , Vedil subietto nell’ età future D’ illustre prence all’ ingegnose cure . Non è fra noi chi non gusti la graziosa allusione di quest’ ulti- mo verso agli studj che il giovane principe, non ancor seduto sul trono, pose nella storia del secolo mediceo e specialmente in quella del magnifico Lorenzo. Tornò questi trionfante ( pro- segue la Musa o piuttosto la città che per sua bocca favella ) poichè volse in amicizia l’odio di chi il cercava a morte; e sotto il suo pacifico regime tutte l’arti che fanno bella e cara la vita presero felicemente a fiorire. Ma egli fu troppo presto rapito a Firenze e all'Italia, la cui nueva tranquillità tutta riposava nel suo senno, e ben presto risorsero le discordie an- tiche. E come germogliar fra le temute Spade può il fior degli operosi studi! Cortesi orecchie aman le Muse e quete Mura, e dolci costumi e usanze liete . Vennero i tempi del granducato, e alfine in seno ad una pace costante (di cui non è qui il luogo di esaminar la natura ) le arti gentili potevano credersi affatto sicure: Sol d’ eque leggi a render più sereno Il corso di quei dì mancava il freno .; Così la Musa si fa strada a cantare del regno del primo Leo- poldo, del Numa dell’ Etruria, com’essa lo chiama, del prin- cipe legislatore, per cui Temi librò con equa lance il giusto , Diè premi al merto e virtù pose in grido ; Franse i ceppi l'industria, e d’auro onusto Corse il mare a lambir l’aperto lido; E dove un dì crescean dumi ed ortiche Sorser le viti e biondeggiar le spiche . Indi passa a quello del suo tanto amato e tanto pianto suc- cessore, di cui descrive or con lieti or con mesti accenti la varia fortuna, e delinea il carattere, come già lo delinea la storia : E concorde il civil nodo mantiene Dal parteggiar di cieche voglie infranto . 147 Jo pure , prosegue la città per bocca della sua interprete, io pure colsi splendido frutto del suo regal favore , e ricorda il letterario istituto a lei donato, e di cui le pare esser degna; pvichè : E qui Pallade ha culto , e qui son care Le dotte imprese e l’utili fatiche; E quest’ aer vital move e ricrea Sovente il soffio dell’auretta ascrea . In prova di che nomina con opportunissima digressione quelli tra suoi figli, che più si distinsero per l’opere dell’ingegno , e dona al Candeschi , tanto benemerito della toscana agricoltu- ra, la più bella ottava forse di tutto il poemetto: Nè fia ch'io te, di rustiche faccende Utile precettor, ponga in oblio, Se non più i colli, tua mercè , scoscende L’onda con ruinoso mormorio, Ma serpeggiando tacita discende Di ciglio in ciglio con dolce pendio , ( Finchè stretta in canali ai campi lassa ll tolto limo, li fecunda e passa. Queste rimembranze sono in lei destate da quelle voci di giu- bilo , che le vengono dalle rive dell’Arno , tutte piene di fau- sti auguri, ond’ella rivolge confidentemente al nuovo principe queste parole : Almo signor, che tanto in cura prese La Dea ch’ ebbe in Atene e tempio e sede, Cui tanto il ciel fu de’ suoi don cortese, O Lroporpo di gran nome erede, Tu le belle a emular paterne imprese Volgi or pel calle della gloria il piede, Il poeta chiama nelle sue note uno de’ più gran monumenti del genio e della gloria di Leopoldo primo la legge che assi- cura fra noi la libertà del commercio , e loda qual compimen- to di così savia legge il provido motuproprio dei 19 novem- bre dell’anno appena decorso. Questo motuproprio noi lo ab- biamo veduto ricomparire quale argomento di giusta ammira- zione e augurio di regno avventurato ne’ fogli delle nazioni più illuminate. E forse lo avea presente al pensiero il ministro della più potente e più famosa fra esse (il sig. Canning) quando po- canzi diceva ai negozianti di Bristol : veggo con piacere scio- gliersi un po’alla volta in ogni parte del globo i vincoli del commercio, pregiudicevoli a moltissimi e a nessuno vantag- giosi, Così liberali principj, ereditari pel nostro giovane prin- cipe, accrescono la fiducia che a tutti ispirano le doti della 148 sua mente e del suo cuore. Il poeta ha rammentati i suoi stu- di intorno alle opere e alla vita del magnifico Lorenzo. Un’al- lusione a quelli da lui spesi intorno alle opere e alla vita di Galileo gli avrebbe fatto aggiugnere qualche bella ottava alla sua prosopopea. Ciascuno intanto leggendola conchiude, che al- l’ammiratore di Lorenzo e di Galileo, all’emulo del gran Leo- poldo è così giusto parlare di gloria, come all’ ottimo figlio del buon Ferdinando è giusto parlare di pubblico amore . M. Sull’ uso, cui erano destinati î monumenti egiziani detti comu- nemente scarabei. Lettera del cav. Giulio di S. Quintino Conservatore del museo Egiziano di S. Maestà il Re di Sar- lo) degna. Torino 1825. Sacsio sopra il sistema de’numeri presso eli antichi ‘Egiziani. 55 chi 5 3 Lettera del medesimo. Ivi, nello stesso anno. Appoggiata è gran parte della prima lettera alla congettura : congettura però non spregevole, considerata e di per sè sola e rispetto al genere d’ antichità, al quale appartiene , che è nuovo e bisognoso perciò d’ essere accresciuto con ulteriori verità , le quali spesso si trovano mercè dell’ avventurar opinioni, e del- l’ errare eziandio. 3) Sotto nome di Scarabei, dice il S. Quintino, intendo » parlare di que’ piccoli monumenti dell’ antico Egitto, figu- » rati o scritti nella parte liscia, di terra cotta ovvero di ») pietra, ed aventi, per lo più, la forma di quello scara- faggio che si vede tutto dì fare per terra la pallotta, o d’al- tro animale, cosa non molto diversa dalla figura ovale e ton- deggiante di quell’ insetto. Questi monumenti , che formano la serie più numerosa di quasi tutte le collezioni di cose antiche egiziane, si debbono dividere in due principali categorie, vale a dire in iscarabei sepolcrali , ed in iscarabei destinati per gli usi civili della società. I primi sono pochi in paragone de’se- condi: ma generalmente sono alquanto più grossi e privi, il più sovente , d’ iscrizioni e di figure; quando però ne hanno , queste si riferiscono sempre ai defunti, sul petto de’ quali si trovano nelle tombe . ... Non pochi sono fatti di lapislazzolo, » di basalte, d’agata , di serpentino, e di altre pietre assai pre- ,» gevoli. Ne’ secondi all’ opposto nulla si ravvisa che abbia re- lazione co’sepolcri; pare anzi che in essi la forma precisa dello ” 2) 2) 2) 2) ” 2) 2) 27 2) bÀ o >) 149 scarafaggio non fosse necessaria per l’ uso, cui erano destinati. Tutti sono traforati nella direzione , per lo più, del loro dia- metro maggiore; e così praticavasi sicuramente dagli Egiziani per potergli mettere in filze .... Questo carattere , tutto ad essi particolare, serve subito a fargli distinguere dagli scara- bei che facevano parte degli arredi sepolcrali, per lo scopo de’ quali il foro non era punto necessario ....I nove decimi degli scarabei non appartenenti ai sepolcri, sono composti di una tenacissima terra cotta, anzi, per lo più, d’una vera por- cellana, poco men dura e consistente degli stessi macigni, quasi sempre coperta di smalti di varii colori . ... ad esempio delle »» pietre, dalle quali talvolta quelle porcellane appena si posso- 3; no distinguere ,;. Ciò osservato, considera l autor della lettera che niun uso sacro o profano di questi scarabei apparisce su’ monumenti, e riflette insieme che non poteron essi servir di sigilli o d’ anelli , perchè la forma di questi, che ben si conosce, assai n’ è diver- sa. Gli torna poi in mente, e destagli maraviglia, che ,, fra l’in- 3) finito numero delle cose antiche d’ ogni forma e sostanza che o già da più secoli si vanno scavando nella valle del Nilo, non 3) siasi scoperta mai una sola moneta di vero conio egiziano ; quando all’ incontro se ne trovano ogni giorno in gran copia di quelle battute colà non solo dai Romani e dai Greci, ma talvolta ancora dagli stessi monarchi persiani, che furono a 3» contatto cogli ultimi Faraoni ,,. Laonde egli stima che gli sca- rabei siano serviti in Egitto di moneta per le piccole contrat- tazioni, tenendo che nelle maggiori ,, il valore delle cose fosse 3» contraccambiato con metalli preziosi dati e ricevuti in massa, » €; tutto al più, cautelati nella loro bontà per qualche pub- » blico marchio ,,. La qual congettura appoggiasi dal S. Quin- tino alle seguenti ragioni. Gli scarabei egiziani, sono, come le medaglie, in gran numero, piccioli di mole, di consistente ma- teria, varii nei tipi, e segnati frequentemente del nome dei prin- cipi che ne furono autori. Nella ricca collezione di Torino , in che sono circa a 1700 scarabei , quasi cento se ne veggono , 3, i quali invece di essere segnati colle solite note geroglifiche , 3, ovvero con figure , presentano dei punti fatti a modo di pic- »» coli cerchietti, regolarmente disposti, e di vario numero, dal- so l’unità fino al venti. Non è cosa improbabile, che in tal guisa », come appunto sulle frazioni dell’ asse romano, venisse indicato », il maggiore o minor valsente nominale di ciascuno scarabeo ,,. Ai quali argomenti e ad altri che troppo lungo sarebbe |’ anno- » 2) 2) 2) 2) 2) 2) 2) 29 ” 2) 150 verare, quello aggiugnesi della consunzione, che in tanta durezza delle materie, onde sono composti, non altro può considerarsi »» che l’effetto di un lungo sfregamento prodotto dall’ uso quo- » tidiano di quelle porcellane, non diversamente da ciò che noi » vediamo accadere alle monete correnti nel giro di pochi anni ,,. Dalla evidenza è al tutto sostenuta la seconda lettera, che aggirasi sul sistema numerale degli Egizii , in cifre ieratiche e demotiche. Risulta la formazione di questo sistema dai molti pa- ragoni fatti su’ papiri che si conservano nel R. museo di Torino. » I papiri ‘scrive il dotto illustratore, di cui mi sono maggior. 3» mente giovato nelle mie ricerche, sono i contratti demotici , », e certi preziosi registri ieratici , che sono qui in buon nume- h ro, pieni in ogni loro parte di date, e di quantità numerali : 3» ma più ancora mi sono stati opportuni i miseri avanzi di un » antico codice cronologico egiziano, che presso di noi si con- », serva, ridotto però dal tempo in centinaia di frammenti ,,. Se noi volessimo dar qui piena contezza di questa lettera, dovrem- mo presso che tutta recarla, tanto essa è concisa ; e recar dò- vremmo eziandio la carta litografica che le serve di bel corredo e di certa riprova. Basti averne annunziata la scoperta, e il mo- do, onde si è fatta, che è, come abbiam detto, il paragone : certa norma agli studi delle antichità. Abbiam fiducia che chiun- que legga l’ operetta, vorrà esser con noi d’ accordo in ricono- scervi una vera scoperta, ed un incremento alla dottrina dei gero- glifici, per la quale, siccome dice a ragione il San Quintino » abbiamo gia contratte tante obbligazioni cogli oltramontani, massimamente col sig. Champollion, che quasi può dirsi il padre di questo nuovo ramo d' archeologia. Ma se l’ Italia non ha po- tuto in ciò prevenire gli stranieri, deesi però a lei dare il vanto di avere applicato sollecitamente a questo difficilissimo studio affine di recargli e buone conferme ed utili accrescimenti. E in ciò è da concedere la palma ai signori Accademici di Torino, per le cure dei quali sono su questa materia non pochi scritti già venuti in luce, e più altri in seguito ne verranno, e di somma importan - za. Così la più bella raccolta di monumenti” egiziani sarà e da loro e dal lodato sig. Champollion, che già ha incominciato a scriverne, rendata di pubblica utilità: unico fine , per cui con molto dispendio se n'è fatto l’ acquisto. Z. 151 Di un quadrante unico ed inedito nel Museo dell’Università di Perugia al sig: dot. Ferdinando Speroni. Lettera di Gio. Batista Vermiglioli. Perugia 1825. in 8°. Questa moneta appartiene alla classe delle unciali , classe , », di cui l’ Italia sola, dice il sig. Vermiglioli, può menare gran » vanto, e classe assai preziosa per la storia delle antiche itali- 3» che zecche, imperciocchè per essa sola potrebbe conoscersi in 3, buona parte la storia dell’ antico nazionale commercio ,,. Nel diritto di questa moneta è espressa di faccia una testa di toro con la iscrizione retrograda \qgj3; e nel rovescio la testa d’ A- pollo o di Diana , dietro alla’ quale sono i tre globuli dinotanti la quarta parte dell’ asse. Pesa essa due once e un denaro; onde ben deduce il sig. Vermiglioli, appartenere all’ asse già dimi- nuito della sua terza parte, o sia di quattro once. La prima let- tera giudicasi da lui un digamma eolico, il quale ,, anche nel- », l’ antiche lingue d’Italia, non meno che in Grecia e nella 3 Grecia italica, oltre il valore del V consonante, prese pure » il luogo di aspirata ,,. Del che reca il sig. Vermiglioli gli e- sempi opportuni, tra’ quali comprendesi una inedita iscrizione etrusca, pertinente alla famiglia Eneta o Veneta, sfuggita al dotto antiquario quando nel 1823. illustrò l’ ipogeo della detta fami- glia, scavato con moltissimi altri nelle vicinanze di Perugia. Ciò premesso legge egli nella iscrizione della sua medaglia HIR, prin- cipio del nome della città , in che quella fu battuta. Sembrando poi a lui che la fabbrica d’essa sia ,, dell’ Italia media, e di 3, regioni prossime all’ Etruria ed all’ Umbria ,, si determina a crederla d’ Ereto , città dei Sabini, detta in antica lapida /7ire- tum. A molta e scelta erudizione, siccome sempre suole, appog- gia e questa congettura sua e la convenienza delle rappresentanze del diritto e del rovescio. Non tace di aver fatto consapevole il sig. Sestini, principe dei moderni numismatici, e di averne avuto in risposta , che poteva, in ispiegar questa medaglia, pensarsi an- che agli irpini, popoli del Sannio. Noi però sappiamo, aver ora il lodato sig. Sestini cangiato avviso, riputando che per V debba leggersi la lettera, onde incomincia l’iscrizione del quadrante e che questo sia da attribuirsi ai Verulani, popoli dell’ antico Lazio. In ogni modo la medaglia è importantissima, e dee darsi lode al sig. Vermiglioli che ha avuto cura di tosto pubblicarla in una tavola posta in fronte del suo eruditissimo libretto. Z. 152 Intorno alcuni monumenti epigrafici cristiani scoperti in Mi- lano l’anno 1813. nell’ insigne Basilica di Sant® Ambrogio, dissertazione epistolare del Dottore Giovanni Labus. Milano dalla tipografia del Dott. Giulio Ferrario 1824. in 4. grande di pag. 39. con ana tavola in rame. Nove iscrizioni cristiane s’ illustrano in questa operetta; e veramente s’ illustrano, perchè tutto vi si prova con ragioni di evidenza e con assai copia di dottrina. Fra le tante antichità della basilica ambrosiana vi fu pur compreso dal Bianconi il pavimen- to. E si vide che egli erasi ben avvisato, allorchè messasi mano nel marzo dell’ anno 1813. a risarcirlo , si trovò che le mal con- nesse pietre, onde fu composto ,, erano tutte o antiche lapidi , volte a rovescio, 0 frammenti di capitelli, colonne e fregi di , rovinati edifici, o ruderi infine, che ricordavano le infelici età ,; dei Goti e dei Longobardi ,,. Presso che tutte queste funebri iscrizioni han data d’ anno, renduta certa dai consoli che vi si veggono segnati. E questo è ciò che dà modo al sig. Labus di fare utilissime avvertenze. No- tasi nella prima iscrizione il consolato di Magno Massimo chdotà nell’anno 388. dell’ era nostra; il qual consolato leggesi pure in una iscrizione edita dal Fabretti. Così è I’ una all’ altra di con- ferma ; nè ciò è sfuggito al sig. Labus. Magno Massimo discese dal varco delle Alpi l’an. 387. e cacciato di Milano Valentiniano giuniore invase la signoria dell’ Italia. E quantunque nei Fasti consolari non apparisca il suo nome, mostrando essi nel detto anno 388. Teodosio Augusto console per la seconda volta in- siem con Cinegio; ciò non pertanto le mentovate iscrizioni fan palese ch’ egli si usurpò l’ onore dei fasci, come altri tiranni fecero nei paesi di loro conquista; e ciò avea già avvertito il Petavio. Segnata è la terza iscrizione del consolato di Castino, che n'ebbe l’ onore nel 424. Scrivesi negli annaii ecclesiastici del Baronio che Castino dovè in questo anno per cagione ignota ripararsi in Affrica presso Bonifazio Conte, e soffrir l’onta di veder cancellato il suo nome dai Fasti, Ma dimostra il sig. Labus, non esser vero quest’ ultimo , e il primo dover essere avvenuto in tempo posteriore. Appar come console nella sesta iscrizione un Boezio, che chiamasi giuniore. Quattro Boezi contemporanei si rammentano dagli scrittori dei Fasti e dai cronisti del V. e del VI. secolo. Ma egli è chiaramente mostrato dal sig. Labus, che quel Boe- 153 zio è l’infelice autore del bel trattato de consolatione Philo- sophiae. Laondc è da tenersi in molto pregio questa iscrizio- ne, siccome l’antico monumento in marmo, che ricordi quel celebre nome. Molti altri belli ed utili schiarimenti sono in questa ope- retta. Per addurne alcun esempio, provasi che in cristiane iscri- zioni è talora la. parola x@AoxosguTos, che letta in abbrevia- tura avea dato luogo a fantastiche interpretazioni, e ‘che essa è ,, nuovo composto, a qualificare colui, che dopo vita esem- »» plare e penitente era passato all’ eterno riposo ,;; si dimostra che la parola recentarius dinota un facitore, o venditore di vi- no dolce; e si fa manifesto che la formula contra votum non adoperavasi solamente dai genitori che. ponean lapidi agli estin- ti lor figli, come sentenziò il Morcelli, ma che bensì fu essa d’ uso generale. Non solo per questi ed altri meriti abbiam noi fatto men- zione di questo libretto; ma sì ancora perchè più estesa con- tezza ne abbia il pubblico, il quale trovar non può esposti alla vendita i pochi esemplari che d’ esso sono venuti alla lu- ce delle stampe, e di che solamente si è fatto dono. Z. —_—rr—w="_—11——————————— —— Lettere d’ un socio ordinario dell’ accademia archeologica di Roma ad altro socio della medesima in Firenze . LETTERA II. Roma 28 Febbraio 1825. Godo annunziarti non essermi io punto ingannato nell’altra mia allorchè parlandoti della Basilica Ostiense ti dicea , esser ripo- sta la mia speranza nella considerazione, che mutabili sono gli umani consigli, da che le benefiche disposizioni sovrane sembra che abbiano fatto variare |’ ordine delle cose. Sorgerà di nuo- vo, lo spero, quel magnifico tempio , monumento venerando dell’antichità e delle arti, e testimonio singolare della pietà dei primitivi fedeli; non avranno più luogo ‘le riprovabili innova- zioni che alcuni architetti volevano eseguirvi; sarà esso resti- tuito alla pristina forma di che rallegrerassi il Fea, e quanti amano e conoscono il pregio delle prische memorie; e al- . l’amoroso nostro sovrano toccherà la gloria di avere a com- 154 piere l’opera la più commendabile, e santa. Già molto dalla sua protezione ottennero le arti e le antichità, e fra tante prove che potrei addurti a te basti il sapere, che progredi- sce con celerità il sostegno laterizio, che di suo ordine si costruisce al fianco occidentale dell’ anfiteatro Flavio, che da gran tempo minaccia ruina, Sotto il regno di Pio VII fu in- nalzato l’altro grandioso sperone che sostiene il lato austra- le, e tu stesso ne avrai ammirata la mole ; ma lo scompagi- namento de' massi che compongono gl’ archi, ed il prossimo sfracello di tutto quel fianco impedirono all’architetto di poter conservare l’esterna configurazione dell’edificio. Quello pertanto, che non fu potuto eseguire allora, si va maestrevolmente ef- fettuando adesso nell’ opposto lato, mentre seguendo |’ antica architettura si sono già costrutti tre archi agl’altri conformi nel primo ripiano, e due ne sorgeranno di sopra, e, terminando con uno, verrà a formarsi un sostegno, che provveda alla;conserva- zione del monumento, senza alterarne la forma . Ti ringrazio di quanto mi ricordi sul circo di Caracalla , che il Panvinio cioè aveva di già portata opinione esser fab- brica de’ tempi di Costantino, tanto è rozzamente costruito ; on- de hai ragione di ridere di chi volle ostinarsi a crederlo di Caracalla, e di chi con debolissime prove volle dirlo di Simmaco . La nostra accademia ne’ giorni 10. e 24. del corrente ha tenu- te le sue ordinarie sedute. Nella prima il socio onorario Pad. Ab. D. Albertino Bellenghi annunziò di voler parlare: sull’ origine, progressi ed utilità della prima fra le belle Arti liberali, ed insieme meccaniche, che siasi inventata dall’ uomo, e sulle sorprendenti di lei prerogative. Noi quindi credemmo di sentir parlare di architettura, quando con nostra gran meraviglia po- temmo accorgerci che si sarebbe invece parlato di musica. Se il titolo, che ti ho trascritto, quadri così bene all’ una che all’ altra, come fpare ehe il nostro socio fosse persuaso , non occorre ch’io il dica. Ben ti dirò che il ragionamento fu as- coltato volentieri, poichè pienissimo d’erudizione . Due furono le dissertazioni dell’ altra seduta: la prima fu letta dal socio or- dinario March. Giuseppe Melchiorri, il quale brevemente imprese a descrivere ed illustrare gl’ ornati d’oro , che l’anno scor- so furono rinvenuti alle terme antoniane. Ricorderai di averli meeo veduti presso del primo possessore. Quanto ci fu grato il recarci in mano quelle collane, armille, pendenti e meda- glie, che avevano un giorno servito d’ornamento ai nostri mag- giori, e che al merito dell’ antichità aggiungono quello di un 155 leggiadro Tavoro, e di una perfetta conservazione! Questi og- getti ora sono stati acquistati dalla commissione delle antichi- tà e belle arti, e collocati nella biblioteca vaticana. La secon- da dissertazione fu del socio ordinario cav. Pietro Visconti, e si aggirò attorno i numeri che sovente s’ incontrano nelle in- scrizioni cristiane. Più volte ne’ cemeteri sonosi trovate lastre di marmo o tegoloni, ove leggesi un solo numero senz’ altro . Questi numeri eransi già un tempo creduti progressivi, ed in- dicanti quello delle tombe de’ primitivi fedeli . Ora il Visconti aiutato da un passo di Prudenzio ci dice che denotano essere stati ivi sepolti altrettanti martiri nella violenza delle perse- cuzioni, per cui non vi fu tempo di scolpire ad ognuno un epitaffio. Quanto ciò sia vero, se da altri fosse prima osser- vato, e come lo abbia provato il Visconti, lo vedrai da te stesso , allorchè ti perverrà la terza distribuzione delle nostre memorie di antichità, e belle arti che fra giorni ti sarà spedita. Ora , siccome ti promisi nell’ altra mia, qualche cosa vuò dirti intorno alle arti. Non ti parlerò dello stato presente di queste in Roma, avendo potuto osservarlo da te medesimo, in quel tempo che hai qui fatta dimora. Ti dirò soltanto di una scoltura che il cav. Giuseppe Fabris Vicentino ha da pochi gior- ni condotta a termine. Ti saranno già note le vicende ama- rissime alle quali andò seggetta la famiglia del conte Giacomo Mellerio , il quale vide rapirsi da morte immatura tre bambi- ni; quindi la loro genitrice , ed in ultimo la giovanetta figlia unico avanzo di tanta perdita. Volendo quindi quel virtuosis- simo cavaliere alleviare in qualche modo il suo dolore, conse- crando un monumento alla memoria di persone sì care, ne commise l’esecuzione al Fabris, il quale, valentissimo com’ è, in tal modo ne ideò il disegno. Sorge al di sopra di un gran- dioso basamento un’ urna di forma sveltissima , sulla quale gia- ce distesa la figura della donzella, ultima perdita del Melle- rio, nella stessa attitudine , che aver dovette nel feretro. Spira soavità quel volto abbenchè chiuse sieno le luci che lo ani- mavano; il capo con modesta acconciatura posa sopra ricco ori- gliere : divotamente composte le mani sul petto stringono una piccola croce: nudi li piedi e ristretti da una corona di gigli, simbolo della virginità : una leggierissima veste le ricuopre il corpo, e questa a minutìssime pieghe foggiata , quasi diresti esser quella che aver dovea la defonta ; strette le maniche ai polsi , ed i lembi della veste terminati da sottile ricamo. Sor- ge al di sopra dell’ urna una tavola marmorea ove a bassori» 156 lievo effigiata vedesi a sinistra la santa vergine, che si fa seg- gio delle nubi, e sulle ginocchia regge sedente il bambino , All’ incontro è la defonta Contessa genuflessa , avente dinanzi a se li tre primi pargoletti a lei premorti : è in atto di additare al disotto nella defonta donzella l’ ultimo sacrificio del dolente marito, e sembra pregare perchè a loro in cielo sia unita . Quanto sia animata questa scena celeste , non può forse idearlo a se stesso chi non ha veduto il marmo. La vergine ed il bam- bino sono in atteggiamento di chi accoglie benignamente le suppliche altrui : tenera ed espressiva è l’azione della madre. e ne’ tre fanciulletti ha cercato l’ artista, variando le attitudi- ni, di esprimere l’indole di ciascuno, conforme alla diversa età. Innocente vivacità nel più piccolo, divozione semplice nel- l’altro, e profondo cordoglio nel maggiore. Il che con quanto saggio accorgimento siasi fatto dal Fabris ta non potresti cre- derlo, nè io saprei di parole soddisfartr. Al disopra di questa scena s’innalza un frontone sobriamente ornato, nel di cui tim- pano cinque corone di alloro simmetrieamente intrecciate sim- boleggiano que’ serti di gloria , che si godranno a quest’ ora quell’ anime fortunate. Presentasi in fine allo sguardo la seguente inscrizione metrica , che in poche parole racchiude l’ epilogo di tante dolorose vicende, ed è scolpita nel basamento: Tres primum gnati rapta est dein optima coniux Filia nunc rapitur: quid mihi jam reliquum? O utinam Deus et mihi vestra in sede recepto Det dulces animae visere vos iterum. Venendo ora al merito di questa scoltura ti dirò , che quat- tro sono a mio credere i titoli pei quali può giudicarsi vera- mente bellissima . Felice invenzione, armonica composizione , re- golarità di disegno , accuratezza di stile e d’ esecuzione. Ricor- derai, quante volte insieme osservammo convenirsi ai sepolerì le scolture istoriche assai meglio delle allegoriche, le qua- li, bisognose d’ interpretazione sono altrettanti enigmi per chi ignora le azioni delle persone a cui si riferiscono. Per lo con- trario le storiche si spiegano addirittura da se medesime, e toccano il cuore di chi le osserva, vedendosi in quelle espres- sa ora la desolazione de’ congiunti, ora la mestizia degl’ ami. ci, e tante altre tenerissime scene, che infondono un senti- mento di dolce malinconia. La preferenza loro data dall’im- mortale Canova, che tanto si è per esse distinto, ben merita di servire di esempio ai moderni scultori. Li monumenti sepol- crali del secolo XV avevano in parte annunziato ciò che da lui 197 abbiamo veduto , e basti ricordare quelli di Jacopo Sansovino e de’ suoi seguaci, benchè presto trascurati, ma pur sempre celebratissimi. Viene ora il Fabris loro felice imitatore , se imitatore può chiamarsi chi mostra, imitando, tanta originalità. Poi ch’ egli ha riunito maestrevolissimamente in una due sce- ne diversissime |’ umana e la divina, e colla distribuzione delle figure , la correzione del disegno ( in cui sappiamo da molte prove quanto egli valga ) il garbo dello stile, la diligenza del- l’ operare, si è meritata veramente l’ ammirazione della nostra Roma , e presto avrà quella non meno lusinghiera della colta Milano . Avendo avuta occasione di leggere nel Febbrajo dell’ An- tologia un articolo del dottissimo Sestini intorno i vari musei numismatici d'Europa, non ti occulterò la sorpresa cagionatami dal suo silenzio intorno a quelli della capitale dell’ orbe cri- stiano. Non ti dirò dei pubblici ( chè altra volta ve ne fu- rono di ricchissimi , ed ebbero dotti illustratori ) ma solo di due privati che meritavano ricordanza , se pure, amor di pa- tria non mi fà travedere. Uno si è dei Tomassini, ricco di oltre otto mila medaglie, numero cui difficilmente puo giun- gere un privato raccoglitore. Esso venne ordinato dal Borghe- si, e sino dall’anno 1821 ne vedemmo alle stampe il catalogo per opera del prof. Antonio Nibbes. Il secondo fù già del Card. Stefano Borgia, il quale lo lasciò in legato alla Propaganda; e questo potrei dir quasi pubblico, perchè non si niega agli amatori l’ entrarvi, e il far ivi quegli studi che possono loro piacere. Pur esso era cognito al Sestini, che prese ad illu- strarne non pochi nummi: pure ad esso appartengono le mo- nete cufiche per la prima volta pubblicate dall’Adler e le sam- maritane pubblicate dal Fabricy: pure il Zoega da questo mu- seo tolse materia per quell’ aureo libro, che intitolò MNummi Aegyptii. Non dico delle moltissime sue medaglie edite dal Ta- nini, dal Visconti, dal Fea: non della serie longobardica , non degl’assi, che nella tua Firenze pubblicò son già tre anni Cle- mente Cardinali. Queste cose mi danno diritto a conchiudere che non dormì il porporato raccoglitore ; e mi danno speranza che non dormirà chi attualmente custodisce ciò che quegli rac- colse. E lasciando per un momento Roma, perchè dimenticare il museo numismatico del Borghesi, ricco quanto e più di qua- lunque per, la serie delle famiglie? Certo il dotto possessore non dorme, e ne fanno prova le molte decadi di osservazioni date già alla luce, e le altre che ci ha promesse. G. M. 158 BULLETTINO SCIENTIFICO N. XVIII. Marzo 1825. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Il fascicolo per il mese di dicembre 1824 degli Annali di chimica e di fisica di Parigi contiene i risultamenti delle os- servazioni meteorologiche d’ ogni genere fatte nel decorso anno in quella capitale, ed il racconto dei principali fenomeni me- teorologici avvenuti in varie parti del globo. Indicheremo al- cuni dei più importanti o più curiosi, specialmente fra questi ultimi. A Parigi ed in gran parte della Francia l’anno 1824 è stato molto piovoso , come in molti altri paesi. La quantità di piog- gia cadatavi eccede d’ un quinto la quantità media presa soprai un numero notabile d’amni. Nel novembre, mese in cui sogliono accadere le più grand escrescenze dei fiumi, l’acqua si è elevata nella Senna nel 1824 12 piedi più alto che nel novembre 1823. L’elevazione media di quel fiume nel 1824 ha sorpassato l’elevazione media del 1823 di 26 centrimetri. Preso un termine medio sopra molti anni, vi sono a Pa- rigi un’anno per l’altro 139 giorni di pioggia ; ve ne sono stati, nel 1824, 192. Pure nè a Parigi nè ad una certa distanza sono accadute quelle inondazioni e quei disastri che hanno tanto danneg- giato il dipartimento del Basso Reno, e molti altri paesi. Nel corso dello stesso anno 1824 si sono fatti sentire in va- rie regioni molti terremoti, fra i quali non hanno prodotto dei danni che i seguenti: Nel dì 21 febbraio a ore 8 della mattina una forte scossa di terremoto danneggiò molte abitazioni a S. Maura, una delle 7 isole ioniche . Nel 10 aprile, poco prima delle ore 1o di sera, alla Giam- maica, e specialmente a Kingston, fu sentito un forte terremoto, accompagnato da vento impetuoso e da cupo ed intenso fragore sotterraneo. Diverse case crollarono. Il giorno 20 dello stesso mese a ore 3 di mattina un orri- 159 bile terremoto si fece sentire nell’isola di S. Tommaso, unita- mente ad un rumore simile a quello del tuono. Molte persone furono sbalzate dal letto; un bastimento fu inghiottito dal mare in conseguenza della commozione. Nel mese stesso d’aprile a Chiraz in Persia i terremoti du- rarono sei giorni senza interruzione; la metà della città fu in- ghiottita, il rimanente rovesciato. Dei suoi numerosi abitanti » soli 500 sono scampati all’ eccidio. Diverse montagne vicine a Kazraun sono state inghiottite dal terreno in modo che non n’ è rimasta traccia . Le relazioni avutesi recentemente da alcuni europei, ora stabiliti al Chili, intorno ai fenomeni che accompagnarono i ter- remoti per i quali fu nel novembre 1822 quasi interamente di- ‘strutta la città di Capiapo, contengono alcune singolantà , fra le quali comparisce strana e fin quì inaudita questa, che in alcuni punti il terreno sembra aver provato nel tempo della scossa un moto di rotazione . In prova di che si citano dei muri e delle case trovate dopo | accidente voltate diversamente per aver girato attorno, e tre grandi piante di palma che, prima disgiunte , si erano dopo il terremoto avvolte le une sulle altre, come se fossero state virgulti di salcio. Nel tempo della catastrofe di Capiapo, a Valdivia fu sentita una scossa alquanto forte, e contemporaneamente due vicini vul- cani fecero un eruzione accompagnata da gran rumore , illu- minando per alcuni minuti secondi tutta la contrada, dopo di che rientrarono nell’antico stato di tranquillità . Otto giorni dopo la forte scossa, furono in una grande esten- sione del Chili pioggie abbondantissime accompagnate da violenti turbini. Non vi era esempio che in quel paese fosse mai caduta pioggia in novembre , Sembra quindi che il terremoto o la causa che lo produsse, avesse prodotto anche nell’ atmosfera di quella contrada notabili cambiamenti. Nell’ isola di Lancerota, una delle Canarie, nella mattina del dì 29 agosto furono sentite delle scosse di terremoto che di- ventarono più terribili nella notte, Nel dì 30, crescendo sempre d’ intensità , furono anche accompagnate da un cupo fragore sotterraneo , il quale estendendosi e facendosi più forte, empì di spavento gli abitanti della capitale dell’isola e dei contorni, sicchè abbandonarono le loro abitazioni . La mattina del dì 31 a ore 7, in seguito d’ un terremoto N 160 anche più violento, e d’an fragore sotterraneo anche più forte» scoppiò un vulcano ad una lega di distanza dal porto ossia ad una mezza lega dalla montagna chiamata Fanna. Vomitò dal suo cratere dei torrenti di fiamme, che illuminarono tutta l'isola, ed una quantità così grande di enormi pietre infuocate, che in meno di 24 ore formarono una montagna considerabile. La mattina seguente ( 1 settembre ) alle ore ro cessò l’ eruzio- ne; parve che il vulcano si chiudesse, lasciando solo alcune fessure, dalle quali esalava un fumo denso che si stendeva sui contorni. La mattina del dì 3 si formarono 3 grandi colonne di fumo, una delle quali compariva bianca, la seconda nera , la terza rossa, JI pozzi e le cisterne all’intorno erano disseccati . Nel dì 22 dello stesso mese di settembre il vulcano si aprì di nuovo, gettando per il cratere una così grande quantità di acqua , che ha formato un ruscello, il quale bensì neì successivi giorni andò diminuendo. Anche le eruzioni ignee dei vulcani d’ Islanda, al riferire di diversi giornali , sono terminate con abbondanti getti d’ acqua. Nella sera del 17 aprile 1824 a ore 10 e un quarto fu ve- duta dal villaggio di Upper-Kinneil nella parrocchia di Bor- row-Stowness in Inghilterra una meteora luminosa, che span- deva una viva luce nell’atmosfera, e che si muoveva con una rapidità straordinaria nella direzione del sud, lasciando dietro sè una striscia di scintille. Un viaggiatore traversando le Alpi nella notte dagli 11 ai 12 di agosto 1824, vide un globo di fuoco, che spandeva la più viva luce nell'atmosfera. Il fenomeno durò 3 minuti. L’analisi fatta dal sig. Peschier di Ginevra della neve rossa caduta’ nelle alpi ha fatto riconoscere che questa, come quella delle regioni polari, precedentemente esaminata, deve il suo colore ad un immenso numero di pianticelle microscopiche. Il sig. Saver, dotto naturalista, le aveva riguardate come una spe- cie di Uredo, che aveva chiamata nivalis . Ora il sig. De-Gan- dolle , in seguito d’un esame diligente, non le crede apparte- nenti alle Uredo, ma formanti un genere nuovo. E un opinione molto comune che la temperatura di questo 161 globo terrestre abbia provato e vada provando un successivo ab- bassamento per la supposta progressiva dispersione d’un calor centrale primitivo. Stanno contro quell’ opinione i risultamenti sicuri delle osservazioni termometriche per il tempo decorso da che si è cominciato a farle, e l'autorità irrefragabile d’ antichi scrittori, che attestano di fenomeni naturali avvenuti in tempi più o meno rimoti, come la congelazione di varii fiumi e mari, ec, fenomeni ai quali corrispondono temperature esattamente note. Queste osservazioni e questi fatti portano a concludere, che non solo vi sono stati anche in tempi molto da noi lontani inver- ni non meno freddi dei più rigidi occorsi ai tempi nostri, 0 a noi vicini, ma che dieci e quindici secoli addietro furono freddi tali, cui i moderni tempi non ne hanno offerto dei simili. Di fatti sul finire del 4.* secolo il mar nero si gelò inte- ramente, e tornò a gelarsi insieme collo streito dei Dardanelli nel 763. Gelò il Nilo in Egitto nel 829, ec. ec ; fatti dei quali non abbiamo recente memoria. Fisica e Chimica. Il Sig. Marianini professore di fisica e di matematiche nel R. Liceo di Venezia, avendo preso ad investigare qual rapporto esista fra l'energia degli apparati elettromotori ed i loro effet- ti sugli aghi calamitati, da esperimenti ingegnosi è stato con- dotto a concludere quanto appresso. 1.° La deviazione che l’ ago magnetico prova per parte d’an elettromotore è proporzionale all’estensione della superficie delle lastre metalliche delle quali questo si compone; la massa delle lastre stesse è indifferente. Volendo riconoscere ciò che accada ove le due lastre componenti un elettromotore semplice siano ineguali, formò una coppia d’ una maggior lastra di zinco e d’ una minore di rame, e l’effetto sull’ago essendo stato eguale a quello che sì otteneva riducendo anche la lastra di zinco alle minori dimensioni di quella di rame, inclinava a concludere che l’azione d’ una coppia di lastre ineguali fosse proporzionale alla superficie della lastra minore. Ma ripetuta l’esperienza in modo inverso, formando cioè la coppia d’ una maggior lastra di ra- me e d’una minore di zinco , si accorse che l’ effetto era pros- simamente proporzionale, dentro certi limiti, alla superficie della lastra di rame. 2.° Una maggior tensione indotta nell’ apparato elettromo- T. XVII. Marzo Il 162 tore per l’ aumentato numero delle coppie, purchè queste sia- no fra loro eguali di superficie, non accresce la di lui azione sull’ ago calamitato . L'azione dell’ intero apparato è eguale a, quella della più energica fra le coppie che lo compongono. 3 Quest’azione è anche proporzionale alla facoltà condut- trice del conduttore umido impiegato, e però minima ove s’im- pieghi l’acqua pura, maggiore facendo uso di soluzioni saline, massima usando di liquori acidi. Bensì la degradazione che. per parte di questi soffrono i metalli fa ben presto e progressiva- mente diminuire l’ azione . Il Sig. Marianini insegna un mezzo di far produrre da un apparato d’un certo numero di coppie l’ effetto che si otterreb- be da una sola coppia eguale in superficie alla somma delle su- perficie delle coppie effettive. Questo mezzo consiste nel far co- municare fra loro, mediante una serie d’ archi metallici , tutte le lastre di zinco, e con altra serie d’ archi simili tutte quelle di rame, mentre stanno immerse in altrettanti recipienti, due a due, una di rame ed una di zinco. Il sig. ZVelter aveva congetturato che /e quantità di calo- rico sviluppate nelle combustioni fossero in proporzioni definite. 1 risultamenti d’ alcune ricerche del sig. Despretz intorno alla respirazione sembrano confermarlo. Egli ha trovato che la quan- tità di ghiaccio fuso per la combustione dell’ idrogene sta alla quantità di questo (in peso) come 215,2 a 1, e per la com- bustione del carbone come 104,2 a 1., mumeri che sono quasi rigorosamente proporzionali ai pesi dell’ ossigene che i due com- bustibili assorbono, giacchè, secondo le proporzioni stabilite dal sig. Berzelius, supponendo il peso dell’ ossigene unito ad una quantità d’idrogene eguale a 315 , 2, quello unito ad un egual quantità di carbonio sarebbe 104,066. È noto che il gas idrogene ottenuto mediante la dissolu- zione del ferro nell’ acido solforico allungato ha un certo! odo- re spiacevole. Il sig, Berzelius ha trovato che se ne spoglia quasi interamente passando a traverso dell’ alcool puro. Que- sto poi, ove sia agitato con acqua, diviene leggermente latteo, e dopo qualche giorno di riposo lascia separare un olio vola- tile, da cui dipendeva l’ odore del gas. Questo può aversi af- fatto privo d’odore, mettendo un amalgama di potassio nell’acqua pura . Per altro aggiungendo all'acqua un acido o del sale am- 163 moniaeo. per affrettare lo sviluppo del gas, questo presenta lo stesso odore che allorquando proviene dalla dissoluzione dello zinco nell’ acido solforico allungato. Recenti osservazioni hanno provato che sostanze solite scom- porsi o volatilizzarsi per l’azione del calore in circostanze or- dinarie , possono , ove una grande pressione si opponga alla di- spersione delle parti volatili, provare la fusione ignea, e pre- sentare dopo il raffreddamento aggregati che si crederebbero di tutt’ altra origine. Così il sig. /72/ ha mostrato che il car- bonato di calce, sì facilmente decomponibile per l’azione d’una temperatura molto elevata, può fondersi in una massa, che dopo il raffreddamento apparisce simile al marmo naturale. Nel modo stesso che questo marmo, per esser decomponi- bile dal fuoco, era reputato necessariamente prodotto per la via umida , così sapendosi che il rame, precipitato dalle sue dis- soluzioni per mezzo d’ un agente qualunque, se ne separa in particelle finissime e disgregate fra loro, si pensa generalmente che un pezzo di rame solido non possa essere se non un pro- dotto della fusione ignea. Pure una recente osservazione del sig. Mollerat prova che il rame metallico in masse compatte può provenire da una dissoluzione liquida. In un processo che ha per oggetto la fabbricazione del sol- fato di rame, il sig. //o//erat dal prodotto della calcinazio- ne del rame collo zolfo ottiene delle dissoluzioni di solfato di rame , rese torbide da un poco di sottosolfato insolubile. Per chiarificarle, egli le laswsia depositare in un tino, che è mez- zo sepolto nel. terreno. Sulle pareti interne di questo tino , e sempre nella giuntura di due doghe, si formano delle picco- le masse di rame metallico. fungiformi , che s’ ingrossano a poco a poco, e che col tempo diverrebbero molto grandi. Questo rame è affatto simile a quello fuso; limato, presenta una super- ficie unita e brillante. Quanto alla spiegazione di questo curioso fenomeno, sem- bra che nella dissoluzione esista un solfato di protossido , una parte del quale per passare allo stato di solfato di deutossido toglie ad un'altra parte l’ ossigene e l’acido, isolandone il rame, La cosa degna di maggiore attenzio ne in questo fenomeno è la coesione che acquista il rame, separandosi così da una disso- lazione; coesione tale , che permette di batterlo a freddo e sten- derlo in lame sottili, e che gli dà un peso specifico di 87,80 co- me è quello del rame fuso. 164 Il sig. dot. Canzù, professore aggiunto di chimica nella R. Universita di Turino, conosciuto per altri suoi pregiati lavori, analizzando modernamente le acque minerali solfureo-saline di Castelnuovo d’Asti , vi ha riconosciuto l’ iodio allo stato d’ idro- iodato. La piccola quantità di questo, mescolato ad una molto maggior quantità di altri sali, e singolarmente di sal comune, non, permettendo di riconoscerlo coi processi ordinarii, il sig. dott. Cuntù trattò il residuo salino dell’ evaporazione coll’ alcool rettificato, il quale non potè disciogliere che l’idroiodato e picco- la quantita d’ idroclorati solubili in alcool. Evaporato a siccità il liquido alcoolico, sciolse il residuo in una leggiera soluzione d’amido, e facendovi, passare a traverso del gas cloro, rico- nobbe l’ iodio al cambiamento di colore che provò il miscuglio, che a pocv a poco divenne d’un bel turchino . I risultamenti delle sue osservazioni inducono il sig. Cantù a supporre come molto probabile che tutte le acque solforose contenenti degl’ idroclorati contengano pure l’ iodio allo stato d’ idriodato, che |’ azione dell’ acido idrosolforico sugl’ idroclo- rati determini in certe circostanze il cambiamento d’ una parte di questi in idroiodati, e che l’iodio sia forse una sostanza com- posta ; in cui entri il cloro come uno degli elementi. Era qualche tempo che i chimici ammettevano un fatto annunziato già dall’ italiano Butini, c modernamente dato come una sua scoperta dal sig. Fey , cioè essere il carbonato di ma- guesia più solubile nell’ acqua fredda che nella calda. Se in una soluzione di solfato di magnesia se ne versi una di carbonato di potassa o di soda, si forma del carbonato di magnesia, che nella più gran parte si deposita come poco solubile, restandone una piccola porzione disciolto nel liquido. Se questo, allorchè è ben limpido e separato dal deposito, si riscaldi , s’ intorbida , sepa- randosene un poco di carbonato di magnesia ; il quale è di nuo- vo disciolto per il raffreddamento del liquido , che ricupera la sua trasparenza. Son questi i fenomeni che avevano fatto ri- guardare il carbonato di magnesia come più solubile a freddo che a caldo. Ora il farmacista sig. Angelini ha riconosciuto quest’ opi- nione essere erronea. Il riscaldamento del liquido intanto deter- mina la separazione parziale e locale d’alcuni fiocchi di car- bonato di magnesia, in quantochè sprigiona un poco d°’ acido carbonico eccedente, che lo teneva allo stato di sopracarbonato e lo rendeva solubile, del quale acido ove resti sufficiente quan- 165 tità nell’ intera massa del liquido ; i fiocchi sono per esso ri- disciolti, lo che veniva attribuito al raffreddamento. Che se il riscaldamento del liquido sia continuato fino alla totale sepa- razione dell’acido carbonico eccedente, ed alla total riduzione del carbonato allo stato neutro, il liquido più non ne ritiene in soluzione, e però non più s’intorba per riscaldamento, nè più si rischiara per raffreddamento. Di fatto il liquido chiaro perde egualmente la proprietà d’intorbarsi per riscaldamento e rischiararsi per raffreddamento , se vi s’ infonda una soluzione di potassa, che s’ impadronisca dell’ acido carbonico . Il dott. G. Poggi contando sulla doppia azione che il clo- ruro di calce sembra dovere esercitare sull’ animale economia ; prima operando la sottrazione dell’ idrogene che lo converte in idroclorato di calce , poi in questo nuovo stato, in cui i me- dici lo avevano già riconosciuto efficace nelle malattie scrofo- lose, lo ha amministrato internamente in alcuni casi di tali malattie con felice successo , disciolto in acqua, in dose di 4, 8, o ro grani al più per la prima volta, secondo l’età, il sesso , e la costituziene dei malati, suddividendo tal dose in ot- to, da prendersi quattro per giorno a giusti intervalli , e così in due giorni, dopo i quali si potrà discretamente aumenta- re. Il rimedio dovrà essere recentemente preparato , conservato in vaso ben chiuso, ed in luogo oscuro. Fatta la soluzione nel- l’acqua , dovrà lasciarsi depositare un poco di calce che vi è sempre in eccesso , ed amministrare il liquido ben chiaro. Il P. Ottavio Ferrario, abile chimico farmacista, avendo analizzato una China detta dicolorata, | ha trovata compo- sta di clorofilla , o materia colorante delle foglie , di cera , di materia grassa, d’un acido vegetabile , del quale per la sua piccola quantità non ha potuto determinare la natura, d’ una materia resinosa , di quello stesso principio amaro che si tro- va nella corteccia dell’ Angustura, in quella della Simaruba ed in altre, e finalmente d’ una materia gommosa simile a quella che è contenuta neila radice di Genziana . Non avendovi trovato nè chinina, nè cinconina , basi al- caline dalle quali è comune opinione dipendere la virtù febbri- fuga delle vere chine, il P. Ferrario conclude che non appar- tiene a queste la China bicolorata , ma si accosta molto, alle Angusture , non solo per i caratteri chimici, ,ma anche per il peso specifico, per il sapore e per il colore. 166 I garofani, quali si trovano-in commercio, sono i calici dell’ Eugenia Caryophyllata colti prima della fecondazione dei fiori; il frutto maturo è conosciuto in farmacia ed impiegato iu medicina sotto il nome di Antophylli. Il Sig. Bollaert ha osservato recentemente dei cristalli d’ acido benzoico nataralmen- te forinati nella cavità che si trova fra la corteccia ed il moc- ciolo di quel frutto. Il Dot. Gelnecke guarì del verme solitario o Tenia un bam- bino di tre anni col metodo seguente. Gli fece prima per due giorni mangiare quante fragole desiderava , il che determinò l’ e- vacuazione di qualche pezzo del verme. Tre giorni dopo gli amministrò un oncia di olio di ricino la mattina a ore sei, quindi a sei ore e mezzo, o sette ore, e a sette ore e mezzo quindici grani per volta di radice di felce maschio polverizza- ta, poi a otto ore e mezza un’altra oncia d’olio di ricino. Dopo ciò il fanciullo ebbe un abbondante evacuazione di ma- terie fecali liquide, colle quali sorti un pezzo di tenia lungo da dieci a dodici pollici ,e quindi qualche altra porzione per l'esposizione del bambino all’azione dell’ acqua tepida . Allora il Dot .G. presa la porzione del verme uscita fuori, le appli- cò dell’acido idrocianico nell’ estensione di circa quattro pollici. Il verme, fatti degli inutili sforzi per rientrare, essendo tratte- nuto , dopo essersi molto agitato, escì fuori con altra porzio- ne, poi restò assopito, Dopo circa un’ora e mezza la tenia fù espulsa intera e già morta con una nuova evacuazione di ma- terie fecali liquide . Geologia . / Il Sig. Bonnard ha letto all’ Accademia delle scienze di Parigi un saggio della sua notizia geologica sopra alcune par- ti della Borgogna , e consegnato il restante all’ Accademia stes- sa, la quale ha nominato tre commissari per riferirle sal me- rito e sulla esattezza delle osservazioni del sig. Bonnard. Le ricerche circostanziate e minute, le quali formano il carattere di quest’ opera , per quanto diminuiscano non poco il piacere di leggerla, dicono i commissarii, ne formano però il pregio principale , stantechè a queste particolarità minute soprattut- to va la geologia debitrice dei snoi progressi, e del carattere di scienza che ella ha preso ai nostri giorni. Riconcentrando egli le sue osservazioui, in uno spazio piccolo bensì, ma che 167 presenta una gran varietà di roccie , ed appartenenti ad epoche lontane fra loro, sebbene il terreno non per questo preseuti grandi differenze di altezza , egli ha potuto vedere ed esperre con chiarezza le relazioni di roccie che in altri luoghi sfuggo- no per la loro vasta massa alla comprensione del geologo, che vuol determinnre qual di loro alterni, e quali siano le leggi della loro giacitura. Determinato lo stato attuale delle roccie della Borgogna, egli le confronta alle consimili degli al- tri paesi, ed ha tentato di giugnere , paragonando membro per membro la formazione che egli esaminava colle altre analoghe, a stabilire una identità geologica , la quale se non è perfetta quanto egli la supponeva, è però tale da semprepiù confer- mare l’uniformità delle leggi che hanno preseduto alla forma- zione del globo . Nella parte superiore trovasi un calcario compatto a rot- tura concoide , analogo al litrografico, e quindi successivamente discendendo trovasi il calcario oolitico, un calcario a entrochi del- la stessa indole di quello del Giurà, dei letti di calcario marnoso colla gryphaea cymbium, analogo a quello che trovasi nei contorni di Gottinga e di Gotha , e quindi il calcario a grifiti dei geologi francesi, caratterizzato dalla presenza della Gryph. arcuata. Sotto questi strati i terreni sembrano presentare alcune eccezioni , le quali però si riducono a trovar mescolate varie roccie , le quali altrove sono distinte , lo che proviene dall’ essere ciascuna sotti- lissima, e dal mancarne altre , e nel medesimo tempo servono esse a provare che le loro epoche di formazione non sono nè si lontane nè si distinte come altri avevano supposto . Botanica Mentre la no stra Italia abbonda di Z/ore speciali , nelle quali sono descritte le piante che nascono spontaneamente nelle sue diverse parti o provincie, manca tuttora una Flora italiana , che presenti insieme riuniti tutti i vegetabili che produce l’intera penisola . Il qual vuoto aveva già concepito il lodevol pensiero di riem- pire il sig. De-Brignole, professore di botanica e d’ agricoltura nell’ università di Modena, come risulta da un di lui manifesto in lingua latina pubblicato in Modena nel mese di marzo 1820, cui però ( non si sa per quali cause ) non venne dietro 1’ esecu- zione, Egli è quindi da desiderare che la festosa accoglienza degli 168 amatori della botanica faccia avere miglior successo al nuovo an- nunzio recentemente inserito nel Giornale di Pavia d’ una Ftora italica, che si promette dover vedere prontamente la luce per opera del sig. Giuseppe Moretti, professore d’economia rurale nell’I. e R. Università di Pavia. L’ illustre autore si è attenuto nel suo lavoro al sistema ses- suale di Linneo, come più semplice, più facile, e più accomo- dato a tatti li studiosi della botanica , i quali sembra dover re- star sodisfatti del metodo che si è proposto di seguitare, e che iu quell’ annunzio è non solo precisamente indicato , ma anche dimostrato con un articolo dell’ opera che presenta la descrizio- ne d’una pianta ( CARDAMINE Linn. ) della Classe XV, Tetra- dinamia , Ord. III , Siliquosae. Esiste un magnifico giardino botanico sulla riva del fiume Hougli, un ora distante da Calcutta . La di lui estensione è di 2200 Zegas; vi sono impiegati giornalmente 300 operai , e l’ an- nuo suo mantenimento costa 60,000 roupies. Vi si coltivano cir- ca 4000 specie di piante raccolte in tutte le parti del mondo, e questo numero giornalmente si accresce , sopratutto per quelle che vengono scoperte nel Nepal e nel Nord delle Indie. In que- sto giardino posto al 22 grado di latitudine, non vi è bisogno di stufe, ed anzi occorrono dei mezzi per preservare alcune piante dall’ eccesso del calore, e dalla troppa fertilità del terreno. Ser- vono a quest’ effetto lunghe cassette sostenute sopra il livello del terreno, e ripiene di terra leggiera mescolata di arena e pietre in diverse proporzioni , e traforate in varie parti , affinchè l’ a- cqua non possa mai ristagnarvi . Queste cassette sono situate vicino a dei grandi alberi che le difendono dal sole. Vi è una piantazione d’ alberi di Teck ( Tectona grandis), sotto i qua- li vive benissimo il caffè. Pare che nè il Te nè la vite vi pro- sperino. Vi si osservano principalmente due grandissime piante di Ficus indica. Una di esse, prossima al fiume, ha il tronco principale della circonferenza di 28 passi, e con i 19 rami che spande attorno occupa uno spazio dieci volte più grande. Il locale ove è attualmente il giardino apparteneva al Generale Kyd, il quale ne fece dono al Governo per l’ uso a cui fù destinato. Però in. segno di riconoscenza fù eretto un monu- mento in suo onore. Questo giardino , tanto interessante per la botanica e per l’ economia rurale delle Indie, è al tempo stesso una deliziosa passeggiata per gli abitanti di Calcutta, i quali vi vanno per acqua e per terra . 169 Anatomìa , Fisiologia, e Zoologia Il sig. Massimiliano Rigacci , colto giovine chirurgo , e mol- to studioso delle cose anatomiche e fisiologiche , prendendo in- teresse nell’ importante questione relativa all’ assorbimento, at- tribuito da alcuni anche alle. vene , non concesso da altri che ai soli vasi linfatici; presa una via media, è sceso nell’ opinione che, mentre nello stato normale , o di perfetta salute , |’ assor- Dimento si effettua per la più gran parte o quasi unicamente dai linfatici, nei casi di viziosa affezione di questi, o di ecces- sivo versamento di fluidi, le vene suppliscano all’ ufficio. dei lin- fatici, assorbendo ciò che per essi non possa essere assorbito . Egli opina ancora che i vasi chiliferi , oltre il chilo, possano as- sorbire anco altri liquidi, specialmente nello stato di vacuità de- gl’ intestini. Riguarda in fine come molto probabile che, tur- bate le funzioni dei vasi chiliferi, possano le molte vene degli intestini assorbire anche il chilo. Delle quali sue opinioni il sig. Rigacci ha esposto i fonda- menti in uno scritto recentemente pubblicato sotto il titolo di Ri- flessioni sopra l’ assorbimento linfatico e venoso , e che contiene anche la storia ad’ una ferita situata al di sotto della gob- ba frontale destra accompagnata da cecità del corrispondente occhio, e da paralisi della di lui palpebra superiore con osser- vazioni anatomico-patologiche , Nel fascicolo per il mese di dic. 1824. degli Annali delle scienze naturali, che da poco tempo si pubblicano a Parigi con molto plauso , si trova una memoria sui vasi linfatici degli uc- celli , e sulla maniera di prepararli, letta avanti l’ Accademia del- le scienze dal sig. dot. Lauth , autore d’ un Saggio sui vasi lin- fatici , pubblicato a Strasburgo nel decorso anno 1824. Alcuni anni addietro erano poco o punto conosciuti i vasi linfatici degli uccelli . Il sig. Magendie non avendone trovati che nel collo d’ alcuni, conchiuse che le vene debbono essere incari- cate negli uceelli delle funzioni che compiono ì linfatici negli altri animali . Il sig. Lauth avendone scoperti e dimostrati un gran- dissimo numero in tatte le parti del corpo degli uccelli , ne argo- menta che le conclusioni degli autori i quali hanno accordato la facoltà assorbente alle vene nei mammiferi, togliendola almeno in parte ai linfatici per la ragione che questi erano supposti man- care negli uccelli, è inammissibile per il fatto dimostrato del- 170 l’ esistenza d’ un gran numero di questi vasi , dei quali è pro- pria funzione l’ assorbire . La memoria del sig. dot. Lauth, in cui egli fa anche cono- scere gl’ ingegnosi mezzi e processi da lui impiegati nelle sue de- licate ricerche, essendo comparsa molto interessante , 1’ Accade- mia incaricò i sigg. Cuvier, Dumeril, e Magendie d’ esaminarla e riferirne . I primi due, encomiando il lavoro del sig. Lauth, ne adottarono le conclusioni, riconoscendo anch’ essi che la pre- senza dimostrata e la copia in tutte le parti del corpo degli ani- mali del sistema di vasi essenzialmente destinato all’ assorbimento, fa mancare il principale argomento per cui era stata accordata alle vene la facoltà d’ assorbire . Il sig. Magendie , convenendo nel fatto dell’ esistenza d’ un gran numero di vasi linfatici in ogni parte del corpo degli uc- celli, ed anche sul mesenterio , persiste in non crederli destina- ti all’ assorbimento del chilo . Il celebre Buffon conobbe la necessità di unire alle descri- zioni degli animali un esatta figura che li rappresentasse , e prin - cipalmente gli uccelli, dei quali innumerabili variazioni di co- lore rendono difficile la descrizione . Egli adunque concepì la va- sta impresa di far rappresentare in tavole colorite tutte indistin- tamente le specie di uccelli conosciute ai suoi tempi, ed inca- ricò il giovine Daubenton di dirigere l’ esecuzione di questo suo grandioso progetto . Fino che visse Buffon fa continuata la pub- blicazione di queste tavole, le quali ammontarono a 1008 , con- tenenti 1239 figure d’ uccelli. Nel 1788. ne cessò la pubblica- zione, quando appunto si rendeva più importante il continua- re una sì utile intrapresa , per le nuove specie delle quali si an- dava acquistando la cognizione . In luogo di essa furono pubbli- cate opere di eccessivo lusso e di minore utilità . Pure nono- stante la comparsa d’ altre opere ornitologiche d’ una ese- cuzione più perfetta, qoella di Buffon seguitò ad esser riguar- data come la fondamentale, e citata da tutti. Il solo inconve- niente che diminuisse il pregio delle tavole colorite di Buffon essendo quello di non contenere che un limitato numero di spe- cie, era da desiderare che qualche distinto naturalista ne con- tinuasse la pubblicazione , ed elevasse un monumento ornitolo- gico accessibile anche ai non ricchi, e di somma utilità per la scienza. Il celebre Temmink d’Amsterdam, ed il Barone Laugier di Parigi si unirono per tale oggetto , e dal 1819 in poi hanno pubblicato mensualmente la continuazione delle Planches enlu- 17I minges di Buffon sotto il titolo di Planches coloriées d’oiseaux . Essi hanno già date alla luce 330 tavole in 55 fascicoli , conte- nenti circa 44o figure di uccelli. La direzione di questa gran- diosa opera nou poteva essere affidata a persone più abili, e di- sinteressate . Questa raccolta di tavole, a cui sono unite le respet- tive descrizioni, viene accolta da tatti i naturalisti con molto plau- so, e fa desiderare che opere simili siano pubblicate per le altre parti dell’ istoria naturale. La ricchezza dei gabinetti dei signori Temminck e Laugier , e quella del museo di Parigi , la premu- ra della massima parte dei direttori dei musei d'Europa di met- tere a disposizione degli autori tutte le specie nuove o mal de- scritte di uccelli, ha fatto sì che nella citata opera sono state rap- presentate molte specie nuove e non accennate nelle opere le più moderne di ornitologia . Ci lusinghiamo che quest opera sarà so- stenuta dal pubblico per lunghissimo tempo, e speriamo che gli autori di essa vorranno comprendervi tutte le specie di uccelli non figurate da Buffon, o siano esse interamente inedite , o siano sparse nelle diverse costosissime opere di Vaillant , Mayer , Vieil- lot, Temminck, ec. Un'altra opera destinata allo stadio degl’ uccelli , viene re- golarmente pubblicata a Parigi dai sigg. Ziellot e Qudart . Es- sa ha per oggetto la descrizione e figura di una serie di uccelli del museo reale di Parigi, scelti nelle diverse classi . Questa col- lezione è assai comoda per quelli che cominciano lo studio del- l’ornitologia , e per quelli, che non avendo una raccolta d’ uc- celli, desiderano possedere una serie di buone tavole che pre- sentino quelli delle cinque parti del mondo disposte metodica- mente. L’ opera completa sarà pubblicata in 80 fascicoli, con- tenenti ciascuno 4 tavole in litografia, colorite ed accompagna- te dalla respettiva descrizione . Attualmente ne sono stati pub- blicati cinquantasette fascicoli, e si è veduto con soddisfazione che l’ esecuzione delle tavole va sempre migliorando . L’istesso sig. Vieillot, contemporaneamente all’opera sopra citata, pubblica a Parigi l’Ornitologia Francese, o descrizione di tutti gli uccelli che si trovano nella Francia. Recentemente ci è stata annunziata la pubblicazione del quinto fascicolo , all’arrivo del quale ne faremo conoscere il contenuto. Mentre applaudiamo sinceramente a questa utilissima produzione, ci duole di vederla dare alla luce così lentamente, e temiamo, continuando una tal lentezza, che scorrano molti anni avanti che i 64 fascicoli promessi siano pubblicati . Il celebre Temminck nominato di sopra, per completare 172 : la seconda edizione dell’ ottimo suo Manuel d'Ornitologie è sul punto di dare alla luce il terzo tomo , nel quale saranno indi- cate le specie di uccelli europei non descritte nei due primi to- mi; e darà una nuova analisi del sistema generale di Ornito- logia, con correzioni ed aggiunte. Nel fascicolo di marzo 1824 ( Scienze naturali ) del Bullet- tino universale del B. di Férussac, alla pag. 277,è reso conto del catalogo degl’uccelli delle vicinanze di Pisa , opera del prof. Paolo Savi. Il sig. Desmarest autore di detto articolo, dopo aver dato un cenno della produzione del profes. di Pisa, cre- de che debba attribuirsi ad omissione tipografica la mancanza della Fringilla domestica . Noi possiamo assicurare il prof. fran- cese che la Fringilla domestica non solo manca nelle vicinanze di Pisa, ma ancora nella Toscana, e forse in tutta l’Italia meridionale. In vece di questa specie di uccello, dalle alpi in quà, trovasi la Fringilla cisalpina di Tem; la quale specie non è dimenticata nel catalogo suddetto, In una lettera del sig. Lesueur, naturalista Francese, in data di Filadelfia del maggio 1824, diretta al sig. De Ferussac, vie- ne annunziato che in quell’epoca era a Filadelfia il sig. Au- dubon, il quale da 25 anni sì occupa in raccogliere gli uc- celli dell’ America settentrionale. Egli aveva riunito circa 4oo disegni di specie di uccelli rappresentati nella loro attitadine naturale, e coloriti dal vero di grandezza naturale ; in quella collezione sono circa 83 specie nuove. Il dott. Trail! inglese fa sapere che uno de’ suoi amici possiede vivo un uccello Trombetta ( sophia crepitans ) . Questo animale è molto domestico, si lascia accarezzare, e va dietro a tutte le persone della casa. Il sig. Traill si è assicurato che il singolare ramore prodotto da questo uccello non ha l’ ori- gine indicata dal nome latino , ma che si può riguardare come un perfetto Ventriloquo. La mandibula inferiore del becco di quest’uccello sporge in fuori più della superiore un quarto di pollice, il che non sì osserva negl’ individui impagliati, nè nella figura colorita datane da Buffon nelle sue P/anches Enluminées Tav. 169. La facoltà ventrilogua non appartiene esclusivamente a questo uccello, ma ancora ad alcune specie di ranocchie. Il sig. Say di Filadelfia, conosciuto per diversi lavori so- pra la zoologia dell'America settentrionale , nell’ autunno scorso 173 era per pubblicare la prima parte della sua Entomologia Ame- ricana . noto che quest’abile naturalista è stato il primo a far conoscere i molluschi degli Stati Uniti, e che ha preso parte nelle diverse escursioni state fatte recentemente in molte re- gioni poco conosciute degli stati dell’ Unione, il che ha tanto contribuito a far conoscere la geografia e la storia naturale di quel vasto paese . Il sig. Milbert, naturalista francese, partì nell’anno 1814 per la Nuova York e si è trattenuto negli Stati Uniti fino allo scorso anno 1824. In questo spazio di tempo ha fatto molte ‘spedizioni di oggetti naturali al museo di Parigi, e così copiose da formare esse sole un gran museo. Vi si contano gli oggetti seguenti: duecento mammiferi, 49 dei quali vivi: i più sin- golari sono l’ Opossum maschio e femmina, il Couguar dell’Ame- rica del Nord, il Bisone ( Bof dison), il gran Cervo del Ca- nadà ; duemila e più individui d’ uccelli appartenenti a 400 specie; (più di cento di essi mancavano al museo); seicento rettili di 150 specie, diversi dei queli vivi; 1200 pesci di 200 specie, la metà delle quali nuove per il museo; più di 500. conchiglie; ed in fine Crostacei, Araneidi, ed Insetti di tutti gli ordini, Il nu- mero delle specie nuove è di 4oo circa. L’ abilissimo e zelan- tissimo sig. Milbert, oltre la zoologia, si è occupato moltissi- mo anche di botanica; egli ha mandato varii alberi utili o d’ ornamento, piante economiche, tuberi, ed altro. Fra gli alberi è da notarsi principalmente il Cipresso calvo, che cresce nei terreni umidi; fra le piante economiche l’ortica 7Vîz/ow la quale dà un tiglio superiore a quello della canapa, l’erba Red top, colla quale si fanno cappelli simili a quelli di paglia d’Italia ec. Ha ancora arricchito il museo d’ oggetti di mineralogia, avendo inviato una serie di roccie prese dagli Alleganis, dalle rive del fiume S. Lorenzo, dell’Hudson, e dei grandi laghi dell’ Ohio, e del Mississipì. Neppure i fossili sono stati dimenticati da questo attivo naturalista, da cui il museo ha ricevuto alcune specie tuttora ignote. Il totale degli oggetti procurati dal sig. Mil- bert al museo di Parigi ammonta a 7569. Il viaggiatore sig. Ruppe/, del quale è stata fatta spesso parola nell'Antologia, ha recentemente fatta una considerabile spedizione di oggetti di storia naturale al museo di Francfort. Nello scorso dicembre questa collezione era arrivata a Livorno, e consisteva in circa cento spoglie dì mammiferi, e 300 di 174 uccelli, oltre una quantità di rettili e d’insetti. Fra i mammi- feri vi è un Ippopotamo, 4 Antilope bubalis , una Iena, ro Giacal ( Canis aureus Zin ), varie altre specie del gen. Canis, ed alcune scimmie e lemuri. Fra gli uccelli si distinguono un Falco serpentarius , 4 Micteria Americana, 3 Ibis, un Aninga, e varii avvoltoi . Il sig. Zesson naturalista della spedizione intorno al mondo comandata dal sig. Duperrey, scriveva il 10 ottobre 1823 che era ad Amboina, ed aveva raccolte molte conchiglie terrestri e fluviatili .Faceva sapere inoltre che aveva eseguiti 200 disegni di molluschi, pesci, e piante, oltre di che si era occupato molto di mineralogia sotto l’aspetto geologico, e sperava che le sue osservazioni e collezioni avrebbero avuto qualche interesse. Trascriviamo con piacere un articolo della Rivista Enciclope- dica di Parigi, del gennaio 1825, che riguarda il Museo di storia naturale di Pisa. 3» Questo nuovo stabilimento prosagisce dalla sua nascita il grado di prosperità al quale può elevarsi coì mezzi che il Gran Duca di Toscana ha messo a sua disposizione, e per lo zelo illu- minato del sig. Savi figlio, a cui ne è confidata la direzione. Già l’ornitologia toscana può esservi studiata più completamente che in qualunque altro luogo ,,. Ci crediamo in dovere di avvertire che il museo di Pisa non è di recente creato ; era quasi ignorato perchè consisteva in due sole stanze, ove erano non molti minerali, una collezione di conchiglie, alcuni cattivi uccelli , e pochi fossili. Alla nomi- na del dott. Paolo Savi ( figlio del prof, di Botanica ) in profes- sore di storia naturale, e direttore del museo, lo stabilimento ha presa una nuova vita; e l’attività, zelo, e capacità del gio- van» prof. Savi sono stati tali, che in soli due anni ha già for- mato una collezione quasi completa degli uccelli toscani , una collezione di pesci, una d’ insetti, vi ha unito varii quadrupedi, il tutto eccellentemente preparato, ed esattamente disposto . Lo stesso sig. prof. Savi in una lettera diretta al dott. Car. lo Passerini, Conservatore del museo di Firenze , ed inserita nel nuovo giornale dei letterati di Pisa. del gennaio e febbraio 1825, annunzia che riguarda come appartenente ad una nuova specie di topo il comune nostro topo tettaiolo riguardato erroneamen- te fin qui come il Mus Rattus di Linneo. Egli propone di 175 chiamarlo Mus Tectorum dal suo nome volgare; e ne dà la seguente frase : Parte superiore di color cenerino variato di giallo ros- sastro. Parti inferiori bianche e qualche volta un poco gial- lognole. Peli del dorso lunghi, e ruvidi: î più lunghi sono dappertutto della stessa grossezza . Coda più lunga del corpo, coperta da piccole squamme disposte circolarmente in anelli ? e da piccoli peli corti e ruvidi. Promette il prof. Savi di far conoscere minutamente questa nuova specie ancora per il lato de suoi costumi, tanto nello stato di libertà che in schiavitù. Geografia e viaggi. , Da lungo tempo i dotti vedevano con pena nascosto negli archivi della Spagna un gran numero di relazioni di viaggi e di altri documenti relativi. Questa negligenza sarà presto riparata e questa omissione supplita, per la pubblicazione che Don Mar- tino Ferdinando Navarrete, direttore provvisorio del deposito idrografico di Madrid, imprende ora a fare d’una Collezione dei viaggi e delle scoperte che gli Spagnuoli fecero per mare dopo la fine del decimoquinto secolo , concernenti la storia della navigazione e delle colonie d’ oliremare . Il re di Spagna, persuaso che quest’ opera non solo riuscirà d’utilità generale, ma procaccerà gloria alla nazione spagnuo= la, ha ordinato che sia stampata a spese del governo nella stam- peria reale di Madrid. Il primo volume di questa raccolta, del quale è già co- minciata l'impressione , conterrà il primo , il terzo, ed il quar- to viaggio di Colombo; il secondo che manca sarà supplito da una relazione del dot. Chanca, che accompagnò Colombo in in questo viaggio, e vi saranno aggiunti in fine altri documenti di questo celebre navigatore. Il secondo volume conterrà i viaggi e le scoperte d'altri navigatori che hanno seguitato le tracce di Colombo, e quelle di Ferdinando di Magallanes, del quale si hanno molti docu- menti, come si hanno molte relazioni intorno a diverse spedi- zioni, che seguitarono quella di Colombo , quali sono quelle di Louisa di Ladrillero, di Villalobos, e d’altri. Se questi primi volumi troveranno buona accoglienza nel pubblico illuminato, l’editore continuerà a pubblicare i viaggi e le scoperte d'’al- tri antichi navigatori, come Magallanes, El-Cano, Sayavedra, 176 Mendana, Sarmiento, Quiros, Lopez de Legagpì, Vizcaino , ec. per salvare dall’oblio documenti così preziosi . Al testo delle relazioni manoscritte, stampato letteralmente, saranno aggiunte delle note destinate a confrontare la geogra- fia e l’idrografia antica colla moderna, sia quanto alla posizione dei luoghi, sia quanto ai nomi sotto i quali sono conosciuti 0g- gi, e che sono stati alterati o cambiati dopo l’epoca delle loro scoperte. Saranno anche spiegati i termini tecnici dell’antico linguaggio della gente di mare, e sarà data una idea dei co- stumi, e della storia, e di tutto ciò che sarà necessario per l’ intelligenza dell’ opera , e per accrescerne l’ interesse e l’ utilità. Altre opere molto stimate dello stesso sig. Navarrete pre- parano una vantaggiosa prevenzione per questa , che onora il governo spagnuolo, e sarà festosamente accolta dagli uomini il- lumipati . Viaggio dei sigg. Beechey nella Cirenaica. Quando uegli anni 1821 e 1822 il capitano Smyth fu incaricato di levar la pianta della costa d’Affrica da Alessandria fino a Tripoli, i due fratelli Beechey , uno dei quali è capitano di marina , eb- bero l’incarico d’ esaminare la stessa costa per terra , per os- servarne gli abitanti , disegnare i monumenti , e descrivere la natura del paese. Si dice che essi abbiano raccolto molte im- portanti osservazioni , specialmente nella Pentapoli del?’ antica Cirenaica : essi hanno impreso a stampare il loro lavoro sotto il seguente titolo : | Warrativa delle cose fatte dalla spedizio- ne mandata dal governo di S. M. ad esplorare le coste set- tentrionali d’ Affrica nel 1821 e 22, che contiene una relazio- ne della Sirti, e della Cirenaica, delle antiche città che com- ponevano la Pentapoli , e di varii altri avanzi esistenti , com- pilata dal capit. F. IV. Beechey, e da H. TV. Beechey scudie» re, con tavole, mappe, ec. în 4.° Londra 1824. Viaggiatori francesi ed italiani nella Cirenaica. Nel mo: mento ìn cui il governo inglese coglie, come è solito, la glo- ria della prima pubblicazione delle scoperte che si potevano fare nella Cirenaica, non sarà inopportuno far noti almeno i tentativi delle altre nazioni. Un francese, il sig. Pach6 , mu- nito di lettere di Mehemet-Aly si è portato da Alessandria fino nella Pentapoli, che vuol percorrere in diverse direzioni. Il sno zelo è stato eccitato dal premio proposto dalla Società di Geo- grafia di Parigi. uv) Il sig. Zomard, membro dell’ accademia delle inscrizioni di Parigi, ha offerto alla società di Geografia una relazione ma- noscritta del sig. Cervellî, che contiene delle note molto ra- pide intorno ad un suo viaggio nella Cirenaica con alquanti disegni interessanti, che rappresentano dei tempii e delle tom- be. La società di geografia sembra disposta a pubblicarla. Questa stessa società ha pur ricevuto dal sig. Guys un al- tro manoscritto, il quale non contiene se non delle particolarità un poco vaghe sopra Bengazi, e dei progetti di commercio . Interno della Nuova-Galles meridionale . L’ ingegnere prin- cipale di questa grande colonia continua le sue laboriose rico- gnizioni. Egli ha già scoperto un fiume che si versa nella baia Moreton , e che sembra venire da lungi. Un’ antico membro della corte superiore della Nuova-Galles meridionale riunirà i rapporti ufficiali intorno a queste scoperte a diverse relazioni particolari, fra le quali è quella di due uomini scampati al nau- fragio che hanno passato sette mesi in questi contorni, e che hanno avuto comunicazione con i selvaggi. Quì sono stati tro- vati i rottami d’un gran bastimento, che sembra esservi resta- to una trentina d’anni, e che potrebbe essere uno di quelli di La-Perouse, supponendo anche che questo navigatore sia perito a qualche distanza sopra una scogliera di corallo, perchè i venti e le correnti portano qui con forza da ponente a levante. Que- sta raccolta, che si sta attualmente stampando , ha per titolo: “ Memorie geografiche intorno alla Nuova-Galles meridionale, pubblicate dal Barone Field, primo giudice della corte suprema di quel paese, con una mappa ,,. Posizione di Troia determinata . Il sig. Mac-Claren, dotto ed ingegnoso scozzese, ha pubblicato ad Edimburgo una disser- tazione intorno alla pianura della Troade , ed alla posizione di ‘Troia, accompagnata da una carta geografica , nella quale egli rovescia le ipotesi proposte dai sigg. Lechevalier , Choiseul-Gouf- ffier , Barbié-du Bocage, Clarke, ed altri. Appoggiandosi a due guide eccellenti , cioè l’Iliade, e la geografia fisica, egli dimostra vittoriosamente che la città di Troia era situata a poca distanza dalla riva, sopra le prime alture, e probabilmente presso, il posto dell’ Ilium: novum , come avevano creduto Alessandro, Ce- sare , e tutti gli antichi, fino a Strabone. Questa parte dci di lui argomenti sembra senza replica , e sembrerà tale a totti T-: XVII. Marzo 12 158 quelli che sono familiarizzati colla lettura d’ Omero . Alcuni altri punti secondarii possono sembrare ancora dubbiosi . Partenza del sig. capitano Franklin. Le persone destinate a comporre la spedizione terrestre sotto gli ordini del capitano Franklin devono essersi imbarcate a Liverpool verso il di 15 di febbraio per portarsi in America. Il piano che la spedizione deve seguitare consiste nel discendere il gran fiume Mackenzie, e giunta alla sua imboccatura , dividersi in due partite, una delle quali procurerà di ritornare in una direzione est verso il fiume della miniera di rame, lungo la riva del mar polare, l’altra continuerà nella direzione ovest, e seguiterà le rive che si suppone stendersi dal fiume Mackenzie , verso lo stretto di Bebring. È questo un piano decisivo; già da lungo tempo il sig. Maltebrun l'aveva raccomandato negli annali di geografia , Avvicinamento ai due poli . Alcuni giornali stranieri, ci- tando la Gazzetta letteraria di Londra , riferiscono i due fatti seguenti. ,, Un pescatore di balene crede d’essersi inoltra- to fino a 89 gradi di latitudine nord ; egli vi trovò una costa ove erano dei getti d’acqua bollente, ed altri accompagnati da una fiamma che accendeva la carta. ,, Un altro pescatore di balene ha oltrepassato le isole del nuovo Schetland , ed è arrivato a 74 gradi di latitudine sud, vale a dire tre gradi più al sud di Cook; egli vi ha trovato un mare aperto . Benchè noi riguardiamo ambedue queste nuove come apo- crife, pure sappiamo da Londra che l’ultima vi ha trovato molto credito , e che si spera di udirla confermare. America Russa — Una convenzione stabilita fra la Russia e lì Stati Uniti ha fissato il parallelo di latitudine di 54 gradi e 40 minuti come linea di separazione fra li stabilimenti ame- ricani e russi sulla costa nord-ovest dell’America. L’ Ape del Nord contiene una notizia delle Colonie della compagnia americana russa. Vi si vede che la popolazione totale di quelle colonie ascende a circa 10,000 abitanti, non compresi i russi. L’ agri- coltura comincia ad estendersi, a malgrado del rigore del cli- ma; Anche i bestiami vi si moltiplicano notabilmente. Così la Russia va formando delle colonie a pochi gradi di distanza dal polo ed alla punta dell’ America , ed allorquando un lavoro as- siduo e più generazioni di coloni avranno forzato la terra a produrre, e trovati dei ripari contro il clima, questa. posi- 179 zione potrà offrire all'uomo un soggiorno che avrà i suoi van- taggi, servendo come mezzo di comunicazione fra l’ Europa , l’ Asia, e l'America. Popolazione degli stati del Re di Sardegna. — L’ ammi- nistrazione civile di Turino ha fatto stampare il prospetto della popolazione di quella capitale, conforme ad un censimento fatto nel mese di decembre decorso. Turino , che sotto | impero fran- cese era ridotta da 80,000 abitanti a 74,000, è ben risorta do- po il ritorno dei suoi monarchi ; essa conta oggi, compresi i sobborghi ed il distretto, 107 , 338 abitanti . Quest’ accrescimen- to di 33,000 anime in ro anni, è uno dei più rapidi che si possano citare . I giornali del Piemonte e di Genova pubblicano come offi- ciale il seguente prospetto della popolazione degli stati di Ter- ra-ferma di S. M. il Re di Sardegna. Provincie Distretti Abitanti ; Savoia propria, Alta Savoia, Carouge, Chablais Savoia Forbirn: AILA7 en Maotichia i Pi ratearo 501,165 Turino ( Turino, Briella , Ivrea , Pinerolo, Susa 764,165 Cuneo ( Caneo, Alba, Mondovì, Saluzzo nix ‘dar; 041 Alessandria (Alessandria, Acqui, Asti, Casale, Tortona Voghera 547,662 Novara ( Novara, Lomellino, Ossola, Pallanza, Val- - sesia, Vercelli 481,450 Aosta ( Aosta 71,096 Nizza ( Nizza , Oneglia, S. Remo i 204,538 enora ( Albenga, Bobbio, Chiavari, Levante, Novi; ( Savona 583,233 PTALDLUS ME TT Totale 3,675,327 Bisogna aggiungervi la popolazione del Regno di Sardegna secondo il prospetto da noi pubblicato ( vol. XVI. A. p. 181.) 461,976 ATTRATTI tn Totale della monarchia Sarda 4,137,303 I due sessi negli stati di terra-ferma sono nella proporzio- ne seguente: maschi 1,792,986, femmine 1,882,34t. 180 SOCIETA’ SCIENTIFICHE I. E R. ACCADEMIA DE: GEORGOFILI ; Adunanza dei 6. feb- braio 1825. Dopo la lettura del processo verbale dell’ antece- dente adunanza fatta dal segretario degli atti, quello delle cor- rispondenze comunicò i ringraziamenti dei socii corrispondenti nuovamente nominati S. E. sig. Conte di Bombelles ministro austriaco alla corte di Toscana, e i sigg. Cav. Airoldi Siciliano , e prof. Giuseppe Montani Cremonese ; enumerò quindi i seguen- ti doni pervenuti all’ accademia: Una memoria sulle masserie d’ esperimento del sig. March. di Breme , ed una replica dell’istes- so autore alle obiezioni fattegli dal sig. Dombasle agronomo di Nancy : una memoria sulla rendita rurale del prof. Scuderi di Catania, ed una del sig. avv. Mugnai di Livorno, nella quale si dimostra che gl’ italiani sono stati i primi cultori della scienza economica . Un estratto dell’ opera veterinaria del prof. Sandri steso dal D. Dini di Pistoia : e finalmente per parte del sig. prof. cav. Ciampi un libro intitolato Statua nobilis artis agri- culturae Urbis. Romae an. 1595. In seguito il sig. Dott. Giovanni Magini imprese a dimostra- re in ana sua memoria che al sistema attuale economico della Toscana sarebbero dannose quelle disposizioni regolamentarie , le quali più non esistono nel nostro paese dopo le felici istituzioni che la regnante dinastia austriaca vi ha consolidate, e che alcu- ni economisti propongono di adottar di nuovo nell’ attual situa- zione della nostra industria. Quindi il sig. avv. Michel Angiolo Buonarroti, enumerate le cause che arrecano distrazione ai con- tadini dalla lavorazione dei, poderi, propose alcuni rimedii a tal sconcerto, dimostrando che in gran parte questi dipenderebbero dalla volontà e diligenza dei possidenti . Dopo di che l’ adunanza pubblica fù sciolta . I. e R. ISTITUTO DI SCIENZE LETTERE ED ARTI DI MILANO, Adunanza del dì 20. Maggio 1824. (vedi al precedente fascico- lo pag. 156. ) Si lessero due lettere dirette all’ Istituto dall' I. e R. Governo, con una delle quali annunzia di avere diramati gli ordini alle II, e RR. delegazioni , e scritto all’ I. e R. Governo di Venezia, affinchè siano eccitati gli artisti e manifattori a concor - rere ai premi d’industria, ed anche ad arricchire dei loro miglior prodotti la pubblica esposizione; e coll’altra approva la deliberazio- ne presa dall'Istituto medesimo di ristampare in una sola raccolta gli atti delle distribuzioni de’ premi fattesi negli anni precedenti. 181 Il socio cav. Aldini presentò poi là descrizione di diverse lu- cerne A-l’-Argand ch’egli ha fatto costruire, le quali essendo for- nite di molti lucignoli diversamente disposti , altri a liste paral- lele , altri ad anelli concentrici, col sussidio ancora di grandi ri- verberi, sono atti a produrre una intensissima.luce . Egli espose i diversi usi ai quali si propone di applicare questi suoi metodi di illuminazione ; e fece particolarmente no- tare gli effetti di luce che con simili lucerne, riunendone al l’uopo un certo mumero , si potrebbero ottenere ne’ teatri, ove con vantaggio verrebbero talvolta sostituite ai fuochi di Bengala . Reale Accademia delle scienze di Turino. Nell’ adunanza della classe fisico-matematica , tenutasi il 6 del corrente mese di marzo, il professore Borson, a nome di una Giunta, lesse un parere intorno ad un progetto di un fabricante, di preparare con privilegio le pietre talcose che trovansi nei regii stati, e somministrarne il talco alle varie arti che ne fanno uso, Il professore Bidone lesse alcune osservazioni sopra le mac- chine in moto. Il cavaliere Avogadro continuò la lettura della memoria mandata da Pietroburgo dall’ accademico non residen- te , conte Saverio Maistre , intitolata : Recherches sur la cause des couleurs dans les corps naturels, et sur le mecanisme de la peinture . L'Accademia reale delle scienze di Berlino ha proposto il seguente soggetto di premio . Determinare coll’ appoggio di pro- ve autentiche la natura della civilizzazione presso gli Etruschi , tanto in generale , quanio per ciascuna parte della vita socia- le, Indicare colla maggior precisione possibile il grado di per- fezione a cui fù portato ciaseun ramo dell’ industria o delle ar- ti di questo popolo celebre. L’ Accademia esclude la storia po- litica, e siccome ella non vuole aprire un campo troppo vasto ad ipotesi ingegnose , vieta le ricerche puramènte etimologiche , e le supposizioni sull’ origine degli etruschi: questi mezzi non potranno essere impiegati che dove dei risultati certi sulla ci- vilizzazione possano riceverne una nuova luce , o quando dalla lingua istessa può scaturire un osservazione di fatto . Quanto alla religione , si desidera che questa parte essenziale del sogget- to sia trattata piuttosto coll’ appoggio di scritti, che di monu- menti figurati. Questa restrizione è dettata da due motivi egual- mente potenti : il primo è chei dotti i quali si occuperanno di questa discussione non hanno tutti i documenti stessi sotto gli 182 occhi , ed in conseguenza possono essere indotti in errore da co- pie infedeli; il secondo motivo è che, per ben giudicare i monu- menti , bisogna che le attuali ricerche servano di base a questo nuovo'laforo . Si desiderano delle notizie sullo stato della lette- ratura drammatica, della musica, della poesia, delle matemati- che , della cronologia , ec. Le memorie saranno ricevate fino a tutto marzo 1826 ; il 3 di luglio sarà aggiudicato il premio, che è di 50 ducati. NOTIZIA INTERESSANTE E°’ noto come il nostro concittadino cAv. MoRosI, meccani- co celebratissimo , fino dall’ anno 1819 aveva perduto nell’ oc- chio sinistro la facoltà visiva, che indebolitosi progressivamente anche nel destro , vi si estinse affatto nell’ anno 1823. Questa di lui sventura era giustamente deplorata come una sventura ita- liana . L'opinione d’ alcuni professori che vi fosse vizio del ner- vo ottico , se non toglieva , infievoliva la speranza ispirata dalla diversa opinione d’ altri professori che la cecità fosse cagionata da cataratte , e però sanabile. Ma recentemente essendo venu- ti i primi nell’ opinione dei secondi , resa autorevole dal celebre Scarpa , }' operazione fù decisa , ed eseguita felicissimamente dal prof. Donegana di Como nella mattina del dì 12 del corrente mese di marzo , bensì nel solo occhio sinistro , sebbene il pa- ziente , assoggettatovisi con somma alacrità, instasse per rinno - varla sopra l’altr’ occhio ; nel che non consentì }' operatore , premuroso di render PROB più lontano il pericolo dell’ infiam- mazione . Il cav. Morosi vide tosto la mano dell’ operatore , nè soffrì dall’operazione che lieve dolore . Bensì la stretta dieta cni fu sottoposto svegliò nel suo sistema nervoso una notabile agitazio- ne, che si indé poi calmando. Dopo 6 giorni di perfetta oscu- rità, introdotto nella stanza del malato un poco di luce, egli vide distintamente tutti gli oggetti che gli furono presentati . Ora col vigorè della persona va giornalmente rafforzandosi in lui la facoltà visiva . Se, come ne siam certi, anche nella sua cecità il cav. Mo- rosi dettava opere pregevoli s delle quali si disponeva a far gra- to donò al pubblico, più importanti e più pregiati lavori po- tremo aspettarne ‘ida che ha ricuperato l’ uso d'un senso così prezioso come quello della vista . 185 Si va stampando in Pavia sotto il titolo di Element: di sto- ria naturale generale un nuovo lavoro del prof. GASPERO Bxu- GNATELLI, autore della Guida allo studio della chimica. Il pre- gio di quest’ ultima opera, di cui il dotto autore ha recente- mente pubblicato un supplemento è il migliore argomento a fa- vore di quella che ora annunziamo. GIUSEPPE GAZZERI BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*) . N. XVI. Marzo 1825. N. 27. ANNALEs DES ALDE, 0U HisTOIRE DES TROIS MANUCE , et de leurs editions, par ANTOINE-AUGUSTIN RENOUARD. Questi Annali, già ben accolti dal pubblico quando apparvero la pri- ma volta nel 1803 , sono adesso riprodotti con tante aggiunte e correzioni, che quasi possono chiamarsi un’opera nuova, e cer- tamente una delle più esatte che i bibliografi possano consul- tare. Verranno essi distribuiti in 3 volumi di ottavo, e impres- si in caratteri nuovi da PAOLO RENOUARD, figlio dell’ Autore, con quella diligenza che l’ affetto verso il padre e i tre mae- stri dell’arte sua possono ispirargli. Alle incisioni della prima edizione si aggiugneranno in questa seconda più insegne 4po- grafiche, le quali compiranno la serie delle usate dai tre mae- stri suddetti; un facsimile de’loro caratteri e di quelli di Mar- co Musuro, uno dei loro più dotti cooperatori; e un altro fac- simile del saggio di Bibbia poliglotta, di cui non si conosce che l’esemplare conservato a Parigi nella Biblioteca reale. La nuova edizione che si annuncia, è già sotto il torchio , e non se ne trarrà che piccol numero di copie, così in carta ordina- ria che in grande velina, l'una e l’ altra della miglior quali- tà , e tale da potervi all’ uopo scrivere delle annotazioni. Costerà in Italia 45 franchi nella prima specie di carta e 93. nella seconda. Le associazioni si ricevono fino':d’ora a (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel pre- sente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’Aptologia. Essi vengono somministrati dai sigg. librai e editori delle opere stesse, e mon bisogna con- fonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima , siano come estratti o analisi, siano come anmupzi di opere. 184 PARIGI presso RENOUARD, via Tournon ; a FIRENZE presso VIEUS- séux al Gabinetto Scientifico e Letterario, MOLINI via degli Archibusieri, e PIATTI in Vacchereccia, e nelle altre grandi città di Europa presso i libraj principali . 28. Annuncio di ANTONIO FORTUNATO STELLA librajo in Milano per la edizione di tutte l’opere di CIcERONE fatta sui migliori testi e con traduzione italiana di ciascheduna . Sarà essa in 8.°, quale è pure la parigina di Le Clerc , tut- ta in carta sopraflina e cilindrata. I caratteri saran nuovi, di elegante forma , e fusi apposta per questa sola edizione . Quaranta circa saranno i volumi, i cui fogli verranno cal- colati a venti centesimi italiani l’ uno pei primi cinquecento as- sociati. Per gli altri, non che per chi volesse qualche opera separata , il prezzo sarà maggiore . La legatura verrà computata venti centesimi al volume. Se ne tireranno alcune poche copie anche in carta velina , le quali costeranno il doppio . Il tempo della pubblicazione del primo volume, e così de- gli altri in appresso, si annunzierà nel Prodromo , che verrà stam- pato nella stessa forma, carta e caratteri dell’ Opera . Le associazioni in Milano si ricevono presso la ditta Antonio ortunato Stella e figli, ed anche presso la Società Tipogra- fica de’ Classici Italiani, nella cui stamperia esse opere ver- ranno impresse, Fuori di Milano si riceveranno da tutti i principali librai. Milano il dì 26 Febbraio 1825. 29. Agli amatori delle opere fisico-mediche . Il fare elo- gio all’ opera dell’ immortale Gio. Pretro Frank: SISTEMA COM- PIUTO DI POLIZIA MEDICA , sarebbe inopportuna cosa, poichè la generale e continua ricerca , che se ne fa, già dice molto più di quello che dire si potrebbe ; e di questa verità ne fa am- pia fede anche la pronunziata brama di vedere esposto in no- stra lingua i libri di questa istess’ opera , che l'illustre Autore ha pubblicata molto dopo a quanto finora si conosca ; ed è per- ciò che ho deciso di farne eseguire la traduzione. - Il sig. Dott Professore Gio. Pozzi , autore di molte opere di chimica e me. dicina, che già trasportò in italiano il X e 1° XI volume del- l opera suddetta , a cui fece diverse importanti aggiunte, si è impegnato a proseguire questo lavoro , il quale sarà diviso in cinque volumi. Il primo tratterrà della medicina in generale e della sua influenza al bene degli Stati. Il secondo, degli istitati di dottrina medica in generale. Il terzo risguarderà le scuole pubbliche di medicina in generale ; l'anatomia uma» 185 na e la fisiologia generale; la fisiologia e patologia specia- le dell’uomo; la terapia generale e la dottrina de’ medica- menti; la patologia e la terapia speciale . Il quarto avrà per oggetto la chirurgia maggiore e minore , e l’ ostetricia. Il quin- to tratterrà della zoojatria, indicando i diversi periodi di que- sta, i progressi e le diverse sperienze ed’ osservazioni state fatte su gli animali a vantaggio dell'anatomia, della medicina e della chirurgia umana . Il traduttore illustrerà questa grand’ opera con alcune no- te, ove ne troverà per gli attuali avanzamenti delle scienze fi- siche, il bisogno od il vantaggio, e vi aggiungerà la Polizia Medica degli spedali, e le più interessanti notizie sulla loro origine, divisione , discipline e vicende che accaddero nelle prin- cipali epoche della loro esistenza. Aggiunta, che sarà compre- sa in due volumi al più, e renderà compiuta quest’ opera in- teressante ed unica: trattato che venne già promesso dall’ il- lustre Autore. Il primo di questi sette volumi uscirà alla luce nel mese di maggio e saranno tutti compiuti in un anno circa. Saranno questi nel formato di 8.°, nella carta e in consimile carattere come i precedenti undici da me stampati, e ciò appunto per- chè chi li possiede possa compire quest’ aurea opera nel me- desimo sesto. Tosto pubblicata la versione di cui sopra, non che l’ aggiunta del ch. Professore traduttore, od anche alter- nativamente , ristamperò i precedenti volumi che ora non tro- vansi più in commercio . - L’ associazione resta aperta sin d’ora nel mio negozio , ai seguenti prezzi: Chi si associerà pei soli sette volumi pagherà centesimi 20 austriaci per ogni foglio di stampa , ossiano pag. 16. prezzo mite, a fronte della spesa del- la versione. Per quelli poi che si sottoscriveranno anche. pei precedenti volumi il prezzo sarà di soli centesimi 16 pure au- striaci per ogni foglio come sopra, con che però questi ultimi paghino anticipatamente austriache lir. 3, modica cauzione per l'editore, le quali saranno scontate sull’ importo dell’ ultimo tomo . La legatura in rustico è gratis in ambi i casi. Le spe- se di porto sono a carico degli associati . GIO, PIROTTA. 30. Storia della Rivoluzione Francese dal 1789. al 1814. di F. A. MIGNET, traduzione dal francese. Italia 1825. 2. vol. in 18. si vende a paoli 4. il volume presso Guglielmo Piatti in Firenze. 31. Orazioni civili e criminali dell'Avvocato LORENZO CoL- Lini fiorentino, Firenze, 1824, presso Niccolò Conti vol. IV. 186 32. Intorno alcuni monumenti epigrafici cristiani , scoperti in Milano l’anno 1823 nell’insigne Basilica di S. Ambrogio , dis- sertazione epistolare del dott. GiIovANNI LAsus. Milano dalla ti- pografia del dott. Giulio Ferrari, 1814. in fol. di pag. 39. con ta- vole colorite . 33. ESTRATTO DI MANIFESTO DI ASSOCIAZIONE. Saggi pittorici, geografici, statistici , idrografici , catastali sull’Egitto , disegna- ti e descritti da GiroLAMO SEGATO di Belluno e LORENZO MASI di ‘Livorno . Questo saggio si pubblicherà in cinque fascicoli in fo- glio reale velino , ciascuno contenente costumi , paesi, monumen- ti, carte topografiche idrografiche ec. in numero tavole 6. per fascicolo . Ogni fascicolo , oltre le sei tavole diligentemente di- segnate ed incise in rame , conterrà tre fogli almeno di stampa d’ illustrazione delle medesime . Il primo fascicolo sarà precedu- to da una lettera dedicatoria , e da un’ analoga prefazione . Il prezzo di associazione di ogni fascicolo resta invari abil- mente fissato a venti lire toscane coll’ incisioni in nero, da pa- garsi all’ atto della consegna. Per chi bramasse le incisioni co- lorate il. prezzo sarà di trentotto lire per fascicolo . Dove poi , invece di tre , riuscissero quattro o cinque fogli d’ illustrazione , il di più dei promessi si pagherà a ragione di un paolo il fo- glio. Nel prezzo di associazione restano comprese anche la le- gatura e la coperta in cartoncino colorato d’ogni fascicolo . Ai non associati l’opera si venderà un terzo di più del prezzo di associazione , senza accordare il più leggero ribasso . Lé spese di porto sono a carico dei sigg. associati . Gli editori non pubblicheranno il primo fascicolo che al momento , in cui un numero sufficiente di sigg. associati li met- ta al coperto delle gravosissime spese , cui vanno incontro . Ma dove la loro impresa venga animata e protetta , daranno l’ inte- ra opera nel corso di un anno calcolato dal giorno della pub- blicazione del primo fascicolo; che verrà enunciato due mesi pri- mia con apposito avviso . Le associazioni si ricevono dagli edi- tori; dai sigg: distributori del presente manifesto, e dai prin- cipali-tibrai d’ Italia, d’ Inghilterra , di Francia , e di Cermania. Livorno 21 Febbraio. 1825. Girolamo » Segato e Lorenzo Masi Editori. \ ‘134. Elogio di CLAUDIO MARIO AREZZI; per SEBASTIANO GRECI. Palermo',\ presso Giovanni Baldanzi 8° di p. 68. 35. In dimostrazione che gl’ italiani sono stati i primi culto- ri, ed i promotori insieme delle moderne scienze di pubblica economia . Memoria dell’ avv. ALESSANDRO MUGNAI letta all’ ac- MAE 187 cademia Labronica di scenze , lettere ed arti, li 18 dicembre 1824. Masi, 8.° ! 36. Sermoni di Morsè SUSANI, con note di richiamo ad un ar- ticolo della Biblioteca italiana. Venezia co’ tipi. Adrisopoli 1824. 8. ° 3y. Poesie di LuiGi CiBRARIO. Torino . Per Alliani e Paravia. 1814 12° di 92 p. 38. Zo Spettatore Italiano , preceduto da un saggio critico sopra i filosofi morali , e i dipintori di costumi e di caratteri : del Conte Giovanni Ferri di S. Costant . vol. 4 in 8.° Milano ; dal- la Società dei Classici italiani. Si vende in Firenze presso Giu- seppe molini . 39. Z Micro-ideologo , od abbozzo di Filologia comparata, proposto a coloro che intendendo la lingua italiana, vogliono o passare allo studio d’ una qualunque straniera favella , e prin- cipalmente della inglese, di G. R. F. DeriLIPPI. Manifesto di. as- sociazioni , le quali si prendono in Genova , all Tip. Ponthenier. Il prezzo per gli associati sarà di 4 franchi , finita la stampa non si darà per meno di 6. franchi . 4o. Le cento Novelle antiche secondo l’ edizione del upxXr, corrette ed illustrate da MicHeLE CoLomso. Milano presso . B. A. Tosi, 1825. Elegantissima edizione in 8.° 4t. Esposizione del metodo nuovamente richiamato alla pra- tica dal barone Dupuytren, clinico all’ bòtel dieu di Parigi, on- de curare ‘i tumori e lè fistole lacrimali , con varie aggiunte , osservazioni pratiche e riflessioni, Memoria del D. PieTRO TAD- DEI, medico e chirurgo in Livorno, Livorno. Dalla Tipografia della Fénicie..1824.:8.° di p. 120 con due tavole. | 42. Sermoni'sacri in terza rima di. GIAN CARLO DI NEGRO . Genova, dalla. Tipografia Ponthenier. 1825. un vol. 4 di p. 180» col ritratto dell’ autore . 43. Collezione d’opere scelte di scrittori italiani viventi. Che il nostro bellissimo idioma, deposta la barbarie del passato secolo, sia rifiorito , .e.che la bella arte del dire , mercè dello studioy che in ogni parte d’Italia si.è fatto in;questi tempi intorno alle, opere de” nostri antichi scrittori, si vada riducendo di nuoyo alla proprietà e gentilezza ; che fecero quelli maravigliosi , é una tal cosa di che nessuno oggimai fra i dotti. italiani è dubbioso .,, Ma di qual natura sia veramente questo miglioramento, e, se particolare di poche città dell’Italia, o. generale di tutte, mal ;si, è ; potuto giudicare finora dall’ universale delle genti, per essere mal note ai vicini, ignote affatto, ai lontani, le opere di que’ valenti scrit- 188 tori, che nelle differenti contrade d’ Italia danno opera a questo glorioso restauramento . Questa considerazione ci ha mossi a pubblicare una colle- zione di opere scelte di scrittori italiani viventi, per la qua- le sia fatto a tutti gli uomini argomento di giudicare , a quan- to buon dritto i più dotti facciano del nostro secolo quelle lo- di che fanno, e se gl’ italiani abbiano di che rallegrarsi del pre- sente loro stato. Il modo, che abbiamo tenuto per giugnere a questo fine, è fatto manifesto dalle seguenti condizioni dell’ opera. Gli scritto- ri, de’quali si pubblicheranno le opere scelte , sono li segaenti , Angelelli , Arici , Bellotti, Cesari, Colombo , Costa , Dalmistro > Farini, Fiocchi, Foscolo , Giordani, Grassi, Maffei , Marchet- ti, Monti, Montrone, Mustoxidi, Negri , Niccolini, Pieri , Pin- demonte, Schiassi, Strocchi, e alcuni altri. Le opere di ciascuno saranno pubblicate secondo 1’ ordine alfabetico , che abbiamo tenuto quì sopra nel descriverne i no- mi ; tranne solamente quei casi , che per essere le opere di al- cuno di piccolissima mole , ci fosse mestieri comprendere in ùno stesso volume quelle di più di un autore , o checi costringes- se qualche altra cagione ; ma ciò non sarebbe giammai segno di un nostro giudizio intorno al merito degli scrittori anteposti o posposti . I volumi della collezione saranno intorno a venti. I fogli di ogni volume saranno intorno a venti. Ogni foglio di stampa costerà 4 bajocchi romani, o 22 centesimi italiani. 11 prezzo di ogni volume, calcolato secondo che è detto disopra , sarà paga- to da ciascun associato all’ atto del ricevimento di quello . Escirà in luce un volume della collezione di mese in mese. L’ edizio- ne di tutta la collezione , sarà di carta , forma , e caratteri egua- li a quelli di questo avviso. La cucitura e la legatura dei vo- lumi saranno date grazis alli signori associati . Le spese di por- to e dazio saranno pagate dalli signori associati. Coloro, che pro- cureranno dodici associati solventi, avranno una copia gratis. Bologna . Presso TURCHI , VEROLI ec. 44. Da FEDERIGO VOLERE libraio a Vienna è uscita, e si vende da Guglielmo Piatti in pirenze , Gramatica della lingua tede- sca, 0 sia nuovo metodo d’ imparare con facilità il tedesco , di D. A. FILIPPI, già pubblico professore di lingua e letteratura italiana nell’ imper. regia università di Vienna ; quarta unica le- gittima edizione originale, esattamente ricorretta e di cose es- 189 senziali accresciuta con una tavola in rame g.° grande, Vienna 1824., prezzo fr. 4 cent. 60. — E° quasi superfluo ogni ulteriore en- comio di quest’ opera , la di cui utilità si manifesta evidente- mente per questa quarta edizione , che facea d’ uopo intrapren- dere nel breve spazio di pochi anni, non ostante una copiosa edizione, che se n’è contraffatta a Milano. L’autore, italiano di nazione, ma resosi padrone del genio della lingua tedesca, ba saputo col mezzo delle sue trenta lezioni (in cui lo studio- so italiano vien familiarizzato colle voci radicali tedesche, coi suoi dialoghi , e finalmente con una spiegazione delle regole gra- maticali facilissima a comprendere ) appianare a’ suoi compatriot- ti l’ arduo sentiero che devono percorrere nello studio del pre- lodato idioma , per, la qual fatica però , oltre il frutto lucroso onde ha parte la presente congiuntura politica, ricavano anche il piacere di conoscere la letteratura tedesca coltivata dai Klopstock, Schiller, Goethe, Herder ec. nomi chiarissimi, che risplenderan- no al pari de’ consimili di qualsivoglia altra nazione sino a tan- to che regnerà il buon gusto e la vera stima delle scienze e delle lettere. Da parte dell’ editore non si sono risparmiate nè spese, nè diligenza , affinchè la detta opera riesca munita della maggior possibile correttezza ed eleganza tipografica , del che si accer- terà il} rispettabilissimo pubblico, che la favorirà dei suoi rive- ritissimi comandi . 45. Avviso letterario. La libreria sotto nominata facendo noto col presente avviso di aver già a sue spese pubblicata, e spe- dita alle librerie più accreditate della Monarchia e dell’ Estero la terza continuazione della chiarissima opera intitolata: Tri- partitum, scu de analogia linguarum , spera di supplire a tanto maggiore agradimento al particolare bisogno di que’ Filologi, cui nello studio delle lingue interessa un fondamentale scruti- nio, quanto la predetta opera già da gran tempo venne da moltissime autorità le più cospicue nel reame delle scienze rico- nosciuta per una delle più istruttive e fruttifere comparse let- terarie e molto onorevolmente raccomandata come il più effica- ce mezzo coajutante per imparare , ragguagliare e valutare con fondamento i linguaggi di tutti i popoli, e di tutti itempi, e per conseguenza anche considerata come importantissima parte integrante della storia dell’ umanità . Se i tentativi arrischiati da alcuni filologi più antichi per investigare la possibilità d’ una comune sorgente delle lingue ec- citarono già l’ attenzione di molti, con qual maggior ragione po- 190 trà lusingarsi dell’ approvazione degl’ intelligenti la comparsa del Tripartitum, verificando esso con innumerabili esempj estratti almeno da 14o idiomi quella già da tremila e più anni pronun- ziata sentenza : erat autem terra labii unius et sermonum corun- dem: Gen. XI. 1. Che quest’ opera non debba mancare in uno stadio di lin- gue calcolato su fondamentalità e chiarezza è dunque una cosa, ìn cui vanno d’ accordo tutti quei filologi , che già conoscono il valore di questa comparsa letteraria. Possa anche il presente quarto tomo ora annunziato incontrare lo stesso numeroso spac- cio come i tre primi, tanto più che l’ editore non ha risparmia- to nè studio , nè spese per renderlo in quanto ai caratteri ed al- la carta del pari aggradevole come quelli. Per facilitare l’ acqui- sto di quest’ opera a’ compratori domiciliati in luoghi più distan= ti si porta ancora a comune notizia , che nella sotto indicata li- breria ne saranuo vendibili anche staccate tutte le parti finora pubblicate. I quattro tomi comparsi costano in carta da stampa So lire d’ ital. in carta da scrivere lire 60. ital. Vienna nel mese febraio 1825. © IFEDERIGO VOLKE 46. L’ Arte d’ amare del Dott. Vincenzo Devoti . piacentino, canti cinque, inediti. Pizcenza. tip. del Maino. 1824 8.° di p. 40. 47. Notizie intorno alla vita e agli scritti del Dott. Wincenzio Devoti piacentino, di FRANCESCO SoPRANI. Piacenza 1825. 8.° 48. Viaggi d’uno Studente nelle cinque parti del mondo; serit- ti dal sig. DEPPING. Firenze. Batelli , 1825, vol. 2. in 8° for- ma il 3.° numero della Biblioteca d’ Educazione : al prezzo di franchi 2, ro cent. 49. Storia della letteratura italiana, dall’ origine della lin- gua al secolo xIx, del Cav. Giuseppe Maffei . Milano , Società tip. de’ Classici italiani 1824 , tomi 3 in 12.° al prezzo di fr. 6» 50. Il palazzo di Scauro, ossia descrizione d’una casa roma- na, traduzione con aggiunte di F..... L.... Milano. Sonzogno, 1825. in $.° fig.°; al prezzo di franchi 6. SI. Quatuor JOSEPHI PARINI poemata mane meridies vesper nox, latine versa ab IGNAZIO GUERRIERO Canonico . Firmi tipis Bazzi ac Jaffei, 1825. 8.° di p. tr. | ì INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL DECIMOSESTO VOLUME | SCIENZE MORALI E POLITICHE. Tiottera proemiale del Direttore dell’Antologia. A, Pag. D’una Scelta di prosatori Italiani. Lettera al Mar- chese Gino Capponi, di ( P. Giordani ) Aleuni pensieri sull’ economia agraria della Tosca- na. (Gen. Colletta) Elogio accademico di Francesco Foggi. (ilandro) Della dominazione degli stranieri in Sicilia, discorsi . due di Saverio Scrofani, Siciliano. (A. Benci) Delle forze commerciali della Bran Brettagna, rag- guagli del cav. Dupin. (M.) Antologia ital. del cav. Frane. Brancia. (U. Lampredi) Lettera di un Cieco al Direttore dell’ Antolo- gia. (il Cieco Patrizio ) Sulla utilità dei moltiplicati prodotti, della generale indastria, e sul danno dell’ opporvisi; anche nel caso che i sistemi proibitivi sussistano negli altri paesi . ( Comm. Lapo, de’ Ricci ) Delle adunanze filantropiche nella Gran-Brettagna, e in ispecie di quella tenuta sul monumento di Watt, relazioni del cav. Dupin, tratta dalla Ri- vista Europea . (DM. ) Commentario all’opera di Filangieri, composta dal sig. Beniamino Constant. (A) Salla libertà del commercio frumentario . Memo- ria II. del (March. Cosimo Ridolfi) Difesa della filosofia, scritta da Ambrogio* Balbi. (M.). C. Esercizio logico sugl errori d’ideologia e zoologia , composto da Melchior Gioja . (A. ) 2) » 2) 23 2) 7) ” ») IMI 122 192 Introduzione alla filosofia naturale del pensiero , opera del sig. Lallebasque. 94.) n 090 GEOGRAFIA , STATISTICA, VIAGGI, EC. Viaggio del sig, Ruppel nell’ interno dell’Affrica. A. 165 Società geografica di Parigi. 33. 133,169 Descrizione di Boukhara e di Samarcanda. B. go 00 Corrispondenza fra l’ Inghilterra e 1’ India. 13 991169 Notizie di un viaggio fatto per il territorio di Ar- kansa nel 1819. (PG) si 70 Estratto d’ un viaggio fatto sulle coste del Chili , del Perù e del Messico. » » 74 Spedizione del Barone di Wrangel al Polo Nord. » » #7 Compendio ristretto del viaggio di scoperte fatto per ordine del Governo russo nel 1819. 20. 21., dal capitano Billinghausen nell’oceano pacifico, e nei | mari glaciali . (F.6G.) ,;i » 89 Saggio d’ una statistica di Verona del conte Bevi- lacqua Lazise . (M.) C. ,, 103 Collezione dei viaggi degli Spagnoli, che si pubbli- ca in Madrid, per le cure del signor Navar- rete. »» 30 175 Viaggi nella Cirenaica. 3° 39 176 Interno della nuova Galla meridionale. » >» 177 Posizione di Troia determinata . 4 » * 177 Viaggi ai due poli. » » 178 America Russa . » » 178 Popolazione degli stati del re di Sardegna. :- » » 179 LETTERATURA, FILOLOGIA , CRITICA LETTERARIA, POESIE EC. Scelta di Prosatori Italiani da pubblicarsi a Firenze da P. Giordani. ( Manifesto) A. XXIX Conversazioni di lord Byron, raccolte dal capitano Medwin. (M.) 3935 32 AIl’ ornatissimo sig. M, autore dell’ articolo intorno i alle poesie di Labindo . {4.G.C.) » » 64 M. Cornelii Frontonis, et M. Aurelii imperatoris epi- stulae, L. Veri, et Antonini pii, et Appiani epi- stularum reliquias. Fragmenta Frontonis, et scri- pta grammatica. Editio prima romana plus cen- tum epistulis aucta eo codice rescripto bibliotecae eiusdem praefecto . (G. B. Zannoni) Intorno al codice Bartoliniano. (Urbano Lampredi) Della tradazione francese dell’ Italia innanzi il do- minio de’ Romani del sig. Micali, (DI.) Alcune considerazioni sulla presente lingua dei gre- ci} (Cav. Andrea Mustoxidi) Saggi di Ugo Foscolo sopra il Petrarca , trad. dal- l’ inglese . (M.) Poesie varie di Lodovico Ariosto con annotazioni . Ed. Molini . Caracalla , tragedia di G. B. Marsuzi. Delle orazioni funerali, ragionamento di francesco Bonciani . Del bello poetico, dialogo di Antonio Cesari. Scelta di racconti storici e favolosi, tratti da otti- mi testi di lingua, per cura di Terenzio Mazzoli. Il finale giudizio di Michel Angelo , cantica d’An- tonio Mezzanotte . La Storia Romana di Tito Livio, recato in Italiano da Jacopo Nardi. (M.) Per l’ avvenimento al Trono di LEeoPoLpo II. Gran- Duca di Toscana. stamp. di Averardo Genovesi. BELLE ARTI. Lettera al Direttore dell’ antologia. Reclamo del sig. Fineschi . ( P. Giordani) Intorno alle scuole ed accademie delle belle arti, ed alla nuova dipintura di Francesco Nenci nella cap- pella del Poggio Imperiale. ( A. Benci) Lettera in risposta a quella del Sig. Pietro Gior- dani sulle pitture in porcellana. (4. Cicognara ) Sacra famiglia. Quadro in tela del Brioschi. ARCHEOLOGIA . Prospetto dei vari musei numismatici d’ Europa, e descrizione d’alcune medaglie appartenenti ai Turini popolo di calabria. ( Sestini) 2) 23 B. T. XVII. Marzo 13 2) 2) 33 lo 5 Tio 150 62 65 co) | 194 Lettera d’ un socio ordinario dell’ accademia archeo- logica di Roma ad altro socio della medesima, in Firenze Lett. I. (G.M.) » IL 2 Dissertazione di Ambrogio Balbi sopra il culto di Venere Ericina , (M.) Delle opere di scultura ultimamente scoperte in Se- linante, memoria di Pietro Pisani, (M.) Notizia sopra una medaglia inedita di Cavarus, re di Tracia, di Giovanni Carabed. (M.) Sull’uso , cui erano destinati i monumenti egiziani detti comunemente scarabei, del cav. S. Quinti- no — Saggio sul sistema dei numeri presso gli antchi egiziani, del medesimo. (Z.), G Di un quadrante unico ed inedito nel Museo del- l’ Università di Perugia; al sig. F. Speroni, let- tera di G. B. Vermiglioli. (Zia Intorno alcuni monumenti epigrafici cristiani scoperti in Milano l’anno 1813 nell’ insigne basilica di S. Ambrogio , dissertazione di Gio. Labus. (Z.) ScIENZE NATURALI. Baullettino scientifico. Meteorologia ”) . 2) 23 23 » Fisica e chimica. 2) »? 23 2) pa Geologia 2) 2) 23 >) ” Mineralogia. 2) bei È Paleontografia » Botanica e Agricoltura . 2) 2) » Anatomia , Fisiologia ec. 7) 2) OgdagsProPAOHPOHPAHd> 2) 2) 2) SOCIETA’ SCIENTIFICHE. Imperiale e Reale Accademia de’ Georgofili . Accademia Labronica di scienze lettere e arti di Li- vorno. Accademia delle Scienze di Torino. Società agraria di Torino Istituto di Milano. < pBpPPPPE WE Reale Accademia di Napoli . » o] » ScIENZE MEDICHE, FISIOLOGIA, EC. Dell’ influenza degli agenti fisici sulla vita, di W. Edward. (D. Basevi.) vi 2) AGRICOLTURA Prosa letta nell’ adunanza de’ Georgofili del dì 5. Settembre 1824. dal R. P. Ferroni. A. Bullettino Scientifico. N.° XVII. B »” 2 ARTI INDUSTRIALI, INVENZIONI , SCOPERTE, E VARIETA' Baullettino Scientifico N. XVI. A. » » XVII. B. » Notizia del cav. Morosi. i ig NECROLOGIA. Carlo Pictet di Ginevra. B. Giovanni Biroli di Torino . 23 » Ermenegildo Pini di Milano . » Abate Botta di Torino. » » 52 160 166 169 196 BULLETTINO SCIENTIFICO. N. XVI. Gennajo 1825. sa II A XVII. Febbrajo 19,3 90 XVIII. Marzo Uol 158 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNESSO ALL’ ANTOLOGIA. — N° XV. Gennajo 1825. A. 3 179 XVI. Febbrajo 5. 108 XVII. Marzo G. Leda OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. FEBBRAJO 1825. Termometro Stato del cielo 01}9U01eg 0UINZU] i} OU19IST 0139w1048] |} 01) -QUI01AN]K |$ -09s0W9UY | Sc Lev. Sereno Ventiti Sc Lev. Ser. concali. Calma Sc Lev. Sereno Ventie. iScir. |Ser. con ne. Ventic* Scir. |Se.con nu al ori.Cal, iScir. |Sere. rag. Ventic, Qi (e 0) do SOL [eos D ——@ 1 ___ —- pa pbAaE I| mezzog. rt sera dan o|ab 7 mat. 2] mezzog. lI sera - (SS) N Mm_ o N dTOADAWÒ Le | O) Ì fo Scir. |Nuvolo Ventic. 3| mezzog. |28. 1,6 Sc Lev.|Nuv. neb. Calma II sera |27. 1133 !Pon.Lì | Nuvolo Ventic. Mpa mat. (27. 8,4 6,7/7,1 25 [0,02 |Ostro |Nuvolo Ventic. 4| mezzog. 127. 7,0 7,5 8,9 99 Os. Li.| Piovoso Vento HI sera. 27. - 76. SIL, 14 25 [0,04 Gr. Tr.|Serenissimo Vento mo mat. 27. 7, RT, 6 3,1 ‘Sc. Le.'Sereno Ventic-|B S| mezzog. |27. y,0 6,7. '6,2 Sc. Le. Sereno Ventic. ti sera |27. 6,8 5,8,3, 5 0,02, Tram. Ser. nuv. Vento 7 mat. |27. 7,5 4,9 5, Sc. Le. Ser: rag. Ventic. 6) mezzog. 27. 8,2 5,1 Kà Tram. |Sereno Vento It sera |27: 10,2 pi 3,6 Tram, |Sereno Vento 7 mat. |28. 0,9 "Efo va {Tram. al bellis. Ventic. 7| mezzog. |28. 1,9 5,5 42 Tram. 'Sereno Vento 11 sera |/28. 3,0 | 49 EE SENI Frati, [Sereno Ventio. 7 Diat. .- 27 aa p_ouo ceo NN QU = © wo “ A ln | — | II sera Q- 12 mezzog. è | ri sera "x 7 mat. t3 mezzog. | «|art sera x mat. |25. 1/4 mezzog. ‘28. 0, TI sera Lil c to] 013 È -2Wo01AN]q |É 01}AUONeT OI}RUIOA 7 mat. 9 | mezzog. , | 7 mat. [28. 3,4 Io mezzog. 128. 4,2 II sera 128. 47. | | 7 mat. |28. 5,0 ti mezzog. 28. 5,2 rrsera |28. 5,0 | Vi Cla ua ISO od -0osowauy li | Tram. Sereno Grec. {Sereno Tr.Ma. Sereno va Sc. Lev Sereno !Gr. Tr.' Sereno ‘Po.Lib Sereno i Tram. iSereno Tram. {Sereno Lev.. |Sereno css Sc. Lev Sereno Sc. Lev Sereno Sc. Lev Sercno . Vento Stato del cielo | Ventic. Vento Vento Ventic. Vento Ventic. Ventic. PRIITA DRDIE ERI I TRATTO Calma Ventic. Calma Ventic. » vw (Si) DA PRIA ND » vw DI Aa AOA Lo Wo I {o} Dai DAN I » | n » na © la © ea le) CO CO Of QONI NI Ostro ; 7 mat. (26. |19| mezzog. 28. 4,0 Tr.seta 90. -4,2 Scir. |Ser. ragn. Scir. |Ser. calig. Lev. Ser. neb. Scir. Se. rag. Sc. Lev!Ser. calig. i Lev. |Sereno Sc. Lev'Ser. neb. Ventic, Lev. |Nuv. neb Scir. Sereno Sc. Lev Ser. bel. Ventic. Scir. Sereno ISc. Lev Sereno Greco ‘Sereno Tram. ‘Coperto | TICA Greco ‘Nuv. neb. Gr.Lev' Nuv-neb. Tram. ‘Sereno Ventic, Ventic. Calma Ventic' Calma Vento Calma Vento Galma Ventic. Ventic. Ventic. Calma Calma Ventio. iSc. Lev Nuvolo Calma Lev. |Nebbia Catma. Sc. Lev| Nuvoloso Calma Ser. nuv. Ventic.|È Scir. |Se. con neb. Ventic' 'Os.Lib.‘Se con nu. Ventic:|f Calma |$ RA __ sro “ager to Termom. ped mi 18 Ora E 5 5, A 3 È 53 Stato del cielo . ti 3 IE | | | 7 mat. |28. 41 8,4 5,8 76 Gr. Tr. [8ereno Calma ‘120 mezzòg. |28. 4,5 8,9 9,5 49 Tram. ;Sereno Calma i | ri sera |28. 44 9;3 8,0 56 Tram. |Sereno Vento 7 mat. |28. 4,2 8,0 4,4 70 Scir. Sereno Vento È ha mezzog. |28. 4,2 8,4 8,6 57 Sc.Lev Ser. con calig. Vento 11 sera |28. 4,3 9,3 7,6 84 | Scir. |Sereno Ventic. 1008 7 mat. |28. 3,2 R,o 5,3 ! gI Scir. Ser.nebbio. Ventic. i 22| mezzog. 128, 1,9 8,6 8,4 75 Scir. ‘Ser.connuv. Ventlic. il | rrsera |28. 1,3 9,8 8,0 65 Lev. |Ser. nuv. .Vento || bi 7 mat. |28 1,4 8,4 5,8 60° Grec. |Bellis. ser. Calma i 23 mezzog. (28. 0,9 8,7 8,7 4t Tram. ; Nuvoloso Vento |j | 11 sera {28. 1,4 8,4 5,3 62 Lev [Sereno vene { 7 mat. |28. 1,4 7,5 4,0 59 Tram. |Sereno Ventic.' #24 mezzog. 28. 1,3 7,5 7,3 4o | Tr. Gr. Ser. con nuv. Vento | ti sera |28. 1,3 8,4 5,8 51 iLev. |Sereno Ventic. | m mat. |28. 0,4 7,1 44 | 61 Grec: \Nuvolo Ventic.if: ; 25 mezzog. (27. 11,9 6,9 7,3 52 Tr.Gr. Coperto Vento {ff Sl | rr1sera j27. 11,3 7,6 44 5I Gr: Tr. Nuvoio Vento bur..{ Hi | 7 mat. 27: 11,0 5,3 3,6 | 54 | Grec. {Nuvolo Vento bur.'$ ! 26 mezzog. (27. 11,3 5,8 5,3 50 | Tram. |Se. con nuvo. Vento | i) Hi ti sera |27. 11,3 5,3 3,1 41 | Tram. |Sereno ven. bur.: (i | VÀ mat. 27. 11, cas: 44 0,9 50 Tram. |Sereno Vento 27, mezzos. | iù | rr sera 128. 0,0 4,9 3,1 | 451 Scir. {Sereno Vento I 7 mat. |27. 10,8 4,0 0,4 55 Scir. |Coperto Ventic.: | 28 mezzog. |27. 9,5 40/24 È 95 Grec. |Neb,e piog.mi. Calma || Itsera |27. 7,1 CE ,611,8 99 ‘0,32 |Sc.Lev{Piovoso Ventic. ra T- BI ragno vis» bri . sla rapco n è, * DI Ns GIP ia Ln se n